«E’ portano insino a una lanterna; e’ ci sarà che lèggere». Il tema della lettura e dei...

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MARIA CRISTINA FIGORILLI

«E’ PORTANO INSINO A UNA LANTERNA;

E’ CI SARA CHE LEGGERE».

IL TEMA DELLA LETTURA E DEI LIBRI

NEI RAGIONAMENTI DEI MARMI

F I R E N Z E

L E O S. O L S C H K I E D I T O R EMMXII

Estratto dal volume:

I MARMI DIANTON FRANCESCO DONI:

LA STORIA, I GENERIE LE ARTI

a cura diGIOVANNA RIZZARELLI

MARIA CRISTINA FIGORILLI

«E’ PORTANO INSINO A UNA LANTERNA;

E’ CI SARA CHE LEGGERE».

IL TEMA DELLA LETTURA E DEI LIBRI

NEI RAGIONAMENTI DEI MARMI*

1. La varieta tematica e la sequenza caotica dei materiali, che conferiscono

ai Marmi una fisionomia particolare, imparentabile al genere della ‘selva’, o

della ‘satira menippea’, come noto, si legano, soprattutto nella Parte prima, al-

la scelta di affidare la ‘genesi’ dell’opera al frutto di una ‘chimera’ notturna

partorita da un «capriccioso cervello».1 Il preambolo fantastico, generando

la finzione degli Accademici Pellegrini che a turno ascoltano non veduti i ra-

gionamenti che si svolgono sulle scalinate del duomo di Firenze, diventa il

presupposto della congerie degli argomenti trattati nell’opera. Infatti, per re-

stare nei termini del «trovato» che permette di «poter favellare di varie mate-

rie» (Marmi 1928, I, p. 23), gli accademici sono anche i fedeli trascrittori delle

autentiche conversazioni che essi hanno furtivamente udito, alla maniera del

Boccaccio (auctoritas che aleggia su tutto il libro), che, nella Conclusione del-

l’autore del Decameron, si attribuisce, dietro lo schermo letterario della finzio-

ne della brigata che racconta novelle, il semplice ruolo di amanuense. In piu,

nei Marmi la varieta, oltre ad essere automatica conseguenza della registrazio-

ne di conversazioni reali, e anche elemento apprezzato e perseguito dagli ac-

* Desidero ringraziare Renzo Bragantini per i tanti suggerimenti che in questa occasione, comein altre, mi ha voluto generosamente offrire.

1 Per l’assimilazione dei Marmi al genere della ‘selva’, caratterizzato dalla ricomposizione di ma-teriali eterogenei plagiati da svariate opere, cfr. PAOLO CHERCHI, La ‘‘selva’’ dei ‘Marmi’ doniani,«Esperienze letterarie», XXVI, 1, 2001, pp. 3-40. Per l’accostamento dei Marmi alla ‘satira menippea’si veda il saggio dello stesso ID., I ‘Marmi’ e la menippea doniana, nel presente volume. Per il sogno-pretesto e piu in generale per la struttura dei Marmi, cfr. GIORGIO MASI, «Quelle discordanze sı per-fette»: Anton Francesco Doni 1551-1553, «Atti e Memorie dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere‘La Colombaria’», LIII, n.s., XXXIX, 1988, pp. 9-112: 43-44, 46-90.

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cademici, come si legge nel passo della dedica al Signor Ascanio Libertino,vescovo di Avellino, della Parte seconda.

Eppure, all’interno di una tale liberta tematica, per cui l’opera si dispone araccogliere tutto il dicibile, non si puo non restare impressionati dalla perva-sivita di un argomento che sembra imporsi sugli altri: il tema dei libri, insiemecon quello della scrittura e ancor di piu della lettura, ritorna nelle conversa-zioni con una ricorrenza e un’insistenza che hanno qualcosa di ossessivo, ri-conducibile, del resto, alla vicenda intellettuale di Doni, letterato integralmen-te immerso nel mondo dell’editoria, come non manco di osservare, conindubbia efficacia, Salvatore Bongi: «il demone della stampa e dei libri siera impossessato di lui. Le botteghe dei librai e la compagnia dei letterati fu-rono per un tratto di tempo tutta la sua vita».2

Sono molte le allusioni alla lettura e alla scrittura come pratiche quotidia-ne, naturali, messe sullo stesso piano dei piu abituali atti che accompagnano lavita di ogni giorno. Un esempio ci e offerto proprio ad apertura di libro, quan-do viene presentato lo Svegliato che, insonne (come vuole il nome), passa lanotte a farneticare, immaginando di trasformarsi in un «uccellaccio grandegrande» (Marmi 1928, I, p. 5) svolazzante sopra le case, di cui riesce a spiaregli interni popolati da un’umanita sorpresa in una serie di gesti e comporta-menti quotidiani e naturali. Egli puo osservare una infinita varieta di situazio-ni; e certo non e un caso che tra i tanti atti che si potrebbero annoverare perdare conto delle «gran diversita» e dei «diversi effetti» compaiano la lettura ela scrittura, considerate alla stregua degli stati emotivi, degli eventi naturali,dei bisogni fisiologici: «chi nella sua casa piange, chi ride, chi partorisce,chi genera, chi legge, chi scrive, chi mangia, chi vota» (Marmi 1928, I, p. 5).La ‘desacralizzazione’ dello scrivere e del leggere e messa in evidenza anchedalla familiarita e consuetudine con cui sono praticati da un ceto socialeben distante dalle elites degli studiosi di professione. Per esempio, nel Ragio-namento quarto, nel dialogo tra Guglielmo sarto e Tofano di Razzolina, Gu-glielmo esprime all’amico una certa insofferenza nei confronti della moglieche «non fa altro che leggere tutto dı, la studia la notte proprio proprio comela fussi dottoressa, e si lieva su, quando gli vien qualche ghiribizzo nel capo, escrive scrive» (Marmi 1928, I, p. 46).3 O ancora, ad apertura di un dialogo dei

2 SALVATORE BONGI, Annali di Gabriel Giolito de’ Ferrari, I-II, Roma, Min. della Pubblica Istru-zione 1890-1895, I, p. 266. Ma si veda anche quanto scrive P. CHERCHI, La ‘‘selva’’ dei ‘Marmi’ doniani,cit., p. 4: «I Marmi sono costellati di riferimenti ai libri [...]. Nel complesso il tema dei libri, inclu-dendovi tipografi e librai e correttori oltre che gli autori, e fra i piu ricorrenti».

3 La moglie di Guglielmo e impegnata nella scrittura di un testo sulla superiorita delle donne. Ipassi del «foglio» letti nel dialogo sono dei plagi dal Relox de prıncipes di Antonio de Guevara: cfr.

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Ragionamenti arguti, Matteo Sofferroni confida al suo amico Soldo di dedica-re ogni giorno due ore serali alla lettura, nonostante sia molto occupato nelle«faccende di Mercato nuovo» (Marmi 1928, I, p. 230). Almeno per inciso vadetto che questa precisazione (due ore) non va sottovalutata: Doni intenzio-nalmente vuole indicare che tra coloro che comprano libri e a cui bisogna ri-volgersi ci sono anche lettori per i quali la letteratura e solo un passatempo,insomma lettori non eruditi che praticano la letteratura non per professione.4

Mettendo da parte la pratica della scrittura, e concentrando l’attenzionesull’atto del leggere, si puo notare come l’aspetto piu interessante riguardo allapervasivita della lettura sia che essa penetra nella struttura stessa dei dialoghi,nel senso che sulla scalinata del Duomo oltre che a conversare si legge. E untratto certo da non trascurare che alcuni dialoghi siano occupati quasi per in-tero dalla lettura di testi, come ad esempio il dialogo tra il Ghioro e Borgo nelRagionamento secondo o il dialogo tra Niccolo Martelli, Visino e lo Stradinonel Ragionamento terzo. In alcuni casi la conversazione sembra nascere dallalettura, quasi che il dialogare non possa esistere fuori dai libri, come sembranodimostrare le parole preoccupate che Niccolo Martelli rivolge allo Stradinoproprio nell’ultimo dialogo citato: «Padre Stradino, se voi non ci soccorretedi qualche cosa nuova da leggere, sta sera noi siamo rovinati» (Marmi 1928,I, p. 36). Che ci si incontri ai ‘marmi’, dunque, per conversare ma ancheper leggere mi sembra una particolarita di rilievo, un tratto davvero distintivodella pratica dialogica sperimentata da Doni; un altro di quegli elementi a cuisono affidate l’originalita e la specificita dell’opera. Non e un caso che spesso ipersonaggi arrivino sulla scena dell’incontro carichi, o in ogni caso provvisti,di libri, come non e un caso che siano frequenti i riferimenti alle diverse mo-dalita di lettura.

Il meccanismo della lettura nel suo ripetersi presenta qualche elementocomune: ad esempio la lettura e saltuaria e discontinua; si alternano parti lettea voce alta e parti scorse in fretta.5 Inoltre la lettura e interrotta dai commenti

PATRIZIA PELLIZZARI, Appendice seconda: I plagi nei ‘Mondi’. L’inserzione di alcune ‘Epistolas familia-res’ di Antonio de Guevara, in ANTON FRANCESCO DONI, I Mondi e gli Inferni, a cura di P. Pellizzari,introduzione di M. Guglielminetti, Torino, Einaudi 1994, pp. 417-425: 419 e LYNN L. WESTWATER,Humanism reworked: the Reuse of Guevara’s ‘Relox de prıncipes’ in Doni’s ‘Marmi’, in Sondaggi sullariscrittura del Cinquecento, a cura di P. Cherchi, Ravenna, Longo 1998, pp. 39-62: 42.

4 Considerazioni sulla consapevolezza doniana di vivere in un’epoca in cui l’espansione del mer-cato editoriale aveva provocato come conseguenza una profonda modificazione e un allargamentodel pubblico dei lettori, di cui gli autori non potevano non tenere conto, si leggono in GIUSEPPE CAN-

DELA, Manierismo e condizioni della scrittura in Anton Francesco Doni, Bern-New York-Oxford-Wien, Peter Lang 1993, in part. pp. 75-103.

5 Come esempio si vedano il dialogo citato tra il Ghioro e Borgo («GHIORO. Ma lasciami scorreril libro a me alquanto», «BORGO. Leggete forte» Marmi 1928, I, p. 27); il dialogo tra Baccio del Se-

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degli interlocutori – in cui magari non si perde l’occasione per citare altri libri:spesso essi si risolvono nel confutare, con manifesto fastidio, i contenuti delleletture.6

Nondimeno, la lettura puo essere interrotta perche chi legge o ascolta si estancato, oppure perche l’attenzione e distratta dall’arrivo di nuovi personaggi(casi, questi, in cui spesso l’interruzione coincide con la fine del dialogo), op-pure solo perche si decide di rinviarla, assecondando cosı in parte il gusto delnon finito, del frammentario, in parte la tecnica della ripresa a distanza, al finedi creare attesa.7 Anche per queste diverse circostanze, si possono rinvenireesempi in battute di dialoghi gia citati o che dovro citare nuovamente in se-guito. Un esempio del primo caso e fornito dal finale del dialogo tra il Ghioroe Borgo, in cui quest’ultimo, stancatosi della lettura delle Legge sante (in realtaanche in questo caso segmenti prelevati dal Relox), bruscamente mette finealla serata: «Io per questa notte n’ho avuto assai: questa lezion mi basta. Ren-detemi il mio libro e ritiriamoci a casa» (Marmi 1928, I, p. 33). O ancora, neldialogo tra Guglielmo sarto e Tofano di Razzolina, verso il finale Tofano sem-pre piu irritato dall’ascolto di pagine dedicate alla superiorita muliebre tagliacorto esclamando: «Io non voglio portar piu a casa mia cotesti scartafacci nemanco leggergli» (Marmi 1928, I, p. 49). Un esempio del secondo caso e offer-to dalla conclusione del dialogo tra lo Spedato e il Viandante nei Discorsi utiliall’uomo, dove la lettura di Lo ferm voler qu’el cor m’intra di Arnaut Danielviene interrotta perche il Viandante vuole ascoltare il ragionamento tra il Sa-vio e il Pazzo che sopraggiungono (Marmi 1928, II, p. 140). Per quanto riguar-da l’interruzione legata a scelte stilistiche di varietas o di sospensione narrati-va, possiamo citare i dialoghi tra Baccio del Sevaiuolo e Giuseppe Betussi e traGiorgio calzolaio, Michele Panichi, e Neri Paganelli. Nel primo dialogo la let-tura delle stanze della Marfisa e interrotta, per poi essere ripresa, dalla letturadella traduzione del «Privilegio della Laurea di Messer Francesco Petrarca»(Marmi 1928, I, pp. 258-265). Nel secondo, si inizia la lettura di quattro lettere

vaiuolo e Giuseppe Betussi nel Ragionamento della poesia («BACCIO. Voi l’avete veduto, io trascorrocosı con l’occhio, parte ne leggo piano e parte forte» Marmi 1928, I, p. 259); il dialogo tra lo Stucco e ilSazio nel Ragionamento di diverse opere e autori («SAZIO. Abreviamela questa cosa: salta con il leg-gere, perche ho fretta stasera» Marmi 1928, II, p. 87). L’andamento intermittente della lettura riflette,come avro modo di chiarire in seguito, le modalita del plagio, che risulta sempre frammentato e maicontinuativo.

6 Tuttavia, al di la dei commenti che interrompono la lettura di un testo, e proprio sul pianogenerale dell’opera che le battute degli interlocutori consistono in «osservazioni che hanno la funzio-ne da contrappunto scettico» (P. CHERCHI, La ‘‘selva’’ dei ‘Marmi’ doniani, cit., p. 16).

7 Su questo espediente della ripresa a distanza, che funge da esile collegamento strutturale al-l’interno di un andamento volutamente metamorfico, cfr. G. MASI, «Quelle discordanze sı perfette»,cit., pp. 79-82.

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contenenti allegorie. Qui il meccanismo dell’interruzione e complicato daquello della variatio e dalla tecnica del rinvio. Infatti, la lettura delle primetre lettere non viene portata a termine, mentre la quarta, per spezzare proprioall’ultimo un procedimento che poteva risultare troppo lineare e simmetrico,viene letta per intero; in piu la lettura delle parti restanti delle lettere vienerinviata. Di questa scelta fatta di sospensioni e riprese a distanza viene fornitaun’alta legittimazione letteraria: a Michele, che l’interruzione della lettura del-la seconda lettera proprio sul piu bello induce a esclamare: «Chi legge ha carod’udire il fine di tutte le cose; e voi le cercate di tramezzare», Neri rispondeallegando l’autorita ariostesca: «L’Ariosto anch’egli lascia sul bel dell’intenderdella fine e ripiglia nuova istoria; e fa bel sentire quella nuova curiosita» (Mar-mi 1928, I, p. 226).8 Solo per inciso, puo valere la pena osservare, anche a te-stimonianza della manipolazione del genere dialogo operata da Doni, comenei Marmi a giustificazione delle scelte strutturali si avverta l’esigenza di citaresolo due auctoritates, Boccaccio e Ariosto, cioe una raccolta di novelle e unpoema cavalleresco, anziche opere dialogiche.

Per quanto riguarda poi un altro espediente – che rientra sempre tra i di-spositivi messi in atto per stimolare l’interesse del lettore –, e cioe quello dellapromessa reiterata ma non mantenuta di leggere un testo ai ‘marmi’,9 c’e unepisodio su cui vorrei soffermare la mia attenzione; un episodio di particolareinteresse, perche l’artificio del continuo rinvio e della promessa disattesa po-trebbero qui coniugarsi, sempre che la mia interpretazione sia esatta, con latecnica dell’autocitazione ‘pubblicitaria’, anche se in questo caso non esplicita.Mi riferisco alla ripetuta promessa della lettura di una commedia che invecenon verra mai letta: o meglio che si finge letta altrove, nella bottega del mer-ciaio Migliore Visino.10 Qui la tecnica della sospensione e vivacizzata da tro-vate teatrali che alimentano l’aspettativa: la vicenda si dipana a intermittenzadalla fine del Ragionamento primo all’inizio del Ragionamento terzo tra velociallusioni e riferimenti piu ampi, con un’istantanea e fugace apparizione sullascena del testo, la cui lettura proprio nel momento in cui sta per essere avviataviene negata. E lo Svegliato che alla fine del Ragionamento primo riferisce la

8 Il passo e citato anche ivi, p. 80.9 Ad esempio, un testo che ci si ripromette di portare ai ‘marmi’ e che invece non verra letto e il

libro dei Sogni di Frate Angelico: si vedano le battute di congedo del dialogo tra Moschino, Tribolo eRidolfo del Grillandaio (Marmi 1928, I, p. 58).

10 Su Visino e sugli Umidi, molti dei quali intervengono nelle conversazioni dei Marmi, e d’ob-bligo il rinvio ai saggi di Plaisance che ora si possono leggere riuniti in MICHEL PLAISANCE, L’Acade-mie et le Prince. Culture et politique a Florence au temps de Come Ier et de Francois de Medicis, Man-ziana, Vecchiarelli 2004 (in part. le pp. 11-234 e 405-417).

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conversazione ascoltata su bellissimi e stupefacenti intermezzi di una comme-dia rappresentata, aggiungendo che un fiorentino, di cui non conosce il nome,ha promesso di portare quanto prima ai ‘marmi’ il testo, qualora l’autore glie-ne avesse fornito una copia. Piu avanti, all’inizio del Ragionamento terzo ilPerduto, lamentandosi – secondo una formula che ripetera anche nel mono-logo che introduce il Ragionamento quarto – che ai ‘marmi’ ancora non e ar-rivato nessuno, si augura: «almanco ci venisser coloro che promisero di portarquella comedia» (Marmi 1928, I, p. 35).11 In effetti Niccolo Martelli, interlocu-tore insieme con Visino e lo Stradino del dialogo che immediatamente segue,avendo con se il testo della commedia, il cui autore continua a restare avvoltonel mistero, sembrerebbe esaudire il desiderio del Perduto, se non fosse cheVisino gli sottrae il manoscritto con gesto repentino, correndo alla volta dellasua bottega con la promessa di riportarlo presto. Nel corso del dialogo rientrain scena Visino ma senza commedia, poiche la sta ancora leggendo Carlo Len-zoni davanti a dei gentiluomini raccoltisi nella sua bottega. Allo Stradino eMartelli, molto curiosi di avere notizie su questa bella commedia e soprattuttodi conoscerne l’autore, Visino non puo che fornire alcune approssimative in-dicazioni, limitandosi ad accennare alla trama, a precisare che l’autore e unfiorentino, che la commedia e piena di motti e «garbetti», e che per il momen-to non si dara alle stampe. Dall’assai esile trama fornita da Visino: «Fa che duefuorusciti, nobili e letterati, in parte strane s’acconcino per servidori e alla finesi scuoprono chi e’ sono; e fanno parentadi mirabili» (Marmi 1928, I, p. 42), misembra che non possa escludersi che la commedia di cui tanto si parla, frescafresca di mirabile messa in scena, possa identificarsi con lo Stufaiuolo doniano,dove appunto compaiono il vecchio Cesare, fuoriuscito genovese, accusato diun reato non commesso, rifugiatosi con la moglie Maddalena a Venezia (ridot-tasi a servizio del vecchio Niccolo), e il figlio Vincenzo (fatto prigioniero inguerra e creduto morto), anche lui a Venezia al servizio di un ricco mercante.La commedia, il cui intreccio e ovviamente complicato dai piu tipici schemicomici – innamoramenti ostacolati, scambi di persona, travestimenti, beffe –si conclude con la classica agnizione parentale, con il riconoscimento dell’in-nocenza di Cesare (il cui vero nome peraltro e Gregorio Spinola, citato pro-prio nei Marmi e precisamente nel dialogo tra il Nobile e il Perduto che aprela Parte quarta) 12 e con tre «parentadi», tra lo Stufaiuolo e Druda, tra Vincen-

11 In entrambi i casi alle lamentale segue l’insperato arrivo di gente introdotto con l’avversativa«ma»: «Ma ecco gente» (Marmi 1928, I, p. 35); «Ma ecco due che salgono appunto gli scalini» (Marmi1928, I, p. 45).

12 Cfr. Marmi 1928, II, p. 151. Gregorio Spinola e citato anche nei Trattati diversi di Sendebarindiano: cfr. A.F. DONI, Le novelle, tomo I. La moral Filosofia-Trattati, a cura di P. Pellizzari, Roma,

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zo e Taddea e tra i servi Bigio e Caterina.13 Aggiungo che anche da un puntodi vista cronologico l’identificazione di questa misteriosa commedia con unaqualche versione dello Stufaiuolo e del tutto plausibile. Infatti anche se i tremanoscritti, tutti autografi, che ci tramandano il testo sono posteriori all’edi-zione dei Marmi, la commedia dovette essere composta non dopo il 1550, se iltitolo della piece compare nella prima edizione giolitina della Libraria,14 che eappunto di quell’anno, e se gia nella Zucca, pubblicata nel 1551, e precisamentenella Chiachiera ultima, si allega «l’autorita del Carafulla, strione della mia co-media dello Stufaiuolo».15

Questa sorta di siparietto, di cui protagonisti sono appunto l’anonimacommedia e il gesto comico di Visino che la strappa dalle mani di Martelliscappando, oltre a rispondere a determinate strategie letterarie, mostra anchela familiarita dell’autore, nonche dei personaggi storici che figurano come in-terlocutori dei dialoghi, con le ferventi attivita teatrali che si svolgevano a Fi-renze patrocinate dal potere ducale.16 Un esempio e fornito anche dal raccon-

Salerno Editrice 2002, p. 286 (per un’identificazione del personaggio, «presumibilmente, Gregoriodegli Spinola di San Luca, signori, appunto, di Campofreddo», cfr. il commento di Pellizzari,p. 286, nota 2).

13 Tra le tante commedie fiorentine del periodo che ho potuto leggere (da quelle di Lasca aquelle di Gelli, D’Ambra, Varchi, Cecchi, Firenzuola) non mi e parso di poterne individuare unala cui trama si avvicini di piu, rispetto a quella dello Stufaiuolo, all’argomento esposto da Visinonei Marmi. Ho letto la commedia nell’ed. ANTON FRANCESCO DONI, Tutte le novelle, Lo stufaiuolo,commedia e La mula e la Chiave dicerie, Milano, Daelli 1883 («Biblioteca rara» XIII), che riproduce iltesto a cura di S. Bongi (Lucca, presso B. Canovetti 1861, che a sua volta aveva edito il manoscrittoriccardiano).

14 Cfr. ID., La libraria, a cura di V. Bramanti, Milano, Longanesi 1972, pp. 81 e 185.15 ID., Le novelle, tomo II. La Zucca, a cura di E. Pierazzo, I-II, Roma, Salerno Editrice 2003, I,

p. 192. Per un’ipotesi cronologica di composizione dello Stufaiuolo anticipata a prima del 1551, cfr. ivila nota di commento, p. 192, nota 3 e ELENA PIERAZZO, Dalle ‘Nuove Pitture’ al ‘Seme’ della ‘Zucca’:problemi editoriali e ipotesi critiche. Con una nota sulla datazione delle ‘Ville’, in «Una soma di libri».L’edizione delle opere di Anton Francesco Doni, atti del seminario (Pisa, Palazzo Alla Giornata, 14

ottobre 2002), a cura di G. Masi, presentazioni di M. Ciliberto e G. Albanese, Firenze, Leo S. Olschki2008, pp. 271-288: 287-288, dove sono indicati due autografi dello Stufaiuolo: «due manoscritti auto-grafi, uno conservato presso la Biblioteca Valentiniana di Camerino, l’altro presso la Biblioteca Ric-cardiana di Firenze, datati rispettivamente 1557 e 1559». Un altro autografo e stato rinvenuto di recen-te da Carlo Alberto Girotto: si tratta di un autografo «dedicato a Ottavio Farnese duca di Parma ePiacenza – quindi databile a dopo il 15 settembre 1556 –, conservato presso la Houghton Library dellaHarvard University, segnato MS Typ 853: Bibliografia di Anton Francesco Doni, a cura di G. Masi con-sultabile nel sito di Cinquecento plurale (www.nuovorinascimento.org). Di C.A. GIROTTO si veda,precedente al ritrovamento, Anton Francesco Doni (Firenze 1513-Monselice 1574), in Autografi dei let-terati italiani. Il Cinquecento, a cura di M. Motolese, P. Procaccioli, E. Russo, consulenza paleogra-fica di A. Ciaralli, Roma, Salerno Editrice 2009, pp. 197-208 (alle pp. 201-202 ANTONIO CIARALLI, No-ta sulla scrittura).

16 Per una ricostruzione documentatissima delle forme fiorentine di intrattenimento ‘scenico’nel loro rapporto con il potere, cfr. MICHEL PLAISANCE, Florence. Fetes, spectacles et politique a l’e-poque de la Renaissance, Manziana, Vecchiarelli 2008.

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to entusiasta, che apre il dialogo tra Moschino, Tribolo e Ridolfo del Grillan-daio, nel Ragionamento quarto, di una singolare rappresentazione teatrale,svoltasi – come si dice nella conclusione del dialogo precedente – nella «Saladel papa», a cui aveva assistito gran parte della «brigata» dei ‘marmi’; singo-lare perche esibiva una duplice prospettiva, per cui gli spettatori potevano se-guire stupiti l’alternarsi di atti della Mandragola e dell’Assiuolo del Cecchi.Non e certo questa la sede per affrontare i rapporti dell’opera con il genereteatrale: tuttavia limitatamente al tema che mi interessa, si puo almeno notarecome anche le situazioni in cui i personaggi si ritrovano a leggere vengano pre-disposte scenograficamente. Infatti, la rappresentazione dei personaggi intentialla lettura si vivacizza con la presenza di dettagli che rimandano all’actio e aglielementi scenici. Del resto nei Marmi e frequente il ricorso ai dispositivi messiin atto nelle commedie: basti pensare alle modalita con cui si interrompono leconversazioni, che rinviano appunto alle conclusioni delle scene.17 Riferimentialla luce – offerta dalla luna, da una lanterna, o da una candela –, agli occhiali,al desiderio di segnare un passo di particolare interesse conferiscono alle scenedi lettura il movimento di una rappresentazione che sembra animarsi, confer-mando la capacita doniana di «por le cose inanzi a gli occhi».18 Solo qualcheesempio per dare conto delle punte di espressione visiva raggiunte dalla rap-presentazione scenografica della lettura. Nel gia citato dialogo tra il Ghioro eBorgo, il primo per due volte fa riferimento alla luce della luna: «Di grazia, sequesto lume della luna ti serve, leggine due righe» (Marmi 1928, I, p. 26) e piuavanti, accennando anche agli occhiali: «Ma lasciami scorrer il libro a me al-quanto, poi che sı bel lume di luna ci serve; la lettera e grossa, onde senz’oc-chiali la si leggerebbe al barlume» (Marmi 1928, I, p. 27). Alla fine del mono-logo del Perduto nel Ragionamento terzo, l’accademico da uno dei «nicchi», incui i Pellegrini usano nascondersi per ascoltare senza essere visti, scorge arri-

17 Per il dispositivo scenico per cui nel finale di un dialogo si preannuncia l’arrivo dei nuovipersonaggi del dialogo successivo, cfr. G. MASI, «Quelle discordanze sı perfette», cit., pp. 73-74. Sem-pre in relazione alle affinita con il genere della commedia, per esempio e interessante notare con Masicome il ruolo del Perduto nel discorso che apre il Ragionamento quarto si avvicini molto alla funzionedel personaggio prologante nelle pieces: cfr. ivi, pp. 75-76. Per affinita con il congedo teatrale cfr.p. 77, e ancora per un esempio di «tipica entrata in scena» teatrale, cfr. p. 87.

18 La citazione e tassiana: TORQUATO TASSO, Dell’arte del dialogo, introduzione di N. Ordine,testo critico e note di G. Baldassarri, Napoli, Liguori 1998, p. 59. Questa capacita espressiva di po-tenziare visivamente la narrazione Doni la eredita da Aretino, maestro (anche se poi rinnegato) distile. Per questo artificio stilistico molto presente nelle Sei giornate di Aretino, cfr. NUCCIO ORDINE,Le ‘Sei giornate’: struttura del dialogo e parodia della trattatistica sul comportamento, in Pietro Aretinonel cinquecentenario della nascita, atti del convegno di Roma-Viterbo-Arezzo (28 settembre-1 ottobre1992), Toronto (23-24 ottobre 1992), Los Angeles (27-29 ottobre 1992), I-II, Roma, Salerno Editrice1995, II, pp. 673-716: 706-707. Per la teatralita delle Sei giornate, cfr. GIULIO FERRONI, Le voci dell’i-strione. Pietro Aretino e la dissoluzione del teatro, Napoli, Liguori 1977, pp. 136-202.

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vare gente ed entusiasta esclama: «E’ portano insino a una lanterna; e’ ci sarache leggere» (Marmi 1928, I, p. 35). Nel dialogo che segue tra Nicolo Martelli,Visino e lo Stradino, quest’ultimo interessato ad alcuni passaggi interrompe lalettura di Martelli: «Segna cotesto luogo», ma presto cambia idea, «lieva il se-gno» (Marmi 1928, I, p. 37), per poi piu avanti tornare a chiedere: «Ripiega lacarta in tre doppi, che io non perda questa bella istoria» (Marmi 1928, I, p. 39);sempre Stradino, poco oltre, fornendo particolari visivi che danno corpo alprecetto dell’evidentia, avanza un’altra richiesta: «Leggete un poco quel titoloa maiuscole che e in questa altra faccia» (Marmi 1928, I, p. 39). Di nuovo ilPerduto, nel monologo che introduce il Ragionamento quarto, seccato perchein due ore di attesa sulle «scalee di Santa Liberata» ancora non ha visto arri-vare nessuno, sembra come rasserenarsi all’idea di fare un giro per Firenze,illuminata dal chiarore della luna, esclamando assai compiaciuto: «Oh chebel lume di luna! e’ par di dı» (Marmi 1928, I, p. 45) (programma interrottodall’arrivo di due personaggi ai cui ragionamenti egli vuole prestare ascolto).Nel gia citato dialogo tra Guglielmo sarto e Tofano di Razzolina, Tofano chie-de all’amico: «Deh fammi un piacere: perche io non ho occhiali, leggila tu»,riferendosi alla scrittura composta da quella «mezza dottoressa» della mogliedi Guglielmo, che vuole dimostrare la superiorita del genere femminile (Mar-mi 1928, I, p. 47). Nel dialogo tra Visino, Nuto pescatore, il Varlungo calzo-laio, Niccolo Martelli e lo Stradino nel Ragionamento settimo, Stradino invitaMartelli a leggere alcune sue sestine: «Togliete, messer Niccolo, voi che legge-te senza occhiali» (Marmi 1928, I, p. 122), mentre piu avanti Visino sollecita gliamici a leggere le loro composizioni finche ci sara luce: «Ecci egli altri che sfo-deri nulla? Chi ha dir, dica, che la candela e al verde» (Marmi 1928, I, p. 125).

2. Dopo queste riflessioni scaturite dalla considerazione che i ‘marmi’ rap-presentano il luogo privilegiato, sı, della conversazione ma anche della lettura,puo essere interessante soffermarsi sul tema dei libri, sulla loro presenza in sce-na, sottolineando come il ricorso all’oggetto libro, oltre a rispondere al gustopersonale di Doni, eccentrico bibliofilo, svolga una funzione ben precisa all’in-terno delle strategie letterarie che presiedono alla composizione dell’opera.

Che i Marmi esibiscano una natura ‘libresca’, nel senso di libro che nasceda altri libri, e in linea con la concezione doniana della letteratura come ‘ri-scrittura’; riscrittura, pero, che deve darsi in modi originali. Infatti, in primoluogo, e proprio a partire dal ricorso al plagio, e, quindi, dalla natura di testo‘mosaico’ le cui tessere, per molte zone, sono ancora da rinvenire, che i Marmipossono essere definiti come ‘libro che nasce da libri’.19 Sempre in termini di

19 Sui plagi nei Marmi, oltre ai contributi di P. PELLIZZARI e L.L. WESTWATER, citt. a nota 3 (en-

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metafora ‘libresca’, e alla luce della sorprendente presenza di libri sulla scenadei dialoghi, possiamo presumere che Doni abbia voluto, tra gli altri espedien-ti adottati, anche ricorrere allo schema del ‘libro nel libro’. In effetti i Marmipossono configurarsi come un libro che contiene altri libri, pero non solo nelsenso che molti dei materiali provengono da altri testi ma anche nel senso cheprotagonisti dei dialoghi, oltre ai tantissimi interlocutori, sono pure i libri pro-prio nella loro fisicita. Per cui i libri non sono solo citati ma, come ho forsepure troppo minuziosamente sottolineato, vengono anche portati in scena,sfogliati e letti.

La presenza dell’oggetto libro sulla scena dei dialoghi e strettamente con-nessa al meccanismo del plagio. Ossia quando nei ragionamenti un personag-gio legge un libro, spesso le porzioni lette non si trovano realmente nel libro inquestione ma provengono da un altro testo debitamente occultato. In questocaso il gioco dell’autore consiste nel depistare il lettore, nel mascherare la verabiblioteca selezionata per tessere la trama dei Marmi. Si tratta di un espedien-te che potremmo definire dello pseudo-libro, di un libro autentico ma ‘falso’,reale e immaginario insieme, nel senso che il contenuto non e affatto fittizio,ma viene associato a un altro libro, quasi sempre inesistente.

Ovviamente se il meccanismo dello pseudo-libro e spia di plagio, questonon vuol dire che nei Marmi l’inserzione di esogene porzioni testuali avvengasolo attraverso questo stratagemma: il prelievo di materiali altrui puo scattarecon qualunque modalita e in qualsiasi momento ben al di la dell’espedientedella lettura del libro.

La tecnica – allo stato attuale delle indagini sui plagi nei Marmi – puo essereesemplificata, come naturale, solo dall’uso del libro di Guevara, che, mai nomi-nato, e camuffato, frammentato e come moltiplicato in piu libri. Il Relox, di dia-logo in dialogo, si nasconde sotto diversi frontespizi, anche se, pure nel caso dellibro spagnolo, vale quanto precisato poco sopra in termini generali: il disposi-tivo della lettura del libro rappresenta solo una delle modalita di riuso del testo.

Nella finzione letteraria, quindi, vediamo incastonati brani del Relox du-rante la lettura di libri improbabili, quali le Legge sante con cui Borgo intrat-

trambi sul Relox), cfr. G. MASI, «Quelle discordanze sı perfette», cit., pp. 23 e 81 (sulle Epistole diSeneca – plagiate a loro volta dal volgarizzamento di Sebastiano Manilio del 1494 – e sul Ragionamen-to della stampa plagiato da Lodovico Domenichi), ID., Postilla sull’affaire Doni-Nesi. La questione del‘Dialogo della stampa’, «Studi italiani», II, 4, 1990, pp. 41-54; PAOLO CHERCHI, Polimatia di riuso. Mez-zo secolo di plagio (1539-1589), Roma, Bulzoni 1998, pp. 151-154 (sul Relox); ID., La ‘‘selva’’ dei ‘Marmi’doniani, cit. (sul Perche di Girolamo Manfredi e sulle Epistole di Seneca); CHRISTIAN RIVOLETTI, Po-stilla sul ‘Sogno del Tribolo’ nei ‘Marmi’ del Doni: un plagio dal ‘Relox de Prıncipes’ di Antonio deGuevara, in Le metamorfosi del sogno nei generi letterari, a cura di S. Volterrani, con introduzionedi L. Bolzoni e S. Zatti, Firenze, Le Monnier 2003, pp. 209-210.

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tiene l’amico Ghioro; 20 un «foglio» del libro che sta scrivendo la moglie diGuglielmo sarto, letto nel dialogo piu volte citato del Ragionamento quarto;il «libraccio grande» composto dal Poeta forestiero che chiede aiuto a Gozzotavernieri (in un dialogo del Ragionamento settimo), affinche gli illustri queimodi di dire di cui ha abusato senza neanche afferrarne il senso.21 Vale la penasoffermarsi solo rapidamente su quest’ultimo esempio: si tratta di un libroscritto, anzi «copiato di qua e di la» in piu di tre anni (Marmi 1928, I,p. 160), di cui il poeta legge stralci da sottoporre al giudizio di Gozzo. Coneffetto dissonante, affiorano brevi passi prelevati da Guevara, all’interno dellacongerie di riboboli elencati alla rinfusa, per la gran parte ricavati dal Machia-velli comico, riboboli che sollecitano il commento dell’oste altrettanto infarci-to di idiotismi, a creare un dialogo privo di senso che prelude alla conversa-zione in stato di ebbrezza che i due interlocutori si accingeranno ad avere,decisi come sono a bere trebbiano.22

In questa veloce rassegna ho saltato appositamente il Romuleonne (o Ro-muleon), il «librone» che ha con se lo Stradino (nel dialogo tra Stradino ap-punto, Niccolo Martelli e Visino, nel Ragionamento terzo), di cui si leggonodiversi passi presi a caso: esso rappresenta, all’interno della tipologia dei fintilibri che propongono passi del Relox, il caso di libro non immaginario ma sto-ricamente esistito. Doni sembra riferirsi, infatti, a uno di quei numerosi codiciche lo Stradino, Giovanni Mazzuoli, collezionatore di manoscritti, conservavanel suo «armadiaccio», piu volte menzionato nelle Rime burlesche del Lasca: 23

il codice in questione, «oggi alla BNC di F. segn. II-1-83», proveniva «dallabiblioteca dei duchi d’Urbino come preda di guerra donato dal Valentinoai suoi combattenti vittoriosi»: 24 la notizia si ricava dalla nota apposta da Maz-

20 Il primo termine del titolo, Legge, e ispirato dal testo di Guevara, che in uno dei passi estra-polati da Doni contiene il termine «leyes»: FR. ANTONIO DE GUEVARA, Relox de prıncipes, estudio yedicion de E. Blanco, Madrid, ABL 1994, p. 272.

21 A conferma della storicita di personaggi e luoghi indicati nei Marmi, segnalo che in una let-tera di Lodovico Buonaccorsi (grammatico, allievo di Piero Vettori), appunto al maestro, del 9 set-tembre 1545, compare, insieme per esempio a quello di Miglior Visino e di Giomo Pollaiuolo, anche ilnome di «Gozo hoste», peraltro chiamato in causa insieme agli altri per esprimere il proprio giudiziosu una contesa grammaticale intervenuta tra Buonaccorsi e Varchi: SALVATORE LO RE, Gli scrupoli diun grammatico: Lodovico Buonaccorsi e la polemica ‘sul farneticare’, in Studi in ricordo di Nino Recu-pero, Soveria Mannelli, Rubbettino 2004, pp. 85-97: 93.

22 Cfr. EMANUELA SCARPA, La presenza di Machiavelli comico in un cicalamento dei ‘Marmi’(1979), in EAD., Intorno a Machiavelli, Verona, Edizioni Fiorini 2000, pp. 113-129: 120-129.

23 Per notizie su Stradino e per le citazioni dell’«armadiaccio» nelle Rime burlesche del Lasca,cfr. M. PLAISANCE, L’Academie et le Prince, cit., p. 149 e nota 75.

24 BERTA MARACCHI BIAGIARELLI, L’ ‘Armadiaccio’ di Padre Stradino, «La Bibliofilia», LXXXIV,1, 1982, pp. 51-57: 54.

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zuoli stesso, che usava scrivere sui suoi manoscritti i nomi dei donatori e deilettori cui venivano prestati. Esso doveva contenere il volgarizzamento di uncompendio di storia romana attribuito a Benvenuto da Imola; volgarizzamen-to pubblicato in eta moderna a cura di Giuseppe Guatteri (Bologna, Roma-gnoli 1867), che per la sua edizione si servı anche del codice appartenuto alloStradino.25 Secondo Isidoro del Lungo, pero, non e a questo codice che alludeDoni, bensı a un libro compilato proprio dallo Stradino, che, invaghitosi deltitolo di quel codice effettivamente in suo possesso, il Romuleon appunto, volleintitolarlo allo stesso modo; un libro, questo, dove trascriveva «un po’ di tutto,storie, epistole, sentenze, esempi morali; chiedi e domanda: ma soprattutto sto-ria»,26 e a cui si riferivano scherzosamente i suoi amici letterati, come Lasca eVincenzo Martelli. Quale che sia il Romuleon menzionato nei Marmi, va ricor-dato che Doni nella lettera a Francesco Revesla del 10 marzo 1547, in cui «man-dava all’amico una lista dei libri che si proponeva di mettere sotto il torchio,che potrebbe servire di saggio d’una biblioteca curiosa e fantastica», annuncia-va l’intenzione di pubblicare proprio il Romuleon di Benvenuto da Imola.27

Travestimenti del Relox a parte, ci sono altri libri che attirano l’interessedegli interlocutori, la cui lettura fornisce lo spunto e il materiale dello scambiodialogico.

Nel dialogo tra lo Stucco e il Sazio, nel Ragionamento di diverse opere eautori, fa la sua comparsa un libro reale, l’Idea del teatro di Giulio Camillo:in questo caso, si leggono passi effettivamente contenuti nel libro citato, senzaalcun gioco di depistamento o di appropriazione indebita di materiali altruisotto mentite spoglie. Ora non ci troviamo di fronte a un plagio, ma di frontea un riuso esplicito, come se l’autore per una volta abbia voluto svelare al let-tore il suo modus operandi: e cioe che il suo libro attinge a libri contempora-nei, pubblicati, di letterati di professione, e non a improbabili codici o a pre-sunti testi in fase di composizione, scritti da personaggi che non hanno nulla ache vedere con il mercato editoriale.

Nel dialogo tra lo Spedato e il Viandante, nei Discorsi utili all’uomo, entrain scena un altro libro, un manoscritto che raccoglie le rime e le vite dei tro-

25 Cfr. S. BONGI, Annali di Gabriel Giolito, cit., I, p. 263. Guatteri, nell’edizione del Romuleo dalui curata, specifica pero che «Vincenzio Martelli e Anton Francesco Doni non parlano [...], il primonelle Lettere, e l’altro ne’ Marmi, di questo libro di Benvenuto, ma di un Romuleonne dello Stradino,‘‘gran zibaldonaccio, come lo chiama il Fanfani in una Nota ai detti Marmi, di storie d’ogni genere,poesie, motti ec. ec.’’» (p. X, nota 1).

26 ISIDORO DEL LUNGO, Dino Compagni e la sua Cronica, I-III, Firenze, Le Monnier 1880, I, par-te seconda, pp. 729-749: 739-740.

27 S. BONGI, Annali di Gabriel Giolito, cit., I, pp. 261-265, la cit. a p. 261. Ma per il Romuleonrimando alle notizie fornite dal saggio di C.A. GIROTTO nel presente volume.

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vatori: un codice appartenuto a Bembo e poi donato a Lodovico Beccadelli, inprocinto di essere stampato. Del libro viene letta la vita di Arnaut Daniel e iprimi diciotto versi, prima in provenzale poi in traduzione italiana, della sesti-na Lo ferm voler qu’el cor m’intra. I dati forniti da Doni, pure se «in modotutt’altro che trasparente», corrispondono a verita (anche se certo e arduoidentificare la fonte da lui utilizzata, nonostante presumibilmente si tratti di«un lavoro preparatorio eseguito dal Cardinale» per la stampa). Qui mi limitoa ricordare i passaggi salienti di questa duplice operazione filologica, di gran-de portata per gli studi di provenzalistica. Effettivamente, come nota Doni,Bembo aveva progettato e lavorato a una silloge trobadorica, composta di ri-me e di vite dei poeti, che non vide pero la luce. Vent’anni dopo, nei primianni Cinquanta, il progetto bembiano fu ripreso da letterati come LudovicoCastelvetro e Giovanni Maria Barbieri impegnati ad allestire, con il contribu-to di Benedetto Varchi e Domenico Venier, una raccolta di poesie provenzaliche sarebbe dovuta uscire a Venezia nel 1552, su istanza (come precisa Doni)dell’allora nunzio pontificio Lodovico Beccadelli: questi non solo aveva mes-so a disposizione i propri codici ma aveva svolto una significativa opera dimediazione tra Castelvetro e il figlio di Bembo, Torquato, che aveva eredita-to la biblioteca paterna. Anche il nuovo tentativo, al pari del precedente, ri-mase lettera morta: neppure la nuova raccolta infatti riuscı ad approdare allestampe.28

Nel dialogo tra il Nobile e il Perduto della Parte quarta, il Nobile ha con seun libro di magia, la Chiave de’ secreti, che potrebbe essere addirittura, comeprecisa il Perduto, la Clavicula di Salamone, noto libro di magia e negroman-zia, gia citato dal Pedante in un precedente dialogo tra un pedante, appunto,Pecorino dalle prestanze e Chimenti bicchieraio nel Ragionamento di diverseopere e autori.29 Il libro in lingua araba «da mirabili uomini [...] ridotto nellanostra lingua» dopo varie peripezie era stato ritrovato dal Nobile per caso aFirenze (Marmi 1928, II, p. 152). Anche qui l’espediente della lettura del libro

28 Sulla vicenda cfr. SANTORRE DEBENEDETTI, Gli studi provenzali in Italia nel Cinquecento e Tresecoli di studi provenzali, ed. riveduta, con integrazioni inedite, a cura e con postfazione di C. Segre,Padova, Antenore 1995, pp. 37-45, 130-137, 260-272, 351-358, le citt. a pp. 130 e 260. Sull’antologia bem-biana e sull’identificazione dei possibili codici utilizzati da Bembo alla luce proprio della traduzionedella Vida e dei versi trascritti da Doni nei Marmi, cfr. anche CARLO PULSONI, Luigi da Porto e PietroBembo: dal canzoniere provenzale E all’antologia trobadorica bembiana, «Cultura neolatina», LII,1992, pp. 323-351. Per la questione rimando al saggio di C.A. Girotto nel presente volume.

29 La «Chiave di Salamone» viene citata, con chiari intenti parodici, anche nelle Rime del Bur-chiello comentate dal Doni, in Vinegia, per Francesco Marcolini 1553: cfr. G. MASI, Filologia ed eru-dizione nel commento del Doni alle rime del Burchiello, in Cum notibusse et comentaribusse. L’esegesiparodistica e giocosa del Cinquecento, seminario di letteratura italiana (Viterbo, 23-24 novembre 2001),a cura di A. Corsaro e P. Procaccioli, Manziana, Vecchiarelli 2002, pp. 147-176: 155.

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sembrerebbe spia di plagio (al di la del fatto che non e proprio chiaro se ilNobile legga il libro o ne esponga il contenuto a memoria). La varieta del pre-sunto libro permette di spaziare tra gli argomenti piu disparati: dalla previsio-ne del futuro, ai rimedi per problemi fisici, a come debba essere la forma diuna testa. A parte la sezione delle pratiche magiche, gli altri materiali potreb-bero essere ricavati da quei testi, a meta tra lo scientifico e il letterario, chepertengono al genere delle raccolte di problemata.30

Nei Marmi, se i libri non sono letti direttamente sulla scena (espedientequesto – lo abbiamo visto – che coincide con una tecnica di riscrittura) costi-tuiscono pur sempre il polo di attrazione di molti altri discorsi. Davvero trop-po arduo sarebbe dar conto della miriade di libri citati. Ci si limitera a qualcheesempio, anticipando che in alcuni casi si tratta di libri inesistenti, o in ognimodo di libri – per stare al gioco doniano – rimasti allo stadio di progetto.Per la tipologia dei libri progettati, a cui si sta lavorando con la raccolta dimateriali, possiamo ricordare l’esempio fornito da Niccolo Martelli, che neldialogo con Visino, Nuto pescatore, il Varlungo calzolaio e lo Stradino, nelRagionamento settimo, dichiara di andare «adunando rime» per «fare un li-bro», del genere – potremmo dire – delle Rime e prose di diversi autori (Marmi1928, I, p. 111). Un altro caso e quello del gia citato Matteo Sofferroni, che sipropone di scrivere le Concordanze delle istorie («cio e segnare tutti i mede-simi casi accaduti, cosı antichi come moderni» Marmi 1928, I, p. 230), alla ma-niera dell’Officina di Jean Ravisy de Tixier, come non manca di sottolineare ilsuo interlocutore.31

Una tipologia leggermente diversa e offerta da libri in fase di composizio-ne. Un esempio e offerto dal Mondo nuovo del Cerrota, di cui i frequentatoridei Marmi parlano nonostante egli «a pena n’ha fatto quattro fogli di scrittu-ra» (Marmi 1928, I, p. 99), anticipando le innumerevoli novita che, senza disat-tendere la promessa allusa nel titolo, vi sono contenute. Da sottolineare, comeripresa intratestuale, che Mondo nuovo e il titolo del libro che il Pellegrino,verso l’epilogo dei Marmi, nell’ultimo dialogo con il Viandante e il Romeo,presenta come seguito, peraltro con funzione esegetica – mai realizzato –dei Mondi («Ei fece I mondi, e riserba a fare il Mondo nuovo, che e la chiave»Marmi 1928, II, p. 219), in un passo che si configura come spazio propagandi-

30 Cfr. PAOLO CHERCHI, Il quotidiano, i «Problemata» e la meraviglia. Ministoria di un microge-nere, «Intersezioni», XXI, 2001, pp. 243-275.

31 Sull’idea di «concordanze delle istorie», cfr. ID., Nell’officina di Anton Francesco Doni, «Fo-rum italicum», XXI, 2, 1987, pp. 205-216: 205-209; ID., Polimatia di riuso, cit., pp. 112-114, e CHRISTIAN

RIVOLETTI, Le metamorfosi dell’utopia. Anton Francesco Doni e l’immaginario utopico di meta Cinque-cento, Lucca, Maria Pacini Fazzi 2003, pp. 129-132.

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stico di autopromozione, dove viene anticipata la prossima uscita di alcuni li-bri, tra cui la prosecuzione degli stessi Marmi, che presto si sarebbero arric-chiti, grazie all’aggiunta dello Scarpello de’ Marmi, della «quinta parte».32

Un caso analogo a quello del Mondo nuovo del Cerrota e costituito dallibro di Betto Arrighi, sodale degli Umidi: anzi qui quella situazione parados-sale di libro di cui tutti conoscono il contenuto gia prima che sia finito di com-porre sembra spinta alle estreme conseguenze. Addirittura si e di fronte a uncaso di libro che si da per stampato prima che sia portato a termine; infattil’autore di fronte alla richiesta di mostrare la Gigantomachia esclama: «I mieilibri, per dirvi il vero, son parenti di quegli del Doni, che prima si leggano chesieno scritti e si stampano inanzi che sien composti. La mia Gigantomacchianon e ancor nata, perche non e il tempo del parto: e ben vero che io son pre-gno» (Marmi 1928, I, pp. 137-138). Qui, oltre al riferimento alla notoria velocitadei tempi di composizione da parte di Doni, in perfetta sintonia con i ritmidella stampa,33 il passo potrebbe alludere alle vicende del plagio perpetratoai danni dell’Arrighi da parte di Girolamo Amelonghi, detto il Gobbo da Pisa,autore della Gigantea, probabile riscrittura appunto della Gigantomachia, oggiperduta.34 La vicenda del plagio e testimoniata da due lettere, una del Lasca aGirolamo Amelonghi del 1547 e una dello stesso Doni, e cioe la lettera gia ci-tata a Francesco Revesla, dove appunto nel catalogo dei titoli da stampare (quiopere che effettivamente Doni pubblico nella sua tipografia sono annunciateaccanto a testi che vennero editi da altri – taluni anche in eta moderna – o dicui oggi non si ha alcuna traccia) figura «La Gigantomachia di Betto Arrighi,col commento del Gobbo da Pisa», dove «commento», con ogni probabilita,vale, in accezione denigratoria, ‘imitazione’.35 La composizione della Giganto-machia va ricondotta, al pari della Guerra de’ mostri del Lasca e della Naneadi Michelangelo Serafini, accademico fiorentino, alla «mascherata intitolataTrionfo di tutto il mondo», che aveva animato il celebre carnevale fiorentinodel 1547, «con l’accompagnamento del canto Le cento arti», e con l’allestimen-to di «un carro a forma di torre» su cui salirono «quanti pazzi, gobbi e storpi»

32 Cfr. G. MASI, «Quelle discordanze sı perfette», cit., pp. 38-40.33 Cfr. ivi, pp. 38-39 e, tra gli altri, E. PIERAZZO, Nota al testo, in A.F. DONI, La Zucca, cit., II,

p. 833 (dove si cita proprio la battuta pronunciata da Betto Arrighi nei Marmi).34 Da ultimo e tornato sulla Gigantea, fornendo peraltro una recensio dei manoscritti, e dando

notizia di alcune ottave che potrebbero invece far pensare al poemetto perduto di Arrighi, GIUSEPPE

CRIMI, Note sul mito dei giganti nella Firenze cinquecentesca, in Lo specchio del mito. Riflessi di unatradizione, atti del convegno (Roma, 17-19 febbraio 2010), a cura di G. Izzi, L. Marcozzi e C. Ranieri,in corso di stampa.

35 Cfr. G. MASI, Filologia ed erudizione nel commento del Doni alle rime del Burchiello, cit.,p. 148.

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fossero in citta; 36 mirabile mascherata ricordata anche da Doni nei Fiori dellazucca, all’interno di pagine dedicate al tema, tipicamente doniano, dell’ambi-valenza del binomio saviezza/pazzia.37

Nei Marmi, Betto Arrighi, sollecitato dalla curiosita di Dattero Giudeo, an-ticipa alcune delle «pazze invenzioni» narrate nella sua Gigantomachia: e tra lealtre cose, quando passa in rassegna l’elenco dei cibi mostruosamente enormidi cui si nutrono i giganti, fa riferimento ai grandi «stidioni», sorta di implicitaautocitazione che richiama il Capitolo in lode dello stidione, composto appuntodallo stesso Arrighi.38 Piu avanti, invece, la battuta pronunciata da Betto, comegiustificazione alle stranezze da lui narrate, di fronte a uno scettico Nanni Un-ghero («E coloro che hanno scritto de’ pigmei, che son uomini piccoli piccoliche trecento stanno in un guscio di noce?» Marmi 1928, I, p. 140), sembra pro-prio contenere un riferimento alla gia citata Nanea di Serafini, che narra «leimprese dell’esercito di nani e pigmei» – personificazioni degli Aramei – «in-tenti alla riconquista dell’Olimpo usurpato dai giganti-Umidi».39

Accanto ai progetti di libri, e ai libri in fase di composizione, nei Marmifigura anche la tipologia di citazioni di libri manoscritti pronti da stampare.Nel dialogo tra Baccio del Sevaiuolo e Giuseppe Betussi nel Ragionamentodella poesia, Betussi di ritorno da Venezia, tra i tanti libri che ha riportato,mostra un deciso riserbo nel mostrare all’amico curioso uno strano libro, sucui si deve mantenere il piu assoluto silenzio prima della stampa: un libroin cui «una medesima composizione» e scritta in tante lingue «perche s’inten-da per tutto il mondo o per la maggior parte» (Marmi 1928, I, pp. 257-258). Sitratta de Il baleno, il tuono e la saetta del mondo nuovo, che reca sul fronte-spizio il ritratto di un tale che ha senza ombra di dubbio l’aspetto di un «tra-ditore». Siamo in uno dei frequenti spazi polemici dei Marmi contrassegnati

36 F. PIGNATTI, Introduzione a ANTONFRANCESCO GRAZZINI, Comento di maestro Niccodemo dal-la Pietra al Migliaio sopra il Capitolo della salsiccia, a cura di F. Pignatti, in Ludi esegetici, testi pro-posti da D. Romei, M. Plaisance, F. Pignatti, con una premessa di P. Procaccioli, pp. 133-181: 174, no-ta 29. Sulla produzione legata al Carnevale del 1547, cfr. M. PLAISANCE, L’Academie et le Prince, cit.,pp. 175-185 e G. CRIMI, Nota introduttiva a MICHELANGELO SERAFINI, La Nanea, in Nanerie del Rina-scimento. ‘La Nanea’ di Michelangelo Serafini e altri versi di corte e d’accademia, a cura di G. Crimi eC. Spila, Manziana, Vecchiarelli 2006, pp. 145-158. Sulla lettera del Lasca all’Amelonghi del giorno diNatale del 1547, cfr. M. PLAISANCE, L’Academie et le Prince, cit., pp. 199-204 (la lettera e stata pub-blicata in ANTONFRANCESCO GRAZZINI detto il Lasca, Rime, I-II, In Firenze, Nella Stamperia di Fran-cesco Moucke 1741-1742, II, pp. 344-352).

37 A.F. DONI, La Zucca, cit., I, pp. 270-271.38 Cfr. ivi, p. 46, nota 2.39 G. CRIMI, Nota introduttiva, cit., p. 153. Per i contrasti tra Umidi e Aramei, i sostenitori, cioe,

delle origini ‘etrusche’ (e per questa via, risalendo indietro, aramaiche) e non romane di Firenze edella lingua fiorentina (cosı denominati, in senso polemico, dagli oppositori per le loro teorie lingui-stiche), cfr. M. PLAISANCE, L’Academie et le Prince, cit., pp. 18-22 e 158-218.

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dall’attacco a Domenichi, a cui appunto si immaginano indirizzati questi ve-lenosi pamphlet che, con cambio di destinatario, anticipano la serie poi an-nunciata nel Teremoto antiaretiniano, a cui infatti dovevano far seguito, comeriportato dietro al frontespizio, altri sei libelli e cioe La Rovina, Il Baleno, IlTuono, La Saetta, La Vita et la morte, Le Essequie et la sepoltura.40 Le tre in-vettive Baleno, Tuono e Saetta figurano anche tra le opere ancora da stamparenei Frutti della zucca,41 nonche nella princeps della prima Libraria, per poi con-fluire, nella stampa del 1557, nei Sette libri contro all’Aretino, e ricomparire,come aggiunta, in un esemplare postillato dell’ultima edizione.42

Ma prima l’occhio di Baccio del Sevaiuolo era caduto su un bellissimo li-bretto illustrato, Amori felici e infelici degli amanti (primo di una lunga serie dialmeno dodici libri), che, si dice, Francesco Marcolini «dara tosto in luce»;libretto «dove si fa che le parole s’accordano con l’intaglio» (Marmi 1928, I,p. 251). Al di la del fatto che il libro non venne dato alle stampe, e interessantenotare come Doni non manchi di incastonare nei Marmi, oltre a se stesso e aisuoi libri, anche il Marcolini, con cui in quegli anni condivide il progetto edi-toriale e culturale.43 Non a caso nel Ragionamento della stampa, come unicoeditore contemporaneo, erede della liberalita di Aldo verso i letterati, vieneindicato proprio Marcolini, mentre nella versione di Domenichi e Giolito aincarnare questa qualita.44

A proposito di questo dialogo, vorrei aprire una brevissima digressione.La questione dell’attribuzione, dopo il contributo di Masi,45 puo dirsi chiusa:e stato Doni a plagiare Domenichi, i cui Dialoghi peraltro – pubblicati per itipi di Giolito nel 1562 – su otto testi contengono cinque sicuri plagi. Allo statoattuale degli studi, La stampa sembra essere ‘originale’.46 Senza entrare nell’a-nalisi di questo testo, vorrei solo notare come – nonostante la varieta stilistica

40 Cfr. PAOLO PROCACCIOLI, Fra barcaiuolo et marinaio, Introduzione a ANTON FRANCESCO DO-

NI, Contra Aretinum (Teremoto, Vita, Oratione funerale. Con un’Appendice di lettere), a cura diP. Procaccioli, Manziana, Vecchiarelli 1998, pp. 7-17: 11 e 14.

41 A.F. DONI, La Zucca, cit., II, p. 635.42 Cfr. P. PROCACCIOLI, Fra barcaiuolo et marinaio, cit., p. 14, nota 18. Ha riesaminato la questio-

ne G. MASI, Prospettive editoriali e questioni filologiche doniane, in «Una soma di libri», cit., pp. 1-35:5-6, nota 14 e 21-23.

43 Sulla presenza di Marcolini nei Marmi, cfr. PAOLO PROCACCIOLI, Doni, Marcolini e la prospet-tiva veneziana nei ‘Marmi’, nel presente volume.

44 Cfr. G. MASI, Postilla sull’affaire Doni-Nesi. La questione del ‘Dialogo della stampa’, cit.,pp. 52-53, nota 37.

45 Ivi, a cui rimando per la bibliografia pregressa.46 Cfr. ROBERTO GIGLIUCCI, Il dialogo ‘Della fortuna’ di Lodovico Domenichi e Ulrich von Hut-

ten, in Furto e plagio nella letteratura del Classicismo, a cura di R. Gigliucci, Roma, Bulzoni 1998,pp. 263-282: 265-267.

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IL TEMA DELLA LETTURA E DEI LIBRI NEI RAGIONAMENTI DEI MARMI

dei Marmi renda pressoche impossibile individuare brani stridenti con il restodell’opera – il Ragionamento della stampa presenti senza dubbio una sua uni-cita quanto a impostazione dialogica. Infatti, esso all’interno dei Marmi e l’u-nico dialogo costruito come una vera disputa, con la figura del contraddittore,Francesco Coccio, che ha il compito di provare, di fronte ai due interlocutori,Alberto Lollio e Paolo Crivello, un «sı strano paradosso», ossia che la stampaabbia provocato danni. Coccio dovra sostenere una «difficile impresa» all’in-terno di un dialogo che prende subito la fisionomia del contrasto, della con-tesa, che dovra concludersi con un vincitore. Il ruolo di paradossografo, dicolui che grazie all’abilita retorica puo dimostrare l’indimostrabile, interpreta-to da Coccio, e ribadito piu avanti, verso la fine del dialogo, da Crivello chesottolinea la «facondia» del rivale, dispiegata «in soggetto sı basso». Nel corsodel dialogo, il biasimo della stampa finisce con il prendere anche l’aspetto di‘scrittura contro la scrittura’, con la condanna, su cui concordano tutti e tre gliinterlocutori, del proliferare di opere di bassissimo livello, con tanto di augu-rio di un «editto universale» che impedisca la pubblicazione di «ogni libruzzoda tre soldi», secondo un topos ricorrente in questo genere di testi (Marmi1928, I, p. 186).47 Un ragionamento, quindi, completamente avulso dal restodei dialoghi dei Marmi, che rifiutano l’impostazione dialettica del dialogoumanistico, presentandosi per lo piu come ‘dialoghi tra sordi’, in cui spessogli interlocutori seguono un discorso tutto personale, estranei a ogni tentativodi avviare una comunicazione incentrata sul confronto delle diverse posizioni,e dove e frequente la situazione in cui tra due dialoganti ne figura uno checommenta con ironia e scetticismo le parole dell’altro.48 Alla fine del dialogosuccessivo, tra Accademici Fiorentini e Accademici Pellegrini, a una certa di-stanza, quindi, non puo non colpire la stroncatura, da parte dell’Accademicofiorentino, del ragionamento sulla stampa intrapreso la sera avanti da quei«forestieri», che si spera non siano dei Pellegrini (Marmi 1928, I, p. 200). Sia-mo di fronte a uno dei tanti momenti ‘metalettari’ del testo: Doni non solointerpola nella sua opera un testo dell’odiato Domenichi ma dopo alcune pa-

47 Sul genere delle scritture in biasimo della scrittura, cfr. MARIA CRISTINA FIGORILLI, Meglioignorante che dotto. L’elogio paradossale in prosa nel Cinquecento, Napoli, Liguori 2008, pp. 75-104.Nel Ragionamento della stampa non a caso viene citato il modello di queste scritture, ossia la letteradi Annibal Caro contro la scrittura (scritta nel 1541), su cui cfr. ivi, pp. 79-84; EAD., «Nelle piacevo-lezze poi e argutissimo». Su alcune lettere ‘doniane’ di Annibal Caro, in Annibal Caro a cinquecentoanni dalla nascita, atti del convegno di studi (Macerata, 16-17 giugno 2007), a cura di D. Poli, L. Me-losi, A. Bianchi, Macerata, Eum 2009, pp. 139-176: 164-169; e soprattutto GIULIO FERRONI, «Per fuggirla mattana...». Annibal Caro e la scrittura, Fermo, Andrea Livi Editore 2009, pp. 51-62.

48 Oltre a P. CHERCHI, La ‘‘selva’’ dei ‘Marmi’ doniani, cit., p. 16; cfr. ID., I ‘Marmi’ e la menip-pea doniana, in questo stesso volume.

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gine non si esime dal prenderne le distanze criticandolo dal punto di vista sti-listico per quell’impressione di ‘raccattaticcio’ e per quelle espressioni usate asproposito.

Per tornare al tema dei libri, l’immagine del personaggio che entra in sce-na carico di libri – nel caso di Betussi addirittura con tanto di valigia da cuicomincia a tirar fuori «tanti e tanti scartabegli» (Marmi 1928, I, p. 251) – tornanel dialogo tra lo Stucco e il Sazio, dove quest’ultimo (appellato dall’amico«libraro»), oltre ad avere con se l’Idea del teatro di Giulio Camillo, tiene inmano niente di meno che l’autorevole codice Mannelli, contenente il Decame-ron; in piu porta sotto il braccio un’opera dal titolo Cento lettere sopra le no-velle (che sembra rievocare le Lettere sopra le diece giornate del Decameronedel Sansovino, pubblicate a Venezia nel 1542). Il progetto e quello di pubbli-care un volume contenente il Decameron, finalmente restaurato proprio sullascorta del codice Mannelli, e le Cento lettere sopra le novelle. Il codice Man-nelli era stato gia ricordato nel dialogo tra Ciano, Pandolfino e Lorenzo Scalanel Ragionamento sesto, sempre come prezioso testimone che avrebbe messofine alle ‘sconciature’ prodotte dagli pseudo-correttori che operavano per‘sfiorentinizzare’ e italianizzare il Decameron (tirata polemica, come annotaChiorboli, nei confronti delle revisioni testuali compiute da Ruscelli e Dolce,vd. Marmi 1928, I, p. 94, nota 1).49

Se nel Ragionamento della poesia, Giuseppe Betussi di ritorno da Veneziafa il suo ingresso carico di libri, nel dialogo tra il Fanfera e il Lasca, quest’ul-timo compare in scena con una lista di libri da far acquistare a Venezia alFanfera in partenza, l’indomani, per la citta lagunare (Marmi 1928, I, p. 165).50

Ovviamente Venezia rappresentava per i letterati fiorentini il centroculturalmente piu vitale dove potersi rifornire di libri e novita, considerata an-che la situazione disagiata da questo punto di vista di Firenze, citta in cui «leslivres arrivaient mal».51 La lista, oltre a libri di Doni (Medaglie, Mondi e Pisto-lotti), inclusi con la solita vena propagandistica, seguendo l’ordine, compren-de il Furioso da acquistare nell’edizione giolitina in 8º, nell’edizione aldina, ein una edizione piu antica (la richiesta del formato giolitino in 8º segna un’op-zione precisa rispetto alla serie interminabile delle ristampe dell’edizione in 4º

49 Anche nella prima Libraria si fa riferimento al codice Mannelli: «ultimamente me n’ha datouno nelle mani stampato piu di ottanta anni sono, il quale si unisce con quello ch’io ho a penna anti-co» (Ai lettori, p. 62). Per le edizioni decameroniane curate rispettivamente da Dolce e da Ruscelli,cfr. PAOLO TROVATO, Con ogni diligenza corretto. La stampa e le revisioni editoriali dei testi letterariitaliani (1470-1570), Bologna, il Mulino 1991, pp. 216-218, 225-227, 247-251.

50 Su Fanfera, libraio, cfr. M. PLAISANCE, L’Academie et le Prince, cit., p. 190, nota 189.51 Ivi, p. 40.

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IL TEMA DELLA LETTURA E DEI LIBRI NEI RAGIONAMENTI DEI MARMI

curata dal Dolce nel 1542; 52 mentre ricordo che l’edizione degli eredi di Aldodel 1545 si fregiava della giunta delle 530 stanze inedite cioe dei Cinque canti –nella dedica si dice avuti da Virginio Ariosto); 53 il Decameron giolitino in di-versi formati, in 4

o e in 12º (si tratta dell’edizione in 4º curata da Dolce e San-sovino nel 1546 con piu ristampe, riproposta nel ’50 e nel ’52 in 12º); 54 il volga-rizzamento delle Deche liviane di Jacopo Nardi (Venezia, Giunta 1540 eristampate nel ’47); i sette libri delle giolitine Lettere di Claudio Tolomei (Ve-nezia 1547 e ristampate nel ’49 e nel ’50); la Musica sopra le stanze del Petrarcain laude della Madonna e cinque madrigali di Cyprien de Rore, musicista belga(Venezia, Antonio Gardane 1548); le Sorti del Marcolini (Venezia, FrancescoMarcolini 1550). La lista continua con «tutte l’opere che si trovano» di GiulioCamillo e Bernardino Daniello: quanto a Camillo, si puo pensare a opere sin-gole ma si potrebbe effettivamente alludere all’edizione Tutte le opere, cioe Di-scorso in materia del suo theatro. Lettera del rivolgimento dell’huomo a Dio.55

La idea. Due trattati ..., Venezia, Giolito 1552; quanto a Daniello, il riferimentoe (se non alla Poetica del 1536) all’edizione di Sonetti canzoni e triomphi di Pe-trarca con appunto la spositione di Bernardino Daniello (Venezia, GiovanniAntonio Nicolini da Sabbio 1541 e ristampata nel ’49) e forse anche allesue traduzioni virgiliane.56 Poi seguono le «Lettere prime di Aldo e le primedell’Aretino» e cioe le Lettere volgari di diversi nobilissimi huomini et eccellen-tissimi ingegni scritte in diverse materie. Libro primo, pubblicate nel 1542 daglieredi di Aldo e presumibilmente la seconda edizione marcoliniana del Primolibro de le lettere di Pietro Aretino (Venezia 1542); 57 quindi «il primo libro diRime», probabilmente le Rime diverse di molti eccellentissimi auttori nuova-mente raccolte. Libro primo, curate dal Domenichi per Giolito (1545, ristam-

52 P. TROVATO, Con ogni diligenza corretto, cit., pp. 221 e 238, nota 51 (dove si segnala anche una«dozzina di edd. popolari, in 8º» sempre pubblicate da Giolito).

53 Ivi, p. 213.54 Su questa ed. cfr. ivi, pp. 225-227. Quanto alla differenza di formato, essa rispondeva all’o-

biettivo di raggiungere diversi strati di pubblico: il formato medio, corredato «di incisioni e apparatieruditi», era destinato a una fascia medioalta, i libri in 8º e poi in 12º a una fascia popolare (p. 220).

55 Lettera ricordata dal Sazio nel dialogo con lo Stucco (Marmi 1928, II, p. 86): cfr. P. CHERCHI,La ‘‘selva’’ dei ‘Marmi’ doniani, cit., p. 15.

56 Per esempio L’undecimo di Virgilio, tradotto per Bernardino Daniello, Venezia, Giovanni Far-ri & fratelli 1545 e La Georgica di Virgilio, nuovamente di latina in thoscana favella, per BernardinoDaniello tradotta e commentata, Venezia, Giovanni Farri & fratelli 1545, ripubblicata sempre a Vene-zia da Giovanni Griffio nel ’49.

57 «Tra il 1538 e il 1542 vennero stampate a Venezia nove edizioni del primo libro delle Lettere,sottoscritte da sei tipografi diversi [...]; nel 1542 ne venne proposta la seconda edizione [...]. Quelleautorizzate dall’autore sono le tre del Marcolini» (PAOLO PROCACCIOLI, Nota al testo, in PIETRO ARE-

TINO, Lettere, a cura di P. Procaccioli, I, Libro I, Roma, Salerno Editrice 1997, p. 533).

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pate con aggiunte nel ’46 e nel ’49). Ho saltato volutamente un’opera, l’Ar-colano, non immediatamente riconoscibile. Improbabile che «l’Arcolano sial’Ercolano del Varchi», come chiosa invece Cordie nella nota di commento: 58

e difficile che qui ci si possa riferire a un testo pubblicato vent’anni dopo,anche se «alla composizione dell’Ercolano Varchi attende certo dagli anni po-steriori al 1555, se non prima».59 Probabilmente da escludere – per essere deltutto fuori contesto60 – anche il medico veronese Giovanni Arcolano, vissutonella prima meta del XV secolo, le cui opere in latino («commenti a classicidella medicina araba»),61 come il De febribus (Venezia, Giunti 1542), conti-nuarono ad essere stampate nel corso del Cinquecento. E poi, oltre all’estra-neita di questo libro rispetto al corpus selezionato, si puo fare un ulteriorerilievo: la lista e caratterizzata da un elenco di titoli, a cui segue, tranneche per i grandi classici, la specificazione dell’autore (per esempio «un Tito-livio del Nardi [...] le Lettere del Tolomei, la Musica di Cipriano», ecc.); ilcaso di Arcolano, quindi, costituirebbe l’unica, peraltro immotivata, eccezio-ne. Forse il riferimento piu pertinente e all’Alcorano (che diventerebbe consemplice metatesi Arcolano)62 di Macometto, nel qual si contiene la dottrina,la vita, i costumi, et le leggi sue. Tradotto nuovamente dall’arabo in lingua ita-liana, pubblicato a Venezia nel 1547 da Andrea Arrivabene, volgarizzamentoche conferma il grande interesse per il mondo turco che circolava in occiden-te, come gia testimoniava la stampa basileense dell’Oporin del 1543 con testoin latino, preceduta a sua volta da una lussuosa edizione veneziana del 1538,addirittura in arabo, allestita dagli stampatori Alessandro e Paganino Pagani-ni.63 E un autore come Doni, sempre a caccia di novita, poteva ben cedere algusto di citare un’edizione piuttosto eccentrica sotto diversi punti di vista e,in ogni caso, indebitamente recepita come corpus di scritti tra l’eretico e ilfiabesco.64

58 TEOFILO FOLENGO – PIETRO ARETINO – ANTON FRANCESCO DONI, Opere, a cura di C. Cordie,I-II, Milano-Napoli, Ricciardi 1976, II, p. 802, nota 1.

59 RENZO BRAGANTINI, La prosa volgare del Cinquecento. Il teatro, in Storia della letteratura ita-liana, diretta da E. Malato, X: La tradizione dei testi, coordinato da C. Ciociola, Roma, Salerno Edi-trice 2001, pp. 741-815: 791.

60 Anche tenuto conto degli interessi esclusivamente letterari del Lasca: cfr. M. PLAISANCE, L’A-cademie et le Prince, cit., p. 202.

61 DBI, vol. 3, p. 798.62 Quanto poi alla forma Arcolano, basti pensare che ad esempio nella Marfisa di Aretino e at-

testata la forma Arcorano («Arcorano di Macometto», II, 54, 7), che si differenzia da quella dei Mar-mi solo per l’assimilazione regressiva. Ringrazio Pasquale Stoppelli per la segnalazione.

63 Ricavo le notizie da ELENA BONORA, Ricerche su Francesco Sansovino imprenditore librario eletterato, Venezia, Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, 1994 (cap. III: La costruzione delle opereturchesche, pp. 97-137: 115-125), a cui rinvio per la bibliografia specifica.

64 Ivi, pp. 119-125.

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IL TEMA DELLA LETTURA E DEI LIBRI NEI RAGIONAMENTI DEI MARMI

Inutile dire, pressoche tutti libri della letteratura volgare contemporanea,considerata l’«assoluta ‘contemporaneita’», per citare Quondam, di autori co-me Boccaccio o Petrarca «per la societa culturale cinquecentesca».65

3. Per concludere, solo qualche rapidissima considerazione sulla presenzacospicua nei Marmi di interventi sul mondo che gravita intorno alla letteratu-ra. Oltre che nella forma-libro (libri che vengono citati, portati in scena, letti,sfogliati, ammirati), quindi, il sistema della produzione libraria contempora-nea penetra nell’opera anche come fenomeno su cui si riversano i giudizi po-lemici dell’autore. La particolare condizione di intellettuale-tipografo, che in-carna la nuova figura del letterato pronto a rispondere alle sollecitazioni delmercato con nuovi trovati, e con programmate strategie promozionali, gli con-sente di mettere a fuoco le modificazioni profonde che l’espansione dell’indu-stria tipografica aveva determinato sui processi di produzione dei testi. La cri-tica ha ormai ben messo in evidenza la consapevolezza doniana della necessitadi presentarsi sulla scena culturale andando incontro ai gusti di un pubblicoallargato, che va sollecitato all’acquisto a partire dalla scelta dei titoli che de-vono essere accattivanti anziche scoraggiare il lettore: l’obiettivo e che il letto-re prenda almeno in mano il libro e «ne legga due parole» (Marmi 1928, I,p. 25). Attraverso i tantissimi personaggi che si alternano sulla scena dei ‘mar-mi’, si affrontano con toni spesso risentiti problemi di notevole attualita, comequello delle stampe di pessima qualita, a basso costo, con mere finalita di pro-fitto (Marmi 1928, I, p. 111), delle dediche, che chiamano in causa il fenomenodel mecenatismo, sia con la denuncia dei dedicatari ingrati sia con il riferimen-to alla situazione di dedicanti che hanno «fatto onore» a chi invece meritava«danno e vergogna» (Marmi 1928, II, p. 144). L’intero universo degli ‘operatoriculturali’ viene passato in rassegna: detrattori ignoranti che «tassano» e con-dannano (Marmi 1928, I, p. 150); revisori, esperti del «rappezzare» che passanoil loro tempo a «rattacconar di nuovo» un’opera «ogni tre mesi» (Marmi 1928,I, p. 201); scrittori di nessun valore, cui «basta colmare i fogli di parole», «im-brattalibri», «guastalarte»; scrittori che «ricogliono da questo e da quell’altroautor goffo» e scrittori che rubano da buoni autori ma «tanto goffamente chese n’accorgerebbono i bambini»; pedanti, tra cui vanno annoverati anche i tra-duttori dal latino, che «rifanno i libri vecchi e [ne] tramutano il nome», chesaccheggiano l’Officina e la Polyanthea, nonche i «rattoppatori degli altrui

65 AMEDEO QUONDAM, «Mercanzia d’onore»/«mercanzia d’utile». Produzione libraria e lavoro in-tellettuale a Venezia nel Cinquecento, in Libri, editori e pubblico nell’Europa moderna. Guida storica ecritica, a cura di A. Petrucci, Roma-Bari, Laterza 1989, pp. 53-104: 74.

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scritti», che assassinano i libri con postille e ‘commentacci’ (monologo del Biz-zarro: Marmi 1928, I, pp. 154-157). E ancora passi in cui si svela la mistificazioneideologica operata da chi detiene il potere economico e culturale sulle classisubalterne e popolari con l’allusione a «pronostici», «novelle», «trovati» «fattiper dar pasto alla plebe» (Marmi 1928, I, pp. 222-223). Da un punto di vista piustrettamente legato al metodo compositivo, si impongono le parole di Bacciodel Sevaiuolo nel Ragionamento della poesia, che liquida le tradizionali prati-che di scrittura classico-umanistiche fondate sul labor limae, sui tempi lunghie travagliati della revisione che precedono la pubblicazione. Il dato interessan-te e che non si utilizza la tradizionale argomentazione ribadita nelle dediche,secondo la quale a conservare a lungo le opere nei propri scrittoi, per purgarledagli errori, si corre il rischio di stampe non autorizzate, inevitabilmente piuscorrette; ma si ricorre invece a spiegazioni ‘fisiologiche’, per cui anche lescritture, come tutte le cose, con il passare del tempo finiscono con il deterio-rarsi, corrompendosi e guastandosi (Marmi 1928, I, p. 255).

Certo, considerato che ci troviamo di fronte a un intellettuale che, purconsapevole della sua abilita nel rimanipolare con originalita, non e certo im-mune dai vizi del mondo delle lettere che denuncia (basti pensare all’edizionepirata dei Capricci del Gelli, all’uso spregiudicato dello strumento della dedi-ca, alla sua scrittura del tutto compromessa con le pratiche del plagio e delriuso),66 viene da pensare che la riflessione doniana funzioni come un ironicosvelamento al lettore degli ‘artifici’ piu o meno nobili su cui si regge il sistemaletterario. Sembrano ancora condivisibili le parole del Fanfani che poneva iMarmi tra i migliori esempi delle «opere come allor si diceva capricciose,ed or si direbbe umoristiche».67

Del resto, che la cifra dell’opera risieda nella commistione di serio e facetoe piu volte ribadito nel testo stesso, come pure che la specificita delle conver-sazioni che si tengono ai ‘marmi’ e data dal diletto. I ‘marmi’ come spazioaperto e cittadino sembrano guardare alle scenografie delle commedie, pren-dendo le distanze dalle ambientazioni tipiche dei piu importanti dialoghi die-getici della tradizione letteraria, il locus amoenus del giardino di ascendenzaboccacciana (di cui pero conservano l’elemento del fresco), come anche i luo-

66 Sul «colpo editoriale», cioe sulla pubblicazione dei Capricci all’insaputa di Gelli, cfr. ROBER-

TO TISSONI, Nota sul testo. I: I capricci del bottaio, in GIOVAN BATTISTA GELLI, Dialoghi. I capricci delBottaio, La Circe, Ragionamento sulla lingua, a cura di R. Tissoni, Bari, Laterza 1967, pp. 323-381: 335-

336. Sulla prassi dedicatoria doniana, cfr. MARCO PAOLI, La dedica. Storia di una strategia editoriale(Italia, secoli XVI-XIX), prefazione di L. Bolzoni, Lucca, Maria Pacini Fazzi 2009, pp. 251-265 e passim.

67 ANTON FRANCESCO DONI, I Marmi, ripubblicati per cura di P. Fanfani, con la vita dell’autorescritta da Salvatore Bongi, I-II, Firenze, Barbera 1863, I, p. VI.

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ghi chiusi del palazzo e della corte. Eppure, se assumiamo la prospettiva dellafinalita dell’opera la vicinanza con il Decameron e notevole. Una battuta diSalvestro del Berretta, insofferente di una moralita che assume i toni della pre-dica anziche della piacevolezza, nel Ragionamento primo: «Io credero esser su’Marmi, fuor di chiesa, e io mi trovero su le panche alla predica dentro» (Mar-mi 1928, I, p. 15) non puo non richiamare le argomentazioni del Boccaccio nel-la Conclusione dell’autore del Decameron, quando lo scrittore precisa che lasua e una letteratura da «giardino» e non adatta alle chiese o agli studi deifilosofi. Non a caso, Boccaccio, insieme ad Ariosto, e l’unica autorita allegatanei Marmi a giustificare scelte di ordine strutturale. E a Boccaccio e ai buonicostumi della lieta brigata, fatte le debite differenze, rimanda ancora lo Sve-gliato quando si rivolge ai lettori notando che nelle conversazioni dei Marmi:«mai udı’ parola che non fosse onestissima e civile; che mi parve gran cosa, intanta moltitudine di gioventu, non udir mai altro che virtuosi ragionamenti»(Marmi 1928, I, p. 6); parole che fanno eco a quelle di Panfilo nella Conclusio-ne della X giornata: «niuna cosa [...] ci ho conosciuta da biasimare: continuaonesta [...] mi ci e paruta vedere e sentire».

La citazione di Boccaccio e Ariosto (autore, quest’ultimo, di punta del ca-talogo giolitino, dove «celebra il suo trionfo [...] la letteratura volgare del Cin-quecento»)68 lascia pensare che quest’opera singolare, nel costruire un libroche parla di libri volgari e contemporanei, debba essere letta in parallelocon la Libraria, ma paradossalmente non tanto con quella marcoliniana (se,almeno per un momento, mettiamo da parte gli aspetti strutturali), quantopiuttosto con quella giolitina, come tappe di un progetto di esaltazione dellatradizione letteraria volgare.69

68 AMEDEO QUONDAM, La letteratura in tipografia, in Letteratura italiana, dir. da A. Asor Rosa,II. Produzione e consumo, Torino, Einaudi 1983, pp. 555-686: 642.

69 Per l’importanza della Libraria doniana come esempio di prima bibliografia scritta in una lin-gua nazionale e dedicata alla tradizione della letteratura volgare, cfr. BODO GUTHMULLER, Storiografialetteraria e volgare nella prima meta del Cinquecento, «Quaderni veneti», XVI, 1992, pp. 19-36: 32-36.

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