La (non) quantificazione nello studio della società. Indicatori sociali tra controllo sociale e...

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3-4ISSN 0039-291X

UNIVERSITÀ CAUNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE MILANOTTOLICA DEL SACRO CUORE MILANO

Anno XLAnno XLVIIIVIIILuglio-DicembrLuglio-Dicembre 2010e 2010

SSTUDI DI SOCIOLOGIATUDI DI SOCIOLOGIA

ESTRATTO

3-4

Cop Estratto_studi soc 3-4_10 4-02-2011 12:30 Pagina 1

S o m m a r i o

p. 243C. LANZETTI

p. 251

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Saggi

G. GOBOLa globalizzazione della survey.Storia, limiti e opportunità

N. PAGNONCELLILe difficoltà dei sondaggi politici

P. PARRA SAIANILa (non) quantificazione nello studio della società.Indicatori sociali tra controllo sociale e partecipazione democratica

G. DI FRAIALʼetica nelle ricerche di mercato

M. PEDRONIRicerca scientifica e ricerca di mercato.Sinergie e conflitti tra campo accademico e campo del coolhunting

L. MAURIRicerca sociale applicata e policy making:una pluralità di approcci metodologici

A. VITALINILʼuso delle reti sociali per la costruzione di campioni probabilistici:possibilità e limiti per lo studio di popolazioni senza lista di cam-pionamento

Editoriale

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Note e commenti

T. MARCISociologia dellʼessere e ontologia del sociale.Note intorno alla Lettera sullʼ«inesistente» di Andrea Bixio

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Summaries

Analisi dʼopere

Sommario generale dellʼannata

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I - IL NUMERO, COSA?O GLI INIZI DELLA RACCOLTA DELLE INFORMAZIONI

L’attività di raccolta di informazioni su argomenti di rilevanza sociale non è certamen-te iniziata ieri. Inventari a fini fiscali ed amministrativi erano pratica comune nell’Egitto deifaraoni così come nell’impero romano; nell’Inghilterra del 1086 appare – promosso daGuglielmo il Conquistatore – il Domesday Book, assai simile a un moderno censimento.Bonvesin da la Riva nel 1288 pubblica un’opera dedicata alla città di Milano; un’opera chesi differenzia dal genere letterario allora diffuso delle cronache cittadine: «al tradizionaleencomio retorico si affiancava una più concreta dimostrazione argomentativa, basata su unelenco di dati materiali ricavati dall’osservazione e dall’indagine sul campo» (Chiesa 1997:12). Nel De magnalibus, «l’esposizione non procede per tipi, non traccia quadri emblema-tici, ma più semplicemente elenca, enumera, descrive persone, case, fatti, merci, risorse»(ibid.: 14). Nel XVI secolo si studiava l’andamento demografico, in particolare le tavole dimortalità: celebri sono le tavole demografiche di John Graunt, che nel 1622 pubblicaNatural and Political Observations Made upon the London Bills of Mortality1. Non sempreperò i sovrani avevano a disposizione informazioni valide: a seconda delle fonti la popola-zione francese del XIV e XV secolo era stimata tra i 112 milioni e i 120 miliardi2. Siamocioè di fronte a un re che sa di esser re, ma non sa di chi (Reynié 1992: 43).

LA (NON) QUANTIFICAZIONE NELLO STUDIO DELLA SOCIETÀINDICATORI SOCIALI TRA CONTROLLO SOCIALE

E PARTECIPAZIONE DEMOCRATICA*

STUDI DI SOCIOLOGIA, 3 (2010), 287-308©

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* L’articolo rielabora alcuni temi trattati in Parra Saiani (2009). Una sua precedente versione è sta-ta presentata a «The Future of the Social Sciences and Humanities», conferenza finale del progetto SSHFUTURES commissionato dalla EU DG Research nell’ambito del VI Programma Quadro, 22-23 otto-bre 2009, Bruxelles; e al convegno della Sezione di Metodologia dell’AIS «Qualità del dato e rispettodella persona nella ricerca sociale e di marketing», 6 novembre 2008, Università Cattolica, Milano.

1 Come ricorda Piovani (2006: 17), nell’ambiente accademico inglese si è molto discusso se attri-buire la titolarità dell’opera a Graunt o a Petty. Molti studiosi credono che Graunt sia l’ideatore delleObservations, mentre Petty sarebbe l’autore delle conclusioni e l’ideatore dell’inquadratura generale.D’altra parte – come sostiene il curatore della raccolta degli scritti economici di Petty pubblicata nel1899 – non vi sarebbero elementi a favore di tale tesi: la copertina riporta il nome di Graunt, la prefazio-ne illustra in modo plausibile le idee che l’hanno condotto a scrivere l’opera, al tempo della pubblicazio-ne Graunt era indicato come il solo autore e grazie a questa fu chiamato a far parte della Royal Society(Hull 1899, xxxix). Ciononostante, lo stesso Hull ripercorre il dibattito, presentando gli elementi che piùhanno fatto discutere. Per un resoconto dettagliato si veda Hull (1896; 1899) e Cullen (1975).

2 Su tali aspetti, cfr. Hecth (1977: I, 34-35) e Reynié (1992: 45).

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Lo sviluppo delle comunicazioni, dei sistemi di trasporto, la diffusione delle tecni-che contabili e la concomitante affermazione del capitalismo mercantile hanno reso pos-sibili la rilevazione sistematica e l’organizzazione di informazioni su popolazione, risorsedisponibili e flussi commerciali (Braudel 1972: 369; Pinkney 1986: 50-51; Bruschi 1999:234; Kiser - Kane 2001: 202 e 205). Tali tentativi ebbero successo grazie alla contempora-nea ascesa e consolidamento degli Stati moderni europei, la cui pubblica amministrazio-ne lentamente divenne agente regolatore dell’attività economica. Solo un’organizzazioneburocratica – intesa nell’accezione del tipo ideale3 weberiano – avrebbe consentito di rac-cogliere sistematicamente, per argomenti e continuità temporale, informazioni sui proprisudditi e possedimenti. Per Weber l’amministrazione burocratica fonda il proprio domi-nio sulla conoscenza, caratteristica che la renderebbe razionale (1922a/1995: I, cap. 3).Seguendo Weber, Habermas (1962) considera calculability e impersonalità nell’ammini-strazione statale come conseguenze dei bisogni del capitalismo borghese.

La relazione potere-conoscenza è analizzata dalla scuola di Francoforte secondol’ottica della divisione sociale del lavoro: compito della scienza è

accumulare fatti e nessi funzionali di fatti nella massima quantità possibile. L’ordinamento deveessere chiaro e perspicuo, dovendo consentire alle singole industrie di trovare subito la merceintellettuale richiesta nell’allestimento voluto [...]. Anche le opere storiche devono fornire mate-riale. La possibilità di utilizzarlo e valorizzarlo non va cercata direttamente nell’industria, ma– indirettamente – nell’amministrazione (Horkheimer - Adorno 1966: 259).

Si tratterebbe quindi – come sostiene Honneth (1986: 118) a proposito delle tesidei due autori – di un sapere teso al controllo, un «processo col quale la società imparaa mantenersi in vita» attraverso il controllo strumentale della sua natura esterna e ilcontrollo sociale del suo mondo interno; «proprio perché razionalizzano il sapere ditale controllo accumulato socialmente sottraendolo alla sua contingenza situazionale, lescienze partecipano al ciclo di civiltà, del dominio umano sulla natura e della reificazio-ne sociale». D’altronde, l’adattamento delle tecniche di indagine della ricerca sociale ascopi commerciali e amministrativi «quanto meno all’origine e comunque in largamisura, non fu qualcosa di estrinseco a una scienza che [...] offre un sapere di dominioe non un sapere di cultura» (Horkheimer - Adorno 1956: 142).

Analogamente Foucault fa rientrare l’attività di produzione delle informazioni sullecondizioni di vita nella bio-politica, espressione con la quale definisce la base istituzionaledel sistema di potere formatosi in Europa verso la metà del XVIII secolo (1978: 123). Neisuoi studi il concetto di popolazione assume una rilevanza centrale: è sulla popolazione,non sui soggetti, che si esercita il potere. Popolazione da studiare con cura per poterla«usare» nella produzione di ricchezze, beni o altri individui. Proprio perché «una popo-lazione può estinguersi o, al contrario, svilupparsi» (ibidem), emerge in questo periodo ilproblema dell’habitat, delle condizioni di vita urbane, dell’igiene pubblica, del modificar-si del rapporto di natalità e mortalità: di come regolarne il tasso di crescita.

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3 Il tipo ideale weberiano di burocrazia prevede funzionari assunti e promossi sulla base delmerito, ruoli prefissati e una gerarchia fondata su regole scritte; gli stessi funzionari non sono proprie-tari della carica e ricevono un corrispettivo monetario.

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La découverte de la population est, en même temps que la découverte de l’individu et du corpsdressable, l’autre grand noyau technologique autour duquel les procédés politiques del’Occident se sont transformés. On a inventé à ce moment-là ce que j’appellerai, par opposition àl’anatomo-politique que j’ai mentionné à l’instant, la bio-politique. C’est à ce moment que nousvoyons apparaître des problèmes comme ceux de l’habitat, des conditions de vie dans une ville,de l’hygiène publique, de la modification du rapport entre natalité et mortalité. C’est à cemoment qu’est apparu le problème de savoir comment nous pouvons amener les gens à faire plusd’enfants, ou en tout cas comment nous pouvons régler le flux de la population, comment nouspouvons régler également le taux de croissance d’une population, les migrations. Et, à partir delà, toute une série de techniques d’observation, parmi lesquelles la statistique, évidemment, maisaussi tous les grands organismes administratifs, économiques et politiques, sont chargés de cetterégulation de la population. Il y a eu deux grandes révolutions dans la technologie du pouvoir: ladécouverte de la discipline et la découverte de la régulation, le perfectionnement d’une anatomo-politique et le perfectionnement d’une bio-politique (Foucault, 2001: 1012-1013).

La nascita di una o più scienze dedite alla produzione di informazioni sulla popo-lazione è una conseguenza naturale dei nuovi assetti di potere:

Il potere produce sapere (e non semplicemente favorendolo perché lo serve, o applicandolo per-ché è utile); [...] potere e sapere si implicano direttamente l’un l’altro; [...] non esiste relazione dipotere senza correlativa costituzione di un campo di sapere, né di sapere che non supponga enon costituisca nello stesso tempo relazioni di potere. [...] Prestato al termine un senso diversoda quello che gli davano nel secolo XVII Petty ed i suoi contemporanei, potremmo sognare una«anatomia» politica. Non sarebbe lo studio di uno Stato inteso come un «corpo» (coi suoi ele-menti, le sue risorse, le sue forze), ma non sarebbe neppure lo studio del corpo e dei suoi con-torni presi come un piccolo Stato. Vi si tratterebbe del «corpo politico» come insieme di ele-menti materiali e di tecniche che servono da armi, collegamenti, vie di comunicazione e puntid’appoggio alle relazioni di potere e di sapere che investono i corpi umani e li assoggettano facen-done oggetti di sapere (Foucault 1975: 31-32; corsivo mio).

L’analisi foucaultiana dell’enumerazione come mezzo di governo è stata ripresa daquanti (Cohn 1987: 224; Anderson 1991: 163; Appadurai 1996) hanno voluto sottoli-neare il potere esercitato dal numero sugli individui per convertirli in oggetti da mani-polare4. Laddove il potere non è esercitato con ostentazione, agisce segretamente, in

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4 Quanti hanno presentato le statistiche come una costruzione sociale (Kitsuse - Cicourel 1963;Hacking 1990; Rose 1990; Poovey 1998) hanno colto l’autorità di norme statistiche e di comportamen-to attraverso le quali si crea un linguaggio oppressivo di normalità ed anormalità. Tuttavia non c’èaccordo unanime nel considerare la normalizzazione e il controllo dell’individuo come esito scontatodella quantificazione. Al contrario, secondo alcuni autori il passaggio al numero ha comportato unamaggiore libertà per l’individuo: Sherman (2001) afferma che la quantificazione ha restituito all’indivi-duo la propria responsabilità, mostrandogli come la sua povertà non sia frutto di aspetti da lui non con-trollabili. Porter (1995; 2005) e Hess (2000; 2005) attirano l’attenzione sull’introduzione del termome-tro per rilevare la temperatura corporea: divenne uno strumento a disposizione del singolo pazienteche ne poteva usufruire senza dover necessariamente ricorrere a un intermediario (il medico e il suogiudizio). «No doubt the quantification of body temperature is only one example of a new social tech-nology. But the standardizations that prepared the way for quantification in the hospital and in dailylife did not simply serve to document, measure, control and regulate the individual. They also somehowallowed the individual to regulate and control this social technology» (Hess 2005: 122. Corsivo mio).

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modo insidioso: così come il censimento si è rivelato spesso uno strumento non solo dicontrollo sociale, ma di istituzionalizzazione delle differenze. D’altronde, tale imposta-zione era ravvisabile già nelle opere dello stesso Petty:

And finally when we have a clear view of all persons and things, with their powers & familyes,wee shall bee able to Methodize and regulate them to the best advantage of the publiq and ofperticular persons (1661/1927, I, IV, 25: 90).

II - «TI RACCONTO UN SEGRETO»O L’INFORMAZIONE APPLICATA ALL’AMMINISTRAZIONE DELLO STATO

Quanto visto per Francia e Inghilterra vale – pur con i dovuti adattamenti – ancheper gran parte degli altri Paesi europei. I sempre più pressanti fabbisogni finanziaridovevano essere affrontati in modo efficiente e razionale. L’espressione «aritmeticapolitica», coniata da William Petty, esplicitava la congiunzione tra due sfere sino adallora considerate distanti: da un lato la ragione di Stato, appannaggio pressoché esclu-sivo di una ristretta élite di aristocratici; dall’altro l’aritmetica, disciplina consideratavolgare a causa dei suoi stretti legami col commercio. Secondo Petty, pesi e misureimplicano certezza; grazie alla loro trasformazione in numeri l’esito delle osservazioninon è più soggetto a opinioni personali.

The Method I take to do this, is not yet very usual; for instead of using only comparative andsuperlative Words, and intellectual Arguments, I have taken the course (as a Specimen of thePolitical Arithmetick I have long aimed at) to express myself in terms of Number, Weight, orMeasure; to use only Arguments of Sense, and to consider only such Causes, as have visibleFoundations in Nature; leaving those that depend upon the mutable Minds, Opinions, Appetitesand Passions of particular Men, to the Consideration of others (Petty 1690: vi-vii; corsivo dell’A.;mia numerazione delle pagine).

La quantificazione applicata ai fenomeni sociali dovrebbe garantire – nelle speranzedei suoi fautori – una conoscenza oggettiva; non stupisce quindi che la statistica fu prestoconsiderata una scienza indispensabile ad uno Stato moderno. Come stabilito nello statu-to del 1860 della Società statistica di Parigi, la statistica non è altro che la conoscenza del-la scienza dei fatti, la base sulla quale la società è governata5 (Porter 1995: 80). La ricercadell’oggettività e la volontà – o l’ambizione – di trattare solo «fatti» erano esplicitamenteaffermati anche nel programma della Statistical Society del 1834:

The Statistical Society will consider it to be the first and most essential rule of its conduct toexclude all opinions from its transactions and publications – to confine its attention rigorously tofacts – and as far as may be found possible, to facts which can be stated numerically and arrangedin tables (British Association for the Advancement of Science 1833: 492).

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5 La statistica è «nothing else than the knowledge of the science of facts [...] It ought to providethe basis upon which society is governed».

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D’altronde, anche oggi l’ambizione di presentare «fatti», liberi dalla soggettivitàdel ricercatore è dura a morire; in un rapporto dal titolo piuttosto ambizioso (Misurarela libertà economica nel mondo, in Europa, in Italia), si legge che:

Prima di lasciare che si addentri nelle pagine che seguono, è importante anticipare al lettore chei risultati ottenuti possono dare adito a numerose riflessioni sul piano sia economico sia sociopo-litico. Le interpretazioni possono essere tante e spesso assolutamente non univoche. Si è dunquescelto deliberatamente di non accompagnare più del necessario con commenti e qualificazioni lerisultanze delle analisi qui presentate, lasciando al lettore la libera e soggettiva interpretazione delleelaborazioni proposte, con la seguente raccomandazione: gli Indici di Libertà Economica analiz-zano soltanto alcuni aspetti del «vivere economico» dei paesi considerati e, dunque, se ne sugge-risce un utilizzo accorto, senza eccedere in forzature interpretative e usi strumentali (Ronca -Guggiola 2004: 13-14. Corsivo mio).

L’oggettività dei numeri dovrebbe consentire alla politica di decidere in modorazionale su questioni economiche e sociali; tanto razionale che se i «fatti» fosseroconosciuti, il disaccordo su come intervenire cesserebbe. Come ricorda Torgerson, ilsogno di metter fine ai litigi e alla confusione della società umana in favore di un’ammi-nistrazione ordinata basata su una conoscenza oggettiva era nata con l’Illuminismo, poiriaffermatasi col positivismo (1986: 34), e sarà un punto in comune con il successivo«movimento degli indicatori sociali» degli anni Sessanta6.

La conoscenza è considerata importante, ma riservata ai sovrani. Ad esempio, nel1288 Bonvesin da la Riva così scriveva sul rischio di rendere pubbliche le meraviglie diMilano:

Qui qualcuno dirà: «Non farlo! Quanti guai tengon dietro alle buone intenzioni! Questo opu-scolo capiterà in mano a qualche tiranno straniero; e lui, intendendo le meraviglie di Milano, siinvaghirà della città al punto che studierà un modo, con l’astuzia e con l’inganno, per poterla sot-tomettere al proprio dominio» (da la Riva 1288: 55).

Anche la tradizione statistica dell’ancien régime francese era improntata alla reti-cenza: come si legge nel Discours historique à Monseigneur le Dauphin sur leGouvernement intérieur du Royaume del 1736, «Le secret qui est l’âme des grandesaffaires, est surtout nécessaire dans les finances. Plus les forces de l’Etat sont ignorées,plus elles sont respectables» (ibid.: 155). La conoscenza dei dati sulla popolazione eraconsiderata fondamentale per il controllo e l’esercizio del potere: la monarchia eraquindi sì interessata a conoscerli, ma non a divulgarli.

In uno spirito del tutto diverso, il Bureau de Statistique, nato nel 1801, era guida-to da uomini di idee liberali con l’obiettivo di raccogliere e pubblicare informazioni perpromuovere una cittadinanza informata, sperando che ciò avrebbe promosso l’unitànazionale e plasmato lo spirito dei cittadini7. Anche al di fuori della Francia un atteg-

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6 Cfr. paragrafo 3 e, amplius, Parra Saiani (2009: cap. 3).7 Anche nell’antica Roma i numeri erano considerati pubblici: non per un presunto spirito libe-

rale ma usati come strumento simbolico per rendere evidente la potenza dell’Impero. «A Rome,

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giamento più aperto cominciava ad affermarsi fra i cultori della statistica: MelchiorreGioja la definiva «quella somma di cognizioni relative ad un paese, che nel corso gior-naliero degli affari possono essere utili a ciascuno o alla maggior parte de’ suoi membri,od al governo, che ne è l’agente, il procuratore o il rappresentante» (1826/1837: 4). Illavoro degli uffici produttori delle statistiche ufficiali non era più considerato al servi-zio esclusivo dei governi, ma anche al servizio della società (Biggeri 1989).

Erastus Root, in un’introduzione all’aritmetica del 1796 esplicitava le intercon-nessioni tra aritmetica, sistema monetario decimale (decimal money) e governo repub-blicano:

It is expected that before many years, nay, many months, shall elapse, this mode of reckoning[decimal money] will become general throughout the United States... Then let us, I beg of you,Fellow-Citizens, no longer meanly follow the British intricate mode of reckoning. – Let themhave their own way – and us, ours. – Their mode is suited to the genius of their government, forit seems to be the policy of tyrants, to keep their accounts in as intricate, and perplexing amethod as possible; that the smaller number of their subjects may be able to estimate their enor-mous impositions and exactions. But Republican money ought to be simple, and adapted to themeanest capacity (Root 1796, in Cohen 2003: 11).

Così, riassume Cohen, i cattivi governi preferiscono sistemi monetari complicati ecittadini illetterati incapaci di capire come un tiranno possa derubarli, mentre i governirepubblicani dovrebbero rendere possibile ai cittadini di media capacità di decifrare ilbilancio dello Stato e la politica fiscale (2003: 11).

III - IL NUMERO, UNO STRUMENTO EMANCIPATOREO IL MOVIMENTO DEGLI INDICATORI SOCIALI8

Le iniziative per il miglioramento delle condizioni delle persone più povere soste-nute dai sindacati, dalle organizzazioni non profit e dai gruppi religiosi tra la finedell’Ottocento e gli inizi del Novecento diedero un forte impulso all’uso del numeronello studio della società, specialmente negli Stati Uniti (Cohen 1982; Cobb - Rixford1998; Tobin 1995; Parra Saiani 2009). Solo nell’inverno del 1929 la raccolta delle infor-mazioni su argomenti sociali divenne istituzionalizzata. Hoover – all’epoca ministro delcommercio degli Stati Uniti – volle migliorare le statistiche nazionali su commercio edeconomia, e a tal fine commissionò un rapporto intitolato Recent Economic Changes inthe United States. Nell’inverno del 1929 – divenuto presidente – istituì il ResearchCommittee on Social Trends; convinto della necessità di riorganizzare gli interventi dipolitica sociale, chiese un quadro completo delle condizioni di vita nella società ameri-

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au seuil de l’ère chrétienne, l’empereur donnait à connaître aux citoyens authentiques l’étendue del’Empire. L’ostentation du nombre des hommes, manifestation supposée de la puissance collective,trouvait son sens dans le jeu d’une structure sociale précise. Le mandataire rendait compte à ses com-mettants de leur puissance commune. Il consacrait par ce geste à la fois son autorité sur eux et leurdomination sur les autres sujets» (Brian 1994: 154).

8 Per motivi di spazio non illustro tutte le fasi del cd. movimento degli indicatori sociali, né le suetante sfumature e diramazioni, per le quali rimando a Parra Saiani (2009).

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cana: previdenza, sanità, abitazioni (Hoover 1952: 312). Il Comitato fu incaricato disvolgere un’indagine secondo criteri «scientifici», in modo da produrre un volumesimile al precedente rapporto Recent Economic Changes in the United States (Bulmer1983: 111).

Il report pubblicato nel 1933 fu ricevuto in modo contrastante, ma fu il primodocumento ufficiale dedicato al social measurement a toccare contemporaneamenteargomenti sociali come la demografia, la salute e l’educazione (Cobb - Rixford 1998: 8).Con la Grande Depressione e la Seconda Guerra Mondiale, l’interesse per le questionisociali si ridusse e l’attenzione tornò agli indicatori economici, e alla capacità di preve-dere le crisi economiche. Shackle (1967) definisce gli anni dal 1936 al 1939 gli anni rug-genti per la scienza economica: a quegli anni sono riconducibili i fondamentali lavori diKeynes (1936), Leontief (1936), Kuznets (1937) e Tinbergen (1939).

Negli anni Sessanta l’influenza degli economisti sulle scelte del governo statuni-tense era ancora dominante. Si apprezzò in particolare l’accuratezza dei modelli con cuigli economisti furono in grado di prevedere gli effetti del taglio delle tasse promosso daRobert Kennedy nel 1964. Ma insieme ai successi cominciarono le prime difficoltà:molte furono le critiche rivolte alla pratica di valutare il benessere di un paese esclusi-vamente attraverso parametri economici, primo fra tutti il pil9. Ciascuna critica ha poidato corso a una specifica branca di studi, con radici nella stessa economia.

Nonostante le molte critiche, il lavoro degli economisti consulenti del governo e diistituti quali il Brookings divenne un modello per quanti volevano applicare la scienzasociale all’azione di governo, favorendo la domanda di criteri analoghi per orientare laprogettazione delle politiche sociali (Carley 1981: 17; Land 1983: 3). Quandol’American Academy of Arts and Sciences avviò un progetto – sponsorizzato dalla Nasa– per studiare gli effetti non previsti o le conseguenze indirette dei programmi spazialisulla società statunitense, Bauer, Biderman e Gross – tre degli autori incaricati di redi-gere il rapporto finale – individuarono le principali difficoltà nella carenza di dati e diuno schema interpretativo, proponendo di creare un sistema di valutazione per assiste-re le decisioni di politica pubblica. Il volume fu presentato da Gross come il primosegnale di ribellione contro l’economicismo dell’establishment statistico che influenza-va il governo statunitense (Gross 1966: ix). Uno dei risultati ottenuti dal volume fu l’av-vio nel 1967 dei lavori di una commissione – composta, tra gli altri, dall’allora senatoreWalter Mondale – che propose di istituire il Council of Social Advisers, simile nellastruttura e nel funzionamento al Council of Economic Advisers. Ormai il «movimentodegli indicatori sociali» – così battezzato da Otis Dudley Duncan (1969: 1) – era nato.

Il consenso sull’uso degli indicatori sociali nelle scelte di governo non fu però una-nime; la Russell Sage Foundation pubblicò nel 1968 Indicators of Social Change, unvolume curato da Wilbert Moore e Eleanor Bernert Sheldon, che si opponeva in mododeciso alla proposta di Mondale sul Council of Social Advisors e a ogni altra applica-zione degli indicatori sociali nella politica (ivi compresa la pubblicazione di un socialreport annuale). Priorità andava assegnata alla ricerca e al miglioramento della raccolta

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9 Per una rassegna delle critiche rivolte ai problemi di validità del pil, si veda Parra Saiani(2009: cap. 5).

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di informazioni (Sheldon et al. 1983: 79). Allieva di Ogburn, Sheldon sosteneva che losviluppo di un quadro teorico di riferimento per gli indicatori fosse prematuro, inquanto (1) gli obiettivi sociali erano più controversi di quelli economici, (2) i problemisociali erano meno compresi di quelli economici; (3) i fondamenti teorici dell’economiaerano più chiari di quelli sottostanti l’analisi dei problemi sociali. A queste discutibiliobiezioni – basate sull’idealizzazione della scienza economica e sulla sottovalutazionedella complessità dei temi da essa affrontati – ne aggiungeva un’altra, fondata sullanecessità di essere autonomi rispetto all’azione politica:

This is no justification for our letting the agenda of work on social indicators governed by theperceived information requirements imposed by a social engineering approach or letting it belimited to «policy-manipulable» variables – that is, those subject to the control of the agenciesresponsible (Sheldon - Parke 1975: 695).

IV - DIAMO I NUMERI!O GLI ABUSI DELLA QUANTIFICAZIONE

Come molti suoi predecessori, Ogburn sosteneva che i social reports dovesserocontenere «fatti», non opinioni; che si dovessero presentare dati e tendenze astenendo-si dall’interpretarli e ancor più dall’offrire indicazioni politiche. Secondo Ogburn, laconoscenza del mondo sociale può derivare solo dai «fatti», dall’enumerazione e misu-razione dei fenomeni sociali. Se lo studio della società e delle tendenze sociali consistenella registrazione di fatti, la statistica è l’unica disciplina affidabile; per questo motivo– prevedeva – «all sociologists will be statisticians» (1930: 4-6). Il suo approccio– descrittivo, induttivo, pseudo-oggettivo – dominò i lavori sugli indicatori sociali deglianni successivi.

Pur accolto da molte recensioni positive, quando non entusiaste, Recent SocialTrends – di cui Ogburn era tra i principali ispiratori – fu oggetto di un’aspra critica daparte di Sorokin, secondo il quale gli autori avevano mostrato la mania di voler misura-re tutto. La descrizione non-quantitativa, estranea al regno della «scienza oggettiva»,era bandita come un’entità straniera, al più tollerata come un inevitabile fastidio (1933:195). Anziché affrontare gli aspetti più importanti e segreti della cultura e della società,si presentavano cifre riguardanti al più il «guscio», la «scatola» o «l’ombra dell’ombra»di questi fenomeni. Per meglio esemplificare i suoi dubbi, Sorokin riprende il capitoloXIX (The Arts in Social Life) nel quale – afferma – si trovano interminabili file di cifrerelative al valore in dollari degli oggetti d’arte negli Stati Uniti, al numero di orchestresinfoniche, esibizioni, musei, scuole nelle quali si insegna l’arte e il numero di corsid’arte insegnati in esse, il numero di romanzi venduti ecc. Ancora:

One month after issue, 180,000 copies of a government pamphlet on furniture, its selection anduse, were distributed (1931) [...]. Six hundred thousand objects are lent annually by the St. LouisEducational Museum alone [...]. The sale of Navajo blankets is reported as above $1,500,000 in1930 [...]. The town of Ottawa, Kansas, with a high school population of 431 has an orchestra of90 that has four times won the state contest (cit. in Sorokin 1933: 197).

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Volendo però avere un’idea della natura profonda delle arti negli Stati Uniti di quelperiodo, dallo studio non si ricaverebbe nulla (Sorokin 1933: 197). Sebbene molto impe-gno fosse stato profuso per studiare i cambiamenti nella pratica religiosa, la passione quan-titativa portò al solo conteggio del numero delle voci (articoli, titoli) riferiti a tale attitudinein un insieme di periodici e giornali; rapportandole al numero totale di voci per un numerodi anni, il «tasso di attenzione» dato all’argomento da anno in anno è considerato un indi-catore «oggettivo» del cambiamento negli interessi dell’opinione pubblica (ibid.: 199).

Dallo studio emergono però poche novità, prosegue Sorokin: si riscontra un minoreinteresse per la religione, l’indebolimento del tradizionale orientamento sessuale, un favo-re per un divorzio facile ecc. Ma, si domanda polemicamente, non era tutto già ampia-mente noto? C’era bisogno di questa accurata elaborazione dell’ovvio? (ibid.: 199-200).

Le critiche di Sorokin potrebbero essere valide anche per molti lavori di oggi: l’infa-tuazione per i numeri ha oscurato l’importanza del raffinamento concettuale e della fasecreativa, relegando in secondo piano l’approfondimento semantico, le caratteristicheintensionali dei concetti. Tale valutazione va al di là del singolo report. La ricerca dellaprecisione è spesso incongruente: incongruente se comparata alle tecniche usate per laproduzione dei dati e alla natura delle proprietà studiate. Citare dati con un livello di det-taglio maggiore rispetto a quello pertinente è solo uno dei modi per suscitare un’impres-sione di accuratezza. Il grado di precisione è ovviamente variabile: solo a titolo di esem-pio, in fisica il rapporto giromagnetico dell’elettrone è misurato fino all’undicesima cifrasignificativa (Gauch 2006: 134). Ma la stessa precisione non è giustificabile in ambitidisciplinari nei quali né le proprietà studiate né gli strumenti di raccolta delle informazio-ni offrono la possibilità di raggiungere la precisione propria delle scienze naturali. Laricerca del decimale a tutti i costi spesso nasconde la volontà di conferire «un’aura di pre-cisione e di rigore anche alla tabella più banale» (Marradi 1993: 53). In molte ricerche siusano indicatori assai discutibili, definizioni operative sommarie e si producono dati infe-deli: in tal caso esibire coefficienti con cinque decimali è un modo per pretendere unacredibilità del tutto fittizia (Horn 1993: 18)10. Come ricorda ancora Marradi (1993: 52), latendenza «a riportare percentuali e coefficienti con un numero eccessivo di decimali èendemica nell’analisi dei dati, al punto da avere un nome»: «errore della precisione fuoriposto» (fallacy of the misplaced precision). In effetti, di nomi ne ha anche altri: «errore del-la concretezza fuori posto» (fallacy of misplaced concreteness: Horn 1993, 18), «accuratez-za fittizia» (specious accuracy: Morgenstern 1950: § 3).

La Fao afferma che tra il 1977 e il 1980 la disponibilità di generi alimentari procapite è aumentata esattamente dello 0, 3% (cioè di sei calorie al giorno), e che nel 1980tra Afghanistan e Ciad vi era una differenza pari allo 0, 4% (sette calorie al giorno).Oltre alla pretesa di voler rilevare le differenze fino all’ultima caloria, occorre poi con-siderare che per i periodi in questione si stima che la popolazione analfabeta in entram-bi i paesi fosse oltre il 90%, e che circa la metà della produzione di beni e servizi nonfosse pagata in moneta. Ma anche queste non sono che speculazioni: alla data delle sti-

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10 Nelle parole di Morgenstern, «the classical case is, of course, that of the story in which a man,asked about the age of a river, states that it is 3.000.021 years old; because 21 years ago its age was giv-en as 3 million years» (1950: 25).

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me Fao riportate, in nessuno dei due paesi era stata nemmeno tentata un’indagine sul-lo stato dell’economia, né erano stati condotti censimenti della popolazione.

Ancora la Fao pubblica la stima della produzione mondiale annuale di grano assu-mendo un’accuratezza dello 0,0001%. La pretesa precisione di tali stime è in contrastocon la differenza di 15 milioni di tonnellate tra le stime della Fao e quelle del Dipartimentoper l’agricoltura degli Stati Uniti (Usda) sul volume di grano alimentare esportato dagliStati sviluppati negli anni Settanta. E questo malgrado il fatto che il sistema di esportazio-ni alimentari dei paesi sviluppati sia forse uno degli aspetti più semplici da osservare e stu-diare dell’economia alimentare globale (Eberstadt 1995: 171. Traduzione mia).

Thomas e Thomas (1928: 570-571) ravvisano l’origine della grande sfiducia nellastatistica proprio nel voler presentare risultati apparentemente precisi, ottenuti inseguito a sofisticate elaborazioni statistiche di dati per loro natura approssimativi.Abitudine che non sembra tramontata col passar del tempo.

V - IL NUMERO, COSA?O LA INNUMERACY COME PROBLEMA DEMOCRATICO

Come si è visto, la sfiducia nella statistica è ormai storia antica. Oltre a quella diThomas e Thomas vi sarebbero moltissimi passaggi che potremmo citare, ma mi limitoa quello di Durkheim:

È noto che le constatazioni ufficiali sono troppo spesso lacunose, anche quando vertono sui fattimateriali ed evidenti che ogni osservatore coscienzioso potrebbe afferrare, e che non lascianoposto ad apprezzamenti (1897/1969: 187).

Quindi già Durkheim aveva espresso dubbi sulla fedeltà dei dati contenuti nellestatistiche ufficiali: i responsabili della compilazione dei verbali, rapporti ecc. – gli uffi-ciali, la polizia, i magistrati – devono decidere come classificare il fenomeno che si tro-vano a trattare spesso basandosi su criteri divergenti a seconda delle rispettive neces-sità, su «ipotesi basate sul buon senso che li mette in grado di capire e oggettivare ifenomeni che si trovano ad affrontare» (Atkinson 1978: 45). I cosiddetti «fatti oggetti-vi» riportati sono in larga misura frutto delle interpretazioni che gli individui elaborano– consapevolmente o meno – per identificare e attribuire senso agli eventi coi quali ven-gono in contatto. Il dato è allora «il prodotto delle pratiche e negoziazioni tra i pubbli-ci ufficiali coinvolti, anche se non è né può essere in grado di catturare, registrare oriflettere il processo che lo ha prodotto» (Hughes - Sharrock 1990/2005: 166)11. Comericordavano Gross e Springer (1967: 15), «official data will always be too “official”».

Possiamo quindi condividere l’invito rivolto da Cohen (2003: 8) a superare l’ingenuoentusiasmo per l’aritmetica politica e la sua venerazione per il numero, considerato deposi-

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11 Analogamente Box (1971). Anche Howard Becker afferma che nello studio della devianza «igruppi professionali che gestiscono questo settore – i poliziotti, gli avvocati, i politici, gli psichiatri – crea-no le interpretazioni di senso comune che l’analisi sociologica prende come oggetto di studio [...]. Non èpossibile creare classi omogenee di attività per le quali trovare processi causali plausibili se ci si basa sulledefinizioni convenzionali disponibili nei mondi che si studiano. Tali definizioni sono prodotte per scopidiversi da quelli della ricerca sociale e riflettono una grande quantità di compromessi ed espedienti chepossono solo intralciare i nostri sforzi di fare una qualche scienza sociale» (2003; 489; e 492).

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tario dell’oggettività e delle neutralità, per analizzare gli usi simbolici dei numeri e le prati-che che concorrono a costruirli. Tuttavia, oggigiorno occorre rispondere ancora a due sem-plici domande: se anche l’informazione fosse «ben costruita», correttamente presentata e anostra disposizione, a chi importerebbe? Chi sarebbe in grado di comprenderla?

È questo un punto fondamentale, se si riconosce che i cittadini di sistemi democrati-ci necessitano di buone informazioni per valutare le decisioni dei loro leaders politici epoter scegliere in occasione delle elezioni (Delors 1971: 8; Cohen 2003: 7), e se si pensache è sempre più consueto che un candidato citi il tasso di disoccupazione, il tasso di cri-minalità o l’indice di borsa a sostegno delle proprie argomentazioni (Cohen 2003: 7).

Come ricordato da Curtin (2007: 1), è ormai abitudine stupirsi dei risultati di alcu-ne ricerche che svelano come solo una bassa percentuale di persone conoscano il lororappresentante al parlamento (Delli Carpini - Keeter 1996), abbiano conoscenza dellecomuni condizioni igieniche (Lucas 1987), conoscano correttamente le orbite dei pia-neti (Lucas 1988), il tasso corrente di inflazione o disoccupazione (Blendon et al. 1997;Blinder - Krueger 2004; Curtin 2007) o il tasso di crescita del pil (Giovannini 2008a).

Risultati simili valgono per l’Europa: un’indagine sulla conoscenza degli indicato-ri economici condotta nella primavera del 2007 da Eurobarometro riporta che il 53%dei cittadini europei dichiara di non conoscere il tasso di crescita (Eurobarometer2008: 13) o il tasso di inflazione (Eurobarometer 2008: 18) del proprio Paese, il 48% iltasso di disoccupazione (Eurobarometer 2008: 23). Anche in quei Paesi dove le perso-ne sono più inclini a fornire delle stime (Danimarca, Olanda, Slovacchia e Germania),più di un terzo ha risposto «non so» (Eurobarometer 2008: 42).

La figura 1 presenta i principali risultati dell’indagine Eurobarometro, riportando perciascun tasso le percentuali del numero di risposte corrette. Occorre considerare che per

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Fonte: Eurobarometer (2008: 27).

FIG. 1 - Conoscenza del tasso di crescita nazionale, tasso di inflazione e tasso di disoccu-pazione – Percentuale di risposte che non si discostano più del +/- 20% dai tassi ufficiali

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Eurobarometro una risposta è corretta se non si discosta più del +/- 20% dai tassi ufficiali:un’accezione di «correttezza» piuttosto elastica. Per il campione di intervistati italiani tro-viamo il 5% con 2-3 risposte corrette (9% la media europea a 27 Paesi), 14% con una solarisposta corretta (23% per EU27), e 81% con nessuna risposta corretta (68% per EU27).

Inoltre, la proporzione di quanti confidano nelle statistiche ufficiali (46%) è simi-le a quella di quanti non hanno fiducia (Eurobarometer 2008: 37). La fiducia nelle sta-tistiche ufficiali raggiunge i suoi più alti livelli in Olanda (77%), Danimarca (73%) eFinlandia (69%), mentre la più bassa è raggiunta in Francia (60% non si fida), RegnoUnito (58%) e Ungheria (55%), come si può notare in figura 2, nella quale i tassi difiducia nelle statistiche ufficiali sono associati al tasso di fiducia nel governo.

Fonte: Eurobarometer (2008: 38).

FIG. 2 - Tasso di fiducia nelle statistiche ufficiali e nel governo

Questi risultati sono importanti per comprendere la funzione delle statistichenazionali nell’implementazione della rendicontazione democratica. Una società demo-cratica è preservata se gli elettori possono votare responsabilmente e se dispongono diinformazioni ragionevolmente accurate (almeno) sulla performance economica del pro-prio Paese (Prewitt 1986: 115). Steen ci mette in guardia: «an innumerate citizen todayis as vulnerable as the illiterate peasant of Gutenberg’s time» (1997: xv).

Come conciliare la necessità di una cittadinanza informata e consapevole con ladura realtà, nella quale per molti è difficile compiere anche la più semplice opera-zione aritmetica (OECD 2006)? Ad esempio, i risultati della Adult Literacy and

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Life Skills Survey confermano i risultati IALS sulla difficoltà per molti adulti di farfronte alle esigenze della vita – lavorativa e non – collegate a letteratismo12 e nume-racy13. Inoltre, a seconda del Paese, tra 1/3 e oltre 2/3 della popolazione adulta nonraggiunge il livello minimo considerato dagli esperti indispensabile per affrontare icompiti della società della conoscenza e dell’economia dell’informazione14

(Statistics Canada and OECD 2005: 31).Senza pensare poi a un altro elemento problematico: le decisioni politiche in Europa

sono prese sempre più spesso in arene sovranazionali e intergovernative, mentre il riferi-mento principale per le identità collettive e per i dibattiti pubblici continua ad essere lostato-nazione, creandosi così un «deficit democratico» (Koopmans - Erbe 2004: 97).

Quindi, sì, i numeri possono contribuire alla «accountability» richiesta da unademocrazia, ma occorre capire come. È ancora valido il monitor di Henriot:

The task of rationalizing decision-making requires not only discrete bits of information but alsothe organization of that information into coherent patterns. It seems certain that more and moredata will be gathered at all levels of government; what is less certain – and yet more significant –is that the data will be effectively coordinated (1970: 237).

La sfida principale è riuscire a diffondere i dati sulla situazione economica e socia-le nel modo più ampio e più efficace possibile. Come ricordato in un report delNational Research Council, dato il basso livello di competenze matematiche e statisti-che nella popolazione, diventa particolarmente importante fornire gli utenti di interfac-ce che restituiscano chiare e utili informazioni. L’obiettivo non è fornire solo insiemi didati, ma anche strumenti che permettano di attribuire significato a tali dati (NRC 2000:20). Non bisogna cioè cadere nell’equivoco di confondere accessibilità alle informazio-ni con conoscenza (Giovannini 2008a: 178 e 2008b: 5).

Giovannini (2007) individua nelle nuove tecnologie per la gestione e la comunica-zione dell’informazione, nella disponibilità di standard internazionali per lo scambio didati e metadati statistici e nello sviluppo del cosiddetto Web 2.0 elementi che «aprononuovi scenari nella produzione e fruizione dell’informazione statistica» (Giovannini2008a: 178 e 2009: 2). Senza però cedere ad un semplicistico entusiasmo per le tecno-logie dell’informazione e della comunicazione, poiché proprio la rivoluzione del Web

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12 Il termine letteratismo è usato in italiano per l’inglese literacy e il francese littératie. Si riferisce«all’insieme di competenze di cui una persona ha bisogno per elaborare ed usare le informazioni trat-te dal materiale stampato comunemente diffuso nei luoghi di lavoro, nella vita domestica e in quellasociale. Si tratta, in sostanza, delle competenze di lettura, di scrittura e di calcolo necessarie per agirequotidianamente nella società, per conseguire i propri obiettivi, per sviluppare il proprio sapere eampliare le proprie potenzialità» (Cornali 2004: 11; cfr. anche Oecd 1995: 14).

13 In letteratura non si trova una definizione unanimemente accettata di numeracy (O’Donoghue2002: 47). Cockcroft (1982) individua l’origine del concetto e il termine stesso nel Crowther Report(1959); «we would wish “numerate” to imply the possession of two attributes. The first of these is an“at-homeness” with numbers and an ability to make use of mathematical skills which enable an indi-vidual to cope with the practical mathematical demands of his everyday life. The second is ability tohave some appreciation and understanding of information which is presented in mathematical terms,for instance in graphs, charts or tables or by reference to percentage increase or decrease» (Cockcroft1982: 11, cit. in O’Donoghue 2002: 47).

14 Per l’Italia si veda Cornali (2004).

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2.0 ha segnato «l’ingresso di numerosi nuovi soggetti nell’arena digitale e pone sfidecomplesse sul versante della reperibilità e della riconoscibilità delle informazioni stati-stiche di qualità» (Giovannini 2009: 2), in quanto un gran numero di organizzazionipuò produrre dati e indici, frequentemente ripresi dai media, contribuendo a creare unsenso di confusione. Il «rumore» informativo che ne scaturisce contribuisce ad ostaco-lare il corretto funzionamento dei mercati e della stessa democrazia (Giovannini 2008a:178). Purtroppo alla comunicazione delle statistiche è stata prestata sempre menoattenzione, mentre «dovrebbe essere considerato parte integrante della produzione edella divulgazione (intesa come propagazione e diffusione) dei dati» (Maggino -Trapani 2009: 2). Migliori livelli di comunicazione e di diffusione dei risultati sono sicu-ramente i benvenuti, ma ciò non sortirà sicuramente effetti in assenza di congrui e ade-guati livelli di numeracy e letteratismo – tanto sul versante del pubblico tanto su quellodei policy-makers.

VI - IN CONCLUSIONE

Si è visto che la quantificazione applicata ai fenomeni sociali non è stato un com-pito facile, e che diversi fattori concomitanti hanno contribuito a introdurre i numerinel discorso pubblico. Da una fase nella quale informazioni fondamentali – ad esempiola popolazione – erano sconosciute, ad una nella quale i numeri erano conosciuti matenuti segreti, si è arrivati a oggi: una gran quantità di informazioni, ma di scarso con-tributo alla conoscenza dei cittadini. La nostra sarà anche una società dell’informazio-ne, ma è una società della conoscenza?

PAOLO PARRA SAIANIFacoltà di Sociologia

Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano

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