La pala maggiore di Martino Teofilo e gli altri dipinti notevoli della pieve di Tassullo, in La...

Post on 14-May-2023

0 views 0 download

transcript

122

123

“T assullo capo luogo ha la chiesa parrocchiale: la palla dell’Altare è di Martino Teofilo (Pit-

tore del secolo XVI)”1. La prima menzione a stampa della pala maggiore di Tassullo si rinviene nel trat-tato che Jacopo Antonio de Maffei, giureconsulto e possidente di Revò2, dedicò alla storia e alla topogra-fia della sua patria, l’Anaunia. Avaro di annotazio-ni concernenti le bellezze artistiche, Maffei dovette rimanere colpito dalla qualità e dalle dimensioni del dipinto collocato sull’altare maggiore di quell’antica pieve. La sua passione per le epigrafi spiega l’inusua-le attenzione ch’egli riservò al nome del pittore, rica-vandolo evidentemente dalla firma apposta alla tela: “Martinvs tehofilvs Pol,. / Pinxit anno 1620” (fig. 1). Gli sfuggì, invece, la data, che forse nel 1805 era poco leggibile. Rimane comunque significativo il fatto che quella di Tassullo sia l’unica pala d’altare delle valli del Noce citata dal Maffei.

Fu poi lo storico dell’arte tedesco Hans Semper a precisare la collocazione cronologica e cultura-le del dipinto, rilevando che “das Altarblatt, die Himmelfahrt Marias, ist ein vorzügliches Werk des Malers Martin Theophil Pollak, vom Jahre 1620, in welchem er seine venetianische Schulung deutlicher als irgendwo verräth”3. L’autore forniva dunque la corretta cronologia dell’opera e ne individuava la paternità, assegnandola al pittore che la storiogra-fia in lingua tedesca tuttora designa col nome di “Martinus Theophilus Polak”, secondo una tradi-zione avviata dall’erudizione tirolese del Settecento4 e consolidata dall’omonimo saggio pubblicato a Francoforte nel 1891 da Mathias Bersohn5. Nella stessa sede, Semper riferiva di un’erronea interpre-tazione della firma fornitagli dal suo informatore di

Tassullo – probabilmente il parroco Luigi Borghesi – che aveva letto “Marino Cophino Poly”. Un erro-re analogo si riscontra in Francesco Negri, il quale nel 1910 annotava: “Nel 1616 vi fu la visita del ve-scovo suffraganeo Pietro Belli vicario gener. del ve-scovo di Trento. Dagli atti di quella visita rileviamo queste notizie. Nella parrocchiale venne ordinata una nuova palla per l’altar maggiore. – Sappiamo che questa palla fu realmente dipinta nel 1620 dal pittore Marino Teofilo Poli, come si legge scritto in un angolo della medesima: Marinius Teophilus Polus pinxit 1620. Essa rappresenta l’Assunzione della B. Vergine al cielo, e pare sia la copia di un quadro che ritrovasi nelle gallerie del Belvedere in Vienna”6. Impreciso era stato anche Ottone Brentari, che nel 1902 aveva scritto: “La buona pala dell’altar mag-giore, Maria Assunta, è di Martino Teofilo (quel-lo stesso che dipinse il San Cristoforo del Duomo di Trento) ed è firmata Martinus Teofilus pinxit 1629”7. Solo con Simone Weber l’indicazione di Semper venne acquisita definitivamente e senza er-rori, benché il sacerdote di Denno preferisse la de-nominazione italiana “Martino Teofilo Polacco”8.

Le difficoltà incontrate dagli studiosi nel tentare di precisare il nome e l’identità dell’artista sono ben comprensibili, se si considera l’incertezza che tutto-ra avvolge le sue origini. Una fonte imprescindibile per tentare di ricostruirle è costituita dal diario di viaggio di Philipp Hainofer, un nobile luterano di Augsburg che viaggiava con incarichi diplomatici, il quale visitò lo studio del pittore a Innsbruck nell’a-prile del 16289. Nei suoi appunti, spesso citati in modo impreciso, l’artista è definito Cammermahler, ossia pittore di corte dell’arciduca Leopoldo V d’A-

La pala maggiore di Martino Teofiloe gli altri dipinti notevoli della pieve di Tassullo

roberto Pancheri

1. Martino Teofilo, Assunzione della Vergine Maria in Cielo, 1620, particolare. Tassullo, chiesa di Santa Maria Assunta

124

sburgo e di sua moglie Claudia de’ Medici, men-tre il suo nominativo è riportato in italiano – “il sigr Martino Theophilo” – accanto all’indicazione “ain geborner Polack”. Possiamo dunque ritenere che, allo sguardo dei suoi contemporanei, Martino Teofilo apparisse come un pittore di cultura italiana, sebbene “polacco di nascita”. I vent’anni trascorsi nel principato vescovile di Trento, tra il 1600 e il 1621, come pure la probabile esperienza formativa vissuta negli anni precedenti in area veneta, avevano evidentemente esercitato una decisiva influenza sul

2. Jacopo Negretti detto Palma il Giovane, Assunzione della Vergine Maria in Cielo, 1584. Venezia, chiesa di San Zulian

3. Jacopo Negretti detto Palma il Giovane, Assunzione della Vergine Maria in Cielo, 1610 circa. Arquà Petrarca, chiesa parrocchiale

4. Martino Teofilo, Assunzione della Vergine Maria in Cielo, 1620. Tassullo, chiesa di Santa Maria Assunta

suo modo di esprimersi e sulla sua stessa identità, come pare di poter arguire dalla testimonianza del viaggiatore augustano.

Alla nazionalità del pittore – un concetto che va ovviamente calato nella realtà storica del XVII seco-lo – allude certamente la parola abbreviata “POL,.” ch’egli volle inserire nella firma della pala di Tassullo, da sciogliersi in “Polonus”, come proposto in lette-ratura da Weber in poi10. Analoghe indicazioni di provenienza si rinvengono in documenti d’archi-vio trentini11, che indussero Stanislaw Szymanski a

125

126

5. Jacopo Negretti detto Palma il Giovane, Assunzione della Vergine Maria in Cielo, affresco, 1602, particolare. Salò, duomo, catino absidale

6. Martino Teofilo, Assunzione della Vergine Maria in Cielo, 1620, particolare. Tassullo, chiesa di Santa Maria Assunta

detto il Pozzoserrato16. Un nome che, a dire il vero, fa pensare a frequentazioni di artisti fiamminghi in terra veneta più che a una formazione di Martino Teofilo nei Paesi Bassi.

Nella pala di Tassullo, peraltro, l’influenza fiam-minga appare completamente riassorbita nel colori-smo veneto, e cede il passo alla maniera di Palma il Giovane, che la critica addita come possibile mae-stro di Martino. Già il Fiocco avvertiva nell’Assunta di Tassullo “l’echeggiamento di quella del Negretti ad Arquà Petrarca”17, opera che poté forse servire da modello diretto (fig. 3), ammettendo un soggior-no veneziano del Teofilo intorno al 1610, mentre più facilmente egli avrebbe potuto ammirare la pala di Palma del medesimo soggetto che fin dal 1584 si trovava nella chiesa veneziana di San Zulian18 (fig. 2). L’occasione per un confronto diretto con la pittura di Palma il Giovane, se non avvenne prima del 1600, si verificò nel 1615, data dell’approdo a Riva del Garda delle tre pale d’altare tuttora col-locate sugli altari della chiesa dell’Inviolata19, dove il Teofilo era attivo negli stessi mesi come frescan-te. È inoltre opportuno ricordare che il Negretti si era cimentato con il tema dell’assunzione di Maria anche nell’affresco che decora il catino absidale del duomo di Salò, del 160220, nell’ambito di una vasta

identificare l’artista con il pittore Marcin Teofilowicz documentato nel 1595 a Cracovia12. Tutto ciò con-fligge con quanto enunciato in un atto notarile del 1617 rogato a Riva del Garda, sul quale ha richiama-to recentemente l’attenzione Giuseppe Sava13, ove il nostro artista compare come testimone col nomina-tivo di “Martino pictore quondam Alberti Theophili Flandriense habitator Tridenti”. Il documento chia-risce che “Teofilo” fu il cognome del pittore14, e non un secondo nome di battesimo, ma non fa che ingar-bugliare la questione dei suoi natali, tenendo conto che l’appellativo “flandriense” – ossia fiammingo – poteva anche indicare una generica provenienza nor-dica, che il notaio di Riva non si peritò di precisare.

In assenza di altri riscontri, e soprattutto dell’at-to di nascita (che si colloca intorno al 1570, sulla fragile base dell’età indicata nel presunto autori-tratto del Ferdinandeum)15, la questione della na-zionalità del pittore è destinata a rimanere aperta. Altro discorso è registrare l’indubbia presenza di echi fiamminghi nella sua pittura, da tempo ricono-sciuti dalla critica, e resi ancora più pregnanti dal-la notizia – fornitaci dallo Hainofer – dell’esisten-za nel suo atelier a Innsbruck di “quadri [sic] von Niderländischen maisteren”, tra cui dei paesaggi di “Ludovico di Treviso”, vale a dire Lodewijk Toeput

127

7. Martino Teofilo, Assunzione della Vergine Maria in Cielo, 1620, particolare. Tassullo, chiesa di Santa Maria Assunta

8. Martino Teofilo, La Vergine Assunta e i Santi Vigilio ed Ermagora, 1620 circa. Tiarno di Sotto, chiesa parrocchiale

impresa decorativa che poteva esser nota al nostro pittore e avergli suggerito degli spunti per la resa degli apostoli (figg. 5, 6). Un’altra suggestione di matrice lagunare poteva essere pervenuta a Martino Teofilo dalla pala dell’Assunta dipinta nel 1607 da Fra’ Santo da Venezia – uno dei tanti pittori minori della galassia delle Sette Maniere – per la chiesa dei francescani conventuali di Trento, oggi conservata nella parrocchiale di Madrano21 (fig. 9).

La grande tela centinata misura cm 415×225 e campeggia al centro di un grandioso altare ligneo dorato, che fu realizzato entro il 1628 dall’intaglia-tore veronese Palmerino Bonesini nelle forme di un arco trionfale22. In perfetta coerenza con la dedi-cazione della pieve a Santa Maria Assunta, la pala raffigura l’Assunzione della Beata Vergine Maria in Cielo secondo la tradizionale iconografia del sa-cro evento, che, com’è noto, non si appoggia sul-le Scritture. Dopo il restauro eseguito nel 1998 da Serafino e Marco Volpin23, essa si presenta ai nostri occhi in condizioni di lettura ottimali. Nella relazio-ne tecnica consegnata a fine lavori, Serafino Volpin così descriveva lo stato di conservazione dell’opera prima dell’intervento: “Apparentemente il dipinto si presentava in discrete condizioni; la superficie pittorica si presentava ossidata. Ad un esame più at-

tento, invece, si sono potute riscontrare ampie zone completamente ridipinte che hanno alterato così l’ispirazione cromatica del pittore. Completamente rifatti erano i panneggi degli apostoli in primo piano come lo era anche il cielo luminoso della Vergine. Il telaio, centinato, era fisso e alquanto mal ridotto anche per l’uso di fissare la tela con chiodi applicati direttamente sul colore nella parte anteriore e non sul margine come di consuetudine. Questa applica-zione ha provocato degli ovvi danni alla superficie dipinta. Data la natura della tensione è facile intuire che vi siano stati allentamenti della tela e la conse-guente caduta di colore nelle zone più fragili. Infine erano presenti, soprattutto nella parte inferiore, del-le alterazioni di colore dovute molto probabilmente a diffuse gocce d’acqua che hanno alterato la pelli-cola pittorica”. Durante il restauro fu consolidato e fissato il colore, la tela originale fu sfoderata, stirata, rifoderata e dotata di un nuovo telaio in legno di abete con tensori angolari, mentre la pellicola pitto-rica fu pulita e integrata nelle lacune con colori ad acquarello e a vernice.

La composizione è divisa in due registri ben defi-niti: quello celeste, occupato dalla Madonna sorret-ta in volo da una schiera di angioletti ignudi; e quel-lo terrestre, occupato dai dodici apostoli radunati

128

intorno al sepolcro vuoto. In mezzo ai due registri corre una fascia di cielo azzurro, che trascolora dal celeste chiaro al grigio, mentre dalla figura nimbata di Maria si irradiano tre gradi di luce soprannatu-rale, che indorano parte delle nubi e dei putti. La Vergine è abbigliata in rosa e ha le gambe avvolte in un ampio e compatto manto blu, mentre gli apostoli indossano vesti e tuniche a vivaci colori. Il sepolcro è innalzato sopra un basamento a gradini e reca sul lato in vista un finto rilievo raffigurante il profeta Mosè che fa scaturire l’acqua dalla roccia. Sul pri-mo gradino è appoggiato un turibolo d’argento con applicazioni in oro e nell’angolo inferiore sinistro sono visibili un bacile metallico e un aspersorio. San Pietro, riconoscibile grazie alle chiavi che impugna nella mano sinistra, è accasciato in primo piano a destra e funge da figura-quinta insieme all’apostolo vestito di rosso e di verde che si erge all’estremità opposta della composizione. Un terzo apostolo di

spalle si china in avanti per osservare l’interno della tomba, appoggiandosi con il braccio nerboruto – sul-la cui pelle abbronzata risalta il bianco della manica rimboccata – al bordo modanato di essa. Lo affianca un compagno dalla bella chioma fluente, che indica con la mano destra il cielo, come a suggerire il luogo dove è trasmigrato il corpo di Maria. Al centro ge-ometrico del dipinto si distingue la flessuosa figura di Giovanni, imberbe, con lo sguardo rivolto verso l’alto e il viso atteggiato in un’espressione struggen-te, nell’atto di mostrare con l’indice della destra ciò che sta accadendo in paradiso. Anche le teste degli altri apostoli sono puntualmente caratterizzate nelle fisionomie e offrono altrettante variazioni sui temi dello stupore, del pathos e della venerazione.

Prima del 1620 Martino Teofilo aveva già svilup-pato il motivo della Madonna in cielo, adagiata sul-le nubi o accompagnata da una gloria d’angeli, sia in alcune pale d’altare sia nell’affresco del catino

9. Fra’ Santo da Venezia, Assunzione della Vergine Maria in Cielo, 1607. Madrano di Pergine, chiesa parrocchiale (già nella chiesa dei francescani conventuali di Trento)

10. Martino Teofilo, Madonna col Bambino, Sant’Anna, Sant’Antonio Abate e Santa Emerenziana, 1608. Tuenno, chiesa parrocchiale (già nella chiesa dell’eremo di Sant’ Emerenziana)

129

absidale di Santa Maria Maggiore a Trento, senza tuttavia comprendere nella figurazione il collegio apostolico. Tra le tele di soggetto mariano, quel-la più affine all’Assunta di Tassullo è la pala oggi conservata nella chiesa di Tiarno di Sotto, ma pro-veniente con ogni probabilità dalla cattedrale di Trento, che abbina alla Madonna – atteggiata in modo assai simile a quella anaune – due santi vesco-vi24 (figg. 7, 8). Un possibile studio preparatorio per la pala di Tassullo è il disegno conservato al Tiroler Landesmuseum Ferdinandeum di Innsbruck, di incerta datazione, che offre un’interpretazione del tema del tutto analoga, pur in presenza di molte va-rianti (fig. 11). Nel disegno è però meno fitta la co-rona d’angioletti che nella pala attornia la Vergine in volo: un dettaglio che, unitamente all’eloquente gestualità degli apostoli, costituisce il più scoperto omaggio reso dal pittore a Tiziano e alla sua cele-berrima Assunta dei Frari25, pur attraverso il filtro delle riprese dello stesso motivo già attuate dal Palma, dalle già citate pale di San Zulian e Arquà fino a quella di San Zaccaria.

Dal punto di vista cronologico, gli immediati ante-fatti della pala di Tassullo sono tre dipinti di Teofilo datati 1619: le Nozze mistiche di Santa Caterina d’A-lessandria dell’omonima chiesa di Roveré della Luna; la pala Trentini, già nella cappella del Simonino in palazzo Salvadori a Trento e ora a Palazzo Trentini; e la perduta pala dell’altare maggiore della chiesa della Santissima Trinità a Rovereto. Tutte opere che, unitamente alla Resurrezione di Cristo di Ora del 1621, testimoniano in quel torno d’anni un’in-tensa e qualificata attività dell’artista in tutta la dio-cesi, certo favorita dal suo ruolo di pittore di corte del principe vescovo di Trento Carlo Gaudenzio Madruzzo. Proprio il presule trentino, anche per il suo rango di signore di Castel Nanno, contende al pievano Pietro Gezzi da Tuenno26 il ruolo di com-mittente dell’Assunta.

Vale qui la pena di ricordare che Martino Teofilo aveva già lavorato per il territorio della pieve di Tassullo, allorché aveva dipinto la pala dell’altare maggiore dell’eremo di Sant’Emerenziana, all’im-bocco della Val di Tovel, raffigurante la Madonna col Bambino, Sant’Anna, Sant’Antonio Abate e Santa Emerenziana (fig. 10). Salvatore Ferrari ha recentemente individuato i committenti dell’opera nel barone Antonio Spaur di Castel Valer e nella moglie Emerenziana de Preysing, proponendo una datazione al 1608 circa del tutto fondata e condi-

visibile27. Il confronto tra l’impacciata paletta di Tuenno e l’ariosa ancona di Tassullo evidenzia un profondo iato stilistico e qualitativo, che ci parla di un percorso artistico giunto a piena maturazione solo intorno al 1620, vale a dire al termine della ventennale attività del pittore in terra trentina e alla vigilia del suo trasferimento oltre il Brennero, dapprima a Salisburgo e quindi in Tirolo. La mor-te lo sorprese nel palazzo vescovile di Bressanone, città dove si era da poco stabilito, il 25 gennaio 1639.

11. Martino Teofilo, Assunzione della Vergine Maria in Cielo, disegno. Innsbruck, Tiroler Landesmuseum Ferdinandeum

130

La grande pala di Tassullo rimane una delle più qualificate testimonianze dell’attività creativa di questa personalità dalla complessa vicenda biogra-fica, ancora in gran parte da ricostruire: un artista di vaglia, capace di affrontare imprese decorative di grande impegno come quella dell’Inviolata, ma di qualità discontinua; un mediatore originale tra la cultura figurativa nordica e quella veneta, grazie alla sua più che trentennale attività nei principati vesco-vili di Trento e Bressanone, nella contea del Tirolo e nella vivace Salisburgo di Paride Lodron; e infine – stando alle parole di Philipp Hainofer – un’ottima persona28.

La seconda pala d’altare in ordine d’importanza presente nella chiesa pievana di Tassullo è quel-la raffigurante il Martirio di Sant’Andrea Apostolo, oggi appesa alla parete settentrionale della navata sinistra (fig. 12). Come attesta la segnatura “1626. / Gio. Batista Rovedata. F” che si legge sotto la gamba del santo, essa fu dipinta in quell’anno da Giovanni Battista Rovedata29, pittore di Trento con-temporaneo di Martino Teofilo30. Analoghe firme – “1626 / G.’ Batista Rovedata. F.” e “1627 Gio. batista Rovedata F.” – si leggono sulle due tele di formato orizzontale raffiguranti rispettivamente la Pentecoste (fig. 13) e il Martirio di Santa Caterina d’Alessandria (fig. 14), che occupano le specchiature superiori dei due altari lignei ubicati ai lati dell’arco santo: due pregevoli lavori d’intaglio di architettu-ra tardo-manierista, uno dei quali reca la data del 162631. A tale proposito, va rilevato che alla fine del XIX secolo la pala di Sant’Andrea era collocata pro-prio sull’altare in fondo alla navata sinistra, come te-stimonia Hans Semper che così descrive i due altari gemelli: “Der rechtseitige enthält ein ziemlich gutes Bild der Mater dolorosa, der am Ende des linken Seitenschiffes ein ebenfalls gutes Bild der Marter des hl. Andreas. Beide Gemälde dürfen vom Anfang des 17. Jahrhunderts sein”32. La pala dell’Addolora-ta non è oggi rintracciabile, a meno che lo studioso non l’abbia confusa nei suoi appunti con la statua vestita dello stesso soggetto tuttora collocata nella nicchia dell’altare33. L’ancona in testa alla navata sinistra ospita invece da oltre settant’anni una sta-tua gardenese del Sacro Cuore di Gesù, opera di Dominik Demetz. In origine i due altari erano dedi-cati rispettivamente a Santa Caterina d’Alessandria e a Sant’Andrea Apostolo, poi cambiarono dedica-zione alla fine del XVIII secolo: in quella occasione le tele dipinte vennero rimosse e si infranse l’unità

stilistica dei due altari e del loro corredo pittorico, che erano stati realizzati a seguito delle prescrizioni lasciate dai visitatori dopo la visita pastorale del 30 ottobre 1616. Gli Atti Visitali di quell’anno avevano raccomandato in particolare “che all’Altare di S.to Andrea sij provisto di Pallio rosso, di Cussini simili à quelli di sopra p il Messale, et che li sij fatta una Palla condecente quanto prima”34.

La pala di Sant’Andrea, che misura cm 212×146, cambiò più volte di posizione all’interno della chie-sa: abbiamo già visto che nel 1894 essa si trovava sull’altare di Santa Caterina, mentre una fotografia scattata da Luciano Eccher nell’aprile del 1982, du-rante la campagna di catalogazione attuata dall’am-ministrazione provinciale, la mostra malamente inserita nella specchiatura dell’altare Spaur, al po-sto della tela che vi è oggi ospitata. Purtroppo la collocazione odierna non ne permette una lettura a distanza ravvicinata, e c’è di che rammaricarsene, poiché l’opera merita ogni considerazione dal punto di vista artistico. Nell’affrontare il tema cruento del martirio dell’apostolo Andrea il pittore ha scelto di stemperare la drammaticità dell’evento in un’atmo-sfera di sospensione fiabesca, alimentata dall’esoti-smo dei costumi e dalla profusione di dettagli aned-dotici. Alla dolente figura del santo inginocchiato, che attende con eroica rassegnazione il supplizio, si contrappongono i tre manigoldi e specialmente l’in-quietante piccolo uomo ricoperto di pustole e dal ridicolo cappello che sembra essere il sadico deten-tore degli strumenti di tortura. Nella parte opposta della composizione assistono alla scena un alabar-diere, un cavaliere e un paggio moro con un cane maculato al guinzaglio: un terzetto che presenta fisionomie e abbigliamento tipici dell’immaginario del pittore trentino, imbevuto della cultura figurati-va del tardo manierismo veronese. Il copricapo piu-mato del cavaliere ricorda in particolare la bizzarra figura del San Floriano visibile nella pala di Miola di Piné, firmata e datata 161335. Sullo sfondo si apre un paesaggio di gusto nordico, popolato da comparse in dissolvenza.

Nella pala di Tassullo, che porta la stessa data della paletta di Casalino e segue di un anno la stanca com-posizione della Madonna del Rosario di Cavedine36, Rovedata ritrova la verve narrativa del suo capola-voro giovanile, costituito dalle lunette affrescate nel 1605 nei chiostri del convento di San Bernardino a Verona37, oggi nuovamente godibili grazie al recen-te restauro (figg. 15, 16, 17). Dopo quell’esordio

131

12. Giovanni Battista Rovedata, Martirio di Sant’Andrea Apostolo, 1626. Tassullo, chiesa di Santa Maria Assunta

132

13. Giovanni Battista Rovedata, La Pentecoste, 1626. Tassullo, chiesa di Santa Maria Assunta

14. Giovanni Battista Rovedata, Martirio di Santa Caterina d’Alessandria, 1627. Tassullo, chiesa di Santa Maria Assunta

133

15. Giovanni Battista Rovedata, San Francesco d’Assisi resiste alle tentazioni, affresco, 1605. Verona, convento di San Ber-nardino, chiostro di San Francesco

16.-17. Giovanni Battista Rovedata, Storie di San Francesco d’Assisi, affreschi, 1605, particolari. Verona, convento di San Bernardino, chiostro di San Francesco

134

spettacolare, unanimemente lodato dagli scrittori d’arte veronesi38 – un vero tour de force, realizzato dal pittore nell’anno della morte del suo probabile maestro Felice Brusasorci – la sua produzione pre-senta un andamento qualitativo discontinuo, che dall’eccellenza dei due dipinti su paragone conserva-ti al Museo di Castelvecchio, firmati e datati 1616 e 161739, precipita alle ingenuità quasi naïf della coeva paletta di Balbido, come già rilevava Ezio Chini40. Anche le due tele con la Pentecoste e il Martirio di Santa Caterina d’Alessandria parlano il linguaggio estroso tipico del Rovedata, ma con qualche impac-cio nella resa anatomica delle figure: un limite che l’artista sembra voler eludere accentuando la vivaci-tà cromatica dei panneggi, in cui prevalgono le pre-dilette tonalità rosa e aranciate.

Nell’archivio parrocchiale di Tassullo si conser-va un inventario dei beni della Confraternita del Rosario datato 10 aprile 173941, dove si legge che “questa Confraternita fu erreta li 2. Aprile 1628. come consta da istrumento publico rogato d’Anto-nio Guarienti Not.o di Rallo”. Il principale bene del sodalizio era “un altare del S.mo Rosario, e capella colli quindeci misteri depinti intorno la capella”. Non si parla di una pala dipinta, che forse non è mai esistita, mentre oggi al centro dell’altare si apre una nicchia protetta da un vetro destinata al ricove-ro di una statua in legno policromato, raffigurante la Beata Vergine del Rosario (fig. 18). Finora tale manufatto – che reca sul piedistallo la scritta “Salve Regina” ed è circondato da cinque figure sospese di angioletti in volo – è passato inosservato e risulta catalogato come opera anonima del XIX secolo: in questa sede si propone di identificarlo con la scultu-ra dello stesso soggetto acquistata dalla parrocchia nel 1868 a Milano dallo scultore solandro Leonardo Gaggia42. In un fascicolo manoscritto aggiunto all’inventario patrimoniale della chiesa parrocchiale stilato alla fine del 1865, e ad esso rilegato, si legge infatti la seguente notizia: “1868 in Maggio: si provi-de la Statua della Madonna del Rosario fatta dal S.r Leonardo Gaggia in Milano per pezzi 13 ½ d’oro da 20 f.i che fan 122,85”43. Si tratta dunque di una del-le numerose statue devozionali prodotte dall’artista durante il suo soggiorno milanese e prima del suo trasferimento a Cles, dove fu chiamato nel 1870 a dirigere la locale scuola di disegno e d’intaglio.

Ma torniamo all’altare nel suo insieme: a un anno di distanza dalla fondazione della confraternita fu re-alizzata la cappella che lo ospita, ricavata sfondando

la parete settentrionale della navata sinistra, come ricorda l’epigrafe murata nello sguincio della parete di destra: “CAPEL. HA’C IN HON. B. / V. M’RE EREXIT ÆRE / SVO IO: IA: CALAVINO / PLEB AN 1629”. Fu dunque Giovanni Giacomo Calavino, pievano di Tassullo dal 1623 al 163744 e successiva-mente arciprete di Cavalese45, ad erigere a sue spese la cappella e, presumibilmente, anche l’altare, dando così immediata esecuzione all’ordine di dotare la con-fraternita di un proprio altare, impartito dal principe vescovo Carlo Emanuele Madruzzo durante la sacra visita del giugno 162846.

Il manufatto è costituito da stucco e intonaco po-licromato con parti in legno dipinto a finto marmo, secondo uno schema di gusto tardo-manierista a colonne corinzie binate sorreggenti un architrave e un timpano semicircolare spezzato, con profusione di modanature, volute, cherubini e ornati fitomorfi. Recentemente è stata formulata un’attribuzione che riguarda i tre angeli reggiscudo della cimasa (fig.

18. Paolo Carneri (?), Altare della confraternita del Ro-sario, 1629. Tassullo, chiesa di Santa Maria Assunta. La nicchia ospita una statua lignea della Madonna di Leo-nardo Gaggia acquistata nel 1868

135

19. Paolo Carneri (attr.), Angeli reggiscudo, 1629. Tassullo, chiesa di Santa Maria Assunta (stato anteriore alla rimozione degli ovali dipinti)

20.-21. Elia Naurizio (attr.), Assunzione della Vergine Maria in Cielo e Annunciazione, 1629 circa. Tassullo, chiesa di Santa Maria Assunta

136

137

19), assegnati dubitativamente da Luca Siracusano a Paolo Carneri47, sulla base del confronto stilistico con le poche opere sicure dello scultore trentino: un’i-potesi che ci pare del tutto plausibile e che si deve estendere probabilmente al disegno dell’intero altare. I tre scudi contenevano fino a pochi anni fa altrettan-ti dipinti, che oggi sono provvisoriamente sistemati sull’antipendio dell’altare (figg. 20, 21). Le tre tele di formato ovale raffigurano rispettivamente l’Assunzio-ne di Maria, l’Incoronazione di Maria e l’Annuncia-zione48. Si tratta degli episodi culminanti di un ciclo pittorico di soggetto mariano, che prosegue nelle se-dici scene di formato più piccolo, esprimenti i Misteri del Rosario, dipinte su tavolette di legno di circa 20 centimetri di lato collocate intorno alla specchiatura centrale dell’altare. Come già proposto da Salvatore Ferrari49, gli ovali maggiori sono attribuibili su base stilistica al pittore trentino Elia Naurizio, che insieme al Teofilo e al Rovedata fu uno dei più attivi prota-gonisti della pittura sacra in Trentino nei primi tre decenni del Seicento50. Le tre scene presentano infatti strette affinità con il ciclo di affreschi realizzato dal Naurizio nella cappella di Castel Caldes, databile allo stesso anno dell’altare di Tassullo51, e con molti altri dipinti a olio del suo catalogo. Di altra mano si direb-bero invece i sedici medaglioni più piccoli, alcuni dei quali rivelano una notevole maestria di pennello e un linguaggio espressivo che si ricollega a modelli veneti della seconda metà del Cinquecento (fig. 22).

In un Inventario de mobili che si ritrovano nella Chiesa Parochiale di Tassullo compilato nel 1672 si trovano menzionati “quadri di considerab.e, et di valore n° 12, ne’ quali sono depinti con figure ad usum di precetti decalugi”52. Di questa serie di dipinti raffiguranti i dodici comandamenti non ab-biamo altre notizie e dobbiamo ritenerla da lungo tempo dispersa. Parimenti perduto è il quadro che si trovava in sacrestia “coll’imagine del Crocefisso, e con altre imagini, che serve ivi p. altarino” nomina-to nell’Inventario de mobili compilato nel 1708 per cura del parroco Gasparo Cova53. Nello stesso do-cumento sono elencati, a seguire, “quadri tre sopra l’armaro delli calici” e “altri 5. quadri, che adornano la Sacrestia”: questi ultimi sicuramente identificabili con le quattro lunette e la tela del soffitto tuttora in situ, realizzate nel 1702 1702 (figg. 23-26). Si tratta di un ciclo unitario raffigurante episodi della vita di Cristo (Adorazione dei pastori, Adorazione dei magi, Ultima Cena, Orazione nell’orto e Ascensione), ri-conducibile a un ignoto pittore locale di modesto

livello, ingaggiato dal pievano Gaspare Cova al termine dei lavori di ampliamento della sacrestia (1698). Don Cova coinvolse nel progetto decora-tivo il notaio Michele Busetti, nobile di Rallo, e il sacerdote Nicolò Pilati di Tassullo – che si fregiava del titolo di cappellano di Sua Maestà Cesarea l’im-peratore54 – come si ricava dai rispettivi stemmi e dalle iscrizioni apposte all’Adorazione dei pastori55 e all’Ultima Cena56 (figg. 23, 24). Poco sappiamo del notaio Busetti: forse è il committente dell’alta-re che porta lo stemma della sua famiglia e che fu eretto nella navata sinistra dopo la visita pastorale del 1696. Sul conto di don Nicolò Pilati durante la stessa visita erano state raccolte le seguenti notizie: “d’anni 40 da Tassullo, era senza beneficio, senza pensione e senza cura d’anime. Però confessava e suonava l’organo per suo diporto. Si dilettava an-che del giuoco del picchetto. Egli aveva l’obbligo di una messa in settimana fondata dal sig. Federico Pasotti di Tuenno”57. A prescindere dal loro medio-cre pregio artistico, le lunette di Tassullo si inseri-scono armoniosamente nello spazio architettonico della sacrestia e contribuiscono a semantizzarlo con perfetta pregnanza teologica: in questo senso esse rappresentano un significativo antefatto dell’analo-ga e più raffinata impresa decorativa attuata oltre vent’anni dopo nella parrocchiale di Vigo di Ton per iniziativa del pievano Pietro Antonio Guardi.

Il già citato Inventario de mobili del 1708 ci infor-ma che a quella data esistevano “quadri sop.a le collo-ne della Chiesa n.° 8. con l’imagine d’Apostoli tutti 8. d’una grandeza c.a”58: anche in questo caso non è dif-ficile ravvisare in essi le otto tele tuttora conservate in chiesa raffiguranti otto dei dodici apostoli (fig. 27). La serie è attribuibile al medesimo artista che dipinse le lunette della sacrestia e fu realizzata nello stesso 1702, data segnata in rosso sulle tele raffiguranti San Pietro e San Giovanni Evangelista, al termine delle iscrizio-ni che ci ricordano i nomi dei donatori, tali Antonio Corradini e Bartolomeo de Valentinis. Di particola-re pregio sono le coeve cornici in legno intagliato.

Procedendo nella lettura dell’inventario, si rin-viene un “Quadro di s.o Spiridione appeso al muro” sopra l’armadio un tempo esistente presso la cap-pella del Rosario, opera di rara iconografia in area trentina, sfortunatamente dispersa, alla stessa stre-gua del “Quadro della Mad.na” che stava sopra il confessionale presso l’altare di Sant’Andrea. È invece giunto fino ai giorni nostri il “quadro delli santi Ignatio, e Fran.co Saverio appeso al muro sop.a

22. Pittore ignoto, Flagellazione di Cristo, dalla serie dei Misteri del Rosario, ante 1629. Tassullo, chiesa di Santa Maria Assunta

138

23. Pittore ignoto, Adorazione dei pastori, 1702. Tassullo, chiesa di Santa Maria Assunta, sacrestia

24. Pittore ignoto, Ultima cena, 1702. Tassullo, chiesa di Santa Maria Assunta, sacrestia

139

25. Pittore ignoto, Adorazione dei magi, 1702. Tassullo, chiesa di Santa Maria Assunta, sacrestia

26. Pittore ignoto, Orazione nell’orto degli ulivi, 1702. Tassullo, chiesa di Santa Maria Assunta, sacrestia

140

27. Pittore ignoto, San Paolo Apostolo, 1702. Tassullo, chiesa di Santa Maria Assunta

141

Madonna; “quadri due uno per parte” dell’altare del Rosario, raffiguranti rispettivamente San Francesco e la Beatissima Vergine; “un quadro in mezo della Madre S.ma col cristallo” sull’altare di Sant’Anna; un “quadro di St Pietro pittura vecchia” posto “sopra l’uscio del campanile”; un quadro non altrimenti specificato sopra il pergamo, insieme al crocifisso; e “un quadro di St.o Gio. Nepomuceno”, quest’ultimo ravvisabile nella tela che funge oggi da pala sull’altare Busetti62, raffigurante il santo boemo in adorazione del crocifisso e la scena del suo annegamento nel fiu-me Moldava sullo sfondo, mentre un cartiglio dipin-to nell’angolo inferiore destro lo invoca come “ho-noris custos” (fig. 29). Il documento registrava infine “un quadro di Sant Ant.o e l’arma Pilati” sull’altare omonimo, unitamente ad “altri quadretti votivi” non pervenutici. La pala di Sant’Antonio di Padova è tut-tora collocata sul primo altare laterale destro, eretto con l’intera cappella dalla famiglia dei baroni Pilati, come si evince dagli stemmi che ostenta, ivi incluso il pregevole scudo araldico in legno intagliato e dipinto

li banchi doneschi Pilati e Tabarello”. Si tratta del dipinto raffigurante la Madonna Immacolata invo-cata dai santi gesuiti Ignazio di Loyola e Francesco Saverio59, che mostra in secondo piano una curiosa scena: due gruppi di uomini armati sembrano fron-teggiarsi sulle pendici di un colle, sopra il quale sor-ge una chiesa attorniata da edifici rustici (fig. 28). L’inserto potrebbe forse alludere all’invasione delle truppe francesi subita dal Trentino nel 1703, duran-te la guerra di successione spagnola60.

Ricco di informazioni si rivela essere l’Inventario de utensili, e mobili della Chiesa Parochiale, docu-mento stilato il 25 aprile 1739 per volere del pievano Cristoforo Cristani61. In esso sono nominati nuo-vamente i “quadri otto delli Appostoli posti sopra ogni collona” e il “quadro grande di St. Ignatio” e numerose altre opere pittoriche oggi non riscontra-bili. Sappiamo così che in chiesa era presente: un “quadro di Sant Rocco”, che era posto presso l’alta-re di San Pietro, di patronato della famiglia Busetti, sopra l’armadio della statua processionale della

28. Pittore ignoto, La Madonna Immacolata con i Santi Ignazio di Loyola e Francesco Saverio, ante 1708. Tassullo, chiesa di Santa Maria Assunta

29. Pittore ignoto, San Giovanni Nepomuceno, ante 1739. Tassullo, chiesa di Santa Maria Assunta

142

30. Pittore ignoto, Madonna col Bambino, angeli musicanti e i Santi Pietro Apostolo e Sebastiano. Tassullo, chiesa di Santa Maria Assunta

143

che è appeso alla parete verso il campanile, probabil-mente un Totenschild. Da questa cappella proviene presumibilmente anche la lastra tombale in marmo rosso recante lo stemma Pilati oggi ricoverata nell’a-trio del municipio. Il dipinto versa in cattivo stato di conservazione, alla stessa stregua delle altre due tele incluse nell’altare ligneo, che raffigurano La predica di Sant’Antonio ai pesci (nella specchiatura superio-re) e San Giuseppe col Bambino Gesù tra i Santi Carlo Borromeo e Antonio di Padova (nel paliotto). La pala ricalca un modello iconografico molto diffuso, deri-

vante da un’immagine trecentesca del Taumaturgo conservata nella basilica del Santo a Padova e a lun-go considerata la ‘vera effigie’ di Antonio63: a essa allude l’iscrizione latina che corre sopra lo stemma Pilati: “VERA D, ANTONŸ / VLŸSIPONE’SIS EX / LVSITANIA, ET DE / PADVA DICTVS / EF’IGIES QVI ANN. / VIXIT 36 OBŸT / 1231, 13 IVNŸ / FERIA 6.^ CANONI: / ZATVS A GREGO. / 9.° IN VRBE SPOLETA- / NA 1232, DIE PENTE- / COSTES.” (“vero ritratto di S. Antonio da Lisbona in Portogallo, detto di Padova, che visse 36 anni,

32. Francesco Paoli, Cristo crocifisso con la Vergine Ma-ria e San Giovanni Evangelista, 1692. Tassullo, chiesa di Santa Maria Assunta

31. L’interno della chiesa pievana di Tassullo nel 1895. La fotografia di Otto Schmidt documenta che a quella data la pala dei Santi Pietro e Sebastiano era collocata sull’altare Busetti

144

33. Matthias Lamp, La Vergine Maria in gloria e i Santi Romedio e Massenza, 1765. Tassullo, chiesa di Santa Maria Assunta

145

morì il 13 giugno 1231, feria sesta, e fu canonizzato da Gregorio IX nella città di Spoleto nel 1232 il gior-no di Pentecoste”). Pale d’altare assai simili a quella di Tassullo si conservano nella chiesa conventuale di San Bernardino a Trento e nella chiesa parrocchiale di Volano. Il tenore dell’iscrizione induce a ipotizzare che il dipinto fosse stato commissionato nel biennio 1631-1632, in concomitanza con le celebrazioni del quarto centenario della morte e della canonizzazione del santo.

Sulla pala dell’altare Spaur (fig. 30) poco è da ag-giungere a quanto ha già scritto Salvatore Ferrari nel suo recente contributo dedicato alle committen-ze d’arte sacra della nobile famiglia64. La tela misu-ra cm 243×165 e raffigura la Madonna con Gesù Bambino in gloria tra angeli musicanti, San Pietro Apostolo (e non il domenicano San Pietro Martire, come finora ritenuto)65 e San Sebastiano. Come do-cumenta una fotografia scattata in chiesa nel 1895 dal fotografo viennese Otto Schmidt, alla fine del XIX secolo il dipinto era collocato sull’altare baroc-co eretto dalla nobile famiglia Busetti nella navata opposta (fig. 31). Peraltro anche l’odierna ubicazio-ne non sembra essere quella originaria, data l’evi-dente disparità di misure tra la tela e la specchiatura dell’altare. Quest’ultimo reca la data del 1649, men-tre la pala è certamente più antica, a giudicare dal-la resa calligrafica delle chiome e delle barbe, dalla foggia degli strumenti musicali e soprattutto dal fondo oro utilizzato per la volta celeste, che confe-risce all’immagine un sapore decisamente attardato. Un termine di paragone, almeno per quanto con-cerne il fenomeno della sopravvivenza dei fondi oro in area anaune fino a tutto il Cinquecento e oltre, è offerto da un dipinto conservato nella chiesa par-rocchiale di Fondo, raffigurante Cristo in croce tra i Santi Rocco e Giovanni Battista66. L’ipotesi più pro-babile è che il dipinto coi Santi Pietro e Sebastiano costituisse la pala dell’antico altare di patronato della famiglia Busetti, poi rimpiazzato dall’attuale manufatto settecentesco attribuito all’intagliatore Sisinio Alessandro Prati.

Nei registri dei conti della pieve è più volte regi-strato, a cavallo dell’anno 1700, il nome di un pitto-re e indoratore di nome Francesco Pauli (o Paoli) di Tuenno67. Questa personalità, di cui Negri e Weber ricordano numerose opere nelle chiese di Nanno, Mollaro, Toss, Denno, Cles e in Val di Sole68, è l’autore della grande tela centinata raffigurante Cristo crocifisso con la Vergine Maria e San Giovanni

Evangelista ploranti che oggi è appesa alla pare-te settentrionale del presbiterio (fig. 32). Lungo il margine inferiore della tela, ai piedi della Madonna, si legge infatti chiaramente la firma “F: de Paulis A. 1692”.

È andato disperso un apparato dipinto di epoca barocca che in un inventario redatto nel 1807 dal parroco don Vincenzo de Schrattemberg è effica-cemente descritto nei seguenti termini: “Machina pitturata di legno a gusto germanico per Santo Sepolcro”69. Nello stesso inventario sono citati due quadri raffiguranti San Luigi e la Madonna del Buon Consiglio, tipiche immagini devozionali presenti an-cora oggi in molte chiese del Trentino70, ma che a Tassullo sono scomparse.

Ci è invece pervenuto, ancorché dimidiato e in cattivo stato di conservazione, un gonfalone dipin-to nel 1765 dal pittore pusterese Matthias Lamp, residente a Romeno dal 1723 e padre del più noto Giovanni Battista Lampi71 (fig. 33). Si tratta di una tela di cm 125×96 raffigurante La Vergine Maria in gloria e i Santi Romedio e Massenza, che reca in bas-so a destra la segnatura “1765 / M.L.P” (Matthias Lamp Pinxit). Come attestano le fotografie scattate durante la catalogazione provinciale del 1982, il di-pinto in origine era il recto di un gonfalone dedicato ai santi patroni della diocesi di Trento e mostrava sul verso la raffigurazione di San Vigilio in gloria. Nel corso di un restauro non documentato venne trasformato in un quadro ‘da cavalletto’, sacrifican-do il secondo lato. L’opera, caratterizzata dalla viva-cità popolaresca tipica di Matthias, è da identificare con il gonfalone dipinto “da uno dei celebri Lampi” menzionato nel 1910 da Francesco Negri nella ca-nonica di Tassullo72. Dal punto di vista cronologico essa si colloca nella fase senile della modesta carrie-ra dell’artista, tra la pala di Santo Stefano a Cloz, datata 1761, e la Via Crucis di Revò risalente al 1766.

Alla seconda metà del XVIII secolo risale un grande dipinto su tela raffigurante il Martirio dei Santi Dionigi, Rustico ed Eleuterio, che si segnala per la rara iconografia (fig. 37). San Dionigi, confu-so nella letteratura agiografica con Dionigi l’Areo-pagita, visse nel III secolo e fu vescovo di Parigi. Fu decapitato insieme ai compagni di fede Rustico ed Eleuterio sulla collina che da questo episodio prese il nome di Montmartre. La tela, che giaceva in un ripostiglio priva di telaio e arrotolata, è tornata leg-gibile dopo il restauro eseguito nel 1998 dai fratelli Gervasi di Denno: al centro della composizione è

146

34. Bartolomeo Rasmo, Gesù davanti a Pilato, prima stazione della Via Crucis, 1839. Tassullo, chiesa di Santa Maria Assunta

35. Bartolomeo Rasmo, Gesù deposto dalla croce, tredice-sima stazione della Via Crucis, 1839. Tassullo, chiesa di Santa Maria Assunta

raffigurato San Dionigi – riconoscibile dai para-menti episcopali e dal nimbo di luce intorno al suo capo – che attende in preghiera la morte imminen-te, mentre ai suoi due compagni è già stata mozzata la testa. Dal cielo irrompono sulla scena tre angio-letti recanti ciascuno la corona d’alloro e la fronda di palma destinate a onorare il sacrificio dei martiri.

Per quanto concerne la pittura del XIX secolo, l’opera più notevole pervenuta alla pieve di Tassullo è la Via Crucis, le cui 14 stazioni furono dipinte nel 1839 dal pittore fiemmese Bartolomeo Rasmo, come si ricava dalla firma segnata dal pittore sul-la prima stazione: “B. RASMO / PREDAZZO / MDCCCXXXIX” (fig. 34). Nato a Predazzo nel 1810, l’artista studiò all’Accademia di Belle Arti di Venezia e fece poi ritorno in patria, dove morì nel 1846, alla giovane età di 36 anni73. Fu princi-

palmente autore di pale d’altare e composizioni sa-cre minori, sparse nelle chiese delle valli dell’Avisio, in Primiero e nell’Anaunia, con incursioni anche in area tedesca, come testimonia l’Ultima cena di Cornaiano, firmata e datata 1837, di cui si conosce anche un disegno preparatorio74. Tali opere denun-ciano la medesima matrice classicista e accademica che connota le quattordici tele di Tassullo75 (fig. 35), rese con una pennellata diligente ma a tratti inges-sata, che si ravvisa anche in una tela raffigurante la Madonna Addolorata oggi custodita in canonica76 (fig. 36). Il ciclo della Passione di Tassullo viene così a rappresentare, dopo l’Addolorata di Cristoforo Unterperger della chiesa dei Francescani di Cles e l’Assunta di Lampi della parrocchiale di Romeno, una delle rare manifestazioni della pittura sacra di gusto neoclassico rintracciabili in Val di Non.

147

36. Bartolomeo Rasmo (attr.), Madonna Addolorata, 1839 circa. Tassullo, canonica della parrocchiale

148

149

NOTE AL TESTO

Ringrazio Domizio Cattoi per la fattiva collaborazione, non-ché Ezio Chini, Salvatore Ferrari e Italo Franceschini per le informazioni che mi hanno fornito. Un vivo ringraziamento al parroco di Tassullo don Luciano Wegher e al vicesindaco Marco Benvenuti per la costante disponibilità.

1 J. A. Maffei, Periodi istorici e topografia delle valli di Non e Sole nel Tirolo meridionale, Rovereto 1805, p. 107 e nota c.

2 Per alcune notizie su Jacopo Antonio Maffei (Revò, 1745-ivi, 1806) e la sua famiglia si veda R. Pancheri, I Maffei: una storia ritrovata. Guida alla Casa Campia e all’Archivio Maffei di Revò, Revò (TN) 2002.

3 H. Semper, Wanderungen und Kunststudien in Tirol, Innsbruck 1894, p. 222.

4 Nel manoscritto dal titolo Tyrolis pictoria et statuaria del 1742, conservato nella Biblioteca del Ferdinandeum di Innsbruck, Anton Roschmann annota il nome di “Martin Theophilus Polakh”. Cfr. G. B. Emert, Fonti manoscritte ine-dite per la storia dell’arte nel Trentino, Trento 1939, p. 29.

5 M. Bersohn, Martinus Teophilus Polak: ein Maler des XVII.ten Jahrhunderts, Frankfurt am Main 1891. Nel libro la pala di Tassullo non è menzionata.

6 F. Negri, Memorie della parrocchia e dei parroci di Tassullo, Trento 1910, p. 122.

7 O. Brentari, Guida del Trentino, 4 voll., Bassano 1890-1902, IV, p. 101.

8 S. Weber, Artisti Trentini ed Artisti che operarono nel Trentino, Trento 1933, pp. 231-232; Id., Le chiese della Valle di Non nella storia e nell’arte. I decanati di Cles e di Fondo, Trento 1937, p. 41: in questa sede l’autore riporta la firma nella versione latina Martinus Theophilus Polonus, ma nell’indice dei nomi si ritrova la denominazione italiana. È a firma di Simone Weber anche la voce “Polak (Pollak), Martin Theophilus” inclusa nel 1933 nel XXVII volume del Thieme-Becker.

9 O. Doering, Des Augsburger Patriciers Philipp Hainhofer Reisen nach Innsbruck und Dresden, Wien 1901 (“Quellenschriften für Kunstgeschichte und Kunsttechnik des Mittelalters und der Neuzeit”, Neue Folge, 10. Band), p. 91.

10 Per un profilo su Martino Teofilo si rinvia a E. Mich, Polacco Martino Teofilo, in La pittura nel Veneto. Il Seicento, a cura di M. Lucco, 2 voll., Milano 2000-2001, II, pp. 862-863.

11 S. Weber, Artisti trentini ed artisti che operarono nel Trentino, [Trento 1944], ed. riveduta e ampliata a cura di N. Rasmo, Trento 1977, p. 282.

12 S. Szymanski, Martino Teofilo Polacco pittore (1570-1639), Trento 1965 (“Collana Artisti Trentini”, 46), p. 10.

13 G. Sava, Le origini fiamminghe del pittore Martino Teofilo Polacco, in “Studi Trentini. Arte”, 92, 2013, 1, pp. 161-166.

14 L’ipotesi era già stata formulata da Giuseppe Fiocco. Cfr. G. Fiocco, Martino Teofilo un maestro italo-polacco, in “Emporium”, LV, 1949, 2, p. 61.

15 L’ipotesi che il dipinto sia un autoritratto è respinta da H. Hammer, Die Entwicklung der barocken Deckenmalerei in Tirol, Strassbourg 1912, p. 387.

16 O. Doering, Des Augsburger Patriciers Philipp Hainhofer Reisen…, cit., p. 91. Hainofer parla di “Landschäfftlen vom Ludovico di Treviso”, che il curatore dell’edizione, Oscar Doering, definisce “sonst nicht bekannter Künstler”. L’identificazione col Pozzoserrato si deve a Giuseppe Fiocco, il quale tuttavia dimostra di non aver mai letto il Diario di Hainofer, erroneamente citato nel suo articolo. Cfr. G. Fiocco, Martino Teofilo…, cit., p. 62.

17 Ibidem. Si noti che l’autore datava erroneamente la pala di Tassullo al 1619.

18 Sulle due opere si veda S. Mason Rinaldi, Palma il Giovane. L’opera completa, Venezia 1984, pp. 73-74, 134-135, 214, 366, nn. 8, 497, figg. 74, 443.

19 Sul ciclo palmesco di Riva si veda:“Di eccellenti pitture adorna”. Le pale d’altare dell’Inviolata, catalogo della mostra (Riva del Garda, Museo Civico, 7 luglio-4 novembre 2007), a cura di E. Mich, Trento 2007.

20 S. Mason Rinaldi, Palma il Giovane…, cit., pp. 108, 335, n. 259, fig. 367.

21 Sulla pala si veda N. Rasmo, Storia dell’arte nel Trentino, Trento 1982, pp. 226-227, fig. 286.

22 Sul manufatto si veda il saggio di Domizio Cattoi in que-sto stesso volume (fig. 1).

23 Il restauro fu eseguito tra il 16 marzo e il 14 novem-bre 1998 nel laboratorio di Serafino e Marco Volpin ad Arre (Padova). L’intervento fu autorizzato e finanziato dall’allo-ra Ufficio Beni storico-artistici della Provincia autonoma di Trento, sotto la direzione scientifica di Elvio Mich e con l’assistenza tecnica di Roberto Perini. Su questo e altri re-stauri di dipinti di pertinenza della pieve e della chiesa di Sanzenone si veda anche l’opuscolo La pala maggiore di Martino Teofilo Polacco e altri dipinti restaurati a Tassullo, [a cura di R. Pancheri], Tassullo (TN) 1998. Nel 1942 la Soprintendenza di Trento autorizzò la parrocchia a restaura-re la pala dell’altare maggiore: l’intervento fu eseguito dalla restauratrice Ady Werner.

37. Pittore ignoto, Martirio dei Santi Dionisio, Rustico ed Eleuterio. Tassullo, chiesa di Santa Maria Assunta

150

24 Dipinti veneti restaurati dalla chiesa di Tiarno di Sotto, catalogo della mostra (Trento, Castello del Buonconsiglio, 13 ottobre-9 dicembre 1990), a cura di E. Mich, Trento 1990 (“Beni Artistici e Storici del Trentino. Quaderni”, 1), pp. 16-23.

25 Un serto di putti assiepati tra le nubi, di evidente ascen-denza tizianesca, sarà riproposto da Martino Teofilo nello Sposalizio della Vergine della Servitenkirche di Innsbruck. Per un’immagine si veda S. Szymanski, Martino Teofilo Polacco…, cit., p. 92, tav. 41.

26 Su Pietro Gezzi, pievano di Tassullo dal 1591 al 1623, si veda F. Negri, Memorie della parrocchia…, cit., pp. 116-126, oltre al profilo stilato da Alberto Mosca in questo volume.

27 S. Ferrari, Le committenze d’arte sacra della famiglia Spaur per le chiese d’Anaunia, in Castel Valer e i conti Spaur, a cura di R. Pancheri, Tassullo (TN) 2012, p. 410.

28 “… und ist diser Martinus gar ain gut Mändlin”. Cfr. O. Doering, Des Augsburger Patriciers Philipp Hainhofer Reisen…, cit., p. 91.

29 R. Pancheri, Il dizionario degli artisti trentini di Simone Weber: aspetti e problemi di un cantiere aperto, in L’eredità cul-turale di Simone Weber (1859-1945), atti della giornata di stu-di (Denno, 14 novembre 2009), a cura di R. Pancheri, Trento 2010, pp. 92, 108, fig. 17 (l’immagine, risalente al 1982, mo-stra lo stato del dipinto anteriore al recente restauro). La pala era stata assegnata a Rovedata su base stilistica già da Elvio Mich: cfr. E. Mich, scheda, in I Madruzzo e l’Europa 1539-1658. I principi vescovi di Trento tra Papato e Impero, catalogo della mostra (Trento, Castello del Buonconsiglio), a cura di L. Dal Prà, Milano-Firenze 1993, pp. 199-200.

30 Per un profilo di Giovanni Battista Rovedata (Trento, 1570 ca.-post 1630), oltre al fondamentale contributo di S. Weber, Giovanni Battista Rovedata pittore di Trento, in “Studi Trentini”, IV, 1923, pp. 41-46, si veda E. Mich, Rovedata, Giovanni Battista, in La pittura nel Veneto. Il Seicento…, cit., II, p. 871.

31 Sui due altari si veda il saggio di Domizio Cattoi pubbli-cato in questo volume (figg. 12-13).

32 H. Semper, Wanderungen…, cit., p. 222.

33 Sul manufatto – un manichino settecentesco – si veda il saggio di Massimo Negri in questo stesso volume (fig. 10).

34 Archivio Diocesano Tridentino (d’ora in poi ADT), Acta Visitalia 96 (1616), c. 21.

35 Sulla pala, che raffigura la Madonna col Bambino e i Santi Rocco, Sebastiano, Fabiano, Dorotea e Floriano, si veda M. Ferrari, scheda, in Arte e persuasione. La strategia delle immagini dopo il concilio di Trento, catalogo della mostra (Trento, Museo Diocesano Tridentino, 7 marzo-29 settembre

2014), a cura di D. Cattoi e D. Primerano, Trento 2014, pp. 176-177, cat. 3.7.

36 E. Mich, Note su alcuni dipinti restaurati nel 1983, in “Studi Trentini di Scienze Storiche”, sez. II, LXII, 1983, 2, pp. 302, 307, 319-320 (ill.); E. Chini, Attività di restauro del patrimo-nio artistico nel 1984, in “Studi Trentini di Scienze Storiche”, sez. II, LXV, 1986, 1-2, pp. 103, 105, 110, 111, figg. 46-47.

37 Per un inquadramento critico del ciclo di San Bernardino si veda S. Marinelli, Verona, in La pittura nel Veneto. Il Seicento…, cit., I, p. 338, fig. 420.

38 Così le giudicava, ad esempio, Diego Zannandreis, unen-dosi agli elogi già espressi da Bartolomeo Dal Pozzo e da Saverio Dalla Rosa: “Ammirasi in queste proprietà d’inven-zione, buon disegno, colorito a fresco ed un pennello pronto e sicuro; quanto poi v’ha di paesaggio è toccato mirabilmen-te; e le figure sono atteggiate con grazia e sveltezza”. Cfr. D. Zannandreis, Le vite dei pittori scultori e architetti veronesi, ed. a cura di G. Biadego, Verona 1891, p. 186.

39 L. Magagnato, Giovanni Battista Rovedata, in Cin- quant’anni di pittura veronese 1580-1630, catalogo della mo-stra (Verona, Loggia della Gran Guardia, 3 agosto-4 novem-bre 1974), a cura di L. Magagnato, Venezia 1974, pp. 98-99, cat. 69-70, figg. 93-94.

40 E. Chini, I dipinti, in Dalle chiese delle Giudicarie Esteriori un esempio di catalogazione, catalogo della mostra (Castello di Stenico, 19 luglio-27 ottobre 1991), a cura di E. Chini e F. Menapace, Trento 1991 (“Beni Artistici e Storici del Trentino. Quaderni”, 2), pp. 90, 113, cat. 62.

41 APT, 3.9.1, Urbario generale delle chiese e confraternite della pieve di Tassullo con Tuenno e Nanno, c. 226.

42 Su Leonardo Gaggia (Cusiano, 1820-Trento, 1902) si veda: S. Weber, Artisti Trentini…, cit., pp. 130-131; Val di Sole: storia, arte, paesaggio, a cura di S. Ferrari, Trento 2004, pp. 37, 169, 172, 181; Val di Non: storia, arte, paesaggio, a cura di E. Callovi e L. Siracusano, Trento 2005, pp. 35, 223; P. Dalla Torre, Salvatore Leonardo Gaggia: una precisazione biografica, in “Studi Trentini di Scienze Storiche”, sez. I, LXXXIV, 2005, 4, pp. 681-685, con bibliografia.

43 APT, 4.1.3, c. 58v., n. 3.

44 F. Negri, Memorie della parrocchia…, cit., pp. 127-135.

45 G. Tovazzi, Parochiale Tridentinum, a cura di R. Stenico, Trento 1970, pp. 426-427. Tovazzi annotò che di questo sa-cerdote si serbava memoria nella chiesa campestre di Santo Spirito “erecta inter Tassullum, et Thuenum” (oggi non più esistente), all’interno della quale si leggeva la seguente epigra-fe: “Temp. hoc in hon. S. Spiritus dicat. a Io. / Ia. Calavino Trid. Past. Ecc. Tass. ex elem. / col. Ab ipso et priis a funda. renovat. An. 1629”.

151

46 F. Negri, Memorie della parrocchia…, cit., p. 132.

47 L. Siracusano, Giandomenico Carneri e la scultura tren-tina del secondo Cinquecento (con una proposta per Paolo), in “Studi Trentini di Scienze Storiche”, sez. II, LXXXVIII, 2009, 1-2, pp. 103, 104, fig. 9.

48 Olio su tela, cm 51×34.

49 S. Ferrari, I Thun e le loro committenze d’arte in Val di Sole, in La famiglia Thun in Val di Sole e in Trentino, atti delle conferenze, a cura di A. Mosca, Malé (TN) 2011, p. 165, fig. 23.

50 S. Weber, Artisti trentini…, cit., pp. 250-252.

51 R. Colbacchini, La cappella di Santa Maria nel castello di Caldés: un inedito ciclo di affreschi di Elia Naurizio, in “Studi Trentini di Scienze Storiche”, sez. II, LXXV-LXXVII, 1996-1998, pp. 93-116.

52 APT, 9.1.2, Libro II. Urbari e Istromenti della parroc-chia di Tassullo e sue figliali (1664-1786), c. 37v. L’esistenza di questi dipinti era stata segnalata anche da F. Negri, Memorie della parrocchia…, cit., p. 161.

53 Invent.’ de mobili della Prch’le di Thasso; in qualli si com-prendon anco quelli della cap.a del SS.mo Ros.°: APT, 9.1.2, Libro II. Urbari e Istromenti della parrocchia di Tassullo e sue figliali (1664-1786), cc. 165-167.

54 Su don Nicolò Pilati (Tassullo, 1656-ivi, 1720) si veda C. Pilati, M. Pilati Lusuardi, Un contributo alla genealogia della famiglia Pilati di Tassullo, s.l. [Milano 2009], pp. 7, 34, 61.

55 “MICH: BVS[…] NOT[…] DE RALO ECCLESa PAROCH: THASS: DONO: DEDIT. 1702”.

56 “REV’.ms DM’VS NICOLAVS PILATI SACR. / REGIÆ ROMANORV’. MAIESTATIS CAPEL[…] / DONO DE-DIT ANNO. 1702”

57 F. Negri, Memorie della parrocchia…, cit., p. 170.

58 APT, 9.1.2, Libro II. Urbari e Istromenti della parroc-chia di Tassullo e sue figliali (1664-1786), c. 166v. Cfr. anche F. Negri, Memorie della parrocchia…, cit., p. 178.

59 Olio su tela, cm 181×116.

60 Sull’invasione del 1703 si veda L. Bressan, L’invasione francese del Trentino nel 1703: la campagna del generale Vendôme attraverso la corrispondenza conservata presso l’Ar-chivio francese della Guerra a Parigi, Arco (TN) 2001.

61 APT, 3.9.1, Urbario generale delle chiese e confraternite della pieve di Tassullo con Tuenno e Nanno, cc. 2-3.

62 Olio su tela, cm 189×108.

63 C. Semenzato, Sant’Antonio in settecentocinquant’anni di storia dell’arte, Padova 1981, p. 32, tav. III.

64 S. Ferrari, Le committenze d’arte sacra…, cit., pp. 409-411, fig. 4.

65 Si noti infatti che il santo impugna nella mano destra una chiave, attributo iconografico del principe degli apostoli.

66 Per un’illustrazione si veda Sulle orme di S. Giacomo di Compostela: vie e pellegrini nella storia del Trentino, a cura di S. Vernaccini, Trento 1994, p. 29 (dove il San Rocco è errone-amente identificato con San Giacomo). Ringrazio Ezio Chini per la segnalazione.

67 F. Negri, Memorie della parrocchia…, cit., pp. 156, 172-173, 187.

68 S. Weber, Artisti trentini…, cit., pp. 268-269.

69 APT, 4.1.3, Inventario della Chiesa Parrocchiale di Tassullo, 1807, c. 5.

70 Sulla diffusione in Val di Non della devozione alla Madonna del Buon Consiglio, immagine venerata nel san-tuario di Genazzano, si veda R. Pancheri, Lampi: opere sacre, Sanzeno (TN) 2013, pp. 54-58.

71 Su Matthias Lamp (San Lorenzo di Sebato, 1698 ca.-Romeno, 1780) si veda R. Pancheri, “Un semplice pittore di paese”. Profilo di Matthias Lamp, in Anaunion. Antologia di studi, 2, a cura di B. Ruffini, Fondo (TN) 2008, pp. 45-68, con bibliografia precedente.

72 F. Negri, Memorie della parrocchia…, cit., pp. 198-199. Avevo già segnalato il dipinto in R. Pancheri, “Un semplice pittore di paese”…, cit., p. 62. Secondo Negri, l’autore del gonfalone “avrebbe fatto altri quadri per la chiesa parroc-chiale. Diversi di questi quadri ora si trovano nella canonica di Tassullo, non troppo bene custoditi”. Il sacerdote collo-cava peraltro la commissione di questi dipinti al tempo del pievano Tomaso Stringari (1725-1734).

73 Per un profilo bio-bibliografico del pittore si veda: Dizionario degli artisti trentini tra ‘800 e ‘900, a cura di F. Degasperi, G. Nicoletti, R. Pisetta, Trento 1998, pp. 380-383.

74 N. Rasmo, Un disegno di Bartolomeo Rasmo, in “Cultura Atesina/Kultur des Etschlandes”, X, 1956, pp. 155-156, tav. LXII-LXIII.

75 Ciascuna tela misura cm 94×61. L’acquisto del-la Via Crucis di Bartolomeo Rasmo da parte del parroco Giambattista Tolameotti da Samoclevo è ricordato da F. Negri, Memorie della parrocchia…, cit., p. 283.

76 Olio su tela, cm 99×72. Come nel citato caso del gonfa-lone di Matthias Lamp, anche questo dipinto era in origine il verso di un gonfalone, che sul lato opposto raffigurava un’al-legoria della Morte e del Peccato originale. Lo documentano due fotografie scattate durante la catalogazione provinciale del 1982.