L’eredità linguistica lasciata da Goldoni al melodramma primottocentesco, in Rossini und das...

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Schriftenreihe der Deutschen Rossini Gesellschaft e.V.

Schriftleitung PD Dr. Martina Grempler | Prof. Dr. Bernd-Rüdiger Kern

Band 6

Rossini und das Libretto Tagungsband

Bibliografische Information der Deutschen Bibliothek Die Deutsche Bibliothek verzeichnet diese Publikation in der Deutschen Nationalbibliografie; detaillierte bibliografische Daten sind im Internet über <http://dnb.ddb.de> abrufbar.

Abbildung auf der Titelseite: „Rossini als Stütze seiner Libretti“, Foto von Reto Müller

© Leipziger Universitätsverlag GmbH, 2010 Oststrasse 41, D-04317 Leipzig � www.univerlag-leipzig.de Redaktion und Satz: Reto Müller Druck und Buchbinderei: Rombach Druck- und Verlagshaus GmbH & Co. KG, Freiburg

ISBN 978-3-86583-268-9 ISSN 1433-8742

Rossini und das Libretto Tagungsband

Herausgegeben von

RETO MÜLLER und ALBERT GIER

Beiträge von Marco Beghelli, Matthias Brzoska, Paolo Fabbri, Martina

Grempler, Arnold Jacobshagen, Bernd-Rüdiger Kern, Saverio Lamacchia, Friedrich Lippmann, Reto Müller, Udo Reinhardt, Alessandro Roccatagliati, Fabio Rossi,

Elisabeth Schmierer

Leipziger Universitätsverlag 2010

Deutsche Rossini Gesellschaft e.V.Deutsche Rossini Gesellschaft e.V.Deutsche Rossini Gesellschaft e.V.Deutsche Rossini Gesellschaft e.V. Ehrenpräsident Maestro Alberto Zedda Korrespondenzadresse: Wuhrweg 28, CH-4450 Sissach Tel/Fax 0041/61/971 53 08 • drg@rossinigesellschaft.de Sitz Stuttgart VR 5969 • www.rossinigesellschaft.de

1. Vorsitzender Prof. Dr. Bernd-Rüdiger Kern, Leipzig

Geschäftsführender Vorsitzender

Reto Müller, Sissach

Schatzmeister Jürgen Kaziur, Oberursel

Schriftführerin

Dorothee Wehofsits, Freiburg

Beisitzer Brigitte Kaziur, Oberursel

Dr. Eckhardt Peterson, Bad Wildbad Rosemarie Teufel, Stuttgart

Wissenschaftlicher Beirat

Prof. Dr. Bernd-Rüdiger Kern, Leipzig Prof. Dr. Paolo Fabbri, Ferrara

PD Dr. Martina Grempler, Bonn Prof. Dr. Albert Gier, Bamberg

Mitglieder-Jahresmindestbeitrag € 20.-- Bankverbindung und Spendenkonto:

8064253 Sparkasse Pforzheim Calw, (BLZ) 666 500 85 IBAN DE13 6665 0085 0008 0642 53 | BIC PZHSDE66

INHALT

V

Inhalt

Übersicht der Referate VI ALBERT GIER: Zwischen den Zeiten (Vorwort) VII Anmerkungen der Redaktion XIV FRIEDRICH LIPPMANN: Rossinis Stil in seinen Opere buffe und deren

Szenentypen........................................................................................ 1

MATTHIAS BRZOSKA: Le dénouement heureux – Finalkonzeptionen der französischen Oper von Spontinis ‚Olimpie’ bis zu Rossinis ‚Guillaume Tell’........................................................... 9

ARNOLD JACOBSHAGEN: Der Mythos vom elenden Poeten. Anmerkungen zu Andrea Leone Tottola............................................. 21

ELISABETH SCHMIERER: „Zu leicht und ‚boulevardier’“? Zum Verhältnis von Libretto und musikalischer Gestaltung in ‚Le Comte Ory’ .................. 33

PAOLO FABBRI: Gigli borbonici e voti fervidi: Rossini e la cantata scenica... 49

SAVERIO LAMACCHIA: I ‘cugini’ parrucchieri italiani di Figaro.................... 57

ALESSANDRO ROCCATAGLIATI: Interventi rossiniani nei testi dei librettisti... 67

BERND-RÜDIGER KERN: Rossinis Libretti und ihre Vorlagen........................ 85

MARTINA GREMPLER: Rossinis Libretti und die Zensur ............................... 97

RETO MÜLLER: Rossini und das Libretto - Hinweise in Briefen und Dokumenten ................................................................................... 111

FABIO ROSSI: L’eredità linguistica lasciata da Goldoni al melodramma primottocentesco ............................................................................. 139

MARCO BEGHELLI: Le didascalie nei libretti rossiniani ............................. 159

UDO REINHARDT: Der Stoffkomplex um Pyrrhos, Andromache, Hermione und Orest. Text – Bild – Tradition.................................................... 185

Bibliographie 209 Personenregister xxx Werkverzeichnis xxx Sachregister xxx DRG-Publikationen xxx

ÜBERSICHT

VI

Programm vom 5. bis 7. Oktober 2007

Freitag, 5. Oktober 2007

09.30 – 10.00 Uhr: Begrüßungen Friedhelm MARX (Dekan), Albert GIER, Bernd-Rüdiger KERN

10.00 – 13.00 Uhr: Drei Vorträge (Vorsitz: Bernd-Rüdiger Kern) Matthias BRZOSKA (Essen)

Zu Rossinis französischen Libretti Arnold JACOBSHAGEN (Köln)

Rossinis Librettist Andrea Leone Tottola Elisabeth SCHMIERER (Essen)

Le Comte Ory

15.00 – 18.30 Uhr: Vier Vorträge (Vorsitz: Martina Grempler) Paolo FABBRI (Ferrara)

I libretti delle cantate sceniche Saverio LAMACCHIA (Bologna)

I ‘cugini’ parrucchieri italiani di Figaro Alessandro ROCCATAGLIATI (Ferrara)

Interventi rossiniani nei testi dei librettisti

20.00 Uhr: Kammermusikkonzert (Sommer Oper Bamberg in der Villa Concordia)

Samstag, 6. Oktober 2007

09.30 – 12.30 Uhr: Drei Vorträge (Vorsitz: Albert Gier) Bernd-Rüdiger KERN (Leipzig)

Das Libretto und seine Vorlage. Fallbeispiele Martina GREMPLER (Bonn)

Rossinis Libretti und die Zensur Reto MÜLLER (Sissach)

Libretto-Hinweise in Briefen und Dokumenten

14.30 – 16.00 Uhr: Zwei Vorträge (Vorsitz: Reto Müller) Fabio ROSSI (Messina)

L’eredità librettistica del linguaggio di Goldoni Marco BEGHELLI (Bologna)

Le didascalie nei libretti rossiniani

16.00 – 18.30 Uhr: Führung und Diavortrag Führung durch Bamberg und die Staatsbibliothek sowie Diavortrag: Udo REINHARDT (Mainz)

Der Stoffkomplex um Pyrrhos, Andromache, Hermione und Orestes: Text – Bild – Tradition

Sonntag, 7. Oktober 2007

09.30 – 12.00 Uhr: Podiumsdiskussion Albert GIER (Diskussionsleitung), Michael KLAPER (Institut für Musikwissenschaft Erlangen), Richard ARMBRUSTER (Musikredakteur beim Norddeutschen Rundfunk Hamburg) und Tina HARTMANN (Librettistin, Stuttgart).

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FABIO ROSSI L’eredità linguistica lasciata da Goldoni al melodramma primottocentesco I. Premessa: Goldoni in Rossini Si intende qui individuare i principali punti di tangenza tra la produzione goldoniana (non soltanto librettistica) e i melodrammi rossiniani, limitata-mente ad aspetti linguistici e stilistici, lasciando da parte altri ambiti di in-fluenza pur degni di nota e in parte già sondati, tra gli altri, da Daniel Heartz, Bruno Cagli, David Bryant, Fabiana Licciardi e, di recente, Arnold Jacobshagen. Heartz, com’è noto, già trent’anni or sono mostrò il ruolo fondamentale di Goldoni nella messa a punto del finale d’atto, con i tipici topoi della confusione e dello stordimento che, raccolti dai compositori più vicini e sensibili alle indicazioni goldoniane, si traducono presto negli elementi strutturali del crescendo e del concertato: sovrapposizione dialo-gica, dunque, che diventa intreccio di voci e orchestra1.

Parlare della lingua di Goldoni oggi può sembrare, nel contempo, troppo di moda e troppo inattuale. Da una parte, infatti, il trecentenario dalla nascita e la sempre costante presenza del nostro autore nelle stagioni teatrali di tutto il mondo rendono la sua produzione mai come oggi attuale e oggetto d’analisi. D’altro canto, però, l’interesse quasi esclusivo degli studiosi al Goldoni veneziano (da Folena a Stussi, da Cortelazzo a Spezzani2) o agli aspetti meramente storico-drammaturgici della sua produzione (dai lavori di Franca Angelini e Franco Fido, a quelli di Françoise Decroisette3, alla pregevole attività, ancor lungi dall’approdo,

1 Cfr. DANIEL HEARTZ, The Creation of the Buffo Finale in Italian Opera, in «Proceedings of

the Royal Musical Association», 104, 1977-1978, pp. 67-78. 2 Cfr. almeno GIANFRANCO FOLENA, L’italiano in Europa. Esperienze linguistiche del Sette-

cento, Torino, Einaudi 1983 e ID., Vocabolario del veneziano di Carlo Goldoni, Venezia-Roma, Regione Veneto - Istituto della Enciclopedia italiana 1993; ALFREDO STUSSI, Per il testo e la lingua delle commedie veneziane di Goldoni, in «Annali d’Italianistica», XI 1993, pp. 55-64 e ID., Carlo Goldoni e l’ambiente veneziano, in Storia della letteratura italiana, diretta da Enrico Malato, vol. VI, Il Settecento, Roma, Salerno 1998, pp. 877-933; MANLIO CORTELAZZO, Venezia, il Levante e il mare, Pisa, Pacini 1989; PIETRO

SPEZZANI, Dalla commedia dell’arte a Goldoni. Saggi linguistici, Padova, Esedra 1997. Per ulteriori indicazioni bibliografiche sulla lingua di Goldoni cfr. FABIO ROSSI, Imitazione e deformazione di lingue e dialetti in Goldoni, in Studi linguistici per Luca Serianni, a cura di Valeria Della Valle e Pietro Trifone, Roma, Salerno 2007, pp. 147-162. Si vedano anche, infra, le note 3, 4 e 36.

3 FRANCA ANGELINI, Introduzione a Goldoni, s.l., s.e. 1966; EAD., Vita di Goldoni, Roma-Bari, Laterza 1993; FRANCO FIDO, Guida a Goldoni. Teatro e società nel Settecento, To-rino, Einaudi 1977; ID., Le inquietudini di Goldoni. Saggi e letture, Genova, Costa & No-lan 1995; Musiques goldoniennes, Hommage à Jacques Joly, a cura di Françoise Decroi-sette, Outre-Monts, Circé 1995.

FABIO ROSSI

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dell’Edizione Nazionale Marsilio) sembra aver inibito quasi del tutto l’osservazione dell’italiano goldoniano. Italiano che mi pare abbia contri-buito non poco e alla creazione (o quantomeno alla tempestiva registra-zione dei suoi primi fenomeni, che poi non è molto diverso) dell’uso me-dio moderno e, soprattutto, alle sue stilizzazioni e mimesi teatrali di primo Ottocento.

Posso confermare entrambe queste mie impressioni con pochi esempi ma incisivi. Il Grande Dizionario della Lingua Italiana della UTET, fondato da Salvatore Battaglia nel lontano 1961 e concluso da Giorgio Barberi Squarotti nel 2003 (d’ora in avanti, semplicemente Battaglia o GDLI), con-tiene lacune tanto note quanto inevitabili. Tra queste, spicca senz’altro la scarsa considerazione delle commedie goldoniane, nell’esemplificazione di alcuni lemmi particolarmente importanti, e nei quali, si aggiunga, l’attestazione goldoniana è nota ai più, giacché presente fin nel titolo delle commedie: è il caso di bancarotta, che ha, come prima attestazione, 1881, Arlia, secondo il Battaglia (s. v., § 1), mentre il termine è già in Goldoni, La bancarotta o sia Il mercante fallito (1741-1757); barcamenare (s. v., § 1) è attestato dal Battaglia av. 1850, Giusti, mentre è già in Il teatro comico (1750), I/4; uomo di mondo (s. v. uomo, § 5), attestato dal Battaglia av. 1938, D’Annunzio, si trova già nel titolo dell’omonima commedia goldo-niana di duecento anni prima (1738-1755).

Ancora: dalle sintetiche ma tuttora ineguagliate osservazioni di Gian-franco Folena e poi di Daniela Goldin (cfr. infra, nota 4) sulla lingua gol-doniana, rispettivamente comica e melodrammatica, risulta evidente l’influenza del nostro artista sulla produzione successiva. Ciononostante, nessun intervento sulla lingua italiana di Goldoni è comparso nel pro-gramma del Campus universitario internazionale organizzato, in occasione del trecentenario, dalla Biennale e dall’Università Ca’ Foscari di Venezia nel luglio 2007.

È impossibile, nello spazio di questo saggio, tracciare anche soltanto i punti nodali dell’influenza di Goldoni, commediografo e librettista, sul tea-tro musicale rossiniano, passando, ovviamente, per la tappa obbligata del goldonianissimo Lorenzo Da Ponte, vero anello di congiunzione tra Sette- e Ottocento4. Si va dall’utilizzazione di Goldoni come fonte diretta (La

4 Cfr. DANIELA GOLDIN, La vera fenice. Librettisti e libretti tra Sette e Ottocento, Torino,

Einaudi 1985, pp. 32-44, 92-98 et passim. Non mancano studi sul Goldoni librettista (benché raramente, al solito, si affrontino questioni linguistiche): FIDO, Guida a Goldoni (nota 3), pp. 48-85; TED EMERY, Goldoni as Librettist. Theatrical Reform and the “drammi giocosi per musica”, New York, P. Lang 1991; DANIELA GOLDIN FOLENA, Teatro e melo-dramma nei libretti goldoniani, in Carlo Goldoni 1793-1993, Atti del Convegno del Bi-centenario (Venezia, 11-13 aprile 1994), a cura di Carmelo Alberti e Gilberto Pizzami-glio, Venezia, Regione Veneto 1995, pp. 249-260; Musiques goldoniennes (nota 3); CARMELO SCAVUZZO, L’amore e gli innamorati nei libretti di Goldoni, in Sublimazione e

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gazzetta tratta da Il matrimonio per concorso, l’incipit del Turco in Italia da Il talismano), alla sua presenza più in generale nei temi, nei modi e nelle atmosfere: dall’astuzia femminile5 alla metateatralità6, dall’esotismo7 alla riduzione dei rapporti amorosi a rapporti economici8, dalla centralità dell’ambiente borghese alla congruità tra psicologia e status del personaggio e suoi modi espressivi9, dall’importanza dello stile semiserio e

concretezza dell’eros nel melodramma. Rilievi linguistici, letterari, sessuologici e musi-cologici, a cura di Fabio Rossi, Roma, Bonacci 2007, pp. 67-103.

5 Molto è stato scritto sulle donne goldoniane e rossiniane (cfr. almeno KRISTINE HECKER, Le donne in Goldoni ovvero: trappole da evitare. Considerazioni sul personaggio femminile nelle commedie goldoniane. Appunti per una ricerca, in Carlo Goldoni 1793-1993 [nota 4], pp. 341-355; GIOVANNA GRONDA, Voci della passione amorosa in Goldoni: Mirando-lina, Eugenia, Giacinta, in Omaggio a Gianfranco Folena, Padova, Editoriale Programma 1993, vol. II, pp. 1347-1358). Qui vorrei soltanto citare l’aria di Rosina (quanti nomi gol-doniani figurano nei libretti rossiniani!) dall’intermezzo La vendemmia, 1760, I/6: “Son fanciulla tenerella, | semplicetta, innocentina, | e malizia in me non v’è. | Ma un certo non so che | mi pizzica, mi stuzzica, | e fa balzarmi il cor. | Toccate, sentite, | che salti che fa. | Ah caro, che gusto, | che gioia mi dà”. Sembra davvero un’ouverture di temi e sintagmi (“non so che”, “mi pizzica, mi stuzzica”, “toccate, sentite”, ecc.) di tutto quello che verrà dopo nel melodramma giocoso, dalla Zerlina dapontiana alla Matilde rossiniana, passando, ovviamente, per le varie Fiorille e Rosine. Tutte le citazioni goldoniane sono tratte dall’edizione GOLDONI, Tutte le opere, a cura di GIUSEPPE ORTOLANI, Milano, Mondadori 1935-1956, 14 voll., donde si traggono anche le date delle prime rappresentazioni.

6 Estesa la bibliografia sul tema (per una prima rapida ricognizione cfr. GOLDIN, La vera fenice [nota 4], pp. 73-76 e DECROISETTE, Goldoni et le metamelodramma: La bella verità, in Musiques goldoniennes [nota 3], pp. 37-43). Val forse la pena almeno di ricordare le principali commedie goldoniane d’argomento (o contenenti qualche elemento) metatea-trale: Il teatro comico (1750), La cameriera brillante (1754), I malcontenti (1755); L’impresario delle Smirne (1760). Questi i libretti: La cantarina (1756); La scuola mo-derna o sia La maestra di buon gusto (1748); L’Arcadia in Brenta (1749); Le virtuose ridi-cole (1752); De gustibus non est disputandum (1754); La ritornata di Londra (1756); La bella verità (1762).

7 Sull’esotismo linguistico in Goldoni mi permetto di rinviare a ROSSI, Imitazione e deformazione (nota 2).

8 Su questo tema in Rossini cfr. PAOLO FABBRI, Librettos and librettists, in The Cambridge Companion to Rossini, a cura di Emanuele Senici, Cambridge, Cambridge University Press 2004, pp. 51-67: 56-57. Per Goldoni, cfr. GIORGIO PULLINI, “Strateghe” dell’economia fra le protagoniste goldoniane, in Omaggio a Gianfranco Folena, Padova, Editoriale Programma 1993, vol. II, pp. 1333-1346, e un accenno in SCAVUZZO, L’amore e gli innamorati (nota 4), p. 70.

9 Particolarmente significativi, sulla psicologia borghese dei personaggi goldoniani, sono gli studi di MICHELE BORDIN: Fra “negozio” e “villa”. Crisi della morale borghese dal “Prodigo” alla trilogia della “Villeggiatura”, in «Problemi di critica goldoniana», II, 1995, pp. 133-182; ID., “Figurare nel mondo”. La trilogia della Villeggiatura, in «Problemi di critica goldoniana», III, 1996, pp. 199-281; ID., Sul lieto fine goldoniano come “imper-fetta” conclusione. Preliminari e due analisi. ‘La famiglia dell’antiquario’ e ‘Il geloso avaro’, in Tra commediografi e letterati. Rinascimento e Settecento veneziano, a cura di Tiziana Agostini ed Emilio Lippi, Ravenna, Longo 1997, pp. 209-237; ID., “Rimediare al disordine”. Sintomatologia del lieto fine goldoniano dagli ‘Innamorati’ al ‘Sior Todero brontolon’, in «Problemi di critica goldoniana», VI, 1999, pp. 239-376.

FABIO ROSSI

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larmoyant10 al già citato ricorso ai finali di confusione11, dalla centralità delle componenti metamusicali, metalinguistiche e metaletterarie (i riferi-menti ironici ai castrati, gli effetti d’eco, le numerose citazioni tassiane12) alla valorizzazione drammaturgica della lettura, scrittura o dettatura in scena13. Intento di questo mio contributo è dunque soltanto quello di esem-

10 Sul ruolo essenziale di Goldoni nella nascita del genere semiserio (e, da lì, del melo-

dramma romantico) in Italia cfr. BRUNO CAGLI, ‘La buona figliola’ e la nascita dell’opera semiseria, in «Chigiana. Rassegna annuale di studi musicologici», XXXII (N.S. 12), 1977, pp. 265-275. Lo stesso Goldoni preconizza il trionfo del genere semiserio nella lettera a Gabriele Cornet (novembre 1763): “La mancanza del chiaroscuro pregiudica, e il tutto buffo ed il sempre buffo non può durare. Ecco dunque il caso della novità che può dar piacere, cioè dell’antichità rinnovata; e la differenza che vi può essere da questo diverti-mento serio-giocoso ed un’opera buffa ordinaria, probabilmente sarà che in questa i buffi formano la parte principale dell’opera, e in quello credo che saranno accessori. Comun-que sia la cosa, buon libro e buona musica ponno far trovar tutto bello” (GOLDONI, Tutte le opere [nota 5], vol. XIV, pp. 300-302: 302). Come già nella Pamela [1750], I/16: “Se andate al teatro, ove si fanno le opere musicali, vi andate per piangere, e vi alletta solo il canto patetico, che dà solletico all’ipocondria”, osserva il cavalier Ernold a proposito del teatro inglese, rimpiangendo la comicità delle maschere italiane.

11 Tra i tanti esempi possibili, cito soltanto questo da Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno (1749), I/10: “Sento, oimè, che il mio cervello | già mi sbalza in qua e in là; | io non vedo che mi faccia, | che mi dico, e dove sto. | Il mio core poverello | pare un ferro già infocato; | tra l’incudine e il martello | è battuto e martellato | e riposo più non ha. Tuppe tu, ta, ta, pa, ta”. Evidente la prossimità al finale primo dell’Italiana in Algeri e ad altri finali rossiniani, con l’uso delle parole-chiave cervello e martello (cfr. FABIO ROSSI, “Quel ch’è padre... non è padre”. Lingua e stile dei libretti rossiniani, Roma, Bonacci 2005: pp. 45-46).

12 Sulla presa in giro dei castrati in Goldoni e in Rossini cfr. ROSSI, Imitazione e deforma-zione (nota 2), p. 154. Un effetto d’eco compare in Torquato Tasso (1755), I/7, e nel Mondo della luna (1750), II/7; per questi effetti in Rossini cfr. ROSSI, “Quel ch’è padre... non è padre” (nota 11), p. 137. Tasso è ben presente in Goldoni, e non soltanto nella commedia in versi Torquato Tasso: per es. nel Frappatore (1745), II/12, e nel Teatro co-mico (1750), I/4 (cfr. VITTORIO COLETTI, Riuso e citazione nell’opera lirica, in “E ‘n guisa d’eco i detti e le parole”. Studi in onore di Giorgio Bárberi Squarotti, 3 voll., Alessandria, Edizioni dell’Orso 2006, vol. I, pp. 555-564: 562). Sulla presenza di Tasso in Rossini cfr. ROSSI, “Quel ch’è padre... non è padre” (nota 11), pp. 114-115 et passim. Sull’utilizzazione di Tasso quale grammatica melodrammatica ante litteram da parte dei librettisti, dalle origini al pieno romanticismo, cfr. FABRIZIO FRASNEDI, Figure dell’abbandono. Permanenza e varia-zioni di un paradigma antropologico e del suo “lessico”, in Storia della lingua italiana e sto-ria della musica. Italiano e musica nel melodramma e nella canzone, Atti del IV Convegno ASLI Associazione per la Storia della Lingua Italiana (Sanremo, 29-30 aprile 2004), a cura di Elisa Tonani, Firenze, Cesati 2005, pp. 33-48.

13 I testi goldoniani pullulano di lettere in scena (La locandiera [1753], I/11; La donna di maneggio [1760], in tutta la commedia; Il ritorno dalla villeggiatura [1761], II/11, III/11; La gelosia di Lindoro [1763], I/7, 8, ecc.), e lo stesso valga per l’opera buffa rossiniana (cfr. ROSSI, “Quel ch’è padre... non è padre” [nota 11], pp. 138-142). Particolarmente felice è l’espediente comico (che attecchirà pienamente nella tradizione spettacolare italiana: basti pensare alla celeberrima dettatura in Totò, Peppino e... la malafemmina, 1956, di Camillo Mastrocinque) in cui il piano della lingua della lettera e quello della conversazione interagi-scono, come nella Putta onorata (1748), I/1: “[OTTAVIO, scrivendo] E mi ha assicurato, che quanto prima... [BEATRICE, parlando a Ottavio] Quanto prima me n’andrei da questa casa”.

L’EREDITÀ LINGUISTICA LASCIATA DA GOLDONI

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plificare alcune delle tracce più evidenti della lingua di Goldoni nella langue dei librettisti rossiniani, nella speranza di poter arrivare, in un secondo momento, a concludere che proprio dai goldoniani Foppa, Rossi, Sterbini, Ferretti, Romani, Gherardini e compagni discende l’immissione, nell’italiano teatrale moderno, della colloquialità a un tempo mimetica e ficta, tanto lucidamente descritta, anni or sono, dal Folena con le seguenti parole:

La Umgangssprache, la lingua goldoniana d’uso italiano, è sostanzialmente Bühnen-sprache, lingua teatrale, fantasma scenico che ha spesso la vivezza del parlato ma si ali-menta piuttosto all’uso scritto non letterario accogliendo in copia larghissima venetismi, regionalismi ‘lombardi’ e francesismi, accanto a modi colloquiali toscani e a stilizzazioni auliche di lingua romanzesca e melodrammatica: è un ‘come se’, una ipotesi spesso così persuasiva di realtà, fondata su un presupposto di intelligibilità comune.14

II. Principali goldonismi lessicali e fraseologici

Iniziamo dunque con una rassegna di espressioni, presenti nei libretti ros-siniani, attestate per la prima volta, o in modo più consistente, proprio in Goldoni. Numerosissimi gli idiomatismi italiani d’origine goldoniana: tra questi dove ho/hai la testa? (“Pezzo d’asino, dov’hai la testa?”: L’adulatore [1750], I/9). L’espressione, ben rappresentata soprattutto in area veneta15, compare anche nel libretto della Gazza ladra di Giovanni Gherardini, fi-gura cruciale per il mio discorso e sulla quale tornerò alla fine: “Ah Fabri-zio, Fabrizio! – Ma, Dio buono! | Dove avevo la testa! E il Podestà? | Aspettarlo bisogna” (Gazza, I/5). Il tutto ricalca l’originale francese della Pie voleuse (“Ah! mon dieu, où avois-je la tête? et M. le Bailli? ne faut-il pas l’attendre?”16), senza nulla togliere, però, alla precocità dell’attestazione goldoniana.

Goldoni sa sfruttare tale interazione, tuttavia, anche in scene di profondo e drammatico liri-smo, come nel finale secondo del Ritorno dalla villeggiatura, II/11: “Non so quand’io potrò avere la fortuna di rivedervi. Volesse il cielo ch’io non lo vedessi mai più!”.

14 FOLENA, L’italiano in Europa (nota 2), p. 91. Quanto Sterbini, Ferretti, Romani e altri deb-bano, attraverso Da Ponte, alla lezione goldoniana è accennato da GOLDIN, La vera fenice (nota 4), pp. 44, 46 et passim. Librettisti quali Foppa e Rossi riadattavano spunti goldo-niani proprio per reagire all’imperante infranciosamento del teatro d’opera ottocentesco (cfr. FABIANA LICCIARDI, Di alcune compagnie di attori-cantanti e cantanti-attori nella cri-tica fra Sette e Ottocento, in Carlo Goldoni 1793-1993 [nota 4], pp. 307-321: 309). Sulle opere goldoniane di Foppa e Rossi cfr. anche DAVID BRYANT, La fortune des comédies de Goldoni dans le théâtre musical italien, in Musiques goldoniennes (nota 3), pp. 45-50.

15 Cfr. GIANLUCA LAUTA, Forme interrogative nella Toscana del Due-Trecento, Roma, Bul-zoni 2002, p. 34.

16 D’AUBIGNY [THÉODORE BAUDOUIN] e LOUIS-CHARLES CAIGNIEZ, La Pie voleuse, ou La Servante de Palaiseau, I/11, in La gazza ladra, a cura di Emilio Sala, Pesaro, Fondazione Rossini 1995 (=I libretti di Rossini, 2), pp. 55-118. Tutte le citazioni dai libretti rossiniani sono tratte dall’edizione Tutti i libretti di Rossini, a cura di MARCO BEGHELLI e NICOLA

GALLINO, Milano, Garzanti 1991 (il titolo dell’opera è accorciato alla prima parola piena).

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Alcune tessere ineliminabili dal lessico operistico italiano prendono forma proprio nelle commedie di Goldoni. Tra queste la iunctura “empio traditore” (Il cavaliere di spirito [1757], IV/4, unica attestazione in LIZ)17; l’olofrastico esclamativo cospetto (da L’uomo di mondo [1738-1755], I/11 in poi, in decine di attestazioni) e i suoi alterati (cospetton, cospettone, co-spettonaccio, cospettonazzo, cospettaccio: Il Molière [1751], IV/2; Le donne curiose [1753], II/21; La donna di governo [1758], I/7, ecc.)18; l’insulto guidone ‘ribaldo’ (Monsieur Petiton [1736], II/3; La scuola mo-derna o sia La maestra di buon gusto [1748], III/6; La sposa persiana [1753], IV/9; L’isola disabitata [1757], II/10; La sposa sagace [1758], V/10)19; l’uso di un cavolo come elemento completivo di negazione (“Non ci penso un ca ca cavolo”, La favola de’ tre gobbi [1749], I/3; “Non me ne [o n’] importa un cavolo”, Il Molière [1751], III/6; L’amante di sé mede-simo [1756], IV/2; La bella verità [1762], I/8; “è un cavolo”, La donna sola [1757], III/7; La pupilla [1757], III/5)20; espressioni con Bacco: per Bacco, per Bacco Baccone, corpo di Bacco, poter di Bacco, ecc. (decine di atte-stazioni: “Cospetto di Bacco”, L’uomo di mondo [1738-1755], I/11; “corpo di bacco”, La bancarotta o sia Il mercante fallito [1741-1757], III/7; “Poter di Bacco”, La donna di garbo [1742], I/12; “Per bacco baccone”, L’erede fortunata [1748], III/9; “perbacco”, Il contrattempo o sia Il chiacchierone

17 L’espressione ricorre 5 volte, nel corpus rossiniano, in Tancredi, I/5; Sigismondo, I/13,

15, II/13; Elisabetta, II/15. Ricordiamo che con l’acronimo LIZ si intende l’archivio elet-tronico Letteratura italiana Zanichelli. CD-ROM dei testi della letteratura italiana, a cura di Pasquale Stoppelli ed Eugenio Picchi, Bologna, Zanichelli 20014. Pur restando comun-que uno strumento d’analisi linguistica insostituibile, la LIZ, come tutti i corpora di ampia mole, non è priva di mende, anche filologiche (quest’ultime, ahimè, riguardanti soprat-tutto Goldoni), come dimostrato da STEFANO TELVE, Alcune correzioni alla LIZ4, in «Studi linguistici italiani», XXVIII, 2002, pp. 97-110.

18 Cfr. STEFANO TELVE, Costanti lessicali e semantiche della librettistica verdiana, in «Studi di lessicografia italiana», XV, 1998, pp. 319-437: 229 n. 64 e LUCA SERIANNI, Viaggiatori, musici-sti, poeti. Saggi di storia della lingua italiana, Milano, Garzanti 2002, pp. 140-141. Ecco al-cune attestazioni rossiniane delle forme alterate: “Le piace e non la vuole! – cospettone!” (Cambiale, 11); “L’aprirò, cospettone” (Equivoco, II/3); “cospettaccio!” in Torvaldo, I/9, II/1.

19 “Ebben, guidone, | che vieni a fare?” (Barbiere, II/3). 20 “Non sono un cavolo” (Pietra, I/17); “Io sono un Principe, | o sono un cavolo?” (Ceneren-

tola, I/6). Manca qui lo spazio per approfondire altri ambiti pragmatici, lessicali e fraseo-logici tipicamente buffi, confinanti col turpiloquio (dal lessico dell’insulto a quello dell’imbroglio, alle imprecazioni, ecc.), alla fortuna ottocentesca e moderna dei quali ha indubbiamente giovato Goldoni: per i riferimenti presenti nei libretti rossiniani si veda comunque ROSSI, “Quel ch’è padre... non è padre” (nota 11), pp. 277-283 e 292; per quelli goldoniani, CARMELO SCAVUZZO, Sulla lingua del teatro in versi del Settecento, in «Studi di lessicografia italiana», XIX, 2002, pp. 183-228: 194, 198-199 et passim. Lo stesso dicasi per l’uso straordinariamente ampio, variegato e realistico dell’interiezione (che avrà senz’altro inciso sulla librettistica buffa successiva: cfr. anche la seguente nota 21) nei testi goldoniani, su cui cfr. LINO PERTILE, “Sangue de Diana!” L’interiezione da Ruzante a Goldoni, in La scena del mondo. Studi sul teatro per Franco Fido, a cura di Lino Pertile, Rena A. Syska-Lamparska e Anthony Oldcorn, Ravenna, Longo 2006, pp. 143-157.

L’EREDITÀ LINGUISTICA LASCIATA DA GOLDONI

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imprudente [1753], II/4, ecc. )21; l’idiomatismo essere fritto (attestato prima in Magalotti e poi in Goldoni: “siamo tutti fritti”, Il feudatario [1752], III/9; “Ho proprio volontà de guardarla; ma se la guardo, son fritto”, L’amore pa-terno o sia La serva riconoscente [1763], III/2)22.

E ancora. Il sostantivo recipe ‘ricetta’ (dall’imperativo del verbo latino recipere: ‘prendi!’), molto amato dai librettisti buffi, è puntualmente pre-sente in Goldoni (La calamita de’ cuori, 1753, I/12: “Recipe di quegli oc-chi | due sguardi vezzosetti, | dei tumidi labbretti | una parola, un sì; | e recipe del core | un poco di pietà; | un tantinin d’amore, | un po’ di ca-rità. | Così se ne anderà | lo stral che mi ferì, | con il cordial dei sguardi, | con la pozion del sì”) e anche in Rossini (L’inganno felice, 8: “Va il mio recipe operando...”). In tono scherzoso, non ha molte attestazioni prece-denti a Goldoni (soltanto Giordano Bruno, secondo GDLI, s. v., § 1).

Sempre in Goldoni troviamo la prima attestazione del proverbio “l’occasione fa l’uomo ladro” (La donna di garbo [1742], I/4; Il poeta fana-tico [1750], III/4), da cui il titolo della nota burletta di Luigi Prividali, e an-che del modo di dire uccello del malaugurio, presente nel Viaggio a Reims (“non vorrei che foste l’augello del malaugurio”, Gl’innamorati [1759], II/6)23, attribuito dal GDLI per la prima volta al Foscolo.

Ha il sapore della citazione goldoniana anche il “parlar coi linci e squinci” nel libretto della Cenerentola (II/1). Il modo di dire, in effetti, ri-sulta attestato per la prima volta in La putta onorata (1748), III/24: “E ti vo-ressi far el barcariol col linci e squinci?”. L’espressione, nella forma slinci e squinci, compare anche in La cameriera brillante (1754), III/2, e Torquato Tasso (1755), IV/1. Fuor di Goldoni e Ferretti, il detto ha poche attesta-zioni, stando, almeno, al Battaglia e alla LIZ.

Ma, di là dalla ricerca della prima attestazione, è proprio il largo ricorso alle espressioni idiomatiche che collega il parlato comico buffo a quello goldoniano. Tra i numerosi altri esempi possibili, si segnalano qui “cascare [sogg.: il cacio] sui maccheroni” e “fare la gatta morta”24.

Il fecondissimo Jacopo Ferretti, nella sua indiavolata verve di coniatore di forme, non di rado ricorre a Goldoni, come s’è già visto. Lo fa anche

21 Perbacco e per Bacco nei libretti rossiniani: Cambiale, 15; Inganno, 6, 12; Scala, 3; Pie-

tra, I/17, II/13; Bruschino, 4, 6, 13; Italiana, II/8; Turco, I/8; Torvaldo, I/8, II/1, 2, u.; Bar-biere, I/9; Gazzetta, II/11; Cenerentola, II/1, 2; Gazza, I/9, 11; “Per baccone!..” (Bru-schino, 9); “Corpo di bacco!” (Turco, I/13; Torvaldo, I/2; Barbiere, I/4bis, II/8); “Poter di bacco!” (Torvaldo, I/9).

22 “Ahi, ahi! che sono fritto!” (Scala, u.); “or sì che tu sei fritto!..” (Bruschino, 11); “Son fritto” (Pietra, I/5); “Ah siam fritti!” (Torvaldo, I/11); “Se si scopre la finzione | io son fritto al par di voi” (Adina, 1); “Ohimè! Son fritto!” (Matilde, I/3).

23 “Non toccate, | augel di mal augurio, vi scostate” (Viaggio, 6). 24 Per le attestazioni goldoniane, cfr. SCAVUZZO, Sulla lingua del teatro in versi (nota 20),

pp. 202-204 e ID., L’amore e gli innamorati (nota 4) p. 77; per quelle rossiniane, ROSSI, “Quel ch’è padre... non è padre” (nota 11), pp. 245 e 248.

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nella felice scelta del verbo parasintetico imprinciparsi ‘sposare un prin-cipe’ (“Si tratta niente men che imprinciparvi”, Cenerentola, I/2, prima at-testazione del verbo, presente, in altra accezione, soltanto in Dossi, av. 1910), che riecheggia i goldoniani imprincipessarsi (“Voglio imprincipes-sarmi”, Il finto principe [1749], I/7, prima e unica attestazione in GDLI, s. v. imprincipessare) e incontessarsi (“Con voi potrebbesi incontessar, | e voi potreste dottoreggiar”: rispettivamente ‘sposare una contessa’ e ‘sposare un dottore’, Il signor dottore [1758], II/2; manca il lemma incontessare in GDLI e in LIZ).

III. Alcuni stilemi ricorrenti: da Goldoni ai libretti rossiniani

Rientrano tanto nella mimesi dell’oralità quanto nel ludismo comico tea-trale l’uso e l’abuso di alterati e di superlativi, da Goldoni, naturalmente, non inventato bensì portato alle estreme conseguenze e sdoganato per i librettisti a venire: “Accetterò l’onore | che l’arcisoprafina sua bontà | gen-tilissimamente ora mi fa” (L’Arcadia in Brenta [1749], I/9); “impossibilis-simo” (La cameriera brillante [1754], I/1); “assaissimo” (I malcontenti [1755], II/7; La villeggiatura [1756], III/7); “Bella, bella davvero, arcibellis-sima!” (Il matrimonio discorde [1756], parte prima); “umilissima”, “osse-quiosissima”, “obbligatissima”, “gentilissimo”, “perfettissimo” e “compitis-simo” (La cantarina [1756], I). Molto estesa sarebbe l’esemplificazione ros-siniana del fenomeno, che limiterò a pochi casi significativi: “Su via ditemi bravissimo! | argutissimo, acutissimo!” (Scala, 13); “M’inchino a queste | leggiadrissime dame” (Pietra, I/14); “arcibellissimo” (ivi, II/12); “Eccellen-tissimo” e “Obbligatissimo” (Torvaldo, I/6); “eloquentissimi”, “sublimis-simi”, “bizzarissimi” e “orribilissimi” (Matilde, I/6); “A Sua Maestà spaven-tevolissima” (ivi, II/8)25.

Anni fa (e ancora in questo stesso volume) Marco Beghelli analizzò gli usi di eccetera nel linguaggio operistico: gustoso espediente per sintetiz-zare, con finto understatement, sequele di titoli onorifici (come nel celebre “Con venti etcetera” di Don Magnifico, nella Cenerentola, I/10), ma anche utile incapsulatore, direbbero oggi i linguisti, entro cui comprendere ele-menti performativi allora di pubblico dominio e oggi, ahinoi, decisamente più opachi (“civiltà con Dorvil che vi corrisponde, ecc.”, Scala, 5, didasca-lia). Senz’altro il latinismo eccetera, caro tanto alle didascalie quanto ai versi buffi rossiniani26, deve i suoi più vivi successi teatrali proprio a Gol-doni, come mostrano gli esempi:

25 Cfr. SCAVUZZO, Sulla lingua del teatro in versi (nota 20), pp. 207-211; VITTORIO COLETTI, Il

linguaggio dell’opera buffa in ricordo di Gianfranco Folena, in «Atti della Accademia Nazionale dei Lincei», XIII, 2002, pp. 823-841: 836); ROSSI, “Quel ch’è padre... non è padre” (nota 11), pp. 172-178.

26 Nei versi dei libretti rossiniani etcetera compare in Cambiale, 2; Barbiere, I/14; Ceneren-

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[TRACCAGNINO] Songo lo Capetano Cacafuoco. | Chissa figura mia grande e terribile, | chissa spata che taglia come un fulmene, | tutto lo munno farà andar in cenere. | Canno lo patre non vorrà... etecetera | [BRIGHELLA] Cossa gh’intra mo sto etecetera? (La cameriera brillante [1754], III/5).

Guarda caso, siamo qui in un contesto metateatrale, nel quale eccetera funge per l’appunto da incapsulatore, come nelle didascalie, per alludere a una prassi teatrale ben nota nei soggetti dell’improvvisa o commedia delle maschere (nella fattispecie, le millantate imprese del capitano Coviello, maschera napoletana).

[GRISOLOGO] Dell’umile poeta vadan gli applausi all’etera: | Battete e ribattete mani, piedi etcetera (I malcontenti [1755], III/9).

Continuiamo a trovarci in un contesto metateatrale. Contesto che sembra essere richiamato molto da vicino dal seguente brano della Matilde di Shabran, II/1, del solito Ferretti, nella prima scena del secondo atto: “Grande onore io mi farò” – prevede il poetucolo Isidoro (altra figura pret-tamente goldoniana, quella del poeta fanfarone27) – “Vale a dir: applausi, etcetera. | e i sbadigli addoppierò”.

[VALENTINA] In questo giorno eccetera dell’anno mille eccetera, | alla presenza ecce-tera di me notaro eccetera, | promette Rosa Panfili, nipote di Fabrizio, | sposarsi con Ippolito Moschin, quondam Maurizio. | [...] Ed obbligando eccetera, e protestando eccetera, | alla presenza eccetera di me notaro eccetera (La donna di governo [1758], IV/7)28.

Siamo stavolta nell’altro contesto preferenziale dell’occorrenza di ecce-tera: quello delle lettere e dei documenti notarili, ben rappresentato anche nei libretti rossiniani. La lettera di Slook dal Canadà letta da Tobia Mill nella seconda scena della Cambiale di matrimonio, farsa di Gaetano Rossi, si apre proprio con un bel: “Signor et caetera”. Idem nel Barbiere, I/14 e nella Cenerentola, I/10.

tola, I/10; Matilde, II/1. Nelle didascalie, Bruschino, 4; Tancredi, I/5; Turco, I/3 e altrove (cfr. MARCO BEGHELLI, “Con venti etcetera”: la ricchezza melodrammatica di uno stereo-tipo linguistico, in «Musica e storia», X, 2002, pp. 290-300 e ID., Le didascalie nei libretti rossiniani in questo stesso volume; COLETTI, Il linguaggio dell’opera buffa [nota 25], p. 826; ROSSI, “Quel ch’è padre... non è padre” [nota 11], p. 253).

27 Si pensi, per esempio, a Il poeta fanatico (1750) o al Grisologo in I malcontenti (1755). 28 Altre attestazioni di eccetera (nelle varie forme) nelle commedie goldoniane: Il servitore

di due padroni (1745-1746), III/9; La buona moglie (1749), II/18; La serva amorosa (1752), I/4, 8, II/1; La donna di testa debole o sia La vedova infatuata (1753), II/4; Tor-quato Tasso (1755), V/13; Le morbinose (1758), I/5, IV/7; La donna bizzarra (1758), V/3. Nelle didascalie: “E il RAGAZZO di quando in quando grida: a prender i viglietti ecc.” (La putta onorata [(1748)], III/12); “I barcaruoli lo difendono; e coi boccali, coi sassi e colla banca fanno fuggire gli sbirri, dicendo: Via, cagadonai. Via, lassèlo, furbazzi, dai ecc.” (ivi, III/16). Nei libretti: L’ippocondriaco (1735), I/4; Lugrezia romana in Costanti-nopoli (1737), I/7; Il filosofo di campagna (1754), II/4, 18; Il signor dottore (1758), I/9, II/2; Il conte Chicchera (1759), I/10.

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Mi pare, insomma, indubbio l’impiego metateatrale dell’espressione eccetera e anche il suo retaggio goldoniano (lo confermano, a parer mio, più che le occorrenze, la similitudine dei contesti d’uso), il che sembra mettere, per così dire, en abîme la stessa metateatralità di questa “quisqui-lia” librettistica, come la chiamava Beghelli con topos modestiae.

Un altro stilema ricorrente in Goldoni, che lo preleva a sua volta dalla commedia dell’arte, è la deformazione espressionistica delle lingue stra-niere, soprattutto del turco, che verrà utilizzata dal Romanelli nella cele-berrima scena del Sigillara nella Pietra del paragone. Ma su questo argo-mento non mi soffermo, avendolo già fatto in un altro mio lavoro29.

Il gioco metalinguistico, almeno quanto quello metateatrale e metalet-terario, è ingrediente essenziale dell’improvvisa e poi della librettistica buffa: attestazioni in abbondanza si riscontrano e in Goldoni e nei drammi rossiniani. Ecco un esempio goldoniano che colpisce per la vicinanza a un brano del Signor Bruschino, farsa del Foppa, sia per il gioco sulla doppia accezione (cronologica e grammaticale) dei termini futuro e presente, sia per il medesimo contesto in cui, in entrambi i brani, quel gioco è inserito, vale a dire quello economico. Il brano del Bruschino è il duetto tra Fili-berto e Florville nella scena seconda:

[FLORVILLE] Io danari vi darò! | [FILIBERTO] È bruttissimo il futuro. | [FLORVILLE] Or qui a voi ne sborserò. | [FILIBERTO] Oh il presente è più sicuro.

Ed ecco il brano goldoniano tratto dall’intermezzo La cantarina (1756), parte prima, aria della virtuosa Madama Geltruda:

Ma facciamo patti chiari: | Come stiamo di denari? | Siete senza? Via di qua. | Ne averò... | far potrò... | spenderò... | donerò... | Il presente mi consola; | il futuro, si-gnor no. | Se ne avrete, mio sarete.

Un altro gioco metalinguistico si ha nel libretto goldoniano Il signor dot-tore (1758), III/5. E anch’esso pare ripreso in un libretto rossiniano, quello già citato della Cambiale di matrimonio. Si tratta della forza pragmatica del segnale discorsivo ma, usato per esprimere una forte reticenza (potremmo chiamarlo dunque, in questo caso, un marcatore di aposiopesi), e come tale riconosciuto con fastidio dagli interlocutori. Ecco il brano goldoniano:

[FABRIZIO] Dunque più non mi amate? | [PASQUINA] Anzi vi voglio ben, ma... [FABRIZIO] Questo ma | cosa conclude mai? | [PASQUINA] Oh, il ma vuol dire delle cose assai. | Col ma talor si toglie, | col ma talor si dona, | ora è cosa cattiva, ed ora

29 Cfr. ROSSI, Imitazione e deformazione (nota 2). Elenco soltanto i principali luoghi goldo-

niani nei quali si fa uso del finto turco o finto armeno (il cosiddetto levantino). Comme-die: La famiglia dell’antiquario o sia La suocera e la nuora (1749), I/17, III/4; Le femmine puntigliose (1750), I/7, 10, et passim; I pettegolezzi delle donne (1751), II/20, III/8; Le donne de casa soa (1755), I/9; L’impresario delle Smirne (1760), III/1, 2, et passim; li-bretti: Lugrezia romana in Costantinopoli (1737), I/1, 3, et passim; Lo speziale (1755), III/6, 7; La conversazione (1758), III/3; La fiera di Sinigaglia (1760), II/17.

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è buona. | Per esempio, si suol dir: | Quella tale già si sa, | che è ripiena di bontà, | Ma...; e la tale suol passar | per l’idea dell’umiltà, | pe ‘l ritratto d’onestà, | Ma...: ed il bene che si ha detto, | tutto in fumo se ne va. | Dico anch’io vi voglio bene, | ho per voi della pietà, | ma...: il mio ma cosa vuol dire? | Qualchedun vel spiegherà.

Ci vorrebbe Maria Callas per vitalizzare quel ma con tante m e con tutti i suoi mille sottintesi: come quando cantava “Mmmmma... ma se mi toc-cano dov’è il mio debole”, concentrando così l’attenzione di tutta la cava-tina di Rosina proprio su quel ma, sebbene lì nettamente avversativo.

Nella scena successiva, III/6, Fabrizio così spiega quel ma: Senza che me lo spieghi, | l’ho capita da me. Vuol dire io v’amo, | ma sono una fra-schetta; | vuol dir quella civetta: | “Ho promesso, egli è ver, ma cangio tuono; | non vi vorrei mancar, ma donna io sono”.

Questa, invece, una sintesi degli usi di ma nella farsa del Rossi: [FANNÌ] In libertà lasciatemi, | ven priego per piacer. | [SLOOK] Ma, perché ciò, spie-gatevi. | [FANNÌ] Vorrei spiegarmi... ma! | [SLOOK] Vi spiace il matrimonio? | [FANNÌ] Mi piacerebbe... ma!... | [SLOOK] Son io forse un demonio? | [FANNÌ] Non dico que-sto... ma!... [SLOOK] Per carità, signora, | lasciamo questi ma. | [FANNÌ] Voi non sa-pete ancora | cosa vuol dir quel ma... (Cambiale, 7).

Dello stesso tenore: “Madama | colla decenza e i ma, | che vuol cavarmi gl’occhi” (ivi, 11); “quel ma | vuol dir che ci ho una gran difficoltà” (ibid.); “Con quella flemma!.. con quei ma!..” (ivi, 15); “Ancor dei ma!” (ivi, 16); “Quel ma mi desta gl’impeti” (ibid.).

Ancora una volta, ciò che mi fa propendere per un prelievo goldoniano diretto da parte di un librettista rossiniano non è tanto l’occorrenza delle medesime forme, quanto il loro uso negli stessi contesti e con analoghe modalità: in questo caso, la reticenza amorosa.

IV. Qualche altro spunto su temi e situazioni

Passiamo ora ad alcuni temi cardine di commedie o libretti goldoniani confluiti nei libretti comici rossiniani. Una situazione ricorrente in Goldoni è l’insofferenza di taluni personaggi nei confronti dell’eccesso di servili-smo e di complimenti: “La diga, xela la verità che qua no se usa troppo a dar del lustrissimo?” domanda, a Roma, l’ingenuo Tonino, di Torcello, alla fiorentina Beatrice, mascherata da uomo, la quale risponde:

[BEATRICE] Certamente, tra galantuomini questo titolo si risparmia. [TONINO] E a Fio-renza? [B.] A Firenze ancora. Non si dà che dai servitori e dalla gente bassa. [T.] Co l’è cussì, torno a Venezia. Me piase sentirme a dar del lustrissimo. Sentirme a dir, co passo per strada: lustrissimo sior Tonin, bondì a vussustrissima, vussustrissima sarà servida. Me sgionfo; vegno tanto fatto (Il frappatore [1745], II/6).

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[LELIO] (Voglio un poco vedere, perché a lei [Rosaura] dà dell’illustrissima, e a me del signore). (Ditemi, quel giovine, al vostro paese che regola si usa nel dare i titoli?). [BRIGHELLA] Ghe dirò, signor: in certi paesi, dove che ho praticà mi, chi li merita non li cura, e a chi non li merita, i se ghe dà per burlarli (Le femmine puntigliose [1750], I/5).

Nella Cameriera brillante (1754), II/7, Brighella crede che l’insofferenza di Ottavio al titolo di Illustrissimo sia indizio d’umiltà e liberalità, mentre si tratta della stizza di non esser appellato Eccellenza:

[OTTAVIO] Voi altri non sapete dir altro che illustrissimo. [BRIGHELLA] (L’è pien de umiltà. Nol vol titoli). Ghe dirò, signor, se procura de usar quei atti de respetto che ne convien. [...] [O.] Che avete? Perché mi domandate scusa? Forse per non avermi dato dell’Eccellenza? Che importano a me queste freddure? Io non faccio pompa di questi titoli; non li curo, non me n’importa. Sono vanità, ostentazioni. Parlate, parlate con libertà30.

Simili brani non possono non far pensare al personaggio del canadese Slook, nella Cambiale del matrimonio, e alla sua insofferenza nei confronti dell’eccesso di complimenti da parte degli europei:

Quieti un po’ – che complimenti! | M’imbrogliate, – buone genti: | non vo avanti... – son confuso... | so ancor io d’Europa l’uso – | flemma dunque, ed incomincio, | come so, a complimentar (Cambiale, 6).

Così Slook reagisce all’abuso di servo: “Servo! – Proprio in Europa | usan de’ complimenti strani e nuovi” (scena 7).

L’amore inteso come forza della natura cui è impossibile sottrarsi è un tema fondamentale della librettistica31. Esemplari, al riguardo, le arie di Fiorilla nel Turco in Italia, I/5, e di Matilde nella Matilde di Shabran, II/u. Canta quest’ultima, nel finale dell’opera:

L’affanno terminò, trionfa amore. | Ami alfine? E chi non ama? | Ama l’aura, l’onda, il fiore. | Se di te trionfa Amore | non ti devi vergognar. | Agli affanni suoi segreti | son soggetti anche i guerrieri, | anche i medici e i poeti | son costretti a sospirar.

Non è difficile rintracciare brani simili nei libretti goldoniani, fin dai primi intermezzi:

30 Brani analoghi si possono riscontrare negli intermezzi goldoniani: “[LESBINA] Vussignoria si

serva come vuole. | [ANSELMO] Questo vussignoria lasciar si puole; | se parliamo tra noi, | basta il titolo voi. | [LESBINA] Dunque, signor, se voi... [ANSELMO] Zitto in malora; | il termine signor lasciate ancora. | [LESBINA] Sapete pur che adesso | tutti i titoli son superla-tivi. | [ANSELMO] Pur troppo il so benissimo | che chi ha lustro il vestito è un illustrissimo” (Il filosofo [1735], II/2); “Le genti basse | procurano innalzarsi, | e vorrebbe ciascun nobi-litarsi. | La signora chiamata | vuol esser l’Illustrissima, | e poi l’Eccellentissima, | e prenderebbe dell’Altezza ancora; | ma poi per sua malora, | fatto de’ capitali un bel con-sumo, | va l’arrosto perdendo, e resta il fumo” (Il matrimonio discorde, 1756, parte II). E lo stesso nei drammi per musica: La scuola moderna o sia La maestra di buon gusto (1748), II/4; Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno (1749), I/4; Le pescatrici (1752), I/13.

31 Cfr. Sublimazione e concretezza dell’eros (nota 4).

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[LESBINA] Aman le piante, | aman le belve ancor, aman le pietre, | più di tutto insen-sate, | e voi, che siete un uom, voi non amate? | L’agnellino ama l’agnella, | ama il toro la torella, | l’usignolo in sua favella | va dicendo: “Ardo d’amor” (Il filosofo [1735], I/4)32.

Sempre nel Filosofo, II/2, canta Lesbina ad Anselmo: Alle feste ed ai ridotti | voglio andar quando mi par; | consumar voglio le notti | nel ballar e nel cantar. | M’intendete? | Né l’avete da vietar. | Voglio star in allegria | poco poco in casa mia | né ci avete da pensar.

ricordando la solita Fiorilla del Turco, I/13: Per punirvi aver vogl’io | mille amanti ognor d’intorno, | far la pazza notte e giorno, | divertirmi in libertà.

Per tornare alla Matilde di Ferretti, più d’un tratto l’accomuna alla Miran-dolina della Locandiera (1753). Per rimanere ai contesti legati alla supre-mazia delle donne in amore, leggiamo l’a solo di Mirandolina sul potere delle donne di far cadere gli uomini:

Voglio usar tutta l’arte per vincere, abbattere e conquassare quei cuori barbari e duri che son nemici di noi, che siamo la miglior cosa che abbia prodotto al mondo la bella madre natura (La locandiera, I/9).

Ed ecco Matilde: Corradin si piegherà, | al mio piè si prostrerà, | piangerà, sospirerà, | schiavo mio re-star dovrà (Matilde, I/6);

Femmine mie, guardate: | L’ho fatto delirar. | Femmine, siamo nate | per vincere e regnar (ivi, II/u.).

“Sono donne, e tanto basta”, sospira il cavaliere (La locandiera, II/3); “Io son donna, e tanto basta”, puntualizza Matilde (Matilde, I/6).

Tipico espediente buffo è lo starnuto. È nell’Italiana in Algeri, II/6, già ap-prontato da Angelo Anelli per Luigi Mosca (1808), che Rossini si trova a musicarlo, quando Mustafà ordina a Taddeo: “Senti, Kaimakan, quando io starnuto | levati tosto, e lasciami con lei”, ordine puntualmente disateso da Taddeo:

[Mustafà] Eccì | [Taddeo] (Ci siamo) | [Isabella/Lindoro] Viva. | [T] (Crepa) | [M] Eccì... | [T] (Fo il sordo.) | [M] (Maledetto quel balordo: | non intende, e ancor quì sta.) | [T] (Ch’ei starnuti finchè scoppia: | non mi muovo via di qua.)

32 Un brano analogo è in Il mondo alla roversa o sia Le donne che comandano (1750), I/5,

curiosamente cantato da un uomo (Graziosino), rovesciando, così, anche la consueta prassi che voleva le donne come cantrici dei poteri d’amore: “Non si può dar nel mondo | piacer che sia maggiore | d’un corrisposto amore. Aman le belve, | amano i sordi pesci, aman gli augelli, | le pecore e gli agnelli; | amano i cani e i gatti, | e quei che amar non san, | son tutti matti”.

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Quello del Barbiere, I/7, come tutti sanno, fu attinto in realtà da Sterbini all’omonimo libretto per Paisiello33. Meno nota, invece, l’ascendenza goldoniana di simili forme, come documentato dal finale primo de L’Arcadia in Brenta (1749), I/12, dove compare, tra l’altro, anche il sostan-tivo stranutiglia, incredibilmente assente nei dizionari italiani e in LIZ, anch’esso presente nei libretti del Barbiere per Paisiello e Rossini:

[FORESTO] (Ora l’aggiusto io. | Con questa stranutiglia | mi voglio divertir con chi ne piglia). | Prenda, prenda di questo: | è foglia schietta, schietta, e leggerissima. [...] | (Voglio rider di core. | La stranutiglia vera | li farà stranutar fino alla sera).

Segue, nel movimentato finale, una lunghissima serie di Eccì34. Lo stesso Goldoni è debitore degli starnuti alla commedia dell’arte e alla Maestra (1747) di Antonio Palomba, come dimostrato dall’Ortolani nelle note alla commedia goldoniana (vol. X, p. 1273).

Si potrebbero addurre molti altri esempi a riprova dei debiti tematici e stili-stici dei librettisti rossiniani nei confronti di Goldoni. Mi limiterò, tuttavia, a un ultimo manipolo di brani. Lo sfruttamento ludico dei tecnicismi era un banco di prova per la comicità sette-ottocentesca, di nuovo sulla scorta della commedia dell’arte. Tra i molti brani goldoniani significativi a questo riguardo, si prenda l’aria di Ecclitico da Il mondo della luna (1750), I/1:

Su via, tosto sugli omeri | prendete l’arcimassimo | mio canocchial novissimo. | Drizzatel su la specula, | perpendicolarmente in ver l’ecclitica. | Vuò veder se avvi-cinasi | de’ due pianeti il sinodo, | idest, quando la Luna al Sol congiungesi, | che dal mondo volgare ecclissi appellasi.

Essa ricorda molto da vicino l’aria di Mill nella seconda scena de La cam-biale di matrimonio: “Chi mai trova il dritto, il fondo | a cotesto mappa-mondo”, che con la precedente condivide, oltre allo sfoggio di tecnicismi, l’ambito semantico astronomico.

Sempre sul terreno dei sottocodici, ecco come il tronfio Lelio, nella Ca-stalda (1751), II/9, manifesta a Pantalone il proprio amore per la nipote:

Siccome gli effetti simpatici dell’attrazione operano negli individui umani... [...] Così la magnetica possanza delle amorose pupille della nipote hanno attratto gli effluvi dell’acceso mio cuore.

33 Fino a qualche tempo fa attribuito a Giuseppe Petrosellini, ma in realtà anonimo, come

dimostrato da LORENZO BIANCONI, Wer schrieb das Libretto zu Paisiellos ‘Barbiere di Sivi-glia’?, in «Mitteilungen des Dokumentationszentrums für Librettoforschung», 12, luglio 2005, pp. 6-7. Ringrazio Saverio Lamacchia per avermi segnalato quest’ultimo riferi-mento.

34 Sull’importanza di questo bel finale cfr. DANIEL HEARTZ, Vis comica: Goldoni, Galuppi and L’Arcadia in Brenta (Venice, 1749), in Venezia e il melodramma nel Settecento, a cura di Maria Teresa Muraro, 2 voll., Venezia, Olschki 1978-1981, vol. II, pp. 32-73: 5.

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Non troppo dissimilmente, il parvenue Buralicchio dà voce ai propri sen-timenti per la spocchiosa Ernestina, nell’Equivoco di Gaetano Gasbarri, I/3:

Occhietti miei vezzosi, | che state a lampeggiar | lasciate ch’io riposi | lo spesso scintil-lar. | Perché da quel fulgore, | che avvampa, accende e scotta | può nascere una botta | al sesso assai fatal. | Si accende la bellina, | si scalda ancor la brutta. | Questa un sospiro erutta, | quella di là trabocca; | chi stringesi la bocca, | il naso chi si tura, | perché per sua natura | il foco è assai bestial. | Calmate, eterni Dei, | un simil magnetismo, | o in tanto fanatismo | porgete ai voti miei | la flemma che vorrei | per tutte contentar.

Come si vede, in entrambi i brani si parla di magnetismo, di occhi e di ef-fluvi. Troppe le adiacenze per una semplice casualità. Anche la similitu-dine della rosa e dell’ape avvicina i due testi. Quando Pantalone chiede a Lelio se gli piace sua nipote, egli risponde: “Come alle api la fresca rosa” (La castalda, II/9); “Io sarò il fiore – l’api sarete”, confida Ernestina ad Er-manno e Buralicchio (Equivoco, I/7). E di nuovo Lelio: “Intendami chi può, che m’intend’io” (La castalda, II/9), che richiama Buralicchio: “Intendami chi può, che m’intend’io” (Equivoco, II/11).

Il celebre giuramento dei Pappataci nell’Italiana in Algeri, II/14, ri-chiama, direi inequivocabilmente, l’analogo giuramento del libretto gol-doniano Il paese della Cuccagna (1750), II/2:

Prometto... di non essere... geloso | [...] Oh sì, prometto | di non far mai fatica. [...] | Di mangiar quanto posso e sempre bere. | [...] Di non prendermi cura | se la mia moglie stia | con altri in allegria.

L’ultimo evidente debito goldoniano nell’argomento, nel tono ma soprat-tutto nell’atmosfera ironicamente decadente di un libretto rossiniano è quello del Viaggio a Reims verso Le smanie per la villeggiatura (1761). Anche qui è possibile ravvisare un paio di scene molto vicine nel mate-riale tematico, se non finanche in quello verbale. La partenza ritardata e la procrastinazione del piacere alimenta, com’è noto, entrambi i testi; vedia-mone un esempio: “Ieri vi ho detto che sperava di poter essere all’ordine per partire; ma ora vi dico che non lo sono, e mandate a sospendere l’ordinazion dei cavalli, perché assolutamente per oggi non si può partire” (ingiunge Vittoria al fratello Leonardo, I/3). “Sta tutto all’ordine, | non v’è che dire; | né più a partire | si può tardar”, invita don Profondo, in Viaggio, 15bis, e successivamente: “da gran tempo, | è tutto ritenuto e riservato; | non si trova un cavallo | da comprar o affittare, | e ognun di voi al nobile progetto | di rinunciar pur troppo or fia costretto”, annuncia Zefirino, nella scena 18. Come si vede, tornano nel libretto di Luigi Balocchi tanto l’espressione essere all’ordine quanto il tema dei cavalli, già presenti in Goldoni.

L’altra analogia riguarda l’elemento inibente la partenza, vale a dire la mancata disponibilità di un capo d’abbigliamento ritenuto indispensabile per una donna alla moda. Così Vittoria e suo fratello, nelle Smanie, I/3:

[VITTORIA] Maledetta la mia disgrazia! [LEONARDO] Oh gran disgrazia invero! Un abito di meno è una disgrazia lacrimosa, intollerabile, estrema. [VITTORIA] Sì, signore, la mancanza di un abito alla moda può far perdere il credito a chi ha fama di essere di buon gusto.

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Così invece la contessa di Folleville, appena ripresasi dallo svenimento in seguito all’idea di aver smarrito un suo cappellino, in Viaggio, 6:

Donne, voi sol comprendere | potete il mio dolor: | più fieri amari spasimi | non ho provato ancor.

V. Conclusioni: Goldoni, Gherardini, Rossini

Mi piace concludere chiudendo un cerchio e richiamando quel Giovanni Gherardini evocato all’inizio del mio discorso, il Gherardini lessicografo, estimatore di Goldoni e autore (o forse sarebbe più corretto dire adattatore) del libretto della Gazza ladra35. Come ho già mostrato in altra sede, è raro, a quest’altezza cronologica, imbattersi in uno stile linguistico davvero di mezzo carattere, nel senso di lontano tanto dall’aulicità dell’opera seria quanto dai giochi verbali della buffa. Uno stile a tratti davvero prossimo al “parlato-parlato” di nencioniana memoria36, ovvero la Umgangssprache,

35 Il Gherardini è personaggio tutto sommato ancora poco studiato (di là dalla sua attività

lessicografica): cfr. FRANCESCA BRANCALEONI, Gherardini, Giovanni, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana 1960 sgg., vol. 53, pp. 597-599. Oltre alla Gazza ladra, si ricordano tre altri suoi libretti (Il naso in pericolo, dramma giocoso in due atti, da Voltaire; È fatto il becco all’oca, dramma giocoso in due atti, dal canto II del Mambriano di Francesco Cieco da Ferrara; Il bacchettone, melodramma giocoso in due atti, da una novella di Bandello), mai musicati, e una commedia in prosa (Ipocrisia e credulità, in 5 atti, da Voltaire), pubblicati in GHERARDINI, Componimenti drammatici, Milano, Giusti 1818. Inoltre, soltanto dal catalogo on line delle biblioteche italiane (ICCU; non si esclude peraltro un erroneo accorpamento di omonimi, con relativo livellamento delle date di nascita e di morte), si ricava la partecipazione del Gherardini ad altri tre melodrammi, uno come librettista (insieme con Paganini e Luigi Cherubini, Marsia, melodramma degli astronomi X. Y. Z. Musica del sig. maestro Gio. Arcangelo Gambarana da rappresentarsi nel Teatro Re l’autunno dell’anno 1819, Milano, Tipografia Tamburini 1819, rappresentato nel 1819, al Teatro Re di Milano) e altri due come interprete (nel ruolo di Acmet III in Il re Teodoro: dramma giocoso per musica da rappresentarsi nel Teatro Nuovo di Pesaro la Primavera del 1819, musica di Giovanni Paisiello, libretto di Giovan Battista Casti, Pesaro, Niccolo Gavelli 1819, rappresentato nel 1819, al Nuovo Teatro di Pesaro; nel ruolo di Ferrante in La voce misteriosa, melodramma semiserio in due atti da rappresentarsi nel Teatro di S.A.S. il sig. Principe di Carignano nell’autunno dell’anno 1821, musica di Giuseppe Mosca, libretto di Felice Romani, Torino, Onorato Derossi 1821, rappresentato nel 1821, al Teatro Carignano di Torino). Infine, da GIAOCHINO ROSSINI, Lettere e documenti, a cura di BRUNO CAGLI e SERGIO RAGNI, Pesaro, Fondazione Rossini, 3 voll., 1992-2000, vol. I, p. 207 nota 2, apprendiamo l’esistenza di un sesto libretto, il primo scritto da Gherardini: La contesa, musicato da Pietro Ray, allestito a Milano, 1816, Teatro degli Acca-demici Filodrammatici. Per tornare alla Gazza, si ricordi che Rossini, nonostante le prime riserve (“Il Libro è versificato da un Poeta di fresca data, ed in conseguenza mi fà impazzire; il soggetto però è bellissimo, e spero (se piace a Dio) faremo un Fiasco Fottuto”, lettera alla madre Anna Guidarini del 19 marzo 1817, in GIOACHINO ROSSINI, Lettere e documenti, vol. IIIa, Lettere ai genitori 18 febbraio 1812 - 22 giugno 1830, a cura di BRUNO CAGLI e SERGIO RAGNI, Pesaro, Fondazione Rossini 2004, pp. 162-163: 162), considerava “questa Opera [...] La Più Bella ch’io m’abbia Scritta [...]. Il Libro è bellissimo e l’ho Scritto con un gran trasporto” (lettera alla madre del 3 giugno 1817, ivi, pp. 173-177: 175).

36 Sul “parlato-parlato” cfr. GIOVANNI NENCIONI, Parlato-parlato, parlato-scritto, parlato-recitato, in

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come si può vedere in espressioni quali “Già così tardi!”, “E chi dice il contrario? – Ma finiamola. | Il tempo vola: io corro | un momento in cucina; e poi, se credi, | andremo insieme ad incontrar Giannetto”, nel seguente recitativo (fine della prima scena del primo atto): FABRIZIO (guardando l’oriuolo) Oh cospetto! Undici ore già passate. E Giannetto ne scrive che sarà qui sul mezzogiorno. LUCIA Oh diavolo, già così tardi! – E la Ninetta ancora non veggo. Ov’è costei ? – Pippo, rispondi. PIPPO Per la collina, io credo, a cogliere le fragole. LUCIA Ah Fabrizio, da qualche tempo son molto scontenta di questa tua Ninetta. – Pippo, Ignazio, Antonio, andate tutti a preparare il resto. – Pippo e gli altri famigli si ritirano. Ah se la colgo quella smorfietta!.. FABRIZIO Eh via, cessa una volta! Tu sempre la rimbrotti, e sempre a torto. LUCIA A meraviglia! E quando ridendo e civettando ella mi perde le forchette d’argento, dimmi, allora se mi viene la bile, ho torto ancora?

FABRIZIO Gran cosa! Finalmente è una forchetta sola che si smarrì per caso; e chi sa forse che un dì non si ritrovi! – Orsù, Lucia, bada a trattare con maggior dolcezza quella fanciulla. LUCIA (in aria di disprezzo) Ah, ahà! FABRIZIO Rispetta in lei le sue sventure. Sai ch’ella è pur figlia di quel bravo e onesto Fernando Villabella che fra le schiere incanutisce; e s’ella, orfana della madre e senza doni della fortuna, colle sue fatiche qui si procaccia una meschina vita, non debb’esser perciò da noi schernita.

LUCIA E chi dice il contrario? – Ma finiamola. Il tempo vola: io corro un momento in cucina; e poi, se credi, andremo insieme ad incontrar Giannetto. (via)

FABRIZIO Dici ben; vo nell’orto, e là ti aspetto. (via)

«Strumenti critici», XXIX, 1976, pp. 1-56. Sul ruolo di Goldoni nella nascita dell’italiano medio d’uso teatrale cfr. almeno, oltre al classico FOLENA, L’italiano in Europa (nota 2, in particolare le pp. 89-215 e 307-324), KRISTINE HECKER, “Scritto come si parla”. Le idee di Goldoni sul linguaggio teatrale e la reazione dei contemporanei, in «Quaderni di teatro», VII, 1985, 28, pp. 105-137; EAD., Considerazioni sul dialogo nelle commedie goldoniane. Il confronto di due registri linguistici: veneziano e italiano, in Dialoganalyse III, Referate der 3. Arbeitstagung Bologna 1990, a cura di Sorin Stati, Edda Weigand e Franz Hundsnurscher, vol. II, Tübingen, Niemeyer 1991, pp. 85-95; TINA MATERRESE, Il Settecento, Bologna, il Mulino 1993, pp. 100-111; PIETRO TRIFONE, L’italiano a teatro. Dalla commedia rinascimentale a Dario Fo, Pisa-Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali 2000, pp. 72-80; GIULIA PATTARA, Dal teatro alla letteratura. Postilla linguistica ad un’edizione goldoniana, in «Studi linguistici italiani», XVII, 1992, pp. 270-280; EAD., Struttura della frase e prospettiva testuale nelle commedie goldoniane, in La sintassi dell’italiano letterario, a cura di Maurizio Dardano e Pietro Trifone, Roma, Bulzoni 1995, pp. 281-309; SCAVUZZO, Sulla lingua del teatro in versi (nota 20), pp. 183-228 e ID., L’amore e gli innamorati (nota 4); ROSSI, Imitazione e deformazione (nota 2); ALBERTO PUOTI, Analisi conversazionale del teatro goldoniano: le funzioni della dislocazione, in Studi linguistici per Luca Serianni (nota 2), pp. 523-534.

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Il classicista e antipurista Gherardini, linguista e traduttore dall’inglese, dal francese e dal tedesco, sensibile e aperto sia al rispetto della tradi-zione sia all’ammissione di dialettalismi e tecnicismi, sembra riuscire a prendere, dal mélo francese, quanto di meglio sapeva offrire, all’epoca, al teatro italiano: ovvero, non solo la spettacolarità e le lacrime facili, ma soprattutto uno stile, in verità non insolito nella produzione francese quanto in quella italiana, agile e vivace, coupé, come lo si chiamava un tempo, cioè spezzato e piegato all’agilità della conversazione spontanea. Nel trasporre e versificare La Pie voleuse, ou La Servante de Palaiseau, mélodrame historique en trois actes et en prose, di Théododre Baudouin detto D’Aubigny e Louis-Charles Caigniez (1815), Gherardini innesta quelle intemperanze verbali nel migliore stile medio goldoniano, dando vita dunque a un’autentica terza via equidistante sia dall’aulicismo sia dall’espressionismo ludico (pure presenti, nella Gazza rossiniana). Di non secondaria importanza il fatto che Gherardini fosse un attento cono-scitore di Goldoni – al punto da curarne l’edizione di alcune commedie, nel 1821, per l’editore milanese Silvestri (Commedie scelte, nella col-lana “Classici italiani“) – e dei libretti italiani del XVIII secolo: nella me-desima collana curò infatti le raccolte dei Melodrammi giocosi del Casti (1824), di Melodrammi seri (1822) e di altri Melodrammi giocosi (1826). Egli, dunque, al pari di tanti altri librettisti di primo Ottocento, ricorre a Goldoni (e direi, complessivamente, più al commediografo che al libret-tista, non soltanto per il precoce oscuramento del teatro buffo quanto per la maggiore elasticità e medietà dell’italiano delle commedie rispetto a certi stilizzati macchiettismi dei libretti) per rinnovare il genere operi-stico, seminando spunti che verranno raccolti nei decenni a venire. Ed è curioso, ma forse non casuale, che il riferimento a Goldoni non rimanga implicito, nel testo della prima Gazza, bensì espresso, sebbene sotto forma di auspicio, nell’anonima e assai fedele traduzione italiana della Pie voleuse, pubblicata dall’editore romano Puccinelli nel 1817, un mese prima del debutto scaligero della Gazza rossiniana. Scrive in una postfazione il non altrimenti noto Cerbero:

Recitiamola ora [La Pie voleuse], che il suo fanatismo scenico non è ancora spento; cogliamo l’istante felice, perché, se non c’ingannano le speranze sul vicino crolla-mento del falso gusto, tornar dovrebbe a trionfar Goldoni; lo che sarebbe un gran bel passo verso il Paese della verità. Allora non più Gazze, non più Cani, non più Corvi: miserabili risorse di piccoli ingegni. Il secolo della Filosofia è stato il vero secolo dell’Orpello, e del Fosforo37.

37 Il testo è tratto dall’edizione curata da EMILIO SALA sopra citata (nota 16), p. 204.

Dell’evidente importanza dell’esempio goldoniano nel libretto della Gazza del Gherar-dini parla anche GIOVANNI CARLI BALLOLA, Semiseria, anzi, tragica, in La gazza ladra [programma di sala], Pesaro, Rossini Opera Festival 2007, pp. 57-67 (ringrazio Marco Be-ghelli per avermi fornito il testo).

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Il nostro Goldoni, dunque, solo apparentemente cacciato dalla porta, relegato, fin dal secondo Settecento, alla produzione dialettale e ludica, quando non alla commedia delle maschere, rientra dalla finestra: sarà lui il vero padre della lingua media dell’opera semiseria, di recente finemente studiata, sebbene per altri aspetti, da Arnold Jacobshagen38. E lo sarà grazie alla fitta utilizzazione di goldonismi da parte dei librettisti, a partire da quelli rossiniani, che a lui si rivolgono come a un immenso formulario di colloquialismi, temi e situazioni per svecchiare e movimentare la comuni-cazione teatrale e melodrammatica del diciannovesimo secolo. Non sarà certo un caso se molti romantici iniziano a farsi le ossa proprio riadattando libretti goldoniani: Piave ne è un esempio, col suo primo Don Marzio (Venezia, 1842), tratto dalla Bottega del caffè, come sappiamo da una lettera al suo amico Ferretti39. E, con un balzo in avanti meno ardito di quanto possa sembrare, Goldoni sarà pure l’ispiratore (o preconizzatore), non sempre riconosciuto, di quell’italiano dell’uso medio forse un po’ troppo tardivamente individuato, da taluni, sull’inizio degli anni Ottanta del Novecento40. Intermediario, naturalmente, Manzoni che, come è stato più volte accennato, attinge anch’egli volentieri, nel romanzo, a forme e costrutti goldoniani41. Ma questa, come si suol dire, è un’altra storia, da svilupparsi, eventualmente, in altra sede.

38 Cfr. ARNOLD JACOBSHAGEN, Opera semiseria. Gattungskonvergenz und Kulturtransfer im

Musiktheater, Stuttgart, Steiner 2005. 39 Cfr. BRUNO CAGLI, ”…Questo povero poeta esordiente”. Piave a Roma. Un carteggio con

Ferretti, La genesi di ‘Ernani’, in «Verdi – Bollettino dell’Istituto di studi Verdiani», X, 1987, pp. 1-18: 11-12. Anche Ferretti ha riadattato Goldoni almeno nei libretti La sposa persiana (Roma, 1827) e Torquato Tasso (Roma, 1833): cfr. FRANCO D’INTINO, Ferretti, Ia-copo, in Dizionario biografico degli italiani (nota 35), vol. 47, pp. 89-92: 91.

40 Mi riferisco, naturalmente, all’ampio dibattito suscitato a partire dal notissimo saggio di FRANCESCO SABATINI, L’“italiano dell’uso medio”: una realtà tra le varietà linguistiche ita-liane, in Gesprochenes Italienisch in Geschichte und Gegenwart, a cura di Günter Holtus e Edgar Radtke, Tübingen, Narr 1985, pp. 154-184 (con qualche aggiustamento di tiro in ID., Prove per l’italiano “trasmesso” (e auspici di un parlato serio semplice), in Gli italiani trasmessi. La radio. Firenze, Villa Medicea di Castello 13-14 maggio 1994, Firenze, Accademia della Crusca 1997, pp. 11-30). Cfr. anche le sostanziali puntualizzazioni di ARRIGO CASTELLANI, Italiano dell’uso medio o italiano senz’aggettivi?, in «Studi linguistici italiani», XVII, 1991, pp. 233-256 e ID., Ancora su... L’“italiano dell’uso medio“ e l’italiano normale, ivi, XX, 1994, pp. 123-126.

41 Benché siano ancora valide le raccomandazioni di FOLENA, Italiano (nota 2), p. 93, contro i rischi di un premanzonismo goldoniano prefabbricato dai critici, è indubbia la presenza di numerosi goldonismi nei Promessi sposi: cfr. soprattutto SCAVUZZO, Sulla lingua del teatro in versi (nota 20), e già ADOLFO JENNI, Goldoni “filologo”, in Studi goldoniani, 2 voll., a cura di Vittore Branca e Nicola Mangini, Venezia-Roma, Istituto per la collaborazione culturale 1960, vol. II, pp. 729-749. Più in generale, Vittore Branca salutava in Goldoni “il precursore delle intuizioni sulla verità e i valori fondamentali della vita fatti esprimere nei Promessi Sposi dal più familiare linguaggio di popolani e artigiani, in un certo senso goldoniani” (Introduzione al convegno, in Carlo Goldoni 1793-1993 [nota 4], pp. 17-19: 18).