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Track 1 - L’Economia Aziendale Area Tematica - Le sfide manageriali del futuro (Sinergie) L’AGILITÀ NELLA LOGISTICA DELLE EMERGENZE. COME LE IMPRESE APPRENDONO LA GESTIONE DELLIMPREVEDIBILE DALLE ORGANIZZAZIONI UMANITARIE NELLE OPERAZIONI DI PRIMO SOCCORSO. Abstract Uno dei compiti più impegnativi che le imprese affrontano oggi è quello di rispondere in modo rapido ed efficace alla crescente imprevedibilità della domanda e all’accentuata incertezza sul fronte dell’offerta. Una supply chain “agile” permette - in tempi brevi - di rispondere alla domanda in termini di cambiamento di volumi e di varietà e anche di predisporre delle strategie per ridurre il rischio di fornitura. L’agilità è particolarmente sviluppata dalle organizzazioni umanitarie nelle operazioni di emergenza. Le imprese possono trovare degli interessanti spunti dalle supply chain umanitarie per migliorare il livello di agilità della propria supply chain. Affrontare un accadimento imprevisto infatti non ha rilevanti differenze se gestito da imprese o organizzazioni non-profit: una risposta agile a eventi inaspettati può rappresentare, nel caso delle imprese, un vantaggio competitivo, per le organizzazioni umanitarie, la salvezza di vite umane. Il presente contributo si propone di individuare quali elementi di agilità della supply chain possono imparare le imprese dalle organizzazioni umanitarie nelle operazioni di emergenza per incrementare la propria competitività. 1
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Track 1 - L’Economia Aziendale

Area Tematica - Le sfide manageriali del futuro (Sinergie)

L’AGILITÀ NELLA LOGISTICA DELLE EMERGENZE.

COME LE IMPRESE APPRENDONO LA GESTIONE DELL’IMPREVEDIBILE

DALLE ORGANIZZAZIONI UMANITARIE NELLE OPERAZIONI DI PRIMO SOCCORSO.

Abstract

Uno dei compiti più impegnativi che le imprese affrontano oggi è quello di rispondere in modo rapido ed efficace alla crescente imprevedibilità della domanda e all’accentuata incertezza sul fronte dell’offerta. Una supply chain “agile” permette - in tempi brevi - di rispondere alla domanda in termini di cambiamento di volumi e di varietà e anche di predisporre delle strategie per ridurre il rischio di fornitura. L’agilità è particolarmente sviluppata dalle organizzazioni umanitarie nelle operazioni di emergenza. Le imprese possono trovare degli interessanti spunti dalle supply chain umanitarie per migliorare il livello di agilità della propria supply chain. Affrontare un accadimento imprevisto infatti non ha rilevanti differenze se gestito da imprese o organizzazioni non-profit: una risposta agile a eventi inaspettati può rappresentare, nel caso delle imprese, un vantaggio competitivo, per le organizzazioni umanitarie, la salvezza di vite umane. Il presente contributo si propone di individuare quali elementi di agilità della supply chain possono imparare le imprese dalle organizzazioni umanitarie nelle operazioni di emergenza per incrementare la propria competitività.

1

L’AGILITÀ NELLA LOGISTICA DELLE EMERGENZE.

COME LE IMPRESE APPRENDONO LA GESTIONE DELL’IMPREVEDIBILE

DALLE ORGANIZZAZIONI UMANITARIE NELLE OPERAZIONI DI PRIMO SOCCORSO.

1. Introduzione

Sempre più imprese si trovano a dover rispondere con maggiore frequenza a una domanda volatile,

che non presenta caratteri di continuità, e quindi di prevedibilità, tipici dei periodi passati, ma si

caratterizza per alti livelli di discontinuità, risultando quindi difficilmente prevedibile o addirittura

imprevedibile. Un tale tipo di domanda ha caratteristiche molto simili alla domanda cosiddetta

“sporadica” e si qualifica almeno attraverso tre tratti fondamentali: i periodi a domanda positiva

sono alternati a più periodi a domanda nulla, la distanza tra un periodo con domanda positiva e il

successivo non è costante, e l’entità della domanda è molto variabile da periodo a periodo (Cavalieri

& Pinto 2007).

L’incertezza crescente non riguarda unicamente il lato della domanda, ma include anche il lato

dell’offerta, ad esempio con i rischi derivanti da eventuali rotture di stock sul fronte degli

approvvigionamenti. Questo dipende principalmente dalle forti interdipendenze tra attori della

catena di fornitura cui ciascuna impresa appartiene, che caratterizzano la competizione attuale che

non si gioca più soltanto tra singole imprese ma soprattutto tra supply chain (Christopher 1992).

Affianco alle situazioni ordinarie, pur se con la sopra menzionata crescente variabilità, le imprese

sono anche maggiormente esposte a emergenze più o meno gravi (incidenti o disastri), che possono

disturbare o interrompere il normale svolgimento delle proprie attività. Non si tratta però solo

dell’effetto di eventi esterni, come ad esempio catastrofi naturali, scioperi o attacchi terroristici, ma

anche dell’impatto dei cambiamenti della strategia aziendale, per esempio, l’adozione di procedure

“snelle”, il passaggio all’outsourcing, una tendenza generale alla riduzione della dimensione della

base di fornitori, la focalizzazione delle fabbriche e la centralizzazione della distribuzione

(Cranfield School of Management 2002).

Per fronteggiare la sfida competitiva della gestione dell’imprevedibile, dal lato della domanda,

adottare un approccio classico basato sulle previsioni risulterebbe evidentemente poco efficace, se

2

non del tutto inadeguato; assume, invece, maggiore rilievo l’adozione di un approccio “reattivo”

(“responsiveness”), che permetta cioè di rispondere alla domanda di mercato in un intervallo di

tempo breve, in termini sia di cambiamento di volumi che di varietà (Lee 2002). Per far fronte non

solo alla variabilità e alla mutevolezza della domanda, ma anche all’incertezza sul fronte

dell’offerta è necessario utilizzare, invece, un approccio “agile” (“agility”), che permetta di

predisporre anche delle strategie miranti a ridurre il rischio insito nella fornitura (Lee 2002).

Sia la reattività che, soprattutto, l’agilità afferiscono non solo alla singola impresa, ma piuttosto

all’intera supply chain a cui l’impresa appartiene. Infatti, nonostante una singola impresa possa aver

impostato processi interni in grado di garantire agilità, questa sarebbe comunque limitata se

dovesse, per esempio, affrontare lunghi tempi di approvvigionamento da parte dei fornitori. In realtà

quindi un punto importante dell’agilità è la presenza di partner agili a monte e a valle dell’impresa

focale (Christopher 2005).

Per un’impresa (e la sua supply chain) davvero agile, la volatilità della domanda, i rischi sul fronte

degli approvvigionamenti e l’esposizione a emergenze di vario genere non sono un problema

insormontabile, perché i processi, la struttura organizzativa e, soprattutto, le relazioni lungo la

catena di fornitura consentono di far fronte all’imprevedibile. Per le imprese saper affrontare

l’imprevedibile diventa una condizione necessaria per continuare a sopravvivere, a competere e a

incrementare il proprio valore nel tempo.

L’agilità è particolarmente sviluppata in quelle organizzazioni che per vocazione affrontano

l’imprevedibile: ovvero le organizzazioni umanitarie, in occasione delle operazioni di primo

soccorso a seguito di un disastro improvviso. In diversi lavori accademici, infatti, è stato

evidenziato un legame stretto tra il principio dell’agilità e le operazioni di emergenza umanitaria

(Charles et al. 2010; Scholten et al. 2010; Kovács & Spens 2009; Pettit & Beresford 2009; Taylor

& Pettit 2009; Oloruntoba & Gray 2006; Towill & Christopher 2002). Le organizzazioni umanitarie

si sono specializzate nell’agilità: esse affrontano condizioni estreme e complesse, a causa della

profonda incertezza che caratterizza il verificarsi di un disastro e l’organizzazione della fornitura

che deve raggiungere luoghi estremamente difficili e nel minor tempo possibile per salvare quante

più vite umane (Tomasini & Van Wassenhove 2009).

L'impatto devastante sulle popolazioni colpite da un disastro può essere ampiamente ridotto solo se

le operazioni umanitarie in risposta all’emergenza sono realmente efficaci. Dal momento che circa

l'80% dell’impegno del primo soccorso post-disastro consiste in attività logistiche, ne consegue che

l'unico modo per raggiungere l’obiettivo di salvare quante più vite umane dopo un disastro è

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l'efficacia della logistica, e più ancora del supply chain management (Van Wassenhove, 2006).

Logistica e supply chain management possono essere di enorme valore durante gli aiuti umanitari.

Essi rappresentano l'elemento più importante: quello che determina la differenza tra successo e

insuccesso di una operazione di soccorso (Tomasini & Van Wassenhove 2009).

L’esperienza delle organizzazioni che si occupano principalmente di gestione delle crisi può fornire

un ottimo esempio per capire come sono organizzate le operazioni di soccorso, con particolare

riferimento alle attività logistiche e di supply chain management. Le imprese potrebbero trovare

degli interessanti spunti dalle supply chain umanitarie per migliorare il livello di agilità della

propria supply chain (Cozzolino 2012; Charles et al. 2010; Tomasini & Van Wassenhove 2009).

Affrontare un accadimento imprevisto, in effetti, non ha rilevanti differenze se gestito da

organizzazioni profit o non-profit. In entrambi i casi, il principio cui la strategia deve essere ispirata

è quello dell’agilità, delle singole organizzazioni e delle catene di fornitura di appartenenza.

Un’efficace risposta a eventi inaspettati può rappresentare, nel caso delle imprese, un vantaggio

competitivo, per le organizzazioni umanitarie, la salvezza di vite umane (Cozzolino et al. 2012;

Conforti et al. 2008).

Il presente contributo si propone quindi di individuare quali elementi di agilità della supply chain

possono imparare le imprese dalle organizzazioni umanitarie nelle operazioni di logistica delle

emergenze.

Questa prospettiva è assai recente negli studi accademici e professionali; infatti, pur se importanti

lavori hanno discusso l’opportunità di apprendimento tra imprese e settore umanitario in ambito

logistico (Van Wassenhove 2006; Oloruntoba & Gray 2006), comunque la maggior parte degli

autori in passato ha dato maggiore considerazione a quello che il settore umanitario poteva imparare

dalle imprese in termini di gestione della logistica e del supply chain management, e non viceversa.

Solo recentemente anche la prospettiva inversa sta ricevendo attenzione nel campo di studi e

applicazione della logistica umanitaria tentando di colmare il gap esistente (Cozzolino 2012;

Charles et al. 2010; Tomasini & Van Wassenhove 2009).

Il Paragrafo 2 descrive come le organizzazioni umanitarie, da un lato, hanno iniziato a mostrare

maggiore interesse per le risorse, le competenze, i processi e le tecnologie che le imprese

possiedono, e le imprese, dall’altro, sono diventate più consapevoli dell’esperienza in prima linea

nella risoluzione di problematiche post-disastro maturata dal settore umanitario. Le imprese in

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particolare si stanno rendendo conto che possono apprendere l’agilità delle supply chain umanitarie

in risposta alle emergenze. Il Paragrafo 3 definisce il principio dell’agilità, il suo campo di

applicazione e i principali elementi che lo caratterizzano, secondo la letteratura sul tema. Il

Paragrafo 4 descrive le principali forme di collaborazione tra imprese e settore umanitario che

possano rappresentare un forum per l'innovazione e la condivisione delle conoscenze relativamente

all’apprendimento dell’agilità. La metodologia utilizzata per l’indagine empirica, basata su un case-

study, è illustrata nel Paragrafo 5. Le evidenze derivanti dall’analisi empirica qualitativa sono

riportate nei Praragrafi 6, 7 e 8. In particolare, le più recenti collaborazioni a livello internazionale

che si sono istaurate tra settore umanitario e operatori logistici nell’ambito delle operazioni di

risposta alle emergenze sono identificate nel Paragrafo 6. Mentre nel Paragrafo 7 viene analizzata

in profondità la collaborazione integrativa multy-company focalizzata sui servizi logistici, che

s’istaura tra le imprese logistiche Agility, TNT, UPS e AP Moller-Maersk (nell’iniziativa dei

Logistics Emergency Teams - LET) e il WFP, leader del Cluster Logistico delle Nazioni Unite. Nel

Paragrafo 8 vengono discusse le esperienze e le potenziali opportunità di apprendimento dell’agilità

nell’ambito dell’iniziativa del LET. A conclusione del lavoro, limiti e future linee di ricerca trovano

spazio nell’ultimo paragrafo.

2. Opportunità di apprendimento incrociato tra imprese e settore umanitario

Gli ultimi 20 anni hanno visto crescere l’impegno tra settore privato e no-profit, in particolare

nell’ambito della logistica umanitaria. Negli anni precedenti, invece, la cooperazione tra i due

settori sembrava piuttosto irrealizzabile (Stapleton et al. 2012). Tradizionalmente, infatti, da un lato,

le imprese consideravano il settore sociale “as a dumping ground for spare cash, obsolete

equipment, and tired executives” (Kanter 1999 p.123) e, dall’altro, cioè dal punto di vista del settore

umanitario, le organizzazioni for-profit erano percepite come la causa di molti dei problemi che

affliggono i paesi in via di sviluppo, come ad esempio, lo sfruttamento minorile, i disastri

ambientali, l’inquinamento, e le monocolture intensive. Il settore umanitario, quindi, aveva interesse

a trattare con le imprese soltanto in caso di necessità, sulla base di scambi puramente commerciali,

come ad esempio l'acquisto di beni o servizi utili allo svolgimento dell’attività specifica umanitaria.

Solo in alcuni casi, il punto di vista umanitario è stato mitigato dall’impegno filantropico di singole

imprese donatrici (Stapleton et al. 2012).

Le organizzazioni umanitarie, che un tempo consideravano il contributo monetario quale unica

forma utile di “corporate giving”, stanno mostrando maggiore interesse per le risorse, le

competenze, i processi e le tecnologie che possiedono le imprese (Van Wassenhove et al. 2008). Il

settore umanitario ha, infatti, iniziato a pensare di investire per la propria crescita non solo

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reperendo maggiori beni, maggiori servizi e maggiori fondi, ma anche dando importanza alle

competenze professionali e manageriali dei propri addetti, stimolandole, migliorandole e,

soprattutto, imparandole dal settore for-profit (Blansjaar & Van Der Merwe, 2011).

Ad esempio, in occasione di un’operazione di soccorso a seguito di un disastro, le organizzazioni

umanitarie sviluppano la conoscenza relativa agli errori che sono da evitare e alle soluzioni che

possono essere riutilizzate, ma l'esperienza non si riesce a trasmettere agevolmente tra i diversi

eventi e, anche, tra i responsabili delle diverse operazioni. Questa difficoltà dipende gran parte

dall’elevato turnover del personale (cioè i “proprietari” della conoscenza) che partecipano alle

operazioni sul campo dopo un disastro; ma è aggravato anche dalla mancanza di un sistema di

conoscenza strutturata che permetta di condividere le esperienze vissute tra le persone e, tramite

loro, possano essere trasmesse da un evento all’altro. Le imprese potrebbero insegnare alle

organizzazioni umanitarie a sviluppare un sistema di gestione della conoscenza, per valorizzare gli

insegnamenti tratti dalle catastrofi del passato, evitare di ripetere gli stessi errori, e replicare le

soluzioni di successo. In questo modo far convergere la conoscenza “da tacita a esplicita” e “da

individuale a organizzativa” dando luogo ad una “spirale di conoscenza” mediante la quale il

patrimonio di conoscenza organizzativa si amplia e si approfondisce (Nonaka 1994).

Allo stesso tempo, le imprese hanno incrementato il loro interesse per il settore umanitario.

Oltre ad un “puro” contributo filantropico, le imprese possono essere altresì interessate ad

accogliere le organizzazioni umanitarie come propri “clienti”, dal momento che l’“industria

umanitaria è in piena espansione” (Kovács 2011). Per esempio, le aziende del settore farmaceutico,

del settore del packaging, del settore alimentare, e del settore della logistica hanno anche iniziato a

sviluppare prodotti(1) su misura per scopi umanitari.

Tra questi due estremi si colloca un’area di Corporate Social Responsability (CSR) dove intenzioni

filantropiche e intenzioni commerciali si soprappongono tra loro (Tomasini & Van Wassenhove

2009).

Inserire Figura 1

Sotto il comune ombrello della CSR, si posizionano quelle imprese interessate a ricercare

opportunità per migliorare il proprio impatto sulla società attraverso azioni responsabili, anche

1 Con il termine “prodotto” si intende comprendere sia i beni che i servizi, in questo lavoro. Prodotto, infatti, viene qui utilizzato nella sua accezione più ampia e generale. Gli studi e la pratica hanno ampiamente dimostrato che la distinzione fra beni (tangibili) e servizi (intangibili) è, per molti versi, da considerarsi poco discriminante. Tale valutazione di irrilevanza della distinzione ha valore tanto nella prospettiva delle imprese quanto in quella dei consumatori (Iacobucci 1992; Rispoli & Tamma 1992).

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ottenendo vantaggi economici; come ad esempio, tra i più immediati, quello di aumentare la

reputazione dell'impresa e la propria immagine. Col presupporto ampiamente condiviso che le

imprese possono incrementare la propria competitività attraverso le collaborazioni nelle quali il

valore sociale e quello economico si sovrappongono poiché “there is no inherent contradiction

between improving competitive context and making a sincere commitment to bettering society”

(Porter & Kramer 2002 p. 66).

Le imprese, coinvolte in programmi di CSR, possono anche essere interessate a ristabilire la

continuità del proprio business dopo un disastro e a svolgere un ruolo attivo nelle operazioni di

soccorso là dove sono localizzati propri stabilimenti, uffici, dipendenti, fornitori e/o clienti; in

questo modo, essi saranno in grado di sostenere personalmente la propria attività colpita da un

disastro. Inoltre, le imprese possono essere interessate a raggiungere determinate aree geografiche,

dopo una catastrofe, per costruire relazioni nuove con i governi locali al fine di individuare nuovi

mercati e aprire nuove opportunità di business in quei Paesi in cui non sono ancora presenti.

Le imprese sono diventate anche più consapevoli dei molti vantaggi che derivano dall’esperienza

maturata dalle organizzazioni umanitarie. In quest’ottica, un primo aspetto interessante è quello

relativo alla capacità innovativa. Per un’impresa lavorare in condizioni estreme - quelle che per

definizione stessa caratterizzano le catastrofi, soprattutto quelle più complesse - insieme ad una

organizzazione umanitaria, può stimolare la creatività e accelerare il processo di apprendimento dei

dipendenti che sono abituati a lavorare in condizioni meno gravose; in questo modo, essi possono

apportare miglioramenti alla propria attività e contribuire a identificare nuove soluzioni, siano esse

innovazioni di prodotto e/o di processo2.

Oltre a queste motivazioni in un certo qual modo più tradizionali, si sta facendo strada una

motivazione nuova. “Private sector engagement in humanitarian relief matures, with a trend among

private sector towards more strategic and long-term planning, and a recognition of the need for

2 Un esempio di innovazione di prodotto è rappresentato dagli “Speedball” di DHL ovvero i loro “innovative packaging solution for disaster relief”. Dopo il terremoto nell'Asia meridionale del 2005, i dipendenti di DHL hanno costatato che i contenitori da trasporto convenzionali, come le scatole, sono spesso insufficientemente robusti per i soccorsi tramite aerei o elicotteri e non sono resistenti all’acqua. Hanno quindi utilizzato delle sacche normalmente utilizzate stesso da DHL per le consegne espresse. Si sono rivelate molto utili per consegnare i beni necessari durante i soccorsi umanitari in zone geografiche difficilmente accessibili a seguito di un disastro. come parte degli sforzi di soccorso in aree remote e inaccessibili. Questi cosiddetti “Speedball” di DHL possono contenere fino a 25 kg, sono in grado di resistere a lanci da aerei o elicotteri e rimangono a galla più di altri contenitori. Gli Speedball sono stati provati e testati in numerose operazioni di soccorso: nel 2010 per l’inondazione in Pakistan, dopo il terremoto in Cile, e dopo la tempesta tropicale in Guatemala. In Pakistan da solo, più di 2.500 Speedball sono stati confezionati e consegnati nelle zone colpite (http://www.dp-dhl.com/en/responsibility/disaster-management/disaster_response_drt.html).

Ad esempio (come ipotesi di innovazione di processo) le imprese potrebbero imparare dalle organizzazioni umanitarie come raggiungere le parti più remote del mondo con “fantasia” utilizzando sistemi di distribuzione non convenzionali, come le biciclette (lo fa già Coca Cola), elefanti, yak, asini e cammelli (www.wfp.org/logistics).

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consistent learning” (Oglesby & Burke 2012; Binder & Witte 2007); e, in particolare, dato che le

organizzazioni umanitarie hanno decenni di esperienza in prima linea nella risoluzione di

problematiche durante le catastrofi, potrebbero offrire alle imprese l'opportunità di fare esperienza

relativamente alla gestione dell’imprevedibile, in condizioni estreme.

Le imprese si stanno rendendo conto che possono avere qualcosa da imparare dal settore

umanitario, in particolare possono apprendere l’“agilità” in circostanze particolarmente difficili, uno

dei principali punti di forza delle organizzazioni umanitarie.

3. L’agilità della supply chain

L’agilità è generalmente definita come la capacità di rispondere ai cambiamenti imprevisti (Sheffi

2005), quando una domanda imprevedibile è combinata con tempi di consegna brevi (Christopher

2005). Come afferma Christopher (2000), uno dei primi studiosi a introdurre il termine “agile”

nell’ambito della supply chain anche con Van Hoek et al. (2001), il concetto di agilità non deve

essere erroneamente considerato analogo a quello di snellezza (“leanness”) o, all’opposto,

considerato come suo sostituto. I due concetti sono entrambi applicabili nell’ambito di una stessa

supply chain, ma vanno adottati considerando “different contexts in which the ‘lean’ and the ‘agile’

paradigms might work best” (Christopher 2005 pp. 118-119). La snellezza di solito si riferisce alla

capacità di fare di più e meglio con meno, quando la domanda è relativamente stabile e prevedibile

(Childerhouse & Towill 2000).

In estrema sintesi, mentre l'agilità si concentra sull’efficacia e sulla rapidità, la snellezza si

concentra sull’efficienza e sul risparmio dei costi (Charles et al. 2010; Scholten et al. 2010; Kovács

& Spens 2009; Pettit & Beresford 2009; Taylor & Pettit 2009; Oloruntoba & Grey 2006;

Narasimhan et al. 2006; Christopher 2005; Sheffi 2005; Aitken et al. 2002; Christopher & Towill

2002; Towill & Christopher 2002; Childerhouse & Towill 2000; Mason-Jones et al. 2000; Naylor et

al. 1999).

Christopher (2005) propone quattro diversi approcci strategici per la supply chain - basati sui

principi di agilità e di snellezza - che dipendono dalla combinazione delle caratteristiche della

fornitura e della domanda (Tabella 1): con caratteristiche della fornitura s’intende il lead time per il

reintegro, che si può realizzare in tempi brevi o tempi lunghi; le condizioni della domanda

potrebbero essere caratterizzate dalla sua prevedibilità o meno.

Inserire Tabella 1

Molto è stato scritto sul lean thinking, spesso con riferimento all’industria automobilistica, dove la

8

parola “lean” è stata coniata da John Krafcik (Womack et al. 1990). La snellezza si riferisce a fare

di più con meno, e deve le sue origini al Toyota Production System. L’approccio lean applicato alla

supply chain mira soprattutto a ridurre al minimo le scorte dei componenti, il work-in-progress e a

muoversi verso un contesto che lavora just in time.

Childerhouse e Towill (2000) sostengono che la snellezza risulti particolarmente rilevante quando la

domanda è relativamente stabile e prevedibile. In particolare, il principio lean risponde ad una

domanda più prevedibile attraverso il continuous replenishment, quando il tempo di consegna è

breve (nella Tabella 1, “Kanban”), e attraverso la pianificazione e l'ottimizzazione, quando il tempo

di consegna è lungo (nella Tabella 1, “Lean”) (Christopher, 2005).

Una supply chain agile “needs a massive and periodic source of employment” (Peck, 2005), e non

può essere raggiunta con un livello basso di costo (Lapide, 2006; Gattorna, 2006). Nella

configurazione dei costi, la “ragionevolezza” è la prospettiva da mantenere in risposta all’incertezza

(Hofman e Cecere, 2005). La disponibilità del bene/servizio è collegato quindi ad un “costo

ragionevole”, che è in contrasto con l’efficienza tipica invece dell’approccio lean (Towill e

Christopher, 2002). La capacità di rispondere con grande rapidità, sia dal lato della domanda che da

quello dell'offerta, può necessitare anche di una capacità ridondante, che può essere utilizzata

esclusivamente per fronteggiare gli eventi imprevisti. La capacità ridondante, mentre è considerata

un overflow non necessario per le attività tradizionali, rappresenta un costo necessario che deve

essere sostenuto per affrontare l’imprevedibile.

Il principio lean non esclude il principio agile anzi, i due principi possono coesistere all'interno

della stessa catena di fornitura, e applicati in momenti diversi (Scholten et al. 2010; Narasimhan et

al. 2006; Christopher 2005; Aitken et al. 2002; Childerhouse & Towill 2000; Mason-Jones et al.

2000; Naylor et al. 1999). In particolare, Christopher (2005) propone di considerare un punto di

disaccoppiamento attraverso il postponement, quando i tempi di consegna sono lunghi e la domanda

è imprevedibile (in Tabella 1, “Ibrido”). Secondo Childerhouse e Towill (2000), quando il mercato

è volatile o incerto, “leanness needs to be decoupled from part of the supply chain process and

combined with agility into a hybrid ‘leagile’ strategy where lean principles are applied downstream

in the chain and the concept of agility upstream” (Scholten et al. 2010 p. 627)3.

3 Se si fa riferimento a Christopher e Towill (2001), ci sono altri modi per accoppiare in pratica i due paradigmi snello e agile, oltre al punto di disaccoppiamento: “the Pareto curve approach and the separation of base and surge demands”.

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Il paradigma agile e quello lean possono coesistere anche all’interno della supply chain delle

emergenze umanitarie (Scholten et al. 2010). In particolare, la supply chain umanitaria deve essere

disegnata secondo le caratteristiche tipiche dell’approccio agile nella prima fase, immediatamente

susseguente l’evento catastrofico (fase di risposta), in cui gli obiettivi concettuali sono la “quicker

response” e i “reasonable costs”; nella seconda fase (fase di ricostruzione) è invece preferibile

considerare il paradigma snello, cui si riferiscono le qualificazioni di “quick response” e di “lower

costs” (Conforti et al. 2008).

Il principio agile viene, infatti, utilizzato in situazioni in cui simultaneamente la domanda è

imprevedibile e il lead time è breve (in Tabella 1, “Agile”). I concetti di logistica delle emergenze e

di logistica umanitaria sono stati spesso abbinati al principio di agilità in vari contributi accademici

(Charles et al. 2010; Scholten et al. 2010; Kovács & Spens 2009; Pettit & Beresford 2009; Taylor

& Pettit 2009; Oloruntoba & Gray 2006; Towill & Christopher 2002); questo stesso principio è

stato anche strettamente collegato alle teorie che studiano gravi shock imprevisti che colpiscono le

supply chain (Van Wassenhove 2006; Lee 2004).

Il concetto di agilità va oltre il livello della singola impresa, si riferisce all’intera catena di fornitura

a cui l’impresa appartiene e ha alcune caratteristiche particolari, cosicchè una supply chain agile

(Harrison et al. 1999):

è orientata al mercato (“market sensitive”);

è basata sullo scambio continuo di flussi informativi (“virtual”) condivisi tra gli attori che la

compongono;

ha le relazioni tra attori della catena collaborative (“process alignment”);

genera un network (“network based”).

Si possono individuare alcuni principi-base come punto di partenza per la creazione di una supply

chain agile (Christopher, 2005):

sincronizzazione delle attività attraverso la condivisione delle informazioni: la

sincronizzazione richiede che tutti i partner condividano lo scheduling e abbiano gli stessi

codici di riferimento, con la possibilità di osservare e comunicare con gli altri attori al fine

di rendere fortemente allineati i processi di refurbishing e replenishment, diminuendo il

livello delle scorte;

eliminazione delle attività che non apportano valore attraverso il miglioramento dei

processi: la ri-progettazione dei processi è necessaria per eliminare tutte le attività cui

corrisponde uno spreco e non la creazione di valore, ma anche per rendere quante più attività

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possibili simultanee, ovvero in parallelo, e non successive, al fine di diminuire il lead time;

collaborazione con i fornitori: i fornitori sono spesso scelti in base al costo e non in

relazione alla loro capacità di rispondere a cambiamenti imprevisti o imprevedibili. In più, la

condivisione delle informazioni permette al fornitore di gestire in modo efficiente le proprie

scorte ed i propri processi, in perfetta coerenza con quanto richiesto dal proprio cliente;

riduzione della complessità: le fonti di complessità sono molteplici lungo la supply chain e

crescono all’aumentare della varietà dell’offerta. Processi complessi, prodotti complessi,

non sempre permettono delle semplificazioni, tuttavia, esse possono essere perseguite

mediante la progettazione di parti comuni a più prodotti o a più famiglie di prodotti;

implementazione della logica di postponement: il postponement si riferisce al processo per il

quale l’assemblaggio di un bene nella sua forma finale o la disponibilità fisica siano ritardate

il più a lungo possibile in attesa della richiesta effettiva del cliente. Se il mercato è

caratterizzato da forte eterogeneità, assemblare il prodotto secondo le richieste del cliente,

quindi dopo il momento della richiesta effettiva, riduce l’eventualità che il prodotto non

risponda più alle necessità del mercato;

gestione dei processi e non delle funzioni: la gestione dell’attività per funzioni è superata

dalla logica di processo, come sequenza orizzontale di attività che creano valore per il

cliente, allineata con il mercato. I processi, così interpretati, sono interfunzionali e devono

essere gestiti da team interdisciplinari, che ne promuovono l’allineamento;

utilizzo di indici di performance coerenti: benché l’attenzione ai costi sia uno degli obiettivi

principali della supply chain, nel paradigma agile il costo lo deve essere in modo

ragionevole, tendendo pertanto all’efficacia, piuttosto che all’efficienza.

Le seguenti regole in particolare sono considerate valide per garantire un’appropriata agilità lungo

l'intera supply chain (Christopher, 2005):

comunicare modifiche ai partner e promuovere il flusso informativo;

creare relazioni collaborative con i fornitori;

progettare per il postponement;

costituire scorte tampone di componenti-chiave ma poco costosi;

costruire un sistema logistico affidabile, creando relazioni stabili con i 3PL;

disegnare piani di contingenza e costituire team per la gestione della crisi.

Un supply chain “commerciale” e una supply chain “umanitaria” non sono così diverse tra loro se

l’obiettivo che si pongono è quello dell’agilità, perché le caratteristiche che devono possedere sono

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le stesse. Si presenta quindi l’opportunità per entrambe le parti di “come together to share ideas and

improve practice” (Christopher 2011).

Dal punto di vista delle imprese, quello che più sembra interessare loro è la possibilità di essere

presenti insieme alle organizzazioni umanitarie nelle attività cosiddette di front-office. Questa è una

prerogativa esclusiva proprio delle organizzazioni umanitarie in virtù del ruolo primario che

svolgono: esse infatti hanno la licenza per operare in aree di emergenza, grazie ai principi guida che

le ispirano ovvero umanità, imparzialità e neutralità; questi principi creano uno spazio in cui le

organizzazioni possono operare libere rispetto alle agende politiche e economiche.

È proprio nel front-office di una operazione di emergenza umanitaria che l’agilità si confronta con

situazioni estreme, a livelli più alti di imprevedibilità. Ma l’unico modo per le imprese per essere

presenti in un momento così delicato è attraverso la cooperazione con gli attori umanitari. La

collaborazione non è facile, date le profonde diversità tra i due settori, ma neanche impossibile

(Tomasini & Van Wassenhove 2009).

4. Collaborare per apprendere l’agilità

In generale, in svariati campi d’applicazione e numerose industrie, il tasso di formazione di accordi

è significativamente aumentato a partire dalla fine degli anni Settanta, tanto che si annoverano

ormai tra le più importanti opzioni strategiche degli ultimi decenni (Mowery et al. 1996).

Il potenziale apprendimento da un partner è un importante e crescente motivo per allearsi, anche tra

imprese e settore umanitario. L’apprendimento mira a una “interiorizzazione” delle conoscenze

altrui: gli accordi possono configurare delle “relazioni di accesso”, cioè “aprono una finestra sulle

altrui capacità e, rendendo reciprocamente più permeabili i rispettivi confini organizzativi (non solo

con riferimento alle conoscenze direttamente coinvolte, ma anche per quelle che esplicitamente non

lo sono), stimolano la creazione di circoli virtuosi di learning by cooperating e learning by

integrating per un ampio spettro di capacità” (Simone 2011 pp. 64-65; Lorenzoni & Lipparini

1999).

Le collaborazioni tra imprese e settore umanitario nelle operazioni di emergenza possono

rappresentare un “forum per l'innovazione e la condivisione delle conoscenze”, che agisce come

una sorta di “learning laboratory” (Kanter, 1999), oltre a contribuire a garantire il successo

dell’intervento di soccorso. Collaborando tra loro, i due settori possono imparare gli uni dagli altri,

e possono costruire insieme un processo di trasferimento incrociato delle proprie best practice, che è

proprio uno dei driver di maggior successo per questo tipo di collaborazione “cross-sector”

(Tomasini & Van Wassenhove 2009).

12

La letteratura individua diverse modalità di cooperazione tra organizzazioni profit e no-profit

(Austin 2000; Wymer & Samu, 2003). In particolare, Austin (2000) concettualizza un “cross-sector

collabaration continuum”, lungo il quale ci sono tre tipi e stadi di relazioni:

“philanthropic”;

“transactional”;

“integrative”.

La collaborazione filantropica si riferisce al tipo più comune di relazione tra le imprese e le

organizzazioni non-profit: con un non-strategico livello d’impegno e principalmente caratterizzata

da donazioni annuali di denaro o beni in risposta a specifiche richieste da parte delle organizzazioni

umanitarie. La collaborazione transazionale si riferisce ad attività più mirate: in cui vi è un

significativo reciproco scambio di valore, e le attività comprendono soprattutto aree come i

programmi di cause-related marketing, le sponsorizzazioni di eventi e progetti speciali.

Nell’ambito della logistica umanitaria, la forma di collaborazione più adatta a esaltare le

opportunità di apprendimento inter-settoriali, come quelle che sono oggetto del presente lavoro tra

settore for-profit e settore umanitario, è la partnership integrativa (Austin 2000).

Gli altri due tipi di collaborazione, infatti, non hanno come focus specifico i processi di

apprendimento reciproci. Mentre una partnership integrativa, invece, ha caratteristiche specifiche

che favoriscono l’apprendimento incrociato:

le competenze “core” di ciascun partner non sono semplicemente condivise, ma combinate

tra loro per creare combinazioni uniche ad alto valore;

elevati livelli di coinvolgimento, interazione intensiva, ampio spettro di attività, e di ampie

risorse condivise costituiscono gli elementi principali del rapporto di collaborazione;

a seconda del grado di integrazione organizzativa, i partner sono propensi ad investire nella

realizzazione di nuovi progetti in joint-venture (Austin 2000)4.

Se una collaborazione integrativa si forma tra un’organizzazione umanitaria e due o più imprese, si

parla di “multi-company integrative partnership” (Thomas e Fritz, 2006).

Sulla base della tassonomia proposta da Austin (2000), Thomas e Fritz (2006) identificano quattro

tipi di “private corporation disaster-relief agency partnerships”, tenendo in considerazione anche la

4 Esempi di partnership integrative sono quella tra TNT e il WFP (Maon et al. 2009; Tomasini & Van Wassenhove 2009; Samii & Van Wassenhove 2004), che è stata istituita nel 2002, e quella tra DHL e l'Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (Maon et al. 2009), istituita nel 2005.

13

numerosità dei partner: “single-company philanthropic partnerships” (ad esempio, Abbott

Laboratories e American Red Cross), “multi-company philanthropic partnerships” (ad esempio, la

Partnership for Disaster Response, una iniziativa del Business Roundtable, e il Disaster Resource

Network, creato dal World Economic Forum), “single-company integrative partnerships” (ad

esempio, TNT e WFP), e “multi-company integrative partnerships” (ad esempio, la Partnership for

Quality Medical Donations e la Corporations for Humanity).

5. Metodologia

Per indagare la domanda di ricerca si è scelto di costruire un’indagine empirica, basata sullo studio

di un caso. La metodologia del case-study è ben riconosciuta come approccio valido quando si

voglia approfondire, come nel presente articolo, un fenomeno ancora in fase di sviluppo e/o le cui

dimensioni non siano ancora completamente spiegate (Yin 1994).

La domanda di ricerca posta in questo lavoro è, infatti, assai originale e ancora poco indagata. In

special modo, il mondo accademico e quello professionale stanno cercando prevalentemente di

chiarire “come” apprendere, ovvero quali architetture organizzative supportano l’apprendimento

inter-settoriale business/umanitario; mentre quello che s’intende approfondire con la presente

ricerca è in particolare il “cosa” apprendono o possono potenzialmente apprendere.

I due aspetti sono senz’altro collegati tra loro: il “come” può meglio veicolare l’apprendimento del

“cosa”. Però mentre l’architettura organizzativa è più facilmente visibile, il “cosa” rientra tra gli

aspetti strategici d’impresa ed è anche, per sua natura, un elemento altamente soggettivo; è, quindi,

più difficile da indagare, anche perché potrebbe non essere esplicitamente comunicato all’esterno

dei confini aziendali, oppure percepito in modo differente a seconda del soggetto osservatore. Esso

richiede, quindi, una più attenta analisi di diverse fonti e prospettive di osservazione.

In virtù delle loro competenze di logistica e supply chain management, le imprese di logistica sono

tra le prime organizzazioni private a proporsi come partner delle organizzazioni umanitarie, non

solo con intenzioni filantropiche, ma anche come sviluppo del business e, soprattutto, come

opportunità di apprendimento (Tomasini & Van Wassenhove, 2009). Ai fini del presente studio

risulta, quindi, molto interessante poter verificare la domanda di ricerca partendo proprio

dall’osservazione degli operatori logistici.

Al fine di rispondere alla domanda di ricerca, si è proceduto con lo svolgimento di un’analisi

empirica qualitativa. L’indagine è stata realizzata in due fasi:

la prima fase si pone innanzitutto l’obiettivo di mappare, nella letteratura di riferimento,

14

quali recenti collaborazioni a livello internazionale si sono istaurate tra settore umanitario e

operatori logistici nell’ambito delle operazioni di risposta alle emergenze e, poi, quello di

identificare se e quali tra quelle mappate siano classificabili come partnership di tipo

integrativo, cioè quelle che più di tutte presentano caratteristiche specifiche che possono

favorire l’apprendimento inter-organizzativo;

la seconda fase analizza in profondità l’unica collaborazione integrativa multy-company

focalizzata sui servizi logistici, emersa dall’analisi della letteratura della fase precedente,

che s’istaura tra le imprese leader logistiche Agility, TNT, UPS e AP Moller-Maersk

(nell’iniziativa dei Logistics Emergency Teams) e il WFP delle Nazioni Unite, leader del

Cluster Logistico della comunità umanitaria internazionale, al fine di individuare quali

elementi di agilità della supply chain possono imparare queste imprese dall’operatore

logistico umanitario per eccellenza nelle operazioni d’emergenza (RQ).

Il caso del LET è un caso importante perché è il primo caso (e ancora l’unico) di partnership multi-

company tra imprese logistiche e umanitari nella risposta alle emergenze. In più, come afferma in

un’intervista (in Stadler & Van Wassenhove 2012 p. 4) il Presidente della fondazione UPS, e anche

chairman del LET, “it was a very novel idea to bring together competitors and humanitarian

organizations. We did not have the framework, the standards, the established trust, and the track

record to build on that we have today”.

Il caso è stato sviluppato attraverso l’analisi di diverse fonti, per consolidare e arricchire le

risultanze dell’indagine e garantire una corretta triangolazione dei dati:

siti Internet istituzionali;

video ufficiali;

report e documentazione interna;

pubblicazioni di ricerche accademiche;

interviste.

In particolare, oltre alle interviste registrate/trascritte e pubblicate in altre ricerche accademiche e in

video istituzionali, si è effettuata una intervista personale in profondità ad un responsabile del WFP

coinvolto nell’iniziativa del LET. Si considera che, pur se una sola, l’intervista effettuata ai fini del

presente lavoro sia comunque sufficiente, dato l'obiettivo primario della ricerca, che non punta alla

generalizzabilità del fenomeno, ma a catturare delle “variazioni” rispetto ai concetti teorici

(McCracken 1998; Strauss 1987), al fine di esplorare “not typicality but unusualness or extremity”

15

(Hartley 2004 p. 325).

All’intervistato è stato chiesto di esprimere la propria opinione sul tema indagato, così da mettere in

evidenza la prospettiva del settore umanitario circa l’apprendimento delle imprese logistiche in

tema di agilità della supply chain.

Si è deliberatamente scelto di iniziare la ricerca dalla prospettiva umanitaria, per poi (in una ricerca

successiva, già in via di svolgimento) intervistare le imprese logistiche sugli stessi punti. Questo

perché, nell’ambito delle collaborazioni tra imprese e umanitari nella gestione delle emergenze,

sono proprio le organizzazioni umanitarie a decidere se e come accettare oppure rifiutare il supporto

delle imprese. Sono loro a essere interessate in primo luogo al beneficio apportato (reale o

potenziale) nelle operazioni di soccorso, quindi, lo scambio deve essere giudicato da loro

equilibrato. Anche se “parziale” la loro percezione sull’apprendimento che le imprese possono

intraprendere è fondamentale.

Al fine di garantire l'affidabilità della ricerca, si è sviluppato un protocollo formale per l’intervista,

tenendo conto dell’obiettivo della ricerca e delle indicazioni provenienti dalla letteratura sul tema, e

così da poterla replicare, eventualmente, con altri responsabili dell’organizzazione, oltre che, con i

dovuti adattamenti, alle imprese coinvolte o interessate alla partnership. Il protocollo d’intervista

contiene prevalentemente domande aperte ed è composto da 3 sezioni:

Sezione I – La collaborazione business-humanitarian come opportunità di apprendimento

(incrociato) in campo logistico;

Sezione II – Apprendere la gestione logistica delle emergenze dalle organizzazioni

umanitarie;

Sezione III – Casi ed esperienze di apprendimento incrociato.

Un test pilota è stato effettuato prima dell’intervista con un esperto del settore in ambito di

emergenze umanitarie e un docente di logistica. Di conseguenza, la formulazione di alcune delle

domande è stato modificato in modo da rendere loro più facile da capire e più concentrati sulle aree

di interesse. Questa fase ha lo scopo di fornire una struttura solida per le interviste e facilitare un

confronto dei casi in fase di analisi successiva. L’intervista è stata registrata, trascritta e poi

condivisa con l’intervistato.

6. Casi di collaborazione tra settore umanitario e operatori di servizi logistici

16

Le imprese logistiche giocano un ruolo chiave nel raggiungimento di un’effettiva integrazione

logistica in virtù della loro capacità di connessione inter-organizzativa tra i vari membri della

supply chain (Massaroni 2007; Cozzolino 2009). Quest’aspetto è particolarmente utile all’interno di

una supply chain umanitaria, nella quale gli operatori logistici possono essere coinvolti nel

coordinamento strategico di attività logistiche molto complesse e anche di attori assai diversi tra

loro coinvolti nelle operazioni di soccorso (Cozzolino 2012).

Per aspirare a essere dei veri e propri partner strategici delle organizzazioni umanitarie, gli operatori

devono aver sviluppato specifiche capacità relazionali e devono essere capaci di offrire un

“differentiated outsourcing engagement”, attraverso l’esercizio di più ampie responsabilità

strategiche e con la gestione (se non addirittura il governo) d’intere operazioni e processi per conto

dei propri clienti e/o collaboratori (Cozzolino 2012 p. 31).

Solo alcune tra le più innovative imprese di logistica hanno effettuato sostanziali investimenti in

questa direzione e differenziato la loro offerta, tra le quali - come è anche evidente dalla letteratura

accademica sul tema sintetizzata nella Tabella 2 – Agility, DHL, FedEx. TNT, UPS, Maerks, che

hanno appunto creato partnership strategiche con organizzazioni umanitarie nell’ambito delle

operazioni d’emergenza.

Tra gli esempi riportati in Tabella, due casi di eccellenza di partnership integrative single-company

sono quelle tra DHL/OCHA e tra TNT/WFP.

Inserire Tabella 2

DHL e lo United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA) hanno

stabilito una partnership strategica nel 2005 (estesa per ulteriori tre anni nel Dicembre 2010 fino

alla fine del 2013), nell’ambito delle attività di risposta e preparazione alle emergenze post-disastro

(www.dp-dhl.com/en/responsibility/society/disaster_response_teams.html). In particolare, DHL ha

istituito un team speciale denominato Disaster Response Teams (DRT), composto da circa 300 sui

dipendenti formati appositamente per rispondere in caso di disastro alle richieste di supporto

operativo dell’OCHA, fornendo pro-bono servizi di movimentazione dei beni di soccorso dai più

vicini aeroporti fino all’area che ha subìto il disastro, servizi di magazzinaggio e di gestione

logistica aeroportuale.

TNT e lo United Nations World Food Programme hanno iniziato a collaborare dal 2002, quando i

due hanno stabilito una partnership strategica che li ha coinvolti nell’ambito di un programma di

17

cinque anni denominato Moving the World, e poi esteso oltre il periodo di tempo inizialmente

stabilito (Maon et al. 2009; Tomasini & Van Wassenhove 2009; Samii & Van Wassenhove, 2004).

Questo tipo di partnership è stato il primo sia per TNT che per il WFP: TNT non era mai stata

coinvolta in un’attività del genere con una organizzazione umanitaria e il WFP non aveva ancora

mai stabilito una partnership come questa col settore privato. TNT ha supportato il WFP con le

proprie conoscenze, skill e risorse, principalmente in quattro aree del supply chain management:

ottimizzazione dei trasporti, gestione delle flotte, aviazione e servizi di supporto doganali. Solo nel

2004, TNT ha investito 8,5 milioni di Euro nella partnership: 7 dei quali sotto forma di servizi in-

kind e progetti di trasferimento di conoscenza e i restanti 1,5 milioni in donazioni di denaro. Il

trasferimento di conoscenza è proprio ciò che viene considerato la “colonna vertebrale” della

partnership tra TNT e WFP.

L’esperienza della forte relazione istaurata tra TNT e WFP, con la loro partnership “single-

company”, ha facilitato la discussione e la messa a punto di un nuovo modello di partnership assai

più complessa, innanzitutto, perché “multi”-company e, inoltre, perché realizzata tra imprese

concorrenti. Si tratta del caso dei Logistics Emergency Teams.

7. Il caso dei “Logistics Emergency Teams”

Gli operatori logistici Agility, TNT, UPS e AP Moller-Maersk (vedi Tabella 3), attraverso

l’iniziativa dei Logistics Emergency Teams (LET), nata sotto gli auspici del World Economic

Forum, collaborano stabilmente con il WFP nella logistica delle emergenze, su richiesta del

Logistics Cluster delle Nazioni Unite (LC), che coordina tutte le attività di logistica per la comunità

umanitaria delle Nazione Unite e delle organizzazioni collegate5.

Inserire Tabella 3

Il LET ha lo scopo di fornire un supporto logistico efficace ed efficiente alle persone sopravvissute

dopo un disastro. Esso valorizza e combina le capacità e le risorse del settore logistico con le

competenze e l'esperienza della comunità umanitaria. È stato progettato per promuovere

l'innovazione utilizzando l'esperienza dei diversi tipi di organizzazioni che hanno deciso di

collaborare proprio nelle operazioni di soccorso. Come ha dichiarato Sean Doherty, a capo della

5 Il Logistics Cluster è responsabile per il coordinamento, la gestione delle informazioni, e, dove necessario, la fornitura di servizi logistici capaci di garantire un’efficace ed efficiente risposta logistica in ogni operazione delle Nazioni Unite. Per raggiungere questo obiettivo, il LC ha la responsabilità di colmare le eventuali lacune nella capacità logistica, risponde alla necessità di coordinamento dei servizi di logistica, e, se necessario, agisce, in ultima istanza, anche come vero e proprio provider attraverso il WFP, che è la lead agency (www.logcluster.org).

18

sezione Logistica e trasporti del World Economic Forum:

“Logistics Emergency Teams provide surge capacity - warehouse space,

offices, airlifts, shipping, trucking - but most importantly they have experts

with on-the-ground experience, knowledge, and relationships.”

L’idea del LET nasce a seguito delle importanti riflessioni fatte a livello internazionale dopo lo

tzunami in Asia del 2004. In quell’occasione, infatti, molte imprese appartenenti al World

Economic Forum si sono interrogate sulla “lesson learnt” a seguito delle operazioni di soccorso in

risposta al gigantesco disastro naturale e sulla possibilità/necessità di integrare le risorse a

disposizione della varie imprese all’interno del sistema di soccorso umanitario. Fu ben chiaro che

diventava necessario collaborare attraverso una “cross-sector partnership” (Stadtler & Van

Wassenhove 2012). Nella sempre più evidente consapevolezza dell’estrema criticità della logistica

nelle operazioni di soccorso umanitarie, ecco che nel 2005 Agility, TNT, UPS e DHL annunciano

ufficialmente la loro volontà di collaborare attraverso una partnership multi-company. La

collaborazione formale inizia però solo nel 2008, data la complessa organizzazione che richiede una

partnership di tale portata, senza alcun precedente del suo genere, come affermano infatti Stadtler &

Van Wassenhove (2012 p. 5) “compared to bilateral partnerships, a cross-industry approach

necessarily took more time and was not easy to handle”, e avviene tra Agility, TNT e UPS6. Il

primo intervento sul campo è in Myanmar

(www.agilitylogistics.com/CorporateSocialResponsibility/Pages/ActivatingthefirstLET'sinMynama

r.aspx). Nel 2011 anche AP Moller-Maersk si unisce all’iniziativa. Dal 2008 ad oggi il LET ha

accumulato una solida esperienza di supporo logistico umanitario: in Mozambico, Myanmar, Haiti,

Filippine, Indonesia, Pakistan, Cile e Giappone.

I business partner supportano il WFP seguendo fedelmente quanto concordato nel Memorandum of

Understanding e nelle procedure operative che regolano la partnership (www.logcluster.org) e

hanno stabilito che contribuiscono con le loro “core competences (1) on a pro-bono basis, and (2)

only upon request of the Logistics Cluster to support humanitarian response operations in the event

of (3) a natural disaster affecting more than 500.000 people” (Stadler & Van Wassenhove 2012 p.

6).

I team del LET sono formati da personale con esperienza logistica pronto a partire entro le 48 ore da

una emergenza su richiesta del WFP. Il reclutamento del personale avviene tra i dipendenti delle

6 DHL rinuncia alla collaborazione multi-company con gli altri competitor e mantiene la sua collaborazione precedente nella forma single-company.

19

imprese partner, in modalità volontaria per una disponibilità totale di due anni. Ogni anno si svolge

un training per preparare i volontari alla loro missione sul campo, in modo che, come afferma

Matteo Perrone del WFP (in Stadler & Van Wassenhove 2012 p. 6):

“In the filed, the deployed employees are no more Agility, Maersk,

UPS or TNT. They are part of our team; they are living with us”.

Il supporto logistico da parte delle imprese al LET è, quindi, assicurato sia attraverso procedure

operative pre-stabilite e sia training, e include:

professionisti della logistica (come ad esempio manager di aeroporti e magazzini);

asset logistici (come ad esempio magazzini e mezzi di trasporto);

servizi logistici (come ad esempio servizio aereo e trasporto su gomma).

Inoltre, il LET è convolto, oltre che nella fase di risposta in seguito ad un disastro, anche nella fase

di preparazione, attraverso i Logistics Capacity Assessment (LCA). I LCA sono valutazioni formali

progettate per ottenere una comprensione circa le infrastrutture di trasporto di un paese o di una

specifica regione. La valutazione degli LCA si concentra sugli elementi critici che costituiscono i

collegamenti più cruciali del sistema logistico di un paese, come le strade, i ponti, i porti e gli

aeroporti, oltre ai servizi di telecomunicazione. Particolare attenzione viene data all’identificazione

di eventuali carenze che possono provocare strozzature nella gestione fluida delle consegne da un

luogo ad un altro. La valutazione, inoltre, delinea i piani di emergenza in caso di disastro. La

consapevolezza sulla configurazione di un certo territorio dovrebbe contribuire a salvare vite umane

in caso di disastro o pandemia.

Così com’è strutturata e organizzata l’iniziativa del LET si configura come una “piattaforma”: così

come la definiscono i ricercatori dello Humanitarian Futures Programme del King’s College di

Londra, ovvero una “soluzione organizzativa” - in questo caso specifico “globale” ovvero tra più

imprese di diverse nazioni e nella forma di una partnership - che facilita il coinvolgimento delle

imprese private nelle azioni umanitarie in maniera sistematica e sistemica (Oglesby & Burke

2012)7. Anche Stadler e Van Wassenhove (2012) danno enfasi al “come” l’iniziativa è organizzata

e studiano come essa rappresenti un modo di “pioneering a new partnership model”, come

riportano nel titolo stesso del loro studio. Qualificando in particolare la tipologia di partnership,

secondo le definizioni utilizzate nel lavoro presente di ricerca, l’iniziativa del LET si può

7 “Platforms – in the form of intermediary organizations, networks, alliances and temporary coalitions – support the private sector’s engagement in humanitarian action, from disaster risk reduction and preparedness through response, reconstruction and development”. Esse sono classificate in tre categorie: globali, regionali o nazionali (Oglesby & Burke 2012 p. 3).

20

qualificare come una partnership strategica integrativa e multi-company.

L’iniziativa del LET è senza dubbio interessante sotto il profilo organizzativo, dal momento che è

unica nel suo genere, ma lo è ancor di più se si legge la sua strutturazione alla luce del “cosa” si può

imparare da un “come” così organizzato. Una tale configurazione organizzativa permette di

veicolare l’apprendimento tra settore privato e settore umanitario.

8. Apprendere l’agilità nell’ambito dell’iniziativa del LET

Come emerge dall’intervista al Referente del WFP fatta dall’Autore:

“la primaria motivazione alla collaborazione business-humanitarian è,

nella prospettiva d’impresa, quella di aprire nuovi mercati”,

serviti non più pro-bono ma for-profit. Ad esempio, infatti, UPS - che è membro del LET - ha

recentemente proposto a World Vision e Care, due grandi non-governmental organization (NGO)

americane, di gestire la loro logistica. L’intento delle imprese è quello di comunicare una coscienza

umanitaria - in ottica di Corporate Social Responsability - ai propri clienti e dipendenti, e avere un

ritorno d’immagine. I business partner del LET comunicano l’appartenenza all’iniziativa sui propri

siti Internet istituzionali proprio nelle pagine dedicate alla CSR (vedi Tabella 4). Lo scopo è, quindi,

quello di proporsi in un momento successivo con un’attività profittevole legata strettamente al

proprio business logistico.

Inserire Tabella 4

Mossi da questo intento,

“le imprese sono focalizzate a comprendere i bisogni che le agenzie umanitarie

hanno in termini di logistica” (Referente WFP intervistato dall’Autore)

per poi proporre al meglio i propri servizi a pagamento. In particolare, sono interessate a conoscere

il tipo di materiali più frequentemente movimentati durante le operazioni di soccorso - che, rispetto

a quelli che normalmente movimentano, sono assai più semplici e standard - per poter velocizzare la

propria supply chain in risposta alle esigenze degli operatori umanitari.

Sul campo i volontari delle imprese del LET imparano molto, sia umanamente che

professionalmente. Pur se, sia nel settore umanitario che in quello delle imprese,

“la logistica da un punto di vista tecnico è sempre la stessa,

ci sono mezzi diversi a disposizione” (Referente WFP intervistato dall’Autore).

21

Nell’esperienza del settore umanitario sono le organizzazioni umanitarie stesse che costruiscono

magazzini in pochissimo tempo in luoghi disagiati, che inventano con materiali di fortuna i pallet, e

che con estremo ingegno utilizzano i più disparati mezzi di trasporto (elicotteri, barche, animali,

ecc.).

Quest’operatività in condizioni estreme, tipica delle operazioni di primo soccorso, mette in

evidenza, oltre che la possibilità di capire le esigenze del settore umanitario per proporsi in un

secondo momento con i propri servizi a pagamento, anche l’opportunità di imparare ad adattarsi in

situazioni in cui la domanda è imprevedibile e il lead time è breve, dove cioè è richiesta agilità della

supply chain. Ciò contribuisce senz’altro alla miglior comprensione del mondo umanitario, e quindi

ad un miglior disegno dell’offerta di supporto logistico nell’ambito della supply chain agile del

WFP (Cozzolino et al. 2012). Ma la capacità di adattarsi in tali contesti può contribuire a diventare

maggiormente competitivi rispetto ai concorrenti che non si stanno sviluppando in questa direzione

se importata e riadattata alla propria supply chain commerciale.

“La capacità di adattarsi e rispondere il più velocemente possibile agli eventi

s’impara sul campo” (Referente WFP intervistato dall’Autore).

Non s’impara in poco tempo, non s’impara con poche settimane o mesi di attività (il tempo di un

volontario del LET sul campo), ma in anni di esperienza. Come ha fatto, infatti, il WFP con la sua

esperienza, o meglio la sua “missione di deployment”, in risposta alle emergenze umanitarie. E

adesso il WFP rappresenta il punto di riferimento logistico per tutto il sistema umanitario,

suffragato dalla sua leadership nell’ambito del Logistics Cluster.

Lavorare in collaborazione con il WFP rappresenta un’opportunità unica di osservare e, magari,

anche di imparare, dal migliore operatore logistico umanitario la gestione dell’agilità della supply

chain.

L’apprendimento sembra configurarsi su di un doppio livello:

un primo livello è quello operativo, nel quale sono coinvolti gli addetti all’attività di

logistica sul campo;

un secondo livello è quello strategico, nel quale sono coinvolti i manager aziendali che

partecipano alla definizione della partnership.

L'apprendimento che ne può scaturire si sostanzia in un processo di sviluppo della conoscenza che

22

si basa sull’incorporazione da parte delle imprese delle best practice umanitarie (e anche viceversa

laddove ci sia una professionalità superiore). Attraverso la collaborazione in questa partnership, i

due settori possono imparare gli uni dagli altri gli aspetti tra loro complementari e costruire un

processo di trasferimento delle “migliori pratiche”, che rappresenta uno degli aspetti di maggior

successo per questo tipo di coinvolgimento inter-settoriale.

In tema di opportunità di apprendimento incrociato, secondo quanto emerso dall’intervista,

l’umanitario impara dal business i tool, almeno:

i tracking application system, da sviluppare e adattare alla realtà umanitaria;

i sistemi di automatizzazione dei warehouse, in determinati paesi (quelli di maggior

sviluppo economico/sociale).

I primi tool sono già operativi, infatti il WFP ha sviluppato e adattato coerentemente con le

caratteristiche specifiche delle esigenze umanitarie il sistema di tracking da uno degli operatori del

LET (UPS). La collaborazione sull’automatizzazione dei warehouse, per ora, è ancora in fase di

sviluppo.

In tema di opportunità di apprendimento incrociato, secondo quanto emerso dall’intervista, il

business impara dall’umanitario, almeno:

la flessibilità;

l’adattabilità;

necessarie a garantire con efficacia una “quicker response” proprio secondo le caratteristiche, le

regole e i principi-guida dell’agilità formalizzate in letteratura (Harrison et al. 1999; Christopher

2005).

Gli elementi di apprendimento dell’agilità nell’organizzazione logistica, emersi dal punto di vista

umanitario e appena sopra descritti, trovano conferma anche dal punto di vista delle imprese che,

infatti, testimoniano di averli sperimentati con successo durante la collaborazione sul campo con il

WFP negli anni in cui hanno lavorato insieme nell’iniziativa del LET, come evidenziato nella

Tabella 5.

Inserire Tabella 5

A livello operativo,

23

“i dipendenti che lavorano in paesi soggetti a disastri naturali o con criticità climatiche sono

coloro che traggono un più immediato e “spendibile” beneficio dall’esperienza di volontariato

nell’iniziativa del LET” (Referente WFP intervistato dall’Autore).

Molto di più di quello di cui può avvantaggiarsi concretamente un dipendente che lavora, per

esempio, a Dallas o a Liegi. Infatti, la prossima volta che accadrà un evento climatico grave nel

paese in cui opera il volontario che ha prestato aiuto con il WFP nell’iniziativa del LET saprà come

muoversi, potrà intervenire personalmente e gestire l’emergenza per la propria sede.

Oltre a loro, comunque

“tutti i volontari assorbono tanto dalle operazioni umanitarie con il WFP”

(Referente WFP intervistato dall’Autore).

Eppure, chissà se di ritorno nella propria impresa sistematizzano o formalizzano quanto appreso in

una “lesson learnt”, che permetta di convertire la conoscenza “da tacita a esplicita” e “da

individuale a organizzativa” dando luogo ad una “spirale di conoscenza” mediante la quale il

patrimonio di conoscenza dell’impresa si amplia e si approfondisce, secondo la prospettiva offerta

dalla “knowledge based view of the firm” di Nonaka (1994).

La sistematizzazione della conoscenza ha, infatti, un enorme potenziale di creazione di valore per

l’impresa.

A livello strategico, i manager che portano avanti la partnership, pur non partecipando direttamente

agli aspetti di programmazione umanitaria del WFP, che restano esclusiva responsabilità del Cluster

Logistico, sono comunque costantemente aggiornati attraverso meeting periodici con le altre

imprese partner e con i referenti umanitari e possono discutere tutti insieme i miglioramenti da poter

apportare all’organizzazione del LET, in un percorso di apprendimento continuo.

9. Conclusioni

Con il presente contributo si è voluto indagare quali opportunità di apprendimento incrociato ci

sono tra settore umanitario e imprese e, in particolare, ci si è focalizzati su quali elementi di agilità

della supply chain possono imparare le imprese dalle organizzazioni umanitarie nelle operazioni di

logistica delle emergenze.

In estrema sintesi, la realtà operativa analizzata nell’iniziativa del LET mette in evidenza, secondo

la prospettiva di entrambi i settori, che le imprese possono apprendere dagli umanitari in termini,

almeno, di flessibilità, adattabilità, efficienza e rapidità. Questo si riflette, in prima istanza, sulla

24

migliore riuscita dell’intervento di soccorso umanitario e, poi, anche sulla capacità competitiva

delle singole imprese, se queste riescono a far proprie tali competenze e implementarle nella

gestione ordinaria della propria supply chain.

La prospettiva di ricerca assunta in questo lavoro è assai recente e originale e, anche, foriera di

ulteriori interessanti sviluppi. Questo studio esplorativo, infatti, pur avendo fornito alcuni spunti

originali e significativi sul tema dell’apprendimento dell’agilità, presenta alcuni aspetti da

sviluppare che possono essere colmati in ricerche future, così da estendere ulteriormente l’analisi.

In primo luogo, per arricchire la prospettiva del settore umanitario sulle opportunità di

apprendimento incrociato si può prevedere di intervistare anche altri referenti, oltre alla persona già

intervistata. Un secondo approfondimento prevede invece di intervistare i referenti di ciascuna delle

imprese appartenenti al LET con la medesima traccia d’intervista, per avere una prospettiva diretta

del settore for-profit sui medesimi elementi.

Un ulteriore aspetto da poter approfondire è quello legato a come le imprese impostano la gestione

della conversione da apprendimento individuale ad apprendimento organizzativo, per trasformare

l’opportunità in effettiva occasione di apprendimento.

Un altro filone di approfondimento è quello relativo all’apprendimento che le imprese possono fare

in termini di agilità dalle ONG. Il WFP è un operatore logistico molto più simile a TNT e UPS. Il

WFP è, infatti, una vera e propria “fabbrica logistica” (Referente WFP intervistato dall’Autore),

anche a livello organizzativo ciò è evidente, con le diverse divisioni aziendali. Invece le ONG

umanitarie (ad esempio, Medecins Sans Frontieres e Croce Rossa Internazionale) sono molto

diverse. Loro sono meno strutturate e specializzate a trovare soluzioni con mezzi pressoché

inesistenti con estremo ingegno.

Un'altra possibile linea di approfondimento riguarda la specificità del territorio italiano. Purtroppo

l’Italia per quanto riguarda la logistica umanitaria è molto scarsa. La Croce Rossa Italiana ha

commesso gravi errori e la Protezione Civile con l’Abruzzo ha dimostrato notevoli insufficienze. I

giovani italiani che vogliono lavorare in ambito di logistica umanitaria vanno a lavorare per

organizzazioni estere all’estero. Potrebbe essere interessante evidenziare le opportunità di

miglioramento a livello di sistema italiano per la gestione delle emergenze.

Riferimenti bibliografici

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Figure e tabelle

28

Figura 1: I possibili approcci collaborative tra imprese e settore no-profit (Tomasini & Van Wassenhove 2009 p. 141).

Approcci strategiciCaratteristichedella fornitura

Caratteristichedella domanda

Short lead times Long lead times Predictable UnpredictableKANBAN - Continuous replenishment LEAN - Plan and optimize AGILE - Quick response HYBRID - De-couple through postponement

Tabella 1: I possibili approcci strategici per la supply chain, con riferimento alla combinazione tra le caratteristiche della fornitura e quelle della domanda (in Cozzolino et al. 2012, adattata da Christopher 2005 p. 95).

29

Source FedEx DHL Agility TNT UPS A.P. Moller-Maersk

Cozzolino, 2012Under the auspices of the World Economic Forum, three leading logistics companies - Agility, TNT, and UPS - decided to examine coordinated, industry-wide logistics emergency support for humanitarian organizations. They developed a joint operating structure called Logistics Emergency Teams (LETs) that could be deployed worldwide upon request from the United Nations Logistics Cluster, led by the World Food Programme (WFP). In 2011, A.P. Moller-Maersk also joined the initiative.

Oglesby and Burke, 2012With a focus on logistics industry the LET seconds individuals from its partners: UPS, TNT, Agility, Maersk and WFP, working as on operational partner to the UN Logistics Cluster

Stadler and Van Wassenhove, 2012 In December 2011, the annual meeting of the UN Global

Logistics Cluster in Geneva was hosted by the partners companies of the Logistics Emergency Teams (LET) – A.P. Moller-Maersk, Agility, UPS and TNT Express

Quinn, 2010Logistics Cluster operations are supported by the Logistics Emergency Teams (LETs) established by TNT, UPS, and Agility

Tomasini and Van Wassenhove, 2009 [a]

Collaboration more project basedLong-term partnership between TNT and WFP with their Moving the World initiative

Tomasini and Van Wassenhove 2009 [b]

Many private-sector logistics companies - including TNT, DHL, UPS, FedEx, and Agility - have recognized a match between their competencies and activities and those of humanitarian aid agencies specializing in emergency relief

Tomasini and Van Wassenhove, 2009 [b];Samii, 2008; Van Wassenhove, 2006;

Samii and Van Wassenhove, 2004; Tomasini and Van Wassenhove, 2004

Partnerships between the two sectors can work out in ways beneficial for both parties; one example is TNT and WFP with their Moving the World joint venture

Maon et al., 2008DHL provides comprehensive disaster management responses, working with the UN Development Programme, UN Office for the Coordination of Humanitarian Affairs and national Red Cross and Red Crescent

TNT provides comprehensive disaster-management responses, working with the WFP through the Moving the World program

UPS offers free warehousing facilities to the UN HumanitarianResponse Depots, run by the WFP in Panama

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Source FedEx DHL Agility TNT UPS A.P. Moller-Maersk

societies

Binder and Witte 2007FedEx: partnership with Red Cross

Deutsche Post World Net/DHL Partnership withthe United Nations: ‘We deliver help: the Disaster Response Team provides logistical supportand expertise

TNT’s ‘Moving the World’ programme with WFP

UPS Foundation: partnerships with various professional disaster relief organizations

Spring, 2006 FedEx has been a partner of the American Red Cross since 1996

In April 2006, DHL of Germany launched its Disaster Response Team in cooperation with the UN

TNT has a humanitarian arm it calls Moving the World, in partnership with WFP

Thomas and Fritz, 2006A good example of a single-organization integrative partnership is the partnership between TNT and the World Food Programme

Tabella 2: Esempi di collaborazione degli operatori logistici globali con il settore umanitario

(aggiornata da Cozzolino 2012).

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Operatore logistico Profilo

Agility

(www.agilitylogistics.com)

From its roots in emerging markets, Agility brings efficiency to supply chains in some of the world’s most challenging environments; it offers unmatched personal service, a global footprint, and customized capabilities in developed countries and emerging economies. Agility is one of the world’s leading providers of integrated logistics with more than 22,000 employees in 550 offices across 100 countries.

Maersk

(www.maersk.com)

The A.P. Moller-Maersk Group is a worldwide conglomerate. The group operates in more than 130 countries and has a workforce of some 108,000 employees. In addition to owning one of the world’s largest shipping companies - providing comprehensive coverage of the world’s need for cargo, oil, and gas transport, terminal services and, on-land logistics - Maersk is involved in a wide range of activities in the energy, logistics, retail, and manufacturing industries.

TNT

(www.tnt.com)

TNT provides businesses and consumers worldwide with an extensive range of services for their mail and express delivery needs. Headquartered in the Netherlands, TNT offers efficient network infrastructures in Europe and Asia, serves more than 200 countries, and employs about 160,000 people.

UPS

(www.ups.com)

UPS (United Parcel Service Inc.) is a global express carrier and package delivery company, and it also provides specialized transportation, logistics, capital, and e-commerce services and supply-chain solutions. UPS manages daily the flow of goods, funds, and information in more than 200 countries and territories worldwide.

Tabella 3: Breve profilo dei business partner del LET.

Operatore logistico

Iniziativa LET nei siti istituzionali

Agility http://www.agilitylogistics.com > Social responsibility > Disaster reliefhttp://www.agilitylogistics.com/EN/Pages/Agility_CSR_Humanitarian.aspx

Maersk http://www.maersk.com > Sustainability > (Social responsibility) > Disaster response programhttp://www.maersk.com/Sustainability/DisasterResponseProgramme/Pages/DisasterResponseProgramme.aspx

TNT http://www.tnt.com > Corporate responsibility > Moving the Worldhttp://www.tnt.com/corporate/en/site/home/about_us/corporate_responsibility.html

UPS http://www.ups.com > Corporate responsibility > UPS foundationhttp://www.responsibility.ups.com/UPS+Foundation/Humanitarian+Relief

Tabella 4: L’iniziativa del LET nei siti istituzionali dei business partner.

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Azienda Elementi di apprendimento dell’agilità

Agility “Everything about commercial logistics is based on timely delivery and speed. Humanitarian logistics as well, but they have different priorities and ethical constraints. if they want X,Y, and Z and you’re busy preparing it, the next day they may rather need A, B, and C. that is sometimes frustrating but it might be that they initially wanted to deliver food but then cholera has become the main problem in the camp, so the priority has moved from food to medical and hygiene equipment. You have to learn flexibility, but that’s tough. If we change one of the parameters, this has an impact for our overall resource portfolio”.

Agility “Working in a disaster areas is incredibly challenging. The total communication infrastructure can break down and the humanitarians succeed in setting up an operation within two hours. The humanitarian system has to work with very few resources and they are very creative with new solutions. We can learn a lot with regard to efficiency”.

Maersk “This [each company has its own culture and way of working], however, did not prevent them from openly sharing best practice. When Maersk joined the LET in 2011, it quickly learned from the other companies how to set up an appropriate internal system. […] Creating internal transparency was considered important: the companies leveraged employees’ stories, advice, experience and news via their corporate intranets, blogs and video clips”.

TNT Express “Even those who had not been deployed [the companies could not guarantee that all trainees would eventually be deployed] told us that already the learning experience during the training has developed them personally and professionally”.

Tabella 5: Cosa imparano le imprese del LET (rielaborato da Stadtler & Van Wassenhove (2012 pp. 7-10).

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