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Alfre Kubin L´altra parte

Date post: 24-Apr-2015
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L’altra Parte. Un romanzo fantastico di Alfred Kubin Giacomo Ricci ArchigraficA 2007
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L’altra Parte. Un romanzo fantastico di Alfred Kubin

Giacomo Ricci

Archigrafi cA2007

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Archigrafi cA paperback

giacomo ricciL’altra parte. Un romanzo fantastico di Alfred Kubin

Stampato in Italia(c) Copyright 2007 by giacomo ricci

edizione in formato ebook for educational purposeCreative Common licence - con restrizioni

Archigrafi cA, live architecture on the webwww.archigrafi ca.orginfo: [email protected]

quaderno didatticoedizione per i Corsi di Progettazione Tecnologica Assistita Facoltà di ArchitetturaUniversità “G. D’Annunzio” Chieti - PescaraUniversità “Federico II” Napoli - corso di laurea in Edilizia di Cava de’ Tirreni

i disegni riportati a corredo del saggio sono di Alfred KubinL’altra parte è edito in Italia da Adelphi, Milano, 1974

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Alfred Kubin, Il Confi ne

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L’altra parte1

Un romanzo “fantastico” di Alfred Kubin

“Le mie facoltà erano evidentemente ammalate e i sogni cercavano di so-praffare il mio spirito. Nei sogni per-devo la mia identità e spesso mi trasci-navano in epoche antiche della storia... La realtà mi sembrava un ripugnante caricatura dello Stato del Sogno. Or-mai mi dava sollievo soltanto il pensie-ro di scomparire, di morire...”

Alfred Kubin, Die andere Seite

Dopo un’allucinante avventura dai tratti deliranti, il protagonista del romanzo “fantastico” Die andere Seite, scritto nel 1908 da Alfred Kubin2, svuotato di ogni brandello di energia vitale e di qualsiasi frammento di pensiero lucido, giace vittima inerme del suo subconscio e dei “fantasmi” che dalle regioni sepolte dell’Io hanno fatto violenta ed incontrollata irru-zione nel tranquillo scorrere del quotidiano.

Concepito in un periodo realmente critico della vita dell’autore, pro-fondamente scosso dalla morte del padre3 , il romanzo, malgrado le defor-

1 Pubblicato in AA.VV., La città e l’immaginario, Offi cina, Roma, 1985.2 Alfred KUBIN, Die andere Seite, eine phantastischen Roman, Georg Müller,

München und Leipzig 1909, t.i. di L.Secci, Adelphi, Milano 1974. Kubin è, notoriamente, conosciuto come pittore e, soprattutto, come disegnatore. Altre opere letterarie tradotte in italiano sono: Dämonen und Nachtgeschichte, Carl Reissnaer, Dresden 1926, t.i. Demoni e visioni notturne, Il Saggiatore, Milano 1961; Einzelne Erinnerungen und Anekdoten, t.i. di E.Bolla, Il dolce Aloisio,aneddoti e disegni, Serra e Riva, Milano 1980. Notizie più approfondite sull’autore, la sua vita, i suoi orizzonti culturali e una bibliografi a ragio-nata delle opere letterarie, delle traduzioni italiane e degli studi su Kubin scrittore sono contenuti in Lia SECCI, Alfred Kubin, l’altra parte in AA.VV., Il romanzo tedesco del novecento, Einaudi, Torino, 1973, p.68 e ss.

3 A questo proposito riferisce la Secci: “Nell’autunno del 1908 Alfred Kubin

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Alfred Kubin, Die Andere Seite - pianta della città Perla

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mazioni caricaturali dovute alle luci di un’atmosfera magico-surreale da vero e proprio incubo, è ricco di una quantità di elementi autobiografi ci tali da permettere di riconoscere nel personaggio principale lo stesso Kubin.

La storia è presto detta: nel tranquillo scorrere dell’esistenza del pro-tagonista fa improvvisa irruzione il passato; Claus Patera, ex-compagno di gioventù, lo invita, tramite un suo emissario, ad intraprendere un viaggio verso Perla, città capitale del “Regno del Sogno”, situato in un punto im-precisato dell’Asia centrale cinese, del quale è unico ideatore e sovrano assoluto4. La proposta è, per Kubin, estremamente allettante perché, assie-me alla prospettiva d’un’esistenza felice ed agiata da viversi in quel posto, prende corpo in lui anche la speranza che la fantasia creatrice possa essere stimolata dalla particolare atmosfera che avvolge la città di Patera e ridare linfa vitale alla sua vena artistica da tempo insterilitasi. Ma non si tratta, come il lettore capisce fi n dalle primissime battute, di un viaggio verso una terra incantata e felice. La favola, al contrario, è crudele e feroce.

In una tensione che si mantiene ininterrotta per tutta la narrazione, eventi malefi ci ed allucinazioni deliranti si sommano tra loro, culminando in un epilogo catastrofi co: dal viaggio attraverso tutta l’Europa e l’Asia, fi no alla nera palude che con una coltre fi ttissima di nebbie circonda Perla - città-fantasma, costituita da una serie infi nita di rottami ed anticaglie, case, oggetti, mobili, interi quartieri che non sono che rifi uti raccolti per l’intera Europa dalla fi tta rete di emissari di Patera -, alla popolazione assurda composta da delinquenti, folli, maniaci, assassini, bari e piccoli borghesi

rientrò nella sua residenza di Zwickledt bei Wernstein, sull’Inn, da un viaggio in Italia; l’aveva intrapreso per superare una grave crisi di paralisi creativa, da cui era stato colto in seguito alla morte del padre e a una malattia della moglie. Il trentaduenne artista boemo andava soggetto fi n dall’infanzia a frequenti crisi psichiche ... I disegni esposti da Paul Cassirer a Berlino nei primi anni del secolo gli avevano procurato un durevole successo. Ora nuove idee, nuove visioni l’assillavano senza trovare un’espressione grafi ca...”, Lia SECCI, op.cit., p.69

4 Varie interpretazioni ha suggerito la particolare struttura del nome del compa-gno di gioventù; come ha ricordato la Secci “il lato freudiano e quello junghiano appaiono uniti nel nome di Patera, collegabile a Pater e a Patera (coppa rituale). Senonchè pare documentato che si chiamasse veramente Claus Patera un amico d’infanzia che Kubin ritrasse nel 1896”, ibidem, p.76.

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fi listei, che circola per le strade della capitale del “Regno del Sogno”, alla morte della moglie, consumata misteriosamente da un male sconosciuto ed incomprensibile, alla malattia altrettanto misteriosa che spacca i muri delle case di Perla e avvinghia gli abitanti in un sonno da narcosi, li spinge al suicidio o l’uno contro l’altro in lotte feroci e bestiali, alla morte del mes-sianico Patera, sconfi tto da un altro misterioso personaggio - Hercules Bell detto l’ “americano” - suo “doppio” mefi stofelico, per giungere, alla caduta colossale, irrefrenabile e terrifi cante di ogni cosa che di questo mondo “vi-sionario” fa parte, tutto si svolge e precipita per lo sgomento ed impotente Kubin come in una spaventosa emorragia senza fi ne.

Non si tratta, dunque, d’una “radiosa” utopia. Al contrario, sul piano simbolico, sia il viaggio, sia la partecipazione all’impresa di Patera, oltre ad essere sintomi d’una personale crisi dell’autore, rappresentano anche l’esplicita condanna di qualsiasi velleità utopistica; non v’è, secondo Ku-bin, terra promessa della salvezza verso cui incamminarsi; l’essenza cru-dele del mondo, ma, soprattutto, il rifl esso di questa all’interno del sogget-to e, specifi camente, in quella sua capacità desiderante-immaginativa - che dà luogo al progetto e permette la formulazione di alternative al mondo concreto e alle sue leggi - sembra dichiararsi, attraverso l’esperienza male-detta del Regno del Sogno, come ineluttabile agli occhi di Kubin che sono stati costretti a vedere attraverso le caligini della memoria, vanifi cando qualsiasi speranza dell’immaginario cosciente.

L’ “altra parte cui Kubin allude è, dunque, quel lato nascosto del reale, inquietante, il retaggio del passato, il rimosso freudiano al di sotto della memoria diurna che ritorna alla luce come perturbante (Unheimli-che)5; come ha ricordato Lia Secci, il titolo del romanzo doveva, per Ku-

5 L’altra parte sarebbe, dunque, il luogo dell’Io nel quale affi ora il rimosso freu-diano; afferma infatti Freud: “se la teoria psicoanalitica ha ragione di affermare che ogni affetto connesso con una commozione, di qualunque tipo, viene trasformato in angoscia qualora abbia luogo una rtimozione, ne segue che tra le cose angosciose dev’esserci tutto un gruppo in cui è possibile scorgere che l’elemento angoscioso è qualcosa di rimosso che ritorna. Una cosa angosciosa di questo tipo costituirebbe appunto il perturbante... Questo elemento perturbatore non è in realtà niente di nuovo o di estraneo, bensì un qualcosa di familiare (Heimliche) alla vita psichica fi n dai tempi antichissimi, che le è diventato estra-neo soltanto per via del processo di rimozione” (t.i. in Sigmund FREUD, Saggi sull’arte,

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bin, “alludere ad un’aldilà o all’altro lato del reale, al senso inafferrabile e segreto in agguato dietro particolari insignifi canti”6. Accade come se il quotidiano si spaccasse e si aprisse, nella sua massiccia concretezza, una crepa profonda - le stesse crepe delle case di Perla - o che, improvvisamen-te, un’invisibile porta si spalancasse, una specie di varco misterioso, attra-verso il quale l’altro-noi-stessi, il nostro “doppio”, il profondo sepolto tra gli angoli dimenticati del tempo venisse alla luce con tutto quello che ne consegue. La conclusione kubiniana è che il Sogno, l’immaginario onirico, è un’illusione e non fonte per la costruzione di una “concreta utopia”.7

Sottolineando la presenza di questo crollo di qualsiasi “possibilità” utopica negli orizzonti culturali kubiniani, Cacciari, in un suo recente la-voro sulla cultura austriaca del primo novecento, ha affermato, tra l’altro, che:

“Il culmine tragico dell’ironia non consiste nel semplice dissolvere l’illusorietà delle forme già date, ma nel far avvertire l’opera della morte sullo stesso possibile, nel far percepire il dissolversi di infi niti invisibili possibili”.8

la letteratura e il linguaggio, Boringhieri, Torino 1969, vol.II, pp.293-94)6 Lia SECCI, op.cit., p.707 L’espressione “concreta utopia” è, com’è noto, di Ernst Bloch; nel suo Geist der

Utopie, 1919 (t.i. Spirito dell’Utopia, La Nuova Italia, Firenze 1980) essa è giustifi cata come prodotto della compromissione dello “spirito dell’utopia”, inteso come corpo dei desideri di felicità che l’uomo riesce a concepire e le esigenze di concretezza che il mondo impone, con le sue contraddizioni, le sue leggi, le sue organizzazioni di potere. “Il mondo - afferma Bloch - è un eccezionale esperimento di se stesso, un esperimento che non è riuscito, nè fallito” ma da farsi. L’utopia-concreta si distingue dalla fantasticheria perchè unisce in sè il desiderio di realizzazione del mondo e del “se-stessi”, in una prospettiva politica che tenga conto delle reali contraddizioni dell’esistente.

8 Massimo CACCIARI, Dallo Steinhoff, prospettive viennesi del primo novecen-to, Adelphi, Milano, 1980, p.151. L’universo kubiniano è, per Cacciari, senza orizzonte e senza speranza alcuna, un mondo nel quale anche i consueti limiti tra regno animale e regno vegetale sono dissolti:” La linea non trattiene - afferma Cacciari - le forme in fuga, ma le apre, le spezza e le rimescola insieme. Le fanciulle volano come uccelli sulla palu-de; uomini-pesce e uomini-rospo vi cacciano assieme a strane belve. Da un albero si ab-batte sul contadino la freccia della morte, o sulla sua casa, da un cielo plumbeo, l’uccello del malaugurio. Il sole rimane sempre nascosto dietro spesse nebbie che salgono da terre fermentanti. La vita universale qui si esprime decomponendo le forme del suo vecchio

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Ironia di un destino tragico al quale è, secondo Kubin, impossibile sfuggire proprio perché la dimensione del “possibile” è disinnescata di qualsiasi carica dirompente rispetto all’esistente. In Perla si vive del pas-sato, la città è, anzi, un frammento di questo; ma è, per così dire, un re-perto archeologico non più decifrabile, non più intelligibile, dunque non più utilizzabile per il futuro, per una sua costruzione razionale. La sua presenza, al contrario, rende impossibile il futuro. Il passato è, per Kubin, un lento oscillare tra la contemplazione malinconica di ciò che è stato e la consapevolezza della avvenuta dissipazione di possibilità vitali che non sono ricuperabili; il senso del passato kubiniano è assolutamente diverso da quello di Benjamin o di Bloch; il “non-ancora-divenuto” e le spinte ver-so il futuro racchiuse nel passato, perifrasi dell’utopico - e, dunque, anche del possibile - secondo la nota interpretazione blochiana9 che assegna alla speranza un ruolo determinante nell’indirizzare la progettualità dell’uo-mo verso forme di risoluzione dei meccanismi che imprigionano il mondo

ciclo”, Ibidem, p.1499 Nell’introduzione alla già citata edizione italiana del Geist der Utopie, in

un’intervista rilasciata ai traduttori l’1 settembre 1974, Bloch defi nisce chiaramente il suo modo d’intendere l’utopia. I concetti principali che la defi niscono sono “la tenebra dell’attimo vissuto” e “il sapere non ancora conscio”. Mentre il primo sta a sottolineare la necessità del distacco dal problema oggetto di conoscenza e, in senso lato, anche da tutte quelle soluzioni dell’emergenza immediata ad esso, per evitare quella “prossimità che ci fa ciechi”, il secondo, congiuntamente al “non-ancora-divenuto” chiarisce il valore dell’utopia. “Entrambi i concetti - sostiene Bloch - sono perifrasi dell’utopico... Le tiene unite la categoria del non-ancora”. E’ quest’ultima che entra a far parte dei sogni ad occhi aperti di tutti, del fantasticare sul futuro, della sua possibile defi nizione in base ai nostri desideri.

Per il senso che il passato assume in Benjamin, illuminanti sono le considera-zioni svolte da Remo Bodei nel suo saggio Le malattie della tradizione. Dimensioni e paradossi in Walter Benjamin, in “Aut-Aut”, 189-90, maggio-agosto 1982, p.165 e ss., dove, tra l’altro, si afferma: “Benjamin stabilisce una parentela di passato remoto e futuro messianico, di arcaico e di novissimum. L’arcaico, il simenticato, è imprigionato in noi. E’ sempre presente, immutato, irrigidito, nel singolo e nella collettività. Uno choc o la rot-tura di una tradizione lo fanno risorgere, lo riportano alla luce”(pp.166-67). Un risorgere che è come un’esplosione, un’esplosione di desiderio, di non-ancora che può determinare e defi nire il futuro, come per Bloch.

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all’assurdo potere inamovibile dell’ hic et nunc, restano in questo modo, congelate nelle cose senza che sia data alcuna possibilità di evoluzione, fosse pure soltanto “teorica”. Questo accade perché, negli orizzonti che appena si intravedono nella fi ttissima nebbia che avvolge con le sue spire la memoria kubiniana, il mondo, nella sua struttura, è attraversato, al di sotto dell’immagine consuetudinaria e pacifi cata che di se stesso rimanda, da un confl itto spietato, crudele ed interminabile.

“Le forze di attrazione e di repulsione - afferma Kubin - i poli della terra con le loro correnti, l’alternarsi delle stagioni, il giorno e la notte, il bianco e il nero, non sono che l’espressione di una lotta.”10

Le parole di Kubin pretendono, insomma, di individuare i percorsi di tensioni che determinerebbero le cause stesse della vita, le forze motrici del mondo; come se si trattasse di scovare, al di dietro o al di sotto della realtà fenomenica, i principi fondativi dell’universo e, di conseguenza, di tutto ciò che in esso accade; una nuova cosmologia, dunque, frutto d’una lotta crudele tra princìpi antitetici ed irriducibili11. Uno scontro dramma-tico nel quale l’orizzonte si chiude ad ogni speranza, negando qualsiasi possibilità di salvezza. Il soggetto, la sua parte raziocinante, la sua parte “diurna”, non potrà, in nessun caso, scampare a ciò che si cela dentro di sé; sia che egli consideri lo sfacelo del mondo come una necessaria “tabula

10 Alfred KUBIN, op.cit., pp.294-9511 L’individuazione di una nuova cosmologia è caratteristica costante in molti au-

tori dell’espressionismo. Basti pensare, ad esempio, a quanto Hermann Finsterin asserisce a proposito dell’ordine del mondo. “Nulla è identico - egli afferma nella sesta lettera della Gläserne Kette - ... ogni positivo ha il suo corrispondente negativo in cui esso è incavato. Do la massima importanza alla seguente formulazione, la massima conoscenza è la legge dell’accoppiamento e la relatività dei contrapposti. Non esiste infi nito senza fi nitezza. Luce eterna cessa di essere luce. Non c’è relatività senza assolutezza. Non c’è nulla senza tutto. I riformatori delle situazioni umane disconoscono questa legge... La proporzione dei contrapposti è il segreto del mondo, dello stato dell’uomo, ma senza dismisura degli estremi non ci sarebbe proporzione”. Per un maggiore approfondimento del senso che la dialettica dei contrapposti - una sorta di dialettica eccessiva - assume nella cultura espressionista mi permetto di rimandare al mio Hermann Finsterlin, dal gioco di stile all’architettura “marsupiale”, Dedalo, Bari 1982.

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rasa” da cui risorgere12, sia che egli, sentendosi sconfi tto, ceda al desiderio del silenzio o si dia la morte13. Prosegue Kubin:” Il vero inferno consiste nel fatto che questo doppio gioco contraddittorio si prolunga in noi” e l’Io ne è lacerato, fi nisce per dissolversi in infi niti rivoli.

Ma c’è da chiedersi, come avviene questa lenta decomposizione del-l’Io? Qual’è, insomma, esattamente il processo in cui ciò si compie? O il che è lo stesso, nella “lotta” di cui Kubin parla se un termine chiamato in causa è il soggetto, qual è il secondo? Chi è l’altro “se-stessi”, l’ “altra par-te” dell’Io, la verità nascosta dietro l’immagine rifl essa dallo specchio?

L’antagonista, il “doppio” non è univocamente defi nito: Claus Pate-ra, simbolo dell’altro-da-sè kubiniano, infatti, è un tiranno proteiforme, si dissolve in mille immagini diverse; il suo corpo si nasconde dappertutto, tra la folla e gli oggetti, tra le pieghe del tempo e dello spazio fi sico della città. Perla, inoltre, a tratti assume tutte le caratteristiche di un corpo viven-te, un sol corpo colossale apparentemente pietrifi cato ma, in realtà, capace di muoversi, di emanare rumori ed odori, come gli angosciosi scricchiolii

12 In Benjamin l’azzeramento totale di ogni esperienza può trasformarsi in un punto di partenza per la rifondazione del mondo: “Barbarie? - egli si chiede - Proprio così. Diciemo questo per introdurre un nuovo, positivo concetto di barbarie. A cosa mai è ridot-to il barbaro dalla povertà di esperienza? E’ indotto a ricominciare da capo; a iniziare dal Nuovo; a farcela con il Poco; a costruire, a partire dal Poco e inoltre a non gaurdare nè a destra nè a sinistra. Tra i grandi creatori ci sono sempre stati gli implacabili, che per prima cosafacevano piazza pulita”. In Erfahrung und Armut del 1933, in Walter BENJAMIN, Gesammelte Schriften, F.a.M., 1977, I, pp.212-19; t.i. di F.Desideri, Esperienza e povertà, in “Metaphorein”, 3, marzo-giugno, 1978, p.12 e ss.

13 Il desiderio (o la necessità ineluttabile) del silenzio sono i caratteri precipui della cultura austriaca del periodo; da Loos ad Hofmannsthal. Quest’ultimo così fa parlare Lord Chandos: “Il mio caso, in breve, è questo: ho perduto ogni facoltà di pensare o di parlare coerentemente su qualsiasi argomento. In un primo momento mi divenne gradual-mente impossibile trattare sia temi elevati sia comuni e formulare quelle parole, di cui ognuno suole servirsi correttamente senza stare a pensarci ... Le parole astratte, di cui la lingua, secondo natura, si deve pur valore per recare a giorno un qualsiasi giudizio, mi si disfacevano nella bocca come funghi ammuffi ti” Hugo VON HOFMANNSDTHAL, Ein brief (t.i. di M.Vidusso Frediani, Lettera di Lord Chandos, Rizzoli, Milano, 1974, p.41). A questo proposito Claudio Magris afferma nell’introduzione: “Nella rinuncia di Lord Chandos alla letteratura si attua la dissoluzione del soggetto quale principio ordinatore della realtà”(p.11).

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delle case che la compongono e che, di notte, sembrano acquistare una propria vita misteriosa e terrifi cante, come si trattasse di un enorme vege-tale o d’una bestia semiaddormentata della quale è terribile immaginare il risveglio, che si anima sotto la luce spettrale della luna e che striscia su se stessa, lentamente, divorando tutto quanto la circonda, tutto quanto capita nel suo spazio e, per questo, fi nisce per appartenerle. L’argilla dei muri delle sue case diviene cosa viva, come la materia di cui è composto un “golem” può animarsi, in una goffa ripetizione imperfetta di Adamo, miracolo divino14.

Il defi nitiva, la capitale del “Regno del Sogno” assume le sembianze d’una strana creatura semi-viva o semi-morta che, in particolari condizio-ni, può reagire con tutte le prerogative d’un corpo vivente, autonomo. La quasi-vita di Perla e il dissolversi di Patera negli oggetti che la compon-gono ci inducono ad una sola conclusione: Perla è il corpo di Patera. Se, per questo motivo, la città fi nisce per perdere, sul piano simbolico, le sue caratteristiche consuete per trasformarsi in una strana entità indefi nibile, così Patera, suo sovrano e padrone, si estrofl ette dai limiti del suo corpo umano per assumere quelle di un dio sull’orlo dell’abisso, della perdizio-ne, della dannazione eterna, il corpo “golemico”, argilloso, pietrifi cato ma vivo della città.

Questa identità Perla-Patera ha non poche conseguenze come tra poco vedremo; considerato sul piano metaforico, infatti, lo scontro Kubin-Patera o, se si vuole, Kubin-Perla non solo allude, per quanto detto fi nora, ad un processo nel quale il soggetto entra in rapporto con il proprio incon-scio e con l’inferno che in esso si nasconde e ne esce tanto turbato da du-bitare della propria unitarietà ed integrità - motivo, questo, caratteristico di tutta quanta la cosiddetta letteratura “fantastica” o “romantico-visionaria” compresa tra ‘700 e ‘800, dalla quale L’altra parte ostentatamente trae la sua ispirazione15 - ; non soltanto, dunque, se letto in chiave psicoanalitica,

14 Come vedremo più avanti la stretta correlazione che si può stabilire tra Perla e Praga permette di mutuare il materiale simbolico-mitologico dall’una all’altra, come la leggenda praghese del Golem, creatura d’argilla cui, con un incantesimo, può essere data la vita anche se si tratta di una quasi-vita o, il che è lo stesso, di una quasi-morte..

15 Nell’introduzione all’antologia Racconti fantastici dell’ottocento, Mondadori,

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lo scontro Kubin-Perla, come è stato fatto osservare16, sarebbe allusione di quello padre-fi glio e, di conseguenza, anche di quello parallelo, che av-viene all’interno di ognuno, Es-Superio, dove l’Io - la coscienza diurna - sembra perdere la sua unitarietà, trasformato com’è in territorio di lotta tra tendenze contrastanti; la contrapposizione Kubin-Perla, ad un discor-so più attento verso alcune connessioni e rimandi che esistono tra L’altra parte e il mondo concreto, mostra altri aspetti degni di nota che portano a conclusioni estremamente stimolanti.

Innanzitutto fa rifl ettere il disegno planimetrico di Perla che Kubin, congiuntamente ad altre immagini, allega al testo scritto. Per essere una città “fantastica”, frutto d’un sogno visionario, essa mostra un impianto formale assolutamente privo di qualsiasi astratto geometrismo che, al con-trario, il più delle volte è caratteristica saliente delle città ideali ed imma-ginarie17; da un lato la forma complessiva è, per così dire, estremamente “realistica”, dall’altro, sempre sul piano della costruzione geometrica, si ri-scontra l’assenza di qualsiasi successione gerarchica tra forma e forma, tra parte e parte della città. Le città ideali, immaginarie e, in particolare, quelle “utopistiche”, possiedono, infatti, sempre assi di simmetria, direttrici prin-cipali e secondarie, netta divisione tra centro e periferia; sono, inoltre, il più delle volte, circondate da mura o recinti e ostentato un’organizzazione delle loro geometrie, sul piano simbolico, quasi sempre estremamente ele-

Milano, 1983, Italo Calvino, a questo proposito, ha scritto: “alla nostra sensibilità d’og-gi l’elemento soprannaturale al centro di questi intrecci appare carico di senso, come l’insorgere dell’inconscio, del represso, del dimenticato...”; tema centrale del racconto fantastico è “...il rapporto tra la realtà del mondo che abitiamo e conosciamo attraverso la percezione, e la realtà del mondo del pensiero che abita in noi e ci comanda. Il problema della realtà di ciò che si vede - cose straordinarie che forse sono allucinazioni proiettate nella nostra mente; cose usuali che nascondono sotto l’apparenza più banale una seconda natura unquietante, misteriosa, terrifi cante - è l’essenza della letteratura fantastica, i cui effetti migliori stanno nell’oscillazione di livelli di realtà inconciliabili”(p.5).

16 Cfr.nota 4.17 Cfr. Gianni GUADALUPI e Alberto MANGUEL, Manuale dei luoghi fantasti-

ci, Rizzoli, Milano, 1982. Una scorsa a quest’originale raccolta di tutti i territori, città e paese prodotti dall’immaginario nella letteratura, con annesse relative piante e planime-trie convince di ciò.

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mentare e, per questo, facilmente decodifi cabile; questo accade per precisa volontà dell’autore che ne fa, in questo modo, un’ “illustrazione” della sua visione del mondo. La forma della città ideale-immaginaria è, dunque, una parafrasi grafi ca, uno schema fortemente allusivo, un’organizzazione visi-va di concetti e ideologie, appartenenti ad un’utopia sociale, restituiti sotto forma di elementi geometrici. La città immaginaria dell’utopia è, in sintesi, uno strumento di propaganda.

Ciò non accade assolutamente in Perla: completamente priva di tut-to quanto detto fi nora, essa si pone ostentatamente come “imitazione” di una città reale, concreta; ha affermato, a questo proposito, Angelo Maria Ripellino:

“Perla, la capitale del Regno del Sogno in Die andere Seite di Kubin, città fradicia, stigia, tinta di berrettino e come avvolta in funebre crespo e più vecchia della Sibilla, è un facsimile di Mala Strana... La nebbia solcata da gialli guizzi di deboli fi ammelle a gas, l’aria torbida e smorta, il fi ume Negro, sul quale essa sorge, sono come l’inchiostro, i fastellacci di case decrepite e l’epidemia di sonnolenza che assale senza pietà i suoi abi-tanti avvicinano questa opaca metropoli di letarghiti, misto di fi ochi riverberi senza alcun primo lume, alla Praga luttuosa del Dopo-Montagna-Bianca.”18

La città reale, nascosta tra gli squarci spazio-temporali e gli incubi di Perla, è dunque Praga. Una Praga luttuosa, sofferente, come afferma Ri-pellino. Perla è, insomma, una rivisitazione, sul piano allusivo-simbolico, una riduzione all’essenziale dell’atmosfera surreale-alchimistica di quella città, già di per sé carica di signifi cati onirici, di passato, di rimpianti, di desideri frustrati e di slanci collettivi abortiti, che Ripellino ha felicemente sintetizzato nel nome di “Praga-magica”. Questo è, per esempio, il senso che assume l’infi nita progenie di orripilanti, larvali e ributtevoli personag-gi che pullulano per le strade e i vicoli della letteratura praghese e nascono dal territorio argilloso delle leggende e dei miti popolari.

“Città funeraria, dove si mangiano dolci che hanno parvenza e nome di piccole bare e dove le bare slittano dai carri lugubri e il dottor ‘Guastafeste’ risuscita il consi-gliere Schepeler durante le esequie. Città di elisiri alchimistici, dove la scialba e grinzosa

18 Angelo Maria RIPELLINO, Praga Magica, Einaudi, Torino, 1973, p.204

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giovane Ismena, prendendo l’arsenico, diventa leggiadra come una Madonna murillica, sebbene per poco, perché il veleno la uccide. Città stregonesca, dove un gioiello di opale annuncia sventura, perdendo il suo luccichio. Città di prodigi, dove un fi ore improbabile, un etiopico giglio, dall’erbario in cui è disseccato si insinua nella sorte degli uomini. E perciò città, in cui gli aspetti corseggiano senza riposo e si propagano a guisa della mal’herba.”19

Il connubio Perla-Praga è dunque calzante; l’atmosfera onirica che si alza dalle case e le strade praghesi genera Perla, sua riduzione simbolica, suo “doppio” letterario.

Ma le somiglianze non sono soltanto nell’atmosfera alchimistico-visionaria-maledetta che avvolge sia l’una che l’altra città. Le similitudini sono proprio nel disegno planimetrico, negli elementi urbani che le com-pongono, nelle strade, nei quartieri; il fi ume Negro che circonda Perla è come la Moldava per Praga, attraversandola esegue la stessa curva dolce; il “quartiere francese” della capitale del Regno del Sogno ha le stesse ca-ratteristiche del ghetto ebraico della città Vtlavina; il cimitero di Perla con accanto le terre Tomassevic, in cui regna la morte visto che, come afferma Kubin, “tutti i tentativi di costruzione si dimostravano delle speculazioni illusorie e le case cadevano a pezzi prima ancora che fosse fi nito il tetto” è certamente il cimitero ebraico praghese del quale, afferma Ripellino, “non v’è in tutto il mondo alcun camposanto in cui il cielo, squassato dalla tem-pesta, diventi così nero come sulla necropoli del ghetto praghese”20. Le somiglianze potrebbero moltiplicarsi in una lunghissima serie.

Parlando di Perla, dunque, Kubin allude ad una città vera; di con-seguenza è possibile interpretare lo scontro Kubin-Perla come quello tra individuo e città, tra cittadino e metropoli; per quanto si diceva all’inizio, questa diviene così termine attivo nel processo di spezzettamento e sman-tellamento dell’Io, nella sua crisi di identità, nel suo autodefi nirsi tramite le immagini che il territorio circostante gli rimanda. V’è, dunque, al di là delle interpretazioni psicoanalitiche, la possibilità di cominciare a traccia-re, con precisione, gli elementi caratteristici del confl itto interiore che si

19 Angelo Maria RIPELLINO, op.cit., pp. 219-2020 Ibidem, p.147

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scatena nella personalità metropolitana.Nella “moderna” cultura metropolitana la città assume un ruolo atti-

vo e determinante nella manipolazione-trasformazione della coscienza in-dividuale. Già nella sua Philosophie des Geldes (Filosofi a del danaro) del 190021, Georg Simmel aveva colto il ruolo che la grande-città (Grossstadt) assume nella formazione del carattere precipuo del cittadino metropolita-no, eliminando, a poco alla volta, dalla sua coscienza il sentimento (Gemüt) con il sopravvento dell’intellettualizzazione (Verstand) di ogni pulsione af-fettivo-emotiva. Un procedimento, questo, reso possibile, secondo Simmel, dalla continua intensifi cazione della vita nervosa (Steigerung des Nervenle-bens)22. Si viene articolando, in questo modo, una convincente spiegazione dei motivi causanti lo sconvolgimento della coscienza individuale con l’at-tribuire al tessuto metropolitano non soltanto il ruolo di inerte fondale, sce-nario contro il quale si stagliano i confl itti propri dell’Io-moderno immerso nelle contraddizioni metropolitane - di natura economica, sociale, politica, ecc. - ma anche, e soprattutto, nel riconoscere alla grande-città una parte attiva ed esclusiva, rispetto agli altri agenti presenti, nel confl itto stesso per il fatto che essa, per le sue caratteristiche strutturali - energico movimento, rapida elaborazione di immagini violente, rumori, stress, concentrazione di uomini, mezzi, case, attività frenetiche, ritmo sostenuto, ecc. - è artefi ce della propagazione di uno choc potentissimo nella folla che la attraversa; lo choc rimbalza dalla città alla folla e da questa all’individuo sperduto tra migliaia di altri che non conosce, che non ri-conosce; la violenza è tale da far acquistare a questo processo un ruolo determinante nella logorazione lenta ma inesorabile della sensibilità individuale, trasformando il cittadino in un blasè, cinico, indifferente alle umane sofferenze.

Fin qui Simmel e la sua interpretazione del confl itto Io-metropoli che è, come abbiamo detto, anche un primo modo di interpretare il rapporto

21 Le teorie di Simmel in questione sono contenute nel testo della conferenza Die Grossstadt und Geistesleben; t.i. Metropoli e personalità in G. MARTINOTTI (a cura di), Città ed analisi sociologica, Marsilio, Padova, 1968, p.275 e ss.) che fa parte del più ampio studio Philosophie des Geldes.

22 Un’ampia trattazione del pensiero simmeliano è contenuta in Massimo CAC-CIARI, Metropolis, Offi cina, Roma, 1973

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Kubin-Patera, una volta scoperta la sostanziale identità che intercorre tra il tiranno e la sua metropoli onirica; e fi n qui nella di nuovo, tutto somma-to, per il discorso critico sulla grande-città moderna. Sennonché, proprio l’esatto parallelo che si può stabilire tra gli elementi urbani di Praga e i loro equivalenti, sul piano simbolico-letterario, in Perla e il particolare destino che questi ultimi subiscono ne L’altra parte ci spingono ad ulteriori ap-profondimenti: se, insomma, l’analisi simmeliana si limita a defi nire i ter-mini “moderni” del rapporto cittadino-metropoli è possibile intravedere, nel delirio urbano che Perla ci rimanda, le caratteristiche di quella che po-tremmo defi nire la “post-metropoli”, la grande città con i suoi meccanismi nel periodo postindustriale, post-moderno e, soprattutto l’effetto che questi inducono nel cittadino postmetropolitano, appunto “postmoderno”.

Il destino degli elementi urbani di Perla - e cioè di quelli di Praga e, dunque, della città concreta - si può sinteticamente racchiudere in ciò: la totale perdita di signifi cato. Essi, perdute le loro familiari funzioni o il loro valore di riferimento e di identifi cazione per i cittadini, in un proces-so continuo di deformazione-spiazzamento, sembrano relazionarsi gli uni agli altri secondo leggi nuove, secondo regole sconosciute alla ragione, misteriose scaturigini di volontà nascoste da scoprire, a tutti i costi, per ritrovare l’intero universo di senso che Perla deve pur, da qualche parte, possedere. Proprio questa ricerca continua, questo tentativo di risposta ad angosciosi interrogativi sembrano agitare la mente del Kubin-cittadino del Regno del Sogno, quando, muovendosi per le strade della metropoli oni-rica, non smette mai di rimasticare dentro se stesso le immagini di ciò che lo circonda. In una parola, egli cerca di dare un senso a ciò che vede, di ordinare gli avvenimenti, di metterli assieme l’uno dopo l’altro per farsene una ragione. Ed è proprio la sua ostinazione in questa ricerca di chiarezza nei signifi cati, nel tentativo di far decantare le fi nalità, gli ingranaggi e il funzionamento della complessa macchina onirica messa in piedi da Patera che, alla fi ne dà corpo all’assurdo, lo presenta come tale, come una realtà ben più complessa del puro delirio onirico o della follia come momentanea assenza della razionalità. Se egli si adattasse, se non opponesse resistenza al fl usso di immagini che il Regno del Sogno e, in particolare Perla, gli rimanda non vi sarebbe spazio per l’assurdo. La realtà inizierebbe e fi ni-

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rebbe in quello spazio e in quel tempo come in un circolo chiuso e l’ “altra parte” sarebbe l’unica parte del mondo, l’unico universo di senso. E’ dal-l’ostinata consapevolezza - o, forse, con maggiore probabilità, illusione - che da qualche parte vi deve per forza essere una realtà solare, razionale, ordinata, intelligibile in ogni sua parte - dove le cose e i fenomeni si susse-guono “normalmente”, in maniera ovvia, senza doverci fare caso, come lo spuntare del giorno e il calare della notte, l’alternarsi delle stagioni, in un ciclo insomma nel quale ragione e natura si conciliano - che tutto quanto accade in Perla assume le colorazioni dell’Assurdo, della mancanza totale di signifi cato.

Ad esempio, Patera sfugge, non si fa vedere. Il tiranno, il padrone, il padre, il Super-Io, il “doppio”, in una parola, il potere diviene inafferra-bile. Ma non perché esso manifesta la paura che cogliere la sua immagine signifi chi cogliere il trucco, l’enigma, il mistero che fa il suo potere. Egli nega la sua presenza senza che questo abbia un preciso signifi cato, così come, alla fi ne, appare agli occhi di Kubin senza che nulla di determinante accada e, dunque, ancora senza signifi cato. La conclusione è che non c’è signifi cato, esplicito o nascosto, da scoprire.

Allo stesso modo Kubin, nei suoi innumerevoli tentativi di giungere in contatto con Patera, scopre che il grande Archivio, nel quale una pi-docchiosa, idiota , squallida e kafkiana torma di burocrati avvizzisce tra la polvere di innumerevoli cataste di documenti, come strani animali in letargo, serve soltanto per conservare carte, apparentemente preziosissimi documenti, in realtà nient’altro che carte inutili.

“Nello Stato del Sogno - egli asserisce - l’autorità era una pura commedia. Se fosse stata soppressa, le cose non sarebbero andate né meglio, né peggio. Tutte quelle montagne di pratiche - accumulate acquistandole in ogni paese del mondo - non avevano niente a che fare con il Regno del Sogno. Per dire chiaramente come stavano le cose: si impiegava l’atmosfera satura di polvere e carta per allevare un genere speciale di homo sapiens che contribuiva alla varietà dell’insieme. Il vero governo si trovava altrove.”23

Allo stesso modo la Torre dell’orologio, nel centro della piazza prin-

23 Alfred KUBIN, op.cit., p.70

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cipale di Perla, non serve a segnare il tempo ma è l’oggetto totemico di uno strano rituale di cui lo stesso Kubin è vittima pur non comprendendo affatto che cosa stia facendo, che cosa lo spinga a fare come gli altri, ad usare le stesse sciocche parole incomprensibili e, soprattutto, a che cosa serva il tutto dato il fatto che dopo l’atto liturgico-rituale - che non consiste in nulla - non accade nulla.

In defi nitiva Perla si confi gura come capitale dell’Assurdo, sia per lo spostamento funzionale di tutti gli elementi urbani che la compongono, sia per tutte le azioni che in essa la popolazione vi compie. Il lungo fl usso continuo di immagini, sensazioni, messaggi e simboli che da essa parte e giunge ai sensi dell’individuo che vi abita è un complesso di linguaggi che non hanno signifi cato alcuno. Ci si deve chiedere, a questo punto, così come Kubin si interroga sull’organizzazione dell’Archivio: a che cosa ser-ve questa pletora di linguaggi privi di signifi cato, di immagini vuote, di funzioni disattivate, di senso che non ha senso?

La risposta è che, nell’atmosfera dell’Assurdo, non v’è spostamento semantico o ri-qualifi cazione dei segni in funzione di un diverso uso o di un nuovo orizzonte di senso. L’Assurdo, al di là di qualsiasi residuo onirico interpretabile in chiave psicoanalitica, è proprio, per sua defi nizione, eli-minazione completa di qualsiasi signifi cato nei segni. L’accoppiamento tra questi ultimi - e dunque la struttura stessa dei linguaggi in campo - non av-viene più secondo regole, né vecchie, né nuove, né da stabilirsi o scoprirsi, ma in maniera indiscriminata, arbitraria, caotica. E se tutto ciò è vero si capisce, senza dubbio, che il fi ne ultimo dei linguaggi dell’Assurdo è che essi vivono di se stessi, non perché possano comunque signifi care altro da sé, ma perché il loro unico scopo è quello di porsi essi stessi come signifi -cato ed eliminare qualsiasi altra possibilità di senso, qualsiasi altra volontà di comunicazione e, soprattutto, qualsiasi vero scambio tra i soggetti che si trovano ad usarli24.

Ritorniamo a Perla, alla sua “somiglianza” con Praga, città vera ed alla totale in-signifi canza di tutto ciò che appartiene al suo dominio espres-

24 Esemplare di questo senso-non senso, comunicazione-simulazione-incompren-sione totale dei dialoghi dell’assurdo è quello che si svolge tra moglie e marito nella piece teatrale di Eugene IONESCO, La cantatrice calva, Einaudi, Torino, 1963

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sivo. Questo dualismo, questa vicinanza di allusioni reali e comportamenti irreali - così come accade in tutto lo “stile” letterario kubiniano nel quale si parla di cose assurde, immaginarie, deliranti, non-concrete in un linguag-gio che ha, per così dire, un indice di “concretezza” estremamente marcato che si costruisce “realisticamente” come il parlare quotidiano25 - la costru-zione, insomma, di quest’antinomia può sottolineare l’intenzione, da parte di Kubin, di alludere a due ordini di problemi: da un lato la volontà di sottolineare la forte pregnanza reale che l’irrale-onirico, il rimosso assume nel quotidiano, dall’altro quella di mettere in evidenza con estrema energia il carattere decisamente irreale, assurdo e deviante che la realtà concreta - nel caso, la grande città - tende ad assumere. Il primo aspetto corrisponde alle valenze psicologico-psicanalitiche che il lavoro letterario kubiniano contiene nella sua struttura, di cui s’è parlato e che sono, generalmente, il suo lavoro letterario e grafi co-pittorico; il secondo, invece, conduce molto al di là del piano psicoanalitico; in esso vi sono alcuni elementi di critica della grande città moderna e di gran parte dei fenomeni connessi con la cultura urbana ed anche la capacità di prevedere, seppure in maniera in-forme ed intuitiva, le direzioni di sviluppo - o di degenerazione, sarebbe il caso di dire - del tessuto metropolitano e di tutto quanto in esso accade. La metropoli, infatti, sfuggendo, per così dire, di mano alle stesse forze e volontà - politiche, economiche, ecc. - che l’hanno messa in essere come macchina complessa atta a favorire la produzione, lo scambio, l’economia di mercato e così via, sembra diventare sempre più un’entità autosuffi cien-te e apparentemente impazzita rispetto al signifi cato ed alle funzioni cui originariamente era preposta; si trasforma, tra l’altro, anche in prepotente mezzo di distruzione dell’Io-metropolitano, ponendo se stessa, i suoi codi-ci impenetrabili, il suo assieme di segni senza signifi cato o troppo densi di signifi cato così, da restare muto per il cittadino, come unici - e il più delle volte incomprensibili - universi di senso.

Perla, da questo punto di vista, assume il signifi cato di imprevedibile

25 Ha affermato a questo proposito Ladislao MITTNER: “Egli disegna situazioni terrifi canti, che sono assolutamente irrazionali, eppure hanno tutta l’aria di poter esere narrate anche in chiari termini razionali” in Storia della letteratura tedesca, Einaudi, Torino, 1978, vol. III-2, p.1205

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anticipazione della “postmetropoli”, proiettata in un ambiguo orizzonte di senso-non senso rispetto alle defi nizioni classiche secondo cui la città è con-siderata non solo come luogo della massima concentrazione e circolazione del danaro e della realizzazione del valore di scambio ma anche come quel territorio traumatico e violento nel quale l’individuo, trasformato in blasè, diventa perlopiù indifferente al dolore ed alla umana sofferenza. Il tessuto metropolitano è anche quello nel quale uno dei meccanismi principali si rivela essere quello dell’esaltazione di tutte le forma di comunicazione, dove domina incontrastata, per dirla con Baudrillard, una semiocrazia26; la città è, dunque, il luogo dove tutti i media, tutti i mezzi di trasmissione, al massimo del loro registro ed effi cienza, appaiono e sono realmente al loro più alto livello di organizzazione autonoma.

Accade che, come il territorio metropolitano è diviso rigorosamente per sezioni di funzioni specifi che, dove le attività fremono e spingono, pul-sano nei contenitori “architettonici” preposti allo scopo, così gli individui sono inquadrati in mille diversi universi di rapporti funzionalizzati-com-puterizzati.

In questa realtà da un lato i linguaggi urbani specialistici si trasfor-mano in altrettante camere a tenuta stagna, tanto isolati gli uni dagli altri da diventare incomunicabili tra loro; dall’altro quelli “comuni”, per così dire, diretti a tutti, al cittadino medio, attraverso la ridondanza delle imma-gini e il ripetersi ossessivo dell’una che si sovrappone alle mille altre ed è subito cancellata per far posto alla successiva, divengono organizzazione di segni che, a poco alla volta, non è più possibile seguire; si accavallano, si compenetrano, si confondono e si aggrovigliano come i fi li spezzati di

26 Baudrillard ha sostenuto, sottolineando il tramonto degli schemi classici di in-terpretazione dei fenomeni urbani:” Ormai tutti sono separati ed indifferenti sotto il segno della televisione e dell’automobile, sotto il segno dei modelli di comportamento iscritti ovunque nei media o nel tracciato della città. Tutti allineati nel loro rispettivo delirio di identifi cazione con dei modelli di simulazione orchestrati. Tutti commutabili con questi stessi modelli. E’ l’era degli individui a geometria variabile. Ma la geometria del codi-ce, invece, resta fi ssa e centralizzata. E’ il monopolio di questo codice, diffuso ovunque nel tessuto rubano, che è la vera forma del rapporto sociale”. Jean BAUDRILLARD, L’échange symbolique et la mort, Paris, 1976; t.i. di G. Mancuso, Feltrinelli, Milano, 1979, p.92.

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una matassa senza fi ne. I discorsi tendono sempre più a iperspecializzarsi o, per l’accumulazione infi nita, entrano in confl itto tra loro e si spezzettano in innumerevoli segni banalizzati. La conseguenza sempre più evidente è che l’universo dei segni si sostituisce all’universo reale.

Il mondo reale fi nisce, in questo modo, per allontanarsi indefi nita-mente ed è sostituito dall’iperealtà artifi ciale, dalla ripetizione coatta, dalla sovrabbondanza, dall’iperimmagine. Il futuro ed il passato non hanno più senso; come in Perla il passato si trasforma in macchina onirica costrui-ta per distruggere il futuro attraverso una “lenta masticazione” - simile a quella che consuma il corpo e l’anima dell’immondo insetto kafkiano in cui Gregorio Samsa si è trasformato nella Metamorfosi - così, nella po-stmetropoli, perduto ogni orizzonte in cui inquadrare il futuro - o, forse, per fuggire il terrore delle nere ed apocalittiche spirali che sembrano av-volgerlo - il passato è rimasticato in una nuova, inutile e mistifi catoria “Renaissance” postmoderna, misto di chincaglierie, cineserie, orientalismi petroliferi misti a diete computerizzate, moda, gusto per l’effi mero, “cul-tura” del corpo, della gola e dell’azione, ginnastica e corse a piedi o in bicicletta per mantenersi giovani.

Il passato - l’ “idea” che se ne ha - non è più frutto della storia ma, al contrario, completamente astoricizzato e, dunque, demotivato, gratuito; inquadrato nei dettami della moda, diventa scenario per ammiccanti vetri-ne e negozi d’abbigliamento, con colonne “vitruviane” o angioli barocchi, misti a lino, garze e taffetà. La colonna “fi rmata” in marmo bianco o rosa, le lastre incastonate di chiavarde d’ottone, realizzazioni del “moderno” o, meglio, postmoderno Design che strizza l’occhio agli interni loosiani della Vienna “senza qualità” d’inizio secolo, stravolgendone completamente il signifi cato, fanno da contrappeso agli abiti, alle pose affettate dei mani-chini in plastica con gli occhi segnati dal bistro, ai mobili modulari o in “stile”, agli oggetti di casa, ai prodotti per la pelle e il viso, per il corpo “snello ed agile” e per ogni funzione che questo, si presume, debba conti-nuare ad avere.

Programmazione della stupidità o stupidità della programmazione di una qualsiasi linea “progressiva” di sviluppo dei fenomeni urbani. Tutto l’intero esercito di parafunzioni che si svolgono freneticamente nella pseu-

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do-metropoli si risolve, dunque, in un getto continuo, un immane fi ume di parole e di immagini che hanno senso solo per se stesse e formano una “logica” che sovrasta, in quanto a signifi cato, lo stesso mondo reale. Tut-to, inoltre, nel segno delle immagini diviene possibile e tutto fi nisce per esser concesso, anche le più violente trasgressioni; la spettacolarizzazione garantisce la completa perdita di qualsiasi potere dirompente del devian-te, dell’aggressivo, del violento. Alla Babele dei segni, proprio per il suo carattere artifi ciale, rimane estraneo qualsiasi signifi cato se non quello di costruire se stessa, universo organizzato dei segni che si pongono, in quan-to tali, come l’inizio, il trascorrere, la fi ne e la liquidazione defi nitiva di qualsiasi discorso critico e scientifi co sulla realtà. La conclusione è che, dall’iperrealismo delle immagini, la città ne esce sempre più come una città-immaginaria, fatta cioè di immagini, luogo nel quale trionfa l’unico discorso possibile: quello dei segni che parlano di sé.

Già Benjamin, nel già citato Erfahrung und Armut aveva intuito il problema vero che si nasconde al di sotto della rivitalizzazione degli pseu-do-linguaggi urbani:

“Con questo immenso sviluppo della tecnica una miseria del tutto nuova ha colpito gli uomini. E di questa miseria l’opprimente ricchezza d’idee, che con la rivitalizzazione di astrologia e sapienza Yoga, Christian Science e chiromanzia, vegetarianismo e gnosi, scolastica e spiritismo si è diffusa tra - o meglio, sopra - la gente, è il rovescio. Perché qui non ha luogo un’autentica rivitalizzazione, ma una galvanizzazione ... Che valore ha al-lora l’intero patrimonio culturale se proprio l’esperienza non si congiunge ad esso? ... Sì, ammettiamolo: questa povertà di esperienza non è solo povertà nelle esperienze private, ma povertà nelle esperienze dell’umanità in generale. E con questo una specie di nuova barbarie.”27

Se per Benjamin il guazzabuglio di stili, segni, di chincaglierie nasconde un’orribile vacuità del genere umano, una spaventosa pover-tà culturale, il deserto dei sentimenti e dell’intelligenza, è pur vero che l’ “Angelus Novus” della riscossa della ragione sull’irrazionale barbarie che si accompagna ad un particolare tipo di sviluppo tecnologico era, per Benjamin, più che una vuota speranza. Dal Nulla, dalla miseria poteva

27 Walter BENJAMIN, op.cit., p.13

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partire - poteva prevedersi - l’annuncio e la richiesta di una nuova era, un risorgere dell’universo del signifi cato, della pienezza della vita. Ma oggi, a cinquant’anni di distanza, il guazzabuglio di stili è diventato sistema di vita; l’iniziale alienazione del cittadino metropolitano s’è trasformata nel-l’agnostica, golemica, ottusa cecità dell’animale postmetropolitano, anco-ra più vittima del sistema generale dei segni e delle immagini. L’Angelus benjaminiano è anch’esso, ironia crudele, divenuto segno tra i segni, im-messo com’è nella “nuova” Renaissance postmoderna. Cadute le ultime resistenze, l’intero universo dei signifi canti senza signifi cato ha un solo nome, simulazione: di cultura, di signifi cati, di stili, di razionalità, di pro-gresso, di tecniche, di passato, di luci, di ombre, di umanità. Come quelli che si intravedono nella nebbia di Perla, non sono altro che fantasmi.

All’altro capo di questa tensione v’è l’uomo “postmoderno”, in bi-lico tra banalità e follia. Egli forse sarebbe tentato, come Kubin, dall’idea della morte. Ma esita. Forse, pensiamo, perché sospetta che anche questa sia una simulazione.

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Alfred Kubin nacque nel 1877 in Boemia, a Leitmeritz. Fu un pittore e grafi co ma è conosciuto soprattutto per le sue grandi capacità di dise-gnatore. Morì a Zwickledt in Austria nel 1959.Dopo essere stato costretto a lasciare gli studi liceali per scarso rendi-mento, si avviò al mestiere di fotografo presso l’uffi cio di uno zio. Dopo il servizio militare frequentò l’Accademia di Belle Arti di Monaco. La sua prima mostra di successo è del 1902 presso la galleria di Paul Cassirer a Berlino. Fece brevi viaggi in Italia, Francia, Bosnia, Dal-mazia.Il suo lavoro è sempre orientato in senso fantastico-onirico.Ha illustrato i grandi autori della letteratura fantastica come Poe, G. de Nerval, Dostoewskij ed E.T.A. Hoffman. E’ nel campo della grafi ca che raggiunge i risultati più straordinari.

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il pesce bue, 1910

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incontro notturno

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cavallo imbizzarrito spaventato da un serpente 1910

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danza con il folletto

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le nemiche


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