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Benedetto, re d’Italia

Date post: 18-Mar-2016
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Gli intrighi, le strumentalizzazioni e gli interessi che hanno legato negli ultimi anni il Vaticano e la politica italiana, in un libro-dossier che svela le devastanti conseguenze di una democrazia in crisi e di una teocrazia che considera il nostro paese il “giardino del Papa”.
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«Dialoghi» Benedetto, re d’Italia BENEDETTO:Layout 1 4-04-2012 9:09 Pagina 1
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«Dialoghi»

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GREMESE

Martine Nouaille

Benedetto,re d’Italia

Cronaca di un paeseall’ombra del Vaticano

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Titolo originale:Benedetto, roi d’ItalieCopyright © Éditions Stock, 2011

Traduzione dal francese: Leonardo Taiuti

Copertina: Giulia Arimattei

Stampa: Arti Grafiche del Liri – Isola del Liri (FR)

Copyright edizione italiana:GREMESE2012 © New Books s.r.l. – Romawww.gremese.com

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta,registrata o trasmessa, in qualsiasi modo o con qualsiasi mezzo,senza il preventivo consenso formale dell’Editore.

ISBN 978-88-8440-713-9

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A Gérard, Nicolas e Juliette

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«Gesù ha annunciato il Regno,ed è la Chiesa che è venuta».

Alfred Loisy, L’Évangile et l’Église

«Ma tu, mi dicevo, volevi appunto questo:che il mistero si dissolvesse,

che di quel grandioso scenario, di quella maestosaillusione, restassero i nudi e squallidi tralicci,

come quando si entra in teatro per iSei personaggi di Pirandello…».Leonardo Sciascia, Todo Modo

«E dire che ho rovinato tanti anni della mia vita, cheho desiderato di morire, che ho avuto

il mio più grande amore per una donna che neppuremi piaceva, che neppure era il mio tipo!».

Marcel Proust, Un amour de Swann

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Prefazione

I muri di Roma parlano. Poesie d’amore, affreschi allagloria dell’AS Roma, grida d’odio contro gli immigrati,parole d’addio a un amico morto in un incidente moto-ciclistico, slogan politici: i suoi graffiti, disseminati dallerive del Tevere alle stradine della Garbatella, fanno senti-re i battiti cardiaci di una città segreta e contraddittoriache sfugge al visitatore frettoloso. Per quattro anni, piùvolte a settimana, sono passata davanti a una scritta agrandi lettere in corsivo che diceva: Il futuro non è piùquello di una volta. La frase, misteriosa e anonima, spicca-va sulla piattaforma di pietra di ponte Vittorio Emanuele II,che collega la Roma politica al quartiere del Vaticano. Mici è voluto del tempo per realizzare che si trattava di unacitazione di Paul Valéry: L’avenir n’est plus ce qu’il était. Avolte, la traduzione suona più forte dell’originale. C’erauna volta… Il XXI secolo inizia nell’incertezza e l’Italia,al pari del futuro, non è più quella di una volta.

L’utopia è fatta di malintesi. I primi tempi, quandovedevo allontanarsi da un’edicola una coppia di elegantisessantenni, con «l’Unità» sotto il braccio, mi commuo-

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vevo ancora all’idea di incrociare due rappresentanti diciò che di meglio, di più originale, di più seducente, equantomeno di più presentabile, esistesse in materia dicomunismo europeo. Ma «l’Unità», un tempo influentequotidiano del partito comunista italiano, divenuto poiorgano di stampa del partito democratico, ormai nonera letto che da intellettuali in pensione, e la sede delPCI, in via delle Botteghe Oscure, era stata venduta auna compagnia di assicurazioni. Passavo tutti i giorni da-vanti al palazzo dai muri rosso ocra. Pochi metri primadi raggiungerlo, sulla destra, si apre via Caetani, legataal ricordo di quel 9 maggio 1978, quando il corpo di Al-do Moro fu ritrovato dentro il bagagliaio di una Renault 4.Vi è ora apposta una targa commemorativa, ignoratadalla maggior parte dei turisti che gironzolano per lestrade fintamente pittoresche dell’antico ghetto ebraico;nulla vi rimane, infatti, dei tuguri di un tempo. Del re-sto, fatta eccezione per il giorno dell’anniversario delcrimine, che attira in quella stradina scura una sfilata didelegazioni ufficiali e rivali, nessuno pensa di deporviun fiore. Sul balcone del palazzo delle Botteghe Oscure,non si sono presi neppure la briga di staccare gli alto-parlanti che, appena pochi anni prima, erano serviti adarringare la folla. E i portastendardi che, nei giorni difesta, avevano sfoggiato i colori dell’Italia e quelli dellarivoluzione mondiale, ormai restavano desolatamentespogli. All’angolo con via dei Polacchi, la libreria Rina-scita tirava avanti senza convinzione, vendendo libri po-litici e DVD di film impegnati1. Lì avevo comprato un

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1 In seguito, è diventata sede del quotidiano «Il Riformista», giornaledella sinistra moderata fondato da Antonio Polito.

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documentario dedicato alla figura di Enrico Berlinguer.L’ex segretario generale del partito comunista italia-no continuava a fare adepti. Giovani appena nati al-l’epoca della sua morte, che forse non avevano maisentito parlare di eurocomunismo, e che erano cre-sciuti sotto Berlusconi, pieni di rabbia e umiliazionenei confronti di un regime corrotto e sprezzante, ani-mavano blog in memoria dell’uomo austero che avevaposto la questione morale 2 al centro della battaglia poli-tica. La visione del film si rivelò un crudele esercizio.Non perché si assistesse in diretta alla morte di Berlin-guer, colpito il 9 giugno 1984 da un’emorragia cere-brale sulla tribuna di un comizio elettorale a Padova.Non per l’emozione suscitata dalle immagini dellamarea umana che invase le strade di Roma per dargliun ultimo addio, in un affascinante misto di pugni al-zati e segni della croce. E neppure per la raccolta didiscorsi, dichiarazioni, interviste del dirigente politicoche aveva impiegato tutto il suo tempo a smussare leasperità. Ma per una breve sequenza – non più di unminuto – girata il giorno delle esequie sul balcone delpalazzo di via delle Botteghe Oscure, mentre giù perla strada sfilava il lungo corteo dei romani in lutto. Visi vedeva un russo, allora sconosciuto ai più, rendereomaggio alla libertà di pensiero del comunismo che

Prefazione

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2 La “questione morale”, critica della corruzione e della trasforma-zione dei partiti in semplici apparati di potere. Cfr. l’intervista di EnricoBerlinguer a «la Repubblica» del 28 luglio 1981: «La questione moraleesiste da tempo, ma ormai essa è diventata la questione politica primaed essenziale perché dalla sua soluzione dipende la ripresa di fiducianelle istituzioni, la effettiva governabilità del paese e la tenuta del regi-me democratico».

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aveva rotto col modello sovietico. Era Mikhail Gorba-ciov. Non era altro che il membro più giovane del Po-litburo sovietico. In quell’occasione, effettuava la suaprima uscita pubblica in Occidente e, per chi avessevoluto ascoltarlo, iniziava dal balcone della sede delPCI il suo cammino di riformatore mondiale3. Ventunanni dopo, Gorbaciov sarebbe tornato nell’oblio, Vla-dimir Putin avrebbe regnato sull’impero russo, la sini-stra europea non avrebbe saputo più dove stava dicasa, e Silvio Berlusconi avrebbe guidato per la secon-da volta l’Italia.

Da via delle Botteghe Oscure, si sbocca ai piedi delCampidoglio, occupato dal municipio di Roma. Da lì,in meno di cinque minuti si può raggiungere uno deiquattro luoghi del potere politico: il Quirinale, resi-denza del presidente della Repubblica; palazzo Chigi,residenza ufficiale del capo del governo; Montecitorio,sede della Camera dei deputati, e palazzo Madama, se-de del Senato. Sull’altra sponda del fiume, Oltretevere,ha luogo l’altro polo del potere. Dal 1870, il vescovo diRoma non ha più, in linea teorica, che un potere spiri-tuale, ma avrei ben presto appreso come quindici seco-li di dominio temporale assoluto non si cancellinotanto facilmente.

«Qui – mi ha detto un politico durante il nostro pri-mo incontro – non si può governare contro la Chiesa».Un altro mi parlò di poteri forti. «Vada in una libreriaqualunque – affermò – e guardi quanti libri sono dedi-cati ai poteri forti che in Italia governano sottobanco: la

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3 Ansaldo Giannarelli, Berlinguer, la sua stagione, Roma, Valter Casini Edi-tore, 2005.

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finanza, le mafie, i servizi segreti, il Vaticano. In tuttaquella letteratura c’è molta esagerazione. Noi italianiadoriamo la dietrologia. Ma c’è anche del vero. Il Vatica-no, proprio come gli altri poteri forti, prospera sulle de-bolezze della democrazia. Quando lo Stato cerca diricoprire il ruolo che gli è proprio, quando la politicaintende occupare il posto che le spetta, sanno come di-fendersi. E mi creda, per quanto riguarda il Vaticano, hai mezzi per farlo».

Ero arrivata a Roma poche settimane prima dellamorte di Giovanni Paolo II. Nessuno sapeva ancora inche modo, ma si sentiva che la scomparsa di papa Ka-rol Wojtyla avrebbe segnato la fine di un’epoca. Nellevicinanze del Vaticano, si avvertiva allora odore dicomplotto di fronte alla grande vertigine dell’ignoto.Le sue esequie oceaniche, degne di un imperatore ro-mano, con la pazzia di quella folla accorsa da ogni do-ve per piangere sulle spoglie esposte ai flash dimigliaia di macchine fotografiche, e l’incredibile par-tecipazione di re e regine, presidenti, ambasciatori edignitari religiosi, terrorizzarono i vecchi cardinali in-caricati di trovare un successore. Il grande sogno diconversione universale costruito sulle rovine dell’uto-pia rivoluzionaria, accarezzato dal papa polacco, svani-va in una grande festa funebre attraversata da lucipagane. Per salvare la Chiesa, la sua istituzione, perpreservarla dalla diluizione verso cui l’aveva trascinataWojtyla, era necessario ristabilire l’ordine. Si compresesubito, fin dalle prime parole del nuovo pontefice, cheneanche il futuro della Chiesa sarebbe stato più quellodi una volta. «Dopo il grande papa Giovanni Paolo II, isignori cardinali hanno eletto me, un semplice e umi-

Prefazione

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le lavoratore nella vigna del Signore…»4. In politica,questa si chiama ridefinizione della linea di un partito.

Joseph Ratzinger, conformemente alla tradizionebiblica, aveva utilizzato la metafora vinicola. Gli italia-ni sono soliti definire il loro paese il “giardino del Pa-pa”. Dove le erbacce, le piante selvatiche che possonocrescere altrove non sono tollerate. E il giardiniere,puntiglioso direttore dei lavori di una “nuova evange-lizzazione” in un mondo abbandonato all’apostasia,spera di trapiantare fuori dalle sue mura i fiori che vicoltiva. Nel corso di quattro anni, vaticanista perl’agenzia France-Presse, sono stata testimone dei lavoriorticoli del papa tedesco. L’ho visto impegnarsi a dise-gnare un giardino tracciato a regola d’arte, guidatodal progetto, a metà fra Truman Show e 1984, di unmondo in cui la libertà si trovi nell’obbedienza el’amore nell’astinenza, in cui la solidarietà si riduca al-la carità, in cui il dialogo soffochi nella convinzioneincrollabile di detenere la sola Verità, in cui la sana lai-cità si ordini nella subordinazione del politico ai valori“non negoziabili” del cattolicesimo romano, e in cuil’universalità si mostri sulle cotte di merletto ereditatedalla messa tridentina.

Nel frattempo, Silvio Berlusconi, tornato al governoper la terza volta dopo una breve parentesi, si dava da

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4 Primo saluto di papa Benedetto XVI, pronunciato il giorno dellasua elezione dalla loggia delle benedizioni della Basilica vaticana, il 19aprile 2005. Il testo ufficiale integrale, così come tutti i discorsi, le ome-lie, le lettere, le encicliche e i documenti firmati dal Papa, sono consul-tabili sul sito internet del Vaticano, http://www.vatican.va, nella sezione“Benedetto XVI”.

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fare per indebolire ancora di più le istituzioni demo-cratiche: la giustizia, i media, il presidente della Re-pubblica, i partiti. La cosa più sconcertante, per meche mi occupavo allo stesso tempo di cronaca della po-litica italiana e di attualità vaticana, fu constatarequanto spesso queste s’intrecciassero. Chi, tra Berlu-sconi e Ratzinger, aveva più bisogno dell’altro? Certa-mente Berlusconi, detentore di un potere effimero,soggetto alle incognite elettorali, mentre quello del ve-scovo di Roma, alla testa del suo piccolo Stato teocrati-co e totalitario, non dipendeva né dal verdetto delleurne, né dall’opinione pubblica, e poteva farsi forte didue millenni di storia. Ma nella sua opera di restaura-zione, il vicario di Cristo preferiva un politico cinico,pronto a concedergli tutto in cambio di appoggio, unaffarista che dalla religione si aspettava che facesse daideologia al suo regime ingiusto e privo di morale, auna democrazia sociale cattolica gelosa delle proprieprerogative. Lo si vide bene durante la breve parentesidi governo di Romano Prodi5.

Strana alleanza, quella tra il miliardario antipolitico eil papa da controriforma. Una storia tipicamente italia-na? Un dramma – uno di più – dell’Italietta, di quel pae-se schiacciato da un passato troppo grande per lui? Èquanto ho pensato all’inizio. Ma nel novembre 2007,Umberto Eco, in un’intervista al «New York Times», haricordato quanto fosse imprudente sottovalutare l’Italia:«Durante lo scorso secolo, l’Italia è stata un laboratorio.A incominciare dai futuristi, che hanno lanciato il loro

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5 Dal 17 maggio 2006 all’8 maggio 2008.

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manifesto nel 1909, per passare al fascismo, sperimenta-to nel laboratorio italiano e migrato poi in Spagna, neiBalcani e in Germania»6. E oggi, proseguiva, il populi-smo mediatico di Berlusconi «è un fenomeno che po-trebbe accadere, e forse è già in atto in altri paesi»7. Unmese dopo, Nicolas Sarkozy, neopresidente della Repub-blica francese, autore di un libro sulla politica e la reli-gione8, e zelota di un’identità nazionale fantasticata,riesumava il mito polveroso della figlia maggiore dellaChiesa per giurare fedeltà, in nome di tutti i francesi, alvescovo di Roma; e, in un discorso allucinante, esprime-va il pentimento della Francia per avere sconfitto il pote-re clericale9.

Un passo falso? Un capriccio come un altro, subito di-menticato dal presidente bling bling 10? Ma no, accomunatoa Silvio Berlusconi dal culto cinico del denaro e dal po-pulismo nutrito dai temi dell’estrema destra, come luiNicolas Sarkozy utilizza la religione come un mezzo: do-po aver voluto strumentalizzare l’islam nella speranza didomare le banlieues, si volge ora al Vaticano perché que-

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6 Umberto Eco, intervista al «New York Times» di Deborah Solomondel 25 novembre 2007 [comparsa su «la Repubblica», 25 novembre 2007,traduzione di Elisabetta Horvat, N.d.T].

7 Ibid.8 Nicolas Sarkozy, La Repubblica, le religioni, la speranza, Edizioni Nuove

Idee, Roma, 2005 (originale francese: La République, les Religions, l’Espérance,Paris, Cerf, 2004).

9 Nicolas Sarkozy, discorso nella stanza della Segnatura della basilica diSan Giovanni in Laterano, 20 dicembre 2007, disponibile in originale sul si-to della presidenza della Repubblica francese, http://www.elysee.fr [in tra-duzione italiana su «Avvenire» del 21 dicembre 2007, N.d.T].

10 Espressione utilizzata dai critici del presidente Nicolas Sarkozy, perfustigare l’ostentazione della ricchezza, N.d.T.

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sto gli assicuri quel “supplemento d’anima” che mancaal suo progetto politico. E quando, nel settembre 2010,la caccia ai Rom, lanciata dal suo governo per spregevolicalcoli elettorali, gli valse un rimprovero ovattato da par-te del Papa e una solenne bastonatura dalle autorità eu-ropee, entrò in guerra con queste ultime, ma chieseudienza a Ratzinger.

Gli argomenti non erano abbastanza forti. Anche sedi certo non convinto, il Papa acconsentì comunque11.La reintegrazione nello spazio politico francese dellaChiesa cattolica, apostolica e romana, in tal modo inve-stita quale legittima rappresentante dell’umanità soffe-rente, non poteva che rallegrarlo. Perché, se uno Statoriconosce di doverle rendere conto sulla propria politicad’immigrazione, come potrà ignorare le sue ingiunzionisu argomenti diversamente più strategici agli occhidell’ospite del Vaticano, sui valori non negoziabili attribui-ti alla sessualità dell’uomo e alla vita, questa vita chenon ci appartiene ma che appartiene a Dio, dal concepi-mento alla morte naturale 12?

Negli Stati Uniti, i vescovi cattolici, organizzatisi inlobby pro-life, lavorano metodicamente a scalzare l’azio-ne di Barack Obama a favore delle minoranze sessualie del diritto delle donne a disporre del proprio corpo,con il rischio, totalmente assunto, d’indebolire il presi-dente democratico. In Africa, in America Latina, alle

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11 Udienza accordata l’8 ottobre 2010.12 Espressione ricorrente nei discorsi del Papa, che comporta un’impli-

cita condanna della contraccezione, dell’aborto, della procreazione assisti-ta, delle manipolazioni genetiche, del diritto a morire con dignità.

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Nazioni Unite, in tutte le istanze in cui la Santa Sedeha propri rappresentanti, gli ambasciatori del Papadifendono la linea intransigente del loro capo sullequestioni etiche 13 al costo di alleanze con i peggiori ditta-tori. Un giorno, un membro della delegazione dellaSanta Sede alla conferenza dell’ONU sulle donne a Pe-chino14 mi ha raccontato con orgoglio di avervi ricevu-to le congratulazioni di un rappresentante… delladittatura birmana15. E l’Europa in crisi d’identità ridi-venta terra di conquista per la Chiesa: nell’autunno del2010, in occasione di una riunione del Consiglio delleConferenze Episcopali d’Europa a Zagabria, un mes-saggio del Papa ha fissato le priorità della “nuova evan-gelizzazione”, «promozione della famiglia e difesa dellavita umana», mentre il Vaticano annunciava la creazio-ne di un «osservatorio contro l’intolleranza e la discri-minazione dei cristiani in Europa»16.

Si tratta di cose almeno in parte risapute. I viaggi

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13 Espressione riservata, nella lingua del Vaticano, alle questioni legatealla bioetica e alla sessualità.

14 Nel settembre 1995.15 Il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio

Consiglio della Giustizia e della Pace, si è congratulato per il «contribu-to decisivo della Santa Sede, frutto di dure battaglie», alle conferenzedel Cairo (1994) e di Pechino (1995), «affinché fosse riconosciuto il di-ritto alla vita fin dal concepimento, e affermata la dignità della donnaquale persona». A Pechino, «col sostegno di un ristretto gruppo di paesi[non citati da Martino, N.d.A.], la Santa Sede ha potuto scongiurare,una volta di più, la proclamazione dell’aborto quale “diritto umano”».Estratto del discorso Gli obiettivi della Santa Sede: persona umana, giustiziae pace, pronunciato il 7 maggio 2007 alla Pontificia Università Grego-riana. Consultabile sul sito internet dell’agenzia cattolica Zenit,http://www.zenit.org

16 «L’Osservatore Romano», 1 ottobre 2010.

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all’estero del capo della Chiesa cattolica, ricevuto co-me un grande di questo mondo, e con una coperturamediatica spesso sproporzionata rispetto all’interessecortese ma piuttosto moderato manifestato dai cittadi-ni locali, hanno divulgato tali temi. Al contrario, i “la-vori di laboratorio” del Papa in Italia, nel paeserimasto sotto la sua influenza, l’effetto che egli inten-de esercitare su una società pure secolarizzata, le con-seguenze sulla quotidianità degli italiani, sulla vitaintellettuale, sulla politica, sono largamente ignoratial di là delle Alpi.

Questa realtà mi ha affascinato. La mia scoperta diRoma era accompagnata, all’epoca, dalla lettura dellecronache di Stendhal. Leggevo il suo racconto del-l’agonia di papa Leone XII mentre Giovanni Paolo IIera sul letto di morte.

Lo stesso pubblico, in cui si mescolavano prelati in-fluenti, discendenti di antichi casati, politici arrivisti ecorrotti, giornalisti e gente del popolo pronti a com-muoversi o a deridere, si agitava nelle piazze, nei salo-ni e fin sotto le finestre della camera del moribondo.In seguito, lo scrittore mi ha accompagnato con il suospirito caustico durante le apparizioni pubbliche delnuovo papa tedesco, a piazza San Pietro, durante lesue visite in provincia, nei suoi incontri ufficiali con irappresentanti del potere civile. Altri episodi, altri fat-ti avrebbero senza dubbio solleticato la verve del cro-nista, se fosse vissuto ai giorni nostri: la caduta di ungoverno troppo indipendente dal Papa, un nuovo ca-pitolo nel caso Galileo che tutti credevano definitiva-mente chiuso, il piccolo schermo messo al serviziodella Chiesa, i torbidi rapporti tra quest’ultima e la

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mafia, il denaro degli italiani sottratto a vantaggio del-le casse della Santa Sede…

Quando ho cominciato a prendere appunti a margi-ne del mio lavoro, cercando di mettere per iscritto quel-lo che non trova posto in un dispaccio fattuale, ma checostituisce cionondimeno la sostanza della realtà, lo stiledelle cronache mi si è ben presto imposto. La cronacaconsente una diversità di approcci. Non vieta, anzi, alcontrario richiede soggettività e leggerezza. Con essa, misono liberata dell’atmosfera compassata e ossequiosarespirata nelle vicinanze dei sacri palazzi. Ho preso ladecisione di raccontare il teatro di un potere che è con-siderato uno dei più segreti al mondo, ma che va in sce-na ogni giorno sotto lo sguardo ipnotizzato dei media.Quale contrappunto, ho conservato alcuni aneddoti ri-velatori della realtà di quel potere, che non si avvale sol-tanto di parole. Non c’è stato bisogno di inventarenulla. La realtà supera spesso l’immaginazione. E ho da-to libero sfogo alla mia empatia per quella frangia delpopolo italiano inventiva, libera, arrabbiata, ostinata,che resiste al dominio delle potenze alleate del denaro edell’altare sul paese.

Nella primavera del 2009, quando il mio soggiorno aRoma volgeva al termine, mi venne l’idea di ripercorre-re, seguendo il ritmo di una passeggiata, i tragitti cheavevano costituito la mia quotidianità; di fotografare iluoghi che mi avevano accompagnato in quei quattroanni.

Il tempo particolarmente piovoso dei mesi appenatrascorsi, un viaggio in Africa nei furgoni del Papa miavevano tenuta lontana per qualche settimana dalla traver-sata pedonale del Tevere su ponte Vittorio Emanuele II.

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Quando ci sono tornata per cercare la scritta che ave-va alimentato la mia fantasia, essa era scomparsa. Qual-cuno dello staff del nuovo sindaco postfascista17 l’avevafatta ripulire, cancellando anche la traccia del ricordodelle utopie passate.

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17 Alle elezioni municipali dell’aprile 2008, Gianni Alemanno – ex ade-rente del Movimento Sociale Italiano (MSI, neofascista), passato al partitodi destra postfascista Alleanza Nazionale (AN) di Gianfranco Fini – hastrappato la guida di Roma alla sinistra che amministrava la città da quindi-ci anni.

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