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Bioterrorismo: come prepararsi e quali contromisure...

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Bioterrorismo: come prepararsi e quali contromisure intraprendere ISSN 0394-9303 Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale articolo 2 comma 20/c legge 662/96 - Roma Volume 15 - Numero 6 SPECIALE Inserto BEN: Nuovi antinfiammatori in medicina generale Prevalenza di cesarei e tipo di struttura di parto in Campania
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Nuovi antinfiammatori in medicina generale

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di parto in Campania

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Quanto era già a conoscenza degli esperti delsettore e, soprattutto, gli eventi seguiti al tragicoattentato alle Twin Towers dell’11 settembre scor-so hanno dimostrato che attacchi bioterroristicipossono, non solo causare morte e diffondere ma-lattie altamente contagiose, ma mettere in crisil’apparato dei servizi sanitari e della sicurezza so-ciale, gettando nel panico intere nazioni. L’im-patto degli attacchi bioterroristici, con o senzatecnologia avanzata, è tale da obbligare i gover-ni e le autorità sanitarie a fornirsi dei migliori e piùadeguati strumenti preventivi e di controllo e apreparare piani dettagliati di risposta.

Tali piani includono una trasparente e ade-guata informazione sugli agenti, le malattie, i ri-schi e le risposte, un corretto training degli ope-ratori sanitari coinvolti e, in particolare, la forma-zione di specialisti della risposta, persone prepa-rate, anche a livello psicologico ed emotivo, aeventi che possono minare anche i comporta-menti più corretti e mettere in crisi sicurezze, co-noscenze, stili di vita.

In quest’ottica è precipuo compito della no-stra Istituzione mettere al servizio del Paese le mi-gliori conoscenze scientifiche e le più adeguatetecnologie per identificare le minacce biologiche,controbatterle limitandone l’impatto sanitario, ri-cercare gli strumenti di diagnosi, terapia e pre-venzione capaci di migliorare sempre più la capa-cità di una risposta efficace a un eventuale attac-co bioterroristico. Questo numero del Notiziariorappresenta la sintesi di un Corso di formazionespecificamente diretto ai microbiologi laboratori-sti e agli operatori di sanità pubblica, che si terràin Istituto il 24 giugno 2002. Le lezioni e le dimo-strazioni sono state tenute non da esperti “gene-rici”, ma direttamente da chi è stato chiamato dalnostro Ministro a prendere decisioni e approntareun piano che comprendesse tutti i parametri criti-ci della preparazione e della risposta, con pro-spettive d’intervento immediato (vedi la minacciadi attacco con Bacillus anthracis), ma anche con unserio sforzo di preparazione a ogni possibile futu-ro scenario. Il mio ringraziamento agli organizza-tori del Corso e a tutti i docenti che hanno voluto

impegnarsi così proficuamente nella realizzazio-ne di questo scientificamente valido e utile

fascicolo del nostro Notiziario.

Il laboratorio microbiologicoper la lotta al terrorismo.Quali aspettative? . . . . . . . . . . 3

Applicazioni di biologia molecolare nella diagnostica di Bacillus anthracise altri batteri . . . . . . . . . . . . . . 4

Yersinia pestis . . . . . . . . . . . . . 8

Francisella tularensis . . . . . . 10

Diagnosi di infezioni sostenute da agenti virali di classe A: vaiolo e virus delle febbri emorragiche . . . 12

BENNuovi antinfiammatoriin medicina generale . . . . . . . . iPrevalenza di cesarei e tipo di struttura di parto in Campania . . . . . . . iii

Bioterrorismo: come prepararsi e quali contromisure intraprendere

ISSN 0394-9303Post

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Volume 15 - Numero 6

SPECIALE

Inserto BEN:

Nuovi antinfiammatori in medicina generale

Prevalenza di cesarei e tipo di struttura

di parto in Campania

Direttore responsabile e responsabile scientifico: Enrico GaraciVice Direttore: Franco PiccinnoRedattore capo: Paola De Castro

Redazione: Carla Faralli, Lorenza Scotti, Alessandro SpurioProgetto grafico: Eugenio MorassiGrafica: Massimo Delle Femmine

Fotografia: Luigi Nicoletti, Antonio SestaComposizione e distribuzione: Giovanna Morini, Patrizia Mochi

Versione online (www.iss.it/notiziario): Simona Deodati, Marco Ferrari

Istituto Superiore di SanitàPresidente: Enrico Garaci - Direttore generale: Romano R. Di Giacomo

Viale Regina Elena, 299 - 00161 RomaTel. 0649901 - Fax 0649387118

e-Mail: [email protected] - Sito Web: www.iss.itTelex 610071 ISTSAN I - Telegr. ISTISAN - 00161 Roma

Iscritto al n. 475/88 del 16 settembre 1988. Registro Stampa Tribunale di Roma© Istituto Superiore di Sanità 2002

Numero chiuso in redazione il 24 maggio 2002Stampa: Chicca - Tivoli

Editoriale

Febbri emorragiche causate da Arenavirus . . . . . 15

Uso bellico e terroristico della tossina botulinica . . . . 17

Antrace: esperienza del Centrodi Riferimento Nazionale . . . 19

Il rischio del bioterrorismo nelle produzioni animali . . . 21

Emergenza antrace e sicurezza in laboratorio . . . 23

Il ruolo della Sanità Militare e degli organismiinternazionali nella lotta al bioterrorismo . . . . . . . . . 26

Corso “Editoria scientifica: produzione e organizzazione di contenuti informativi su supporti tradizionali e in Internet” . . . . . . . . . . . . 28

Enrico Garaci

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li attacchi bioterroristi-ci sono un particolarebanco di prova per illaboratorio microbio-

logico (1). Contrariamente aquanto si possa pensare, le mag-giori difficoltà e gli specifici sco-gli da superare non sono costitui-ti né dalla necessità di eseguireuna rapida diagnosi di un agentepotenzialmente nuovo e scono-sciuto (in quanto questo è o do-vrebbe essere “il mestiere routi-nario” del microbiologo di sanitàpubblica), né dalle difficoltà, puresistenti, nel sampling dei mate-riali sospetti e nel loro trattamen-to. Per di più, gli avanzamentitecnologici nella tipizzazione mo-lecolare e nella diagnostica personde e per sequenze rendonopossibile anche una rapida iden-tificazione della sorgente dell’at-tacco. La vera difficoltà, special-mente per il nostro Paese, è nellapreparazione di un’efficiente eflessibile rete infrastrutturale checolleghi le competenze microbio-logiche locali a quelle regionali ecentrali, i laboratori di 1° livello aquelli di riferimento, il clinico almicrobiologo clinico e al micro-biologo“arbitro” dei centri di ri-ferimento e standardizzazionediagnostica, tipizzazione micro-biologica e sorveglianza delle re-sistenze farmacologiche. I Cen-ters for Disease Control and Pre-vention (CDC) degli Stati Unitichiamano questa rete a multilevellaboratory response, un networkche collega laboratori, centri cli-nici, ospedali fra di loro e con lestrutture di ricerca pubbliche e

private, in un’interconnessionereale e funzionale (2). È chiaroche l’evento nuovo e insolito chedeve essere velocemente indivi-duato per una rapida e, si spera,efficace reazione non avverrà neicorridoi dei laboratori di riferi-mento dove i referee microbiologipasseggiano parlando di sequen-ze, real-time PCR (PolymeraseChain Reaction) e microarraydiagnostici; tale evento potrebbeavvenire in uno sperduto paese diprovincia, dove un medico di fa-miglia avveduto chiederà aiuto allaboratorista del piccolo ospedaleper fare una diagnosi di un’im-provvisa febbre associata o menoa una rapida insorgenza di unagrave sepsi, non spiegabile o nonattribuibile alle patologie più co-munemente osservate (antrace?tularemia?) o di un rash, o di unapapula cutanea “strana” per lanormale routine clinica (vaiolo?),o di una paralisi flaccida ambola-terale discendente (botulismo?).C’è una piccola window of oppor-tunity da quando ci si accorge diqualcosa di nuovo a quando il fe-nomeno acquisterà proporzionievidentemente epidemiche. Solosfruttando al meglio questa pic-cola finestra si potranno limitare,non annullare, i danni. Per que-sto, è assolutamente necessarioche il medico sia accorto e prepa-rato e il microbiologo rapido nel-l’agire e nell’utilizzare il networkmicrobiologico che potrà garan-

tire l’efficienza nell’identificazio-ne del patogeno, della sua sor-gente, delle sue caratteristiche ge-netiche, con particolare riguardoai fattori di resistenza farmacolo-gica. È specifico compito dei mi-crobiologi di sanità pubblica, a li-vello italiano, europeo e mondia-le, costituire, implementare, va-lutare e controllare la qualità el’efficienza nel tempo della multi-level laboratory response, la mi-gliore risposta possibile all’attaccobioterroristico, provvedendo aquella che di fatto è la base perogni tipo di preparazione e rispo-sta, cioè l’identificazione della na-tura (patogeno), della qualità(ceppo e sorgente) e della specifi-cità (resistotipo) della minacciabioterroristica.

Ringraziamenti

Gli autori e, in particolare, ilResponsabile scientifico del Corso cuiquesto numero del Notiziario si ispira,Antonio Cassone, sono grati a tutti icomponenti e collaboratori dellaSegreteria del Laboratorio diBatteriologia e Micologia Medica per illavoro svolto. Un ringraziamento parti-colare ad Anna Maria Marella eGiuseppina Mandarino per l'eccellenteattività segretariale.

Riferimenti bibliografici

1. Cassone A, Luzzi I, Pantosti A, et al.Not Ist Super Sanità 2001; 14(11):11-5.

2. MMWR 2001; 50(45): 1008-10.

Il laboratorio microbiologico per la lotta al terrorismo.

Quali aspettative?

Antonio Cassone

Laboratorio di Batteriologia e Micologia Medica, ISS

Antonio Cassone

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ella diagnostica micro-biologica l’identificazio-ne definitiva di isolatibatterici avviene general-

mente tramite l’esecuzione di testdi caratterizzazione biochimicao antigenica cherichiedono la cre-scita e la manipo-lazione di sospen-sioni batteriche.Come è intuibile,nel caso di agentialtamente patoge-ni, quest’approc-cio diagnosticopuò creare proble-mi di sicurezza per gli opera-tori e per l’ambiente nel qua-le essi operano. Un approccio basatosu tecniche di biologia molecolare co-stituisce in questo caso una validissi-ma alternativa, sia perché le analisipossono essere effettuate su campio-ni inattivati o direttamente su DNAestratto, sia perché i risultati portanoall’identificazione certa del micror-ganismo responsabile. Sono di segui-to riportate alcune metodiche mole-colari messe a punto per l’identifica-zione di Bacillus anthracis, Yersiniapestis e Francisella tularensis, utili perla conferma definitiva di stipiti bat-terici eventualmente isolati dai labo-ratori di microbiologia di 1° livello.

PROCEDUREDI IDENTIFICAZIONEMOLECOLARE

Estrazione e purificazione del DNA da colonia batterica

Per motivi di sicurezza degli ope-ratori, tutte le procedure tecniche diestrazione e purificazione del DNA

batterico devono essere eseguite inun laboratorio di biosicurezza P3,sotto una cappa biologica Biohazard.Il DNA viene estratto direttamente

da patina batterica cresciuta suuna piastra di agar sangue a 37

°C, mediantel’impiego di kitcommerciali. So-no stati sviluppatiprotocolli diestrazione diversiper F. tularensis, Y.pestis e B. an-thracis. Infatti, lecellule di B. an-thracis necessita-

no di un pretrattamento conlisostafina, per la digestione del-

la spessa parete batterica.

PCR identificativa per B. anthracis

La ricerca di metodi mo-lecolari rapidi at-ti all’individua-zione della pre-senza di tracce diB. anthracis si èconcentrata prin-cipalmente sudue tipi di bersa-glio molecolare: ilgene della sub-unità b dell’RNApolimerasi, localizzato sulcromosoma del batterio, e igeni di virulenza localizzati sui due

plasmidi pXO1 e pXO2 presentinei ceppi virulenti del batterio. Peril riconoscimento del plasmidepXO1 sono stati descritti oligonu-cleotidi specifici per uno dei com-ponenti della tossina (gene pag), delfattore edematoso (gene cya) o delfattore letale (gene lef ), mentre lapresenza del plasmide pXO2 vienericercata mediante una coppia dioligonucleotidi disegnati su uno deigeni che codificano per le proteinedella capsula del batterio (geni capB, C, A) (1).

Le tecniche di rilevazione di B.anthracis, basate sull’amplificazioneper PCR dei geni rpoB, cap e pag(2, 3), sono state riprodotte dalgruppo di studio per il bioterrori-smo del Laboratorio di Batteriolo-gia e Micologia Medica dell’Istitu-to Superiore di Sanità (ISS).

La Figura 1a mostra il ri-sultato delle PCR sul gene

rpoB condottesui DNA di B.anthracis (corsia2), Bacillus cereus(corsia 3), Bacil-lus subtilis (corsia4), Escherichiacoli (corsia 5) esu DNA estrattoda cellule umane(corsia 6). Sebbe-

ne il gene della subunità b del-l’RNA polimerasi mostri un li-

vello di omologia superiore al 98%

Applicazioni di biologia molecolarenella diagnostica

di Bacillus anthracis e altri batteri

Alessandra Carattoli1, Alessandra Ciervo1,Gianni Pozzi2 e Marco Oggioni2

1Laboratorio di Batteriologia e Micologia Medica, ISS2 Dipartimento di Biologia Molecolare, Laboratorio di Microbiologia Molecolare

e Biotecnologia, Università degli Studi di Siena, Siena

Sono state messe a punto metodiche

molecolariper l’identificazione di batteri altamente

patogeni

Le metodichemolecolari

per l’individuazione di Bacillus anthracisprevedono rapidità

nell’esecuzione del test

Il laboratorio diagnostico

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per i ceppi di specie diverse appar-tenenti al genere Bacillus, questacoppia di primer, in determinatecondizioni, riesce a riconoscere spe-cificatamente solo il gene di B.anthracis e non amplifica quello de-gli altri bacilli, né quello di altribatteri o dell’uomo. Questa tecni-ca si è dimostrata alquanto diffici-le da applicare in quanto necessitadi condizioni di PCR particolari,quali l’aggiunta della Taq polime-rasi dopo un lungo ciclo di riscal-damento (hot start). In altre condi-zioni sono state osservate reazionidi positività con il B. cereus e perquesto motivo la metodologia puòessere considerata poco affidabile edeve essere affiancata da ulterioriprove molecolari di conferma co-me le PCR condotte per i geni cape pag mostrate in Figura 1b. Que-sta Figura mostra il risultato dellePCR sul DNA estratto di B. anth-racis (corsie 2 e 5, rispettivamente)e su spore non trattate di B. anth-racis Carbosap (corsie 3 e 6, rispet-tivamente). Il ceppo B. anthracisCarbosap è un vaccino vivo atte-

nuato prodotto per uso veterinario,che possiede entrambi i plasmidi divirulenza del ceppo patogeno (4).

I prodotti di PCR osservati sonodel peso molecolare di 572-bp per ilgene cap e di 210-bp per il gene page risultano essere specifici per l’indi-viduazione dei due plasmidi pXO1e pXO2 di B. anthracis.

Identificazione di B. anthracismediante un saggio di real-time PCR

La necessità di individuaremetodi identifi-cativi di altissimaspecificità e sen-sibilità è di pri-maria importan-za nel caso di usodeliberato a sco-po bioterroristicodi spore di B.anthracis. Tra letecniche disponi-bili la più inno-vativa è senz’altro quella ba-sata sulla tecnologia FRET(Fluorescence Resonance Energy

Transfer) applicata alla PCR intempo reale (real-time PCR). Que-sta tecnica permette di amplificareun frammento di DNA e contem-poraneamente di ibridarlo con son-de specifiche, analizzando la cineti-ca di dissociazione dell’ibrido infunzione della temperatura. La pro-cedura consiste nell’utilizzazione didue sonde oligonucleotidiche chemappano sullo stesso frammento diPCR a distanza di pochi nucleoti-di l’una dall’altra: una sonda vienemarcata con una fluoresceina al 3’che emette a lunghezza d’onda di520 nm, mentre l’altra è marcata al5’ con un fluorocromo che emettenel rosso a 640 nm (LC Red 640).Il tracciante LC Red 640 emette lafluorescenza solo se eccitato dall’e-missione della fluoresceina. La spe-cificità dell’ibridazione è garantitadal fatto che l’emissione di fluore-scenza rossa avviene solo quandoentrambe le sonde ibridano sullostesso frammento di DNA amplifi-cato. Se il frammento amplificatoha una sequenza nucleotidica conuna o più mutazioni puntiformi ri-spetto a quella della sonda, la tem-peratura di dissociazione (Tm) del-l’ibrido sarà più bassa che nel casodi sequenze perfettamente identi-che. Si possono ottenere delle cur-ve di dissociazione dell’ibrido mo-nitorando la fluorescenza in fun-zione della temperatura.

Questa tecnica è stata applicataal riconoscimento di B. an-thracis utilizzando due sonde

in grado di rico-noscere il generpoB di B. an-thracis da quellodi qualunque al-tro batterio, an-che da quello diB. cereus, con al-tissima specificitàe ridotti tempi dilavoro. Come sipuò vedere dalla

Figura 2, con la tecnica de-scritta si ottengono due curve di

dissociazione delle sonde assoluta-

Figura 1 - Identificazione di Bacillus anthracis mediante amplificazione digeni specifici

Una tecnica innovativaper l’identificazione

di Bacillus anthracis èbasata sulla tecnologia

FRET (FluorescenceResonance Energy

Transfer)

a b

rpoB cap pag

M 1 2 3 4 5 6 M 1 2 3 4 5 6

rpoB

-cappag

1. Controllo neg. reagenti2. Bacillus anthracis3. Bacillus cereus4. Bacillus subtilis5. Escherichia coli6. DNA umano

1. Controllo neg. reagenti2. Bacillus anthracis3. Bacillus anthracis spore4. Controllo neg. reagenti5. Bacillus anthracis6. Bacillus anthracis spore

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mente diverse per il B. cereus (Tm

54 °C) e per il B. anthracis (Tm

57,6 °C). La stessa curva di disso-ciazione si ottiene sia per il B. an-thracis patogeno che per il ceppovaccinale Carbosap. Non si ottienealcun segnale di ibridazione sulDNA di altri batteri o sul DNAumano a indicare l’altissima speci-ficità di questa tecnica (5).

PCR identificativaper Y. pestis

Y. pestis è l’agente infettivo checausa la peste bubbonica, una ma-lattia fortunatamente molto rara nelmondo e per questo motivo scarsa-mente studiata a livello molecolare.Y. pestis è tuttavia considerato unodei più probabili agenti infettivi uti-lizzabili come arma batteriologica ascopi bioterroristici e recentementesono state studiate nuove procedu-re di identificazione rapida al fine disupportare in tempo reale un’even-tuale conferma diagnostica.

Y. pestis mostra un 90% diomologia di sequenza a livello delDNA cromosomale con Y. pseudo-tubercolosis, un batterio largamen-te diffuso nell’ambiente. Questo si-gnifica che le metodologie mole-colari applicabili all’identificazionedefinitiva di Y. pestis devono essere

in grado di riconoscere specifica-mente queste due specie. Recente-mente uno studio condotto negliUSA (6), basato sulla tecnica del-l’ibridazione sottrattiva, ha per-messo di individuare delle regioniuniche nel genoma di Y. pestis sul-

le quali è stato possibile disegnareoligonucleotidi specifici da utiliz-zare per PCR tali da permettere didistinguere Y. pestis da Y. pseudotu-bercolosis. La Figura 3a mostra il ri-sultato delle PCR condotte suiDNA di Y. pestis (corsia 2), Y. en-terocolitica (corsia 3) e Y. pseudotu-bercolosis (corsia 4). Il prodotto diPCR presenta il peso molecolare di276 bp ed è risultato essere specie-specifico perché permette di di-stinguere Y. pestis dalle altre yersi-nie. Inoltre, gli oligonucleotidi uti-lizzati non hanno mostrano nessu-na reattività crociata con DNAestratto da altri batteri, da agentivirali o da cellule eucariotiche,comprese quelle umane.

PCR identificativa per F. tularensis

F. tularensis è un coccobacilloestremamente virulento che causala tularemia e di cui sono noti piùbiovar.

L’amplificazione genica perPCR è stata messa a punto per F.tularensis quale metodo molecola-

Figura 3 - Identificazione di Yersinia pestis e Francisella tularensis medianteamplificazione di geni specifici

Flu

ore

scen

za-d

(F2/

F1)/

dT

NegativoDNA B. anthracis

DNA umanoDNA B. circulansVaccino B. anhracis

DNA B. subtilisDNA E. coli

DNA B. cereus

-0,012

-0,004

0,004

0,012

0,020

Temperatura (�C)46,0 54,0 62,0 70,0 78,0

Figura 2 - Rilevazione di Bacillus anthracis mediante real-time PCR

a bYersinia Francisella tularensis

M 1 2 3 4 M 1 2 3 4

1. Controllo neg. reagenti2. Y. pestis3. Y. enterocolitica4. Y. pseudotubercolosis

1. Controllo neg. reagenti2. DNA umano3. Leptospira4. Francisella tularensis

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re rapido e di supporto per la con-ferma diagnostica. La metodologiae gli oligonucleotidi sono stati re-centemente descritti (7). QuestaPCR permette l’amplificazione diuna regione interna al gene codifi-cante per una proteina di mem-brana di superficie specifica perquesto batterio.

La Figura 3b mostra il risul-tato delle PCR condotte sulDNA umano(corsia 2) e suiDNA genomicidi Leptospira (cor-sia 3) e F. tularen-sis (corsia 4).

Il prodotto diPCR presenta ilpeso molecolaredi 330 bp ed è ri-sultato essere spe-cifico solo per F. tularensispoiché non presenta alcunareattività crociata o produzione diampliconi con gli altri DNA esa-minati. Questo tipo di metodolo-gia è stata usato con successo anchedirettamente su campioni biopticidi origine umana per la rilevazionedel batterio nel sangue in un pa-ziente con sospetta tularemia negliUSA (4), nelle secrezioni purulen-

te di un bambino affetto da tulare-mia ulceroglandulare in Svezia (8)e in aspirati linfonodali di pazienticoinvolti in una recente epidemiaavvenuta in Spagna (9). In que-st’ultimo caso, l’analisi per PCR èstata eseguita anche su campioniambientali e prodotti ittici indivi-duati come sorgenti dell’infezione.

Tuttavia, questa metodologianon consente l’individuazio-

ne del biovar. Aquesto scopoun’altra metodo-logia basata sul-l’amplificazionedel rDNA 16Sdi questo batte-rio, seguita dal-l’analisi nucleoti-dica del prodot-to amplificato,

consente di individuare all’in-terno di un frammento di 75

paia di basi del rRNA 16S una re-gione di “firma”, in cui alcune mu-tazioni puntiformi permettono didifferenziare F. tularensis palaearcti-ca da F. novicida e F. tularensis e an-che da altri membri del genereFrancisella quali F. phylomiragia (9).Ovviamente questo tipo di analisinon è da ritenersi strettamente ne-

cessario per l’identificazione dia-gnostica ma può essere utilissimoper la tipizzazione batterica, da at-tuare per successive valutazioni dicarattere epidemiologico e investi-gativo.

CONCLUSIONILe applicazioni di biologia mo-

lecolare descritte in questo lavorosono basate sull’amplificazione ge-nica mediante PCR. Tale metodo-logia risulta essere un eccellentestrumento di diagnostica rapida edi conferma definitiva e nel caso diagenti altamente patogeni rappre-senta senza dubbio la procedurapiù rapida, sensibile, specifica e dielevato livello di sicurezza per l’o-peratore. È opportuno sottolineareche tali metodiche devono essereeseguite solo in laboratori specia-lizzati e con precedente esperienzaspecifica, al fine di evitare risultaticonfondenti o addirittura falsi po-sitivi. Sebbene questa precauzionesia sempre necessaria nella diagno-stica, in caso di uso deliberato diagenti infettivi a scopo bioterrori-stico, tale attenzione diventa asso-lutamente indispensabile.

Riferimenti bibliografici

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La metodica relativaall’amplificazione

genetica mediante PCRdeve essere utilizzata

in laboratorispecializzati

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a peste è una malattia zoonoti-ca dei roditori e di altri anima-

li, il cui agente etiologi-co è rappresentato da

Yersinia pestis.L’uomo può con-trarre la malattiaattraverso il mor-so di pulci infet-te, sviluppando lapeste bubbonica.Solo in una pic-cola percentualedei casi, i soggetti infettatiattraverso questa via di tra-smissione sviluppano sepsi senzabubboni. Né la peste bubbonica, néquella setticemica si diffondono di-rettamente da persona a persona.

Una bassa percentuale di casi dipeste bubbonica o setticemica svi-luppa peste polmonare e in que-st’ultimo caso è possibile il contagioda persona a persona attraverso l’ae-rosol. I soggetti che contraggono lamalattia tramite questa via svilup-pano peste polmonare primaria.

La dose infettante, attraversol’areosol, è di 100-500 microrga-nismi. Il periodo di incubazioneper l’infezione polmonare prima-ria è solo di 1-3 giorni ed è perquesto che Y. pestis viene conside-rato un potenziale agente di bio-terrorismo.

Il periodo di incubazione per laforma bubbonica o setticemica èpiù lungo, in genere di 2-8 giorni.La peste polmonare è trasmissibi-le fino a quando il microrganismoè presente nella saliva (fino a 72ore dopo l’inizio del trattamentoantibiotico).

EPIDEMIOLOGIANel mondo, negli ultimi 50 an-

ni, sono stati riportati circa 1 700casi di peste l’anno. Casi isolati e

episodi epidemici di peste vengonoancora riportati regolarmente in va-

ri Paesi dell’Africa, dell’Asia edel Sud America. Negli USA,

dal 1947 al 1996,sono stati notifi-cati 390 casi dipeste, di cuil’84% bubboni-ca, il 13% settice-mica e il 2% pol-monare. La mag-gior parte dei casi

si è verificata in Colorado,Nuovo Messico, Arizona e Cali-

fornia. Recentemente, nel 1997, unpiccolo episodio epidemico di pestepolmonare si è verificato in Mada-gascar.

MANIFESTAZIONI CLINICHELa peste bubbonica è la for-

ma di infezione più comunedovuta all’inglo-bamento dei bat-teri da parte deimacrofagi dell’o-spite nei linfono-di più vicini almorso della pul-ce. I linfonodi in-teressati si in-fiammano, au-mentano di volume e provo-cano dolore a causa della re-plicazione del batterio. Dai linfo-nodi infettati i batteri possono pro-vocare una setticemia o batteriemia,raggiungendo occasionalmente ipolmoni (forma polmonare).

La progressione della peste pol-monare è rapida e se non trattatapuò condurre alla morte in pochigiorni. Comunque, la forma pol-monare è rara e richiede uno stret-

to contatto affinché sia possibile latrasmissione. Una diagnosi precocecon trattamento antibiotico imme-diato è efficace contro tutte le for-me di peste.

TRATTAMENTO E PREVENZIONE

Y. pestis è generalmente suscetti-bile a un gran numero di antimi-crobici, inclusi aminoglicosidi, �-lattamici, trimethoprim, fluorochi-noloni, cefalosporine, tetracicline,cloramfanicolo e sulfonamidi. Al-cuni ceppi isolati nel corso dell’epi-demia in Madagascar sono risultatiresistenti alle tetracicline, due cep-pi alla streptomicina e uno solo èrisultato resistente ad ampicillina,tetraciclina, cloramfenicolo, e sul-fonamidi, ma sensibile a trimetho-

prim, fluorochinoloni e cefa-losporine.

I fluorochino-loni offrono ilvantaggio di esse-re i farmaci d’ele-zione anche peraltri potenzialiagenti utilizzatinel bioterrorismo,come l’antrace ela tularemia.

Il vaccino inattivato com-posto da batteri uccisi in for-

malina non è più disponibile.

DIAGNOSIDI LABORATORIO

Nel caso di campioni poten-zialmente infetti è necessario adot-tare in laboratorio pratiche di bio-sicurezza con contenimento di li-vello 2. È raccomandato l’utilizzodi una cappa a flusso con filtri

Yersinia pestis

La peste è una malattia

zoonotica trasmissibileall’uomo

La progressione della peste polmonare

è rapida e se non trattata

può condurre alla morte

Ida Luzzi e Annalisa Pantosti

Laboratorio di Batteriologia e Micologia Medica, ISS

Il laboratorio diagnostico

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HEPA. Gli operatori devono in-dossare indumenti di protezionipersonale (camici monouso, guan-ti di lattice, mascherine). Sonoraccomandati anche occhiali oschermi di protezione. Le proce-dure devono essere eseguite da mi-crobiologi o tecnici di microbio-logia esperti.

Non esistono test diagnostici ra-pidi per la peste e i test di confermasono disponibili solo presso labora-tori di riferimento.

ESAMEBATTERIOSCOPICO DIRETTO

Nel caso di infezione acuta, peruna diagnosi presuntiva rapida, èpossibile mettere in evidenza la pre-senza del batterio direttamente nelcampione clinico (sangue, escreato,linfonodo aspirato), allestendo duevetrini con uno striscio del mate-riale in esame, fissandoli per 1 mincon etanolo assoluto oppure per 10min con metanolo e colorandoliuno con il Gram e l’altro con ilGiemsa per l’osservazione al mi-crosopio.

La presenza di coccobacilliGram negativi con colorazione bi-polare è fortemente indicativa del-la presenza di Y. pestis.

Nel caso si giunga a un sospet-to (identificazione presuntiva) del-

la presenza di Y. pestis, è necessarioprocedere alla conferma attraversola coltura.

ESAME COLTURALEI campioni clinici in esame de-

vono essere seminati su agar sanguee agar McConkey e incubati aero-bicamente sia a 28 che a 37 °C per24-48 ore. L’aggiunta del terrenoselettivo Yersinia CIN agar può ri-sultare utile per i campioni “conta-minati”, come la saliva.

Su agar sangue Y. pestis formacolonie grigio-bianche translucide,di solito troppo piccole per essereindividuate dopo 24 ore di incuba-

zione. Dopo 48 ore esse raggiungo-no il diametro di 1-2 mm, risultanogrigio-bianche, tendenti leggermen-te al giallo e opache. Inoltre, non èpresente emolisi. Ceppi di laborato-rio subcoltivati crescono più veloce-mente e formano colonie più gran-di. Con un ingrandimento 4x, dopo48-72 ore di incubazione, le coloniepresentano una morfologia conves-sa e irregolare, tipo “uovo fritto” chesi accentua con il tempo. Le coloniepossono avere una superficie lucen-te come il “rame martellato”. SuMcConkey le colonie appaionopuntiformi e non fermentanti il lat-tosio, le colonie possono sparire do-po 2-3 giorni per probabile autolisi.

Al Gram i batteri si presentanopleomorfi e possono avere la tipicacolorazione bipolare.

Se il tipo di crescita e la colora-zione al Gram confermano il so-spetto di Y. pestis è consigliabile in-viare il campione o la coltura a unlaboratorio di riferimento per laconferma diagnostica.

Y. pestis è catalasi positiva e os-sidasi negativa.

L’identificazione biochimicapuò essere effettuata utilizzando ilsistema API20E o altri prodotticommerciali simili che, tuttavia,hanno un basso grado di attendibi-lità. Una identificazione definitivapuò essere ottenuta attraverso me-todi molecolari

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el 1911 McCoy descris-se una malattia similealla peste che colpiva gliscoiattoli della Califor-

nia e l'agente responsabile fu chia-mato Bacterium tularense, dal nomedella contea di Tulare. La malattiaumana fu descritta da Francis nel1921 come tularemia e, in suo ono-re, il batterio fu ribattezzato Franci-sella tularensis. Sono noti due bioti-pi di F. tularensis, il tipo A (F. tula-rensis sottospecie tularensis/nearcti-ca) e il tipo B (F. tularensis sottospe-cie holarctica/palearctica).

F. tularensis è uno dei batte-ri con più alta infettività e puòcausare patologiegravi e mortalinell’uomo. Per al-cuni ceppi di tipoA è sufficiente l’i-noculazione o l’i-nalazione di diecibatteri per indur-re la malattia. Perquesto motivo F.tularensis è consi-derata un potenziale agentedi bioterrorismo. L’impattomaggiore sulla popolazione, in ter-mini di morbilità e mortalità, sareb-be ottenuto dall’aerosolizzazione diun ceppo altamente virulento, conconseguente inalazione di particelleinfettive e sviluppo di un quadrobroncopneumonico o settico.

EPIDEMIOLOGIALa tularemia è principalmente

una malattia degli animali selvatici,soprattutto piccoli mammiferi, chefungono da serbatoio naturale. Lamalattia è acquisita tramite puntu-ra di zecche, zanzare o mosche op-pure direttamente dalla contami-nazione ambientale (carcasse infet-te, acqua, fieno contaminato).

La malattia è endemica in varieparti del mondo: in Europa (so-prattutto Nord Europa, Russia, maanche Spagna, Kossovo, ecc.) e Asiadel Nord (soprattutto Giappone)sono state segnalate numerose epi-demie dovute al tipo B. Le infezio-ni da tipo A, più virulento, sono ge-neralmente più gravi, sporadiche epiù frequenti in Nord America.

INFEZIONE E MALATTIANell’uomo la tularemia può es-

sere acquisita attraverso la punturadi artropodi infetti, soprattutto nei

mesi estivi, oppure attraversola manipolazione di tessuti

animali infetti,l’ingestione di ac-qua o cibo conta-minato, l’inala-zione di particel-le infettive aero-solizzate, mani-polando, adesempio, fienoinfetto.

Il periodod’incubazione è di 2-10 giorni.

I batteri si replicano sulla cute nelsito d’inoculazione dove in generesi forma un’ulcera. Dal sito di ino-culazione i batteri sono trasportatidal sistema linfatico ai linfonodiperiferici e quindi possono dareluogo a un’infezione generalizzata.Nelle prime fasi della malattia i sin-tomi sono aspecifici: senso di ma-lessere, brividi, cefalea e febbre.

Nella maggior parte dei casi(45-80%), la tularemia si presentacome una malattia ulceroghiando-lare, solo ghiandolare nel 10-25%dei casi e, più raramente (< 5% dei

casi), oculoghiandolare, setticemi-ca, orofaringea o polmonare. L’at-tacco è improvviso: generalmente ilpaziente accusa febbre elevata (38-40 °C), accompagnata da brividi,cefalea, dolori generalizzati soprat-tutto agli arti inferiori, coriza, fa-ringite, tosse e dolore o senso di co-strizione toracico.

In assenza di trattamento i sin-tomi persistono per numerose set-timane. Alcune forme di tularemiapossono essere complicate da unadiffusione sistemica con quadri dipolmonite (comune), sepsi (noncomune) o meningite (rara). La va-sta epidemia che ha colpito il Kos-sovo dal 1999, e che è tutt’ora incorso, si è manifestata prevalente-mente con una forma orofaringea(da ingestione) caratterizzata dafebbre, faringite e linfoadenite sup-purativa del collo.

TRATTAMENTO E PREVENZIONE

Gli aminoglicosidi (streptomi-cina o gentomicina) sono i farmacidi scelta per le infezioni da F. tula-rensis. Doxiciclina e cloramfenico-lo sono alternative accettabili, maoccasionalmente possono dare fal-limenti terapeutici o ricadute. Re-centemente è stata utilizzata consuccesso la ciprofloxacina (di sceltaper la profilassi). Le penicilline e lecefalosporine non sono efficaci.

Un vaccino vivo attenuato è sta-to utilizzato dal 1959 per immuniz-zare il personale di laboratorio a ri-schio d’infezione e il personale mi-litare, ma questo non è registrato innessun Paese. Il vaccino è sommini-strato in unica dose mediante scari-

Francisella tularensis

Ida Luzzi e Annalisa Pantosti

Laboratorio di Batteriologia e Micologia Medica, ISS

Il laboratorio diagnostico

La tularemia può essere acquisitadall’uomo tramite

la puntura di artropodi,l’ingestione di acqua o di cibo contaminati

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ficazione. Studi su volontari hannodimostrato una parziale protezionecontro batteri aerosolizzati.

PRECAUZIONI OSPEDALIEREE DECONTAMINAZIONE

Per la prevenzione della trasmis-sione di tularemia in ambito ospe-daliero sono necessarie solo precau-zioni standard, dal momento che latrasmissione uomo-uomo non è sta-ta dimostrata. In corso di autopsiadevono essere evitate le procedureche possano causare aerosol.

La decontaminazione delle su-perfici può essere eseguita con unasoluzione di ipoclorito di sodioall’1%, da rimuovere con etanoloal 70%.

Nell’ambiente esterno F. tula-rensis sopravvive per lunghi periodiin acqua, in terra, nelle carcasse dianimali e la sopravvivenza aumen-ta se la temperatura è bassa. Perquanto riguarda le particelle infet-tanti disperse artificialmente (perrilascio intenzionale), non è notoper quanto tempo possano soprav-vivere all’interno degli edifici o inun centro urbano. I livelli standarddi clorazione dell’acqua potabile so-no sufficienti a prevenire la conta-minazione da F. tularensis.

DIAGNOSIDI LABORATORIO

SierologiaPer la diagnosi di tularemia si

utilizza in genere un test sierologi-co (ELISA). Un aumento di 2-4volte del titolo anticorpale tra la fa-se acuta e la fase di convalescenza(2-4 settimane) permette una dia-gnosi di certezza di tularemia. Unsingolo titolo alto può essere sug-gestivo di malattia. Il test sierologi-co è però di scarsa utilità per rico-noscere rapidamente e contenereun rilascio deliberato di F. tularen-sis. Recentemente un test ELISA di“cattura”, che utilizza anticorpi mo-noclonali diretti verso F. tularensis,è stato utilizzato per mettere in evi-denza il microrganismo.

Sicurezza in laboratorioLa coltivazione di F. tularensis

può presentare rischi per l’operato-re. F. tularensis ha una lunga e co-nosciuta storia di infezioni tra ilpersonale di laboratorio, almenoprima dell’impiego di cappe di bio-sicurezza. Il batterio deve esseremanipolato solo da personaleesperto. Gli operatori di labo-ratorio debbonoevitare ogni mani-polazione chepossa creare aero-sol o dispersionedi gocce e seguiretutte le procedureper la protezionepersonale e del-l’ambiente. Icampioni clinicidevono essere ma-nipolati in condizioni di con-tenimento almeno del 2° livello etrasferiti appena possibile in un 3°livello di contenimento se si so-spetta F. tularensis.

Esame batterioscopico direttoUn esame batterioscopico diret-

to di campioni e colture mediantecolorazione di Gram può suggerireuna diagnosi presuntiva. F. tularen-sis si presenta come un piccolo coc-cobacillo debolmente Gram nega-tivo di 0,2-0,5 �m x 0,7-1,0 �m,pleomorfo, capsulato, disposto sin-golarmente. Questo aspetto micro-scopico, che include l’assenza dellacolorazione bipolare caratteristicadi Yersinia pestis, unitamente a sin-tomi clinici compatibili con la tu-laremia, è fortemente suggestivoper la presenza di F. tularensis nelcampione.

ColtivazioneF. tularensis cresce molto diffi-

cilmente in coltura. Soprattutto peril tipo B, la procedura più efficien-te per l’isolamento è l’inoculazionedei topi. Da una revisione della let-teratura il microrganismo è statoisolato solo dal 10% dei casi uma-ni di tularemia.

F. tularensis richiede un supple-mento di cisteina per una crescitaappropriata. Benché in primo iso-lamento il microrganismo possacrescere anche su agar cioccolato eThayer-Martin, il terreno miglioreper la subcoltura è il CHAB (agarcioccolato cuore-cisteina contenen-

te il 9% di sangue di monto-ne) oppure l’agar glucosio-

cisteina. Questiterreni permet-tono lo sviluppodi colonie dallamorfologia ca-ratteristica, uti-lizzabile per ladiagnosi diffe-renziale di F. tu-larensis. La Fran-cisella può cre-scere anche sul

terreno per la LegionellaBCYE, contenente cisteina. F. tula-rensis cresce lentamente a 35-37 °C:colonie tipiche appaiono in generedopo 48 ore di incubazione inCO2, ma è buona norma prolun-gare l’incubazione per 10 giorni. Ilmicrorganismo cresce molto pocoa 28 °C, criterio differenziale perdistinguerlo da Y. pestis. F. tularen-sis non cresce bene in terreno liqui-do, pertanto il brodo deve essereusato solo in casi particolari. Il ter-reno consigliato è il brodo tiogli-collato contenente cisteina, che de-ve essere incubato per almeno 10giorni. La crescita si evidenzia comeuna banda torbida in prossimitàdella superficie.

La crescita su CHAB è caratte-ristica: le colonie misurano 2-4mm, sono grigio-bianche, densecon consistenza burrosa e hannouna opalescenza caratteristica sullaloro superficie, se esaminate con lu-ce indiretta. Se il tipo di crescita ela colorazione di Gram confermanoil sospetto di F. tularensis è consi-gliabile non perseguire l’identifica-zione del batterio, ma inviare im-mediatamente il campione o la col-tura a un laboratorio di riferimen-to per la conferma diagnostica.

Il batterio Francisella tularensisè altamente virulento

e deve esseremanipolato solo

da personale esperto

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e infezioni virali “emergenti”rappresentano una nuova sfida

per la medicina moderna,nella quale si compenetra-

no vari aspetti, da quelli di salutepubblica legati all’elevata peri-colosità e diffusività di alcu-ni degli agenti vi-rali coinvolti, aquelli relativi aprevenzione, dia-gnosi e terapiadelle malattie daessi causate.

Da un puntodi vista operativo,le infezioni emer-genti possono es-sere descritte come un feno-meno a due fasi (1):• introduzione di un agente in-

fettante in una popolazione incui non è presente e per il qua-le non vi è protezione immuni-taria;

• diffusione all’interno della po-polazione ospite.Numerosi sono i fattori che

possono essere responsabili dell’in-troduzione e/o della diffusione dinuovi patogeni nelle popolazioni(2). Essi possono essere essenzial-mente divisi in due categorie:• fattori ecologici: cambiamenti

climatici, variazioni nell’ecosi-stema delle acque, squilibri delterritorio (deforestazione, rifo-restazione, agricoltura), creazio-ne di nuovi ecosistemi;

• fattori demografici: crescitadella popolazione mondiale,colonizzazione di nuovi am-bienti, aumento dei flussi im-migratori e possibilità di per-

correre lunghe distanze in bre-ve tempo generano la possibili-tà di trasportare vettori o pos-sibili serbatoi in aree non en-demiche.

Inoltre, l’attuale situazio-ne a livello internazionale ve-

de una notevoleespansione delturismo, nonchél’uso di forze mi-litari per missio-ni umanitarie inaree endemicheper le cosiddettemalattie tropica-li, con il conse-guente rischio di

infezioni che possono essereveicolate al rientro in patria. Inol-tre, data la scarsa conoscenza dellasintomatologia di tali malattie daparte dei clinici e la scarsità deicentri in grado di eseguire i ne-cessari test di laboratorio, es-se possono esserediagnosticate tar-divamente, favo-rendo così la dif-fusione dell’infe-zione, specie sesono presentinell’ecosistemainteressato gli in-setti vettori o gli animaliportatori dell’infezione.

Infine, i recenti fatti di cronacainternazionale hanno rammentatoal mondo la pericolosità di atten-

tati terroristici organizzati e la pos-sibilità che alcuni agenti virali pos-sano essere utilizzati come armibiologiche.

I principali patogeni utilizzabi-li a questi fini sono i virus dellefebbri emorragiche, gli Orthopox-virus (vaiolo, Monkeypox) e il vi-rus dell’encefalite equina venezue-lana (3).

Verranno di seguito descritte leprincipali caratteristiche di questivirus e le tecniche diagnostiche di-sponibili per l’identificazione delvaiolo e di altri Poxvirus patogeniper l’uomo, e dei principali agentidelle febbri emorragiche.

VAIOLOIl vaiolo è stato dichiarato era-

dicato nel 1980 (4), e pertanto nonesiste una circolazione naturale del

virus. Alcuni ceppi virali sonoconservati in laboratorio ne-

gli Stati Uniti e in alcuni Pae-si dell’ex UnioneSovietica, e nonè noto se esistanoaltri depositi divirus del vaiolo,in violazione aquanto prescrit-to dall’Organiz-zazione Mondia-

le della Sanità.Il vaiolo è causato da un vi-

rus appartenente alla famiglia Or-thopoxviridae, e si può presentarein due forme: una forma relativa-

Diagnosi di infezioni sostenute da agenti virali di classe A:

vaiolo e virus delle febbri emorragiche

Il laboratorio diagnostico

Antonino Di Caro, Fabrizio Carletti e Maria R. Capobianchi

Laboratorio di Virologia, Istituto Nazionale per le Malattie Infettive “L. Spallanzani”, Roma

Le cosiddette infezionivirali emergentirappresentano

una sfida per la medicina odierna

Il vaiolo è una malattia

eradicata da oltrevent’anni

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mente lieve, nota come Variola mi-nor e la forma più letale, Variolamajor. Altri Orthopoxvirus sono ingrado di infettare l’uomo: il virusdel vaiolo bovino (Cowpox virus), ilvirus del vaiolo della scimmia(Monkeypox virus) e il virus vacci-nico (Vaccinia Virus).

Il virus del vaiolo è relativamen-te stabile a temperatura ambiente ele sue dimensioni relativamentecontenute (i Poxvirus sono i virusanimali di maggiore dimensione) lorendono agilmente diffusibile tra-mite aerosol e quindi può conside-rarsi un candidato ideale per possi-bili scopi bioterroristici. Durante ifenomeni epidemici è possibile ilcontagio interumano per via respi-ratoria, in particolare durante la pri-ma settimana della malattia, quan-do è presente una elevata carica vi-rale nelle secrezioni nasofaringee.

Il periodo di incubazione è dicirca 12 giorni e i sintomi includo-no febbre, affaticamento e dolori,seguiti dalla comparsa di un esan-tema e di lesioni cutanee. La mor-te, che può verificarsi anche nel30% dei casi, può avvenire entrodue settimane dal manifestarsi del-la malattia.

VIRUS DELLE FEBBRIEMORRAGICHE

Per quanto riguarda le sindromida febbre emorragica, i diversi agen-ti virali responsabili sono descrittinella Tabella 1.

Tutti questi virus hanno come ca-ratteristiche comuni il genoma aRNA monocatenario e la presenza diun rivestimento di natura lipidica.

Il serbatoio naturale è costituitoda piccoli animali (solitamente ro-ditori) o artropodi.

L’uomo non è l’ospite na-turale: la trasmis-sione all’uomo èveicolata da artro-podi vettori o dacontatto conescrementi dell’a-nimale infetto.

La trasmissio-ne interumanapuò verificarsi oc-casionalmente e ingenere non ha un ruolo de-terminante nell’ecologia del virus.

La diffusione del virus è limita-ta ad aree geografiche dove è diffu-so il serbatoio naturale e in questezone i fenomeni epidemici si pos-sono verificare sporadicamente esenza regolarità e pertanto non pos-sono essere previsti.

Fatta eccezione per rari casi, nonesiste alcun trattamento specifico.

Le infezioni sono caratterizzate daun danno vascolare e da un’alteratapermeabilità vasale, mentre i sintomipiù comuni comprendono febbre,mialgia, prostrazione, emorragie del-le mucose e shock. La terapia è prin-cipalmente di supporto e la morbili-tà e la mortalità sono molto elevate.

LA DIAGNOSI VIROLOGICALa diagnosi di laboratorio degli

agenti sopra descritti è fortementecondizionata dalla pressoché totaleindisponibilità di kit diagnosticicommerciali, i quali comunqueconsentono solamente determina-zioni sierologiche e sono spesso in-ficiati dalla presenza di false positi-vità e da reazioni crociate per la pre-senza di antigeni comuni a più virus

della stessa famiglia.Una pregressa vaccinazio-

ne per la febbregialla, ad esem-pio, ostacola il ri-conoscimento dianticorpi versogli altri Flavivi-rus. Bisogna per-tanto ricorrere aitest di sieroneu-tralizzazione chenecessitano di

centri specializzati. La sierone-tralizzazione è inoltre l’unico meto-do al momento disponibile per la va-lutazione della protezione immuni-taria per il vaiolo della popolazione.

Bisogna comunque tener contodel fatto che la comparsa di anticor-pi è comunque un fenomeno tardi-vo nell’evoluzione della malattia, e

Tabella 1 - Virus responsabili di febbri emorragiche

Famiglia e/o genere Virus

Filoviridae Ebola, Marburg

Arenaviridae Lassa, Machupo, Junin, Guanarito, ecc.

Bunyaviridae Hantavirus, Rift Valley, Febbre emorragica Crimea-Congo, ecc.

Flaviviridae Febbre gialla, Dengue, Flavivirus trasmessi dalle zecche

Le febbri emorragiche viralivengono trasmesseall’uomo da piccoli

roditori o da artropodi

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una diagnosi basata esclusivamentesu questi metodi non consentirebbedi riconoscere le fasi precoci dell’in-fezione, che peraltro sono le più pe-ricolose per la diffusione nella po-polazione.

Non esistonokit commercialineanche per la ri-levazione degli an-tigeni virali, e co-munque tali me-todi, eseguibili so-lamente in labora-tori altamentespecializzati espesso con un ele-vato livello di bio-contenimento, si sono dimo-strati nel passato utili nel se-guire l’evoluzione della malattia, masono caratterizzati da livelli di sen-sibilità e specificità minori rispettoalle tecniche di biologia molecolare.

Va citata, inoltre, la possibilitàdi evidenziare i Poxvirus in micro-scopia elettronica direttamente daun tampone delle lesioni cutanee edi porre con tale tecnica diagnosidifferenziale rispetto alla varicella.

Tale metodo, utilizzato anchedall’Istituto Spallanzani durante unasimulazione con virus Vaccino, puòrisultare utile come test complemen-tare, ma non è sicuramente diffusi-bile su scala nazionale, per la neces-sità di attrezzature molto complesse.

Va, inoltre, citata la possibilità diisolamento virale a fini diagnostici,ma questo approccio necessita co-munque di laboratori dotati delmassimo livello di biocontenimento

(BSL-4) e pertanto è utiliz-zabile soltanto incontesti di eleva-tissima qualifica-zione specifica.

Le tecnichedi biologia mo-lecolare, al con-trario, consento-no di coniugarerapidità, sensibi-lità e specificitànella diagnosi,

con la quasi totale assenza dirischio biologico per gli opera-

tori, rendendo così i metodi esegui-bili in contesti diagnostici meno so-fisticati.

Sono stati pubblicati in lettera-tura diversi metodi e in Tabella 2sono elencati alcuni di quelli che so-no stati standardizzati mediante l’u-so di acidi nucleici di controllo ot-tenuti da gruppi collaborativi delnetwork internazionale BSL-4.

Mediante una modifica dellecondizioni riportate in letteratura,nel Laboratorio di Virologia delloSpallanzani è stato allestito un pro-tocollo operativo che utilizza iden-tiche condizioni di amplificazioneper il virus della varicella e gli Or-

thopoxvirus e consente di eseguirein contemporanea la ricerca dei di-versi virus, per ottenere rapida-mente la diagnosi differenziale. Sistanno inoltre mettendo a puntosistemi per la rilevazione quantita-tiva mediante tecniche di real-timePCR, e l’identificazione di specievirali tramite sequenziamento di-retto del menoma virale.

Riferimenti bibliografici

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Tabella 2 - PCR e RT-PCR qualitative per la diagnosi di infezione da Poxvirus patogeni per l’uomo e per i virus dellefebbri emorragiche

Virus Metodo Sequenze target Dimensione Riferimentoamplicone bibliografico

Vaiolo e altri Poxvirus PCR + identificazione Gene crmB 1200-1300 bp 5patogeni per l’uomo di specie con RFLP

Varicella (diagnosi PCR Gene 29 272 bp 6differenziale vaiolo)

Vaiolo e altri Poxvirus PCR + Gene HApatogeni per l’uomo identificazione di specie con RFLP (emoagglutinina) 846-960 bp 7

Ebola e Marburg RT-PCR (evidenziazione di Filovirus Gene L 419 bp 8senza identificazione di specie) (RNA polimerasi)

Lassa RT-PCR Segmento S 340 bp 9

Febbre emorragica Nested RT-PCR Segmento S 535 bp 10Crimea-Congo

I Poxvirus possonoessere evidenziati attraverso l’esame

al microscopioelettronico

del materiale patologico

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NUOVI ANTINFIAMMATORIIN MEDICINA GENERALE

Giuseppe Traversa1, Clara Bianchi1,Francesca Pisetzky1

e Mariangela Rossi2

1Laboratorio di Epidemiologia e Biostatistica, ISS

2Assessorato alla Sanità, Regione Umbria

Nell’estate del 2000 sono statiintrodotti in commercio in Italia inuovi farmaci antinfiammatori, ce-lecoxib e rofecoxib (di seguito CO-XIB), che agiscono tramite un’inibi-zione selettiva della ciclo-ossigena-si-2. Come gli altri farmaci antin-fiammatori non steroidei (FANS), iCOXIB sono prescrivibili dal Servi-zio Sanitario Nazionale (SSN), ma ilcosto medio per giornata di tera-pia a essi associato è quasi doppiorispetto a quello dei vecchi antin-fiammatori (1,4 vs 0,8 Euro).

Nelle sperimentazioni clinichequesti farmaci hanno mostrato unaminore gastrolesività rispetto aiFANS tradizionali (1, 2). In partico-lare, i vantaggi attesi dall’uso deiCOXIB riguardano i pazienti che ne-cessitano di una terapia a dosaggielevati, e per periodi prolungati, diFANS tradizionali (la durata media-na di terapia nei due studi citati èstata di 6-9 mesi). È stata inoltreprefigurata, come conseguenza del-la minore gastrolesività, una dimi-nuzione del livello di co-prescrizionedi farmaci gastroprotettivi, in parti-colare tra gli utilizzatori cronici.

L’obiettivo del presente studio èla descrizione delle caratteristiched’uso dei COXIB in Umbria nei pri-mi 12 mesi di commercializzazio-ne. Nello specifico, l’analisi è foca-lizzata sugli utilizzatori incidenti diCOXIB e di FANS tradizionali, conl’obiettivo di confrontare, tra i due

gruppi, l’uso concomitante di ga-stroprotettivi, la durata d’uso e l’e-ventuale spostamento da una ca-tegoria di FANS all’altra per i sog-getti in terapia continuativa.

Dal sistema di monitoraggio re-gionale dell’Umbria (circa 835 000assistibili) sono state selezionate leprescrizioni di FANS e di gastropro-tettivi erogate tra gennaio 2000 egiugno 2001, e sono stati caratte-rizzati gli utilizzatori. Gli “utilizzato-ri incidenti” sono i soggetti con pri-ma prescrizione di FANS (tradiziona-li o COXIB) successiva a luglio 2000(e quindi con almeno 6 mesi senzaprescrizione di antinfiammatori).Ogni individuo è entrato nello studiocome utilizzatore di FANS tradizio-nale o COXIB in base alla prima pre-scrizione ricevuta nei 12 mesi.

La prescrizione di gastroprotetti-vi è stata definita “concomitante”quando FANS e gastroprotettivo so-no stati ritirati nella stessa giornata.

Per l’analisi delle prescrizionisuccessive a quella incidente è sta-to utilizzato come riferimento un“periodo d’uso corrente”, stimatocome somma delle DDD (dose de-finita die, cioè la dose necessaria acoprire una giornata di terapia nel-l’adulto per ciascuna sostanza) as-sociata a ciascuna confezione, alquale si somma un periodo stan-dard di 14 giorni. Affinché fosse

disponibile per tutti gli utilizzatoriincidenti un periodo di osservazio-ne di almeno 1 mese di follow up,in questa fase dell’analisi sono sta-ti inclusi solo gli utilizzatori con pre-scrizione incidente nel periodo lu-glio 2000-maggio 2001.

Età, sesso e storia prescrittivaprecedente di gastroprotettivi (usa-ta come tracciante di un profilo dimaggiore rischio di lesioni gastro-duodenali) sono stati consideraticome potenziali confondenti.

In Italia, sul complesso degli an-tinfiammatori, i COXIB rappresen-tano il 26% delle dosi e poco me-no del 40% della spesa (Tabella 1).Una stima della prevalenza può es-sere fornita identificando gli utiliz-zatori in una popolazione genera-le di una regione. In Umbria, su835 000 abitanti, oltre 200 000hanno ricevuto una o più prescri-zioni di antinfiammatori in un anno(41 833 di COXIB e 187 377 diFANS tradizionali). Gli utilizzatoriincidenti (127 217) rappresentanoil 15,3% della popolazione (2,7%per COXIB e 12,6% per gli altriFANS). Gli utilizzatori incidenti diCOXIB risultano più anziani rispet-to a quelli di FANS; tra di essi, inol-tre, si nota una maggior prevalen-za di donne e di soggetti con usopregresso di gastroprotettivi (nei 6mesi precedenti) (Tabella 2).

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Studi dal territorio

Tabella 1 - Caratteristiche degli utilizzatori di FANS tradizionali e COXIB

COXIB FANS tradizionali

Prescrizioni in Italiatra luglio 2000 e giugno 2001 (SSN)

DDDa/1 000 abitanti die 8,6 (26,1)b 24,5 (73,9)bSpesa (milioni di Euro) 3,8 (39,4)c 5,9 (60,6)c

Prescrizioni in Umbria tra luglio 2000 e giugno 2001 (SSN)

DDDa/1 000 abitanti die 6,7 19,1Utilizzatori 41 833 187 377

(a) DDD: dose definita die(b) Percentuale sul totale delle prescrizioni(c) Percentuale sul totale della spesa

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La quota di prescrizioni conco-mitanti di gastroprotettivi è pari al5,0% per i COXIB e al 5,8% per iFANS tradizionali. Dopo aggiusta-mento per i fattori confondenti, gliutilizzatori incidenti di COXIB mo-strano una probabilità di ricevereuna prescrizione concomitante digastroprotettivi inferiore, del 25%rispetto a quella associata all’uso dialtri FANS (OR 0,75; IC95% 0,7-0,8). Tuttavia, limitandosi a consi-derare solo i gastroprotettivi con di-mostrata efficacia contro il dannoda FANS (inibitori della pompa aci-da, prostaglandine e anti-H2), ladifferenza nella probabilità di co-prescrizione con COXIB e con FANStradizionali (2,9% vs 2,5%) si an-nulla (sempre tenendo conto deifattori di confondimento).

Solo il 10% circa degli utilizzato-ri incidenti riceve una nuova prescri-zione di FANS durante il periodo cor-rente (10,9% per FANS tradizionalie 9,2% per COXIB). Tra gli utilizza-tori di FANS tradizionali che conti-nuano la terapia, il 90,2% confermalo stesso tipo di farmaco, mentre lascelta viene confermata solo nel50% degli utilizzatori di COXIB.

L’introduzione dei COXIB hacomportato un notevole aumentodella spesa per il SSN, e nel primoanno di prescrivibilità i COXIB hannorappresentato il 39% della spesa to-tale per FANS. In Umbria, dove il li-vello d’uso di antinfiammatori nonsi discosta molto da quello medionazionale, si osserva che il profilod’uso non risulta sostanzialmente di-verso per FANS tradizionali e COXIB.In entrambi i casi l’uso è prevalente-mente acuto e si nota solo una lieve

differenza nella quota d’uso conco-mitante del complesso dei gastro-protettivi. L’evidenza di una scarsapropensione alla conferma del far-maco per gli utilizzatori di COXIBcon terapia continuativa (50% vs90% per i FANS tradizionali) puòrappresentare un indizio, da appro-fondire in indagini ad hoc, di una mi-nore efficacia di queste sostanzequando utilizzate nella pratica cor-rente di medicina generale.

Se il maggiore costo per giorna-ta di terapia dei COXIB è stato giu-stificato da una maggiore sicurezzafra gli utilizzatori cronici e da un po-tenziale risparmio nell’uso concomi-tante di gastroprotettivi, le modalitàdi utilizzo osservate in Italia non giu-stificano una differenza di prezzo fraCOXIB e FANS tradizionali.

Il commentoNicola MagriniCeVEAS, Centro per la Valutazione del-la Efficacia della Assistenza Sanitaria,Modena

Il lavoro di Traversa rappresentaun raffinato esempio di studio chevaluta le modalità e l'appropriatezzad'uso dei nuovi antinfiammatori nonsteroidei inibitori selettivi delle ciclo-ossigenasi-2 (COXIB) e sviluppa unainteressante ipotesi di ricerca sullaloro reale efficacia clinica.

I risultati dello studio sono mol-to interessanti e in qualche modoinattesi, anche se sono stati con-fermati utilizzando il database del-le prescrizioni della provincia di Mo-dena. La prescrizione di gastropro-tettori è risultata analoga tra FANStradizionali e COXIB, nonostantetale utilizzo non rientri tra le indi-

cazioni approvate dei COXIB e siain contraddizione con l'ipotesi fat-ta per la definizione del prezzo diquesti farmaci, calcolata sulla basedel potenziale risparmio derivantedal minore utilizzo di farmaci ga-stroprotettori rispetto ai FANS tra-dizionali. Un aspetto che richiede-rebbe ulteriori analisi è se i pazien-ti trattati con COXIB siano individuia maggior rischio di patologia ga-strica e pertanto non candidabili al-la terapia con FANS tradizionale,gastroprotetti in via prudenziale.Questa ulteriore analisi dovrebbevalutare se i pazienti cui è stato pre-scritto un COXIB hanno una mag-giore prevalenza di patologia ga-strica o di prescrizione di farmaciantiulcera negli anni precedenti(dato che lo studio controlla soloper gli ultimi 6 mesi per l'uso di far-maci gastroprotettori) rispetto agliutilizzatori di FANS.

Un dato ulteriore che emergedallo studio è l'uso prevalentemen-te in acuto dei FANS e dei COXIB inItalia rispetto agli Stati Uniti (dovel'uso è prevalentemente cronico). Lostudio di Traversa mostra come il90% dei soggetti che ha ricevuto unFANS conferma in una seconda pre-scrizione il FANS, mentre solo nel50% dei casi di prescrizione di CO-XIB se ne ha una conferma. Questamaggiore tendenza a cambiareanalgesico (il dolore rappresenta laprincipale indicazione d'uso) po-trebbe essere una non ottimale ri-sposta dei COXIB rispetto ai FANStradizionali: questa ipotesi potrebbeessere verificata in un formale stu-dio randomizzato effettuato nel set-ting della medicina generale.

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Tabella 2 - Caratteristiche degli utilizzatori incidenti per tipo di FANS prescritto (Servizio Sanitario Nazionale, Umbria)

COXIB FANS tradizionali

Utilizzatori incidenti 22 348 104 869Utilizzatori incidenti/100 abitanti 2,7 12,6Età mediana 68 64Rapporto uomini/donne 0,5 0,7Utilizzatori incidenti con prescrizioni di GPa nei 6 mesi precedenti (%) 19,8 15,3Utilizzatori incidenti con prescrizioni concomitanti di GPa (%) 5,0 5,8Odds Ratiob (IC 95%) di prescrizione concomitante di GPa 0,75 (0,7-0,8) 1Nuova prescrizione di FANS nel periodo corrente (%) 9,2 10,9Conferma della stessa categoria di FANS (%) 50,2 90,2

(a) Farmaci gastroprotettivi(b) Aggiustato per età, sesso e uso precedente di gastroprotettivi

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Si consiglia infine la lettura del-l’analisi completa (come da proto-collo) degli studi VIGOR (3) e CLASS(4) recentemente effettuata dallaFood and Drug Administration(FDA) che ha evidenziato una mi-nore differenza tra FANS e COXIBcome gastrolesività nello studioCLASS (dopo 13 mesi di trattamen-to rispetto ai 6 dello studio pubbli-cato) e una maggiore incidenza diinfarti nello studio VIGOR nei pa-zienti trattati con rofecoxib. Può in-fine essere interessante la lettura dei“warning” molto severi sull’infor-mazione o pubblicità fuorviante del-le ditte produttrici su questi farma-ci (5, 6), anche come stimolo per leautorità sanitarie del nostro Paese.

Riferimenti bibliografici

1. Bombardier C, Laine L, Reicin A, etal. N Engl J Med 2000; 343: 1520-8.

2. Silverstein FE, Faich G, Goldstein JL,et al. JAMA 2000; 284:1247-55.

3. FDA. Vioxx (rofecoxib): www.fda.gov/ohrms/dockets/ac/01/briefing/3677b2_03_med.doc

4. FDA. Celebrex (celecoxib): www.fda.gov/ohrms/dockets/ac/01/briefing/3677b1.htm

5. Warning Rofecoxib: www.fda.gov/foi/warning_letters/g1751d.pdf

6. Warning Celecoxib: www.fda.gov/foi/warning_letters/m5097n.pdf

PREVALENZA DI CESAREI E TIPO DI STRUTTURA

DI PARTO IN CAMPANIA

Roberta Arsieri1,Vincenzo Formisano1,

Aniello Pugliese2,Maurizio Saporito2 e Maria Triassi1

1Dipartimento di Scienze Mediche e Preventive, Sezione di Igiene

e Medicina Preventiva, Università degli Studi Federico II, Napoli2Azienda Ospedaliera “A. Cardarelli”,

Napoli

Negli ultimi dieci anni la fre-quenza del parto cesareo (TC) è cre-sciuta costantemente in Italia. L’in-cremento è stato particolarmente ri-levante nella Campania, che dal1996 è al primo posto tra le regio-ni italiane per frequenza del TC, edè passata da una percentuale del36,3% nel 1996 al 51,4% del 2000

(1). Nel periodo 1996-99 l'incre-mento è stato costante sia nellestrutture pubbliche che in quelle pri-vate convenzionate, con una fre-quenza di cesarei 1,3 volte maggio-re nelle seconde (2). Nello stesso pe-riodo le caratteristiche della popo-lazione neonatale e materna e gliesiti perinatali non mostrano varia-zioni altrettanto ampie.

Il presente contributo si propo-ne di valutare se ci sono differenzenella frequenza del TC tra struttu-re perinatali di livello diverso e sel’eventuale variabilità è riferibile adifferenti caratteristiche della po-polazione assistita.

Questo studio è stato effettuatonell’ambito dell’attività di sorve-glianza sulla natalità nella Campa-nia, mediante i Certificati di Assi-stenza al Parto (CedAP). Sono statielaborati i dati relativi ai 27 puntinascita che hanno trasmesso alme-no il 65% delle schede dei nati nel2000. Queste strutture hanno tra-smesso i dati relativi a 17 799 nati,mentre non sono pervenuti i CedAPdi 7 236 nati, pari al 29% del tota-le dei nati nel 2000. Il confronto deidati del campione considerato congli ultimi dati ISTAT (3) disponibiliper la Campania (1997) non ha mo-strato significative differenze relati-vamente al rapporto maschi/fem-mine, alla vitalità, al peso, all’età ge-stazionale e alla parità, per cui ladistribuzione delle schede mancan-ti può essere ritenuta casuale.

Le strutture sono state suddivi-se in due gruppi in base alla dispo-nibilità o meno di posti letto per lecure intensive neonatali. Questodato, in assenza di criteri di accre-ditamento stabiliti dall’AssessoratoRegionale alla Sanità, ha permessodi distinguere le strutture di 3° li-vello da quelle di 1° e 2° livello.

Nei due gruppi di strutture sonostate calcolate le variazioni dellafrequenza del TC in relazione ad al-cune caratteristiche neonatali ematerne con i relativi intervalli diconfidenza (IC) al 95%.

Nella Tabella sono elencati i da-ti relativi a 4 punti nascita di 3° li-vello e 23 punti nascita di 1° e 2°livello, che includono 15 ospedali(6 con oltre 1 000 nati/anno, 6 conun numero di nati tra 500 e 999, 3con meno di 500 nati/anno) e 12

case di cura convenzionate (2 conoltre 1 000 nati per anno, 8 con unnumero di nati tra 500 e 999, 2con meno di 500 nati). Le struttu-re di 3° livello comprendono 1 ca-sa di cura convenzionata e 3 ospe-dali e ciascuna struttura assiste ol-tre 1 000 nati/anno.

Il TC è utilizzato per il 50% deinati, con prevalenza maggiore trale strutture di 1° e 2° livello (52,3%)rispetto a quelle di 3° livello(41,3%). I nati pretermine, di bas-so peso e i gemelli si concentrano,come d’altronde è atteso, nellestrutture di 3° livello e solo i naticon presentazione anomala sonoassistiti in percentuale maggioredalle strutture di 1° e 2° livello. Lafrequenza del TC per ciascuna diqueste categorie di neonati è mag-giore nelle strutture di 1° e 2° livel-lo, salvo che per i pretermine, mala differenza è significativa per i so-li nati con presentazione anomala.

Nelle strutture di 3° livello si ri-leva anche una percentuale mag-giore di madri di età superiore a 34anni, mentre le nullipare si distri-buiscono in eguale misura nei duetipi di struttura. In queste categoriedi pazienti la scelta del cesareo èpiù frequente nelle strutture di 1° e2° livello rispetto a quelle di 3° li-vello e la differenza è significativa.

In conclusione, la frequenza delTC tra strutture di livello diverso evi-denzia una variabilità contraria aquella attesa, in base alla distribu-zione delle caratteristiche neonata-li e materne prese in esame. Poichéi primogeniti sono ugualmente di-stribuiti tra strutture di livello diver-so, le differenze nella frequenza delTC non possono essere riferite auna maggiore incidenza di cesareiiterattivi. Inoltre, la maggiore con-centrazione di nati con presentazio-ne anomala nei centri di 1° e 2° li-vello spiega solo in minima partel’eccesso di cesarei, per la ridottafrequenza di questa condizione fe-tale. Il TC è utilizzato meno fre-quentemente nelle strutture di 1° e2° livello che nelle strutture di 3° li-vello per i neonati pretermine, per iquali sarebbe logico attendersi unuso più ampio del cesareo per la fre-quenza di patologie legate alla pre-maturità. La frequenza del TC è, in-vece, maggiore per le madri di etàIn

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superiore a 34 anni e per le primi-pare e la differenza ha in questo ca-so significatività statistica. La sceltadel cesareo, tranne le emergenze, èstata attribuita anche ad altri fatto-ri, quali la scelta della madre o lepreferenze e le opinioni dei medici.Tra queste ultime la possibilità diprogrammare il TC rappresenta unindiscutibile vantaggio per il medi-co; ciò è confermato dalla distribu-zione temporale dei cesarei, che siconcentrano nelle mattine dei gior-ni feriali (1).

Al di fuori delle indicazioni diemergenza è dimostrato che il cesa-reo comporta un maggior rischio dimorbilità e mortalità materna rispet-to al parto vaginale (4). Lo studio evi-denzia la necessità di indagare ulte-riormente sui motivi non medici checontribuiscono a elevare la frequen-za di cesarei nelle strutture che assi-stono una popolazione di gravide aminor rischio ostetrico e neonatale.

Il commentoGianfranco GoriUnità Operativa Ostetricia Ginecologia,Azienda USL, Forlì

Fino alla fine degli anni ‘60 il tas-so di cesarei in Italia era attestato in-torno al 5%; dal 1970 è rapida-mente aumentato, triplicandosi allafine degli anni ‘70 e quintuplican-dosi alla fine degli anni ‘80, con uncosto umano ed economico nontrascurabile. Il rischio di morte ma-terna è infatti di 4-8 volte superiorerispetto al parto vaginale e la mor-bosità puerperale è 10-15 volte su-periore. I maggiori rischi materninon sono però bilanciati da un mi-glioramento degli esiti perinatali.

I dati presentati da Arsieri ag-

giungono un elemento importantenell'analisi di questa preoccupantetendenza: un’inversione dei tassi ri-spetto all'atteso. Infatti, le struttureche dovrebbero prestare assistenzaa gravidanze a basso rischio hannotassi di cesarizzazione superiori aquelle che dovrebbero accogliere icasi più complessi. Pur con le cau-tele dovute alla scarsa completezzadei dati ricavati dai Certificati di As-sistenza al Parto (CedAP), i risultatipongono importanti interrogativisull'analisi di tale fenomeno.

Rispetto ai fattori "clinico/orga-nizzativi" è possibile che il fenome-no derivi da una progressiva perdi-ta di competenza clinica per i defi-cit nella preparazione degli specia-listi, da una scarsa conoscenza deiprocessi fisiologici della gravidanzae del parto, dalla parcellizzazionedell'assistenza alla nascita in puntinascita che erogano poche centi-naia di prestazioni/anno. Il bassonumero di parti crea le condizioniper cesarei "preventivi" per non do-versi trovare in condizioni di "veraemergenza ostetrica" a cui non sa-rebbe possibile rispondere o permancanza di personale o di com-petenza clinica.

Una soluzione che potrebbe ri-solvere alcuni di questi problemi cli-nico/organizzativi potrebbe esserel'implementazione/creazione di net-work in cui i punti nascita lavorinoin rete secondo un modello hub andspoke (centro e periferia), in cui esi-stano criteri espliciti di selezione del-le pazienti per indirizzarle verso ilpunto nascita più appropriato percomplessità di cure erogate e in cuiesista un vincolo, per il centro, didiffusione delle competenze cliniche

verso i centri più periferici.Un fattore "non clinico/organiz-

zativo" che contribuisce al tasso ele-vato è che il cesareo viene conside-rato sempre più dalle partorienti edai medici solo una modalità di na-scita come un’altra e che quindi lepazienti e i medici sono inevitabil-mente condizionati nella richiesta enel suo ricorso dai giudizi, pregiu-dizi e valori connessi con il temadella riproduzione (5). Per contra-stare questa situazione, le espe-rienze riportate in letteratura (6, 7)suggeriscono che tassi superiori diparti fisiologici sono associati a pro-cessi di implementazione di proce-dure fondate su prove di efficacia eal lavoro di gruppo, oltre che alleconvinzioni intorno alla nascita (7).

Riferimenti bibliografici

1. Arsieri R, Pugliese A, Saporito M, etal. Rapporto sulla natalità in Campa-nia - 2000. Napoli. 2001.

2. Pizzuti R, de Campora E, Lodato S.Not Ist Super Sanità 2001; 14(5) - In-serto BEN: i-iii.

3. ISTAT. Sistema sanitario e salute dellapopolazione indicatori regionali (In-formazioni n. 16). 2000.

4. Hall MH, Bewley S. Lancet 1999; 354:776.

5. www.saperidoc.it/ques_240.html6. Basevi V, Cerrone L, Gori G. Epid Prev

1994; 18: 194-9.7. Johanson R, Newburn M. BMJ 2002;

324: 892-5.

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Tabella - Tassi di parti cesarei per caratteristiche neonatali e materne e per livello della struttura di nascita (Campania 2000)

Strutture di 3° livello Strutture di 1°- 2° livelloNati Cesarei Nati Cesarei

n. (%) (%) IC 95% n. (%) (%) IC 95%

Totale nati 3 742 (100) 41,3 39,6–42,8 14 057 (100) 52,3 51,5-53,2

Caratteristiche neonataliEtà gestazionale < 37 434 (11,6) 65,7 (61,3-70,3) 673 (4,8) 61,7 (58,1-65,4)Peso < 2500 g 449 (12) 69,0 (64,9-73,4) 709 (5) 70,2 (66,9-73,7)Gemelli 96 (2,6) 80,2 (70,2-88,2) 229 (1,6) 81,2 (76,4-86,5)Presentazione diversa dal vertice 123 (3,3) 79,7 (70,7-86,7) 659 (4,7) 92,6 (90,6-94,6)

Caratteristiche materneEtà > 34 anni 722 (19,3) 49,7 (46,1-53,4) 2 262 (16,1) 60,4 (58,4-62,4)Primogenito 1 504 (40,2) 40,2 (37,8-42,7) 5 666 (40,3) 53,5 (52,2-54,8)

Donato Greco,Nancy Binkin, Paolo D’Argenio,

Paola De Castro, Carla Faralli

Comitato editoriale BEN

Full English version is available at:www.ben.iss.it

e-Mail: [email protected]

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li Arenavirus causanoinfezioni croniche diroditori indigeni del-l’Europa, dell’Africa e

dell’America e sono forse presen-ti anche negli altri continenti.Ogni Arenavirus è associato conun ospite roditore specifico nelquale il virus causa un’infezionecronica asintomatica che assicurala persistenza del virus in natura.L’uomo è un ospite accidentale esi infetta solo quando viene incontatto con i secreti o le deiezio-ni dei roditori infetti. La via ditrasmissione di questi virus è l’ae-rosol. La diffusione del virus e lecircostanze dell’esposizione uma-na sono determinate dall’ospiteserbatoio. Le infezioni umane daArenavirus sono frequenti e in al-cuni casi molto gravi.

Gli Arenavirus sono virus aRNA a singolo filamento, costitui-to da due segmenti, L e S, ambeduecon polarità ambisenso. Le proteinestrutturali sono due glicoproteine,GP1 e GP2, derivanti dal clivaggiodi un’unica macromolecola, GPC, ela nucleoproteina N.

Alla famiglia Arenavirus ap-partengono almeno sei diversi vi-rus patogeni per l’uomo (Tabella).Gli Arenavirus sono separati indue gruppi, gli Arenavirus del Vec-chio Mondo (Lassa, linfocorio-meningite - LCM) e virus delNuovo Mondo (Junin, Machupo,Guanarito, Sabià). Il virus dellaLCM è stato il primo virus di que-sta famiglia a essere isolato, nel1933. Nell’uomo causa una me-ningite associata con pleiocitosilinfocitaria del liquor ed è causa diinfezioni persistenti in colonie diroditori; la sua diffusione è a li-vello mondiale.

FEBBRE DI LASSANel 1969 un Arenavirus patoge-

no per l’uomo, il Lassa, fu isolato inAfrica. Il virus Lassa, che provocauna malattia letale, altamente tra-smissibile da uomo a uomo, è moltodiffuso in Africa orientale ed è asso-ciato a roditori del genere Mastomysche vivono in stretta associazionecon le residenze umane. La diffusio-ne da uomo a uomo ha provocato al-cuni episodi di infezione nosoco-miale. Le manifestazioni clinicheprecoci sono aspecifiche e includonofebbre, malessere, mal di gola, mal ditesta, e dolori alla schiena e al-l’addome. Le manifestazionipiù tardive inclu-dono arrossamen-to congiuntivale,edema della facciae del collo, esante-ma maculopapu-lare (evidente inparticolare nei pa-zienti di razzabianca), sintomi respiratori egastrointestinali, manifesta-zioni neurologiche, effusione pleuri-ca e pericardica, sanguinamento del-le mucose e shock. La sordità è unacomplicazione importante.

Il tasso di mortalità dei pazientiospedalizzati e non trattati è di circail 15%. Il trattamento per via endo-venosa con la ribavirina è efficace, madeve essere iniziato precocemente.

FEBBRI EMORRAGICHESUDAMERICANE

Nel 1950 in Argentina, nellaricca zona agricola delle pampasumide, comparve una malattia ap-

parentemente nuova, la febbreemorragica argentina, il cui agenteeziologico è il virus Junin, un virusfino ad allora sconosciuto e che mo-strava correlazioni solo con un vi-rus assolutamente innocuo per l’uo-mo, il virus Tacaribe, isolato da pi-pistrelli a Trinidad. La malattia furapidamente associata a un rodito-re con funzione di ospite serbatoio.La sua diffusione è andata rapida-mente crescendo e costituisce unproblema sanitario emergente delleprincipali aree agricole dell’Argen-tina. È stato allestito un vaccino

sperimentale, ma non è an-cora utilizzato su larga scala.

Alcuni annidopo l’isolamentodel virus Junin,un’altra malattiadivenne epidemi-ca in alcune re-mote aree dellaBolivia, dove erachiamata “tifo ne-

ro”. La descrizione clinica diquesta malattia mostra notevoli

somiglianze con la febbre emorragicaargentina. Il virus Machupo, correla-to al virus Junin, fu isolato e associa-to a un roditore. La diffusione dellafebbre emorragica boliviana è decisa-mente inferiore a quella della febbreemorragica argentina; infatti ne sonosegnalati solo casi sporadici.

Numerosi altri Arenavirus sonostati isolati nel Nuovo Mondo a se-guito delle indagini eseguite per lostudio dei virus Junin e Machupo,ma per la maggior parte non sonopatogeni per l’uomo. Solo recente-mente due virus, Guanarito (isola-

Febbri emorragiche causate da Arenavirus

Loredana Nicoletti, Maria Grazia Ciufolini e Paola Verani

Laboratorio di Virologia, ISS

Le infezioni umane da Arenavirussono frequenti

e talvolta molto gravi

Il laboratorio diagnostico

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to durante un’epidemia in Vene-zuela) e Sabià (isolato da un casosingolo in Brasile), sono stati asso-ciati a una malattia che, clinica-mente, assomiglia alla febbre emor-ragica argentina e boliviana.

Il quadro clinico meglio descrit-to è quello della febbre emorragi-ca argentina che include unperiodo di incu-bazione di 1-2settimane, segui-to da febbre, ma-lessere, mialgia,vertigini, mal ditesta, manifesta-zioni gastrointe-stinali, sudorazio-ne del volto e deltronco, ed effusione con-giuntivale. Sono comuni sintomineurologici che includono tremori,disorientamento, atassia e iporefles-sia. Trombocitopenia, leucopenia eproteinuria sono presenti nella ma-lattia conclamata. Le manifestazioniemorragiche includono petecchie,sanguinamento delle gengive edemorragia mucosale. Ipotensione eshock sono presenti nei casi più gra-vi. Sono stati utilizzati con successotrattamenti con plasma immune econ ribavirina per via endovenosa.

SAGGI DIAGNOSTICIAl momento del ricovero in

ospedale i pazienti contagiati dal vi-rus Lassa sono normalmente vire-mici, ma possono non avere ancora

livelli rilevabili di anticorpi anti Las-sa. La diagnosi precoce deve quindiessere effettuata o con il rilevamen-to del virus mediante coltura o conl’identificazione dell’antigene o conRT-PCR. Il virus può essere facil-mente isolato dal sangue o dal siero

in colture cellulari, ma il sag-gio richiede alcuni giorni e de-

ve essere effettua-to in livelli dicontenimento ditipo BSL-4. Buo-ni risultati in tem-pi rapidi sono ot-tenuti medianteRT-PCR sul san-gue, siero o pla-sma. Virtualmen-

te tutti i pazienti hanno RNA ri-levabile nel sangue al terzo giornodal ricovero. L’esame colturale do-vrebbe essere sempre eseguito, quan-do possibile, soprattutto per quei ca-si che occorrono al di fuori delle areeendemiche. I saggi per il rilevamen-to dell’antigene sono meno sensibi-li di quelli di RT-PCR.

La determinazione degli anticor-pi anti Lassa è importante ma nonpuò essere eseguita nei primi giornidi malattia. Sono stati utilizzati sag-gi di immunofluorescenza e saggi en-zimatici per IgG e IgM. Anticorpi diclasse IgM specifici sono rilevabilinella seconda settimana di malattia.

I principi di diagnosi delle febbriemorragiche sudamericane sono inmassima parte simili a quelli del Las-

sa, anche se la viremia è di grado me-no elevato. La coltivazione dei leu-cociti può aumentare la sensibilità ri-spetto alla coltura del sangue intero.

CARATTERIZZAZIONEMEDIANTE RT-PCR/RFLP(RESTRICTION FRAGMENTLENGTH POLYMORPHISM)

I saggi diagnostici che comporta-no l’isolamento virale o la manipola-zione di virus vivo (ad esempio, laneutralizzazione) devono essere ef-fettuati in laboratori con un livellodi sicurezza BSL-4. È tuttavia possi-bile effettuare una diagnosi anche inassenza di tali strutture, utilizzandodei saggi di RT-PCR, con i quali èpossibile individuare l’acido nucleicovirale. Infatti, tutti i membri del ge-nere Arenavirus hanno una sequenzaconservata all’estremità 3’ del seg-mento S e altre sequenze conservatedistribuite lungo il segmento S. Èpossibile quindi costruire dei primergenerici che siano in grado di ampli-ficare l’RNA di tutti gli Arenavirusfinora noti; in alcuni casi, utilizzan-do questi primer è stato anche possi-bile identificare degli Arenavirus chesono risultati essere completamentenuovi. La caratterizzazione dell’RNAamplificato avviene mediante l’usodi enzimi di restrizione che generanopattern specifici per ogni virus. È co-sì possibile limitare la manipolazionedel materiale potenzialmente infettoalla sola estrazione dell’RNA ed ef-fettuare il saggio utilizzando comecontrollo l’RNA di virus meno peri-colosi per l’uomo (Tacaribe, LCM).

Il Laboratorio di Virologia del-l’Istituto Superiore di Sanità hamesso a punto un protocollo dia-gnostico sulla base di un lavoro del1997 (1), attraverso il quale è pos-sibile diagnosticare la presenza diArenavirus mediante una reazionedi RT-PCR sull’RNA totale di cel-lule infette con i virus Tacaribe eLCM (ceppo Amstrong).

Riferimenti bibliografici

1 Lozano ME, Posik DM, AbbarinoCG. Virus Res 1997; 49(1): 79-89.

Tabella - Arenavirus associati a malattia nell’uomo

Malattia Virus Origine Anno del 1° Distribuzioneisolamento

Coriomeningite LCM 1933 Mondialelinfocitaria

Febbre di Lassa Lassa Nigeria 1969 Africa Ovest

Febbre emorragica Junin Argentina 1957 Sud Americaargentina

Febbre emorragica Machupo Bolivia 1962 Sud Americaboliviana

Febbre emorragica Guanarito Venezuela 1989 Sud Americavenezuelana

Non ancora Sabià Brasile 1990 Sud Americanominata

Il primo Arenaviruspatogeno per l’uomo

è stato isolato nel 1933

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n questi ultimi anni i mediahanno riportato con allarmatapreoccupazione il fatto che icontendenti di avvenimenti

bellici in corso o gruppi terroristicioperativi in alcuni Paesi potesserodisporre e utilizzare armi biologi-che. Lo sviluppo e l’uso di armi bio-logiche non è cosa degli ultimi de-cenni; la ricerca di mezzi per dan-neggiare e/o terrorizzare gli avver-sari è stata oggetto di interesse an-che nei secoli passati.

Vari agenti sono stati presi inesame per un possibile uso come ar-mi biologiche man mano che le co-noscenze scientifiche lo lasciavanointravedere; tra questi grande inte-resse ha suscitato la tossina botuli-nica per vari motivi:• è facile da produrre; • è di elevata letalità (1 g di tossi-

na cristallizzata è in grado di uc-cidere 1 milione di persone) o,comunque, è capace di provoca-re una malattia tanto grave da ri-chiedere cure prolungate.La produzione e l’uso della tos-

sina botulinica come mezzo bellicorisalgono a circa 60 anni fa, quan-do il Giappone prima e gli USA e laGermania poi svilupparono specifi-ci programmi ad hoc. In tempi piùrecenti, anche l’Iraq e l’ex UnioneSovietica hanno avviato analoghiprogrammi.

A tutt’oggi però non si ha noti-zia di casi di intossicazioni conse-guenti a un rilascio deliberato dellatossina botulinica. Tuttavia, a ca-vallo tra il 1990 e il 1995, terroristigiapponesi legati al culto di AumShinrikj hanno tentato di disperde-re la tossina botulinica sotto formadi aerosol in alcune zone di Tokyoe in alcune installazioni militariamericane presenti in Giappone.

Nello stesso periodo, l’Iraq ha am-messo, con gli ispettori delle Na-zioni Unite recatisi nel Paese dopola guerra del Golfo, di aver prodot-to tossina botulinica concentrata edi averne utilizzata 10 000 l per laproduzione di armi.

La tossina botulinica è prodot-ta da un microrganismo spori-geno anaerobio, il Clostri-dium botulinum;si tratta di unaproteina tossicain grado di causa-re dopo 2 ore-8giorni dall’inge-stione una graveparalisi flaccidasimmetrica di-scendente afebrile (il botuli-smo) nell’uomo e negli ani-mali. La malattia si presenta sottovarie forme a seconda delle modali-tà con cui la tossina viene assunta(ingestione di tossina preformatacon gli alimenti - alimentare - o ina-lazione della tossina mediante aero-sol - inalazione; assorbimento inte-stinale o a livello di un tessuto trau-matizzato infetto a seguito dellagerminazione di spore e produzionein vivo della tossina: botulismo in-fantile, botulismo tipo infantile del-l’adulto o botulismo da ferita).

È noto che diversi ceppi di C.botulinum producono tossine botu-liniche, che pur agendo in manierasimile, non sono affatto identichefra loro. Attualmente, sono stateidentificate 7 diverse varianti anti-geniche delle neurotossine botuli-niche, denominate con letteremaiuscole dalla A alla G. Le tossine

A, B, E e più raramente F provoca-no il botulismo nell’uomo.

La denominazione di C. botuli-num viene utilizzata per indicarenon un unico organismo capace diprodurre tossine diverse ma speciecon differenti caratteristiche meta-

boliche e fisiologiche. Di re-cente sono stati trovati clo-

stridi capaci di elaborare neu-rotossine botuli-niche (C. butyri-cum tipo E e C.barati tipo F), iquali, tuttavia, inbase alle caratte-ristiche biochi-miche e geneti-che, non posso-

no essere classificati come C.botulinum.

La neurotossina botulinica vienesintetizzata all’interno della cellulabatterica durante la crescita anaero-bica, dopo la germinazione dellespore. Tutte le neurotossine botuli-niche vengono rilasciate all’esterno,associate ad altri componenti pro-teici non tossici, alla fine della fasedi crescita a seguito della lisi cellu-lare. I composti proteici non tossi-ci proteggono la tossina da feno-meni di denaturazione (ad esempio,resistenza all’acidità gastrica per cuipassa inalterata nell’intestino).Quando il pH gastrointestinale di-venta leggermente alcalino, le neu-rotossine si staccano dai compo-nenti non tossici e assumono la for-ma di catene polipeptidiche singo-le, biologicamente inattive. L’atti-vazione, provocata dalla scissione diun ponte disolfuro operata da pro-

Uso bellico e terroristico della tossina botulinica

Sono stati identificatisette diversi

tipi di tossinebotuliniche

Paolo Aureli

Laboratorio di Alimenti, ISS

Tossine e bioterrorismo

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teasi di origine batterica o tissutale,porta alla formazione di una mole-cola costituita da 2 catene, una leg-gera (L, 50 kDa) e una pesante (H,100 kDa), legate fra loro da un al-tro ponte disolfuro e da legami noncovalenti.

Le tossine attraversano l’epiteliointestinale mediante meccanismi ditranscitosi e, diffondendosi nell’or-ganismo attraverso i liquidi corpo-rei, raggiungono le terminazioninervose periferiche.

Una volta raggiunto l’organo ber-saglio le neurotossine agiscono comezinco-endopeptidasi su diverse pro-teine sinaptiche coinvolte nei pro-cessi di neurotesocitosi del neuro-mediatore acetilcolina: il taglio ope-rato dalle tossine botulinche blocca ilrilascio del neuromediatore e provo-ca la paralisi flaccida del botulismo.

La dose letale di tossina per l’uo-mo non è nota; questa può essereestrapolata dagli studi sugli animali:la dose letale di tossina cristallina ti-po A in un soggetto di 70 kg è di cir-ca 0,09-0,15 �g per via endovenosao intramuscolare, di 0,70-0,90 �gper inalazione e di 70 �g per via ora-le. Alla luce di tali valori appare po-co probabile che si possa utilizzarecome arma biologica il prodotto te-rapeutico presente in commerciocontenente la tossina tipo A, perchécontiene solo lo 0,3% della dose sti-mata letale se inalata e lo 0,005% diquella stimata letale se ingerita.

È da sottolineare il fatto che latossina svolge la propria azione so-lo quando viene a contatto con lemucose, mentre la pelle intatta èimpermeabile alla tossina.

La tossina botulinica viene facil-mente inattivata con il calore (T>85 °C per 5 min); per tale ragione ilbotulismo alimentare deriva esclu-sivamente dall’ingestione di alimen-ti contenenti tossina preformata chenon sono stati sottoposti a riscalda-mento prima del consumo o sonostati riscaldati a temperatura inade-guata. La tossina è anche inattivatadai correnti trattamenti utilizzati perla potabilizzazione dell’acqua. Tut-tavia, esiste una possibilità teorica dicontaminazione dell’acqua al termi-nale di distribuzione.

In caso di botulismo la terapiapiù appropriata si basa sulla sommi-nistrazione dell’antitossina (di-sponibile presso il Ministero dellaSalute, Dipartimento di Prevenzio-ne, Ufficio III) associata ove neces-sario a terapia di supporto. Per esse-re veramente efficace, l’antisiero vasomministrato nel più breve tempopossibile al paziente con i segni neu-rologici del botulismo. Per effettodegli attuali protocolli terapeutici, lamorte sopravviene raramente.

In base a quanto emerso dall’os-servazione dei casi di botulismo ve-rificatisi in Italia negli ultimi diecianni, si può affermare che la malat-tia è un evento raro, imputabile pre-

valentemente al consumo di con-serve alimentari contaminate. Il nu-mero dei soggetti colpiti in ciascunepisodio è assai contenuto (<3 ca-si). La presenza della tossina nell’a-limento è provocata:• da un trattamento di sterilizza-

zione non corretto (< 121 °C per3 min), per cui le spore soprav-vissute possono germinare quan-do il prodotto viene conservato atemperatura favorevole (> di 3-10 °C ) per tempi lunghi che por-ta alla produzione della tossina;

• da un’acidificazione insufficien-te (pH > 4,5) delle conserve pa-storizzate confezionate sott’olio. La possibilità di provocare bo-

tulismo contaminando volontaria-mente alimenti e acqua con la tos-sina esiste seppure con elevata diffi-coltà pratica. Ciò, tuttavia, avrebbeun impatto relativo sulla popola-zione sia perché limitato solo ai sog-getti che dovessero consumare laporzione di prodotto contaminatosia perché limitato solo ai prodottipronti, da consumare senza essereriscaldati. Nel caso in cui si volesse-ro provocare casi di botulismo me-diante diffusione della tossina sottoforma di aerosol, tale evento po-trebbe essere influenzato dalle con-dizioni atmosferiche e da fattori didegradazione (in condizioni di ele-vata umidità e a temperatura am-biente si stima che la sua attività siriduca dell’1-4% al min). Una so-luzione concentrata può sparire dal-l’ambiente in circa 2 giorni.

In ogni caso, gli effetti conse-guenti all’uso terroristico o bellicodella tossina botulinica dovrebberopoter essere rapidamente circoscrit-ti. Per questo, è necessario disporredi un efficiente sistema di sorve-glianza che si allerti in presenza diun abnorme numero di casi per in-dividuare nel più breve tempo pos-sibile la sorgente e le cause della con-taminazione. Tuttavia, perché la sor-veglianza sia tempestiva è necessarioavanzare il sospetto diagnostico nelpiù breve tempo e confermarlo conanalisi microbiologiche rapide.

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Scenari e risposte

Istituto Zooprofilatti-co Sperimentale (IZS)

della Puglia e della Basili-cata, con sede a Fog-

gia, è stato individuato dalMinistero dellaSalute come re-ferente naziona-le per il test sulrilevamento del-le spore di antra-ce in campionisospetti (con ec-cezione dei so-spetti cliniciumani) nell’am-bito dell’emer-genza bioterrorismo.

Il test PCR (Polymerase ChainReaction) sviluppato presso l’IZSdi Foggia fin dal 1999, è un testrapido che in breve tempo (menodi 4 ore) è in grado di svelare, ol-tre che la specie, anche la patoge-nicità del ceppo. Un vantaggio digrande importanza nell’approcciotecnico sviluppato dall’IZS di Fog-gia è che il test è eseguito in con-dizioni di massima sicurezza, trat-tandosi di materiale previamentesterilizzato. L’analisi si basa sul-l’amplificazione di frammenti spe-cifici del DNA di Bacillus anthra-cis (sono state sviluppate 9 coppiedi primer).

La procedura indicata dal Mini-stero della Salute prevede che ilcampione sospetto sia prelevato daVigili del Fuoco, i quali, dopo aver-lo sigillato, lo portano al più vicinopresidio ospedaliero o comunquealla più vicina struttura che possie-de un’autoclave. In questa strutturail prodotto viene sottoposto a unprocesso di sterilizzazione a 121 °Cper 45 min.

Presso l’IZS della Puglia e dellaBasilicata il campione viene identi-ficato con un numero di accettazio-

ne e una scheda di registrazio-ne che diventa anche foglio di

lavoro. Dal repar-to di accettazioneil campione vieneinviato al labora-torio dove il ma-teriale sospettoviene diviso indue aliquote dicui la prima vie-ne lavorata talquale, mentre al-la seconda viene

aggiunto una quantità nota diDNA di B. anthracis.

La PCR di routine prevede l’u-so di tre coppie di primer:• ba 813 R1/ R2 specifico

per il cromosoma;• pag 23/24

specifico perl ’ a n t i g e n eprotettivo (èuno dei fat-tori di tossi-cità presentesul plasmidepXO1 di B.anthracis );

• cap (C) 57/58 specificoper la capsula (codifica-to sul plasmide il pXO2).

INTERPRETAZIONE DEL RISULTATO

Un campione viene considera-to negativo quando l’aliquota talquale risulta negativa in PCR,

mentre il suo corrispettivo addi-zionato con DNA di B. anthracisrisulta positivo. È da considerarepositivo il campione di cui le duealiquote risultino entrambe positi-ve in PCR.

Vengono altresì eseguiti tutti gliopportuni controlli per stabilire l’i-doneità del campione.

Le prove in doppio servono averificare la presenza nelle polveridi sostanze che interferiscono coni processi di amplificazione delDNA. Questa procedura permet-te di evitare il pericolo dei falsi ne-gativi. In caso di presenza di so-stanze interferenti il campioneviene sottoposto a diversi proces-si di purificazione (fenolo-cloro-formio) fino a quando la provanon è ritenuta sufficientemente

soddisfacente.Il test PCR non viene effet-

tuato solo sullepolveri ma anchesu buste e letteresospette ove nonviene rilevata pre-senza di polvere.

Nel corso del-l’emergenza (oltre20 000 test) sonostati riscontrati

solo pochissimi casi in cui ilcampione ha continuato a inter-

ferire con i processi di amplificazio-ne del DNA.

In tali casi è necessario ricorrereai metodi diagnostici descritti nelprotocollo dell’ISS (www.iss.it) conriferimento ai campioni biologicinon inattivati.

Antrace: esperienza del Centro di Riferimento Nazionale

Antonio Fasanella

Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata, Foggia

Il Ministero della Saluteha individuato

un Centro Nazionale di Riferimento

per il test di rilevamento

dell’antrace

Il test PCR (PolimeraseChain Reaction) è il test rapido

che in poche oreidentifica l’antrace

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La tecnica PCR sopra descritta èindirizzata verso un target ben pre-ciso rappresentato dalle polveri rin-venute in buste e plichi sospetti,mentre non è ritenuta valida percampioni biologici o per tamponiambientali dove, peraltro, gli stessiCDC di Atlanta, nonché i proto-colli diagnostici dell’ISS prevedonol’esame colturale.

La sensibilità del test, utilizzatonel corso di questa emergenza, è sta-ta valutata su spore di B. anthracisautoclavate a 121 °C per un’ora.

Essa è risultata variabile in rap-porto al tipo di primer e risulta piùsensibile con quelli a basso nu-mero di paia basi rispetto aquelli con altonumero di paiabasi (dati in cor-so di pubblica-zione).

Il motivo va ri-cercato moltoprobabilmente nelfatto che il lungoprocesso di steri-lizzazione determinerebbeun’alterazione delle sequenzedi DNA di una certa lunghezza, e

quindi un certo grado di mismatchanche per sequenze complementari.

I processi di lavorazione ri-chiedono l’utilizzo di unagrande quantità diDNA di antrace,superato grazie al-le caratteristichedel controllo posi-tivo utilizzato rap-presentato da unceppo di B. an-thracis che, pur es-sendo apatogeno, possiede uncorredo genetico sovrapponi-bile a quello dei ceppi patogeni.

Il ceppo, denominato Carbo-sap, è quello utilizzato come

vaccino per usoveterinario nellecampagne di pro-filassi in Italia.La scoperta dellecaratteristiche diquesto ceppo ri-sale al 1999, an-no in cui è statamessa a punto la

tecnica PCR.Molto importante è l’aspet-

to relativo al processo di genotipiz-

zazione. Grazie al lavoro in colla-borazione con ricercatori america-ni, si è effettuata la genotipizzazio-ne di diversi ceppi isolati da focolaidi carbonchio ematico in Italia conl’obiettivo di disegnare una mappadei genotipi di B. anthracis in Ita-lia. La genotipizzazione di B. an-thracis si basa sull’analisi di 8VNTR ( Variable Number TandemRepeat) individuate nel B. anthracis(6 a livello del cromosoma e 2 a li-vello dei plasmidi), il test è deno-minato MLVA (Multiple Locus Va-riable Analysis). Attraverso l’analisidi oltre 800 ceppi provenienti dadiverse aree geografiche del pianeta,presso i laboratori americani, sonostati individuati 6 cluster a cui affe-riscono 89 genotipi di B. anthracis.

Dagli studi effettuati sui ceppiitaliani è emerso che nel nostro Pae-se circolano 5 genotipi di B. anth-racis e tutti appartengono al clusterA1 (dati in corso di pubblicazione).

Sono genotipi molto simili fraloro, probabilmente origi-

nati da un progenitore co-mune, e indica-no che nel no-stro Paese i fo-colai di carbon-chio ematico so-no causati daceppi di B.anthracis autoc-toni. In Italia

non sono stati rilevati fino aoggi focolai di importazione da

Paesi esteri.L’esatta conoscenza dei genotipi

di antrace circolanti in un territo-rio è un presupposto fondamentaleper poter applicare maggiori misu-re di controllo sugli alimenti per ilbestiame importati da Paesi a ri-schio, nonché per determinare sor-genti di episodi epidemici.

Recentemente, presso i labora-tori dell’IZS della Puglia e della Ba-silicata è stata messa a punto unametodica ELISA in grado di rileva-re anticorpi contro i fattori tossicidi B. anthracis (PA, LF e EF) nellepecore e nelle capre.

Il test PCR viene effettuato anche su buste

e lettere sospette

Studi specifici hanno rilevato

che in Italia circolano 5 genotipi di Bacillus anthracis

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Scenari e risposte

gni atto terroristico, alfine di ottenere il mas-simo risultato, deve es-

sere realizzato in untempo molto breve e la sua effica-cia è tanto maggiore quanto il suoeffetto è protratto nel tempo. Negliobiettivi di ogni attentato si puòindividuare una matrice comunecaratterizzata dall’intenzione di:• generare panico;• arrecare danno economico;• indebolire le strutture produt-

tive;• colpire i gangli nevralgici della

società;• attirare l’attenzione dell’opinio-

ne pubblica;• influenzare le politiche sociali

ed economiche.In questo contesto, nel venta-

glio delle possibili strategie perse-guibili, non si può dimenticarel’uso delle armi biologiche comestrumenti che nelle mani dei ter-roristi si mostrerebbero estrema-mente efficaci per perseguire i lo-ro scopi. L’effetto dei microrgani-smi patogeni, infatti, come mezzodi distruzione di massa rappresen-ta molti indubbi vantaggi dal pun-to di vista terroristico che possonoessere distinti in relazione alla na-tura dell’agente utilizzato. In lineagenerale, però, le due caratteristi-che principali che condizionano lascelta di un organismo patogenosono la contagiosità e la persisten-za. Organismi molto contagiosiconsentono di infettare inizial-mente solo pochi individui, daiquali successivamente l’infezionesi propaga in maniera esponenzia-le. Organismi persistenti, invece,possono infettare individui suscet-tibili per un lungo periodo di tem-

po. Esempi eclatanti sono il virusdel vaiolo dell’uomo (Poxvirus)per la sua alta contagiosità e il bat-terio responsabile del carbonchio(Bacillus anthracis) per la sua ele-vatissima persistenza, sotto formadi spore, nell’ambiente.

Ciò che ha da sempre limitatol’uso delle armi biologiche comemezzo di offesa di carattere bellicoè la scarsa precisione e l’assolutamancanza di controllo legata al-l’impossibilità, da parte dei micror-ganismi patogeni, di discriminaretra militari e civili o nemici e allea-ti. Ciò che contribuisce a renderele armi biologiche poco affida-bili a fini bellici,ne fa però perfet-ti strumenti dimorte a fini terro-ristici. Ed è perquesta ragioneche è sempre piùalta l’attenzionedella comunitàinternazionale neiconfronti del bio-terrorismo.

In un ipotetico scenariocaratterizzato dall’uso di armi bio-logiche per attentati terroristici nonsi può prescindere dall’utilizzo diagenti patogeni oltre che per l’uo-mo anche per gli animali da reddi-to (agri-bio-terrorismo), approccioche potrebbe essere particolarmen-te pericoloso perché:• è relativamente sicuro per gli at-

tentatori;• è psicologicamente più accet-

tabile;

• ha un effetto subdolo la cui ori-gine è difficilmente provabile;

• è facile da organizzare;• colpisce un comparto partico-

larmente vulnerabile perché ilpatrimonio zootecnico nell’U-nione Europea e negli USA èmolto suscettibile alle più peri-colose malattie infettive per l’at-tuazione, ormai da anni, dicampagne di controllo che han-no sostanzialmente eliminato lestesse malattie infettive;

• determina ingenti danni econo-mici.Tra questi, sicuramente, ciò che

rende l’agri-bio-terrorismouno strumento digrande efficacia èsicuramente l’e-strema facilitànell’organizzareed effettuare unattentato perchégli organismi uti-lizzabili sono fa-cilmente reperi-bili sia in natura -

spesso endemici in aree sotto-sviluppate - sia sul mercato in-

ternazionale. In aggiunta a ciò, èimportante ricordare che non è pos-sibile implementare, nelle normaliattività di vigilanza aeroportuale, al-cun controllo volto a identificaremateriale di origine biologica clan-destinamente importato. Alla facili-tà di esecuzione si associa la possibi-lità di arrecare un danno economicoestremamente grave, caratterizzatoda fattori diretti, legati all’effetto del-l’agente patogeno sulla salute degli

Il rischio del bioterrorismo nelle produzioni animali

Paolo Pasquali, Maria Tollis e Agostino Macrì

Laboratorio di Medicina Veterinaria, ISS

L’utilizzo di agentipatogeni negli atti

terroristici è dovuto alla loro contagiosità

e persistenza

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animali, ma soprattutto da fattori in-diretti determinati dai vincoli sani-tari che regolano il trasporto e lacommercializzazione degli animali edei prodotti alimentari di origineanimale, cui sono sottoposti i variPaesi. Per chiarire tale concetto è suf-ficiente ricordare che nel 1993 siè verificata un’epi-demia di afta epi-zootica (Apthovi-rus, Picornaviri-dae), una malattiavirale estrema-mente contagiosache colpisce rumi-nanti e suini e as-sente da diversianni in Italia. Intale circostanza, sisono spesi circa 11 milioni diEuro per implementare unacampagna di controllo per contene-re la diffusione della malattia e rista-bilire lo status di indennità, ma alcontempo i costi indiretti, legati allatemporanea impossibilità di esporta-re prodotti carnei, hanno inciso peroltre 120 milioni di Euro. Più re-centemente, l’epidemia di afta che siè verificata in Gran Bretagna è co-stata 2,7 miliardi di sterline inglesi.

Nel corso della storia recente, inpiù di un’occasione si sono utilizzatiorganismi patogeni per gli animali alfine di colpire indirettamente l’uomo.In particolare, sia nella 1a che nella 2a

Guerra Mondiale, batteri del carbon-chio (B. anthracis) e della morva(Pseudomonas mallei) sono stati uti-lizzati in Europa per distruggere gliallevamenti di bovini ed equini equindi ridurre le possibilità di ap-provvigionamento e di movimento

delle truppe nemiche. È notoinoltre, che gliStati Uniti, l’exUnione Sovietica,la Germania, laGran Bretagna, ilCanada, il Giap-pone, la Cina el’Irak hanno avu-to fino a tempimolto recentiprogrammi di ri-cerca volti a uti-

lizzare organismi patogeni a sco-po bellico. In particolare, gli organi-smi che più facilmente si adattano aun impiego bellico o terroristico sonoquelli inseriti nella lista A e quelli del-la lista B a carattere zoonosico elabo-rate dall’Office International des Epi-zooties (OIE) (Tabella).

In questo scenario è fin troppofacile capire, quindi, come la rete delterrorismo internazionale possa fa-cilmente acquisire il necessarioknow-how e approvvigionarsi del ma-teriale necessario. Il delicato equili-brio socio-politico che esiste in alcu-ne aree del mondo rende disponibili,infatti, sia le necessarie risorse uma-

ne, sia i materiali di partenza per or-ganizzare un efficace attentato.

Se l’uso degli agenti eziologicidelle più importanti malattie deglianimali da reddito costituisce di persé un rischio enorme per la societàintera, ciò assume connotati ancorpiù drammatici se si considera lapossibilità che tali agenti possanoessere manipolati geneticamenteper conferire loro caratteri di resi-stenza nei confronti dei normalipresidi terapeutici (antibioticoresi-stenze) o di maggior patogenicità.

Di fronte a tale inquietante sce-nario sarebbe pertanto necessariopredisporre piani di intervento stra-tegici la cui attuazione tempestivapossa rappresentare una valida rispo-sta a un attentato. Tali interventi de-vono presupporre la disponibilità diadeguate scorte di vaccino, per quel-le malattie la cui profilassi immuniz-zante è praticabile e devono prevede-re sia la mobilitazione di un numerodi professionisti adeguatamente pre-parati che operano sul territorio perla gestione della crisi sia la disponi-bilità di risorse, dislocate sul territo-rio, atte a fronteggiare l’emergenza.Ciò perché è praticamente impensa-bile poter prevenire il rischio di at-tentati agri-bio-terroristici, ma è pos-sibile, e doveroso, qualora avvenisse-ro, ridurne drasticamente gli effettial fine di rendere vano il significatostesso dell’attentato.

Tabella - Agenti infettivi utilizzabili a fini terroristici

Agente Malattia Specie suscettibile* Lista OIE**

Apthovirus, Picornaviridae Afta Bovini, ovini, caprini, suini AEnterovirus, Picornaviridae Malattia vescicolare Suini AMorbillivirus, Paramyxoviridae Peste bovina Bovini AMorbillivirus, Paramyxoviridae Peste dei piccoli ruminanti Ovini, caprini AMycoplasma mycoides Pleuropolmonite contagiosa Bovini, ovini, caprini AOrbivirus, Reoviridae Blue Tongue Ovini ACapripoxvirus, Poxviridae Vaiolo ovino Ovini APestivirus, Flaviviridae Peste suina classica Suini AInfluenzavirus, Orthomyxoviridae Influenza aviare Polli ABacillus anthracis Carbonchio Bovini, equini, uomo BBrucella spp Brucellosi Bovini, ovini, suini, uomo BLyssavirus, Rhabdoviridae Rabbia Cane, uomo BPseudomonas mallei Morva Equini, uomo BFlavivirus, Flaviviridae Encefaliti equine Equini, uomo B

(*) Per le malattie inserite nella lista B si indicano solamente le specie più sensibili(**) Office International des Epizootics

Nella 1a e 2a

Guerra Mondiale sono stati utilizzatiorganismi patogeni

per gli animali al fine di colpire l’uomo

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emergenza antrace inItalia è iniziata con il ri-

lascio intenzionale di polveri so-spette nel sistema postale, a

ridosso degli episodi americani, sot-to forma di incivili e false emula-zioni: atti per lo più mirati a mole-stare sul piano emotivo singoli de-stinatari, ma che hanno scatenatoeffetti psicologici negativi a livellosociale, tanto che lo Stato è dovutointervenire anche con forti provve-dimenti di dissuasione.

L’emergenza ha rilanciato, coninteresse e tempestività, il problemadella sicurezza in laboratorio. Neilaboratori ospedalieri dove si sonoesaminati campioni clinici prove-nienti da soggetti venuti a contattocon polveri sospette si sono raffor-zati organici e sistemi di sicurezza,così negli Istituti Zooprofilattici enelle istituzioni similari, mobilitatinella gestione di tali polveri.

L’emergenza ha mobilitatol’attenzione di ricercatori chehanno avviatoprogetti per mi-gliorare sistemi disorveglianza econtrollo.

L’emergenzaha focalizzatol’attenzione sulbioterrorismo ne-gli animali: nelmese di ottobre del 2001 laCommissione europea per lasanità pubblica ha sottolineato i“considerevoli danni” che potreb-bero provocare attacchi con armibiologiche negli allevamenti o nelsistema alimentare. Gli esperti eu-ropei hanno sottolineato l’impor-tanza di creare un’agenzia comuni-taria per assicurare all’Europa “unareazione pronta e rapida”.

Il rilancio del problema sicurez-za nei laboratori microbiologici hariguardato aspetti diversi: persona-le, prodotti, ambiente di lavoro.

Sicurezza del personale si-gnifica salvaguardare la salute

dei lavoratori conmisure preventi-ve, onde evitarequalsiasi esposi-zione agli agentipatogeni: misureormai codificatenella legge626/1994 sullasalute dei lavora-

tori, che resta l’obiettivo prin-cipale di ogni sistema di sicurezza.Sicurezza dell’ambiente signi-

fica salvaguardare il microclimadell’ambiente di lavoro da conta-minazioni interne e nel contempoevitare dispersione di contami-

nanti nell’ambiente esterno, al-l’insegna dello slogan “don’t conta-minate in order to not decontami-nate”. Questo vale soprattutto perBacillus anthracis la cui eventualedispersione nell’ambiente esternorichiederebbe processi di deconta-minazione costosi e non sempre disicuro successo. Infatti, la sporamostra una resistenza ai disinfet-tanti 10 000 volte superiore aquella della forma vegetativa e puòconservarsi vitale per molti anni(> 80 anni). Il problematico risa-namento dei cosiddetti campi ma-ledetti ne è un esempio per il qua-le è stato accertato che nemmenoun lungo “vuoto biologico” puòassicurare un successo certo, mo-tivo per cui si ricorre alla vaccina-zione degli animali al pascolo nel-le zone dell’Italia dove il carbon-chio è enzootico.

Emergenza antrace e sicurezza in laboratorio

Franco Ciuchini e Rosanna Adone

Laboratorio di Medicina Veterinaria, ISS

L’emergenza ha portatoi ricercatori ad avviareprogetti per migliorare i sistemi di sorveglianza

e controllo

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I livelli di sicurezza in laborato-rio sono in rapporto al gruppodi rischio di appartenenza de-gli agenti patoge-ni, alle misure dicontenimento, allivello diagnosti-co o di studio, al-le procedure mi-crobiologiche, allivello tecnologi-co delle attrezza-ture, al grado diformazione del personale, aicarichi di lavoro, alle verifi-che di sicurezza.

Gli agenti patogeni sono rag-gruppati in base al grado di pato-genicità per l’uomo e per gli ani-mali, ai modi di trasmissione, aipossibili ospiti intermedi e alladisponibilità di trattamenti effi-caci. Il DLvo n. 626 del 19 set-tembre 1994 stabilisce 4 gruppidi rischio: 1°, 2°, 3° e 4°. B. an-thracis è inserito nel 3° gruppoperché è altamente patogeno pergli animali e per l’uomo, si tra-smette per via aerogena, per con-tatto e per via gastrointestinale ocon eventuali ematofagi, ed esi-stono trattamenti terapeutici (an-tibiotici) e misure preventive(vaccini) efficaci per l’uomo e pergli animali.

La sua patogenicità, legata allacapacità di produrre quasi semprela malattia a seguito del contagio, èdovuta all’azione combinata di unaesotossina e della capsula, prodottidalla forma vegetativa nel ciclo spo-ra-bacillo-spora.

Il contagio negli animali avvie-ne per lo più per via digerente, in-gerendo foraggi contaminati o pa-scolando nei cosiddetti “campimaledetti” con alto indice di con-taminazione. Nell’uomo, il conta-gio avviene per contatto o per ina-lazione di spore liberatesi nel cor-so della lavorazione di prodottiprovenienti da animali infetti (pel-li, lana, crini, sangue, carcasse),oppure rilasciate intenzionalmen-te nell’ambiente esterno.

Le misure di contenimento cor-relate ai gruppi di rischio ca-ratterizzano i livelli di sicu-

rezza dei labora-tori. In base alleloro caratteristi-che progettuali,dotazioni infra-strutturali, at-trezzature e mi-sure di conteni-mento essi sonoclassificati in la-

boratori di base, di sicurezza edi massima sicurezza.I laboratori di base hanno

i requisiti minimirichiesti per i li-velli di sicurezzaclasse 1a e 2a, pre-visti per lavorareagenti microbiciclassificati neigruppi di rischio1° e 2°, in cui so-no collocati a-genti con basso omoderato rischio per i labo-ratoristi e scarso o basso ri-schio per le comunità civili e pergli animali.

I laboratori di sicurezza hannoi requisiti minimi richiesti per il li-vello di sicurezza di classe 3a, pre-visto per lavorare microrganismidel gruppo di rischio 3° in cui so-no collocati agenti, come B. anth-racis, che presentano un serio ri-schio per i laboratoristi. Tali agen-ti possono propagarsi nelle comu-nità civili e negli animali, tuttaviasono disponibili efficaci mezzi pro-filattici e terapeutici.

I laboratori di massima sicurez-za hanno i requisiti minimi richie-

sti per il livello di sicurezzadi classe 4a, previsto per lavo-

rare microrgani-smi del gruppodi rischio 4° incui sono colloca-ti agenti che pro-ducono gravi ri-schi per i labora-toristi, che pos-sono trasmetter-si da un soggettoall’altro, sia in

comunità civili che negli ani-mali, e per i quali non sono dis-

ponibili efficaci trattamenti tera-peutici né misure preventive. In Eu-

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Il Bacillus anthracispuò essere trattato

farmacologicamente,sia negli animaliche nell’uomo,con antibiotici

In Italia l’emergenzaantrace ha avuto inizio

in concomitanzacon gli episodi

americani

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ropa, B. anthracis è collocato dalledisposizioni vigenti nel gruppo dirischio 3°, associato al laboratoriodi sicurezza di cui si riportano inTabella le specifiche misure di con-tenimento e i requisiti.

L’impatto dell’emergenza an-trace nel nostro Paese ha trovatoquesti laboratori impegnati in tut-t’altri obiettivi, poiché il carbon-chio in quest’ultimo ventennio eraquasi scomparso in campo medi-co, se non per qualche caso cuta-neo di tipo professionale. In cam-po veterinario sporadici focolai nelSud Italia e nelle Isole sono statisempre risolti con il supportodi laboratori di base. L’emer-genza non hatrovato imprepa-rati i servizi sani-tari, tuttavia harilanciato il pro-blema sicurezzain laboratoriotanto da deter-minare la revisio-ne obbligatoriadelle misure e deirequisiti racco-mandati in Tabella. I re-sponsabili delle istituzioni coin-

volte si sono attivati per il proble-ma sicurezza sul piano normativoe scientifico, proponendo in-terventi specifici: modifichedi adeguamentostrutturale; ac-quisto di labora-tori mobili di si-curezza 3a classe;adeguamento deiprotocolli di iso-lamento; messa apunto di tecni-che biomolecola-ri per le analisi di polveristerilizzate; progetti di ricerca sul-

la genotipizzazione; promo-zione di un centro di refe-

renza nazionaleper il carbon-chio ematico inveterinaria; au-mento degli or-ganici; forma-zione mirata delpersonale; con-vegni. Le misureprese sono stateanche condizio-nate da una for-

ma di psicosi collettiva che hacoinvolto esperti della sicurezza,

responsabili di laboratorio, micro-biologi. Le misure di contenimen-

to raccomandate in Tabellasono state rese obbligatorie

anche per gli au-mentati carichidi lavoro, per lamancanza di si-stemi mediciimmunizzantinel nostro Paese,e su richiesta de-gli stessi labora-toristi. Alcuni

istituti si sono organizzati conlaboratori mobili di sicurezza 3a

classe: unità strutturali trasporta-bili, complete di attrezzature anorma, autosufficienti per unadiagnosi convenzionale e moleco-lare, in pressione negativa.

L’emergenza ha prospettato unnuovo aspetto della microbiologiainfettiva, il bioterrorismo, che puòcolpire comunità civili e alleva-menti animali. E se tutt’oggi, inEuropa, l’emergenza antrace è sta-ta considerata falsa emergenza, nonbisogna abbassare la guardia poichéil bioterrorismo può colpire sem-pre, inaspettatamente, ovunque ecomunque.

Tabella - Laboratori microbiologici e livelli di sicurezza

Misure di contenimento e requisiti Livello sicurezza 3a classe

Ambiente di lavoro separato da altre attività nello stesso edificio RaccomandatoCondizionamento meccanico dell’ambiente, indipendente RaccomandatoAria immessa o estratta in zona di lavoro, filtrata con HEPA Sì, per l’aria estrattaAmbiente di lavoro sigillabile, per decontaminazione RaccomandatoSpecifiche procedure di disinfezione e sistemi di verifica SiControllo efficace dei vettori come roditori e insetti SìAmbiente di lavoro in depressione rispetto all’ambiente esterno RaccomandatoVestibolo a doppia porta per entrata RaccomandatoAccesso limitato alle persone autorizzate SìSimboli di rischio biologico all’ingresso SìMezzi di protezione personali SìSuperfici idrorepellenti per arredi e pavimenti SìDeposito sicuro per agenti biologici SìFinestra di ispezione per vedere gli occupanti nell’ambiente di lavoro RaccomandatoAttrezzature a norma di sicurezza SìCappe di sicurezza microbiologica, a flusso laminare, tipo II SìAutoclave a doppia apertura RaccomandatoMezzi e procedure per il trattamento dei rifiuti SìProcedure operative standard per tecniche microbiologiche RaccomandateTrattamento delle acque reflue Facoltativo

Anche se l’emergenzaantrace in Europa

è risultata una falsaemergenza non bisogna

abbassare il livellodi attenzione

In Italia il carbonchio

è quasi scomparsoin campo medico

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ella prima metà deglianni ’90 in seguito auna serie di analisi ef-fettuate negli Stati Uni-

ti dall’Institute of Medicine (IOM)e dai Centers for Disease Controland Prevention (CDC) di Atlantae, a livello internazionale, dall’Or-ganizzazione Mondiale della Sanità(OMS), è stato avviato un pro-gramma di strategia globale controle malattie infettive emergenti e ri-emergenti. Tale programma preve-deva, fra l’altro, il rafforzamentodella sorveglianza e l’organizzazionedi una rete di laboratori diagnosti-ci. Sempre nello stesso periodo,presso l’OMS fu avviata una proce-dura che si concretizzò nel 1995con la creazione di un posto per uf-ficiale medico della Sanità Militareitaliana presso la Divisione delleMalattie Trasmissibili dell’OMS,inaugurando con ciò una nuovastagione basata su un’alleanza per-manente civile-militare per la lottaalle malattie infettive. Queste, in-fatti, non conoscono frontiere négeografiche né di settori funzionalidella società, pertanto ogni risorsadeve essere messa a disposizione percollaborare al raggiungimento de-gli obiettivi concordati.

SANITÀ MILITARETale strategia collaborativa deve

essere pianificata e realizzata anchenella lotta alle malattie infettive chepossano occorrere quali conseguen-ze di un uso deliberato di agenti pa-togeni. Pertanto la Sanità Militare,che in molti Paesi del mondo colla-bora scarsamente con quella civile,talvolta perfino senza un regolare

scambio di informazioni sulle ri-spettive notifiche di malattie infet-tive, dovrebbe essere costantemen-te coinvolta in un piano strategicocomune basato sull’alleanza civile-militare, soprattutto in virù dell’e-sperienza che la Sanità Militare hatradizionalmente acquisito, in tut-to il mondo, nell’affrontare le ma-lattie infettive per le quali la collet-tività militare è a particolare rischio.Inoltre, in molti Paesi, soprattuttoin quelli in via di sviluppo, le infra-strutture militari sono miglio-ri rispetto a quelle civili. Ne-gli USA questomodello di profi-cua collaborazio-ne si è concretiz-zato in numeroseistituzioni, comei CDC, che sononati in ambitomilitare, o il Glo-bal Emerging In-fections System,recentemente organizzato inambito militare per volontàpresidenziale, con il compito di col-laborare con le autorità sanitarie ci-vili, nella lotta alle malattie infetti-ve, sia negli USA che a livello mon-diale. Inoltre, l’Esercito USA ha cu-rato la pubblicazione, nel 1997, delTextbook of Military Medicine, la cuiparte I è dedicata ai Medical Aspectsof Chemical and Biological Warfare.Infine, l’Istituto di Ricerca sulleMalattie Infettive dell’Esercito USAcura, tra le altre cose, la rivista Jane

di scienze strategiche che ha realiz-zato un Jane’s Chem-Bio Handbook,a conferma dell’impegno culturalesul problema delle armi chimiche ebiologiche del mondo militare ingenerale e della Sanità Militare inparticolare.

ORGANISMIINTERNAZIONALI

Gli strumenti giuridici interna-zionali nati per prevenire il possibi-le utilizzo di armi biologiche da

parte degli Stati sono il Pro-tocollo di Ginevra del 1925

(Protocol for theprohibition of theuse in war ofasphyxiating, poi-sonous or othergases and of bacte-riological methodsof warfare), en-trato in vigorenel 1928, di cui èdepositaria la

Francia e a cui aderiscono 132Stati e la Convenzione per le Ar-

mi Biologiche (Convention on theprohibition of the development, pro-duction and stockpiling of bacterio-logical (biological) and toxin weaponsand their destruction), entrata in vi-gore nel 1975, cui aderiscono 144Stati e di cui sono codepositari gliUSA, la Russia e il Regno Unito. LaConvenzione per le Armi Biologi-che è uno strumento sicuramenteutile per creare una diffusa coscien-za etica sul problema, ma larga-

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Il ruolo della Sanità Militare e degli organismi internazionali

nella lotta al bioterrorismo

Raffaele D’Amelio

Ministero dell’Aeronautica

La collaborazione, a livello internazionale,

tra Sanità Militare e quella civile si sta

sempre piùintensificando

Scenari e risposte

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mente insufficiente per la presso-ché totale assenza di sistemi intru-sivi di verifica, resa peraltro diffi-coltosa dalla possibilità del cosid-detto dual use, dall’assenza di san-zioni e da formulazioni giuridichenon sempre chiaramente espresseper vietare l’uso di agenti biologici.L’inefficienza della Convenzione èemersa chiaramente nella primametà degli anni ’90, relativamenteall’Iraq (Stato aderente alla Con-venzione, ma che aveva sviluppatoun programma offensivo di guerrabiologica pronto a essere utilizzatodurante la guerra del Golfo) e allaRussia (Stato codepositario dellaConvenzione fin dalla sua nascita,ma che aveva sviluppato e mante-nuto fino al 1992 un programmaoffensivo di guerra biologica). LaConvenzione viene sottoposta a re-visione ogni 4-5 anni, ma nel no-vembre 2001, dopo i disastrosi at-tentati dell’11 settembre, non è sta-to possibile raggiungere una posi-zione unitaria proprio a causa degliUSA, che malgrado così duramen-te colpiti dal bioterrorismo, si sonoopposti a un regime di verifiche piùintrusivo. La relativa inefficacia del-la Convenzione nel prevenire epi-sodi di guerra biologica è ancorapiù marcata nei confronti degli epi-sodi di bioterrorismo, che sfuggonoa qualsiasi logica di regolamenta-zione giuridica; in tali episodi uncerto deterrente può solo derivaredal potere sanzionatorio sviluppatoattraverso legislazioni nazionali eaccordi bilaterali o multilaterali fraStati ai fini di estradizione. La lot-

ta bioterroristica è infatti una lottaasimmetrica di piccole cellule, chehanno il vantaggio della sorpresa,contro importanti istituzioni, lequali generalmente risultano total-mente vulnerabili per l’effetto sor-presa.

Fra le organizzazioni interna-zionali che la Convenzione per leArmi Biologiche riconosce comepartner irrinunciabili sono rap-presentate l’OMS con sede a Gi-nevra, per la sorveglianza degliagenti biologici con effetto sul-l’uomo, l’Ufficio Internazionaleper le Epizoozie, con sede a Pari-gi, per la sorveglianza degli agentibiologici a tropismo animale, e in-fine la FAO, con sede a Roma, perla sorveglianza degli agenti biolo-gici a tropismo vegetale. L’OMS,nella seconda metà degli anni ’90,ha varato un progetto consistentenel coordinamento di un largonumero di scienziati appartenentialle diverse aree geografiche delmondo, con il compito di revisio-nare una pubblicazione OMS del1970: Health aspects of chemicaland biological weapons; tale revi-sione, circolata nel novembre2001 come prepublication issue,nella sua edizione finale rappre-senterà la guida per i governi perl’organizzazione di piani di prepa-razione e risposta a eventi di che-mio- o bioterrorismo.

Inoltre, in relazione all’art. 10della Convenzione, che prevede lapossibilità di scambio di materialie di know-how biotecnologico fra iPaesi aderenti - soprattutto dai

Paesi sviluppati verso quelli in viadi sviluppo - finalizzato all’appli-cazione pacifica, vi è ampia dis-cussione all’interno della comuni-tà internazionale se affidare talefunzione al Centro Internazionaledi Ingegneria Genetica e Biotec-nologie delle Nazioni Unite, consede a Trieste.

CONCLUSIONIIn conclusione, il ruolo della

Sanità Militare e delle organizza-zioni internazionali è fondamen-tale nel disegnare una strategia glo-bale e nazionale di preparazione erisposta a eventi di bioterrorismo,ma il successo di tale azione pre-ventiva può unicamente derivareda un’accurata attività di intelli-gence, eventualmente integrata, al-l’interno della sua struttura, dauna componente sanitaria specia-lizzata, in grado di cogliere tempe-stivamente i segnali sospetti nelsettore specifico.

Bioterrorism: preparedness and countermeasures

With, and probably more than, other health care professionals, microbiologists stay in the front line before the scourgeof bioterroristic attacks, of which we all fear the future scenarios yet suffering from recent experience with anthrax. Theirrole is not only making rapid and accurate diagnosis of even totally unknown pathogens but also to create an efficient, pos-sibly real-time responsive network of peripheral and central laboratories for only the integrated work of the network mayensure a prompt and efficient response. This issue of the Notiziario is in itself a seed, at the national level, of this strategy. Itsummarizes the contributions presented at a ISS Course on microbiological preparedness to bioterrorism, with obvious em-phasis on principal, mostly feared class A pathogens and a narrow deal of contributions on general aspects of preparednessand response. The seminal recent experience with hoaxes of anthrax attack in Italy and the particular role of the Military HealthSystem are also dealt with. It is hoped that these contributions are of value to and help microbiologists switch from “aware-ness to preparedness” to what we pessimistically but realistically foresee as a rather long fight against bioterrorism.

Special issue: in brief

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La Redazione del Notiziario

è a disposizione per accogliere commenti e suggerimenti e rendere

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Notiziariodell’Istituto Superiore di Sanità

Sistemi di sorveglianza sulle donazioni di sangue

in Italia

Problemi etici e ricerca dell’informazione

Nei prossimi numeri

EDITORIA SCIENTIFICA: PRODUZIONE E ORGANIZZAZIONE DI CONTENUTI INFORMATIVI

SU SUPPORTI TRADIZIONALI E IN INTERNETIstituto Superiore di SanitàRoma, 4-6 settembre 2002

Il corso intende offrire strumenti utili per organizzare le informazioni nei canali più appropriati alla lorodiffusione (articoli scientifici, rapporti tecnici, opuscoli informativi, diapositive e lucidi per presentazioniorali, poster, pagine web); saranno presentate e discusse le problematiche connesse all’affidabilità e al-la sicurezza dei dati in Internet e alla gestione del copyright, e saranno introdotti i principi di valutazio-ne della letteratura scientifica.

Direttori del corsoPaola De Castro e Franco Piccinno, Servizio per le Attività Editoriali, ISS

Segreteria scientifica

Elisabetta PoltronieriTel. 06 49902296, E-mail: [email protected]

Paola De CastroTel. 06 49902944; E-mail: [email protected]

Segreteria tecnica

Egiziana Colletta e Patrizia MochiTel. 06 49902943; E-mail: [email protected]

Per le iscrizioni al Corso consultare il sito dell’Istituto Superiore di Sanità:www.iss.it/formazione/index.htm


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