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R A S S E G N AR A S S E G N A D ID I B L O G L O B A LB L O G L O B A L
O S S E R V A T O R I OO S S E R V A T O R I O D ID I P O L I T I C AP O L I T I C A I N T E R N A Z I O N A L EI N T E R N A Z I O N A L E
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B l o G l o b a l W e e k l yB l o G l o b a l W e e k l y
W W W . B L O G L O B A L . N E T
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EGITTO - Mentre il governo prova a seguire i punti previsti dalla road map nominando i 50 saggi – rap-
presentanti della società egiziana e dei militari, delle forze di sicurezza e persino dei salafiti – incaricati
di redigere entro 60 giorni la nuova Costituzione, la quale dovrà poi essere votata attraverso un refe-
rendum costituzionale indetto dal Presidente ad interim Adly Mansour, nel Paese si susseguono inces-
santemente proteste e manifestazioni a favore del deposto Mohammed Mursi. Migliaia di manifestan-
ti antigovernativi sono scesi in strada in diverse città dell'Egitto contro “il regime imposto dai militari”. Due persone sono state
uccise in scontri tra sostenitori dei Fratelli Musulmani e residenti scoppiati a Damietta e Alessandria. Per prevenire ulteriori inci-
denti e con lo scopo di imbrigliare e indebolire l’operatività dell’Ikhwan, le autorità hanno esteso di quattro ore il coprifuoco impo-
sto lo scorso 14 agosto in undici governatorati del Paese (Cairo, Giza, Alessandria, Suez, Behera, Beni Suef, Qena, Assyut,
M O N D O - F o c u s
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Sohag, Nord e Sud Sinai) dove è più forte la presenza della Fratellanza. Intanto due avvenimenti rischiano di alimentare nuove
violenze: il giallo sullo scioglimento dei Fratelli Musulmani e il fallito attentato contro il Ministro degli Interni Mohammed Ibrahim.
Relativamente al primo problema, la notizia è circolata il 6 settembre attraverso Hani Mehana, portavoce di Ahmed al-Borai, Mini-
stro per gli Affari Sociali, il quale annunciava la decisione assunta dal suo Ministro di sciogliere la confraternita in base alla legge
che regola le ONG nel Paese. La notizia riportata dal giornale al-Akhbar é stata poi immediatamente smentita dal quotidiano di
Stato al-Ahram, il quale citava una fonte anonima del governo. L'ipotesi di scioglimento dei Fratelli Musulmani era già stata
avanzata dal Premier Hazem el-Beblawi il 17 agosto in risposta anche alle violenze nate dallo sgombero forzato dei sit-in islamisti
a Rabaa al-Adawiya e al-Nahda, ma alla fine dello scorso mese il Primo Ministro era tornato sui propri passi sostenendo che una
messa al bando dell'organizzazione avrebbe reso ancora più incerta la transizione. Tuttavia ancor più preoccupante, anche in
relazione alle potenzialità destabilizzanti, è invece il fallito attentato contro il Ministro degli Interni Mohammed Ibrahim, avve-
nuto la mattina del 5 settembre nei pressi della sua abitazione a Nasr City, zona Sud della capitale. Secondo le informazioni diffu-
se dal Ministero degli Interni non ci sarebbero state rivendicazioni per l’attentato che fortunatamente non ha causato morti ma
soltanto 21 feriti, di cui 4 in gravi condizioni. Ibrahim, subito dopo l’attentato, ha promesso il pugno di ferro contro i terroristi e ha
assicurato che l’Esecutivo riuscirà a sconfiggere l'estremismo. Immediata la condanna dei Fratelli Musulmani e degli altri partiti
islamisti, che hanno definito l’azione come “un atto di violenza atroce”; anche i vertici militari sembrerebbero escludere la pi-
sta legata ad una vendetta dell’Ikhwan o dei movimenti ad essa legati privilegiando piuttosto l’idea di un attentato terrorista/
jihadista. Il timore delle autorità egiziane è che le violenze finora relegate solo al Sinai – dove continuano le operazioni
dell’esercito contro i terroristi presenti nell’area, non ultima la controffensiva del 7 settembre nella zona tra il villaggio di Sheikh
Zuweyyd e Rafah, vicino al confine con la Striscia di Gaza, nel quale sarebbero stati uccisi almeno 30 jihadisti – possano espan-
dersi a macchia d’olio in tutto il Paese facendo rivivere all’Egitto la stagione degli attentati degli anni Novanta. L’attentato, che ha
alzato notevolmente il già alto livello di sicurezza nazionale, sta costringendo così il governo a dover cercare rapide ed incisive
contromisure per combattere il propagarsi del terrorismo jihadista verso l’entroterra egiziano. Ad ogni modo, per aumentare la
pressione dello Stato nel Sinai, é allo studio l’ipotesi di una zona cuscinetto di almeno 1 km al confine con la Striscia di
Gaza da dove, secondo le autorità, sarebbero giunti i terroristi dell’attentato a Nasr City. A dar manforte alle supposizioni dei mili-
tari ci sarebbero anche alcuni attacchi avvenuti lo scorso 31 agosto da parte di miliziani qaedisti ad un cargo cinese che attraver-
sava il Canale di Suez, check-point marittimo internazionale dal quale transitano il 5% dell’export petrolifero globale, 2,5 milioni di
barili giornalieri e l’8% del commercio mondiale. Sicurezza di Suez e della Penisola del Sinai rappresentano dunque una
priorità assoluta per le autorità militari cairote, ma anche dal punto di vista economico la messa in sicurezza del territorio rappre-
senta una necessità inderogabile: le entrate del Canale hanno contribuito con 2,4 miliardi di dollari all’economia egiziana nella
prima metà del 2013 e rappresentano circa il 10% delle entrate del Paese. Cifre, queste, che rappresentano un toccasana per le
ormai asfittiche casse del Cairo.
G-20 – Si è tenuto a San Pietroburgo, il 5 e 6 settembre l’ottavo vertice delle economie più indu-
strializzate al mondo. In agenda la situazione economica e finanziaria mondiale, gli investimenti, il
commercio, lo sviluppo e la riforma del sistema monetario e finanziario internazionale. Sebbene
l’Europa dopo tanti mesi non fosse al centro delle discussioni, secondo Christine Lagarde, Presidente
del Fondo Monetario Internazionale (FMI), la priorità assoluta dell’Unione Europea è il completamento dell'unione bancaria,
unico mezzo per avviare una forte ripresa del vecchio Continente. L'incertezza sul sistema bancario resta anche per i mercati
finanziari una delle ragioni di maggior inquietudine sulle prospettive dell'area Euro, dove la numero del FMI vede segnali di
stabilizzazione e di ripresa. Il G-20 è consapevole che la ripresa mondiale c'è, ma rischia di non essere sufficiente a generare
occupazione come anche dimostrato dai dati diffusi negli USA sui nuovi posti di lavoro: il tasso di disoccupazione è sceso ad ago-
sto ai minimi dal dicembre 2008, al 7,3%, mentre va sottolineata una diminuzione della forza lavoro. Nel mese scorso, infatti, i
posti di lavoro creati negli USA sono stati 169mila, mentre le previsioni indicavano un'attesa a 175mila. Se la crescita si è raffor-
zata negli Stati Uniti, in Giappone e nel Regno Unito e comincia a palesarsi anche in Europa, si indebolisce invece nei Paesi e-
mergenti. A tal proposito i BRICS, ammettono i problemi legati alle loro economie e si sono detti pronti a mettere in atto tutte
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quelle misure necessarie (investimenti infrastrutturali soprattutto) ad evitare le distorsioni in corso che frenano le rispettive cresci-
te economiche. Ad ogni modo il risultato più netto di questo ottavo G-20 è probabilmente il piano per la lotta all'evasione
fiscale e all'elusione da parte delle multinazionali, coordinato dall'OCSE, e il progetto di scambio automatico di informazioni
fra le autorità tributarie. Come recita lo statement finale del summit, rafforzamento della crescita e maggiore occupazione,
soprattutto per i giovani, rappresentano le priorità dell’agenda politica internazionale anche nei prossimi mesi. Inevitabilmente
durante il G-20 si è discusso anche del tema internazionale del momento, ovvero di un eventuale attacco militare a guida USA
contro la Siria alla quale la Russia, padrona di casa, si è dichiarata fermamente contraria, tanto da ipotizzare un’azione in difesa
del su alleato damasceno. Ma lo scontro tra i due giganti mondiali è continuato sulla difesa dei diritti civili come l’arresto
degli oppositori politici del Cremlino e la legge contro gli omosessuali votata dalla Duma nel giugno scorso. Tuttavia le maggiori
divisioni tra Mosca e Washington permangono sull’arcinoto affare Snowden, il tecnico informatico della National Security
Agency (NSA) talpa del caso Datagate che il 2 agosto ha ricevuto un asilo temporaneo dal governo russo. A tal proposito e se-
condo le ultime rivelazioni sul caso NSA, gli Stati Uniti avrebbero spiato sia il Presidente messicano Enrique Peña Nieto, sia la
sua omologa brasiliana Dilma Rousseff, quest’ultima molto irritata con la Casa Bianca tanto da voler annullare il suo viaggio previ-
sto per il mese prossimo a Washington.
SIRIA – La (già debole in realtà) speranza di trovare in extremis una soluzione diplomatica alla crisi
siriana nel corso del G-20 di S. Pietroburgo degli scorsi 5 e 6 settembre è stata, come da copione,
disattesa: non solo, infatti, nello statement finale non è stato inserito alcun riferimento alla possibile evo-
luzione del conflitto, quanto nelle stesse ore la Commissione esteri del Senato USA – con 10 voti a fa-
vore (tra cui quello del Senatore repubblicano McCain), 7 contrari (tra cui due democratici) e un astenuto – ha approvato la riso-
luzione che autorizza l’intervento americano contro il regime di Bashar al-Assad. Tale bozza, che prevede un intervento
della durata massima di 90 giorni (60 di missione, più un’estensione a discrezione del Presidente di ulteriori 30 giorni, previo via
libera del Congresso) e nessun utilizzo di truppe terrestri, sarà all'esame dell'Aula in Senato il 9 settembre e, se approvata,
verrà presentata alla Camera dei Rappresentanti (dove si stima che l’80% dei repubblicani sia contrario all’attacco) giorno 11, ma
non è detto che una votazione avverrà già lo stesso giorno. Obama si è detto fiducioso di una decisione favorevole: “Non è l'Iraq,
non è l'Afghanistan. Stiamo parlando di un raid limitato, proporzionato, che è un messaggio non solo ad Assad, ma anche ad altri
che potrebbero pensare di usare armi chimiche anche in futuro”. Sebbene, comunque, non vi sia ancora alcuna certezza su un
attacco USA in Siria, la mossa americana ha fatto tuonare Vladimir Putin che, dopo aver dichiarato che l’operazione america-
na dovrà ritenersi internazionalmente illegale senza l’autorizzazione dell’ONU (dove Mosca detiene il potere di veto in seno al
Consiglio di Sicurezza), ha aggiunto di essere pronto a sostenere ulteriormente militarmente il regime di Assad, adempiendo i
contratti per le forniture già stipulati con Damasco (a cominciare, evidentemente, dalle forniture dei famigerati missili S-300): se-
condo l’agenzia di Stato egiziana MENA, inoltre, dovrebbero giungere nel Mediterraneo altre tre navi da guerra russe, due
da assalto anfibio e una da ricognizione. La mobilitazione russa risponde peraltro all’avvio di esercitazioni militari congiunte tra
Israele e Stati Uniti: dopo alcune smentite, nella mattinata del 3 settembre, infatti, due missili (poi finiti nelle acque del Mediterra-
neo) probabilmente pensati per testare il sistema di difesa “Arrow-2” sono stati intercettati dai radar russi. Contemporaneamente a
quelle russe, anche due navi italiane - il cacciatorpediniere Andrea Doria e la fregata Maestrale – hanno lasciato il porto di
Taranto per posizionarsi a largo delle coste libanesi: scopo della missione, secondo quanto si è appreso, quello di tutelare le
truppe italiane della forza UNIFIL in caso di conflitto siriano. L’impegno italiano resta tuttavia oggetto di discussione: a fronte della
linea contraria assunta del Ministro degli Esteri Bonino – che ha peraltro annunciato lo sciopero della fame (a cui ha succes-
sivamente aderito anche il Ministro della Difesa Mauro) –, il Presidente del Consiglio Letta ha firmato il documento di condan-
na nei confronti del regime di Assad: la dichiarazione firmata da 12 Paesi (oltre all’Italia e agli USA anche Australia, Canada,
Francia, Giappone, Corea del Sud, Arabia Saudita, Turchia, Gran Bretagna, Spagna – che non è formalmente membro del G20
ma è un invitato permanente ai vertici – e Germania, quest’ultima accodatasi ai firmatari solo nella giornata del 7 settembre) al
termine dei lavori di S. Pietroburgo (ma che non può ritenersi a tutti gli effetti un documento prodotto in ambito G-20) non fa co-
munque riferimento all’esercizio militare in senso stretto benché ribadisca la necessità di una risposta internazionale
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all’utilizzo delle armi chimiche. I leader dei Paesi firmatari difatti riconoscono che il Consiglio di Sicurezza “resta paralizzato,
come lo è stato per due anni e mezzo” e che “il mondo non può aspettare infiniti processi falliti che possono portare solo maggio-
re sofferenza in Siria e l'instabilità regionale”, ragion per cui vengono sostenuti “gli sforzi intrapresi dagli Stati Uniti e altri
Paesi a rafforzare il divieto di uso di armi chimiche”. In cerca di una posizione comune sulla Siria, e in vista del Consiglio Eu-
ropeo di dicembre sulla Difesa europea, è soprattutto l’Unione Europea che, riunita a Vilnius per un vertice informale dei
Ministri degli Esteri, ha incontrato il Segretario di Stato USA Kerry. Il Capo della Diplomazia Catherine Ashton ha affermato la
necessità di una risposta forte e comune all’attacco chimico, ma, allo stesso tempo, ha accolto con favore la decisione di Hollan-
de di aspettare i risultati delle indagini dell’ONU prima di procedere con un’operazione militare. Un altro colpo, dopo quello della
bocciatura del Parlamento britannico, non da poco per gli Stati Uniti che nel frattempo hanno per ogni eventualità deciso di eva-
cuare tutto il personale non necessario dell’Ambasciata di Beirut, in Libano, e del Consolato di Adana, al confine turco-
siriano. Lo stesso Kerry, d’altra parte sembra rendersi conto delle difficoltà di operatività senza un pieno appoggio degli Stati eu-
ropei: nel corso dell’incontro con i rappresentanti della Lega Araba a Paigi, il Segretario di Stato ha asserito che la “soluzione
militare non esiste” e che lo scopo degli Stati Uniti è quello di dare un segnale per il rispetto delle norme internazionali sull’uso
delle armi chimiche. Infine, accogliendo la proposta di Hollande, Kerry non ha escluso che gli Stati Uniti torneranno a valutare
l’ipotesi di riproporre la questione in sede ONU.
M O N D O - B r e v i
AFGHANISTAN, 1 settembre – Il Presidente Hamid Karzai ha deciso un avvicendamento ai vertici del Ministero degli Interni, nomi-
nando come titolare di questo dicastero l'attuale Ambasciatore afghano a Islamabad, Mohammad Omar Daudzai, al posto di Ghu-
lam Mujtaba Patang sfiduciato lo scorso maggio dal Parlamento perché giudicato incapace di far fronte alla nuova offensiva tale-
bana in corso lungo il confine condiviso con il Pakistan. Il Capo dello Stato ha anche assegnato il posto di Vice Ministro al massi-
mo responsabile della polizia di Kabul, il Generale Ayoub Salangi. Si tratta della terza nomina all'incarico negli ultimi 12 mesi. Le
nomine di Daudzai e Salangi sono giunte un giorno dopo la scelta di Karzai di scegliere Rahmatullah Nabil, alto funzionario della
sicurezza nazionale, come capo ad interim dell’agenzia di intelligence afghana, la National Directorate of Security (NDS). Daudzai
e Nabil dovranno ottenere nei prossimi due mesi la fiducia parlamentare come previsto dalla Costituzione.
AUSTRALIA, 7 settembre – I conservatori guidati da Tony Abbott hanno vinto le elezioni parlamentari battendo nettamente i laburi-
sti del Primo Ministro uscente Kevin Rudd. Secondo i dati ufficiali comunicati dall’ufficio elettorale australiano, i conservatori con-
quistano 88 dei 150 seggi della Camera dei Rappresentanti (53,31%), mentre i laburisti solo 57 (46,69%). Come hanno notato
molti analisti australiani, più che per meriti propri, i conservatori hanno vinto per i demeriti dell’avversario. Il Labour australiano, al
potere da sei anni, ha pagato la scarsa credibilità interna determinata sia dall’aumento delle tasse – come la carbon tax che a-
vrebbe gonfiato i prezzi della bolletta energetica e impedito la ripresa industriale – necessarie per affrontare le ripercussioni della
crisi economica globale, sia per le forti divisioni al suo interno – nel 2010 Rudd era stato defenestrato dall’ala del partito che ave-
va portato al potere Julia Gillard, la prima donna Premier del Paese, la quale ha poi subito la medesima sorte lo scorso giugno
quando è stata sfiduciata da una mozione presentata dello stesso Rudd. Durante la campagna elettorale Abbott ha promesso
tagli pari a 42 miliardi di dollari australiani alle spese pubbliche e alle tasse – carbon tax e l’imposta sui profitti minerari –, investi-
menti infrastrutturali pari a 1,5 mld A$ nelle aree sub-urbane, l'adozione di una linea dura nei confronti dell'immigrazione clande-
stina, una netta riduzione degli attuali 4,5 mld A$ in aiuti esteri, nonché l'introduzione di un'indennità di maternità. Le sfide del
nuovo governo saranno il contenimento/competizione con la Cina, un maggiore allineamento agli Stati Uniti tranne che in politica
estera – Abbott ha dichiarato più volte un minor coinvolgimento militare del suo Paese nelle missioni internazionali come fu invece
in passato con l’Iraq e con l’Afghanistan –, mentre, in continuità con il precedente esecutivo, una linea dura sull'immigrazione, in
particolare su quella clandestina. Infine, nota più di colore che politica, svanisce il sogno di Julian Assange, rifugiato dal 19 giungo
2012 nell’Ambasciata dell'Ecuador a Londra, di entrare nel Parlamento australiano con il partito di Wikileaks: a lui nemmeno un
seggio.
COLOMBIA, 4-6 settembre – Da diverse settimane si susseguono nel Paese sudamericano violenti scioperi del settore agricolo e
minerario che ha prodotto decine di morti e alcune gravi ripercussioni anche a livello politico. Al centro delle rivendicazioni vi sa-
rebbero una richiesta di riduzione dei prezzi della benzina, maggiori sussidi all’agricoltura, la soppressione del Free Trade Agree-
ment che il Paese ha stipulato con gli Stati Uniti lo scorso anno e l’annullamento di tutte le politiche di privatizzazione promosse
da Santos, in particolare in campo agricolo ed energetico che favorirebbero le grandi multinazionali internazionali dell’alimentare e
del minerario a svantaggio dei produttori locali, poco tutelati dalle autorità di Bogotà. Le proteste - in alcuni casi fomentate dai
guerriglieri delle FARC (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia - Ejército del Pueblo) con cui le trattative di pace sono
attualmente in una fase di stallo - hanno indotto il Capo dello Stato non solo ad inviare truppe dell’esercito in ausilio alla polizia in
tutto il Paese, e in particolare nella regione di Caucasia (nel dipartimento nord-occidentale di Antioquia, dove le manifestazioni
sono state più violente), ma anche ad operare un sostanziale rimpasto di governo con la nomina di cinque nuovi Ministri nell'ambi-
to di un “governo di pace e unità”: Amylkar Acosta all’Energia, Aurelio Iragorri agli Interni, Alfonso Gomez Mendez alla Giustizia,
Ruben Dario Risaralde all’Agricoltura e Luz Helena Sarmiento allo Sviluppo territoriale. Invariati invece i dicasteri di Finanze, Dife-
sa ed Esteri dove sono rimasti Mauricio Cardenas, Juan Carlos Pinzon e Maria Angela Holguin.
COLOMBIA, 2 settembre – Sono scoppiate a Vukovar – città croata orientale teatro nel 1991 di una delle più sanguinose battaglie
tra Serbi e Croati durante la guerra per l'indipendenza di Zagabria da Belgrado – proteste e manifestazioni contro l’adozione del
bilinguismo. Decine di manifestanti appartenenti ad associazioni di veterani di guerra croati e organizzazioni di destra hanno pron-
tamente bloccato l’installazione dei primi cartelli riportanti entrambe le lingue, quella croata e quella serba, quasi identiche, ma
scritte la prima in caratteri latini e l'altra in cirillico. La questura locale ha anche dispiegato ingenti forze di polizia in tenuta anti-
sommossa per evitare possibili scontri. Già da alcuni mesi in diverse città della Croazia si sono svolte manifestazioni contro l'intro-
duzione del cirillico, alle quali avevano preso parte circa 40 mila persone, chiedendo che a Vukovar con una legge speciale fosse
proclamata una moratoria di almeno trent'anni sull'introduzione del bilinguismo. L’ipotesi di istituzionalizzare la lingua serba si è
difatti fatta più reale dopo i risultati del censimento del 2011, che hanno evidenziato come la città sia composta dal 57,4% di Croa-
ti e dal 34,9% di Serbi: la Legge costituzionale per i diritti delle minoranze etniche – peraltro in linea con le richieste dell’Unione
Europea – prevede l'istituzione obbligatoria del bilinguismo nel caso in cui un gruppo etnico conti più del 33% della popolazione di
un comune o di città. Nonostante le richieste della popolazione, il Premier Zoran Milanović ha garantito che a Vukovar verrà appli-
cata a pieno la legge.
MALI, 1 settembre – Torna a salire nell’Azawad, nel Nord del Paese, la tensione tra il Movimento Arabo dell'Azawad (MAA) e i
Tuareg del Movimento Nazionale di Liberazione dell'Azawad (MNLA), entrambe formazioni separatiste che lottano per l'indipen-
denza delle regioni settentrionali da Bamako. Dopo gli scontri dello scorso 19 agosto a Borj, nel Nord Est del Paese africano, nuo-
vi incidenti tra le due fazioni si sono avuti ad Infarag, villaggio a pochi chilometri dal confine algerino, dove sarebbero morte alme-
no quattro persone. Gli scontri tra le due fazioni opposte vanno avanti da prima dell’inizio dell’intervento francese del gennaio
2013 quando i Tuareg del MNLA erano uniti agli Arabi del MAA e ai gruppi di Ansar Eddine, di AQMI e del MUJAO, tutti uniti per
combattere contro Bamako. Tuttavia, il sopravvento dei gruppi radicali islamici, che avevano introdotto la sharia nei territori da
loro controllati distruggendo anche santuari sacri agli stessi Tuareg, aveva portato quest’ultimi ad abbandonare il fronte antigover-
nativo e ad appoggiare indirettamente la coalizione franco-africana nella lotta agli estremisti.
MESSICO, 2 settembre – Da giorni si registrano manifestazioni, anche violente, a Città del Messico contro le riforme strutturali nel
campo dell’educazione e dell’energia promosse dal Presidente Enrique Peña Nieto. Il sindacato degli insegnanti del CNTE
(Coordinadora Nacional Trabajadores de la Educación) ha criticato aspramente la decisione dell’esecutivo – divenuta nel frattem-
po legge lo scorso 4 settembre quando è stata approvata dal Senato federale – ritenendo la riforma iniqua e suscettibile di mette-
re a rischio la gratuità del sistema educativo nazionale. La nuova normativa, infatti, mira a interrompere una tradizione che con-
sentiva ai docenti di vendere il loro posto di lavoro o di trasmetterlo in eredità ai loro figli, favorendo invece un sistema meritocrati-
co basato su test e verifiche ai docenti. Ma a far più clamore è la possibile privatizzazione della cassaforte di Stato PeMex
(Petróleos Mexicanos) attraverso una riforma che dovrebbe aprire a investitori esteri nel settore dell’energia (tra i più interessati
ad un ingresso nel mercato messicano sarebbero i cinesi della CNPC). In pratica il Messico sta ripercorrendo il processo inverso
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fatto dall’Argentina con il caso YPF-Repsol del 2012. Secondo Andrés Manuel López Obrador, l’ex candidato delle sinistre alle
presidenziali 2012, la riforma non sarebbe altro che una “svendita della compagnia petrolifera nazionale agli speculatori stranieri”.
D'altra parte i conti della PeMex sono in rosso da tempo e negli ultimi dieci anni ha ridotto del 30% i suoi utili. Il nuovo progetto,
nonostante preveda di mantenere la proprietà delle risorse del sottosuolo, il controllo e la regolamentazione delle attività di esplo-
razione, stabilisce anche la possibilità di offrire contratti di sfruttamento delle riserve petrolifere alle compagnie internazionali. Gra-
zie a questi capitali esteri, il governo potrebbe finanziare progetti di esplorazione delle riserve di shale gas e shale oil nelle acque
del Golfo del Messico. La compagnia PeMex fu creata dopo l’esproprio pubblico dal Generale Lázaro Cárdenas (18 marzo 1938)
che si schierò a fianco dei lavoratori messicani del settore che lottavano per l’aumento dei salari e maggiori diritti contro gli allora
proprietari anglo-americani. Secondo un recente sondaggio del quotidiano messicano La Jornada, il 77% della popolazione ritiene
sbagliata la scelta del governo di privatizzare PeMex.
PAKISTAN, 5 settembre – Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha dato il via libera alla concessione di un prestito al Pakistan
da 6,7 mld di dollari per il rafforzamento di misure volte allo sviluppo e alla crescita economica. Islamabad, già esposto con il FMI
per altri cinque miliardi di dollari, otterrà quest'anno 540 milioni che saranno utilizzati per onorare parte del forte debito estero con-
tratto in passato. L’accordo, ad un tasso agevolato del 3% per i prossimi tre anni, è stato raggiunto dopo due settimane di intensi
negoziati tra una delegazione del FMI guidata da Jeffrey Franks e una pachistana capitanata dal Ministro delle Finanze Ishaq
Dar. Tra le misure che il Pakistan dovrà garantire vi sono tagli ai sussidi statali nel settore dell’energia, una riforma del settore
pubblico, l’abbassamento del deficit fiscale a un livello più sostenibile (dall’attuale 9% del PIL al 6%), un generalizzato aumento
delle imposte, un piano di privatizzazioni e grandi investimenti nel ramo dei trasporti. Obiettivi di queste misure sono la stabilizza-
zione economica, il rafforzamento della crescita e la protezione sociale per le fasce più povere. Nonostante le rassicurazioni di
Ishaq Dar e del Premier Nawaz Sharif, sono in tanti a temere che le dure misure imposte dal FMI potrebbero rendere il Paese
ancora più instabile socialmente. Intanto a Rawalpindi, quartier generale delle forze armate pakistane e sede del tribunale nazio-
nale antiterrorismo, l'ex Presidente Pervez Musharraf – dall'aprile scorso agli arresti domiciliari – è stato incriminato in base a tre
diversi capi di accusa (omicidio, cospirazione e favoreggiamento), per l'assassinio nel dicembre 2007 di Benazir Bhutto, leader
del Partito Popolare Pachistano (PPP) e due volte Primo Ministro. Come spiegano i media nazionali, il processo potrebbe prende-
re il via a breve e, se condannato, Musharraf potrebbe subire l'ergastolo o la pena capitale. L’ex Presidente è coinvolto anche in
altri processi penali, fra i quali quello a Quetta, in Balucistan, per l'assassinio del leader separatista Akbar Bugti.
SOMALIA, 3 settembre – Il Presidente somalo Sheikh Hassan Mohamud è scampato ad un’imboscata tesagli dai ribelli al-Shabaab
mentre viaggiava in auto nei pressi di Merka, nel piccolo insediamento di Buffow, città a un centinaio di chilometri dalla capitale
Mogadiscio. Non si tratta del primo attentato ordito ai danni del primo Capo di Stato riconosciuto dalla comunità internazionale dal
1991: già nel settembre dello scorso anno, a poche ore dalla sua elezione, Mohamoud era stato oggetto di un attacco avvenuto
nei pressi di un hotel della capitale insieme con il Ministro degli Esteri keniano, Sam Ongeri. Nonostante alcuni passi in avanti
nella lotta al terrorismo – come per esempio l’arresto nel corso dell’estate di uno dei leader degli al-Shabaab, Hassan Dahir A-
weys – e il rafforzamento della presenza delle Nazioni Unite sul territorio grazie all’avvio di una nuova missione di assistenza
(UNSOM), le istituzioni sono ben lontane dal consolidamento, soprattutto se ci si sposta fuori dalla capitale. Un Rapporto di moni-
toraggio dell’ONU dello scorso luglio stima che gli al-Shabaab, gruppo terroristico affiliato ad al-Qaeda, contino circa 5mila unità e
rappresentino ancora la maggior minaccia alla sicurezza nazionale nonostante al loro interno si stiano profilando spaccature e
abbiano perso il controllo di numerose zone nel sud del Paese: lo dimostrano non solo gli attentati al Presidente, ma anche
l’attacco dello scorso 19 giugno al principale sito dell’UNDP (Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite) a Mogadiscio in cui sono
rimaste uccise 15 persone e quello contro l’Ambasciata turca del 27 luglio in cui hanno perso la vita tre persone e altre 9 sono
rimaste ferite.
SUDAN/SUD SUDAN, 3 settembre – A poche ore dalla scadenza dell’ultimatum lanciato dal Presidente sudanese Omar al-Bashir
circa la chiusura degli oleodotti che conducono il petrolio dal Sud Sudan verso le raffinerie del Mar Rosso, il Presidente sudsuda-
nese Salva Kiir si è recato in visita a Khartoum per tentare di ricucire l’ennesimo scontro diplomatico dal sapore come sempre
bellico. Infatti, nonostante l’accordo di marzo avesse riavviato i flussi di greggio, l’ultima questione scoperta restava la tariffa del
trasporto: il prezzo richiesto dal Sudan era di 32 dollari al barile, contro uno soltanto proposto dal Sud Sudan. La mancanza di un
accordo ha di fatto riacceso anche le tensioni di confine: Bashir ha lanciato a Juba un ultimatum di 60 giorni entro cui rinunciare a
sostenere i ribelli sudanesi che operano ai confini tra i due Stati, pena la chiusura degli oleodotti. Una mossa del tutto speculare a
quella messa in atto dal Sud Sudan nel 2012, quando Juba interruppe l’erogazione del petrolio perché Khartoum armava le milizie
tribali antigovernative ed aveva mandato il suo esercito ad occupare i territori contesi, ad iniziare dalle ricche regioni petrolifere. In
questo ennesimo incontro i due Presidenti hanno pertanto ribadito la volontà di aprire una nuova pagina di relazioni diplomatiche,
iniziando dall’istituzione di un organismo comune guidato dai due Ministri degli Esteri che si occupi di coordinare l'azione di più di
30 comitati che si occupano di questioni bilaterali: non solo rendite petrolifere, sicurezza e cittadinanza, ma anche lo stallo politico
sulla ricca zona petrolifera di frontiera di Abyei che viene rivendicata da entrambi i Paesi.
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A N A L I S I E C O M M E N T I
SIRIA: ATTACCO IN STAND-BY
di Maria Serra – 3 settembre 2013
Sfumata nel corso dell’estate qualsiasi possibilità di portare le maggiori diplomazie internazionali al
tavolo dei negoziati di Ginevra, il conflitto siriano è entrato in una nuova fase all’indomani
dell’annuncio da parte dei ribelli dell’utilizzo di armi chimiche – prontamente smentito da Damasco – da
parte del regime di Assad. Il bombardamento con gas nervini – tra cui anche il sarin – sarebbe
stato compiuto nelle prime ore del 21 agosto nelle aree del Ghouta orientale (regione ad est della
capitale) in mano ai ribelli e, precisamente, nelle località di Ayn Tarma, Zamalka, Hamuriya, Arbin, Saqba, Kfar Batna e Duma, e
a sud della stessa Damasco, a Daraya e Muaddamiya. Un video diffuso dagli attivisti non lascerebbe adito a dubbi circa il bilancio
dell’attacco: oltre 1300 morti per i gruppi di opposizione, cifra rivista al ribasso – ma ugualmente significativa – dalle organizzazio-
ni umanitarie presenti sul territorio. Per quanto il dibattito sull’utilizzo delle armi non convenzionali in Siria sia in corso da
mesi visto che già nel comunicato del 12 giugno del vice consigliere per la sicurezza nazionale USA Benjamin Rhodes si parlava
di uso di armi chimiche su scala ridotta in almeno quattro occasioni – cosa che ha peraltro indotto Obama a firmare il decreto che
ha consegnato alla CIA il compito di occuparsi del coordinamento dell’invio di armi ai ribelli –, l’episodio del 21 agosto ha
posto la comunità internazionale di fronte alla necessità di dare un seguito al monito lanciato la scorsa estate sulla “red line” che il
governo di Damasco non avrebbe dovuto oltrepassare e ha avviato il conto alla rovescia per un’operazione militare la cui ap-
provazione è stata rinviata al Congresso USA. [continua a leggere sul sito]
CASO MARÒ: RC-04/2013/NIA-DLI: UNDER INVESTIGATION
di Francesca Palermo – 4 settembre 2013
Il 21 agosto sulla stampa indiana torna alla ribalta nel suo aspetto più squisitamente diplomatico il caso
che vede contrapposte India e Italia. Pare che l’Italia abbia rifiutato di inviare in India per essere
sentiti come testimoni dagli agenti della NIA i quattro fucilieri di Marina che il 15 febbraio 2012
scortavano il Mercantile Enrica Lexie al largo delle coste indiane insieme ai colleghi Girone e Latorre da
mesi – ormai – trattenuti in India in attesa di giudizio. Nel tentativo di ricostruire quanto più fedelmente
possibile i fatti occorre scorrere rapidamente le notizie pubblicate dai quotidiani indiani tra il 9 e il 12 agosto scorso. E’ in quei gior-
ni che la stampa indiana riporta l’attenzione sulle risultanze delle indagini condotte sul caso dei Marò italiani – conosciuto presso
le autorità indiane come caso RC-04/2013/NIA-DLI dopo che la Suprema Corte indiana nell’aprile 2013 ne ha ritenuto compe-
tente per le indagini la National Agency Investigation (in seguito NIA), istituita nel 2008 a seguito degli attentati terroristici di
Bombay (di non scarso rilievo il fatto che leggendo il preambolo dell’Atto istitutivo, ma anche visitando il sito web della NIA nella
sezione vision and mission, risulta evidente la vocazione antiterroristica dell’Agenzia). continua a leggere sul sito]
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BALLETTO (DI VOTI) A WESTMINSTER: MA A FESTEGGIARE SONO MOSCA E DAMASCO
di Matteo Guillot – 5 settembre 2013
Il 1782 rappresenta un anno sonnacchioso e piuttosto anonimo nella Storia. In Francia i fratelli Mon-
tgolfier fanno volare il primo pallone aerostatico, nell’America fresca di indipendenza apre i battenti la
prima banca commerciale e l’Italia unita è ancora lontana. Dallo scorso giovedì 29 agosto a Londra,
invece, il 1782 è il parametro che definisce le dimensioni della catastrofe politica che si è abbattuta
inaspettata su Westminster ed il numero 10 di Downing Street: è da allora infatti che una mozione circa un intervento militare
presentata da un Primo Ministro inglese non veniva respinta dalla House of Commons. In brevissima sintesi: giovedì 29 agosto la
camera “bassa” del Parlamento inglese (a maggioranza conservatrice) ha votato contro l’azione militare britannica in
Siria, proposta del Primo Ministro (conservatore) David Cameron in risposta all’utilizzo di armi chimiche nel Paese mediorien-
tale. In Italia, Paese erede del trasformismo e figlio dell’8 settembre, non sorprende che un simile risultato non faccia notizia in un
caldo pomeriggio di fine estate in cui i media nostrani sono ossessivamente concentrati sulle penose vicende di politica interna.
Ma il voto del 29 agosto restituisce all’Europa e al mondo un Regno Unito disorientato ed in profonda crisi di identità. [continua
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BloGlobal Weekly N° 25/2013 è a cura di Maria Serra e Giuseppe Dentice
L E V I G N E T T E D I B L O G L O B A L
di Luigi Porceddu