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Capital Asset Pricing Model e Three-Factor Model. Un’analisi empirica sul mercato azionario italiano F. Bruni, D. Campisi, F. Rossi.* * Dipartimento di Ingegneria dell’impresa “Mario Lucertini”- Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” -, Viale del Politecnico 1, 00133 Roma Corresponding author: Domenico Campisi e-mail [email protected] JEL Classification: G1; G11; G12. Parole chiave: mercato finanziario; scelte di portafoglio: decisioni di investimento; asset pricing.
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Capital Asset Pricing Model e Three-Factor Model. Un’analisi empirica sul mercato

azionario italiano

F. Bruni, D. Campisi, F. Rossi.*

* Dipartimento di Ingegneria dell’impresa “Mario Lucertini”- Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” -, Viale del Politecnico 1, 00133 Roma Corresponding author: Domenico Campisi e-mail [email protected] JEL Classification: G1; G11; G12. Parole chiave: mercato finanziario; scelte di portafoglio: decisioni di investimento; asset pricing.

1

Introduzione

La stima del costo del capitale azionario, o in alternativa il rendimento atteso dagli azionisti, rappresenta uno dei temi più dibattuti nell’ambito della Teoria della Finanza. I diversi modelli di stima, riconducibili alla teoria oggettivistica del costo del capitale1, hanno trovato nella letteratura finanziaria anglosassone in generale, e statunitense in particolare, ampio spazio, alimentando il dibattito sul piano teorico ed empirico.

Un contributo determinante in tal senso è ascrivibile ad Harry Markowitz (1952), padre della Modern Portfolio Theory, il quale ha fornito un inquadramento teorico dell’analisi rischio – rendimento. L’autore, postulando l’avversione al rischio da parte degli investitori, pose le basi per l’individuazione delle due variabili considerate nelle decisioni di investimento: il rendimento atteso e la varianza, o la deviazione standard, del titolo.

Sulla base degli studi di Markowitz, Sharpe (1964), Lintner (1965) e Mossin (1966), indipendentemente, elaborano il Capital Asset Pricing Model, un modello che stima il rendimento atteso del titolo, o rendimento di equilibrio del mercato, in funzione del rischio dell’investimento. In altri termini, il CAPM assumendo un contesto caratterizzato da efficienza informativa, assenza di costi di transazione, orizzonte monoperiodale, omogeneità di aspettative, presenza di titoli a rischio nullo – risk free rate -, etc., indica il trade

1 Il costo del capitale può essere indagato da due prospettive. La prima, più di natura

microeconomica, considera il costo opportunità del capitale e, quindi, il rendimento delle attività rischiose, sottolineando di fatto la remunerazione richiesta dal mercato in equilibrio; tale versione si sviluppa attorno alla teoria del portafoglio. La seconda, più aziendalistica, riguarda l’utilizzabilità dello stesso come tasso di sconto nell’analisi dei progetti di investimento in capitale fisso. In tale circostanza, il tasso di sconto misura il costo opportunità del capitale azionario e viene impiegato come tasso soglia nella selezione dei progetti. Intorno a queste due chiavi di lettura si sviluppano i due metodi più comuni ed impiegati nella stima del costo del capitale azionario: il CAPM, con i modelli di pricing in generale, e il modello di Gordon. Quest’ultimo, in particolare, è da ricondurre alla teoria soggettivistica del capitale le cui basi teoriche sono ascrivibili a Fisher (1930), Williams (1938), Durand (1952), Gordon e Shapiro (1956), Modigliani e Miller (1958), che hanno offerto un contributo determinante alla sviluppo dell’economia finanziaria. Modigliani e Miller, in particolare, sviluppando la II Proposizione del loro Teorema, sulla relazione lineare tra leverage e valore dell’impresa espressa dal premio per il rischio finanziario, propongono in realtà una sorta di ”anticamera” del CAPM. Il modello di Gordon e Shapiro stima il costo del capitale azionario considerando i dividendi futuri dell’impresa. In formula: r = d/p + g, dove d/p è il rapporto dividendo prezzo, o dividend yield, g il tasso di crescita dei dividendi, e r il tasso di rendimento atteso.

2

off tra rischio e rendimento. Nel modello in parola assumono importanza tre variabili: il tasso di rendimento dei titoli di Stato, o risk free rate, il coefficiente di rischio sistematico, beta, e il premio atteso per il rischio.

Benché alcune delle ipotesi sottostanti appaiano lontane dalla realtà, quali ad esempio la possibilità di prendere e dare a prestito senza limiti allo stesso tasso risk free, l’assenza di imposte, ed altre, il CAPM è stato negli ultimi quarant’anni oggetto di vivace dibattito nell’ambito dell’economia finanziaria. I primi test di verifica del Capital Asset Pricing Model furono effettuati da Sharpe (1966) e da Jensen (1967) sui fondi comuni di investimento con risultati confortanti. Tuttavia, l’ipotesi di prendere e dare a prestito senza limiti allo stesso tasso risk free appariva poco aderente alla realtà; per superare tale ostacolo, e contestualmente agevolare la verifica empirica, Black (1972) studia una variante al modello nota come “zero beta model”. Tale modifica prevede la sostituzione dell’attività risk free con un’altra attività, titolo o portafoglio, non correlata con il mercato.

Black, Jensen e Scholes (1972) effettuano una verifica empirica dimostrando che i risultati ottenuti pur non rispecchiando pienamente le attese della versione classica del CAPM sono in linea con il CAPM zero beta. A conclusioni analoghe giungono Fama e MacBeth (1973) che considerano i risultati conseguiti, soddisfacenti e più coerenti con il modello zero beta.

Nel corso degli anni il CAPM ha subito numerose critiche e l’idea che il beta non fosse l’unico fattore in grado di spiegare i rendimenti dei titoli azionari, ha preso sempre più corpo. Se dalle prime evidenze empiriche, attuate mediante il market model, è emersa la linearità tra rischio e rendimento, le successive verifiche hanno rilevato l’incapacità del beta nell’esprimere tale relazione. In quest’ottica si inquadra l’Arbitrage Pricing Theory, sviluppata da Ross (1976) e Roll (1977), la quale evidenzia che i fattori che intervengono nella determinazione dei prezzi azionari sono molteplici. L’APT, pur non indicando esplicitamente tali fattori, riconosce un ruolo chiave ad alcune variabili macroeconomiche tra cui il prezzo del petrolio, il tasso di inflazione, i tassi di interesse, il PIL, etc.

Le numerose anomalie empiriche scaturite dalla non perfetta linearità della relazione rischio – rendimento, hanno fatto sospettare dell’esistenza di altri fattori che probabilmente influiscono più incisivamente sui rendimenti dei titoli azionari. Banz (1981), ad

3

esempio, è stato il primo ad evidenziare che la variabile dimensione è maggiormente in grado di interpretare il tracciato teorico del CAPM; egli rileva la presenza di una relazione negativa tra size e rendimenti.

Fama e French (1992) dimostrano che il beta, quale variabile esplicativa della relazione rischio – rendimento, non cattura appieno tutti i fattori di rischio. I due autori sviluppano il modello a tre fattori, o three-factor model, attraverso il quale evidenziano che il premio per il rischio dipende sia dal fattore di mercato, così come enunciato dal CAPM, che da altri due fattori: la dimensione della società e il rapporto tra valore contabile e valore di mercato. Secondo i due autori, l’evidenza empirica dimostra come il modello a tre fattori riesca a spiegare meglio i rendimenti dei titoli azionari.

Nel nostro Paese sia il CAPM che i modelli di pricing in generale hanno trovato scarsa applicazione in letteratura, probabilmente a causa della ridotta dimensione del nostro mercato azionario. Per quanto riguarda il CAPM, ad esempio, la verifica più estesa risulta, a conoscenza di chi scrive, quella di Caprio (1989) che considera un orizzonte temporale di circa quarant’anni2; i risultati conseguiti sembrano in linea di massima avvalorare la tesi del modello. Per l’applicazione del modello Fama – French, invece, si sottolinea lo studio di Fidanza (2001) i cui risultati in parte contrastano con il modello originale, e il lavoro di Cavaliere e Costa (1999) che confermano la validità del three-factor model.

Obiettivo del presente lavoro è verificare se i modelli di pricing testati sul mercato statunitense possano trovare delle conferme anche sul mercato azionario italiano. A tale scopo si indaga sulla validità del CAPM considerando un orizzonte temporale di oltre trent’anni, 1973 – 2005, suddiviso in 5 sottoperiodi, su un campione che varia da un minimo di 39, per il periodo 1973-1986, fino ad un massimo di 109 titoli quotati a Piazza Affari. Successivamente si osserverà anche il comportamento del three-factor model su un periodo più breve. Lo scopo è, in ultima istanza, quello di indagare sulla validità di entrambi i modelli.

2 Un altro studio che abbraccia un periodo molto esteso (1950-1995) è quello di Barontini

(1997) il quale indaga sulla relazione tra rendimenti ed alcune variabili fondamentali tra cui il fattore size.

4

1. Il Capital Asset Pricing Model

I primi studi sul trade off rischio-rendimento risalgono ad Harry Markowitz (1952) le cui ricerche sono da tutti considerate la “pietra miliare” della Modern Portfolio Theory3. Il ragionamento su cui si basa l’analisi Markowitz è in realtà molto semplice. Gli investitori oltre al desiderio di ottenere alti rendimenti sono per natura avversi al rischio e pertanto l’atteggiamento più logico, e razionale, che possano adottare è quello di attuare una efficace politica di diversificazione degli investimenti per ridurre il rischio.

I tassi di rendimento del titolo (1) e del portafoglio (2) sono dati da:

1

1

−−=

t

ttt P

PPR

(1) e 0

01

WWW

rp−

= (2)

dove Pt-1 è il prezzo pagato per acquistare il titolo all’inizio del

periodo, e Pt è il valore di mercato alla fine del periodo comprensivo del rendimento generato dal titolo durante il periodo, 0W è il prezzo di acquisto aggregato al tempo t =0 dei titoli contenuti nel portafoglio, e

1W è il valore aggregato di mercato al tempo t =1, oppure indica il pagamento aggregato tra il tempo t =0 e il tempo t =1 ottenuto dai possessori dei titoli. Secondo Markowitz, l’investitore valuta, e poi sceglie, ciascun portafoglio in funzione del tasso di rendimento ad esso associato, e distribuito casualmente, che a sua volta dipende dal valore atteso e dalla deviazione standard. I rendimenti attesi e le deviazioni standard osservate per ciascun portafoglio rappresentano gli unici due fattori discriminanti tra consumo attuale e differito4.

Il rendimento atteso di un portafoglio è dato da:

3 H. Markowitz, “Portfolio Selection”, in Journal of Finance, Vol. VII, n.1, March 1952, pp.

77-91. 4 L’approccio di Markowitz (1952) descrive, a ben vedere, la massimizzazione dell’utilità

attesa della ricchezza. L’autore prendendo spunto dagli studi di Milton Friedman, sviluppa la teoria delle preferenze tra il consumo attuale del reddito e quello differito nel tempo delineando la funzione d’utilità di ciascun investitore.

5

( ) ( ) i

n

iip WrErE *

1∑

=

= (3)

dove )( irE misura il rendimento atteso del titolo i e iW il peso

dell’attività i sull’intero portafoglio. Le assunzioni nel modello di Markowitz sono: a) orizzonte

temporale uniperiodale e unico per tutti gli investitori rispetto al quale massimizzano l’utilità attesa del rendimento del loro portafoglio; b) operatori razionali e di conseguenza avversi al rischio, c) che selezionano il loro portafoglio in base al rendimento medio atteso e alla varianza attesa. Il limite di tale teoria è di non considerare l’esistenza di attività prive di rischio.

James Tobin (1958) considerò la possibilità di investire in attività prive di rischio e di indebitarsi al medesimo tasso. Indicando con n il titolo risk free, con nx il peso del titolo risk free nel portafoglio (e quindi 1-n è il peso nel portafoglio del titolo rischioso), con fR il

rendimento del titolo risk free e con rR il rendimento del titolo rischioso, il rendimento atteso di portafoglio è pari a:

)1(*)()( nRERxRE rfnp −+= (4)

Per semplificare il modello si postularono ipotesi più forti in

aggiunta alle precedenti, e precisamente: d) nessuna restrizione per gli investitori nel prendere o dare in prestito denaro al tasso risk free, e) aspettative omogenee da parte degli investitori sui valori attesi dei rendimenti, sulle varianze e covarianze dei rendimenti dei titoli e quindi identica percezione sulle prospettive di ogni singolo titolo e, conseguentemente, sull’intero portafoglio, f) assenza di imposte e di imperfezioni dei mercati.

In presenza di attività risk free, che possono essere acquistate o vendute allo scoperto, la frontiera diventa lineare.

In relazione a queste ipotesi aggiuntive, Sharpe (1963) elabora il Single Index Model o Market Model5, che esprime la linearità tra rischio e rendimento. Sharpe ebbe la brillante intuizione di osservare

5 W.F. Sharpe, “A Simplified Model for Portfolio Analysis”, in Management Science, Vol.

9, N. 2, January 1963, pp. 277-293.

6

che 1) esiste un portafoglio dato dalla sommatoria di tutti i portafogli degli individui, 2) che tali portafogli essendo efficienti implicano che il portafoglio di mercato sia efficiente, 3) e che sulla retta tangente alla “curva di Markowitz” che unisce il tasso dell’attività risk free ( fR ) al portafoglio (M), sulla frontiera efficiente, si otteneva la combinazione migliore in concomitanza di M e, pertanto, in equilibrio tutti i titoli, o portafogli, finiranno lungo la retta fR - M chiamata Capital Market Line 6. Tale relazione può essere descritta da due valori: il prezzo del consumo immediato (il tasso di interesse puro o risk free) e il prezzo per la riduzione del rischio.

L’equazione del Capital Market Line può essere scritta nel seguente modo:

MeM rpE σ+= (5)

laddove p è il tasso di interesse puro e re il prezzo della riduzione

del rischio, per i portafogli efficienti.

6 W. F. Sharpe, Portfolio Theory and Capital Markets, McGraw-Hill companies 2000, Inc,

p. 83: «In equilibrium, everyone will choose some point along a line such as pMZ…..The more conservative investors will lend some of their money, placing the rest in the market portfolio. The less conservative will borrow in order to place more than their initial funds in the market portfolio. But all will end up at some point along line pMZ. It is called the capital market line».

7

CML M

Figura 1. La frontiera efficiente e la Capital Market Line

Tutti i portafogli che si collocano lungo il tatto crescente della

frontiera sono efficienti ed il punto di Minima Varianza Assoluta (MVA) esprime le combinazioni possibili di portafogli che minimizzano la varianza complessiva. La limitazione del modello risiede nel fatto che non considera né i portafogli inefficienti né i singoli titoli. Considerando tutti i titoli, o portafogli, non ricadenti sulla frontiera efficiente occorre indagare su quanto ciascuna attività è correlata alle altre e, in ultima analisi, al portafoglio di mercato. In altre parole, quale è il contributo di rischio apportato da una singola attività al portafoglio di mercato? La risposta a tale quesito viene fornita da Sharpe (1964) attraverso la Security Market Line la cui intercetta è data dal tasso risk free e l’inclinazione esprime il trade off rischio-rendimento. La SML nasce dalla constatazione che terminati i benefici della diversificazione rimane una quota di rischio sistematico del portafoglio, e che tale quota può essere misurata dalla sensibilità del singolo titolo, o portafoglio, ai movimenti del portafoglio di mercato.

σmσ

)( mRE

)(RE

fR

MVA

8

L’equazione della Security Market Line è la seguente:

iMsi CrpE += quindi iM

is C

pEr

−=

(6) dove rs è il prezzo della riduzione del rischio dei titoli e CiM è la

covarianza tra il rendimento del titolo e quello del mercato. Il valore di rs indica il rendimento atteso che deve essere sacrificato per ogni unità di riduzione del rischio, e quest’ultimo viene misurato dalla covarianza.

Calcolando rs nel punto M7 si ottiene

M

Ms

pEr 2σ−

= (7) mentre in base alla (5) M

Me

pErσ

−= (8)

Siccome sul mercato è presente un titolo risk free, con varianza e

deviazione standard pari a zero, è possibile combinare tale titolo con qualsiasi portafoglio sulla frontiera efficiente in modo da detenere un nuovo portafoglio con caratteristiche di rischio-rendimento che dipendono dai pesi delle singole attività di portafoglio.

L’investitore esprime un giudizio sul rischio del generico titolo i in relazione al contributo offerto da quest’ultimo alla riduzione del rischio complessivo del portafoglio. Di qui l’importanza di quantificare il rischio addizionale che il singolo titolo aggiunge al portafoglio di mercato. In altri termini, occorre misurare la reattività del titolo i alle variazioni del portafoglio di mercato tramite il rapporto tra la covarianza del titolo e del mercato e la varianza del mercato, tale rapporto è il beta:

i

n

iip W∑

=

=1

ββ (9) dove )(

);(2

m

imi r

rrCovσ

β = (10)

7 Si ricorda che la covarianza tra il generico titolo i e il mercato è uguale al prodotto tra la

correlazione i e M, ρiM,, la deviazione standard del generico titolo i e la deviazione standard di M, CiM = ρiM σi σM. La covarianza del mercato con se stessa è data dal prodotto tra la correlazione M e M, che è evidentemente pari ad uno, e il prodotto tra la deviazione standard del mercato con se stessa CMM = ρMM*σM* σM =σM

2. Per una esposizione analitica si rinvia a W. F. Sharpe, Portfolio Theory and Capital Markets, op. cit.

9

Il beta di un portafoglio è uguale alla media ponderata dei beta dei

singoli titoli che formano il portafoglio medesimo.

Figura 2. Security Market Line

Sulla base di tali intuizioni, SLM - Sharpe (1964), Lintner (1965) e

Mossin (1965) - indipendentemente, elaborano il Capital Asset Pricing Model 8. Per formulare il modello si aggiungono ulteriori restrizioni: g) assenza di costi di transazione; h) ciascun investimento è negoziabile nella quantità desiderata senza alcun limite minimo, vale a dire che l’investitore può acquistare anche una frazione di titoli; i) tutti gli operatori del mercato sono price takers, vale a dire che nessuno di

8 W.F. Sharpe, Capital Asset Prices: A Theory of Market Equilibrium Under Conditions of

Risk, in Journal of Finance, Vol. XIX, n.3, September 1964, pp. 425 – 442; J. Lintner, “The valuation of Risky Assets and the Selection of Risky Investments in Stock Portfolios and Capital Budgets”, in Review of Economics and Statistics, n.47, 1965, pp. 425-442; Ibidem, Security Prices, Risk, and Maximal Gains From Diversification”, in Journal of Finance, V.20, n.4, 1965, pp. 587-615. J. Mossin, “Equilibrium in a Capital Asset Market”, in Econometrica, vol. 34, 1966, pp. 768-783. In merito occorre ricordare che contemporaneamente alla pubblicazione dell’articolo di Sharpe esisteva un altro studio analogo, anche se non pubblicato, di Jack Treynor dal titolo Toward a Theory of Market Value of Risky Assets e risalente al 1961.

1=mβ β

fr

)(rE

)( mrE

fm rrE −)(

SML

10

loro può singolarmente influenzare il prezzo delle attività finanziarie; l) non esistono restrizioni per l’informazione, essa è libera e istantaneamente disponibile per tutti gli investitori. In altre parole, il mercato è efficiente in forma forte e quindi i prezzi dei titoli riflettono tutta l’informazione disponibile sia essa di natura pubblica che privata9.

Il Capital Asset Pricing Model (CAPM) è un modello che misura il rendimento atteso del singolo titolo, o rendimento di equilibrio del mercato, in funzione del rischio dell’investimento; l’investitore, come sottolinea Sharpe, si trova di fronte due prezzi: il price of time, o tasso di interesse puro, e il price of risk ossia il prezzo di rischio per ciascuna unità di rendimento atteso addizionale. Il CAPM propone la

9 Il secondo filone di studi, peraltro più recenti, sulla Modern Portfolio Theory riguarda l’efficienza dei mercati. Le assunzioni alla base del modello di SLM assumono l’efficienza dei mercati in forma forte. Tuttavia, i mercati tendono verso l’efficienza ma non sono perfettamente efficienti. Un mercato è efficiente nella misura in cui il prezzo dei titoli riflette pienamente tutte le informazioni disponibili che possono in un modo o nell’altro influire sul valore degli stessi. Il prezzo del titolo dovrebbe essere pari al suo valore intrinseco che a sua volta è funzione di variabili macroeconomiche e microeconomiche: non può essere costante bensì varia al variare del valore intrinseco. La velocità con cui il prezzo del titolo recepisce tutte le informazioni caratterizza l’efficienza di un mercato; ciò significa peraltro che, essendo il prezzo uguale al valore intrinseco, il titolo versa in uno stato di equilibrio. Se i titoli fossero, infatti, istantaneamente e correttamente valutati, da essi sarebbe possibile ottenere un rendimento in funzione del rischio assunto, vale a dire il rendimento di equilibrio espresso dalla Security Market Line. Ciò comporterebbe un’assenza, quasi totale, di processi di sopravalutazione e di sotto valutazione da parte del mercato e dunque l’assenza di extrarendimenti. In altre parole, il prezzo dei titoli dovrebbe essere pari al valore attuale dei flussi di cassa futuri che gli investitori si aspettano in base al profilo di rischio assunto. Eugene Fama, in uno studio del 1970, ha individuato tre diverse forme di efficienza: debole, semiforte e forte. La forma debole prevede un utilizzo delle informazioni limitate ai soli prezzi storici; in tal caso gli operatori non riuscirebbero ad ottenere un rendimento anormale semplicemente ricorrendo alle osservazioni delle performance che i titoli hanno registrato nel passato. In un simile contesto, inoltre, persino l’analisi tecnica si dimostrerebbe praticamente inefficace basandosi quest’ultima sulle osservazioni passate. Analiticamente può essere espressa come Pt = Pt-1 + E ( r ) + ε laddove Pt-1 è il prezzo storico del titolo, E ( r ) il rendimento atteso dal titolo ed ε l’errore casuale che potrebbe dipendere dalla divulgazione di nuove informazioni sulla società, e potrebbe essere sia di valore negativo sia di valore positivo, ed ha un valore atteso pari a 0. Nel caso in cui segue tale andamento, allora è il caso di sostenere che i prezzi dei titoli sono di tipo random. L’efficienza semiforte parte dall’assunto che i prezzi dei titoli si riequilibrano immediatamente di fronte ad una divulgazione di tutte le informazioni. In questa realtà i prezzi riflettono sia i dati passati che tutte le informazioni correnti di natura aziendale (annuncio dei dividendi, i bilanci annuali, e tutte le altre notizie recepite dagli organi di informazione finanziaria). In questo modo è evidente come gli operatori non riescano ad ottenere rendimenti anormali poiché l’informazione diventa rapidamente di pubblico dominio e pertanto si riflette in maniera istantanea sul prezzo dei titoli. L’ultimo grado di efficienza, la forma forte, che rappresenta una realtà estrema e quindi raramente corrisponde ad una ipotesi vera, viene individuata da Fama in un mercato ove vengono negoziati dei titoli i cui prezzi riflettono sia informazioni di natura pubblica sia informazioni di natura privata. E. Fama, “Efficient Capital Markets: A Review of Theory and Empirical Work“, in Journal of Finance, Vol. 25, May 1970, pp. 383–417.

11

linearità fra rischio e rendimento; in equilibrio, il rendimento atteso di ogni titolo è misurato dal risk free più un premio per il rischio addizionale in proporzione al contributo marginale che il titolo apporta alla rischiosità del portafoglio10. In buona sostanza, il premio è una forma di remunerazione del solo rischio sistematico e non del rischio totale. In formula si ha:

( )[ ]fmfi RREβR)E(R −+= (11)

dove )( iRE è il rendimento atteso del generico titolo i (o

portafoglio), Rf il tasso di rendimento dei titoli risk free, β il rischio sistematico, )( mRE il tasso di rendimento atteso dal portafoglio di mercato, e [ ]fm R)E(R − il premio per il rischio di mercato -Market Risk Premium -.

10 F. Brioschi, “La Teoria del Portafoglio e il Capital Asset Pricing Model”, dispense del

corso di Finanza Aziendale del Politecnico di Milano, Dipartimento di Ingegneria Gestionale, 2002;

12

2. Le precedenti verifiche empiriche: sostenitori e critici

Se inizialmente i risultati empirici hanno dimostrato coerenza con le assunzioni del modello, successivamente hanno fatto dubitare circa l’effettiva applicabilità dello stesso. Per testare empiricamente il CAPM, in tutti gli studi si è utilizzato il market model che è dato da:

iImiIiIi Rr εβα ++= (12)

laddove ir è il rendimento del titolo i in un determinato periodo,

iIα è l’intercetta che misura il rendimento del titolo rispetto al mercato, iIβ è il coefficiente di rischio, mR il rendimento di una proxy del portafoglio di mercato, iIε è l’errore casuale il cui valore atteso è pari a zero. Il market model, pur presentandosi sotto una veste apparentemente identica al CAPM, maschera delle diversità. Specificamente, riscrivendo l’espressione del CAPM come segue:

( )[ ]fmf RREβRE(R) −=−

o in maniera analoga:

( )mf RERRE ββ +−= )1()( si osserva che se il Capital Asset Pricing Model è valido, cioè se le

assunzioni sono rispettate, si avrà:

iIββ =

fiI R)1( βα −=

iIε = 0 ciò implica che i rendimenti attesi dal Capital Asset Pricing Model

ex ante risultano identici a quelli osservati mediante il market model

13

ex post. Per contro, se il CAPM non è verificato, si registrano degli scostamenti tra iIα e fR)1( β− 11.

I primi test di verifica del CAPM furono effettuati da Sharpe (1966) e da Jensen (1967) sui fondi comuni di investimento aperti.

Sharpe, in particolare, esaminò la relazione rischio – rendimento di 34 fondi comuni aperti utilizzando la deviazione standard quale misura del rischio, ed i risultati che ottenne apparvero pressoché in linea con i postulati del CAPM. Egli rilevò che i fondi più rischiosi registravano performance più alte rispetto a quelle dei fondi meno rischiosi e che la correlazione tra il rendimento medio e la deviazione standard era statisticamente significativa.

Una seconda indagine empirica fu effettuata da Jensen su un campione di fondi aperti nel periodo 1945-196412. Tuttavia lo studio di Jensen differisce da quello di Sharpe per due ordini di motivi: il primo è legato al fatto che utilizza il beta al posto della deviazione standard; il secondo riguarda la finalità della ricerca. Jensen, infatti, studiò l’abilità dei gestori dei fondi ad ottenere dei rendimenti più alti rispetto al livello di rischio. In altre parole, esaminando gli extrarendimenti, o rendimenti in eccesso, indirettamente verificò la relazione insita nel Capital Asset Pricing Model. L’autore esaminò durante il periodo di riferimento 115 fondi comuni aperti confermando, da un lato, la relazione rischio – rendimento, e, dall’altro, la validità del beta come misura appropriata del rischio.

Sharpe e Cooper (1972) indagano su tutte le azioni quotate sul mercato azionario statunitense nel periodo 1931-1967 e trovano che esiste la linearità tra rischio e rendimento. Suddividendo il campione in 10 portafogli sulla base della classe di rischio, misurato dal beta, giungono alla conclusione che a portafogli con beta più bassi corrispondono rendimenti più bassi e viceversa per portafogli a più alto rischio.

In linea di massima i risultati conseguiti, rispettivamente da Sharpe e da Jensen, avvaloravano la relazione lineare rischio – rendimento. Tuttavia, la debolezza del modello tradizionale risiedeva in uno dei suoi assunti principali e cioè nella possibilità da parte di ciascun investitore di dare e prendere a prestito al tasso risk free. Per superare

11 M.C. Jensen, “Capital Markets: Theory and Evidence”, in The Bell Journal of Economics

and Management Science, Vol. 3, Autumn 1972, pp. 357-398. 12 M. Jensen, “The Performance of Mutual Funds in The Period 1945-1964”, in Journal of

Finance, Vol.23, n.2 1967, pp. 389-416.

14

tale limitazione, e contestualmente agevolare la verifica empirica, Black (1972) studia una variante al modello originario conosciuta come “zero beta model”13. Il CAPM zero beta prevede la sostituzione dell’attività Rf con un’altra attività Rz, titolo o portafoglio, non correlata con il mercato. In questo modo la formula originale si modifica come segue:

[ ]zmiz RRERRE −+= )()( β (13)

Questa configurazione del modello implica che la nuova intercetta

Rz dovrebbe, di norma, intersecare l’asse delle ordinate ad un valore più alto in quanto, pur non essendo correlata con il mercato, ha una varianza minima.

Per poter testare empiricamente il CAPM, come detto, bisogna impiegare il market model che considera un campione della popolazione e, contemporaneamente, un elemento di disturbo il cui valore viene misurato dal termine random ε, o residuo della campionatura. In teoria, tale valore dovrebbe essere tanto più basso quanto più ampio è il numero delle osservazioni e, quindi, la precisione della stima. Di conseguenza, il residuo della campionatura, per proprietà statistiche, dovrebbe diminuire di valore passando dalla regressione di un singolo titolo ad un portafoglio di titoli.

Seguendo questo ragionamento, Black, Jensen e Scholes (1972) costruiscono una serie di portafogli con differenti beta per effettuare il test empirico 14. La procedura adottata è la seguente: selezionano il campione formato da tutti i titoli quotati al New York Stock Exchange; stimano i beta mediante un’analisi di regressione fra i rendimenti storici dei titoli e una proxy del portafoglio di mercato; sulla base del beta selezionano i titoli e li raggruppano all’interno di 10 portafogli; selezionano l’orizzonte temporale (1931-1965) durante il quale osservano l’andamento dei portafogli cambiandone periodicamente la composizione. Sul piano metodologico, Black, Jensen e Scholes (BJS, d’ora in avanti) utilizzano sia le regressioni

13 F. Black, “Capital Market Equilibrium with Restricted Borrowing”, in Journal of

Business, n.45, July 1972, pp. 444-455. 14 F. Black, M. C. Jensen, Scholes M., “The Capital Asset Pricing Model: Some Empirical

Test” in M. C. Jensen, Studies in the Theory of Capital Markets, Praeger, New York 1972, pp. 79-121.

15

time series sia quelle cross section 15 ottenendo risultati coerenti con i postulati del CAPM.

In particolare, il lavoro può essere suddiviso in “due passi”. Il primo consiste nella stima della seguente relazione:

ppp bR εγγ ++= 10

laddove Rp è il rendimento atteso in eccesso sul portafoglio p; γ0 il

tasso zero beta, vale a dire il tasso di rendimento atteso su un’attività a “beta zero”; γ1 è il market risk premium; εp è l’elemento random.

Alla luce dei risultati ottenuti, che mostrano dei problemi relativamente all’errore standard del primo e del secondo coefficiente, procedono con il secondo passo che consiste nell’analisi cross section effettuata mediante le seguente equazione:

pppp bR εψγγγ +++= 210

laddove in aggiunta alla prima equazione troviamo ψp che è il

fattore addizionale che si assume irrilevante per il prezzo del titolo. In altri termini, quello che interessa conoscere è se il coefficiente γ2 è costantemente uguale a zero; ciò si verifica solo se beta è l’unico elemento esplicativo nella funzione.

Secondo la prima versione del CAPM, quello di Sharpe e di Lintner, l’intercetta sarebbe uguale e zero; nel modello di Black, invece, non deve essere necessariamente uguale a zero, l’importante che sia significativamente differente da zero 16.

BJS trovano un’intercetta di oltre il 4% su base annua, un beta pari a 1,08 ed un market risk premium del 14,2%. Secondo gli autori, i risultati, pur non rispecchiando le attese della versione classica del CAPM, sono in linea con il CAPM zero beta.

15 Le regressioni time series e cross section sono due metodologie utilizzate per verificare ex

post il CAPM. In particolare, le regressioni time series sono impiegabili per verificare “la validità del modello di mercato in ciascun periodo” e “l’analoga validità del CAPM”. Per contro, l’analisi cross section serve a verificare sia la relazione lineare tra beta e rendimenti che la stazionarietà dei beta nel tempo.

16 Per un’analisi riassuntiva della procedura si veda il contributo di R. Jagannathan, E.R. Mcgrattan, “The CAPM Debate”, in Quarterly Review Federal Reserve Bank of Minneapolis, Vol.19, n.4, Fall, 1995, pp. 2-17.

16

Fama e MacBeth (1973) esaminano, mediante un’analisi cross section, la relazione tra il rendimento medio e il rischio dei titoli quotati al New York Stock Exchange per il periodo 1926-1968. In particolare, stimano il beta di ciascun titolo prendendo a riferimento i rendimenti percentuali mensili aggiustati, costruiscono 20 portafogli composti da tutti i titoli negoziati al NYSE e ne studiano l’andamento per dieci sotto periodi attraverso la seguente equazione:

ptptptpttptR ησγβγβγγ ++++= 32

210 L’obiettivo degli autori non è soltanto quello di verificare la

linearità fra rischio e rendimento ma anche di indagare se il modello remunera il rischio specifico σp che secondo il CAPM non deve essere remunerato.

I risultati che ottengono sono soddisfacenti sia per la presenza del trade off positivo rischio-rendimento sia perché i coefficienti βp

2 e σp sono prossimi allo zero.

Anche in questo caso i risultati sono più coerenti con il CAPM zero beta che con la versione originale. Fama e MacBeth concludono che “finally, the observed fair game properties of the coefficients and residuals of the risk – return regressions are consistent with an efficient capital market – that is, a market where prices of securities fully reflect available information”17.

Nel corso degli anni il CAPM ha subito numerose critiche e l’idea che il beta non fosse l’unico fattore in grado di spiegare i rendimenti dei titoli azionari, ha preso sempre più corpo. Se dalle prime evidenze empiriche è emersa la linearità tra rischio e rendimento, le successive verifiche hanno rilevato l’incapacità del beta nell’esprimere tale relazione. In quest’ottica si inquadra l’Arbitrage Pricing Theory, sviluppata da Ross (1976) e Roll (1977) la quale evidenzia che i fattori che intervengono nella determinazione dei prezzi azionari sono molteplici. L’APT, pur non indicando esplicitamente tali fattori, riconosce un ruolo chiave ad alcune variabili macroeconomiche tra cui il prezzo del petrolio, il tasso di inflazione, i tassi di interesse, il PIL, etc.

17 E.F. Fama, J.D. Macbeth, “Risk, Return, and Equilibrium: Empirical Tests”, in Journal of

Political Economy, May-June 1973, pp. 607-636.

17

Elton, Gruber e Mei (1994) hanno sottoposto a verifica l’APT studiando un campione di 9 utilities negli US ed hanno trovato, per il periodo 1978-1990, risultati coerenti con il modello. I fattori individuati sembravano spiegare meglio del solo beta la relazione rischio-rendimento. I tre studiosi, tuttavia, rilevano che la difficoltà nell’applicare l’APT risiede nel fatto che non vengono specificati quali fattori possano influenzare il pricing dei titoli e pertanto occorre trovarli.

Le numerose anomalie empiriche scaturite dalla non perfetta linearità nella relazione rischio – rendimento, hanno fatto sospettare dell’esistenza di altri fattori che probabilmente influiscono in misura più incisiva sui rendimenti dei titoli azionari. Diversamente, sono sorti dubbi circa l’effettiva efficienza dei mercati.

Banz (1981), ad esempio, è stato il primo ad evidenziare che la variabile dimensione è in grado di interpretare meglio la relazione rischio-rendimento. Egli, in particolare, ha rilevato che i titoli delle imprese di minori dimensioni, misurate dalla capitalizzazione di mercato, presentavano un’elevata correlazione con il rendimento dei titoli. Esaminando le azioni ordinarie quotate al NYSE, durante il periodo 1931-1975, ha scoperto una forte relazione negativa fra size e rendimenti; all’aumentare della dimensione delle società incluse nel campione diminuivano i rendimenti.

Basu (1977) esaminando 1.400 società quotate al NYSE, nel periodo 1957 – 1971, dimostrò che i titoli caratterizzati da un basso valore del rapporto Prezzo/Utile realizzavano rendimenti maggiori rispetto a quelli con P/U alto, e in eccesso anche rispetto al loro livello di rischio sistematico. L’obiettivo di Basu era in realtà duplice: da un lato, testare la capacità del Capital Asset Pricing Model ad interpretare il rapporto rischio – rendimento, e, dall’altro, individuare la presenza di altri fattori maggiormente in grado di illustrare tale relazione. I risultati raggiunti si ponevano in netto contrasto con l’ipotesi di efficienza del mercato delineata da Fama.

Sulla base di tali assunzioni, Fama e French (1992) dimostrano che il beta, quale variabile esplicativa della relazione rischio – rendimento, non cattura appieno tutti i fattori di rischio. I due autori propongono il modello a tre fattori, o three-factor model, attraverso il quale evidenziano che il premio per il rischio dipende sia dal fattore di mercato, così come enunciato dal CAPM, che da altri due fattori: la dimensione della società e il rapporto tra valore contabile e valore di mercato. Secondo i due autori l’evidenza empirica dimostra come il

18

modello a tre fattori riesca a spiegare meglio del CAPM i rendimenti dei titoli azionari, e, inoltre, spiega gran parte delle anomalie riscontrate nelle verifiche sull’efficienza dei mercati.

Nel nostro Paese sia il CAPM che i modelli di pricing in generale hanno trovato scarsa applicazione in letteratura, probabilmente a causa della ridotta dimensione del nostro mercato azionario. Per quanto riguarda il CAPM, ad esempio, la verifica più completa risulta, a nostro avviso, quella di Caprio (1989) che considera un orizzonte temporale di circa quarant’anni. L’autore esamina un campione di circa 100 titoli durante il periodo dicembre 1949 – dicembre 1988 utilizzando come proxy del portafoglio di mercato sia l’indice “Il Sole 24 ore” sia l’indice COMIT. In particolare, Caprio suddivide tale orizzonte in 7 sottoperiodi quinquennali e uno quadriennale ed effettua sia l’analisi time series sia quella cross section. L’obiettivo dell’autore è duplice: da un lato, verificare la linearità fra il rischio e il rendimento, e, dall’altro, se il premio per il rischio è positivo. In linea di massima, i risultati conseguiti da Caprio sembrano avvalorare le ipotesi del Capital Asset Pricing Model. Specificamente, “il rischio sistematico dell’investimento azionario è remunerato” e “il rischio residuale non è remunerato”. Per quanto concerne la seconda verifica, il premio per il rischio, i dati non risultano confortanti giacché il “premio per il tempo” non è statisticamente differente da zero 18. Tuttavia i risultati conseguiti sembrano in linea di massima avvalorare la tesi del modello.

18 L. Caprio, “La Borsa di Milano e alcune implicazioni del Capital Asset Pricing Model:

una verifica sul periodo 1950-88”, cit., pp. 421-450.

19

3. Il modello di Fama e French: three-factor model

Il modello di Fama e French (1992), come già detto, parte dalla constatazione della non perfetta linearità tra rendimento e rischio misurato dal beta e si basa sull’approccio multifattoriale.

Prendendo spunto dal lavoro di Basu (1977) e Banz (1981) i due studiosi sviluppano il modello a tre fattori nel quale assume rilevanza, oltre al beta, la dimensione della società, size, il rapporto tra book value e market value, e il premio per il rischio dato dalla differenza tra il rendimento dell’indice di mercato e il rendimento dei titoli risk free.

Sebbene possa esistere una relazione inversa tra dimensione, misurata dal valore di mercato o capitalizzazione di borsa, e rendimenti azionari, tale andamento non è accompagnato dall’aumento (o diminuzione) del beta. Di norma, i titoli di una società di maggiori dimensioni dovrebbero risultare meno rischiosi e, di conseguenza, meno redditizi. Al contrario, i titoli delle società più piccole dovrebbero computare un maggior rischio e un maggior rendimento. Ciò indurrebbe l’investitore a richiedere un premio maggiore a compensazione del rischio addizionale.

Un discorso analogo è valido anche per il rapporto tra book value e market value alla luce del potere esplicativo. Specificamente, un alto valore del rapporto (basso Price/Book Value) contraddistingue titoli con basse prospettive di crescita e quindi meno rischiosi; titoli che mostrano un basso valore dell’indicatore in parola (alto Price/Book Value) denotano buone prospettive di crescita ed elevate attività intangibili che si riflettono sul valore di mercato più che sul valore contabile (Damodaran, 2002).

In realtà, per entrambi i casi, size e book to market value, Fama e French (1993) trovano che l’evidenza empirica è ben diversa dall’enunciato teorico e che i premi per il rischio non dipendono solo ed esclusivamente dal rischio sistematico, misurato dal beta, ma al contrario mostrano una maggiore sensibilità verso il rendimento dei tre fattori considerati congiuntamente. Deducono quindi che il premio atteso per il rischio possa essere espresso attraverso le seguente relazione (14):

[ ] iiifmiifi HMLEhSMBEsRREbRRE εα +++−+=− )()()()(

20

dove i coefficienti bi, si e hi sono le pendenze delle regressioni time-series, Small Minus Big e High Minus Low indicano rispettivamente il fattore dimensione e il fattore valore contabile/valore di mercato. In particolare, Small Minus Big indica la differenza tra il rendimento delle azioni più piccole e quelle più grandi e High Minus Low la differenza tra i rendimenti dei titoli ad alto BE/ME e quelli dei titoli a basso BE/ME.

Per testare la validità del modello utilizzano un campione comprendente tutti i titoli del NYSE, per il periodo 1963-1991, ed aggregano questi ultimi in 25 portafogli formati in base a cinque livelli di dimensione e altrettanti BE/ME. Sul piano metodologico, per stimare i parametri, seguono la procedura suggerita da BJS per testare il CAPM. Da questa prima verifica trovano che le intercette sono quasi sempre significativamente differenti da zero e che i coefficienti di determinazione, R2, assumono valori ben oltre il 90%. Osservano inoltre che il beta non è direttamente legato ai rendimenti dei portafogli; prendendo a riferimento la dimensione, Fama e French notano che all’aumentare di essa i rendimenti diminuiscono. Prendendo invece a riferimento il rapporto BE/ME notano altresì che un aumento dell’indicatore comporta maggiori rendimenti ma al contempo non si assiste ad un incremento del rischio.

Fama e French (1995) rilevano che società con bassi utili tendono ad avere alti BE/ME, con un coefficiente positivo per HML, mentre le società più solide caratterizzate da alti utili e bassi BE/ME computano un coefficiente negativo per HML. In buona sostanza, i due autori concludono sostenendo che i mercati sono efficienti, che la maggior parte delle anomalie empiriche può essere spiegata dal modello a tre fattori, e che il beta non può essere ritenuta l’unica variabile in grado di catturare appieno il rischio sistematico19.

Tentativi di verifica sul mercato azionario italiano sono stati compiuti sia da Cavaliere e Costa (1999) che da Fidanza (2001).

Lo studio di Cavaliere e Costa, i quali utilizzano solo due fattori, e cioè il rischio di mercato e la variabile SMB, condotto nel periodo 1986-1995 su un campione di 178 titoli, giunge alla conclusione che il beta è direttamente proporzionale alla dimensione e che l’inserimento di tale variabile nel modello migliorerebbe la stima dei rendimenti azionari.

19 Fama E.F., French K.R., “Multifactor Explanations of Asset Pricing Anomalies”, in

Journal of Finance, Vol. 51, n.1, 1996, pp. 55-84.

21

Fidanza (2001), per contro, esaminando un centinaio di titoli nel periodo 1989-2000, giunge alla conclusione che il modello non produce risultati soddisfacenti.

4. Campione, metodologia di indagine e risultati

L’indagine qui condotta riguarda un campione composto da un minimo di 39 titoli, per gli anni 1973-1986, ad un massimo di 109 titoli quotati sul mercato azionario italiano. I dati relativi alle serie storiche dei prezzi aggiustati e la serie storica dell’indice di mercato, il Comit globale, adottato come proxy del portafoglio di mercato, sono stati entrambi acquisiti da Datastream. I titoli sono stati individuati sulla base di un orizzonte temporale, più esteso possibile, che rendesse attendibile l’analisi. Sono state escluse dal campione i titoli di quelle società che presentavano una serie storica ridotta e sono state esaminate, tranne qualche eccezione, solo azioni ordinarie20.

Anche in presenza di questa limitazione, peraltro naturale considerando la recente evoluzione del nostro mercato, il campione costituiva alla fine del 2005 il 50% circa della capitalizzazione complessiva di Borsa (Tabella 1)

20 Sono state utilizzate le serie storiche dei prezzi di azioni non ordinarie solo in assenza dei

dati relativi alle ordinarie. Tuttavia, per una stessa società non si sono mai considerate le serie storiche di entrambi i prezzi proprio al fine di scongiurare rischi legati alla multicollinearità.

22

Tabella 1. Società appartenenti al campione con relativa capitalizzazione (in milioni di €) al 31/12/2005

Società CAP Società CAP Società CAP ACQUA MARCIA - CUCIRINI CANTONI 13,81 PERLIER 23,87 ACQUE POTABILI 139,73 DALMINE - PININFARINA 258,08

ACQUEDOTTO DE FERRARI 137,73 DANIELI 263,43 PIRELLI 4.013,51

AEDES 540,12 EDISON 7.117,85 POLIGRAFICI EDIT. 203,15

ALITALIA 1.285,19 ENERTAD 275,49 PREMAFIN 810,01

ALLEANZA 8.829,04 ERICSSON - PREMUDA 238,31

AUTOSTRADA TO-MI 1.400,87 FALCK - RAS 13.699,51

BANCA FIDEURAM 4.487,77 FERROVIE NORD MI - RATTI 28,03

BANCA FINNAT 414,41 FIAT 8.009,44 RECORDATI 1.192,36

BANCA IFIS 286,19 FINARTE – SEMENZ. 39,04 RENO DE MEDICI 185,37

BANCA INTESA 26.823,47 FINECOGROUP 2.565,43 RETI BAN. HOLDING 1.703,27

BANCA LOMBARDA 3.881,04 FINMECCANICA 6.927,48 RISANAMENTO 1.023,28

BNL RNC 8.485,42 FONDIARIA – SAI 3.636,10 SAIAG -

BANCA POPOLARE INTRA 574,06 GABETTI 108,26 SAIPEM 6.085,92

BANCA POPOLARE LODI 3.611,14 GEMINA 731,87 SAN PAOLO IMI 20.949,56

BANCA POPOLARE MILANO - GENERALI 37.629,22 SANITA -

BANCA POP. BERGAMO - GEWISS 599,64 SCHIAPPARELLI 30,06

B. POP.COMM. INDUSTRIA. - GIM 163,74 SIRTI 505,88

B. POP. EMILIA ROMAGNA - GRUPPO L'ESPRESSO 1.936,69 SMI 130,58

B. POP. LUINO E VARESE - IFI PV 1.065,01 SMURFIT SISA 161,33

BANCO SARDEGNA RNC 113,73 IFIL 3.744,20 SNAI 463,67

BASTOGI 181,35 IMPREGILO 1.103,41 SNIA ORD 52,31

BENETTON 1.740,06 INNOTECH - SOGEFI 519,77

BINDA - INTEK 128,49 SONDEL -

BOERO BARTOLOMEO 69,45 ITALCEMENTI 2.782,16 SOPAF 288,76

BONIF.ICHE FERRARESI 181,97 ITALMOBILIARE 1.280,38 STEFANEL 199,17

BRIOSCHI 205,01 JOLLY HOTELS 171,32 TELECOM ITALIA 33.118,67

BUZZI UNICEM 2.059,97 LINIFICIO 83,61 UNICREDITO ITAL. 60.336,63

CALTAGIRONE 875,00 MAFFEI 58,44 UNIPOL 3.464,36

CAPITALIA 10.871,77 MARZOTTO 294,33 VIANINI INDR. 94,41

CEMENTIR 775,23 MEDIOBANCA 12.815,51 VIANINI LAVORI 365,10

CENTENARI E ZINELLI - MILANO ASSIC. 2.448,49 VITTORIA ASSICUR. 283,71

CIR 1.738,61 MITTEL 275,62 VOLKSWAGEN (MIL) -

COFIDE 726,40 MONDADORI ED. 2.037,04 ZIGNAGO -

CREDITO BERGAMASCO 1.571,57 MONRIF 194,85 ZUCCHI 65,79

CREDITO EMILIANO 2.620,56 MONTEFIBRE 37,77

CREDITO VALTELLINESE 891,72 NAVIGAZIONE MONT. 363,91

Totale 85.518,58 98.902,03 150.494,43

Numero titoli 109

Capitalizzazione campione 334.915

Capitalizzazione mercato 676.606

% 49,5%

23

Durante il periodo di indagine, diversi titoli hanno subito il delisting per lo più a causa di operazioni di fusioni e acquisizioni; in tali circostanze si è prestata particolare attenzione sia all’aggiunta di nuovi titoli che alla rimozione dei titoli non più quotati.

La metodologia seguita in questo lavoro è quella suggerita da Black Jensen e Scholes (1972). Tramite questa procedura si è voluta verificare l’attendibilità sia del market model che del CAPM

BJS (1972) per testare il CAPM applicano inizialmente la classica equazione del market model a rendimenti pieni,

iumtiiit eRR ++= )(βα

con cui vengono regrediti al tempo t i rendimenti mensili dei titoli

sui rendimenti mensili dell’indice di mercato. Rendendosi tuttavia conto che per testare la significatività dell’ iα tramite il test t di student si richiede l’interdipendenza dei residui E (ei, ej) = 0, che nel nostro caso non può essere confermata, ricorrono alla formazione di portafogli in cui l’interdipendenza dei residui dovrebbe essere assorbita all’interno dei vari aggregati. In questo modo vengono costruiti alcuni portafogli di titoli azionari, ordinati in base alla rischiosità, ovvero in gruppi omogenei di β, e successivamente si calcolano i rendimenti mensili dei portafogli che saranno regrediti sui rendimenti dell’indice di mercato.

A differenza del lavoro di BJS, in questo lavoro non è stato possibile costruire 10 portafogli ed allora se ne sono formati 7 che contenessero un numero significativo di titoli. Nonostante ciò, soltanto a partire dal 1989 si dispone di portafogli contenenti un numero di titoli sufficientemente ampio tale da poter beneficiare della diversificazione21. I nostri 7 portafogli sono stati ordinati in base al valore crescente assunto dal beta dal più basso (portafoglio 1) al più alto (portafoglio 7). Parimenti a quanto suggerito da BJS, ogni anno vengono stimati i beta per un periodo quinquennale che non si sovrappone con l’anno in cui si formano i portafogli.

I rendimenti mensili del portafoglio p (dove p = 1,2,…7) sono stati calcolati come media dei rendimenti mensili dei titoli presenti in quel

21 Evidenze empiriche hanno dimostrato che i benefici derivanti dalla diversificazione, e quindi l’azzeramento del rischio specifico, si conseguono formando portafogli con 10-15 titoli (Solnick, 1975; Fama, 1976). Evans e Archer (1968) dimostrarono che formando portafogli con solo otto titoli si raggiungevano i benefici più consistenti della diversificazione.

24

portafoglio formato sulla base del beta, dei cinque anni precedenti, di ordine simile.

Per ciascun anno, dunque, i rendimenti di portafoglio sono stati calcolati con la seguente formula:

∑=

=N

jtjtp R

NR

1,,

1 (15)

dove j e t rappresentano rispettivamente il numero di titoli presenti

nel portafoglio p e le mensilità di ogni anno. Seguendo questa procedura si ottiene una serie storica di 336 rendimenti mensili per ciascun portafoglio.

Successivamente si regrediscono i rendimenti mensili dei portafogli sull’indice di mercato al fine di stimare i beta dei vari portafogli e verificare l’eventuale significatività statistica diα .

Questa procedura è stata eseguita inizialmente sull’intero periodo (1978-2005) con risultati in linea con quanto riscontrato da BJS.

Tabella 2. Parametri stimati con la regressione. * significatività ad un di livello di confidenza del 5%

Portafogli

1 2 3 4 5 6 7 M

β 0,555983 0,72729 0,821573 0,914004 0,954225 1,039864 1,186335 1

α 0,008652* 0,007728* 0,005185* 0,001837 0,006769* -0,000534 0,003203

t(α) 2,99199 3,42958 2,386293 0,902736 2,198062 -0,27756 0,840681

R2 0,361352 0,614561 0,686378 0,755464 0,595057 0,817274 0,597474

σ(ε) 0,052176 0,040658 0,039202 0,036708 0,055566 0,034708 0,068737

R 0,015659 0,016894 0,015539 0,013355 0,018795 0,012571 0,018154 0,012603

Specificamente, tranne l’alfa negativa del sesto portafoglio,

peraltro non statisticamente diversa da zero, tre dei quattro alfa positivi e statisticamente diversi da zero si manifestano per portafogli meno rischiosi (p = 1, 2, 3). Coerentemente con quanto rilevato da BJS, nel lungo periodo i titoli delle società meno rischiose computano rendimenti superiori rispetto a quanto predetto dalla versione classica del CAPM. Al contrario i titoli inclusi nei portafogli più rischiosi registrano rendimenti inferiori alle previsioni del modello.

25

La stessa procedura è stata replicata su cinque sottoperiodi di cui 3 da 6 anni (1978-1983; 1984-1989; 2000-2005), e due da 5 anni (1990-1994; 1995-1999) 22.

22 Il campione esaminato ha subito nel corso del periodo di indagine delle variazioni

incrementative con l’aggiunta di nuovo titoli; ciò non pregiudica la bontà dell’analisi, al contrario contribuisce alla riduzione del rischio specifico. L’utilizzo di un numero crescente di titoli per la formazione dei portafogli, per tutto il periodo di indagine, è frequente; sia nello studio di BJS che in quello di Fama e MacBeth è osservabile questo fenomeno.

26

Tabella 3. Stima dei parametri per i sottoperiodi. * significatività ad un livello di confidenza del 5%

M

1

0,02

0319

0,

0203

58

0,00

0905

0,

0203

67

0,00

0409

7

1,15

3517

1,

0155

55

1,20

4429

1,

2223

35

1,55

8059

0,00

0313

-0

,001

26

0,00

0593

-0

,000

76

0,01

9398

0,05

8046

-0

,285

37

0,14

3804

-0

,081

49

1,41

9478

0,81

2873

0,

8047

28

0,87

3345

0,

6330

55

0,35

7118

0,04

4302

0,

0359

51

0,03

1935

0,

0698

31

0,11

5955

0,02

3751

0,

0194

16

0,00

1683

0,

0241

33

0,02

0036

6

1,09

3605

0,

9119

11

1,20

0312

0,

9637

76

1,09

3356

0,00

6059

-0

,004

89

-0,0

0118

-0

,007

87

0,00

6538

1,29

9919

-1

,140

859

-0,2

7594

-1

,512

66

1,90

2993

0,83

9324

0,

8428

34

0,86

4392

0,

7761

37

0,81

2296

0,03

8301

0,

0282

99

0,03

3102

0,

7722

77

0,02

9153

0,02

8280

0,

0136

77

-0,0

0009

3 0,

0117

60

0,00

6986

5

1,00

6411

0,

9717

81

1,00

5322

0,

8463

14

0.96

3026

0,00

3973

0,

0049

21

0,01

8071

* 0,

0035

53

0,00

5048

0,91

9058

1,

2344

01

2,42

4763

0,

2592

74

1,56

3763

0,83

7235

0,

8218

93

0,59

5221

0,

2780

84

0,79

1827

0,03

552

0,03

251

0,05

7722

0,

1023

21

0,02

7389

0,02

4422

0,

0247

04

0,01

8981

0,

0207

90

0,00

5442

4

0,92

2334

0,

9063

53

1,00

3617

0.

8391

78

0,84

3354

0,00

4671

0,

0093

28*

-0,0

0636

0,

0023

94

-0.0

0091

0,89

7314

2,

3281

89

-1,4

1009

0,

4149

03

-0,2

7618

0,74

8692

0,

7989

38

0,80

0255

0,

6811

71

0,73

728

0,04

2774

0,

0326

75

0,03

4911

0,

0430

81

0,02

7931

0,02

3412

0,

0277

79

-0,0

0544

7 0,

0194

85

-0,0

0056

4

3

0,91

1008

0,

8827

09

0,75

5808

0,

7227

06

0,72

8645

0,00

4815

0,

0077

69

0,00

0085

0,

0081

63

0,00

344

0,84

0602

1,

7524

75

0,01

8937

1,

3854

24

0,92

5044

0,70

5876

0,

7547

92

0,69

5208

0,

6030

61

0,62

1305

0,04

7072

0,

0361

56

0,03

4844

0,

0439

97

0,03

1554

0,02

3326

0,

0257

40

0,00

0769

0,

0228

83

0,00

3738

2

0,84

0881

0,

6446

96

0,69

4487

0,

7165

68

0,79

7674

0,01

6517

* 0,

0093

91*

-0,0

0182

0,

0042

94

0,00

9327

*

2,54

6916

2,

0499

57

-0,4

2901

0,

7864

93

2,56

827

0,61

4693

0,

6059

84

0,68

377

0,56

3709

0,

6733

71

0,05

3291

0,

0373

59

0,03

2884

0,

0407

68

0,03

0816

0,03

3603

0,

0225

15

-0,0

0119

3 0,

0168

72

0,00

9654

1

0,57

9401

0,

6973

12

0,47

4306

0,

5067

42

0,40

3456

0,01

8437

* 0,

0061

01

-0,0

0402

0.

0058

98

0,01

188

2,35

2338

1,

2549

96

-1,0

8358

0.

8574

49

1,16

1139

0,34

1485

0,

6150

22

0,56

9077

0,

3540

34

0,11

3469

0,06

4405

0,

0396

47

0,02

8737

0,

0513

63

0,06

2553

0,03

0210

0,

0202

97

-0,0

0359

1 0,

0162

19

0,01

2045

78-8

3 84

-89

90-9

4 95

-99

00-0

5

78-8

3 84

-89

90-9

4 95

-99

00-0

5

78-8

3 84

-89

90-9

4 95

-99

00-0

5

78-8

3 84

-89

90-9

4 95

-99

00-0

5

78-8

3 84

-89

90-9

4 95

-99

00-0

5

78-8

3 84

-89

90-9

4 95

-99

00-0

5

Port

afog

li

β α t(α)

R2

σ(e)

27

Osservando la tabella 3 si nota che i beta non sono stazionari

durante i cinque sottoperiodi. Si possono in linea di massima riscontrare similitudini nell’ordine di grandezza dei beta per non più di due periodi consecutivi, tranne il caso del terzo portafoglio in cui la stazionarietà si riscontra per tre sottoperiodi. Gli α statisticamente diversi da zero si rilevano per tre sottoperiodi nel secondo portafoglio e per un solo sottoperiodo rispettivamente per i portafogli 1, 4 e 5; in tutti gli altri casi l’ipotesi di nullità dell’intercetta del CAPM risulta confermata. Tuttavia, dai dati si riscontra un andamento decrescente del valore assunto dall’alfa all’aumentare del grado di rischiosità del portafoglio.

Nel lavoro di BJS gli alfa seguivano un andamento negativo per i portafogli rischiosi, e registravano valori positivi e statisticamente significativi nel caso dei portafogli meno rischiosi, ipotesi che, tranne qualche eccezione, viene confermata anche in questa analisi. Al contrario, non viene confermata la tendenza dei beta ad assumere valori stazionari.

Da notare, infine, che BJS ottenevano dei valori del coefficiente di determinazione, R2, superiori ai nostri sia per l’intero periodo che per i singoli sottoperiodi.

4.1. I risultati dell’analisi cross-section

Per esaminare meglio i risultati e verificare la linearità dell’equazione del CAPM si ricorre ai test cross-sezionali attraverso i quali è possibile indagare sulla predetta linearità della relazione rischio-rendimento.

Oltre alla formula a rendimenti pieni si può utilizzare l’equazione a rendimenti eccedenti:

[ ] ptftmtppftpt eRRRR +−+=− βα (16)

dove Rit è il rendimento dell’i-esimo titolo nel periodo t, Rmt è il

rendimento dell’indice di mercato nel medesimo periodo e Rft è il rendimento del tasso risk free sempre al tempo t.

Per verificare la validità dei risultati precedenti, se sono coerenti con l’assunto teorico, si effettua una seconda regressione tra i

28

rendimenti medi di portafoglio ∑=

=T

tjtj R

NR

1

1 (dove j sono i

portafogli e T i mesi dell’intervallo temporale) e i jβ stimati con la precedente regressione, ottenendo la seguente equazione:

jjj wR ++= βγγ 10 ˆˆ Se è vero che i rendimenti dei titoli sono, secondo la teoria, una

funzione lineare del rischio sistematico jmjj eRR += β , per essere

confermato, nella versione modello di mercato, 0γ̂ deve essere nullo

e mR=1γ̂ .

Tabella 4. I risultati dell’analisi cross section. * Parametri significativi ad un livello di confidenza del 5%

Intero periodo Sottoperiodi

01/78-12/05 78-83 84-89 90-94 95-99 00-05

0γ̂ 0,015041* 0,036848* 0,022115 -0,00552 0,024723 0,000317

Rf 0,007878 0,014580 0,009586 0,009421 0,005454 0,002436

1γ̂ 0,000916 -0,0109 -0,00011 0,007847 0,008666 0,008628

mR 0,012603 0,020319 0,020358 0,000905 0,028016 0,000409

MRP = Rm - Rf 0,004725 0,005739 0,010772 -0,008516 0,022562 -0,002027

)ˆ( 0γt 3,332034 4,710307 1,663496 -0,46181 2,408587 0,044474

)ˆ( 1γt 0,183848 -1,31801 -0,00737 0,61743 0,713822 1,174136

R2 0,006715 0,257846 0,00001 0,070843 0,092484 0,216128

Sia dalla tabella che dai grafici è facile notare che per l’intero

periodo e per il primo sottoperiodo l’intercetta è statisticamente differente da zero. L’uguaglianza tra il rendimento di mercato stimato e quello osservato non è mai statisticamente significativa, ed inoltre, nell’intero periodo, la retta risulta quasi piatta.

29

CROSS-SECTION 78-05

y = 0,0009x + 0,015R2 = 0,0067

0,00%

0,20%

0,40%

0,60%

0,80%

1,00%

1,20%

1,40%

1,60%

1,80%

2,00%

0 0,2 0,4 0,6 0,8 1 1,2 1,4

Figura 3. Regressione cross-section dei rendimenti di portafoglio sul beta per l’intero periodo 1978-2005

Nel primo e secondo sottoperiodo assume addirittura valore

negativo e negli altri periodi la pendenza pur essendo positiva oltre a non essere statisticamente significativa mostra degli R2 insignificanti.

CROSS-SECTION 78-83

y = -0,0109x + 0,0368R2 = 0,2578

0,00%

0,50%

1,00%

1,50%

2,00%

2,50%

3,00%

3,50%

4,00%

0 0,2 0,4 0,6 0,8 1 1,2 1,4

Figura 4. Regressione cross-section dei rendimenti di portafoglio sul beta per il periodo 1978-1983

30

CROSS-SECTION 84-89

y = -0,0001x + 0,0221R2 = 1E-05

0,00%

0,50%

1,00%

1,50%

2,00%

2,50%

3,00%

0 0,2 0,4 0,6 0,8 1 1,2

Figura 5. Regressione cross-section dei rendimenti di portafoglio sul beta per il periodo 1984-1989

CROSS-SECTION 90-94

y = 0,0078x - 0,0055R2 = 0,0708

-1,00%

-0,50%

0,00%

0,50%

1,00%

1,50%

2,00%

2,50%

0,00 0,20 0,40 0,60 0,80 1,00 1,20 1,40

Figura 6. Regressione cross-section dei rendimenti di portafoglio sul beta per il periodo 1990-1994

31

CROSS-SECTION 95-99

y = 0,0087x + 0,0247R2 = 0,0925

0,00%

0,50%

1,00%

1,50%

2,00%

2,50%

3,00%

3,50%

4,00%

4,50%

0 0,2 0,4 0,6 0,8 1 1,2 1,4

Figura 7. Regressione cross-section dei rendimenti di portafoglio sul beta per il periodo 1995-1999

Il valore più elevato del coefficiente di determinazione si registra

nel primo (25,78%) e quinto sottoperiodo (21,61%). E’ in quest’ultimo che si potrebbe non escludere il corretto funzionamento del modello considerata la linearità espressa dalla relazione.

CROSS-SECTION 00-05

y = 0,0086x + 0,0003R2 = 0,2161

-0,50%

0,00%

0,50%

1,00%

1,50%

2,00%

2,50%

0,00 0,20 0,40 0,60 0,80 1,00 1,20 1,40 1,60 1,80

Figura 8. Regressione cross-section dei rendimenti di portafoglio sul beta per il periodo 2000-2005

32

Seppur con risultati statisticamente più robusti, una situazione

simile si riscontra anche nel lavoro di BJS benché il numero di titoli che formano i 10 portafogli risulti molto più ampio (da 582 nel 1931 a 1094 nel 1965). In particolare, nel loro quarto sottoperiodo il beta è negativo. Il rendimento di mercato stimato è più basso, e statisticamente significativo, rispetto a quello osservato nell’intero periodo.

In questo lavoro, come si può notare dalla tabella 4, il premio per il rischio di mercato è positivo per l’intero periodo e per altri 3 sottoperiodi; al contrario, assume valore negativo per due sottoperiodi compreso quello in cui il modello esprime una certa linearità tale da non escludere il corretto funzionamento dello stesso. E’ interessante notare come il premio per il rischio annualizzato, per il periodo 1978-2005, risulti pari a 5.82%, un valore molto simile a quello stimato da Panetta e Violi (1999) per il periodo 1861-1994 (5.69%)23.

4.2. I risultati derivanti dall’applicazione del three-factor model

Il campione utilizzato per testare il modello Fama-French è lo stesso descritto in precedenza con la sola differenza che l’orizzonte temporale si riduce a quindici anni (1989-2004) a causa dell’indisponibilità dei dati di bilancio delle società antecedentemente al periodo in esame. Ogni anno i titoli sono stati raggruppati in base al valore di mercato per formare quattro gruppi discriminati in relazione alla dimensione; da ciascun gruppo si sono ottenuti quattro portafogli sulla base del rapporto BE/ME per un totale di sedici portafogli24.

A giugno di ciascun anno, in concomitanza con la disponibilità dei dati contabili, per ognuno dei sedici portafogli è stato calcolato il rendimento medio mensile, come media dei rendimenti dei titoli appartenenti al portafoglio, per i successivi dodici mesi partendo dal luglio dell’anno t al giugno dell’anno t+1. Calcolati i rendimenti dei portafogli per tutto l’intervallo oggetto di indagine (quindici anni), si

23 Il lavoro di Panetta e Violi può essere considerato un punto di riferimento nella letteratura sul premio per il rischio in Italia, soprattutto in ragione dell’ampio orizzonte temporale considerato (1861-1994). Il premo stimato, come differenza tra la media dei rendimenti azionari e i tassi di rendimento dei titoli di Stato a lunga scadenza, è 5.69% utilizzando la media aritmetica e 3.44% calcolandolo con la media geometrica. Dimson, Marsh e Staunton (2002) considerano il periodo 1900-2000 e stimano per l’Italia un MRP dell’11%, utilizzando i rendimenti dei titoli di Stato a breve, e 8,4% impiegando i rendimenti dei titoli di Stato a medio-lungo termine.

24 I portafogli sono composti da numero di titoli compreso tra 75 e 109.

33

sono regrediti i rendimenti di ogni singolo portafoglio rispetto all’indice di mercato ottenendo così i beta post-ranking.

Per la variabile dimensione, come detto, si è fatto riferimento al valore di mercato dei titoli, mentre per la variabile Book Equity/Market Equity è stato considerato il rapporto tra valore contabile dell’equity e valore di mercato della società. Per la stima del premio per il rischio di mercato è stato utilizzato infine il rendimento mensile dei BOT a tre mesi quale risk free rate25. I portafogli sono stati formati seguendo un ordine crescente di grandezza delle due variabili.

A differenza dello studio di Fama e French (1992), che utilizzano 25 portafogli, in questo lavoro sono stati costruiti 16 portafogli per ovviare alla carenza di dati rendendo così più attendibile l’analisi.

25 I dati sui tassi di rendimento dei BOT sono stati acquisiti fino all’anno 2000 dal

Dipartimento del Tesoro e per la restante parte del periodo da “Indici e dati relativi ad investimenti in titoli quotati”, volume Mediobanca.

34

Tabella 5. Rendimenti e premi per il rischio mensili dei portafogli Size-BE/ME (1989-2004)

Book-to-market value

Rp 1 2 3 4

Media 0,01019537 0,00550205 0,00711261 0,00510677

1 0,01727497 0,02317992 0,015001 0,018103 0,0128163

2 0,00810881 0,00973781 0,006876 0,008239 0,0075821

3 0,00342845 0,00718918 0,003115 0,003276 0,0001339

4 -0,00089543 0,00067457 -0,00298 -0,00117 -0,0001052

1 2 3 4

Rp - Rf Media 0,00410737 -0,000586 0,00102460 -0,00098124

1 0,01118696 -0,009384 -0,021233 -0,019509 -0,011557

2 0,00202080 -0,016661 -0,024920 -0,019149 -0,015402

3 -0,00265955 -0,018442 -0,020439 -0,017619 -0,012164

Size

4 -0,00698344 -0,020651 -0,020088 -0,018566 -0,015574

Come si rileva dalla tabella, all’aumentare della dimensione i

rendimenti di portafoglio diminuiscono; e ciò non consente di rifiutare l’ipotesi di una relazione inversa tra rendimenti e dimensione.

Il premio per il rischio assume valori decrescenti in funzione della dimensione e per gli ultimi due portafogli si registrano valori negativi. Stimate le variabili, il passo successivo consiste nell’applicazione del modello attraverso la seguente equazione i cui parametri sono già noti:

[ ] [ ] [ ]HMLESMBERRERRE iifmifi µλβ ++−=− )()(

Per dettagliare maggiormente il contenuto dell’analisi, si sono

stimate altre due regressioni che utilizzassero come variabili indipendenti il premio per il rischio di mercato, riconducibile al CAPM, nella prima, e i premi derivanti dalla dimensione e dal rapporto BE/ME nella seconda.

35

)( ftmtppftpt RRRR −+=− βα (17) e

)()( tptppftpt HMLSMBRR µλα ++=− (18) dove p = 1, 2, ….16 sono i portafogli e t le osservazioni mensili. In questo modo è possibile confrontare i risultati delle due

regressioni e verificare quale dei modelli meglio interpreta la realtà italiana.

Dai risultati ottenuti, e illustrati nella sottostante tabella, è facile osservare come i beta risultino tutti statisticamente significativi e quasi la metà delle intercette (7 su 16) siano statisticamente diverse da zero ad un livello di confidenza del 5%.

Tabella 6. Risultati delle regressioni del modello a singolo fattore )( ftmtppftpt RRRR −+=− βα . * parametri significativi al 5%

Book-to-market α 1 2 3 4

1 0,016991* 0,003522 0,00096 -0,00554 2 0,008779 0,000657 -0,00311 -0,0092* 3 0,011875* 0,002023 -0,00295 -0,00744* si

ze

4 0,00655* 0,001332 -0,00612* -0,00637* Book-to-market β

1 2 3 4 1 0,627464* 0,792809* 0,881144* 0,804796* 2 0,83335* 0,813698* 0,86128* 0,82481* 3 0,871627* 0,795691* 0,886886* 1,120229* si

ze

4 1,110788* 1,009133* 1,019999* 1,121946* Book-to-market 2R 1 2 3 4

1 0,153542 0,490844 0,481653 0,336401 2 0,419257 0,584893 0,57542 0,581292 3 0,539747 0,645495 0,622832 0,719727 si

ze

4 0,761693 0,773701 0,78104 0,819676

I coefficienti di determinazione assumono valori poco rilevanti per i portafogli con bassi valori di mercato, mentre risultano elevati per i portafogli con alti valori di mercato. Tuttavia, un aspetto decisamente

36

anomalo è rappresentato dal fatto che i portafogli di più ampie dimensioni si caratterizzano per profili più rischiosi; al contrario, le società di minori dimensioni sembrerebbero qualificarsi per la minore rischiosità.

Osservando invece i dati contenuti nella seguente tabella si nota che i parametri della seconda regressione, la stima del premio size e BE/ME, presentano un basso valore di R2. Ciò sembra suggerire che le due variabili, SMB e HML, impiegate singolarmente non sono in grado di spiegare i rendimenti in eccesso dei titoli. Tabella 7. Parametri ed R2 delle regressioni con variabili SMB e HML. * parametri significativi al 5%

Book-to-market α 1 2 3 4

1 0,011451 0,006784 0,000204 0,000705 2 0,008378 0,003416 0,001742 -0,00709 3 0,011515 0,001881 -0,00089 -0,00149 Si

ze

4 0,007171 0,001843 -0,0039 -0,00451

Book-to-market λ 1 2 3 4

1 1,174765* 0,573466* 0,676696* 0,906674* 2 0,575384* 0,421118* 0,348263* 0,35248* 3 0,016515 -0,04177 -0,14516 -0,03143 si

ze

4 -0,41943* -0,24382 -0,39673* -0,35009*

Book-to-market µ 1 2 3 4

1 -0,2493 0,300971* 0,02527 0,559386*

2 0,037802 0,244467 0,384621* 0,188691 3 -0,03371 -0,02496 0,118725 0,41007* si

ze

4 -0,02382 -0,00728 0,094615 0,074472

Book-to-market 2R 1 2 3 4

1 0,229744 0,09236 0,103359 0,160754 2 0,071811 0,057833 0,052617 0,038352 3 0,000416 0,000663 0,012534 0,033561 Si

ze

4 0,03917 0,016492 0,051506 0,034081

37

Contrariamente a ciò che si riscontra per il coefficiente del fattore HML, il quale di rado assume un comportamento ben delineato, il coefficiente del fattore dimensione è quasi sempre statisticamente significativo; sembrerebbe quindi assumere un ruolo correttivo nella misura in cui aggiunge o sottrae extrarendimenti al rendimento di portafoglio. Le tabelle 8a e 8b illustrano i risultati conseguiti applicando il three-factor model ai sedici portafogli oggetto di indagine.

Tabella 8a. Parametri del modello a tre fattori . * significativi al 5%

Book-to-market α 1 2 3 4

1 0,010819 0,006089 -0,00058 0,000024 2 0,007643 0,002717 0,001015 -0,0078* 3 0,0108* 0,001234 -0,0016 -0,00239 si

ze

4 0,006303 0,001042 -0,0047 -0,00539

Book-to-market β 1 2 3 4

1 0,802893* 0,883252* 0,996648* 0,9277548*

2 0,934263* 0,888258* 0,924182* 0,893279* 3 0,908323* 0,822077* 0,89946* 1,146035* si

ze

4 1,103289* 1,018556* 1,007862* 1,120079*

Book-to-market λ 1 2 3 4

1 1,428077* 0,852132* 0,991137* 1,1993804*

2 0,870144* 0,701362* 0,639842* 0,634309* 3 0,303091* 0,217593* 0,138622 0,330148* Si

ze

4 -0,07135 0,077536 -0,07875 0,003298

Book-to-market µ 1 2 3 4

1 -0,25181 0,298211* 0,022155 0,5564867*

2 0,034882 0,241692* 0,381734* 0,1859* 3 -0,03654 -0,02753 0,115915 0,406489* Si

ze

4 -0,02727 -0,01046 0,091466 0,070972

38

Come si può notare dalla tabella 8a, le intercette tranne due non sono mai significativamente diverse da zero e i beta, tutti statisticamente significativi26, non diminuiscono all’aumentare della dimensione, ma al contrario aumentano, e non sembrano seguire particolari andamenti al crescere del book-to-market value. I valori del coefficiente lambda sono quasi sempre statisticamente significativi e diminuiscono all’aumentare della dimensione, in taluni casi assumono valore negativo. Al contrario, non si evince una relazione ben definita tra il coefficiente e il rapporto BE/ME. Soltanto per il secondo e terzo portafoglio assume un andamento quasi lineare. Il parametro µ, infine, che rappresenta il coefficiente della variabile HML, assume valori significativi principalmente per i portafogli caratterizzati da più alti valori di BE/ME.

Tabella 8b. Valori del coefficiente di determinazione della regressione

Book-to-market 2R 1 2 3 4

1 0,471819 0,678985 0,696706 0,591219

2 0,57921 0,728974 0,690582 0,694871 3 0,564826 0,664122 0,629391 0,75889 si

ze

4 0,762741 0,775474 0,785786 0,820732

I valori del coefficiente di determinazione, che variano da 47.2% a

82%, migliorano decisamente rispetto al CAPM soprattutto per i portafogli con size minore.

26 I valori del test t per tutti i parametri commentati sono illustrati in

appendice.

39

5. Considerazioni conclusive

Il Capital Asset Pricing Model e il three-factor model sono stati oggetto di indagine in questo lavoro. I risultati conseguiti suggeriscono tuttavia una certa prudenza nel trarre conclusioni, sia per il numero limitato di titoli esaminato sia per l’orizzonte temporale su cui è stato possibile indagare, la cui estensione è inferiore a quella di altri studi.

Per quanto riguarda la verifica del CAPM seguendo la metodologia proposta da BJS, i risultati non appaiono affatto confortanti sul piano della relazione rischio-rendimento. Dall’analisi cross section non si evince una relazione forte tra beta e rendimenti dei portafogli; i valori registrati dal coefficiente di determinazione denotano una relazione molto debole per tutti i periodi. Il premio per il rischio di mercato assume in taluni casi valore negativo e l’intercetta, tranne in due casi, non è mai significativamente diversa da zero. E’ opportuno però sottolineare che il valore del coefficiente di determinazione del quinto sottoperiodo (21,61%) porterebbe, nonostante l’assenza di significatività dei parametri, a non escludere il corretto funzionamento del modello considerata la linearità espressa dalla relazione.

Seppur con risultati statisticamente più robusti, situazioni analoghe si riscontrano anche nel lavoro di BJS benché il numero di titoli che formano i 10 portafogli risulti molto più ampio (da 582 nel 1931 a 1094 nel 1965). In particolare, nel loro quarto sottoperiodo il beta è negativo. Il rendimento di mercato stimato è più basso, e statisticamente significativo, rispetto a quello osservato nell’intero periodo.

Risultati apparentemente più interessanti si sono ottenuti con l’applicazione del modello a tre fattori. In questo caso la variabile dimensione accompagnata al beta sembrerebbe possedere un maggior potere esplicativo. I beta, tutti statisticamente significativi, non diminuiscono all’aumentare della dimensione, ma al contrario aumentano, e non sembrano seguire particolari andamenti al crescere del book-to-market value. I valori del coefficiente “lambda” sono quasi sempre statisticamente significativi e diminuiscono all’aumentare della dimensione, e ciò indica un premio per il rischio maggiore per i titoli più rischiosi così come predetto dal CAPM. In tale circostanza, anche i rendimenti di portafoglio, tranne qualche

40

eccezione, diminuiscono; e ciò non consente di rifiutare l’ipotesi di una relazione tra rendimenti e dimensione. Mentre per quanto riguarda la relazione tra rendimenti e BE/ME non si riscontrano andamenti lineari come nel lavoro di Fama e French (1992).

Al pari del lavoro di Cavaliere e Costa (1999) anche nel nostro si conferma la tendenza del beta a crescere all’aumentare della dimensione misurata dalla capitalizzazione di mercato; si conferma altresì la rilevanza del fattore size nello spiegare i rendimenti dei titoli. I risultati conseguiti con il three-factor model, quindi, sembrano confermare l’esistenza di fattori addizionali in grado di spiegare meglio i rendimenti. E non è l’unico lavoro questo in cui si esprime perplessità sulla validità empirica del CAPM, i risultati prodotti dalla letteratura internazionale sono abbastanza evidenti nonostante i numerosi sforzi compiuti da parte dei sostenitori a difesa del modello27.

Anche in Italia i risultati conseguiti non sono univoci sottolineando in tutta evidenza posizioni differenti: Cristini (1978), Caparrelli e Viviani (1990), Attanasio e Rigotti (1991) rigettano il modello, al contrario, Murgia (1989) e Caprio (1989) confermano la validità del Capital Asset Pricing Model.

D’altra parte un impianto teorico così robusto indebolito da evidenze empiriche che non hanno alcun supporto teorico, e nessuna collocazione specifica nel paradigma rischio – rendimento, provoca scetticismo. Tali evidenze, tuttavia, se ulteriormente confermate arrecherebbero un grave danno al CAPM, essendo il criterio di stima del costo del capitale azionario più diffuso in tutti i paesi del mondo (Graham e Harvey, 2001). Una recente indagine di Ambrosetti Stern Stewart Italia, su un campione statisticamente significativo, ha evidenziato come il CAPM sia il modello prevalentemente utilizzato nella stima del costo del capitale azionario, e come il beta, stimato

27 I sostenitori del CAPM si difendono attribuendo la causa della non linearità del modello a

diversi fattori tra cui gli errori di campionatura statistica, selection bias, i fenomeni di data mining, l’irrazionalità dei mercati; ipotesi quest’ultima che trova sempre più spazio nella comunità scientifica (Tversky e Kahneman, 1974; Shiller, 2000). L’ipotesi del data mining viene invece concretamente presa in considerazione da Black (1993) il quale ripropone l’analisi condotta da BJS e per lo stesso periodo trova risultati simili ma non identici. Estendendo l’analisi al 1991 egli trova valori più deboli rispetto a quelli ottenuti nel periodo 1931-1965; i titoli con un beta basso registrano dei rendimenti superiori ai titoli con alto beta. Egli ritiene tuttavia che la frequenza con cui i titoli a basso beta “fanno meglio” dei titoli più rischiosi sia la stessa, considerando pertanto prematura la “morte” del CAPM.

41

tramite la regression analysis, sia l’indicatore di rischiosità a cui si affida la maggior parte degli analisti finanziari italiani (AIAF, 2001).

Da non dimenticare che il modello è largamente adottato non solo per l’analisi rischio-rendimento dei titoli azionari, a cui fornisce un contributo di indiscussa importanza nella comprensione della logica della formazione dei prezzi delle attività rischiose, al contrario si presta a numerose applicazioni nel campo dell’analisi finanziaria. Basti pensare al sempre più diffuso impiego delle metodologie basate sulla discounted cash flow analysis per la valutazione dei progetti di investimento sia pubblici che privati; con pari frequenza peraltro la stessa metodologia viene adottata nella valutazione del capitale economico dell’impresa. In ciascun caso, il tasso di attualizzazione utilizzato per scontare i flussi di cassa, sia unlevered che levered, è calcolato in funzione del costo del capitale azionario.

In definitiva, dunque, i risultati esposti in questo studio sono da considerarsi preliminari e suggeriscono ulteriori approfondimenti, i quali potranno con più robustezza confermare o smentire le riflessioni qui contenute.

42

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47

APPENDICE

Tabella 1. Test t parametri del modello a singolo fattore

Book-to-market t(α) 1 2 3 4 1 2,248426* 0,850444 0,204644 -0,956 2 1,745015 0,186901 -0,81997 -2,56335* 3 2,876218* 0,668955 -0,83463 -2,07367*

size

4 2,055168* 0,475779 -2,20855* -2,36127* Book-to-market t(β) 1 2 3 4 1 5,682259* 13,09954* 12,86076* 9,499175* 2 11,33595* 15,83682* 15,53184* 15,71997* 3 14,44797* 18,00303* 17,14463* 21,37977*

size

4 23,85236* 24,66923* 25,19789* 28,44493*

Tabella 2. Test t parametri del modello a due fattori

Book-to-market t(α) 1 2 3 4

1 1,491208 1,151619 0,031091 0,101544 2 1,236507 0,605387 0,288439 -1,22375 3 1,776622 0,347651 -0,14592 -0,20941

size

4 1,05191 0,296412 -0,63563 -0,67767 Book-to-market t(λ) 1 2 3 4

1 6,503908* 4,138759* 4,379458* 5,549652* 2 3,610512* 3,172711* 2,451937* 2,585156* 3 0,108333 -0,32828 -1,01137 -0,18836

size

4 -2,61586* -1,66737 -2,74622* -2,23651* Book-to-market t(µ) 1 2 3 4

1 -1,30406 2,052311* 0,15452 3,235057* 2 0,22412 1,740221 2,558534* 1,307555 3 -0,2089 -0,18534 0,781578 2,322311*

size

4 -0,14035 -0,04704 0,618803 0,449517

48

Tabella 3. Test t parametri del modello tre fattori

Book-to-market t(α) 1 2 3 4

1 1,69656 1,733093 -0,1513 -0,00504 2 1,670523 0,895278 0,293207 -2,38079* 3 2,518236* 0,392339 -0,42622 -0,67176

size

4 1,855276 0,349627 -1,60448 -1,87491 Book-to-market t(β) 1 2 3 4

1 8,98132* 17,93387* 18,55576* 13,61381* 2 14,56795* 20,87649* 19,04942* 19,45977* 3 15,10855* 18,64545* 17,11553* 23,00999*

Size

4 23,16784* 24,39154* 24,56197* 27,7905* Book-to-market t(λ) 1 2 3 4

1 9,356772* 10,13416* 10,80843* 10,30849* 2 7,94716* 9,655007* 7,724829* 8,093631* 3 2,952886* 2,890663* 1,545011 3,882566*

size

4 -0,87753 1,087545 -1,12416 0,047927 Book-to-market t(µ) 1 2 3 4

1 -1,58614 3,409615* 0,232278 4,59826* 2 0,306286 3,198692* 4,430746* 2,280458* 3 -0,34229 -0,35161 1,242051 4,595785*

size

4 -0,3224 -0,1411 1,255198 0,991579


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