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CHE COS'È L'AUTISMO · L'incidenza dell'autismo è stimata da 2 a 10 casi ogni 10.000 persone. La...

Date post: 15-Mar-2020
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Raccolta dati a cura di Stefano Comi Fonti internet: Associazione Nazionale Genitori Soggetti Artistici Lombardia onlus Animali e personaggi da favola sono stati disegnati da F. C., bambina affetta da autismo,
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Raccolta dati a cura di Stefano Comi Fonti internet: Associazione Nazionale Genitori Soggetti Artistici Lombardia onlus

Animali e personaggi da favola sono stati disegnati da F. C., bambina affetta da autismo,

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Un particolare ringraziamento va a

Sonia e Roberto Rusticani e all’A.N.G.S.A. Lombardia che mi hanno permesso di avventurarmi nel misterioso mondo dell’autismo.

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Laguna ghiacciata

La laguna è bianca di ghiaccio.

I gabbiani camminano sulle barche

adagiate sopra croste bianche.

Io guardo il paesaggio freddo:

tutto il mio mondo

è come questa barca

incagliata nel ghiaccio

p.c.m.

Poesia di un Ragazzo Autistico

Pier Carlo è un ragazzo Autistico adulto, che scrive al computer, facilitato con un semplice tocco al collo

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Che cosa è l'autismo

Sindrome clinica causata da alterazione del SISTEMA NERVOSO CENTRALE di diversa natura.

Le attuali ricerche hanno evidenziato la difficile comprensione delle informazioni

sociali ed emotive dei soggetti con sindrome autistica, che portano operativamente

alla difficoltà a condividere il significato dell'intento comunicativo e delle interazioni

reciproche.

Le persone affette da autismo presentano i seguenti sintomi:

anomalie qualitative

o nel campo delle relazioni sociali reciproche

o in tutti gli aspetti della comunicazione

comportamenti, attività ed interessi ristretti, limitati, ripetitivi e stereotipati

insorgenza prima dei 3 anni.

L'incidenza dell'autismo è stimata da 2 a 10 casi ogni 10.000 persone.

La maggior parte delle stime che includono disturbi analoghi è da 2 a 4 volte

maggiore.

L'autismo colpisce i maschi 4 volte più frequentemente delle femmine.

E' stato riscontrato

in tutte le popolazioni del mondo

di ogni razza ed ambiente sociale.

La gravità dell'autismo è molto variabile.

I casi più gravi sono caratterizzati da comportamenti estremamente

ripetitivi

insoliti

auto o etero aggressivi.

Particolarmente grave è la situazione delle persone adolescenti ed adulte affette

da autismo:

spesso rimangono in carico alla famiglia

non trovano interventi adeguati.

I. Introduzione

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Caratteristiche dell'autismo

La caratteristica più evidente è il disturbo dell'interazione sociale.

Le persone con autismo

spesso non rispondono se chiamati per nome

evitano lo sguardo

appaiono inconsapevoli

o dei sentimenti altrui nei propri confronti

o dell'impatto negativo del proprio comportamento sugli altri

I deficit sociali che emergono, conducono ad inevitabili disturbi comportamentali, condizionati a

loro volta da vari problemi:

comprensione

nulla o scarsa capacità di espressione verbale

deficit di attenzione

disorganizzazione

memoria correlata al livello di interesse

risposte anomale ai suoni al tatto o ad altri stimoli sensoriali

problemi di generalizzazione delle informazioni

resistenza al cambiamento

In contrapposizione sono stati rilevati punti di forza cognitivo-percettivi relativamente

alla peculiarità d'interessi

all'abilità della memoria meccanica

all'elaborazione visiva.

Quali sono le cause dell'autismo

L'autismo non ha una singola causa.

Gli studi sui persone autistiche, tuttora ancora in corso, hanno evidenziato anomalie in diverse

strutture cerebrali, dalle quali si può dedurre che

l'autismo deriva un danno dello sviluppo cerebrale normale in una fase precoce dello sviluppo fetale.

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I ricercatori sostengono inoltre che

geni

fattori ambientali (virus o sostanze chimiche)

possano contribuire a determinare il disturbo

Come si può trattare l'autismo

Attualmente non esiste una cura per l'autismo

E' possibile mirare ad un miglioramento delle capacità di adattamento delle persone

affette da autismo e quindi a significativi miglioramenti nelle loro condizioni di vita.

Ricerche controllate hanno portato alla definizione di quello che oggi è da ritenere il trattamento

più efficace:

un sistema integrato di interventi composto da

diagnosi precoce, congiunta ad una chiara informazione alla famiglia

accertamenti medico-biologici e monitoraggio delle condizioni mediche

interventi educativo-comportamentali che mirino a

o sviluppare le capacità sociali e di comunicazione

o all'autonomia

E' necessario iniziare questi trattamenti il più presto possibile, anche se buoni risultati si

raggiungono anche in età adulta.

sostegno pratico e psicologico alla famiglia

servizi predisposti per l'intero ciclo di vita (comunità alloggio, ecc.) finalizzati

o all'inserimento sociale

o alla formazione professionale

o all'avviamento lavorativo (cooperative di lavoro)

coordinamento tra Operatori e Servizi interessati.

Una terapia farmacologica specifica e risolutiva non esiste:

diverse sono le cause dell'autismo.

Scopo principale della terapia farmacologica è quello di rendere possibile i trattamenti comportamentali e psico-educativi, riducendo i sintomi disturbanti.

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Ci sono bambini che evidenziano problemi Neurologici e Comportamentali fin dalla nascita,

ma ci sono anche bambini, spesso bellissimi che sembrano crescere sani, ma che, verso i due o

tre anni di vita, improvvisamente subiscono un crollo di gran parte delle capacità acquisite.

Se prima parlavano, ascoltavano e ti rispondevano, pian piano smettono di parlare e

sembrano non capirti più.

Ti guardavano negli occhi ed il loro sguardo diventa sfuggente, i giochi cambiano,

diventando ripetitivi con gestualità stereotipata.

I bambini sembrano quasi insensibili al dolore, hanno gesti e comportamenti spesso

autolesionistici.

Ai poveri genitori sembra cadere il mondo addosso e subentrano la paura e lo sconcerto; non

si sa cosa fare, dove andare, con chi parlare e di chi fidarsi.

Con la realizzazione di questo Sito, pensato come un Manuale o come una Guida Pratica, Noi

vogliamo dare a questi genitori una panoramica quanto più possibile completa dell'Universo

dell'Autismo, partendo dalla definizione della Sindrome, fino ad arrivare alle Terapie

Riabilitative ed alle Leggi sull'Handicap.

Utilizzando le conoscenze acquisite da Genitori con alle spalle anni di esperienza nel seguire i

loro figli Autistici ed avendo ottenuto la collaborazione di Esperti Professionisti per la

realizzazione delle " Finestre " puramente Tecniche, abbiamo la speranza che, grazie a questo

lavoro, i genitori possano essere più informati e più coscienti delle problematiche dell'Autismo

e possano collaborare più proficuamente con le Neuropsichiatrie Infantili delle loro Città per

migliorare l'autonomia e la qualità della Vita del proprio figlio.

Un abbraccio ed un augurio a tutti Voi da Sonia e Roberto Rusticali.

II. Prefazione

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Questa parte vuole darVi una panoramica sulla Diagnostica dell'Autismo, si rivolge oltre che

ai Genitori, anche a Pediatri, Medici di Base, Insegnanti dalla Scuola Materna fino alle

Medie.Saranno illustrate le varie Scale Diagnostiche in uso nel mondo, : il DSM-IV pubblicato

della Associazione Psichiatrica americana, l' ICD-10 della Organizzazione Mondiale della Sanità.

Vi sono semplici ma immediati Test su come ipotizzare gli eventuali tratti Autistici (

importante per Pediatri e Medici di base) ; inoltre inseriremo anche Test comportamentali che

richiedono una osservazione molto approfondita del Soggetto, quali il " PEP- R ; CARS; BSE ;

ABC ; ERC-A. "

Qualora le osservazioni mediante i test che pubblichiamo, facessero sospettare una possibile

Sindrome Autistica, o Disturbi dello Sviluppo, è opportuno rivolgersi con urgenza alle

Neuropsichiatrie Infantili delle Vostre Città ed eventualmente, poiché a nostro parere bisogna

avere più indicazioni possibili su un problema così importante, vi consigliamo di ricorrere ai

Centri Specializzati ( pubblichiamo su una Finestra, una serie di indirizzi consigliati che ci sono

stati segnalati da persone competenti) che possano confermare e certificare una eventuale

Diagnosi di autismo. **** L'elenco degli Indirizzi dei Centri Specializzati Consigliati sarà in

costante evoluzione, se chi ci legge ritiene che vi siano delle carenze e delle lacune, basta

semplicemente che ci facciate un E-mail a: [email protected] e la Vostra indicazione sarà

immediatamente valutata.

11)) BBaammbbiinnii aauuttiissttiiccii:: ccoommee iiddeennttiiffiiccaarrllii pprreessttoo ppeerr aaiiuuttaarrllii..

Segnali dal silenzio Tratto dal Corriere Salute del 17 settembre 2000

Semplici test sullo sviluppo possono indirizzare i pediatri alla diagnosi

Vivono in un mondo a parte i bambini artistici. Difficile non notarlo. In genere, hanno

problemi a socializzare e a dimostrare slanci d'affetto. 0 ad interpretare l'espressione e il tono

della voce altrui. Una piccola percentuale arriva a sviluppare qualità alla `Rain man' - dal film

con Dustin Hoffman che ha portato il problema a conoscenza di tutti - e stupiscono per le loro

abilità in un particolare settore, come Ia musica o la matematica. Per la maggioranza, il futuro

è di reclusione psicologica e di comportamenti ripetitivi.

Ma i segnali d'allarme di questa malattia neurologica, che ultimamente è in aumento per

motivi non chiari, possono essere captati molto prima di diventare evidenti. Tanto

precocemente da permettere interventi repentini, in grado di aiutare il bambino ad integrarsi al

meglio con i suoi coetanei nel periodo scolastico. E' per questo che l'American Academy of

Neurology ha deciso ora, su esortazione di un gruppo di 12 esperti che ha analizzato più di

2700 studi al riguardo, di lanciare una raccomandazione, importante: tutti i bimbi in tenera età

dovrebbero essere controllati per segnali d'autismo dai pediatri di base durante le regolari

visite di check-up.

Semplici test, a partire da quelli che controllano i cosiddetti "traguardi fondamentali" dello

sviluppo, possono essere impiegati per determinare se il comportamento e le abilità

linguistiche di un piccolo devono essere d'approfondimento.

"Non dovrebbe mai essere dato per scontato che il bimbo farà sprint finale e raggiungerà più

tardi certe tappe dello sviluppo - spiega Pauline Filipek, autrice principale delle nuove

raccomandazioni e neurologo pediatrico dell'Irvine Medical Center dell'Università della

California. Il problema è che spesso passano anni dalla comparsa dei sintomi al momento in cui

l'autismo è diagnosticato".

III. Test per diagnosi precoci

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Scoperta più di 60 anni orsono, Ia malattia rimane un mistero: non ne è stata accertata una

causa, non esiste un esame per smascherarla, non si è trovata una cura. Ma è certo che una

diagnosi precoce può fare una differenza enorme sul futuro del bambino autistico.

"Prima si fa la diagnosi, prima si può passare a terapie che riguardano la parola e il

linguaggio - dice Stephen Ashwall, capo del dipartimento di neurologia pediatrica della Loma

Linda University in California - E' dimostrato che questi interventi sono di enorme aiuto per lo

sviluppo del bambino". Alcuni studi dimostrano che coloro che prima dei 5 anni di età ricevono

certe terapie comportamentali (mirate al riconoscimento di espressioni di gioia o ira e alla

verbalizzazione di ciò che il bambino vuole) hanno più chance di integrarsi con successo in un

ambiente scolastico regolare.

22)) QQuuaallii vveerriiffiicchhee

LE TAPPE DELLE ABILITÀ

Secondo l'American Academy of Neurology, tutti i bebè dalla nascita in poi, dovrebbero

essere esaminati anche per segnali d'autismo durante le visite dal pediatra.

Il primo test da tener presente consiste nel valutare a fondo le "tappe fondamentali" della

crescita. In particolare:

Se il bimbo si esprime con versi o gesti intorno ai 12 mesi; Se pronuncia almeno una parola quando raggiunge i 16 mesi; Se riesce a costruire una frase di almeno due parole intorno ai due anni; Se, in qualunque momento della crescita, perde qualche abilità linguistica o sociale.

Qualora il bambino non sia in pari con questi traguardi, dovrà essere valutato con un

secondo test più specifico in grado di determinare se è capace di contatto visivo, di

verbalizzare o almeno di comunicare senza parole. Il test, concepito apposta per piccoli

di 18 mesi circa, include giochi di simulazione e situazioni per osservare le reazioni del

soggetto. Il dottore, indicando un oggetto, esclama: "Guarda quello!" e giudica come il

bimbo risponde allo stimolo. Se anche questi test sono positivi, si raccomandano esami accurati.

** Nota dei Curatori: desideriamo rendere più completo l'Articolo, aggiungendo altri due Validi

e semplici Test diagnostici.

33)) CCoommee ssii ddiiaaggnnoossttiiccaa ll''AAuuttiissmmoo ??

- Tratto da un opuscolo redatto per i Pediatri dalla American Society for Autism per

far sospettare la Sindrome a livello di età prescolare.

L'Autismo è classificato come un disturbo pervasivo dello sviluppo. Ricercatori e terapisti

hanno sviluppato diverse serie di criteri diagnostici per l'Autismo. Alcuni dei criteri più usati

comprendono una serie di domande del Pediatra al genitore ed osservazioni del bambino:

1) Al bambino piace essere dondolato o fatto saltellare sulle ginocchia?

2) Si interessa agli altri bambini ?

3) Gli piace arrampicarsi sui mobili o sulle scale?

4) Si diverte a fare giochi tipo nascondino?

5) Ogni tanto gioca a "far finta " di preparare da mangiare o altro?

6) Ogni tanto usa il dito per indicare o chiedere?

7) Ogni tanto usa il dito per indicare interesse in qualcosa?

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8) E' in grado di giocare in modo appropriato con i giocattoli (ad esempio macchinine o

mattoncini) oltre che metterli in bocca o manipolarli o farli cadere?

9) Il bambino porge ogni tanto oggetti al genitore per farglieli vedere?

Durante la visita Pediatrica

10) Durante la visita il bambino fissa mai negli occhi?

11) E' possibile ottenere l'attenzione del bambino, indicare poi un oggetto interessante della

stanza, fare il segno con il dito e nominarlo come un " Oh, guarda….." e osservare che il

bambino effettivamente si gira a guardare ciò che è stato indicato?

12) Avendo davanti dei cubi, quanti ne riesce ad impilare?

13) Chiedendo " Dov'è la luce " o " Mostrami la luce" , eventualmente replicando la domanda

con un altro oggetto che può capire ( es. l'orsacchiotto ), il bambino riesce ad indicare con il

dito e contemporaneamente a guardare in faccia l'interlocutore?.

** Se la risposta è no in almeno 7 domande su 13, allora è ipotizzabile che il bimbo sia da

considerare nello spettro Autistico.

Un altro Test che può risultare Utile sul riconoscimento è il seguente

Tratto da Autism Checklist della Autism Society of America, adattata dalla versione originale

del Prof.Rendle-Short, dell' Ospedale per bambini di Brisbane , Università del Queensland ,

Australia. ( si ringrazia Angsa - Treviso per la pubblicazione di questo test).

Come riconoscere I'Autismo:

I soggetti con autismo mostrano spesso i sintomi rappresentati qui sotto, con intensità che

varia da media a grave, rispettivamente per ognuno.

Difficoltà a stare insieme con altri bambini

Insistenza sulla costanza (someness)

Resistenza al cambiamento

Manifestazioni di riso inappropriato

Mancanza di reale paura dei pericoli

Contatto oculare scarso o assente

Gioco bizzarro sostenuto nel tempo

Apparente insensibilità al dolore

Ecolalia (ripete parole o frasi al posto del linguaggio normale)

Preferenza a rimanere solo, isolato

Mancata reciprocità nelle "coccole"

Ruotare gli oggetti in modo ossessivo

Mancata risposta alle indicazioni verbali: può sembrare sordo

Attaccamento inappropriato agli oggetti

Difficoltà ad esprimere bisogni: uso di gesti e indicazione al posto delle parole

Episodi di ansia-collera(capricci) senza apparente motivo

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Evidente eccesso o estrema scarsezza di attività fisica

Mancata risposta ai normali sistemi educativi

Abilità grosso e finomotorie incongrue (es.: non giocare a palla ma riuscire nelle costruzioni).

Se sono presenti almeno 7 di queste caratteristiche, è opportuno un controllo diagnostico.

44)) LLaa vvaalluuttaazziioonnee ddeellll''aauuttiissmmoo

ALCUNE COSE DA RICORDARE SULL'AUTISMO (DEL DOTTOR GORAN DZINGALESIVIC)

La valutazione:

Evidentemente per formulare la diagnosi d’autismo occorre accertare che vi sia un disturbo

nelle seguenti tre aree: comunicazione, socializzazione e ristretti interessi (immaginazione).

Ciò che rende difficile l’individuazione della sindrome autistica è la molteplicità dei sintomi che

si possono presentare, e la loro disparità da un caso all’altro; è perciò difficile che un

professionista sia davvero esperto d’autismo se non vede che pochi casi.

Bisogna fare il bilancio iniziale se si vuole ottenere un quadro completo ed oggettivo d’ogni

bambino/a. Quando si valuta un bambino/a autistico soltanto da una parte in relazione al

linguaggio o all’assenza di linguaggio, e dall’altro rispetto ad un comportamento sociale

adeguato o no, si ottiene un quadro troppo frammentario che non consente di aiutare il

bambino/a.

Pertanto, noi (l’équipe di Treviso) cerchiamo di fare un bilancio tenendo conto di tutti i dati:

motricità del bambino/a, percezione (vede e sente bene), capacità di associare un suono con

una percezione visiva, lateralizzazione, processi cognitivi (memoria, elaborazione, ecc.). Per

quanto riguarda i processi cognitivi, si è studiato lo stadio cui si trovavano i bambini dal punto

di vista della memoria e dell’attenzione. E’ molto importante appurare il livello cognitivo del

bambino/a e il suo stadio di sviluppo (Vineland adaptive behavior scales, P.E.P., ecc.). Ora, ci

si è resi conto che nei bambini autistici ci sono gravi problemi di memoria (hanno soltanto una

memoria automatica, di routine – Schopler, Wing, Gillberg, Peeters, ecc.). La memoria del

nuovo, di ciò che va aggiunto al passato, non esiste. Ed è per questo che si riscontra in loro

questa ricerca di immutabilità, perché ogni nuovo apprendimento è sconvolgente rispetto alle

loro strutture di funzionamento. E’ evidente che la motricità interviene anch’essa nei processi

cognitivi e in quelli di comunicazione. Bisogna avere la corretta condotta motoria per parlare,

utilizzando la gola, la lingua, la bocca per formare dei suoni che diventeranno parole. Allo

stesso modo se il bambino/a non ha una buona motricità avrà delle difficoltà per apprendere a

comunicare con i gesti, per imparare a scrivere, e anche per imparare ciò che fa parte

dell’autonomia quotidiana. (tagliare una fetta di carne, vestirsi, chiudere un lampo o allacciare

le scarpe, ecc.). Bisogna quindi valutare tutto questo, perché tutto ha peso, e tutto è collegato.

Ma bisogna anche studiare i deficit neurologici che presenta il bambino/a: quando s’inviano

due informazioni a un bambino/a autistico (un clic sonoro e uno stimolo visivo) il bambino/a

non le analizza come un bambino della sua età cronologica. Bisognerà tenere conto di questo

nei processi educativi, tenendo presente il fatto che il bambino/a autistico tratta e analizza

l’informazione tal e quale noi gliela diamo. Se gli si mostra l’immagine di una macchina e gli si

dice "macchina" non collegherà il suono macchina all’immagine che ha visto. E tutto procede

da questa mancanza di analisi.

Noi sappiamo che i bambini/e autistici hanno delle percezioni diverse dalle nostre. Tutti

conosciamo dei bambini/e ipersensibili al freddo, al caldo, ai rumori, o che hanno delle remore

a toccare certe superfici, ecc. Come per tutte le forme di apprendimento, tutto quello che si

può frequentare nella scuola materna per dei bambini senza problemi, sarà difficile nel caso di

bambini/e autistici. Bisogna anche esaminare bene quest’aspetto delle relazioni sociali e

vedere come entra in relazione con gli altri. Non condivido quello che in genere si dice dei

bambini/e autistici, che vivono chiusi in se stessi, nel loro mondo, senza entrare in relazione e

senza comunicare. Direi piuttosto che il bambino/a autistico entra in relazione e comunica, ma

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in modo deviante; questo modo deviante è perturbante per tutti gli altri, e fa sì che egli non

sia bene accetto socialmente. Quindi, un’analisi precisa del suo modo di relazionarsi, del suo

modo di comunicare, permette di aiutarlo e di fare dei progressi.

Alla base di tutto questo i dati neurobiologici, i processi cognitivi, la psicologia individuale,

tutti i dati relazionali, rituali e culturali determineranno quella che possiamo chiamare la

"pragmatica", cioè l’aspetto pratico della comunicazione e del linguaggio. Io penso che occorra

cercare di far comunicare il bambino/a autistico con un qualunque mezzo possibile, che si tratti

di lettura, immagini, linguaggio gestuale, o i cubi utilizzati da Premack. Non ha importanza il

mezzo, bisogna però fornirgli uno strumento di comunicazione, per evitare di lasciarlo nel

mondo dell’aggressività, della mutilazione e della violenza, perché allora saranno questi i suoi

soli mezzi per esprimersi. Non riuscire a dargli uno strumento di comunicazione abbastanza

presto, è uno scacco in partenza per la socializzazione.

A partire da tutto questo, si deve definire un programma educativo, ma io ritengo che non si

deve intendere per educazione l’educazione classica, quella fornita dallo stato, cioè imparare a

leggere, scrivere e fare i conti. Il punto è piuttosto lo sviluppo del bambino/a sul piano

dell’autonomia, delle relazioni, delle capacità di comunicazione, in breve di tutto ciò che

costituisce lo sviluppo di un bambino/a della sua età cronologica. Evidentemente, sarà un

bambino handicappato, ma si potrà cercare di aiutarlo ad integrarsi nella società. Le famiglie

devono poter vivere con questi bambini/e, e la società deve poterli accettare. Per esempio, i

nostri bambini sono capaci di andare in un bar e mangiare, o di fare degli acquisti. Gli si

insegna i gesti essenziali della vita: traversare la strada, prendere un autobus, vestirsi,

spogliarsi. E’ questa l’educazione. Il punto di partenza, però, è valutazione iniziale. Un

programma educativo individualizzato significa sapere ciò che è prioritario. La maggior parte

dei bambini/e autistici presenta un problema di attenzione: la loro attenzione è labile, sono

iperattivi o indifferenti, e in ogni modo non si riesce a farli concentrare su un compito per

trenta secondi. Se un bambino/a è incapace di un po’ di attenzione, è inutile mettere in pratica

un programma educativo.

Dunque, se si vuole aiutare un bambino/a, si deve partire con la cognizione di tutto ciò che è

negativo, tutto ciò che è corretto, e stabilire ciò che va sviluppato e ciò che va soppresso. Devo

affermare che la maggior parte dei comportamenti perturbanti (a differenza di ciò che si fa in

alcuni centri) possono ricevere un trattamento. Bisogna aiutare i genitori perché, quando il

bambino/a è piccolo, il suo posto non è certamente in un centro, è evidente. E’ necessario che

un’équipe aiuti immediatamente la famiglia a trattare questi comportamenti perturbanti. E’ qui

che i test, i bilanci e le valutazioni intervengono: si deve osservare ciò che accade nel

comportamento del bambino/a; quando questo comportamento specifico appare? Perché,

come? Ogni volta ci si rende conto che il comportamento perturbante del bambino/a

corrisponde a un rifiuto, a un desiderio (ha qualcosa da esprimere, ma siccome non possiede

né il linguaggio né altro strumento per esprimerla, la esprime con il corpo, con delle grida, con

il rompere degli oggetti in casa). Se non ci si occupa immediatamente di tutto questo, è ancora

una volta inutile pensare in termini di educazione.

Quindi, si devono prendere in carico questi fattori immediatamente e con un’azione

coordinata con i genitori; non soltanto gli si sottopone il questionario all’inizio, ma si dovrà

sempre avere con essi un’interazione e una retroazione.

I bambini/e autistici continuano ad essere i miei migliori insegnanti; ma il messaggio più

importante che vorrei dare è che dobbiamo lavorare insieme (famosa collaborazione) per

capire e imparare come gli autistici, sia bambini/e sia adulti, pensano e come imparano e come

vedono se stessi e come capiscono il mondo che li circonda. E’ accettato a livello internazionale

che la sindrome autistica è una patologia che dura per tutta la vita. Al di là delle caratteristiche

comuni le persone affette da autismo costituiscono un gruppo eterogeneo e possiamo

suddividere bambini/e diagnosticati come autistici sulla base della triade sintomatologica

secondo il livello più o meno grave di problemi di linguaggio e di comprensione generale; ogni

elemento dev’essere visto dal punto di vista delle peculiarità di ogni singolo bambino/a, perché

ogni bambino/a autistico è diverso dall’altro.

L’intervento dovrà prevedere due elementi chiave: il primo è insegnare loro in una maniera

concreta le abilità di comunicazione, la capacità di interazione, e tutte le competenze di base

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della vita; il secondo è di adattare il proprio comportamento sociale in modo da aiutare il

bambino/a autistico a capire la situazione. La chiave di un intervento specifico è un’istruzione

chiara e completa, molta pazienza e la consapevolezza che dobbiamo adattare il nostro

comportamento.

Se pensiamo, nella nostra vita, alle nostre relazioni sociali, ci rendiamo conto che la

relazione sociale non ha una struttura come i numeri, non ha regole evidenti, non ha un ordine

fisso, non è prevedibile. La relazione sociale cambia continuamente, non è mai la stessa. La

relazione sociale insomma presenta tutte le caratteristiche che sono incomprensibili per molti

bambini/e autistici, perché per loro è molto più comprensibile un mondo dove le cose sono

ordinate, possono essere previste, organizzate, e sono sempre le stesse. Se pensate ai propri

figli/e, vi rendete conto che guardano sempre gli stessi libri, gli stessi video, vogliono sempre

giocare nella stessa maniera, con gli stessi giocattoli, ancora e ancora. Questo accade perché

la ripetitività li aiuta a capire cosa stanno facendo in quel momento; le cose che sono più

complicate per loro sono quelle in continuo cambiamento, come ad esempio le relazioni sociali

e il linguaggio parlato.

Le difficoltà fondamentali che i bambini/e autistici devono affrontare innanzi tutto sono una

lotta per comprendere la loro interazione con le persone che li circondano. Uno degli strumenti

principali attraverso i quali socializziamo è la comunicazione. I bambini/e autistici devono

lottare con entrambi questi deficit, sia la difficoltà a interpretare il linguaggio verbale che

l’incapacità di comprendere il significato del nostro comportamento. Il loro comportamento

rappresenta uno sforzo per far fronte all’ambiente che li circonda, un ambiente che è

imprevedibile, e che un autistico/a adulto molto dotato ha definito "caos sociale". "Caos

sociale" vuole dire sentirsi socialmente disorganizzati, vivere in un mondo dove le cose sono

completamente imprevedibili: questa è la sfida fondamentale che i bambini/e autistici si

trovano a dover fronteggiare.

Un intervento efficace deve quindi essere incentrato su strategie atte a supportare la loro

comprensione in un modo veramente concreto. Osservando i risultati di anni di ricerca condotti

sotto il profilo dell’apprendimento con studenti affetti da autismo, vediamo che questi individui

hanno grandi capacità ma anche grandi difficoltà. Per esempio, sono estremamente concreti:

potreste avere un bambino/a che non comprende il significato di una parola, ad esempio,

‘acqua’, ma che capirebbe mostrandogli un’immagine dell’acqua, perché il linguaggio è più

astratto rispetto alle immagini.

Un’altra cosa che sappiamo di questi bambini/e è che hanno un’immaginazione, un modo di

pensare, dell’insieme, nel senso che quello ricordano ciò che sentono nell’insieme e non sanno

interpretare i singoli eventi. Un’altra caratteristica tipica dei bambini/e autistici è che

possiedono un’ottima capacità visiva di conoscere le cose, e interagiscono molto bene con gli

oggetti che non si muovono. Ciò che si muove invece, come le persone, è molto più difficile da

capire: tutto ciò che può essere analizzato attraverso la vista, come le parole scritte, le

immagini, gli oggetti, è molto più comprensibile. Sappiamo inoltre che cercano di immaginare

con molto sforzo che cos’è la comunicazione, che cosa implichi, e che riescono a imparare

solamente i fondamenti principali; il loro comportamento di conseguenza è basato sulle vostre

reazioni, sulla vostra risposta. Si tratta quindi di uno scambio molto concreto, e la

comunicazione che i bambini/e autistici riescono ad apprendere è molto concreta: anche nel

caso di bambini/e colpiti in modo più lieve, che usano il linguaggio per parlare, le conversazioni

sono scambi memorizzati.

L’Insegnamento della comunicazione e delle capacità sociali a questi bambini/e è una forma

d’istruzione più concreta e diretta: sarà insegnata una sola capacità alla volta, mai più capacità

contemporaneamente. Quando consideriamo il problema dell’autismo, è altrettanto importante

operare una distinzione tra il linguaggio e la comunicazione, che spesso tendiamo a

considerare come sinonimi. I bambini/e affetti da autismo sono in continua lotta per

interpretare sia il significato delle parole in se stesse, sia il significato del messaggio sociale

dato dal contesto. La qualità del linguaggio del bambino/a autistico, vediamo che un numero

molto alto di bambini/e non sviluppano assolutamente la capacità di parlare. Pensate

semplicemente a quanto questo possa essere frustrante: avere dei bisogni, delle esigenze, dei

desideri, volere qualcosa e non avere un mezzo per poterlo dire.

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L’intervento per i bambini/e che non hanno capacità di comunicazione verbale, che non

sanno parlare, consiste nell’utilizzare quella che noi definiamo una comunicazione aumentativa,

cioè una comunicazione attraverso le immagini, o la scrittura, o, per alcuni bambini/e, anche

attraverso il linguaggio dei segni, che utilizziamo anche nel caso delle persone non udenti, in

modo che possano comunicare i loro bisogni, i loro pensieri, e riescono così ad esercitare un

controllo sulla propria vita (Schopler, Peeters, Quill, ecc.).

Cercare di spiegarci nel modo più concreto possibile, dare alla parola il significato così come

il bambino/a autistico la sente, costituisce un’esigenza fondamentale nel corso di un

trattamento mirato; è necessario inoltre utilizzare una forma di comunicazione aumentativa.

Quando valutiamo le abilità sociali dei bambini/e autistici, troviamo che nessun bambino è

uguale all’altro: alcuni hanno eccellenti capacità di imitazione, altri no. Per i bambini/e che

hanno questo problema a livello sociale e non imitano quello che facciamo, le nostre azioni

sono molto più confuse e incomprensibili. Questi bambini/e possono comprendere solo

attraverso le dimostrazioni: dobbiamo dimostrare sempre in una maniera "aumentativa" tutto

quello che noi facciamo.

Il bambino/a autistico non ha nessuna comprensione delle situazioni sociali, perciò non le

imita, e può comportarsi secondo due modalità: può evitarle, e fare tutto da solo, oppure, se

ha una personalità più attiva, può addirittura arrabbiarsi, perché con il suo modo di essere

vuole dire di non capire. Bambini/e diversi presentano comportamenti diversi ma con lo stesso

problema di fondo: alcuni sono frustrati ed evitano le situazioni; altri sono frustrati e

reagiscono di conseguenza con crisi di comportamento.

Spesso i bambini/e autistici evitano di guardarci negli occhi; se non capiscono il significato

dell’espressione del nostro viso; e se non capiscono il nostro comportamento è abbastanza

naturale che evitino lo sguardo. Se noi non capiamo perché un bambino/a si comporta in un

certo modo non possiamo individuare la giusta strategia di intervento. Gli elementi alla base di

un trattamento educativo adeguato per un bambino/a autistico sono due: il primo, che

dovrebbe risultare abbastanza ovvio da quanto abbiamo detto, è la strutturazione

dell’ambiente, l’altro è un intervento adattato alle caratteristiche di ogni singola persona

autistica.

Cosa vuol dire strutturare? Significa che gli avvenimenti che accadono nella vita del

bambino/a devono essere prevedibili, che deve essere chiaro al bambino/a, per esempio, che

cosa dovrà fare in un certo momento, come, per quanto tempo e quando qualcosa finirà.

L’informazione visiva è molto più concreta dei messaggi verbali: dà un’organizzazione e una

struttura, chiarifica il linguaggio che il bambino/a può capire o no, aumenta l’abilità del

bambino/a a completare un determinato programma con successo. Questo è il vero elemento

chiave: i bambini/e cercano quella prevedibilità, quella chiarezza, che l’ambiente sociale di

solito non può dare.

E’ quindi indispensabile far sì che le nostre relazioni coi bambini/e autistici siano molto più

prevedibili: dare lo stesso messaggio nella stessa situazione, collegare i messaggi verbali con

immagini che possono vedere e capire, rivolgersi al bambino/a nello stesso modo, essere

consapevoli che i bambini/e autistici sono attenti e rilassati quando capiscono, e diventano

ansiosi quando non capiscono. Soltanto attraverso la comprensione del bambino/a e del suo

punto di vista, di come vede e percepisce il mondo che lo circonda, possiamo capire e

rispettare le sue esigenze.

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55)) AAPPPPRROOCCCCIIOO EEVVOOLLUUTTIIVVOO DDEELLLLAA VVAALLUUTTAAZZIIOONNEE

Dr. Goran Dzingalasevic

Il profilo Psico-Educativo Revisionato offre un approccio evolutivo della valutazione dei

bambini autistici o affetti da disturbi pervasivi dello sviluppo. Le valutazioni ottenute con il PEP-

R servono a concepire dei programmi educativi specifici ed individualizzati (PEI). Questo

approccio evolutivo riveste un’importanza molto particolare per diverse ragioni.

Prima di tutto, ci ricorda che un bambino, normale o no, cresce e cambia con l’età.

Secondariamente, i risultati ottenuti con il PEP-R sono utilizzati per creare dei programmi

educativi individualizzati. Quindi il livello attuale di sviluppo deve essere preso in

considerazione nella scelta dei compiti per il programma educativo individualizzato. Un quadro

evolutivo permette di descrivere e di comprendere i profili di sviluppo disuguali nelle varie

funzioni, caratteristici di questi bambini.

In effetti, nello stesso bambino tutte le funzioni non raggiungono lo stesso livello. Di

conseguenza le strategie educative più interessanti sono spesso quelle che utilizzano le

tecniche corrispondenti al livello di sviluppo del bambino nella funzione considerata. Per

esempio, se un bambino autistico di cinque anni presenta la motricità di un soggetto normale

della sua età, ma ha una comprensione di linguaggio come un bambino di due anni, si potrà

insegnare a questo bambino ad andare col triciclo, ma usando un vocabolario semplice, adatto

all’età di due anni.

Benché i bambini autistici non assomigliano a dei bambini normali più giovani, i loro

problemi di apprendimento possono essere compresi paragonandoli ai bisogni correnti di

bambini più giovani.

DESCRIZIONE DEL PEP-R

Il PEP-R è un inventario di comportamenti e di conoscenze creato per identificare i profili di

apprendimento disuguali e caratteristici delle persone artistiche. Il test è particolarmente

adatto per bambini di livello prescolastico e di età cronologica compresa tra sei mese e sette

anni, il PEP-R può fornire utili informazioni anche se il bambino ha più di sette anni e meno di

dodici.Dopo i dodici anni è raccomandata una nuova valutazione: Adolescent and Adult

Psychoeducational Profile (AAPEP) (Mesibov, Schopler, Schaffer e Landrus 1988).

Come strumento di valutazione, il PEP-R fornisce delle informazioni legate al livello di

sviluppo nelle seguenti funzioni:

- Imitazione

- Percezione

- Motricità fine

- Motricità globale

- Coordinazione oculo-manuale

- Aspetto cognitivo- Aspetto cognitivo verbale

Come strumento di diagnosi il PEP-R serve ad identificare il grado di anormalità del

comportamento nei seguenti campi:

- Relazioni e affetti

- Gioco ed interesse per il materiale- Risposte sensoriali

- Linguaggio

Il PEP-R comprende dei giocattoli e del materiale didattico proposti al bambino da un

esaminatore nell’ambito di attività di gioco strutturate. Egli, contemporaneamente, osserva,

valuta e registra le reazioni del bambino.

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Alla fine del test, i risultati ottenuti sono riportati su sette funzioni per l’area dello sviluppo e

su quattro funzioni per l’area del comportamento.

Il profilo che ne risulta mostra i punti deboli e i punti relativamente forti del bambino nei

differenti campi dello sviluppo e del comportamento.

La maggior parte dei test hanno solo due livelli di valutazione: “insuccesso” o “successo”; il

PEP-R prende in considerazione un terzo livello chiamato “emergenza”.

Una risposta sarà “emergenza” se dimostra che il bambino ha una certa conoscenza di ciò

che deve fare per eseguire l’attività richiesta, ma non raggiunge la comprensione completa o la

capacità di portarla a termine.

La valutazione “emergente” sarà attribuita al soggetto che dimostra di possedere qualche

idea di ciò che gli è stato richiesto, se può realizzare il compito in parte, anche eseguendolo in

modo inesatto o incompleto.

L’autismo comporta, oltre a un ritardo nello sviluppo, anche dei comportamenti atipici. La

particolarità del PEP-R è proprio quella di prendere in considerazione entrambi gli aspetti. La

scala permette di valutare il livello del bambino rispetto ai suoi coetanei.

Gli items della scala comportamentale hanno lo scopo di identificare le risposte ai

comportamenti compatibili con la diagnosi di autismo. Queste categorie e misure sono basate

sul CARS (Childhood Autism Rating Scale, Schopler e al. 1988) programmato per diagnosticare

l’autismo.

Il totale dei comportamenti inusuali o disfunzionali è quantificato e qualificato e indica la

gravità delle difficoltà comportamentali del bambino. I comportamenti sono valutati:

- adeguato

- leggero

- grave

Gli items della scala del comportamento non sono paragonabili alla norma come quelli della

scala dello sviluppo. I comportamenti particolari, nella loro forma leggera o grave, sono

anormali per i bambini normodotati di ogni età. I risultati ottenuti nella scala del

comportamento possono essere utili per seguire l’evoluzione del comportamento di un bambino

nel tempo e anche per aiutare nel decidere come raggruppare i bambini in una classe. Il PEP-R

differisce dalla maggior parte dei tests psicologici in quanto è uno strumento che serve per la

pianificazione di programmi educativi speciali individualizzati.

CARATTERISTICA DELLA POPOLAZIONE PRESA IN ESAME

I bambini autistici sono stati considerati “intestabili”, poiché a differenza dei bambini normali

essi non rispondono bene a un test standardizzato conducendo a conclusioni errate per quanto

riguarda le loro capacità ed i loro potenziali intellettivi. Nel passato erano considerati con un

potenziale di normale intelligenza ma con poca motivazione.

Nell’università del Nord Carolina Child Research Project e poi nella Division TEACCH,

l’evidenza clinica ha dimostrato che le loro capacità possono essere correttamente valutate se

si scelgono le attività per il test che corrispondono ad un livello di sviluppo adatto a loro come

ha indicato Alpern (1967).

Il punto principale del PEP-R è che gli items del test sono suddivisi in sette grandi aree di

sviluppo con differenti livelli di difficoltà.

L’esperienza ha dimostrato che se la difficoltà di un lavoro non è adattata al livello di un

bambino, la frequenza dei comportamenti anomali aumenta.

Compiti non appropriati possono essere la causa più comune di problemi di comportamento

nei bambini con disturbi generalizzati di sviluppo.

Tenendo presente il fatto che compiti inadeguati possono provocare comportamenti

problematici, il PEP-R permette all’esaminatore di adeguare la presentazione degli items in

modo da poter ottenere il massimo delle prestazioni dal bambino esaminato. Grazie a ciò

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l’esaminatore può mettere in evidenza anche le capacità “emergenti” che sono il punto di

partenza per la costruzione di un intervento educativo efficace.

Per evitare i problemi che potrebbe presentare la situazione di un test classico con bambini

autistici, gli items del PEP-R non sono in ordine predeterminato ed è possibile svolgerlo con

una certa flessibilità.

Poiché le difficoltà di linguaggio sono caratteristiche dei bambini autistici e con disturbi

generalizzati dello sviluppo il PEP-R riduce al minimo il linguaggio verbale necessario per la

comprensione delle consegne e non richiede molte risposte verbali.

Il PEP-R include pure dei nuovi items destinati a valutare le possibilità dei bambini più

piccoli. Questo arricchimento ed estensione verso il basso permette di esaminare e progettare

un piano educativo per bambini piccolissimi e di livello prescolastico.

PEP-R E TEST DI INTELLIGENZA

La maggior parte dei test di intelligenza sono stati concepiti per produrre un insieme di

prove che diano un quoziente intellettivo.

Non ci soffermiamo ora sulla controversia di cosa queste valutazioni significhino per i

bambini autistici, basti sapere che queste valutazioni presentano limiti per la realizzazione di

un piano educativo. Il PEP-R è primariamente destinato a pianificare un progetto educativo

individualizzato. Per bambini che presentano molte irregolarità nelle abilità, è più utile

conoscere le loro possibilità individuali nelle diverse aree dello sviluppo.

Il profilo ottenuto dal PEP-R permette di visualizzare in un grafico le abilità e le debolezze

prendendo come base un’età approssimativa determinata partendo da un campione di

referenze. Le capacità del bambino in ogni area di sviluppo possono essere paragonate tra di

loro ed il livello globale delle capacità può essere ottenuto dal quoziente di sviluppo

determinato dal totale dei risultati di sviluppo.

STRATEGIE EDUCATIVE DESTINATE A GENITORI, EDUCATORI E INSEGNANTI

Tradizionalmente i genitori erano considerati la causa prima dello sviluppo autistico dei loro

bambini; ora i nostri studi e l’esperienza hanno dimostrato che questa interpretazione è

sbagliata (Schopler e Loftin 1969, Schopler 1971), ed un gruppo considerevole di persone

dimostra che era solo una falsa credenza (Cantwell e Baker 1984).

Fin dall’inizio il Child Research Project e la Division TEACCH hanno inglobato i genitori nel

modello coterapeutico (Schopler, Mesibov, Shigley e Bashford 1984).

I genitori hanno la possibilità di concepire e mettere in pratica dei programmi educativi

specifici; programmi seguiti a casa e contemporaneamente nell’ambito dello stesso piano

educativo anche in classe.

“Strategie educative nell’autismo (Schopler et al. 1980)” e “Attività didattiche nell’autismo

(Schopler et al. 1983)” spiegano quali strategie educative e programmi si possono costruire

partendo dalle informazioni del PEP-R.

Queste guide per genitori e educatori mostrano compiti, metodi e materiale per raggiungere

gli obiettivi. Questi programmi si appoggiano in particolare sulle risposte emergenti e che

corrispondono alle attività che il bambino ha tentato di eseguire ma che non ha completamente

portato a termine.

Basare i programmi pedagogici su delle capacità emergenti permette di realizzare diversi

obiettivi educativi.

1. Il programma educativo si basa su quelle attività che sono eseguite in modo non ancora

del tutto acquisito.

2. Le possibilità di riuscita aumentano poiché l’apprendimento inizia ad un livello

appropriato. I compiti scelti non sono né troppo facili né troppo difficili per i bambini.

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3. Esiste una maggiore possibilità di stabilire una piacevole relazione tra il bambino e

l’educatore poiché le frustrazioni per il bambino, l’educatore ed i genitori sono ridotte al

minimo.

Per concludere, il profilo emergenze al PEP-R rappresenta un modo funzionale per la

creazione di un programma iniziale da parte di genitori ed educatori.

Solo dopo un certo periodo di tempo, l’educatore potrà portare modifiche ed espansioni al

programma partendo dalle conoscenze che ha acquisito lavorando col bambino, tenendo

sempre presenti le priorità dei genitori.

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66)) CCHHEE CCOOSS''ÈÈ LL''AAUUTTIISSMMOO??

A cura della Dott.ssa Donata Vivanti

L'autismo è il peggiore degli handicap, perché pur accompagnandosi ad un aspetto fisico

normale è un handicap grave che coinvolge diverse funzioni cerebrali e perdura per tutta la

vita. ( n.d.c. a livello farmacologico ci sono fondate speranze che con la nuova generazione di

Neurolettici Atipici che si stanno testando negli Stati Uniti, si possa arrivare, anche se non a

breve, ad ipotizzare una cura farmacologica in grado di dare un grande contributo, soprattutto

sulle forme di iper-attività, Deficit dell’Attenzione ed Autolesionismo).

L'autismo colpisce, secondo stime recenti, 1 persona su 1000, e 2 persone su 1000 ne

presentano alcuni sintomi potendo venire incluse nello "spettro autistico".

L'autismo viene considerato dalla comunità scientifica internazionale (classificazione ICD 10

dell'OMS e DSM IV) un disturbo pervasivo dello sviluppo, e si manifesta entro il terzo anno di

età con deficit nelle seguenti aree:

- comunicazione;

- interazione sociale;

- immaginazione;

Inoltre le persone autistiche possono presentare problemi di comportamento.

L'autismo è talvolta associato a disturbi neurologici aspecifici, come l'epilessia, o specifici,

come la sclerosi tuberosa, la sindrome di Rett o la sindrome di Down.

QUAL'È LA CAUSA DELL'AUTISMO?

L'autismo non ha una singola causa: molteplici geni e fattori ambientali, come virus o

sostanze chimiche, possono contribuire a determinare il disturbo autistico.

Gli studi su persone autistiche hanno trovato anomalie in diverse strutture cerebrali; questi

dati suggeriscono che l'autismo derivi da una interruzione nello sviluppo cerebrale in una fase

precoce della vita intrauterina.

COME SI MANIFESTA L'AUTISMO?

La caratteristica più evidente è l'isolamento: i bambini autistici spesso non rispondono al loro

nome, evitano lo sguardo e appaiono inconsapevoli dei sentimenti altrui e della realtà che li

circonda.

In presenza di almeno sette di queste caratteristiche: …è opportuno un controllo diagnostico.

•difficoltà a stare con altri bambini •impressione di sordità o difficoltà visive •difficoltà di

apprendimento •incoscienza per i pericoli reali •opposizione ai cambiamenti •mancanza dei

sorriso e della mimica •iperattività fisica accentuata •non guarda negli occhi •attaccamento

inappropriato agli oggetti •ruota gli oggetti •persevera in giochi strani •atteggiamento fisico

rigido

I bambini autistici inoltre hanno spesso risposte anomale ai suoni, al tatto o ad altri stimoli

sensoriali, e una ridotta sensibilità al dolore, che può contribuire a determinare sintomi

comportamentali, come la resistenza ad essere abbracciati.

IV. Che cos’è l’Autismo

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COME SI CURA L'AUTISMO?

Attualmente non esiste una cura per l'autismo: le terapie o gli interventi vengono scelti in

base ai sintomi individuali. Le terapie meglio studiate comprendono interventi

educativi/comportamentali in ambiente strutturato adattato alle difficoltà specifiche

dell'autismo e farmacologici. Sebbene questi interventi non curino l'autismo, spesso portano ad

un miglioramento sostanziale.

77)) II ddiissttuurrbbii ppeerrvvaassiivvii ddeelllloo ssvviilluuppppoo

Tratto dal libro : il Punto su Psicofarmacologia nei disturbi psichiatrici dell’infanzia e

dell’adolescenza. (edito da Scientific Press s.r.l. - Via A. La Marmora, 26 - Firenze - 1° Edizione, Luglio 1999).

I disturbi pervasivi dello sviluppo

GABRIELE MASI, MARA MARCHESCHI, PIETRO PFANNER

Divisione di Neuropsichialria infantile Università degli Studi - Pisa

IRCCS Stella Maris - Calambrone (PI)

Introduzione

I disturbi pervasivi dello sviluppo sono caratterizzati da una grave e generalizzata

compromissione in diverse aree dello sviluppo: interazioni sociali, competenze comunicative,

comportamenti, interessi ed attività. Il quadro clinico paradigmatico di questa categoria è

rappresentato dall’autismo infantile. Lo studio di questi disturbi deriva dal lavoro pionieristico

di Kanner che per primo descrisse 11 bambini caratterizzati da intensa chiusura relazionale,

con apparente disinteresse o mancanza di consapevolezza della esistenza delle altre persone,

incapacità di gioco immaginativo o simbolico, grave perturbazione della comunicazione verbale

con ecolalia differita ed inversione pronominale, ansiosa necessità di mantenere del tutto

inalterate le caratteristiche dell’ambiente, e comportamenti ripetitivi. Nella casistica di Kanner

questi bambini funzionavano da ritardati pur dando l’impressione di una normale intelligenza.

In quegli stessi anni Asperger descriveva bambini che avevano caratteristiche abbastanza

simili a quelle di Kanner, con deficit nella relazione interpersonale e nella espressione delle

emozioni ed anche nello sviluppo motorio, ma con abilità cognitive e linguistiche

sostanzialmente intatte. In quell’epoca e nel corso degli anni successivi si creò una certa

confusione tra i due quadri descritti (in particolare il disturbo autistico) ed altre gravi

perturbazioni dello sviluppo che rientravano nell’ambito della psicosi o della schizofrenia.

Appariva difficile inoltre collocare questi precoci e generalizzati disturbi dello sviluppo in

rapporto al ritardo mentale che spesso si associava alle sindromni suddette. Negli anni 60, ma

soprattutto negli anni 70, la ricerca sui disturbi autistici ha portato ad una più chiara

definizione del quadro rispetto sia al ritardo mentale, sia ad altri disturbi psichiatrici ed in

particolare alla schizofrenia).

Comunque ancora negli anni ‘80 era presente una discrepanza nei due più importanti sistemi

nosografici internazionali. Mentre l’ICD-9 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità considerava

l’autismo come un sottotipo di psicosi ad origine nell’infanzia, il DSM-III, III-R e IV, della

Associazione Psichiatrica Americana, inserivano autismo e condizioni affini nell’ambito dei

disturbi generalizzati dello sviluppo (Pervasive Developmental Disorders nella dizione

originale); tale orientamento è stato adottato anche dal più recente ICD- 10, nel capitolo delle

«Alterazioni globali dello sviluppo psicologico». Il disturbo autistico, considerato inizialmente

una forma di disturbo psicotico dell’infanzia, è stato quindi successivamente differenziato dalla

psicosi ed ha acquisito una autonomia nosogrifica nell’ambito dei cosiddetti «Disturbi

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Generalizzati dello Sviluppo». Con tale terminologia si intende definire un disturbo che

coinvolge pressoché tutte le aree dello sviluppo, con alterazioni durature e relativamente stabili

nelle abilità sociali e comunicative che vanno ben al di là di quanto atteso sulla base del ritardo

di sviluppo.

Appare opportuno ricordare che il termine «Disturbi Generalizzati dello Sviluppo»

rappresenta il modo in cui nella versione italiana è stato tradotto il concetto di «Pervasive

Developmental Disorders» In realtà generalizzato e pervasivo (con le incertezze legate alla

trasposizione linguistica) si riferiscono a due concetti diversi.

L’aggettivo «generalizzato», che corrisponde all’aggettivo «globale» dell’ICD-1O, vuole

significare soltanto una compromissione delle diverse aree dello sviluppo, mentre l’aggettivo

«pervasivo» si riferisce all’azione penetrante del disturbo, che tende ad invadere e sovvertire

tutte le prestazioni. Noi riteniamo che il concetto di invasivo-pervasivo rappresenti meglio un

percorso che non è solo caratterizzato dalla sua diffusione, ma appare invece come un

sovvertimento di tutte le aree evolutive. Per questo motivo, riferendoci a questa categoria

nosografica, adotteremo di seguito il termine di disturbo pervasivo dello sviluppo.

Le forme di psicosi ad insorgenza precoce (prima dei 12 anni); (very early onset

schizophrenia, o VEOS) sono invece rientrate nel più ampio ambito dei disturbi psicotici, senza

distinzione per l’età di insorgenza. Per questo motivo esse saranno trattate in modo specifico

dal Prof. Pancheri.(n.d.c.su questo argomento vedere la finestra sulla Schizofrenia ad

insorgenza precoce).

Nel DSM-III-R venivano inseriti nella categoria dei disturbi pervasivi dello sviluppo l’autismo

e le forme non altrimenti specificate. Quest’ultima categoria aveva dunque assunto il

significato di un contenitore aspecifico di quadri molto diversi tra loro. La ricerca successiva ha

portato ad una scomposizione delle forme non altrimenti specificate, con individuazione di

quadri più specifici. Tale formulazione è comunque da considerarsi ancora non definitiva in

quanto, come vedremo, altri quadri clinici sono in fase di ulteriore definizione.

Le forme cliniche principali dei disturbi pervasivi dello sviluppo, secondo il DSM-IV, sono

riportati nella tabella I.

TAB. I - Disturbi pervasivi dello sviluppo: forme cliniche secondo DSM-IV e ICD-10

A) Autismo infantile

B) Sindrome di Rett

C) Disturbo disintegrativo dell’infanzia

D) Sindrome di Asperger

E) Disturbi generalizzati dello sviluppo non altrimenti specificati (comprendenti l‘autismo atipico codificato dall’ICD-1O)

F) Sindrome iperattiva associata a ritardo mentale e movimenti stereotipati (ICD-10).

--------------------------------------------------------------------------------------------------------

Descriveremo con maggiore dettaglio le caratteristiche cliniche dell’autismo infantile. Le

caratteristiche degli altri quadri clinici saranno delineate più brevemente in relazione

all’autismo.

Autismo infantile

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Secondo il DSM-IV è possibile far diagnosi di autismo in presenza di una compromissione

nell’area della interazione sociale, o del linguaggio comunicativo, o nel gioco simbolico che è

iniziata prima dei 3 anni. Tale quadro clinico non è attribuibile ad altri tipi di sindrome da

alterazione globale dello sviluppo psicologico. I criteri diagnostici sono riportati nella tabella II.

TAB. Il - Criteri diagnostici per il disturbo autistico secondo il DSM-IV. Per la diagnosi di

autismo sono necessari almeno sei dei sintomi descritti in (1), (2), (3), con almeno due

sintomi da 1) e almeno un sintomo sia da (2) che da (3).

(1) Compromissione qualitativa dell’interazione sociale, evidente in almeno due dei seguenti

aspetti:

a. incapacità di utilizzare adeguatamente lo sguardo, la gestualità, la mimica per regolare

l’interazione sociale

b. incapacità di sviluppare rapporti con coetanei

e. mancanza di reciprocità socio-emozionale (assenza di modulazione del comportamento in

accordo al contesto sociale)

d. mancanza della ricerca spontanea di condivisione di interessi con altre persone

(2) Compromissione qualitativa della comunicazione, evidente in almeno uno dei seguenti

aspetti:

a. ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio verbale, non accompagnato da

tentativo di compenso gestuale

b. relativa incapacità di iniziare o sostenere una conversazione

c. uso ripetitivo e stereotipato del linguaggio o uso idiosincrasico di parole o frasi

d. assenza di gioco imitativo od inventivo

(3) Modelli di comportamento, interessi e attività limitati, ripetitivi e stereotipati evidenti in

almeno uno dei seguenti aspetti:

a. preoccupazione pervasiva per uno o più interessi limitati e stereotipati che sono anomali

nel contenuto e nell’obiettivo, o per l’intensità e la natura circoscritta

b. adesione apparentemente compulsiva a pratiche o rituali specifici e disfunzionali

c. manierismi motori stereotipati e ripetitivi che comprendono il battere o il torcere le mani o

le dita, o movimenti complessi di tutto il corpo

d. preoccupazioni per le parti di oggetti o per elementi non funzionali dei materiali di gioco

Pur essendo il quadro clinico sostanzialmente stereotipato, è possibile una notevole

variabilità interindividuale nella espressività della sindrome; inoltre il quadro può modificarsi

nello stesso individuo nelle diverse fasi della vita (ad es. con comparsa di eccitazione

comportamentale all‘ingresso dell’adolescenza), modificando quindi anche le finalità degli

interventi terapeutici e riabilitativi.

La frequenza del disturbo è stata classicamente considerata di 3-5 per 10.000, ma

probabilmente con i nuovi criteri diagnostici essa si aggira attualmente intorno a 1:1.000 8; la

predominanza dei maschi sulle femmine è di 4:1. In circa il 75% dei bambini autistici è

presente anche un ritardo mentale, che può essere di entità variabile. Sia nei soggetti ritardati

che nei soggetti con normale intelligenza il profilo delle prestazioni è spesso molto

disomogeneo, con aree di grande abilità (es. memoria, calcolo, competenze spaziali) ed aree

profondamente compromesse. Il quadro clinico complessivo è fortemente condizionato dalla

entità della compromissione cognitiva. Sono molto spesso associate alterazioni

comportamentali eclatanti, come iperattività, auto e/o eteroaggressività, in particolare nelle

condizioni più gravi. La regolazione degli affetti è molto primitiva, con intense ed acute crisi di

angoscia apparentemente immotivate o attivate da stimoli ambientali eccessivi o da

cambiamenti d’ambiente. L’umore è molto mutevole, con rapide ed imprevedibili oscillazioni

dall’appiattimento ed apatia alla eccitazione. Sono infine molto frequenti alterazioni gravi e

precoci della alimentazione e del sonno. Possono essere distinti nel gruppo dei bambini autistici

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quelli ad alto funzionamento («high functionings) e quelli nei quali è associato un ritardo

mentale. I primi presentano familiarità per disturbi depressivi, specie di tipo bipolare, ma non

disturbi neurologici, accanto ad un quoziente intellettivo normale e ad un linguaggio

conservato. I secondi presentano, oltre ad un ridotto quoziente intellettivo, assenza o grave

alterazione del linguaggio, frequenti disturbi neurologici, ma non familiarità per disturbi

affettivi.

E da segnalare che il 25-30% di pazienti autistici presenta nel corso della vita crisi

epilettiche; i periodi di più frequente insorgenza sono i primi anni di vita o l’ingresso in

adolescenza 9.

La comorbilità tra autismo ed altre affezioni psichiatriche appare complessa, in quanto la

sintomatologia autistica può effettuare una azione di mascheramento su un disturbo

dell’umore, su un disturbo ossessivo-compulsivo o su un disturbo schizofrenico. Tali quadri

vengono comunque descritti sempre più frequentemente in soggetti con disturbo pervasivo

dello sviluppo.

L’autismo può essere primario, oppure può essere associato ad anomalie genetiche (ad es. la

fenilchetonuria, la sclerosi tuberosa) o cromosomiche (es. X-fragile), ma anche ad affezioni

non genetiche come malattie infettive (rosolia, citomegalovirus) o traumatismi che colpiscono

precocemente il SNC.

La prognosi del disturbo autistico non è favorevole. Si ritiene che in età adulta i 2/3 dei

soggetti non sia in grado di raggiungere una sufficiente autonomia, ma richiedano una qualche

forma di frequente assistenza. Elementi predittivi per una positiva evoluzione sono la presenza

di linguaggio comunicativo dopo i 5 anni e più elevate capacità cognitive. I soggetti con più

elevato funzionamento possono progressivamente migliorare le loro competenze cognitive e

comunicative, ma restano generalmente più evidenti le difficoltà nella interazione sociale.

Sindrome di Asperger

Descritta da Asperger 2 nel 1944, la sindrome è caratterizzata da compromissione della

interazione sociale, dei comportamenti ed interessi analoga a quella dell’autismo, in assenza di

compromissione cognitiva e linguistica o di disturbi del comportamento adattivo 10.

La compromissione qualitativa della interazione sociale prevede due tra i seguenti sintomi:

incapacità di utilizzare adeguatamente lo sguardo, la gestualità, la mimica per regolare

l’interazione sociale; incapacità di sviluppare rapporti con coetanei; mancanza di reciprocità

socio-emozionale (assenza di modulazione del comportamento in accordo al contesto sociale);

mancanza della ricerca spontanea di condivisione di interessi con altre persone.

La compromissione del comportamento può comprendere una preoccupazione pervasiva per

uno o più interessi limitati e stereotipati, anormali nel contenuto e nell’obiettivo, o per la loro

intensità e settorialità; oppure l’adesione apparentemente compulsiva a pratiche o rituali

specifici e disfunzionali; oppure manierismi motori stereotipati e ripetitivi, localizzati (es. mani

o dita), o generalizzati a tutto il corpo; o infine preoccupazioni per le parti di oggetti o per

elementi non funzionali dei materiali di gioco. Tali criteri diagnostici sono stati recentemente

criticati 11 tanto che la definizione clinica della sindrome resta ancora controversa.

Non c’è un ritardo del linguaggio, nè significativa compromissione cognitiva, ma il linguaggio

è spesso non prosodico e stereotipato, scarsamente comunicativo e senza uso di metafore, ed

il pensiero confuso o centrato su temi idiosincrasici; il comportamento adattivo (a parte le

relazioni sociali) e la curiosità per l’ambiente sono spesso sufficientemente adeguati. Viene

descritto spesso uno sviluppo motorio rallentato, con perdurante goffaggine e disprassia.

Anche il profilo cognitivo evidenzia una discrepanza importante, con maggiore compromissione

nelle prestazioni non verbali (la cosiddetta «sindrome non verbale»).

La prevalenza del disturbo non è certa, anche per le incertezze nella diagnosi; si registra una

netta prevalenza del sesso maschili sul femminile (4-10:1). Il riconoscimento del quadro (e

forse l’insorgenza) sono un pò più tardive che nell’autismo. E’ stata dibattuta la reale

distinzione tra sindrome di Asperger ed autismo ad elevato funzionamento; sulla base dei dati

attuali tale distinzione appare ancora accettabile 10,11.Disturbi associati con relativa frequenza

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sono il disturbo ossessivo-compulsivo la malattia di Gilles de la Tourette e soprattutto il

disturbo depressivo 10.

Il disturbo conserva caratteristiche analoghe nel corso della vita. Questi soggetti possono

avere un impiego, una famiglia, vivere in modo indipendente. Sotto questo aspetto la prognosi

è migliore anche rispetto al disturbo autistico ad alto funzionamento. Restano comunque stabili

le difficoltà nella relazione interpersonale; non rara nel tempo la comparsa di un disturbo

schizotipico della personalità.

( n.d.c. Donna Williams che è diagnosticata Asperger, ne parla nella finestra a lei dedicata).

Sindrome di Rett

La sindrome di Rett, descritta nell’anno 1966 e riscontrata con certezza solo nelle femmine,

con una incidenza di 1:10.000-15.000, è caratterizzata da periodo prenatale e perinatale

apparentemente normale, compreso lo sviluppo psicomotorio e della circonferenza cranica nei

primi cinque mesi. Tra il 5° ed il 48° mese si osserva un rallentamento della crescita della

circonferenza cranica, la perdita delle capacità manuali acquisite, con comparsa di stereotipie

manuali (tipo lavarsi le mani), e rapida regressione evolutiva. Tra i 4 ed i 10 anni si osserva

una pseudostazionarietà. E presente un disinteresse per l’ambiente sociale, una concomitante

disfunzione della comunicazione ed una compromissione delle capacità di interazione sociale,

sintomi che peraltro tendono leggermente a migliorare dopo la seconda infanzia. Dopo i 10

anni si accentua il deterioramento motorio, sin dall’inizio caratterizzato da assenza di

coordinazione della motricità del tronco ed un’andatura mal coordinata ed instabile. Il

linguaggio espressivo e recettivo è gravemente compromesso.Un grave ritardo mentale, che

persiste per tutta la vita, ed una epilessia frequente e spesso grave rappresentano, accanto al

disturbo motorio, fattori di maggiore compromissione funzionale, anche in termini prognostici.

Sono molto frequentemente associate anomalie del ciclo sonno-veglia, nonché crisi di apnea ed

iperventilazione intermittenti. La durata media della vita è ridotta, anche per frequenti infezioni

delle vie respiratorie o per cause cardiache. E inoltre maggiore che nella popolazione generale

il rischio di morte improvvisa. Sono state descritte recentemente alcune forme di varianti Rett

12 ,la variante frusta, la convulsiva infantile, la congenita, la variante con regressione tardiva,

ed infine la variante con linguaggio conservato.

Disturbo disintegrativo dell’infanzia

Questo disturbo raramente descritto (meno di 100 casi descritti in letteratura) è

caratterizzato da uno sviluppo apparentemente normale almeno fino all’età di due anni: la

diagnosi richiede la presenza, fin dall’età di due anni o più, di normali capacità nella

comunicazione, nelle relazioni sociali, nel gioco e nell’adattamento all’ambiente.

Successivamente (tra i 2-4 anni ed i 10 anni) vi è una perdita importante delle capacità

acquisite precedentemente all’insorgenza della sindrome nella espressione o comprensione del

linguaggio, nel gioco, nelle abilità sociali e nell’adattamento all’ambiente, nel controllo

sfinterico, nelle abilità motorie.

L’esordio può essere acuto (giorni o settimane) oppure lentamente progressivo (mesi). Il

periodo di regressione è generalmente di 6-9 mesi, seguito successivamente da un plateau, e

talora da un modesto recupero, in particolare nell’ambito del linguaggio espressivo. Solo

raramente questo recupero è più marcato. Il funzionamento sociale, comunicativo e

comportamentale è analogo a quello dell’autismo. Si osserva una generale perdita di interesse

per gli oggetti e l’ambiente. Si associa di regola grave ritardo mentale, frequenti anomalie EEG

e/o epilessia.

Tale forma corrisponde alle forme in precedenza descritte come sindrome di Heller, demenza

infantile, psicosi disintegrativa.

Disturbi pervasivi dello sviluppo non altrimenti specificati (comprendente l’autismo atipico codificato dall’ lCD-1O)

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In questi quadri rientrano quelle forme di disturbo generalizzato dello sviluppo che non

possono essere inserite nel disturbo autistico perché in qualche modo atipiche. L’atipicità

rispetto all’autismo si manifesta o in rapporto all’epoca di insorgenza (oltre i 3 anni), o in

rapporto alla sintomatologia che non raggiunge la soglia prevista per l’autismo (vedi i criteri

diagnostici riportati nella tabella II), o in rapporto ad entrambe, pur essendo presente una

compromissione nelle aree della interazione sociale, o del linguaggio comunicativo, o del gioco

simbolico. Possono essere inserite in questa categoria anche le forme di autismo residuo,

oppure le forme con tratti autistici nel corso di malattie neurologiche, come ad esempio la

sclerosi tuberosa. La prognosi di questo gruppo eterogeneo appare migliore rispetto a quella

del disturbo autistìco.

In questa categoria sono state spesso inserite delle entità cliniche eterogenee che in epoca

più recente la ricerca ha cercato di differenziare. E stata descritta in particolare una

popolazione di bambini ed adolescenti con una alterazione nella modulazione degli affetti, alti

livelli di ansia, relazioni interpersonali bizzarre o disturbate, scarse competenze sociali,

transitori disturbi del pensiero 13,14 Nessuna diagnosi tra quelle previste dal DSM-IV riesce a

cogliere le caratteristiche specifiche di questi bambini 15. Per la loro insorgenza relativamente

precoce questi disturbi erano stati inizialmente inseriti nell’ambito dei disturbi pervasivi dello

sviluppo non altrimenti specificati. Ulteriori studi hanno portato al tentativo di differenziare tale

forma, che è stata provvisoriamente denominata Multiple Complex Developmental Disorder

(MCDD) 15 Essa è evidente prima dei 5 anni, con deficit funzionali che portano ad uno stabile

pattern di fluttuazione nella regolazione degli affetti (ansia, irritabilità, paure o fobie insolite e

bizzarre, episodi ricorrenti di panico, transitoria disorganizzazione comportamentale), della

relazione interpersonale (disinteresse sociale o alterazioni nella reciprocità, alti gradi di

ambivalenza nei confronti delle figure di riferimento, con alternanza di comportamenti adesivi

ed ipercontrollanti e comportamenti aggressivi), e del pensiero (intrusione di idee bizzarre,

irrazionalità, pensiero magico, confusione tra realtà e fantasia, perplessità, deliri o fantasie

bizzarre, preoccupazioni paranoidi). In condizioni di stress questi sintomi possono diventare

molto più intensi, con oscillazioni che si differenziano nettamente dalla stabilità dei disturbi

pervasivi dello sviluppo. Regressioni nel comportamento e nel funzionamento mentale possono

durare per ore o giorni, alternate a fasi di migliore funzionamento (Tab. III).

E possibile comunque interpretare il MCDD come un disturbo dello sviluppo, piuttosto che

come un disturbo episodico o acuto. Secondo Van der Gaag et al 16, nei 2/3 dei soggetti

esaminati il quadro essenziale del MCDD persiste anche in età adulta, con passaggio verso

disturbi della personalità di tipo schizoide o schizotipico. E stata segnalata inoltre nel 15% dei

casi una evoluzione verso quadri francamente schizofrenici.

Non esistono dati circa interventi farmacologici specifici, anche se bassi dosaggi di

neurolettici sembrano favorire un migliore controllo emotivo, sociale e del pensiero.

TAB. III - Criteri diagnostici per il MCDD

--------------------------------------------------------------

I) Compromissione della regolazione affettiva e dell’ansia, espressa da almeno due dei

seguenti sintomi:

a. intensa ansia, tensione o irritabilità

b. paure o fobie insolite e bizzarre per contenuto o intensità c. episodi ricorrenti di ansia

acuta, panico o terrore

d. disorganizzazione o regressione comportamentale transitoria, ma intensa

e. ampia variabilità dello stato emotivo in assenza di fattori scatenanti ambientali

f. reazioni affettive idiosincratiche, con affettività fatua, risatine incongrue, ecc

(2) Compromissione del comportamento e nella sensibilità sociale, espressa da almeno uno

dei seguenti sintomi:

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a. disinteresse sociale, distacco, evitamento, ritiro

b. incapacità nell’intraprendere o mantenere relazioni con i coetanei

e. relazioni disturbate ed ambivalenti con gli adulti, con alternanza tra ipercontrollo ed

aggressività

d. marcate limitazioni nella capacità di relazione empatica o nella comprensione degli stati

affettivi altrui

(3) Compromissione delle funzioni cognitive (disturbo del pensiero), espressa da almeno uno

dei seguenti sintomi:

a. disturbo del pensiero con irrazionalìtà, pensiero magico o disorganizzato, idee bizzarre,

neologismi

b. confusione tra realtà e fantasia

c. perplessità, facile tendenza alla confusione

d. produzioni simil-deliranti, ad es. fantasie di onnipotenza, fantasie di poteri immaginari,

preoccupazioni paranoidi, eccessivo coinvolgimento in personaggi di fantasia

(4) Deve essere esclusa la diagnosi di disturbo autistico

(5) I sintomi devono essere presenti da più di 6 mesi

---------------------------------------------------------------------------------------------------------

Sindrome iperattiva associata a ritardo mentale e movimenti stereotipati ( ICD-10 )

Si tratta di una sindrome di incerta validità nosografica, non riconosciuta dal DSM-IV. La

grave iperattività motoria è espressa da irrequietezza motoria costante, anche in situazioni in

cui è prevista una relativa immobilità; sono presenti cambiamenti di attività estremamente

rapidi, tanto che le attività durano meno di un minuto.

I comportamenti stereotipati e ripetitivi si manifestano con manierismi motori di tutto il

corpo o di una parte di questo, con ripetizione eccessiva e non funzionale di attività

stereotipate, con frequenti condotte autolesive. Il QI è inferiore a 50. Per far diagnosi di questa

sindrome è necessario che non siano soddisfatti i criteri diagnostici per l’autismo o per la

sindrome di Rett.

In adolescenza l’intensa iperattività viene spesso sostituita dalla ipoattività, a differenza di

quanto accade nei soggetti con normale intelligenza. Tali bambini non sono sensibili all’effetto

di farmaci stimolanti, che anzi producono gravi reazioni disforiche.

Aspetti neurobiologici dei disturbi pervasivi dello sviluppo

La ricerca neurobiologica sull’autismo ha percorso diverse strade, che possono essere

ricondotte a tre filoni fondamentali: quello degli studi genetici, quello degli studi morfologici

(con TAC, RMN e PET) e quello degli studi biochimici.

Studi su famiglie, su gemelli mono e dizigoti hanno confermato che l’autismo è in ampia

misura sotto controllo genetico 17. Il rischio di autismo in fratelli di soggetti affetti è almeno

50 volte superiore alla popolazione generale. Studi su geni candidati sono attualmente in corso

sulla base delle evidenze neurochimiche, neuroendocrine e farmacologiche. Tali studi

potrebbero dimostrare che almeno in un sottogruppo di bambini autistici il disturbo è sotto

stretto controllo genetico.

Studi di neuroimaging si sono rivolti prevalentemente alla fossa cranica posteriore, dove

sono state descritte anomalie a carico del cervelletto (specie del verme) e del tronco cerebrale

(mesencefalo, ponte e bulbo), che però altri studi non hanno confermato. Tali discrepanze

sono probabilmente da attribuirsi alla eterogeneità dei campioni studiati, oltre che alla loro

frequente esiguità. Dati ulteriori verranno da più raffinate indagini sulla organizzazione

neuronale, probabilmente alterata in fasi cruciali dello sviluppo precoce. Indagini volumetriche

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accurate potrebbero nei prossimi anni mettere in evidenza alterazioni strutturali in aree cruciali

del SNC, dalla corteccia all’ippocampo al corpo calloso. Studi spettroscopici alla RMN su

soggetti autistici 18 sembrano indicare una alterazione del metabolismo energetico cerebrale e

dei fosfolipidi di membrana, che correla con la compromissione neuropsicologica e linguistica.

Alcuni studi PET sono stati pubblicati su soggetti autistici, ma i risultati non sono univoci 19,

sembrano indicare l’esistenza di una ridotta captazione di glucosio nei lobi frontali e parietali,

indice di una ridotta associazione funzionale tra aree omologhe ditali lobi, base dei meccanismi

di attenzione focalizzata 20.Uno studio SPECT su 5 bambini autistici ha mostrato una

transitoria ipoperfusione frontale, che non era però più evidente a 6-7 anni 21; ciò potrebbe

far ipotizzare una ritardata maturazione dei lobi frontali in bambini autistici. Anche in questo

caso studi ulteriori, in grado di combinare l’indagine morfofunzionale con l’indagine

elettrofisiologica (in particolare potenziali evocati uditivi, visivi e cognitivi) potrebbe portare

ulteriori importanti contributi alla comprensione delle basi neurofisiologiche dell’autismo.

In questa sede ci soffermeremo maggiormente sugli studi neurochimici, per la loro maggiore

rilevanza ai fini del trattamento psicofarmacologico 21-23•

I dati della letteratura sulle alterazioni neurotrasmettitoriali in soggetti autistici non appaiono

ancora univoci; nessuno specifico sistema trasmettitoriale è risultato implicato in modo

esclusivo nella genesi del disturbo autistico. Questo dato conferma l’ipotesi che sotto la dizione

di autismo rientrano probabilmente disturbi non totalmente sovrapponibili sul piano clinico,

neurobiologico e della risposta al trattamento farmacologico. I vari neurotrasmettitori sono

stati studiati in particolare nel liquor, nel sangue, nelle urine, e sui recettori piastrinici. I dati di

gran lunga più significativi riguardano la serotonina 24. Accresciuti livelli di serotonina sono

stati riscontrati in 1/3 dei soggetti autistici con ritardo mentale. Possibili spiegazioni del

fenomeno potrebbero essere una accresciuta captazione ed accumulo da parte delle piastrine,

associate o meno ad un maggiore volume piastrinico; oppure una accresciuta sintesi; o infine

un ridotto catabolismo. Alcuni dati tenderebbero ad escludere l’incremento della sintesi, così

come la riduzione del catabolismo. Al contrario l’interesse per il ruolo delle piastrine nella

iperserotoninemia degli autistici è andato accrescendosi in studi recenti. Diversi studi su

plasma arricchito di piastrine hanno confermato che parenti di primo grado di probandi autistici

con alti livelli di serotonina avevano loro stessi una iperserotoninemia ed un aumento dei

recettori piastrinici della serotonina; questo non avveniva per gli autistici senza alti livelli di

serotonina 25-27 .Piven e collaboratori 28 hanno riscontrato che i tassi di serotonina nel

plasma arricchito di piastrine sono risultati più elevati nei soggetti autistici con fratelli che

presentavano a loro volta un disturbo generalizzato di sviluppo rispetto a soggetti autistici ma

senza fratelli con disturbo generalizzato di sviluppo. Questi ultimi a loro volta presentavano

livelli di serotonina superiori ai soggetti normali. Gli autori ipotizzano quindi che il livello

aumentato di serotonina plasmatica negli autistici sia associato ad una suscettibilità genetica

all’autismo. Nonostante l’interesse di questi dati, il ruolo ed il significato della serotonina negli

autistici resta non chiaro. Alti livelli di serotoninemia sono stati riscontrati in una elevata

percentuale di bambini con grave ritardo mentale senza autismo; la specificità del dato non

sembra dunque essere dimostrata. Inoltre non sono state riscontrate differenze tra autistici e

controlli normali nel tasso liquorale di acido 5-idrossi-indolacetico che è il principale metabolita

della serotonina 29.

Sulla base di positivi effetti di neurolettici (che hanno una azione di blocco sui recettori

dopaminergici) su alcuni sintomi autistici, sono state effettuate ricerche volte a studiare il

metabolismo della dopamina in soggetti autistici. Studi più recenti 29 non hanno comunque

riscontrato differenze tra autistici e controlli nei livelli liquorali di acido omovanillico, che è il

principale metabolita della dopamina.

Studi sul sistema adrenergico-noradrenergico avrebbero evidenziato livelli ematici elevati di

tali sostanze nei soggetti autistici, mentre nelle piastrine sia l’adrenalina che la noradrenalina

erano inferiori negli autistici rispetto ai controlli . Studi sulla escrezione urinaria non hanno

invece indicato differenze significative 31.

Un crescente interesse è stato attribuito agli studi sugli oppioidi. E’ esperienza clinica nota

che i soggetti autistici hanno sia una soglia innalzata per il dolore, sia frequenti comportamenti

autoaggressivi. Entrambe le caratteristiche sono state osservate sperimentalmente in animali

nei quali era stata indotta una dipendenza da oppiati 32.Due studi riportano alti livelli di oppiati

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interni in autistici. Gillberg et al. 33 hanno riscontrato più alti livelli liquorali della frazione II di

endorfine in autistici confrontati con controlli normali. Ross et al. 34 hanno riscontrato più alti

livelli di beta-endorfine in autistici confrontati con controlli normali. Al contrario altri studi più

recenti 35 riportano livelli inferiori di beta-endorfine nei soggetti autistici. Anche se hanno

prodotto conseguenze sul piano farmacologico, con l’adozione di bloccanti specifici per i

recettori degli oppiati interni, tali studi necessitano di verifiche ulteriori.

In sintesi allo stato attuale della ricerca va sottolineato come i dati siano ancora ben lungi

dall’essere conclusivi. Si può affermare che i risultati più attendibili riguardano accresciuti livelli

plasmatici di serotonina nei soggetti autistici. Ma è probabile che studi di tipo trasmettitoriale e

recettoriale siano ancora piuttosto aspecifici e grossolani. Gran parte degli studi dovranno

riguardare quello che accade a livello post-recettoriale, in particolare a livello del nucleo e del

materiale genetico; in questo senso lo studio del meccanismo d’azione di farmaci efficaci

potrebbe essere di aiuto, così come è avvenuto per altre patologie, quali i disturbi bipolari

(vedi il capitolo di Zuddas). Un limite di questi studi è ancora legato al fatto che l’attuale

semeiologia non è in grado di farci selezionare popolazioni di bambini autistici che siano

sicuramente omogenee.

Intervento farmacologico ( riportato Integralmente su una delle Finestre nella Sezione "Terapia Farmacologica" ).

L’intervento terapeutico nei disturbi pervasivi dello sviluppo deve essere tipicamente

intensivo, prolungato ed integrato, con associazione di interventi educativi, riabilitativi

funzionali, psicologici, sociali, familiari; in questo intervento possono talora trovar posto, con

indicazioni specifiche, i farmaci 36. I dati sull’uso di farmaci in queste patologie fanno

prevalentemente riferimento a casistiche anglosassoni.

In una recente revisione su un’ampia casistica americana, Aman et al. 37 hanno riscontrato

che il 22.1 % dei soggetti con diagnosi di autismo (ogni fascia di età) prende un farmaco, il

6.4% ne prende due, 11.7% ne prende tre e lo 0.4% ne prende quattro. I neurolettici sono i

farmaci più usati (12.2%), seguiti dagli psicostimolanti (6.6%), dagli ansiolitici-ipnotici (6.3%),

dagli antidepressivi (6.1%), dagli antipertensivi (4.4%) e dagli stabilizzatori del tono

dell’umore (3.9%). Il 19% prende vitamine, ma solo il 5% assume composti vitaminici allo

scopo specifico di agire sull’autismo (dimetilglicina, vitamina B6 con o senza magnesio) -

L’utilizzazione di questi farmaci è fortemente condizionata dall’età, tendendo ad aumentare

con il passare degli anni (ritmo di incremento 3.2% ogni anno); inoltre i soggetti che vivono

fuori della famiglia assumono psicofarmaci (in particolare neurolettici) con frequenza doppia

rispetto a quelli che stanno in famiglia. Altro fattore che influenza la somministrazione di

farmaci è l’entità del ritardo mentale associato: soggetti con ritardo mentale medio o grave

assumono farmaci con una frequenza tripla rispetto a quelli senza ritardo mentale o con ritardo

mentale lieve.

TAB. IV - Farmaci usati nei disturbi pervasivi dello sviluppo

_____________________________________________________________________

Neurolettici

— aloperidolo

— risperidone

— olanzapina

- pimozide

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— tioridazina

— clorpromazina

SSRI – fluvoxamina

— fluoxetina

— paroxetina

— sertralina

— citalopram

Triciclici — clomipramina

Clonidina

Beta-Bloccanti

Naltrexone

Buspirone

__________________________________________________________________

Conclusioni

Di fronte ad un bambino con diagnosi di disturbo pervasivo dello sviluppo il primo problema

è quello di impostare un intervento terapeutico integrato che tenga conto delle complesse

esigenze di questi bambini così difficili da comprendere e gestire. Un intervento psicoeducativo,

riabilitativo e psicoterapico sul bambino, associato ad un intervento di sostegno e di indirizzo

per la coppia dei genitori, dovrebbero rappresentare una esigenza comune per tutte le forme di

disturbo pervasivo di sviluppo, ed in particolare per il disturbo autisttco. Tali necessità non si

fermano alle prime fasi dello sviluppo, ma devono essere progressivamente adattate, con le

opportune modifiche alle diverse fasi della vita, essendo questi disturbi tipicamente cronici.

Interventi educativi precoci sono stati validati nel corso di diverse ricerche, così come

interventi che attraverso forme adattate di trattamento psicolinguistico hanno cercato di

promuovere e facilitare i diversi canali comunicativi 77. Interventi psicoterapici hanno di volta

in volta privilegiato una modulazione comportamentale, un incremento delle competenze

sociali, oppure interventi più centrali sulla dimensione affettiva 36,78,79.L’efficacia di questi

trattamenti, sia pure con le dovute differenziazioni, è sufficientemente dimostrata; è però vero

che talora la gravità delle condizioni cliniche di questi bambini impedisce la realizzazione di

questi interventi. In questi casi può essere opportuno un intervento psicofarmacologico. Quindi

la psicofarmacologia non deve essere considerata in antitesi ad un intervento psicoeducativo o

riabilitativo; al contrario deve essere uno strumento che rende tale intervento più efficace.

Perché ciò sia possibile è necessario che i bambini da sottoporre a terapia psicofarmacologica

siano attentamente valutati, in modo da ottenere un favorevole bilancio costi/benefici. Quindi

da un lato i sintomi bersaglio che la farmacoterapia si propone di ridurre devono essere ben

evidenti e significativi, dall’altro il rischio di effetti collaterali deve essere ragionevole in

rapporto ai vantaggi previsti. Tale rischio dipende ovviamente dal tipo di farmaci che si usano,

e dalle modalità del loro uso. Bisogna inoltre ricordare che al momento di valutare l’effetto di

una terapia farmacologica andrebbe considerato non solo l’effetto di riduzione dei sintomi

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bersaglio («efficacy»), ma anche l’impatto dell’intervento terapeutico sulla vita reale

(effectiveness»).

Abbiamo detto che non si cura il disturbo autistico, ma i suoi sintomi più invalidanti. Un

approccio eccessivamente centrato sui sintomi bersaglio, spesso compresenti nello stesso

bambino, può rischiare peraltro di proporre un eccessivo bombardamento farmacologico. Un

approccio che privilegi l’uso di farmaci a più ampio spettro come prima scelta terapeutica può

più frequentemente ridurre il numero di interventi farmacologici. Farmaci con più ampio

spettro d azione sono i neurolettici o gli SSRI. Un neurolettico può consentire un migliore

controllo della eccitazione comportamentale della chiusura relazionale, della impulsività; in

questo caso può essere usato il risperidone, che, a basse dosi e con lenti ritmi di incremento,

sembra comportare, rispetto all’aloperidolo, minori rischi di effetti extrapiramidali e di

discinesia tardiva. Un SSRI può controllare le manifestazioni ripetitive e compulsive, l’ansia,

l’auto-eteroaggressività e talora la chiusura relazionale; il farmaco serotoninergico di prima

scelta può essere la fluvoxamina, meno attivante di altri SSRI e con profilo di effetti collaterali

più favorevole del triciclico domipramina. Nel caso che tali farmaci non risultino efficaci può

essere opportuno passare ad una loro associazione (ricordando che tale associazione modifica

il livello plasmatico di entrambe le categorie di farmaci), oppure ad altri farmaci con azione più

indirizzata su Specifici sintomi (auto ed eteroaggressività, chiusura relazionale, ossessività

ecc.), secondo le indicazioni date in precedenza (es. clonidina, naltrexone, propanololo,

dlomipramina).

Ulteriori studi sono necessari per valutare gli effetti di terapie farmacologiche non limitate

alle fasi acute. In attesa di dati in proposito appare necessario ridurre quanto possibile la

durata del trattamento, o intercalare il trattamento con fasi libere da farmaci. E comunque

ancora opportuno ricordare che una psicofarmacoterapia ha un senso soltanto nell’ambito di

una globale presa in carico del bambino autistico e della sua famiglia, nelle diverse fasi della

sua vita.

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88)) DDooppoo llaa pprriimmaa DDiiaaggnnoossii ddii AAuuttiissmmoo,, ll’’aatttteeggggiiaammeennttoo PPoossiittiivvoo èè iimmppoorrttaannttiissssiimmoo..

Una volta superati i momenti e le emozioni iniziali i genitori saranno in grado di concentrarsi

sui trattamenti e le terapie efficaci,e gli esami necessari per fare progressi verso la

guarigione.La prima domanda istintiva è PERCHE’ e successo al MIO bambino…………….

L’ATTEGGIAMENTO è IMPORTANTE!!!!!

Devi avere una fiducia cieca nel fatto che il tuo bambino farà progressi. Una eventuale

guarigione deve essere il tuo obiettivo a lungo termine.La guarigione completa non avviene in

tutti i bambini, ma i progressi ci sono in quasi tutti i casi.I progressi,non importa di quale

entità,sono una vittoria e dovrebbero essere celebrati come tali.Ti daranno speranza per il

futuro. Ti tireranno su quando sarai abbattuto.Daranno a te e agli altri la forza necessaria per

continuare la battaglia.

SIATE UN LEADER NEL MOTIVARE GLI ALTRI

TUTORS,TERAPISTAI,MEDICI,TUTTE LE FIGURE COINVOLTE COL TUO BAMB. Hanno

costantemente bisogno di supporto e motivazione. Cercate di essere un leader e di avere un

atteggiamento vincente.le persone che lavorano con voi saranno contagiate dal vostro

atteggiamento positivo, che sarà di aiuto al tuo bambino.

Dopo la diagnosi iniziale,il nostro pediatra dello sviluppo ci diede una ricetta per le solite

terapie occupazionali e di linguaggio,qualche esame di base,e sembrava molto più preoccupato

del nostro benessere come genitori. Ci suggeriì una psicologa del matrimonio che ci desse

consigli e ci facesse terapia( magari per preparaci al giorno in cui nostro figlio sarebbe stato

messo in istituto).Non aveva capito che il nostro era un matrimonio solido, e che noi non

avevamo nessuna intenzione di istituzionalizzare il nostro bambino!! Certamente l’autismo può

rovinare un matrimonio,ma non lasciate che accada! Lavorate col vostro partner e supportatevi

un con l’altro. L’autismo ha anche rafforzato molti matrimoni.

Il nostro pediatra personale voleva molto bene a noi e al bambino ma si sentiva insicuro nel

campo dell’autismo e noi abbiamo cercato di educarlo.con incoraggiamento e perseveranza.

Ricordati sempre che devi qualcosa a tuo fuglio.Un’ora spesa disperarsi potrebbe essere

spesa invece a ricercare, programmare,ordinare e organizzare gli esami, lavorare sul

programma aba, preparando le varie schede di attività giornaliere, corrispondendo coi medici,o

altre attività produttive.Ci saranno mille cose da fare,e ognuna di queste aiuterà il tuo bambino

nei progressi. Ci saranno anche dei momenti in cui sarai giù,cerca di spingere la tua energia

verso qualcosa di produttivo.

LAVORA MOLTO!

NON ARRENDERTI MAI!

TIENI UN ATTEGGIAMENTO POSITIVO!

MOTIVA GLI ALTRI!

SII IL LEADER DEI PROGRESSI DI TUO FIGLIO!

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99)) AAuuttiissmmoo ee ggrraavvii ddiissttuurrbbii mmeennttaallii ddeellll''eettàà eevvoolluuttiivvaa

International Association of Child and Adolescent Psychiatry and Allied Profession

IACAPAP

Association Internazionale de Psychiatrie de l'Enfant et de l'Adolescent et des Profession

Associées

Venezia 1998

PREMESSA

L’International Association of Child and Adolescent Psychiatry and Allied Profession

(IACAPAP) è un'Associazione internazionale che raggruppa le organizzazioni nazionali

impegnate in attività di promozione e di protezione della salute mentale dei bambini e degli

adolescenti e delle loro famiglie a sostegno degli operatori che se ne prendono cura. Fondata a

metà degli anni '30, la IACAPAP annovera fra i suoi membri sessanta nazioni. La IACAPAP

organizza congressi internazionali, pubblica una serie di monografie e un notiziario periodico,

facilita la comunicazione internazionale fra gli operatori e le organizzazioni, promuove gruppi di

studio e di lavoro, stimola attività di formazione, dialoga con i governi, le fondazioni e altri

soggetti interessati alla salute dei bambini ed alle loro famiglie, in particolar modo per quanto

riguarda problemi psichiatrici, comportamentali ed emozionali. La IACAPAP difende il benessere

dei bambini, degli adolescenti e delle loro famiglie, particolarmente nelle situazioni di

vulnerabilità e di rischio. La IACAPAP è un'organizzazione non governativa (NGO) che è in

rapporti di collaborazione ufficiale con varie agenzie delle Nazioni Unite.

Nel marzo 1998, la IACAPAP ha promosso ed organizzato a Venezia un gruppo di lavoro

internazionale e multidisciplinare fra i maggiori clinici e ricercatori attivi nel campo della ricerca

e dell'assistenza ai bambini affetti da autismo e da gravi disturbi dell'età evolutiva ad esso

correnti. Fra i numerosi punti in discussione, possono essere menzionati i seguenti:

1 . Diagnosi e metodologie di valutazione dei soggetti affetti da autismo e da gravi disturbi

dell'età evolutiva.

2. Revisione delle principali caratteristiche cliniche, comportamentali e neuropsicologiche

persistenti, riscontrabili in soggetti affetti da un disturbo autistico.

3. Implicazioni neurobiologiche e ricerca sulla eziopatogenesi dell'autismo e dei disturbi

correnti.

4. Interventi efficaci, ivi inclusi gli approcci di tipo comportamentale, educativo e biologico.

5. Metodologia di trattamento e di interventi pedagogici.

6. Problemi etici riguardanti la ricerca e il trattamento.

Del gruppo di lavoro internazionale IACAPAP fanno parte esperti di settori dell'infanzia e

dell'adolescenza, psicologia, multidisciplinari, quali, psichiatria neurochimica, assistenza

psicopatologia dell'età evolutiva, educazione, genetica, socio psicopedagogica e altri settori

correnti. La dichiarazione dei gruppo di lavoro offre molteplici indicazioni per future

collaborazioni a livello sia nazionale, sia internazionale di attività di ricerca ed assistenziali nel

campo dell'autismo e dei disturbi ad esso correlati.

Il Comitato Esecutivo.

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IACAPAP - DICHIARAZIONE DI VENEZIA

L'AUTISMO E I GRAVI DISTURBI DELL'ETA'EVOLUTIVA

L’International Association of Child and Adolescent Psychiatry and Allied Profession

(IACAPAP) è un'associazione internazionale che riunisce numerose organizzazioni nazionali

impegnate nella psichiatria dei bambino e dell'adolescente, nella psicologia e in altre discipline

ad esse affini o complementari. Da oltre sessant'anni, la IACAPAP svolge attività di difesa

attiva, a livello internazionale, dei bambini e delle famiglie, nonché di sostegno degli operatori

che se ne prendono cura. Obiettivi fondamentali dell'azione della IACAPAP sono rappresentati

dall'ottimizzazione dell'offerta di servizi di prevenzione e di cura, dal miglioramento della

formazione e della qualità degli interventi erogati nel campo della salute mentale e dalla

promozione delle conoscenze e dello scambio di informazioni tra nazioni diverse, ai fine di

migliorare la qualità dei trattamenti e dell'assistenza.

L'autismo e i gravi disturbi dell'età evolutiva (Pervasive Development Disorders PDD)

rappresentano disturbi psichiatrici frequenti in età infantile. L'autismo colpisce circa un

bambino su 1.500, mentre i gravi disturbi mentali ad esso correnti si manifestano in un

bambino su 200-500. I piccoli pazienti che ne soffrono vivono in tutti i Paesi, appartengono a

ogni gruppo etnico, a tutti i tipi di famiglie e a qualsiasi classe sociale. Queste malattie

insorgono nel primo anno di vita e colpiscono le aree vitali dello sviluppo psicologico e

comportamentale, con esiti che durano generalmente per tutta la vita. Questi bambini sono

ostacolati nello sviluppo delle relazioni sociali, della comunicazione e dei meccanismi

emozionali, ed incontrano gravi difficoltà e limitazioni nell'adattamento sia in ambito socio-

familiare che scolastico.

Essi presentano gravi sintomi comportamentali ed emozionali, che comprendono iperattività,

stereotipie, un repertorio di attività limitate e ripetitive, ansia e comportamenti autolesivi. La

maggior parte degli individui affetti da autismo presentano anche un ritardo intellettivo (ritardo

mentale) e molti di essi sono gravemente menomati dal punto di vista dei linguaggio

(mutismo). Sul piano sociale, non è comunque lo svantaggio intellettivo ad essere

determinante, i problemi sociali, emozionali e comportamentali non possono essere spiegati

unicamente dal ritardo mentale.

I progressi conseguiti nello scorso decennio grazie ad importanti progetti di ricerca hanno

permesso di approfondire la nostra comprensione di questo disturbo e dei suo trattamento. La

decima edizione dell’"International Classification of Diseases" (ICD 10) e la quarta edizione dei

"Diagnostic and Statistical Manual" (DSM IV) hanno reso disponibili dei criteri agnostici

affidabili e validi per l'autismo ed i disturbi pervasivi dello sviluppo. Questi sistemi di

classificazione internazionalmente usati facilitano la collaborazione internazionale e lo scambio

di informazioni.

E' tuttavia indispensabile far progredire la ricerca relativa alla fenomenologia clinica ed ai

correnti neurobiologici per quanto concerne la diagnosi dei bambini affetti da altri gravi disturbi

dell'età evolutiva, come il "Multiple Complex Development Disorder" e la "Psychotic

Disharmony",

La ricerca psicologica ha dimostrato che l'aspetto centrale dell'autismo è rappresentato dalla

forte tendenza all'isolamento sociale. La ricerca neuropsicologica suggerisce anche che gli

individui affetti da autismo hanno una difficoltà innata o precocemente espressa nel

comprendere e nell’utilizzare le informazioni sociali e nell'instaurare relazioni sociali reciproche.

La ricerca sulla comunicazione dimostra che diversi aspetti relativi all'uso dei linguaggio e della

comunicazione vengono ad essere disturbati dalla malattia.

Non vi è una singola causa conosciuta per l'autismo e i disturbi correnti.

I progressi realizzati grazie alla ricerca neurochimica hanno messo in evidenza il ruolo dei

sistemi serotoninergici; gli studi di brain imaging hanno mostrato le possibili alterazioni delle

strutture cerebrali e le differenze nel modo in cui i pazienti affetti da autismo elaborano le

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informazioni sociali ; la ricerca genetica ha fornito prove di una vulnerabilità genetica e, forse,

dell'intervento di specifici geni.

Le strategie di intervento dovrebbero iniziare non appena possibile, vale a dire a partire dal

primo anno di vita, ed essere basate sull'accertamento, accurato e individualizzato, delle

capacità e delle abilità presenti, e dei problemi individuali. Personale con una formazione

specifica dovrebbe collaborare con i genitori al fine di pianificare un progetto di trattamento

integrato. A mano a mano che il bambino cresce, dovrebbe essere elaborata una strategia a

lungo termine che si adegui progressivamente alla maturazione e ai cambiamenti nelle

capacità e nei bisogni dell'individuo. Gli elementi che comprendono un trattamento integrato

includono: le terapie di tipo comportamentale individualizzate per trattare specifici sintomi gli

interventi educativi per promuovere lo sviluppo sociale, emozionale e del linguaggio il sostegno

e la guida alla famiglia per aiutarla ad allevare il bambino: i programmi ricreativi per

accrescere la maturazione emozionale l'apprendimento di attività pratiche per promuovere

l'adattamento, la formazione attitudinale per consentire l'inserimento lavorativo nella

comunità, la psicoterapia per promuovere le competenze sociali ed emozionali e aiutare il

bambino ad affrontare l'ansia ed altri turbamenti emozionali; le terapie farmacologiche mirate

alle necessità cliniche individuali. Un intervento riuscito dovrebbe quindi consentire all'individuo

affetto da autismo di restare il più possibile all'interno della propria famiglia e della comunità,

di acquisire l'autonomia personale e di veder rispettata la propria dignità.

Le comunità e le nazioni dovrebbero essere in grado di fornire ai bambini affetti da autismo

e da disturbi correlati una vasta serie di opzioni per l'educazione, il trattamento e le condizioni

di vita. La varietà dei servizi forniti dovrebbe consentire all'individuo di ricevere l'assistenza e

l'educazione adatte alle sue capacità, al suoi bisogni, alla sua età e alla sua situazione

familiare.

Anche qualora il bambino goda dei miglior trattamento possibile, la maggior parte degli

individui affetti da autismo resta svantaggiata per tutta la vita sul piano sociale, comunicativo,

emozionale e adattativo. La prognosi futura, per questi individui, dipende fortemente dai

progressi delle neuroscienze e dalla loro applicazione clinica. Fra le aree più promettenti, si

segnalano gli studi di biologia molecolare relativi allo sviluppo cerebrale; quelli concernenti i

fondamenti biologici della socializzazione e della comunicazione; la psicofarmacologia; il brain-

imaging; la genetica.

Molte discipline possono fornire un apporto essenziale al trattamento e all'assistenza degli

individui affetti da autismo, nonché al progresso delle conoscenze scientifiche. Esse includono

la psichiatria del bambino e dell'adolescente, la psicologia, lo studio dei linguaggio, le tecniche

speciali di apprendimento, la genetica, le neuroscienze dello sviluppo, la farmacologia, nonché

tutte le specialità biomediche coinvolte nello studio dello sviluppo e delle funzioni cerebrali. A

livello nazionale dovrebbero essere presenti: centri di eccellenza nella ricerca sistematica e

multidisciplinare sull'autismo sulle malattie correlate; specialisti nella formazione degli

operatori; informazioni diffuse e corrette; valutazione, assistenza e sostegno individuale ai

bambini, agli adolescenti, agli adulti e alle famiglie.

La collaborazione internazionale può avere un'importante funzione sotto molteplici aspetti:

promuovere un'elevata qualità della ricerca, scambiare informazioni, metodologie di ricerca e

dati elaborare protocolli di trattamento e accertarne la validità - sperimentare diverse

metodologie pere la diagnosi precoce, l'intervento e la somministrazione dei trattamenti e

dell'educazione.

La ricerca sull'autismo e le malattie correlate contribuirà a sviluppare concetti, metodologie

di ricerca e approcci terapeutici che potranno essere utilizzati anche per gli altri gravi disturbi

emozionali che possono manifestarsi precocemente nel bambino.

La IACAPAP (International Association of Child and Adolescent Psychiatry and Allied

Profession) sottoscrive fermamente i seguenti principi:

1 . Le nazioni e le comunità debbono sviluppare metodologie cliniche per favorire una

diagnosi precoce e l'accurata valutazione dei bambini in tenera età con gravi disturbi

psichiatria e dello sviluppo, come l'autismo.

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2. Il trattamento dovrebbe essere iniziato il più presto possibile, e continuare, se necessario,

per tutta la vita dei soggetto.

3. Ai bambini e alle loro famiglie dovrebbe essere offerta un'ampia gamma di opzioni di

trattamento e di assistenza, con lo scopo principale di migliorare l'adattamento, di attenuare i

sintomi, di promuovere la maturazione, e di assicurare la permanenza dei soggetto all'interno

della famiglia e della comunità stessa. Tutti gli interventi dovrebbero essere specificatamente

commisurati alle capacità e ai bisogni dell'individuo, e i trattamenti dovrebbero essere

attentamente testati per accertarne l'efficacia e la sicurezza.

4. Il piano di trattamento dovrebbe essere stabilito in base alla collaborazione

interdisciplinare fra i diversi operatori e le famiglie; i trattamenti e l'assistenza dovrebbero

anche prendere in considerazione, per quanto possibile, i desideri e le scelte dei soggetti affetti

da autismo e malattie correlate, e rispettare l'individualità, l'autonomia e la dignità

dell'individuo e della sua famiglia.

5. E' necessario disporre di una ricerca ad ampio raggio in campo biologico e

comportamentale per comprendere le basi biologiche dell'autismo e delle malattie correlate, gli

aspetti neuropsicologici e gli interventi efficaci sia dal punto di vista comportamentale, che da

quello biologico (incluso quello farmacologico). La ricerca genetica, la ricerca nel campo della

biologia molecolare, il brain-imaging, la neurochimica, gli studi di psicofarmacologia e gli studi

di neuroscienze cognitive si stanno rivelando particolarmente promettenti. Occorre sviluppare

la ricerca anche per quanto concerne gli interventi comportamentali, educativi e psicologici.

6. Tutti gli interventi e le metodologie di ricerca debbono rispondere ai più rigorosi criteri

etici; gli operatori sono eticamente responsabili dei metodi di sperimentazione dei trattamenti

e dei progressi della conoscenza.

DONALD J. COHEN, M.D.

Donald J. Cohen, M.D, è Irving B. Harris Professor e direttore dell' Yale Child Study Center.

E' Professore di Psichiatria Infantile, Pediatria e Psicologia alla Yale University School of

Medicine ed è inoltre Presidente dei Child Psychìatry alla Yale-New Haven Children's Hospital.

Il Professor Cohen, psichiatra infantile e psicanalista per bambini ed adulti, nel 1972 entrò a

far parte della facoltà Yale School of Medícine e da quell'anno fino al 1983 è stato direttore dei

Child Study Center (Centro Studi Infanzia). Il Centro è riconosciuto a livello internazionale per i

suoi programmi multidisciplinari di ricerca clinica e di base, per l'istruzione professionale, e per

i servizi clinici e di difesa a tutela dei bambini e delle famiglie.

Le attività cliniche e di ricerca dei Professor Cohen sono concentrate sullo sviluppo

psicopatologico dei seri disturbi neuropsichiatrici nell'infanzia, come l'autismo, il P. D. D.

(Pervasive Developmental Disorder) e il Tic disorder (Sindrome di Tourette). Egli è

profondamente interessato sia allo sviluppo dei bambino nella aree urbane che alle

impostazioni di intervento, sia agli studi riguardanti l'impatto della violenza e dei trauma sui

bambini e sulle famiglie negli Stati Uniti e all'estero.

Il programma di ricerca che egli ha portato avanti al Child Study Center è caratterizzato

dalla integrazione di prospettive biologiche, psicologiche e comportamentali sui disturbi

psichiatrici dell'infanzia e dal collegamento tra ricerca e servizi clinici.

Il Professor Cohen ha pubblicato più di trecento articoli, libri e monografie. Tra le Sue varie

attività accademiche Egli è Presidente dellIintemational Association of Child and Adolescent

Psychiatry and Allied Professions, condirettore della Yale Mental Health Clínical Research

Center ed è formatore e supervisore di psicoanalisi alla Westem New Engiand Institute of

Psychoanalysis. Il Professor Cohen è membro dei National Academy of Science Institute of

Medicine ed inoltre fa parte dei Anna Freud Centre di Lon

1100)) SSOONNOO AAFFFFEETTTTOO DDAA AAUUTTIISSMMOO,, EECCCCOO CCHHEE CCOOSSAA CCHHEE MMII PPIIAACCEERREEBBBBEE DDIIRRTTII

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Estratto della relazione del professor Angel Rivière, Ginevra, 21 novembre 1996.

Angel Rivière è professore di psicologia evolutiva presso l’Università Autonoma di Madrid.

1) Aiutami a capire, organizza per me un mondo strutturato e prevedibile

2) Non mi parlare troppo, nè troppo velocemente. Usa segnali chiari e semplici

3) Evita gli ambienti disordinati, rumorosi e iperstimolanti.

4) Imponimi dei limiti: ho bisogno di una guida chiara, comprensibile, strutturata, non

dell’anarchia.

5) Non fare troppo affidamento sulle mie apparenti abilità : le mie capacità devono essere

valutate oggettivamente.

6) Dammi strumenti alternativi di comunicazione (gesti, pittogrammi, segni...).

7) Sii capace di condividere un piacere con me: ci sono molte più cose che ci possono unire

che non dividere.

8) Mostrami il senso di quello che mi chiedi di fare.

9) Fammi sapere se la mia condotta è adeguata o inadeguata : sono sensibile alle

gratificazioni .

10) Rispetta la mia solitudine, ma non troppo : mi piacciono le relazioni tranquille, amo le

interazioni, quando sono chiare.

11) Non obbligarmi a fare sempre le stesse cose, a rispettare le solite routines : l’autistico

sono io, non tu.

12) I miei problemi di comportamento non sono rivolti contro di te : non mi attribuire cattive

intenzioni.

13) Analizza le mie motivazioni spontanee : mi piace divertirmi, voglio bene ai miei genitori,

sono contento quando riesco a fare le cose bene.

14) I miei atti non sono assurdi, per me hanno una logica: cerca di capirmi.

15) Sii positivo: sostituisci le attività senza senso con attività funzionali.

16) Non mi chiedere in continuazione cose che non sono capace di fare , aiutami ad essere

più autonomo, ma non esagerare con l’aiuto.

17) Quando non faccio ciò che mi chiedi, non interpretare che " io non voglio", ma che "non

posso"

18) Proponimi attività nelle quali io possa riuscire da solo, aiutami se vuoi insegnarmi cose

nuove, ma non esagerare con l’aiuto.

19) Non darmi troppi farmaci

20) Non paragonarmi sempre ai bambini "normali". Anche se per me è difficile comunicare,

ho dei pregi : non inganno mai, non capisco le sfumature sociali ma non ho doppie intenzioni

nè sentimenti pericolosi. La mia vita può essere soddisfacente se è semplice e ordinata,

tranquilla, se non mi chiedi in continuazione di fare cose troppo difficili per me.

21) Accettami così come sono, sii ottimista , ma senza credere alle favole o ai miracoli: la

mia situazione normalmente migliora col tempo, anche se per ora non esiste guarigione.

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1111)) LLAA FFAAMMIIGGLLIIAA

La famiglia del bambino affetto da autismo si trova a dover affrontare una situazione più

stressante di qualunque altra famiglia di bambino handicappato, a causa della scarsa

conoscenza delle caratteristiche della sindrome non solo nella gente comune, ma spesso

purtroppo anche d a parte di professionisti, terapeuti e insegnanti.

L’errata interpretazione risalente agli anni ‘50 e ‘60 della sindrome autistica come disturbo

emotivo imputabile ad un errato rapporto del bambino con la madre o entrambi i genitori è

infatti dura a morire malgrado le inequivocabili evidenze di danno biologico e l’attuale

interpretazione ufficiale dell’autismo come disturbo generalizzato dello sviluppo, in parte anche

per la difficoltà della famiglia stessa a d accettare che un bambino apparentemente perfetto,

spesso bellissimo, sia portatore di un grave handicap mentale che lo accompagnerà per tutta la

vita: meglio sperare di aver sbagliato qualcosa, e che cambiando il proprio atteggiamento tutto

tornerà normale.

Ben presto tuttavia la disillusione si farà strada con il suo carico di disperazione e solitudine

di fronte a un problema senza via d’uscita, aggravato spesso dall’incomprensione di parenti,

amici e perfino dei professionisti cui ci si rivolge per chiedere aiuto ad alleviare le evidenti

sofferenze del bambino e la propria inadeguatezza nell’affrontare le difficoltà del vivere

quotidiano.

Le peculiarità della sindrome, e non viceversa, rendono infatti difficile e doloroso il rapporto

della famiglia con il proprio bambino, e costituiscono una fonte aggiuntiva di stress che spesso

minaccia la sopravvivenza dell’unità familiare.

1122)) PPRRIINNCCIIPPAALLII FFOONNTTII DDII SSTTRREESSSS PPEERR LLAA FFAAMMIIGGLLIIAA DDEELL BBAAMMBBIINNOO AAUUTTIISSTTIICCOO

1) MANCANZA DI INTERAZIONE.

Vera o apparente che sia, l’indifferenza del bambino autistico verso i familiari che già hanno

investito amore e dedizione sulla loro creatura apparentemente perfetta costituisce

precocemente una vera tragedia affettiva: i genitori si sentono rifiutati da un bambino che non

corrisponde ai loro sentimenti e che tuttavia non possono nè vogliono lasciare.

Non tutti i bambini autistici sono incapaci di dimostrare affetto verso i familiari: alcuni,

considerati in passato in come affetti da Psicosi Simbiotica, possono mostrare un attaccamento

perfino eccessivo.

Tuttavia anche in questo caso, pur meno drammatico, il senso di responsabilità verso una

creatura che capiscono indifesa di fronte al mondo e di cui ben presto intuiscono la sofferenza

li sprona a cercare in tutti i modi di aiutarla, senza riuscire a tradurre l’attaccamento affettivo

in partecipazione emotiva alla vita di famiglia o in apprendimento.

2) PROBLEMI DI COMPORTAMENTO.

La vita familiare è ben presto sconvolta dai problemi di comportamento tipici del bambino

autistico, soprattutto dagli episodi di auto o etero aggressività: nulla è più doloroso che

assistere impotenti al dramma del bambino che si morde, si graffia a sangue, si picchia o batte

la testa contro il muro, o che, portato con il cuore colmo di speranza tra i suoi coetanei li

allontana a morsi e calci.

La paura e l’angoscia che generano questi episodi apparentemente incomprensibili portano

spesso alla rinuncia di una qualunque regola o coerenza educativa, precipitando ancor di più il

bambino nell’incertezza e la famiglia nell’isolamento sociale.

Anche problemi di comportamento meno gravi, come pianto o riso irrefrenabili e

apparentemente immotivati, grida o lancio di oggetti, e così via generano sconcerto e

angoscia, e contribuiscono fatalmente all’isolamento sociale del bambino e dell’intera famiglia.

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3) INCOMPRENSIONE SOCIALE

Le stranezze del comportamento del bambino autistico nel migliore dei casi vengono

interpretate nell’ambito sociale come espressioni di maleducazione di cui il genitore è

responsabile; anche la famiglia più unita e agguerrita si trova così a dover affrontare, oltre alle

difficoltà di convivenza col proprio bambino, il giudizio, le critiche e l’insofferenza di vicini,

parenti e amici della cui solidarietà avrebbero invece enormemente bisogno.

Per lo più tuttavia la gente comune conosce dell’autismo la credenza errata che il

comportamento autistico sia imputabile al cattivo rapporto con la madre; anche nella famiglia

più consapevole e più preparata si insinua il dubbio, si rimugina il passato, e il senso di colpa

logora la coppia e peggiora fatalmente il già difficile rapporto con il bambino.

Ancora più drammatica è l’incomprensione che spesso la famiglia incontra al momento

dell’inserimento del bambino nella scuola materna e più tardi nella scuola dell’obbligo: ì

pregiudizi sull’autismo e la scarsa preparazione in materia degli insegnanti, la scarsa

disponibilità a collaborare o l’ignoranza da parte delle strutture sanitarie ne fanno ben presto

un piccolo intruso da tollerare per il minor tempo possibile, accampando ogni scusa per ridurre

il tempo di frequenza scolastica.

La fonte principale di stress per la famiglia non è più l’isolamento o il comportamento del

bambino, ma il rifiuto sociale: i genitori stessi si sentono rifiutati nel loro bambino, ancora una

volta soli contro tutti.

4) INCERTEZZA PER IL FUTURO.

Quand’anche la famiglia abbia superato la fase della disperazione, e sia stata correttamente

informata sulle cause e le caratteristiche della sindrome autistica, resta tuttavia perennemente

angosciata dall’incertezza per il futuro del proprio bambino, e non solo dallo spaventoso ma

ancora relativamente lontano momento della vecchiaia e della morte ("chi si occuperà di lui,

chi lo capirà quando noi non ci saremo più?"), ma anche dal futuro più prossimo ( "sarà

accettato a scuola? avrà un insegnante preparato? otterrà le ore di sostegno necessarie a

svolgere un programma speciale? ") o addirittura dell’indomani ("andrà tutto bene o mi

chiameranno ancora una volta d a scuola pregandomi di portarlo a casa?").

Quando poi si sia raggiunta una vera consapevolezza sulla gravità della sindrome autistica, e

sull’inesistenza di soluzioni dignitose per il futuro di un adulto affetto da autismo, lo stress

diventa disperazione, e non esiste genitore di bambino autistico che non speri di poter

sopravvivere al proprio figlio pur di non doverlo abbandonare ad un futuro di emarginazione,

con un ulteriore carico di sensi di colpa e di impotenza.

5) FATICA E IMPOSSIBILITÀ A SVOLGERE UNA VITA NORMALE.

La vita con un bambino autistico è estremamente faticosa: spesso ai problemi di

comportamento, difficili da gestire, si aggiungono iperattività, problemi di sonno e di

alimentazione.

L’iperattività del bambino, per lo più inconsapevole del pericolo, non dà tregua, e spesso la

casa diventa una prigione spoglia in cui barricarsi, porte e finestre sbarrate da chiusure di

sicurezza, ogni oggetto fragile ancora integro fatto sparire, cibo e bevande lontano dalla

portata del bambino; e ancora restano da sorvegliare rubinetti, fornelli e così via, neanche

uscire di casa dà tregua: una passeggiata al parco si trasforma facilmente in un inseguimento

affannoso e un attimo di distrazione può essere fatale.

Tuttavia neanche il genitore di un bambino tranquillo riesce a darsi pace: il suo isolamento, il

vederlo passare ore a guardarsi le mani o giocherellare con uno spago lo angoscia, lo sprona a

cercare di coinvolgerlo in giochi o attività domestiche, per lo più ricavandone ansia e

frustrazione.

Non esistono vacanze per la famiglia di un bambino autistico, ammalarsi è un lusso, riposarsi

impossibile; la fatica è schiacciante, e i rapporti familiari ne sono ben presto incrinati.

La madre, per mancanza di aiuti adeguati, deve per lo più rinunciare al lavoro.

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La fatale conseguenza di tutte queste difficoltà è l’isolamento sociale della famiglia e del

bambino stesso, a dispetto di una legge quadro che dovrebbe garantire l’integrazione sociale

della persona handicappata.

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1133)) PPOOSSSSIIBBIILLII IINNTTEERRVVEENNTTII SSUULLLLAA FFAAMMIIGGLLIIAA

La famiglia è il primo ambiente sociale in cui ogni bambino si trova a vivere: l’integrazione

nella vita di famiglia è perciò il primo scopo d a perseguire in un programma di riabilitazione e

integrazione della persona autistica.

Aiutare il bambino a sviluppare capacità interessi e relazioni nell’ambito familiare si traduce

in un miglioramento della vita presente e futura della famiglia e del bambino stesso: il

benessere dell’uno è indissolubile da quello dell’altra.

Nessun genitore può assistere passivamente allo sviluppo del proprio bambino; un

programma di intervento dovrebbe non solo essere preparato tenendo conto della conoscenza

profonda che ogni famiglia h a del proprio figlio, delle esigenze e dello stile di vita familiari, ma

anche prevedere una partecipazione della famiglia stessa come partner essenziale nella

preparazione ed esecuzione del progetto.

A questo scopo sarebbe opportuno offrire alla famiglia un supporto individualizzato a partire

dai suoi bisogni e dalle sue potenzialità.

1144)) FFOORRMMEE DDII SSUUPPPPOORRTTOO AALLLLAA FFAAMMIIGGLLIIAA

1) INFORMAZIONE.

Una corretta informazione sulle caratteristiche della sindrome autistica è il primo passo per

aiutare i genitori a comprendere e affrontare efficacemente i problemi del loro bambino.

Colpevolizzare la madre o anche solo tacere su un dubbio che la diagnosi stessa può portare

con sè è inaccettabile, sgombrare il campo da sensi di colpa assurdi e anacronistici é doveroso

e non può che tradursi in u n miglioramento dei rapporti familiari e conseguentemente in un a

maggiore serenità del bambino stesso.

Tuttavia accettare l’idea dell’handicap del proprio bambino, quando si era sperato di poter

cambiare tutto semplicemente cambiando se stessi, può essere traumatizzante, e soprattutto

la comunicazione di alcune caratteristiche utili più che altro come strumenti operativi, in

particolare della coesistenza di ritardo mentale, può essere percepito negativamente in

consonanza col senso comune, e difficile da accettare se non si ha ben chiara la differenza fra

capacità, intelligenza e sensibilità, e il rispetto dovuto in ogni caso ad ogni persona umana.

2) FORMAZIONE E ADDESTRAMENTO.

"Il bambino non mi guarda, non mi obbedisce, si comporta come se neanche esistessi o

addirittura sembra burlarsi di noi. Come dobbiamo comportarci con lui?"

A questa domanda molti professionisti rispondono "Fate semplicemente i genitori".

Ma "fare i genitori" di un bambino autistico non è affatto semplice, s e non si viene messi a

conoscenza su come è possibile ottenere attenzione e collaborazione, e se non si sanno

affrontare nel modo giusto i problemi di comportamento, oggi interpretati come espressione

dell’incapacità ad esprimere i propri bisogni e desideri.

La famiglia, si vede quindi costretta ad informarsi autonomamente e rischia di perdersi in

una miriade di informazioni e tentativi, mentre dovrebbe essere adeguatamente preparata ad

intervenire efficacemente nell’educazione del proprio figlio, e ad adottare altre forme di

comunicazione, attraverso la preparazione congiunta da parte di professionisti e familiari di un

programma da svolgere a casa con l’aiuto di controlli periodici, o almeno tempestivamente e

costantemente informata delle modalità degli apprendimenti raggiunti al di fuori dell’ambito

familiare.

Un intervento attivo della famiglia nel campo della autonomie di base e della comunicazione

permetterebbe di dedicare più tempo nell’ambito extrafamiliare ad interventi di altro tipo (

rieducazione in campo motorio e cognitivo).

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Il coinvolgimento attivo della famiglia in un adeguato programma riabilitativo rappresenta

inoltre l’aiuto più efficace a superare sensi di colpa e di inadeguatezza: attraverso il ruolo di

partner di educatori e insegnanti i genitori si appropriano degli strumenti indispensabili per

svolgere il proprio ruolo e riacquistano fiducia nelle proprie capacità.

3) PIANIFICAZIONE E ASSISTENZA

L’angoscia della famiglia per l’incertezza del futuro del proprio bambino dovrebbe essere

alleviata da una precoce programmazione del suo futuro: sapere che il bambino frequenterà

una scuola materna e una scuola dell’obbligo come tutti gli altri bambini, seguito da persone

competenti, prontamente disponibili e il più possibile stabili, realmente interessate al problema

e motivate ad intervenire all’unisono con i familiari per sviluppare al massimo le potenzialità

del bambino può rappresentare un enorme sollievo.

La formazione di personale sanitario e scolastico competente è perciò u n aiuto indispensabile

non solo per il bambino, ma anche per la famiglia.

Resta purtroppo per ora irrisolto il problema della vita da adulto della persona autistica, e sarebbe doveroso fin dall’infanzia del bambino

prospettare soluzioni dignitose e qualificate in vista del venir meno dell’aiuto familiare.

Accettare un figlio handicappato ma con una strada futura già delineata sarebbe assai più facile e certamente la qualità della vita familiare n e sarebbe molto migliorata.

4) COORDINAMENTO DEI SERVIZI

Benchè la legge quadro sull’handicap preveda che tutte le istituzioni ( sanità, scuola,

assistenza) debbano farsi carico dell’integrazione della persona handicappata, nella realtà

spesso ognuna interviene in modo autonomo non sempre coerente, e la famiglia deve farsi

carico di sollecitare incontri o trovare attività di tempo libero.

I bambini autistici si possono ammalare come tutti gli altri bambini, m a anche le necessità

sanitarie costituiscono un problema per la famiglia della persona autistica, per la difficoltà

diagnostica da parte di medici che non conoscano l’handicap o per la mancanza di strutture

ospedaliere attrezzate per operare su questi soggetti: allo stress della malattia si aggiunge

quindi l’ansia di trovare un intervento adeguato.

Sarebbe quindi opportuno individuare un responsabile che garantisca la coerenza degli

interventi educativi in un programma globale, e individui in caso di necessità i professionisti e

le strutture più adatte ad intervenire in caso di malattia.

5) AIUTO SOCIALE ED EMOTIVO.

La famiglia del bambino dovrebbe essere aiutata a mantenere il più possibile il tipo di vita e

la relazioni sociali precedenti alla nascita del bambino autistico: questo significa poter disporre

dell’aiuto di personale competente che permetta ai genitori di disporre del tempo per coltivare

relazioni sociali e alla madre di conservare il posto di lavoro messo seriamente in pericolo dalla

mancanza di una presa in carico efficace del bambino.

In ogni caso la famiglia ha bisogno di spazi di libertà: infatti non bisogna dimenticare che

anche i fratelli del bambino autistico hanno diritto alle cure dei genitori, che come in tutte le

altre famiglie possono intervenire malattie o doveri di assistenza verso i parenti anziani, e che

il bambino autistico non deve essere il fulcro, ma uno dei componenti della famiglia. Anche la

vita di coppia deve poter essere coltivata, e nell’ambito del programma individualizzato del

bambino sarebbe opportuno prevedere brevi periodi di vacanza in un ambiente adeguato e

preparato in modo da garantire il giusto riposo necessario alla famiglia per "ricaricarsi" e

trovare nuove energie per affrontare la vita quotidiana.

La solidarietà e la comprensione che si possono trovere nell’ambito delle Associazioni dei

familiari non dovrebbero sostituirsi alla possibilità di

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mantenere relazioni e interessi al di fuori del problema autismo, per non diventare una

ulteriore fonte di emarginazione della famiglia.

Un aiuto concreto a mantenere la vita di relazione, una prospettiva dignitosa seppur

impegnativa per il futuro, una chiara dimostrazione di fiducia da parte degli operatori, la

disponibilità ad una accoglienza competente e serena da parte della strutture preposte

all’inserimento sociale della persona autistica costituiscono inoltre il più valido aiuto emotivo

per la famiglia.

1155)) LL''AAUUTTIISSMMOO DDAALL DDII DDEENNTTRROO

***Nota dei curatori del Sito : Donna Williams, autenticamente Autistica, è una

lettura difficile, ma estremamente interessante, soprattutto per coloro che sono

vicini una persona Autistica " ad alto funzionamento ", leggendo il libro e questi

spezzoni tratti da esso, potranno comprendere meglio il funzionamento ed i processi mentali utilizzati dagli Autistici per vivere in mezzo alle altre persone.

Un cesto pieno di puzzles. ( Tratto da " il mio e il loro autismo" di Donna Williams.)

COME HO IMPARATO CHE COSA COSTITUISSE IL MIO "AUTISMO"

L’autismo è definito da qualcuno come un puzzle con un pezzo mancante. Ho sperimentato il

mio "autismo" come un cesto, con molti puzzles diversi, tutti mescolati tra loro e a ciascuno

manca qualche pezzo, ma c’è qualche pezzo in più che non appartiene a nessuno di quei

puzzles. Il primo dilemma per me fu individuare quali pezzi appartenessero ai vari puzzles; da

lì dovetti ricavare quali pezzi mancassero e quali non avrebbero dovuto essere affatto nel mio

cesto.

Quand’ero piccola, le mie vie di senso non funzionavano bene e la mia reazione alla luce, al

suono e al contatto era non soltanto priva di significato, ma anche troppo eccessiva. Non

potevo capire il mondo; non solo, non potevo neppure sopportarlo.

Fino a circa tre anni, non credo sapessi di avere dei problemi. Non avevo un’elaborazione

continuativa per il significato attraverso alcuno dei miei sensi e nessun significato coerente per

nessuna delle cose che mi accadevano, all’interno dell’immediato contesto in cui si

verificavano. Non ricavavo un significato continuativo da ciò che vedevo o dalle reazioni di altre

persone nel vedermi o da ciò che sentivo, compreso ciò che io stessa dicevo o dalle reazioni di

chi mi sentiva. Non lo ricavavo dal mio corpo nello spazio o da come apparivo o dai messaggi

del mio corpo o dalle mie emozioni o dai comportamenti a cui queste talvolta mi

costringevano. Non riuscivo a capire il senso o la significatività di ciò che ci si aspettava da me,

perché le parole di altre persone, l’intonazione, l’espressione del viso, il linguaggio e il

contatto, non avevano un significato letterale costante e quindi poca o nessuna significatività.

Non riuscivo a capire molto sulle conseguenze o l’effetto; l’incapacità di ottenere un significato

coerente attraverso uno qualsiasi dei miei sensi, in un ambiente che richiedeva che lo facessi,

mi portò a sviluppare una sottile abilità di rispondere non al significato, ma agli schemi. Non mi

ricordo di aver mai pensato a tutto ciò come a un problema.

In realtà, per quanto possa ricordare, la mia prima idea sull’esistenza di un problema fu che

questo non fosse in me, ma in ciò che era incollato a me e che imparai a conoscere come il mio

corpo; fu che il problema fosse nelle irrefrenabili, incontrollabili e distruttive aggressioni che

imparai a conoscere come emozioni che fosse nelle imprevedibili, incomprensibili, illogiche

azioni di chi imparai a conoscere come persone con le loro aspettative. Ma io... probabilmente

immaginavo che non avrei avuto nessun problema se solo avessi potuto liberarmi di tutte

quelle cose.

Era un problema, invece, la prospettiva di dover rispondere quando non capivo, o non volevo

o non mi sentivo sicura con quelle emozioni che sono destinate a sollecitare l’interesse, il

bisogno o la volontà di comunicare. Era un problema la prospettiva di usare un corpo, un volto,

una voce da cui ero percettivamente scollegata. Era un problema il pensare di rispondere,

immediatamente e con comprensione, quando la mia capacità di elaborare una qualsiasi cosa

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per capirne il significato era lenta, fuori contesto e incompleta. Le mie prime risposte a queste

difficoltà furono: combatterle fino alla fine, ignorarle e fuggirle.

In pochi anni scoprii che, per quanto le rifiutassi, per quanto cercassi di eliminarne i segnali,

per quante rappresaglie mettessi in atto, non riuscivo a distruggere queste ostinate, persistenti

aspettative.

La mia risposta al problema delle aspettative, fu, allora, imparare ad inventare le emozioni

che ci si aspettava avessi, ma con cui non mi sentivo al sicuro; fu inventare un interesse che

non provavo, comunicare con una voce imitata e muovermi con movimenti appartenenti ad

altri, specularmente, in assenza di connessioni con un movimento mio e, infine, imparare a far

credere di aver capito anche quando non era vero.

Verso i dieci anni, quando significati logici (pur se in genere ritardati), cominciarono a

giungere con continuità attraverso i miei canali sensoriali, il problema si trasformò: la mente

era ora bombardata da frammenti sparsi di significati, coerenti con una realtà che non avevo

avuto l’interesse, la volontà o il bisogno di scoprire e con i quali non sapevo cosa fare. La mia

risposta fu trovare schemi per usare tutto ciò. Rafforzai le uniche armi che avessi al posto

dell’interesse e della volontà: ossessione e costrizione.

Poiché il processo di acquisizione del significato era avvenuto, ma molto in ritardo e fuori del

contesto in cui si verificano eventi significativi, la maggior parte del processo stesso era

subconscia e neppure io sapevo che esistesse. Gli anni centrali dell’infanzia furono il tempo in

cui si attuarono tutti questi processi, ma in modo inconscio; poi, conoscenza e consapevolezza

furono messe in moto e ciò che ne uscì sorprese me tanto quanto gli altri. Quegli anni furono

anche il tempo in cui la precedente fiducia negli schemi e la crescente nuova fiducia nel

significato, scatenarono una battaglia psicologica, emotiva e sociale che la maggior parte dei

bambini non deve mai affrontare. Fu il tempo in cui realizzai l’ironia di un santuario che era al

tempo stesso una prigione, in cui feci sperimentazioni con i confini del significato e quelli dello

schema.

Quella fiducia negli schemi e quell’attivarsi degli schemi, uniti alle attrazioni sensoriali, in

assenza di una elaborazione efficiente per ottenere un senso od una significatività personale.

nutrirono costrizione ed ossessione, ma il loro controllo era già stato spinto al limite a causa

del livello cronico di stress a cui ero sottoposta. "Costrizione" ed " ossessione possono essere il

tuo amico o il tuo nemico, e in tempi diversi furono entrambe le cose.

Da una parte ero sospinta all’interno della marea dei miei piaceri sensoriali e delle

informazioni cognitive a singhiozzo; dall’altra avevo fugaci visioni della nascosta costrizione di

queste pulsioni e abitudini fuori controllo: cercavo talvolta di fermarmi solo per dimostrare chi

avesse il controllo e di chi fosse la vita in gioco.

Priva della consapevolezza del mio lo, l’ipersensibilità che mi aveva spinta a rifiutare

l’intimità e la capacità espressiva personale e intenzionale, giunse ad avere un nome. Quel

nome era paura delle emozioni e trovò il suo posto tra un’infinità di altre paure come quella di

perdere il controllo o che altri vedessero me in me stessa (paura di rivelare se stessi).

Giunta all’adolescenza, cominciai ad essere troppo cosciente della sensazione di essere

un’aliena. Incapace persino di avere vere espressività continuamente condivise o vere

emozioni provate con chiunque altro, compresi il vuoto totale che il mondo aveva in serbo per

me. La mia risposta fu seguire e imitare chiunque mi prendesse con sé per "il viaggio" e

muovermi nella vita il più velocemente possibile, così da non dovermi fermare e annegare nella

sensazione di come tutto risultasse rovinoso e incontrollabile.

Dopo qualche anno cominciai a scoprire quanto lontano fosse il "passare per normale" dalla

realtà vera e, dopo aver cercato di fare del mio meglio e aver ancora sperimentato il

fallimento, dovetti cercare altrove una speranza. Cercai le risposte e. dopo molti anni, durante

i quali ne trovai solo qualche pezzo, cominciai a trovarne qualcuna.

A trent’anni, sapevo quali "puzzles" ci fossero nel mio cestino: problemi di connessione, di

tolleranza e di controllo.Io so quali dei miei puzzles hanno molti pezzi e quali pochi, so come

questi puzzles abbiano collaborato per aiutarmi o incepparmi nel funzionare, nel conoscere,

nell’essere vicina a me stessa e al mondo attorno a me, so come questi puzzles formino,

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collettivamente, qualcuna delle mie identità ed esressioni e qualcosa di ciò che non è una mia

identità o una mia espressività. ma che comunque viene dalle mie connessioni, intenzionali e

non.

Conoscendo tutto ciò, sono riuscita a strappare le erbacce dal mio giardino, a scoprire la

differenza tra ciò che è utile o sembra buono o risulta "simile a me" e ciò che è

controproducente, non sembra giusto e nomi risulta "simile a me"

Dove ho potuto strappare le erbacce, l’ho fatto; dove non ci sono riuscita, ho cercato di

capire che cosa potesse aver causato la loro crescita, nella speranza di eliminarne le cause.

Quando ebbi 25 anni, misero un nome nel mio cestino di puzzles e quel nome era "autismo .

Allora passai del tempo con altri che avevano avuto questa stessa definizione (e altri che ne

avevano di diverse o definizioni correlate o nessuna definizione) e vidi i miei stessi sistemi al

lavoro; talvolta di più, talvolta di meno, nella maggior parte delle persone. ma non in tutte.

Vidi persone avanzare faticosamente attraverso le loro collezioni di puzzles rimescolati, vidi

persone cercare di selezionarli o metterli assieme o fingere che non esistessero.

Vidi assistenti o professionisti aiutare qualcuno a selezionare i suoi puzzles quando stava

ancora soltanto avanzando faticosamente; ne ho visto altri aiutare le persone ad ignorare i loro

puzzles, proprio quando stavano facendo un buon lavoro nel selezionarli. Ho visto assistenti e

professionisti aiutare qualcuno a lavorare con un tipo di puzzles che non avevano, quando in

realtà avevano ogni altro tipo di puzzles tranne quello e la cosa più sorprendente che vidi fu

che la maggior parte delle volte assistenti e professionisti non sapevano distinguere un puzzle

da un altro.

Tanti vivono in un mondo dove l’obiettivo è leggere le apparenze, Io mi muovo in un mondo

in cui il mio bisogno di fare tante cose cosiddette "normali" si verifica innaturalmente e

meccanicamente e ciò significa che ho dovuto fare assegnamento sul vedere sistemi anziché

apparenze.

Ecco di che parla questo libro! Parla di aiutare assistenti e professionisti a riconoscere tutti i

diversi puzzles che possono essere rinchiusi in un cestino e di portarli in quella specie di

viaggio in cui mi portò la mia vita. Può succedere che nel riuscire a riconoscere un pezzo di

puzzle da un altro, riescano a metterne un paio assieme e ad avere un successo un po’ più

continuativo di quanto non abbiano ora.

Le mie difficoltà legate all’autismo mi portarono in un viaggio nel quale i problemi percettivi

e quelli di integrazione dei sistemi facevano apparire vuoto il mondo e privo di scopo,

insignificante, privo di interesse o ricompensa e rendevano il mio corpo, la voce, il movimento

e le emozioni, staccati da me. schiaccianti ed alieni.

Questi problemi mi portarono in un viaggio in cui imparai ad agire come se avessi il senso di

"noi", come oggetto e come soggetto, anche se i problemi di integrazione dei miei sistemi

rendevano molto difficile elaborare coerentemente allo stesso tempo, l’Io interiore e l’Altro

esterno: esperienza essenziale per cogliere il significato di "sociale", di come esserlo e del

perché si possa desiderare di esserlo.

Le difficoltà correlate all’autisrno mi accompagnarono in un viaggio in cui le mie

ipersensibilità sensoriali fecero di certi suoni, tessuti, disegni e colori, il mio paradiso personale

e privato. Nelle mani di altre persone che mi buttavano addosso indiscriminatamente i suoni, i

tessuti,i disegni e i colori che per me erano opprimenti e intollerabili, le mie ipersensibilità

sensoriali divennero il mio inferno sociale.

Fu un viaggio in cui l’ipersnsibilità emotiva rese difficile avere un’identità e quasi impossibile

mostrarla, come essere privata del respiro o soffocata dall’interno. L’ipersensibilità emotiva nel

contatto con persone gentili e affettuose creava in me l’effetto di essere alimentata a forza con

una cassa di limoni. Rese l’essere sociale un cattivo scherzo, dove l’unica vita possibile era

non-sperimentabile, su un palcoscenico dove non si può essere sé stessi se non a costo di

perdere la capacità di pensare o il collegamento con l’espressività intenzionale.

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Fu anche un viaggio nel quale problemi di attenzione resero la vita simile a un vortice, dove

non si poteva aggrapparsi a un’idea o ad una relazione ed io venivo spinta e trascinata

dimenticando ogni possibile azione.

Fu un viaggio durante il quale un disturbo del sonno mi fece "dormire" ad occhi aperti e

congelò ogni collegamento con il mio corpo o collegò corpo e voce al pilota automatico dopo

ogni tentativo di prestare attenzione. Tutto ciò mi mise spesso nella compromettente posizione

di un burattino suggestionabile che vive in modo speculare o di uno "zombie".

Fu un viaggio durante il quale l’abitudine alle costrizioni e i conseguenti "picchi" di adrenalina

sommersero qualsiasi sopravvissuto residuo di interessi o bisogni reali, di pensieri o emozioni e

mi resero complice delle emozioni e delle espressioni di un corpo, un volto, una voce che non

sentivo nemmeno come miei.

L’ossessione e il rituale richiedevano che il mondo lavorasse all’interno dei miei confini o

fosse abbandonato come interferenza di qualcosa così superflua come le emozioni reali o

l’intimità.

Nel viaggio, la paura dominava scelta e azione e ogni paura superata si ripeteva sotto nuova

forma.

Le mie difficoltà legate all’autismo mi portarono in quel periodo al punto in cui la mia salute

fisica andò in pezzi per una combinazione di danni ereditati, di cattiva gestione e per il

continuo stress di trattare con un mondo che non voleva capire e che insegnò a questo

cammello a camminare diritto invece di togliere dalla sua groppa il peso di una camionata di

paglia, per tutti i trent’anni necessari a che si rendesse conto che c’era una scelta.

Ecco perché, per me non esiste una singola cosa chiamata "autismo". Qualche cammello

porta sul dorso una grande quantità di ogni tipo di paglia. Altri cammelli portano una gran

quantitità dello stesso tipo di paglia; altri ancora un intera collezione di tipi di paglia diversi.

CHE COSA CHIAMIAMO "AUTISMO"?

Nessuno ha diritti d’autore sull’autismo. Esisteva molto prima che gli fosse assegnata una

definizione, molto prima che sorgessero istituzioni benefiche od organizzazioni per

occuparsene; molto prima che si scrivessero libri o si girassero film sull’argomento. Se ne

trovano tracce nelle fiabe, nel folklore sulle fate, sul potere magico e sugli incantesimi. Se ne

trovano nelle vecchie storie di "bambini selvaggi e di famosi "sciocchi"’ o, in tempi più vicini a

noi, nelle opere di fantascenza.

Secondo la leggenda le fate rapivano un bambino in fasce e ne lasciavano in cambio uno

fatato, bello, ma strano e lontano dagli altri esseri umani. Nel 1799 il Dr. Itard, in Francia, si

occupò di un bambino che viveva allo stato selvaggio. nei boschi, che fu poi chiamato "il

fanciuIIo selvaggio di Aveyron". Il Prof. Kanner fu il primo a descrivere, nel 1943, questi

bambini come affetti da ‘autismo infantile precoce’. Bisognò arrivare al 1974 perché il Dr. C.H.

Delacato avanzasse l’ipotesi del danno organico come causa dell’autismo e proponesse una

terapia di integrazione sensoriale per "lo straniero dell’ultima frontiera".

L’autismo esisteva molto prima che l’americano Leo Kanner lo scoprisse o che il tedesco

Hans Asperger ne scoprisse il parente ad alta funzionalità, la Sindrome di Asperger, negli anni

‘40. L’autismo esisteva molto prima che ogni tipo di professionista spuntasse per studiarlo, per

lavorarci o affermare di essere in grado di curarlo o di trattarlo.

Nell’arco degli anni l’autismo è stato considerato una forma di "possesso" spirituale, di

malattia mentale, di disturbo emotivo, di disturbo della personalità, di deficit della

comunicazione; un handicap mentale, un disturbo della comunicazione sociale, un deficit di

sviluppo e, più di recente, un problema di elaborazione delle informazioni, un deficit motorio o

una particolare condizione sensoriale o percettiva.

Professionisti di aree diverse vennero alla ribalta in ciascuno di questi campi e non sparirono

quando emersero campi nuovi: sono ancora là, a battere sui loro tamburi e ad atterrare le

rispettive porte. Qualcuno ha creduto, come dinosauri, che le proprie idee fossero le uniche

giuste; qualche altro è stato un po’ più aperto, olistico, immaginativo e meno resistente ai

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cambiamenti. Alcuni professionisti sono i dinosauri di oggi, e altri i dinosauri di domani e

qualcuno cerca disperatamente di non diventarlo affatto.

I professionisti dei diversi campi, si focalizzarono su una collezione di sintomi, scritta o non,

sulla base dei quali potevano diagnosticare o curare le condizioni di autismo e, pur non

potendo andar d’accordo sul "tipo" di condizione che stavano osservando, la maggior parte di

loro si basò più o meno sulla stessa manciata di sintomi facilmente identificabili.

Guardando all’autismo come a quella collezione, a livello essenziale, la popolazione autistica

poteva apparentemente distinguersi da persone con altri tipi di problemi sulla base dei

seguenti aspetti fondamentali:

a) una menomazione nella capacità di interagire socialmente;

b) un disturbo della comunicazione;

e) alcuni "comportamenti strani";

d) risposte strane agli stimoli sensoriali;

e) difficoltà nell’uso del gioco immaginativo.

Qualche professionista guardò anche ai tipi di risposta e ne trovò tre fondamentali:

"distaccato", "di evitamento", "strano"; così, gli "autismi" cominciavano a non sembrare,

dopotutto, più così simili. Qualcuno pareva inserirsi, per certi aspetti e in particolari momenti in

una categoria e in un’altra per altri aspetti e in momenti diversi. Comunque, se lo scopo era

categorizzare, probabilmente parecchie persone inserirsi in una categoria piuttosto che in

un’altra. Ambienti diversi svilupparono da parte del pubblico sembravano o dei media,

rappresentazioni diverse dell’autismo e queste rappresentazioni pubblicizzate di stereotipi

antiquati sopravvivono ancor oggi in articoli, documentari radiofonici o televisivi e film.

L’AUTISTICO "STRANO"

In qualche ambiente i "media" hanno scelto, come rappresentanti dell’autismo, quelli con

risposte strane piuttosto che quelli con risposte distaccate o di evitamento. Così ha fatto, per

esempio, il film americano "Family Pictures" (Foto di famiglia). A causa del loro

comportamento "incomprensibile", "strano" o "bizzarro", gli autistici erano talvolta raffigurati

come alieni o incapaci di comprendere e, talaltra il quadro poggiava su elementi di emozione e

alienazione piuttosto che di mistero. Tutto ciò può essere stato un rifacimento, ordinato e ben

presentato, del concetto di "fenomeno da circo" e la sua popolarità può basarsi sull’attrazione

dei "fenomeni" che sfidano il mito, ferocemente difeso e generalmente accettato, che afferma

che "esiste una normalità" e che la "maggior parte" delle persone è normale.

Una delle conseguenze del focalizzarsi su quanto "strani" o "bizzarri" o "incomprensibili" od

"ottusi" siano gli autistici, può essere stato il lasciare a persone incapaci il compito di inserire

queste altre persone ovviamente "anormali" nel cuore della società, senza un qualsiasi motivo

per cui la gente "normale" ce li potesse volere. Si presume forse che queste persone o non si

curino di essere degli esclusi o non siano abbastanza intelligenti per pensarci molto.

L’immagine "bizzarra" o "strana" può aver creato la stessa impressione di qualsiasi "mostro"

dei media: che cioè queste creature abbiano bisogno di essere controllate e commiserate, ma

anche, cortesemente tolte di mezzo e messe dove la gente non debba guardarle. Invece che

"angelico" l’immagine di "strano" sembrava dipingere l’autistico come selvaggio e animalesco.

L’impressione creata nel pubblico può essere stata che i genitori dei bambini di questo tipo che

non li chiudevano in istituto, dovevano essere compassionati o encomiati per il loro impegno.

L’AUTISTICO "DISTACCATO"

In altri ambienti l’impressione di distacco era più largamente usata e le persone autistiche

erano dipinte come irraggiungibili, fatate o lontane, nel loro mondo. Così, nel film "House of

cards" (La casa di carte) nel quale il bambino "autistico" è miracolosamente salvato

dall’attrazione del "suo mondo".

L’immagine del "distaccato" aveva un’aria di mistero che può aver portato all’idea che forse

questi autistici avessero scoperto profondità dell’universo sconosciute al resto del mondo. Il

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concetto generale può aver "pensato" queste persone fatate in qualche modo al di là della

società normale e quindi prive di interesse per essa. Questa era un’immagine attraente, che

sembrava giocare sulle lusinghe di "altri mondi" ed anche sulla mentalità che fa dire: < Se è

così buono vorrei assaggiarne anch’io!>.

Le persone "autistiche" distaccate erano talvolta raffigurate come angeli caduti o, in qualche

modo, più vicini a Dio. Anziché trovarli repulsivi qualcuno ne era attratto, come se questo fosse

un modo per ottenere un biglietto per qualche tipo di realizzazione spirituale. Ciò può aver

portato le persone "normali" a sentirsi vessate o umiliate nell’esser lasciate indietro e

considerate, in qualche modo, indegne degli autistici che non mostravano interesse per loro.

Ecco, forse, perché alcune persone trattavano il riconoscimento da parte di una persona

autistica, priva di relazioni e isolata, come uno status pubblicizzabile o un onore e agognavano

di essere riconosciuti.

Dove qualcuno aveva immaginato e percepito uno yogi, altri hanno immaginato e percepito

un genio nascosto o un sociopatico e perfino uno psicopatico. Queste idee possono aver creato

nella gente un certo tipo di timore reverenziale e di aspettativa o una combinazione di

attrazione, cautela o perfino paura.

L’AUTISTICO IN SITUAZIONE DI EVITAMENTO

Dov’era utilizzata l’immagine di "evitamento", l’impressione data dall’autistico era quella di

persona spaventata o, in qualche modo simile a una vittima. Ciò può aver fatto emergere nella

gente sentimenti protettivi, ma anche il giudizio sociale su coloro che erano visti come

provocatori di queste situazioni, o non disposti ad aiutare.

In genere si lasciò cadere l’accusa, verbalizzata o meno, sui genitori, col presupposto che, se

fossero stati abbastanza gentili, abbastanza buoni e se ne fossero curati abbastanza (come

qualcuno talvolta immagino che avrebbe potuto fare egli stesso), il figlio autistico non li

avrebbe evitati. Quest’impressione mise le persone con autismo in una categoria simile a

quella dei bambini su cui è stata usata violenza. Alimentò l’idea che questi genitori dovessero

essere rimproverati o disprezzati, che si dovessero portar loro via i figli o che dovessero farsi

consigliare per imparare come relazionarsi con loro. L’effetto di tutto ciò sull’autostima dei

genitori e sulle loro condizioni mentali ed emotive, dev’essere stato devastante,

particolarmente quando, malgrado anni di tentativi di "migliorare se stessi , non si riscontrava

alcun effetto evidente sull’autismo del figlio. A qualcuno è stato chiesto di guardare indietro nel

tempo per capire che cosa avessero fatto per provocarlo; qualcuno, non trovando niente di

sostanziale, si attaccò ad eventi banali, come una sgridata al bambino perché faceva baccano o

la mamma che aveva avuto un mese faticoso durante la gravidanza; come se questi fatti

avessero in qualche modo avuto un effetto devastante sul figlio, causandogli l’autismo.

Qualche bambino con "evitamento" (e molti "strani") fu sottoposto ad ore, mesi ed anni di

psicoterapia o terapia dell’abbraccio, per far sì che scaricasse la frustrazione e il dolore che i

terapeuti pensavano nutrisse in cuore. Quando una qualsmasi di queste persone autistiche

cominciò ad esprimersi, i terapeuti furono probabilmente portati a presumere che ciò provasse

la correttezza delle ipotesi originali e della terapia. Non si chiesero probabilmente mai se

l’accesso ai materiali dello studio del terapeuta fosse stata la vera chiave di quell’espressività:

se lo studio stesso non fosse soltanto più tranquillo rispetto alle loro case, senza il rimbombo

della TV o la distrazione causata dal bla-bla sociale nel sottofondo, se il progresso si potesse

ricondurre a qualcosa di così semplice come il fatto che lo studio non aveva luci fluorescenti o

perfino se la persona autistica, come accade a qualcuno, non avesse superato da solo le sue

difficoltà di sviluppo. Un film che sembra rafforzare questa poco felice idea di autismo è una

recente pellicola americana intitolata "Back Street Dreams" (Sogni delle strade secondarie).

DAGLI STEREOTIPI AI "FATTI"

Nelle mani dei "media" le idee divennero stereotipi e questi cominciarono ad essere

considerati fatti.

Idea diffusa era che le persone affette da autismno sembrassero esprimere raramente

empatia verso gli altri o dolore, in uno qualsiasi dei modi che ci si aspetta dalle persone non

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autistiche. Non ci si chiedeva mai se alla persona autistica, l’ignoranza mostrata dai non-

autistici facesse apparire privi di empatia questi ultimi. Furono pubblicati articoli, citati in tutto

il mondo: non affermavano che molte persone autistiche sembrano mancare di empatia verso

gli altri, nel modo che ci si aspetta dai non-autisticj (o nel modo meritato), ma invece, molto

meno prudentemente affermavano che "gli autistici mancano di empatia".

Un’altra sensazione era che gli affetti da autismo sembrassero raramente esprimere

emozione o dolore come ci si attende dai "normali". Ciò fu tradotto in "gli autistici sono "privi di

emozioni" o "mancano del senso del dolore".

Gli autistici sembravano inoltre capire raramente gli scherzi dei non-autistici o lo scherzare

in qualsiasi modo; ma l’umorismo che ci si aspettava condividessero era spesso diretto contro

di loro. La generalizzazione divenne: "gli autistici sono privi del senso dell’umorismo".

Si osservò che gli stessi sembravano raramente evidenziare interesse o curiosità in ciò che li

circondava e si affermò che mancavano di immaginazione.

Gli autistici sembravano muoversi o comportarsi in modo diverso in risposta a ciò che li

circondava; in modo molto diverso da quello in cui si muove e comporta una persona non-

autistica. Anziché riconoscere che questi potevano essere semplicemente "modi diversi" di

muoversi e comportarsi, la gente presuppose che fossero incomprensibili e quindi

indiscutibilmente "bizzarri", il che divenne: "gli autistici si impegnano in movimenti e

comportamenti strani".

Si osservò che persone affette da autismo sembravano non interpretare molte cose nel

modo convenzionale; non si capì, in genere, che qualche persona autistica può avere un tipo di

elaborazione delle informazioni enormemente diverso da quello dei non-autistici e che questo

tipo diverso di elaborazione può render difficile capire un’informazione presentata in modo

"normale", non-autistico. Senza esser messa in discussione, l’osservazione divenne un "fatto" e

si disse: "gli atmtistici hanno un certo grado di ritardo memutale".

Ora, l’osservare questi sintomi avrebbe potuto essere abbastanza innocuo se la gente non

avesse smesso di considerarla una osservazione di sintomi, cominciando a scambiare sintomi

per fatti. Invece di osservare le tante persone che sembravano davvero capire gli scherzi, o

mostrare curiosità o esprimersi emotivamente o evidenziare una intelligenza normale, queste

stesse persone furono considerate "eccezioni" alla regola, mentre soltanto quelli che si

identificavano con i sintomi descritti, erano considerati veri autistici. Comunque, ciò può non

aver isolato un sottogruppo tra la popolazione autistica, ma può averne creato uno.

Questi atteggiamenti non furono soltanto ingiusti verso chi non rientrava negli stereotipi, ma

anche verso coloro che sembravano realmente evidenziare quel problema. Pur se inespressi,

molti autistici provavano empatia, emozioni, un senso di dolore, di umorismo, immaginazione

(e interesse e curiosità). I loro comportamenti, per gli altri "bizzarri", non soltanto avevano per

loro un significato. ma in qualche caso erano, in realtà, adattamenti che avevano scoperto per

aiutare se stessi e creare connessioni, calmarsi e conservare il controllo meglio di quanto non

avrebbero potuto fare in altro modo.

Questi stereotipi dei "media" ebbero un certo numero di ripercussioni. Per esempio, molte

persone che non vi si adattavano, quando contattavano medici generici, assistenti sociali,

insegnanti o terapeuti per una diagnosi, erano respinte sulla base del concetto che "non era

possibile che fossero autistici".

Ho avuto informazioni da molte persone che affrontano le proprie difficoltà con l’interazione

e la comunicazione sociale ed hanno invece problemi sensoriali, percettivi, Attentivi, ossessivi,

coercitivi o fobici, che li costringono ad assumere comportamenti autistici: venne loro negata

assistenza perché non potevano essere considerati autistici non rientrando negli stereotipi. Una

signora, che aveva un figlio autistico e la cui madre sembrava aver avuto la sindrome di

Asperger, sindrome ad alta funzionalità collegata all’autismo, si presentò ad un professionista

per avere una diagnosi per se stessa, per le difficoltà che aveva in comune col figlio e la

madre. Fu mandata via perché aveva pianto durante il consulto e si pensava quindi che la sua

emotività fosse troppo alta per essere una persona autistica. Altri sono stati mandati via

perché in possesso di una più ampia gamma di interessi e di conoscenze di quanto non

descrivano gli stereotipi, o perché, come molte persone con diagnosi di sindrome di Asperger,

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si lamentavano di possedere un’immaginazione troppo attiva che li distraeva continuamente.

Vale la pena di chiedersi se sia proprio qui, dove queste persone sono state respinte, che gli

stereotipi divennero profezie auto-soddisfacenti.

Altra ripercussione degli stereotipi è che sono proprio coloro che vi rientrano, che più spesso

ricevono aiuto continuo, nel ruolo di clienti/pazienti; ci sono altre persone con autismo che

sono troppo arrendevoli, troppo servizievoli, troppo alla ricerca di essere accettati, ma sono

egualmente a rischio ed hanno altrettanto bisogno di aiuto.

Chi è considerato mancante di empatia, di senso dell’umorismo, di emozione o

immaginazione, difficilmente è invitato a parlare alle conferenze internazionalii sull’autismo o

durante interviste in TV. Di conseguenza, professionisti e genitori sono i referenti per le

persone autistiche e il mondo non sente parlare di eccezioni, tranne come "eccezioni" e gli

stereotipi (e i posti di lavoro e le organizzazioni su di questi appoggiati) permangono

indisturbati e immobili.

Un’altra conseguenza della forza degli stereotipi è che la gente non si aspetta che le persone

autistiche se ne discostino. Per le persone che "provano sensazioni, e sono dotate di empatia,

umorismo, emozioni, comprensione e immaginazione, ma sono gravemente inibite, bloccate o

scollegate nell’esprimere o evidenziare tutto ciò, queste cose possono significare molto.

Qualcuno sfugge, non provando, come altrimenti avrebbe potuto, a combattere o a trovare

strategie per aggirare ciò che lo blocca o lo inibisce nell’esprimere l’empatia, l’umorismo, le

emozioni, la comprensione e l’immaginazione.

Un’altra conseguenza è che qualche persona autistica può seguire più ciò che fate, che ciò

che dite e può pensare che in realtà risponde alle vostre aspettative aderendo a ciò che

percepisce come vostre presunte limitazioni alle sue capacità. Una persona autistica mi scrisse

che non riusciva a mostrare la sua comprensione o a parlare, perché non voleva dare una forte

emozione ai genitori (ai quali era stato detto che egli era affetto da grave ritardo mentale ed

era stata riferita la sua " incapacità a parlare").

Questi stereotipi possono anche avere particolari ripercussioni sui cosiddetti autistici "ad alta

funzionalità", che hanno paura di riconoscere di non rientrarvi. Qualche "autistico" con cui sono

stata di tanto in tanto in corrispondenza, era riluttante ad ammettere di avere immaginazione,

o perché possedendola pensava di poter essere considerato "non veramente autistico" o

perché presumeva che l’avere pensieri creativi o fantastici, o immagini mentali

(immaginazione), fosse "strano" e che "nessun altro avesse niente di simile".

C’è l’idea che tali soggetti stiano soltanto dimostrando una mancanza di conoscenza

dell’esistenza di altri intelletti, il che può esser vero e può anche essere il motivo per cui

persone, perfino con un eccesso di immaginazione, non sono motivate a esprimerla, (perché

nessun altro ha qualcosa di simile). Può comunque essere anche vero che alcuni "autistici"

abbiano immaginazione, ma non sappiano come la parola "immaginazione" possa riferirsi a ciò

che essi possiedono.

La parola "autismo" può dividersi in due parti: la prima, "aut" viene dal greco "autos" e

significa "se stesso": la seconda, suffisso latino "ism", indica uno stato od una qualità.

La traduzione letterale di "autismo" è quindi "stato di chiusura in se stesso" o

"egocentrismo".

Forse questa parola nacque per descrivere l’apparente rigetto o distacco dagli altri, che era

alla base degli stereotipi dell’autismo.

Il presupposto che coloro che sembravano concentrati su se stessi fossero in realtà in uno

stato di isolamento, sembra assoluto. Le persone possono essere intensamente focalizzate

sulle parti del proprio corpo o le loro sensazioni o le funzioinalità, proprio perché le

percepiscono come estranee, incomprensibili, sempre nuove e "diverse" e non sono

generalmente consapevoli del fatto che queste cose appartengono a loro. Da adolescente, nel

primo anno della scuola secondaria, ho passato molti dei miei intervalli per il pranzo cercando

di liberare una mano da un braccio, senza percepire che entrambi erano parte del mio corpo.

Avevo passato l’infanzia cercando di fuggire da quel corpo, accettando infine l’idea che quella

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cosa dannata non avrebbe mai smesso di rendermi conscia del suo avvinghiante attaccamento

a me.

Ho trascorso la maggior parte della vita con un guazzabuglio di suoni che mi attraversavano

il cervello e che erano il rigurgito dei suoni del mondo che mi circondava, privato di quasi tutto

ciò che io stessa avevo prodotto.

Ho speso la maggior parte della mia vita cercando di far fronte a ciò che il mondo attorno a

me mi scagliava contro, con poco o nessun tempo di elaborazione per concedermi il lusso di

qualche pensiero consapevole su quel mondo. Se mai, il mio "autismo". come quello di molti

altri come me, era spesso un esempio non di una specie di egocentrismo, ma di altruismo nel

quale ogni e qualsiasi senso conscio. congiunto o coerente di individualità, non riesce affatto

facile.

Anche se questo gioco di parole può sembrare un mucchio di sciocchezze non pertinenti, ha

invece un suo significato in quanto, fin dall’inizio, quando qualcuno trovò il termine "autismo",

la condizione è stata giudicata dall’esterno, dalle apparenze e non dall’interno, in base a come

essa viene sperimentata; come abbiamo visto, ciò ha gravi conseguenze sul modo in cui si

cerca di affrontarla e sul successo o la mancanza di successo.

Si sono i immaginate ogni sorta di cose su come il corpo si ammali; ci fu un tempo in cui si

pensò che il lavarsi facesse ammalare la gente e così, invece di usare l’acqua, ci si cosparse di

polveri o di essenze di frutta o di altre cose profumate, che abbassavano il livello del cattivo

odore e lo coprivano.

Ci fu un tempo in cui si pensò che i problemi fisici delle donne fossero dovuti alla loro ricerca

di conoscenze intellettuali.

La soluzione consisté nel fatto che le donne non dovessero cercare un’educazione formale; i

loro problemi, ivi compresa la ricerca dello sviluppo intellettivo, venivano percepiti come

conseguenza di difficoltà provenienti dall’utero. In molti casi la cura prevedeva l’uso di

sanguisughe sul corpo, (pensando che eliminassero il "sangue cattivo". Stranamente, qualche

volta funzionava (se non le faceva morire). Penso che se qualcuno avesse cercato di applicarmi

delle sanguisughe, avrei velocemente imparato a smettere di evidenziare ciò per cui venivo

"curata".

Il fatto è che, appena la gente capisce meglio come funzionano le cose, si ottengono in

genere i progressi. Per qualcuno, un’etichetta ha il potere dell’indiscutibilità: per altri è valida

per quanto è utile. Le etichette sono fondamentalmente risposte alla domanda "che cosa?".

Se guardate una massa rossastra, rettangolare, solida, incastrata tra altre masse solide,

rettangolari e rossastre che assieme formano una grande superficie piatta, non vi serve a

molto sapere che ciò che state guardando è un mattone. La parola "mattone" vi dice che cos’è,

ma il "che cosa" non vi dice gran che davvero.

Quando le persone chiedono "che cosa significa", allora quell’etichetta tende in genere a

considerarne la descrizione (i sintomi). Guardano le apparenze, anziché considerare le cose

dalle proprie esperienze. La descrizione di qualcosa vi dice una quantità di altri "che cosa" ma

niente che abbia un gran significato. Qualcuno ottiene una diagnosi e gli viene data

un’etichetta. Se chiede di più, ottiene descrizioni di sintomi in accordo con l’etichetta. Per

molti, ciò non porta da nessuna parte.

Il "che cosa" può identificare ciò per cui non avevate un nome, ma non vi dice niente che

non steste già sperimentando. Non vi dice di che cosa sia fatto il "che cosa". Non vi dice che

cosa abbia provocato ciò di cui il "che cosa" è fatto; non vi dice che cosa farne, Non vi dà

nemmeno, in realtà, una qualsiasi idea sul dove andare o a chi chiedere informazioni. Avere la

definizione del "che cosa" può darvi una piccola informazione ma non vi dà alcun potere.

Penso stia qui il perché le persone non si accontentano di un’etichetta: prima o dopo

"sentono" di non avere niente. Possono sapere che cosa cercano oppure no; se lo sanno è

probabilmente qualche risposta ai "perché".

Le cause sono risposte ai "perché", ma il "perché" potrebbe offuscare la vostra mente se

trovaste le cause ma non sapeste che cosa farne. Il che cosa fare delle cause è il "come".

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Il che cosa, il perché, e il come, sono tutte parti della matematica della vita e da lì potete

scoprire "dove" andare e "chi" cercare senza rincorrere tanto la vostra coda come avete fatto

prima. Non serve cercare di cominciare da metà o dalla fine di un’equazione: la vita è piena di

binari di raccordo, ma potete arrivare a destinazione più in fretta e più facilmente con una

mappa. I binari giusti sono rappresentati dall’essere al posto giusto, con la persona (o la cosa )

giusta, al momento giusto.

Il problema è come distinguere il giusto dallo sbagliato e sapere che si tratta di evitare gli

annunci, gli sbandieratori, gli escursionisti solitari e di limitarsi a leggere i segnali lungo la via.

"Che cosa?", "come?", "perché’?" (chi? o quale? o quando? o dove?) possono essere non solo

tipi diversi di domande, ma diversi livelli di interrogativi. Ecco un esempio per spiegare meglio

tutto ciò: la situazione è: "Il cane che non voleva muoversi.

Il che cosa (la situazione): l’incapacità del cane di muoversi

Il come (i sintomi): il cane sembra incapace di muoversi da un posto all’altro

Il perché (la causa):

• il cane è incollato al pavimento

• il cane è morto

• il cane è di legno

• il cane è addormentato

(il quando, dove, chi, o soluzioni):

• togliere la colla al cane

• seppellire il cane morto e prenderne uno che si muova

• mettere delle ruote al cane di legno)

• aspettare che il cane si svegli

Osservando l’esempio potete vedere che il focalizzarsi solo sulla situazione non aiuta affatto

a cambiarla. Il focalizzarsi sui sintomi non trova soluzioni. Se vi fermaste alle cause non

sapreste come affrontare la situazione. Affrontarla significa guardare al di là delle etichette, dei

sintomi e delle cause, ma qualsiasi viaggio per scoprire soluzioni reali deve passare attraverso

tutte queste cose.

SINDROME DI ASPERGER?

Una giovane donna con Sindrome di Asperger, mi fu presentata con queste parole: <La

signora ha la sindrome di Asperger, proprio come te>.

Sembrò sollevata per le mie capacità: fino a quel giorno non aveva mai incontrato una

persona con quella sindrome e, come i suoi genitori, si faceva un dovere di puntualizzare che

era una persona molto capace e non-autistica. Per questo tipo di persone e per la stessa

giovane donna, essere autistica significava non essere competente, essere ritardata e

fondamentalmente non avere un gran diritto a sognare un futuro abbastanza pieno e un posto

paritario tra i non—autistici.

Non era la prima volta che sentivo questa "ripugnanza", questo psicologico camminare

furtivo che ricadeva in qualche zona tra paura, pregiudizio, ignoranza e sussiego. L’avevo

sentita molte volte, in termini diversi: genitori che chiedevano di non accennare all’autismo in

presenza del figlio adulto e capace, perché non gli era mai stato detto niente: genitori che

sottolineavano al figlio/a che era più capace di me perché aveva la Sindrome di Asperger e non

l’autismo; genitori che si inorgoglivano per quanto "normale" appariva il figlio.

Io ero lì, con questa giovane donna con grandi occhi interessati e un volto sorridente. Non le

dissi che i genitori sbagliavano. Non le dissi che avevo chiesto alla persona che aveva fatto la

mia diagnosi, un uomo con trent’anni di esperienza con persone autistiche e con Sindrome di

Asperger, se fossi affetta da quest’ultima. Non le dissi che mi aveva risposto, molto

chiaramente, che, secondo lui, non avevo la Sindrome di Asperger. ma ero autistica.

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Tra alcuni autistici, cosiddetti "high Functioning", le persone high Functioning con Sindrome

di Asperger, sono considerate "simili a sé", perché se la maggior parte delle persone con

Sindrome di Asperger sono high Functioning, pochi veri autistici lo sono. Ciò significa che la

maggior parte della popolazione "autistica high Functioning" o non è cresciuta in mezzo alle

persone cosiddette "low Functioning", oppure vede se stessa condividere più capacità e

"interessi" con persone con sindrome diversa e pari livello di funzionamento che con persone

che condividono la loro etichetta.

Parimenti, molti Asperger funzionalmente capaci, non si trovano troppo diversi dalle persone

autistiche "high functioning ". Da quando ho scritto la mia autobiografia, ho ricevuto

un’enorme quantità di lettere di persone con Sindrome di Asperger che hanno scritto per dirmi:

"sono proprio come te!". Qual è allora, dal mio punto di vista, la differenza tra me e qualche

Asperger?

SINDROME DI ASPERGER CONTRO AUTISMO

Mio marito Paul è così simile nei suoi sistemi di funzionamento a tante altre persone con

Sindrome di Asperger funzionalmente abili che, pur non avendo una diagnosi, lo considero tale.

Penso anche che sia, come molti altri Asperger, simile a me. Eppure, dopo aver vissuto con lui

per quasi tre anni, sono arrivata a scoprire che, pur condividendo molti sistemi di

funzionamento, ci sono fra noi differenze fondamentali; differenze che divido con persone

autistiche.

Anche se non sono qualificata per discutere la differenza tra autismo e Sindrome di

Asperger, sono in grado di discutere la differenza tra i sistemi di funzionamento di quelli come

me e quelli di qualcuno come Paul.

LE SOMIGLIANZE

Per cominciare con le somiglianze, Paul, come me, ha la Candida Albicans, un’infezione da

lievito che io e lui abbiamo probabilmente avuto fin dall’infanzia. Entrambi abbiamo problemi

correlati alla tossicità, alle allergie da cibi e sostanze chimiche, a deficit di vitamine/minerali e

a ipoglicemia reattiva, ciascuno dei quali influenza il rifornimento di ossigeno e di altre

sostanze nutritive del cervello e sono queste sostanze che assicurano un’efficiente

elaborazione, accesso e monitoraggio delle informazioni.

Paul ed io condividiamo anche problemi di attenzione, simili a quelli di chi ha un deficit

attentivo. Abbiamo anche entrambi una situazione visuo-percettiva chiamata Sindrome della

Sensibilità Scotopica (un po’ come la Dislessia), che riguarda la nostra capacità di elaborare

l’informazione visiva e abbiamo problemi simili su altri canali sensoriali. Il livello di queste

difficoltà è, però, superiore in me che in Paul.

I problemi di attenzione sono stati notevolmente migliorati dall’approccio alimentare, così

come dalle speciali lenti Irlen (lenti colorate), che diminuiscono la quantità delle informazioni

visive in arrivo, permettendo un’elaborazione più completa, che le rende quindi più

significative, significanti e coerenti. La loro capacità di migliorare il funzionamento sembra più

alta per me che per Paul, con cui invece condivido sovraccarico di informazioni, ipersensibilità

sensoriale ed emotiva e tendenze ossessivo-compulsive ad essi correlate. Entrambi

funzioniamo, essenzialmente, con modalità mono anziché a molti canali e facciamo

affidamento su definizioni immagazzinate e memoria seriale.

LE DIFFERENZE

Benché entrambi assorbiamo troppe informazioni senza filtrarle in modo corretto per la

pertinenza, l’efficienza con cui elaboriamo quelle informazioni è diversa per ciascuno di noi. Fra

i due, la mia elaborazione delle informazioni in arrivo è, in genere, meno efficiente: dei due,

sono la più conforme alla realtà e, in genere, mi sforzo di raggiungere una completa

interpretazione realistica dell’informazione limitando così la mia capacità di elaborazione per

cose come il significato relativo e personale. Ciò significa che ogni cosa viene da me elaborata

alla stessa stregua, tutto o niente. Significa anche che non prendo le cose da un punto di vista

molto personale e tendo a rispondere in modo più obiettivo, staccato e logico.

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Paul, d’altra parte, come molti con Sindrome di Asperger, elabora parimenti informazioni

rilevanti e irrilevanti ma, come molti altri simili a lui, il suo modo di elaborare è più efficiente

ed elabora le informazioni al di là del loro livello letterale. Ciò vuol dire che fa un numero

maggiore di connessioni tra ciò che ha sperimentato e altre cose ed anche che possiede un

maggior senso del significato relativo e della significatività personale di ciò che sperimenta.

Quindi, in genere, risponde in modo più soggettivo, più personalmente coinvolto e meno

staccato o puramente logico di me. Vuol anche dire che il sé di Paul (forma socialmente

costruita dell’io) è più completamente sviluppato di quanto non sembri il mio; usa di più cose

come orgoglio e solennità. Il suo bisogno di accettazione nasce dal bisogno di essere valutato,

mentre il mio ha origine dal sapere che l’accettazione significa in genere che la gente diventa

più prevedibile e meno in grado di provocarmi o ferirmi

Parimenti, l’accesso di Paul a informazioni immagazzinate e il monitoraggio dell’espressività.

sono anch’essi più efficienti e, pur se soffre di ansia, la sua è di natura diversa e non soffre,

come me, di ansia da esposizione. Ciò significa che, pur se può agitarsi molto, egli trova i

mezzi per esprimere le cose o per ottenere o per farle più facilmente di me e può anche

restare su un percorso previsto con meno difficoltà. Ciò significa anche che non deve fare tanto

assegnamento sui rituali, come mezzo per tenersi occupato in assenza di una elaborazione e

monitoraggio efficienti; così, le sue attività sono in genere più varie e spontanee delle mie e

sembra meno egocentrico e più compiacente.

Il cervello di Paul attiva meno tentativi istintivi e involontari di compensare per problemi di

connessione, tolleranza e controllo. Ciò significa che non è portato ad abbandonarsi

compulsivamente a comportamenti di tipo più chiaramente autistico come io mi scopro fare. Al

posto di ciò, Paul ripone più fiducia su informazioni immagazzinate e strategie volontarie di

compensazione di quanto non faccia io. Il risultato di queste differenze è che Paul sembra

avere un maggior autocontrollo e comportarsi in modo più continuativo e completo entro i

confini di modi di agire e risposte socialmente comprensibili e accettabili. Anche se questi

comportamenti possono sembrare formali, immagazzinati o pomposi e, quindi, socialmente

inappropriati, in particolari momenti o luoghi sono in genere ancora facilmente comprensibili

alla maggior parte delle persone e, quindi, meno disturbanti o sconcertanti. Se io dovessi

essere formale o pomposa, dovrebbe essere conseguenza dell’effetto soffocante dell’ansia da

esposizione sull’espressività. La stessa pomposa formalità, in Paul, sarebbe più probabilmente

conseguenza della mancanza di istinto sociale malgrado il desiderio di socializzare con gli altri.

Malgrado Paul abbia più fiducia nelle informazioni immagazzinate, ne ha meno di me nelle

regole. Ciò vuol dire che sembra aver maggiore flessibilità. Poiché la sua capacità di accedere

alle conoscenze che già possiede è più efficiente od egli è maggiormente in grado di accedervi

volontariamente, generalmente usa il suo vocabolario e le frasi immagazzinate più

flessibilmente e in modo più coerente e più appropriato alla situazione.

D’altra parte, Paul è in genere meno autocosciente di me, probabilmente perché è meno

egocentrico (molto diverso da egoistico) di me. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che, in

assenza di una capacità di elaborare efficientemente le informazioni in arrivo, le mie energie

sono indirizzate ad elaborare informazioni generate interiormente e le sue no. Posso non aver

saputo, consapevolmente, ciò che sentivo, ma sapevo che c’era una sensazione. Paul invece,

essendo in grado di elaborare le informazioni in arrivo, in modo più efficiente, non sviluppò la

capacità di elaborare efficientemente le sensazioni interiori. Il risultato è che, pur potendo dare

un nome più esatto ai messaggi del corpo e alle emozioni, io sono più consapevole di lui di

quando provo queste sensazioni, anche se non so nominarle o dire da dove arrivino.

E anche probabile che, dato che Paul è emotivamente ipersensibile, non abbia sofferto, come

me, di ansia da esposizione, acuta e paralizzante. E un’esperienza che soffooca e intrappola.

Se si può lottare per la consapevolezza, in questa condizione, si è in genere battuti per un

tempo lunghissimo, prima che si sviluppi un qualsiasi controllo sulla capacità di lottare per la

sua espressione, ad un livello in cui si possa affrontare il forte impulso a deviare, evitare e

rifiutare l’espressività, abbastanza da permetterle di passare in modo continuativo e reale. Ciò,

più di ogni altra cosa, forza un’intensa autoconsapevolezza, anche se solo a livello inconscio,

ma attivabile.

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Paul è in genere, più continuativamente consapevole degli altri, anche se spesso in modo

difensivo. Tale consapevolezza è dovuta al fatto che è meno egocentrico di me perché è stato

più in grado di elaborare informazioni in arrivo e, quindi, meno localizzato su informazioni

prodotte interiormente. Ciò significa anche che ha un senso fortemente sviluppato di curiosità

reale e la capacità di chiedere informazioni al di là dell‘abbandonarsi alla pura sensorialità. Io,

in genere, no. Mentre ho una più forte pulsione verso l’abbandono sensoriale, che talvolta

sembra curiosità, Paul realmente pensa in modo conscio alle cose che sperimenta

sensorialmente: va al di là delle stesse esperienze. Le sue domande, inoltre, sono in genere sul

mondo che lo circonda; le mie sono generalmente tese a chiarire qualcosa correlato alla mia

stessa autocomprensione. Una volta esaurita questa, in genere non ho altre domande (questo

è egocentrismo).

Per entrambi, i nostri diversi problemi sono socialmente limitanti. La conversazione con me

ha in genere un punto di partenza e di arrivo di confronto con me stessa: con Paul, in genere,

comincia e finisce con ciò che è fuori di lui. Se gli si chiede come qualcosa di ciò si rifletta sulla

sua autocomprensione o le sue emozioni, in genere si agita e può solo appoggiarsi su risposte

immagazzinate o su quello che "una persona dovrebbe pensare o sentire su ciò".

Malgrado le nostre diversità, ancora sentiamo di capire il modo in cui l’altro trova il senso

delle cose, più di quanto non accada con persone non autistiche.

Abbiamo problemi di fondo essenzialmente simili, ma il livello di difficoltà di elaborazione,

accesso e monitoraggio di ciascuno di noi, ha creato uno sviluppo sociale, un’espressività, un

uso del pensiero, una risposta alle sensazioni e un livello generale di funzionamento molto

diversi.

So fossimo automobili, nessuno di noi sarebbe completo.

Paul non avrebbe lo sterzo; io non avrei le ruote. Paul beneficia della convivenza con me che

ho lo sterzo; io, del vivere con Paul che ha le ruote.

La maggior parte delle persone autistiche o con Sindrome di Asperger, ad alta funzionalità,

può dire "chi ha che cosa", e gravitiamo nella direzione di coloro che più di altri condividono il

nostro sistema, purché il livello di funzionamento s ia simile.

I professionisti, d’altra parte, spesso si imbattono in una persona autistica funzionalmente

valida ed erroneamente presumono (talvolta perfino insistono), che quella persona non sia

autistico, ma abbia la Sindrome di Asperger.

Questo modo di pensare rinforza ingiustamente gli attuali stereotipi e le prognosi delle due

condizioni: che la popolazione con Sindrome di Asperger abbia un’intelligenza normale o

superiore e la popolazione autistica no: che gli Asperger possano in genere arrivare a vivere

una vita indipendente e gli autistici no. Ciò che ho visto, però, è il verificarsi di qualcosa di

simile tra persone meno funzionalmente capaci.

Ci sono persone con Sindrome di Asperger, a bassa funzionalità e prive di linguaggio,

etichettate come autistiche. ma che, spesso in modo del tutto diverso dalle controparti

autistiche, hanno un linguaggio recettivo eccellente, possono avvicinare altri in confronto

diretto (cioè prendere per mano e allontanare qualcuno da una stanza e fargli prendere

qualcosa) e hanno solo problemi senso—percettivi minimi (evidenziando molti meno

comportamenti autistici ‘‘bizzarri’’, che possono provenire da ansia da esposizione,

ipersensibilità sensoriale e problemi percettivi).

Per contro, bambini autistici con lo stesso basso livello di funzionalità, hanno un linguaggio

ricettivo notevolmente scarso, sia visivamente che uditivamente; hanno problemi di

connessione col senso corporeo e la percezione del corpo e spesso non possono sopportare

l’esposizione data dall’iniziare un’azione diretta e personale con un’altra persona, finendo

talvolta per negare il desiderio o il bisogno provato e impegnandosi invece in sensazioni o

azioni per desintonizzarsi con la consapevolezza.

Pur se entrambi possono avere scarse capacità di linguaggio, una può non parlare per la

mancanza di capacità sociali istintive, malgrado la capacità (più a molti canali) delle abilità e la

mancanza di desiderio, o bisogno, di usare il linguaggio.

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L’altro può non usarlo, malgrado la notevole capacità sociale istintiva, perché i vari sistemi

non sono attivati oppure l’ansia da esposizione o l’ipersensibilità sensoriale rendono impossibile

o scomodo sia usare il linguaggio, sia incoraggiare gli altri a farlo. In altre parole, uno può

essere un caso di mancanza di istinto sociale, malgrado la capacità, l’altro può essere un caso

di incapacità o estrema difficoltà nello sviluppo o nell’uso di abilità sociali, malgrado il notevole

istinto sociale. Quando i professionisti vedono la differenza in termini di alto e basso

funzionamento, possono non riuscire a cogliere i diversi tipi di aiuto che questi gruppi

richiedono e il fatto che un Asperger a bassa funzionalità possa avere un’errata diagnosi di

"autismo", dice qualcosa per la speranza di molti, diagnosticati "autistici", con prognosi senza

speranza.

1166)) AAUUTTIISSMMOO QQUUEEII PPRRIIGGIIOONNIIEERRII DDII SSEE SSTTEESSSSII

AUTISMO: È LEGATO ALLA CARENZA DI UN ENZIMA?

A quasi dieci anni dai successo di "Rain Man" che è valso l’Oscar a Dustin Hoffman nel ruolo

di un autistico, Hollywood sta per fare il bis con "The Newports". Diretto da Steven Spielberg e

interpretato da Robin Williams, il nuovo film racconterà la storia vera di un amore fra due

persone affette da autismo. li cinema ha provato spesso a descrivere il misterioso mondo di

questa malattia, fino al recente "Nell" con Jodie Foster. Così pure la letteratura, da William

Faulkner a Pearl 5. Buck, da Philip K. Dick a Stephen King, ha presentato personaggi dai tratti

autistici anche prima che il medico Leo Kanner, nel 1943, tentasse una prima descrizione

scientifica della sindrome.

L’autismo è tuttora una sfida per i ricercatori, un "puzzle" di cui sono noti solo alcuni tasselli.

Se ne conoscono soprattutto le manifestazioni esteriori, un po’ come se per fare un esempio,

volendo descrivere la cecità si potesse soltanto dire che chi ne è colpito urta frequentemente

gli oggetti sul suo percorso oppure che non dirige lo sguardo verso chi gli si para davanti.

Persino il nome "autismo" è in qualche modo improprio perché mutuato dal gergo della

psicologia, dove è impiegato per descrivere, negli adulti, comportamenti di fuga dalla realtà!

Cinquant’anni di studi dimostrano che è vero piuttosto il contrario: l’autistico è prigioniero

dentro se stesso e, pare, per cause che nulla hanno a che fare con il desiderio inconscio di

evitare il mondo esterno.

Secondo il Dsm-lV (Diagnostic and Statistic Manual of Mental Disorders) dell’Organizzazione

mondiale della sanità l’autismo è un disturbo dello sviluppo che compare entro i primi tre anni

di vita, colpisce prevalentemente il sesso maschile e ha un’incidenza maggiore della sindrome

di Down 15 casi ogni 10 mila. Non è mai stato dimostrato alcun nesso fra autismo e etnie di

provenienza, ceti sociali, culture e neppure comportamenti negativi dei genitori, sebbene su

quest’ultimo punto sia basata la teoria della cosiddetta "(mamma frigorifero".

li bambino autistico comincia a mostrare i primi sintomi intorno ai 24-30 mesi: il linguaggio

si sviluppa lentamente, le parole sono spesso slegate dal loro significato, la comunicazione è

prevalentemente gestuale, scarsa la capacità di attenzione. Spesso preferisce trascorrere la

maggior parte del tempo da solo, non fa amicizia con i coetanei, evita lo sguardo altrui e non

sorride; risponde in modo anormale agli stimoli sensoriali di vista, udito, tatto, dolore.

A una scarsa attività immaginativa e di astrazione, si accompagna un comportamento

talvolta di iperattività e talvolta di passività totale. Un bambino autistico può essere molto

aggressivo e violento, anche verso se stesso, e ha una notevole tendenza a ripetere gesti e

parole. La descrizione è necessariamente generica: c’è infatti una grande varietà di

combinazioni fra queste manifestazioni e due bambini autistici possono comportarsi in modo

del tutto differente.

I disturbi autistici vengono tuttavia suddivisi in quattro principali categorie sotto la sigla Pdd,

Pervasive developmental disorder (ce ne sono in realtà molte altre e soprattutto una diagnosi

differenziale deve poter escludere le

forme franche di ritardo mentale a sua volta non dirado associato a autismo): l’autismo vero

e proprio, il Pdd-nos (not othetwise specified che si manifesta più tardi), la Sindrome di

Asperger, che a differenza dell’autismo, presenta un linguaggio ben sviluppato, e la Sindrome

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di Rett che colpisce soltanto le femmine. Non esiste una teoria universalmente accettata sulle

cause dell’autismo anche se, almeno su un fatto, gli esperti sembrano concordare: l’autismo

non è una malattia mentale. La ricerca ha preso molte strade, dalla genetica all’immunologia,

dalla neurologia alla biochimica e ciascuna ha ottenuto finora risultati significativi, Indagini con

la tomografia a emissione di positroni (Pet) e con la risonanza magnetica (Rnm) hanno talvolta

evidenziato differenze nella struttura del cervello degli autistici. Una ipotesi che gode oggi di

buon credito, anche grazie al riscontro pratico nella terapia, e quella dell’intolleranza

alimentare, che avrebbe all’origine una carenza enzimatica, in particolare al glutine, sostanza

proteica contenuta nei cereali, e alla caseina del latte e dei latticini. Osservando diete

rigorosissime molti autistici prima violenti e non comunicativi hanno avuto straordinari

miglioramenti.

La microbiologia ha poi dimostrato un legame tra le infezioni da candida, un fungo che vive

normalmente sulle mucose dell’organismo, e autismo: anche in questo caso si sono registrati

successi terapeutici somministrando un buon antimicotico.

Per curare l’autismo, oltre alla sorveglianza alimentare e pochi farmaci, la scienza ha

sviluppato metodi di "rieducazione" comportamentale (fra i più noti il Lovaas e il Teacch) che

perlopiù tentano di rendere autosufficiente il soggetto almeno nelle funzioni essenziali sebbene

si conoscano molti casi di persone autistiche meno gravi che sono in grado di condurre una vita

quasi normale.

A questi si aggiunge l’integrazione sensoriale, esercizi per facilitare la visione (anche per

mezzo di occhiali speciali) e l’udito. Uno dei sistemi oggi al centro dell’attenzione e delle

polemiche è quello della "comunicazione facilitata". Molte celebrità, da Richard Burton a

Sylvester Stallone, hanno avuto figli autistici e si sono impegnati per la causa:

"Sly" ha addirittura creato una fondazione per lo studio e la cura dell’autismo scoprendo di

essere in compagnia di milioni di persone.

In tutto il mondo migliaia sono i centri di ricerca e trattamento e le associazioni di familiari e

volontari. Basta lanciare su Internet la parola "Autism" per vedersi a disposizione oltre 10 mila

pagine. In Italia esiste l‘A.n.g.s.a. Associazione nazionale genitori soggetti autistici sorta nel

1985 e con 16 sedi regionali.

L’autismo è una tragica condizione che inspiegabilmente affascina chi l’avvicina. Chi volesse

saperne di più può leggere di A. Lurija "Viaggio nella mente di un uomo che non dimenticava

nulla’) (Armando Editore) e del celebre Oliver Sacks (quello di "Risvegli"), "Un antropologo su

Marte" (Adelphi).

Ester Cohen

(da La Stampa del 26/2/97)

1177)) CCoossaa ssuucccceeddee aaii bbaammbbiinnii aauuttiissttiiccii ddaa ggrraannddii??

Un convegno scientifico particolare.

Presso l’Università di Pavia, il 6 ottobre, si è tenuto un convegno Internazionale su un tema

di grande importanza, finora, in Italia, molto trascurato: cosa succede ai bambini autistici da

grandi? Quali interventi ? Quali strutture? Quali luoghi di vita?

L’Autismo è una gravissima forma di disabilità, che si manifesta precocemente, ha quasi

sempre cause biologiche e/o genetiche e compromette in modo caratteristico le capacità

comunicative, sociali, di intendere e costruire progressivamente le regole della vita di

relazione, con effetti devastanti. Malgrado la disabilità complessiva, rimangono aree o “zolle” di

competenze, spesso importanti, per esempio spaziali o estetiche o matematiche…

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L’autismo è una delle disabilità più diffuse, più ignorate e più misteriose: la stima è di 30-

60.000 persone in Italia, nella maggior parte dei casi mai diagnosticate. Veri desapareçidos

della assistenza. Sulla natura dell’Autismo, sulle sue diverse cause biologiche, sulle sue

caratteristiche e sui suoi modi di cura le opinioni sono radicalmente e velocemente mutate

negli ultimi anni; anche se, a dispetto delle numerose evidenze scientifiche persistono diffusi

(persino tra i tecnici) e numerosi pregiudizi ed opinioni errate (ad esempio che dipenda da una

cattiva relazione con i genitori). Rigorose ed estese ricerche hanno inoltre dimostrato che

qualunque sia il trattamento ricevuto, solo una piccola parte di bambini autistici (intorno al

5%) superano nel corso della vita la loro disabilità. E non c’è alcuna evidenza di un rapporto

tra tipo di intervento e tipo di esito. In sostanza, l’autismo, dura quasi sempre tutta la vita. Il

problema degli adulti con Autismo diventa dunque urgente ed ineludibile. Anche perché il fatto

che non ci sia alcuna “cura” specifica non significa affatto che non ci sia nulla da fare.

Tutt’altro. Lo sviluppo delle conoscenze ha portato ad un importante affinamento delle

metodologie di intervento abilitativo e riabilitativo. Ma questo per persone che diventano

adulte non basta. Occorre interrogarsi sulle prospettive esistenziali di queste singole persone,

sui contesti più adatti per consentire loro di sviluppare le loro capacità e di esprimere la loro

speciale umanità. Attualmente la maggior parte di loro vegeta in grandi istituti per disabili

cronici.

A tutte queste domande cercherà di dare una prima risposta il convegno di Pavia del 6

ottobre che si avvarrà del contributo di alcuni importanti esperti nazionali ed internazionali.

A Pavia sta per essere varata un’esperienza pilota per l’Italia, nata dalla collaborazione tra

l’Università ed una Fondazione di Genitori, La Fondazione Genitori per l’Autismo: si tratta del

progetto Cascina Rossago, comunità agricolo-riabilitativa, organizzata sul modello di analoghe

esperienze estere che hanno dato ottimi risultati sia in termini di qualità di vita che di

possibilità di integrazione sociale. J.Giddan, professore si Psichiatria dell’Università dell’Ohio,

che insieme al marito Norman Giddan, anch’egli psichiatra, ha dato vita negli U.S.A. ad una

delle più importanti esperienze del genere, farà il punto sulla situazione attuale di questo tipo

di iniziative nel mondo. H. Cordes, fondatore a Brema di una analoga struttura, parlerà

dell’esperienza tedesca. Ci saranno poi alcuni simposi dedicati alla questione dell’uso dei

farmaci, ai modi di trattamento e di comprensione dei comportamenti problematici così

frequenti nell’autismo, alle possibilità di ampliamento della comunicazione, alla qualità di vita

sviluppabile.

Il filo conduttore del congresso sarà come collegare tra loro interventi tecnici, progetto

esistenziale, contesti di vita; collegamento fondamentale soprattutto nel caso di persone che

diventano adulte e si trovano ad affrontare la vita con il loro autismo.

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1188)) IIppootteessii ddii pprroottooccoolllloo mmeeddiiccoo

Contributo del Dottor Maurizio Elia; ( dell’ IRCCS "Oasi Maria SS.", di Troina (EN).

AUTISMO: PROPOSTA DI PROTOCOLLO MEDICO

Non è ovviamente pensabile di proporre un protocollo medico valido per tutti i casi di

autismo. Gli esami strumentali e di laboratorio devono essere richiesti dallo specialista

innanzitutto sulla base delle caratteristiche cliniche presentate dal singolo individuo e del

sospetto diagnostico. Sebbene non esistano a tutt’oggi linee-guida definite riguardo il

protocollo diagnostico nel disturbo autistico, le principali evidenze finora acquisite consentono

di proporre il seguente work-up medico:

Anamnesi e visita generale e neurologica accurate;

Videotapes registrate sia a domicilio, sia durante l’osservazione in ospedale, al fine di

studiare appropriatamente i sintomi comportamentali e di monitorarli nel tempo;

Scale di valutazione (PEP-R, CARS, BSE, ABC, ERC-A, etc.);

Esami citogenetici e genetico-molecolari (cariotipo standard, ad alta risoluzione, FISH, VNTR,

micro-FISH, per lo studio delle anomalie cromosomiche; FMR1, per la ricerca del cromosoma X

fragile; studio delle mutazioni PKU, nella fenilchetonuria; studio della proteina troncata nella

neurofibromatosi tipo 1; etc.);

Esami metabolici (aminoacidogramma, per la ricerca delle aminoacidopatie; dosaggio degli

enzimi lisosomiali,per la ricerca delle malattie lisosomiali; dosaggio biotinidasi, etc.)

Profilo immunologico (ad es. nei casi di candidosi od infezioni ricorrenti);

Studio allergologico (IgE totali, patch test, PRIST, RAST, test di trasformazione linfocitaria,

soprattutto quando la storia e la clinica sono indicative per allergie ad inalanti, alimenti,

farmaci, etc.);

Studio neurofisiologico (elettroencefalogramma in veglia e/o in sonno, particolarmente utile

quando sono presenti crisi epilettiche; potenziali evocati, mismatch negativity, al fine di

studiare alcuni aspetti neurofisiologici che si correlano con la percezione, l’attenzione, etc.);

RMN-encefalo che consente di studiare la morfologia delle diverse strutture del sistema

nervoso centrale e di identificare eventuali alterazioni;

PET (tomografia ad emissione di positroni), utile nello studio "in vivo" del metabolismo

cerebrale; recentemente è stata proposta come esame in grado di rilevare alterazioni

neurochimiche della serotonina nel cervello di bambini con disturbo autistico

AUTISMO: CONDIZIONI MEDICHE ASSOCIATE

A cura del Dottor Maurizio Elia; ( Ricercatore dell’ IRCCS "Oasi Maria SS.", di Troina

(EN).

Prenatali

Fattori di rischio gestazionali

Età materna > 35 anni

Perdite ematiche

V. Patologie collegate all'Autismo

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Esposizione ad ormoni

Gestosi gravidica

Genetiche

Sindrome di Down

Sindrome del cromosoma X fragile

Anomalie cromosomiche di diverso tipo a carico di quasi tutti i cromosomi

(soprattutto cromosoma 7 e 15)

Sindrome di Rett

Infettive

Embriopatia rubeolica (rosolia connatale)

Embriopatia da citomegalovirus

Embriopatia da sifilide

Metaboliche

Fenilchetonuria

Istidinemia

Albinismo oculo-cutaneo

Mucopolisaccaridosi

Aumento della fosforibosilpirofosfato sintetasi

Deficit di adenilsuccinasi

Acidosi lattica

Ipocalcinuria

Disturbo del metabolismo delle purine

Ceroidolipofuscinosi

Deficit di carbossilasi multiple

Deficit di esterasi D

Malformative

Sindrome di Moebius

Sindrome di Cornelia de Lange

Sindrome di Noonan

Sindrome di Bardet-Biedl

Sindrome di Williams

Sindrome di Sotos

Sindrome di Luyan-Fryns

Sindrome di Joubert

Acondroplasia

Sindrome di Leber

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Malformative del sistema nervoso centrale

Polimicrogiria

Macrogiria

Eterotopie

Cisti aracnoidee

Idrocefalo congenito

Porencefalia

Neurocutanee

Sclerosi tuberosa

Neurofibromatosi tipo 1

Ipomelanosi di Ito

Tossiche

Sindrome da benzodiazepine

Sindrome fetale-alcoolica

Sindrome da talidomide (focomelia)

Condizioni perinatali

Presentazione anomala (podalica, etc.)

Anossia

Basso punteggio di Apgar alla nascita

Iperbilirubinemia

Fibroplasia retrolenticolare

Distress respiratorio acuto

Condizioni postnatali

Encefalite da herpes-virus

Meningoencefalite da hemophilus influenzae

Sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS)

Lesioni a carico del lobo temporale

Sindromi epilettiche specifiche (punta-onda continua durante sonno lento); circa il 25% dei

soggetti con disturbo autistico presentano anche crisi epilettiche

AUTISMO: LE ALTERAZIONI VOLUMETRICHE A CARICO DELLE STRUTTURE DEL SISTEMA NERVOSO

CENTRALE

- tronco cerebrale (Hashimoto et al., 1995);

- corpo calloso (Saitoh et al., 1995);

lobuli VI-VII del verme cerebellare (Courchesne et al., 1988; Courchesne et al., 1994;

Kates et al., 1998);

- lobuli VIII-X del verme cerebellare (Levitt et al., 1999)

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lobi parietale, temporale ed occipitale (Piven et al., 1996);

nucleo caudato (Sears et al., 1999); ¯ nucleo caudato (Kates et al., 1998);

- amigdala, ippocampo (Kates et al., 1998);

- sostanza grigia amigdala anteriore, sostanza grigia amigdala posteriore (Abell , 1999)

AUTISMO: LE ALTERAZIONI BIOCHIMICHE

Elevati livelli di serotonina nel sangue sono presenti in circa il 25% dei soggetti con disturbo

autistico e tale alterazione metabolica è familiare (Cook et al., 1990). Questo è l’unico dato

biochimico confermato in numerosi altri studi condotti su individui con autismo.

1199)) IInnttoolllleerraannzzee cchhiimmiicchhee,, iippeerrsseennssiibbiilliittàà ee pprroobblleemmii vvaarrii

Tratto dal libro di Donna Williams : Il mio e il loro autismo – Armando Editore

INTOLLERANZE CHIMICHE

L’intolleranza a certe forme di un amminoacido che esiste in natura e che è chiamato fenolo.

Due di queste forme, acido gallico e malvin ( autocianina ricavata da uva e mirtilli; di-glucosil-

malvidina) sono stati riscontrati in associazione con la dislessia; l’intolleranza all’ acido gallico è

associata anche all’iperattività e ai problemi di attenzione, mentre l’intolleranza al "malvin" è

stata trovata in associazione all’autisimo, all’epilessia e alla sclerosi multipla (Ber, 1985).

Secondo l’articolo del Dr. Ber; l’acido gallico si trova nel 70% circa dei cibi conosciuti e il

"malvin" in circa 35 cibi diversi. I fenoli si trovano anche nel tabacco, nell’alcool e in molte

sostanze non alimentari, compresi i derivati del petrolio, le sostanze plastiche, la gomma e la

carta, rendendo l’evitare queste sostanze da un punto di vista ambientale estremamente

difficile, se non impossibile.

Intolleranza, sensibilizzazione e allergia sono parole usate spesso in modo intercambiabile:

in sostanza, significano che il corpo, per qualche ragione, non può elaborare in modo corretto

certi cibi o certe sostanze chimiche. Studi recenti hanno evidenziato la presenza di proteine nei

campioni di urina di una grossa percentuale di autistici, indicando che il loro corpo è incapace

di digerire o metabolizzare in modo corretto certi alimenti che, digeriti solo parzialmente, non

solo rappresentano sostanze tossiche per il corpo. ma non aiuterebbero il funzionamento

cerebrale. Quando poi molecole di cibo non digerite vengono assorbite dal sangue, possono

agire da produttori di allergie. Chi può pensare che non vi siano segni di intolleranza al cibo o a

sostanze chimiche, dovrà ripensarci, se gli effetti di queste intolleranze possono evidenziarsi

nel funzionamento del cervello. Le allergie cerebrali sono ben documentate in letteratura nel

campo della medicina alternativa e si sa che il cervello dipende dal sistema endocrino, dal

digestivo. dal circolatorio, dal respiratorio e dalle secrezioni per l’approvvigionamento delle

sostanze nutritive e l’eliminazione della tossicità che lo mantengono in funzione al massimo

della sua potenzialità.

La neutralizzazione di sostanze che producono allergie (desensibilizzazione), è talvolta

possibile, ma dovrebbe essere fatta da un medico generico con esperienza in questo ramo

della medicina. Molti professionisti si sono fatta la loro opinione su cibi come il grano o i

latticini, presupponendo un’intolleranza al glutine o al lattosio, quando entrambi sono ricchi di

fenolo, acido gallico e "malvin", collegati alla dislessia e all’autismo (assieme ad altri cibi molto

comuni, come zucchero, cereali, pomodori, soia, pollo, agrumi, cioccolata, caffè, tè o patate).

Certamente molti hanno ottenuto buoni risultati eliminando cibi di forte consumo come i

derivati del latte e/o il frumento, ma il presumere che si tratti di intolleranza al lattosio o al

glutine potrebbe equivalere a costruirsi un muro davanti, proprio quando si è intravista una

luce alla fine del tunnel.

L’intolleranza al cibo è un campo nuovo e molti medici possono offrire aiuto, ma non essere

qualificati, o solo in parte, o non attrezzati per farlo. Poiché l’intolleranza ad acido gallico e

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"malvin", coinvolge un gruppo così ampio di alimenti ed è implicata con dislessia e autismo, un

buon inizio potrebbe essere quello di trovate un medico ben consapevole di queste intolleranze

al fenolo e di come trattarle. Si stanno, inoltre, studiando le cause alla base del fenomeno e

alla fine si potrà arrivare al giorno in cui un passo avanti venga non dalla neutralizzazione, ma

dalla scoperta e dalla cura di organi sottostanti o disfunzioni o squilibri endocrini. Fegato e

pancreas, per esempio, sono responsabili della produzione di enzimi, della digestione ed

escrezione di molecole del cibo, della sintesi di vitamine e minerali, della regolazione del livello

di zucchero nel sangue, della disintossicazione del sangue stesso e dell’eliminazione dal corpo

di amminoacidi in eccesso. L’intolleranza si verifica quando il corpo è continuamente provocato

con una sostanza che non può utilizzare bene o di cui non può liberarsi. Si potrà un giorno

scoprire che l’intolleranza agli amminoacidi, acido gallico e "malvin", implicati nelle condizioni

correlate all’autismo, ha origine da una disfunzione curabile del fegato, del pancreas o del

sistema endocrino in generale. Fino a quel giorno può essere che il trattare i risultati evolutivi

dello sviluppo percettivo, sia il meglio che si possa fare.

PROBLEMI DI TOLLERANZA

Nella mia esperienza i problemi di tolleranza si dividono in due categorie fondamentali:

• ipersensibilità sensoriali:

• ipersensibilità emotive (e/o ansia da esposizione);

Entrambe le situazioni possono verificarsi in molte altre condizioni che non hanno niente a

che fare con l’autismo, ma sono molto spesso confuse con esso. Come la coercizione,

l’ossessione e l’ansia acuta, le ipersensibilità sensoriale ed emotiva possono essere dovute a

stress cronico, che a sua volta può avere una qualsiasi origine.

Problemi psicologici o sociali in atto possono provocare stress cronico estremo così come

problemi psichiatrici o disturbi emotivi. Anche lo stress fisico in atto, come quello causato da

allergie o problemi metabolici, può portare ad uno stress cronico. Solo quando l’ipersensibilità

sensoriale od emotiva si verifica assieme ai problemi di connessione, si può presupporre che la

fonte dello stress cronico sia il sovraccarico di informazioni. E su quest’ultimo caso che mi

voglio qui focalizzare.

IPERSENSIBILITÀ SENSORIALE

Nella mia esperienza personale, l’ipersensililità sensoriale si è instaurata sia

indipendentemente dal sovraccarico di informazioni, sia come sua diretta conseguenza. Nel

primo caso era causata da reazioni allergiche, tossicità e problemi metabolici: nel secondo, il

dolore dell’ ipersensibilità sensoriale sembra essere un meccanismo di avvertimento istintivo

che dovrebbe far scattare un comportamento di evitamento quando è imminente uno stato di

sovraccarico di informazioni.

Il contatto, la luce viva e il suono, possono diventare così intensamente acuti che risulta

naturale evitarli, scatenando flussi di adrenalina nel momento del sovraccarico.

Il problema in me, o in qualcuno come me, è che un’elaborazione efficiente della

significatività di questo dolore sensoriale, non si verifica sempre, né c’è sempre un accesso

efficiente alle connessioni necessarie a proteggermi o a sfuggire un ambiente sensorialmente

penoso. Ciò vuol dire che, benché il cervello possa scatenare istintivamente il rilascio

dell’adrenalina (che dovrebbe avvertirmi del pericolo imminente - sovraccarico — e farmelo

evitare), spesso non approfitto abbastanza di quei messaggi. In risposta alla mancata reazione

e al persistere del sovraccarico, il mio cervello istintivamente aumenta l’intensità dei suoi

avvisi che portano al!’ipersensibilità sensoriale. Quando ciò accade, anziché passare

all’evitamento, talvolta mi lascio catturare dall’intensità dell’esperienza sensoriale, come se

tutto il mondo acquisisse improvvisamente l’atmosfera dei baracconi di una fiera. Per me il

flusso di adrenalina attiva una corsa coercitiva verso gli stimoli sensoriali intensi, come se

cercassi di raggiungere la vetta di ogni picco sensoriale. E’ come una tossicodipendenza;

difficile da combattere. Il risultato, comunque. è che il processo può raggiungere un picco di

intensità dolorosa, in cui l’istinto porta alla fine ad una avversione estrema (anche una risposta

di terrore) verso quello stesso stimolo che mi aveva catturato qualche minuto prima. La

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coercizione all’autopunizione sembra svolgere una funzione simile portando ad una chiusura

istintiva.

Le ipersensibilità sensoriali sotto qualsiasi forma possono rendere difficile concentrarsi, aver

fiducia, prestare attenzione a cose diverse dalla fonte dell’ipersensibilità, entrare a far parte di

un gruppo o rilassarsi. Se il disagio o la disattenzione sono abbastanza profondi, possono

diminuire la capacità di apprendere.

La risposta iniziale in favore di queste persone è rimuovere queste sensazioni, quando la

rimozione non interferisca seriamente con lo sviluppo di interazione, comunicazione o

educazione e aiutarle a spostare il centro dell’attenzione.

Anche le persone in stato costante di stress o disagio sviluppano strategie per aiutarsi a

ristabilire uno stato di calma. Per qualcuno può essere il dondolare, il canticchiare o il

picchiettarsi, per altri può essere il portare qualcosa in giro con sé. Tutto ciò, comunque non

dovrebbe essere considerato come disattenzione almeno fino a quando aiuti realmente le

persone a sentirsi più in grado di farsi coinvolgere e di far parte delle cose. Strategie e oggetti

legati alla sicurezza non sono come quelli costrittivi od ossessivi.

Se il picchiettio o il dondolarsi o il canticchiare autocalmante di qualcuno interferiscono con

la sua libertà di interagire, comunicare o prestare attenzione per l’apprendimento, non penso

che la risposta stia nel rimuovere gli atteggiamenti; suggerirei invece che altre persone

possano sostituirsi all’autistico nella stimolazione.

L’avere un assistente che picchietta o fa dondolare la persona in modo attendibile, continuo,

calmo, non invasivo, impersonale e ritmico, può essere sufficiente perchè qualcuno vi lasci fare

questo importante lavoro di rilassamento al posto suo, restando libero di interagire e

comunicare e apprendere in modo più ampio. Per qualcuno può essere un aiuto se gli si

fornisca costantemente un ritmo, sempre eguale, di sottofondo, come quello di un metronomo.

Chiunque usi questo tipo di aiuto, perchè, deve stare attento alla sottile linea che separa il

rilassamento dall’ipnosi. È giusto aiutare ad abbassare il livello di stress, ma non è giusto farlo

fino allo stadio dell’auto-ipnosi, se ciò significa evitare di sintonizzarsi con tutto l’ambiente

circostante.

Per me, l’ipersensibilità sensoriale è una condizione fluttuante e si basa sul sovraccarico di

informazioni (anche se devo notare che, pur fluttuante, l’ipersensibilità sensoriale può essere

un disturbo cronico, dovuto al problema cronico del sovraccarico. Il sovraccarico di

informazioni è causato dai problemi di connessione e riguarda l’ipersaturazione delle

informazioni; non ha niente a che fare direttamente col livello di stress, né con la personalità o

la capacità di recupero, anche se influenza il livello di stress di una persona e può modellare

l’espressione della personalità.

Per me, l’ipersensibilità sensoriale si evidenzia quando ho incamerato più informazioni di

quante non riesca a gestire (diventando ipersatura). Così, per esempio, se la mia capacità di

tenere il passo con l’elaborazione del bla-bla della gente comincia a non essere sufficiente,

mano a mano che resto indietro, continuano ad accumularsi sempre più informazioni. Se

sfuggo ad ulteriori informazioni in arrivo o chiudo occhi e orecchie, posso non raggiungere il

sovraccarico. Se però, malgrado il perdere il passo nella mia capacità di gestione, continuo

(come addestrata) a cercar di capire o almeno simulare l’attenzione), la mia sensibilità uditiva

può diventare dolorosamente acuta.

Quando la percezione uditiva si acutizza, i suoni normalmente non udibili si possono sentire

come fossero normali e poiché stanno già entrando troppe informazioni perché il cervello stia

al passo con le sue connessioni, la percezione di questi suoni aggiuntivi può renderli

decisamente insopportabili. Talvolta, non sono determinate tonalità a creare il problema, ma

quel "buon addestramento" impartito dai non-autistici, che ha portato a comportamenti che

impediscono a qualcuno di gestire in modo adeguato un problema di elaborazione di

informazioni così da evitare i’ipersaturazione e la conseguente ipersensibilità sensoriale.

Lo stesso può accadere col tatto. Quando ho incamerato molte informazioni visive e uditive,

anche il mio tatto può essere ipersensibile, aguzzo come uno spillo e l’essere toccata può

diventare terribile come l’essere scossa. Il problema, però, non sta nel tatto, ma nel fatto che

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sono rimasta troppo a lungo attenta alle informazioni che non riuscivo ad elaborare in modo

efficiente, alla velocità con cui entravano.

Prima di avere lenti speciali per correggere il sovraccarico di informazioni visive, la stessa

cosa valeva per la mia percezione visiva, che rendeva fisicamente disagevoli e tormentosi molti

tipi di luce brillante. Riguardo a ciò, una delle cose più spiacevoli è che, ogniqualvolta creavo

strategie per diminuire il sovraccarico di informazioni ed evitare l’ipersaturazione, ero

ridicolizzata e mi insegnavano a "non fare questi scherzi".

In ciascun caso, ciò che portava all’alzarsi di questi livelli di sensibilità era il progressivo

aumento dell’inefficienza dell’elaborazione delle informazioni in arrivo. Così, per esempio, le

mie vie di senso diventavano così dolorosamente ipersensibili quando il significato letterale o la

significatività di ciò che vedevo o sentivo aveva già cominciato a scadere.

Si può insegnare a chi è in uno stato di "ipersaturazione" ad "agire normalmente" e ciò può

avere dei benefici, entro certi limiti, per l’apprendimento. D’altra parte, penso sia più logico e

"umano" aiutare le persone a gestire sia la causa che i sintomi dell"ipersaturazione" e aiutarle

a leggere i segni del suo avvicinarsi così che possano gestirla meglio da soli.

I non—autistici che vogliano aiutare, possono ridurre il sovraccarico di informazioni come

abbiamo già detto e tale suggerimento comprende anche il rallentare il loro ritmo.

• Se la gente parla in modo più tranquillo, con meno intonazioni, più lentamente,

concisamente e con più economia, eliminando qualsiasi rumore di fondo non necessario, ci

saranno meno informazioni inutili da elaborare e più tempo per farlo, il che si traduce nella

possibilità di mantenere il passo ed evitare più a lungo I’ipersaturazione.

• In egual modo si può essere più prudenti con movimenti o espressioni del viso inutili, ci si

può muovere lentamente ed eliminare luci non necessarie (che causano rifrazioni: luminosità’

che possono causare l’effetto visivo di improvvisi fasci di luce particolarmente quando c’è luce

naturale. Ciò diminuisce il bombardamento di informazioni visive e può dare a qualche autistico

il tempo di elaborare.

• Anche il contatto dovrebbe essere evitato, tranne quando fa parte di un’informazione che

cercate di far passare. Dovrebbe comunque essere lento, il più possibile prevedibile e

intenzionale e usato solo quando necessario. Ciò impedirà di sprecare tanta capacità di

elaborazione nello stare in guardia.

• Infine, il diminuire il bisogno di estorcere informazioni o di passarle da una forma all’altra,

sono due altri modi per aumentare la capacità degli autistici di elaborarne. Più il linguaggio

concreto è in grado di essere visualizzato, più rapidamente può essere elaborato e più a lungo

l’ipersaturazione può essere tenuta a bada.

Sfortunatamente queste sono le cose che, in genere, con gli autistici nomi si fanno. Ho visto

gente non—autistica picchiettare, frizionare e cercare di rendersi interessante con movimenti,

espressioni del viso e intonazioni sempre più animati, davanti a persone in grave stato di

"ipersaturazione’’.

Invece di descrivere una informazione nel contesto in cui si verifica, viene incastrata in

canzoni o storie, per cui la gente che fa fatica a seguire ha troppo poco tempo di elaborazione

per permettersi il lusso di estrarre informazioni nascoste o collegarle ad un’esperienza non

direttamente sperimentabile.

Secondo me, sarebbe molto più "interessante" per gli autistici se chi lavora con loro,

eliminasse comportamenti non necessari, bombardanti, autosoddisfacenti, così che chi è in

ipersaturazione potesse resistere abbastanza a lungo ed elaborare, accedere e monitorare

abbastanza efficientemente da essere interessato a qualcosa.

Un’altra strategia possibile per evitare l’ipersaturazione che porta alI’ipersensibilità è dare

informazioni in brevi raffiche e lasciare la persona con queste difficoltà completamente senza

stimolazioni per 5— 15 minuti prima di ricominciare.

Quand’ero bambina, la mia soglia di possibilità di elaborare bla—bla era di pochi secondi

soltanto: a 10 anni avevo raggiunto i 5—10 minuti. Quando ero una ragazzina e fino ai

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vent’anni la soglia era raggiunta in 15—30 minuti; adesso è salita a 20-45. In un ambiente piu’

accomodante credo che quelle soglie avrebbero potuto essere molto più alte.

Penso che persone in stato di ipersaturazione estrema dovrebbero essere idealmente

stimolate con nuove informazioni soltanto da 5 ad un massimo di 15 minuti, seguiti da un vero

intervallo. E’ anche importante sapere che persone con sovraccarico di informazioni possono in

apparenza resistere molto più a lungo di quanto non sia in realtà e qualcuno passa al "pilota

automatico" e dà risposte tolte dal magazzino per nascondere di non essere più in grado di

elaborare altre cose nuove.

Se qualche autistico soffre di ipersaturazione, direi che l’entrata di nuove stimolazioni non

dovrebbe prolungarsi oltre una quarantina di minuti senza intervallo ( basandosi su una

interazione uno ad uno). Dovrebbe certamente essere un periodo più breve se l’interazione

fosse su base più allargata.

L’ipersaturazione mi porta a sovraccarico sensoriale per molti motivi; prima di tutto per

inadeguato filtraggio di informazioni in arrivo e di conseguenza ecceso di messaggi sensoriali.

L’insufficiente elaborazione, poi, porta ansia, confusione e frustrazione che, a loro volta, alzano

drammaticamente il livello di stress, causando un’acutizzazione delle vie di senso. In terzo

luogo, un’elaborazione sovraccaricata segnala che il cervello è anche lento nel fare le

connessioni interne, come: "cosa fare con ..", "come dare un senso ai disagi dell’ipersensibilità

sensoriale, il che può portare a non prendere iniziative per chiuder fuori gli stimoli (così può

fare l’addestramento nelle mani di persone ignoranti). Quarto, quando il cervello, poi, sta già

battagliando per far fronte all’elaborazione di un mucchio di informazioni in ritardo, le

ipersensibilità sensoriali non vengono facilmente disperse o assorbite ahbastanza rapidamente

come potrebbero, per esempio esprimendo apertamente i problemi che avete, così che

qualcuno possa aiutarvi spegnendo le luci, le radio o i televisori, chiudendo tutto e non

toccandovi. Infine, la stessa ipersensibilità sensoriale aggrava il peso dei problemi di

elaborazione dando al cervello ulteriore materiale da elaborare così da portarlo a "superare le

sue possibilità’’.

UN GUSCIO DI NOCE

Ciò che può essere usato per ridurre in parte l’ansia e lo stress per persone con

ipersensibilità sensoriale correlata a sovraccarico di informazioni, sta in guscio di noce:

• L’affaticamento rende tutti più suscettibili agli effetti di ogni tipo di stress. Può essere

minimizzato con una dieta e un ambiente sani e non tossici, con esercizio fisico regolare,

buone abitudini di sonno e integratori nutritivi come vitamine del complesso B, che aiutano a

gestire lo stress o vitamina C che combatte l’affaticamento.

• Veri intervalli da 5 minuti a un’ora, all’interno di un periodo partecipato, aiutano le persone

a sostenere lo stress personale o il sovraccarico delle informazioni causato dalla partecipazione

stessa. Le pause dovrebbero essere tranquille e rilassanti, senza stimolazioni, non eccitanti e

non gradite.

• Diminuzione o elimiminazione di stimolazioni non necessarie.

• Il fornire un ritmo gentile, tranquillo,rgolarmente calmante, fisico o sonoro, se lo si trovi

utile.

• Permettere di tenere oggetti familiari, simboli di attaccamento scelti autonomanente,

quando non impediscano seriamente l’interazione o la comunicazione o quando si noti che

danno sicurezza od orientano durante esperienze di stress o disagio estremi.

• Nessun contatto corporeo non necessario, a meno che non sta chiaramente cercato, bene

accetto e confortante, calmante o rilassante per la persona che lo riceve.

• Almeno 20 minuti dopo che stress o disagio sono chiaramente scomparsi, e la persona può

elaborare comunicazioni in arrivo, chiedere (con segni, per iscritto o verbalmente), se

possibile, se ci sia niente che si possa realisticamente fare per aiutarli ad affrontare meglio le

cose con voi in futuro (potete presentare opzioni).

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IPERSENSIBILITÀ SENSORIALI E PROBLEMI BIOCHIMICI

Le ipensensibilità sensoriali possono anche dipendere da altri fattori di stress come le

allergie, le deficienze e gli squilibri di vitamine/minerali, l’ipoglicemia e ha quantità di nuove

informazioni o emozioni affrontate in un dato momento. Qualcuno, però, di questi problemi

metabolici o chimici può esser dovuto ad uno stress elevato e cronico causato da problemi

senso-percettivi. In questo modo i due fattori possono creare un circolo vizioso.

I) deficit di vitamina B, zinco e magnesio possono essere in relazione con sensibilità al tono

e alla lucentezza, benché il fatto che vitamina e minerali si esauriscan nell’affrontare quelle

sensibilità o rendano una persona più vulnerabile o suscettibile a queste sensibilità sia un

problema al quale la ricerca potrà un giorno dare una risposta.

II) deficit di zinco si manifesta con macchie bianche sulle unghie; quello della vitamina B6 in

chiari solchi per tutta ha lunghezza delle unghie stesse. Il deficit della vitamina B2 si evidenzia

in tutta lingua "anormalmente" rossa e quello di calcio in unghie fragili (strati che si separano o

"unghie di carta" morbide e flessibili). La carenza di vitamine A e D si riscontra nella perdita di

capelli e ciglia (controllate la facilità con cui si tolgono). Il deficit di vitamina C si vede nelle

gengive che sanguinano e si "tagliano" facilmente. Tutti questi potrebbero essere segnali che

l’ipersensibilità sensoriale ha problemi metabolici sottostanti, che vanno affrontati.

E’possibile che ci siano autistici per i quali la sensibilità uditiva è la causa principale e non il

principale sintomo. Può essere che per queste persone il temporaneo sollievo da uno di questi

sintomi, lasci tempo e spazio per adattare il loro atteggiamento e focalizzarsi sulla lotta alle

restrizioni imposte dal loro autismo piuttosto che essere "distrutti" da quelle.

IPERSENSIBILITÀ SENSORIALI E STRATEGIE DI GESTIONE

Se qualcuno trova schiacciante qualche sensazione tattile, uditiva o visiva e sembra che voi

forziate quella persona ad affrontare la cosa (o blocchiate la fuga da o l’avversione a), ciò può

minare la fiducia, il bisogno e l’interesse sociale. D’altra parte, una persona ha bisogno di

essere spinta verso lo sviluppo: la risposta è rivolgersi ad entrambe le cose con la maggior

empatia e comprensione possibile.

PROBLEMI UDITIVI

I sintomi dell’ipersensibilità uditiva possono essere affrontati con cuffie a coppa che

diminuiscono il volume del suono così da permettere l’ascolto. Rallentando l’in-put uditivo e

diminuendo le distrazioni si aiuta una persona ad elaborare e a comprendere che ora l’in—put

è a velocità sopportabile. Tappi per le orecchie, cuffie e batuffoli di ovatta possono essere fonti

di autocontrollo su livelli associati di stress e servire anche a mostrare alla persona che capite

e rispettate le sue difficoltà sensoriali. Ciò può fare molta strada nello sviluppo della fiducia

negli altri e nell’ambiente e nel dare forza alle persone così da incoraggiarle a credere che non

sono solo soggetti passivi nel loro ambiente allargato.

Il parlare bisbigliando, in una stanza senza altre fonti di rumore, o sottovoce attraverso un

tubo, può limitare le fonti di eccessivo rumore o di inutile distrazione da quanto viene detto.

Ciò può incoraggiare l’interesse per le parole e sviluppare abilità di ascolto in modi che non

portino a sovraccarico sensoriale.

Il parlare lentamente in un rapporto uno a uno, con voce relativamente uniforme e su toni

medi, può permettere una migliore elaborazione di quanto vien detto e una minore distrazione

causata da toni o intonazioni estremi. Le voci tranquille hanno meno risonanze ed è più facile

che persone con problemi di elaborazione o di ipersensibilità uditiva possano sintonizzarsi.

Poche parole, a voce bassa o sussurrata, uniforme o ritmica sono più facili da elaborare in

minor tempo.

Voci alte possono costringere qualcuno a trasformarsi in una statua a causa di sovraccarico e

chiusura dovuti forse ad una combinazione di sensibilità al rumore e reazione emotiva.

Una persona autistica può essere incoraggiata a controllare tutto ciò con ovatta, tappi per le

orecchie o cuffie e a portare con sé un biglietto che spieghi come si dovrebbe parlarle per

minimizzare le sue difficoltà e permetterle di controllarle e cavarsela malgrado quello. Se una

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persona è uditivamente ipersensibile, sentirà egualmente, malgrado i tappi e altre misure, una

ad un livello più normale.

PROBLEMI TATTILI

Per quanto riguarda la sensibilità tattile, se il problema è creato da stoffe o tessuti intollerabili,

scoprite quali. Se qualcuno insiste per una giacca o un maglione quando sembrano socialmente inadatti, quella persona può avere buoni motivi sensoriali che vanno al di là di semplici usanze.

PROBLEMI VISIVI

Per qualcuno con ipersensibilità visive e problemi visuopercettivi, lampadine colorate di varie

tinte possono essere provate in tutta la casa, tenendo un’annotazione del loro effetto. Cercate

di scoprire quale sia l’illuminazione migliore, o la peggiore, per la concentrazione e il

coinvolgimento. Qualche genitore ha provato lampadine di colore diverso e trovato

cambiamenti drastici nella concentrazione, l’applicazione, la comprensione e l’espressività. Se

fossero troppo scure per tutti gli altri, nelle stanze più frequentate, al posto della "luce bianca"

potete usaree lampadine di tonalità pastello, di un colore efficace, a bassa intensità (25-40

Watt). Se ci fossero stanze con luci al neon, potrete sostituirle con lampadine normali.

Lampadari che riflettano la luce verso l’alto, anziché verso il basso, possono creare meno

distorsioni visive. Tutto ciò non sostituisce le lenti Irlen, ma è meglio di niente.

Gli occhiali da sole possono aiutare le persone a far fronte all’ipersensibilità quando escono e

possono aiutare qualcuno a tener testa a luci brillanti o alla luce del sole (anche in casa).

Mentre gli occhiali da sole, a differenza delle lenti Irlen, non correggono i problemi visuo-

percettivi, possono, almeno, ridurre qualche ipersensibihità alla luce e può essere meglio che

niente per chi non può ottenere le lenti.

IPERSENSIBILITÀ EMOTIVA (E/O ANSIA DA ESPOSIZIONE)

"Ipersensibilità emotiva" è un termine vago, che può voler dire molte cose. E importante

sottolineare ciò di cui parlerò qui e ciò che non tratterò.

"Ipersensibilità emotiva" può significare avere risposte emotive molto forti alla base di

ossessioni, coercizioni o ansia acuta. Ne tratterò nel prossimo capitolo come "problema di

controllo".

"Ipersensibilità emotiva" può significare essere fortemente colpito da un punto di vista

emotivo, perché si scopre troppa significatività nelle cose, come accade a qualche persona con

problemi di salute mentale come la "paranoia" (che ha a che fare con la persecuzione) o la

"megalomania" (che ha a che fare con le idee grandiose). Non voglio discutere questi problemi.

"Ipersensibilità emotiva" può voler dire avere un’inondazione di emozioni in uno di due

estremi, come nel caso di ciò che chiamiamo "depressione maniacale". Anche se molti "autistici

abili" e persone con Sindrome di Asperger hanno talvolta avuto erroneamente diagnosi di

questo tipo, non ne parlerò qui.

"lpersensibilità emotiva" può significare evitare di lasciar entrare le emozioni o di condividere

quelle che provate. Può anche voler dire che se uno si spinge al di là del proprio livello di

tolleranza emotiva, l’ansia da esposizione e da auto-espressione che ciò provoca, può portare

ad una dissociazione dei sistemi (quando tali sistemi "passano su pilota automatico" e operano

solo a livello subconscio, fuori dal controllo volontario e conscio) o possono portare ad una

chiusura dell’accesso così che, a prescindere da quanto uno possa voler interagire o

comunicare, può essere tagliato fuori dall’accedere alle proprie conoscenze e connessioni. Sono

questi gli aspetti che prenderò in considerazione in questo capitolo.Questo tipo di

"ipersensibilità emotiva" può essere sommariamente suddiviso in queste categorie:

• "ipersensibilità emotiva dovuta a ciò che chiamo "sè/altro" o problema di integrazione dei

sistemi. Lo chiamerò: "risposta di difesa emotiva";

• "ipersensibilità emotiva come espressione di ipersensibilità sensoriale, legata ai messaggi

del corpo e dovuta al sovraccarico di informazioni. Mi riferirò, ancora, a questo tipo come

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"ipersaturazione" perché è simile, pur se di tipo diverso, all’ipersaturazione sensoriale,

esplorata in precedenza.

RISPOSTA DI DIFESA DELL’EMOTIVITÀ

La "risposta di difesa dall’emotività" è ciò che viene usato da qualche persona che ha

difficoltà a sostenere un’esperienza emotiva per una qualsiasi quantità di tempo. Questo

problema è correlato all’essere mono per cui un’emozione raramente elaborata e mantenuta

prima che nuovi stimoli in arrivo eliminino la sintonizzazione.

La "risposta di difesa emotiva" consiste fondamentalmente nel chiuder fuori qualsiasi cosa

che potrebbe distrarre dallo sperimentare l’emozione. Ciò potrebbe essere percepito da un

estraneo come il voler evitare di condividere le proprie emozioni con altri o di parlare di ciò che

si sente. Qualcuno può considerarlo una specie di "egoismo emotivo". In realtà, qualsiasi

tentativo di condivisione, defrauderebbe la persona della capacità di sperimentare la propria

emozione; qualsiasi vera forma di egoismo è nelle mani di chi desiderasse partecipare alla

condivisione e mettesse il proprio bisogno di condividere al di sopra del bisogno dell’altro di

sperimentare le proprie emozioni.

Per qualcuno, qualsiasi spostamento di focalizzazione fuori dalle proprie emozioni, compreso

il riconoscimento di qualcun altro o il dare un nome cognitivamente o verbalmente all’emozione

provata, è sufficiente a tagliarlo fuori dall’esperienza. Molti, nell’ambiente in cui vivono queste

persone, prendono la cosa da un punto di vista personale, mentre non dovrebbe essere così.

Per chi ha questo problema, non è una questione di non-fiducia in qualcuno per le emozioni

che prova; può avere molta fiducia in chi è nella stanza con lui e quella persona può anche

essere l’origine di quelle emozioni: non ha importanza quanta fiducia possa avere e quanto

possa sentirsi vicino all’altro. Prestando attenzione ad informazioni esterne (l’altra persona),

perderebbe la traccia dell’esperienza delle informazioni interne (ciò che sentono).

PROBLEMI "SÉ-L’ALTRO"

Qualche persona con problemi di "ipersensibilità emotiva" li ha perché non può elaborare

simultaneamente le informazioni in arrivo (provenienti dall’esterno) e ciò che accade dentro di

lui. È una manifestazione dell’essere quello che io chiamo "mono" e queste persone lavorano

sui binari singoli più di chiunque altro: il problema è parte di quello più ampio che definisce

"sé-l’altro".

Queste particolari difficoltà possono avere qualsiasi tipo di conseguenza. Possono rendere

difficile o impossibile seguire le tracce dei propri pensieri mentre si ascolta qualcun altro

verbalizzare i suoi.

Possono rendere difficile o impossibile essere consapevoli della propria esistenza fisica,

mentre si segue visivamente quella di un altro.

Possono far diventare difficile o impossibile essere consci di venir toccati, mentre state

toccando qualcuno.

I problemi "sé-l’altro" possono significare che si può parlare del proprio percorso personale o

del percorso di qualcun altro, ma non in modo interattivo, che richiede il mettere assieme o

tener conto simultaneamente dei due (come confrontare o contrastare punti di vista o lavorare

assieme ad altri per arrivare ad una sintesi delle rispettive idee).

I problemi "sé-l’altro" possono anche rendere difficile o impossibile da cogliere il concetto di

"sociale" e molto duro il capire od agire su cose come la solitudine o la noia. Cosa ancor

peggiore, i problemi "sé—l’altro" possono rendere rarissime le esperienze emotive all’interno di

contesti sociali interpersonali ed anche rendere difficile o impossibile il percepire e

sperimentare emozioni mentre contemporaneamente si presta attenzione ad un’informazione

esterna.

Queste cose possono avere un effetto devastante sul senso di identità di una persona e sulle

sensazioni di "prigionia" nella necessità di isolamento emotivo come pure essere un notevole

ostacolo per lo sviluppo della tolleranza dell’affettività, che viene dall’esperienza continuativa,

conscia e socialmente comprensibile di provare emozioni.

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COSTRUIRE LA TOLLERANZA

Migliorare l’elaborazione delle informazioni così che la significatività personale attivi le

emozioni in modo più continuativo, è una strategia per costruire la tolleranza, io ho dovuto

farlo più meccanicamente. Da adulta, lo feci attraverso la "temerarietà" e "temerariamente"

significa provando i propri limiti per allargarli al proprio ritmo e sotto il proprio controllo. Gli

altri, non possono abituarvi alle emozioni facendovi fare delle cose. Tutto ciò che ottengono è

distacco emotivo e acquiescenza. Il forzare le persone quando non sono pronte, le taglia fuori

dalle loro emozioni così non si abituano a sperimentarle, anche se imparano a fare un sacco di

altre cose funzionali, in assenza di emozioni.

Il problema con le emozioni può consistere con risposte sensoriali "normali" e perfino

piacevoli a qualche tipo di stimolazione sensoriale (come strutture o suoni o schemi). Non è lo

stesso con un tipo di emozione che provenga da qualcosa personalmente (non soltanto

letteralmente) significativo o significante.

Molte persone confondono le dire cose, non riescono a riconciliare l’una con l’altra e trovano

il soggetto disturbato, o pensano che non abbia alcun problema con le emozioni.

La temerarietà di sentire o anche di esplorare l’emozione, non può, secondo me, cominciare

dal condividerla. Se qualcuno non è riuscito a sopportare di condividere volontariamente

un’emozione con se stesso, non riuscirà certo a farlo con qualcun altro. E’come avere un paio

di scarpe che non avete mai indossato. darle a qualcun altro da usare e poi provarle su di voi.

A quel punto sono allargate, alterate e sicuramente "non proprie". E’come provare a mettersi

le scarpe di un altro.

Ciò non significa che qualcuno non possa aiutare chi soffre di ipersensibilità emotiva,

rassicurandolo che interesse è pari a emozione, che questa è naturale e nomi può far male.

Significa soltanto che se non si è imparato a conoscere, a familiarizzare e accettare qualcosa in

se stessi, può essere troppo simile a un’invasione, troppo bombardante e minaccioso il fatto

che qualcuno si aspetti che si condivida con altri ciò che non si è ancora sperimentato

significativamente da soli.

Particolarmente con persone che affrontano l’ipersensibilità emotiva o l’ansia da esposizione,

il modo migliore per fare da "consigliere" è quello del confronto indiretto, Se alla persona

autistica sembrano piacere le "storie", "scrivere" (o preparare) e leggere una storia (o una

serie di storie) che parlino di un ragazzo/ragazza/uomo/donna che provava emozioni molto

forti, che lo/la facevano sentire molto, molto fuori controllo e spaventato/a (descrivendo questi

stati e le sensazioni interiori e le manifestazioni esterne) e scrivere come questi non riuscisse a

parlarne perché non sapeva cosa fossero queste emozioni o come si chiamassero e come si

facesse per renderle meno allarmanti o noiose. Potete usare personaggi noti, facili da

identificare e che piacciano: non farà molta differenza che sia Topolino o Tommaso il Motore

del Carro Armato o chiunque altro a provare queste emozioni. Qualcuno riuscirà a dare questo

tipo di aiuto attraverso lettere (particolarmente con scrittura a macchina, che sta alla scrittura

a mano come un discorso distaccato e formale sta ad uno soggettivo e informale), benché non

faccia a faccia; anche la consegna della lettera deve avvenire con confronto indiretto. Lo scopo

è trasmettere la comprensione, la capacità di aver fiducia e speranza e la conoscenza e la

capacità di consigliare senza sovraccaricare la persona con un’azione troppo personale.

Se l’autistico non ama le storie, potete "parlare tra voi" delle stesse cose, rivolgendovi (a voi

stesso ad alta voce) a un amico sconosciuto, che abbia questi problemi, lasciando alla persona

"autistica" solo la possibilità di ascoltare, per quanto ciò possa avvenire perifericamente (e

molti non saranno in grado di permettervi o permettere a se stessi di osservare che stanno

ascoltando attivamente e consciamente).

Allo stesso modo si possono trasmettere elogi e riconoscimenti, inserendoli in una storia che

parli di qualcuno con cui il soggetto possa identificarsi o, eventualmente, anche scrivendole in

una storia sulla persona stessa (forse passando comunque attraverso la pantomima di leggerla

come un libro, piuttosto che raccontarla direttamente). E ancora, dire queste cose ad alta

voce, fra voi, il più oggettivamente possibile, non rivolgendovi direttamente alla persona,

usando il tu, ma indirettamente e formalmente col nome, senza cercare il contatto visivo (più è

formale, più in genere è facile sopportarne l’ascolto). Gli elogi si possono fare anche per

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lettera, particolarmente se scritta a macchina, ma ricordate che anche il "dare" può dover

essere a confronto indiretto; un "lasciare" più che un "dare".

Ricordate, poiché l’elogio provoca emozioni al di fuori del controllo di una persona, ciò forza

una consapevolezza conscia, ad un livello tale che quella persona può non essere in grado di

sopportarlo emotivamente. La risposta a queste emozioni in un soggetto con estrema

ipersensibilità emotiva e ansia da esposizione, può essere una "gran cilecca" che porta ad una

forte avversione non-voluta e inintenzionale o ad una risposta di difesa (anche lo sputo, la

bestemmia, la violenza o ulteriore ritiro in sé); l’elogio, quindi, deve essere maneggiato con

cura. Sicuramente però, anche la persona "allergica" agli elogi può desiderare ardentemente

l’auto-feed-back e una conferma che poi non può sopportare. Il compito dell’assistente e del

professionista è quindi di ristudiare i modi per porgere elogi. conoscenza o comprensione, così

che possano essere tollerati e poi, gradualmente, col tempo passare dal confronto indiretto a

quello diretto, man mano che la persona rompe le barriere restrittive create dalle risposte

inintenzionali e istintuali dovute all’ipersensibilità emotiva e all’ansia da esposizione.

Quando una persona raggiunge il punto in cui comincia a conoscere sentimento, supporto e

incoraggiamento, può, molto gradualmente, costruire una condivisione a "senso unico". Non

c’è scopo nell’imporre le vostre emozioni a chi ha passato tutta la vita a chiuderle fuori. Essi

non hanno alcuna esperienza personale da cui ricavare il significato dei vostri sentimenti,

lasciando perdere la loro significatività. Quando queste persone riescono ad essere in grado di

condividere i loro sentimenti, ciò sarà parte del loro "corteggiamento" alle loro stesse

emozioni.

Quando una persona arriva a questo punto, l’unico modo per portarla ad "osare" può essere

soltanto con un incoraggiamento calmo, fermo, non bombardante o provocante, non

minaccioso, talvolta staccato e impersonale. Per molte persone con questi problemi, però, il

fatto che qualcun altro sia coinvolto può implicare una maggior informazione che porta al

sovraccarico.

L’unico modo per superare tutto ciò può essere il favorire o il suggerire un modo a

"confronto indiretto".

Ciò significa che se qualcuno si sovraccarica perché lo guardate nel rassicurarla, dovrete

guardare la parete, piuttosto che la persona, e fornire una rassicurazione generale e

impersonale sull’argomento. L’avere un confronto indiretto significa che se la rassicurazione,

col toccare direttamente e personalmente la persona, non è sopportabile, può essere più facile

da tollerare l’avvicinarsi fisicamente con gradualità nel tempo, in modo impersonale e non a

confronto diretto. Il toccare col lato del piede una persona senza mostrare intenzionalità, può

essere tutto ciò che quella può sopportare senza allontanarsi ed è comunque un inizio.

Se non sopporta che le si parli perché si emoziona, il parlare dell’argomento ad alta voce tra

voi, anziché alla persona, senza guardarla, può essere un approccio abbastanza indiretto da

essere sopportato. Ancora una volta, è un inizio.

Se qualcuno è così emotivamente ipersensibile da non sopportare l’emozione causata da

esposizione per aver dimostrato interesse, allora, il dimostrare qualcosa come se lo faceste

all’aria, può rappresentare un confronto abbastanza indiretto perché la persona possa dare

qualche sbirciata; col tempo, può costruire una certa tolleranza a questa autoesposizione di

sfida e riuscire a guardare quanto fate, apertamente e direttamente.

Ciò che è importante è rendersi conto che la paura delle emozioni , che può svilupparsi da

questo tipo di ipersensibilità emotiva, può essere così violenta che il dimostrare interesse,

apprezzamento o consapevolezza, può scatenare un’ansia acuita che avverte che l’emozione

sta arrivando.

Se perfino l’autorealizzazione che c’è stato un interesse, un apprezzamento o una

consapevolezza, scatena l’emozione, ciò può arrivare così in profondità da congelare non

soltanto l’espressione, ma il pensiero. Se questo è il caso, "interazione e comunicazione

indirette" possono essere la cosa migliore, e forse l’unica, per costruire gradualmente la

tolleranza di queste persone senza forzarle in una accondiscendenza "robotica" o da burattino.

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L’ansia da esposizione è qualcosa che tutti hanno, ad un certo livello, se spinti abbastanza in

là. In qualcuno, ci vuole parecchio per far scattare questa risposta istintuale: in altri, scatta

troppo facilmente, facendo sperimentare la consapevolezza conscia come dolorosa, a

prescindere dall’emozione coinvolta. La condizione di "agorafobia’. "ansia da esame", "paura di

parlare in pubblico", "timidezza estrema" e "ipersensibilità coercitiva", che si trova

nell’autismo, è questa condizione al suo limite estremo e, per qualcuno, l’unica soluzione può

essere lasciarsi andare quasi costantemente ai tentativi di autoipnosi, per uscire dalla

consapevolezza conscia.

L’ansia da esposizione non è intenzionale, nè lo sono le sue conseguenze, spesso reattive, di

evitamento o di difesa e allontanamento. E per tutti uno stato di disagio, particolarmente per la

persona in tale condizione. Può rendere la vita stessa una punizione, un luogo pieno di spine.

La conseguenza dell’ansia da esposizione è una "messa a nudo" profonda, facilmente

scambiata per "dolore" e poiché l’espressività e l’interazione di altri sono, spesso la causa del

suo insorgere, intenzionalmente o meno, il risultato è lo stesso: procurano dolore. Diventa

allora facile rifiutarle come un nemico diffidente, che, senza riguardo per le buone intenzioni,

rifiuti di riconoscere il potere che hanno e non mostri pietà nell’apparente capacità di infliggere

disagio. Qualche autistico supera questa guerra" e si concentra sulla stessa ansia da

esposizione come il nemico che lo deruba di una vita condivisa, liberamente espressa, con gli

altri e qualcuno può fare il passaggio dal contendere col mondo degli uomini al farlo col suo

autismo. Il ruolo dell’assistente o del professionista è usare un approccio a confronto indiretto,

per distruggere gradualmente la base della "guerra" col mondo degli uomini e aiutare

l’autistico a fare la transizione, per riconoscere che non sono stati gli altri a creare il problema

e per quanto intensamente disagevole sia la sensazione, per lavorare in un programma di

cooperazione creativa e costruire gradualmente e progressivamente la tolleranza.

Qualche altra forma di interazione indiretta che possa almeno portare gente come questa a

prestare volontariamente attenzione alle informazioni, comprende le fonti di emozione

impersonali e controllabili. Una di queste è l’apprendimento da video, che può essere usato

senza forzare il riconoscimento di quanto viene appreso, nel modo seguito dall’apprendimento

interpersonale faccia a faccia. L’apprendimento al computer è simile e può essere usato per far

passare l’interazione attraverso altre vie e quindi sperimentato con meno impatto perché meno

diretto. In precedenza avevo parlato della comunicazione attraverso oggetti, per aiutare ad

elaborare l’informazione facilmente ed efficientemente. Porta un beneficio per queste persone

perché ha un impatto meno diretto.

Tutto ciò rappresenta un buon mezzo per insegnare il tema delle emozioni, che cosa siano,

come si sentano, come si chiamino e perché siano una cosa buona. Potevo stare attenta a un

gatto che qualcuno faceva ballare e a quanto gli facevano sentire, anche se non sarei riuscita a

stare a guardare qualcuno che ballava e che mi raccontava quello che provava.

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Aggiornata al 10.01.2000

Oggetto : Ricerca Bibliografica su deficit dell’Enzima Biotinidasi - Autismo – Candida

- Vaccinazioni

In una nostra lettera all’ A.n.g.s.a. dell’Aprile 1999 abbiamo ipotizzato un possibile

collegamento tra Deficit d’Enzima Biotinidasi - Autismo – Candidosi, che ci ha portato a

eseguire questa Ricerca.

Tutto è nato dalla lettura di un articolo pubblicato nel numero 5 del Settembre / Ottobre

1996 datato Marcon 30.08.96 con traduzione di Maria Bonati , su uno studio sulla Candidosi di

JONATHAN BROSTOFF Primario e Direttore dell’ ISTITUTO di ALLERGOLOGIA del MIDDLESEX

Hospital di LONDRA e ricercatore di fama internazionale, tratto dal suo Libro " Guida completa

alle Allergie e alle Intolleranze Alimentari " , casa Editrice MEB , 1990 ( Via Makallè ,73 35138

Padova ).

In tale Articolo si parlava di una Ipotesi formulata nel Bollettino Luglio/Dicembre 1995 dalla

Signora Cadei sull’Ipotesi che la Candida sia implicata " in modo non ancora chiaro nella

Patogenesi dell’Autismo " ; qui a seguito riportiamo parte dell’articolo: … Si osserva

diffusamente che pazienti affetti da intolleranze alimentari hanno anche la Candidosi e

viceversa. Una spiegazione del nesso con le intolleranze alimentari potrebbe essere la

seguente: sebbene la candida sia un lievito costituito da cellule individuali a forma d’uovo, in

determinate circostanze può assumere la forma di IFE, sottili filamenti osservabili solo al

microscopio . In laboratorio questo succede quando manca Vitamina Biotina o altre sostanze

nutritizie.

I nostri due figli maschi; Andrea di 6 Anni e Matteo di 2 Anni hanno entrambi questo deficit

di Enzima Biotinidasi , Andrea ( 1,1) – Matteo (0,65) su Valori Standard di Deficit Parziali (

0,7- 2,1) e di Deficit Totale ( < 0,7 ). Ad Andrea nato nel 1993 questo deficit non è stato

riscontrato , fino a che nel 1996 è nato Matteo, lo screening eseguito al momento della nascita

ha segnalato un deficit di Enzima Biotinidasi ed il Laboratorio di Malattie Metaboliche di Verona

ci ha chiesto di fare gli esami a tutta la famiglia ( nonni compresi ) e abbiamo scoperto che

anche Andrea aveva un deficit Parziale, con valori piuttosto bassi.

Andrea e Matteo hanno lo stesso deficit che può , come si è visto, procurare problemi

neurologici , Matteo è stato curato fin dal mese successivo alla nascita con un farmaco

chiamato Biodermatin contenente Vitamina H ed è un bambino normale ; Andrea è un bambino

Autistico , il bambino ha avuto una crescita apparentemente normale fino ad un anno e mezzo

e poi gradualmente, anche in concomitanza con la vaccinazione Trivalente ( Morbillo –Rosolia-

Parotite ) , ha perso le capacità acquisite, diventando in brevissimo tempo Autistico.

Ovviamente non possiamo affermare che lo è diventato perché non è stato curato per

tempo, ma un ragionevole dubbio, che il Deficit di Biotina possa aver contribuito a creare un

effetto scatenante che ha portato Andrea all’Autismo, crediamo possa essere concesso.

Tutti i ricercatori che si occupano di deficit da Biotinidasi, parlano di danni neurologici che

diventano irreversibili se non trattati con integratori, entro i primissimi anni di vita ; a noi

genitori è venuto il dubbio che il deficit di Biotina potesse essere stato un fattore scatenante

dell’Autismo.

Io e mia moglie crediamo che tutti coloro che hanno bambini ammalati, nel limite delle loro

possibilità e degli Studi Scolastici, dovrebbero rimettersi a studiare l’Inglese ed iniziare a

navigare nel mondo della ricerche e delle notizie mediche che ora grazie a Internet sono

realmente accessibili a tutti, utilizzando un buon Motore di Ricerca, noi usiamo Altavista , ma

ce ne sono anche in Italiano, con un po’ di pratica si possono selezionare gli Argomenti più

interessanti; per Articoli Scientifici e Bibliografie, ci si può collegare con la Biblioteca Pinali

dell’Università di Padova : www.Pinali.unipd.it oppure ad un’altra Banca Dati :

www.dematel.com , perciò se qualche altro genitore fosse interessato, si possono allargare le

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ricerche anche alla Secretina, alla Melatonina, alla Dimetilglicina , ai Peptidi Urinari, alle

Vaccinazioni, tutte cose che come genitori ci toccano da vicino.

Illustriamo ora i risultati delle nostre ricerche, con una doverosa premessa Iniziale: tutte le

pubblicazioni di cui ci siamo avvalsi nelle nostre ricerche sono in Inglese, noi abbiamo tradotto

il più possibile letteralmente per non incorrere in errori; e dove abbiamo dei dubbi riportiamo

anche il testo in Inglese ; Inoltre, poiché negli Studi Biologici sull’Autismo non vi sono ancora

certezze, la frase chiave è : There is a great deal of evidence that …. ( letteralmente: c’è una

gran quantità di evidenze che …), per ora quindi, si parla solo di grandi sospetti, ma non vi

sono al momento sicurezze di nessun tipo e quindi tutte le conclusioni riportate, possono

essere contestabili ma sono tutte documentate e possiamo fornirle tramite Posta Elettronica a

chi le richiedesse.

1). Deficit di Enzima Biotinidasi : il Deficit è risultato essere piuttosto raro, da uno studio

mondiale dal 1988 al 1990, con esami realizzati anche in Italia dal Dottor Burlina del

Laboratorio dell’Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Pediatria, risulta che

l’incidenza del deficit parziale o totale è di 1 caso su 20 / 25.000 persone; anche rapporti

recenti su Screening Neonatali del 1998 in Brasile nello Stato del Paranà e in Turchia,

confermano questi dati.

2). Deficit di Enzima Biotinidasi e Autismo : La rarità del Deficit porterebbe ad escludere

connessioni importanti con l’Autismo che al momento è stimato avere un’incidenza di 1 Caso

grave su 1.500 e per forme correlate di 2 casi su 1.000, ma, vi sono delle discrepanze che ci

piacerebbe chiarire sulle diverse impostazioni delle ricerche; i ricercatori che studiano la

Genetica e le mutazioni del Gene Umano della Biotinidasi ( di cui è stata determinata la

struttura nel 1998 da un gruppo di ricercatori della Commonwelt University of Virginia), ,

accennano sempre a non identificati gravi danni neurologici che purtroppo diventano

permanenti se non trattati in tempo con integratori di Biotina, nella Banca dati della Pinali, dal

1986 ad oggi abbiamo trovato 146 Med-Line che parlano di Deficit di Biotinidasi, non si

accenna mai a eventuali collegamenti Deficit Biotinidasi - Autismo, ma non lo si smentisce

nemmeno, sembra quasi che i Genetisti o non ci pensino o non gli interessi.

Al contrario, un importante ricercatore che si occupa di Biochimica, il Dottor William Shaw ,

Direttore del Great Plains Laboratory for Health, Nutrition, and Metabolism di Overland Park

USA, nel suo libro( Easy-to read guide ) : BIOLOGICAL TREATMENTS FOR AUTISM AND PDD (

Pervasive developmental disorder ), con il contributo di BERNARD RIMLAND, Fondatore del

Autism Research Institute (ARI), di BRUCE SEMON per le cure e terapie anti Lievito, dice

testualmente : Il deficit da Biotinidasi è un errore congenito del metabolismo che è stato

riscontrato sia nell’Autismo che in un altro deficit del metabolismo della Biotina quale la

Sindrome di Rett , un disturbo femminile in cui sono presenti molti tratti Autistici. ( Biotinidase

deficiency is a genetic imborn error of metabolism that has been found in both autism and

another defect of Biotin metabolism has been reported in Rett’s syndrome , a disorder in girl in

which many autistic traits ar present.)

Nel libro si dice anche che il deficit da Biotinidasi è frequentemente associato con infezioni da

funghi e lieviti ( come la Candida Albicans ) e che la Biotinidasi può essere particolarmente

importante nell’Autismo perché si è scoperto che l’Enzima della Biotinidasi aiuta anche nella

degradazione dei peptidi , inclusi quelli che sono attivi sui ricettori dell’oppio ( - opiate-type

activity ); altra cosa importante è che la Biotinidasi è Zinco dipendente , così è possibile che

questo enzima non funzioni bene se siamo in presenza di insufficienza di Zinco, come nel caso

di molti bambini con Autismo.

Shaw dice anche che il ritardo nello sviluppo è comunemente associato al Deficit da

Biotinidasi.

Dopo questi dati qui riportati, il dubbio che ci ha spinto ad iniziare le ricerche, ancora

rimane, ed è nostra intenzione metterci in contatto con i 5 specialisti Statunitensi che abbiamo

trovato più presenti in questo tipo di ricerche : Pomponio RJ , Wolf – B , William Shaw, Bernard

Rimland e Stephen Edelson per tentare di avere dei chiarimenti in merito.

Stiamo cercando di iniziare, in collaborazione col Centro Ricerche Malattie Metaboliche di

Verona, uno studio sulla Carenza di Enzima Biotinidasi sulla popolazione Autistica che dovrebbe

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andare in porto nel primo semestre del 2.000, nel frattempo , per chi fosse interessato a farsi

fare ugualmente l’esame sul Deficit di Biotinidasi, in coda elencherò i laboratori Italiani che

effettuano l’esame con prelievo di sangue; vi prego di darci notizie qualora gli esami

trovassero un deficit anche parziale, soprattutto sulla Sindrome di Rett.

L’Esame per verificare la carenza di Zinco, si chiama Zinchemia e si può di solito fare nei

Laboratori Ospedali delle grandi Città, mentre nei Centri più piccoli può essere eseguita nei

centri di Medicina del lavoro (anche se i Responsabili, potrebbero non accettare le impegnative

dei Pediatri).

3). Biotina – Autismo – Candida Intestinale : nella nostra lettera all’Angsa del mese di Aprile

1999 ipotizzavamo un collegamento Biotina - Candidosi - Autismo, ed abbiamo anticipato che

avremmo sottoposto Andrea ad esami specifici per la "Candida Albicans".

In Italia si possono svolgere solo due tipi di esami per verificare la presenza di Candida ; il

Tampone Faringeo e l’ Esame delle feci, ad entrambe gli esami, Andrea è risultato POSITIVO.

Abbiamo stralciato la ricerca sulla Candida che è pubblicata su un’altra finestra del Sito.

Sempre il Dottor Shaw nel suo libro BIOLOGICAL TREATMENTS FOR AUTISM AND PDD ( di

cui ho la traduzione ), parla molto di Biotina : La Biotina è una delle vitamine essenziali e fu

denominata Vitamina H.

La Biotina è una delle vitamine che vengono prodotte dai batteri nel tratto intestinale, l’uso

degli Antibiotici può eliminare questa produzione batterica della Biotina, portando un deficit da

Biotina, accenna ad una problematica avuta dal figlio dopo una massiccia cura a base di

antibiotici, questa esperienza familiare attirò la mia attenzione su alcuni degli effetti meno

miracolosi dell’uso di farmaci Antibiotici e stimolò il mio interesse sul ruolo che i microrganismi

giocano nella biochimica umana.

Oltre al suo ruolo nutrizionale negli umani, la Biotina è necessaria ad altre creature, inclusi i

Lieviti, tuttavia quando i Lieviti sono esposti alla Biotina , essi sono stimolati a crescere ma è

meno probabile che si convertano alla loro forma di micelio che è la forma in cui invadono i

tessuti.

Sullo studio quantitativo su un eventuale Deficit di Biotina, al momento non ci sono esami

specifici, il Dottor Burlina del Laboratorio dell’ Università degli Studi di Padova Dipartimento di

Pediatria, durante una chiacchierata amichevole, si è detto scettico sul collegamento Deficit di

Biotinidasi – Autismo, invece non ha escluso che vi possa essere un collegamento deficit di

Biotina – Autismo e si è detto disponibile ( appena avrà finito una ricerca che lo impegna molto

) a riprendere in mano gli studi Biochimici sulla Biotina per cercare un modo di eseguire Analisi

quantitative.

Sull’argomento biotina / biotinidasi riportiamo anche il parere di un ricercatore, il Dottor

Flavio Keller dell’Università La Sapienza di Roma così ci scrive:

a mio parere, è senz'altro possibile che il deficit di biotinidasi possa essere associato

all'autismo. L'autismo è una sindrome eterogenea, con molteplici possibili cause. Il problema è

che, come dice Lei, il deficit di biotinidasi spiegherebbe probabilmente solo una piccola

percentuale dei casi di autismo. Dal punto di vista della ricerca genetica, un modo per

affrontare il problema è uno studio di associazione intrafamiliare, facendo uso di polimorfismi

del gene della biotinidasi. Parlerò di questa possibilità con il Dott. Persico, che si occupa degli

studi genetici

Anche i Signori Anna e Giuseppe Baschirotto che animano il Centro di Ricerca Malattie Rare "

Mauro Baschirotto" di Costozza di Longare ( Vi ), si sono detti interessati all’argomento delle

mie ricerche nel loro settore di competenza, le Ricerche Genetiche e si sono detti ben disposti

all’ipotesi di eventuali collaborazioni con altri ricercatori, unendo le loro ricerche Genetiche alle

ricerche Biochimiche.

Chissà che in prossimo futuro questa collaborazione possa svilupparsi!.

4). Vaccinazioni – Autismo : Sempre, secondo le esperienze del Dottor Edelson, circa un

terzo dei bambini autistici si sviluppa in modo normale fino ad un’età compresa tra un anno e

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mezzo e tre anni, dopodichè i sintomi Autistici cominciano ad emergere. Questi individui sono

spesso indicati come soggetti ad un "Autismo regressivo" . Alcuni addetti ai lavori ritengono

che la Candida ( Candida Albicans ) , le vaccinazioni , l’esposizione ad un virus o la presenza di

convulsioni possano essere responsabili di questa regressione.

A me come genitore, non possono togliere dalla testa la convinzione che la vaccinazione

Trivalente Morbillo- Rosolia -Parotite abbia creato uno scombussolamento nel metabolismo di

Andrea, già carente di Biotina che l’ha portato all’Autismo, e gli sto facendo fare degli esami

specifici , la ( Tipizzazione HLA ) che un "Ricercatore di danni da Vaccino" , il Dottor Massimo

Montinari, del Policlinico di Bari , che per ora non riesco a contattare, ritiene essere utili per

una eventuale diagnosi da danno da Vaccino, ma sulle Vaccinazioni c’è polemica ed interesse a

livello mondiale.

Uno studio pubblicato sulla Rivista Lancet ( potete leggere un Articolo in merito sul Sito

Pediatria Online : www.pediatria.it/famiglie/content/r_autvac.html ) ha suscitato scalpore e

pareri positivi o ferocemente contrari; negli Stati Uniti ci sono al lavoro già alcune Commissioni

d’inchiesta Governative per studiare un preoccupante incremento del 276% di casi di Autismo

in California nell’ultimo decennio ( in cui è iniziata la somministrazione del Vaccino MMR),

inoltre in un trafiletto pubblicato dal quotidiano " Il Gazzettino " del 13.09.99 , un importante

Studioso Britannico il Dottor Ken Aitken, Neurologo esperto internazionale di Autismo, che fino

a qualche mese fa escludeva Collegamenti Autismo- Trivalente), ora ha cambiato idea , in

conseguenza di questi dati Californiani, e dice che il pericolo c’è.

Per il momento comunque, su Internet vi sono Articoli sugli Studi , vi sono forti sospetti, ma

non vi sono per ora prove certe della Connessione Autismo – Vaccinazione.

Anche qui per saperne di più, utilizzando il Motore di Ricerca www.Altavista.com/ e digitando

Vaccines and Autism , si trovano molti siti quasi tutti tradotti anche in Italiano che ne parlano,

invece per trovare siti Italiani sull’Autismo, si può ancora usare "Altavista "digitando – autismo

- scegliendo la lingua Italiana ; ( con Any Linguage) saltano fuori Siti anche in Spagnolo.

In qualsiasi caso abbiamo intenzione,(nel nostro piccolo), di approfondire la ricerca sui

Vaccini, sempre nel contesto Autismo, sia attraverso Internet, si può leggere anche il Sito

Internet "Vaccinetwork" sia utilizzando molto materiale che mi è stato fornito da una

Associazione fortemente contraria alle Vaccinazioni che opera attivamente in Veneto,

CONCLUSIONE ED ASPETTI PRATICI DELLA NOSTRA RICERCA :

1) – 2). Gli eventuali danni Neurologici derivanti dal Deficit da Biotinidasi, scoperto in ritardo

e non curato, sono irreversibili, ( Febbraio 1998, Rivista PRENATAL – DIAGNOSIS , Ricercatori

Dottori Pomponio-RJ , Wolf-B e altri ), in ogni caso, con l’uso di Integratori si può inserire

Biotina nell’organismo e quindi gli eventuali problemi Cutanei e Metabolici possono essere

molto attenuati se non guariti ( Dicembre 1997, Rivista PEDIATRIC –RESEARCH , Sempre

Pomponio, Wolf e altri).

Su ciò che riguarda il Collegamento Deficit di Biodinidasi - Autismo, bisognerà attendere

risposte dagli Stati Uniti e in un futuro speriamo non lontanissimo, dal Gruppo di Ricerca

Genetico – Biochimico che sogniamo di istituire in Veneto, se la collaborazione tra i ricercatori

sarà possibile.

Ovviamente non poniamo limiti alla Provvidenza, se qualche Ricercatore, qualche gruppo di

Studio anche per Tesi di Laurea Universitaria fosse interessato, le porte sono spalancate,

3). Candida – Autismo : L’esame del Tampone Faringeo e delle Feci per la Ricerca della

Candida è un esame che riteniamo indispensabile e che viene eseguito in quasi in tutti i

Laboratori Ospedalieri, ( ricordiamo che la Candida Albicans è presente in piccole

concentrazioni in tutte le persone, però è proprio la eventuale eccessiva quantità che viene

rilevata dall’esame delle Feci e dal Tampone ).

Purtroppo questo è un esame che per il momento non viene eseguito nelle strutture

Ospedaliere che si occupano di Autismo e che per noi deve assolutamente esserne inserito, (

ricordiamo che abbiamo la Traduzione integrale del capitolo del Libro del Dottor Shaw che

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illustra anche la cura, parla dei Medicinali che si possono utilizzare per il trattamento

Antifungale.

4). Vaccinazione – Autismo: tutte le ipotesi sono aperte, noi continueremo a seguirle e

pensiamo di avere le idee più chiare tra qualche mese, visto che gli studi negli USA sono

appena iniziati e le polemiche in Inghilterra pare stiano sfociando nel ritiro dal mercato della

Vaccinazione.

In chiusura vorremmo esprimere un personale parere: a me e a mia moglie, a mano a mano

che la ricerca proseguiva, una lampante evidenza balzava agli occhi, la Presa in Carico dei

Bambini Autistici nelle Strutture Ospedaliere è molto carente sotto l’aspetto degli Esami di

Laboratorio( questa osservazione non è polemica, né provocatoria), è una semplice esperienza

personale, a nostro Figlio Andrea, preso in carico in Strutture sicuramente all’avanguardia sono

stati fatti tanti esami, nessuno però si è preoccupato, non dico dell’Enzima Biotinidasi, ma

nemmeno della Candida Albicans o della eventuale insufficienza di Zinco o dei Peptidi Urinari, e

noi ci chiediamo quali altri Esami, ritenuti indispensabili e regolarmente eseguiti nelle strutture

degli Stati Uniti, non vengono eseguiti in Italia, stiamo cercando di procurarci un elenco di tali

Esami, se chi ci legge ne fosse in possesso ce lo potrebbe inviare ?.

Ci chiediamo perciò : se la Candidosi può avere ripercussioni sulle funzioni cerebrali e sul

Sistema Immunitario ed ormai si cominciano ad avere dei dati che sono più di un sospetto,

anzi, quasi certezze, malgrado la pubblicazione di Articoli sui giornali, la presenza di Articoli sui

siti Internet, perché in Italia chi si occupa di Autismo non se n’è ancora accorto, o se se n’è

accorto, come mai non si fa ancora nulla ?.

Amici, io e mia Moglie, siamo convinti che ancora oggi nei nostri Ospedali non si sia capita

l’importanza che ha il fattore Biochimico nell’Autismo, se i Neuropsichiatri non cominceranno

ad interessarsi attivamente alla Chimica e alla Biologia, non potranno mai capire veramente

l’Autismo;( in fin dei conti, i nostri Commercialisti hanno dovuto interessarsi ed iniziare a

studiare l’Informatica ?. certo perché il loro lavoro non può più prescindere dall’uso sia dei

Computer che di Internet e quindi chi non si adeguava andava incontro a giorni magri col

rischio di finire la carriera), speriamo che la stessa cosa capiti anche ai nostri Neuropsichiatri

Infantili.

Credeteci anche Voi e lo diciamo sia all’Angsa che a quei Genitori che ci leggono pur non

essendo associati, un’altra grande battaglia da combattere tutti insieme è qui : migliorare ed

aggiornare la Presa in carico delle Strutture Ospedaliere Italiane.

A tal proposito vorremmo segnalare un interessante libro : il Punto su Psicofarmacologia nei

disturbi psichiatrici dell’infanzia e dell’adolescenza. (edito da Scientific Press s.r.l. Via A. La

Marmora, 26 - Firenze - 1° Edizione, Luglio 1999), in cui c’è una Presentazione di Paolo

Pancheri e Pietro Pfanner , la cui lettura, per noi è stata come un’illuminazione ed è inserita nel

Sito nella finestra "Terapie Farmacologiche", leggendola si ha l’impressione che finalmente stia

arrivando la luce anche per noi Italiani e , amici che ci leggete, Ve lo chiediamo col cuore,

fatela recapitare e leggere anche ai Vostri Neuropsichiatri; farete del bene anche a loro e se

avessero gli occhi un po’ socchiusi, forse glieli aprirete.

Cordiali Saluti Sonia e Roberto Rusticani

Elenco Laboratori che Effettuano l’Esame del Deficit di Enzima Biotinidasi. -Lombardia

Istituto Nazionale Neurologico C. Besta - Div. Biochimica e Genetica del Sistema Nervoso

Via Celoria 11 - 20133 – Milano Tel.: 02/2394203 Fax: 02/2664236

Resp.: S. Di Donato - B. Bertagnolio - M. Rimoldi - B. Garavaglia - C. Gellera - F. Taroni –

M.Zeviani

2211)) CCaannddiiddaa AAllbbiiccaannss

Aggiornata al 10.01.2.000

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Oggetto : Ricerca Bibliografica su Autismo e Candida Intestinale

In una nostra lettera pubblicata sul Bollettino A.n.g.s.a. Aprile / Giugno 1999 abbiamo

ipotizzato un collegamento tra Deficit d’Enzima Biotinidasi - Autismo – Candidosi, che ci ha

portato a eseguire una Ricerca su questi argomenti, ricerca che spediremo volentieri a

chiunque ne faccia richiesta.

In seguito, visti i tanti casi di Soggetti Autistici in cui si sono riscontrate altissime

concentrazioni di Candida Albicans, dopo che noi avevamo sollecitato i Genitori ad eseguirne gli

Esami, abbiamo scorporato dalla Ricerca la parte riguardante la Candida ampliandola anche

con le eventuali cure.

Tutto è nato dalla lettura di un articolo pubblicato nel numero 5 del Settembre / Ottobre

1996 datato Marcon 30.08.96 con traduzione di Maria Bonati , su uno studio sulla Candidosi

di JONATHAN BROSTOFF Primario e Direttore dell’ ISTITUTO di ALLERGOLOGIA del MIDDLESEX

Hospital di LONDRA e ricercatore di fama internazionale, tratto dal suo Libro " Guida completa

alle Allergie e alle Intolleranze Alimentari " , casa Editrice MEB , 1990 ( Via Makallè ,73 35138

Padova ).

In tale Articolo si parlava di una Ipotesi formulata nel Bollettino Luglio/Dicembre 1995 dalla

Signora Cadei sull’Ipotesi che la Candida sia implicata " in modo non ancora chiaro nella

Patogenesi dell’Autismo " ; qui a seguito riportiamo parte dell’articolo: … Si osserva

diffusamente che pazienti affetti da intolleranze alimentari hanno anche la Candidosi e

viceversa. Una spiegazione del nesso con le intolleranze alimentari potrebbe essere la

seguente: sebbene la candida sia un lievito costituito da cellule individuali a forma d’uovo, in

determinate circostanze può assumere la forma di IFE, sottili filamenti osservabili solo al

microscopio . In laboratorio questo succede quando manca Vitamina Biotina o altre sostanze

nutritizie.

Illustriamo ora i risultati delle nostre ricerche, con una doverosa premessa Iniziale: tutte

le pubblicazioni di cui ci siamo avvalsi nelle nostre ricerche sono in Inglese, noi abbiamo

tradotto il più possibile letteralmente per non incorrere in errori; e dove abbiamo dei dubbi

riportiamo anche il testo in Inglese ; Inoltre, poiché negli Studi Biologici sull’Autismo non vi

sono ancora certezze, la frase chiave è : There is a great deal of evidence that …. (

letteralmente: c’è una gran quantità di evidenze che …), per ora quindi, si parla solo di grandi

sospetti, ma non vi sono al momento sicurezze di nessun tipo e quindi tutte le conclusioni

riportate, possono essere contestabili ma sono tutte documentate e possiamo fornirle tramite

Posta Elettronica a chi le richiedesse.

Chiediamo inoltre la collaborazione di chiunque, Genitore o Medico, sia in possesso di nuove

informazioni sull’argomento, e lo preghiamo di mandarci aggiornamenti e notizie per

contribuire a migliorare questa ricerca.

Biotina – Autismo – Candida Intestinale : nella nostra lettera all’Angsa del mese di

Aprile 1999 abbiamo anticipato che avremmo sottoposto Andrea ad esami specifici per la

"Candida Albicans".

Nei Laboratori Ospedalieri , si possono fare due tipi di esami per verificare la presenza di

Candida ; il Tampone Faringeo e l’ Esame delle feci, ad entrambe gli esami, Andrea è

risultato POSITIVO.

Sulla nostra Ipotesi del Collegamento Candida – Autismo abbiamo trovato moltissimi

riscontri :

uno studio sulla Candidosi di Jonathan Brostoff, Primario e Direttore dell’ ISTITUTO di

ALLERGOLOGIA del MIDDLESEX Hospital di LONDRA e ricercatore di fama internazionale, tratto

dal suo Libro " Guida completa alle Allergie e alle Intolleranze Alimentari " , dice…… Si osserva

diffusamente che pazienti affetti da intolleranze alimentari hanno anche la Candidosi e

viceversa. Una spiegazione del nesso con le intolleranze alimentari potrebbe essere la

seguente: sebbene la candida sia un lievito costituito da cellule individuali a forma d’uovo, in

determinate circostanze può assumere la forma di IFE, sottili filamenti osservabili solo al

microscopio . In laboratorio questo succede quando manca Vitamina Biotina o altre sostanze

nutritizie.

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Un Articolo pubblicato dal quotidiano " La Stampa " del 26/2/97 a firma Ester Cohen riporta

: Una ipotesi che gode oggi di buon credito, anche grazie al riscontro pratico nella terapia, e

quella dell’intolleranza alimentare, che avrebbe all’origine una carenza enzimatica, in

particolare al glutine, sostanza proteica contenuta nei cereali, e alla caseina del latte e dei

latticini. Osservando diete rigorosissime molti autistici prima violenti e non comunicativi hanno

avuto straordinari miglioramenti.

La microbiologia ha poi dimostrato un legame tra le infezioni da Candida, un fungo che vive

normalmente sulle mucose dell’organismo, e autismo: anche in questo caso si sono registrati

successi terapeutici somministrando un buon antimicotico.

Il Dottor Stephen M. Edelson Ph.D. del Centro per lo studio dell’Autismo, Salem, Oregon,

U.s.a, nel sito Internet http://www.autism.org/ (nel menù c’è anche la traduzione in Italiano)

ed in un altro Sito http://www.autism.org/candida.html , (di cui abbiamo la traduzione

completa), dice …… Ci sono una grande quantità di evidenze ( a great deal of evidence ) che

un tipo di lievito , la Candida Albicans possa causare ( may cause ) l’Autismo e possa inasprire

molti comportamenti e problemi di salute in individui Autistici, specialmente quelli con recente

Autismo ( late-onset Autism).

.Alcuni soggetti autistici hanno, nel tratto intestinale, un’eccessiva quantità’ di un tipo di

fungo chiamato "Candida Albicans" che appartiene alla famiglia dei lieviti ed è un fungo

monocellulare ( single-cell ), questo tipo di lievito è localizzato in varie parti del corpo

compreso quelle del tratto digestivo e nel tratto intestinale vi sono dei microbi e batteri benigni

che ne limitano la quantità di lieviti ed in questo modo conservano il lievito sotto controllo.

Uno scenario tipico per l’instaurarsi della Candida può’ essere il seguente: quando ad un

bambino viene un’otite, gli antibiotici che aiutano a combattere l’infezione possono tuttavia

distruggere anche i microbi e batteri "buoni" che regolano la quantità’ dei funghi nell’intestino,

il risultato e’ che i funghi crescono rapidamente e rilasciano tossine nel corpo; queste tossine

possono a loro volta influenzare le funzioni cerebrali.

Si pensa che elevati livelli di Candida Albicans possano essere un fattore che contribuisce a

molti dei loro problemi comportamentali in quanto quando i lieviti si moltiplicano, essi

rilasciano tossine nel corpo umano e queste tossine possono deteriorare il Sistema Nervoso

Centrale ed il sistema Immunitario.

Alcuni dei problemi di sviluppo che sono collegati ad un eccessivo sviluppo di Candida

Albicans, possono essere : Confusione, Iperattività, brevi tempi di attenzione, letargia,

irritabilità ed aggressività. Problemi di salute possono includere : Emicranie, Stomatiti,

Costipazione, Gas Intestinali, affaticamento e depressione.

Questi problemi spesso peggiorano durante i periodi umidi e caldo afosi e nelle zone umide.

Inoltre, esposizioni a profumi e insetticidi possono peggiorare le condizioni.

Nota Interessante : Edelson si lamenta e mette in grande evidenza che il Trattamento

per la cura della Candida, anche negli Stati Uniti, raramente viene eseguito nelle cure

dell’Autismo, pur essendo riscontrato che le persone sofferenti per questi problemi, possono

migliorare la loro salute ed il comportamento seguendo la Terapia.

Anche Donna Williams, parla diffusamente di Candida nel suo ultimo libro " Il mio e il loro

autismo" , tra l’altro con approcci ed ipotesi diverse, ma sempre interessanti: per cominciare,

dice la Williams, sia lei, che Paul,il marito, hanno la Candida Albicans, un’infezione da lievito

che io e lui abbiamo probabilmente avuto fin dall’infanzia. Entrambi abbiamo problemi correlati

alla tossicità, alle allergie da cibi e sostanze chimiche, a deficit di vitamine/minerali e a

ipoglicemia reattiva, ciascuno dei quali influenza il rifornimento di ossigeno e di altre sostanze

nutritive del cervello e sono queste sostanze che assicurano un’efficiente elaborazione, accesso

e monitoraggio delle informazioni.

Inizia poi la trattazione spiegando che l ’efficienza dell’elaborazione delle informazioni è

influenzata dal rifornimento di sostanze nutritive al cervello. Una delle cause principali di

interferenza nella fornitura dei nutrimenti, sono le difficoltà dei sistemi immunitario e

autoimmune, una delle cause sottostanti tali problemi e che si verifica più comunemente è la

Candida Albicans.

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Questa può interessare lo stato generale di salute (sistema immunitario), così come portare

ad allergie multiple al cibo o a sostanze chimiche (correlate al sistema auto—immunitario).

Può anche causare o aggravare una condizione chiamata Ipoglicemia reattiva che può

portare a gravi fluttuazioni o squilibri ormonali così come a deprivazione intermittente nel

rifornimento di ossigeno e glucosio del sangue al cervello.

La Candida albicans è un’infezione da fungo; si verifica quando l’equilibrio naturale della

flora nel tratto intestinale è disturbato. I fermenti in genere vivono lì, si moltiplicano con

l’assunzione di alimenti come gli zuccheri raffinati e muoiono naturalmente. La loro

moltiplicazione è generalmente controllata dal sistema immunitario naturale del corpo ("germi

buoni"), così che anche con una dieta ad alto contenuto di zucchero, il loro numero può essere

mantenuto basso nella maggior parte delle persone.

Quando l’immunità naturale del corpo si riduce, in genere si autocorregge dopo un po’

perché i "germi buoni" si rimoltiplicano, ma se viene costantemente e cronicamente attaccata,

la quantità dei germi non è sufficiente e i fermenti non vengono tenuti sotto controllo. Se ciò

avviene, questi si moltiplicano con una velocita tale da produrre troppe sostanze tossiche

perché il corpo possa gestirle.La tossicità può farvi sentire fisicamente indeboliti o provocare

sofferenze croniche o dolori: cosa ancor più grave, come tutti i tipi di intossicazione, può ledere

il cervello.

Ciò significa che può influenzare i vostri stati d’animo, le vostre capacità di risposta o di

efficiente elaborazione delle informazioni, proprio come può fare l’alcool.

Le cause della Candida albicans sono numerose: possono comprendere un basso livello

immunitario ereditario, una storia di ripetute cure antibiotiche (che uccidono non soltanto i

germi dannosi, ma anche quelli "buoni"), l’uso frequente di steroidi (come i farmaci antiasma

che distruggono anche l’immunità naturale del corpo) e l’uso a lungo termine di certi farmaci

(che sopprimono l’immunità naturale), tutto ciò contribuisce in modo cumulativo ad eliminare

le difese generali del corpo, permettendo la proliferazione dei fermenti.

Un ambiente cronicamente contaminato (fumo di sigaretta, gas di scappamento, aerosol,

profumi, contaminazione da fabbriche), una dieta con forti dosi di additivi chimici come,

sostanze coloranti, aromi, conservanti e decoloranti (usati nella maggior parte degli zuccheri e

della farina bianca), alcool e mancanza di regolare esercizio fisico (l’esercizio regolare aiuta

l’organismo a liberarsi da solo delle sostanze tossiche), tutto può contribuire all’accumularsi

della tossicità nel corpo. peggiorando le conseguenze della Candida, e a sovraccaricare

l’organismo a tal punto che può far poco per aiutarsi.

Una dieta con alto contenuto di carboidrati raffinati aumenta la moltiplicazione dei fermenti,

già priva di controllo, nel tratto intestinale. Questi carboidrati raffinati includono gli additivi

zuccherini che si trovano nei cibi in commercio in barattoli e pacchetti, dolci, bevande e cibi

fatti con farina bianca. Anche sostanze non nutrienti e fermentanti. come il lievito dei fornai, su

cui i fermenti naturali dell‘organismo prosperano e si moltiplicano, contribuiscono al problema.

In entrambi i processi di moltiplicazione, così come quando muoiono spontaneamente, i

fermenti producono tossine nel sangue e il sistema, già in genere sovrasollecitato, deve

cercare di liberarsene.

La Candida disturba anche il sistema autoimmunitario del corpo ed è quindi causa

importante nello sviluppo di allergie a cibi e sostanze chimiche. Le allergie aumentano

ulteriormente lo sforzo del corpo che deve usare la maggior parte dei suoi nutrimenti per

opporsi alle reazioni allergiche. Ciò vuoi dire che gravi allergie a gruppi di cibi e sostanze

chimiche, possono ridurre l’ossigeno nel sangue, così come consumare tutta una gamma di

vitamine e minerali che altrimenti sarebbero usati per il funzionamento del cervello, la

regolazione dell’umore e il restauro delle cellule.

La conseguenza della riduzione del rifornimento di sostanze nutritive al cervello, in termini di

regolazione dell’umore ed elaborazione di informazioni, è stata definita "allergia cerebrale".

Le allergie cerebrali sono quindi la combinazione degli effetti della tossicità sul cervello e

delle comuni allergie sulla circolazione e sul rifornimento di sostanze nutritive. Esse possono

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rendere qualche persona "maniaca" e qualche altra incapace di prestare attenzione o

comprendere.

Poiché queste sostanze nutritive sono usate altrove, ciò può non soltanto ridurre l’efficienza

dell’elaborazione delle informazioni e la capacità di regolare gli stati d’animo, ma significa

anche che il corpo è meno in grado di autocurarsi. Ciò lo rende più soggetto a infezioni e

incapace di combatterle, una volta instaurate, portando qualcuno a reazioni allergiche come

l’asma e gli eczemi o ad infezioni come le bronchiti croniche o ripetute infiammazioni alle

orecchie, agli occhi o al la vescica.

Donna Williams poi accenna ad un libro: Medicina del XXI secolo, del Dr. Julian Kenyon,

medico generico specializzato in medicina alternativa,21st Century Medicine, Thorson, 1986,

che parla di disbiosi (condizione che influenza la permeabilità del rivestimento intestinale); egli

ipotizza che le cause di fondo o collaterali della disbiosi comprendano le conseguenze dell’uso

di antibiotici comuni sull’equilibrio della flora intestinale normale (l’equilibrio di batteri presenti

normalmente, che favoriscono digestioni e immunità), così come una nutrizione scadente

dovuta all’assunzione di alte quantità di cibi da scarto o lo stress cronico o conseguenze di

attacchi di enteriti. Il Dott. Kenion scrive: La cosa più importante è che sembra esserci un

rapporto tra la permeabilità (valore della capacità di filtrare sostanze) della mucosa intestinale

(il rivestimento interno dell’intestino) e la normale flora intestinale. Se la flora è anormale o

non equilibrata, la mucosa gastrointestinale diventa anormalmente permeabile, come un

setaccio con i fori troppo grandi, permettendo l’assorbimento di proteine decomposte in modo

non adeguato e il riassorbimento di tossine dal contenuto intestinale.

Sulla connessione di tutto ciò con l’intolleranza al cibo, scrive: "Ciò è quanto accade spesso

nella sensibilità al cibo e, nella mia esperienza, la disbiosi ne è una delle principali

cause».Continua poi descrivendo l’effetto di queste tossine sul fegato, uno degli organi

principali coinvolti nella sintesi di vitamine e minerali, così come nella regolazioni del

metabolismo di zuccheri, grassi e proteine.

Egli prosegue facendo un collegamento con le proteine e l’efficacia della terapia

megavitaminica dicendo: I batteri intestinali possono sintetizzare le vitamine, soprattutto del

gruppo B. ma anche la vitamina K. Nella disbiosi, ha maggioranza delle vitamine prese per

bocca, sia nei cibi sia nella sostituzione vitaminica, sarà assunta dai bacteri anomali, portando

ad un deficit vitaminico.Ciò può essere il motivo dell’efficacia di forti dosi di vitamine, mentre

dosi basse non danno risultati...La mia ipotesi è che, se la disbiosi di fondo fosse

adeguatamente curata, sarebbe allora sufficiente una dose minore di vitamine.

E sulla connessione tra disbiosi e Candida scrive: il suo riconoscimento (Candida albicans) è

spesso fondamentale per la soluzione positiva della sensibilità a molti cibi in molti pazienti.

Nella mia esperienza, se la disbiosi viene risolta con successo, usando complessi omeopatici e

adeguate misure di supporto, allora la Candida scomparirà assieme alla maggior parte, se

nomi tutte, delle sensibilità al cibo.

La Williams, collega poi la Candida anche all’Ipoglicemia, scrivendo: l’ipoglicemia è una

condizione metabolica per la quale si hanno improvvisi cali del livello dello zucchero nel

sangue. Questi cali possono produrre torpore e incapacità di elaborare informazioni, di iniziare

un’azione, ragionare, concentrarsi o prestare attenzione.

Prima di questi cali improvvisi, c’è spesso una netta crescita di tale livello che può portare

all’incapacità di controllare il comportamento e ad uno scoppio violento di emotività o attività.

Le persone affette da questo problema sembrano talvolta passare da un estremo all’altro: a

qualcuno di loro è stata fatta una diagnosi sbagliata di depressione maniacale o disturbi

dell’umore.

La causa dell’ipoglicemia può essere ereditaria e trasmessa geneticamente; i sintomi che

potrebbero evidenziarsi nei membri più anziani della famiglia sono: diabete in età matura,

insaziabilità di zucchero o una storia di alternanze di umore. L’ipoglicemia reattiva, però, può

essere acquisita come conseguenza della Candida albicans; in questo caso gli attacchi di

ipoglicemia possono non essere basati soltanto sulla quantità di tempo che intercorre tra i

pasti, ma su quanto è stato mangiato durante tutta la giornata, sull’esposizione al fumo di

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sigaretta o a sostanze chimiche nell’aria, su farmaci assunti e sul livello generale di stress,

compresi stati emotivi estremi o reazioni estreme a stimoli sensoriali.

Il trattamento dell’ ipoglicemia, contrariamente all’impressione data dal termine, non si basa

sull’assunzione di zuccheri, che in realtà contribuirebbe nel tempo ad aggravare la condizione.

Se non curato, chi soffre di questo stato e indulge su cibi e sostanze zuccherati, può passare

da uno stato medio ad uno grave.

.Ancora una volta bisogna considerare e affrontare la possibilità che la causa del problema

sia la Candida albicans. Poiché pancreas e fegato sono anch’essì coinvolti nella regolazione

dello zucchero nel sangue (così come la disintossicazione), è anche importante esplorare la

disfunzione in questi organi e gli squilibri ormonali (per esempio la secretina, responsabile

della produzione di enzimi nel pancreas e nel fegato).

Nel libro si parla anche di scompensi Ormonali : una situazione di stress violento, prolungato

e cronico è un esempio di qualcosa che potrebbe agire direttamente sui livelli ormonali. Anche i

disturbi del sistema immunitario, come la Candida albicans, sono causa di tali squilibri e

dovrebbero essere affrontati ed eliminati da persone consapevoli e preparate su queste

condizioni, prima di cominciare cure con sostanze correlate agli ormoni.

E per finire parla anche di intolleranze : Anche quando si scopre che l’intolleranza alla farina

di frumento è dovuta al glutine e quella al latte è dovuta al lattosio, bisogna comunque cercare

le cause di fondo. Può essere, per esempio, che tali intolleranze siano sorte come conseguenza

di deficienze enzimatiche curabili, dovute a disfunzioni curabili del pancreas e/o del fegato o ad

un problema con l’ormone secretina, responsabile della produzione di enzimi, necessari alla

scomposizione del glutine e/o del lattosio. Può essere che l’intolleranza al frumento o al latte

sia soltanto un sintomo dell’infezione da fermenti Candida albicans, che dovrà essere anch’essa

affrontata.

Lo zucchero, non soltanto aggrava l’infezione da Candida, ma ha un alto livello nel

complesso fenolico, acido gallico, implicato nella dislessia, nell’iperattività e nei disturbi di

deficit attentivi oltre ad essere causa importante di aggravamento dell’ipoglicemia. Chi prende

in considerazione una dieta priva di zucchero, deve anche studiare la possibilità di condizioni

sottostanti curabili, come la Candida albicans, l’intolleranza all’acido gallico e qualsiasi possibile

disfunzione del fegato e del pancreas.

Una dieta priva di additivi è comunque una buona idea per chiunque, con o senza problemi

di disintossicazione (con i conseguenti effetti sul cervello) perché, fondamentalmente, gli

additivi sono per la maggior parte sostanze estranee messe miei cibi per dare a questi una vita

più lunga negli scaffali e renderli più attraenti per il compratore. Ancora. molti cibi che

contengono additivi hanno poi un alto contenuto in acido gallico e poiché sia la Candida sia la

disfunzione del fegato sono coinvolti nella disintossicazione, può essere un’idea esplorare

anche che cosa accada in queste aree.

Il trattamento terapeutico in genere comporta cure antimicotiche, come capsule con alte

dosi di aglio o di acido caprilico (olio di cocco) oppure un farmaco antifungino, chiamato

Nystatin. Nelle prime due settimane ditale trattamento i sintomi talvolta peggiorano (a causa

della frequenza di eliminazione di fermenti drammaticamente aumentata), ma poco dopo in

genere si vedono significativi miglioramenti. Oltre a ciò, per migliorare la situazione, sono

talvolta necessari cambiamenti dietetici e ambientali che, come le cure antimicotiche,

potrebbero protrarsi per sei mesi nei casi lievi o per due anni e anche più se il problema è più

grave: non sono dannosi se applicati a situazioni in cui non sarebbero necessari. In ogni caso,

dovrebbero essere preferibilmente usati sotto la supervisione di un dietista attento e

consapevole di questa condizione.

Potrebbe essere molto difficile trovare questo tipo di aiuto professionale da parte di un

medico generico, ma forse più facile nel campo della medicina alternativa o complementare su

indicazione della locale erboristeria.

Per saperne di più su lieviti e candida Albicans, potete visitare il Sito Internet dell’ Autism

Research Institute’s. l’Istituto pubblica degli elenchi contenenti estese informazioni e libri sui

lieviti.

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Segnaliamo inoltre che il Dottor William G. Crook, ha scritto alcuni eccellenti libri sui lieviti ,

tra cui l’ultimo : " The Yeast Connection Handbook ". del 1996

Tornando al Dottor William Shaw , vediamo che nel suo libro BIOLOGICAL

TREATMENTS FOR AUTISM AND PDD ( di cui abbiamo la traduzione ), parla anche di

Biotina- Candida : La Biotina è una delle vitamine essenziali, fu denominata Vitamina H, la

Biotina è una delle vitamine che vengono prodotte dai batteri nel tratto intestinale, l’uso degli

Antibiotici può eliminare questa produzione batterica della Biotina, portando un deficit da

Biotina, accenna ad una problematica avuta dal figlio dopo una massiccia cura a base di

antibiotici, questa esperienza familiare attirò la Sua attenzione su alcuni degli effetti meno

miracolosi dell’uso di farmaci Antibiotici e stimolò il suo interesse sul ruolo che i microrganismi

giocano nella biochimica umana.

Oltre al suo ruolo nutrizionale negli umani, la Biotina è necessaria ad altre creature, inclusi i

Lieviti, tuttavia quando i Lieviti sono esposti alla Biotina , essi sono stimolati a crescere ma è

meno probabile che si convertano alla loro forma di micelio che è la forma in cui invadono i

tessuti.

Inoltre il Dottor Shaw ha condotto importanti ricerche sui lieviti ed i loro effetti su individui

Autistici, egli ha recentemente scoperto un microbo metabolita ( microbial Metabolites ) nelle

urine di bambini Autistici che scaturisce sensibilmente e ragguardevolmente dopo i trattamenti

anti fungali ( who responded remarkably well to anti-fungal treatment ).

Il Dottor Shaw ed i suoi collaboratori hanno osservato una diminuzione negli acidi organici

urinari ed un decremento in iper attività e controllo stimolatorio e comportamento stereotipato,

ed un incremento nel contatto visivo, vocalizzazione e concentrazione (. Dr. Shaw and his

colleagues observed a decrease in urinary organic acids as well as decreases in hyperactivity

and self-stimulatory, stereotyped behavior; and increases in eye contact, vocalization, and

concentration ).

Il Dottor William Shaw ha preparato alcuni test organici ( as well as addizional testing ) sulla

Candida; egli può essere contattato presso The Great Plains Laboratory for Health, Nutrition,

and Metabolism, 9335 West 75th Street, Overland Park, KS 66204, U.S.A; telephone: (913)

341-8949; and fax: (913) 341-6207.

A tutt’oggi io e mia moglie possiamo dire che già parecchi genitori a cui abbiamo sollecitato

di fare l’esame della candida hanno trovato un eccesso del fungo nell’intestino e mio figlio,

dopo aver seguito per 2 mesi una cura con medicinali e dosi suggerite dal Dottor Shaw , negli

ultimi esami che abbiamo fatto eseguire è risultato negativo a tutti e due gli esami, (

ricordiamo che la Candida Albicans è presente in piccole concentrazioni in tutte le persone,

però è proprio la eventuale eccessiva quantità che viene rilevata dall’esame delle Feci e dal

Tampone ), ed abbiamo notato che è cambiato anche il suo comportamento, non va più alla

spasmodica ricerca di zuccheri, è meno iper-attivo ed ha aumentato notevolmente i momenti

di attenzione perciò vogliamo sottolineare che l’esame del Tampone Faringeo e delle Feci, per

la Ricerca della Candida, è un esame che riteniamo indispensabile nella Presa in Carico di un

Soggetto Autistico da parte delle Strutture Ospedaliere e di tutte le Neuropsichiatrie Infantili

che si occupano di questa Sindrome. Purtroppo questo è un esame che per il momento

non viene eseguito sui Soggetti Autistici , ma, con gli importanti riscontri che questa

ricerca ha evidenziato, e contiamo sull’aiuto e la divulgazione di chi ci legge, siamo

certi di sensibilizzare i nostri Medici su questo argomento importante ma poco

conosciuto della Biologia dell’Autismo.

Cure per eliminare gli eccessi della Candida: Da Valutare col Vostro Medico Curante

Non essendo Medici, riportiamo le varie Cure ed i dosaggi così come ci sono stati segnalati

da Medici Omeopati e Erboristi di provata esperienza, quelli Farmacologici sono tradotti

letteralmente dall’Inglese; ricordiamo di nuovo che esperienze negative sconsigliano le cure "

fai da te", perciò è indispensabile che queste Cure siano Valutate insieme al Vostro Medico

Curante

*** Al momento di iniziare una qualsiasi cura, bisogna anche apportare modifiche alla

alimentazione iniziando un tipo di dieta, povera di zuccheri e possibilmente mangiando cibi

senza additivi che possano far prosperare i lieviti.

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1). Cure Naturali, Erboristiche, Omeopatiche : ci sono state segnalate parecchie cure:

una cura a base di "Estratto Concentrato di Semi di Pompelmo" ; per l’efficacia dell’estratto,

si consiglia ai pazienti di iniziare con dosi molto basse per minimizzare l’effetto " die off ".

Settimana# 1: " 3 – 9 gocce in un bicchiere con 5 – 6 oz d’acqua ogni giorno". Settimana# 2:

" 3 – 9 gocce in un bicchiere d’acqua due volte al giorno" . Settimana# 3: " 3 – 9 gocce in un

bicchiere d’acqua tre volte al giorno". E’ possibile modificare questo protocollo se il paziente

non manifesta sintomi " die off ". Il trattamento può durare da 1 a 3 Mesi secondo la gravità

delle condizioni.

una cura che prevede l’utilizzo di Candidophilus (Complesso di Lattobacilli non derivato da

latticini ), si tratta di Capsule contenenti Acido Caprilico, Complesso di Lattobacilli , Estaratto di

Aglio Inodore, Estratto di Echinacea, Germanio Organico ( GE 132), Selenio Oerganico ( L-

Seleniometiotina ). Posologia : Normalmente 1 – 2 Capsule al giorno per circa 1 – 3 Mesi.

una cura che utilizza il cosiddetto Albero dell’Olio ( Tea Tree Oil puro al 100%). Posologia : 5

Gocce su un cucchiaino da Tè con Zucchero o miele , 3 Volte al dì, 1-3 Mesi.

una cura che utilizza l’Estratto Secco di Corteccia di Lapacho ( legno duro Brasiliano).

Posologia : Fare una Tisana, e berla 3 Volte al giorno, lontano dai pasti per 1 – 3 Mesi.

Una cura fitoterapica utilizza un prodotto chiamato Colorex ( non indicato per bambini)

Posologia : 1 Capsula al giorno per i soliti 1 – Mesi.

Ci hanno segnalato due cure Omeopatiche; 1 a base di Granuli di " Candida Albicans 9 ch. "

Posologia : 3 Granuli per 1 Volta al dì ; la cura può durare da 2 a 3 mesi.

L’altra a base di gocce di " Candida Albicans D5 " in acqua bidistillata; questo rimedio

rafforza le difese immunitarie cellulari mediante la stimolazione della popolazione linfocitariaT.

L’effetto isopatico è dovuto alla associazione di due fasi della candida Albicans: la fase

saprofitica e la fase parassitaria fungina. Posologia: da 5 a 10 gocce al giorno prima di un

pasto. La durata è la solita 2-3 Mesi.

*** Associata alle cure Omeopatiche è ritenuto indispensabile utilizzare prodotti che ricreino

la Flora Microbica , utilizzando prodotti come il ( Bifiselle), precursore del Bacterium Bifidus ed

il (Ramnoselle), precursore del Bacterium Ramnosus , o prodotti simili.

3). Cure Farmacologiche : Riportiamo la Traduzione Letterale dei Paragrafi che ne parlano

nel Testo del Dottor Whilliam Shaw : BIOLOGICAL TREATMENTS FOR AUTISM AND PDD.

Prescrizione di Prodotti Antimicotici …..( vedi eliminazione della Candida )

Nystatin è uno dei farmaci più vecchi e sicuri . La sua sicurezza è dovuta al fatto che non

viene assorbito dal torrente sanguigno alle dosi più comunemente prescritte. L’ intero tratto

intestinale è un tubo lungo con la bocca ad una estremità e l’ano all’altra estremità.

Virtualmente il 100% di Nystatin viene eliminato nelle feci . Poiché il Nystatin non entra nel

flusso sanguigno / torrente ematico a livelli apprezzabili, è molto sicuro e non può causare

alcun effetto collaterale indesiderato.

Il Nystatin è così sicuro che in Germania è disponibile senza ricetta. ….. non conosco alcun

effetto collaterale che sia mai stato riscontrato con l’uso del Nystatin.

Molti bambini affetti da Autismo non vorranno prendere capsule, per cui la sospensione

liquida di Nystatin appare la migliore. I nomi commerciali delle sospensioni di Nystatin sono :

Mycostatyn prodotto dalla Squibb e Nilstat prodotto dalla Lederle … ( questo negli U.S.A.).

William Crook M.D. avverte che questi prodotti contengono sia coloranti che zucchero.

Inoltre molti bambini Autistici non vogliono prendere Nystatina pura in capsule o polvere a

causa del suo sapore amaro, propongo di aggiungere un edulcorante naturale come il FOS (

frutto oligo saccaride) o STEVIA alla dose di polvere pura.

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Tutti i farmaci antimicotici causano la reazione di Herxeimer o reazione di eliminazione del

lievito.

Ho riscontrato un numero significativo di descrizioni di aumentata aggressività dei bambini

con Autismo quando viene somministrato loro da 4 a 8 Volte la dose raccomandata di Nystatin.

Un comportamento in particolare è stato riportato da genitori diversi ; quello in cui il

bambino tendeva a pizzicare il petto anche di donne estranee . Ritengo che questo

comportamento dipenda dai coloranti alimentari usati nell Nystatina.

Amphotericin B , che può essere molto tossico quando introdotto endovena, è invece molto

sicuro per via orale. Quando viene somministrato oralmente, la sua sicurezza è comparabile a

quella del Nystatin perché è poco assorbito dal tratto gastro intestinale. …..

Gli altri farmaci antimicotici sono diversi dalla Amphotercina e dalla Nystatina perché essi

sono notevolmente o completamente assorbiti dal tratto intestinale dentro il flusso ematico. (

in that they are appreciably or completely absorbed from the intestinal tract into the

bloodstream ). C’è una lieve incidenza di tossicità epatica in tutti questi farmaci che non è un

fattore inerente all’uso orale dell’ Amphotericin B e del Nystatin.

Quando questi farmaci antimicotici vengono usati è necessario eseguire un test di

funzionalità epatica per essere certi che non venga danneggiato il fegato. Questi farmaci

antimicotici assorbibili, includono : DIFLUCAN , NIZORAL , SPORANOX e LAMISIL . Anche se

questi farmaci sono considerati sicuri per la maggior parte , non sono tanto sicuri come l’

Amphotericin B e il Nystatin.

Un aumento nell’attività degli enzimi del fegato dovuto ad una perdita dal fegato

danneggiato è di solito indicativa della tossicità del farmaco. Tuttavia un aumento modesto

nell’attività di questi enzimi dopo somministrazione di vitamina B6 , non è un indicatore di

tossicità epatica. La vitamina B6 aumenta l’attività di certe transaminasi o enzimi della

funzione epatica chiamati AST ( SGOT ) e ALT ( SGPT ). La vitamina B6 è un cofattore

essenziale per questi enzimi. Bisogna tenere conto di questi effetti quando si usano questi test

per monitorizzare la funzione epatica quando si usano farmaci antimicotici sistemici.

Se l’integrazione di B6 è iniziata allo stesso tempo del farmaco, un moderato aumento

dell’enzima epatico può essere dovuto all’attivazione degli enzimi dipendenti da B6 piuttosto

che dal rilascio di questi enzimi da parte del fegato danneggiato.

*** (La parte che segue ha subito un aggiustamento da parte nostra perché la traduzione

letterale ci era poco chiara), riportiamo a fine paragrafo il testo in lingua Originale :

Quando vengono usati questi farmaci assorbibili, è necessario controllare l’uso di altri

farmaci che possono essere sottoposti ad un meccanismo di antitossicità da parte del fegato,

questi farmaci includono medicamenti neurolettici come Fenotrazine e Aroperidol e

Antidepressivi come le Anitriptaline.

Il metabolismo di questi farmaci può anche essere influenzato e andrebbe controllato sia con

il medico che con il farmacista prima di usarli per il proprio figlio.

Quando questi farmaci vengono usati con farmaci antimicotici assorbibili, il metabolismo di

entrambe i farmaci può essere rallentato e la quantità somministrata di questi farmaci può

involontariamente aumentare . Perciò in questo caso, il dosaggio di entrambe i farmaci deve

essere ridimensionato abbassandolo.

Sporanox, ha anche un altro effetto collaterale indesiderato in quanto inibisce la produzione

di testosterone ad alte dosi e potrebbe influenzare lo sviluppo sessuale del maschio.

Il motivo è che questo farmaco antimicotico funziona prevenendo la sintesi dello steroide

fungino ergosterolo ( fungal steroid ergosterol ) da parte di funghi e lieviti, sfortunatamente il

sistema umano che produce lo steroide umano del testosterone è inibito da questo farmaco;

Il Diflucan, invece non ha questo effetto a dosi normali.

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Se ci sono tutte queste preoccupazioni con questi antimicotici assorbibili, perché usarli

allora?. La risposta semplice è che alcuni lieviti e funghi sono resistenti al Nystatin e al

Amphotericin B orale oppure i lieviti possono essere all’interno degli strati più profondi della

parete del tratto intestinale dove il Nystatin non può agire.

Nystatin e Amphotericin B oral che agiscono principalmente sui lieviti intestinali possono

essere inefficaci nel trattare persone con più gravi infezioni della pelle e unghie.

Come somministrare il Nystatin: accludo maggiori dettagli sul Nystatyn perché è il

farmaco usato più comunemente e perché è uno dei più sicuri ed efficaci. Le sospensioni più

comuni di Nystatin sono formulate per avere 100.000 unità per cc o ml.

5 cc o 5 Ml sono l’equivalente di un cucchiaio da the. Poiché molta gente usa un cucchiaio

comune invece del misurino per dare farmaci liquidi, io consiglierei di usare un dosatore

preciso. Ci sono troppe variabili nell’uso di un cucchiaio.

La considerazione principale per usare il Nystatin è come evitare gli effetti collaterali della

reazione del corpo alla morte dei lieviti. Si può ottenere questo aumentando gradualmente il

dosaggio di Nystatin in modo da minimizzare la gravità della morte dei lieviti.

Quando si usa questo approccio , i lieviti vengono uccisi in un periodo di tempo più lungo

piuttosto che durante un periodo più breve.

Un dosaggio tipico per una persona da 2 a 8 Anni è riportato nella tabella 1.

Giorno 1 Giorno 2 Giorno 3 Giorno 4 Giorno 5 Giorno 6 e Successivi

Al dì 0,50 ml 1,00 ml 2,00 ml 3,00 ml 4,00 ml 4,00 ml

In dosi: 1 dose 2 dosi 2 dosi 3 dosi 4 dosi 4 dosi

*Si intende : il Giorno 2 , dare due dosi da 0,50 ml , gg 3 : due dosi da 1,00 ml , gg 4 : 3

Dosi da 1, 00 ml; dal giorno 5 in poi, non aumentare più e dare sempre 4 dosi da 1,00ml.

Molto Importante:

***** Le dosi per i ragazzi dagli 8 anni ai 12 anni dovrebbero essere di circa il 50 % più alte

di quelle della tabella 1 ed i ragazzi sopra i 12 anni e gli adulti dovrebbero raddoppiare le

modalità sopra indicate. Questi dosaggi sono un personale suggerimento del Dottor Shaw

Risulta molto interessante sapere che se è la candida Albicans a creare problemi di salute e

di comportamento, vi è un peggioramento dei sintomi qualche giorno dopo il trattamento anti-

fungale, quando il lievito viene distrutto, i suoi frammenti circolano attraverso il corpo finchè

non vengono espulsi; in questo modo, se una persona, mostra comportamenti negativi subito

dopo aver ricevuto il Trattamento Antifungale per Candida Albicans , ( la Reazione di

Herxeimer ), è probabile che si abbia una buona prognosi di eliminazione dell’eccesso del

fungo.

Oltre ai metodi di Cui sopra per il trattamento dell’eccesso di lieviti, si possono prendere

supplementi nutrizionali che ricreino nel tratto intestinale i microbi "buoni " (ad esempio

acidophilus ).

E’ anche raccomandato che le persone trattate utilizzino una speciale dieta, povera di

zuccheri e di altri cibi che possano far prosperare i lieviti.

Se i sintomi della reazione sono troppo severi, si può tenere la dose giornaliera ad un

livello più basso prima di risalire alla dose successiva . Se la concentrazione dei metaboliti dei

lieviti è nella gamma della normalità quando viene testata ancora dopo 30 giorni, si può

continuare questo dosaggio. Se i metaboliti dei lieviti sono significativamente più elevati dopo

30 giorni di terapia, la dose di Nystatin può essere aumentata del 50 – 100 % . La reazione si

può verificare ancora quando viene aumentato il medicamento in caso contrario bisogna

passare all’altro tipo di medicinali.

Cordiali Saluti Sonia e Roberto Rusticali

2222)) DDiissttuurrbbii ddeell ssoonnnnoo -- MMeellaattoonniinnaa

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MELATONINA: NESSUN EFFETTO COLLATERALE CONOSCIUTO

La melatonina non presenta nessuno degli effetti collaterali negativi associati ai farmaci

contro l'insonnia. Tanto per cominciare non altera in maniera significativa la struttura del

sonno. Nel 1974 un gruppo di ricercatori concluse: " il sonno portato dalla melatonina, dal

punto di vista sia del comportamento sia della struttura poligrafica e' simile in modo

sorprendente al sonno naturale".

Questa circostanza e' stata confermata anche da studi condotti in seguito. Il sonnifero

naturale melatonina, inoltre, non interferisce con la memoria o con il rendimento del giorno

successivo. In uno studio sul sonno pomeridiano condotto presso la Green State University

dell'Ohio, a un gruppo di giovani uomini venne somministrata a caso una dose da 11 o 10 o 40

mg di melatonina. I partecipanti vennero quindi invitati a fare un sonnellino. Quattro ore piu'

tardi, tutti gli uomini che avevano preso la dose da 40 mg dormivano ancora profondamente e

dovettero essere svegliati.

Poco dopo il risveglio, vennero assegnati loro alcuni test per verificare il rendimento, la

capacita' di ricordare e lo stato di stanchezza. Secondo alcuni ricercatori i risultati dei test

indicavano che la melatonina non aveva prodotto alcun effetto di stanchezza residua, ne' effetti

sulla memoria o sul rendimento: ben diversamente da cio' che si osserva con la maggior parte

delle benzodiazepine.

La melatonina non sembra avere effetti collaterali negativi nemmeno negli anziani. Questa

scoperta e' importante, poiche' la categoria degli anziani tende ad essere piu' sensibile agli

effetti negativi di tutti i farmaci, compresi quelli contro l'insonnia.

In uno studio condotto nel 1994 presso l'OHSU a un gruppo di anziani in buona salute ( eta'

media 85,5 ) furono somministrati 50 mg di melatonina, una dose molto elevata. nemmeno

questa quantita', tuttavia, comporto' alcuna interferenza con la loro memoria, capacita' di

concentrazione o abilita' motoria. Un altro motivo per il quale la melatonina costituisce un

rimedio cosi' valido contro l'insonnia e' che i suoi effetti non sono temporanei.

Le benzodiazepine possono perdere efficacia dopo sole due o tre notti di impiego. Al

contrario la melatonina puo' divenire piu' efficace con l'impiego prolungato. Questo fatto e'

estremamente importante per gli anziani. la maggior parte degli anziani che soffrono di

insonnia presenta difficolta' croniche e non temporanee ad addormentarsi, tuttavia i farmaci

esistenti non sono consigliabili per un impiego cronico.

Fino a questo momento quindi gli anziani dovevano scegliere fra notti insonni e l'abuso dei

farmaci loro prescritti.

Tratto dal libro di Russel J. Reiter Melatonina Ed. Mondadori

SPALANCARE LE PORTE AL SONNO

Jean L., 69 anni, attribuisce alla melatonina il merito di averla salvata da una lotta contro

l'insonnia durata tredici anni. Comincio' ad avere difficolta' a dormire dopo essersi sottoposta

ad un'isterectomia, all'eta' di 55 anni.

Dopo l'operazione riusciva a dormire solo da tre a quattro ore ogni notte. Ben presto la

mancanza di sonno la porto' ad uno stato di disperazione: "Lavoravo nel settore della vendita

al dettaglio di capi di abbigliamento" ricorda "ed ero in contatto con ottocento clienti la

settimana.

Il mio lavoro richiedeva un'attenzione costante. Arrivai al punto di non riuscire piu' a

ricordare i nomi, anche delle persone che conoscevo davvero bene. Perdevo il filo del discorso

da un momento all'altro: tutti si erano accorti che avevo qualcosa che non andava".

Jean consulto' infine il proprio medico, il quale le prescrisse un farmaco contro l'insonnia

chiamato triazolam, che la fece dormire fin dall'inizio della terapia. " Fu miracoloso" ricorda

ancora Jean. "Agiva in fretta e mi faceva dormire per tutta la notte". Continuo' ad assumere il

triazolam per tre anni.

Un bel giorno, senza alcun preavviso, il medico si rifiuto' di scriverle una nuova ricetta. "Mi

disse che erano stati scoperti degli effetti collaterali nocivi del triazolam e che non voleva che

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ne prendessi piu'." Immediatamente l'insonnia ritorno', solo che questa volta era peggio di

prima. Jean soffriva infatti di un'ulteriore problema: era caduta in una profonda depressione.

"Nessuno mi aveva detto che non sarei piu' riuscita a dormire interrompendo la terapia"

ricorda, "o che mi sarei sentita cosi' depressa." Per combattere la sua situazione inizio' a

prendere farmaci da banco contro l'insonnia in compresse.

"Presi antistaminici per due anni" racconta Jean. "Poi il cuore comincio' a martellarmi nel

petto durante la notte, quindi pensai che anche quelli facevano male, e tornai dal medico: fu

allora che mi disse della melatonina." Jean provo' la melatonina e scopri' che funzionava in

modo eccellente. "Non aveva l'effetto rapido del triazolam, ma il sonno che mi procurava era di

qualita' migliore. Prendo il tipo in compresse da lasciare sciogliere sotto la lingua: talvolta mi

addormento prima che la compressa sia del tutto sciolta.

Quando mi sveglio non mi sento intontita ne' provo il tipico stordimento da farmaci: con la

melatonina sembra di non aver preso niente". Jean ha notato numerosi cambiamenti legati

all'assunzione di melatonina. "Quando si dorme bene, tutto poi va meglio. La mia memoria e'

migliorata; ho piu' energia e la mia vita sessuale ora e' perfetta, anche dopo quarantadue anni

di matrimonio." Jean fa parte di un crescente numero di persone che, in tutto il mondo, hanno

preso l'abitudine di assumere melatonina per dormire meglio durante la notte. La notizia che la

melatonina e' un rimedio per l'insonnia venne resa pubblica nell'autunno del 1993. I risultati

ampiamente pubblicizzati di uno studio sul sonno condotto presso il Massachusetts Institute of

Technology ( MIT ) mostrarono che una dose bassissima di melatonina, 0,1 mg, migliorava il

sonno di giovani volontari in buona salute. I ricercatori, tuttavia, conoscono da decenni gli

effetti favorevoli per il sonno della melatonina.

La prima persona che noto' quest'azione fu Aaron Lerner, il dermatologo di Yale che scopri'

la melatonina. Nel 1960,quando inietto' per la prima volta l'ormone su un essere umano,

osservo' che il volontario era entrato in un leggero stato di calma. Non passo' molto tempo che

altri ricercatori cominciarono a sperimentare questa nuova e misteriosa sostanza. L'unica cosa

che scoprirono era che rilassava o predisponeva al sonno i soggetti sottoposti allo studio.

Inizialmente pensarono che le proprieta' sedative della melatonina rappresentassero un

effetto collaterale, anologo allo stato di assopimento indotto dagli antistaminici. Ora invece si

ritiene che indurre il sonno sia uno dei ruoli principali dell'ormone.

USO DELLA MELATONINA NELLE ALTERAZIONI DEL SONNO NEI BAMBINI CON DANNO CEREBRALE

Marino Stormi (08/3/99)

Livello II

La melatonina (MT)è stata usata con buoni risultati nei disturbi del sonno degli adulti e nella

sindrome da fuso orario ( 1,2,3,4,5 ). Uno dei vantaggi è che non altera, a differenza delle

benzodiazepine, le fasi del sonno, favorendo così un riposo notturno fisiologico ( 6,7 ).

Nei bambini con handicap e disturbi del sonno la MT è stata utilizzata sia in studi clinici

controllati sia sporadicamente in singoli casi. Questi bambini presentavano anomalie

cromosomiche, sindrome di Rett, danno cerebrale organico con o senza cecità e ritardo

mentale ( 8,9,10,11). Alcuni di essi avevano già precedentemente assunto farmaci ed al

momento di coricarli venivano usati comportamenti adatti a favorire il sonno, ma senza

apprezzabili risultati. La dose di MT somministrata alla sera variava tra 2,5 e 7,5 mg.

I risultati sono incoraggianti: esiste una differenza statisticamente significativa per

l'induzione del sonno e per la regolarizzazione del ritmo sonno-veglia. Inoltre gli educatori

notavano nei bambini un aumento dell'attenzione e dell'interesse. Dopo aver ottenuto

significativi risultati nel controllo dei disturbi del sonno, la somministrazione della melatonina

continuava per lunghi periodi, da 6 mesi a 6 anni, senza notare effetti avversi.

Da questi primi lavori sembra emergere l'importanza della MT come regolatore del sonno

anche in caso di patologia organica del sistema nervoso, visto anche il basso costo della

terapia e l'assenza di effetti collaterali.

L'entusiasmo è stato in parte smorzato da una lettera inviata al Lancet nell'aprile '98 da

Sheldon S.H. ( 12 ). Egli ha ripetuto lo studio, pensando di confermare i lavori precedenti, su 6

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bambini con turbe del sonno e danno neurologico, valutando gli effetti della MT con il

polisonnogramma. Ottima è stata la risposta alla MT per quanto concerneva i disturbi del

sonno in tutti i casi, confermando i dati dei precedenti studi, ma 3 bambini avevano presentato

episodi convulsivi comparsi entro 13 giorni dall'inizio del trattamento con MT, risolti con la

sospensione dell'ormone, ma ripresentatisi dopo la riassunzione a dosaggio di 1/5 di quello

iniziale.

Questo lavoro lancia un allarme sull'uso della MT in casi di insonnia associata a patologia del

SNC, in apparente contraddizione con segnalazioni sull'effetto protettivo dell'ormone sul SNC e

la sua utilità nell'associarlo ad alte dosi alla terapia anticonvulsivante nell'epilessia mioclonica

(13.14). Sicuramente mette in guardia sull'uso indiscriminato della MT, che come alimento è

acquistabile anche al supermercato, ma non ne controindica l'uso in ambiente clinico per casi

selezionati dopo attenta valutazione del rapporto costo/beneficio.

1) Jean-Louis G. et al.: Melatonin effects on sleep, mood and cognition in elderly with mild

cognitive impairement. J Pineal Res. 1988 25(3) 177-183

2) Dolberg O.T. et al.: Melatonin for the treatment of sleep disturbance in major depressive

disorder. Am j Psychiatry 1988 155(8) 1119-21

3) Arendt J. et al.: Alleviation of lag by melatonin: preliminary results of controlled double

blind trial. Br Med J 1986 292 1170

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5) Avery D. et al.: Guidelines for prescribing melatonin. Ann Med 1988 30(1) 122-30

6) Zhdanova IV.:Effects of low doses of melatonin, given 2-4 hours before habitual bedtime,

on sleep in normal young humans Sleep 1996 19 423-31

7) Wagner J. et al.: Beydon benzodiazepines: alternative pharmacologic agents for the

treatement of insomnia. Ann Pharmacother 1998 32(6) 680-91

8) Jan J.E.. et al.: The treatment of sleep disorders with melatonin. Dev Med Child Neurol

1994 36 97-101

9) McArthur A.J. et al.: Sleep dysfunction in Rett Syndrome: a trial of exogenous melatonin

treatment. Dev Med Child Neurol 1998 40 186-92

10) Palm L. et al.: Long-term melatonin treatment in blind children and young adults with

circadian sleep-wake disturbances. Dev Med Child Neurol 1997 39 319-25

11) Pillar G. et al.: Melatonin treatment in an institutionalised child with psychomotor

retardation and irreguliar sleep-wake pattern. Arch Dis Child 1998 79 63-4

12) Sheldon S.H.: Pro-convulsivant effects of oral melatonin in neurologically disabled

children. Lancet 1998 351 9111 (letter)

13) Munoz-Hoyos A. et al.: Melatonin's role as an anticonvulsivant and neuronal protector:

experimental and clinical evidence. J Child Neurol 1998 13(10) 501-9

14) Molina-Carballo A. et al.: Utility of high doses of melatonin as adjuctive anticonvulsivant

therapy in a child with sesere myoclonic epilepsy: tow Years experience. J Pineal Res 1997 23

97-105.

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2233)) TTrraattttaammeennttii bbiioocchhiimmiiccii

Con Qualche persona autistica si sono ottenuti miglioramenti significativi nell’elaborazione di

informazioni, nelle ipersensibihità sensoriali, nella comunicazione, nello stato d’animo e nel

comportamento, con varie diete e additivi mirati ai sistemi biochimico e immunitario ed ai

disturbi metabolici.

Dopo la scomparsa di tutti i segni dell’autismo, qualcuno ha identificato questi problemi con

le cause; altri li hanno considerati come aggravanti dell’autismo e hanno trovato che, pur se la

condizione non veniva eliminata, era però migliorata in modo significativo.

Fondamentalmente, l’approccio biochimico funziona migliorando l’efficienza dell’elaborazione

delle informazioni. Qualcuno lo fa aumentando le sostanze nutritive che aiutano il

funzionamento generale del cervello, altri fornendo additivi dove si scoprono deficit nutritivi o

eliminando le cause di fondo di tali deficit. Qualcuno lavora cercando di correggere gli eccessi o

gli squilibri nella chimica cerebrale. E’ importantissimo in ogni caso che la gente cerchi i

consigli di professionisti per cose che, usate erroneamente, possono potenzialmente fare più

male che bene. Taluni dei diversi trattamenti usati con persone autistiche includono:

I ) DIETE PER LA CANDIDA

L’efficienza dell’elaborazione delle informazioni è influenzata dal rifornimento di sostanze

nutritive al cervello. Una delle cause principali di interferenza nella fornitura dei nutrimenti,

sono le difficoltà dei sistemi immunitario e autoimmune. Una delle cause sottostanti tali

problemi e che si verifica più comunemente è la Candida Albicans.

Questa può interessare lo stato generale di salute (sistema immunitario), così come portare

ad allergie multiple al cibo o a sostanze chimiche (correlate al sistema auto—immunitario). Può

anche causare o aggravare una condizione chiamata Ipoglicemia reattiva che può portare a

gravi fluttuazioni o squilibri ormonali così come a deprivazione intermittente nel rifornimento di

ossigeno e glucosio del sangue al cervello.

La Candida albicans è un’infezione da fungo; si verifica quando l’equilibrio naturale della

flora nel tratto intestinale è disturbato. I fermenti in genere vivono lì, si moltiplicano con

l’assunzione di alimenti come gli zuccheri raffinati e muoiono naturalmente. La loro

moltiplicazione è generalmente controllata dal sistema immunitario naturale del corpo ("germi

buoni"), così che anche con una dieta ad alto contenuto di zucchero, il loro numero può essere

mantenuto basso nella maggior parte delle persone.

Quando l’immunità naturale del corpo si riduce, in genere si autocorregge dopo un po’

perché i "germi buoni" si rimoltiplicano, ma se viene costantemente e cronicamente attaccata,

la quantità dei germi non è sufficiente e i fermenti non vengono tenuti sotto controllo. Se ciò

avviene, questi si moltiplicano con una velocita tale da produrre troppe sostanze tossiche

perché il corpo possa gestirle.

La tossicità può farvi sentire fisicamente indeboliti o provocare sofferenze croniche o dolori:

cosa ancor più grave, come tutti i tipi di intossicazione, può ledere il cervello. Ciò significa che

può influenzare i vostri stati d’animo, le vostre capacità di risposta o di efficiente elaborazione

delle informazioni, proprio come può fare l’alcool.

Le cause della Candida albicans sono numerose: possono comprendere un basso livello

immunitario ereditario, una storia di ripetute cure antibiotiche (che uccidono non soltanto i

germi dannosi, ma anche quelli "buoni"), l’uso frequente di steroidi (come i farmaci antiasma

che distruggono anche l’immunità naturale del corpo) e l’uso a lungo termine di certi farmaci

(che sopprimono l’immunità naturale). Tutto ciò contribuisce in modo cumulativo ad eliminare

le difese generali del corpo, permettendo la proliferazione dei fermenti.

VI. Terapie Farmacologiche e Progetti di Ricerche

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Un ambiente cronicamente contaminato (fumo di sigaretta, gas di scappamento, aerosol,

Profumi, contaminazione da fabbriche), una dieta con forti dosi di additivi chimici come,

sostanze coloranti, aromi, conservanti e decoloranti (usati nella maggior parte degli zuccheri e

della farina bianca), alcool e mancanza di regolare esercizio fisico (l’esercizio regolare aiuta

l’organismo a liberarsi da solo delle sostanze tossiche), tutto può contribuire all’accumularsi

della tossicità nel corpo. peggiorando le conseguenze della Candida, e a sovraccaricare

l’organismo a tal punto che può far poco per aiutarsi.

Una dieta con alto contenuto di carboidrati raffinati aumenta la moltiplicazione dei fermenti,

già priva di controllo, nel tratto intestinale. Questi carboidrati raffinati includono gli additivi

zuccherini che si trovano nei cibi in commercio in barattoli e pacchetti, dolci, bevande e cibi

fatti con farina bianca. Anche sostanze non nutrienti e fermentanti. come il lievito dei fornai, su

cui i fermenti naturali dell‘organismo prosperano e si moltiplicano, contribuiscono al problema.

In entrambi i processi di moltiplicazione, così come quando muoiono spontaneamente, i

fermenti producono tossine nel sangue e il sistema, già in genere sovrasollecitato, deve

cercare di liberarsene.

La Candida disturba anche il sistema autoimmunitario del corpo ed è quindi causa

importante nello sviluppo di allergie a cibi e sostanze chimiche. Le allergie aumentano

ulteriormente lo sforzo del corpo che deve usare la maggior parte dei suoi nutrimenti per

opporsi alle reazioni allergiche. Ciò vuoi dire che gravi allergie a gruppi di cibi e sostanze

chimiche, possono ridurre l’ossigeno nel sangue, così come consumare tutta una gamma di

vitamine e minerali che altrimenti sarebbero usati per il funzionamento del cervello, la

regolazione dell’umore e il restauro delle cellule.

La conseguenza della riduzione del rifornimento di sostanze nutritive al cervello, in termini di

regolazione dell’umore ed elaborazione di informazioni, è stata definita "allergia cerebrale". Le

allergie cerebrali sono quindi la combinazione degli effetti della tossicità sul cervello e delle

comuni allergie sulla circolazione e sul rifornimento di sostanze nutritive. Esse possono rendere

qualche persona "maniaca" e qualche altra incapace di prestare attenzione o comprendere.

Poiché queste sostanze nutritive sono usate altrove, ciò può non soltanto ridurre l’efficienza

dell’elaborazione delle informazioni e la capacità di regolare gli stati d’animo, ma significa

anche che il corpo è meno in grado di autocurarsi. Ciò lo rende più soggetto a infezioni e

incapace di combatterle, una volta instaurate, portando qualcuno a reazioni allergiche come

l’asma e gli eczemi o ad infezioni come le bronchiti croniche o ripetute infiammazioni alle

orecchie, agli occhi o al la vescica.

Sulla Candida sono disponibili pubblicazioni e si possono ottenere informazioni dall’Autism

Research Institute in California (U.S.A.) (indirizzo alla fine del libro). Il trattamento in genere

comporta cure antimicotiche, come capsule con alte dosi di aglio o di acido caprilico (olio di

cocco) oppure un farmaco antifungino, chiamato Nystatin. Nelle prime due settimane ditale

trattamento i sintomi talvolta peggiorano (a causa della frequenza di eliminazione di fermenti

drammaticamente aumentata), ma poco dopo in genere si vedono significativi miglioramenti.

Oltre a ciò, per migliorare la situazione, sono talvolta necessari cambiamenti dietetici e

ambientali che, come le cure antimicotiche, potrebbero protrarsi per sei mesi nei casi lievi o

per due anni e anche più se il problema è più grave: non sono dannosi se applicati a situazioni

in cui non sarebbero necessari. In ogni caso, dovrebbero essere preferibilmente usati sotto la

supervisione di un dietista attento e consapevole di questa condizione.

Potrebbe essere molto difficile trovare questo tipo di aiuto professionale da parte di un

medico generico, ma forse più facile nel campo della medicina alternativa o complementare su

indicazione della locale erboristeria.

2) AMMINO—ACIDI

Le ricerche hanno evidenziato che alcuni autistici mancano di determinati ammino-acidi,

sostanze che costituiscono proteine e peptidi responsabili degli enzimi, usati dal corpo per

scindere o digenire diversi tipi di alimenti. La mancanza di certi ammino-acidi potrebbe, quindi,

significare che una sostanza, altrimenti del tutto inoffensiva, può diventare indigesta e tossica

per le persone alle quali manca ciò che è necessario per digerirla e per far uso dei suoi

elementi nutritivi.

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Le conseguenze di squilibri o deficienze di ammino-acidi possono portare ad effetti tossici sul

cervello; possono anche portare a squilibri e deficienze di vitamine e minerali che una persona

dovrebbe ricavare dalla digestione di un certo gruppo di cibi, ma che non ha, invece, ottenuto

perché non in grado di digerirli correttamente e perché le sostanze nutritive essenziali sono

state esaurite nel liberare il corpo dalle sostanze tossiche.

Certi ammino-acidi come la dimetilglicina (DMG), derivata dal riso, ( i dettagli su come

richiederla per posta sono disponibili attraverso l’Autism Research Institute), hanno fatto

riscontrare notevoli effetti nel migliorare la tolleranza alla frustrazione, ho stato d’animo,

l’interazione, la comunicazione, i disturbi del sonno e l’elaborazione delle informazioni in un

gran numero di persone autistiche così come nel ridurre la frequenza di episodi epilettici in

persone affette da questo problema.

Altri deficit enzimatici come quelli responsabili della digestione di un certo gruppo di

sostanze contenute negli alimenti, chiamate fenoli, possono essere causa di un gran numero di

difficoltà in persone autistiche, come pure l’intolleranza al latte e al frumento, anch’essa

dovuta spesso alla mancanza di ammino-acidi o enzimi adatti a digerire questi cibi. Ulteriori

ricerche dovranno essere fatte in questo campo, pur se integratori di ammino-acidi sono

disponibili nei negozi di alimenti dietetici ben forniti.

Anche se questi integratori sono in genere sicuri, è tuttavia importantissimo che una persona

informata e qualificata accerti la presenza vera di un deficit enzimatico o di ammmino-acidi

prima di iniziare un trattamento a lungo termine con queste sostanze. Un prolungato uso in

dose eccessiva porterebbe in realtà a sensibilizzazione (o allergia). E anche importante

accertare se la Candida non possa contribuire ad una qualsiasi deficienza in ammino-acidi o a

problemi digestivi o di deficienza di vitamine o minerali.

3) INTEGRATORI (DI VITAMINE E MINERALI)

Ci sono segnali fisici e comportamentali di deficit di vitamine e minerali, ma, sia pur in

assenza di essi, gli integratori possono migliorare l’elaborazione delle informazioni e ridurre

l’ansia (e le sue conseguenze), in alcune persone autistiche. I dosaggi, tuttavia, che sembrano

portare ai risultati migliori, sono dosaggi alti, o megadosaggi, e dovrebbero essere assunti

soltanto in pastiglie o capsule di una formula mista. approvata, di multivitamine e minerali.

In particolare, persone affette da deficit attentivi e iperattività sono migliorate con dosi

molto alte di vitamina B6 (preferibilmente come parte di un complesso B), e magnesio

(preferibilmente abbinato al calcio), come pure un alto dosaggio di vitamina C (come

ascorbato). Le vitamine del gruppo B sembrano avere effetto nel migliorare l’elaborazione delle

informazioni (diminuendone quindi il sovraccarico e le sue devastanti conseguenze). Sembra

anche che aiutino a ridurre i livelli di stress. Il magnesio è noto come minerale anti-ansia e può

avere benefici effetti sulla digestione , sulla regolazione dello zucchero nel sangue, sulla

circolazione e l’umore. La vitamina C è un antistaminico naturale, importante quando si

sospettino allergie da cibi o sostanze chimiche. E anche un disintossicante naturale e favorisce

l’assorbimento del ferro. Il potassio è un altro minerale che può essere importante prendere in

considerazione, particolarmente in presenza di un’alta assunzione di sodio o in condizione di

ipoglicemia; quest’ultima può causare deficit di potassio, essenziale per l’eliminazione delle

tossine e il trasporto di ossigeno al cervello.

E molto importante che le persone si rendano conto che non devono "giocare al farmacista"

con gli integratori vitaminici e di minerali e che il farlo potrebbe essere pericoloso. Mentre il

corpo si libererà di ogni eccesso della maggior parte dì vitamine e minerali, non riuscirà a farlo

con una piccola parte di questi e li assommerà nel corpo con conseguenze talvolta pericolose

per la salute. Ci sono, inoltre, vitamine che, assunte isolatamente, possono realmente creare

un deficit di altre vitamine. Qualcuna del gruppo B si comporta in questo modo rendendo

essenziale, per chi ne ha bisogno, per esempio della B6, l’assumere una combinazione di

vitamine del gruppo (contenente tra le altre la B6), piuttosto che la B6 da sola. Una relazione

simile esiste tra magniesio, calcio, fosforo, sodio, potassio e vitamina C.

La soluzione più sicura è assumere una pastiglia con alto dosaggio, approvato, di

multivitaminico e minerali, in dosi bilanciate e sicure, che non portino a squilibri. I dosaggi

raccomandati sono disponibili attraverso l’Autism Research Institute.

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Anche se vitamine e minerali si trovano in natura, sono però potenti e non se ne dovrebbe

abusare o sperimentare. Il mio consiglio è di prendere soltanto i dosaggi approvati, in

combinazioni approvate, sotto la supervisione di un dietista preparato, a conoscenza delle cure

megavitaminiche e dell’"autismo", in grado di monitorarne l’uso a così lungo termine.

E anche importante sottolineare che qualche persona può essere allergica o intollerante a

certe sostanze o rivestimenti usati nella preparazione di vitamine o minerali e che bisogna

considerare seriamente ogni reazione negativa e cercare consiglio prima di continuare a

prendere un qualsiasi preparato. E evidente che non tutti rispondenanno alla somministrazione

degli integratori e quindi tutto dovrebbe essere usato inizialmente su base sperimentale, solo

per un mese, e interrotto) se ci fosse una qualsiasi reazione negativa, ricorrendo ad un

consulto.

Infine, poiché la Candida albicans, l’insufficienza di acido gastrico o le disfunzioni epatiche

possono tutte essere cause di deficit di vitamine e minerali o di incapacità di sintetizzarli in

modo adeguato. è molto importante controllare queste possibilità perché potreste altrimienti

curare i sintomi anziché la causa.

4) COMPLESSI OMEOPATICI

Varie ricerche nel campo dell’autismo hanno riscontrato:

molecole di proteine non digerite nella maggioranza degli autistici;

frequenti rilevamenti di gravi deficit di vitamine, minerali o enzimi;

notevoli miglioramenti con integratori come: megadosi di B6, vitamina C e olio di primula

serotina così come di Mg. Ca, Zn ed enzimi;

frequenti casi di Candida come causa sottostante l’intolleranza a molti cibi e sostanze

chimiche, indice di "autismo" indotto da allergie;

sospetto che disfunzioni del pancreas o del fegato siano alla base di allergie ai composti

fenolici (intolleranza ai composti fenolici dell’acido gallico trovato in associazione al disturbo,

del deficit attentivo, all’iperattività, alla dislessia e intolleranza al composto fenolico del

"malvin", trovata in associazione all’ "autismo", alla dislessia e all’epilessia.

Nel libro Medicina del XXI secolo, il Dr. Julian Kenyon, medico generico specializzato in

medicina alternativa,21st Century Medicine, Thorson, 1986, scrive di una condizione facilmente

curabile, che merita ulteriore considerazione per la connessione che può avere con i risultati di

tale ricerca.

li Dr Kenyon parla di disbiosi. condizione che influenza la permeabilità del rivestimento

intestinale: i sintomi iniziali sono largamente fisici e il Dr. Kenyon include segnali come la

flatulenza, il gonfiore, il malfunzionamento intestinale, ma anche disfunzioni del fegato, della

cistifellea o del pancreas, l’acne, infezioni micotiche, asma, orticaria, eczema. affaticamento

post-virale e reumatismi e poi accenna a condizioni come la sinusite cronica e ripetute tonsilliti

come indicatori di stress tossico dovuto a sottostante disbiosi.

Egli ipotizza che le cause di fondo o collaterali della disbiosi comprendano le conseguenze

dell’uso di antibiotici comuni sull’equilibrio della flora intestinale normale (l’equilibrio di batteri

presenti normalmente, che favoriscono digestioni e immunità), così come una nutrizione

scadente dovuta all’assunzione di alte quantità di cibi da scarto o lo stress cronico o

conseguenze di attacchi di enteriti. Il Dott. Kenion scrive:

La cosa più importante è che sembra esserci un rapporto tra la permeabilità (valore della

capacità di filtrare sostanze) della mucosa intestinale (il rivestimento interno dell’intestino) e la

normale flora intestinale. Se la flora è anormale o non equilibrata, la mucosa gastrointestinale

diventa anormalmente permeabile, come un setaccio con i fori troppo grandi, permettendo

l’assorbimento di proteine decomposte in modo non adeguato e il riassorbimento di tossine dal

contenuto intestinale.

Sulla connessione di tutto ciò con l’intolleranza al cibo, scrive:

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"Ciò è quanto accade spesso nella sensibilità al cibo e, nella mia esperienza, la disbiosi ne è

una delle principali cause".

Continua poi descrivendo l’effetto di queste tossine sul fegato, uno degli organi principali

coinvolti nella sintesi di vitamine e minerali, così come nella regolazioni del metabolismo di

zuccheri, grassi e proteine.

Egli prosegue facendo un collegamento con le proteine e l’efficacia della terapia

megavitaminica dicendo:

I batteri intestinali possono sintetizzare le vitamine, soprattutto del gruppo B. ma anche la

vitamina K. Nella disbiosi, ha maggioranza delle vitamine prese per bocca, sia nei cibi sia nella

sostituzione vitaminica, sarà assunta dai bacteri anomali, portando ad un deficit vitaminico.

Ciò può essere il motivo dell’efficacia di forti dosi di vitamine, mentre dosi basse non danno

risultati...

La mia ipotesi è che, se la disbiosi di fondo fosse adeguatamente curata, sarebbe allora

sufficiente una dose minore di vitamine.

E sulla connessione tra disbiosi e Candida scrive:

il suo riconiscimento (Candida albicans) è spesso fondamentale per la soluzione positiva

della sensibilità a molti cibi in molti pazienti. Nella mia esperienza, se la disbiosi viene risolta

con successo, usando complessi omeopatici e adeguate misure di supporto, allora la Candida

scomparirà assieme alla maggior parte, se nomi tutte, delle sensibilità al cibo.

Il Dr. Kenion suggerisce l’uso di complessi omeopatici che affrontino le cause del problema e

l’uso di preparati omeopatici per stimolare gli organi a liberarsi dal peso delle sostanze tossiche

e a collaborare nel ricostruire i naturali processi e il sistema immunitario del corpo. La

medicinia convenzionale, a differenza di quella olistica ( Olismo : dottrina biologica della

strutturazione globale, secondo la quale l'’rganismo vivente, inteso come un tutto, ha proprietà

diverse da quelle degli elementi che lo costituiscono.Secondo questa dottrina,la personalità che

opera in situazioni sociali diverse, non può venire considerata con procedimento analitico, ma

valutata in maniera unitaria ) anziché affrontare le cause del problema, tende a focalizzarsi

sulla soppressione dei sintomi. la maggior parte dei quali richiede cure a breve termine con

costi a lungo termine a carico dei sottili equilibri all’interno del corpo.

Secondo me, ciò che rende autistica una persona è la gamma di adattamenti complessi,

alternativamente volontari e involontari, al sovraccarico di informazioni causato da scarso

filtraggio ed elaborazione. Se la disbiosi, in particolare, lede l’elaborazione delle informazioni

con i suoi effetti sulla tossicità, sulla sintesi di vitamine e minerali e sul rifornimento di

sostanze nutritive per il cervello e se, come ipotizzato, è una causa di fondo importante e

modificabile di questi problemi, è possibile che una grossa percentuale di casi di condizioni

correlato all’autisrno, sia completamente trattabile all’interno del campo della medicina

complementare col tipo di tecnologia (tecniche avanzate del Vega Test Asegmental Electogram

Technology) ed omeopatia complessa usata da professionisti specializzati come il Dr. Kenion.

Ci saranno, naturalmente, regressi nello sviluppo dovuti a ritardi evolutivi a lungo termine, ma

la cosa importante è rimuoverne i blocchi così che la persona possa progredire sia all’età di 5

che di 15 o 50 anni.

5) IPOGLICEMIA

L’ipoglicemia è una condizione metabolica per la quale si hanno improvvisi cali del livello

dello zucchero nel sangue. Questi cali possono produrre torpore e incapacità di elaborare

informazini, di iniziare un’azione, ragionare, concentrarsi o prestare attenzione.

Prima di questi cali improvvisi, c’è spesso una netta crescita di tale livello che può portare

all’incapacità di controllare il comportamento e ad uno scoppio violento di emotività o attività.

Le persone affette da questo problema sembrano talvolta passare da un estremo all’altro: a

qualcuno di loro è stata fatta una diagnosi sbagliata di depressione maniacale o disturbi

dell’umore.

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La causa dell’ipoglicemia può essere ereditaria e trasmessa geneticamente; i sintomi che

potrebbero evidenziarsi nei membri più anziani della famiglia sono:

diabete in età matura, insaziabilità di zucchero o una storia di alternanze di umore.

L’ipoglicemia reattiva, però, può essere acquisita come conseguenza della Candida albicans; in

questo caso gli attacchi di ipoglicemia possono non essere basati soltanto sulla quantità di

tempo che intercorre tra i pasti, ma su quanto è stato mangiato durante tutta la giornata,

sull’esposizione al fumo di sigaretta o a sostanze chimiche nell’aria, su farmaci assunti e sul

livello generale di stress, compresi stati emotivi estremi o reazioni estreme a stimoli sensoriali.

Il trattamento dell’ ipoglicemia, contrariamente all’impressione data dal termine, non si basa

sull’assunzione di zuccheri, che in realtà contribuirebbe nel tempo ad aggravare la condizione.

Se non curato, chi soffre di questo stato e indulge su cibi e sostanze zuccherati, può passare

da uno stato medio ad uno grave.

Per aiutare a combattere l’ipoglicemia, ci sono integratori vitaminici e minerali specifici, che

si possono trovare elencati nella maggior parte dei libri sull’argomento (spesso disponibili nei

negozi di alimenti dietetici), ma se si sta già prendendo un integratore, bisognerà consultare

una persona esperta in medicina naturale per sapere se sia opportuno raddoppiarne i tipi o

come cambiarne i dosaggi.

Oltre agli integratori, presi regolarmente ma non in eccesso, possono essere di aiuto

l’esercizio fisico e una dieta libera da tutti i cibi elaborati e raffinati e soprattutto da tutti i

carboidrati raffinati e dagli zuccheri aggiunti, che vengono consumati troppo rapidamente dal

metabolismo superattivo di qualche ipoglicemico, con conseguente grave calo di zucchero nel

sangue. Ciò, a sua volta, attiva la liberazione di adrenalina per mandare al fegato il messaggio

di rilasciare i depositi di grasso che andranno scissi per ottenere energia. Questo flusso di

adrenalina produce le punte maniacali prima dell’indebolimento dovuto alla caduta di zucchero,

che porta all’incoscienza.

Poiché l’ipoglicemia è come un’altalena, l’ obiettivo è di stare nel mezzo, il meglio e il più a

lungo possibile. Il modo per ottenerlo è il mangiare cibi a lenta digestione come i carboidrati

complessi (prodotti con farina o frumento integrali e riso integrale). Nei casi lievi di ipogicemia,

il modo per controllarla può essere il mangiare almeno ogni quattro ore; in casi moderati o

gravi può implicare il mangiare sostanziosamente e regolarmente ogni due ore.

Ancora una volta bisogna considerare e affrontare la possibilità che la causa del problema sia

la Candida albicans. Poiché pancreas e fegato sono anch’essì coinvolti nella regolazione dello

zucchero nel sangue (così come la disintossicazione), è anche importante esplorare la

disfunzione in questi organi e gli squilibri ormonali (per esempio la secretina, responsabile

della produzione di enzimi nel pancreas e nel fegato). Nell’articolo Netralization of Phenolic

compounds in Olistic General Practice, il Dr. Ber ricorda anche l’intolleranza a un altro

composto fenolico, la florizina (abbondante, tra gli altri, in cibi comuni come la carne di manzo,

il formaggio, lo zucchero e la soia), trovato comunemente miei diabetici. Egli continua

sollevando il problema se sia possibile che la florizina interferisca non soltanto con la funzione

endocrina del pancreas. ma con l’azione esocrina enzimatica. A parte le conseguenze

dell’intolleranza al cibo sull’ipoglicemia reattiva, può valer ha pena di esplorare un’intolleranza

al fenolo e alla florizina, non come conseguenza. ma come causa dell’ipoglicemia.

6) TRATTAMENTO CON FARMACI CORRELATI AGLI ORMONI

Ricerche recenti hanno rilevato una presenza troppo alta o troppo bassa di certi ormoni in

qualche persona autistica e sono stati studiati farmaci per ristabilire gli equilibri ormonali in

persone con tali condizioni. Ci sono però due cose importanti che vanno qui puntualizzate.

Una è che qualche situazione apparentemente collegata agli ormoni può avere in realtà altre

cause di fondo. In tal caso, il trattare lo squilibrio ormonale può meramente equivalere ad

affrontare i sintomi.

Una situazione di stress violento, prolungato e cronico è un esempio di qualcosa che

potrebbe agire direttamente sui livelli ormonali. Anche i disturbi del sistema immunitario, come

la Candida albicans, sono causa di tali squilibri e dovrebbero essere affrontati ed eliminati da

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persone consapevoli e preparate su queste condizioni, prima di cominciare cure con sostanze

correlate agli ormoni.

I disturbi del sonno e dell’alimentazione possono essere collegati a queste condizioni, ma

anche la deprivazione del sonno e i comportamenti alimentari o certi tipi di comportamenti

ipnotici o autolesionistici possono produrre squilibri ormonali. Mentre tutto ciò può talvolta

essere il risultato di tentativi istintuali di correggere la situazione ormonale, in tutti i casi in cui

questi vengano effettivamente riscontrati, si dovrebbero prendere in considerazione i

comportamenti ripetitivi come aggravanti dello squilibrio, prima che i comportamenti stessi

vengano considerati sintomi anziché cause. Può essere benissimo che "offuscamento e "ronzii"

provocati dall’effetto ormonale di comportamenti come la deprivazione di sonno, il vomito

forzato, l’autoaffamamento, l’autoipnosi o l’autoaggressività, siano proprio ciò che le persone

cercano attraverso l’uso dei comportamenti, anziché esserne la causa lo squilibrio ormonale.

I deficit di amminoacidi ed enzimi possono essere la conseguenza di squilibri ormonali (per

esempio la secretina responsabile della produzione e della regolamentazione degli enzimi) che

possono portare a problemi comportamentali di elaborazione o di comunicazione, come pure

talvolta a nuovi squilibri ormonali. Un esempio recentemente riportato è un deficit dell’enzima

necessario a scompone cibi ricchi di fenoli, deficit che è stato dimostrato causare un rialzo dei

livelli di serotonina. Non è sufficiente affrontare uno squilibrio ormonale senza considerarlo nel

contesto di altri che possono aver dato inizio al primo deficit.

7) DIETE PRIVE DI FRUMENTO, DI LATTE, DI ZUCCHERI E DI ADDITIVI

Molte persone che, con queste diete, hanno riscontrato benefici nel migliorare l’elaborazione

di informazioni in soggetti autistici, hanno allora presunto di trovarsi di fronte ad

un’intolleranza al glutine (come nel morbo ciliaco), o ad un intolleranza al lattosio. In certi

autistici l’intolleranza al frumento può, in realtà, non aver niente a che fare col glutine o,

l’intolleranza ai latticini niente a che fare col lattosio. Il glutine e il lattosio non son che due

componenti del frumento e del latte, ricchi anche in composti fenolici, acido gallico e "malvin"

implicati nell’autismo e nella dislessia. Una persona può essere intollerante a queste

componenti dei cibi comunemente usati che contengono farina di frumento e latte, senza avere

problemi specifici col glutine o il lattosio.

Anche quando si scopre che l’intolleranza alla farina di frumento è dovuta al glutine e quella

al latte è dovuta al lattosio, bisogna comunque cercare le cause di fondo. Può essere, per

esempio, che tali intolleranze siano sorte come conseguenza di deficienze enzimatiche curabili,

dovute a disfunzioni curabili del pancreas e/o del fegato o ad un problema coni l’ormone

secretina, responsabile della produzione di enzimi, necessari alla scomposizione del glutine e/o

del lattosio. Può essere che l’intolleranza al frumento o al latte sia soltanto un sintomo

dell’infezione da fermenti Candida albicans, che dovrà essere anch’essa affrontata.

Lo zucchero, non soltanto aggrava l’infezione da Candida, ma ha un alto livello nel

complesso fenolico, acido gallico, implicato nella dislessia, nell’iperattività e nei disturbi di

deficit attentivi oltre ad essere causa importante di aggravamento dell’ipoglicemia. Chi prende

in considerazione una dieta priva di zucchero, deve anche studiare la possibilità di condizioni

sottostanti curabili, come la Candida albicans, l’intolleranza all’acido gallico e qualsiasi possibile

disfunzione del fegato e del pancreas.

Una dieta priva di additivi è comunque una buona idea per chiunque, con o senza problemi

di disintossicazione (con i conseguenti effetti sul cervello) perché, fondamentalmente, gli

additivi sono per la maggior parte sostanze estranee messe miei cibi per dare a questi una vita

più lunga negli scaffali e renderli più attraenti per il compratore. Ancora. molti cibi che

contengono additivi hanno poi un alto contenuto in acido gallico e poiché sia la Candida sia la

disfunzione del fegato sono coinvolti nella disintossicazione, può essere un’idea esplorare

anche che cosa accada in queste aree.

8) DESENSIBILIZZAZIONE

Chiamata anche neutralizzazione, è fondamentalmente un approccio omeopatico usato per

ridurre le reazioni allergiche al cibo o alle sostanze chimiche. In genere si tratta di accertare la

soglia di tolleranza per ogni sostanza problematica, somministrando poi dosi diluite,

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attentamente calcolate, della stessa per trovare la diluizione alla quale la reazione allergica

viene neutralizzata. Con l’adattamento del sistema, la risposta alle diluizioni viene

progressivamente e attentamente monitorata e alla fine il paziente è in grado di tollerare

soluzioni più concentrate, diventando meno sensibile alla sostanza in questione finché non sia

in grado di tollerare l’esposizione alle sostanze allergeniche nell’ambiente o nella dieta.

Sono stata desensibilizzata per gravi allergie a cibi e sostanze organiche e posso affermare

clhe per me la desensibilizzazione ha funzionato per un breve periodo. Per qualcuno può

durare anche due anni, ma per me, sfortunatamente, soltanto sei settimane di relativa

chiarità. Nell’articolo del Dr. Ber, Neutralizzazione dei composti fenolici nella Medicina Olistica,

egli ipotizza che il mantenere il paziente indefinitamente con la diluizione finale, piuttosto che

interrompere il trattamento a quel punto, possa aver successo in quei casi in cui la

sensibilizzazione si ripresenterebbe.

L’alternativa è in genere vista come una dieta di evitamento, ma il cercare le cause

sottostanti la sensibilizzazione o l’intolleranza al cibo o alle sostanze chimiche, è un altro

sentiero da percorrere, particolarmente quando la desensibilizzazione fallisca.

Uno dei problemi della desensibilizzazione è la lunga durata e quindi il costo. C’è inoltre un

numero molto piccolo di professionisti preparati (spesso medici generici che hanno studiato

anche medicina complementare) in grado di affrontare efficacemente il problema.

Dal mio porto di vista. anche la desensibilizzazione è un curare i sintomi e bisognerebbe, se

possibile, cercare innanzitutto le cause sottostanti e trattarle prima di ritornare all’opzione

della desensibilizzazione, se ancora necessaria.

9) CURE CON LE ERBE

Nomi si dovrebbe trascurare l’importanza dei trattamenti con le erbe come possibile

alternativa alle cure con i farmaci e nell’affrontare i problemi sottostanti come la sensibilità a

cibi e sostanze chimiche e allo stress cronico. Molte delle erbe ancora disponibili oggi hanno

costituito la base delle sostanze sintetiche ora prescritte.

I rimedi dell’erbonista sono spesso assorbiti più facilmente dal corpo rispetto a quelli

sintetici, particolarmente quando ci sia intossicazione. Ci sono erbe usate per disintossicare il

sangue, per regolare i livelli ormonali, favorire la digestione, ridurre le reazioni allergiche e

ristabilire e stabilizzare le funzioni organiche. I rimedi dell’erborista provocano effetti collaterali

con meno facilità di quelli chimici.

Un aspetto negativo è la difficoltà di trovare un aiuto valido, attendibile e informato sull’uso

e i dosaggi anche se le cure con le erbe sono state tramandate per centinaia di anni.

10) PSICOTERAPIA

Pur se la psicoterapia ha un suo posto specifico nel trattamento di problemi psicologici o

disturbi emotivi, è stata qui inclusa perché. che sia o meno applicabile all’autismo, è comunque

ancora usata talvolta per "curare" gli autistici.

Chi usa tale tecnica vede se stesso come se affrontasse le cause piuttosto che sintomi. ma

l’uso della psicoterapia per gli "autistici" è basato sul falso presupposto che l’autisnro sia una

forma di malattia mentale o di disturbo psicologico o emotivo.

Secondo me, l’autismo causa molti problemi mentali od emotivi agli assistenti. Penso anche

che l’incapacità delle persone non-autistiche di capire gli autistici possa creare in essi un

altissimo grado di stress mentale ed emotivo.

Benché, presumibilmente. ci siano persone autistiche che hanno anche una malattia mentale

o disturbi psicologici o emotivi, questi sono problemi addizionali che, di per sé, non

porterebbero allo spettro di difficoltà viste nell’autismo.

Anche se gli autistici possono essere soggetti ad un più alto grado di stress rispetto alla

maggioranza delle persone, un problema di elaborazione delle informazioni può in realtà

defraudarli di significati e significatività personale, due degli elementi chiave nella malattia

psicologica o emotiva, od avere disturbi focalizzati o complessi. La malattia mentale viene

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soprattutto dall’attribuire troppa significatività personale alle cose e questo è proprio il

problema che qualche autistico potrebbe desiderare di avere.

Senza la possibilità di elaborare in modo efficiente ciò che vi ha disturbato, nel contesto in

cui è accaduto, nella mia esperienza, è meno facile focalizzarsi particolarmente su un qualsiasi

disturbo mentale od emotivo; così lo sviluppo di un disturbo o di una malattia complessa

sarebbe un’elaborazione miracolosa per qualche autistico. Inoltre, basse soglie per il

sovraccarico di informazioni possono portare a chiusure nell’elaborazione, e accade così spesso

che l’impatto significativo di qualsiasi cosa altamente disturbante non abbia un effetto molto

prolungato. Può accadere che l’essere spinto al di là del limite molte volte al giorno, porti in

realtà una persona ad evitare di essere spinto in modo improvviso e clamoroso. Queste cose,

comunque, possono essere diverse per persone con la Sindrome di Asperger che, malgrado i

problemi di elaborazione delle informazioni, talvolta elaborano in modo coerente ciò che

vedono o sentono e ottengono così un certo grado di significatività personale.

La psicoterapia presume spesso che i problemi della persona siano stati causati dall’

ambiente. Benché le difficoltà di qualche autistico vengano significati vamente peggiorate dalla

non comprensione, da parte dei non ’autistici’, dei problemi sensoriali, percettivi o di

elaborazione o di ìpersensibilità emotiva, ciò in genere non è quanto gli psicoterapeuti sono

addestrati a trattare.

Certamente, i problemi di una persona autistica possono essere aggravati dall’ ignoranza

ambientale, ma ciò non equivale a dire che gli assistenti non hanno cercato di essere

comprensivi, compassionevoli o supportanti: soltanto che nessuno è abbastanza informato, dal

punto di vista dell’autismno, per aiutarli a dimostrare questa comprensione, compassione e

supporto in modo logico per l’autistico stesso. Questo non è il compito dello psicoterauta, ma il

lavoro di un esperto sulla natura dell‘autismo.

Molti genitori con una bassa stima di sé e poco supporto sociale, si colpevolizzano troppo

facilmente, in assenza di ogni altra causa facilmente visibile. Ciò è talvolta, quanto viene

sfruttato nel processo psicoterapeutico e Può mettere in tensione i genitori, spesso già

stressati mentalmente ed emotivamente nel ceraare di far fronte all’autismo del figlio e alla

loro incapacità di aiutarlo.

La psicoterapia ipotizza spesso una fragilità psicologica o emotiva insita o acquisita, piuttosto

che un’ipersensibilità causata da sovraccarico di informazioni. Talvolta trascura anche il fatto

che la gente si adatta, modificandosi, ad ogni tipo di circostanze traumatiche o altro e che, in

mancanza di una efficiente elaborazione di informazioni nel contesto in cui ciò si verifica,

qualche "autistico" è in realtà molto più capace di recupero sulla significatività personale della

maggior parte delle persone. La psicoterapia ha avuto qualche successo nel portare a

comunicare e interagire persone altrimenti non comunicative o interattive, ma ciò può essere

una coincidenza.

Mentre una variazione ambientale può creare cambiamenti e attivare abilità in qualcuno, ci

sono spesso altri modi per raggiungere ciò, meno costosi di un viaggio allo studio dello

psicoterapeuta. D’altra parte, un consultorio per genitori, bene informato, può talvolta essere

una buona idea nell’aiutare qualcuno di loro ad affrontare l’accumulo di stress dovuto

all’autismo del figlio e al dolore e al senso di colpa che troppo spesso li assale.

La ludoterapia potrebbe essere un’alternativa migliore nel promuovere interazione e

comunicazione quando nè genitori nè figli hanno bisogno di consulenze. Un buon ludoterapista,

inoltre, dovrebbe essere in grado di addestrare un genitore ad usare quelle tecniche anche in

casa. Un approccio di questo tipo dovrebbe dare più forza ai genitori, che talvolta si sentono

defraudati del controllo da parte dei professionisti, così come dai bambini per l’assistenza dei

quali possono sentirsi incapaci.

11) MUSICA, ARTE E MOVIMENTO

Anche la musica, l’arte e il movimento possono essere usati come media per costruire

interazione ed espressività e come luogo in cui l’assistente e il terapista possono ‘‘incontrare’’

la persona autistica. Sono mezzi che possono rappresentare una messa a confronto meno

diretta del linguaggio e quindi particolarmente utile con persone che soffrono di forte

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ipersensibilità emotiva o di ansia da esposizione: possono anche avere e portare un senso di

equilibrio e di ritmo in grado di calmare ed equilibrare alti livelli di ansia e problemi di umore.

Musica, arte e movimento possono essere usati flessibilmente in termini di livello di struttura e

di grado di interazione/espressione diretta coinvolti.

Come qualche forma di ludoterapia, di gioco coi burattini e del "parlare attraverso gli

oggetti" possono essere usati come semplicemente essere, così che la persona autistica sia

incoraggiata ad esprimersi liberamente attraverso di essi.

Non c’è bisogno di usare i pennelli nell’arte e si può essere soltanto puramente incoraggiati a

toccare il colore e congiungersi ad esso coprendo se stessi. Per qualcuno che generalmente

trova l’inizio di un’azione o una scelta di fronte agli altri troppo difficile, anche questo può

essere una conquista importante. Il colore è emotivamente sollecitante e il rappacificarsi con

esso e perfino il decidere di avvicinarglisi per scelta o facendone una parte di sé, può far parte

del processo di riconciliazione con le emozioni.

Musica e movimento possono rappresentare luoghi d’incontro a un livello più astratto. in cui

la mente conscia, responsabile al massimo grado per la risposta di ansia all’attuarsi

dell’esposizione, può essere meno in all’erta mano a mano che si costruiscan, molto

gradualmente ma progressivamente, ponti dall’astratto e indiretto al più tangibile e diretto,

prima all’interno di questi media e poi, al di là della musica, agli schemi vocali e al di là del

movimento, agli schemi di contatto.

L’espressività attraverso questi media non ha bisogno di essere "vista", lodata e stabilita in

alcun modo che passa portare troppa autoriflessione, forzatamente fornita e a confronto

diretto, prima che ha persona sia pronta ad affrontarla. Ciò può essere particolarmente

importante per chi sia così emotivamente ipersensibile o la cui ansia da esposizione sia così

alta da non essere in grado di sopportare il forte impatto dell’autoriflessione derivante dal

tentativo di qualcuno di condividere troppo direttamente una qualsiasi espressività a cui si sia

data via libera.

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2244)) LL''IINNTTEERRVVEENNTTOO IINNTTEENNSSIIVVOO EE PPRREECCOOCCEE AABBAA NNEEII DDIISSTTUURRBBII AAUUTTIISSTTIICCII

(di Denise Smith Brunetti)

"I disturbi autistici"

Per disturbi autistici si intende tutta la gamma dei disturbi autistici, lievi o importanti che

siano, che corrispondono ai criteri del manuale diagnostico DSM-IV per i Disturbi Autistici

(PDD) oppure PDD-NOS. I disturbi autistici sono dei disturbi che si collocano all'interno di uno

spettro, cioè esiste una gamma variabile di intensità del disturbo. Bisogna considerare che la

diagnosi non viene sempre comunicata al genitore in termini del manuale DSM-IV, ma spesso

vengono utilizzati termini imprecisi come "sviluppo disarmonico" oppure "disturbo

generalizzato".

L'INTERVENTO "INTENSIVO"

Per intervento intensivo si intende da 20 a 40 ore settimanali. Alcuni studi indicano risultati

migliori per programmi di almeno 30 ore (Lovaas,1987; Sheinkopf e Siegel,1996; Anderson et

al:,1987; Birnbrauer e Leach,1993; Mc Eachin, Work in Progress, p.10,1999). La decisione su

quante ore di terapia fare va presa considerando le condizioni specifiche del bambino singolo.

Va anche considerato che è difficile quantificare le ore in modo preciso. E' chiaro che un

intervento di 20 ore di terapia fatto bene è meglio di uno di 30 ore fatto male. In un caso

famoso di due bambini della stessa famiglia, entrambi considerati oggi "recuperati", le ore di

terapia formale sono state tra solo 10 e un massimo di 35 (Maurice,1993; Perry et al.,1995).

Ma terapia informale e incidentale è stata svolta per tutte le ore della giornata da genitori e

altre persone ben informate e molto impegnate, quindi nel loro caso è difficile stabilire quante

ore di terapia abbiano veramente fatto i bambini. La decisione su quante ore dedicare all'ABA

dipende molto da quanto è efficace e terapeutico il modo in cui sono passate le altre ore. Il

fatto di fare un intervento ABA non esclude che il bambino possa anche fare altri tipi di terapia

(vedi logopedia,OT,ecc.).

L'INTERVENTO "PRECOCE"

Per intervento precoce si intende un intervento che comincia almeno prima dell'età di cinque

anni. Alcuni studi indicano risultati migliori per bambini che cominciano entro i tre anni di vita

(Birnbrauer e Leach,1993; Lovaas,1009; McEachin et al.,1993; Perry et al.,1995; Sheinkopf e

Siegel,1996). Il Princeton Child Development Center afferma che mentre solo il 10 per cento

dei bambini che entra nel loro centro dopo l'età di cinque anni riesce successivamente a

frequentare una sezione normale a scuola (negli Stati Uniti i bambini che non riescono a

partecipare in modo significativo alla lezione vengono messi in sezioni o scuole specifiche con

personale più specializzato), il 5per cento di quelli che entrano prima di cinque anni riescono a

frequentare una sezione normale.

Per spiegare questi risultati ottenuti in età tenera, viene ipotizzato che:" Ci potrebbe essere

un periodo ottimale durante il quale il cervello, giovane e ancora non definitivamente

sviluppato, è molto modificabile. In bambini con autismo, l'interazione attiva e ripetuta con

l'ambiente fisico e sociale che viene fatta nell'intervento intensivo sembra modifichi il loro

circuito neurologico, correggendolo questo prima che i corrispettivi neurobiologici del

comportamento artistico diventino relativamente permanenti" (Maurice,Green,Luce,Behavioral

intervention for young children with autism,p.40).

Queste sono però ipotesi ancora da verificare. Ed è comunque riconosciuto che il "recupero

pieno" del bambino non è statisticamente probabile,quindi è bene affrontare un intervento con

realismo. Alcuni ricercatori hanno rilevato che meno della metà dei bambini che cominciano

VII. Terapie Riabilitative e Progetti per l'Autismo

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l'intervento ABA, entro 3 anni di vita fanno progressi tali da non poter più esser diagnosticati

come artistici (McEachin,Work in Progress,p.15).

Tenendo conto di queste realtà, però, è anche vero che nessun altro tipo di intervento offre

possibilità di miglioramento paragonabili. Il metodo ABA non è né sperimentale né nuovo; oltre

venti anni di ricerche documentano abbondantemente la sua efficacia (Harris e

Handleman,1994; Birnbrauer e Leach,1993; Schreibman, Charlop e Milstein,1993;

Smith,1993; Maurice,1993; McEachin et al.,1993; Harris et al.,1991; Lovaas e Smith,1989;

Schreibman,1998; Anderson et al.,1987). Una previsione prognostica non è possibile, ma i

fattori cha statisticamente indicherebbero la migliore riuscita ("best outcome") dell'intervento

sono:

1. l'età del bambino all'inizio dell'intervento (entro 3 anni);

2. un'intelligenza normale (cosa che difficilmente si può stabilire all'inizio dell'intervento)

3. un intervento di qualità di 30 ora settimanali o più

4. dei buoni progressi iniziali.

Il bambino che fa progressi buoni nei primi mesi dell'intervento probabilmente continuerà a

farli.Nel circa 10 per cento dei casi l'intervento intensivo non dà risultati di rilevanza (Maurice,

Green, Luce,p.38), e in questi casi di solito l'intervento viene sospeso. L'intervallo per valutare

questi progressi iniziali è tipicamente di 6 mesi. Negli altri casi l'intervento dura generalmente

circa 2 anni, ma varia molto da bambino a bambino, e il numero delle ore passate " a tavolino"

diminuisce nell'arco dell'intervento.

L'INSEGNAMENTO ATTRAVERSO LE PROVE DISTINTE ("DISCRETE TRIAL TEACHING"/"DTT")

Nell'intervento ABA, la modalità principale è quella dell'insegnamento attraverso prove

distinte ("discrete trial teaching"). Questo metodo non è usato esclusivamente con i bambini

con disturbi artistici, ma è un metodo didattico molto chiaro e efficace che può essere usato

con chiunque. L'insegnamento DTT viene svolto in un ambiente che elimina le distrazioni che

possono impedire l'apprendimento; scompone le abilità in parti più comprensibili per il

bambino; insegna una parte dell'abilità per volta; usa i principi dell'ABA, e in modo particolare i

principi dell'uso corretto del rinforzo; dà tutto l'aiuto possibile al bambino. Tanto è vero che

con questo metodo il bambino non ha nemmeno l'opportunità di fallire. Per questo viene anche

chiamato "insegnamento senza errori" ("errorless learning").

Questo tipo di insegnamento è particolarmente adatto ai bambini con disturbi artistici.

Sappiano che questi bambini riescono a imparare relativamente poco in modo spontaneo dal

loro ambiente naturale. Questo in parte per motivi non del tutto chiari, ma sicuramente per tre

fattori importanti:

1. non osservano bene le persone che li circondano (non sappiamo se per inabilità innata,

per disinteresse o per altro) e quindi non imitano; così non si servono di una delle tecniche di

apprendimento umano più importante, cioè l'osservazione e l'imitazione;

2. non sono intrinsecamente gratificati a compiere molte azioni (come per esempio le

interazioni sociali, anche di quelle più semplici come il sorriso sociale del neonato), quindi il

processo di apprendimento non è il processo spontaneo di azione-gratificazione

sociale/intrinseco-nuava azione, come è invece per i bambini normali;

3. L'ambiente naturale non fornisce una quantità sufficiente di occasioni di apprendimento

(non sappiamo se perché loro necessitano di un maggior numero di occasioni di apprendimento

o perché non stanno attenti agli esempi che l'ambiente naturale fornice.

L'insegnamento DTT è molto adatto per i bambini artistici perché è un metodo che riesce a

superare tutti questi impedimenti nell'apprendimento.

Il bambino normale non ha bisogno di premi artificiali per voler far vedere alla mamma il suo

disegno, è intrinsecamente gratificato dalla sua reazione. Come il neonato che prova piacere

intrinseco a sorridere alla mamma. Il bambino artistico non trova il rinforzo naturale e

intrinseco in queste situazioni. Il metodo di insegnamento DTT non fa altro che sostituire il

rinforzo naturale e intrinseco che il bambino tipico trova spontaneamente nel suo ambiente con

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un rinforzo artificiale. Quindi dà al bambino un motivo per compiere le azioni (osservare,

imitare, produrre vocalizzazioni) che lo porteranno allo sviluppo di abilità a lui necessarie,

come imparare guardando i coetanei, parlare, utilizzare il gioco simbolico.

Inizialmente queste abilità saranno goffe , artificiali. Il bambino le eseguirà esclusivamente

peer avere il suo "premio". Ma la generalizzazione di queste abilità iniziali non è lasciata al

caso, fa parte integrante della programmazione. Se il bambino imparasse solo come imitare un

adulto che fa azioni chiare mentre è seduto a un tavolino, e solo per avere una ricompensa

artificiale, sarebbe del tutto inutile. Le abilità iniziali vengono insegnate in un ambiente spoglio

di distrazioni, usando un linguaggio a volte artificialmente semplice. Il passo successivo è

rendere sempre più complessa e naturale la situazione, e modificare gradualmente tutti gli

elementi della situazione.

Il bambino che ha imparato "a tavolino" a imitare una adulto che fa azioni semplici, passa a

imitare l'adulto che azioni più complesse; poi impara ad imitare l'adulto nel gioco simbolico

fatto in situazioni gradualmente più naturali; viene aiutato a imitare in un ambiente più ricco di

distrazioni; viene inserito in una situazione come la scuola dove può finalmente cominciare a

mettere insieme tutto quello che è riuscito a fare fino a ora.

Solo quando si nota che il bambino inizia a imitare i coetanei, spontaneamente e in situazioni

naturali come la scuola, si può dire che l'intervento sull'imitazione è riuscito: Lo stesso vale per

tutti i tipi di abilità che vengono insegnate al bambino: un obiettivo iniziale o intermedio può

essere che il bambino dimostri un comportamento "a tavolino" (indica parti del corpo,esegue

un'istruzione, risponde correttamente a una domanda), ma l'obiettivo finale è sempre l'uso

spontaneo delle abilità in situazioni naturali.

IL FUNZIONAMENTO SPECIFICO DELL'INSEGNAMENTO DTT

Obiettivi dell'intervento

Gli obbiettivi si concentrano su: Il linguaggio, la comunicazione, il gioco, la socializzazione e

l'autosufficienza quotidiana, tramite un intervento che inizialmente si basa sull'imitazione, la

motricità e le abilità pre-accademiche. Gli obbiettivi sono individualizzati per ogni bambino, ma

seguono un filo logico di programmazione.

L'ambiente fisico

L'ambiente fisico deve facilitare l'apprendimento. E' necessario eliminare potenziali

distrazioni, e tali distrazioni variano a seconda del bambino; ad esempio un bambino che si

autostimola visivamente non deve lavorare in un ambiente pieno di stimoli visivi, un bambino

che è distratto da rumori ambientali, invece, dovrebbe lavorare in un ambiente silenzioso. Al

tempo stesso l'ambiente deve risultare più comodo e gradevole possibile, visto che il bambino

dovrà passarci molto tempo: Le prove discrete di solito vengono fatte con il bambino e l'adulto

seduti uno di fronte all'altro, con un tavolino dell'altezza del bambino: Serve un secondo

tavolino per l'adulto, per appoggiare il quaderno ed altri materiali.

Le ore di terapia

Di solito vengono fatte due o tre sessioni di terapia al giorno. Nei primi tempi le sessioni

sono molto brevi, poi aumentano: Generalmente le ore sono suddivise in due o tre sessioni al

giorno.

La raccolta dati

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I dati sono raccolti durante tutte le sessioni: Quelli delle prove distinte sono riassunti

quotidianamente in grafici. I dati raccolti servono innanzitutto come mezzo di comunicazione

precisa tra terapisti e come documentazione della programmazione della terapia.

Come viene strutturata la terapia

Le lezioni fatte con le prove discrete a tavolino vengono alternate con piccole pause. Se il

bambino possiede delle abilità di gioco funzionale, potrà giocare per conto suo durante le

pause, altrimenti sarà seguito dall'adulto anche in questi momenti. Non gli dovrebbe essere

permesso di autostimolarsi durante queste pause. Le lezioni più difficili vanno alternate con

quelle più facili; le lezioni di linguaggio vanno alternate con attività come l'imitazione e attività

di gioco. Il tutto deve svolgersi con il ritmo più adatto per quel bambino: abbastanza veloce

per mantenere l'attenzione del bambino, ma non così veloce da frustrarlo. La terapia va

strutturata in modo personalizzato rispetto al singolo bambino, e quindi varia

considerevolmente da soggetto a soggetto. Può variare anche da sessione a sessione per lo

stesso bambino: per esempio, se egli lavora meglio la mattina può essere decisa una sessione

più lunga la mattina e una più breve il pomeriggio. Varia anche nell'arco dell'intervento singolo,

in quanto le ore nel primo anno di solito sono più strutturate, e man mano che il bambino

acquisisce più abilità le ore vengono svolte anche in altre situazioni, come a passeggio per il

quartiere o a scuola.

FLUSSO DELL'APPRENDIMENTO:

LA PRODUZIONE LINGUISTICA E IL GIOCO SIMBOLICO

Imitazione con oggetti

Imitazione di motricità

grosso/fine

Concatenazione di imitazioni Imitazione orale

Imitazione del gioco simbolico Imitazione verbale semplice

Gioco simbolico indipendente

o Parallelo con coetanei

Imitazione verbale complessa

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2255)) SSee iill VVoossttrroo bbaammbbiinnoo nnoonn ppaarrllaa………………

di Sonia e Roberto Rusticali

( USO DELLA COMUNICAZIONE PER IMMAGINI CON L’UTILIZZO DI CARTELLI E FOTOGRAFIE )

Dal momento che il Nostro Sito www.autismoonline.it è stato creato con lo scopo di aiutare

in particolare i Genitori che si trovano ad affrontare per la prima volta la dura diagnosi di

Autismo ( o peggio ancora alle mille mini-diagnosi che partendo dalle “tracce Autistiche”

passando per una fantasiosa serie di invenzioni psicoanalitiche, arrivano ai “ Disturbi del

comportamento” ), noi crediamo sia importante ripetere che ogni bimbo Autistico, pur avendo

caratteristiche di base comuni, è un mondo a sé, un mondo misterioso, tragico ed affascinante

che spesso ti sorprende, perché scopri nel Tuo cucciolo indifeso delle potenzialità imprevedibili

che molti addetti ai lavori ( e forse anche tu stesso ) negano che egli possa avere.

E’ ormai cosa nota che ci sono Autistici che non parlano, altri che hanno un linguaggio molto

limitato, altri ancora che parlano troppo e troppo spesso a sproposito ed in maniera ripetitiva,

poi c’è la nicchia degli Asperger che invece hanno una comunicazione verbale che si avvicina

alla media della popolazione, ma in questo Articolo noi ci riferiamo ad un bambino che non

parla in alcun modo.

Il Dottor Angel Rivìere ha scritto un Decalogo ( lo trovate nel Sito, alla Finestra “ cos’è

l’Autismo “ col Titolo “ Sono Autistico , ecco cosa mi piacerebbe dirti” ) e ci sono alcune parti

che vogliamo riproporvi:

“la richiesta al punto 1 è : Aiutami a capire, organizza per me un mondo strutturato e

prevedibile ;

al punto 6 : Dammi degli strumenti alternativi di comunicazione (gesti, pittogrammi,

segni...).;

al punto 11: Non obbligarmi a fare sempre le stesse cose, a rispettare le solite

routines : l’autistico sono io, non tu ;

al punto 16 : Non mi chiedere in continuazione cose che non sono capace di fare , aiutami

ad essere più autonomo, ma non esagerare con l’aiuto ;

ed al punto 20 : Non paragonarmi sempre ai bambini “normali”. Anche se per me è difficile

comunicare, ho dei pregi : non inganno mai, non capisco le sfumature sociali ma non ho

doppie intenzioni nè sentimenti pericolosi. La mia vita può essere soddisfacente se è semplice

e ordinata, tranquilla, se non mi chiedi in continuazione di fare cose troppo difficili per me.”

Questo decalogo di Rivière, tradotto in parole povere, vuole dimostrare che le persone

affette da Autismo, NON SONO ASSOLUTAMENTE STUPIDE , non dovete credete a chi vi dice

che i loro Quozienti di Intelligenza ( Q.I. ) sono bassi , la verità è che i Test di valutazione sono

studiati per Noi Normodotati e non tengono conto delle loro incapacità di seguire i nostri

schemi mentali di ragionamento e di comportamento.

Noi viviamo in un Mondo Sociale in cui c’è reprocità con chi ci è intorno, abbiamo uno

scambio costante di comunicazione con gli altri, diamo qualcosa e qualcosa ne riceviamo,

perdonateci il paragone astratto, ma questo dare e avere è come se corresse sui fili di un

“Impianto Stereofonico” , e noi paragoniamo il Nostro Andrea proprio ad un impianto

Stereofonico a cui si sia rotto il collegamento ad una delle due casse acustiche diventando così

un impianto “ Mono “ che ha le sue NECESSITA’ PRIMARIE ,ma non riesce a spiegatele e

tantomeno riesce a comprendere le tue e questo gli crea enormi difficoltà di comprensione che

possono portare a gravi Crisi di Comportamento ed anche a situazioni pesanti con crisi violente

di aggressione o di autolesionismo.

Noi con Andrea ( che ha 9 Anni ), pian piano, con piccoli ma costanti e significativi progressi,

stiamo riuscendo ad avere una comunicazione e riusciamo ad evitare le sue crisi

comportamentali ( non stiamo parlando di una forma di comunicazione scritta, né tantomeno

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della Comunicazione Facilitata di cui tanto si sta discutendo e litigando di questi tempi, ma

della Comunicazione per Immagini che si avvale dell’uso di Cartelli, Disegni, Fotografie ed

anche di speciali Calendari. ( Allegato all’Articolo troverete una Serie di Fotografie che spiegano

esaurientemente il modo in cui Noi operiamo con Andrea), sia chiaro che non si tratta di nostre

invenzioni estemporanee, ma di strategie collaudate che sono utilizzate da tutti gli Operatori

che seguono Programmi di derivazione T.E.A.C.C.H. ( inventato e tutt’ora utilizzato dal Prof.

Eric Schopler nella Carolina del Nord ed un po’ in tutti gli U.S.A. ed anche in molte nazioni

Europee).

***** Attenzione però, l’uso della Comunicazione per Immagini deve integrarsi con

interventi di Logopedia , che soprattutto se eseguiti in età precoce possono dare grandi

risultati, e non si devono nemmeno escludere tentativi di Comunicazione Scritta ( con Penna,

Timbri, Computer ), perché ricordiamoci bene che è un sogno di tutti di poter comunicare con

nostro figlio, ma NON DEVE TRATTARSI DI COMUNICAZIONE FINE A SE STESSA perché un

bambino che comunica con la scrittura ma che non ti comprende, che non ha autonomie o che

non riesce ad essere gestito, rischia di innescare un meccanismo perverso che può rovinare la

vita ai genitori ( abbiamo visto casi di questo tipo che ci hanno veramente spaventato e

preoccupato).

Ci siamo dilungati un po’ in queste premesse che ci sembravano indispensabili ed ora

andiamo al nocciolo della questione, ricordando che non siamo né Medici, né Terapisti ma solo

Genitori che forti dei risultati ottenuti, ritengono giusto aiutare gli altri esponendo le loro

esperienze, cercando di utilizzare linguaggi e spiegazioni più semplici possibile ( anche

rischiando di essere banali o semplicistici), perché sappiamo dalle E-Mail che riceviamo che ci

sono Genitori disperati con Ragazzi con crisi di comportamento che si vedono proporre solo

Psicoterapia, Psicomotricità o Psicofarmaci, presumendo che molti dei genitori che leggeranno

questo Articolo, non potranno avere a breve termine un intervento di questo tipo da parte dei

Servizi, cercheremo di essere molto dettagliati nella spiegazione, per aiutarli a farselo da soli (

nel limite delle Nostre capacità, potremmo esserVi utili spedendo Via E- mail i vari Cartelli) e

comunque NON ABBIATE TIMORE, IL BAMBINO ( come vedrete in seguito ) NON

DIVENTA UN ROBOT.

*** Tutte le Foto Allegate sono in Formato JPG e quindi si possono Copiare, Tagliare ed

Ingrandire, Vi consigliamo anche di usare Carta Speciale per 720 Dpi (o anche 320 Dpi)per la

Stampa, Carta che migliora la visualizzazione delle Foto.

USO DEL CALENDARIO: Avevamo letto su un Articolo che Soggetti Autistici dotati di

linguaggio erano soliti chiedere ripetutamente, a brevissime scadenze di tempo ( soprattutto

all’insegnante di sostegno a scuola ), che compito avrebbero fatto di lì a poco, e una volta

svolta la consegna, la domanda veniva subito ripetuta e così via ora dopo ora , giorno dopo

giorno, lo Specialista che segue Andrea e che utilizza il T.E.A.C.C.H. ci ha ben spiegato questa

Teoria secondo cui l’Autistico può avere crisi d’Ansia perché non riesce a comprendere lo

scorrere cronologico del Tempo e quindi non sa mai cosa lo aspetta di lì a poco, tenendolo

costantemente in ansia, questa spiegazione ci ha colpito, e avendolo osservato bene, ci siamo

resi conto che anche Andrea non riusciva a comprendere questo meccanismo che invece a Noi

viene naturale e spontaneo.

L’intervento di cui parliamo, viene così strutturato: sia per Casa, ma anche a Scuola , con

l’utilizzo di quadratini di Bi-adesivo e pezzetti di Velcro che rendono facile attaccare e staccare i

cartelli di Comunicazione, abbiamo creato :

- Quattro Calendari Mensili ( Foto 1) che coprono il Mese Corrente ed i tre successivi, nei

quali, con l’utilizzo di Bi-Adesivi si possono incollare le attività che Andrea svolgerà nei 4 mesi (

nella Foto 1 sul Calendario di Giugno è prevista una gita a Gardaland, e la partecipazione al

C.R.E.C.( evidenziato con i due Alberelli ), in Luglio il Papà e la Mamma vanno via una

Settimana e vedete le nostre fotografie con la X Rossa davanti ed il giorno del Nostro Rientro si

vede la Foto nostra senza la X , in Luglio c’è anche il G.R.E.S.T. (che è evidenziato con una

Corriera Rossa ) e in Agosto è previsto il Mare ( che poi si stia al mare dall’1/08 al 6/08 o che

si stia fino al 10 e oltre, non è un problema, basta che Andrea sappia che in quel Periodo si va

al Mare) e per finire in quello di Settembre c’è la Scuola.

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Una informazione importante è sapere che la gestione delle attività (come vedremo in

seguito) non è rigida, se il 3 Giugno in calendario c’è Gardaland, non bisogna che ci sia proprio

quello e nient’altro, se in quella Settimana il Tempo è inclemente, si ha il tempo di spostare la

Gita alla Settimana successiva (l’importante è che Andrea sappia che ha qualcosa da fare).

A supporto dei Tre Calendari Mensili, ci sono :

- Un Calendario Settimanale ( Foto 2 – 2/B – 2/C) che Noi abbiamo in Soggiorno, con i

Giorni della Settimana evidenziati sopra, l’indicazione di ( ieri – oggi – domani ) e tanti pezzi

di Bi-Adesivo per attaccarci le attività svolte in quella settimana, giorno per giorno ( e quasi

ora per ora ) e che Sonia provvede a compilare in genere la Domenica Sera,

- ****la Foto 2 è quella di Inizio settimana, la 2/B è scattata verso Fine settimana , la

2/C è un particolare che evidenzia meglio la Foto 2.

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- Un Calendario giornaliero ( Foto 3 ) da tenere in Camera di

Andrea , con scritto solo il giorno attuale e con tutte le attività del

giorno stesso, questo viene fatto da Sonia dopo che Andrea si è

addormentato.

- Un piccolo calendario Meteorologico Foto 4 ( si nota anche nella foto 1 ) nel quale Andrea,

oltre ad inserire il Giorno della Settimana, inserisce anche che tipo di Tempo Meteorologico c’è

in quel giorno ( Sole, Pioggia, Nuvoloso o Neve ).

****** Questo Tipo di Intervento richiede un impegno costante ( soprattutto alla Mamma )

ed una buona dose di creatività per la realizzazione di un maggior numero di cartelli di

comunicazione possibile, perché noi utilizziamo anche Cartelli di Colori Diversi, scelti in base al

tipo di Attività svolta, tutto questo è studiato per dare ad Andrea comunicazioni della massima

chiarezza.

I Colori dei Cartelli sono : Giallo per le varie Autonomie (Lavarsi, Mangiare andare a Nanna

) - Azzurro ( per il Gioco e attività ludiche ) - Verde per le Comunicazioni Ordinarie (

Automobile, Passeggiata, Televisione, Dottore ), - Rosso per i Divieti ( le cose che non si

possono fare) Vedi (Foto 5).

Andrea ha anche a disposizione dei cartelli specifici per l’uso in casa con stampate le Foto

degli Alimenti da lui preferiti, ( Foto 6 ) che Noi usiamo per abituarlo a chiedere proprio quella

cosa , ( Formaggio, Mela, Caramella etc ) , il risultato è positivo perché se Andrea vuole il

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Succo di Frutta, che non è Fotografato, Ti mostra Ugualmente il cartello con il Bicchiere di

Acqua, e quando apriamo il Frigorifero ( che è chiuso a chiave ) e stiamo per prendere l’acqua

ci fa un verso ( simile al No ) e ci indica che vuole il succo di frutta.

******Anche i Cartelli hanno dimensioni particolari , si inizia con Cartelli piuttosto grandi (

20x15 ) e gradualmente, quando si vede che il bambino ha capito il segnale visivo che il

cartello rappresenta, si va gradualmente a ridurne le dimensioni ( 12x8 ) fino ad arrivare alle

dimensioni che Voi vedete nelle Fotografie n°1,2,3 ( 10x4 ). Ovviamente quando i cartelli sono

grandi, il bambino avrà un minor numero di informazioni, nella Foto 2 con cartelli 10x4 invece

le informazioni sono tante perché ormai il meccanismo è collaudato e non si rischia di mandare

il bimbo in confusione.

All’atto pratico, Andrea si alza al mattino e vede immediatamente cosa gli prospetta la

giornata ( Foto 3 ) ( 1° si lava, 2° va a scuola, 3° Prende la Corriera, 4° c’è la scuola 5° ………

) a questo punto Andrea toglie tutti i cartelli e li ripone in una scatola di cartone ( di scarpe )

che è posizionata sotto al calendario.

Quando scende a pianterreno, per prima cosa mette il Giorno della Settimana sul calendario

Meteorologico ( Foto 4 ), mette il cartello del tempo che fa e con una matita fa uno

scarabocchio nel quadratino a fianco del giorno nel Calendario Mensile ( Foto 1 ) ( esempio sul

giorno 30 Gennaio ) e nota subito se ci sono attaccati cartelli particolari ( ad esempio fino al 6

Gennaio trova i cartelli raffiguranti il Natale ed il 7 Gennaio trova il cartello Scuola).

Nel Calendario Settimanale ( Foto 2 ) invece ha le informazioni dettagliate ( il 30 Gennaio

aveva : 1° Lava Viso, 2° Vai a Scuola, 3° Corriera, 4° Scuola, 5° Scuola , 6° Automobile, 7°

Cavallo, 8° Piscina, 9° Casa, 10° Televisione,11° Lavapiedi, 12° Vai a Letto, tutti con i Suoi

Cartelli con la scritta sotto.

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Quando poi arriva a scuola, trova un Calendario quasi simile a quello di casa, ( Foto 7 )

nel quale trova le informazioni che gli servono per farlo stare tranquillo tutte le 8 Ore di

frequenza ( Andrea fa il Tempo Pieno ), nella Foto 8, i Cartelli sono appesi ad un Filo, come

panni stesi ad asciugare.

Tra l’altro ormai in Classe, Andrea disturba assai poco ed i compagni gli vogliono bene e per

Natale gli hanno fatto questo bel regalo ( Foto “ Accogliere è “).

Questa è una Fotografia che Vi consigliamo di Ingrandire perché i suoi compagni gli hanno

scritto dei bei messaggi (un grazie va ai loro Insegnanti ).

Quando, finita la scuola, Andrea torna a casa, comincia a togliere i cartelli delle cose che ha

già fatto, quando è l’ora della cena, toglie il cartello cena e se lo porta a tavola e quando è l’ora

di andare a nanna, toglie il Cartello “Letto”, capita spesso che quando è stanco, Andrea tolga

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da solo il Cartello e Te lo porti ( facendoti chiaramente capire ), guarda che ho sonno, portami

a nanna.

NON CREDIATE CHE QUESTO LO RENDA UN ROBOT, perché il programma non è fisso ma

può essere modificato, se il 30 /01 piove e non c’è il Cavallo, si mette una bella X Rossa sopra

il Cartello Cavallo e Andrea capisce subito che quando monta in macchina e la Mamma non va

in direzione Bassano ( Cavallo ), bensì verso casa, in attesa di portarlo poi in Piscina non

esplode più in quelle CRISI COMPORTAMENTALI che aveva prima dell’inizio di questo sistema

di Comunicazione per immagini.

Andrea infatti adora andare il automobile, ma muoversi con lui era un incubo perché ha il

suo percorso preferito ( noi abitiamo su una Strada Statale e quindi il primo centinaio di metri

è sempre il medesimo ovunque si vada), ma quando si deviava dal Suo percorso preferito, per

portarlo in qualsiasi altra parte, al Supermercato, etc. etc. iniziavano gli urli, i pugni sul vetro e

le testate sul sedile e le crisi duravano fino a che non si riprendeva la sua strada, facendo il

suo solito tragitto. Le stesse crisi si avevano quando si andava dritto al Semaforo, perché

allora per Andrea significava che si sarebbe andati a casa dei nonni, ed il Semaforo era per Noi

il punto di non ritorno, perché cambiare strada a quel punto portava a crisi così intense da

farlo stare male fisicamente.

Noi abbiamo cercato in tutti i modi di spiegargli verbalmente dove saremmo andati, parlando

piano, usando frasi corte, succinte, stringate ma che gli risultavano totalmente incomprensibili,

invece ora, come nell’esempio del cavallo, quando usciamo con Lui in Auto, ha la sua Agenda

da Auto ( Foto 9 ) dove ci sono i tragitti segnati ( 1° Auto, 2° Cavallo, 3° Piscina, 4° e ultimo

Casa ) e ad ogni tappa raggiunta, toglie il cartello e lo inserisce su una finestrella apposita

della stessa Agenda ( nella Foto 9, si vede il Cartello Auto nella Finestrella).

La cosa ha funzionato così bene che i problemi di comportamento si sono notevolmente

ridotti e per Noi uscire con Andrea, andare in Pizzeria, portarlo al Mare è diventata una cosa

possibile ( naturalmente Andrea deve essere seguito sempre con estrema attenzione, gli si

devono evitare luoghi troppo affollati o attese troppo lunghe al Ristorante, ma nel complesso

per Noi è un’altra Vita.).

Per finire Vi vogliamo raccontare un siparietto divertente; anche ad Andrea, come agli altri

bambini “ Normali”, non piace andare a scuola o a Logopedia, e allora sapete cosa fa la il

Lunedì mattina?

Di nascosto toglie tutti i Cartelli “Scuola e Logopedia” di quel giorno e li sostituisce con altri

che indicano “ Gioco, Piscina, Passeggiata, Torta ”.

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Diteci Voi se è un bambino poco intelligente con un Q.I. molto basso.

*** Considerazioni finali:

Sarebbe ovviamente necessaria una valutazione del Bambino da parte di un professionista

per proporgli un programma individualizzato, che sia studiato sulle esigenze della famiglia e

del bambino per sviluppare un approccio ad hoc.

L’uso dei Cartelli di Comunicazione dovrebbe essere considerato di “Transizione” perché

dovrebbe essere il mezzo per sviluppare una comunicazione autonoma ed aiutare la persona in

difficoltà a sviluppare verbalmente, gestualmente e con l’ausilio di immagini una

comunicazione spontanea.

Ci scusiamo se siamo stati un po’ ripetitivi su alcune spiegazioni, ma riteniamo che alcune

cose che a chi è un po’ più esperto sembrano ovvie, non lo potrebbero essere per chi si

avvicina al metodo per la prima volta.

Sonia e Roberto Rusticali

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2266)) PPeerrcchhéé ll’’aauuttiissmmoo ??

Le attuali ricerche hanno evidenziato la difficile comprensione delle informazioni sociali ed

emotive, dei soggetti con sindrome autistica, che portano operativamente, alla difficoltà a

condividere il significato dell’intento comunicativo e delle interazioni reciproche.

L’iniziativa sperimentale “Progetto Sindrome Autistica “ (ai sensi della D.C.R. V/1329 del

30/01/1995, approvato con D.G.R. V/64960 del 7/03/1995), si fonda sui criteri diagnostici per

l’Autismo formulati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità espressi nel DSM (Diagnostic and

Statistic Manual, a cura dell’American Psychiatric Association, APA) e dall’ICD-10 (International

Classification of Desease, X versione), come risulta dalla relazione del Gruppo di lavoro tecnico

– scientifico della sindrome autistica della Regione Lombardia (nominato con D.P.G.R. n° 1819

del 29.03.1994.

Secondo questi criteri l’Autismo è un disturbo generalizzato dello sviluppo che insorge entro

il terzo anno di età e comporta:

menomazione qualitativa dell’interazione sociale

menomazione qualitativa della comunicazione

schemi comportamentali limitati, stereotipati e ripetitivi

Secondo l’Osservatorio Autismo della Regione Lombardia sarebbero 9.000 i casi presenti

nella nostra regione.

I deficit sociali che emergono conducono a inevitabili disturbi comportamentali che sono

condizionati a loro volta da problemi di comprensione, scarsa capacità di espressione verbale,

deficit di attenzione, difficoltà di astrazione, disorganizzazione, memoria correlata al livello

d’interesse, deficit di elaborazione uditiva, problemi di generalizzazione delle informazioni,

resistenza al cambiamento.

In contrapposizione sono stati rilevati punti di forza cognitivo – percettivo relativamente alla

peculiarità d’interessi, all’abilità nella memoria meccanica, all’elaborazione visiva.

2277)) PPeerrcchhéé uunn pprrooggeettttoo gglloobbaallee ddii rreettee ??

Recentemente si è assistito a grandi cambiamenti nel trattamento di questo disturbo: è

possibile attivarsi per migliorare la capacità di adattamento delle persone colpite, contribuendo

ad uno sviluppo qualitativo delle loro condizioni di vita.

A fronte di ciò si ritiene necessario approntare un sistema integrato d’interventi al fine di

realizzare una rete di relazioni tra i vari servizi preposti all’inserimento sociale, la famiglia, ed

ogni altra realtà agente.

L’ANGSA Lombardia, tramite la stesura di un progetto globale, si pone come interlocutore

privilegiato sul territorio regionale in quanto in grado di convogliare non solo il prezioso

patrimonio di idee, esperienze, bisogni di persone affette da sindrome da autismo e delle loro

famiglie, ma anche il significativo contributo scientifico, culturale, operativo, proveniente da

enti e operatori sociali che hanno profuso energie nel corso degli ultimi anni nel tentativo di

formulare risposte adeguate al processo d'integrazione sociale.

In riferimento a quanto appena enunciato, ci sembra importante sottolineare come il punto

di forza del presente progetto sia il ruolo di coordinamento che l’ANGSA intende operare

coinvolgendo ed utilizzando le risorse più significative presenti in Lombardia nel campo

VIII. Patologie collegate all'Autismo

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dell’autismo: infatti, riferimenti diretti risultano da subito essere l’Azienda Ospedaliera di

Niguarda e i tutti i poli sperimentali riconosciuti dall’Osservatorio Regionale per l’autismo che di

seguito indichiamo:

CSE-autismo Anffas Milano;

Istituto Sacra Famiglia di Cesano Boscone;

La Nostra Famiglia di Bosisio Parini;

Cooperativa Sociale Spazio Aperto Servizi;

ASL Milano 3, servizio disabili;

CTR piccoli Milano, ospedale San Paolo;

CSE ex zona 14, Milano;

CSE Don Gnocchi Milano.

L’attuazione del progetto, inoltre, vedrà una collaborazione più serrata e mirata con gli Enti

Locali che già si attivano da tempo, le ASL, in particolare i servizi pediatrici di base e le

UOMPIA, il Provveditorato agli Studi.

Il presupposto fondamentale che sottende al coinvolgimento di tutti i soggetti operanti nella

rete, sarà quello di operare per l'inserimento sociale.

Tutto ciò significa “saper leggere” le realtà sociali, saper interagire con gruppi, associazioni,

imprese; significa capire che tipo di risorsa possono rappresentare per i soggetti, costruire una

mappa sociale che orienti l'azione sociale, assistenziale, educativa.

L’altro elemento di forza del progetto consiste nell’approccio globale alle problematiche

generate dalle sindromi autistiche nei confronti delle persone colpite e delle loro famiglie.

L’autismo è un disturbo generalizzato dello sviluppo ed in quanto tale, dura per sempre

impedendo una programmazione dei trattamenti in termini di riabilitazione.

L’autismo richiede interventi specifici per tutta la durata della vita allo scopo di sviluppare

tutte le potenzialità del soggetto.

Nella relazione con soggetti autistici viene posto alla base della propria attività la necessità

di lavorare per progetti educativi individualizzati: per ogni soggetto seguito vengono

individuate le potenzialità, le risorse interne ed esterne, l'analisi del contesto sociale e familiare

per giungere alla formulazione di obiettivi educativi mirati, perseguibili nel tempo, verificabili

nei risultati.

Le esperienze fino ad ora prodotte evidenziano quanto l’intervento educativo conduce ad una

riduzione dei farmaci e dei ricoveri in ospedale, con vantaggi tanto maggiori quanto il

trattamento è iniziato precocemente. Inoltre si hanno buoni risultati anche con persone adulte

non educate in precedenza.

Obiettivo generale di tali progetti consiste nel promuovere il massimo dello sviluppo delle

potenzialità e dell'autonomia del soggetto. La persona in situazione di bisogno rimane il punto

di riferimento costante dell'azione educativa. Le strutture, i servizi, l'organizzazione sono

funzionali alla ricerca di risposte sempre più adeguate alle esigenze dei soggetti seguiti.

2288)) LLee lliinneeee gguuiiddaa ddeell pprrooggeettttoo

Come già ampiamente espresso nelle pagine precedenti, il nostro progetto intende orientare

una serie di interventi specifici volti a facilitare il processo di integrazione sociale della persona

autistica in ogni stadio del ciclo vitale.

Al fine di realizzare un'efficace presa in carico del soggetto autistico risultano, tuttavia,

essere indispensabili alcuni elementi caratteristici che sottendono ai vari passaggi progettuali

quali:

la conoscenza teorica e pratica dell’autismo

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l’utilizzo di adeguati strumenti diagnostici e di valutazione

l’uso di metodologie educative specificatamente messe a punto per l’autismo

il coordinamento tra le strutture.

Indichiamo ora schematicamente le fasce di età secondo le quali è suddiviso l’intervento,

individuando per ciascuna di esse le prestazioni specifiche previste:

PRIMA INFANZIA (0 – 6 ANNI)

Interventi prioritari :

- diagnosi precoce

- valutazione delle abilità

- supporto e accompagnamento alla famiglia

- programma educativo individualizzato per la scuola materna

ETÀ DELLA SCOLARIZZAZIONE

Interventi prioritari :

- continuità del programma educativo durante i passaggi ai diversi ordini e gradi della

scuola

- supporto e accompagnamento alla famiglia

- verifiche periodiche e follow up

FASCIA GIOVANI ADULTI

Interventi prioritari:

- presa in carico nei centri diurni: continuità nel programma educativo

- presa in carico nella comunità alloggio e residenzialità: continuità nel programma

educativo

- l’avviamento al lavoro:continuità nel programma educativo.

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2299)) CCOONNTTEENNUUTTII PPRROOGGEETTTTUUAALLII

DALLA INDIVIDUAZIONE PRECOCE DELLA SINDROME ALLA DIAGNOSI.

L’Autismo infantile può essere individuato nei bambini a partire dal diciottesimo mese di età;

è infatti più facile che in questa età precoce, gli operatori della prima infanzia, riconoscano i

disturbi dello sviluppo motorio, piuttosto che i segnali precoci del disagio nell’interazione

sociale reciproca oppure rivelino la carenza dei prerequisiti per uno sviluppo adeguato della

comunicazione.

La conoscenza delle caratteristiche dell’autismo in età precoce, rappresenta per il sistema

sanitario, un punto di forza dal quale partire per attuare un'adeguata formazione del personale

sanitario preposto all’infanzia e dei pediatri.

L’uso di uno strumento di screening come il C.H.A.T. (checklist for Autism in Toddlers),

utilizzabile dal pediatra di base, permette di rilevare i segni precoci di una sindrome autistica.

La diagnosi precoce consente di attivare un intervento adeguato in una fascia di età

particolarmente giovane e quindi dotata di maggiori risorse e definisce la prima tappa nella

conoscenza di un bambino che presenta un peculiare funzionamento mentale.

A seguito di una raccolta dati sulla storia del bambino che si attua attraverso la rilevazione

anamnestica, integrata con un dettagliato racconto sulle abilità sociali, di comportamento e di

comunicazione verbali ed analogiche, sul gioco simbolico; si procede ad un adeguato

inquadramento diagnostico.

Mediante l’uso di manuali diagnostico-statistici, si può evidenziare una diagnosi di autismo

infantile o di Disturbo pervasivo e generalizzato dello sviluppo facendo riferimento alle

classificazioni internazionali dell’Organizzazione Mondiale della sanità (ICD 10) ed al manuale

diagnostico dall’Associazione di Psichiatria Americana (DSM IV).

La diagnosi, pur essendo il primo e fondamentale passo del processo di valutazione, non

individua la causa ma si limita a classificare ed a orientare le operazioni successive.

DALLA DIAGNOSI ALLA PRESA IN CARICO

L’autismo è un disturbo generalizzato dello sviluppo, dura per sempre ed è per questo

motivo, associato alle peculiari difficoltà che caratterizzano la sindrome, che richiede interventi

specifici per tutta la durata della vita al fine di sviluppare tutte le potenzialità del soggetto.

Un intervento psico educativo coerente, conduce ad una diminuzione dell’uso di farmaci e di

ricoveri ospedalieri, con vantaggi tanto maggiori quanto il trattamento è iniziato precocemente

e in sinergia tra le realtà frequentate dal soggetto, siano esse scuole, centri, servizi diurni,

sanitari, sportivi, ecc.

Di fondamentale importanza risultano essere:

la formazione del personale (medici, specialisti,educatori, genitori, assistenti, volontari,

ecc.)

il coordinamento e la collaborazione tra le strutture (ovvero tra i settori dell’Educazione,

Assistenza e Sanità

il supporto alla famiglia con un intervento domiciliare propedeutico al miglioramento

della qualità della vita e delle strategie d’intervento

la realizzazione di comunità alloggio e strutture residenziali

la realizzazione dell’integrazione sociale anche attraverso un inserimento lavorativo.

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3300)) QQUUAALLEE PPEERRCCOORRSSOO

Il pediatra di base, grazie ad una formazione specifica, sarà in grado di individuare i primi

segnali di autismo, ed indirizzare la famiglia ad un centro di base accreditato e riconosciuto

dalla Regione per la diagnosi e la valutazione.

I Centri di base disporranno di un’équipe multidisciplinare (neuropsichiatria, psicologo,

educatori) e seguiranno il bambino dalla prima infanzia fino agli 11 anni, attivando un lavoro di

collaborazione con le scuole materne ed elementari.

Il Centro di base si farà carico del passaggio di consegna con i Centri preposti all’accoglienza

della fascia adolescenziale e adulta.

Il nuovo Centro provvederà ad attivare la medesima collaborazione con la scuola media ed

accompagnerà il soggetto nella terza fase di crescita,valutandone le attitudini lavorative.

Il passaggio successivo vedrà la presa in carico del soggetto in strutture lavorative,

comunitarie e residenziali.

E’ necessario assicurare un coordinamento continuo tra il Centro di appartenenza e la scuola

poiché devono basare la loro programmazione educativa sulla valutazione effettuata dal centro

stesso.

In accordo con il Centro potranno essere programmate attività ritenute utili per il bambino

(es. logopedia, psicomotricità con personale formato nella sindrome) e confacenti alle sue

caratteristiche (musica, pittura, nuoto, ecc.).

Il Centro di appartenenza farà una valutazione multidisciplinare, prendendo in

considerazione qualunque aspetto che possa incrementare lo sviluppo della persona.

In seguito il Centro di appartenenza attiverà un nucleo operativo comune con altri servizi,

per la raccolta delle commesse di lavoro al fine di creare al suo interno un laboratorio protetto.

La permanenza nei Centri diurni dovrebbe prolungarsi oltre l’orario previsto per il servizio, in

modo da creare spazi per attività pomeridiane di tempo libero per i soggetti.

La residenzialità o comunità alloggio deve poter essere organizzata in un programma di

continuità d’intervento con i precedenti servizi, con l’obiettivo di tendere ad una maggiore

autonomia, nel rispetto delle peculiarità del soggetto.

SOGGETTI COINVOLTI

Le ASL, le UOMPIA ed i servizi pediatrici di base

IRCCSS Lombardia

I Centri riconosciuti dal Coordinamento Regionale per l’Autismo:

Cooperativa Spazio Aperto Servizi

A.N.F.F.A.S. Milano

La Nostra Famiglia di Bosisio Parini

C.S.E. Don Gnocchi

C.T.R. dell’azienda ospedaliera San Paolo

ASL Mi 3 servizio disabili

La Sacra Famiglia di Cesano Boscone

C.S.E. 14

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3311)) OOBBIIEETTTTIIVVII

L’obiettivo prioritario che accompagna tutto il progetto è determinato dalla realizzazione di

un sistema d’interventi coordinati atti a realizzare un programma d’intervento adatto alle

peculiarità della sindrome e che risponda in tempi brevi alla complessità del problema.

Sulla base di quanto scritto si identificano i seguenti obiettivi:

attivare un intervento adeguato a partire da una fascia di età particolarmente giovane

e quindi dotata di maggiori risorse.

Favorire la corretta informazioni sulle caratteristiche della sindrome rivolta a target

specifici (medici-specialisti, educatori, insegnanti di scuola materna) per facilitare

un'adeguata presa in carico.

Supportare ed accompagnare la famiglia nel difficile compito di gestione della

condizione emotiva con un adeguato supporto d’intervento a domicilio oltre che

psicologico

Attivare un programma d’intervento in collaborazione con la scuola materna suddiviso

in:

a) Supporto formativo sulla sindrome e sulle tecniche d’intervento

b) Collaborazione nella stesura di un programma educativo individualizzato

c) Supporto educativo all’interno della classe.

Agevolare il potenziamento delle realtà già esistenti al fine di creare un pacchetto di

servizi ad ampio spettro rispondenti al Target di riferimento (prolungamento

dell’orario, laboratori lavorativi, comunità alloggio)

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3322)) 11ªª ffaasscciiaa:: 00 -- 66 aannnnii ((eettàà pprreessccoollaarree))

A tutt’oggi l’autismo non viene riconosciuto come disturbo di origine organica. Ciò ha portato

ad un ritardo nella stesura di un protocollo standardizzato di screening neurobiologico. Questo

ostacolo può essere rimosso mediante una migliore organizzazione della diagnosi: dei suoi

tempi, della possibilità di svolgere esami clinici in day-hospital, della presenza di personale

medico ed infermieristico preparato alle caratteristiche del disturbo, dell’organizzazione di uno

spazio ospedaliero per gli esami e per il ricovero che tenga conto delle necessità di quiete e

prevedibilità che questi bambini hanno. Sarebbe utile una chiara e rapida integrazione tra le

diverse strutture preposte alla diagnosi ed alla valutazione nei suoi molteplici aspetti.

L’intervento psicoeducativo si svolge presso i Centri riconosciuti e facenti parte del

coordinamento regionale per l’Autismo.

IL PERSONALE

L’équipe di intervento comprende quindi il personale sanitario responsabile, i

terapisti/educatori del Centro, i genitori ed eventualmente il personale di ambiti extra familiari

frequentati dal bambino. Inoltre l’équipe riabilitativa del Centro effettuerà le verifiche del

programma individuale e le valutazione formali con frequenza almeno trimestrale.

QUALITA’ DELL’INTERVENTO

In questa fascia di età l’intervento riabilitativo deve:

mirare al miglioramento della menomazione sociale, comunicativa e cognitiva del

bambino con il coinvolgimento della famiglia;

sviluppare la relazione interpersonale e la possibilità di comunicazione e di scambio,

attraverso strumenti, strategie, modalità condivise e trasmesse nell’ambito familiare.

Data l’assoluta necessità che il trattamento si basi sulla collaborazione esperto/famiglia, è

importante che questa possa essere raggiunta fin dal momento della diagnosi. È indispensabile

l’aiuto pratico e psicologico alla famiglia che, se messa in grado di controllare lo stress, può

evitare l’isolamento e la frustrazione e contribuire moltissimo al miglioramento della qualità di

vita del bambino, rendendosi sempre più competente con un’informazione adeguata e corretta.

Comunicazione della diagnosi

Conferma della diagnosi

La diagnosi fornisce alla famiglia le informazioni sul grado di autismo del bambino, sulla

misura in cui le sue capacità d’interazione sociale, di comunicazione e d’immaginazione sono

colpite.

VALUTAZIONE DELLE ABILITÀ

Lo scopo della valutazione è di:

costruire un quadro, condivisibile dai genitori e dagli operatori, che serva a delineare

la natura dei problemi, gli eventuali deficit cognitivi associati, il livello di sviluppo del

bambino, per decidere gli obiettivi educativi e le aree da privilegiare;

costruire quindi utili riferimenti scientifici e di trattamento.

La valutazione viene eseguita in presenza e con la collaborazione dei genitori e deve rivelare

il livello di sviluppo raggiunto individuando competenze ed «emergenze», attraverso la

somministrazione di un test standardizzato adeguato alle caratteristiche dell’handicap ed all’età

(ad esempio, il PEP-R).

La valutazione accurata delle abilità di partenza serve a definire un programma riabilitativo

adeguato individuale, che illustri ai genitori che cosa si può concretamente fare col bambino,

attraverso la descrizione di compiti nelle varie aree di sviluppo e delle strategie per ottenere la

collaborazione.

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Professionisti e genitori elaborano insieme un piano di intervento riabilitativo sulla base della

valutazione delle preferenze del bambino, delle priorità della famiglia, delle opportunità offerte

dal territorio e dall’ambiente familiare.

Il piano comprende un programma educativo da svolgere presso il Centro riabilitativo, un

programma individuale da svolgere a domicilio ed un programma per il Nido, la Scuola Materna

o qualunque altro ambiente extra familiare.

Il programma individuale riabilitativo verrà condotto in ogni ambito di vita del bambino

coordinato e controllato da uno psicopedagogista del Centro di base, che ne è il responsabile.

COMPOSIZIONE DEL PROGRAMMA

Il programma d’intervento riabilitativo è basato sulle abilità presenti e potenziali individuate

dal test di valutazione e sulle priorità indicate dalla famiglia.

Abilità di comunicazione sociale e di comunicazione (uso dello sguardo,

risposta/saluto, attenzione congiunta, ecc.).

Abilità utili per favorire lo sviluppo (imitazione, percezione, moticità globale e fine,

coordinazione occhio/mano, abilità cognitive e linguistiche, ecc.).

Abilità pratiche, di gioco e di tempo libero (autonomie personali, giocare a palla,

domino, puzzle, lavori domestici).

L’attività si svolge in un ambiente, strutturato e protetto da stimoli sensoriali, che

faciliti l’apprendimento del bambino in sedute di lavoro individuale, con particolare

attenzione all’acquisizione di prerequisiti, all’apprendimento delle autonomie

personali, di conseguenza, all’acquisizione dell’autostima. Inoltre ci si dovrà avvalere

di personale con una competenza specifica (ad esempio: psicomotricisti, logopedisti,

fisioterapisti).

PROGRAMMA D’INTERVENTO DOMICILIARE

Il programma a domicilio è parte integrante del programma riabilitativo ed è mirato alla

generalizzazione delle abilità acquisite. Il lavoro a casa va quindi progettato con il necessario

rispetto nei confronti dei bisogni personali degli altri membri della famiglia, in quantità, misura,

tipo, obiettivi, ecc. in modo che si accordi e non contrasti con questi bisogni.

Lo psicopedagogista o l’educatore del Centro illustra alla famiglia, durante sedute di lavoro

pratico-comune, le modalità per ottenere l’attenzione del bambino e per sviluppare i

prerequisiti necessari al lavoro in situazione protetta e no.

E’ possibile prevedere un programma di training formativo all’interno dell’ambito domestico.

LA FAMIGLIA

La famiglia ha bisogno di un aiuto da parte dei professionisti del Centro per apprendere

concretamente, in sedute di lavoro comune, le strategie d’intervento sul bambino. Il lavoro

verrà controllato periodicamente anche attraverso l’esame di documenti video.

I genitori, arricchendosi attraverso l’apprendimento di nuovi approcci educativi, possono

migliorare la qualità del loro rapporto con il bambino.

IL PROGRAMMA EDUCATIVO INDIVIDUALIZZATO

L’intervento sul bambino piccolo mira a costruire un programma d’intervento anche

all’interno dell’ambiente domestico, secondo le energie e disponibilità delle famiglie al fine di

supportare i genitori stessi nella costruzione di modalità preposte all’interazione con il proprio

bambino.

Il programma mira ad obiettivi chiari e facilmente raggiungibili.

Si distingue in tre tempi:

obiettivi a breve termine

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obiettivi a medio termine

obiettivi a lungo termine

La pianificazione dei tre livelli deve essere coerente e coordinata tra i seguenti ambienti:

casa, scuola, centro e si deve avvalere di supporti quali: incontri, condivisione di momenti di

lavoro nei vari servizi e visione in comune di video.

Aiuto sociale ed emotivo

La famiglia del bambino autistico dovrebbe essere aiutata a mantenere il più possibile il tipo

di vita e le relazioni sociali precedenti alla nascita del figlio: questo significa il poter disporre

dell’aiuto di personale competente che permetta ai genitori di disporre del tempo per coltivare

relazioni sociali e di conservare il posto di lavoro messo seriamente in pericolo dalla mancanza

di una presa in carico efficace del bambino.

Anche i fratelli hanno diritto alle cure dei genitori e, come in tutte le altre famiglie, possono

intervenire malattie o doveri di assistenza verso i parenti anziani. Il bambino autistico non

deve essere il fulcro, ma uno dei componenti la famiglia.

La vita di coppia deve essere coltivata. Nell’ambito del programma individualizzato, sarebbe

opportuno prevedere brevi periodi di vacanza per il bambino in modo di garantire alla famiglia

il giusto riposo per ricaricarsi e trovare nuove energie per affrontare la vita quotidiana.

La solidarietà e la comprensione, che si possono trovare nell’ambito delle Associazioni dei

familiari, non dovrebbero sostituirsi alla possibilità di mantenere relazioni ed interessi al di

fuori del problema autismo, per non diventare un’ulteriore fonte di emarginazione della

famiglia.

Un aiuto concreto a mantenere la vita di relazione, una prospettiva dignitosa - seppur

impegnativa - per il futuro, una chiara dimostrazione di fiducia da parte degli operatori, la

disponibilità ad un’accoglienza competente e serena da parte delle strutture preposte

all’inserimento sociale della persona autistica, costituiscono inoltre il più valido aiuto e motivo

per la famiglia.

LA FORMAZIONE

L’esperienza dei genitori può essere valorizzata anche come fonte di formazione rispetto agli

operatori del settore e di nuovi genitori.

A tal fine, il ruolo di docente può essere rivestito sia dagli operatori che dai genitori in modo

interscambiabile.

Per quanto riguarda le modalità, la formazione può essere strutturata, libera, individuale o di

gruppo, allo scopo di formare alla capacità di:

gestire le difficoltà ed utilizzare le risorse per reggere il problema;

svolgere il proprio ruolo di educatori, regolando il comportamento del figlio

nonostante il disturbo;

svolgere il compito di terapista con il figlio.

PROGRAMMA NELL’AMBITO SCOLASTICO

Gli educatori del Nido e della Scuola Materna avranno la possibilità di una formazione sulla

sindrome. Inoltre riceveranno un programma riabilitativo adeguato con l’opportunità di

discutere la valutazione del bambino e partecipare alla realizzazione del programma

individuale.

L’équipe del Centro di base offre inoltre la disponibilità ad una consulenza, almeno mensile,

di verifica del lavoro svolto presso la Scuola e riaggiustamento del programma durante riunioni

di lavoro con l’équipe scolastica. La relativa documentazione aggiornata verrà fornita alla

famiglia.

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VERIFICA DEI RISULTATI DEL PIANO DI TRATTAMENTO RIABILITATIVO

Il controllo dei risultati della qualità dell’intervento verrà condotto monitorando

continuamente i progressi e le acquisizioni nelle varie aree attraverso le rivalutazioni formali

periodiche e l’andamento dei problemi di comportamento nel bambino, per mezzo della

somministrazione di adeguati test di valutazione.

Tramite questionari verrà inoltre periodicamente controllato il gradimento delle strategie di

intervento da parte degli operatori e dei familiari.

STRUMENTI

formazione specifica destinata a professionisti sanitari della prima infanzia (pediatri,

specialisti delle UOMPI)

formazione finalizzata agli educatori

realizzazione di un’équipe medico-specialistica

realizzazione di un’équipe educativa

intervento educativo domiciliare

SOGGETTI COINVOLTI

In questa prima fase è d’importanza fondamentale la collaborazione con

le ASL, i servizi pediatrici di base e le UOMPIA.

I Centri riconosciuti dal Coordinamento Regionale

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3333)) 22ªª ffaasscciiaa:: 66 –– 1166 aannnnii ((eettàà ssccoollaarree))

Quando il bambino autistico raggiunge l’età per l’inserimento nel mondo scolastico, diventa

più pressante la problematica dell’interazione sociale, capire i significati della comunicazione,

manovrare flessibilmente questi significati all’interno delle strutture cognitive. Pertanto

l’educazione deve avere una struttura chiara e leggibile, una comunicazione ricettiva con mezzi

non verbali e dovrà inoltre ridurre i comportamenti disturbanti e l’ansia attraverso una

maggiore comprensibilità del mondo sociale che circonda il soggetto autistico.

Come previsto dalla Legge del diritto allo studio e dalla Legge quadro 104/92, il bambino ha

comunque il diritto/dovere di frequentare la scuola dell’obbligo. Il Centro riabilitativo collabora

con la scuola nello stendere un unico piano ed offre la possibilità di consulenze e verifiche per

la realizzazione del PEI.

La famiglia mantiene il suo ruolo di soggetto principale, in collaborazione con gli operatori.

VALUTAZIONE

La valutazione del livello di sviluppo raggiunto viene elaborata in collaborazione con la

famiglia e con l’équipe educativa/scolastica, individuandone le competenze e le «emergenze»,

attraverso la somministrazione di un test standardizzato ed adeguato alle caratteristiche

dell’handicap ed all’età (PEP-R).

Pertanto, prima di formulare un programma pedagogico, si devono valutare le capacità

sociali in differenti contesti. Esse comprendono:

la vicinanza;

l’iniziativa;

la risposta sociale;

la presenza di comportamenti inopportuni;

l’adattamento al cambiamento.

A partire dai 12 – 13 anni, sarà opportuno procedere ad un’attenta valutazione delle

predisposizioni lavorative del bambino attraverso un test adeguato.

PROGRAMMA D’INTERVENTO

Sulla base della valutazione delle preferenze del bambino, delle priorità della famiglia e della

scuola e delle opportunità offerte dal territorio e dall’ambiente familiare, i professionisti del

Centro, i genitori, l’équipe educativa scolastica elaborano insieme un piano d’intervento

psicoeducativo, adeguato alle possibilità di apprendimento del bambino.

Il piano comprende un programma educativo da svolgere presso il Centro di riferimento

scelto tra i poli del Coordinamento Regionale, ed un programma individuale da svolgere a

scuola, a casa ed in qualunque altro ambito, anche attraverso la descrizione di compiti mirati al

miglioramento delle prestazioni nelle aree funzionali (comunicazione, attività sociali, autonomia

personale, attività di gioco e tempo libero, attività domestiche) e delle strategie per facilitare

l’apprendimento

L’équipe di intervento comprende il personale sanitario responsabile, i terapisti/educatori del

Centro, i genitori, il personale insegnante o operante presso qualunque altro ambito territoriale

frequentato dal bambino. Inoltre l’équipe del Centro provvederà a controlli, almeno mensili, a

riaggiustamenti del programma individuale ed a una nuova valutazione formale con frequenza

almeno trimestrale.

PROGRAMMA RIABILITATIVO PRESSO IL CENTRO DI RIFERIMENTO

Vengo individuate le «potenzialità» attraverso la valutazione formale ed informale, sulle

predisposizioni e preferenze del bambino, sulle priorità indicate dalla famiglia.

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Si svolge in un ambiente strutturato, prevedibile e protetto dagli eccessivi stimoli sensoriali.

È costituito da una serie di compiti, alla portata del bambino, in sedute di lavoro individuale ed

autonomo nelle seguenti aree funzionali:

Comunicazione (strategie di comunicazione aumentativa, comunicazione recettiva,

espressiva, spontanea, linguaggio, intenzione comunicativa-

sabotaggio, memoria visiva, capacità d’imitazione dei gesti e dei

suoni, capacità di comprensione e di associazione con la parola di

oggetti o figure, ecc.)

Attività sociali (accettazione della prossimità e del contatto con le altre persone,

attendere il proprio turno, partecipazione a giochi sociali strutturati)

Autonomia personale (pulizia personale, uso della toilette, comportamento a tavola,

vestirsi e svestirsi)

Attività di tempo libero (ritmo della giornata; lavoro/riposo; attività di svago individuali:

colorare, puzzle, ascoltare musica, videocassette, televisione,

sfogliare e leggere libri; attività più socializzanti: giochi delle carte,

palla, attività sportive in genere)

Attività domestiche (apparecchiare la tavola, stendere i panni, piegare la biancheria,

ecc.)

Alla famiglia ed a ogni operatore coinvolto nella presa in carico del bambino, verranno

fornite sia la valutazione, sia un programma di generalizzazione delle competenze.

PROGRAMMA SCOLASTICO

Si ritiene necessaria l’individuazione di sedi scolastiche di riferimento per l’inserimento di

soggetti autistici per i quali i progetti educativi possono trovare una loro continuità.

Agli insegnanti del bambino deve essere assicurate un'adeguata formazione sulla sindrome.

Inoltre riceveranno un programma riabilitativo adeguato con l’opportunità di discutere la

valutazione del bambino e partecipare alla realizzazione del programma individuale.

L’équipe del Centro di riferimento scelto, offre inoltre la disponibilità ad una consulenza,

almeno mensile, di verifica del lavoro svolto presso la Scuola e riaggiustamento del

programma durante riunioni di lavoro con l’équipe scolastica. La relativa documentazione

aggiornata verrà fornita alla famiglia.

CONTROLLO DEI RISULTATI DEL PIANO DI TRATTAMENTO RIABILITATIVO

Il controllo dei risultati della qualità dell’intervento verrà condotto monitorando

continuamente i progressi e le acquisizioni nelle varie aree attraverso le rivalutazioni formali

periodiche e l’andamento dei problemi di comportamento nel bambino, per mezzo della

somministrazione di adeguati test di valutazione.

Tramite questionari verrà inoltre periodicamente controllato il gradimento delle strategie di

intervento da parte degli operatori e dei familiari.

STRUMENTI

Gli strumenti previsti per questa fase sono identificabili su due livelli

Livello 1:

le risorse educative e specialistiche

la formazione nelle scuole

l’intervento educativo domiciliare

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Livello 2:

gli strumenti di valutazione sopra citati

la collaborazione tra i servizi

SOGGETTI COINVOLTI

Anche in questa fase, la collaborazione tra i servizi competenti e riconosciuti a livello

regionale

UOMPIA.

I centri riconosciuti dal Coordinamento Regionale: la Cooperativa sociale Spazio

Aperto Servizi, l’Anffas di Milano, La Nostra Famiglia di Bosisio Parini, C.S.E. Don

Gnocchi, C.T.R. dell’azienda ospedaliera S. Paolo di Milano

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3344)) 33ªª ffaasscciiaa:: oollttrree 1166 aannnnii ((aaddoolleesscceennttii--aadduullttii))

La maggior parte dei soggetti di questa fascia colpiti da autismo ha il potenziale per

diventare membro attivo della società, ma può raggiungere questo potenziale soltanto

attraverso un addestramento attivo a cominciare dall’infanzia.

L’intervento riabilitativo consiste principalmente nel migliorare le proprie prestazioni nelle

aree funzionali. L’insegnamento non può quindi terminare al momento dell’adolescenza: anche

per i giovani autistici che non hanno mai ricevuto un’educazione, non è troppo tardi per

usufruire di un insegnamento specializzato ed adeguato alle loro necessità e potenzialità.

L’insegnamento, che deve essere continuato nel tempo, consente di mantenere ciò che hanno

imparato e li prepara a vivere nella comunità.

VALUTAZIONE

La valutazione del livello di sviluppo raggiunto viene elaborata in collaborazione con la

famiglia, individuando le competenze e le «emergenze», attraverso la somministrazione di un

test standardizzato ed adeguato alle caratteristiche dell’handicap e dell’età (AAPEP).

PROGRAMMA RIABILITATIVO

Il programma riabilitativo individuale è finalizzato a sviluppare le abilità necessarie per

vivere nella comunità ed in modo indipendente, attraverso tappe programmate sulla base della

valutazione nelle aree funzionali.

Il programma riabilitativo si svolge presso il Centro. È basato sulle «emergenze» individuate

attraverso la valutazione formale ed informale, sulle predisposizioni e preferenze del soggetto

e sulle priorità indicate dalla famiglia. È costituito da una serie di compiti nelle varie aree

funzionali.

Si svolge in un ambiente strutturato prevedibile e protetto da eccessivi stimoli sensoriali, allo

scopo di facilitare l’apprendimento in sedute di lavoro individuale. In particolare verranno

sviluppati e generalizzati programmi nelle seguenti aree:

Comunicazione (insegnamento di strategie di comunicazione aumentativi attraverso

oggetti, immagini, parole scritte, ecc.; comunicazione recettiva del

linguaggio e delle altre forme di comunicazione espressiva e

spontanea presenti; intenzione comunicativa-sabotaggio)

Abilità sociali Durante l’adolescenza si osserva un miglioramento delle relazioni

sociali ed il bisogno di estenderle al di fuori dell’ambito familiare.

Tuttavia il «piacere» delle relazioni sociali deve essere loro

insegnato. Sulla base di una valutazione individuale informale dei

livelli di sviluppo delle abilità sociali, si procede ad insegnare

gradualmente le competenze sociali che porteranno il soggetto

autistico ad acquisire un comportamento sociale accettabile ed un

successo nelle relazioni interpersonali gratificanti. Si inizia a

lavorare gradualmente nel rispetto delle difficoltà individuali

sull’accettazione della prossimità e del contatto con le altre persone

e successivamente ad attendere il proprio turno ed a partecipare

alla relazione reciproca sotto forma di dialogo (routines sociali:

salutare, guardare in viso, mantenere le distanze)

Autonomia personale (igiene e cura personale; comportamento a tavola sia al Centro, sia

a casa, sia nei luoghi pubblici; uso del denaro; spostamenti anche

con i mezzi pubblici; comprensione dei tempi delle routines

quotidiane; agende)

Attitudini e autonomia

lavorativa L’esperienza mostra che anche le persone autistiche di modesto

livello di sviluppo sono capaci di lavorare molto più di quanto si

pensasse un tempo e che l’esperienza lavorativa risponde ad

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un’esigenza profonda della persona autistica. Il programma

riabilitativo del Centro dovrebbe rappresentare una scuola di

transizione verso il luogo di lavoro attraverso due fasi:

1. Valutazione delle predisposizioni e delle capacità lavorative e

delle «emergenze», individuate in diversi ambiti (abilità domestiche,

cucinare, uso di attrezzi semplici, abilità scolastiche, catalogare in

ordine cronologico alfabetico/numerico, usare il personal computer,

ecc.). Si offrono tutte le possibilità di lavoro adatte e si provvede a

rendere il soggetto il più possibile autonomo nell’esecuzione dei vari

compiti.

2. Scelta del lavoro. Il Centro prende contatto con laboratori che

offrono una gamma più ampia possibile di lavori alla portata degli

utenti (ad esempio: lavori di manutenzione, orticoltura e

giardinaggio, lavori amministrativi, riciclaggio, preparazioni

alimentari, lavori di magazzino) ed accompagna il soggetto autistico

sul luogo di lavoro in modo graduale, previo adattamento

dell’ambiente e preparazione del datore di lavoro e dei colleghi. Ogni

soggetto dovrebbe poter provare almeno due lavori prima di

decidere quello più adatto e gratificante.

Attitudini e autonomia

nel tempo libero Utilizzare il tempo libero richiede per la persona autistica un

progetto come per il lavoro, con un accompagnamento ordinato e

sistematico. Si inizia ad insegnare un ritmo della giornata

(lavoro/riposo), ad associare determinate attività con determinati

luoghi. Si valutano poi le abilità del soggetto in attività di svago

individuali (colorare, puzzle, ascoltare musica, videocassette,

televisione, sfogliare e leggere libri), in attività più socializzanti

(giochi delle carte, palla) e in attività da spettatore (cinema, teatro,

concerti, spettacoli sportivi, ecc.). È importante stimolare le attività

sportive, sia singole, sia di gruppo. Si lavora gradualmente per

aumentare la durata dell’attenzione e le competenze necessarie ad

apprezzare l’attività come divertimento. Alla famiglia verrà fornita

sia la valutazione, sia un programma di generalizzazione delle

competenze acquisite.

L’équipe riabilitativa del Centro provvederà a controlli periodici e riaggiustamenti del

programma individuale sulla base di valutazioni informali e di una nuova valutazione formale

con frequenza almeno semestrale.

CONTROLLO DEI RISULTATI

Il controllo dei risultati della qualità dell’intervento verrà condotto monitorando

continuamente i progressi e le acquisizioni nelle varie aree attraverso le rivalutazioni formali

periodiche e l’andamento dei problemi di comportamento nel soggetto autistico e l’effettivo

inserimento in un’attività lavorativa adeguata, nonché la capacità di collaborare

autonomamente alle attività domestiche e di occupare il proprio tempo libero.

MODELLO DI INSERIMENTO LAVORATIVO

Ove possibile, il Centro riabilitativo curerà l’inserimento degli adulti che hanno raggiunto un

sufficiente livello di sviluppo delle capacità sociali e lavorative in laboratori esterni, attraverso

un collocamento al lavoro graduale per tappe successive:

Ricerca del lavoro adatto

Il formatore esegue personalmente il futuro lavoro dell’allievo

Il formatore fa un’analisi dei compiti richiesti

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L’allievo viene introdotto nel nuovo contesto e presentato al datore di lavoro ed ai

colleghi

Comincia l’addestramento nel contesto reale di lavoro, in situazione di apprendimento

individuale

Quando l’allievo ha fatto progressi soddisfacenti, il programma educativo si concentra

sulle routines dell’impiego e sugli aspetti sociali

L’allievo inizia gradualmente a lavorare da solo anche se, in caso di necessità, aiutato

dal formatore

Il formatore viene gradualmente sostituito da un supervisore tecnico del luogo di

lavoro che, dopo un incontro per fare il punto della situazione, potrà chiedere il

ripristino dell’intervento formativo.

LE CARATTERISTICHE DEI CENTRI DIURNI

Nella relazione con l'utenza viene posto alla base della propria attività la necessità di

lavorare per progetti educativi individualizzati: per ogni soggetto seguito vengono individuate

le potenzialità, le risorse interne ed esterne, l'analisi del contesto sociale e familiare per

giungere alla formulazione di obiettivi educativi mirati, perseguibili nel tempo, verificabili nei

risultati.

Obiettivo generale dell'impegno degli operatori: lavorare per promuovere il massimo dello

sviluppo delle potenzialità e della autonomia del soggetto. La persona in situazione di bisogno

rimane il punto di riferimento costante della azione educativa (e del sistema cooperativo). Le

strutture, i servizi, l'organizzazione sono funzionali alla ricerca di risposte sempre più adeguate

alle esigenze dei soggetti seguiti. La motivazione personale a questo “orientamento

solidaristico” viene verificata, sostenuta e alimentata dal lavoro in équipe, dalla ricerca, dal

confronto. Viene chiesto agli operatori di assumere il naturale sentimento “assistenziale” nei

confronti “di chi soffre” per trasformarlo in capacità di lettura critica di sé, dei propri

comportamenti e predisposizioni; in capacità di cambiamento e di assunzione responsabile di

atteggiamenti corretti di sostegno e promozione integrale del benessere "degli altri". Centrale

rimane la persona umana e la sfida a rendere visibili i valori della condivisione, della

partecipazione, della solidarietà, della vicinanza - empatia.

Un terzo presupposto viene posto alla base dell'azione socio-educativa : lavorare per

l'inserimento sociale. Il territorio è punto di riferimento costante anche della azione

dell'operatore. Questo significa “saper leggere” le realtà sociali, saper interagire con gruppi,

associazioni, imprese; significa capire che tipo di risorsa possono rappresentare per i soggetti,

costruire una mappa sociale che orienti l'azione sociale, assistenziale, educativa.

Un ultimo elemento infine, già richiamato: la programmazione e la supervisione-verifica

costante del proprio lavoro. Negli ultimi anni si è operato per promuovere diverse figure di

coordinamento dei servizi.

Nei rapporti con le famiglie va posto in evidenza in primo luogo il rispetto delle reciproche

distinte responsabilità. Nessuna sostituzione o delega, ma una chiamata a partecipare alla

costruzione di un diverso futuro per i figli.

La maggior parte delle persone autistiche presentano anche ritardo mentale di grado medio,

ma non è il ritardo a caratterizzare l’autismo, bensì le difficoltà a comprendere e usare le

modalità sociali e comunicative che invece di solito aiutano molto le persone a crescere.

Recentemente si è assistito a grandi cambiamenti nel trattamento di questo disturbo: oggi è

risaputo che non esiste una cura ma che è possibile puntare ad un miglioramento delle

capacità di adattamento delle persone colpite, e quindi a significativi miglioramenti nelle loro

condizioni di vita.

Ricerche controllate hanno portato alla definizione di quello che sembra essere il trattamento

più efficace: esso non è un singolo metodo o terapia ma un sistema integrato di interventi

composti da : diagnosi precoce, sostegno alla famiglia, servizi predisposti finalizzati

all’inserimento sociale, coordinamento tra servizi interessati.

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L’esperienza intrapresa dai poli appartenenti al gruppo Regionale di Coordinamento per

l’Autismo, sembra sottolineare con forza quanto sia vivo l’interesse di tutti gli interlocutori

presenti sul territorio in merito ad una sperimentazione su percorsi formativi e riabilitativi

rivolto a giovani autistici: dagli operatori, alle famiglie, agli enti locali quali il Comune di Milano

e la Regione Lombardia (quasi immediato il riconoscimento da parte dell’Osservatorio

Regionale sull’Autismo).

FINALITA’ DEI CENTRI DIURNI

I servizi si propongono, attraverso una particolare strutturazione della giornata dei soggetti

fruitori, come obiettivi primari :

- il conseguimento di uno stato di benessere delle persone interessate e

conseguentemente delle famiglie di provenienza;

- strutturazione dell’ambiente adattandolo ai deficit dell’autismo, apportando lenti ma

progressivi miglioramenti che favoriscano lo sviluppo delle autonomie gestionali e

personali;

- l’adattamento di ogni singolo individuo all’ambiente, nell’intento educativo di

aumentare il livello delle proprie abilità, sfruttandone gli interessi specifici.

METODOLOGIA

La scelta metodologica ha voluto seguire quelle che sono le più recenti indicazioni di

carattere scientifico della letteratura nel campo: in particolare si è fatto riferimento, peraltro

non esclusivo, al metodo psicoeducativo TEACCH.

Tale metodo rappresenta attualmente uno dei più validi programmi educativi per soggetti

autistici ed è adottato sia Europa che negli Stati Uniti.

Le linee guida di tale metodo adottate, partono dalla considerazione fondamentale che i

deficit sociali che emergono nei soggetti autistici, conducono ad inevitabili problemi

comportamentali che sono condizionati a loro volta da problemi di comprensione, scarsa

capacità di espressione verbale, deficit di attenzione, difficoltà di astrazione, disorganizzazione,

memoria correlata al livello di interesse, deficit di elaborazione uditiva, problemi di

generalizzazione delle informazioni, resistenza al cambiamento.

In contrapposizione sono stati rilevati punti di forza cognitivo- percettivo relativamente alla

peculiarità di interessi, all’abilità nella memoria meccanica, all’elaborazione visiva.

A tal proposito gli educatori si avvalgono, in particolare, di specifici strumenti di valutazione

formale (AAPEP) ed informale (check list, analisi del compito etc.) che, unitamente alle

osservazioni quotidiane, permettono la restituzione di un quadro del soggetto realisticamente

aggiornato.

L’individuazione dell’insegnamento strutturato si verifica sulla base delle rilevazioni di abilità emergenti e sul mantenimento di quelle acquisite nel rispetto della tipologia della sindrome autistica.

Le abilità sociali, comunicative e di tempo libero, non vengono proposte sotto forma di percorsi tradizionali, ma all’interno di una cornice in cui si insegnano abilità utili nel mondo del lavoro a livello sociale e nella conduzione della propria vita in generale.

La strutturazione del programma settimanale può prevedere un alternarsi delle attività di

gruppo come la piscina, ippoterapia, laboratorio di abilità sociali, uscite sul territorio, tempo

libero, ma anche di alcune attività individuali ritenute via via più importanti e prioritari per

alcuni piuttosto che per altri.

In sintesi si possono così definire gli ambiti di intervento metodologici:

Trattamento individualizzato

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Uno degli scopi fondamentali dell’équipe dei centri sarà quella di formulare un programma

riabilitativo individuale, che dovrà privilegiare l’acquisizione ed il consolidamento delle abilità

necessarie all’adattamento sociale.

Le aree di intervento riguarderanno tanto l’autonomia personale e le attività domestiche

quali l’igiene e cura personali, alimentazione e comportamento a tavola, gestione del denaro,

spostamenti con utilizzo dei mezzi pubblici, routines quotidiane, uso del tempo e accettazione

dei cambiamenti, quanto le attività lavorative, le abilità per il tempo libero, le abilità di

comunicazione verbale e non verbale, le abilità sociali (accettare il contatto con gli altri,

guardare in viso etc.).

Trattamento generalizzato

Si intende la generalizzazione delle acquisizioni ottenute durante il trattamento

individualizzato ossia il trasferimento in contesti di vita diversi delle abilità acquisite quali le

uscite generiche, esperienze di lavoro in contesti protetti e non, periodi di vacanza in gruppo

etc.

Partnership con i genitori

Il rapporto con le famiglie implica una collaborazione efficace che consista in una

comunicazione produttiva tra genitori ed operatori nella realizzazione di programmi di

insegnamento di abilità e di gestione del comportamento in ambiente domestico in direzione di

una vita adulta autonoma.

Collegamento con altri servizi sul territorio

Nell’ottica di un lavoro di rete, l’équipe del centro dovrà costituire e mantenere un

collegamento con altri servizi territoriali e referenti privati per un efficiente presa in carico.

LA REALIZZAZIONE DI COMUNITA’ ALLOGGIO

La necessità di realizzare comunità alloggio per soggetti autistici è data dalla carenza di

unità di offerta specifiche sul territorio per questo tipo di handicap.

La caratteristica sperimentale del progetto permette di mantenere una certa flessibilità

organizzativa e gestionale, mirata anche ad una facilitazione del lavoro di rete (condivisione,

confronto, aggiornamento, ecc.) e ad un coinvolgimento qualitativo, partecipativo-attivo, delle

famiglie.

SPECIFICITA’ DELL’INTERVENTO E CONTENUTI INNOVATIVI

La particolare specificità dei soggetti affetti da autismo è data prevalentemente da

un'incomprensione qualitativa del messaggio sociale.

In quanto sindrome complessa non assimilabile ad altre tipologie di handicap, necessita di

modalità gestionali strutturate che semplifichino, al massimo grado, gli aspetti comunicativi e

relazionali, rivolte prevalentemente a garantire loro una migliore qualità della vita.

Una chiara routine nello svolgimento dell’attività, condotta nel tempo con coerenza e con

strumenti comunicativi che rendano leggibile e chiaro il contesto, assicura benessere,

tranquillità e facilità di gestione.

A tal fine, si ritiene essenziale, per il benessere esistenziale dei partecipanti, una costruttiva

rete di relazione con tutte le figure istituzionali e non, che interagiscono con i soggetti; affinché

lo stesso modello d’intervento e di gestione venga applicato trasversalmente in termini di

coerenza e chiarezza di comunicazione.

Inoltre si incentiverà la partecipazione attiva dei familiari in quanto co-attori del progetto.

La comunità alloggio ha carattere residenziale tardo pomeridiano e notturno, la peculiarità è

data dal fatto che i soggetti inseriti frequentano centri diurni di accoglienza; tuttavia la

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struttura è atta ad accogliere i partecipanti anche nelle ore diurne, in quei particolari casi

d’impedimento temporaneo alla frequenza nei centri abituali e nei fine settimana.

TARGET E CRITERI DI AMMISSIONE/DIMISSIONE

La comunità a carattere residenziale, prevede l’inserimento di 7/8 soggetti adulti affetti da

sindrome autistica e/o disturbi assimilabili a tale sindrome, frequentanti contesti diurni (C.S.E.,

laboratori protetti, Centri Diurni)

TIPOLOGIA DEL PERSONALE

N° 5 educatori professionali con formazione specifica nella sindrome autistica

N° 1 coordinatore p.t.

Équipe tecnico/scientifica (medico, psicologo, psichiatra)

Si sottolinea ulteriormente la necessità di intraprendere una relazione biunivoca tra le realtà

interagenti con le persone autistiche al fine di consentire un'integrazione sociale delineata da

un reale benessere e trasversale ad una coerenza d’intervento.

2) Obiettivi funzionali alla vita comunitaria

S’intende attuare un’attività formativa adeguata agli aspetti concreti della vita, ma

imprescindibili dalle reali esigenze ed abilità dei singoli soggetti

3) Obiettivi funzionali alla gestione del tempo libero

Prevedono l’individuazione di spazi ed attività ricreative rilassanti e di facile gestione

TRASPORTI

- L’uso del mezzo consentirà di effettuare spostamenti quotidiani di:

accompagnamento,

- espletamento di commissioni di vario genere,

- attività di tempo libero a carattere sociale,

- attività occupazionali,

- attività ricreative

METODOLOGIA D’INTERVENTO E MODELLO ORGANIZZATIVO

La peculiarità dell’intervento è intesa come cornice del lavoro svolto dai singoli soggetti nei

contesti diurni, come prosieguo del lavoro svolto dagli stessi ma calato in un contesto di vita

pratica quotidiana.

Si procederà con stimoli verbali, gestuali o di accompagnamento fisico, attuando strategie di

rinforzo ed eventualmente una modalità di correzione di errori e di indicazioni ritardate.

Si verificherà la condizione di benessere attraverso valutazioni informali, raccolta dati, analisi

del comportamento e relativa gestione.

Il modello organizzativo prevede un coinvolgimento attivo dei genitori, in quanto risorse

sociali, economiche e formative, oltre ad una richiesta di disponibilità per incontri individuali e

formali, plenarie e programmazione d’incontri a tema.

STRUMENTI

- La presa in carico nei centri diurni sarà preceduta da un lavoro di collaborazione con la

scuola dimissionaria che prevede continuità di collaborazione educativa nell’arco dell’anno

scolastico.

- All’interno dei centri diurni dei poli riconosciuti dal coordinamento regionale, si

destineranno spazi adibiti al training formativo per l’avviamento al lavoro di giovani adulti.

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- All’interno dei poli riconosciuti si attiveranno i servizi di tempo libero nei momenti

destinati al prolungamento dell’orario

- Gli stessi poli potranno contribuire alla realizzazione di comunità alloggio rispondenti

alle caratteristiche dei soggetti destinatari

SOGGETTI COINVOLTI

I Centri riconosciuti dal Coordinamento Regionale per l’Autismo:

Cooperativa Spazio Aperto Servizi

A.N.F.F.A.S. Milano

La Nostra Famiglia di Bosisio Parini

C.S.E. Don Gnocchi

C.T.R. dell’azienda ospedaliera San Paolo

ASL Mi 3 servizio disabili

La Sacra Famiglia di Cesano Boscone

C.S.E. 14

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3355)) LLaa ccoommuunniiccaazziioonnee ffaacciilliittaattaa

Il CENTRO STUDI SULLA COMUNICAZIONE FACILITATA (Via Ezra Pound, 14 - 16030

Zoagli Tel. 0185 – 233118 0348 - 2697222), in accordo con la filosofia e le tecniche del

Facilitated Communication Institute dell’Università di Syracuse, si colloca in Italia quale punto

di riferimento per l’informazione, la formazione e la raccolta dati su questo metodo di

comunicazione.

La COMUNICAZIONE FACILITATA è stata introdotta in Italia da un genitore, Patrizia

Cadei, la cui formazione è stata curata direttamente dal Prof. Biklen, Direttore del suddetto

Istituto all’Università di Syracuse. Inizialmente, onde evitare appropriazioni scorrette del

metodo, l’informazione e la formazione sono state seguite direttamente dalla Sig.ra Cadei

attraverso l’ANGSA (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici). I risultati sono stati

talmente incoraggianti da indurre il Prof. Biklen a sollecitare la formazione di gruppi di

supervisione al metodo in vari punti d’Italia.

I Gruppi di supervisione alla Comunicazione Facilitata, a cui rivolgersi per una

corretta applicazione del metodo sono:

ANGSA MARCHE – D.ssa A. Foglia, Biologa – Sig.ra L. Dottori

ANGSA LIGURIA / CENTRO STUDI SULLA CF – Sig.ra P. Cadei

Dott. Raffaele LUCERINI, Psicologo – NAPOLI

Neuropsichiatria Infantile – OSPEDALE GIOVANNI XXIII – BARI

Dott.ssa Silvana Bitetto, psichiatra

Sig.ra Luisa Tricarico, psicomotricista

USL 20 – VERONA – Centro Ricerca Autismo – Dott. M. Brighenti, Neuropsichiatra

Istituto A. QUARTO DI PALO – Dott.ssa T. Calvario, Neurologa – ANDRIA

COOP. DIDASCO – ROMA – Francesca Benassi, Logopedista

CENTRO STUDI FUTURA – OTTAVIANO (Na) - Prof. R. Ascione

ASL 5 – BARI – D.ssa A. Dellarosa, Neuropsichiatra

COOP. DI INTERVENTO – MESTRE – Sig.ra Zambon, Psicomotricista, Sig.ra Orvieto,

Logopedista, Dott. S. Vitali, Neuropsichiatra

ANGSA PIEMONTE – D.ssa M. Millari, Pedagogista

COOP. CULTURA E LAVORO – TERNI – D.ssa M. Garotti, Psicologa

COOP. OLIS – CARRARA – Sig.ra Isa Piccini, Psicomotricista

COSA E’ LA COMUNICAZIONE FACILITATA

LA COMUNICAZIONE FACILITATA (CF) E’ CONSIDERATA UNA STRATEGIA DI

COMUNICAZIONE AUMENTATIVA/ALTERNATIVA.

Il suo utilizzo consente ad una persona con problemi di comunicazione di

esprimere, attraverso un intervento graduale, il pensiero intrappolato a causa di

una comunicazione verbale nulla, insufficiente o stereotipata.

La CF comporta l’utilizzo di un "mezzo", fotografie, simboli, tastiera di carta,

tastiera elettrica, ecc.

Utilizza inoltre un accesso diretto e dipendente per costruire un futuro accesso

diretto ma indipendente.

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GLI ELEMENTI DELLA TECNICA INCLUDONO:

Supporto fisico

* mai una guida al movimento, semmai un allenamento ad un ben preciso ed

individualizzato.

Lavoro strutturato

* iniziando con risposte semplici e prevedibili per arrivare ad una conversazione aperta e

spontanea.

Richiesta continua di attenzione

* ignorando, interrompendo o correggendo il linguaggio stereotipato, intervenendo sul

comportamento ossessivo incoraggiando il contatto oculare con l’obiettivo

La comunicazione facilitata altro non é che il supporto fisico iniziale mano-su-mano oppure

mano-su-braccio, per permettere al soggetto con sindrome autistica o comunque alla persona

con problemi di comunicazione, di compiere scelte esatte nell’indicare delle figure, degli oggetti

o delle lettere. Il facilitatore NON GUIDA il facilitato nella scelta, ma piuttosto stabilizza il

movimento e, in alcuni casi, effettivamente rallenta la mano della persona che si accinge a

compiere una scelta.

IL SUPPORTO FISICO AIUTA IL SOGGETTO A SUPERARE ALCUNE DIFFICOLTA’ FISICHE (

NONCHE’ EMOTIVE) SPECIFICHE, QUALI UNO SCARSO COORDINAMENTO OCCHIO-MANO, UN

BASSO TONO MUSCOLARE, UN ELEVATO TONO MUSCOLARE, PROBLEMI NELL’ISOLARE O

ESTENDERE IL DITO INDICE, PERSEVERANZA NELL’ESECUZIONE DI UN COMPITO, UTILIZZO

DI ENTRAMBE LE MANI PER ESEGUIRE UN COMPITO CHE NE RICHIEDEREBBE UNA SOLA,

TREMORI, INSTABILITA’ MUSCOLARE, PROBLEMI NELL’INIZIARE UN COMPITO SU COMANDO,

IMPULSIVITA’ (Crossley 1990). Con il passare del tempo il supporto regredisce ad un semplice

tocco sulla spalla fino ad arrivare all’indipendenza nello scrivere.

STRATEGIE INIZIALI

PARLARE AL SOGGETTO ESATTAMENTE COME SI PARLEREBBE AD UN SOGGETTO NON

DISABILE DELLA STESSA ETA’;

SPIEGARE AL SOGGETTO CHE IL SUPPORTO MANO-SU-MANO o MANO-SU-BRACCIO o

POLSO SI E’ MOSTRATO EFFICACE CON ALTRI RAGAZZI /RAGAZZE CON DIFFICOLTA’ DI

ESPRESSIONE;

AIUTARE INIZIALMENTE IL SOGGETTO A NON FARE ERRORI, TIRARE VIA LA SUA MANO DA

UNA SELEZIONE CHIARAMENTE ERRATA (SE INDICA AD ESEMPIO PER LA TERZA VOLTA UNA

STESSA LETTERA);

RICORDARGLI IN CONTINUAZIONE DI FOCALIZZARE L’ATTENZIONE SUL COMPITO

ASSEGNATO (TASTIERA O ALTRO OBIETTIVO);

INIZIARE SEMPRE E SOLO CON DOMANDE STRUTTURATE, UNA ALLA VOLTA; FATEGLI

RIEMPIRE GLI SPAZI VUOTI DI UNA FRASE OPPURE COMPLETARE UNA FRASE INTERROTTA.

La facilitazione permette di compensare i problemi neuromotori la cui importanza non è stata

sufficientemente sottolineata nei casi di handicap mentale. E’ un pezzo del rompicapo che

mancava al quadro clinico e che ci rivela l’altra faccia dell’autismo. Questi problemi

neuromotori sono passati inosservati nelle persone con sindrome autistica, le quali, molto

spesso, sono agili nei movimenti riflessi ed automatici. Ma è il controllo volontario del

movimento che è in discussione, sia a livello dei movimenti ampi che dei movimenti fini

necessari all’esecuzione della parola.

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Le persone con autismo possono essere considerate disprassiche e non sono sempre in

grado di eseguire movimenti su richiesta; ci mettono troppo tempo a programmarli, non

riescono ad iniziarli, continuarli o fermarli.

Queste difficoltà sono state osservate da diversi autori già da anni (Maurer e Damasio,

1982 - Wing e Atwood, 1987), e corrisponderebbero, in parte, a delle anomalie del

cervelletto. Un recente studio neuro-anatomico (Courchesne) rivela che 50 soggetti autistici

su 53 presentano una ipoplasia dei lobuli 6 e 7 del verme cerebellare e, a volte, una iperplasia.

Le lesioni del cervelletto rallentano i movimenti, li rendono imprecisi e obbligano la persona a

fare uno sforzo per "pensare" in sequenza alle fasi di preparazione ed esecuzione di una

azione.

PERCHE’ E’ NECESSARIO IL CONTATTO FISICO?

Ipotizziamo che alla base del disturbo ci sia un difetto di programmazione e sequenziazione.

Tale disturbo influirebbe sulla capacità di organizzare e riadattare in modo volontario i

programmi motori. I ragazzi con sindrome autistica presentano una dissociazione automatico-

volontaria: chiediamo loro di saltare e non lo fanno, come se non lo sapessero proprio fare, o

non comprendessero il comando, ma, dopo un po’ verosimilmente, li vediamo saltare.

Chiediamo di pronunciare una lettera e non otteniamo risposta, ma, poco dopo li sentiamo

pronunciare una frase che contiene diverse di quelle lettere con le quali aveva fallito la

ripetizione, e via dicendo.

Quando si ha un difetto di programmazione, per iniziare un programma motorio è necessario

l’aiuto di uno "starter". Il facilitatore ha questa funzione di "starter" che esercita sia con il

contatto fisico che con la sollecitazione verbale e il messaggio empatico.

La programmazione di un movimento è una concatenazione e sinergia di eventi e capacità

quali:

avere una corretta informazione sulle caratteristiche della stimolazione

esterna in entrata (corretta integrazione sensoriale)

corretta integrazione centrale dello stimolo

decisione di agire in un certo modo (intenzionalità)

previsione dello schema motorio necessario per agire

attivazione dello schema motorio e controllo di esso durante il corso

dell’azione (corretta propriocezione per il feed-back)

feed-back di ritorno che confermi il fatto che l’atto motorio è stato compiuto

secondo le previsioni.

La non funzionalità o l’imperfetta sinergia di una di queste componenti genera la scorretta

motricità che, alla fine porterà ad una caduta dell’intenzionalità stessa e al rifiuto di

concentrarsi sull’azione da compiere.

COME SI ACCEDE IN ITALIA ALLA COMUNICAZIONE FACILITATA?

Attraverso progetti individualizzati. Una persona esperta nell’uso del metodo

Effettua una valutazione di ogni singolo futuro candidato stilando un

progetto iniziale e, contemporaneamente, istruendo, attraverso una

formazione specifica, ogni singola persona (il facilitatore) che inizierà ad

utilizzare la CF con il ragazzo/a facente parte del progetto.

Come già indicato, l’accesso alla CF in Italia avviene unicamente attraverso uno dei punti di

supervisione nominati.

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BIBLIOGRAFIA

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Facilitated Communication. Brisbane, QLD: University of Queensland, Schonnel Special

Education Research Centre.

- ASA Editors (1993). An interview with Dr. Margaret Bauman, Advocate, 24 (4), 1 & 13-17

- Beukelman, D. & Mirenda, P. (1992) – Augmentative and Alternative Communication

Processes. Baltimore, MD: Paul H. Brookes.

- Biklen, D. (1990) – Communication Unbound: Autism and Praxis.

- Harvard Educational Review, 60, 291-314

- Biklen, D. (1993) Communication Unbound. NY: Teacher’s College Press.

- Biklen, D. (1992). Autism orthodoxy versus free speech: a reply to Cummins and Prior. –

Harvard Educational Review, 62 (2), 242-256

- Crossley, R. & McDonald, A. (1980). Annie’s coming out – Melbourne: Penguin.

- Damasio, A.R. & Maurer, R.G. (1978). A neurological model for childhood autism.

- In M. Coleman

- Darley, F.L., Armson, A.E., & Brown, J.R. (1975). Motor Speech Disorders. Philadelphia:

W.B. Saunders.

- Eastham, M. (1992). Silent Words. Ottawa: Oliver Plate

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movement. American Scientist, 63, 188-195

- Grandin, T. & Scariano, M.M. (1986). Emergence: Labeled autistic. Novato, CA: Arena

- Kelso, J.A.S., & Tuller, B. (1981). Toward a theory of apractic syndromes. Brain and

Language, 12, 224-245.

- Maurer, R. (July, 1992) The neurology of facilitated communication: Is autism a motor

disorder? Paper presented to the Autism Society of America meeting, Albuquerque, NM.

- Oppenheim, R. (1974). Effective teaching methods for autistic children. Springfield, IL:

Charles C. Thomas.

- Williams, D. (1994) Somebody Somewhere. New York: Times Books

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3366)) FFOORRMMAAZZIIOONNEE DDII PPRROOFFEESSSSIIOONNIISSTTII EE GGEENNIITTOORRII NNEELLLL’’AAMMBBIITTOO DDEELLLL’’AAUUTTIISSMMOO

THEO PEETERS

Sommario: questa conferenza sul corso di formazione è costituita da sei parti.

1) Nella prima parte spiegherò come le persone affette da autismo siano speciali in modo

molto speciale.

2) L’autismo è un disturbo che dura tutta la vita. Questo implica che è necessaria una

continuità, per tutta la vita, di servizi specializzati per l’autismo; questo significa anche

che è necessario addestrare professionisti/esperti che lavorino in tutti questi servizi.

3) Il contenuto di questo corso di aggiornamento (preparazione).

4) Un’introduzione molto generale sull’autismo (pre-corso?) si rende necessario alla

preparazione di molti esperti. Per tutti coloro che scelgano l’autismo per la loro carriera

professionale è necessaria la specializzazione.

5) Anche i genitori naturalmente hanno bisogno di informazioni e di preparazione più di

chiunque altro e i loro bisogni sembrano trascurati nella maggior parte dei paesi europei.

6) Non tutti gli esperti/professionisti sembrano essere in grado di lavorare con persone

autistiche. La preparazione non è l’unica cosa che conta. Bambini molto speciali hanno

bisogno di professionisti molto speciali. Un tentativo di sviluppo del profilo di un

professionista nell’ambito dell’autismo.

1) AUTISMO IN MODO SPECIALE

Secondo le definizioni le persone affette da autismo hanno (soffrono di)

danni/menomazioni/deterioramento qualitativo.

In Mindblindness (cecità della mente) – un recente lavoro di S. Baron – l’autore prospetta

che è chiedere troppo alla nostra immaginazione il capire la "cecità" sociale delle persone

affette da autismo.

Possiamo capire cosa vuol dire avere conoscenza degli oggetti mediante l’eco-

posizione?

Si, diciamo noi annuendo.

Razionalmente possiamo capire cosa significa à conoscere gli oggetti mediante

l’eco-posizione?

Ma lo capiamo anche con il cuore o le viscere?

Non lo credo, semplicemente manchiamo di quest’esperienza.

Nell’autismo il problema è simile. Razionalmente possiamo capire cosa significa soffrire di

cecità sociale, ma non lo capiamo davvero istintivamente. Siamo nati con troppa intuizione

sociale, semplicemente ci manca l’esperienza.

Aiutare la gente con autismo richiede uno sforzo straordinario, quasi impossibile alla nostra

immaginazione. E finché i politici continueranno a non capire questo, i genitori e gli operatori

professionisti rischieranno di dover continuare senza le necessarie forme di informazione e di

preparazione.

Questa introduzione piuttosto lunga tratta della distinzione fra la comprensione razionale di

definizioni dell’autismo e l’esperienza giornaliera di persone affette da autismo, i loro genitori e

persone che si prendono cura di loro.

Spero che questa parte serva a chiarire che le informazioni teoriche, sebbene molto

importanti, dovrebbero essere collegate ad una preparazione pratica. In queste sessioni di

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preparazione i genitori e gli esperti imparano a tradurre la teoria nella esperienza di vita

quotidiana dove devono trovare soluzioni pratiche.

Naturalmente questo implica anche che le persone responsabili della preparazione

dovrebbero avere conoscenza dell’autismo non solo dai libri, ma dalle loro attività con ragazzi,

adolescenti, adulti e con le loro famiglie. Imparare dai libri è importante, ma racconta soltanto

metà storia!

"La gente comune non può capire perché una madre permette a suo figlio di sbattere la

testa sul muro, o perché non lo punisce quando rovescia la borsa nel carrello del

supermercato" – scrive M. Akerley; lei stessa madre di un ragazzo autistico che è diventato un

uomo. Neanche il personale addetto all’assistenza riesce a comprenderlo.

Il personale ordinario per l’assistenza ha una preparazione normale per cui impara ad aiutare

i "soliti" bambini speciali. I "soliti" bambini speciali per esempio sono bambini con ritardo

mentale ma non affetti da autismo. Soffrono di sviluppo ritardato ma non hanno uno sviluppo

diverso. Per aiutarli noi usiamo i soliti mezzi speciali. Poiché i loro problemi hanno a che fare

con uno sviluppo più lento, noi semplifichiamo le nostre aspettative, usiamo uno stile

comunicativo più semplice. La semplificazione può essere la strategia educativa più importante

nell’ambito dell’aiuto che diamo a queste "normali" persone speciali. Ma nel caso dell’autismo

questa strategia non funziona, perché una persona affetta da autismo non solo soffre ritardo

nello sviluppo, ma ha anche uno sviluppo diverso. E’ speciale in un modo molto speciale. Non

solo ha bisogno di semplificazione ma anche di chiarimenti. Ha bisogno di un approccio di

sostegno, argomentativo, uno stile educativo con molto supporto visivo. Amore ed intuizione

sono naturalmente molto necessari, ma non sufficienti se vogliamo aiutare qualcuno che è

speciale in modo tanto speciale.

I genitori hanno sperimentato in modo drammatico, specialmente durante i primi anni,

quando hanno cercato di capire il "perché" dei problemi legati al sonno, problemi di mancanza

di disciplina, di mancanza di comunicazione e di reciprocità sociale.

Perché non funzionavano i normali modi per aiutare e consolare?

Perché non gioca come gli altri bambini?

E così via. La spiegazione era: "Autismo".

I genitori non vogliono che i professionisti che vogliono aiutare i loro figli siano sottoposti

allo stesso senso di impotenza e perplessità che avevano loro stessi già provato. I genitori

sanno che ci sono risposte pratiche a problemi pratici anche se non sono risposte definitive,

che noi speriamo di ottenere (perché nell’autismo per ciascuna soluzione c’è un nuovo

problema in attesa di soluzione). I genitori vogliono professionisti preparati nel settore

dell’autismo prima che abbiano la responsabilità di seguire i loro bambini, piuttosto che

debbano andare per tentativi ed errori per anni, come è accaduto a loro.

I genitori augurano una sorte migliore ai professionisti che siano preparati sin dall’inizio, non

solo per intervenire nelle crisi e quindi non essere organizzati solo quando la situazione è già

diventata ingestibile. I genitori si sentono malissimo quando vedono i loro figli usati come

cavie.

Senza una preparazione completa nell’ambito dell’autismo i professionisti rischiano di essere

sopraffatti dallo stesso sbalordimento dei genitori: "Cosa sta succedendo?"

LA TRIADE

Interazione sociale

Perché non mi guarda mai con affetto? Perché ride quando piango, invece di

piangere con me o chiedere perché sto piangendo? Perché è così carino con me

quando indosso un nastro rosso fra i capelli ma non quando ne metto uno di blu?

Perché quando piange e voglio consolarlo cullandolo in braccio rende tutto più

difficile? E così via.

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I professionisti preparati sanno che questo è "tipico" per qualcuno affetto autismo. Ha

difficoltà nel leggere lo sguardo, la gestualità, gli atteggiamenti. Ha difficoltà a capire cosa

sentiamo, pensiamo, intendiamo. E’ fin troppo un "comportamentista". Ha difficoltà nell’andare

oltre la percezione. Sembra cieco socialmente. Tutto questo è normale per qualcuno affetto

autismo (Ma le definizioni DSM – IV e ICD 10dell’autismo menzionano semplicemente che essi

hanno impedimenti qualitativi nell’intenzione sociale).

Tuttavia per un professionista che non è addestrato in autismo, questo comportamento non

è così normale: come il genitore può sentirsi rifiutato, non gratificato per questo sforzo ed è

possibile che pensi "che egoista/egocentrico e quel piccolo mostro, gli farò vedere cosa mi fa".

E prima che ce ne rendiamo conto qualcuno viene punito perché handicappato.

Comunicazione

Quando è frustrato dice: "I treni stanno partendo". Se vuole sedersi sull’altalena

"non ci sono arance?". Per giorni interi canta" Choo-choo train", e se lo porto alla

stazione e gli mostro una dozzina di treni e gli chiedo "cosa vedi?" dice: "Spaghetti

con polpettine dei carne?"

Questo è tutto tipico per qualcuno con autismo, come ben sa il professionista addestrato, ma

per qualcuno che conosce l’autismo dai libri, questo non può essere così ovvio (La definizione

DSM – IV parla di sfasamenti qualitativi nella comunicazione verbale e non verbale).

Immaginazione Comportamento ripetitivo stereotipato

"Metto il letto nell’altro angolo della stanza. Dovreste vederlo quanto

urla….Abbiamo deciso di non mangiare pizza come accade di solito ogni

sabato….avreste dovuto sentire le urla.

O gli dico: Parliamo della gita della scorsa settimana e invece comincia a parlare di

aerei ancora una volta, conosce tutte le compagini, gli orari e se gli dico: Sai perché

la gente va a Barcellona? Lui dice: Per guardare gli aeroplani".

Il DSM – IV parla di una limitata quantità di interessi e di comportamento stereotipato. E

ancora una volta pensi: Cosa sta succedendo qui? Conosci già la risposta: autismo.

L’autismo può essere considerato come un problema nello sviluppo dell’immaginazione.

L’immaginazione nel senso più rudimentale della parola: il talento di andare oltre

l’informazione letterale, di aggiungere significato ai suoni e sviluppare il linguaggio; aggiungere

significato a quello che vedi e sviluppare il comportamento sociale. Ed è precisamente nelle

aree della comunicazione e dell’interazione sociale, dove aggiungere significato è così

importante, che le persone affette da autismo ricadono in un repertorio limitato di

comportamenti stereotipati (5,6,7,8,9).

2) UN PROBLEMA PERVASIVO DELLO SVILUPPO. LE PERSONE AFFETTE DA AUTISMO

HANNO BISOGNO DI PROTEZIONE PER TUTTA LA VITA, A DIVERSI LIVELLI DI AIUTO.

Nella sezione precedente l’enfasi è stata posta sulla comprensione sia sulla teoria che nella

pratica di "differenze qualitative" sulla comunicazione, nella interazione sociale e nella

immaginazione.

Il bisogno di preparazione è enorme poiché la persona affetta da autismo dovrà vivere con

questi svantaggi qualitativi per tutta la vita.

Faranno progressi, ma per la maggior parte di loro saranno necessari certi livelli di aiuto

nella loro vita adulta.

Dopo l’analisi del livello di protezione di cui hanno bisogno si deciderà se questo aiuto debba

essere offerto in un ambiente omogeneo di persone affette da autismo o in un ambiente misto.

Ma sia che l’ambiente sia segregato o integrato la questione chiave è: sono circondati da

abbastanza professionisti completamente preparati nel sentire l’autismo.

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La continuità dei servizi di cui le persone affette da autismo e le loro famiglie hanno bisogno

possono essere riassunte nel modo seguente:

Servizi diagnostici;

Servizi di addestramento a casa;

Scuola materna e/o collegio;

Strutture per lavorare e vivere per adulti affetti da autismo;

Opportunità di divertimento per persone affette da autismo e per le loro famiglie

(specialmente durante le "vacanze " e i periodi di crisi).

In tutti questi servizi sono necessari professionisti ben preparati nell’autismo. Nella nostra

società la gente sembra investire più facilmente nell’edilizia che nell’acquisizione di una

preparazione specializzata e specifica.

Noi dovremmo focalizzare l’attenzione sul fatto che la qualità della vita di qualcuno affetto da

autismo dipende più dal modo in cui riusciamo ad adattarci alle sue difficoltà che dai suoi

sforzi.

Ricordate che dobbiamo cercare di condividere la loro mentalità, di immaginare il mondo nel

modo in cui loro lo vedono ed è più facile che far loro condividere il nostro modo di pensare.

3. IL CONTENUTO DELL’ADDESTRAMENTO

Durante la 4° Conferenza Europea nei Paesi Bassi ho spiegato i cinque assi/le cinque

direttrici dell’addestramento.

Li menziono molto brevemente qui. Maggiori informazioni sull’addestramento teorico e

pratico per l’autismo può essere trovato al centro per l’addestramento sull’autismo.

Il primo asse/la prima direttrice consiste in una solida conoscenza teorica dell’autismo.

Il secondo asse/la seconda direttrice consiste nell’addestramento alla valutazione come una

base per un programma educativo individualizzato.

Il terzo asse/la terza direttrice consiste nell’adattamento dell’ambiente all’handicap.

Il quarto asse/la quarta direttrice ha a che vedere con la preparazione funzionale alla vita

adulta.

Il quinto asse/la quinta direttrice è relativa al "come", il modo in cui l’addestramento e

l’educazione dovrebbero essere adattati all’autismo.

I professionisti hanno uno stile educativo dove è importante il supporto visivo (11,12).

Queste assi/direttrici devono essere apprese attraverso l’addestramento che combina teoria

e pratica.

4. TIPI DI ADDESTRAMENTO.

Addestramento alla consapevolezza e "pre - addestramento"

Un gruppo ampio di professionista bisogno di avere una conoscenza generale e aggiornata

sull’autismo. Tutti gli studenti che scelgono una carriera dove possono avere contatti con

persone affette da autismo o con problemi correlati, dovrebbero avere una conoscenza

generale tale da permettere loro di "sospettare" o "valutare" la possibilità dell’autismo ed

inviare la persona ad un centro per diagnosi più specialistiche e per aiuto educativo. In molti

paesi i genitori e i loro bambini perdono anni perché anche dei professionisti spesso hanno

ancora l’immagine stereotipata del bambino assorbito in se stesso e non capiscono che "l’attivo

ma strano" possiede la triade verso il sottogruppo/le difficoltà che è caratteristica essenziale

dell’autismo.

Non dovremmo dimenticare che le persone nell’ambito dell’autismo non sono un gruppo

minoritario come molti continuano a sostenere. Una recente indagine epidemiologica mostra

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una incidenza di 1/000 (13). Se si inizia con il dare definizioni educative di autismo, l’incidenza

sale al 2/000 (14). Se come condizione si includono tutte le malattie dello spettro o autistiche

si rilevano numeri di incidenza dello 0,6-1% della popolazione globale dei bambini di età

scolastica (15).

Riassumendo, sembra che l’autismo e il suo spettro correlato di problemi sia più comune di

quanto stimato in precedenza. Significa, fra le altre cose, che praticamente ogni GP è destinato

ad avere gente affetta da autismo o con problemi nell’ambito della sua gamma fra i suoi

pazienti.

Anche per professionisti come logopedisti, terapisti dell’occupazione, pedagogi, psicologi, è

estremamente probabile che si imbattano in persone affette da autismo.

In molti paesi europei l’autismo continua ad essere sottodiagnosticato. Come conseguenza,

persone affette da autismo e le loro famiglie non otterranno l’aiuto di cui hanno bisogno e

soffriranno perciò molto più del necessario.

Un altro motivo, oltre al bisogno di incoraggiare una comprensione teorica più ampia

dell’autismo e del suo trattamento educativo, è che l’autismo contiene così tanti messaggi per

il trattamento di persone che soffrono di altri problemi.

Ad un livello generale abbiamo visto come nella storia dell’autismo i professionisti che sono

specializzati nel trattamento di problemi "minori" (per esempio della comunicazione) non erano

preparati a trattare i problemi di entità "maggiore" della comunicazione. Ma funziona al

contrario: i professionisti specializzati in autismo hanno una certa facilità a sviluppare forme di

trattamento dei cosiddetti "problemi minori" di immaginazione, comprensione sociale e di

comunicazione.

Nel mio paese ho sentito un ispettore dell’educazione speciale dire che il progetto

sull’autismo è la cosa migliore che sia accaduta nell’ambito dell’educazione speciale fin dalla

sua fondazione. Infatti vediamo che molte scuole con classi per bambini con autismo stanno

ora applicando supporto visivo e altre strade/vie educative con i loro bambini ritardati o

ipercinetici.

Pensiamo che un corso di 40 ore valga davvero l’investimento.

Un programma di preparazione altamente specializzato per i professionisti che

scelgono l’autismo

Ho fondato il centro di preparazione per l’autismo sedici anni fa perché non erano disponibili

programmi specializzati per genitori e professionisti. Da allora abbiamo preparato migliaia di

persone in Belgio e in molti paesi europei: con introduzioni teoriche, addestramento pratico,

preparazione specializzata nella valutazione, adattamento all’ambiente, comunicazione….

Abbiamo svolto, credo, un lavoro molto importante e necessario e sono felice di averlo fatto,

ma nello stesso tempo non sono soddisfatto. Quello che abbiamo fatto è stato più o meno un

intervento al momento della crisi. Questo è quello che deve cambiare.

In sempre più paesi europei l’autismo è riconosciuto ora nella sua specificità di handicap e

questo costituisce almeno un progresso, ma in nessun paese europeo di cui io sia a

conoscenza, ci sono professionisti da preparare nel trattamento dell’autismo quando iniziano a

lavorare con la popolazione autistica.

In questo modo i genitori e i bambini rimangono troppo vulnerabili. Troppo dipende ancora

dalla buona volontà di professionisti, direttori e di chi deve prendere decisioni. Dobbiamo

lavorare verso un futuro in cui i professionisti che decidono di lavorare con l’autismo possono

ricevere immediatamente una preparazione completa ed ottenere un diploma

(specializzazione) in autismo dopo aver completato i loro studi. Dobbiamo liberarci da un

sistema in cui la gente pensa di specializzarsi solo nei periodi di crisi (totale) profonda.

Tale preparazione è necessaria anche a quei professionisti cui, senza alcuna precedente

preparazione specifica, viene richiesto di "trattare" persone affette da autismo.

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Solo un esempio. Recentemente un professionista mi ha raccontato che gli era stato

chiesto di assumersi la responsabilità della "terapia" di un’adolescente autistica per mezz’ora

ogni pomeriggio. Ha accettato dopo aver protestato in modo blando: "cos’è l’autismo? Cosa

posso fare?". Gli era stato detto che la gente affetta da autismo non vuole parlare, perciò si

deve farli parlare e il modo migliore di farlo era iniziare a parlare senza sosta finché non fosse

trascorsa la mezz’ora di tempo a disposizione. Disse: "Dopo un minuto la ragazzina ha iniziato

a tremare da capo a piedi e a sospirare. Il suo comportamento è peggiorato rapidamente, ma

io sentivo che dovevo continuare a parlare finché i trenta minuti non fossero trascorsi..".

Questa non è una barzelletta. La lista di atrocità mentali nell’autismo è senza fine. Deve

perciò essere sviluppato un codice etico che descriva i modi e le forme necessarie di

trattamento.

Molti genitori anche troppo spesso hanno l’impressione che i loro figli siano utilizzati come

"cavie" da esperimenti.

Cosa direste se aveste problemi di polmoni ma foste trattati da un dentista (oh, ma la lo

manderemo a un congresso polmonare!).

Pensiamo che l’addestramento dovrebbe consistere in almeno 300ore e una combinazione di

lavoro pratico e teorico.

Post addestramento e seguito. Il rischio del "comportamento-eco dei professionisti"

A causa delle difficoltà nell’andare oltre le informazioni letterali e in qualche modo il rigido

stile cognitivo mostrano molto spesso un eco-comportamento.

Invece di usare un linguaggio personale creativo essi ripetono ad eco-parole e frasi. Questa

viene chiamata ecolalia.

Alcuni bambini sono così motivati a essere come noi che baciano chiunque incontrano.

Questo comportamento viene chiamato ecoprassia.

Letteralmente l’imitazione del comportamento sociale è tipico delle persone "attive ma

strane" affette da autismo.

Thomas, un bambino affetto da autismo ad alto funzionamento, ha visto un mago in Tv che

ha messo la sua sciarpa sul tavola e ha detto che avrebbe fatto comparire un coniglio. "Hocus,

pocus, un coniglio". Da allora Thomas ha provato da solo parecchie volte. "Guarda, sto per far

apparire un coniglio da sotto la sciarpa". "Hocus, pocus". Poi toglie la sciarpa e quando vede

che non c’è ancora il coniglio dice in modo molto contrito: "Non ci riesco ancora". Questo è

eco-gioco.

Il comportamento eco non è tipico solo dell’autismo, è un comportamento tipico per

chiunque fronteggi una sfida troppo grande.

I professionisti che frequentano seminari teorici e pratici e poi ritornano al lavoro spesso

mostrano un eco-comportamento. Questo è normale. I programmi molto individualizzati e gli

adattamenti che hanno visto durante le sessioni di addestramento pratico possono essere presi

e portati avanti con rischi se presi troppo alla lettera.

Capire le differenze qualitative nell’autismo in generale è già di per se una sfida. Prendere

poi in considerazione tutte le differenze individuali fra i bambini rende tutto persino più

complesso.

Prendere tutte le strategie educative come una ricetta è un eco–comportamento tipico e

"normale" da parte dei professionisti. Quello di cui abbiamo bisogno è aiuto dall’esterno.

Tale aiuto, offerto da un team per l’autismo con anni di esperienza, può aiutarli ad imparare

di più l’individualizzazione ed evitare l’esaurimento, così tipici per le persone che vivono in

circostanze estremamente esigenti (chiedete solo ai genitori!). Senza consulti regolari da parte

di tale squadra specialistica, la qualità e la motivazione del trattamento educativo può

diminuire.

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I professionisti hanno anche bisogno di uno sguardo obiettivo dall’esterno di tanto in tanto,

per valutazioni supplementari o per aiutarli a ripensare una certa situazione.

L’addestramento sull’autismo non finisce mai. Se la conoscenza sull’autismo non si espande

si contrae. L’addestramento regolare in servizio e altre forme di post specializzazione non sono

un lusso ma una necessità.

5. TIPI DI ADDESTRAMENTO.

Se uno pensa all’addestramento si pensa prima di tutto ai bisogni dei professionisti, ma i

genitori sono naturalmente i più direttamente coinvolti. Dobbiamo renderci conto che non

viene spontaneo neanche a loro capire l’autismo e adattarsi al loro bambino.

I genitori hanno bisogno della migliore informazione possibile sull’autismo (altrimenti

"l’aiuto" è più d’impaccio che un sollievo) e hanno bisogno di sostegno se desiderano un

addestramento approfondito sulla comunicazione su altri argomenti chiave.

Quello di cui si ha veramente bisogno è un addestramento in cui professionisti e genitori

imparino a collaborare. Per questo tipo di collaborazione e per creare questo tipo di abilità è

necessario che i genitori e professionisti abbiano una visione simile dell’autismo.

I genitori hanno inoltre bisogno di essere ben informati sull’autismo anche per sollecitare le

autorità a creare un "programma politico" dell’autismo, che preveda un servizio continuo

specializzato nell’autismo e segua l’individuo durante la sua vita.

Se si considera lo sviluppo dei servizi in molti paesi è evidente che i servizi migliori si

trovano in regioni in cui i genitori sono stati i più attivi. Credo sinceramente che il futuro delle

persone affette da autismo possa dipendere in gran parte dai livelli di attività, consapevolezza

e preparazione dei genitori.

Penso inoltre che le organizzazioni dei genitori devono aiutare le organizzazioni dei

professionisti a spingere le autorità a sviluppare le forme di pre-addestramento,

specializzazione post-specializzazione che ho descritto.

Senza il loro aiuto le autorità possono avere il sospetto che gli addestratori abbiano interesse

a promuovere delle loro carriere quando richiedono programmi di addestramento completo per

i professionisti.

6. GIOVANI STRAORDINARI RICHIEDONO PROFESSIONISTI STRAORDINARI. IL

PROFILO DELLA PERSONA ADDETTA ALLA SORVEGLIANZA. UN PRIMO TENTATIVO.

Sedici anni di esperienza nell’effettuare corsi di preparazione ci inducono a formulare un’altra

considerazione straordinaria: per aiutare questi giovani diversi affetti da autismo i

professionisti stessi devono essere essi stessi "qualitativamente diversi".

Alcuni addetti non saranno mai in grado di sviluppare programmi educativi individualizzati

anche se hanno seguito i migliori corsi di preparazione teorica e pratica.

E’ inutile forzare qualcuno a lavorare con bambini autistici (sappiamo di direttori che

designano a caso gli insegnanti, per esempio). Semplicemente non funziona. I professionisti

devono scegliere l’autismo. Non scelgono "nonostante" l’autismo, ma "a causa" dell’autismo.

Qual è il segreto?

Finora abbiamo sempre detto, per dare un’altra spiegazione, che uno deve essere punto dal

becco dell’autismo. Per gli addetti ai lavori questo è perfettamente chiaro. Conosciamo

professionisti che non saranno mai colpiti dal "microbo", che ne sono "immuni".

Il problema è che "i bachi/gli insetti" sono invisibili alle autorità. Perciò sappiamo che è

necessario creare figure professionali che si prendano cura dell’autismo.

Ecco quello che riteniamo siano le caratteristiche più importanti:

1. Essere attratti dal diverso. Pensiamo che sia d’aiuto essere degli "esploratori mentali" e

sentirsi attratti da ciò che è sconosciuto. Alcuni temono ciò che è diverso, altri ne sono

attratti e vogliono conoscerlo.

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2. Avere una immaginazione vivace. Come ho detto all’inizio è quasi impossibile capire come

si possa vivere in un mondo letterale avere difficoltà ad andare "oltre le informazioni", ad

amare senza intuizione sociale innata, in modo da essere in grado di condividere la mente

di qualcuno affetto da autismo, capire che soffre per la mancanza di immaginazione, per

cui noi dovremmo avere enormi livelli di immaginazione per compensarla.

3. Essere in grado di dare senza ottenere ringraziamento. Dobbiamo essere in grado di dare

senza ricevere molto in cambio e non sentirci delusi dalla mancanza di reciprocità sociale.

(Con l’esperienza impareremo a rilevare forme alternative di ringraziamento e anche i

genitori offrono ampia comprensione).

4. Essere desiderosi di adattare il proprio stile naturale della comunicazione e della

interazione sociale. Lo stile da usare è più legato ai bisogni di qualcuno affetto da autismo

che ai nostri spontanei livelli di comunicazione sociale (logorrea?). Questo non è affatto

facile e richiede molti sforzi di adattamento, ma dopo tutto, ai bisogni di chi stiamo

venendo incontro?

5. Avere il coraggio di lavorare "da soli nel deserto" specialmente all’inizio dello sviluppo di

servizi adeguati. Così poca gente capisce l’autismo che un professionista motivato rischia

di essere criticato invece che essere apprezzato: "l’aggiornamento/la preparazione

nell’autismo non finisce mai".

6. Non essere mai soddisfatti di quanto già si conosce. Imparare sull’autismo e le strategie

educative è continuo. "Il professionista che pensa di essere avviato è perduto". La

preparazione/addestramento non è mai concluso.

7. Accettare che ogni minimo progresso porti ad un nuovo problema. La gente ha la

tendenza a buttare via le parole crociate se non riesce a risolverle. Questo è un

atteggiamento impossibile nell’ambito dell’autismo. Ma una volta iniziato il lavoro

"investigativo" non finisce mai.

8. Oltre alle capacità pedagogiche, i professionisti hanno bisogno di capacità didattiche

straordinarie. Ha bisogno di fare piccolissimi passi, di usare costantemente supporti visivi

che devono essere sempre adattati.

9. Si deve essere preparati al lavoro di squadra. Poiché l’approccio deve essere coerente e

coordinato, tutti i professionisti hanno bisogno di essere informati sugli sforzi degli altri

suoi livelli di aiuto che forniscono.

10. Si deve essere umili. Possiamo essere esperti in autismo in generale, ma i genitori sono

gli esperti in relazione ai loro figli e noi dobbiamo tenere conto della loro esperienza

(saggezza). Non c’è posto nell’ambito dell’autismo per il professionista che vuole

rimanere sul suo piedistallo. Nella collaborazione con i genitori è importante parlare dei

successi , ma anche ammettere i fallimenti e chiedere aiuto. I genitori devono poi tenere

presente che un esperto in autismo non è un "dio dell’olimpo".

Qualcuno si aspetterà la parola amore in questa lista. L’amore è naturalmente necessario ,

ma come ha ammonito un genitore: "l’amore non è la cura miracolosa".

I genitori e i professionisti che contano troppo sugli effetti dell’amore ne resteranno delusi.

Se il bambino non farà abbastanza progressi è perché non ha accettato il nostro amore…..

Questi atteggiamenti sono distruttivi e creano un abisso là dove è necessaria una

collaborazione ottimale (15).

L’autismo è un’altra cosa.

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Tratto dal Sito ASL 16 MONDOVI'- CEVA

Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile

AUTISMO E PSICOSI INFANTILI a cura di G. M. ARDUINO

METODI DI TRATTAMENTO

Introduzione

Holding, Metodo Etodinamico e A.E.R.C.

Il Programma T.E.A.C.C.H.

La Therapie d'Echange et Developpement

La psicoanalisi e la terapia delle psicosi infantili

La terapia familiare sistemica

Le terapie farmacologiche

Metodo Delacato

Comunicazione Facilitata

Training uditivo

Intervento comportamentale precoce di Lovaas

Floortime di Greenspan

Natural Aided Language di Cafiero

Son Rise Program

We subscribe to the HONcode principles of the Health On the Net Foundation

Introduzione

In questo capitolo verranno riprese alcune delle concezioni presentate nel capitolo

precedente, di cui verrà discusso l'aspetto più operativo, o sul versante della psicoterapia o su

quello, più attuale, della riabilitazione. Come già nel capitolo precedente i contributi presentati

appartengono ad orientamenti teorici differenti, anche se si potranno notare, in misura

maggiore di quanto non sia emerso per le teorie, alcune convergenze operative. Non essendo

conosciuta una cura sicuramente efficace per l'autismo, parleremo di "trattamenti",

indicandone alcuni tra i più conosciuti (e a volte discussi), senza la pretesa di essere esaustivi.

Holding , Metodo Etodinamico e A.E.R.C.

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In questo paragrafo descriveremo una serie di metodologie di intervento, proposte da autori

diversi, che hanno come denominatore comune una concezione dell'autismo come

conseguenza di un conflitto motivazionale, con eventuale base organica, e un coinvolgimento

diretto (emotivo e corporeo) dei genitori nella terapia.

Abbiamo presentato, in precedenza, i contributi di Niko ed Elisabeth Timbergen e di Michele

Zappella. Questi autori partendo inizialmente da concezioni analoghe, che sottolineavano

l'importanza delle componenti ambientali nello sviluppo dell'autismo, hanno proposto una

terapia centrata sull'holding.

L'holding prevede un intenso contatto corporeo e visivo tra genitore (inizialmente si trattava

della madre) e bambino: il bambino viene tenuto stretto della madre (o a cavalcioni sulle sue

ginocchia, o sdraiato), e costretto a restare in questa posizione e ad avere una interazione

visiva diretta, faccia a faccia con il genitore. La madre, supportata a volte dal padre e sotto la

guida del terapeuta, abbraccia il bambino stringendolo forte a sé e proponendogli un intenso

contatto degli sguardi.

Zappella (1987a) propone, in questa fase l'uso del baby-talking, una modalità di rivolgersi al

bambino tipica del linguaggio che si usa con i neonati e i lattanti.

L'obiettivo dell'holding è quello di attivare una comunicazione diretta tra genitore e bambino.

Questa risulta pressocchè inevitabile: anche il bambino solitamente chiuso e passivo, può

attivarsi improvvisamente, urlare, pronunciare delle parole o delle frasi coerenti con il

contesto.

Il suo rifiuto della relazione, il suo tentativo di sfuggire, viene positivizzato e gli viene

rimandato come un atto volontario in cui egli si esprime intenzionalmente, manifestando la sua

rabbia.

Man mano che la terapia procede, e l'holding viene praticato anche a casa, il rapporto tra

bambino e genitore si fa più solido e il paziente, se l'intervento è efficace, inizia ad interagire in

maniera più diretta e meno evitante e, spesso, inizia anche a parlare nel corso dell'holding

(Timbergen e Timbergen, 1984)..

L'holding è stato inizialmente proposto e praticato da R.W. Zaslow (cit. in Zappella, 1987a) e

M.Welch (1984).

Zappella ha recentemente (1992, 1996) riformulato il senso e la metodologie del suo

intervento, superando di fatto la tecnica dell'holding e proponendo una terapia centrata sull'

attivazione emotiva del bambino e dei genitori. L'intervento proposto è stato denominato

dall'autore terapia di Attivazione Emotiva e Reciprocità Corporea (AERC).

In questo intervento l'obiettivo principale rimane, come nell'holding, quello di "ottenere una

relazione diretta e un rapporto collaborativo tra il bambino e i suoi familiari" (Zappella, 1992,

p.57). Ciò richiede che, in alcune occasioni, si intervenga anche per modificare il sistema di

relazioni in atto nella famiglia, la cui disfunzionalità può essere di ostacolo al recupero delle

potenzialità del bambino.

Il setting in cui si svolge l'intervento è costituito da una stanza ampia dotata di specchio

unidirezionale e attrezzata per la videoregistrazione. Nella stanza vi deve essere spazio

sufficiente perché il bambino si possa sentire libero di muoversi e deve essere dotato di

attrezzature quali tavolo, sedie, poltrone o divani, oltre ad un certo numero di giochi.

Al genitore viene proposto di cercare di stabilire un rapporto con il figlio e di collaborare con

lui ad attività come disegnare, costruire una torre con i cubi, guardare e denominare delle

figure, e altre simili. Il tentativo di stabilire un rapporto con il bambino viene portato avanti da

un genitore insieme ad uno dei terapeuti, mentre l'altro genitore con l'altro terapeuta assistono

dietro lo specchio. Il terapeuta ha il compito di stimolare, con il suo comportamento (e non

tanto, o non solo, dando delle spiegazioni razionali), l'attivazione del genitore che in genere è

frustrato dai ripetuti fallimenti sperimentati in passato nel tentativo di catturare la disponibilità

del figlio.

Durante le sedute il genitore sperimenta anche un'attività di rapporto corporeo e visivo con il

bambino, simile all'holding, in cui però il piccolo paziente non viene trattenuto forzatamente

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per un lungo periodo; inoltre il genitore può proporre, tra un tentativo e l'altro, delle attività

motorie che allentino la tensione e aumentino la collaborazione.

Tra una seduta e l'altra trascorrono in genere alcune settimane, durante le quali i genitori

devono dedicare circa un'ora al giorno ad attività di gioco e di rapporto diretto con il bambino

analoghe a quelle fatte in seduta.

Riprendendo alcuni principi ispiratori dell'intervento, citati nel precedente capitolo, possiamo

dire che le attività proposte ai genitori e al bambino hanno lo scopo di far sperimentare al

bambino: a) l'intersoggettività primaria, ovvero una relazione diretta in cui la comunicazione

con l'altro avviene attraverso un'intenso rapporto visivo e corporeo, così come accade durante

quell'attività simile all'holding, citata precedentemente.; b) l'intersoggettività secondaria, in cui

il rapporto con l'altro è di collaborazione ed è mediato da un oggetto. In questo caso il genitore

usa dei giochi nel rapporto con il bambino cercando di ottenere la sua collaborazione.

In tutto l'intervento gioca un ruolo determinante l'attivazione emotiva che "consiste nel

creare un aumento quantitativo di stimoli specifici, creando in tal modo una instabilità del

sistema nervoso, e poi esponendolo a una situazione per lui nuova e quindi ridirezionandolo"

(Zappella, 1996, p. 77).

L'intervento proposto da Zappella si avvale anche dell'uso del Metodo Portage, un metodo

educativo di tipo comportamentale, la cui funzione è quella di dare una guida ai genitori circa

le attività più adeguate da proporre al bambino. Il Metodo Portage inoltre consente di valutare

periodicamente i cambiamenti del bambino nel corso della terapia.

L'AERC viene utilizzata prevalentemente con bambini in cui il comportamento autistico

appare collegato con un Disturbo depressivo precoce o sono presenti tic complessi e non

emerge un chiaro danno neurologico, anche se per alcuni casi si è rivelata utile anche in

presenza di un danno organico. Questo tipo di intervento si avvale talvolta di terapie

farmacologiche e di diete particolari (cfr.Zappella 1996, Cap. 11).

Negli ultimi anni Zappella ha anche introdotto nel suo approccio al trattamento strategie di

Comunicazione Aumentativa e Alternativa, facendo riferimento in particolare al lavoro di J.M.

Cafiero.

Il Programma TEACCH

Il Programma TEACCH è stato messo a punto, nel corso dell'esperienza ormai trentennale,

avviata da E. Schopler e dai suoi collaboratori, nelle scuole per autistici dello Stato americano

della Carolina del Nord. Questo programma ha ottenuto un grosso successo anche fuori dagli

Stati Uniti, e si è diffuso negli ultimi anni anche in Europa e in Italia, grazie alla traduzione di

alcuni libri (Schopler et al., 1980, 1983) e all'attivazione di corsi di formazione.

Il Programma TEACCH comprende numerose attività di tipo educativo da effettuare con

bambini con Disturbi Generalizzati dello Sviluppo o con disturbi della comunicazione.

L'uso di tali attività va però di volta in volta contestualizzato ed individualizzato; la messa in

atto di queste attività deve basarsi, in particolare su quattro criteri, che gli autori chiamano:

modello di interazione, prospettive di sviluppo, relativismo comportamentale e gerarchia di

addestramento (Schopler et al., 1980).

Il concetto di modello di interazione si riferisce alla necessità di contestualizzare una certa

tecnica di intervento all'interno del sistema di relazioni in cui il bambino si trova. I bisogni

particolari del bambino e il suo potenziale di apprendimento si possono meglio cogliere nel

contesto di interazione del bambino con il suo ambiente quotidiano di vita, familiare e

scolastico.

Il secondo concetto, quello di prospettiva di sviluppo sottolinea la necessità che si tenga

conto, nel definire l'intervento riabilitativo, del livello di sviluppo globale del bambino nelle

diverse aree. Si dovrà tenere conto sia delle sue aree deboli, sia di quelle in cui mostra

maggiori capacità.

Con relativismo del comportamento s'intende descrivere e tenere in considerazione un

particolare fenomeno che si osserva nei bambini con Disturbi Generalizzati dello sviluppo;

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quello della difficoltà, a volte impossibilità, a generalizzare, ad ambiti diversi da quello in cui è

stata appresa, una risposta comportamentale . E quindi importante definire obiettivi educativi

specifici per ogni contesto.

Il concetto di gerarchia di addestramento, infine, indica la necessità che si definiscano delle

priorità tra i problemi da affrontare con il bambino autistico. L' intervento educativo dovrebbe

cioè essere finalizzato a modificare, in primo luogo, i comportamenti che mettono a rischio la

vita del bambino; in secondo luogo, quei problemi che riguardano la capacità del bambino di

adattarsi all'ambiente familiare. Quindi, come terza priorità, c'è l'adattamento al contesto

scolastico e, come quarta, l'adattamento alla comunità extrascolastica.

Una logica conseguenza di quanto detto finora è che l'intervento educativo deve essere

tagliato su misura per il bambino, la sua famiglia e la sua scuola (Schopler et al., 1991, p.16).

L'intervento riabilitativo si avvarrà pertanto di una valutazione individualizzata che pone le

premesse per la formulazione di un Progetto psicoeducativo

Il Programma TEACCH è stato costruito per sviluppare abilità imitative, funzioni percettive,

abilità motorie, capacità d'integrazione oculo-manuale, comprensione e produzione linguistica,

gestione del comportamento (autonomie, abilità sociali e comportamentali). Il progetto

abilitativo deve comprendere obiettivi che riguardano diverse aree: quelle della comunicazione,

del tempo libero, della autonomie e abilità domestiche, delle abilità sociali e

dell'apprendimento in senso stretto.

La conduzione del programma è affidata a genitori e insegnanti , che condividono le stesse

strategie ed operano in stretta collaborazione. Medici e psicologi orientano l'intervento di

genitori e insegnanti, tenendo conto del livello di sviluppo raggiunto dal bambino, del suo

contesto di vita quotidiano e delle propensioni del bambino.

Una parte importante del programma è rappresentato dalla valutazione, che avviene

attraverso tre modalità diverse. La prima che prevede l'uso test intellettivi e scale

standardizzate, riguarda la valutazione dello sviluppo. La seconda modalità è quella

dell'osservazione dei modelli di comportamento del bambino. La terza è rappresentata dalla

raccolta di informazioni fatta nei colloqui con i genitori, in cui vengono anche individuate le loro

aspettative nei confronti del bambino e i problemi principali che essi si trovano ad affrontare.

La valutazione dello sviluppo si avvale di uno strumento specifico chiamato Profilo

Psicoeducativo (P.E.P.): il P.E.P. consente di determinare lo sviluppo del bambino nelle aree

dell'imitazione, della percezione, delle abilità motorie, dell' integrazione oculo-manuale, e delle

capacità cognitive. Accanto al P.E.P. è stato predisposto un altro strumento chiamato

A.A.P.E.P., che viene utilizzato per la valutazione di adolescenti e adulti autristici.

Le aspettative e gli obiettivi che ci si attende di raggiungere, per ogni bambino, vengono

distinte in : 1) aspettative a lungo termine, 2) aspettative intermedie tra 3 mesi ed un anno, e

3) gli obiettivi educativi immediati (Schopler et al., 1991, p.46). Un appropriato intervento

dovrà prevedere un coordinamento tra i tre livelli.

L'intervento dovrebbe inoltre sviluppare per prime quelle capacità che sono implicite in altre;

se, per esempio, il bambino non ha sviluppato la capacità di imitazione, bisogna sviluppare

prima questa, prima di procedere alla stimolazione del linguaggio.

La procedura fin qui descritta è finalizzata alla definizione delle mete educative; il passaggio

successivo è quello di formulare, a partire dalle mete educative , degli obiettivi educativi

specifici. Ciascun obiettivo educativo specifico viene poi tradotto in attività didattiche, costruite

tenendo conto di tutte le variabili citate in precedenza, sia individuali che contestuali. Accanto

ad attività didattiche specifiche è previsto l'utilizzo di tecniche di modificazione del

comportamento, soprattutto per quanto riguarda la gestione dei comportamenti problema.

Uno dei princìpi fondamentali dell'intervento è quello per cui l'acquisizione di abilità da parte

del bambino autistico richiede un adattamento e una modificazione dell'ambiente di vita del

bambino, sia familiare, sia scolastico. E' importante, in particolare, che l'ambiente di

apprendimento sia strutturato e prevedibile e che le attività che gli vengono proposte siano

precise e, soprattutto per i bambini che non parlano, comprensibili al di là delle indicazioni

verbali. La strutturazione deve riguardare sia gli spazi sia i tempi di lavoro; per es. possono

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essere utilizzate delle immagini che descrivono i vari momenti della giornata, e al bambino

viene insegnato ad associarne ciascuna ad un preciso momento/attività della sua giornata.

Schopler e collaboratori, forniscono molti esempi concreti di attività didattiche specifiche,

adattate al differente livello di sviluppo a cui si trova il singolo bambino, e relative a differenti

abilità (Schopler e coll., 1980 e 1983)

La Therapie d'Echange et Developpement (TED)

Abbiamo visto in precedenza la concezione dei Disturbi Autistici sviluppata da Lelord,

Sauvage e dal gruppo di Tours. In questo paragrafo affonteremo invece il loro modello

d'intervento

La base di partenza della TED è rappresentata da alcune ricerche neurofisiologiche che

hanno indagato fenomeni come la associazione sensoriale crociata e l'acquisizione e

l'imitazione libera.

Con associazione sensoriale crociata si intende quel fenomeno che si osserva quando

vengono registrate le risposte elettroencefalografiche conseguenti ad un suono e ad uno

stimolo luminoso che segue di un secondo il suono. Ciò che si osserva è che dopo alcune

presentazioni di questa coppia di stimoli, il primo (il suono) evoca una risposta nella zona

visiva occipitale, quella che è solitamente attivata dallo stimolo luminoso. Perché si verifichi

questa associazione non è necessaria alcuna forma di rinforzo (come per es. il cibo). Si tratta,

infatti, di un processo cognitivo che si realizza spontaneamente, e che è presente, sebbene in

modo irregolare, nel bambino autistico.

Nei bambini autistici, inoltre, si osserva anche, in certe condizioni il fenomeno dell'

acquisizione libera, non condizionata da alcun rinforzo e non vincolata dalla presenza, in sede

di apprendimento, di una sequenza temporale predefinita.

Accanto alla presenza dell'acquisizione libera, si osserva anche quella di imitazione libera:

questa è stata dimostrata attraverso una registrazione elettroencefalografica fatta con bambini

che guardano un filmato in cui vengono proiettati movimenti ginnici. Si osserva che durante la

percezione dei movimenti ginnici avvengono delle modificazioni elettroencefalografiche nelle

aree motorie del soggetto, sincronizzate con i movimenti proiettati sullo schermo (cfr.

Barthelemy et al., 1995, p. 14). Il bambino autistico sarebbe in possesso, secondo questi

autori, di una capacità di imitazione libera, sebbene poco strutturata.

I risultati di queste ricerche mettono in evidenza una curiosità fisiologica naturale, la

tendenza biologica ad associare, comprendere e ricercare dei significati (ibid., p. 15). Il

terapeuta deve organizzare il setting e le attività da proporre al bambino tenendo conto di

queste capacità che anche il bambino autistico possiede, seppur in misura ridotta e non

strutturata.

Da queste premesse Barthelemy, Hameury e Lelord (1995) traggono i principi ispiratori della

TED, che attraversano tutte le attività proposte al bambino, che come abbiamo visto puntano a

sviluppare le diverse funzioni psicofisiologiche (cfr. Lelord, Sauvage, 1994). Questi principi

sono stati definiti dagli autori: la "tranquillità", la "disponibilità" e la "reciprocità" (Barthelemy

et al., 1995, p15-17).

Con tranquillità si intende definire in particolare il setting in cui ci svolge l'intervento. Questo

è, in genere, costituito da una stanza di dimensioni limitate, spoglia, in cui sono presenti un

tavolo e due sedie. Spesso è presente uno specchio unidirezionale che consente l'osservazione

diretta della seduta. In questa stanza domina la calma e non si avvertono rumori esterni

disturbanti. La principale fonte di interesse per il bambino è data dal terapeuta che, attraverso

una modalità di interazione esclusiva ed attenta, gli propone un'attività o un gioco alla volta.

Questa organizzazione del setting ha lo scopo di favorire al massimo l'attenzione del

bambino e la sua decodifica dei messaggi, riducendo al minimo la presenza di stimolazioni

distraenti o confusive.

La disponibilità del terapeuta (secondo principio) è finalizzata a facilitare l'apertura del

bambino verso il mondo esterno e a favorire la sua naturale curiosità. I tentativi del bambino

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di rompere il suo isolamento sono incoraggiati e si cerca di sviluppare la sua iniziativa

spontanea; anche la più piccola manifestazione di attenzione da parte del bambino viene

incoraggiata.

La reciprocità si esplica attraverso giochi ed attività che comportano uno scambio di oggetti,

di gesti, di vocalizzazioni, di emozioni ecc., tra terapeuta e bambino. Lo scopo della reciprocità

è quello di stimolare la comunicazione.

Le attività che vengono proposte al bambino sono quelle contenute nel Progetto educativo

individuale, basato sull'analisi funzionale , e riguardano l'attenzione, la percezione,

l'associazione, l'intenzione, la motricità, la capacità di contatto e la comunicazione. Il progetto

terapeutico complessivo, che può prevedere anche cure mediche e interventi di operatori

diversi, viene definito da tutti i membri dell'équipe che hanno partecipato alla valutazione, e

concordato con la famiglia. Il coinvolgimento attivo della famiglia è un'altra delle

caratteristiche fondamentali della TED.

Sono previste verifiche periodiche tra i membri dell'équipe, che si avvalgono delle

videoregistrazioni delle sedute (cfr. Barthelemy et al., 1995, p.146) e della valutazione fatta

attraverso l'uso di scale appositamente costruite (ibid. p. 79).

L'intervento viene condotto nel contesto di un "Hopital de Jour", e prevede l'inserimento in

gruppi ed attività (come per esempio, la scuola materna) interni alla struttura ospedaliera.

La TED viene condotta preferibilmente nel setting classico descritto sopra; può però svolgersi

anche in altri ambiti, fatti salvi i principi generali della tranquillità, disponibilità e reciprocità. La

stanza della logopedia, quella di psicomotricità, o in casi particolari l'acqua di una grande vasca

da bagno, possono essere altrettanti luoghi in cui la TED viene condotta.

L'intervento può anche essere condotto con due bambini contemporaneamente, qualora lo

scopo principale sia di favorire la socializzazione. Queste situazioni, in genere, vengono

attivate dopo che è stata fatta una TED classica, con bambini che hanno ancora problemi di

socializzazione, spesso con componente aggressiva. Al bambino viene affiancato un altro

bambino con analoghe capacità, bisognoso di sviluppare la comunicazione, ma più calmo.

Alla TED vengono affiancati interventi con gruppi più allargati di bambini, ma anche in

questo caso i principi ispiratori dell'intervento sono quelli visti in precedenza . Il contesto in cui

si svolge questo intervento dovrà essere rassicurante, prevedibile, con precise sequenze

temporali, stabile.

Psicoanalisi e terapia delle psicosi infantili

Il problema posto dalla psicoterapia delle psicosi infantili ha suscitato l'interesse degli autori

psicoanalitici, ben prima della descrizione, da parte di Kanner dell'autismo infantile. Già nel

1930, infatti M. Klein scriveva che uno dei compiti principali dell'analisi infantile doveva essere

anche quello di studiare e curare le psicosi dell'infanzia (Klein, 1968) .

La Mahler (1972), partendo dalle sua distinzione tra psicosi autistiche primarie e psicosi

simbiotiche individua alcuni princìpi nella cura analitica dei bambini psicotici.

Il primo obiettivo terapeutico sarà secondo la Mahler quello di coinvolgere il bambino in una

"esperienza simbiotica correttiva" (Mahler, 1972, p. 169) che consenta al bambino, nel corso di

un periodo di tempo piuttosto lungo, di pervenire ad un livello più alto di rapporto con

l'oggetto, rivivendo anche le precedenti fasi dello sviluppo.

Ciò può essere conseguito se il bambino ripercorre le varie tappe di sviluppo (presimbiotica,

simbiotica e di separazione - individuazione) con il supporto di un terapeuta che funga da Io

ausiliario. Il terapeuta dovrà anche fornire al bambino quelle funzioni dell'Io che servono a

proteggerlo dalla eccessiva stimolazione proveniente dall'esterno e, al contempo, dagli stimoli

interiori minacciosi.

Il bambino psicotico si trova su uno stato di panico e angoscia in cui emerge la paura della

perdita dei confini dell'Io e l'incapacità di contenere l'aggressività . Il terapeuta dovrà porre dei

limiti al bambino, soprattutto ai suoi impulsi aggressivi ed autodistruttivi, per es. intervenendo

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ed aiutandolo nell'organizzare meglio un gioco che tende ad essere frammentario e

incomprensibile. Può inoltre svolgere, con il bambino una funzione pedagogica:

Secondo la Mahler, per il bambino autistico é più adatta la terapia individuale, necessaria per

farlo uscire dal suo isolamento. Certi interventi pedagogici non potranno essere proficui fino a

quando il bambino non avrà cominciato a sviluppare un qualche tipo di rapporto simbiotico. Ciò

non vale per il bambino primariamente simbiotico che sarà in grado di trarre profitto dagli

interventi educativi non appena saranno scomparse le sue tipiche reazioni di panico e sarà

pronto per instaurare rapporti diversificati che sostituiscono lo stato di fusione con la madre.

Partendo dalle profonde reazioni di panico che spesso i bambini autistici hanno di fronte al

tentativo di rompere il loro isolamento, la Mahler suggerisce di cercare di trarre fuori

dall'isolamento il bambino con l'aiuto della musica, usando stimolazioni piacevoli dei suoi

organi sensoriali, utilizzando oggetti inanimati; non usando, quindi l'approccio diretto

soprattutto quello corporeo.

La Mahler ha proposto, in particolare per le psicosi simbiotiche, un metodo terapeutico che

vede la presenza della madre accanto al bambino e al terapeuta. Questi sono impegnati in

sedute della durata di 2 o 3 ore durante le quali la madre e il terapeuta operano

congiuntamente per la riabilitazione del bambino. Il coinvolgimento della madre é una delle

differenze sostanziali tra il modello terapeutico della Mahler e quello di un altro importante

autore psicoanalitico, B. Bettheleim. Quest'ultimo ritiene invece opportuna la separazione del

bambino dalla madre e la cura in una istituzione appositamente predisposta (Bettheleim,

1976).

L'obiettivo della terapia è quello di evitare che il bambino si ritiri in una posizione difensiva

autistica.

Deve essere incoraggiato a rivivere con un sostituto di madre un rapporto esclusivo

simbiotico-parassitico, più gratificante, anche se regressivo. Questo rapporto deve essere

liberamente messo a disposizione del bambino e diventare per lui una difesa nel periodo in cui

deve uscire dal circolo vizioso del suo deformato rapporto con la madre.

(Mahler, 1972, p.193)

La Mahler propone pertanto un modello di terapia che, per la psicosi simbiotica in

particolare, tiene unita la diade madre-bambino e si differenzia da quello classico dell'analisi

infantile.

Manzano e Palacio Espasa (1983) ritengono che l'intervento della Mahler, così come della

maggior parte degli autori nord-americani, tende a concentrarsi su un'esperienza emozionale

correttiva e non tanto, o comunque in minor misura, sull'analisi del transfert. Quest'ultima

impostazione viene per esempio sviluppata da F.Tustin e da altri autori kleiniani che, appunto,

centrano la loro procedura terapeutica sull'analisi del transfert (per un approfondimento di

questa impostazione , si rimanda ai due lavori classici di F. Tustin, del 1972 e del 1981).

Negli ultimi anni , alcuni autori di scuola psicoanalitica hanno sottolineano la necessità che la

presa in carico del bambino sia precoce e preveda accanto alla psicoterapia psicoanalitica

individuale, altri interventi, farmacologici ed educativi, che tengano conto della eterogeneità

dei quadri mostrati dai bambini autistici (cfr. Di Cagno e Rigardetto 1991 ).

La terapia familiare sistemica

Nella sezione "Concezione delle psicosi infantili", abbiamo descritto l'ipotesi che A.M.

Sorrentino e il gruppo della Selvini Palazzoli fanno circa l'insorgere delle psicosi dell'infanzia e

dell'adolescenza.

L'intervento terapeutico proposto dalla Sorrentino ricalca l'ipotesi sistemica sul disturbo

psicotico, anche se comprende metodiche diverse rispetto agli interventi più strettamente

psicoterapici utilizzati per l'adolescente e il giovane adulto (cfr. Selvini Palazzoli et al, 1988).

La terapia familiare proposta nel caso del bambino psicotico ricalca in parte quella per

l'adolescente, in particolare nella sequenza con cui vengono coinvolti i membri della famiglia

nucleare e di quelle d'origine.

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Nella prima seduta vengono coinvolti i membri della famiglia nucleare e un membro

significativo della famiglia estesa, convocato sulla base. delle informazioni raccolte nel corso

della prima telefonata. In genere, il membro della famiglia estesa che veniva convocato era la

nonna materna. Questa scelta può apparire una logica conseguenza di quella che è stata

descritta come una tipica dinamica di queste famiglie, in cui il rapporto tra madre e nonna

materna è spesso disturbato e vede continue interferenze della seconda nelle funzioni materne

della prima .

Nella prima seduta, la presenza di un membro della famiglia estesa consente di mettere a

fuoco la frequente interferenza delle famiglie d'origine nell'interazione della famiglia nucleare e

inoltre rappresenta il contesto ideale per far emergere l'eventuale "predizione negativa" circa

l'esito del matrimonio della coppia (vedi sezione precedente).

Al termine della prima seduta il membro della famiglia estesa che ha partecipato viene

ringraziato per la collaborazione e congedato, con l'invito esplicito di far cessare le interferenze

e le pressioni psicologiche che, come emerso dalla seduta, possono disturbare la normale

funzione genitoriale della coppia.

Nella seconda seduta sono presenti solo i membri della famiglia nucleare, compreso il

bambino "paziente designato". Questa seduta è dedicata all'approfondimento del rapporto di

coppia e al rapporto di ciascun membro con il piccolo paziente.

Il bambino è in grado di fornire informazioni importanti con il suo comportamento, anche se

non parla e appare chiuso nel suo mondo . E' infatti frequente che il bambino privilegi il

rapporto con uno dei genitori e intervenga disturbando , in momenti particolarmente

significativi delle sedute.

Ciò consente al terapeuta di ridefinire il bambino come attore del gioco familiare, dotato di

intenzionalità. Questa definizione sostituisce quella di bambino malato e passivo anche se, in

genere, non viene accettata senza obiezioni o resistenze dai genitori.

La fase centrale della terapia vede la sola presenza dei genitori; in queste sedute il terapeuta

cerca di mettere più chiaramente in relazione il disturbo del bambino con la situazione di

"stallo" relazionale della coppia (cfr. Selvini Palazzoli et al., 1988). Ciò implica anche un lavoro

personale su ciascun genitore, finalizzato a comprendere meglio come il suo modo di

rapportarsi al partner sia in buona misura determinato dai rapporti instaurati in passato con le

famiglie d'origine.

La presenza dei soli genitori in questa fase della terapia sottolinea, in maniera pragmatica,

che il lavoro terapeutico è diretto soprattutto a loro. Vengono inoltre proposte alcune consegne

ai genitori, che riguardano attività da fare con il bambino.

Una attività proposta che si è mostrata particolarmente utile è un periodo quotidiano di

holding, cioè di rapporto forzato con il bambino in cui il genitore (in genere la mamma),

abbraccia fortemente il figlio costringendolo ad un rapporto corporeo e visivo intenso. A questa

attività il bambino, soprattutto all'inizio, in genere si oppone, mostrando un 'intenzionalità ed

un'energia solitamente non espressa.

E' a questo punto della terapia con la coppia che, secondo la Sorrentino, diviene opportuno

offrire al bambino interventi riabilitativi individualizzati, sia sul versante dell'apprendimento, sia

su quello delle competenze sociali.

L'armonizzazione di questi interventi riabilitativi rivolti al bambino, con la terapia della

coppia genitoriale, è un presupposto indispensabile per giungere ad un miglioramento della

sintomatologia e, in alcuni casi, alla guarigione.

Accanto al modello terapeutico della Sorrentino e del gruppo della Selvini Palazzoli, vanno

menzionate altre metodologie che, sempre all'interno di un quadro teorico di tipo sistemico,

sono state proposte da autori diversi (Cancrini et al. 1989, Quinzi, Dentale, 1992) che fanno

capo alla scuola di terapia familiare di Luigi Cancrini (Cancrini, 1995). Questi autori, che non

approfondiamo in questo lavoro, propongono un modello di intervento familiare in cui vengono

utilizzate tecniche della terapia familiare strutturale (Minuchin, 1981) e di quella strategica

(Haley, 1963), accanto ad altre, come l'holding, mutuate dal modello etodinamico.

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Terapie farmacologiche (a cura di E. Peloso e P. Vinai )

Le scarse conoscenze sulle basi neurofisiologiche dello autismo, fanno sì che l'approccio

farmacologico a questa patologia sia principalmente sintomatico: volto a favorire

comportamenti più adeguati e socialmente accettabili, modificandone alcuni particolarmente

disfunzionali. Gli psicofarmaci rappresentano perciò, in un piano terapeutico centrato

sull'approccio riabilitativo alla patologia, un elemento di supporto, facilitante un intervento più

vasto al quale non si possono sostituire.

La molteplicità fenomenica dell'autismo e le scarse cognizioni sulla sua patogenesi,

giustificano i molteplici tentativi terapeutici con sostanze farmacologicamente anche molto

diverse tra loro, di cui si è cercato di volta in volta di sfruttare l'attività specifica su di un

sintomo: disturbi dell' umore, stereotipie, aggressività, scarsa attenzione ed alterazioni del

sonno.In quest' ottica, funzionale più che neuro biologica, non abbiamo raggruppato i farmaci

in base alle diverse caratteristiche biochimiche, ma a seconda della sintomatologia verso la

quale si sono dimostrati più efficaci.

L'impiego di queste molecole in età evolutiva richiede particolari attenzioni; per la possibile

incidenza di effetti collaterali, potenzialmente anche gravi, il loro uso deve essere perciò molto

oculato utilizzando il minimo dosaggio efficace.

Va sorvegliata l'eventuale insorgenza di modificazioni iatrogene del comportamento: (apatia,

irritabilità, peggioramento prestazionale, sedazione ecc.), che spesso insorgono anche in

assenza di altri effetti collaterali; in questi casi andrà attentamente valutato il rapporto

danno\beneficio della terapia in questione.

Disturbi dell' umore

La Carbamazepina, si è dimostrata efficace in casi clinici caratterizzati da oscillazioni

dell'umore con fasi ipomaniacali. Per i suoi numerosi effetti collaterali, epatici, ematologici (

rischio di anemia aplastica, piastrinopenia , agranulocitosi ), l' FDA Americano non ne ammette

l'uso in questa indicazione.

In letteratura inoltre compaiono alcune segnalazioni di un'azione migliorativa sulla apacità

attentiva, di comunicazione, sulla relazionalità e sul tono dell'umore grazie l'impiego della

Lamotrigina a dosi di 200mg/die.

Anche il Valproato, si è dimostrato efficace in questi soggetti, controllando il tono dell'

umore, a dosaggi inferiori o uguali a quelli utilizzati nella terapia anti convulsiva.Richiede un

monitoraggio della funzionalità epatica perchè potenzialmente epato tossico.

Gli studi sulla Fluoxetina, inibitore selettivo del reuptake della serotonina, a dosaggi da 0.2 a

1.4 mg\die e la Paroxetina a dosi di 10 - 20 mg\die ne provano l' efficacia sui sintomi

"depressivo - simili" sull' evitamento sociale e sullo sviluppo del linguaggio.

Gli effetti collaterali, agitazione, insonnia, anoressia, dimagramento, pur presenti, sono più

evidenti nei soggetti che non traggono giovamento dall'utilizzo di queste molecole e comunque

scompaiono rapidamente con la sospensione del farmaco.

La Clomipramina un antidepressivo triciclico, è stata usata con qualche risultato, ma il suo

utilizzo è limitato dagli effetti collaterali, sopratutto a livello cardiologico e dall'abbassamento

della soglia convulsivante.

Il Carbonato di Litio, che sembra facilitare la trasmissione serotoninergica, a livello

dell'ippocampo e stabilizzare i recettori dopaminergici pre e post sinaptici, è stato utilizzato con

questa indicazione, nonostante i suoi notevoli effetti collaterali, (leucocitosi con linfo penia,

diminuzione della tiroxina, alterazioni dell' ECG, disturbi gastro enterici) e la necessità di

monitorizzarne, settimanalmente all' inizio e poi mensilmente, la concentrazione sierica per la

stretta "finestra terapeutica" del farmaco.

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Stereotipie ed irritabilità

L' Aloperidolo, e la Pimozide, due neurolettici inibitori dei recettori dopaminici D2, si sono

dimostrati utili in queste indicazioni e nel migliorare l' attenzione del soggetto.

A volte sono efficaci sui tics, il dosaggio consigliato per la Pimozide è di 1 mg (1\4 di cpr.) al

mattino, nel bambino fino ad 1 mg per 2 nell' adolescente; non dev'essere somministrata la

sera perchè può provocare insonnia; può avere effetti extra piramidali.

Utilizzati inizialmente per ridurre l'aggressività auto o etero - diretta, questi farmaci spesso

non si sono però dimostrati di efficacia pari alle previsioni, tanto da consigliare piuttosto l'uso,

in caso di emergenza, della Tioridazina o, se il caso lo richiede, della più sedativa Promazina,

limitatamente al periodo di acuzie. Ne è sconsigliabile l'uso prolungato per il rischio di

rallentamento cognitivo, diminuzione dell'attenzione, sedazione ed aumento di peso.

Il rischio di discinesie tardive da neurolettici, secondo alcuni studi, è maggiore se il soggetto

è già affetto, come in questi casi, da alterazioni del movimento precedenti l'inizio della terapia.

Non va dimenticato, anche se raro in età pediatrica, la possibilità di insorgenza dell' ipertermia

maligna, rara ma dall' esito spesso infausto.

Il Rispedirone (antipsicotico atipico antagonista sia serotoninergico che dopaminergico) é

stato anche sperimentato in età evolutiva a dosi di 0,02 - 0,05 mg/Kg/die sotto ai 10 anni di

età e 0,14 mg/Kg die negli adolescenti. E' segnalata diminuzione dell'aggressività,

dell'ipercinesia dei disturbi del ritmo sonno - veglia e della masturbazione. Gli effetti collaterali

rilevati sono la sedazione, (di solito temporanea) sintomi extrapiramidali e incremento

ponderale.

Un altro neurolettico atipico di recente introduzione con azione antagonista verso i recettori

della serotonina e della dopamina é l'Olanzapina. I pochi studi, ancora in corso, sull'uso

dell'Olanzapina in bambini con differenti diagnosi, tra le quali disturbi psicotici non meglio

specificati a dosaggi di 0,22 mg/Kg/die, riferiscono miglioramenti nella regolarità del ritmo

sonno-veglia e nel controllo dell'aggressività. Gli effetti collaterali finora riportati sono

sedazione, incremento ponderale e acatisia.

Il Naltrexone, un antagonista degli oppioidi endogeni, è stato sperimentato a dosaggi di 0,5

mg\kg per poche settimane in bimbi molto auto-aggressivi, senza peraltro dimostrare una

particolare efficacia, salvo la riduzione dell' iperattività.

La Clonidina, un agonista dei recettori a2 adrenergici utilizzato come anti ipertensivo, si è

dimostrato molto efficace nel controllo delle crisi di rabbia, utilizzato nell'adolescente a dosaggi

non ipotensivi, iniziando da 0,05 mg\die e salendo fino al controllo del sintomo, ( 0,05 mg 2- 3

volte al dì ). Gli effetti collaterali sono molto scarsi e ne è possibile l'uso continuato a dosaggi

bassissimi (anche 0,02 mg\die). A causa della scarsa sperimentazione l' FDA non ne ammette

l'uso in questa indicazione.

Anche un b bloccante, il Propranololo, è utilizzato negli U.S.A. per il controllo delle crisi di

rabbia a dosaggi elevati (600mg\die nei bambini 1500 mg nell' adolescente), somministrabili

gradualmente e soltanto in ambiente ospedaliero; l' FDA ne sconsiglia l'uso sotto i 12 anni di

età. I suoi effetti collaterali,ipotensione e bradicardia, richiedono un monitoraggio della

frequenza cardiaca e della pressione arteriosa; è controindicato nel soggetti asmatici per il

rischio di crisi dispnoiche.

Disturbi dell'attenzione

La Fenfluramina, che riduce il livello ematico di serotonina, ha dato modesti risultati,

contestati da alcuni autori, sull'iperattività e sul disturbo di attenzione.

Essendo normalmente utilizzata come anoressizzante provoca calo dell'appetito e del peso,

oltre a disturbi gastro enterici ed a volte irritabilità ed insonnia; non va perciò somministrata la

sera.

La Pemolina, può controllare, utilizzata per brevi periodi, i disturbi dell'attenzione e

l'iperattività, anche se può peggiorare i tics eventualmente presenti.

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Alterazioni del sonno

La Melatonina ha contribuito in alcuni casi al miglioramento del sonno, al rasserenamento

dell'umore, alla diminuzione delle stereotipie anche per periodi discretamente lunghi dopo la

sospensione del farmaco senza che si siano manifestati rilevanti effetti collaterali.

Coadiuvanti metabolici

La Vitamina B 6, è utilizzata a 15 mg\kg\die, tentando di sfruttarne l'effetto di coenzima nel

metabolismo di vari neuro trasmettitori, (serotonina , dopamina ed altri); anche il Magnesio è

stato utilizzato a dosaggio di 5 mg\kg\die, con risultati non sempre convincenti.

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Per informazioni e suggerimenti: [email protected]

Dott. G.M. ARDUINO, Dott.ssa E. GONELLA

Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile ASL 16 Mondovi'-Ceva

Via Torino, 2 Mondovi' (Cn), Tel. 0174 - 552033.

Responsabile: Dott. Franco FIORETTO

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PET THERAPY

Nata negli Stati Uniti, solo da pochi anni viene praticata anche in alcuni centri del nostro

Paese.

letteralmente significa "terapia con animali", viene chiamata anche terapia dolce e prevede

l’utilizzo degli animali per migliorare la qualità di vita delle persone e mira a seguire il soggetto

problematico e non tanto il problema o la malattia, in tal modo l’animale diventa il ponte

invisibile tra operatore e soggetto seguito.

La Pet Therapy si suddivide in:

- Attività Assistita con Animali (A.A.T. ), che risulta essere una terapia vera e propria

rivolta a persone con problemi fisici e/o psichici, da affiancare ad altre cure, dove

viene precedentemente fatto un progetto individualizzato da seguire, che prevede la

scelta dell’animale adatto in base allo scopo da raggiungere e la presenza di

un’equipe multidisciplinare che collabori a tale progetto (compresa la Stesura e la

verifica del progetto stesso).

- Attività Assistite con Animali ( A.A.A. ). che mirano a migliorare la qualità di vita delle

persone in situazione di disagio, in quanto l’animale risulta, essere un perfetto

tramite per lo sviluppo delle relazioni.

La Pet Teraphy viene utilizzata anche a livello ludico ( gioco ), per la socializzazione, per

favorire la comunicazione e per lo sviluppo e/o potenziamento della responsabilità e

dell’autostima.

L’animale in sé è un "catalizzatore" sociale capace di creare situazioni positive e rilassanti;

cane, gatto, cavallo, delfino (e non solo) sono gli animali più conosciuti che svolgono un

importante ruolo nei confronti di persone con disabilità psicofisica.

Il cane, in particolar modo, è il soggetto preferito dai seguaci della Pet Therapy ; come cane

sociale per migliorare le condizioni psichiche e/o fisiche di bambini, adulti, anziani; come cane

di servizio per aumentare la mobilità delle persone con limitazioni fisiche, come cani da

passeggio per persone cieche o sorde.

DELFINOTERAPIA

E’ un’attività praticata negli Stati Uniti da oltre 15 anni, in Italia è giunta verso il 1993 e

viene svolta nei mesi estivi, nei delfinari di Rimini e Brindisi.

E’ una terapia indicata nei casi di autismo infantile, negli stati depressivi degli adulti e per

taluni disturbi psichici.

I benefici di tale attività sono dati dal rilassamento e da un completo benessere psico-fisico

che si basa su contatti spontanei tra i delfini e le persone che nuotano e giocano con loro.

Per tale attività viene richiesta una buona acquaticità (e purtroppo è problematico

parteciparvi perché vi sono liste di attesa lunghissime, di oltre 6 mesi).

Per informazioni : Associazione ARION tel. 06 58243

IPPOTERAPIA O RIABILITAZIONE EQUESTRE

E’ destinata a coloro che presentano disturbi neuromotorì, motorì. sensoriali e relazionali, (e

quindi adattissima anche ai soggetti Autistici).

Il cavallo stimola il proprio "cavaliere’ nell’equilibrio, nel coordinamento motorio, nel

processo Spazio-temporale.

Si ha, inoltre, un forte beneficio psicologico con conseguente aumento dell’autostima.

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Gli scopi della Riabilitazione Equestre sono: conservazione degli arti sani e sfruttamento dei

gruppi muscolari colpiti da alterazioni invalidanti; miglioramento della situazione statica e

dinamica, ottenere dei miglioramenti sulle condizioni psichiche.

Elemento fondamentale di tale attività è il cavallo che mette a disposizione una ricchezza di

strumenti naturali quali il ritmo, la sua corporeità, le sensazioni. provocate dal suo movimento,

non statiche ma in continuo mutamento, che scatenano delle reazioni in chi ci sta sopra

risvegliando in loro capacità che in altro modo difficilmente avrebbero potuto sperimentare,

data la particolarità dello "strumento" utilizzato.

Gli animali in quest’ottica, diventano co-terapeuti, diventano il mezzo per raggiungere lo

scopo. L’animale prima dì tutto offre la possibilità di stabilire una relazione, non fa domande,

accetta incondizionatamente chi ha di fronte qualsiasi sia Ia sua patologia o problematica

sociale.

In questo senso l’amicizia che si stabilisce con un’animale non è solo terapia, ma anche

prevenzione e protezione dell’equilibrio psico-fisico dell’individuo.

Molto importante è l’elemento ludico (gioco), il bambino in particolar modo attraverso il

gioco raggiunge risultati difficilmente ottenibili con attività imposte prettamente terapeutiche

e/o riabilitative.

Agli animali si può insegnare, dagli animali si può imparare.

Testo a cura di Chiara Menardi

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di Donata Vivanti

CHE COS’È IL PROGRAMMA TEACCH?

Il programma TEACCH, acronimo di Treatment and Education of Autistic and Communication

Handicaped Children, non è un metodo di intervento, come generalmente si intende, ma un

programma innanzi tutto politico. Con il termine "Programma TEACCH" si intende indicare l’

organizzazione dei servizi per persone autistiche realizzato nella Carolina del Nord, che

prevede una presa in carico globale in senso sia "orizzontale" che "verticale", cioè in ogni

momento della giornata, in ogni periodo dell’anno e della vita e per tutto l’arco dell’esistenza,

insomma un intervento " pervasivo " per un disturbo pervasivo.

Ideato e progettato da Eric Schopler negli anni ‘60, venne sperimentato nella Carolina del

Nord per un periodo di 5 anni con l’aiuto dell’Ufficio all’Educazione e dell’Istituto Nazionale della

Sanità; dati i risultati estremamente positivi raggiunti, dagli anni ‘70 il programma TEACCH è

ufficialmente adottato e finanziato dallo Stato.

L’organizzazione dei servizi prevede 6 centri di diagnosi, 6 centri di aiuto a domicilio,

numerose classi speciali presso le scuole, e posti di lavoro per adulti; tutti i servizi sono

collegati fra di loro per garantire la globalità e la continuità dell’intervento: in questo modo si è

creata una continuità di intervento sia "orizzontale", cioè in tutti gli ambienti di vita, che

"verticale", cioè per tutto l’arco dell’esistenza, delle persone affette da autismo.

Un programma TEACCH non si può quindi comprare o applicare singolarmente; tutt’al più si

potranno organizzare programmi educativi strutturati secondo il modello del programma

TEACCH.

In Europa la maggior parte delle scuole o delle classi specializzate per bambini autistici e dei

centri di inserimento al lavoro o residenziali per adulti sono attualmente organizzati su modello

del programma TEACCH.

L’Olanda e i paesi scandinavi hanno realizzato strutture di presa in carico globale e

continuativa sul modello dalla Carolina del Nord.

QUAL’È LA FINALITÀ DEL PROGRAMMA TEACCH?

Il programma ha come fine lo sviluppo del miglior grado possibile di autonomia nella vita

personale, sociale e lavorativa, attraverso strategie educative che potenzino le capacità della

persona autistica.

SU QUALI PRESUPPOSTI SI BASA IL PROGRAMMA TEACCH?

I presupposti su cui il TEACCH si basa per stabilire i criteri di intervento, erano, almeno agli

inizi degli anni ‘60, del tutto innovativi: smentita da ricerche di Rutter e dello stesso Schopler

una qualunque responsabilità della famiglia nella genesi dell’Autismo, non solo i genitori sono

considerati la fonte più attendibile di informazioni sul proprio bambino, ma vengono anche

coinvolti nel programma di trattamento con il ruolo di partner dei professionisti.

Inoltre il programma TEACCH è concepito in funzione della definizione di Autismo come

disturbo generalizzato dello sviluppo caratterizzato dalla triade sintomatologica descritta nel

DSM ( Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders, Associazione psichiatrica

Americana) III e IV, e nell’ICD (International Classification of Deseases and disorders,

Organizzazione Mondiale della Sanità) 10: la diagnosi di Autismo si deve quindi basare su test

appropriati che evidenzino un disturbo nell’area della comunicazione e della socializzazione, e

la presenza di interessi limitati e ripetitivi.

Poichè l’educazione è essenzialmente comunicazione, in presenza di un disturbo della

comunicazione, un’attività educativa non potrà non avvalersi di strategie specifiche.

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Inoltre, se l'integrazione nella società non può avvenire spontaneamente nel bambino

normale, tanto più il bambino autistico, portatore di un disturbo congenito della capacità di

comprensione sociale, dovrà poter usufruire di strategie educative appropriate.

SU QUALI PRINCIPI SI BASA IL PROGRAMMA TEACCH?

I principi di base del TEACCH sono del tutto innovativi rispetto alla concezione psicogenetica

del disturbo autistico, e comportano di conseguenza caratteristiche di approccio altrettanto

innovative.

Se non si crede più ad una responsabilità della famiglia nella genesi del disturbo, una

collaborazione attiva nell’intervento da parte dei familiari ne sarà la logica conseguenza, per

consentire la generalizzazione delle competenze acquisite e per garantire una coerenza di

approccio in ogni attività di vita della persona autistica; il coinvolgimento dei familiari in qualità

di partners incide secondo Schopler per il 50% sulle possibilità di successo del programma.

Inoltre l’estrema variabilità delle manifestazioni e dei livelli di sviluppo nell’ambito della

sindrome autistica, come viene definita dal DSM III e IV e dall’ICD 10, rendono indispensabile

la testimonianza dei genitori per una corretta valutazione delle capacità del soggetto, delle sue

potenzialità e del suo livello di sviluppo.

Se l’autismo non viene più considerato una malattia mentale, ma un handicap della

comunicazione, della socializzazione e della immaginazione, il bambino autistico non potrà più

essere visto come un soggetto normodotato o superdotato che rifiuta di collaborare, ma come

una persona svantaggiata, disorientata in un mondo incomprensibile, frustrata dagli

insuccessi: come tale dovrà essere aiutata a sviluppare le sue capacità sfruttando i suoi punti

di forza, le sue predisposizioni e le sue potenzialità.

Sarà quindi molto importante che durante l’apprendimento il bambino possa essere

gratificato da frequenti successi: una volta valutate le sue capacità, i compiti proposti saranno

quindi scelti non fra le attività in cui fallisce, ma fra le abilità "emergenti", cioè fra le

prestazioni che il bambino riesce a portare a termine con l’aiuto dell’adulto.

Per lo stesso motivo le capacità visuo-spaziali , generalmente buone nelle persone

autistiche, sono alla base della scelta di utilizzare strategie comunicative e strutturazione di

tipo visivo. tuttavia il principio della scelta della forma di comunicazione più adatta a supporto

della comunicazione verbale dipende dalla valutazione individuale del canale percettivo meglio

utilizzabile dal singolo individuo.

La variabilità estrema della sintomatologia e del livello di sviluppo nell’ambito della sindrome

autistica richiedono una elaborazione strettamente individuale del programma educativo, con

continue e frequenti rivalutazioni e aggiustamenti: se il bambino dispone di un buon

programma, apprende in un tempo ragionevole; se l’apprendimento non avviene a breve

termine, è il programma che non funziona e che deve essere rivisto.

Per formulare un buon programma educativo è necessario disporre di:

1) una diagnosi corretta:

si appoggia sulla osservazione clinica guidata da test diagnostici specifici non meno che sulle

informazioni fornite dai genitori, che hanno del proprio figlio una conoscenza insostituibile.Fra i

i test diagnostici per l’Autismo possiamo qui ricordare il CARS (Childhood Autism Rating Scale)

di Schopler o il CHAT (Checklist for Autism in Toddlers) di Rutter

2) la valutazionedel livello di sviluppo, attraverso un test appropriato (PEP, profilo psico-

educativo) che registra le capacità nelle differenti aree, come imitazione, motricità fine e

globale, coordinazione oculo-manuale, capacità cognitive, comunicazione, percezione.

Il profilo di sviluppo ottenuto sarà il punto di partenza per costruire il programma educativo,

cioè per determinare i tipi di attività da proporre attraverso l'individuazione delle "emergenze".

Le aree in cui si riscontra il maggior numero di emergenze sono da preferire nella scelta dei

compiti da proporre.

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3) un programma educativo individualizzato, che tenga conto non solo di questi elementi,

ma anche delle priorità della famiglia e dell’ambiente di lavoro, in modo da affrontare innanzi

tutto ciò che appare più urgente, e delle predisposizioni del bambino, in modo da aumentare la

motivazione e rendere l’apprendimento più gradevole possibile.

STRATEGIE DI INTERVENTO

Abbiamo visto come lo scopo del programma educativo TEACCH sia di favorire lo sviluppo

dell'individuo, la sua integrazione sociale e l'autonomia, tenendo conto dei deficit specifici che il

disturbo autistico comporta.

Uno degli obiettivi essenziali è che nell'età adulta la persona autistica possa vivere con gli

altri membri della società in un contesto meno segregante possibile, e di permettergli di

gestire al meglio la propria vita quotidiana.

Prima di addentrarsi nello specifico delle strategie di intervento, è opportuno ricordare che

l’approccio di tipo TEACCH, pur utilizzando tecniche comportamentali come il rinforzo, non è di

tipo strettamente comportamentale: infatti, piuttosto che forzare il bambino a modificare il

comportamento attraverso la ripetitività e il rinforzo positivo (o negativo), si preferisce

modificare l’ambiente in modo che l’apprendimento sia reso più agevole.

Adattare l'ambiente alla persona, e presentargli progressivamente le difficoltà, significa

rispettare la persona nella sua diversità : non dimentichiamo che le testimonianze di molte

persone autistiche dotate della capacità di raccontare le proprie esperienze parlano di un

mondo senza senso, di un "caos senza capo nè coda".

LA STRUTTURAZIONE

In passato si pensava che i bambini autistici soffrissero per rifiuto di sentimenti e desideri, e

si dava loro di conseguenza la possibilità di libera espressione in un quadro non strutturato

sperando che potessero trovare una via per liberare le proprie potenzialità inibite.

Nulla di più sbagliato: l'esperienza di molti anni ci ha insegnato che in questo modo si

produce l'effetto contrario, aumentando l'angoscia e i problemi comportamentali.

Si sa ora che la persona autistica, a causa del deficit di comunicazione e della "cecità

sociale" (come la definisce barhon -Cohen) alla base del disturbo autistico, ha bisogno di una

strutturazione dell'ambiente per orientarsi e per rassicurarsi, e che l'ansia diminuisce quando

sa esattamente che cosa ci si aspetta da lui in un certo momento e in un certo luogo, che cosa

succederà in seguito, come, dove e con chi.

Del resto, come ci spiega Theo Peeters, chiunque di noi si recasse in un paese straniero, di

cui non conosce la lingua, per tenere una conferenza, vorrebbe avere informazioni su dove la

conferenza sarà organizzata, quando dovrà parlare e per quanto tempo, come dovrà

esprimersi, e si aspetterà che il paese ospite abbia la cortesia di dargli queste notizie in modo

comprensibile.

Un quadro temporo-spaziale molto strutturato, nel quale i punti di repere siano visibili e

concreti, in altre parole comprensibile e prevedibile, costituisce il primo passo per poter

impostare un lavoro educativo con il bambino autistico.

La strutturazione tuttavia non deve significare rigidità, ma deve essere flessibile, costruita in

funzione dei bisogni e del livello di sviluppo del singolo bambino e soggetta a modifiche in ogni

momento; nè deve essere fine a se stessa, ma rappresentare un mezzo per aiutare una

persona in difficoltà a causa della propria impossibilità a comunicare.

La strutturazione infatti non ha lo scopo si creare un rituale, anzi, è una forma di

comunicazione verso il bambino che dovrebbe proprio ottenere di liberarlo da quei rituali che

gli danno sicurezza e prevedibilità.

Strutturazione dello spazio.

Strutturare lo spazio significa rispondere alla domanda "Dove?".

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L’ambiente di lavoro organizzato in spazi chiaramente e visivamente delimitati, ognuno con

delle funzioni specifiche chiaramente visualizzate, consente al bambino di sapere con

precisione ciò che ci si aspetta da lui in ogni luogo e in ogni momento.

Così, in una classe, ci sarà uno spazio di lavoro individuale, uno spazio di riposo, uno spazio

di attività di gruppo e uno spazio dedicato al tempo libero, ognuno chiaramente delimitato e

contrassegnato da opportuni simboli di identificazione.

L’angolo di lavoro per esempio è di solito organizzato con un banco affiancato da due scaffali

disposti perpendicolarmente, su cui disporre il materiale di lavoro da eseguire (nello scaffale di

sinistra) o riporre i compiti già eseguiti (a destra).

E’ importante che ogni spazio sia dedicato ad una singola attività: in questo modo sarà

molto facile per il bambino orientarsi da solo e raggiungere presto una autonomia di

movimento che sarà per lui molto gratificante.

Strutturazione del tempo

Strutturare il tempo significa rispondere alla domanda "Quando? Per quanto tempo?"

Il passare del tempo è una nozione difficile da apprendere, perchè si appoggia su dati non

visibili.

Per questo è importante strutturare la giornata attraverso una organizzazione del tempo,

che informi ad ogni momento il bambino su ciò che sta accadendo, ciò che è accaduto e che

accadrà, aumentando in questo modo la prevedibilità e il controllo della situazione, e

diminuendo l'incertezza fonte di ansia.

In pratica ogni bambino disporrà di una sua "agenda" giornaliera, costituita da una sequenza

di oggetti, di immagini o di parole scritte, a seconda delle sue abilità, ordinati dall’alto verso il

basso .

Al termine di ogni attività ogni relativo simbolo verrà spostato dal bambino in un altro

apposito spazio che registra il tempo trascorso: in questo modo gli sarà possibile sapere in

ogni momento quanto tempo è passato e quanto ne manca prima di tornare a casa.

Strutturazione del materiale di lavoro

Strutturare il materiale di lavoro significa rispondere in modo chiaro e concreto alla domanda

"Che cosa?"

Oltre all’agenda giornaliera delle attività, il bambino disporrà di uno schema di lavoro

posizionato presso il tavolo di lavoro, costituito ad esempio da lettere dell’alfabeto o numeri,

ognuna delle quali è riportata su una scatola di lavoro.

Il lavoro da svolgere sarà presentato in modo chiaro: ogni compito è contenuto in una

scatola sullo scaffale di sinistra, ogni scatola contrassegnata da un simbolo (lettera o numero),

a seconda del livello di sviluppo e delle capacità del bambino).

Oppure, se per il bambino è ancora troppo difficile gestire uno schema di lavoro costituito da

simboli, il numero delle scatole sullo scaffale di sinistra indicherà quanti sono i compiti da

svolgere.

Ogni scatola di lavoro contiene le diverse componenti, che saranno a loro volta

contrassegnate da un simbolo: ad esempio un colore, o una forma, presenti anche sul piano

del banco, in modo che il bambino le possa disporre nell’ordine esatto ed eseguire il lavoro da

solo.

E’ importante che, una volta disposto secondo le indicazioni visive, il compito sia "self

explaining", cioè comprensibile senza bisogno di spiegazioni: incastri , puzzle o lavori di

montaggio sono esempi semplici di questo genere, ma con un po’ di fantasia qualunque

compito può essere presentato in modo che si spieghi da sè.

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Se per il bambino è ancora troppo difficile organizzarsi il lavoro attraverso l’accoppiamento di

simboli, ogni scatola sarà suddivisa in scomparti contenenti le parti del lavoro da fare in modo

che il compito sia comprensibile senza troppe spiegazioni verbali, che lo metterebbero in

difficoltà.

Quando il compito è terminato verrà riposto nella relativa scatola sullo scaffale di destra, in

modo che in ogni momento sia chiaro quanto lavoro è stato eseguito e quanto ne resta da

eseguire.

Il lavoro viene eseguito da sinistra verso destra perchè questa è l’organizzazione tipica della

cultura occidentale.

Naturalmente all’inizio in bambino dovrà essere aiutato dall’educatore, ma in questo modo si

raggiunge ben presto l’autonomia; inoltre la possibilità di avere sempre informazioni chiare

attraverso oggetti-simbolo, immagini o parole scritte aggira la difficoltà di comprensione del

linquaggio parlato tipica della sindrome autistica, consentendo al bambino di concentrarsi

unicamente sul compito da svolgere.

L’importante non è mirare presto al grado di comunicazione più difficile, ma raggiungere la

capacità di utilizzare autonomamente il proprio codice di lavoro.

Quello che è importante sottolineare è che la struttura di tempo e spazio non è fine a sè

stessa, nè un obiettivo da raggiungere, bensì uno strumento evolutivo, un mezzo per aiutare la

persona autistica a raggiungere una migliore padronanza del proprio ambiente e della propria

vita; come tale deve essere considerata come una impalcatura che sorregge un edificio in

costruzione, e che viene tolta gradualmente man mano che la costruzione acquista stabilità;

allo stesso modo la rigidità della strutturazione spazio-temporale va diminuita man mano che

ci si rende conto che la persona può farne a meno.

IL RINFORZO

Il rinforzo risponde in modo chiaro e concreto alla domanda "Perchè?"

Infatti può essere difficile per il bambino all’inizio di un programma educativo comprendere

per quale motivo deva eseguire dei compiti.

Anche il bambino "normale" incontra questa difficoltà, ma può essere motivato dalla volontà

di accontentare la mamma o l’insegnante, di fare " bella figura".

Queste motivazioni possono inizialmente essere troppo astratte per il bambino autistico;

sarà allora necessario dargli delle motivazioni concrete, strettamente collegate nel tempo

all’esecuzione del compito.

Una ricompensa alimentare è il rinforzo più semplice; spesso tuttavia si può ben presto

sostituire con il rinforzo sociale, costituito da lodi e complimenti.

E’ importante comunque individuare un rinforzo adatto alle preferenze del singolo bambino:

sarà ovviamente controproducente abbracciare o accarezzare un bambino che presenti, come

può succedere, difficoltà ad accettare la vicinanza fisica; o offrire un rinforzo alimentare a

bambini che rifiutano il cibo.

Anche il permesso di dedicarsi ad una attività preferita, non importa se stereotipata, può

costituire un rinforzo adeguato.

Spesso comunque la soddisfazione di riuscire da solo nel compito proposto è già di per sè un

ottimo rinforzo.

L’AIUTO

L’aiuto risponde in modo chiaro e concreto alla domanda "come?".

Se infatti non possiamo utilizzare efficacemente le istruzioni verbali per spiegare il compito,

un aiuto fisico o visuale costituirà il modo più semplice per illustrare al bambino autistico come

dovrà eseguire il suo compito.

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Il grado maggiore di aiuto è costituito dall’aiuto fisico: l’educatore cioè accompagna con la

sua la mano del bambino nell’esecuzione del compito.

In questo caso è importante che il gesto sia dosato in modo da comunicare un

incoraggiamento e che abbia una valenza esplicativa che il bambino è perfettamente in grado

di capire; non deve costituire una costrizione.

Un altro tipo di aiuto può essere di tipo visuale: è un aiuto di questo tipo indicare con il dito,

o anche, ad esempio, spostare un oggetto dal posto sbagliato al posto giusto, o ancora una

dimostrazione pratica di come eseguire il compito, purchè naturalmente da parte del bambino

ci sia la necessaria attenzione.

Anche l’aiuto verbale naturalmente può essere utilizzato; in questo caso è utile usare parole

semplici, essenziali e sempre uguali per una stessa spiegazione, evitando i sinonimi o un

linguaggio troppo figurato.

Anche nel caso dell’aiuto è importante valutare la forma più efficace per ogni singolo caso

La rappresentazione del compito attraverso una serie di immagini che ne illustrano le varie

tappe, disposte da destra a sinistra, costituisce il tipo di aiuto più conciliabile con l’autonomia

di lavoro.

LA GENERALIZZAZIONE DEL COMPITO

Bisogna infine ricordare che il bambino autistico tende ad associare l’apprendimento con una

data situazione o ad un ambiente, mentre ha difficoltà a generalizzare il suo comportamento.

Sarà quindi necessario sviluppare dei programmi di generalizzazione attiva delle acquisizioni

: l’apprendimento in ambiente scolastico è solo l’inizio del programma educativo, perchè è

altrettanto importante estendere le competenze acquisite all’ambiente familiare o in altre

situazioni.

Naturalmente anche per questo è importante servirsi della collaborazione dei genitori:

nel caso dell’autismo i rapporti di collaborazione fra genitori e insegnanti non sono una

questione di buona educazione, ma un requisito indispensabile del processo educativo.

La difficoltà di generalizzazione comporta anche la necessità di provvedere in anticipo a

dotare il bambino delle competenze che gli serviranno da adulto per un inserimento lavorativo.

La continuità educativa e la coordinazione dei servizi per l’età infantile e per l’età adulta,

sebbene appaiano estremamente difficili da realizzare concretamente, rappresentano dei

requisiti fondamentali per un inserimento sociale e lavorativo efficace.

I PROBLEMI DI COMPORTAMENTO

Tutti noi presentiamo problemi di comportamento di tanto in tanto: può capitare a chiunque

di perdere il controllo, di manifestare aggressività, di scaricare le proprie emozioni in modo

incontrollato attraverso il pianto o il riso, o di scaricare la tensione attraverso tic nervosi o altri

comportamenti inadeguati.

Per fortuna si tratta generalmente di episodi passeggeri, di cui siamo successivamente in

grado di scusarci.

Quando una persona manifesta un comportamento diverso dal solito, comprendiamo che lo

stress oltrepassa i suoi limiti : il comportamento è un indice di adattamento del soggetto al suo

ambiente.

Sappiamo inomtre che il comportamento di qualunque persona è influenzato dai disturbi

organici: dolore, fatica, ingestione di farmaci, fame, stanchezza possono contribuire a

modificare il comportamento abituale.

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Chi soffre di un disturbo organico cercherà probabilmente di alleviarlo con i propri mezzi o

cercando aiuto (ad es. del medico).

PERCHÉ LE PERSONE AUTISTICHE PRESENTANO PROBLEMI DI COMPORTAMENTO?

Le persone autistiche non sono evidentemente immuni da tutte le circostanze che possono

influenzare il comportamento: sono sottoposte allo stress quotidiano come e più delle altre

persone, e la affezioni organiche le colpiscono in maniera uguale, se non più grave, a causa di

una sensibilità più acuta della nostra e della difficoltà di decifrare le proprie sensazioni.

E tuttavia non possono reagire nè cercare aiuto come noi, a causa dei problemi di

comunicazione: non possono comunicare il proprio stato e non sanno che cosa ci si aspetta da

loro, e questa incertezza aumenta lo stress.

Come spiega Schopler, problemi di comportamento della persona autistica non sono che la

punta dell’iceberg sommerso delle sue difficoltà: un sistema di comunicazione insufficiente la

conduce a esprimere le proprie necessità in una forma diversa dal linguaggio, attraverso atti

distruttivi, aggressivi, autoaggressivi o inappropriati.

Anche una persona autistica dotata, con un vasto vocabolario, una pronuncia e una capacità

sintattica corretta, può non essere in grado di capire le nostre aspettative nei suoi confronti, o

quale messagio sia chiaro per noi: per interpretare un messaggio infatti è necessario

comprendere non solo le parole o la frase, ma anche il suo contesto passato e presente.

PERCHÉ I PROBLEMI DI COMPORTAMENTO SONO COSÌ FREQUENTI NELLE PERSONE AUTISTICHE?

I problemi di comportamento non fanno parte della " personalità autistica", nè sono un

requisito fondamentale per la diagnosi di autismo.

Poiché le persone autistiche hanno molte difficoltà a comprendere il nostro mondo, e i nostri

codici sociali sono per loro estranei e incomprensibili, le manifestazioni di comportamento

inappropriate e problematiche possono costituire l’unica espressione possibile del loro disagio e

delle loro difficoltà.

Quando la comunicazione è deficitaria, e alla necessità si aggiunge le stress dell’impossibilità

di farsi capire, vengono facilmente superati i limiti della persona.

COME INTERVENIRE SUI PROBLEMI DI COMPORTAMENTO?

Come abbiamo visto, poichè nella persona autistica l’espressione dei bisogni passa

attraverso i problemi di comportamento, sarebbe assurdo intervenire direttamente per

modificarlo.

La strutturazione e la prevedibilità dell’ambiente e l’adeguatezza delle richieste, nonchè la

chiarezza, la concretezza e la stabilità dei messaggi sono la prima condizione per evitare una

situazione di stress permanente.

Sarà inoltre necessario potenziare la capacità di comunicazione e eventualmente utilizzare

forme di comunicazione più adatte alla persona autistica, come le immagini o, in qualche caso,

i gesti: la riduzione dei problemi di comportamento è il miglior test per capire se la persona è

stata correttamente valutata e se il programma individuale è davvero adatto alle sue

potenzialità e ai suoi bisogni.

Tuttavia, anche quando si sia provveduto ad adattare l’ambiente e a mettere in atto un

programma individuale adeguato, e a instaurare una forma di comunicazione efficace, possono

residuare comunque, come per tutti noi, occasioni di disagio o di malessere che si manifestano

con problemi di comportamento.

Se desideriamo aiutare la persona autistica, tocca a noi decodificare i suoi messaggi:

osservarne il comportamento nel contesto ce ne darà la chiave: analizzare e comprendere i

problemi è il primo passo per individuare una strategia di intervento adeguata, che sarà

sempre tesa a valorizzare la persona e a permetterle di superare le proprie difficoltà. Non

esistono purtroppo ricette prefabbricate applicabili ad ogni problema: ogni situazione dovrà

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essere vagliata , non prima di aver provveduto ad adattare l’ambiente e lo stile comunicativo

alla diversità della persona autistica.

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di Kerry Hogan - Dott. Psicologo Divisione TEACCH - Agosto 1997 - Revisione:

2settembre 1997 Traduzione a cura del Centro per l’Autismo, AUSL di Reggio Emilia (R.

Francavilla, A.M Dalla Vecchia)

IL PENSIERO NON VERBALE, LA COMUNICAZIONE, L’IMITAZIONE E LE ABILITA’

DI GIOCO IN UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA

Tutti i bambini, con o senza autismo, fanno progressi attraverso una serie di livelli evolutivi

man mano che acquisiscono nuove capacità. Questo articolo intende servire due scopi. All’inizio

vengono descritti le Fasi di sviluppo osservate nel pensiero non verbale, nella comunicazione,

nell’imitazione e nel gioco. Molti genitori Io hanno trovato utile per conoscere queste fasi come

un modo di individuare il livello attuale di sviluppo del loro figlio e come aiuto per

programmare gli obiettivi futuri. Alcune attività sono state inserite come esempi di tecniche

educative che possono essere adattate a questi diversi livelli evolutivi. La maggior parte di

queste fasi evolutive sono comuni sia ai bambini con autismo sia ai bambini normali. Le attività

qui descritte sono adattate specificamente agli stili di apprendimento dei bambini autistici.

I bambini autistici presentano abitualmente un profilo di sviluppo non lineare caratterizzato

da competenze non verbali più elevate. Le attività di insegnamento sono più integrate se

queste sono adattate al livello evolutivo attuale del bambino. Qualunque sia il punto di

partenza di ogni bambino, tutti acquisiranno nuove abilità e passeranno attraverso ogni stadio

evolutivo ognuno con il proprio passo. Le attività proposte in questo articolo vogliono fornire

esempi per promuovere lo sviluppo in ognuna di queste fasi. Nonostante siano inclusi alcuni

suggerimenti più avanzati, le fasi di sviluppo qui descritte sono molto importanti per i primi

apprendimenti e quindi possono essere più utili ai genitori di bambini piccoli. Questi

suggerimenti non sono esaustivi e devono essere adattati ai punti di forza e agli interessi di

ogni bambino, considerato individualmente.

Competenze non verbali o di pensiero visivo

Questo è un punto di forza per i bambini autistici. Quando volete insegnare una nuova abilità

cercate di pensare a come potete farlo visivamente. Usando un approccio visivo è più probabile

avere successo nell’insegnare qualsiasi nuova abilità

Classificazione e semplici abbinamenti

1. La prima cosa che un bambino impara in questa area è coordinare abilità visive con abilità

motorie. Nella sua forma più semplice questa è la capacità di guardare un oggetto, cercare di

raggiungerlo e prenderlo . Quando un bambino sa tenere un oggetto imparerà a manipolano in

modi più complessi come mettere gli oggetti in certi posti che hanno un significato da un punto

di vista visivo. Questa abilità può essere sviluppata, in parte, sottolineando l’area o il

contenitore dove volete che il bambino metta ogni oggetto. Per esempio, se c’è un solo foro in

un contenitore, è facile per un bambino vedere dove mettere l’oggetto. Alcuni bambini

imparano a tirare fuori gli oggetti dai contenitori prima di iniziare a mettere gli oggetti dentro

ai contenitori.

2. Come prossima tappa un bambino imparerà a differenziare alcuni oggetti da altri. Questo

è il primo passo per imparare a classificare. Uno dei modi migliori per insegnare questa abilità

è creare un compito di scelta che elimini la possibilità di Fare errori. Per esempio potete fare

un contenitore con una apertura sottile per mettervi dei cartoncini ed una apertura quadrata

per mettervi dei cubi. Nessuno degli oggetti potrà entrare nell’apertura dell’altro oggetto, così

sarà molto chiaro che alcuni oggetti sono diversi da altri e vanno messi in posti diversi.

3. Quando un bambino ha imparato a classificare degli oggetti in un compito che elimina la

possibilità di errore, può imparare a classificare due oggetti in contenitori simili. Per esempio, il

bambino potrebbe imparare a mettere i cucchiai in un contenitore e le palle in un altro

contenitore. E’ più facile imparare questo se usate oggetti molto diversi fra loro e contenitori

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trasparenti in modo che il bambino possa vedere gli oggetti nel contenitore e un campione di

ogni oggetto messo in ogni contenitore. Il bambino inoltre troverà più facile classificare se gli

oggetti in ogni categoria sono identici (per esempio cucchiai di plastica bianchi identici e palline

da tennis gialle identiche).Quando il bambino riesce nell’abilità di classificare, potete cambiare

alcune caratteristiche del compito. E’ importante ricordare tuttavia di cambiare solo un aspetto

del compito alla volta, così che il bambino non diventi frustrato o confuso. Per esempio potete

incoraggiare il bambino a classificare gruppi di oggetti che sono sempre più simili (per esempio

invece di cucchiai e palline, dividere cucchiai e coltelli) ma non dovete fare questo cambio nello

stesso momento in cui iniziate ad usare contenitori opachi.

4. Un altro tipo di classificazione che viene imparata abbastanza presto è l’abilità di scegliere

secondo caratteri concreti degli oggetti come il colore e la forma. Di nuovo iniziate rendendo il

compito il più facile possibile. Per esempio, iniziate a classificare gli oggetti per colore piuttosto

che le figure. Classificare gli oggetti è più facile perchè variano in molte più caratteristiche che

non le figure. Perciò le differenze tra gli oggetti è più probabile che siano significative per il

bambino piuttosto che le differenze tra le figure. Man mano che gli oggetti diventano sempre

più simili tra loro, il bambino diventerà più attento al colore come carattere peculiare. Per

esempio potete passare dalla scelta di cucchiai bianchi e di palline da tennis gialle alla scelta

tra palline da tennis gialle e palloni rossi e poi passare alla scelta tra palloni rossi e palloni

gialli.

5. Anche i puzzle sono un compito di classificazione perché il bambino sta imparando a

mettere oggetti diversi in contenitori diversi. I puzzle sono come i compiti descritti prima

perché ogni pezzo può inserirsi solo in un posto. I puzzle più facili sono quelli ad incastro dove

i pezzi veramente entrano nel foro giusto. Questi puzzle possono essere resi ancora più facili

copiando la Figura dal pezzo e mettendola nel posto dove va il pezzo. Ricordate di scegliere

puzzle che siano compatibili con le abilità motorie dei bambino, I bambini piccoli di solito

cominciano con puzzle con pezzi grossi per aiutarli a tenere e ruotare ogni pezzo.

6. Una abilità visiva più difficile è l’accoppiamento. Esso è spesso più difficile della

classificazione perché non richiede il mettere gli oggetti in contenitori e quindi il compito è

meno chiaro visivamente. Di solito si pensa all’accoppiamento come una attività che richiede

d~ abbinare figure, lettere, numeri, ecc. Ma l’accoppiamento si può anche fare chiedendo di

abbinare oggetti identici o di abbinare oggetti a disegni o a fotografie.

7. Quando il bambino è capace di classificare diversi tipi di oggetti, potete valutare se

capisce o no le figure. Un modo di valutarlo è vedere se il bambino è capace di abbinare

oggetti a immagini degli stessi. Il primo gradino di questa abilità è vedere se il bambino sa

abbinare un oggetto a una figura della stessa dimensione e colore dell’oggetto. Questo compito

è anche più facile se la figura è presentata come un incastro così che l’oggetto realmente si

inserisca nella figura. Potete creare una figura tagliandone la forma in un materiale morbido

(polistirolo) che abbia un po’ di spessore e mettendola vicina al "buco" dell’incastro. Quando il

bambino sa abbinare oggetti in un contenitore che mostra una figura identica potete provare

l’abbinare oggetti a figure piatte, oppure a figure che sono più piccole o un po’ diverse nel

colore (ad esempio in bianco e nero).

Il prossimo passo da imparare sulle figure è che il bambino accorpi oggetti e figure che non

sono identiche. Per esempio potete mettere una figura sull’esterno di un contenitore opaco e il

bambino deve abbinare gli oggetti alle figure sui contenitori.

E’ importante essere capaci di abbinare gli oggetti alle immagini prima di iniziare le attività

di abbinamento di figure ad altre figure. Il livello oggetto/immagine ci assicura che il bambino

capisce il significato delle figure e non solo che esse sono immagini diverse che possono essere

abbinate per le loro caratteristiche visive. Diversi tipi di figure possono essere più o meno

significative per il vostro bambino. Dovete sperimentare per vedere che cosa funziona meglio.

Alcuni bambini trovano le Fotografie facili da capire. Per altri bambini le foto sono troppo

letterali. Essi pensano che una foto non possa rappresentare nient’altro che l’oggetto

raffigurato dalla immagine e non un altro oggetto. I bambini che reagiscono in questo modo

alle foto è più probabile che riescano con i disegni. Quando le abilità del bambino nel capire le

figure migliorano, le figure possono essere più astratte. Per esempio, si può usare solo il

disegno dei contorno delle forme per abbinare oggetti che hanno quella forma.

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8. Quando siete sicuri che il bambino capisce le figure potete tentare dei compiti di

classificazione di figure. Di nuovo, iniziate con i tipi di compito che rendono più facile la

classificazione. Per esempio le figure in ogni gruppo devono essere identiche e ci deve essere

un campione delle figure sull’esterno di ogni contenitore. Quando il bambino è capace in

queste forme più semplici di classificazione, potete passare a forme più complesse come avete

fatto con gli oggetti.

Lo scopo della classificazione

Molti genitori chiedono perché usiamo tanto tempo ad insegnare ai bambini a classificare

oggetti e figure.

Primo, la classificazione è adatta ai bambini con autismo perché si avvantaggia delle loro

abilità visive. Quando un bambino comincia a mettersi a lavorare a tavolino è utile usare dei

compiti significativi.

Secondo, la classificazione porta l’attenzione del bambino sulle differenze tra gli oggetti. i

bambini non autistici imparano queste differenze usando il linguaggio. Essi chiederanno ad

esempio "cosa è questo?" e gli adulti insegneranno loro le espressioni verbali che danno un

significato alle differenze tra gli oggetti. Le parole non hanno tanto significato per i bambini

autistici quanto ne hanno le differenze visive.

Terzo, quando un bambino ha imparato a classificare oggetti e Figure sulla base delle loro

differenze visive, allora è preparato ad imparare concetti più difficili attraverso il processo di

classificazione. Essi sono anche capaci di iniziare ad imparare le etichette degli oggetti perché

le differenze tra oggetti sono già state poste alla loro attenzione, rendendo così più

significative le etichette v’rbaii. I passaggi seguenti di sviluppo visivo descrivono come dei

concetti più complicati possono essere insegnati visivamente.

Tecniche di classificazione e di accoppiamento più complicate

9. Quando un bambino ha imparato a classificare figure e oggetti identici, egli può iniziare a

classificare oggetti che non sono identici ma che appartengono alla stessa categoria. Usando

l’esempio del cucchiaio e della palla, il bambino che sa classificare cucchiai e palline identici

può cominciare a classificare diverse dimensioni e tipi di cucchiai e diverse dimensioni e tipi di

palle. Questo porta l’attenzione di un bambino sull’idea che gli oggetti appartengono a

categorie: che i cucchiai non sono solo cucchiai bianchi di plastica, ma sono cose che hanno un

manico ed un’area concava alla fine. Imparare sulle categorie è un tipo di apprendimento

concettuale. Quasi tutte le categorie o i concetti possono essere insegnati visivamente. L’idea

di colore può essere insegnata facendo che il bambino classifichi figure che sono diverse ma

che hanno tutte lo stesso colore.)

10. I concetti accademici possono anche essere insegnati usando questo metodo. Si possono

classificare lettere e numeri. Per esempio parole che iniziano con "B" e "I" possono essere

classificate in contenitori su cui sono attaccate le lettere "B" o "I". I concetti di numero

possono essere insegnati abbinando delle carte con altre carte dove è scritto il numero

corrispondente.

Concetti semplici come uguale e diverso possono essere insegnati usando la classificazione.

Potete dare al bambino diversi sacchetti di oggetti, alcuni contenenti oggetti identici ed alcuni

contenenti oggetti diversi. Imparando ad individuare le differenze tra i due oggetti, il bambino

può imparare che alcuni oggetti sono uguali e alcuni sono diversi.

11. La classificazione e l’accoppiamento possono essere utili per sviluppare il linguaggio

perché danno al bambino molte possibilità di ascoltare una etichetta verbale associata ad uno

stimolo visivo come un oggetto o una figura. Per esempio, quando il vostro bambino classifica i

cucchiai e le palline voi potete semplicemente dire "cucchiaio" o palla" ogni volta che egli mette

un cucchiaio o una palla nel contenitore. Ricordate di usare la parola che più facilmente il

bambino userebbe. Per esempio, è più probabile che il bambino usi la parola palla piuttosto che

la parola palla da tennis. I bambini capaci di parlare, che sentono ripetutamente l’espressione

verbale associata ad un oggetto significativo, possono iniziare a ripetere la parola durante il

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compito ed eventualmente possono cominciare ad usarla in contesti naturali, I bambini non

verbali che sentono questa etichetta è più facile che capiscano quella parola quando la sentono

in altre situazioni.

Questi livelli di sviluppo delle abilità di pensiero visivo sono stati descritti in dettaglio perché

questo è un modo molto importante di imparare per i bambini autistici. Quasi tutto quello che

noi insegnano implicherà degli aspetti visivi. Quando insegnate un concetto dovete essere

sicuri che il compito sia significativo per il bambino. Usare istruzioni visive è uno dei modi

migliori per assicurarsi che quanto il bambino sta imparando è significativo.

La comunicazione

Tutti i bambini attraversano dei passaggi mentre imparano a comunicare. I bambini autistici

passano attraverso le stesse tappe ma possono restare allo stesso livello per un periodo di

tempo più lungo o attraversare queste tappe in un ordine diverso. Ci sono comunque alcune

forme di comunicazione che promuovono Io sviluppo della comunicazione nei bambini autistici

ma non sono sempre necessarie per i bambini normali.

Quelle che seguono sono le fasi dello sviluppo della comunicazione viste sia nei bambini

normali che negli autistici.

1/. Esprimere i bisogni. Questo è il tipo di comunicazione più basilare. Esprimere i bisogni

comporta fare qualche indicazione di un bisogno senza necessariamente dirigere la

comunicazione verso un’altra persona. In questa fase il bambino può avere solo un modo di

comunicare una varietà di bisogni diversi. Per esempio un neonato piange quando ha fame ma

anche quando ha sonno.

2/. Esprimere bisogni specifici. Si tratta di solito di una comunicazione mediata da attività

motoria come cercare di raggiungere gli oggetti, portare una persona verso un oggetto,

portare un oggetto ad una persona, o mettere la mano di una persona su un oggetto. In

questa fase il bambino ha una idea specifica circa i suoi bisogni e sta cercando di comunicare

questo bisogno. Le intenzioni del bambino non sempre possono essere chiare all’adulto.

Se il vostro bambino sta avendo difficoltà a passare dalla fase di esprimere i bisogni generali

a quella di esprimere dei bisogni specifici potete aiutarlo creando situazioni nelle quali lui può

fare pratica nel comunicare su specifici oggetti o bisogni. Usate la vostra conoscenza di quello

che piace e non piace al bambino per creare situazioni in cui lui sarà motivato a comunicare.

Lo scopo di questo esercizio è di fornire varie opportunità per impegnarsi in una comunicazione

che sia motivante ed abbia successo. Anche quando il bambino non è capace di comunicare in

modo appropriato, dategli quello che desidera e nello stesso tempo mostrategli come

comunicare. Di seguito ci sono alcuni esempi di queste situazioni.

Mettete un cibo preferito in un barattolo che il bimbo non può aprire. Mostrate al bambino il

barattolo in modo che lui possa vedere il cibo e poi mettetelo a portata di mano del bambino.

Vedete che cosa fa per comunicare. Lui può solo cercare di raggiungerlo o può fare qualcosa di

più specifico come mettere la vostra mano sul barattolo. Accettate tutti questi gesti come

comunicazione e date il cibo al bambino. Se lui non comunica affatto, dimostrate come

comunicare prendendo la mano del bambino e muovendola verso il barattolo così che lo possa

toccare e poi dategli il cibo. Ricordate di rendere queste situazioni piacevoli e gratificanti per il

bimbo. Se lui sa che la comunicazione può essere gratificante sarà più probabile che lui

comunichi in futuro.

Altre situazioni che possono motivare il bambino sono mettere un gioco in un posto alto così

che lui deve comunicare per averlo. Potete dare al bambino un puzzle che gli piace ma

tenetene un pezzo, così che lui deve venire da voi per avere il pezzo. Create una routine

sociale, come un gioco del solletico. Provate dicendo qualcosa come " 1,2,3, " oppure "arrivo"

e poi fate il solletico al bambino, ripetendo il gioco finché lui comincia ad anticipare quando voi

state per fargli il solletico. Eventualmente, quando il bambino ha imparato la routine fermatevi

per vedere se il bambino fa qualcosa per farvi ricominciare.

3/ Usate dei gesti: gesti comunicativi come "lndicare " andare con lo sguardo avanti e

indietro tra un oggetto e un’altra persona "alzare le spalle" e altri gesti comuni. Questo è un

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tipo di comunicazione che di solito è difficile per i bambini autistici e spesso emerge piuttosto

tardi nello sviluppo, I gesti sono difficili per questi bambini perché di solito comunicano

informazioni sociali o informazioni su idee interiori. Per esempio i bambini spesso indicano per

mostrare interesse in qualcosa o alzano le spalle per comunicare quello che loro non sanno. La

conoscenza e l’interesse sono idee interiori. Molti bambini autistici possono saltare questa fase

di sviluppo oppure iniziare ad usare i gesti dopo avere sviluppato delle forme di comunicazione

più complesse.

4/ Attenzione congiunta: l’uso dell’attenzione congiunta è un aspetto difficile dell’espressione

gestuale per i soggetti autistici. L’attenzione congiunta è l’abilità di condividere l’attenzione con

un’altra persona mentre entrambi pongono attenzione allo stesso oggetto. Per esempio,

indicare un oggetto di interesse è attenzione congiunta. Un modo per aiutare i bambini a

sviluppare l’attenzione congiunta è rendere questo tipo di comunicazione più concreta. Per

esempio, potete toccare l’oggetto che state indicando invece che indicano da lontano. Una

attività che può contribuire allo sviluppo dell’attenzione congiunta è creare situazioni in cui è

più facile che l’attenzione congiunta abbia modo di apparire. Per esempio, leggere dei libri di

figure è un’ attività che spesso comporta l’attenzione congiunta. Mentre leggete il libro,

indicate una figura e ditene il nome mentre guardate avanti e indietro tra il libro e il bambino.

Questo dimostra al bimbo una forma di attenzione congiunta che lui può imitare.

Creare delle sorprese può anche favorire l’attenzione congiunta. Ci sono diversi modi di fare

ciò. Potete mettere diversi giocattoli che interessano il bambino in un sacco e fare a turno a

tirarli fuori dal sacco oppure potete nascondere dei giocattoli speciali in casa e poi cercarli.

Quando trovate il giocattolo o Io tirate fuori dal sacco esagerate la vostra risposta e guardate

più di una volta il bimbo e il giocattolo o indicatelo con parole semplici come ad esempio

"guarda! Un coniqlio". Quando voi esagerate nell’essere sorpresi e nel condividere quella

sorpresa con il bimbo è più probabile che lui noti questo tipo di comunicazione.

Infine potete creare delle situazioni nelle quali si produca qualcosa di inatteso. Questo

necessita di un po’ di creatività perché qualcosa accada, ma voi avete la conoscenza migliore

del vostro bambino e la garanzia di riuscirci. Per esempio, se il vostro bambino ama gli

smarties e detesta i cornflakes, potete far finta di versare dei cornflakes da una scatola di

cereali (in cui avete messo invece degli smarties) per far sì che escano degli smarties dalla

scatola. Se avete un gioco telecomandato, voi potete azionare il gioco quando vostro figlio non

se lo aspetta. Anche in questo caso, creare questo tipo di situazione vi fornisce l’occasione di

mettere in pratica l’attenzione congiunta, piuttosto che aspettare che queste circostanze si

presentino in maniera fortuita.

5/ La prossima fase di comunicazione è solitamente molto utile per i bambini autistici ma

non si osserva generalmente nei bambini normali. Questa fase consiste nell’uso di

informazione visiva per comunicare. Questo tipo di comunicazione è spesso usato per

permettere al bambino di chiedere qualcosa che egli vuole. Nonostante vogliate che il bambino

comunichi su cose pratiche, come domandare di andare in bagno, è meglio iniziare

l’apprendimento con i cibi favoriti o gli oggetti che sono più motivanti per il bambino. I bambini

usano una varietà di mezzi diversi per comunicare in un modo visivo.

Per esempio la richiesta di bere può essere comunicata dando un oggetto (per esempio una

tazza), una figura ( per esempio la figura di una tazza) o una parola scritta ( per esempio la

parola "tazza" o scritta dal bimbo o scelta tra vari cartoncini tra i quali la può prendere).

Quando il bambino vuole qualcosa, pretendete che lui vi dia l’oggetto, la figura o la parola e

allora rispondete dandogli quello che ha chiesto. All’inizio può darsi che dobbiate aiutare il

bambino guidandolo a darvi il simbolo visivo. Questo è più facile se due persone lavorano

insieme. Una persona aiuta il bambino a dare il simbolo visivo e l’altra persona risponde

dandogli quello che ha chiesto. Sarà più facile per il bambino usare queste strategie visive di

comunicazione se i simboli sono facilmente disponibili (per esempio tenere le figure dei cibi

sulla porta del frigorifero). L’utilizzo di mezzi visivi per comunicare ha numerosi obiettivi:

> La comunicazione visiva è di solito più significativa per i bambini autistici perché essi

capiscono le cose visive meglio delle cose dette.

> Dato che la comunicazione visiva è più significativa, è anche più motivante. Usando questi

sistemi loro riescono a vedere "la comunicazione in azione" e di che cosa si tratta.

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> Dando qualcosa fisicamente ad un’altra persona il bimbo si ricorda che la comunicazione

coinvolge altre persone.

> La comunicazione visiva è spesso un ponte verso tipi di comunicazione più complicati o

simbolici, come le parole.

6/ L’utilizzo del linguaggio dei segni: i genitori chiedono se il linguaggio dei segni, utilizzato

dai sordi, sia un modo efficace per comunicare visivamente. I segni sono visivi, tuttavia sono

un modo molto astratto di comunicare, come le parole. Per esempio c’è un segno che significa

biscotto, ma non c’è niente di ovvio che indichi ai vostro bambino ( o anche a voi) il significato.

I segni poi richiedono che il bimbo pensi a due idee in una volta. Se il bambino vuole un

biscotto deve ricordare che vuole un biscotto e contemporaneamente deve ricordare il segno

giusto. Dandovi un oggetto o una figura deve solo pensare di darvi lo stimolo visivo. La figura

o l’oggetto ricorderà al bambino perché sta comunicando.

I bambini autistici possono imparare i segni come una routine per chiedere le cose ma

possono non comprendere il rapporto con il bisogno di fare i segni. Quando la comunicazione

non è significativa, è meno probabile che il bambino cerchi di comunicare.

7/ L’ultima tappa di base della comunicazione è l’usare le parole. Naturalmente c’è una

progressione nello sviluppo del linguaggio, dall’usare singole parole ad usare le frasi. Di nuovo,

quando il bambino inizia a sviluppare il linguaggio, dovete creare un ambiente che lo porti ad

avere successo con il linguaggio. Alcuni punti da ricordare che possono essere utili a sviluppare

il linguaggio sono i seguenti:

a. All’inizio il bambino può usare il linguaggio in modo non pertinente . Per esempio, se il

bimbo conosce la parola "biscotto". ma la usa in modo non pertinente, permettetegli di

usare un altro mezzo come indicare quando non ricorda la parola. Sviluppare il

vocabolario è molto più facile che imparare il processo di comunicazione. E’ questo

processo il più difficile da capire per i bambini autistici. Togliergli un oggetto quando il

bimbo non dice una parola sarebbe frustrante e renderebbe la comunicazione meno

motivante. Accettate ogni tipo di comunicazione, anche quando pensate che il bambino

potrebbe fare di più. Alcuni genitori si preoccupano che il bimbo li manipoli e cerchi di

andare avanti senza parlare, ma una volta che "parlare" viene imparato, è di solito il

modo più facile per comunicare. Perciò, quando il vostro bambino imparerà a parlare,

probabilmente sceglierà di parlare piuttosto che usare altri tipi di comunicazione. Ma

questo processo di apprendimento sarà incongruo all’inizio, quindi abbiate pazienza.

b. Voi potete dare dei buoni modelli ai bambino parlando in modo semplice. Utilizzate con il

vostro bambino un linguaggio che sia alla sua portata. Per esempio, se il bimbo sta

imparando a chiedere un biscotto, dite la parola "biscotto " quando lui cerca di parlare.

L’abilità di dire delle frasi e altri tipi di comunicazione come “per favore" e “grazie"

verranno più avanti. Dite solo quello che vi aspettate che il bambino dica, così lui possa

sentire le parole che userà realmente.

c. Assicuratevi di incoraggiare sistematicamente 1a comunicazione spontanea. Il bambino

imparerà a nominare figure ed oggetti più facilmente che venire a cercarvi e chiedervi

qualcosa. Di nuovo, creare delle situazioni in cui il bimbo ha bisogno di comunicare (come

il cibo nel barattolo) gli darà molte occasioni di fare pratica nel parlare. Rendere

disponibili delle immagini visive anche dopo che il bambino comincia a parlare lo aiuterà a

ricordargli la parola e i motivi per comunicare. Questo diminuirà il numero delle volte in

cui dovete anticipare il bambino dicendo per primi la parola. Se vedete che dovete dire al

bambino quello che deve dire e dopo lui ripete la parola, potete pensare di passare ad

una forma di comunicazione più semplice, così che il bimbo possa comunicare senza che

ci sia qualcosa per ricordarglielo. Altrimenti il bambino rischia di abituarsi a dipendere da

voi che gli ricordate di comunicare.

Le caratteristiche della comunicazione

Quando il bambino sta imparando a comunicare, ci sono diversi punti da tenere in mente:

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1/ Rendere la comunicazione più facile così che comunicare sia motivante. In questa fase di

sviluppo è molto importante facilitare la comunicazione per il bimbo così che lui possa

sperimentare il successo quando comunica. Quando riuscirà a comunicare meglio, è più facile

che capisca e sviluppi dei modi di comunicare più sofisticati.

2/ Scegliete un tipo di comunicazione significativa per vostro figlio. Se il bambino ha bisogno

di molte informazioni visive concrete per comunicare, allora usate gli oggetti per aiutarlo. Se il

bimbo è capace di capire le immagini ma fatica ad usare le parole, allora usate le immagini. Il

bimbo non sarà capace di comunicare con successo se la forma di comunicazione che voi

insegnate non è una forma che lui possa capire.

3/ E’ possibile che lo sviluppo della comunicazione del bambino sia irregolare. Lui potrebbe

iniziare a comunicare usando movimenti fisici come prendervi la mano per farvi vedere quello

che vuole. Poi potrebbe iniziare ad usare gli oggetti, poi le figure e poi le parole. Tuttavia in

ogni momento di questo processo può darsi che il bambino usi più di un metodo. Potrebbe

usare le parole qualche volta e le figure altre volte. Se lui usa diversi livelli di comunicazione

voi dovete rispondere a tutti i livelli e non insistere per il livello più alto. Dovete indicare il tipo

di comunicazione che volete che lui usi, ma rispettando la sua risposta iniziale, per rinforzare

una comunicazione riuscita e motivante.

4/ La forma di comunicazione più importante da insegnare è la forma che il bambino

userebbe spontaneamente. Se il bambino vi mostra una figura ma lo fa solo quando voi dite

"mostrami il biscotto" allora il bambino non sta comunicando spontaneamente. Se questo è il

vostro caso, usate un modo più facile di comunicare e fategli fare molta pratica con quei

metodo. Insegnare al bambino delle parole può essere utile. Tuttavia, se il bambino non usa il

suo vocabolario spontaneamente, allora quel tempo non è stato utile. Bisognerà sempre

utilizzare più tempo per insegnare la comunicazione spontanea piuttosto che il vocabolario. Ci

vuole più creatività a creare un ambiente in cui il bambino comunichi spontaneamente. Voi

siete la persona più adatta per fare questo perché conoscete bene il bambino e siete con lui in

molte situazioni e quindi avete molte opportunità di incoraggiare la comunicazione.

Comprendere la comunicazione

Nella comunicazione capire è tanto difficile da imparare quanto esprimere i propri bisogni. Le

Fasi basilari del capire la comunicazione sono le stesse di quelle elencate qui sopra. Il bambino

capirà dei gesti semplici come "dare un oggetto" prima che capisca "indicare "o capire "le

parole", Egli potrà aver bisogno di simboli visivi come oggetti o figure per aiutarlo a capire le

parole. Alcune considerazioni sull’imparare a capire gli altri sono descritte di seguito:

1/ Non date per scontato che il bimbo capisca le parole solo perché lui risponde, Il bambino

può stare rispondendo al vostro tono di voce, ad una delle vostre parole ma non a tutte, a uno

stimolo visivo (come vedervi mettere il cappotto quando dite che è ora di andare), o ad una

routine Familiare, In una situazione non familiare il bambino potrebbe non capire le stesse

parole.

2/ La capacità del bambino di capire la comunicazione può non essere allo stesso livello del

suo modo di esprimere la comunicazione. Per esempio, può darsi che il vostro bambino possa

capire alcune parole, ma possa solamente usare degli oggetti per comunicare con voi. Al

contrario, il bambino può usare alcune parole ma non capirne molte altre e può aver bisogno di

suggerimenti visivi per aiutarlo a capire.

3/ Usare suggerimenti visivi aiuterà sempre il bambino a capire perché il pensiero visivo è

probabilmente un punto di forza per il bambino. Voi potete aiutare il bambino a capire la vostra

comunicazione tenendo in mano l’oggetto di cui state parlando, usando semplici gesti come

indicare l’oggetto con il dito, o mostrandogli una figura.

4/ Quando state insegnando ai bambino a capirvi, usate parole semplici e molte ripetizioni.

Prima che il bambino possa capire la Frase "questo è un biscotto", lui dovrà imparare a capire

la parola "biscotto" Potete dare al bambino molti esempi di questa parola usandola ogni volta

che chiede un biscotto e usando il suggerimento visivo di tenere in mano il biscotto o di

indicano.

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L’imitazione

L’imitazione è uno dei modi più importanti di imparare per i bambini normali. Questa

modalità di apprendere è difficile per i bambini artistici perché richiede al bimbo di prestare

attenzione ad un’altra persona e a quello che la persona sta facendo. Il bambino probabilmente

è capace di fare molte delle azioni legate a compiti di imitazione. Però può non capire che ci si

aspetta da lui l’imitazione. Per esempio, il bambino probabilmente sa battere le mani ma se voi

volete che vi imiti mentre battete le mani, potrete avere difficoltà ad avere questa risposta. La

cosa più difficile sui compiti di imitazione è imparare il processo di imitazione e che l’imitazione

può essere usata per imparare cose nuove. Come con qualsiasi cosa che voi insegnate, iniziate

con i modi più facili di imitare e poi procedete a forme più difficili.

1/ Alcuni lattanti imitano i movimenti facciali istintivamente mentre imparano a riconoscere

le espressioni dei volti. li primo tipo di imitazione intenzionale che i bambini imparano,

tuttavia, è l’imitazione di azioni semplici usando gli oggetti. L’imitazione semplice con gli

oggetti comprende azioni per le quali l’oggetto è indispensabile e presenta delle qualità che

attirano l’attenzione del bambino. Agitare un sonaglio è un buon esempio. I sonagli sono facili

da scuotere perché sono fatti per questo. Essi fanno un rumore quindi è più facile che il

bambino presti attenzione. E il bambino probabilmente riuscirà ad imitare per caso perché è

molto facile che il sonaglio produca un suono se il bambino appena lo muove. Un altro esempio

di imitazione facile consiste nel far correre una macchinina. Facendola correre, riproducete dei

rumori tipici della macchina affinché il vostro bambino faccia attenzione a quello che fate.

Quando il bambino imita, anche se imita solo una delle vostre azioni, rispondete con

entusiasmo così che lui sappia che questo è quanto voi volevate. Questo sarà l’inizio

dell’apprendere che cosa sia l’imitazione.

2/ Il prossimo tipo di imitazione è l’imitazione di azioni alle quali gli oggetti di solito non sono

destinati. Questo potrebbe essere far rotolare sul tavolo una bacchetta da tamburo invece di

batteria sul tamburo. Di nuovo fate rumore o fate quello che provoca l’attenzione dei bambino

verso l’attività, dimostrando il vostro piacere nel gioco. Altri esempi possono essere far

strisciare un pettine sul bordo del tavolo, far saltare una macchina sui tavolo o battere il tavolo

coi un cucchiaio. Scegliete oggetti che siano interessanti per il bambino. Poiché imitare a turno

è più difficile che imitare nello stesso tempo, ed è meglio usare due oggetti identici quando

esercitate l’imitazione. Gli oggetti comuni della casa, come cucchiai, cubi di legno o spazzolini

da denti possono essere usati per queste attività.

3/ Tra i tipi più semplici di imitazione, è più difficile imitare delle azioni in cui il bambino non

può vedersi mentre le compie. Per esempio, è difficile da imitare "tenere un pupazzo sopra la

vostra testa" perché il bambino non può vedere se sta imitando correttamente o no. Ci vorrà

più tempo e più pratica perché il bambino impari questo tipo di imitazione.

4/ L’imitazione dell’oggetto può assumere anche forme pi~ complesse. Se il bambino capisce

attività visive non verbali come abbinare i colori e costruire con i cubi, fate dei giochi di

imitazione con i cubi colorati. Per esempio, fate una torre con tre cubi colorati e poi date al

bambino tre cubi identici ed incoraggiatelo ad imitare la vostra torre.

5/ L’imitazione dei movimenti del corpo di solito segue l’imitazione utilizzando gli oggetti. L:

imitazione dei movimenti dei corpo è più difficile perché richiede che il bambino ricordi quello

che voi avete fatto e poi imiti quella azione. Dovreste iniziare con movimenti facili che il bimbo

può vedervi fare e poi lui stesso può vedersi fare. Per esempio, imitare il battere delle mani è

un buon modo per iniziare. Battere le mani è una cosa che molti bambini fanno

spontaneamente, fa rumore e voi potete vedere gli altri che lo fanno mentre voi stessi Io state

tacendo. Altri esempi sono battere sul tavolo, muovere le mani come in segno di saluto e fare

il movimento di volare con le braccia. Di solito è più facile cominciare con movimenti ampi

prima di passare a movimenti più fini come muovere le dita, I movimenti più complessi che

sono più difficili da vedere verranno più avanti. Per esempio, toccarvi il naso o mettere le mani

sulla testa sono più difficili per il bambino perché lui non può vedere se sta facendo l’azione

bene.

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6/ Una forma più complicata di imitare movimenti del corpo è di imitare due azioni allo

stesso tempo. Per esempio, potete chiedere al bambino di "toccarsi la spalla e tirare fuori la

lingua allo stesso tempo ‘~

7/ Imitare una sequenza di azioni è forse il tipo di imitazione più difficile. L’imitazione

sequenziale dovrebbe iniziare solo con due movimenti semplici come "battere le mani poi

battere su1 tavolo ". Poi si possono introdurre sequenze lunghe e movimenti più complicati.

Imparare questo tipo difficile di imitazione può esser utile al bimbo perché lo aiuterà ad

affrontare l’idea di fare le cose in un ordine specifico. Imparare ad organizzare una serie di

movimenti in sequenza corretta può tradursi in numerose altre attività quali effettuare compiti

a due tappe o imparare a contare

Il gioco

Molte persone pensano che "giocare è giocare" e che non ci sia niente sul gioco che un

bambino debba imparare. Ma tutti i bambini passano attraverso delle fasi nello sviluppo delle

abilità di gioco che vanno dal giocare da soli con semplici giocattoli, al giocare insieme ad altri

bambini. I bambini autistici hanno molta difficoltà ad imparare a giocare. Infatti di solito è più

facile per un bambino autistico arrivare a lavorare che non a giocare con successo.

Il gioco sociale precoce

1/Il primo tipo di gioco dei lattante sono i giochi da bebè viso a viso. Giochi come " fare

cucù" appartengono a questa categoria. I bambini autistici spesso hanno difficoltà con i giochi

che implicano interazioni sociali. Essi hanno più successo in questi giochi se c’è una

componente fisica, come il solletico, e se voi rendete il gioco molto familiare ripetendolo nello

stesso modo ogni volta che Io fate. Un esempio di un gioco sociale ripetitivo potrebbe essere di

dire lentamente " 1, 2,3 avvicinandovi al bambino e poi iniziare a fargli solletico quando

arrivate ai numero tre. Dopo molte ripetizioni ai bambino diventerà familiare questa routine.

Egli inizierà ad anticipare quello che voi state per fare e potrà forse cominciare a fare alcune

parti della routine con voi, come contare con voi, o prendere le vostre mani per farsi fare il

solletico.

2/ Un altro tipo di gioco sociale è l’imitazione. I genitori di solito imitano i bambini piccoli

come una forma di gioco precoce e di interazione. Alcuni bambini amano molto essere imitati e

questo tipo di gioco può essere meno complicato socialmente per i bambini autistici. Ricordate

che in questo tipo di gioco voi state imitando il bambino invece di chiedere a lui di imitare voi.

Questo tipo di imitazione può essere più significativo per il bambino se voi usate due giocattoli

identici e imitate le sue azioni con gli oggetti piuttosto che imitare solo i movimenti del corpo.

I bambini non autistici di solito sviluppano prima le abilità di gioco sociale e poi imparano a

giocare con i giocattoli. L’ordine di questa sequenza è dovuto al fatto che generalmente Io

sviluppo sociale progredisce più rapidamente dello sviluppo motorio. I bambini autistici spesso

sviluppano le abilità di gioco in un ordine inverso perché, in confronto alle abilità sociali, le

abilità motorie sono di solito un punto di forza. Pertanto i bambini autistici di solito imparano il

gioco con i giocattoli prima del gioco sociale.

Il gioco con i giocattoli

3/ La prima fase di questo gioco è di imparare ad usare i giocattoli utilizzando il principio di

causa - effetto". Questi giocattoli creano un effetto osservabile quando un bambino compie una

azione specifica. L’azione può esser molto semplice , come "scuotere un sonaglio - provocare

un rumore ‘, o può essere più complicata, come far schiacciare un bottone di quei giocattoli

che saltano fuori da una scatola. Questo tipo di giocattolo insegna ai bambini che le loro azioni

possono provocare degli specifici eventi osservabili. I bambini saranno più interessati ai

giocattoli quando impareranno che con i giocattoli si possono fare cose divertenti. Questa

esperienza della relazione di causa-effetto è un concetto importante anche per altri tipi di

apprendimento.

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I giocattoli sono più facili da usare se il loro effetto è molto evidente. I giocattoli facili da

manipolare per il bambino renderanno più possibile la riuscita del gioco. Per esempio, se i

movimenti Fini sono difficili per il vostro bambino, scegliete un giocattolo che richieda

movimenti alla sua portata, come premere su un grosso pulsante. I giocattoli saranno più

motivanti se vi accertate che la reazione del giocattolo è piacevole per il bambino. Per

esempio, se ai bambino piace la musica, trovate un gioco che suona una canzone quando si

preme un pulsante.

Se il bambino ha difficoltà ad imparare ad usare un giocattolo potete fargli una

dimostrazione a più riprese, giocando con il giocattolo e mostrandogli quello che fa. Potete

anche accompagnare la mano del bambino in modo che egli compia il movimento corretto.

Questo aiuterà il bambino ad imparare quali movimenti sono più importanti quando gioca con

quel giocattolo.

4/ La tappa successiva del gioco con i giocattoli è imparare ad usare giocattoli che non

hanno un effetto ovvio o uno scopo chiaro. Questo tipo di gioco è più difficile perché richiede al

bambino di decidere che cosa il giocattolo dovrebbe fare invece di effettuare una azione

dettata dalla struttura stessa del giocattolo. Quando insegnate ai bambino ad usare questo tipo

di giocattolo è importante usare giocattoli che sono interessanti per il bambino. Dato che il

gioco è difficile da imparare per i bambini autistici, usare materiali motivanti interesserà di più

il vostro bambino al gioco.

Esempi di giocattoli semplici che non utilizzano il sistema "causa-effetto "sono le macchinine

e i cubi. Questi giocattoli hanno scopi piuttosto ovvi dal nostro punto di vista, ma i bambini

autistici possono avere difficoltà a vedere lo scopo di questo tipo di giocattolo. Quando non

capiscono lo scopo, essi creeranno un loro uso personale di questi giocattoli (metterli in fila,

sbatterli per terra). Va bene che il bambino usi i giocattoli in un modo che ha senso per lui,

come mettere in fila i giocattoli. Non c’è bisogno che impediate ai bambino di fare un gioco

ripetitivo. Invece, considerate queste attività come un mezzo per offrire al bambino una

varietà maggiore di cose da fare con i giocattoli.

Prima dì insegnare qualsiasi abilità di gioco, dovete essere sicuri che il bambino abbia le

abilità motorie per giocare con quel giocattolo. Se il bambino non ha ancora sviluppato una

motricità fine sufficientemente precisa per sovrapporre i cubi, allora sarà frustrante per tutti e

due se voi cercate di insegnargli a costruire una torre con i cubi. Scegliete quindi dei giocattoli

che siano interessanti e facili da manipolare.

I seguenti sono due esempi di come usare una struttura e indicazioni visive per aiutare il

bambino ad imparare a giocare con i giocattoli.

A/ Le macchinine: per rendere più chiaro io scopo tipico del giocattolo, aggiungete delle

indicazioni visive. Per esempio, se state insegnando ai bambino a giocare con le macchinine,

fate una semplice strada con un pezzo di cartone o con un pezzo della pista per le macchinine.

La strada deve avere un inizio evidente, come un disegno della macchinina, ed una fine

evidente, come una scatola dentro cui la macchina scompare. Mostrate ai vostro bambino che

la macchina parte all’inizio del percorso, va fino alla fine e che si muove correndo sulla strada.

Potete riprodurre il rumore della macchina per insegnare al bambino un altro aspetto delle

macchinine che gli altri bambini utilizzano naturalmente.

Quando il bambino è capace di imitare il movimento della macchina su una strada semplice,

potete usare delle strade più complicate con delle curve. Quando il bambino utilizzerà strade

più difficili, potrete mettere lungo il percorso degli elementi di arredo, ad esempio una casa o

una stazione di servizio ed insegnare al bambino a fermarsi in questi posti. Potrete anche fare

delle strade con più possibilità così il bambino potrà scegliere quale strada seguire. Mentre gli

insegnate, rendete il gioco sempre più complesso dando al bambino più scelte ma sempre

fornendogli la struttura che rende il gioco più significativo. Alla fine potete forse fare a meno

della strada mettendo solo gli arredi sul pavimento perché il bimbo "guidi" la macchinina

dall’uno all’altro. Poi il bambino può imparare a creare le proprie strade, mettendo a posto lui

stesso gli arredi. Tenete sempre presente che la struttura che date ai bambino offre più senso

ai giocattoli. Se il bambino diventa meno interessato nei giocattoli quando voi togliete le strade

e gli elementi di arredo, questo può voler dire che il bambino ha ancora bisogno di una certa

strutturazione.

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B/ I cubi: potete seguire una sequenza simile quando gli insegnate a giocare con i cubi.

Potete usate dei cubi grandi più Facili da manipolare per il bambino. La prima cosa che molti

bambini fanno con i cubi è di metterli in fila. Potete iniziare ad insegnare facendo vedere che si

possono fare altre cose con i cubi. Potete fargli vedere come si impilano mostrandogli come

mettere un cubo sopra all’altro. Iniziate con torri molto basse. Può esserci bisogno di qualche

supporto fisico come un tubo trasparente dentro cui il bambino possa mettere i cubi. Così lui

può vedere che i cubi vanno uno sopra all’altro. Questo tipo di struttura fisica insegna al

bambino un nuovo modo di giocare con i cubi, ma io fa in un modo che gli rende facile riuscire

perché è impossibile farli cadere. A volte è difficile giocare con i cubi perché ce ne sono troppi.

il bambino può essere sopraffatto dal numero di cubi che ci sono in giro. Sarà più facile per il

bambino porre attenzione a quello che viene fatto con i cubi se tutti i cubi eccedenti sono

raccolti in una scatola o se voi date ai bambino un cubo per volta.

Se il bambino sa riempire un tubo con i cubi, allora potete provare ad incollare un cubo su

un pezzo di cartone per avere una base stabile per costruirci sopra. Può anche essere utile per

il bambino vedere voi costruire una torre. Questo è un compito che richiede capacità dì

imitazione, quindi più il bambino sviluppa abilità di imitazione, più sarà facile insegnargli

questo tipo di gioco. Quando il bambino sa imitare una torre, potete iniziare a costruire altre

strutture semplici, come due torri una vicino all’altra. Se il bambino diventa molto bravo ad

imitarvi, potete provare mostrandogli un modello di una struttura che è stata già costruita e

vedere se lui può imitarla solo guardando il prodotto finito. Se il bambino ha difficoltà con

limitazione, potete dargli altri suggerimenti visivi per dimostrare dove vanno i cubi. Per

esempio, potete disegnare uno schema di costruzione con cubi su un pezzo dì cartone, in modo

che ci sia un quadrato per ogni cubo. Poi il bambino può abbinare i cubi ai quadrati,

appoggiandoli sui cartone. Come la strada, fornire una griglia per abbinare, è una struttura che

aiuterà il bambino a giocare. Quando il bambino sa costruire alcune semplici strutture con i

cubi voi potete mostrargli due modelli o due disegni per abbinare e lasciare scegliere al

bambino quella che vuole completare. Quando il bambino ha l’idea che può scegliere che cosa

fare voi potete aumentare il numero di modelli tra i quali scegliere

La tappa seguente potrebbe essere di insegnare ai bambino ad aggiungere delle cose di sua

iniziativa. Per esempio, sarà più facile per il bambino abbinare delle immagini che hanno lo

stesso colore e dimensione dei suoi cubi. Dopo un po’ potete fare i vostri modelli con cubi di un

solo colore e dare al bambino dei cubi con vari colori diversi così lui comincia a sviluppare

l’idea che le strutture non devono essere esattamente identiche. Mentre state insegnando,

dovete trovare un equilibrio tra il fare le cose sempre nello stesso modo affinché lui possa

acquisire molta pratica e l’introdurre delle variazioni affinché il bambino non rimanga ferito

sull’idea che le cose debbano essere sempre uguali. L’obiettivo finale con il gioco è che il

bambino prenda l’iniziativa di fare quello che vuole con i giocattoli. Appena il bambino ha

sviluppato alcune abilità di base mettete delle scelte nel vostro tempo di gioco. Se il bambino

sa scegliere un modello e certi colori da solo, allora iniziate a dargli un contenitore con alcuni

cubi ma senza modello e guardate cosa Fa. Di nuovo, il bambino avrà bisogno della struttura

per aiutare il gioco, quindi non toglietegli il vostro aiuto tutto in una volta. Per esempio potete

dare al bambino più scelte su cosa costruire ma dargli ancora un numero limitato di cubi.

5/ Il livello successivo di gioco è imparare a mettere insieme due diversi tipi di giocattoli

nella stessa attività. Ad esempio si potrebbe mettere una persona in una macchina giocattolo e

guidare la macchina. Oppure mettere a letto una bambola e coprirla con una copertina. Questo

è un gradino iniziale verso il gioco di " finta " ma non richiede abilità di immaginazione più

sofisticate perché i giocattoli sono usati nel modo in cui vengono usati abitualmente. Per

esempio, se voi prendete un bastoncino e "fate finta "che sia una persona e io mettete dentro

una macchina, allora voi usereste un oggetto per rappresentare qualcosa che non è. Questo

tipo di gioco richiede più abilità di immaginazione. Se voi usate un bambolotto o una figurina,

allora il gioco è più chiaro visivamente e richiede meno immaginazione.

Iniziate usando modelli visivi, limitando il numero di oggetti o di personaggi, incoraggiando il

bambino ad imitare, e usando dei suggerimenti visivi per aiutare il bambino ad imparare

questa abilità. Gli stimoli visivi spesso richiedono della creatività da parte vostra dato che di

solito non sono necessari nei gioco dei bambini non autistici. Riprendendo l’esempio della

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strada, potete aggiungere il suggerimento visivo di mettere la persona giocattolo in una delle

fermate che già il bambino usa.

Potete anche mettere la figura di un personaggio all’inizio della strada quando avete già

messo la figura della macchina. Alla fine della strada mettete una casa vicino al garage così

che la persona va nella casa quando la macchina va nel garage. Questo è un ricordo visivo di

una routine che è familiare: entrare nella macchina e andare a casa.

Potete usare dei suggerimenti simili nel gioco delle bambole. Per esempio, sarebbe utile

usare due bambole e due lettini. Una bambola potrebbe già essere nel suo lettino così è più

chiaro cosa fare con la seconda bambola. Usare giocattoli che fisicamente "appaiono giusti" al

bambino farà avere più successo al gioco. Per esempio, usare un letto della misura giusta per

la bambola renderà più facile vedere che è lì che va la bambola. Oppure usare delle figure che

sono della misura giusta per entrare nella macchina renderà più facile vedere che la figure

deve andare a guidare la macchina.

Man mano che il bambino riesce in queste semplici routines, introducete altre fasi nella

stessa routine. Per la macchina potrebbe significare mettere diverse persone in un autobus

invece che una sola persona in una macchina. O potete fare che la persona si ferma alla

pompa di benzina mentre va a casa. Questo è più facile se avete una stazione di servizio

giocattolo con I’erogatore di benzina

Con le bambole potreste introdurre il gesto di baciare la bambola e poi di metterla a letto,

oppure spazzolare i capelli della bambola prima di metterla a letto. Anche in questo gioco

usate oggetti che sono impiegati nella vita quotidiana così è chiaro al bambino a che cosa

servono gli oggetti.

Molti altri giocattoli possono essere adattati in modo che siano più chiari visivamente. Le

scatole con le forme possono essere più chiare visivamente se voi contornate ogni foro con Io

stesso colore del cubo che va infilato dentro quel foro. Se ai bambino piacciono gli animali voi

potete creare un recinto, una stalla ed un percorso recintato che va dal recinto alla stalla.

Questo rende chiaro al bambino una azione che lui può fare con gli animali ( altri esempi : i

dinosauri possono camminare da una caverna all’altra; un coniglio di pelouche può percorrere

una strada saltellando, fermarsi per mangiare una carota, e poi saltare in una tana).

6/ Quando il bambino ha imparato a giocare con diversi giocattoli potete essere sorpresi per

il fatto che non tira fuori spontaneamente i giocattoli per giocare. Questo può succedere anche

se il bambino ama giocare quando voi prendete i giocattoli. E’ spesso difficile per i bambini

autistici sapere come iniziare una attività. Voi potete aiutarlo a superare questa difficoltà

dando al bambino un elenco di giocattoli con cui giocare. Per esempio, voi potreste mettere tre

figure in Fila sopra le scatole dei giocattoli del bambino. La prima potrebbe essere una figura di

macchine, la seconda una figura di cubi, e la terza una figura di un libro che gli piace. Tenete i

materiali che servono al bambino per ogni tipo di gioco in contenitori separati così lui non deve

organizzare il materiale prima di iniziare.

Il gioco con i coetanei

7/ Quando il vostro bambino padroneggerà diversi tipi di gioco potrete iniziare a introdurre

altri bambini nel suo gioco. Il bambino riuscirà meglio se gli altri bambini vengono inclusi

gradatamente. Come per i nuovi elementi dei gioco, gli altri bambini dovranno essere introdotti

a tappe successive. Inizialmente i bambini giocano semplicemente nella stessa stanza. Essi

non giocano con gli stessi giocattoli e non interagiscono. Essi semplicemente giocano in

prossimità l’uno dell’altro. I bambini autistici possono aver bisogno di più tempo in questa fase

dei bambini non autistici perché la presenza degli altri bambini può essere per loro fonte di

distrazione o di irritazione.

8/ il tipo successivo di gioco con i coetanei è giocare vicino con gli stessi materiali. Per

esempio, due bambini giocano entrambi con i lego, ma non condividono i pezzi e non

costruiscono le stesse cose. Alcune attività che sono particolarmente adatte per questo tipo di

gioco sono le sabbiere, i tavoli ad acqua, una scatola piena di giocattoli simili, come ad

esempio macchine, o dipingere sullo stesso pannello murale.

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9/ Una volta che i bambini usano lo stesso materiale contemporaneamente, essi possono

cominciare a condividere i materiali ma continuare a giocare fianco a fianco. Per esempio, i

lego possono essere in un solo contenitore dai quale ogni bambino prende i suoi pezzi.

Sebbene il bambino stia giocando vicino o anche con un coetaneo non autistico, può avere

ancora bisogno di usare le strutture che ha imparato nel gioco individuale. Per esempio, i due

bambini stanno usando entrambi i lego ma il vostro bambino magari sta costruendo qualcosa

abbinando i pezzi ad una immagine, mentre l’altro bambino sta giocando senza una figura

come guida visiva.

1 0/ Quando i bambini sanno condividere i materiali essi possono essere pronti a giocare

insieme. Quando voi iniziate questa fase con un bambino autistico è spesso utile usare un

bimbo più grande che ha più probabilità di essere paziente. Di nuovo, è meglio introdurre

questo cambiamento nel contesto di una attività che il vostro bambino fa già bene. Per

esempio, se al bambino piace e gli riesce bene giocare con i cubi, questa potrebbe essere una

buona attività durante la quale coinvolgere un altro bambino. Di nuovo, se il vostro bambino

usa certe strutture come i percorsi recintati per giocare con gli animali, dovrebbe continuare ad

usare queste strutture. E’ probabile che la maggior parte dei coetanei non obbietti a queste

strutture e possa anche trovare modi più complessi per inserirle nel gioco.

Dei suggerimenti visivi possono essere usati per insegnare altre abilità di gioco come il fare a

turno. Per esempio, se due bambini stanno giocando con i cubi insieme, i cubi possono essere

in un contenitore e i bambini possono prenderli a turno passandosi il contenitore l’un l’altro.

11/ Tutti i bambini iniziano a giocare con giochi di società tentando giochi molto semplici.

Alcuni giochi di società possono aver bisogno di essere ulteriormente semplificati per i bambini

autistici. I bambini autistici hanno bisogno di giochi di società semplici perché le richieste

sociali di giocare un gioco sono così importanti che riusciranno e si divertiranno di più se sarà

loro molto facile padroneggiare i meccanismi del gioco. Per esempio, si possono divertire al

gioco "Memory" usato come un gioco di accoppiamento con tutte le carte scoperte: ogni

bambino deve prendere a turno due figure uguali da mettere insieme. Il gioco "UNO" può

essere giocato accoppiando semplicemente i colori senza preoccuparsi di abbinare i numeri o di

seguire le altre istruzioni. I giochi da tavolo (come il Gioco dell’Oca ) possono essere giocati

senza dadi: ogni giocatore si sposta dello stesso numero di spazi ogni volta. Di nuovo questi

giochi semplificati spesso funzionano meglio con bambini più grandi che capiscono che non è

necessario vincere sempre.

12/ Coinvolgere i compagni nel gioco dei bambini artistici non sempre ha portato a

miglioramenti significativi nelle abilità sociali. L’introduzione progressiva di altri bambini aiuterà

ad assicurarsi che il bambino autistico possa avere successo in esperienze di interazioni sociali.

Se il bambino autistico si sente bene durante il gioco, anche al bambino non autistico piacerà

di più giocare. I compagni non autistici sono spesso utili insegnanti di abilità sociali ma, come

ogni insegnante, essi hanno bisogno di informazioni sui loro compagni autistici. Si possono

dare semplici istruzioni ai compagni per aiutarli a capire perchè i bambini autistici si

comportano in quel modo. E’ particolarmente utile insegnare ai compagni che i bambini

autistici non capiscono sempre bene le parole e che essi possono aver bisogno di sforzi

maggiori per restare coinvolti in una attività sociale.

Cose da ricordare

1/ L’aspetto più difficile nell’insegnare il gioco, l’imitazione, e la comunicazione è la

comprensione dei concetti e di quello che è in gioco in queste aree di sviluppo. I bambini

autistici non acquisiscono in maniera innata il significato o l’importanza di tutte queste abilità.

Questo è il motivo per cui è importante cominciare ad un livello in cui il vostro bambino possa

provare il più possibile l’esperienza di riuscire. Se il bambino non riesce nelle attività che

provate, o non è capace di completare da solo, può essere necessario tentare una attività più

semplice. Questo non deve essere considerato un passo indietro. I bambini autistici possono

essere molto altalenanti nella capacità di mettere in atto le loro competenze. Il vostro bambino

può essere capace di comunicare con singole parole nei suoi giorni migliori ma può aver

bisogno di usare le immagini in altri giorni. Oppure il bambino può essere capace di costruire

delle torri con suo fratello alcune volte, ma in altri momenti può riuscire solo se gioca da solo.

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Rassicurarvi che il bambino acquisisce delle abilità ad ogni livello può significare che il

progresso sarà lento, ma questo approccio avrà più possibilità di garantire che quello che il

bambino impara è per lui significativo e utile.

2/ Ci sono in realtà molti tipi di sviluppo che possono essere rivisti in questo modo passo

dopo passo. Per esempio, lo sviluppo sociale, come il pensiero non verbale, l’imitazione, la

comunicazione, e le abilità di gioco emergono in una sequenza di fasi evolutive. Nelle fasi

precoci dello sviluppo, tuttavia, molti tipi di abilità sono collegati. Il miglioramento nelle abilità

di gioco e nella comunicazione promuoverà lo sviluppo sociale, li miglioramento nel pensiero

non verbale aiuterà il vostro bambino all’uso dei giocattoli. Ricordare di enfatizzare i punti di

forza e gli interessi del bambino in tutti gli ambiti è importante perché Io sviluppo delle sue

aree più forti promuoverà lo sviluppo nelle aree più deboli.

3/ Man mano che il bambino attraversa ogni fase di sviluppo e intraprende attività più

complicate, ricordatevi di fare in modo che ogni passo avanti sia un piccolo passo. Cambiate

ogni attività poco per volta. Per esempio, se il bambino sa comunicare con successo riguardo al

cibo usando le figure, voi potete desiderare che il bambino inizi ad usare le parole ed inizi a

comunicare riguardo ad altri argomenti. Questo provocherebbe probabilmente troppi

cambiamenti in una volta e porterebbe a delle frustrazioni. Scegliete di insegnare solo una

cosa per volta. Per esempio, introducete una varietà maggiore di Figure da usare per

comunicare ma aspettate che padroneggi la comunicazione con le immagini prima di

insegnargli un nuovo tipo di comunicazione come il linguaggio.

4/ Ricordate che le abilità visive sono di solito un punto di forza per i bambini autistici. Può

essere necessario molto lavoro e molta creatività per imparare ad usare le tecniche visive.

Tuttavia, enfatizzare questo tipo di apprendimento ha buone probabilità di accrescere l’abilità

del vostro bambino di imparare e di capire a tutti i livelli di sviluppo.

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Perché una Finestra dedicata agli Esami di Laboratorio ??

Quando un Genitore è alle prese con un Sospetto di Autismo o di Disturbo del

Comportamento del bambino, se è fortunato ad indovinare l’Ospedale giusto, viene sottoposto

ad una serie di esami, che comprendono EEC, TAAC, Risonanza Magnetica, Esami Standard del

sangue, Esame X Fragile, ma nulla (almeno stando a quanto ne sappiamo) viene fatto per

verificare Le anormalità biologiche, come la proliferazione dei lieviti, funghi e batteri intestinali,

la deficienza di vitamine, antiossidanti, aminoacidi e acidi grassi, l’intolleranza o poca

sensibilità ai prodotti del latte e del grano ( Glutine e Caseina ), allergie alimentari, livelli

elevati di metalli tossici e deficienza dei minerali essenziali, poco assorbimento dei cibi, acidi

organici nelle urine, Peptidi urinari, tutte problematiche che si stanno sempre di più legando ai

Disturbi dello Sviluppo ed in particolare all Autismo.

Noi con questa iniziativa, vogliamo dare la possibilità ad un genitore di poter accedere a

queste analisi in modo da avere un quadro clinico più preciso, di togliere alimenti nocivi dalla

sua dieta, di avere argomenti nuovi con cui confrontarsi coi propri medici, che all’inizio

potranno pure essere scettici, ma che mancherebbero al loro giuramento se non si

informassero di queste nuove teorie, con tanto di pubblicazioni scientifiche che stanno

diventando sempre più presenti nella studio dell’Autismo.

Noi abbiamo ritenuto di appoggiarci ad un laboratorio statunitense il Great Plains Laboratory

che è fornito di un pacchetto di analisi che può soddisfare tutte queste necessità, sono rapidi

nella consegna dei risultati, li mandano in italiano e danno anche delle loro indicazioni sulle

eventuali cure da fare. Abbiamo già indirizzato al GPL dei genitori italiani, ho parlato a

Barcellona con genitori spagnoli, venezuelani, olandesi e tutti si sono dimostrati soddisfatti dei

servizi ottenuti.

Perché fino a che nell’Autismo non sarà inserita una figura medica che potremmo chiamare

NeuroBiologo, cioè un Neuropsichiatra che abbia anche alle spalle importanti studi di Biologia,

Biochimica, Genetica, avremo sempre un punto di vista non corretto della sindrome, sempre

troppo sbilanciato verso la Psicologia e poco verso la Biochimica.

Io ho alle spalle un diploma di Chimico e qualche anno di frequenza universitaria e sono

convinto che la Chimica Organica nell’Autismo non possa e non debba essere sottovalutata,

anche alla luce della pubblicazione di studi di una nuova scuola di ricercatori (Statunitensi,

Inglesi, Irlandesi e Norvegesi) che stanno studiando le implicazioni di problematiche

Biochimiche nell’Autismo e nei Disturbi del Comportamento

Naturalmente si possono fare altre scelte, mandare le analisi da Shattock, Reichelt, Rimland,

anche in Italia si possono fare i Test delle allergie alimentari , ci sono dei laboratori che fanno

l’esame del capello, altri che fanno l’Esame della Permeabilità Intestinale, ma noi siamo

convinti che sia molto più pratico disporre di un pacchetto completo di analisi eseguito da un

unico laboratorio e siamo intenzionati di andare avanti per questa strada, in tempi brevi

pubblicheremo nel Sito duplicati di Esami del GPL allegando a ciascuno sia il risultato che le

cure proposte dal G.P.L. ed anche il Costo di ogni singolo esame o, in alternativa, il costo dei

pacchetti base che consentano di per poter eseguire una prima ed indicativa analisi

conoscitiva.

La Storia dell’Autismo ci insegna che ci sono voluti decenni per fare accettare, ( anche se

ancora non dappertutto ) che vi sia un substrato biologico che sottende a tale disturbo.

Noi pensiamo e speriamo che a breve, la prossima acquisizione possa riguardare proprio le

problematiche Biochimiche di cui si stanno occupando questi Ricercatori che hanno partecipato

IX. Esami di Laboratorio

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al recente Convegno di Barcellona ( Reichelt, Horwath, Wakefield, Laidler, Shaw, ed anche i

lavori di ricerca del Dottor Rimland , del Dottor Shattock ) e quando le loro Ricerche avranno

avuto il riscontro che meritano, allora la nostra iniziativa non dovrà fermarsi a questo stadio di

“ Servizio di Volontariato “ che ricade economicamente sulle spalle delle famiglie, ma dovrà

mirare a realizzare delle Convenzioni con le Regioni, con le A.S.L. ( ……. U.L.S.S ??? ) per fare

in modo che i Nostri Centri Ospedalieri che si occupano di Autismo e PDD propongano all’atto

del ricovero del bambino anche questo indispensabile Strumento Diagnostico e per questo sarà

necessaria la collaborazione delle Associazioni di Genitori di tutta la Penisola .

Roberto Rusticani

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Perché una Finestra “ Dieta senza Glutine e Caseina ?

Perché studi moderni di dietetica confermano che l’alimentazione che assumiamo influisce

sulla nostra emotività ed a maggior ragione in soggetti così fragili e indifesi come i Soggetti

Autistici o con Disturbi Pervasivi dello Sviluppo, una Dieta equilibrata può significare una

qualità migliore di vita, e nel caso specifico si sta diffondendo un Tam – Tam che sempre più

spesso vede i Genitori parlare tra di loro dei miglioramenti di Comportamento del bambino

dopo che è stato sottoposto alla Dieta senza Glutine e Caseina.

Il nostro scopo è di dare attuazione pratica a questo Tam – Tam ma nel contempo mirare ad

evitare una Dieta fai da te che può portare a gravi errori di Alimentazione perché a questo tipo

di Dieta deve essere abbinata una alimentazione e/o somministrati integratori che non portino

il Bambino ad un deperimento Organico.

E vuole anche evitare ai genitori di iniziare una Dieta piuttosto onerosa sia come costi che

come sacrifici, dando la possibilità di eseguire le Analisi di intolleranza o di poca sensibilità ai

prodotti del latte e del grano ( Caseina e Glutine ) ( vedi la nuova Finestra Esami di

Laboratorio), perché riteniamo sia controproducente iniziare una Dieta di questo tipo senza

sapere se il Soggetto è realmente intollerante a questi alimenti.

La Caseina si trova nel latte ed in tutti i suoi derivati, Formaggio, Burro, Yogurth, Cioccolato

al latte etc., il Glutine e' una proteina che si trova nelle Graminacee, famiglia botanica tra le

più importanti per l'alimentazione umana. Così il Glutine si trova nel Grano, nell'Orzo, nella

Segale e nel Farro (che poi e' una varietà di grano) per ricordare le piante più usate

nell’alimentazione, mentre fortunatamente, il Glutine e' assente dal Riso e dal Mais: quindi Riso

e Mais possono essere liberamente usati nelle diete.

Ricordiamo che il Glutine e' la causa di una malattia nota da almeno 50 anni che, se non e'

curata con la dieta, conduce spesse volte a morte, e cioe' la Celiachia. Il Gluitine pertanto e'

una proteina benefica per coloro non soffrono di intolleranza nei suoi confronti ma molto

pericolosa per i celiaci; non stupisce quindi che il Glutine possa essere corresponsabile anche

nelle problematiche dell’ autismo e dei Disturbi del Comportamento.

Pensiamo perciò di collegarci anche all’Associazione dei genitori Celiaci per avere

informazioni sulle loro diete e soprattutto per sapere da loro, quali Marche e quali prodotti in

vendita nei Negozi di Alimentari, Farmacie, Supermercati, siano realmente esenti da Glutine,

abbiamo saputo da alcuni genitori che non tutti gli alimenti etichettati “ esenti da Glutine”, lo

sono in realtà).

Ci avvarremo della Collaborazione continuativa del Professo Pier Luigi Fortini che di questa

Dieta è da anni un conoscitore ed un propugnatore, pubblicheremo il maggior numero di

Articoli che troveremo sull’Argomento e sarà messo a disposizione dei Genitori un FORUM DI

DISCUSSIONE incentrato solo sulla Dieta che speriamo potrà essere molto utilizzato

nell’interesse di tutti.

Assicuriamo che non avendo alcun interesse economico nell’operazione, possiamo dare

spazio a tutti e ci auguriamo che molti dei genitori che hanno da tempo iniziato la Dieta,

possano mandarci il loro contributo ( esperienze personali, ……. anche solo come ricette di

cucina ), per il bene comune e per aiutare coloro che si accingono ad iniziarla da questo

momento.

4411)) SSUULLFFAATTAAZZIIOONNEE EE AAUUTTIISSMMOO

X. Dieta senza glutine e caseina

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184

( DIETA SENZA GLUTINE E CASEINA ) Del Dott. Pierluigi Fortini

Il processo fondamentale della sulfatazione mediante il quale un composto dello zolfo (o di

altri elementi) subisce le trasformazioni fondamentali necessarie alla vita avviene per

l'intervento di un enzima (una sulfotrasferasi) ed il rifornimento di solfati: disturbi in questo

processo (di natura genetica) sembrano essere alla base del disturbo autistico.

I lavori della Dott.Rosemary Waring dell'Universita' di Birmingahm hanno portato alla luce

che la maggior parte degli autistici hanno un livello di sulfatazione del plasma sanguigno di

circa il 17% rispetto a individui normali. Parte del solfato e' assorbito tramite la parete

intestinale ma la maggior parte viene dalla ossidazione della cisteina che e' un amino acido che

contiene zolfo. Uno sguardo alla letteratura sui difetti di sulfatazione risulta che essa e'

associata alla aumentata permeabilita' dell' intestino. Questo significa che un livello basso dei

solfati e un livello basso delle sulfotraferasi producono un intestino che "gocciola" cosi' che i

peptidi della caseina e del glutine vengono persi piu' facilmente verso il circolo sanguigno, con

conseguente danno al cervello.

Questi fatti sono stati messi in evidenza dalle ricerche del Prof. Kalle Reichelt dell' Universita'

di Oslo: da parecchi anni il Prof. Reichelt ha notato che le urine dei soggetti autistici

contengono una percentuale piu' alta dei peptidi provenienti dalle proteine del glutine e della

caseina. Di conseguenza bisogna arginare questa perdita di peptidi prescrivendo una dieta

priva di glutine e di caseina. La Dott. Waring dal canto suo ha notato che in generale i pazienti

che rispondono bene alla dieta di Reichelt hanno pure un basso livello di solfati e spesso una

bassa attivita' delle sulfotrasferasi. Si deve anche sottolineare che l'ossidazione della cisteina,

responsabile della maggior parte dei solfati liberi nell' organismo, e' un processo senza dubbio

genetico e quindi, da questo punto di vista, l'autismo deve essere considerato una vera e

propria malattia genetica.

Da queste ricerche segue un atteggiamento che porta ad alleviare il grave disturbo

dell'autismo (non a guarirlo allo stato attuale delle ricerche!).Infatti se il disturbo autistico e' di

natura genetica, esso difficilmente puo' essere curato: invece puo' essere alleviato sia per gli

autistici che per i famigliari e, in questo senso, vanno intese le note che seguono. Da quanto

precede e' evidente che si puo' procedere su due direttive.

1) I bambini autistici devono, fin dalla piu' tenera eta', essere mantenuti ad una dieta senza

glutine e senza caseina per non aggravare lo stato di "gocciolamento" dei peptidi verso il

torrente sanguigno.

2) Si deve supplire alla mancanza della sulfatazione agendo sulla quantita' dei solfati

propinati sotto forma di solfati inorganici. Cio' e' possibile tenendo conto che i solfati vengono

in parte assorbiti dall' organismo attraverso l' intestino o la pelle. Si puo' quindi fare ingerire ai

nostri figli dell' acqua sulfurea. Io ho trovato che e' molto giovevole l'Acqua Santa di

Chianciano che contiene 1800 mg/litro nella confezione privata dello spiacevole sapore di

"uova marce" (idrogeno solforato) e messa in vendita nelle Farmacie. Altro modo di fare

assorbire dei solfati e' di fare bagni caldi in una vasca contenente tre o piu' pugni di solfato di

magnesio (sale inglese).Personalmente trovo il primo metodo (Acqua Santa di Chianciano)

molto piu' efficace del secondo, primo perché' evita due o tre bagni alla settimana (cosa non

facile per i bimbi autistici) e secondo l' effetto che si ottiene e' immediato e puo' essere variato

a seconda dei soggetti e delle loro necessita'. L' effetto dei solfati e' quasi immediato: variando

la dose di acqua sulfurea (da ½ bottiglia a una intera) si puo' quasi sempre arrivare, nel giro di

una o due ore, a bloccare il disastroso atteggiamento autistico (urli, atteggiamento

insopportabile etc) semplicemente dando da bere dell'acqua sulfurea. Con i bagni a base di

sale inglese o l'uso di acqua sulfurea (o, meglio ancora tutte due!) si puo' notare un aumento

fino a 4 volte il contenuto dello zolfo nel sangue. Il sonno migliora decisamente e il bambino e'

sollevato dal dolore e calmato. In un recente scambio di E-mail tra me e la Dott. Waring

quest'ultima ha confermato quanto detto nei punti 1) e 2).Inoltre la Dott. Varino ha

confermato che, a suo parere, essendo l'autismo in gran parte dovuto alla sulfatazione

"difettosa", sarebbe bene fare indagini nell' ambito familiare per dare ulteriore appoggio all'

ipotesi genetica. A questo scopo sarebbe mia intenzione di fare esaminare gli autistici e i loro

familiari dall'equipe della Dott. Waring e al Prof. Reichelt. Pertanto:

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1) Inviare liquidi organici prelevati dagli autistici, dai loro genitori e dai loro fratelli per

misurare il livello di sulfatazione.

2) Fare ripetere le analisi del Prof. Reichelt per misurare la percentuale dei peptidi nelle

urine.

3) I genitori che non avessero effettuate le analisi di cui al punto 1) e 2) sono caldamente

pregati di farlo. Rimane la difficolta' per i ricercatori di effettuare questi analisi dati gli scarsi

mezzi a loro disposizione: e' compito dell'Angsa di battersi a questo scopo. Ulteriori

precisazioni.

*** Nota di Roberto Rusticali, il Dottor Fortini al momento di pubblicare questo Articolo non

era al corrente che nel pacchetto di Analisi del Great Plains Laboratory sono previste anche

queste analisi.

La sulfatazione e' un processo fondamentale per la vita pertanto non stupisce che questi

processi siano moltissimi; di qui deriva anche il ventaglio vasto dei processi colpiti dall'

autismo. Sotto riportiamo vari aspetti di questi processi: alcuni autistici, nell' ambito della

sulfatazione "difettosa", soffrono piu' o meno di disturbi legati a particolari sulfotrasferasi. Non

e' possibile, allo stato attuale delle ricerche, dare una visione accurata di questi aspetti; mi

preme dire, a scanso di equivoci, che gli interventi riportati sopra, cioe' dieta di Reichelt +

supplemento di solfati sono FONDAMENTALI e devono essere praticati da TUTTI gli autistici; le

altre cose, di cui parleremo di seguito, devono essere VALUTATI dal medico: noi genitori non

siamo in grado di valutare se un disturbo sia attribuibile a questo o quel fattore, quello che noi

possiamo fare e' di portare avanti rigorosamente i due interventi di cui sopra (ripeto Richelt +

solfati) per parare la sulfatazione difettosa...tutti i giorni senza sgarrare!!

1) Una particolare sulfotrasferasi e' la PST (phenol-sulphotrasferasi) che presiede alla

eliminazione di una grande varieta' di molecole tossiche quali fenoli e amine che sono prodotte

nel corpo in particolare nell' intestino da parte di batteri, lieviti, funghi etc. come pure coloranti

dei cibi e e degli additivi chimici. Queste reazioni comprendono la demolizione di bilirubina e

biliverdina che sono prodotti di demolizione della emoglobina. Inoltre la PST e' fondamentale

nell' eliminare i fenoli che sono la causa di moltissime intolleranze specie dei bambini...a

maggior ragione nei bambini autistici colpiti nel processo di sulfatazione!! L' enzima PST viene

inibito o sovraccaricato di lavoro da parte di cibi quali cioccolata, banane, succo di arancia,

vanillina e coloranti dei cibi come la tartrazina: l'eliminazione di queste sostanze dalla dieta

puo' alleviare, in bimbi in cui PST e' stata particolarmente colpita da sulfazione difettosa, tutti

questi sintomi specifici e cioe': sete eccessiva, sudori notturni e pelle che odora, cerchi scuri

attorno agli occhi, arrossamenti facciali e orecchie rosse. Alcuni medicinali, specialmente quelli

che contengono paracetamolo, possono in certi soggetti provocare uno stato durante il quale

possono stare senza urinare per 24 ore!

La Dr. Waring ha osservato che quei bambini che soffrono di emicrania hanno di solito una

concentrazione bassa di PST e sono facilmente soggetti ad attacchi di emicrania dovuto alle

amine. Composti come flavonoidi (ad esempio nel vino rosso e negli agrumi), formaggi, birre e

cioccolata inibiscono la PST e producono emicranie molto resistenti.

Nei bambini autistici che hanno uno stato di sulfatazione molto carente a livello di PST, si

puo' manifestare un avvelenamento grave da fenoli. I sintomi iniziali possono comprendere

nausea, perspirazione pesante, tremori e ronzio alle orecchie. Subentrano attacchi epilettici,

coma, depressione respiratoria e, in alcuni casi, morte.

2) I meccanismi della sulfatazione affinche' siano adeguati richiedono la somministrazione di

vitamine del gruppo B e specialmente vitamina B6.

Questo fatto consiglia di somministrare queste vitamine a dosi abbastanza consistenti.

Inoltre il magnesio e' importante perche' esso entra nella formazione di oltre 300 sistemi

enzimatici che hanno un ruolo importante nella detossificazione ad opera della sulfatazione: la

dieta pertanto deve essere ricca di magnesio.

3) I meccanismi della sulfatazione trovano un fattore negativo nella presenza dei clorati.

Un'alta concentrazione di clorati sono stati osservati nelle piscine che usano soluzioni di

ipoclorito per disinfettare; sarebbe meglio usare cloro gassoso. Infatti il clorato inibisce

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l'ematopoiesi e il clorato si combina con ogni composto fenolico, anche in soluzione

estremamente diluita, per formare un composto aromatico che risulta molto tossico.

4) L' unico problema, che pero' si presenta molto raramente, e' che i solfati formano un

sostrato su cui si alimentano alcuni ceppi di Candida.

Questo fungo prende energia dal solfato (SO4^{--}) e libera acido solfidrico (SH^{2}). I

soggetti attaccati da questi ceppi di Candida sono impossibili da non rivelarsi: emanano il

caratteristico odore da uova marce! Se fosse questo il caso, bisognerebbe recarsi da un

dermatologo...ma, se il bambino e' autistico, ha proprio il disturbo opposto cioe' e'

GRAVEMENTE carente di solfati... quindi e' quasi impossibile imbattersi in un autistico attaccato

dai ceppi di Candida che si cibano di solfati dato che l' autismo e' estremamente povero di

solfati!!! In ogni caso bisogna avere presente anche questo caso!!

Perché si fa una Dieta senza Glutine e Caseina ?

Perché studi moderni di dietetica confermano che l’alimentazione che assumiamo influisce

sulla nostra emotività ed a maggior ragione in soggetti così fragili e indifesi come i Soggetti

Autistici o con Disturbi Pervasivi dello Sviluppo, una Dieta equilibrata può significare una

qualità migliore di vita, e nel caso specifico si sta diffondendo un Tam – Tam che sempre più

spesso vede i Genitori parlare tra di loro dei miglioramenti di Comportamento del bambino

dopo che è stato sottoposto alla Dieta senza Glutine e Caseina.

Il nostro scopo è di dare attuazione pratica a questo Tam – Tam ma nel contempo mirare ad

evitare una Dieta fai da te che può portare a gravi errori di Alimentazione perché a questo tipo

di Dieta deve essere abbinata una alimentazione e/o somministrati integratori che non portino

il Bambino ad un deperimento Organico.

E vuole anche evitare ai genitori di iniziare una Dieta piuttosto onerosa sia come costi che

come sacrifici, dando la possibilità di eseguire le Analisi di intolleranza o di poca sensibilità ai

prodotti del latte e del grano ( Caseina e Glutine ) ( vedi la nuova Finestra Esami di

Laboratorio), perché riteniamo sia controproducente iniziare una Dieta di questo tipo senza

sapere se il Soggetto è realmente intollerante a questi alimenti.

La Caseina si trova nel latte ed in tutti i suoi derivati, Formaggio, Burro, Yogurth, Cioccolato

al latte etc., il Glutine e' una proteina che si trova nelle Graminacee, famiglia botanica tra le

più importanti per l'alimentazione umana. Così il Glutine si trova nel Grano, nell'Orzo, nella

Segale e nel Farro (che poi e' una varietà di grano) per ricordare le piante più usate

nell’alimentazione, mentre fortunatamente, il Glutine e' assente dal Riso e dal Mais: quindi Riso

e Mais possono essere liberamente usati nelle diete.

Ricordiamo che il Glutine e' la causa di una malattia nota da almeno 50 anni che, se non e'

curata con la dieta, conduce spesse volte a morte, e cioe' la Celiachia. Il Gluitine pertanto e'

una proteina benefica per coloro non soffrono di intolleranza nei suoi confronti ma molto

pericolosa per i celiaci; non stupisce quindi che il Glutine possa essere corresponsabile anche

nelle problematiche dell’ autismo e dei Disturbi del Comportamento.

Pensiamo perciò di collegarci anche all’Associazione dei genitori Celiaci per avere

informazioni sulle loro diete e soprattutto per sapere da loro, quali Marche e quali prodotti in

vendita nei Negozi di Alimentari, Farmacie, Supermercati, siano realmente esenti da Glutine,

abbiamo saputo da alcuni genitori che non tutti gli alimenti etichettati “ esenti da Glutine”, lo

sono in realtà).

Assicuriamo che non avendo alcun interesse economico nell’operazione, possiamo dare

spazio a tutti e ci auguriamo che molti dei genitori che hanno da tempo iniziato la Dieta,

possano mandarci il loro contributo ( esperienze personali, ……. anche solo come ricette di

cucina ), per il bene comune e per aiutare coloro che si accingono ad iniziarla da questo

momento.

XI. Scuola e Autismo

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L’Italia è una Nazione all’avanguardia nella Legislazione sull’Integrazione Scolastica, la scelta

di inserire i Bambini affetti da handicap nelle Classi insieme ai “Coetanei Normodotati “ è stata

lodevole e coraggiosa, ma a nostro avviso non è stata adeguatamente seguita dalla

realizzazione degli aspetti pratici, nel rapporto tra Scuola e Famiglia, nel rapporto numerico

Bambini - Insegnanti, ma soprattutto nella specializzazione del personale Docente che non

risulta sufficientemente preparato per seguire adeguatamente i Bambini con Handicap Psichico

con particolare riferimento all’Autismo e PDD (Disturbi Pervasivi dello Sviluppo), a tal

proposito, abbiamo potuto visionare dei testi dei corsi di Alta Specializzazione in cui all’interno

dei volumi, ci sono solo poche righe che parlano di Autismo, e quindi il personale Docente che

termina il Corso acquisisce un’infarinatura di base, ma non è umanamente possibile che sia

adeguatamente preparato per seguire dei Bambini Autistici.

Manca quindi il passaggio successivo e più qualificante, una specializzazione mirata per le

varie patologie e soprattutto una continuità didattica con una presa in carico che segua l’intero

percorso scolastico del bambino.

La FADIS, Federazione Italiana Insegnanti di Sostegno, da anni sostiene una qualità migliore

della specializzazione nei vari settori dell’handicap, per poter dare alle persone svantaggiate, la

possibilità di un approccio didattico adeguato.

Ci proponiamo di pubblicare in questa finestra tutto ciò che può servire a creare una rete di

comunicazione con storie di integrazione positive, affinché tutti possiamo arricchirci di

esperienze vissute, come genitori e insegnanti, e il patrimonio acquisito in questi anni di

integrazione scolastica non vada perduto, ma sia una strada dove i segnali positivi illuminino il

cammino di chi si trova ad affrontare l’odissea di un’avventura piena di incertezze e difficoltà.

4422)) SSccuuoollaa ee AAlluunnnnoo ccoonn AAuuttiissmmoo

di Patrizia & Tiziano Gabrielli Genitori in Prima Linea – Autismo Italia

Come un ritornello assai poco gioioso eccoci in autunno con il problema "scuola e

autismo".

Si sentono e si leggono articoli riguardanti nomine, insegnati di sostegno, cattedre,

certificazioni, ecc. in realtà dovremmo occuparci di Marco, Alessia, Simone, a scuola e non in

generale di leggi, di bambini con autismo o di pedagogia, psicopedagogia, ecc.

Alcuni riflessioni a proposito meritano attenzione e dibattito.

C’è fra tutti noi cittadini e soprattutto noi genitori di bambini con autismo, una forte

apprensione e contemporaneamente speranza e grandi attese relativamente alla qualità della

vita e alle prospettive educative che i bambini e i ragazzi autistici sperimenteranno all’interno

di un contesto altamente specifico come è la scuola.

La scuola, seconda soltanto alla famiglia come luogo di vita, non solo in senso temporale, è

certamente un momento fondamentale per il ragazzo, la famiglia e la società.

La scuola è anche per ora la sola realtà "istituzionale" che, nel bene e nel male, si è fatta

carico del problema "autismo", ed inoltre, è anche quella che quotidianamente impatta, in

modo diretto e continuato, con le difficoltà vere del singolo bambino certificato, investendo

attenzione e risorse nella gestione di un processo, quello dell’integrazione, mai troppo

chiarito, i cui traguardi e le cui metodologie sono state dalla scuola stessa più inventate che

apprese e applicate.

Al suo interno, la scuola ha consentito, ad insegnanti, alunni e bambini con disabilità, una

esperienza reciproca e spesso a tale istituzione è stato attribuito e ingiustamente richiesto, un

impegno eccedente finalità e possibilità intrinseche. Spesso si è confuso il suo ruolo

pedagogico e sociale, con il percorso riabilitativo vero e proprio di molte disabilità. Molti

insegnati si sono distinti in questa sfida con stupefacenti adattamenti e ottimi risultati ma molti

sono anche gli errori, molti i silenzi, le ingiustizie, le intolleranze, le discriminazioni, i muri di

gomma...

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La scuola è un diritto e un dovere

La scuola è la vita, la vita di ogni uomo nella collettività, al di là della sua condizione, del suo

stato di salute, della sua specificità, della sua eventuale non abilità, o disabilità. Il soggetto è

nella scuola come "individuo", non come "normo-dotato" o "autistico", o "audioleso", ecc.

La scuola mette in relazione persone differenti che si scambiano informazioni, su di sé, sugli

altri e sulle cose e nessuna etichetta, nessuna caratteristica, peculiarità, origine, religione,

diagnosi, dovrebbe modificare in senso negativo o deprivativo tale scambio.

In questa ottica la legge 104 del 1992 prevede la scolarizzazione di tutti i minori in

situazione di handicap, bambini con autismo compresi. Altre norme ancora sono state emante

per assicurare questo diritto e sarebbe bene conoscerle per poter sorprendersi nel vedere

come questo obiettivo risulti tuttavia così difficoltoso.

Scolarizzare non significa semplicemente "accesso".

La scolarizzazione non si riduce all’accesso, all’inserimento in una classe ma produce, quale

elemento nobile e qualificante, integrazione, come percorso che dalla aspecificità delle finalità

di gruppo e delle formule di principio, mediante un insieme di adattamenti reciproci, guidati dai

docenti, giunga all’individualità degli alunni consentendo loro delle esperienze significative

sia nell’apprendere che nel socializzare.

"Cosa assolutamente dobbiamo pretendere dalla scuola?"

E stabilito "cosa possiamo pretendere", noi in particolare, genitori di soggetti con autismo,

potremo anche chiedere "realizza la scuola per i nostri figli ciò che è corretto pretendere?", ed

eventualmente "Perché non lo può fare?"

Dimensioni del problema

Per legittimare simili quesiti sarebbe importante dimensionare a livello nazionale il fenomeno

autismo e sindromi correlate, comprendendo all’interno di questo eterogeneo gruppo, a causa

delle diverse classificazioni utilizzate dai vari professionisti, relativamente a tali diagnosi, anche

i casi di psicosi infantile.

Le dimensioni del problema ci potrebbero far capire meglio come ci dobbiamo organizzare

per pretendere risposte sempre più qualificate e specifiche.

I bambini diagnosticati autistici o psicotici nelle scuole pubbliche d’Italia., in base ai dati dei

provveditorati agli studi (oggi CSA), dati ricavati dalle diagnosi ufficiali rilasciate dai Servizi

Sanitari,. relativi all’anno 2001-2002, cioè nell’anno scolastico passato, riferiscono un numero

di casi complessivo di circa 8062 alunni così certificati, e cioè 140 casi circa per milione di

abitanti; 64/milione con autismo, 75/milione con diagnosi di psicosi infantile . Attenzione

questi sono i dati relativi agli alunni disabili certificati rispettivamente, autistici o psicotici,

presenti nelle scuole in Italia in un preciso periodo di tempo e non i dati riferiti alla totalità dei

casi presenti sul territorio nazionale.

Come potete vedere i valori numerici rispettivi, autistici, psicotici, sono pressochè

sovrapponibili, paritetici in partenza (scuole materne), divengono dismogenei successivamente

a causa dei ritiri, poiché, con il passare degli anni, i bambini autistici scolarizzati diminuiscono

in modo significativo. Fortunatamente i bambini con diagnosi di psicosi mantengono una forte

presenza anche nella scuola secondaria. Questo dato ci dice però che le cose vanno

particolarmente male per i soggetti con autismo. Non è infatti il migliorare della diagnosi che li

fa scomparire dalle aule ma piuttosto oggettive difficoltà nell’integrazione.

E’ solamente l’andamento della sindrome autistica che può giustificare la negatività di questi

riscontri?

Noi genitori non lo crediamo.

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DIAGNOSI DI AUTISMO E PSICOSI INFANTILE (DATI CSA 2001-2002)

Diagnosi di Autismo

Scuola materna

21/ milione di abitanti (1220 bambini certificati autistici)

Scuola elementare

22/ milione di abitanti (1276 bambini certificati autistici)

Scuola media

15/ milione di abitanti ( 870 bambini certificati autistici)

Scuola secondaria superiore o II° grado

7/ milione di abitanti ( 406 bambini certificati autistici)

Diagnosi di Psicosi infantile

Scuola materna

20/ milione di abitanti (1160 bambini certificati psicotici)

Scuola elementare

20/ milione di abitanti (1158 bambini certificati psicotici)

Scuola media

19/ milione di abitanti (1102 bambini certificati psicotici)

Scuola secondaria superiore o II° grado

16/ milione di abitanti ( 928 bambini certificati psicotici)

Altre elaborazioni dei dati forniti dal CSA evidenziano anno dopo anno, un incremento

costante dei casi, per ambedue le diagnosi, anche se di poche unità per milione, e tale

andamento mostra un aumento maggiore a favore delle certificazioni di autismo rispetto a

quelle di psicosi infantile in un rapporto pressochè doppio. Questo starebbe per un

aggiustamento dei criteri diagnostici e per una maggior conoscenza dell’autismo più che per

una diminuizione reale del tipo di patologia.

Appare veritiero però che questa fotografia scolastica del problema, pur significativa, offra

valori decisamente sottostimati rispetto ai quadri patologici in questione nella loro interezza.

Da una parte perché questi dati non comprendono i casi con PDD e altre patologie borderline,

spesso non ancora certificati, dall’altra perché il provveditorato non rileva tutti i possibili

pazienti di tali patologie o i loro spostamenti e, non ultimo, perchè manca nel conto il numero

di chi è istituzionalizzato al di fuori della scuola (orfani o a tutela sospesa), oppure c’era ed è

uscito e di chi si aggiungerà a costoro nell’anno appena iniziato.

Questi sono i dati da cui noi dobbiamo partire per capire quanta voce in capitolo abbiamo

rispetto ai circa 50.000 insegnati di sostegno operanti in Italia e per impegnarci a non

rinunciare in alcun modo e per nessuna ragione al profondo valore di scolarizzare.

INTEGRAZIONE

Esiste anche una profonda differenza tra inserimento e INTEGRAZIONE.

Il presupposto di base, quando si parla di AUTISMO, è comprendere che siamo di fronte ad

un disturbo complesso e le risposte possibili sono dunque complesse. Le situazioni sono

molteplici e vanno affrontate, di volta in volta, problematiche differenti in un ottica di

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specificità. I riduzionismi non aiutano a capire la realtà delle persone, perché ne prendono una

piccola parte e la fanno diventare il tutto.

Consapevoli delle difficoltà insite nella specificità è bene ribadire che noi genitori di alunni

diversamente abili sappiamo bene anche che la scuola non è il luogo deputato alla terapia

propriamente detta per i disturbi dei nostri figli.

Noi semplicemente vogliamo realizzare ciò che è previsto dalla legge: integrazione.

Vogliamo per i nostri figli esperienze significative, socializzazione, ampliamento delle capacità

comunicative e relazionali, apprendimenti seppur minimi, mirati a favorire l’autonomia

attraverso competenze e abilità essenziali, dando qualità alla loro esistenza. Sappiamo anche

che, nell’ambito di questo progetto complesso e difficile, tutte le esperienze sono importanti

ma questo non significa che tutte siano valide e, secondo il principio della rete, in un’ottica si

scambio di informazioni tra scuole, si dovrebbero socializzazione le esperienze prestando

ascolto a quelle riconosciute come esemplari e che possano essere utili e a disposizione di tutti.

Non serve compartecipare soluzioni del problema solo se radicali ma aiutare gli operatori a non

sentirsi isolati all’interno della propria azione didattica, aprendo loro un orizzonte di riferimento

più vasto.

L’integrazione è qualità di vita in comune ed è un fenomeno sicuramente complesso ma i cui

obiettivi vanno perseguiti non separatamente tra loro ma sperimentati in un’ottica di globalità.

L’integrazione si realizza attraverso una esperienza comune o allargata, quando cioè tutti,

operando insieme, si aiutano reciprocamente a migliorare la competenza culturale, relazionale

e comunicazionale dei singoli nel gruppo. Non da soli dunque si deve affrontare l’integrazione,

tanto meno l’autismo.

Le condizioni essenziali affinchè esista integrezione sono:

1. Tutti sono interpreti dello stesso progetto, tutti debbono essere coinvolti, non solo

l’insegnante di sostegno, ma di tutti: il docente e il dirigente, i collaboratori scolastici

e la famiglia, i medici, i paramedici, gli alunni, tutti….

2. Si deve operare in modo sinergico. Ciascuno deve impegnarsi in una connessione

stretta e continua con gli altri per fare un lavoro comune.

3. Ciascuno faccia la sua parte e ciascuno si nutra e si rafforzi dell’esperienza integrativa

di tutti gli altri.

4. Integrazione significa anche "responsabilità". Ciascuno ha la propria.

Sappiamo tutti che per consentire l’integrazione vera, non formale, specialmente

dell’alunno con autismo nella scuola e nella società , se vogliamo realmente farci

carico di questo, risulta fondamentale ripristinare concetti squisitamente etici, un po’

desueti in questa civiltà patinata ed egocentrica, quello della responsabilità

personale, di responsabilità attiva, dell’impegno individuale e di gruppo, del

dovere morale. Non è affatto vero che noi esistiamo perché qualcuno ci ha

generato, la nostra umanità esite perchè un adulto ci ha adottato, cioè si è fatto

carico, s’è preso cura, responsabilità, di ciascuno di noi.

"APPROCCIO POSITIVO"

Dal punto di vista psicopedagogico educativo, l’unico approccio corretto per promuovere

l’integrazione dei bambini autistici è un "approccio positivo".

Positività non significa semplicemente che non si debbano più usare modelli di tipo

disfunzionale, cioè quelli che partono dal proporre e ricostruire ciò che non funziona bene, ma

anche e soprattutto che con questi bambini si deve procedere e costruire a partire dalla loro

positività, dai loro interessi, da ciò che loro propongono e manifestano, facendo spazio alla

spontaneità e rafforzando ciò che è adeguato, spendibile, equiparato all’età, prestando

attenzione a gratificare ciò che è armonioso e coerente con la situazione e gli intenti comuni

del gruppo, in un cammino di piacere nel fare le cose, di rinforzo dei comportamenti produttvi

e funzionali.

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Positività significa non lasciarli senza proposte, significa che con questi bambini non si può

utilizzare il "no" fine a se stesso, il "no" e basta, il "no" senza soluzioni sostitutive. A questi

bambini va insegnata l’alternativa alla negazione, al divieto, a ciò che non è permesso, alla

frustrazione di vedersi negato qualcosa. Questi bambini non possono essere obbligati a un

comportamento, a una risposta, né a una socializzazione, né si possono enfatizzare in loro

soluzioni abilitative eccessivamente specializzate rinunciando o addirittura soffocando una

globalità indispensabile di interventi volti ad un recupero complessivo e ad una non formale

integrazione. La coercizione non aiuta il bambino autistico. Servono altre strategie, serve

formazione, pazienza, tranquillità, disponibilità, anticipazione. Vie che privilegino la positività

esistente in loro nelle diverse situazioni, che sfruttino i punti forti presenti nella realtà

dell’altro, che richiamino l’impegno di tutti gli operatori nel realizzare un progetto partecipato

di vera qualità della vita.

LINEE GUIDA FONDAMENTALI PER AVVIARE L’INTEGRAZIONE DEI BAMBINI AUTISTICI.

Alla scuola si dovrebbe giungere con requisiti minimi indispensabili già acquisiti dall’alunno

certificato: l’attentività, l’attenzione condivisa, la capacità di scambio e la reciprocità nelle

intenzioni, la motricità fine, la comprensione del linguaggio, alcune autonomie di base. Questo

non sempre avviene, anzi raramente il bambino autistico è così opportunamente attrezzato e

uno dei primi compiti della scuola, ai vari livelli, è quello di valutare l’esistenza di questi

prerequisiti e, se assenti, assicurarsi il permanere in percorsi atti a fornire ed adeguare

l’alunno con autismo di queste competenze essenziali.

- L’intervento educativo nella scuola dovrebbe poi favorire:

- l’acquisizione di un linguaggio (in qualunque forma possibile privilegiando quello

verbale, non verbale, corporeo,

- scritto, ecc.).

- lo sviluppo delle capacità percettive e di esplorazione dell’ambiente.

- la promozione di competenze strumentali di base

- la partecipazione attiva alla vita del gruppo classe

- l’avvio alla socializzazione nel gruppo e all’esterno della scuola.

Il successo degli interventi educativi è invece in relazione all’affermarsi delle seguenti

variabili:

1. Precocità di avvio alla scolarizzazione, (favorire l’inserimento educativo precoce dei

bambini autistici già negli asili nido, nelle scuole materne), sempre e solo se gli

interventi erogati sono adeguati.

2. Competenza di tutti operatori, tutti quelli coinvolti, non solo scolastitci, tutti, dalla

sanità, scuola, società, servizi, tutti quelli coinvolti. L’integrazione si realizza

realizzando cultura. Servono persone molto preparate, sotto il profilo medico,

pedagogico, sociale ecc. Se ci si riferisce ad un soggetto autistico si ha bisogno di

insegnanti di sostegno che conoscano benissimo i capisaldi della pedagogia (per

esempio le metodiche di Schopler, alcuni metodi di condizionamento operante,

metodi di comunicazione aumentativa e alternativa, ecc). Insegnamenti

fondamentali.che dovrebbero far parte del bagaglio professionale e che poi saranno

utilizzati e adattati in modo conforme al caso specifico.

3. Disponibilità affettivo-comunicativa degli insegnanti, che è specifica e di cui bisogna

se ne assumano personale e piena responsabilità,

4. Fiducia nell’ottenimento degli obiettivi che pertanto debbono essere realistici.

Ottimismo nella verità non piageria o entusiasmo da ciarlatani.

5. Coinvolgimento forte dei genitori e familiari, che debbono realizzare una continuità

di obiettivi e strategie anche in casa.

6. Lavoro di rete, di coordinamento ed integrazione degli interventi per mezzo di

alleanze positive tra i vari operatori, tra servizi diversi, tra medici e insegnanti, tra

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assistenti sociali medici e insegnanti, tra dirigenti scolastici e responsabili dei servizi

socio sanitari, mettersi insieme per dare risposte utili. I genitori da soli, i medici da

soli, la scuola da sola possono fare assai poco. L’ottica essenziale è quella delle

sinergie tra dimensione clinica, familiare, con l’organizzazione interna della scuola.

L’istituzione scolastica, con l’avvento dell’autonomia didattica, non è più vincolata

a un modello permanente di funzionamento e può, di volta in volta, decidere

secondo i bisogni degli allievi, quali forme organizzativo-didattiche siano le più

funzionali rispetto all’intervento scelto; non c’è più un vincolo, un modello definito

da seguire. L’avvio della devolution inoltre ridurrà sempre più le competenze del

ministero della sanità e della pubblica istruzione facendo emergere nuovi

interlocutori per il mondo della scuola: regioni, province, comuni, enti locali, ecc.,

La relazione medica deve essere informazione utilizzabile per gli insegnanti e dire loro cosa

è bene riconoscere e cosa è meglio evitare. L’altro, il bambino autistico non è un esempio di

patologia ma una persona da conoscere nella sua totalità, nella sua qualità di essere umano.

E’ necessario partecipare come genitori, insieme agli altri operatori coinvolti, alla stesura

del progetto dei nostri figli, un progetto educativo individualizzato, realistico, effettivo,

condiviso.

L’insegnamento dovrà essere condiviso, esplicito ed intenzionale, senza tempi morti,

flessibile ed utile nel metodo e nei tempi. Dovrà avvalersi di un uso proprio dei materiali e di

un uso corretto degli spazi, valutando sistematicamente i risultati per correggere gli errori o

potenziare i progressi.

Il successo dell’inserimento è correlato alla personalizzazione, non l’autismo, ma Michele

Alessia, il bambino e la sua specificità.

Il successo formativo, non dipende solo dall’insegnate, o solo dalle capacità dell’alunno, ma

è una co-costruzione che si realizza attraverso l’elaborazione di obiettivi semplici, limitati,

graduali, progressivi, attraverso tentativi e aggiustamenti continui degli apprendimenti.

E’ sbagliato pensare che simile progetto dipenda esclusivamente dall’insegnante di sostegno

Anni di graduatorie ‘non’ di merito hanno mandato al massacro persone innocenti in entrambe

le trincee. E’ essenziale passare in fretta da una logica individuale, quella che vede tutto il

possibile in una sola figura professionale, ad una visione allargata, all’obiettivo comune nello

sforzo di tutti.

E’ ormai fondamentale il passaggio concettuale che sostituisca l’insegnante di sostegno, con i

"sostegni", come insieme di strumeti, opertaori ed energie, coordinati, legati a precise

situazioni contestuali, ai veri operatori protagonisti in quel momento, in quella realtà specifica

scolastica e sociale in cui si intende realizzare l’integrazione dei nostri figli. Sono sostegni il

gruppo sociale e scolastico, il gruppo-classe, il tutoring, i materiali necessari e specifici; sono

un sostegno l’uso specifico e alternativo e l’organizzazione degli spazi, la documentazione e i

corsi di formazione, gli incontri tra operatori coinvolti, con i medici, con i genitori, i video, ecc.

I sostegni sono tanti e chiamano in causa anche altre realtà, anche altri enti, altre istituzioni

che ad esempio debbono preoccuparsi di fornire la scuola dei materiali indispensabili alla

realizzazione di un percorso integrativo.

Nelle classi dove è presente il bambino autistico è indispensabile:

1. Conoscere bene il bambino e il suo problema

2. Conoscere bene la patologia, le sue cause, le sue caratteristiche La disabilità deve

essere conosciuta senza pregiudizi, per poterla accogliere nel gruppo, dal latino cum

prendere, cioè prendere con sé.

3. Conoscere le strategie pedagogiche ed educative ad essa applicabili in generale. Le

conoscenze cliniche e pedagogico didattiche specifiche sono oggi così stimolanti ed

accessibili che non è più possibile accettare l’improvvisazione o l’ignoranza in questa

direzione. Il problema della pedagogia dell’autismo non è diverso da una regione

all’altra, da una scuola all’altra, è un intervento terapeutico internazionale. È una

pedagogia mondiale.

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4. Formulare e condividere con tutto il team operativo il piano di intervento e il progetto

educativo elaborato per quel bambino.

5. Conoscerne i dettagliati e strutturare la sua realizzazione pur mantenendo un’ampia

disponibilità alla necessaria flessibilità.

6. Agire nella quiete. Armarsi tutti di disponibilità, calma e tranquillità.

7. Partire da attività conosciute per il loro gradimento o che suscitano interesse.

8. Proporre stimoli in quantità limitata ma che siano di alta significatività.

9. Favorire liberamente la partecipazione spontanea, all’attività del gruppo classe, nel

modo più fiducioso

10. Controllare e fornire le stimolazioni senso-percettive utilizzando un solo canale

sensoriale per volta, in modo graduale, concreto, intensivo e ripetuto con assiduità,

rettificandone l’utilizzo ogni volta che non funziona perfettamente.

11. Introdurre stimolazioni ed esercizi senso-percettivi utilizzando prograssivamente più

canali sensoriali per volta, in modo graduale e ripetibile, adattando i compiti alla qualità

risultati.

12. L’impostazione metodologica deve essere giustificata, legittimata, validata, chiara e

soprattutto valutata nella sua efficacia dal punto di vista educativo.

Vi sono ostacoli e tanti, possono essere interni, ma troppo spesso sono esterni all’alunno con

autismo.

E’ certo che da una scuola priva di aule, dove mancano banchi o insegnati (cosa non così

inverosimile), non è possibile pretendere l’ottimizzazione di un percorso educativo.

Nella stragrande maggioranza dei casi però le risposte adeguate dovrebbero essere possibili.

DUE O TRE COSE SU CUI NON SI PUÒ PIÙ TRANSIGERE.

Per le specifiche caratteristiche neurobiologiche, gli interventi educativi negli alunni autistici,

devono svolgersi in un setting che preveda stabilità psicologico-ambientale e questo è

risaputo nel mondo intero. Non si può più tollerare che l’esperienza della scolarizzazione dei

nostri figli si trasformi in un sicuro meccanismo di regressione, di dolore, di confusione

assoluta.

Su questa elemento di stabilità spaziale e strutturale fondamentale, si fonda il progetto di

integrazione del bambino con autismo nella scuola.

Va fatta una battaglia durissima, giusta e necessaria, da parte di noi genitori, con gli

insegnanti che sulla loro pelle l’hanno capito, con i medici che lo prescrivono. Ci sono delle

precise responsabilità di legge dei comuni, proprietari delle scuole dell’obbligo, e delle

province, proprietarie delle scuole superiori, quando gli spazi in cui dovrebbe integrarsi i nostri

figli non sono previsti, non sono sufficientemente individuati, non sono sufficientemente ampi o

bene illuminati.

L’amministrazione centrale e locale deve inoltre comprendere in modo definitivo non solo

questo ma anche il principio di continuità ancora continuamente calpestato dalle logiche

occupazionali e con giustificazioni non pedagogiche ma spesso rivoltanti nella loro

imperscrutabilità.

Erogare interventi educativo pedagogici adeguati. Quando si può parlare di interventi

adeguati? Quando l’intervento erogato rispetta un codice che riguarda specificamente il

soggetto autistico. Setting, continuità, preparazione, formazione, progettualità, condivisione,

collegamento con il gruppo, tutela, disponibilità, tranquillità, verifiche, ecc.

Quindi la scuola che cosa fa?

Al momento fa quello che è in condizione di fare, in alcuni casi meglio, in altri peggio.

Mi pare fondamentale se no altro in prospettiva futura affermare che il ruolo della scuola

deve essere migliorato. Si deve passare da una formazione privata, costosa, elitattaria, ad una

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formazione obbligata, sistematica e pubblica indirizzata e aperta a tutti (anche per coloro che

già presenziano nelle strutture del territorio). L’università si deve impegnare a fornire

formazione specialistica sull’handicap per i medici, per gli insegnanti, per i genitori.

L’associazionismo dei genitori dovrebbe tornare garante di un primato del pubblico per i

servizi necessari e fondamentali, lavorando nell’interesse esclusivo dei minori chiamati a vivere

la qualità dell’integrazione, non preoccupandosi dell’esclusiva affermazione delle proposte del

proprio specialista o dell’insegnate di Marco o Matteo.

4433)) AAUUTTIISSMMOO EE SSCCUUOOLLAA

di Sonia e Roberto Rusticali

L’Italia è una Nazione all’avanguardia nella Legislazione sull’Integrazione Scolastica, la scelta

di inserire i Bambini affetti da handicap nelle Classi insieme ai “Coetanei Normodotati “ è stata

lodevole e coraggiosa, ma a nostro avviso non è stata adeguatamente seguita dalla

realizzazione degli aspetti pratici, nel rapporto tra Scuola e Famiglia, nel rapporto numerico

Bambini - Insegnanti, ma soprattutto nella specializzazione del personale Docente che non

risulta sufficientemente preparato per seguire adeguatamente i Bambini con Handicap Psichico

con particolare riferimento all’Autismo e PDD ( Disturbi Pervasivi dello Sviluppo ), a tal

proposito, abbiamo potuto visionare dei testi dei corsi di Alta Specializzazione in cui all’interno

dei volumi, ci sono solo poche righe che parlano di Autismo, e quindi il personale Docente che

termina il Corso acquisisce un’infarinatura di base, ma non è umanamente possibile che sia

adeguatamente preparato per seguire dei Bambini Autistici.

Manca quindi il passaggio successivo e più qualificante, una specializzazione mirata per le

varie patologie e soprattutto una continuità didattica con una presa in carico che segua l’intero

percorso scolastico del bambino.

Bisogna dare atto che si vedono segnali positivi all’orizzonte, la volontà di miglioramento si

nota, ma le manchevolezze di cui si accennava precedentemente esistono tuttora e perciò

crediamo che la maggiore indipendenza dei Presidi e dei Direttori Didattici, possa essere

sfruttata nel migliore dei modi a patto che il Genitore acquisisca la capacità di relazionarsi col

Personale Docente presentando un quadro più chiaro possibile della situazione e della Patologia

del bimbo e cercando di utilizzare delle strategie che siano le più idonee per la Sua

Integrazione Scolastica.

Quando sentiamo affermare che devono essere la Scuola ed il Personale di Sostegno a

gestire al meglio il Bambino con Handicap Psichico, col genitore nel ruolo di soggetto quasi

passivo, ci sentiamo sgomenti, in quanto assistiamo nella stragrande maggioranza dei casi alla

più deleteria delle Utopie, con Bambini lasciati allo sbando a spasso nei corridoi malgrado

volenterosi tentativi di buona volontà del Personale che deve seguirli ma che come si diceva è

troppo spesso impreparato.

Sappiamo benissimo che ci sono pochi Medici che possono fare questo tipo di lavoro nelle

scuole ma sappiamo anche che è possibile formarli, ma per fare questo bisogna che le

Associazioni Genitori operino profondamente, organizzando Corsi di Formazione, Seminari di

Approfondimento e quant’altro serva per dare al Personale di Supporto una base su cui

comprendere la complessità dell’Autismo e portare poi queste realtà nella scuola e nella

pratica, bisogna capire che solo questa è la strada che porterà ad un cambiamento e bisogna

lavorare sodo tutti insieme smettendo di essere delle pecore in mano a troppi pastori che non

sanno fare bene il loro lavoro.

Un Genitore che non si Associa e si lascia portare allo sbando, fa solo del male a Suo Figlio e

non potrà mai sperare di vedere dei miglioramenti nella sua situazione.

4444)) AAllllaa ssccuuoollaa mmaatteerrnnaa ssii ggeettttaannoo llee bbaassii ppeerr ll’’aauuttoonnoommiiaa ee ll’’aaccqquuiissiizziioonnee ddii aabbiilliittàà::

ll’’iinniizziioo ddii uunn ccaammmmiinnoo ddii dduuee bbaammbbiinnii aaffffeettttii ddaa aauuttiissmmoo

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Dott.ssa Marzia Litleton, Dott. Goran Dzingalasevic

Nel gennaio del 2000, nella nostra scuola, è iniziato un programma educativo

individualizzato a favore di un bambino, di quasi cinque anni, affetto da autismo che, per

motivi di privacy, chiameremo Marco (nome puramente di fantasia).

Grazie ad un background formativo delle insegnanti e degli altri operatori[1] e alla

supervisione del Dott. Goran Dzingalasevic[2], si è potuto mettere in atto un progetto basato

sull’assunto che l’autismo è, soprattutto, un disturbo generalizzato dello sviluppo,

comprendente deficit nelle aree della comunicazione, dell’interazione sociale e

dell’immaginazione. Il nostro lavoro è iniziato con la programmazione delle attività didattiche e

la strutturazione del tempo e del contesto scolastico. Si tratta dell’organizzazione,

particolareggiata e sistematica, della giornata che marco trascorre a scuola, sia in termini di

scansione delle attività, sia riguardo agli spazi a lui dedicati. Per il programma educativo, è

stato necessario lo studio e il perfezionamento di ogni attività (da quella didattica al gioco),

accertando minuziosamente anche il tempo che occorre a ciascuna di queste. In questo modo,

si può evitare l’aumento delle stereotipie. Questa articolazione, è stata fatta formulando

determinati obiettivi e considerando, principalmente, la storia personale, i punti forti e deboli e

le caratteristiche cognitive e comportamentali di Marco. Egli, infatti, era[3] un bambino

introverso, con linguaggio verbale pressoché assente e con diverse stereotipie tipiche

dell’autismo quali, ad esempio, il dondolare, lo sdraiarsi per terra e l’urlare, ma era anche un

bambino a cui piacevano i piccoli oggetti, gli animali, andare sull’altalena, mangiare caramelle,

pane e cioccolata, guardare libri figurati e la televisione.

Tali essenziali osservazioni, su alcune caratteristiche di Marco, sono state utili per poter

iniziare con lui una nuova forma di comunicazione, più consona al suo disturbo. È stato inoltre

fondamentale, conoscere le peculiarità del disagio per capire che, il linguaggio verbale, non

poteva essere il mezzo comunicativo più adeguato, da usare con il bambino; Marco, infatti,

avendo problemi nelle aree principali dello sviluppo, non era in grado soprattutto di

comprendere e generalizzare la verbalizzazione. È in questo modo, che si è iniziato ad

utilizzare immagini, foto e disegni che raffigurassero tutte le attività da svolgere

quotidianamente, tutti i contesti di lavoro e di gioco, nonché tutti gli oggetti e i giochi preferiti

con cui interagiva Marco a scuola[4]. È per questo che sono state create, ad esempio, due

sequenze di immagini che spiegavano come andare in bagno e il momento del pranzo, utile per

anticipare al bambino, il menù del giorno. Necessaria, fin dal primo istante, è stata la

collaborazione della scuola con la famiglia. Si è iniziato, infatti, con l’adottare il medesimo

mezzo comunicativo anche a casa[5] e usufruendo di un quaderno per gli scambi quotidiani di

informazioni. L’uso di aiuti visivi, inoltre, è servito alla realizzazione di una specie di calendario

giornaliero in cui venivano raffigurate le attività scolastiche di Marco, dando la possibilità al

bambino, di ridurre l’ansia provocata, soprattutto, dal non saper cosa succedeva intorno a lui e

cosa gli aspettava. Con questo sistema, Marco poteva riuscire a capire, fin dai primi momenti,

come era organizzata la sua giornata. È importante affermare che, grazie a questo criterio

educativo, si sono ridotte le stereotipie comportamentali[6] di Marco. Uno dei principali

obiettivi prefissati, fin dall’inizio, dall’équipe, si riferiva all’aumento dell’autonomia personale

del bambino. Lo scopo del progetto era renderlo autosufficiente nella gestione dei bisogni

primari e quindi , il primo passo da compiere, non poteva che essere legato alla necessità di

comunicare adeguatamente con lui. L’uso di particolari stratagemmi, quali i supporti visivi, il

calendario giornaliero e altri, sono stati necessari anche per eliminare i problemi legati alla

memoria a breve termine[7] di Marco. La stessa strutturazione dello spazio, dedicato al

bambino, è stata fatta tenendo conto dei suoi punti di forza e di debolezza (le abilità o meno),

nonché alcune particolarità quali, ad esempio, il suo colore preferito: il giallo. Infatti, ogni

angolo o stanza dedicata a Marco, era evidenziata e delimitata da linee gialle, per fare in modo

che egli potesse sempre riconoscere i suoi luoghi e potesse sentirsi più sicuro, sapendo cosa ci

si aspettava da lui.[8] Un altro particolare importante, per l’educazione del bambino, era

dovuto all’acquisizione di alcune regole sociali[9]. In questo ambito, venivano nuovamente

utilizzati certi aiuti visivi, posizionati nei luoghi strutturati a favore del bambino. Anche tale

stratagemma ha agevolato il miglioramento del comportamento. Per quanto riguarda le attività

svolte da Marco, nei luoghi adeguati alle sue esigenze, si può affermare che queste hanno fatto

sì che sviluppassero molte abilità cognitive del bambino, quali: l’associazione di forme e colori;

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la selezione di oggetti in base alla forma, alla grandezza, al colore; l’acquisizione di

pregrafismo e così via. Queste attività avevano, come scopo primario, quello di sviluppare la

generalizzazione. Altre attività venivano, invece, organizzate per aumentare la capacità di

gioco e la creatività. Si tratta di lavori quali il dipingere, il disegnare, il colorare, il collage ecc.

che, oltretutto, sono state utilizzate anche per la realizzazione di un “laboratorio sociale” a

favore dell’interazione di Marco con i suoi coetanei. Il “laboratorio sociale” è un momento della

giornata, in cui Marco lavora con altri quattro-cinque bambini, scelti a rotazione ad intervalli di

due settimane.

Lo stesso lavoro svolto con Marco è stato realizzato con un altro bambino affetto da autismo,

arrivato nella nostra scuola, a Settembre 2000. Si tratta di un bambino di 6 anni che, sempre

nel rispetto della privacy, chiameremo Luca (nome puramente di fantasia)[10]. È venuto

spontaneo mettere in atto, anche per lui, un progetto individualizzato che avesse strategie

simili a quelle usate per Marco ma, ovviamente, tutto il lavoro è stato adattato alle esigenze e

alle caratteristiche cognitive e comportamentali, nonché ai gusti, alle debolezze e ai punti di

forza del bambino. Infatti, Luca, appena arrivato nella nostra scuola, dimostrava alcuni

problemi comportamentali e una certa iperattività. Inoltre, egli era caratterizzato da tempi di

attenzione quasi nulli e dal fatto di non essere abituato a guardare immagini. È stato, quindi,

pensato un mezzo comunicativo più concreto di quello utilizzato con Marco, ossia l’uso di

oggetti piuttosto che di supporti visivi usati solo successivamente. Un’altra particolare

strategia, usata per l’educazione del bambino, si riferiva, ad un problema posto, agli operatori

della scuola, dalla madre: Luca quando arrivava il Sabato (giorno di chiusura della scuola)

usciva da casa, per aspettare il pulmino e si agitava quando non lo vedeva arrivare. È stato

quindi pensato un cartellone che rappresentasse il disegno della scuola e i giorni dal Lunedì al

Venerdì, da coprire quotidianamente dal bambino, fino ad arrivare al Sabato e alla Domenica,

rappresentati dal disegno della casa di Luca e le foto dei suoi genitori. in questo modo, il

bambino poteva prepararsi al week-end e quindi essere meno ansioso. Un criterio simile era

stato pensato per le vacanze di Natale. Si può asserire che in pochi mesi, si sono raggiunti dei

buoni risultati educativi con Luca. Infatti, il bambino è molto più tranquillo e sta sviluppando

delle ottime abilità cognitive e comportamentali. Gli episodi elencati sono stati dei piccoli

esempi, per affermare quanto sia importante conoscere il bambino e il suo disturbo e quanto

fondamentale possa essere l’adattamento delle conoscenze didattiche ai casi concreti e

singolari.

È, a questo punto, rilevante sottolineare che tutto il programma viene tutt’oggi messo in atto

sia con Marco che con Luca e tutte le attività si stanno man mano raffinando verso la piena

autonomia dei due bambini.

Il nostro lavoro, in questo momento, è concentrato principalmente sia sull’agevolare il

passaggio dei bambini alla scuola elementare, sia sulla gestione del delicato compito relativo

allo scambio di informazioni tra i due ordini di scuola. A tale proposito, infatti, sono previsti,

nel prossimo mese di Maggio, degli incontri tra gli insegnanti degli “anni- ponte” e degli altri

operatori del progetto individualizzato, al fine di favorire la continuità del programma stesso.

Un’intensa attività di coordinamento, tra tutti gli operatori, la collaborazione continua e la

stessa convinzione riguardo alla validità del metodo usato, hanno consentito la realizzazione

del progetto nonché, il buon raggiungimento degli obiettivi prefissati. Va inoltre sottolineato,

che la positiva esperienza che questo programma rappresenta, fa sì che, la diffusione del

metodo, avvenga finalmente non solo su basi teoriche, ma anche e soprattutto, su basi

pratiche.

[1] Si tratta di un’équipe formata da 3 insegnanti di sezione, la direttrice della scuola,

l’addetta all’assistenza e un’operatrice di supporto al programma individualizzato.

[2] Responsabile del Progetto Autismo dell’Az. U.L.S.S. 9 di Treviso.

[3] La descrizione di Marco risale a circa un anno e mezzo fa.

[4] Il bambino è più spronato a svolgere l’attività specifica, se gli viene anticipato (sempre

attraverso i supporti visivi) che, a lavoro finito, riceverà un ricompensa (es. per Marco: una

caramella, qualche minuto sull’altalena ecc.). Importanti, sono anche le aree di rilassamento,

nelle quali il bambino, dopo aver lavorato, può dedicarsi alle sue attività preferite (il dondolare,

guardare immagini, ascoltare musica…).

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[5] E’ utile affermare che, grazie a questo criterio, Marco, dopo poco tempo dall’inizio del

lavoro con i supporti visivi, ha iniziato a pronunciare le prime parole.

[6] E’ necessario ribadire che le stereotipie tipiche dell’autismo sono provocate

principalmente dall’ansia di non sapere cosa succede e cosa, la persona affetta da autismo si

deve aspettare dall’ambiente che lo circonda; si tratta di forme difensive dal contesto

sconosciuto e incomprensibile.

[7] Problemi tipici delle persone affette da autismo.

[8] Un nostro accorgimento è stato quello di dedicare ogni spazio ad ogni singola attività: in

questo modo il bambino man mano poteva raggiungere una certa autonomia di movimenti.

[9] Stare in fila con gli altri bambini, non sdraiarsi per terra, non lanciare oggetti, non urlare,

non mettere in bocca qualunque cosa.

[10] Luca, nel passaggio alla nuova scuola, ha potuto contare sul supporto, degli operatori

già presenti ma, soprattutto dell’addetta all’assistenza, molto legata al bambino e pronta, fin

da subito, a formarsi professionalmente per la migliore riuscita del progetto.

4455)) IINNSSEERRIIMMEENNTTOO SSCCOOLLAASSTTIICCOO:: PPRROOBBLLEEMMAATTIICCHHEE EE PPOOSSSSIIBBIILLIITTÀÀ EEDDUUCCAATTIIVVEE DDEEII

SSOOGGGGEETTTTII AAUUTTIISSTTIICCII

Ida Basso - Romeo Lucioni

AUTISMO, SCUOLA E FORMAZIONE CONTINUA

La complessità della società moderna impone, all'inizio del terzo millennio, un approccio

differente di fronte alla cultura, all'educazione ed alla necessità di formazione poiché ha

portato a dover affrontare seriamente anche il tema della casualità che ancora sembra

sfuggirci o cerchiamo, istintivamente, di allontanarlo dalla nostra struttura mentale.

Resta poi la difficoltà derivata dal continuo e, a volte, assillante esplodere delle conoscenze

che progredisce vertiginosamente con la concorrenza tra stampato e telematico che prospetta

la possibilità, quasi megalomanica, di arrivare a diffondere le nuove idee nel momento stesso

in cui si producono o, addirittura, si stanno progettando.

Tutti possiamo sperimentare che la conoscenza si trasforma nel giro ormai di pochi mesi

proprio perché siamo sempre più abituati ad ampliare la ricerca in vari paesi (informazione

globale) ed anche ad aspettarci di trovare editato proprio ciò che si sta ancora dibattendo.

Solo una apertura mentale che permetta l'accettazione di diversi punti di vista e

l'accoglimento di esperienze multidisciplinari (con il conseguente dilatarsi della cultura) può

sviluppare un perfezionamento continuo.

Sotto tali imputs la formazione diventa formazione continua e solo questa può aspirare ad

essere considerata formazione integrale di qualità.

L'educazione, quindi, come paradigma di sviluppo e di crescita , basa ormai la sua qualità

fondamentale sulla circolazione del conoscere e ogni Centro Educativo, di qualsiasi livello,

deve costituirsi, in questo contesto, come scenario critico e di dibattito.

Quando si affronta un autistico (disturbo pervasivo dello sviluppo) bisogna ricordare che si

tratta di un disabile grave, lavorando con il quale non si possono aspettare risposte scontate

o automatiche, né riferibili ad auto-apprendimento.

PROBLEMI DA AFFRONTARE

- difficoltà a motivare il disabile

- disturbi comportamentali

- ritiro autistico

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- ipercinesie

- crisi di frustrazione con: ipertono

- pianto

- grida

- instabilità

- agitazione

- irrequietezza

- irritabilità

- uso ossessivo, indiscriminato e afinalistico degli oggetti

- imposizione della propria presenza che presuppone il desiderio di distogliere

compulsivamente l'altro dalla sua occupazione

- attenzione centrata su ciò che ha scelto senza rispettare il significato

dell'informazione globale che viene dal setting

- difficoltà a strutturare autonomie

- impossibilità di apprendere dall'esperienza

- scarsissima motivazione a comunicare (espressione e comprensione) poiché manca

una corretta intenzionalità relazionale

- assenza di mimica, gestualità e sguardo diretto

- condotta di evitamento e di chiusura relazionale

LAVORO DI RETE:

- Scuola - Consiglio d' Istituto, Consiglio di Classe, insegnanti curriculari e di

sostegno

- Centro di informazione e di sostegno per l'handicap

- Genitori

- ASL

- Comune - obiettore di coscienza o altro sostegno

- Centro specializzato per la terapia

- Associazioni di volontariato sociale

OBIETTIVI DEL LAVORO DI RETE:

- terapia: raggiungimento dei pre-requisiti per l'inserimento nella scuola e supporto

alle famiglie

- sostegno: acquisizione di pre-requisiti scolastici per l'inserimento nella classe

- supporto all'handicap: erogazione di formazione e di aiuto ai docenti ed ai

famigliari

- genitori: disponibilità ed assoluto supporto al lavoro di rete

- volontariato: disponibilità all'inserimento sociale e aiuto per la realizzazione degli

obiettivi (trasporto, ecc.)

- ASL e Istituzioni: aiuto sugli obiettivi

LUOGHI E TEMPI DI LAVORO:

- nel centro per la terapia

- nella scuola

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- nel doposcuola

- negli spazi sociali

MODALITÀ DI ATTUAZIONE

- presa in carico globale (non assistenziale, né terapeutica, ma educativa)

- valutazione individualizzata:

età cronologica

linguaggio

psicomotricità

disegno spontaneo

tenuta

iniziativa

- individuazione di aree di intervento per stilare un programma educativo

NEL LAVORO CON GLI AUTISTICI RICORDARE:

- gli affetti circolano meglio dei concetti;

- bisogna tenere sotto controllo il funzionamento psichico:

notare i moti affettivi

riconoscere come fatti ordinari diventino motivo di reazioni inspiegabili;

mantenere un'attenzione tenace alle sfumature, ai piccoli segni, agli

spostamenti anche inavvertiti degli oggetti;

avvertire situazioni esterne, interne o transferali per sottolineare le emozioni

che provocano l'isolamento;

essere propositivi e direttivi (senza titubanze) senza accettare capricci o

imposizioni esagerate;

non accettare né sottovalutare espressioni autolesive o aggressive: usare il NO

- ricordare che, ogni qual volta l'autistico cerca di uscire dal suo stato, le parti più

primitive e vulnerabili dell'Io entrano in contatto con oggetti e con le altre parti più

robuste, determinando uno stato di estrema delicatezza e vulnerabilità;

- l'autistico ha preclusa, in sé, la capacità di simbolizzare per cui deve sempre

tornare all'esperienza concreta per creare proto-pensieri e/o pensieri;

- in questi bambino è cruciale il sentimento di trovarsi di fronte ad un Altro

Onnipotente; a qualcuno "immensamente forte" che determina la sensazione

profonda ed angosciante della possibilità di essere "annientato".

LA SCUOLA E L'AUTISMO - PRESUPPOSTI TEORICI

- lo sviluppo cognitivo presuppone una adeguata crescita delle funzioni psico-mentali

supportate dalla relazione e dalla socializzazione;

- il compito educativo-formativo risulta arduo se non sono stati raggiunti precisi pre-

requisiti attraverso una adeguata terapia;

- lo sforzo educativo deve integrarsi in un lavoro compartecipato con la famiglia, le

istituzioni e l'intervento terapeutico.

FORMAZIONE DEGLI INSEGNANTI

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- essere allenati ad una osservazione clinica per ricercare le necessità sulla

base di una valutazione diagnostica strutturale e funzionale; - cercare le migliori strategie su base relazionale che permettano lo sviluppo

dell'autocoscienza e dell'autovalorizzazione; - disegnare interventi finalizzati alla stimolazione sensomotoria,

all'integrazione emotivo-affettiva, al sostegno ed al raggiungimento di una

autonomia personale e sociale; - "aprire le porte al cognitivo" attraverso l'acquisizione di:

senso di sé e delle proprie potenzialità funzionali;

autosoddisfazione (giocare per giocarsi!)

autocoscienza ed autovalorizzazione;

- sviluppare ed armonizzare il contesto perché risulti mediatore di cultura nello

sviluppo affettivo, sociale e cognitivo;

- porre enfasi sulle potenzialità psico-mentali (meccanismi psichici) e sulle

competenze cognitive (strategie di apprendimento) come mezzi per raggiungere

l'autonomia e risaltare le potenzialità;

- conquistare e sviluppare i processi cognitivi insiti nell'autonomia personale e sociale

e nella qualità di vita.

Il "mestiere" di insegnare non è facile e occorre esercitarlo:

- con disponibilità

- con gratificazione

- ricordando il fine (cosa si vuole ottenere)

- ed il metodo (come ottenerlo)

- cercando di adeguarsi alle esigenze di ogni alunno

- procedere per nodi e per mappe, in cui il prima ed il dopo abbiano un significato di

"diversità"

- attuando una didattica di percorsi (preparati e studiati) che prevedano anche

cambiamenti di "sceneggiatura":

accogliendo i suggerimenti espliciti ed impliciti degli alunni;

intervenendo a proporre e a determinare cambiamenti di quelli da loro

proposti.

Attraverso la ricerca di soluzioni didattiche concrete, modificabili, creative ed interattive è

importante:

cercare sempre di:

attirare e dirigere l'attenzione

stimolare la tenuta

sviluppare l'iniziativa

accrescere la conoscenza

favorire la memorizzazione

coordinare l'apprendimento

sottolineare i successi con la gratificazione.

evitare:

la noia;

la perdita di novità e di prospettiva (c'è sempre qualcosa di nuovo)

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la pigrizia

la delusione

la rinuncia

attraverso soluzioni didattiche concrete, modificabili, creative ed interattive.

LA CREATIVITÀ

La creatività nell'insegnamento rispecchia la realizzazione duttile ed interattiva di un

percorso che non perda di vista gli obiettivi; comporta l'uso di strumenti "rigorosi" sulla base di

una "… appropriazione profonda delle competenze" e di un raggiunto equilibrio tra norma e

trasgressione.

Non è l'obiettivo dell'insegnamento, ma uno dei mezzi per raggiungerlo e necessita di:

rimozione di insicurezze, paure, proiezioni, emozioni ed affetti negativi;

capacità di combinare modelli diversi (teoria di Vigotsky);

possibilità di accettare la sfida cognitiva di situazioni-problema: pensiero

produttivo (concezioni neo-piagetiane).

Valutazione, in termini formativi e sommativi, per strutturare:

capacità di crearsi un repertorio di modelli testuali e di strategie comunicative da

utilizzare in contesti differenti;

capacità di sperimentare e di cimentarsi;

soddisfazione nel risolvere situazioni-problema.

L'alunno diventa un costruttore attivo di un apprendimento individualizzato e collaborativo,

favorito dalla flessibilità: gioco-studio-lavoro

utilizzando:

scrivania personale;

luoghi finalizzati all'educazione.

determinando un rapporto che:

crea un modello di identificazione psicologica con il docente (O.K.);

raggiunge una consapevolezza epistemica;

acquista competenza "narratologica".

Sviluppando:

autovalutazione;

autovalorizzazione.

LA SCUOLA NEI CONFRONTI DEGLI AUTISTICI

Può godere di situazioni favorevoli:

diagnosi precoce

terapia adeguata ed iniziata al più presto

lavoro di rete (supporti ed interventi protesici)

genitori attivi e collaboranti

valide strutture (ambienti adeguati ad un lavoro autonomo di

stimolazione sensomotoria e di integrazione emotivo-affettiva)

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Deve adeguarsi a situazioni sfavorevoli:

imposizione di un funzionamento prescrittivo rigido

limitazioni ed insufficienze per un apprendimento naturale

mancato sviluppo delle potenzialità psico-mentali sulla base di una scarsa

maturazione strutturale e funzionale (destrutturazione della coscienza e

impossibilità alla rappresentazione simbolica).

Valuta i risultati tenendo conto di:

strutturazione e rispetto del metodo

pianificazione delle attività

integrazione delle diverse figure educative

relazione con il Centro per la terapia specifica per il controllo del

raggiungimento dei pre-requisiti per l'inserimento nella scuola

interazione con il Centro di Sostegno Handicap

valutazione dei risultati su obiettivi parziali di integrazione e di

socializzazione

controllo del raggiungimento dei pre-requisiti

PREREQUISITI PER L'INSERIMENTO SCOLASTICO DEVONO ESSERE RAGGIUNTI

MEDIANTE L'INTERVENTO TERAPEUTICO

CAPACITÀ DI

relazione con diverse figure di riferimento

integrazione in piccoli gruppi di coetanei

tenuta sul lavoro

concentrazione sugli obiettivi

possibilità di cambiamento delle attività e degli esercizi

sviluppo psicomotorio (coordinare i movimenti, correre, saltare, ecc.)

controllo dei bisogni fisiologici

INSERIMENTO SCOLASTICO:

A- inserimento nella scuola

B- inserimento nella classe

A - Nel primo anno è fondamentale favorire un corretto inserimento nella scuola

abituando il bambino a rispettare le regole, a lavorare, ad avere tenuta sui compiti, ad

integrarsi nel gruppo dei coetanei.

Tale lavoro è svolto principalmente dall'insegnante di sostegno che deve stabilire con il

disabile un rapporto diretto, fungere da "Io-ausiliario" e quindi essere punto di riferimento ed

"O.K." - ponte affettivo per poter sviluppare le potenzialità ed acquisire le capacità affettivo-

relazionali e cognitivo-intellettive

La relazione comincia con una sola persona (insegnante di sostegno) nell'edificio scolastico.

SVILUPPARE:

apprendimento naturale , quello cioè generato spontaneamente dal contesto sociale;

situazioni favorenti l'acquisizione di contenuto e di significati;

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attività spontanee come:

gioco che guida atteggiamenti esplorativi e di verifica della realtà e delle

potenzialità individuali;

imitazione che favorisce l'emulazione dei modelli;

narrazione che valorizza la relazione e stimola la memorizzazione.

uso di esercizi intrapresi con:

spirito ludico (fattore b)

sfida intellettuale (fattore c)

per creare strategie testuali sempre più complesse e combinabili (fattore a).

OBIETTIVI:

1- raggiungere l'autonomia

lavarsi le mani, i denti, il viso

vestirsi da solo

allacciarsi le scarpe (fare nodi)

attraversare la strada da solo

usare le forbici

incollare

usare la cucitrice

leggere l'ora sull'orologio

conoscere il significato e l'uso dei soldi

saper accompagnare e aiutare a fare la spesa

abituarsi all'uso dei mezzi pubblici (scuolabus, tram, metropolitana, ecc.)

2 - sviluppare l'autocoscienza e l'autovalorizzazione

dire il proprio nome

rispondere ai richiami

saper ubbidire

lavorare da solo ed in piccoli gruppi

osservare e riconoscere i colori della realtà

sviluppare la coordinazione fine ed il coordinamento oculo-manuale

colorare dentro i margini

usare le lettere come gioco e copiare qualche parola (esercizi di grafismo)

ricostruire puzzle di 8-10 pezzi

riconoscere ed usare il ritmo

3 - ordinare e collocare nel tempo fatti ed eventi

riconoscimento delle sequenze temporali (prima, ora, dopo)

comprendere la successione ciclica del tempo: giorno, settimana, mese, stagione,

anno

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cogliere la contemporaneità dei fatti

ordinare e collocare nel tempo fatti ed eventi

recupero della storia personale

ricostruzione della storia familiare

strutturazione del valore della quotidianità attraverso la creazione di un diario dove

ricordare gli accadimenti personali, le piccole storie dei compagni e della scuola, gli

avvenimenti sportivi (le vittorie e le sconfitte) e sociali (gli artisti, i personaggi, i punti

di riferimento, le località di villeggiatura o mete turistiche)

valorizzazione delle date da ricordare

4 - orientarsi nello spazio

prendere coscienza che i corpi occupano uno spazio

sviluppo del senso spaziale

riconoscere la propria posizione rispetto agli oggetti

topologia (sopra-sotto, dentro-fuori, ecc.)

conoscere i diversi ambienti dell'edificio scolastico

riconoscere la provenienza di un suono

5 - promuovere un'educazione motoria e socio-relazionale

riconoscere e denominare ciascuna parte del corpo

assumere posture su imitazione

attività ludico-educativa con cerchi

palle di diversa dimensione usate con le mani e con i piedi

cuscini

veli

attività sportive come basket

pattinaggio

ginnastica ritmica

gioco del pallone

attività ippoterapica

inserimento socializzante (gite, uscite con persone diverse, attività creative)

6 - considerare anche:

religione

spiritualità

esperienza del sacro (suo ruolo nello sviluppo, nella trasformazione e nella coesione

del Sé)

USO ATTIVO DEGLI SPAZI RICREATIVI:

la ricreazione diventa, durante l'anno di "inserimento nella scuola" un tempo operativo

importantissimo per cui il docente di sostegno deve essere sempre attivamente presente (sue

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ore di lavoro) per poter essere un costante punto di riferimento ed un aiuto a risolvere tutti i

problemi che possono sorgere nella relazione con i compagni

USO ATTIVO DEL TEMPO MENSA:

stare a tavola insieme ai compagni diventa un momento educativo sia come spazio

relazionale, che come possibilità per apprendere l'uso degli oggetti specifici; per questo motivo

anche in questi tempi deve essere presente (rapporto 1/1) il docente di sostegno (sue ore di

lavoro)

PREREQUISITI PER L'ACCESSO AL PRIMO ANNO DI CLASSE:

accesso alla produzione orale, scritta e grafica

accesso alla lettura

accesso alla matematica

memorizzazione

trasmissione di informazioni

esercitazioni e problem solving

tenuta sugli obiettivi

rispetto dell'ordine e degli ordini

VALUTAZIONE COLLEGIALE DEI RISULTATI NEL RISPETTO DEL METODO

che prevede:

- "sapere" come costruzione personale basata sui vissuti e sulle esperienze;

- apprendimento attivo e creativo che, quindi, é più supportato e guidato che

prescritto;

- partecipazione collaborativa, interattiva ed integrativa, basata sugli aspetti

culturali, sociali e relazionali per favorire lo sviluppo cognitivo armonico.

B - a partire dal secondo anno si attua il vero inserimento nella classe cominciando a

svolgere il programma ministeriale del primo anno del corso regolare. Il lavoro sarà eseguito

dalle docenti curriculari con l'ausilio dell'insegnante di sostegno.

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4466)) SSttoorriiaa ddii ssccuuoollaa,, iinntteeggrraazziioonnee ee hhaannddiiccaapp

Rosà , lì 15/12/2000

Quasi tutte le persone, nell'approssimarsi del Santo Natale fanno sempre buoni propositi, si

pensa o si cerca di diventare più buoni, più disponibili verso gli altri, ma troppo spesso queste

buone intenzioni si spengono nell'arco delle Feste.

Mia moglie ed io, con questa nostra lettera desideriamo parlare di una bella storia di

Integrazione e di Handicap e ringraziare tante persone che non attendono il Natale per fare atti

di Bontà e disponibilità verso il prossimo.

I protagonisti di questa storia, sono una dolcissima bambina extracomunitaria appena giunta

in Italia, che chiameremo Carla ed un bellissimo bambino Autistico che chiameremo Andrea.

Carla viene da un paese lontano e non parla Italiano, Andrea è Italiano ma vive in un Mondo

ancora più lontano, è un bambino Autistico che ancora non parla e comprende solo pochissimi

messaggi verbali e per questo vive in un mondo isolato dagli altri.

Dall'inizio dell'Anno Scolastico 1999/2000, Andrea attua una Sperimentazione (derivata dal

Metodo Statunitense T.E.A.C.C.H) che utilizza segnali visivi, soprattutto cartelli con disegni che

gli strutturano la giornata e gli presentano visivamente tutti i bisogni primari di cui necessita

(bagno, pranzo etc).

Andrea e Carla sono nella stessa Classe, Carla che non sa parlare l'Italiano ed è arrivata un

mese dopo l'inizio dell'anno scolastico, inizia ad usare i Cartelli di Andrea per esprimere i propri

bisogni e si avvicina incuriosita a questo bambino strano ed inizia a mandargli messaggi

gestuali e di espressività che Andrea sembra comprendere ed accettare volentieri, inizia a

seguirlo e ad indirizzarlo come saprebbe fare solo una esperta pedagogista, lo prende per

mano, gli fa fare la fila con gli altri bambini ed ora che inizia a parlare la nostra lingua, gli parla

con estrema semplicità e Andrea sembra che capisca questi messaggi della piccola amica ed

anche i compagni di Classe (non è facile a 6 anni comprendere l'Handicap), grazie a questa

bambina, si sono avvicinati al loro compagno sfortunato dando così un vero senso compiuto

alla Legge sull'Integrazione dell'Handicap nella scuola.

…….. in questa nostra lettera pubblicata anche dal "Gazzettino" seguivano poi una serie di

ringraziamenti a persone ed enti che ci hanno aiutato e che spero continueranno farlo.

Sonia e Roberto Rusticali

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Abbiamo volutamente creato due diverse finestre per pubblicare Articoli sull’Autismo; una

che contenga Articoli di tenore Scientifico e l’altra dove pubblicare Riflessioni e articoli che

trattano l’Autismo da un punto di vista più “ sociale “

In questa Finestra ARTICOLI SCIENTIFICI SULL’AUTISMO, pubblichiamo, solo Articoli che

trattino temi scientifici sull’Autismo, recuperati sempre da Libri, giornali, linkati da Internet o

inviateci da Medici, Operatori e Genitori.

Abbiamo inoltre sempre la speranza di poter avere il piacere di pubblicare Articoli scritti per

noi da qualche ricercatore Italiano a cui abbiamo inoltrato la richiesta.

4477)) NNuuoovvee SSccooppeerrttee GGeenneettiicchhee ssuullll’’AAuuttiissmmoo

L’Associaziona Nazionale per la Ricerca sull’Autismo (NAAR) e’ la prima organizzazione negli

Stati Uniti dedicata a finanziare e accelerare le ricerca biomedica in direzione dei disturbi dello

spettro autistico.

Fondata nel 1994 da genitori di bambini con autismo preoccupati dal limitato volume di fondi

disponibili per la ricerca sull’autismo, NAAR e’ stato creato in uno spirito di ottimismo e

entusiasmo per la possibilita’ di accelerare il passo della ricerca sull’autismo.

Questo spirito continua a guidare l’organizzazione ancora oggi, grazie ai recenti progressi

nelle neurologia e in altri campi della scienza. NAAR e’ un’associazione di tipo 501 © - I

contributi sono deducibili dalle tasse.

La ricerca finanziata inizialmente da NAAR ha avuto un ragguardevole impatto sulla ricerca

sull’autismo negli Stati Uniti, Canada e Europa ed e’ stato perno, fulcro nel far confluire piu’ di

37 milioni di dollari in ricompense per la ricerca sull’autismo da parte degli Istituti Nazionali

della Ricerca (NIH) e altre fonti di sovvenzione.

Ricercatori finanziati da NAAR annunciano una scoperta

I Ricercatori dell’UMDNJ James Millonig & Linda Brzustowicz allo studio di un possibile

collegamento cervelletto-autismo

7 novembre 2003

Il ricercatore Dr. James Millonig, finanziato da NAAR, dell’Universitá di Medicina e

Odontoiatria del New Jersey (UMDNJ) a Piscataway, NJ, ha reso noto oggi al convegno

dell’American Society for Human Genetics a Los Angeles i risultati del suo studio che

suggerisce un possibile collegamento tra il gene ENGRAILED 2 e l’autismo.

Il Dr. Millonig ha ricevuto nel 2003 un premio di centoventimila dollari per il suo progetto,

"Studying Mouse Cerebellar Development as a Tool to Identify Autism Susceptibility Genes",

che é in relazione con il suo lavoro sul gene ENGRAILED 2. Il dottor Millonigsta collaborando a

questo progetto con una ricercatrice finanziata da NAAR all’UMDNJ, Dr. Linda Brzustowicz, che

di recente ha fatto confluire i dati del suo studio pilota finanziato da NAAR nel 2000 in un

progetto piú ampio del National Institute of Mental Health.

"Science magazine" ha riportato l’annuncio del dottor Millonig al convegno dell’American

Society for Human Genetics nell’edizione di oggi.

da "Science Magazine"Variante genetica collegata all’autismoGenetisti hanno trovato prove

che implicano un gene dello sviluppo nell’autismo, come hanno annunciato oggi al congresso

annuale American Society of Human Genetics a Los Angeles. Sebbene non sia noto quale sia il

XII. Articoli scientifici sull'Autismo

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ruolo della variante del gene, il risultato dá sostegno all’idea che qualcosa vada storto durante

lo sviluppo cerebrale.

"E’ davvero un risultato incredibile," dice Eric Courchesne dell’Universita’ della California,

San Diego. "Se replicato, potrebbe condurre a nuove tecniche di individuazione precoce." Dato

che i sintomi spesso cominciano ad apparire verso i due anni, molti genitori hanno incolpato i

vaccini somministrati ai bambini. Gli scienziati si sono invece resi conto che c’é in questi

bambini qualcosa di insolito anche prima.

Courchesne, per esempio, ha mostrato che il cervello autistico é giá anormale fin dai primi

mesi di vita. Bambini con autismo di solito mostrano anomalie al cervelletto, una regione che é

coinvolta in molti processi che nell’autismo sono anormali, quali la capacitá di controllare

l’attenzione.

Il collegamento cervelletto-autismo ha interessato Jim Millonig, un genetista di topi

all’Universitá di Medicina e Odontoiatria del New Jersey a Piscataway. Sapeva che nei topi un

gene chiamato ENGRAILED 2 é coinvolto nello sviluppo del cervelletto. Inoltre negli esseri

umani il gene e’ localizzato in una regione cromosomica denominata 7q, che altri studi hanno

collegato all’autismo.

Millonig ha collaborato con Linda Brzustowicz della Rutgers University per identificare

variazioni di geni in un insieme di dati chiamato "Autism Genetic Resource Exchange (AGRE)".

Dopo aver preso in esame 167 famiglie con almeno due bambini con autismo, hanno trovato

che la probabilitá di ereditare una forma particolare di ENGRAILED 2 era doppia nei bambini

autistici rispetto ai bambini non autistici.

Non é ancora chiaro che ENGRAILED 2 aumenti il rischio di autismo, avverte Millonig, ma

suggerisce che una versione del gene o del DNA a lui vicino sia coinvolto. Il team sta ora

cercando di replicare il risultato su un insieme di dati di 365 famiglie.

"Questo gene potrebbe essere un buon candidato", dice la genetista specializzata

sull’autismo Margaret Perivak-Vance della Duke University Medical Center a Durham, Carolina

del Nord. Ma avverte anche che non é stato possibile replicare molti geni candidati. (Uno studio

pubblicato in precedenza quest’anno non ha trovato nessun collegamento tra ENGRAILED 2 e

autismo). Inoltre l’autismo probabilmente viene causato da un numero tra 2 e 10 di geni.

Millonig é d’accordo. "Questo é solo un tassello del mosaico".

Fondata nel 1994, l’Associazione Nazionale per la Ricerca sull’Autismo (NAAR) é la prima

organizzazione non-profit nel Paese che si dedica a finanziare e accelerare la ricerca biomedica

sui disturbi nello spettro autistico. L’organizzazione é sorta dall’iniziativa di genitori di bambini

affetti da autismo preoccupati dai fondi limitati per la ricerca sull’autismo. Ad oggi, NAAR ha

distribuito 14,9 milioni di dollari in concessione in progetti della ricerca biomedica nel mondo

che cercano di individuare le cause, la prevenzione, trattamenti efficaci e da ultimo delle cure

per i disturbi nello spettro autistico. ‘Walk F.A.R. for NAAR’ é la sigla della raccolta fondi

dell’organizzazione e di eventi per la sensibilizzazione sull’autismo che si tiene annualmente in

numerose comunita’ negli Stati Uniti. Inoltre NAAR ha partecipato a stabilire il Programma

"Autism Tissue", un programma organizzato dai genitori per la donazione di tessuti cerebrali in

favore della ricerca sull’autismo.

4488)) CCoonnoosscceerree ppeerr ccuurraarree

L’affermazione: “Conoscere per curare” è il principio che guida la medicina moderna.

E’ vero che certe scoperte importanti, come quella degli antibiotici, sono state fatte grazie a

colpi di fortuna, ma è anche vero che, se si vuole migliorare la cura di una malattia,

programmando una ricerca seria, finalizzata ad una maggiore conoscenza della stessa, si ha

una probabilità di arrivare a risultati utili molto maggiore che sperando nel colpo di fortuna,

così come, se ci si vuole arricchire, si ha una probabiltà di successo molto maggiore lavorando

assiduamente che giocando al lotto.

Per quanto riguarda l’autismo, dal momento che alle radici dello stesso ci puo’ essere

soltanto un difetto biochimico, è plausibile ipotizzare che, in un futuro, sperabilmente

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prossimo, ci possano essere scoperte di biologia molecolare che rendano possibile una terapia

chimica radicale, che combatta le cause dell’autismo. Allora non saranno più necessari gli

strenui sforzi abilitativi oggi necessari per ottenere qualche risultato .

Questo è un auspicio di tutti, ma chi ha a che fare con una persona affetta da autismo, non

può aspettare un futuro più o meno probabile. Deve agire nel presente. E allora quali

conoscenze già acquisite e consolidate possono essere di aiuto per una terapia non solo

empirica, ma basata su salde conoscenze oggettive e non confutabili?

Ritengo che il contributo dato da Gilbert Lelord e dal suo gruppo dell’Università di Tours

abbia questi requisiti.

La ricerca iniziata da Lelord una cinquantina d’anni fa si è proposta di andare oltre

l’osservazione dei sintomi per capire cosa stia in profondità a determinarli. Dalla comprensione

dei meccanismi patogeni Lelord ricava uno stile educativo che è frutto non di convinzioni

aprioristiche, ma di dati oggettivi, accuratamente depurati di ciò che proviene dal pregiudizio,

dalla profezia di molti ciarlatani che sempre si autoavvera.

Non possiamo ancora parlare di terapie chimiche risolutive, ma di un’abilitazione che

discende come logica conseguenza dalla conoscenza delle disfunzioni elementari che stanno

alla base dei comportamenti anomali dei soggetti autistici.

Ricordiamo che la terapia riabilitativa ha un’efficacia determinante in diversi campi della

medicina, come è ampiamente documentato per i pazienti colpiti da ictus cerebrale, per i quali

una riabilitazione ben condotta significa la possibilità di riconquistare l’autonomia e una buona

qualità di vita.

In attesa di terapie più risolutive, è bene conoscere gli studi del gruppo francese che tanto

aiutano nella comprensione dei comportamenti autistici, che paiono meno strani e più

suscettibili di modificazione se riusciamo a capire in profondità ciò che li determina.

Uno dei primi problemi che Lelord e Sauvage si sono posti è il seguente: l’ interazione

sociale e la comunicazione sono funzioni estremamente complesse, che richiedono l’integrità di

funzioni mentali più semplici tra loro integrate. Quali tra queste funzioni elementari sono

carenti e quindi determinanti nella mancata acquisizione delle funzioni più complesse?

Un altro quesito è il seguente: quando e come iniziano realmente i disturbi autistici, così

evidenti a partire dall’età di tre anni, ma spesso notati con preoccupazione molto prima dalle

mamme che, erroneamente, vengono tranquillizzate da parenti ed amici e, spesso, anche dal

pediatra?

Per rispondere a questi interrogativi in modo oggettivo i ricercatori francesi si sono procurati

un consistente numero di filmati girati dai genitori nel primo e nel secondo anno di vita, in

occasioni come Natale, Pasqua, altri momenti di festa, e in particolare in occasione del primo

bagnetto e del primo compleanno.

Fin dalle prime settimane di vita sono state notate delle anomalie del comportamento del

tipo:

-il bambino pare “floscio”, o talvolta “rigido”;

-quando viene preso in braccio; ha uno sguardo strano;

-non ha contatto oculare diretto; non segue con lo sguardo oggetti o persone in movimento;

-è indifferente alle attenzioni altrui, oppure piange quando qualcuno si occupa di lui;

-non reagisce alla voce.

Non accontentandosi di un’osservazione generica, Sauvage ha messo a punto una griglia

d’osservazione standardizzata nella quale le varie voci esaminano le funzioni elementari della

mente, già ben sviluppate fin dalla nascita nei bambini normali e ben visibili ad un occhio

esperto quando carenti. Le funzioni elementari che costituiscono le pietre miliari del

funzionamento della mente sono state individuate nelle seguenti: attenzione, percezione,

associazione, intenzione, tono muscolare, motricità, imitazione, emozione, contatto,

comunicazione, cognizione e istinto.

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Con questa metodologia rigorosa Sauvage ha cominciato ad esaminare i filmati dei bambini

poi diagnosticati autistici, ma, cammin facendo, si è posto un altro problema: la conoscenza

dell’evoluzione patologica del bambino in esame poteva influenzare l’esaminatore il quale

tendeva a vedere anomalie comportamentali sempre e comunque per confermare l’ipotesi di

partenza. Ha quindi perfezionato la tecnica d’osservazione mescolando insieme filmati di

bambini normali e di autistici e li ha dati da esaminare a valutatori che non conoscevano se il

filmato che stavano vedendo appartenesse ad un bambino normale o ad un bambino autistico.

Ha programmato cioè un piano di osservazione tale che eliminasse il pregiudizio, così come

si fa con la sperimentazione dei farmaci per distinguere l’effetto vero dall’effetto placebo,

ovvero dalla suggestione.

Con questa metodologia, davvero rara nelle ricerche di questo tipo, Sauvage ha potuto

constatare che negli autistici fin dai primi giorni di vita erano presenti disfunzioni rilevanti nelle

funzioni elementari della mente, in particolare nell’attenzione, percezione, associazione,

intenzione, imitazione, contatto e comunicazione. Queste disfunzioni, presenti già nel primo

anno, diventano ancora più evidenti nel secondo anno di vita, quando la differenza con i

bambini normali è del tutto evidente anche agli occhi delle persone non esperte.

Già da queste osservazioni discende anzitutto la comprensione di tanti comportamenti

anomali,che non appaiono più solo strani e bizzarri, ma risultanti da una disfunzione primitiva

di quelle funzioni elementari che sono le pietre miliari del funzionamento e dello sviluppo della

mente.

Già la conoscenza diminuisce l’ ansia e la paura dell’educatore, dà una chiave di lettura dei

comportamenti, permette la tolleranza di ciò che è impossibile cambiare e pone le basi per una

educazione personalizzata intesa come abilitazione delle funzioni carenti facendo leva su

quelle meno compromesse, in analogia a quanto si fa con successo per i pazienti colpiti da

ictus cerebrale.

Un altro strumento utilizzato dai ricercatori francesi per un’osservazione oggettiva, pulita

dall’effetto suggestione, è stato l’uso sistematico dell’elettroencefalogramma (EEG), usato non

nel modo tradizionale, come per rilevare patologie grossolane tipo l’epilessia, ma per studiare,

nel modo oggettivo che solo una macchina può garantire, le basi del funzionamento della

mente in condizioni di laboratorio, cioè in condizioni rese appositamente più semplici e più

quantificabili di quanto sia possibile nella vita reale.

La prima condizione studiata è stata la seguente: l’attività elettrica cerebrale in condizioni di

riposo e di allerta.

Nel soggetto normale che tiene gli occhi chiusi l’EEG registra onde elettriche ampie, dette

onde alfa. All’apertura degli occhi queste onde scompaiono e vengono sostituite da ondine

molto più piccole e veloci. Il cambiamento è istantaneo e la differenza tra le onde elettriche in

condizioni di riposo e di allerta è evidentissimo.

Cosa succede agli autistici? A occhi chiusi le onde di riposo sono molto meno ampie e

all’apertura degli occhi il cambiamento è molto meno evidente. Abbiamo quindi onde di riposo

meno ampie e onde di allerta più ampie rispetto al soggetto normale, quasi che il soggetto

autistico stenti sia a rilassarsi che a stare sveglio e attento.

Chi ha dimestichezza con persone affette da autismo riconosce quanto questa condizione,

documentata in laboratorio, sia presente e fonte di disagio nella realtà quotidiana per l’autistico

e per chi gli sta vicino. Egli ha difficoltà sia a rilassarsi che a mantenersi in una normale

situazione di allerta, che gli permetta di essere attento al mondo che lo circonda. Si trova in

una situazione di permanente eccitazione che impedisce sia il rilassamento che

l’apprendimento, mentre l’equilibrio mentale è fatto di alternanza di momenti di rilassamento e

di attenzione.

Già da questa semplice osservazione di laboratorio emergono delle indicazioni abilitative: se

il soggetto autistico stenta ad alternare momenti di rilassamento ad altri di allerta, bisogna

favorire questa alternanza.

Per ogni soggetto bisogna trovare anzitutto cosa ne favorisce il rilassamento.

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Ognuno di noi è diverso dagli altri e ha le sue peculiarità e questo vale anche per i soggetti

con problemi, ma alcuni consigli possono valere per la generalità dei casi. L’attività fisica, la

ginnastica costituiscono uno sforzo che successivamente ha un grande potere rilassante.

Questa è un’osservazione di buon senso in quanto tutti noi ci scarichiamo dalle tensioni con

una bella camminata o, meglio, con una bella corsa, ma ha anche basi statistiche, esperienziali

e laboratoristiche. Nella grande banca dati di Bernard Rimland un’altissima percentuale di

genitori asserisce che il comportamento dei figli autistici migliora dopo attività fisica vigorosa:

“vigorous exercise”. Temple Grandin dice che l’attività fisica esercita su di lei una potente

azione sedativa sull’ansia, sul panico e sull’iperestesia dei sensi. Lelord , nel suo laboratorio,

ha notato che, in esperimenti su animali, le attività elettriche cerebrali provocate da uno

stimolo doloroso sono come cancellate dall’esecuzione di un movimento.

Tornando all’abilitazione, sappiamo che le capacità motorie, almeno quelle grossolane, sono

ben sviluppate negli autistici e vanno quindi utilizzate anche a scopo rilassante. Nel

programma di vita del soggetto va quindi dato ampio spazio all’attività fisica che deve essere

alternata a momenti di apprendimento e abilitazione.

Un’altra conseguenza che si ricava da quanto sopra è l’opportunità di far acquisire il

maggior numero di abilità: ciclismo, pattinaggio, nuoto, sci, monopattino, skateball e chi più ne

ha più ne metta. Questo per evitare la noia di attività troppo spesso ripetute.

Ogni educatore troverà per il suo educando altri modi che favoriscono il rilassamento: ad

esempio permettere, anzi favorire, momenti nei quali il soggetto può stare al buio, in silenzio,

in assenza di stimolazioni, sdraiato, magari dondolandosi, attività molto praticata dai soggetti

autistici, e che ha, secondo Lelord, un’azione sedativa sul dolore e sull’ansia e che pertanto

non va inibita, ma se mai utilizzata, oltre che a scopo rilassante, anche come premio dopo

attività impegnative e faticose.

Anche la permanenza in acqua, magari in una vasca da bagno dotata di idromassaggio, ha

un effetto rilassante per molti. Alcuni autistici amano ascoltare musica e anche questa può

essere utilizzata per favorire il rilassamento. Naturalmente ogni educatore deve trovare per il

suo educando ciò che funziona e utilizzarlo al momento opportuno. Lelord invita anche a non

pensare soltanto alla produttività. Spesso, infatti, presi dall’ansia di insegnare ciò che il

bambino non ha imparato, per colmare le gravi differenze tra ciò che è e ciò che

comporterebbe la sua età anagrafica, siamo portati a strafare, a pretendere che il bambino ci

segua in un percorso abilitativo intensivo, senza pause, e otteniamo come risultato lo

scatenamento di quei comportamenti indesiderabili che ben conosciamo.

Abbiamo parlato di alternanza di momenti di rilassamento e di attività, per cui, una volta

trovati i modi per favorire il rilassamento, dobbiamo poi alternarli a momenti di

apprendimento, ma anche per questi Lelord ci mette in guardia da certi luoghi comuni molto

diffusi.

Uno di questi dice che, quando un bambino presenta delle carenze, dei ritardi, bisogna

colmarli con un surplus di stimolazioni. Lelord ci insegna che il bambino autistico ha un difetto

costituzionale della capacità di attenzione e di percezione: ha difficoltà a focalizzare

l’attenzione nello spazio e a mantenerla nel tempo; si distrae per nulla e presta attenzione a

qualsiasi cosa succeda. Dimostra dispersione nell’interesse al mondo esterno perché ha

difficoltà a filtrare i messaggi, a mettersi in onda coi suoni. Riceve le stimolazioni deboli come

se fossero forti. Non dispone della modulazione di frequenza e rischia di essere angosciato e

sommerso dalla cacofonia dei rumori dell’ambiente. Ha una durata breve dell’attenzione e ha

difficoltà a comprendere discorsi complessi.

Da queste evidenze si possono derivare quali logiche conseguenze alcune pratiche

indicazioni abilitative. Se il bambino è tanto distrabile, l’ambiente in cui si svolge l’educazione

dev’essere privo di elementi distraenti, spoglio, silenzioso. Prima di iniziare una nuova attività,

è bene fare il vuoto, nascondere gli oggetti dell’attività precedente in modo da focalizzare

l’attenzione solo sugli oggetti che servono alla nuova attività. I rumori di fondo vanno tolti, per

quanto possibile. La musica di sottofondo, tanto piacevole per molti di noi, è dannosa per un

bambino che non ha la capacità di mettere uno stimolo nel sottofondo, che non è capace di

filtrare gli stimoli. O si fa attività di ascolto della musica o si fa un’altra attività in silenzio.

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Se il bambino ha scarsa motivazione, bisogna sfruttare al massimo tutto ciò che parte da

una sua iniziativa, anche se maniacale. Non parlare troppo. Usare poche frasi chiare, semplici e

verificare che siano state comprese.

I requisiti che secondo Lelord deve avere un buon educatore sono: tranquillità, reciprocità,

disponibilità. Sono requisiti auspicabili per ogni educatore, ma indispensabili nel caso che

l’educando sia autistico, in quanto la calma e la serenità favoriscono l’attenzione e la filtrazione

dei messaggi.

Questi principi, che discendono quale logica conseguenza da acquisizioni ricavate da

un’osservazione oggettiva di bambini piccolissimi e da osservazioni fatte in laboratorio con

l’aiuto dell’elettroencefalogramma, stanno a monte dei metodi abilitativi specifici che precisano

comportamenti e strategie educative. Danno una chiave di lettura dell’essere della persona

autistica in base alla quale l’educatore, nella varietà delle situazioni della vita , può trovare gli

atteggiamenti e i comportamenti di volta in volta utili per ottenere il massimo possibile dal suo

educando in termini non soltanto di rendimento, ma anche e prima di tutto di benessere.

Ricordiamo infatti che troppo spesso ci focalizziamo sui deficit, sulle scarse prestazioni, sullo

scarso rendimento delle persone affette da autismo, dimenticando che certi comportamenti

anomali e indesiderabili, come l’agitazione, l’irritabilità e le aggressioni, sono espressione di

disagio e di sofferenza e la cura di qualsivoglia malattia deve mirare prima di tutto a lenire la

sofferenza, che è presente ed evidente anche se gli autistici, avendo per definizione gravi

carenze nella capacità di comunicare, non sanno dirci con parole chiare: “Io sto male. Sono

agitato. Aiutami prima di tutto a calmarmi, a trovare un po’ di pace”

Daniela Mariani-Cerati

BIBLIOGRAFIA

-Barthélemy C., Hameury L., Lelord G.: L’autismo del bambino. Terapia di scambio e

sviluppo, Expansion Scientifique Française,. Paris, 1997

-Lelord G.: Metodi clinici, biochimici ed elettrofisiologici per il controllo delle terapie, Il

bollettino dell’ANGSA, anno secondo, gennaio-febbraio 1989, 5-12

-Lelord G., Sauvage D.: L’autismo infantile. Masson, Milano, 1994

-Lelord G.: L’exploration de l’autisme. Grasset, Paris, 1998

4499)) LLaa MMeettooddoollooggiiaa ddeellllaa RRiicceerrccaa

Il progresso della medicina moderna avviene mediante ipotesi di lavoro che solitamente

hanno una buona base razionale e che devono poi essere validate. Non è mai un ricercatore

geniale che fa l’ipotesi e poi la valida, ma è necessario lavorare in gruppo e confrontarsi con

altri gruppi. Il tutto in una dimensione mondiale. Chiunque faccia ricerca oggi deve conoscere

l’inglese, che consente di confrontarsi col resto del mondo.

Le riviste scientifiche hanno una funzione essenziale nel rendere di pubblica conoscenza ogni

risultato, anche negativo, tra coloro che coltivano una certa materia. In ogni rivista di prestigio

vi è un gruppo redazionale che seleziona gli articoli, in quanto vengono ammessi solo quelli che

osservano alcune regole condivise di correttezza metodologica.

Ogni ricercatore serio deve avere la correttezza e il coraggio di confrontarsi coi pari prima di

presentare le sue ricerche al pubblico. Ogni ipotesi deve passare attraverso quella discussione

internazionale tra pari che passa attraverso le riviste, i convegni e, oggi, le discussioni a

distanza in rete.

Purtroppo, parallelamente a questa ricerca, che va incoraggiata, supportata e aumentata, ne

sta venendo fuori un’altra, fatta da ricercatori che non rispettano le regole sopra descritte.

Fanno un’ipotesi, se ne innamorano, passano subito a proposte di terapia, trovano degli utenti

entusiasti e vendono nuove ipotesi patogenetiche e nuove terapie come se fossero non

ipotesi, non sperimentazioni, ma cause certe e terapie di documentata efficacia.

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I metodologi della scienza medica ritengono che, per documentare l’efficacia di una nuova

terapia, bisogna avere due gruppi simili; ad uno bisogna dare la terapia da provare, all’altro

una non terapia, il cosiddetto “Placebo”, cioè un farmaco finto che ha la stessa forma del

farmaco vero. Né il paziente o i suoi famigliari né il medico che lo segue devono sapere se il

paziente sta assumendo il farmaco o il placebo. Dopo un periodo prefissato viene fatto un

bilancio dei miglioramenti, se ci sono stati, sempre ignorando con che cosa il paziente è stato

trattato. Solo dopo avere fatto le valutazioni si aprono le buste dove sta scritto chi ha preso il

farmaco e chi il placebo. A quel punto interviene la statistica, che in base a formule

matematiche emette un giudizio: quante probabilità ci sono che la differenza fra i

miglioramenti conseguiti nel gruppo dei trattati col farmaco vero e quelli conseguiti col

Placebo sia significativa. Resta quindi sempre la possibilità (5 su cento oppure 1 su cento) che

il caso (la fortuna o la sfortuna) e non il farmaco abbia determinato quella differenza. Altri

studi successivi conforteranno o meno i primi risultati.

Questo metodo non è il frutto di una sorta di sadismo dei metodologi della scienza, che

vogliono far penare i malati in attesa della cura, ma è dettato dalla conoscenza della storia

della medicina, che ci mostra come per secoli si sono fatte terapie, convinti che fossero molto

utili, che in realtà o non servivano a niente o erano dannose. Si pensi ai salassi per lo

svenimento o per la polmonite, ma anche alla terapia con cellule vive che alcuni figli di nostri

soci, ora ultratrentenni, hanno fatto una ventina di anni fa.

Se non si passa attraverso la sperimentazione controllata si rischia di dare come terapia

delle sostanze placebo, cioè delle terapie che agiscono solo sulla suggestione dei pazienti o dei

famigliari. Molte sedicenti terapie che vengono propagandate dai professionisti agli utenti,

senza passare attraverso il confronto con i colleghi, non hanno avuto nessuna validazione e

portano quale prova di efficacia la testimonianza di singole persone, il ché non dice nulla se si

tratta di effetto vero o di placebo.

Nel vuoto di conoscenza e di terapie risolutive per l’autismo, molti genitori si entusiasmano,

gridano vittoria sulle mailing list di internet, invitano altri genitori a fare costosi viaggi in

America dove si faranno esami e terapie miracolose, mentre, se qualche professionista onesto

li invita a partecipare ad una sperimentazione per verificare l’efficacia di una nuova terapia, si

rifiutano. Questo perché il professionista onesto ti dice che si tratta di una sperimentazione,

mentre quello disonesto ti vende a caro prezzo un intervento che non è mai stata sperimentato

come se fosse una cura sperimentata.

Sempre questi genitori entusiasti cominciano a disprezzare l’Italia e a esaltare l’America,

come se oggi esistessero confini geografici nella scienza. I confini esistono tra chi segue le

regole etiche della sperimentazione e chi non le segue e vende illusioni e questi ultimi esistono

in tutte le nazioni e l’America non fa eccezione.

Noi abbiamo visto nascere ipotesi di lavoro e proposte di terapia dell’autismo che trovavamo

interessanti e speravamo che venissero validate e confermate.

Abbiamo invece assistito negli anni al comportamento opposto: nessuno le ha validate, ma

da un certo punto in poi qualcuno ha cominciato a venderle come validate, come sicuramente

efficaci.

Subito uno stuolo di genitori ha cominciato a disprezzare la scienza italiana e ad esaltare

quella americana, senza tenere conto che gli scienziati veri dialogano attraverso il mondo e

ogni conoscenza non ha confini, come non hanno confini i deliri collettivi, come quello della

mamma frigorifero, partito esso pure dall’America.

L’ipotesi di Reichelt sui peptidi urinari e sull’efficacia di una dieta priva di glutine e caseina è

stata fatta una quindicina di anni fa, ma non è ancora stata validata. Sarebbe opportuno

partire da quei soggetti i cui genitori riferiscono un miglioramento ad essa connesso e

verificare con metodo se vi è un nesso causale o meno con la dieta. Per fare questo bastano

poche risorse.

Il dismicrobismo intestinale e la conseguente cura con probiotici, antifungini e vancomicina è

un’altra ipotesi mai documentata.

La chelazione dei metalli pesanti e l’omotossicologia meno che meno.

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L’unica prova che i sostenitori di tali nuove terapie portano a documentazione dell’efficacia è

la soddisfazione di alcuni genitori. Nessuno dice mai quanti hanno provato la cura e quale

percentuale ne ha tratto beneficio. Abbiamo letto ed ascoltato, in preparazione al convegno

internazionale di Barcelona dell’autunno 2002, che ha riunito molti di questi medici che

propongono come cura le terapie non validate, una giustificazione che ha una grande forza di

attrazione per i genitori, sopra tutto dei bambini più piccoli: “Non potete attendere, perché i

bambini perdono la possibilità di migliorare via via che aumenta l’età. Sappiamo che qualche

bambino ha avuto dei miglioramenti, a detta dei suoi genitori, dopo avere seguito chi una chi

l’altra terapia: provate, e se avrete fortuna migliorerà anche il vostro bambino”. Questa

considerazione ha avuto una grande forza di attrazione sui genitori. Avere messo assieme in

un solo grande convegno internazionale tutte queste terapie, spesso fra loro contrastanti, è

stata una bella trovata pubblicitaria: nessuno dei rappresentanti di una teoria ha dovuto

mettere in discussione gli altri perché, con la regola prima enunciata, i bambini saranno invitati

a passare da un intervento all’altro ed i loro genitori pagheranno tutti, l’uno dopo l’altro, prima

di accorgersi di avere perso tempo e risorse. Qualcuno sarà addirittura contento di avere

pagato per poter conservare l’illusione di veder guarire il figlio.

Stupisce che alcuni neocomportamentisti, psicopedagisti che hanno dimostrato l’efficacia dei

loro interventi prima degli altri e con una metodicità che rasenta la pignoleria, abbiano

accettato di finire in compagnia di coloro che propongono guarigioni e miglioramenti senza

alcuna prova delle loro teorie.

Nessuno parla della benché minima sperimentazione controllata con un gruppo di controllo.

L’informazione passa mediante pubblicazioni autonome o tramite la rete informatica, mentre

nessuna di queste pubblicazioni raggiunge una rivista con una normale giuria di selezione.

Noi non disprezziamo certo i poveri utenti disperati, nel nostro caso i genitori, che sono in

una situazione di estrema fragilità e debolezza.

Riteniamo che sia una grave responsabilità per i professionisti propagandare come efficaci

terapie la cui efficacia non è mai stata documentata.

Certamente, se ci fossero progressi sostanziali nella conoscenza e nella terapia dell’autismo,

tutta la “paraterapia” scomparirebbe. Ma i progressi non cadono dal cielo. Sono frutto di una

ricerca seria, paziente e ben finanziata. Se le risorse impegnate nella paraterapia venissero

dedicate alla ricerca scientifica avremmo fatto passi da gigante.

Ma l’industria non è interessata e teme che un eventuale risultato negativo si rifletta

negativamente sul suo buon nome: i giornalisti sono sempre pronti a mettere in prima pagina

chi fa sperimentazione sui bambini disabili e chi somministra loro pillole. Negli enti pubblici di

ricerca soltanto alcuni ricercatori di professione hanno interesse a coltivare questo campo, che

finora non ha dato grande soddisfazione e molti genitori, invece di incoraggiare la vera ricerca

, da un lato si lasciano incantare dalle sirene che promettono l’inverosimile e dall’altro non

collaborano con i ricercatori onesti che dicono pane al pane e vino al vino: informano cioè su

cosa è terapia e cosa è ricerca.

Sembra un paradosso, ma purtroppo è vero: abbiamo dovuto combattere negli scorsi anni

ed ancora oggi combattiamo contro quegli psicoterapeuti psicodinamici, sistemici, familiari,

etologici che persistevano nell’errore di Kanner, di Bettelheim, della Tustin e dei Tinbergen.

Abbiamo demolito la loro credibilità agli occhi dei genitori, che ora non si fidano più di nessun

esperto e credono di potere fare da soli. Alcuni di questi genitori hanno iniziato essi stessi a

fare terapie, prima sui loro figli e poi anche su quelli di altri, diventando operatori specializzati.

Purtroppo soltanto pochissimi di loro hanno voluto sottoporre le loro ipotesi alla

sperimentazione ed alla revisione dei risultati da parte di terzi e quindi si continua con

l’autoreferenzialità, che ha consentito la sopravvivenza di quei deliri collettivi che conosciamo.

D’altra parte sappiamo tutti che le modalità di rapporto di tipo privatistico impediscono di

effettuare prove autentiche di efficacia: chi è pagato per fare una prestazione difficilmente può

ammettere che quella prestazione non serve; e poi c’è sempre una selezione della clientela

privata: chi è soddisfatto per essere migliorato (oppure chi crede di essere migliorato senza

esserlo) resta fedele al suo specialista, mentre chi crede di non avere avuto risultati non torna

più a pagare quello specialista e si rivolge altrove, impedendogli di conoscere i casi andati

male.

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Un anno fa’ abbiamo fatto pressione perché sei Regioni (Abruzzo, Calabria, Umbria, Marche,

Emilia Romagna e Veneto) facessero domanda di una ricerca finanziata dal Ministero della

salute sulla valutazione dei risultati degli interventi psicopedagogici, accompagnati o meno da

interventi farmacologici. La ricerca era di fatto incominciata nel 2001 in Veneto ed in Emilia

Romagna, con fondi propri delle due Regioni, ed ha già dato i primi risultati: una conoscenza di

quanti sono gli autistici e dei servizi ai quali fanno riferimento. La domanda di fondi per la

ricerca finalizzata è stata approvata, anche col favore delle altre associazioni della FISH, ed è

cominciata ufficialmente nell’inverno 2002, coordinata dalla Regione Abruzzo, al cui Presidente

Avv.to Tagliente vanno i nostri più vivi ringraziamenti. Germana Sorge, Presidente ANGSA

Abruzzo, ha avuto una grande parte in questa azione. La ricerca ha come direttore scientifico il

Prof.Lucio Cottini, che dirige anche l’ottimo progetto della Regione Marche, di cui Antonella

Foglia riporta lo schema in questo Bollettino. Quest’anno è stata appena presentata una ricerca

che continua quella precedente, allargandone i confini alle regioni Sicilia, Puglia, Piemonte e

Toscana. Speriamo che venga approvata dal Ministero: si potrebbe costituire un osservatorio a

livello nazionale.

Con capofila Stella Maris gli IRCCS (Istituti di ricerca scientifici) hanno presentato una loro

domanda di ricerca al Ministero, sulla linea di finanziamento loro dedicata, alla quale partecipa

anche il Prof. Flavio Keller, che è sempre in attesa di ricevere i fondi per la ricerca del FIRB del

Ministero della Ricerca che gli erano stati assegnati. Consideriamo già una vittoria il fatto che il

bando di ricerca contenesse un’intera pagina sull’autismo e viene in mente il progresso rispetto

a quanto faticammo per inserire nel bando di ricerca analogo di 6 anni fa’ quelle due righe

sull’autismo come malattia organica. Tuttavia migliori notizie provengono dall’avanzamento

degli studi sulla Reelina, i cui risultati saranno presto pubblicati dalla prestigiosa rivista

Science, anche a firma di Keller. Contemporaneamente avanzano gli studi di genetica.

Un esempio di ricerca viene offerto dal Prof.Costantino Salerno, che aveva trovato la causa

(adenilsuccinatoliasi) dell’autismo criptogenetico (parola di origine greca che significa: a causa

ignota) nella bambina Francesca Tirico. Ha effettuato la ripetizione di una ricerca sulla

metilxantina nelle urine di soggetti autistici e non autistici che avevano mangiato una tavoletta

di cioccolato, con la collaborazione dei soci dell’ANGSA, di AUT AUT, dell’insegnante Tirico e di

altri ancora. Il ricercatore che aveva effettuato la prima ricerca aveva trovato delle grandi

anomalie nella metà dei soggetti autistici, che sembravano trattenere molto più degli altri

questo prodotto eccitante contenuto nel cacao. Il Prof.Salerno ha ottenuto risultati diversi ed

ha constatato che non c’è differenza significativa fra autistici e non autistici e pubblicherà tali

dati in una rivista internazionale. Nessun ricercatore è contento di smentire i risultati di un suo

collega e di solito è persino difficile pubblicare i dati di ricerche che si limitano a smentire

ipotesi altrui: ma è così che la ricerca scientifica progredisce, perché (salvo smentite delle

smentite) si dovrebbe concludere che non è nel metabolismo del cioccolato il difetto

dell’autistico. E la ricerca continua su altre piste...

Facciamo il possibile per aiutare i ricercatori che ci aiutano senza pretendere nulla in cambio.

Diamo almeno loro la nostra gratitudine.

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a cura della D.ssaVittoria Cristoferi Realdon.

1. AUTISMO E AZIONI COMPLESSE:FACILITAZIONE SPONTANEA

Ogni genitore, ogni operatore esperto, che deve sollecitare prestazioni motorie complesse da

parte di un soggetto autistico, utilizza più o meno consapevolmente qualche forma di

facilitazione.

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In sostanza indica, o tocca, o con i soggetti più verbalizzati nomina, la parte del corpo che

deve essere mobilizzata e, se le attività da compiere sono ripetute nel tempo o di lunga durata,

può fornire anche un input sonoro o una guida gestuale per sostenere e ritmare l’azione.

Senza facilitazioni, infatti, una persona autistica dimostra una notevole difficoltà ad eseguire

nuovi compiti motori, soprattutto quelli che presentino un certo grado di complessità (per

esempio azioni caratterizzate da più passaggi concatenati fra loro in vista di uno scopo).

Il modello visivo da imitare è utile per gli autistici, ma quasi mai sufficiente, specie alla

prima esperienza. Ciò che serve loro è sperimentare l’azione completa e correttamente

eseguita.

Così il buon educatore impara che può essere necessario all’inizio anche posizionare nel

modo giusto le parti del corpo della persona autistica, e accompagnarne il movimento con le

mani, quasi trascinandolo insieme a lui nell’azione, come quando s’insegna a ballare a

qualcuno.

Poi egli potrà allentare un po’ alla volta la guida e limitarsi a qualche sollecitazione saltuaria,

di tipo tattile, o sonoro, o visivo, da inserire nei momenti critici ,cioè quando l’autistico va in

confusione e rischia il blocco o l’errore e la conseguente rinuncia.

Definirei tutte queste procedure come facilitazioni spontanee, poiché i genitori e gli

insegnanti le usano naturalmente, in modo quasi inconsapevole. I terapisti della motricità

d’altra parte le hanno apprese e le usano come modalità tecnica efficace e preziosa soprattutto

con i bambini molto piccoli o molto insicuri.

La sottostante difficoltà di programmazione ed esecuzione dei movimenti potrebbe essere

riconosciuta come una forma di aprassia.

2. AUTISMO E SCRITTURA: FACILITAZIONE SPONTANEA

A molti insegnanti e a molti genitori è naturalmente venuto in mente di usare questo sistema

per facilitare l’apprendimento della scrittura nei bambini autistici (e non solo), posizionando le

loro dita attorno alla matita, posando la propria mano sulla loro mano e aiutandoli a spostare

piano piano la mano e l’avambraccio sul foglio nel corso della scrittura.

Chi ci ha provato sa che il sistema è piuttosto efficace quanto alla possibilità di scrivere

insieme, ma che è molto più difficile ottenere che il bambino autistico segua con lo sguardo il

movimento della sua mano, che attribuisca interesse e significato ai suoi prodotti grafici, o che

arrivi a scrivere da solo, sotto dettatura o spontaneamente, quelle lettere che con tanto

esercizio passivo dovrebbe infine avere imparato a tracciare.

In sostanza il passaggio ad un utilizzo attivo ed intenzionale delle sequenze motorie

passivamente

sperimentate non si realizza quasi mai; senza il contatto delle mani dell’adulto l’atto motorio

che produceva una scrittura dotata di significato si spegne rapidamente, si arresta o deraglia

su sequenze di segni già appresi e ripetuti in modo stereotipato.

Contro questi ben noti limiti e difficoltà s’infrange l’entusiasmo d’ogni insegnante e d’ogni

genitore volenteroso.

3. AUTISMO E IPOTESI INTERPRETATIVE

Di regola entrambi concludono prima o poi che l’autistico non riesce a scrivere da solo

perché è limitato a livello cognitivo e che per lo stesso motivo non riesce a parlare.

Sembra infatti ragionevole pensare che chi non può accedere al codice verbale parlato, che

di norma è il primo ad essere appreso, non possa padroneggiare nemmeno quello scritto.

Più o meno lo stesso ragionamento si applica anche ai ragazzi Down che non accedono al

linguaggio verbale e dunque non vengono neppure avvicinati alla letto-scrittura.

Altri invece pensano (e sono in genere questi gli operatori “psi”, che hanno alle spalle una

cultura di tipo psicodinamico) che l’autistico non impari a parlare e a scrivere solo perché non

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gli interessa farlo, in sostanza per disinteresse/rifiuto verso l’altro e verso tutto ciò che l’altro

gli richiede.

È un’ipotesi apparentemente più ottimistica e generosa, cui si attaccano con speranza e

passione i genitori dei bambini autistici più piccoli, e in genere gli operatori “psi” più giovani ed

entusiasti.

Si aprono così diverse interpretazioni psicodinamiche, accomunate dal fatto di collocare

l’origine di tale rifiuto in una risposta difensiva dell’autistico di fronte all’incompetenza affettiva

ed al rifiuto (magari inconscio) del genitore.

La proposta diventa allora la Psicoterapia, nelle sue più svariate declinazioni; l’iter

terapeutico è abitualmente di lunga durata, di costo elevatissimo (sia a livello emotivo che

economico).

La psicoterapia in genere s’interrompe, con diversi pretesti, per esaurimento di risorse

dall’una o dall’altra parte. I risultati spesso sono molto scarsi rispetto alle aspettative.

4. AUTISMO E DISPRASSIA

Eppure tra Scilla e Cariddi, tra l’ipotesi dell’incompetenza cognitiva (che sollecita pensieri di

impotenza e pratiche di mera assistenza), e quella del rifiuto volontario (che fa sprofondare i

genitori nel senso di colpa evocando oscuri traumi affettivi da loro perpetrati), esiste anche

una terza ipotesi: quella dell’incompetenza espressiva, vale a dire l’esistenza di una grave

disabilità a realizzare compiti a valenza comunicativa o interattiva, implicanti il confronto con

l’altro.

L’Autistico dunque non può fare, o non può fare da solo, o non può fare in qualunque

contesto, ciò che ci si aspetta da lui, ciò che ha comunque capito a livello cognitivo, che

vorrebbe fare quanto a disponibilità e interesse verso l’altro, ma che disgraziatamente non

riesce a fare, senza qualche forma, auspicabilmente transitoria, di aiuto esterno.

E l’ipotesi della disprassia nella patogenesi dell’autismo, lasciandone in questa sede

impregiudicata l’eziologia, tuttora in fase di studio molto intenso in ambito internazionale, ma

dandosi la pena di ricordare che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha così definito

l’Autismo :Un disturbo causato da un malfunzionamento di tipo neurobiologico del Sistema

Nervoso Centrale.

Per affrontare il concetto di disprassia è forse utile richiamare prima il concetto di prassia:

(Tav.I)

Una prassia è un gesto intenzionale, cioè una sequenza coordinata di movimenti atti a

raggiungere uno scopo desiderato.La disprassia è la difficoltà a realizzare tale tipo di gesto.

Esiste in molti soggetti Autistici una grave difficoltà a realizzare ogni nuovo gesto volontario

complesso, tanto più grave quanto più il gesto richiesto implica la frequente necessità di

variare la posizione reciproca dei diversi segmenti corporei , la direzione e la velocità del

movimento atto a raggiungere lo scopo.

Questo è appunto il caso della scrittura manuale, ove la sequenza dei piccoli gesti atti a

tracciare le singole lettere sul foglio varia in funzione delle parole da scrivere, e tutto il

meccanismo deve essere rapidamente e agevolmente padroneggiato se si vuole mantenere

nella mente il significato di quanto si intende scrivere.

E ancora più il caso del linguaggio parlato, ove il numero dei muscoli da mettere in funzione

e coordinare strettamente per pronunciare i diversi suoni nella giusta sequenza per formare le

parole è impressionante. Nessuna meraviglia quindi che la disprassia negli Autistici intralci e

blocchi in modo elettivo il linguaggio verbale.

Ma la disprassia, per quanto ne sappiamo (e per quanto ci testimoniano le persone

Autistiche in grado di esprimersi ) non colpisce il pensiero e neppure i sentimenti.

Allora un disprassico, allora un Autistico, può essere intelligente e sensibile, anche se non

può parlare in modo attendibile, anche se gli è molto difficile riuscire a scrivere da solo, specie

con la scrittura manuale.

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5. NUOVE CONOSCENZE E CADUTA DEI PREGIUDIZI SULLE DISABILITÀ

La Pedagogia Speciale prima, le Istituzioni Scientifiche poi e alla fine anche la Società civile

hanno da tempo riconosciuto che un sordo, anche se non ha mai udito il linguaggio parlato,

anche se non parla o parla con difficoltà, non è un Insufficiente Mentale; si sa che egli possiede

un adeguato livello di pensiero e può utilizzare efficacemente il linguaggio gestuale e quello

scritto per comunicare. Ma la battaglia per ottenere tale riconoscimento è stata dura e il

pregiudizio degli udenti non è del tutto scomparso.

Più recentemente, anche grazie all’apporto della tecnologia elettronica ed informatica, e delle

periferiche adattate alla disabilità e personalizzate, abbiamo capito che un grave disabile

motorio, privo di linguaggio orale, può comunicarci dei pensieri molto profondi con la scrittura,

se solo può avere a disposizione l’ausilio adatto, capace di by-passare il suo handicap di

movimento per aprire la via alla comunicazione bidirezionale.

E allora succede che le sue smorfie, i suoi movimenti inconsulti, i suoi mugolii quasi

animaleschi, non ci appaiono più la pantomima volontaria di un pazzo, né il segno

dell’incompetenza cognitiva di un Ritardato mentale, ma solo il tentativo fallito di comunicare

di una magnifica mente imprigionata in un corpo dai comandi danneggiati.

6. NUOVI APPROCCI EDUCATIVI E NUOVE TECNOLOGIE AL SERVIZIO DELLA COMUNICAZIONE

Oggi la Pedagogia Speciale, integrando in un’ottica multidisciplinare gli apporti della

Neuropsicologia delle funzioni corticali superiori, incomincia a vedere l’Autismo come un altro

caso di disabilità in cui la disfunzione che colpisce l’espressività mimica e gestuale, la

produzione vocale e l’azione volontaria socialmente orientata, in quanto non riconosciuta,

determina un’errata presunzione di grave incapacità cognitiva, o di turba psicopatologica, da

parte dei non-autistici.

L’Autismo può dunque essere un altro caso in cui la tecnologia elettronica, audio-visiva ed

informatica, ci apre una strada nuova per by-passare l’handicap espressivo e ricostruire una

comunicazione bi-direzionale di buon livello.

A) Aspetti percettivi (vista periferica, scarsa fissazione, ridotta esplorazione ed

inseguimento)

Il monitor, per le sue caratteristiche fisiche, cattura l’attenzione visiva dei soggetti autistici

più di qualunque immagine su carta, più della realtà stessa che li circonda.

In effetti le immagini sul video sono costituite da punti luminosi in continuo movimento

(pixel) e non c’è nulla di più adatto a stimolare la parte periferica della retina (usata

preferenzialmente da molti autistici) se non dei punti luminosi in movimento. Dunque immagini

e lettere presentate sul monitor sono straordinariamente attraenti e fisicamente visibili per un

autistico. L’allenamento e la cura dell’educatore nel sollecitarne l’attenzione condivisa e

l’orientamento degli occhi farà progressivamente maturare anche la visione centrale, con il suo

indispensabile potere discriminativo, essenziale per la lettura.

B) Aspetti motori ( disprassia, dismetria, ipotonia, impulsività nel gesto)

Digitare lettere sulla tastiera di un computer, o di una macchina da scrivere, o indicarle con

il dito su di una tastiera di carta, richiede un gesto molto più semplice (rapido, ripetitivo, con

minimi spostamenti articolari per produrre le diverse lettere) rispetto alla scrittura manuale; la

resa grafica sullo schermo è inoltre sempre perfetta e garantita; lo scorrimento delle lettere,

cioè l’avanzamento del punto in cui si scrive, è compito della macchina. Se dunque alcune

incombenze motorie necessarie per comunicare sono semplificate o prese in carico dalla

macchina, molti problemi del disprattico- autistico rispetto alla scrittura sono già risolti, o

alleggeriti in partenza. Ma altri (quali la dismetria , l’impulsività, la perseverazione),

diversamente rappresentati nei differenti soggetti, richiedono l’apporto umano (il facilitatore)

per essere superati.

Un altro problema che la macchina non può risolvere è l’avvio dell’azione (lo start) al

momento giusto, il passaggio critico tra la decisione mentale e l’attivazione muscolare che

innesca il movimento utile (il dito che si muove verso la lettera pensata e riconosciuta sulla

tastiera) e anche la concatenazione di ogni gesto con quello successivo, poiché ogni

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configurazione gestuale differente (spostare il dito da un tasto all’altro) richiede di fatto un

nuovo avvio.

C) Aspetti emotivi:(ansia da prestazione e da esposizione) (Tav.II)

Donna Williams, autistica ad alto funzionamento e scrittrice, ha descritto questo particolare

fenomeno, tipico secondo lei della persona con Autismo, che, traendo origine da un’anomalia

della modulazione emotiva, intralcia, blocca o devia ogni azione emotivamente significativa.

E proprio a questo livello (di strutture e circuiti regolatori delle emozioni), anche secondo

quanto ci segnalano gli studi neurofisiologici più recenti, che si innesca il particolare disturbo

disprassico specifico dell’Autismo, capace di interferire sull’azione volontaria e consapevole

tanto più sensibilmente quanto più questa è imbevuta di desiderio e di emozione.

“Più intensamente desidero fare un gesto rivolto all’altro e meno posso farlo”, scrive molto

esplicitamente Donna Williams.

È una situazione così intollerabile e senza via di uscita che all’autistico non resta altra scelta

che allontanarsi e rinunciare per trovare sollievo. Così il risultato finale sarà proprio l’opposto di

quello desiderato (e qualcuno a quel punto dirà che non gli interessa niente).

Non è strano allora che possa scattare un’autentica rabbia (con auto ed etero-aggressività).

Non è strano che la persona autistica impari con il tempo a “non provarci più”, a rinunciare

al pensiero stesso di poter entrare in contatto con l’altro in modo affidabile e controllato.

7. LA FACILITAZIONE COME TECNICA

Rispetto alla difficoltà di molti autistici ( e di molti disprassici con differenti diagnosi cliniche)

nel digitare lettere in successione su di una tastiera, ma anche rispetto alla difficoltà più

generale nel concatenare tra loro segmenti di azioni volontarie finalizzate ad uno scopo, entra

in gioco l’effetto straordinario di quel “tocco” che è proprio della facilitazione, con tutte le

specifiche modalità interattive che vi si accompagnano.

Si tratta di un particolare contatto con il facilitatore, mano sulla mano prima, poi mano sotto

il polso, sotto il gomito, alla spalla, sull’altra spalla, sul ginocchio, ecc. sempre nell’ottica del

raggiungimento di una completa indipendenzadel facilitato.

Il facilitatore preferito è di regola una persona ben conosciuta dall’autistico, di cui egli ha

imparato a fidarsi. Ma tutte le persone che hanno occasione di comunicare con lui sono

potenziali facilitatori (anche se è dimostrato che la persona autistica fa le sue scelte e alcuni

vengono rifiutati).

Imparare a facilitare non è particolarmente difficile, se si è persone disponibili e non troppo

ansiose; ma è necessario essere supportati dalla consulenza di chi è esperto nella metodica.

Infatti il training di ogni soggetto facilitato verso l’autonomia e verso il livello più elevato

possibile di comunicazione può essere più o meno lungo, mentre la modalità della facilitazione

risulterà diversa da un caso all’altro poiché gli effetti incrociati della disprassia e dell’ansia da

esposizione creano difficoltà e necessità di supporto diverse da soggetto a soggetto. Ogni

persona con autismo del resto ha il suo carattere e la sua personalità, cosicché non si può

prevedere nulla in partenza.

8.L’EFFETTO DELLA FACILITAZIONE

Una facilitazione personalizzata risulta efficace rispetto ai diversi tipi di difficoltà disprassiche

quasi come un servo-meccanismo applicato ad un dispositivo ad alta resistenza meccanica, che

rende sorprendentemente facile e fluido il movimento.

I soggetti facilitati descrivono così l’effetto del “tocco” facilitante:”Mi fa capire meglio dov’è la

mia mano”. “Io posso quando mi prende la paura di essere davvero io che scrivo imbrogliare la

mia mente e dire che sei tu”. “Tu sei come Toldo e acchiappi sicura tutti i miei pensieri”.”La tua

mano mi fa tenere il filo del discorso”.”Mi aiuta a non sbagliare e a ripartire quando vado in

confusione”....

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Forse dopotutto l’aiuto sta a metà strada fra il supporto fisico ed il sostegno empatico, più o

meno come accade a una mamma che tiene per mano il suo bambino ancora incerto nel

camminare: se gli lascia la manina quello si ferma, si siede o cade a terra, ma non è perché le

gambe non lo sostengono più; assistiamo invece alla disintegrazione di competenze acquisite,

ma non ancora consolidate, di fronte alla paura di essere da solo.

Per lo stesso motivo teniamo la mano, da dietro, sul sellino della bicicletta di un bambino

che impara ad andare senza “le ruotine” di sostegno, e poi la stacchiamo senza che lui se ne

accorga, e gli facciamo festa perché è riuscito a cavarsela da solo.

Qualcosa di simile fa il facilitatore: la sua mano si sposta in su, sempre più lontano dalla

mano che scrive; il suo tocco si fa sempre più lieve, fino a poter essere eliminato senza che si

verifichi la disintegrazione (percettivo-motoria ma anche cognitiva) legata alla paura di

funzionare da solo, che renderebbe confusa o impossibile la comunicazione verbale scritta,

come già avviene per quella orale.

9.PERPLESSITÀ E PREGIUDIZI RISPETTO ALLA COMUNICAZIONE FACILITATA (C.F.)

Essendo in contatto ormai da sei anni con diversi bambini e ragazzi, autistici e non, che

utilizzano (oltre ad ogni possibile altra strategia conosciuta), anche la Comunicazione

Facilitata, e ne hanno ricavato molteplici vantaggi a livello comunicativo, cognitivo e

relazionale, trovo sempre più evidente che la resistenza più accanita rispetto a questa

metodica così innovativa, efficace e delicata, viene soprattutto da chi mantiene dentro di sé

incrollabile il pregiudizio di “incompetenza cognitiva”, cioè di deficit mentale o di grave

psicopatia, attribuito agli Autistici, o comunque a quei soggetti che non possono accedere

all’uso del linguaggio espressivo orale.

Su tali rigide convinzioni si fondano non di rado consolidati modelli operativi, e sotto di esse

giacciono prematuramente sepolte le speranze di molte famiglie.

Eppure se un imputato in un paese civile è da considerarsi innocente fino a prova contraria e

a condanna definitiva, credo che anche una persona Autistica che non comunica debba essere

considerata competente e sensibile fino a inconfutabile prova contraria, e credo abbia il diritto

di accedere ad ogni possibile modalità comunicativa, tradizionale o alternativa.

Presumere competenza e offrire opportunità di istruzione e partecipazione sono doveri

prioritari di ogni educatore, di ogni genitore e anche di ogni clinico-ricercatore, secondo il Prof.

Douglas Biklen della Syracuse University di New York, supervisore di tutti Centri Italiani

accreditati per l’utilizzo della C.F.

E stato infatti dimostrato che la Scienza è in grado di riconoscere e studiare solo quei

fenomeni di cui ammette la possibile esistenza. Non c’è insomma peggior cieco di chi non vuole

vedere. Il dialogo e la possibilità di avviare percorsi seri e condivisi di ricerca a proposito di

C.F.

con una gran parte del mondo Accademico sono stati fino ad oggi quasi inesistenti.

Ma qualcosa comincia finalmente a muoversi, e come al solito in prima linea ci sono i

Pedagogisti.

10.CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE: AUTISMO COME DISCINESIA DELL’INTENZIONALITÀ

SOCIALMENTE ORIENTATA

Perché un’azione volontaria, specie se indirizzata all’altro è così proibitiva per il soggetto

autistico?

Perché invece può padroneggiare straordinarie performances di tipo ripetitivo, stereotipato

e/o ritualizzato (indirizzate agli oggetti solitamente e realizzate in solitudine preferibilmente)?

In campo neurologico un fenomeno simile si chiama dissociazione automatico-volontaria,

condizione conosciuta in molte malattie del cervello.

Tutto ciò che è automatico funziona bene (di qui forse deriva il piacere evidente degli

autistici nel ripetere all’infinito alcuni gesti appresi, che “riescono loro bene”).

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Tutto ciò che, in quanto nuovo, è necessariamente volontario può subire imprevedibili e

incontrollabili blocchi, deviazioni, o viraggi verso comportamenti incongrui o oppositivi (e tanto

più quanta più aspettativa sociale c’è verso l’azione da compiere). Da qui trae forse origine

l’ansia degli autistici per le situazioni nuove e impreviste, che richiedono adattamenti ed azioni

non ancora sperimentate e apprese.

Quest’ansia incrementa poi la dissociazione ideo-prassica in un pericoloso circolo vizioso.

La facilitazione sembra poter invece innescare, e coordinare tra loro sequenze semi-

automatiche già apprese, che possono così concatenarsi e supportare la realizzazione di quelle

azioni volontarie che il soggetto desidera compiere senza di fatto riuscirvi; e tra queste anche

la possibilità di indicare deliberatamente lettere e spazi sulla tastiera del computer per tradurre

in scrittura un pensiero a lungo”intrappolato”nella mente.

Scrive Piercarlo, giovane autistico di 21 anni: “Sono prigioniero dentro il mio cervello senza

uscire mai”; e più avanti a proposito della sua scarsa autonomia:”Sono un bambino di 21

anni”.

Fortunatamente la pedagogista australiana Rosemarie Crossley ha empiricamente osservato

da oltre 15 anni che molti ragazzi privi di linguaggio verbale possono rispondere a domande

scritte digitando su una tastiera a condizione che sia offerto loro un particolare tipo di supporto

fisico da parte di un facilitatore.

Oggi migliaia di persone prive di linguaggio utilizzano in tutto il mondo questo approccio e

decine di migliaia di pagine testimoniano l’ampiezza e la profondità del loro pensiero

“sequestrato”.

Paradossalmente è proprio la notevole qualità dei testi prodotti grazie alla C.F. l’ostacolo

mentale più grande alla sua accettazione, da parte di molti Ricercatori cresciuti nel paradigma

dell’incompetenza mentale degli autistici.

Viceversa il progressivo delinearsi di nuovi modelli neuropsicologici atti a descrivere i

rapporti fino ad oggi poco conosciuti tra mente conscia e subconscia, tra pensiero razionale ed

emozioni, fanno sì che il Disturbo Autistico, indagato con strumenti nuovi , trovi una

collocazione sempre più differenziata rispetto al Ritardo mentale, mentre l’effetto sorprendente

della Facilitazione applicata alla letto-scrittura (C.F.) può trovare in tali nuovi modelli alcune

ragionevoli spiegazioni per la sua efficacia.

Ogni giorno di più constatiamo la validità e la profondità dell’antico adagio:”Non è detto che

chi tace non abbia niente da dire”che è diventato la parola d’ordine di ogni buon facilitatore.

L‘altra parola d’ordine è quella che la Crossley lancia, alla fine di ogni suo Intervento, alle

persone con e senza Autismo sinceramente interessate a costruire un futuro migliore per chi

soffre di una severa disabilità nella Comunicazione: “Non arrendetevi mai!”

Relazione al Congresso: Disabilità Trattamento Integrazione. Padova 30,31 maggio-1 giugno 2002

Autore:D.ssaVittoria Cristoferi Realdon.

Indirizzo:Via Veglia 2 35134 Padova. e-mail: [email protected]

PRASSIA = GESTO INTENZIONALE TAV.I

SEQUENZA COORDINATA DI MOVIMENTI ATTI A RAGGIUNGERE UNO SCOPO DESIDERATO

FASI DI UNA PRASSIA

(prendere l’oggetto voluto)

I°: ( cosa fare? )

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a) Rappresentazione mentale dello scopo ( il risultato da ottenere )

b) Rappresentazione mentale dell’oggetto da raggiungere e del contesto (analisi visiva)

c) Rappresentazione mentale dell’azione necessaria (memoria di azioni già fatte e loro

confronto con a e b)

II°: (come fare?)

a) Selezione del gesto (con inibizione degli altri gesti non utili)

b) Attivazione del gesto (nel momento giusto:analisi temporale)

c) Orientamento del movimento nella giusta direzione (analisi continua del contesto)

d) Selezione fra i diversi oggetti e prensione finale

III°: (va tutto bene ?)

a) Verifica della corretta selezione del gesto

b) Verifica della corretta esecuzione del gesto (monitoraggio visivo e propriocettivo )

c) Verifica del raggiungimento effettivo dello scopo

d) Arresto dell’azione

Le fasi dei blocchi II e III sono spesso colpite nell’Autismo

PRASSIE ED EMOZIONI TAV. II

- Ce la farò ? (arriverò fino in fondo, ricordandomi tutta la sequenza?)

- Farò bene ? (metterò le azioni nella giusta sequenza?)

- Farò in tempo? (mi daranno tutto il tempo che mi serve?)

- Riuscirò a mantenere il Controllo?

- Tollererò la vicinanza altrui?

- Tollererò di essere visto agire?

- Tollererò i commenti altrui?

- Tollererò l’idea di essere io ad agire?

- Tollererò il possibile successo?

- Tollererò il possibile fallimento?

Perdita di capacità inibitoria: Eccesso di inibizione:

Iperattività Congelamento e arresto dell’azione Errori di selezione Perdita di interesse Crisi di

rabbia Rifiuto passivo

Parole e grida incontrollate Allontanamento-fuga

Auto ed etero aggressività Ricerca di stereotipie

Aumento di stereotipie autorassicuranti che Comportamenti di sfida impediscono l’azione

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5511)) ll SSeeggrreettii ddeellll’’AAuuttiissmmoo

Il numero dei bambini diagnosticati come autistici e come Asperger negli USA sta

esplodendo. Perchè? - di J. Madeleine Nash - TIME

traduzione di Tiziano Gabrielli per AUTISMO ITALIA

Tommy Barrett, ha degli occhi da sognatore e l’aspetto di un bimbo di cinque anni, e vive

con i suoi genitori, due fratellini gemelli, due gatti e una tartaruga a San Jose, California, il

cuore della Silicon Valley. E’ uno studente che si fa onore, che ama la matematica le scienze e i

video games. E’ anche l’esperto mondiale della classe in Animorfismo e giocattoli Transformer,

“Sono macchinine o treni, o animali che si possono trasformare in robots o umani. Mi

piacciono” interviene esuberante.

E questo è qualche volta un problema. Per lungo tempo infatti la passione di Tommy per i

suoi giocattoli era così forte che quando non erano a portata di mano egli sembrava pretendere

di trasformare se stesso in un giocattolo, in un robot e poi in un mostro. Egli lo faceva

ovunque, nel cortile della scuola e persino in classe. Il suo insegnante trovava che questa

pantomima ripetitiva, peraltro anche simpatica, era disturbante e così pure per sua madre

Pam. Ma a quei tempi vi erano altri segnali allarmanti. Pal Barrett ricorda che all’età di tre

anni, Tommy parlava fluentemente, perfino con interlocutori volubili, ma sembrava incapace di

farsi coinvolgere dai reciproci ruoli in una conversazione, e curiosamente, egli evitava di

guardare negli occhi la gente. E sebbene Tommy fosse ovviamente bravo – egli aveva

imparato a leggere all’età di quattro anni – egli era così isolato e distratto da non poter

partecipare alla lettura di gruppo della scuola.

Quando Tommy superò gli otto anni, i suoi genitori finalmente compresero che c’era

qualcosa che non funzionava. Il loro brillante piccolo bimbo, li informò uno psichiatra, aveva

una forma mite di autismo detta Asperger Syndrome, che spesso rispondeva bena alla terapia,

e i Barrett trovarono sul momento la notizia alquanto sgradevole.

Questo perché proprio due anni prima i coniugi Barrett, Palm e il marito Chris, ricercatore e

programmatore di software, avevano appreso che i fratelli di Tommy, i gemellini, Jason e

Danny erano profondamente autistici.

I gemellini che sembravano normali alla nascita, impararono anche alcune parole prima di

immergersi nel loro mondo segreto, perdendo velocemente le abilità che avevano cominciato a

manifestare. Invece di usare i giocattoli per giocare, loro li rompevano, invece di parlare essi

emettevano gemiti, o urletti…

Prima Jason, poi Danny, ora Tommy.

Pam e Chris cominciarono con il chiedersi se i loro figli fossero stati sottoposti a sostanze

tossiche. Essi cominciarono ad indagare le problematiche delle loro parentele, chiedendosi da

quanto tempo l’autismo adombrasse le loro famiglie.

L’angoscia vissuta da Palm e Chris Barrett è ciò che provano decine di migliaia di famiglie

degli Stati Uniti di America e di altre parti del mondo. Così improvvisamente casi di autismo e

di sindromi correlate, come l’Asperger, stanno numericamente esplodendo e nessuno ha una

buona spiegazione. Mentre per alcuni esperti questo incremento vertiginoso dipende

unicamente dalla diffusione recente di validi criteri diagnosici, secondo altri questi dati sono in

parte reali e preoccupanti. Nello stato abitato dai Barrett, la California, per esempio, il numero

dei bambini autistici che si appoggiano ai servizi sociali è più che quadruplicato rispetto ai

trascorsi quindici anni, dai quasi 4.000 casi nel 1987 ai circa 18.000 di oggi. I casi di Asperger

Syndrome sono così comuni nella Silicon Valley, che il giornale locale Wired, ha infatti coniato

un termine da età cybernetica per la malattia, “syndrome del disadattato”, riferendosi alla

peculiare convivenza, esistente in chi possiede rilevanti abilità intellettuali, di tali abilità e di

una contemporanea notevole difficoltà di interazione sociale. Wired cercò di creare una

provocazione o un caso modello sottolineando la crescita ad un livello allarmante di tali

patologie nella Silicon Valley – e chiese se “la matematica e la tecnologia” potessero in qualche

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maniera centrare. Ancora formulò il sospetto che la crescita di autismo e Asperger fosse

fortemente confinata in enclavi di alta teconologia o tra i bambini di programmatori di

computer o di ingenieri di software. Succedono cose simili in ogni categoria di lavoro o socio-

economica e in ogni stato. “ Noi lo stiamo estrapolando dal sistema scolastico dello stato rurale

della Giorgia” osserva Sheila Wagner, direttore del Centro di Ricerca sull’Autismo di Atlanta

Emory University. “La gente dice: ‘Non abbiamo avuto nessun bambino con autismo prima, e

ora 10! Cosa sta succendo?’”

E’ una buona domanda. Non molto tempo fa, l’autismo era creduto ‘comparativamente’ assai

raro, colpendo una persona su 10.000. Gli ultimi studi, comunque suggeriscono che molti, uno

su 150, bambini di dieci anni e anche più giovani, sono affetti da autismo o da problematiche

correlate – un totale di circa 300.000 bambini negli Stati Uniti solamente. Se si includono gli

adulti, come dice la Società d’Autismo d’America, più di un milione di persone soffre negli USA

di disordini di tipo autistico (anche conosciuti come “Disordini Pervasivi dello Sviluppo” o

PDDS). Il problema è dunque cinque volte più comune della Sd. di Down, e tre volte più

comune del Diabete Giovanile. Nessuna sorpresa dunque sulle richieste di rimedi, fatte dai

genitori negli ambulatori di psicologi e psichiatri. Nessuna sorpresa se le scuole si attivano ad

aiutare con opertori di sostegno il personale docente. E nessuna sorpresa se istituti pubblici e

privati hanno lanciato iniziative in collaborazione, allo scopo di decifrare la complessa biologia

che produce simile abbagliante percentuale di disabilità.

Nell’urgenza delle loro domande, i genitori, come i Barretts, stanno provocando quella che

potremmo definire una rivoluzione scientifica. La risposta ai loro quesiti è il denaro che

finalmente arriva alla ricerca sull’autismo, un settore che solo cinque anni or sono appariva un

lago stagnante all’interno delle neuroscienze. Oggi dozzine di scienziati sono impegnati

nell’identificare i geni associati all’autismo. Proprio nell’ultimo mese, in una serie di articoli

pubblicati dalla rivista Psichiatria Molecolare, scienziati americani, britannici, italiani e francesi,

riferiscono che stanno ottenendo significativi progressi. Molti anche i gruppi di ricerca gentica

impegnati nel creare modelli animali per l’autismo in forma di topi ‘mutanti’. Essi stanno per

esaminare gli effetti di vari ‘fattori ambientali’ che potrebbero contribuire allo sviluppo

dell’autismo e utilizzano tecnologie avanzate di neuro-immagine, per sondare la profondità

della organizzazione cerebrale negli autistici. Questi ricercatori stanno divenendo sempre più

esperti, nel penetrare i segreti di questi disordini, e stanno formulando nuove ipotesi

relativamene ai meccanismi mentali di questi pazienti, così diversi, per certi aspetti, eppure,

per altri, così simili a noi.

LE RADICI GENETICHE DELL’AUTISMO

L’autismo è stato descritto nel 1943 da Leo Kanner, uno psichiatra della Johns Hopkins e

successivamente nel 1944, dal pediatra Hans Asperger. Kanner applicò tale termine ai bambini

che erano socialmente ritirati, dipendenti da routine e in difficoltà ad acquisire un linguaggio

parlato sebbene in possesso di competenze intellettuali che evitavano una diagnosi di ritardo

mentale. Asperger applicò il termine a bambini maldestri socialmente, che sviluppavano

ossessioni bizzarre e persino con alta verbosità e aspetto piuttosto brillante. C’era una

sorprendente tendenza, notò Asperger, tra i disordini che si evidenziavano nelle famiglie,

qualcosa passava direttamente tra padre e figlio. Che i geni potessero avere un ruolo centrale

nell’autismo venne ribadito anche nei lavori di Kanner. Ma la ricerca non si adoperò in tal

senso. Le intuizioni di Asperger languirono nel disastro postbellico e le idee di Kanner furono

travolte dall’affermarsi delle schiere di Freud.

I bambini non erano nati autistici, insistevano gli esperti, ma lo diventavano perché i loro

genitori, specie la madre, erano freddi e non incapaci di accudirlo.

I Segreti dell’Autismo

Il numero dei bambini con diagnosi di autismo e di Asperger Syndrome negli U.S.A. sta

esplodendo. Perchè?

Prima Persona: Mio Figlio

Amy Lennard Goehner

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Prima Persona: Mio Fratello

Karl Taro Greenfeld

Prima Persona: Me stesso

Temple Grandin

Vaccine

Sono sicuri?

Geek Syndrome (Sindrome del Disadattato)

Perché sono così numerosi nella Silicon Valley?

Nel 1981, comunque, la psichiatra britannica Dr.ssa Lorna Wing pubblicò un importante

documento che suscitò nuovo interesse attorno al lavoro di Asperger. Il disordine che Asperger

aveva identificato, osservò la Wing, sembra per molti versi, essere una variante dell’autismo

descritto d Kanner, questo perché gli elementi in comune sembravano avere lo stesso peso

delle differenze.

Il risultato è che ora i ricercatori credono che questi due disturbi siano le due facce di un solo

disordine, complesso e variabile, che in sostanza ha la sua origine nel caleidoscopio dei tratti

codificati del genoma. I ricercatori hanno anche riconosciuto che le forme severe di autismo

non sono sempre accompagnate dagli sperati compensi di tipo intellettuale e sono invece

caratterizzate più facilmente da deficit e ritardo mentale.

Forse il più provocatorio riscontro che gli scienziati hanno portato è stato quello di

evidenziare una sorta di “familiarità” delle componenti autistiche, più che di autismo vero e

proprio. Al di là del fatto che le persone con autismo profondo rarissimamente hanno bambini,

la ricerca ha evidenziato che sono presenti tratti di autismo anche nei familiari più vicini al

soggetto colpito. Una sorella potrebbe risultare impegnata in ripetitivi ed eccentrici

comportamenti o essere eccessivamente schiva; un fratello potrebbe aver difficoltà con il

linguaggio o risultare inadeguato socialmente, in grado rilevante. Per simili considerazioni, se

uno gemello monozigote (identico) è affetto da autismo, c’è il 60% di probabilità che anche

l’altro ne sia affetto e più del 75% che il gemello senza autismo possa esibire uno o più tratti

del disturbo.

Quanti geni possono contribuire alla suscettibilità dell’autismo.

Attualmente si stima possano essere da molto pochi (tre), sino a molti (più di 20). Mano a

mano che si intensifica l’esame, come indicato dagli articoli pubblicati da ‘Molecular Psychiatry’

(Psichiatria Molecolare), questi sarebbero geni che regolano l’azione di tre potenti

neurotrasmettitori: il glutammato, che è intimamente coinvolto nell’apprendimento e nella

memoria, la serotonina e l’acido gamma-amminobutirrico (gaba), che sono implicati nei

comportamenti ossessivo-compulsivi, nell’ansietà e nella depressione.

Questi geni assai difficilmente esauriscono la lista delle possibilità. Sotto sospetto sono

virtualmente tutti i geni che controllano lo sviluppo del cervello e forse del colesterolo e del

sistema funzionale immunitario. Chrstopher Stodgell, un tecnico dello sviluppo, all’università di

Rochester, New York, osserva che c’è nel cervello un processo che permette l’assemblaggio e

la percezione gradevole di un pezzo musicale complesso e decine di migliaia di geni che

costituiscono l’orchestra che lo esegue. Se questi geni fanno quello che si suppone debbano

fare, dice Stodgell, “ allora voi percepirete il Concerto per Clarinetto di Mozart. Altrimenti

avrete un rumore cacofonico”.

UNA DIVERSA TEORIA DELLA MENTE

I soggetti autistici spesso soffrono di un repertorio confuso di problematiche – disturbi di tipo

sensoriale, allergie ai cibi, problemi gastrointestinali, depressione, ossessività compulsiva,

epilessia subclinica, deficit di attenzione, disordini di iperattività. – Ma ci sono ricercatori che

credono ad un difetto centrale, che attraversa le difficoltà possibili dello spettro autistico, e che

riguarda lo sviluppo di una teoria “diversa” della mente. Ciò origina dal fatto che, secondo

valenze psicologiche, la maggior parte dei bambini, attorno all’età di quattro anni, comprende

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che le altre persone hanno i loro pensieri, le loro passioni, desideri e che non sono dunque

l’immagine allo specchio di loro stessi. Così come lo vede lo psicologo dei bambini

dell’università di Washinton, Andrew Meltzoff, lo stadio di sviluppo, conosciuto come il “terribile

doppio”, si ha perché i bambini – quelli normali – giungono all’ipotesi che i loro genitori

abbiano menti indipendenti e poi, così come scienziati, li sottopongono a test di verifica. I

bambini con spettro autistico, hanno “menti cieche”, sembrano credere che ciò che accade in

tutte menti siano gli stessi pensieri che appaiono nelle loro, in quel preciso momento, e ciò che

loro provano credono sia ciò che ognuno prova.

La nozione che gli altri – genitori, operatori, insegnanti – possano decidere per pensieri

differenti, che possano albergare segreti o pensieri non univoci, non passa per la loro mente. “

A Tommy, serve un tempo lunghissimo per dire una bugia.” Replica Pam Barrett, e quando alla

fine la dice, lei intimamente lo conforta.

Meltzoff crede che questa mancanza possa ricalcare il nucleo della difficoltà incontrate, da

chi soffre di autismo, di imitare la vita degli adulti. Se un adulto si siede con un bimbo di

diciotto mesi e si impegna in una serie di comportamenti interessanti – battere su due cubetti

posti sul pavimento, o forse, fare delle facce strane – il bimbo solitamente lo imita, facendo lo

stesso. I piccoli bimbi con autismo, no; come hanno dimostrato Meltzoff e la sua collega

Geraldine Dawson in una serie di esperimenti in sala giochi. La conseguenza di questo

fallimento può essere seria. In età precoce, l’imitazione è uno degli strumenti più importanti

per l’apprendimento. E’ attraverso l’imitazione che i bambini imparano a dire le loro prime

parole ed apprendono il linguaggio non verbale come la postura del corpo e le espressioni

facciali. In questo modo, dice Meltzoff, i bambini imparano che tenere le spalle basse significa

tristezza o stanchezza fisica e che strizzare gli occhi può significare felicità oppure scherzo.

Per i bambini autistici – persino per quelli ad alta funzionalità – l’abilità nel leggere la

condizione interiore di altre persone viene solo dopo un lungo cammino, e persino dopo

questo, la maggior parte di loro fallisce nel comprendere i sottili segnali che inconsciamente

qualsiasi individuo lascia trapelare. “ Non avevo idea di cosa comunicassero le altre persone

attraverso alcuni piccoli movimenti degli occhi” dice la dottoressa Temple Gradin, autistica,

“fino a che non lo lessi in un giornale cinque anni or sono”.

Allo stesso tempo, è scorretto dire che gli autistici sono freddi ed indifferenti verso chi sta

loro intorno o, come comunemente si crede, non possiedono quell’alto livello relazionale

conosciuto come “empatia”.

Lo scorso dicembre, Pam Barrett si sentì fortemente emozionata e scoppiò in lacrime, c’era

Danny, il più grave dei suoi figli, che correndo verso di lei e girando alle sue spalle la attirò

nelle sue braccia.

Un’altra convinzione da sfatare relativamente ai soggetti con autismo, dice Karen Pierce, una

neuroscienziata dell’università di San Diego, California, è quella che essi non individuino e non

memorizzino come ‘speciali’ le facce di coloro che più li amano – che nel linguaggio dei

maggior esperti di cervello avanzato – equivale a dire che loro vedono il viso della loro madre

tale e quale a quello dipinto su una tazza di carta. Quasi l’opposto a quanto dice Pierce, che

sulla base di studi per neuroimmagini, ha appunto confutato le dette affermazioni. Comunque,

lei ha riferito nella conferenza tenutasi a San Diego, lo scorso novembre, che il centro delle

attività nella mente degli autistici, sembra risiedere all’infuori del giro fusiforme, un area del

cervello che in persone normali è specializzata nella ricognizione dei volti umani. In studi di

neuroimmagini, Pierce osservò, infatti che il giro fusiforme non reagisce negli autistici quando

vengono mostrate loro immagini fotografiche di sconosciuti mentre si accende come una pira

romana, se messi di fronte a fotografie dei genitori. In più, questa attività esplosiva non si

limita al giro fusiforme ma, come nei normali soggetti, si estende in aree del cervello che

rispodono al carico emotivo degli eventi. A Pierce questo suggerì che come i bimbi, i soggetti

autistici, sono in grado di realizzare legami emozionali forti, cosicchè il loro tardivo isolamento

sociale sembra essere la conseguenza di una disorganizzazione cerebrale che peggiorerebbe

mano a mano che lo sviluppo procede.

In questo modo, studio dopo studio, sembra sempre più evidente che il modo di analizzare le

informazioni dei soggetti autistici è per molti versi diverso da quello dei soggetti normali.

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John Sweeney, psicologo dell’università dell’Illinois, per esempio, ha trovato che l’attività

nella corteccia prefrontale e parietale è notevolmente sotto la norma negli adulti autistici a cui

è richiesto di eseguire un semplice esercizio che coinvolga la memoria spaziale. Queste aree

del cervello, egli fa notare, sono essenziali per pianificare la soluzione dei problemi ed è inoltre

necessario, per ottenere le modificazioni dinamiche delle mappe spaziali da utilizzare,

nascondere quote di queste in memoria-lavoro. Come dice Sweeney, la ridotta capacità di

soluzione dei problemi, costruiti per testare i suoi pazienti – posizionare dei tappi su dei siti

appositi alternativamente illuminati - suggerisce una loro difficoltà nel riconoscere ciò che

viene nascosto o di accedervi in tempo reale. Al collaboratore di Sweeney, la neurologa Dr.

Nancy Minshew dell’università di Pittsburgh, le immagini ottenute da Sweeney dai cervelli di

autistici, durante il lavoro, sembrano particolarmente significative. Suggeriscono infatti una

connessione essenziale tra aree chiave del cervello dove un ottimale livello di attività non è

funzionante o dove addirittura non è mai stato realizzato.

UNA FACCENDA DI MANCATE CONNESSIONI

L’autismo comincia con un qualcosa che non funziona in un’area del cervello – il sistema

staminale cerebrale, per esempio? – e poi si allarga all’esterno irradiandosi? O è un problema

più vasto che inizia più marcatamente quando il cervello è chiamato a svilupparsi e ad

utilizzare circuiti più complessi? Ogni scenario è plausibile, e gli esperti non sono in accordo su

cosa sia più probabile. Ma una cosa è certa: già molto precocemente il cervello dei bambini

autistici appare anatomicamente diverso dalla norma, sia macro-, che microscopicamente.

Per esempio, la Dr.ssa Margaret Bauman, un neurologo-pediatra alla Scuola Medica di Harvard,

esaminando tessuti cerebrali postmortem, di quasi 30 soggetti autistici morti ad un’età

compresa tra i cinque e i settantaquattro anni, evidenziò tra le altre cose, anormalità nel

sistema limbico, in un’area che include l’amigdala (il centro del cervello emotivo primitivo) e

l’ippocampo ( la struttura simile per forma ad un cavalluccio marino che risulta critica per la

memoria). Le cellule del sistema limbico dei soggetti autistici, come dimostrato dal lavoro di

Bauman, sono tipicamente piccole e sottilmente impachettate assieme, e se comparate alle

cellule corrispondenti di soggetti normali, esse appaiono insolitamente immature, commenta lo

psichiatra, Dr. Edwin Cook, dell’università di Chicago, "Come se aspettassero un segnale per

crescere”. Un’anormalità intrigante è stata anche evidenziata nel cervelletto di autistici adulti e

bambini. Una classe importante di cellule, conosciute come cellule di Purkinje (dopo che furono

scoperte dal fisiologo Czech) sono molto ridotte numericamente. E questo, crede il

neuroscienziato Eric Courchesne, dell’università della California, a San Diego, offre un

elemento critico su ciò che non funziona nell’autismo. Il cervelletto, egli fa notare, è uno dei

più affollati centri di computo cerebrale, e le cellule di Purkinje sono gli elementi critici del

sistema di integrazione dei dati. Senza queste cellule, il cervelletto è incapace di fare il suo

lavoro, che è quello di ricevere torrenti di informazioni dal e sul mondo esterno, incapace di

computare i significati di queste informazioni e di preparare altre aree cerebrali a rispondere ad

esse in modo appropriato.

Alcuni mesi fa, Courchesne rivelò i risultati ottenuti da studi con immagini cerebrali che gli

permisero di formulare una nuova e provocatoria ipotesi. Alla nascita, egli fa notare, il cervello

di un bambino autistico è di dimensioni normali. Ma con l’andare del tempo a due, tre anni,

questi bambini presentano un cervello più voluminoso del normale. Questo accrescimento

anormale non è uniformemente distribuito. Usando la tecnologia della MRI-imaging,

Courchesne e i suoi colleghi furono capaci di identificare due tipi di tessuto dove questo

aumento di crescita è più pronunciato. Questi sono i neuroni-stratificati della materia grigia

della corteccia cerebrale e della materia bianca sottostante, che contengono le proiezioni di

connessione fibrosa, per e dalla corteccia, e altre aree del cervello, incluso il cervelletto. Forse,

specula Courchesne, è il sovraccarico del segnale causato da questa proliferazione di

connessioni che danneggia le cellule di Purkinje e alla fine le uccide. “Così ora”, afferma, “ una

domanda molto interessante sarà: Cosa guida la crescita anormale del cervello? Se potessimo

comprenderlo saremmo in grado di rallentarla o fermarla.”

Una proliferazione di connessioni tra billioni di neuroni avviene in ogni bambino,

naturalmente. Un cervello di bambino, a differenza di un computer, non viene nel mondo con i

suoi circuiti fissi installati. Egli deve attivare i suoi circuiti in risposta a sequenze di esperienze

e poi connetterli saldamente attraverso ripetute attività neurologiche. Così se Courchesne

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avesse ragione, cosa ci impedirebbe di considerare l’autismo un processo, altrimenti normale,

che si accende troppo presto, o troppo fortemente, e si spegne troppo tardi – e che questo

processo potrebbe essere controllato da geni. Attualmente, Courchesne e suoi colleghi, stanno

osservando con attenzione specifici geni che controllano quattro geni che appaiono essere

coinvolti. Di particolare interesse i geni che codificano quattro diversi regolatori della crescita

del cervello, che si repertano precocissimamente in soggetti che sviluppano ritardo mentale o

autismo. In relazione a questi elementi, come hanno riferito l’anno scorso la Dr. ssa Karin

Nelson e suoi colleghi dell’Istituto Nazionale di Ricerca e Salute, esiste una potente molecola

conosciuta come “peptide vasoattivo intestinale (vip)” , che giocherebbe un ruolo non solo

nello sviluppo del cervello ma anche in quello del sistema immunitario e del tratto

gastrointestinale, una spiegazione del perché molti altri disturbi che accompagnano l’autismo

non siano pure coincidenze.

L’idea che ci sarebbero precoci biomarkers per l’autismo ha affascianto molti ricercatori, e la

ragione è semplice. Se uno potesse identificare gli infanti ad alto rischio, sarebbe poi possibile

monitorare i cambiamenti neurologici e presagire la comparsa dei sintomi, e forse un giorno

intervenire nel processo. “Proprio ora”, dice Michael Merzenich, un neuroscienziato

dell’università di California, San Francisco, “ stiamo studiando l’autismo dopo che si verifica la

catastrofe, e vediamo in questi bambini una confusione di cose che non riescono a fare. Ciò

che ci servirebbe sapere è come tutto questo succede”. I geni che regolano la condizione del

disordine autistico potrebbero essere responsabili del deragliamento dello sviluppo del cervello

in tanti modi. Essi potrebbero codificare mutazioni dannose di singoli geni – per es. la fibrosi

cistica o la malattia di Huntington. Esse potrebbero, alla stessa maniera, costituire una serie

complessa di varianti di geni normali che combinano guai solo se combinati con altri geni.

Oppure potrebbero essere geni che determinano vulnerabilità ad ogni tipo di stress incontrato

dal bambino.

Una teoria popolare ma ancor oggi non dimostrata è quella della responsabilità per l’autismo

delle vaccinazioni MMR (morbillo, orecchioni e rosolia), vaccini tipicamente somministrati al

bambino intorno ai 15 mesi. Ma vi sono molti altri chiaccherati imputati. I ricercatori alla Davis,

università della California, hanno appena dato avvio ad uno studio epidemiologico che vuole

testare la presenza di residui, nei tessuti di bambini autistici e non, di mercurio, ma non solo,

anche pcbs, benzene e altri metalli pesanti. La premessa sta nel fatto che alcuni bambini

possono risultare geneticamente più suscettibili di altri al danno esercitato da questi agenti, e

così lo studio può anche misurare un certo numero di altre variabili genetiche, come la capacità

di questi bambini di metabolizzare il colesterolo e altri lipidi.

I farmaci assunti da donne in gravidanza sono anche sotto attenta osservazione.

All’università di Rochester, l’embriologa Patricia Rodier e suoi colleghi, stanno esplorando come

taluni teratogeni (sostanze che causano difetti alla nascita) possano essere responsabili di

autismo.

Questi ricercatori stanno mettendo a fuoco l’impatto di teratogeni su un gene chiamato

hoxa1, il quale si suppone intervenga nel primo trimestre di gravidanza per poi restare silente.

Nell’embrione di topo esiste l’equivalente di questo gene ed è stato individuato come

responsabile dello sviluppo delle cellule staminali del cervello e che un intero strato di queste

cellule risulta assente.

Alla fine, non solo è possibile ma utile che gli scienziati scoprano più vie – alcune rare,

alcune comuni; alcune puramente genetiche, altre no – che evidenzino punti fermi. E quando

lo fanno nuove idee per prevenire o correggere l’autismo possono rapidamente materializzarsi.

Una decade da ora, si saprà quasi certamente quali nuove terapie preferire e forse persino

farmaci per l’autismo. “Geni”, come osserva Cook dell’università di Chicago,”dateci il gene

obiettivo e non costruiremo i farmaci specifici”.

Paradossalmente, l’unica cosa che è terribile relativamente all’autismo – che colpisce i più

piccoli – ci suggerisce anche speranze. Prima che nel cervello dei bambini, attraverso le

esperienze, si stabiliscano le connessioni fra le cellule cerebrali, particolari esercizi, con precisi

obiettivi, da far eseguire a questi pazienti, potrebbero fare la differenza.

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Uno dei più importanti quesiti (che hanno già una risposta) infatti, è perché il 25 % dei

bambini con simili quadri di autismo completo, beneficiano enormemente delle terapie che

prevedono compiti sociali e di verbalizzazione – e perché l’altro 75% no?

“E’ perché, il cervello di questi ultimi è irreversibilmente danneggiato”, si chiede Geraldine

Dowson, direttore del Centro Autismo dell’università di Washinton, “oppure, e questo è

fondamentale aben vedere, è piuttosto perché questo 75% di bambini non è stato

adeguatamente indirizzato?”

La maggioranza degli scienziati si pone queste domande anche per riordinare i pezzi del

puzzle che risulta scomposto in Tommy Barrett come nei suoi giocattoli transformer.

Metti i pezzi giusti assieme in un modo e avrai un bambino normale. Metti i pezzi assieme in

un altro e avrai un bambino con autismo. E così come le dita di Tommy scompongono un treno

e lo trasformano in un robot e viceversa bisognerebbe poter scomporre il pensiero.

Potrebbe essere che alcuni giochi di abilità risultino realizzabili anche da un cervello

profondamente autistico secondo una rotta di ritorno. Potrebbe essere che alcuni bambini che

sono ipnotizzati in un processo di trasformazione possano maturare in scienziati che

comprendono il trucco.

Rapporto di Amy Bonesteel /Atlanta

5522)) AAuuttiissmmoo:: iiddeennttiiffiiccaattee aannoommaalliiee ssttrruuttttuurraallii ddeell cceerrvveelllloo

Fonte: Reuters Health 11.02.2002 - “Neurology” 2002, 58: 428-32

Titolo originale articolo: “Minicolumnar pathology in autism”

Autori: Casanova MF et al.

Alcuni ricercatori degli Stati Uniti hanno scoperto in soggetti con autismo anomalie cerebrali

che possono spiegare alcune dei sintomi della malattia.

I soggetti con autismo, raffrontati con quelli senza, hanno più “minicolonne” nel cervello:

questo è il risultato del lavoro di questi ricercatori pubblicato nel numero del 12 febbraio 2002

di Neurology.

L’obiettivo dello studio è stato quello di determinare se esistono differenze nella

configurazione delle “minicolonne” tra i cervelli di pazienti autistici e di controllo. La ricerca è

stata uno studio neuropatologico postmortem.

Per testare i risultatri è stato usato uno speciale programma di analisi (CIP - Computerized

Imaging Program) per misu-rare i dettagli delle caratteristiche morfologiche delle colonne

cellulari nell’area 9 della corteccia prefrontale e nelle aree 21 e 22 posteriore del lobo

temporale, in 9 soggetti con autismo ed in 9 soggetti senza autismo.

La ricerca ha rilevato differenze significative, tra i soggetti con autismo e quelli di controllo,

nel numero delle “minicolonne”, nella spaziatura orizzontale che separa le colonne cellulari e

nella loro struttura interna. Specificatamente, le co-lonne cellullari nei cervelli dei soggetti con

autismo sono significativamente più numerose, più piccole e meno compatte nella loro

configurazione.

I ricercatori hanno concluso che nei soggetti con autismo ci sono anomalie minicolonnari nei

lobi frontali e temporali del cervello.

In un’intervista a Reuters, uno degli autori dello studio (Dr. Manuel F. Casanova) ha

comparato le “minicolonne” ai chips dei computer che processano le informazioni: ciascuna

“minicolonna è “l’unità di base del cervello” che prende informazioni, le processa e risponde.

Secondo l’autore “è quasi un minicervello”.

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Nell’autismo è danneggiata l’abilità dei soggetti a comunicare ed a relazionare con gli altri; la

malattia usualmente compare nei primi anni di vita. Può avere effetto anche sull’abilità a

rispondere appropriatamente a ciò che si vede, ai suoni, al tatto.

Sebbene alcuni bambini con autismo abbiano un ritardo mentale,circa un terzo presenta

“alte funzioni” con un QI mediato (quoziente intellettivo adattato alla sindrome) normale o

quasi.

Avere molte più “minicolonne” può determinare, nei soggetti con autismo, la ricezione di più

segnali esterni rispetto ad altri soggetti e la condizione “di essere sopraffatti dalla quantità di

informazioni” che arrivano al loro cervello.

Il dott. Casanova ha dichiarato che la presenza di molte minicolonne può anche spiegare

perché alcuni soggetti con auti-smo hanno speciali abilità: questi extra “chips” nel computer-

cervello “possono dare conto di alcune delle capacità più elevate.

La ricerca secondo questo autore, “fornisce molte più domande che reali risposte: insieme ai

suoi colleghi programma di continuare lo studio delle “minicolonne” nei cervelli dei soggetti con

autismo. Entro il prossimo anno questi ricercatori sperano di iniziare una sperimentazione

clinica di farmaci anticonvulsivanti nei soggetti autistici (molti soggetti con autismo sviluppano

epilessia).

Con un precoce intervento può essere possibile avere effetto sul corso della malattia: i

ricercatori programmano di vede-re se la terapia farmacologica ha qualche effetto sulle

“minicolonne del cervello.

Pubblichiamo qui alcuni Articoli che parlano di Vaccinazione e Autismo, in quanto Vogliamo

riportare il discorso sulle Vaccinazioni dopo la Pubblicazione di un Articolo del “Gazzettino” sul

Primo Ministro Britannico Tony Blaire accusato di avere rifiutato le vaccinazioni per paura del

rischio Autismo.

Il caso nasce perché il governo inglese spinge per questo tipo di prevenzione.

Alcuni ministri si sono schierati dalla sua parte - Accuse a Blair: non ha fatto vaccinare il

figlio - I tabloid inglesi. “Ha evitato la trivalente per Leo, teme diventi autistico”. - Il premier

invoca la privacy ma non chiarisce.

ROMA — Le polemiche inseguono Tony Blair fin sotto l’albero di Natale. A increspare la

serenità del premier stavolta è la vaccinazione trivalente, un’unica puntura che protegge i

bambini da tre malattie infettive, morbillo, parotite e rosolia.

Secondo i tabloid londinesi, Blair avrebbe evitato la dolorosa scadenza al più piccolo dei suoi

figli, Leo, 19 mesI. Una scelta in contraddizione con la politica del suo governo che invece

spinge in direzione di questi vaccini, raccomandando ai cittadini dl accettarle nella trio-

formulazione. Blair ha risposto alle insinuazioni con molta foga, ma non ha chiarito se il piccolo

Leo sia stato sottoposto alla profilassi oppure no. Si è piuttosto arroccato dietro il diritto alla

privacy: “Questi attacchi sono orribili e ingiustificati. E’ inaccettabile sostenere che io e mia

moglie ci siamo deliberatamente rifiutati di vaccinare Leo, ritenendolo per lui pericoloso”. E

ancora:• “La trivalente è sicura, non è vero che sia meglio effettuare le tre iniezioni

separatamente. Alcuni ministri del governo laburista si sono schierati dalla parte della famiglia

di Downing Street. - Ma l’opposizione non perde lo spunto per incalzare il premier: “Deve

uscire dall’ambiguità tuona il leader liberal democratico Charles Kennedy - Deve dire

chiaramente se il figlio è stato vaccinato”.

Sul piede di guerra le associazioni di genitori del Regno Unito. Da tempo vanno sostenendo il

legame tra trivalente e alcune forme di autismo e alcuni disturbi intestinali. Chiedono che

venga sostituita con le tre punture separate, concessione che le autorità sanitarie non

intendono rilasciare.

Non hanno nulla a che fare con la presunta pericolosità della trivalente la morte in Algeria di

sette neonati che avevano ricevuto la profilassi contro gli orecchioni. L’agenzia Aps riferisce

che i piccoli provengono dalla regione di Mascara. Il ministro della sanità Abdelhamld Aberkane

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ha ufficialmente scagionato il farmaco, usato da molto tempo in Algeria e ha attribuito quegli

episodi alla “mancanza di vigilanza”.

Anche tra i nostri esperti prevale la convinzione che la trivalente sia assolutamente sicura.

“Non c’è evidenza scientifica del nessi causali con autismo e disturbi intestinali dice Vittorio

Carreri, presidente della Siti, società italiana di igiene preventiva e sanità pubblica . In tutto il

mondo si va verso l’uso di queste formule unificate che permettono di indurre una protezione

contro malattie molto diffuse, che possono avere conseguenze anche molto negative. I risultati

sono eccellenti, sul piano dell’effìcacia.

Secondo Carreri, la strada delle vaccinazioni associate è ormai segnata: “impensabile

tornare indietro, perché nulla lo suggerisce. Anzi presto arriveremo all’esa e all’eptavalente.

Un’unica puntura per difendere i bambini dalle principali malattie infettive”

Margherita De Bac

IL LEGAME FRA IL VACCINO MRR E L’AUTISMO ORA É PIÙ CHIARO

Nel febbraio del 1998 dei dottori britannici annunciarono delle prove schiaccianti relative al

legame fra la vaccinazione MMR (orecchioni-morbillo rosolia), l’autismo e le malattie intestinali

nei bambini. In un ulteriore studio, condotto dal Professor John O’Leary il virus del morbillo fu

trovato negli intestini di 24 bambini su 25 i quali avevano sviluppato enterocolite autistica dopo

un’infanzia apparentemente sana.

Il Professor John O’Leary, parlando sotto giuramento nel corso di un’udienza di fronte al

potente Comitato Congressuale sulle Riforme Governative ha riferito come il suo sofisticato

laboratorio aveva identificato il virus del morbillo — qualcosa che certamente non avrebbe

dovuto trovarsi lì — in campioni prelevati dagli intestini di non meno di 24 su 25 pazienti presi

in considerazione.

Le scoperte di questo studio di vitale importanza. riportate per la prima volta il 6 aprile

presso l’udienza congressuale sull’autismo. forniscono una convincente nuova testimonianza

del collegamento fra l’infezione da virus del morbillo e questa terribile disgrazia; queste

scoperte, inoltre, richiedono urgentemente nuovi parametri sulla sicurezza del vaccino MMR —

la vaccinazione combinata per orecchioni, morbillo e rosolia che viene regolarmente

somministrata ogni anno a centinaia di migliaia di bambini in Gran Bretagna (e nel resto del

mondo).

Sono passati più di cinque anni da quando Rosemary Kessick, ansiosa di scoprire perché il

suo bimbo in precedenza sano aveva contratto delle terribili affezioni all’intestino e di punto in

bianco si comportava in modo incontrollabile, dapprima cercò l’uomo che fornì al Professor

O’Leary quelle fondamentali biopsie di tessuti prelevati da bambini autistici; ella si rivolse al

gastroenterologo Dr. Andrew Wakefield, consulente onorario presso il Royal Free Hospital di

Londra nonché acclamato ricercatore delle affezioni infiammatorie dell’intestino.

Il Dr. Wakefield non aveva mai visto prima un bambino come William, il cui autismo era

calato su di lui quasi nel giro di una notte. Quando esaminò il rivestimento dell’intestino di

William con una telecamera a fibre ottiche, egli rimase sbalordito nello scoprire un’inspiegabile

anormalità. Nel febbraio del 1998, dopo aver visto altri 11 pazienti con sintomi identici, osò

suggerire che genitori come Mary, i quali ritenevano che i loro bambini avessero sviluppato

l’autismo dopo che era stato loro somministrato il vaccino MMR, adesso avrebbero dovuto

essere presi sul serio.

In un documento scientifico pubblicato sulla rivista medica leader The Lancet, il Dr.Wakefield

ed i suoi colleghi hanno descritto come scoprirono questo medesimo esempio di infiammazione

dell’intestino — che essi ritenevano fosse una componente di una nuova malattia, l’enterocolite

autistica — in tutti i 12 bambini. Essi hanno riportato che i genitori di otto bambini hanno detto

che il comportamento dei piccoli ha iniziato a deteriorarsi dopo le loro vaccinazioni MMR.

Mentre non vi era alcuna prova diretta di un legame, il Dr. Wakefield disse che bisognava

indagare adeguatamente sulla faccenda; egli sottolineò di non essere contro i vaccini e di

volere soltanto programmi di vaccinazione sicura per i bambini.

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Tuttavia all’interno dell’ambiente medico consolidato non esiste eresia più grande che

mettere in discussione la sicurezza dei vaccini per l’infanzia. Il Dr. Wakefield fu ben presto

accusato di minare la fiducia dei genitori nel MMR e di mettere a rischio le vite di molti bambini

poiché un gran numero di genitori aveva deciso di evitare il vaccino; da quel giorno in poi la

comunità medica gli diede l’ostracismo. I suoi meticolosi studi sui 12 bambini — e, di

conseguenza, altre centinaia nelle loro condizioni —vennero ignorati dal governo britannico e

accantonati dagli “esperti” del Medical Research Council; i suoi capi dell’University College di

Londra gli ordinarono di non parlare con la stampa.

Adesso, dice il Professor O’Leary, che è uno dei patologi indipendenti di punta della

Repubblica d’Irlanda, le nuove prove provenienti dal suo laboratorio devono cambiare tutta

questa situazione. Egli è doppiamente preoccupato in quanto un altro gruppo di ricerca

indipendente in Giappone ha anch’esso trovato il virus del morbillo nel sangue di tre dei

pazienti di Wakefield — ed essi sostengono che l’impronta genetica è “coerente” col ceppo

usato nel vaccino MMR; così ulteriori studi divengono ora imperativi.

“Le scoperte che ho presentato al Congresso” ha detto il Professor O’Leary, “sono i risultati

di un lavoro indipendente eseguito dal mio laboratorio su materiale mandatoci da Andrew

Wakefield. Il materiale che ci è stato dato è stato spedito in modo riservato; prima che i nostri

test fossero completati non conoscevamo i nomi dei pazienti, né la diagnosi o l’età; non vi era

alcuna tendenza particolare a cambiare diagnosi o cambiare i risultati per conformarsi ad una

particolare ipotesi di lavoro.”

Egli ha detto che dei 25 bambini con enterocolite autistica che il suo laboratorio ha

analizzato, 24 ospitavano l’impronta genetica del morbillo. Solo uno dei 15 bambini del gruppo

di controllo — quelli che non hanno l’autismo —presentava il virus.

Il Professor O’Leary ha detto: “É il 96% confrontato col 6,6%, che statisticamente è

altamente significativo ed implica un’associazione fra il virus del morbillo e questa malattia. Il

virus del morbillo è presente nell’intestino di questi bambini. Non dovrebbe trovarsi lì. Il

problema seguente è scoprire che cosa ci sta a fare là, e vi è la necessità di un’indagine

approfondita in merito e che sia appropriatamente finanziata.”

Sui genitori britannici sono state esercitate fortissime pressioni da parte degli ispettori della

sanità e dai GP affinché i loro bambini venissero vaccinati con il MMR ed alcune famiglie sono

state depennate dalle liste mediche per aver rifiutato. Il governo lo scorso hanno ha bloccato

l’importazione del vaccino contro il solo morbillo ed i genitori che desiderano il singolo vaccino

sono costretti a recarsi oltremare. Se viene confermato che l’infezione da virus del morbillo —

qualsiasi sia la sua origine — è la causa di variazioni croniche nell’intestino e di danno

cerebrale in almeno questo gruppo di bambini autistici, potrebbe essere possibile trovare una

cura; certamente molti genitori hanno scoperto che una dieta rigida può aiutare i loro bambini.

Il Ministero della Sanità Britannico ha espresso disprezzo per gli studi del Professor O’Leary,

tuttavia, agli inizi di aprile, il Medical Research Council ha annunciato una massiccia indagine

statistica su due milioni di cittadini in Gran Bretagna, che è finalizzata a saperne di più

sull’autisIno e che dovrebbe “essere in grado di esaminare qualsiasi possibile associazione fra

l’autismo ed il vaccino MMR”. La potenziale importanza dei risultati del Professor O’Leary non

verrà sprecata dagli avvocati di circa 200 bambini — gran parte dei quali autistici — che hanno

già intentato causa ai produttori del vaccino MMR.

Il Professor O’Leary, che ora ha deciso di ampliare la sua collaborazione col Dr. Wakefield,

ha commentato: “Adesso è giunto il momento per una vera ricerca; dobbiamo decifrare quello

che sta accadendo.”

Per le centinaia di genitori come Rosemary Kessick tale ricerca non potrà essere svolta con

la dovuta tempestività. (Fonte: The Mail on Sunday, (1K, 9 aprile 2000)

5533)) II mmiiccrroorrggaanniissmmii nneell ttrraattttoo iinntteessttiinnaallee

Dott. William Shaw

BATTERI PRESENTI NEL TRATTO INTESTINALE

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Per comprendere come l’uso indiscriminato di antibiotici possa avere effetti disastrosi per la

salute, è necessario conoscere il ruolo dei microrganismi presenti nel tratto intestinale.

Nell’intestino ci sono due principali tipi di batteri:gli aerobici e gli anaerobici. Per i batteri

aerobici è necessario l’ossigeno per vivere, mentre per i batteri anaerobici non solo è solo

inutile,ma può addirittura ucciderli. Alcuni batteri inoltre crescono meglio e più velocemente in

presenza di ossigeno ma possono adattarsi ad un ambiente in cui ce n’è poco.

Nel tratto intestinale si trova poi ancora un altro grande gruppo di microrganismi:quello dei

lieviti e dei funghi.Tutti insieme questi organismi si trovano in un intestino normale in una

salutare condizione di equilibrio. Si stima che nell’intestino umano medio ci siano 500 o più

specie differenti di microrganismi. Poiché nel tratto intestinale non c’è molto

ossigeno,predominano i batteri anaerobici (quelli cioè che non necessitano di ossigeno). La

maggior parte dei batteri appartengono forse a 30 o a 40 specie delle 500 presenti. Ogni volta

che si considera il tratto intestinale, si può pensare di trovarvi circa 10-100 trilioni di cellule

batteriche. Per avere un’idea delle dimensioni di questa cifra,basti pensare che l’intero corpo

umano è costituito da circa 100 trilioni di cellule. Perciò, il 10-50% delle cellule in un individuo

normale non sottoposto a terapia antibiotica,è dato da cellule batteriche.

Nello stomaco ci sono veramente pochi batteri, poiché l’acidità gastrica li uccide, Tuttavia

essi sono presenti in numero enorme nel colon: circa un milione di volte più numerosi che nello

stomaco. L’acido prodotto dallo stomaco elimina la maggior parte dei batteri, ma non appena il

cibo passa dallo stomaco al duodeno, normalmente l’acidità viene neutralizzata dal bicarbonato

rilasciato dal pancreas. I batteri costituiscono circa il 50% delle feci. I batteri normalmente

residenti del tatto intestinale sono sempre in uno “stato di flusso”:nuovi batteri sono

continuamente prodotti, mentre quelli vecchi vengono continuamente eliminati dal movimenti

del contenuto intestinale prima come cibo poi come feci.

In uno studio riportato nel Journal of Infection and Immunology, si evidenziò che la

penicillina somministrata per via orale ad animali da esperimento, ridusse la popolazione dei

batteri anaerobici di un fattore 1000,compresi quelli utili chiamati Lattobacilli. Questi batteri

sono presenti nello yogurt. Come vengono eliminati i batteri utili,quelli potenzialmente dannosi

aumentano rapidamente di numero. Questi studi riportarono inoltre che i batteri aggressivi si

trasferirono fuori della sede intestinale e furono rinvenuti nei linfonodi dell’area gastro-

enterica.Da queste posizioni strategiche furono poi in grado di causare infezioni in altre parti

del corpo.

SOVRACRESCITA DEI LIEVITI NEL TRATTO INTESTINALE

Altra temibile conseguenza dell’ uso di antibiotici che sopprimono anche i normali batteri è la

proliferazione dei lieviti. Ci sono centinaia di articoli nella letteratura scientifica e medica che

testimoniano come l’eccessiva crescita dei lieviti sia associata all’ uso di antibiotici. (Alcuni di

questi articoli sono inseriti nella bibliografia alla fine di questo capitolo) Ci sono due ragioni che

spiegano perché ciò accade. In primo luogo,quando sono eliminati i batteri normalmente

residenti nell’intestino, i lieviti non sono più costretti alla competizione con loro per il

nutrimento e possono accaparrarsi più facilmente e in abbondanza quanto loro serve dal cibo

che transita nell’intestino dopo il pasto. Secondo, la crescita dei lieviti può addirittura essere

stimolata da molti antibiotici.

La ricerca scientifica su animali è essenziale per comprendere le infezioni da lieviti nell’uomo.

I ratti giovani risultano più suscettibili di quelli adulti all’infezione da Candida e una volta

esposti a questo microrganismo in giovane età, sviluppano di continuo accessi di candidiosi. Se

poi vengono trattati sempre in età precoce con antibiotici, si conta una media di 130 ricadute

delle infezioni da Candida nel tratto intestinale. La somministrazione di cortisone aggrava di

altri 8 eventi questo dato. Risultati simili si riscontano anche per l’Uomo. Soprattutto a causa

dell’abuso di antibiotici, l’incidenza di candidasi disseminata è diventata da una rara evenienza,

quale era prima del 1960, alla quinta più comune infezione acquisita in ospedale nella

California del Sud. Il motivo per cui questi batteri e lieviti sono importanti è legato al fatto che

essi producono sostanze chimiche che sono generalmente presenti in piccolissime

concentrazioni. Quando lieviti e batteri,che di norma sono presenti in quota

limitata,aumentano straordinariamente di numero, rilasciano queste sostanze in concentrazioni

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molto maggiori, tali da poter essere assorbite in modo significativo dall’intestino e immesse nel

sangue. Da lì, possono circolare raggiungendo ogni tessuto del corpo fino a quando vengono

eliminate definitivamente con le urine attraverso il filtro renale.

Oltre alla formazione dei sottoprodotti chimici, le cellule di lievito possono convertirsi nella

loro forma più invasiva: quella in grado di costituire colonie. Il lievito assunta questa forma

filamentosa (ifa) si riproduce insinuandosi attraverso il rivestimento mucoso dell’intestino come

un’edera che si arrampica su di un muro di mattoni. L’adesione del lievito alla parete

intestinale è facilitato da enzimi digestivi che il microrganismo stesso rilascia dove si attacca.

La mucosa intestinale viene così digerita da una varietà di enzimi tra i quali ci sono la

fosfolipasi A2, catalasi, le fosfatasi acide e alcaline, coagulasi, cheratinasi e aspartil-proteasi

secretoria. L’aspartil-proteasi secretoria ha particolare importanza; essa può distruggere il

rivestimento intestinale e può anche digerire gli anticorpi IgA e IgM prodotti dal corpo umano

per difendersi dal lievito. La distruzione della mucosa gastro enterica può essere la ragione

della risposta anomala della secretina discussa più avanti nel capitolo sull’apparato digerente.

Alcune cellule intestinali muoiono probabilmente proprio a seguito di questo attacco

lasciando una specie di buco e come risultato di attacchi multipli, la mucosa intestinale

all’osservazione microscopica può sembrare un formaggio Svizzero. Normalmente particelle di

cibo indigerito non sono in grado di attraversare la mucosa intestinale. Tuttavia a causa dei

buchi lasciati dalle cellule morte tali particelle possono passare. Questo fenomeno è alla base

della “leaky gut syndrome”. L’aspetto più evidente di questa sindrome è una manifestazione di

gran lunga più elevata di allergie alimentari. Le particelle di cibo non digerito vengono

riconosciute dal sistema immunitario come estranee e di conseguenza sono prodotti anticorpi

di classe E e di classe. Dopo un certo tempo si possono manifestare reazioni comportamentali

e allergiche dopo l’assunzione di quel tipo di cibo. Molte volte è capitato che pazienti con

diverse allergie sono stati risottoposti ai tests dopo una terapia contro i lieviti e si trovò che le

loro allergie erano scomparse. Quando la crescita abnorme dei lieviti era stata eliminata,la

mucosa aveva potuto risanarsi: l’intestino non consentiva più perdite di cibo indigerito e il

sistema immunitario diminuiva di conseguenza i sui attacchi. Se il vostro bambino altre allergie

alimentari oltre a una intolleranza al latte e alla farina, potreste trovare grandi difficoltà a

implementare la sua dieta. Per questo mi raccomando perché un problema di lieviti

eventualmente sotteso alle allergie del vostro bambino, sia trattato almeno 60 giorni prima di

fare i tests allergologici.

PROVE DELL’ABNORME PRESENZA DI SOTTOPRODOTTI BATTERICI NELL’AUTISMO

Uno dei composti chimici presenti nell’urina che fin dall’inizio sospettai fosse correlato con

una crescita eccessiva di lieviti nell’intestino, è l’acido diidrossifenilpropionico. Parecchi anni fa,

iniziai uno studio in collaborazione col Dott.Walter Gattaz, psichiatra ricercatore all’Istituto

centrale di Igiene mentale di Manheim in Germania, per valutare dei saggi di urina di pazienti

schizofrenici. I campioni furono particolarmente significativi finché furono ottenuti da pazienti

non sottoposti a terapia farmacologia, poiché ogni eventuale anomalia biochimica sarebbe

stata imputata alla loro malattia e non agli effetti dei farmaci. Cinque di dodici saggi

contenevano una concentrazione veramente elevata di un composto che all’indagine CG/MS si

rivelò un derivato dell’aminoacido tiroxina, molto simile ma non identico all’acido 3,4

diidrossifenilproprionico. Diedi nome a questo composto di composto acido

diidrossifenilproprionico-simile. Questo è sicuramente un isomero dell’acido

diidrossifenilproprionico, ma a tutt’oggi non l’ho ancora identificato con certezza.

Segue schema di pag.19

Neonati testati all’incirca ad un mese di età presentano valori notevolmente bassi di questo

composto,almeno fino a quando il loro intestino non viene colonizzato dagli opportuni batteri.In

bambini più grandi i valori risultano molto più elevati.In bambini con autismo,i valori possono

risultare straordinariamente elevati.Ci sono vari campi di sovrapposizione tra i valori descrittivi

la popolazione normale e quella artistica ma la mediana e le medie sono significativamente più

elevati per i bambini affetti da autismo.

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5544)) AAUUTTIISSMMOO IINNFFAANNTTIILLEE.. AATTTTUUAALLII OORRIIEENNTTAAMMEENNTTII SSUULL TTRRAATTTTAAMMEENNTTOO

MMUULLTTIIDDIISSCCIIPPLLIINNAARREE.. -- NNOOSSTTRREE EESSPPEERRIIEENNZZEE..

MASSIMO BORGHESE* STEFANIA PORCARO** RAFFAELA VALENTINO** ANNALISA

D’AJELLO** EMMA RADICE** TIZIANA GIAMMARINO*** VITTORIO CERASO****

ROBERTO SIMONETTI*****

*Foniatra

**Logopediste

***Psicomotricista

****Neurofisiologo

*****Omeopata-omotossicologo

La presa in carico abilitativa-riabilitativa del soggetto autistico deve, a nostro parere,

realizzarsi attraverso un momento diagnostico ed un intervento logopedico che considerino e

comprendano almeno le seguenti premesse:

- l’autismo è una sindrome a genesi multifattoriale, decisamente di natura organica, per

nulla collegabile ad ipotesi di tipo psicodinamico che, peraltro, hanno frenato e sviato anni

di possibilità di seria e costruttiva ricerca scientifica;

- il deficit linguistico espressivo non è certamente l’unica, ma è sicuramente una delle più

significative ed invalidanti componenti del quadro clinico, per cui non è pensabile porre in

secondo ordine in un protocollo diagnostico-terapeutico, la considerazione di tale

elemento;

- non è realizzabile un intervento abilitativo che si basi sulla mera esecuzione di un solo e

semplice “metodo”, senza un significativo coinvolgimento di tutti gli operatori utili allo

scopo, escludendo, nel contempo, figure e metodologie dannose o fuorvianti, nonché

operatori che, al di là del gruppo scientifico-culturale di appartenenza, si dimostrino

singolarmente incompetenti e non sufficientemente preparati allo svolgimento di un

lavoro così specifico.

Partendo da queste ed altre premesse, stiamo lavorando, ormai da molti anni, sulla

sindrome autistica con l’obiettivo di porci in un atteggiamento di costante aggiornamento

relativo alle cause (se ne scoprono sempre di nuove) ed alle modalità di trattamento della

patologia in questione, mantenendo come punto fermo di riferimento, le figure professionali del

foniatra e della logopedista (anche, ma non solo, perché il nucleo iniziale del nostro gruppo di

lavoro è formato da foniatra e logopedista), ed operando in grande sintonia con altre figure,

quali lo psicomotricista, l’omeopata-omotossicologo, il neurofisiologo, i genitori dei bambini in

carico, gli insegnanti della scuola.

Parlare di autismo infantile impone innanzitutto una chiarezza concettuale e terminologica, al

fine di evitare il verificarsi di un frequente equivoco, consistente nell’uso spesso improprio di

tale diagnosi per definire diversi soggetti affetti, sì, da turbe del linguaggio e del

comportamento, e che autistici non sono; ma soprattutto al fine di evitare omissioni o ritardi di

diagnosi; evenienza, questa, forse ancora più grave, perché responsabile di ritardate prese in

carico terapeutiche.

Andiamo pertanto a vedere quali sono i criteri essenziali per formulare una corretta diagnosi

di autimo in età infantile:

a) Esordio prima dei 30 mesi di età.

b) Carenza globale di reattività nei confronti di altre persone.

c) Deficit grossolani nello sviluppo del linguaggio.

d) Se la capacità di parlare è presente, vi sono modalità particolari di discorso, come ad

esempio ecolalia immediata o tardiva, linguaggio metaforico, inversione di pronomi.

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e) Reazioni bizzarre a vari aspetti dell’ambiente, come ad esempio resistenza ai

cambiamenti, interesse particolare o inusuale attaccamento per oggetti prevalentemente

inanimati, che vengono “superinvestiti” di affettività.

f) Assenza di deliri, allucinazioni, allentamento dei nessi associativi o di incoerenza, a

differenza di quanto avviene nella schizofrenia.

In maniera sostanzialmente non difforme, l’Associazione Psichiatrica Americana segnala i

seguenti sintomi come necessari e sufficienti per la diagnosi di autismo:

a) Palese deterioramento delle interazioni sociali: carenze di interesse per le altre persone;

chiusura, indifferenza emotiva agli stimoli; evidente difficoltà a partecipare alla vita e ai giochi

di gruppo; i bambini gravemente isolati dimostrano di ignorare completamente gli altri ed

hanno difficoltà ad instaurare contatto visivo con le persone.

b) Grave deterioramento della comunicazione verbale e non verbale; il linguaggio è

significativamente ritardato: il bambino può apparire muto o esprimersi solo in gergo. Se

utilizza le parole usuali, il suo linguaggio è prevalentemente non comunicativo, la sintassi è

distorta e si rileva ecolalia. La comunicazione non verbale è anche gravemente deteriorata.

c) Risposte bizzarre all’ambiente manifestate nel seguente modo: il bambino ripete in

maniera rigida un limitato repertorio di condotte, manipola gli oggetti senza tenere in

considerazione le proprietà fisiche e le funzioni usuali, e non li utilizza secondo uno schema di

gioco.

d) Sviluppo di questi sintomi prima del trentesimo mese di età.

A livello epidemiologico ricordiamo che l’incidenza dell’autismo è stimata dal 2 al 10 /

10.000, a seconda dei criteri diagnostici usati. Più precisamente, in Europa la percentuale di

incidenza risulta tra 2 e 4 individui su 10.000.

I maschi ne risultano colpiti 4 volte più frequentemente delle femmine, e non sembrano

esserci differenze di incidenza tra le diverse popolazioni, razze e categorie sociali.

Premessa, dunque, la conoscenza dei criteri fondamentali per una corretta diagnosi di

autismo, identifichiamo le principali linee guida del nostro protocollo diagnostico-terapeutico

nei seguenti punti:

- Visita foniatrica di accettazione, allo scopo di definire un primo orientamento diagnostico

ed una iniziale serie di caratteristiche del profilo comunicativo relativamente ai versanti

percettivo, integrativo, espressivo e, in particolare, relazionale-comportamentale.

- Osservazione logopedica in 4-7 sedute, al fine di approfondire ulteriormente l’analisi del

profilo comunicativo, prima della presa in carico più propriamente terapeutica.

- Osservazione psicomotoria, con intendimenti analoghi a quelli dell’osservazione logopedica.

- Indagini cliniche e strumentali: fisse (bioscreening); facoltative (potenziali cognitivi evento-

correlati, TC o RMN dell’encefalo, analisi genetica).

- Presa in carico terapeutica logopedica.

- Presa in carico terapeutica psicomotoria.

- Dieta e/o terapia disintossicante di tipo omotossicologico.

- Controlli longitudinali foniatrici, strumentali, omotossicologici.

La visita foniatrica costituisce il momento iniziale di inquadramento medico con specifica

competenza nell’ambito della fisiopatologia della comunicazione, al fine di formulare prima di

tutto un’ipotesi diagnostica (confermabile subito, se l’evidenza clinica è tale da non lasciar

dubbi sulla diagnosi iniziale, o nel corso delle successive sedute di osservazione), ma anche

per tracciare un percorso diagnostico-terapeutico durante il quale, il foniatra farà da

supervisore-osservatore, nonché da riferimento per le diverse figure professionali operanti

nell’iter abilitativo del bambino autistico.

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In occasione del primo inquadramento, il foniatra si pone il compito di delineare un iniziale

profilo comunicativo del piccolo paziente, attraverso una disamina che è riassumibile nei

seguenti punti:

- Anamnesi familiare (avente lo scopo, tra l’altro, di individuare l’esistenza in famiglia di

eventuali altri casi, non solo di autismo, ma anche di disturbi della comunicazione di interesse

pertinente ad un inquadramento diagnostico più ampio possibile).

- Anamnesi personale remota, basata soprattutto sull’attenta ricerca di quelle informazioni utili

per l’identificazione di fattori in grado di determinare un danno organico encefalico (eventi

tossici o traumatici in gravidanza, asfissia pre-, peri- o post- natale, manifestazioni convulsive,

ritardato raggiungimento delle principali tappe dello sviluppo motorio nei primi mesi e anni di

vita, intolleranze alimentari, malattie infettive, disturbi del metabolismo, sindromi genetiche…).

- Valutazione delle intenzioni comunicative (performativi).

- Valutazione della prestazionalità generale e, per quanto possibile nel corso della prima

visita, dei singoli livelli:

a) sensopercettivo (non solo e non tanto come capacità “periferica” di udire, vedere,

odorare, gustare…, ma soprattutto come “capacità di elaborare una percezione” a livello

centrale);

b) practomotorio-espressivo (verbale e non verbale);

c) cognitivo-integrativo-decisionale;

d) emotivo-affettivo-relazionale-comportamentale, con particolare riferimento, in caso di

ipotesi diagnostica di sindrome autistica, alle seguenti voci:

- mancanza di contatto oculare interlocutoriale

- scarsa o nulla tolleranza al contatto fisico interpersonale

- presenza di comportamenti autolesivi

- presenza di stereotipie (motorie, verbali) e di ossessioni

- alterato rapporto con i coetanei.

Tali valutazioni costituiscono anche l’oggetto delle prime sedute di logopedia e

psicomotricità, alle quali attribuiamo una valenza non solo strettamente terapeutica, ma anche

di osservazione, in questo caso come completamento di un’osservazione iniziata nella prima

visita foniatrica e, naturalmente, non esauribile del tutto nel circoscritto arco di tempo di un

unico incontro.

L’inquadramento diagnostico, per quanto ci riguarda, non si esaurisce con la prima visita ed

il completamento dell’osservazione effettuata nelle prime sedute di terapia, ma si estende

anche al ricorso ad altre indagini utili per ottenere la più possibile ampia acquisizione di dati

relativi ad una diagnosi etiologica, nonchè per coadiuvare l’osservazione clinica nelle verifiche

longitudinali (a due, quattro, sei mesi, e negli anni successivi) al fine non solo di confermare le

ipotesi diagnostiche iniziali, ma anche di aggiornare i piani di trattamento, le valutazioni

prognostiche (la cui importanza non ci stancheremo mai di sottolineare), e monitorare

l’evoluzione della maturazione del bambino e delle sue abilità.

L’osservazione logopedica e l’osservazione psicomotoria hanno l’intento di completare il

momento diagnostico, onde poter disporre di un dettagliato “identikit” iniziale del bambino con

la compilazione dettagliata del suo profilo comunicativo, realizzata così da due figure

professionali differenti ma complementari, e che saranno poi le protagoniste della vera e

propria presa in carico terapeutica-abilitativa.

Il problema delle cosiddette “indagini strumentali” costituisce a nostro avviso una sorta di

ingombrante arma a doppio taglio, forse “a taglio multiplo” (se ci è consentito il termine), in

quanto siamo fortemente convinti che l’eventuale negatività dei reperti strumentali non

autorizza affatto ad escludere l’esistenza di un danno organico in presenza di un bambino

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autistico. Le continue scoperte di sempre nuove e più numerose anomalie cerebrali (macro- o

microscopiche) di difetti metabolici congeniti o acquisiti, di esiti di eventi infettivi, tossici,

traumatici… in grado di ledere non solo il sistema nervoso, ma anche altri sistemi (con

particolare riferimento a quelli digerente e immunitario) rinforzano le nostre convinzioni

secondo le quali l’autismo rappresenta una malattia a base organica, avente una genesi

multifattoriale, laddove la presenza di una causa identificata, non esclude peraltro la

concomitanza di altri fattori etiologici.

Riteniamo non inutile ma certamente non indispensabile disporre di immagini dell’encefalo

ottenute per mezzo di TC o RMN; questo perché siffatte indagini ragguaglierebbero solo

sull’eventuale presenza di danni macroscopici, nei confronti dei quali peraltro non sono

realizzabili interventi correttivi “diretti”.

Per un’analisi che definiremmo più “funzionale” delle attività cerebrali (comunque

compromesse, indipendentemente da quanto ci è dato di “vedere”) del soggetto autistico,

attualmente preferiamo ricorrere ai potenziali cognitivi evento-correlati (ERPs).

I potenziali evocati cognitivi costituiscono una metodica di indagine strumentale che si pone

nei confronti dei potenziali evocati cerebrali più tradizionali (visivi, uditivi, somatosensoriali),

come un’alternativa che esamina le capacità cognitive del soggetto in esame, come metodo di

valutazione neuro-psico-fisiologica.

I potenziali cognitivi dipendono da processi endogeni, relativamente alla capacità di

elaborazione cognitiva, o meglio, di decodificazione di input sensoriali (per esempio messaggi

acustici) a livello della corteccia limbica.

Il prodotto di elaborazione corticale è il grafico che esprime l’onda P300, laddove il numero

(300) ne quantifica la latenza media espressa in millisecondi, ossia il tempo di comparsa.

Questa, a differenza delle onde che la precedono (N1, P1, N2) non viene elicitata da stimoli

esogeni (cioè stimoli esclusivamente acustici che colpiscono praticamente le circonvoluzioni

trasversali di Enshel, cioè il pavimento della scissura di Silvio, l’area sensoriale uditiva

primaria), ma dall’elaborazione del messaggio, dal suo contenuto informativo.

I parametri fondamentali della P300 sono:

- l’ampiezza,

- la morfologia,

- la latenza,

- la sua distribuzione spaziale, topografica, sulle varie aree dello scalpo.

L’ampiezza è strettamente correlata al livello di attenzione, concentrazione, motivazionalità,

del paziente.

La latenza è strettamente correlata alla velocità del processo decisionale stesso, e quindi,

nella sua dinamicità, è strettamente correlata alle capacità di apprendimento, di espressione

verbale, di immaginazione, di memorizzazione…, e ne abbiamo un termine numerico. In

occasione di studi condotti su migliaia di volontari “sani”, sono stati definiti per fasce di età da

1 a 90 anni, dei range di valori normali relativamente alla latenza e all'ampiezza. La P300 è

risultata poi a sua volta scomponibile in due subcomponenti: la P3a e la P3b. La componente

P3a traduce l’apertura, l’inizio del processo decisionale, quando il soggetto in esame non pone

ancora un’attenzione selettiva allo stimolo target (“rare”). La componente P3b esprime la

chiusura post-decisionale del processo cognitivo, nel corso del quale, il paziente pone

un’attenzione selettiva allo stimolo target.

I generatori anatomici della P300 sono situati tutti al di sopra del tronco cerebrale.

I principali sono indovati:

- nel lobo temporale, a livello dell’ippocampo, dell’amigdala, del giro del cingolo;

- nella neocorteccia laterale del lobo parietale inferiore;

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- nelle aree limbiche prefrontali;

- nel nucleo anteriore del talamo.

E’ stato appurato che tutte queste strutture, componenti nel loro insieme la cosiddetta

“corteccia limbica”, e generanti la P300, sono collegate da una fitta rete di comunicazione ed

interagiscono strettamente tra loro.

In base a ciò si può affermare che quando ci si trova di fronte ad una P300 ritardata,

rallentata nei suoi valori di latenza, vi sono dei momenti lesionali che sconnettono questi

generatori che nella loro convergenza elettrofisiologica producono il potenziale predetto.

Nei soggetti autistici, i grafici dei tracciati ottenuti dall’evocazione dei potenziali cognitivi,

hanno presentato fino ad oggi un tipo di reperto pressocchè costante: una discreta apertura

del processo decisionale, mai seguita da una vera e propria chiusura del processo cognitivo.

Ciò a dimostrazione dell’esistenza di una decodificazione di un contenuto informativo di uno

stimolo sicuramente entrato in un cervello limbico non anomalo per quanto riguarda i suoi

costituienti, ma certamente funzionante in modo diverso…

Sempre negli autistici è stato inoltre possibile distinguere una sorta di due sottopopolazioni

di soggetti, a seconda del diverso andamento delle componenti P3a e P3b della P300,

differenziando di conseguenza pazienti con cognitivo potenzialmente “integro”, da altri con un

verosimile danno di tal genere.

Ma al di là delle possibilità di applicazione diagnostica in assoluto, il ricorso ai potenziali

evocati cognitivi evento-correlati, può risultare particolarmente utile e suggestivo nel

monitoraggio dell’andamento dei trattamenti abilitativi-riabilitativi e farmacologici.

L’andamento nel tempo della P300, infatti, può risultare una spia fedelissima dell’evoluzione

del processo morboso così come delle abilità “cognitive” (ossia di elaborazione centrale) del

soggetto in esame, offrendoci così la possibilità di disporre di ulteriori parametri di valutazione

della terapia, parametri quali-quantitativamente obiettivabili.

Non meno importante ci sembra, allo stato attuale e alla luce di (non) recenti acquisizioni nel

campo delle intolleranze alimentari, il discorso diagnostico-terapeutico legato alla ricerca di tali

patologie (soprattutto collegate a disbiosi intestinali) ed ai loro verosimili rapporti con diverse

affezioni neurologiche centrali, tra cui le psicosi e l’autismo.

Nel 1995 la Società Statunitense di Allergologia ha classificato in modo semplice e chiaro le

reazioni ai cibi:

1) Allergie alimentari vere e proprie che si manifestano con una reazione immediata o quasi

al cibo ingerito: orticaria (fragole), angioedema (crostacei), ecc.

2) Le pseudo allergie dovute a deficit enzimatici: la mancanza dell’enzima per la digestione

delle proteine del latte può provocare vomito e diarrea nel neonato già dopo la prima

assunzione di latte. Rientra in questa categoria anche il favismo, la mancanza cioè di un

enzima per la digestione dei legumi.

3) Le ipersensibilità, cioè le reazioni ad alcune sostanze chimiche contenute in alcuni

alimenti (vino, cioccolata, pesci in scatola, formaggi fermentati) che rilasciano istamina e che

possono causare cefalee e vari sintomi.

4) Le reazioni tossiche agli alimenti, cioè avvelenamenti da funghi o cibi avariati, ecc.

5) Le intolleranze alimentari. In questi casi eliminando inizialmente un cibo

dall’alimentazione quotidiana e reinserendolo poi gradatamente, si ottiene la remissione del

sintomo o del disturbo organico originario.

Si può parlare di allergia alimentare solo quando troviamo nel sangue un eccesso di

Immunoglobuline E (IgE) che in presenza della sostanza estranea (allergene), sia essa polline

o polvere o alimento, si agganciano ad alcuni tipi di globuli bianchi inducendoli a liberare

istamina, che causerà infiammazione, gonfiore dei tessuti, ecc.

Si parla di intolleranza alimentare quando, invece, non vi è produzione di anticorpi IgE,

quando le reazioni non sono immediate, ma croniche. I disturbi infatti non sono in diretta

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relazione con l’assunzione, ma si manifestano anche a distanza di giorni e si possono

sviluppare a carico di qualsiasi distretto anatomico.

Diverse sono le cause delle intolleranze alimentari:

1) Carenza di Vitamine/Minerali.

2) Malassorbimento di Magnesio ed altri minerali da parte della parete intestinale a causa di

disbiosi. Si tratta cioè di un processo fermentativo a carico dell’intestino che in presenza di un

alimento non tollerato inizia a liberare una serie di sostanze (istamina, fenolo, creosolo...) con

conseguente ostacolo ad un buon assorbimento dei minerali e delle vitamine che andranno a

“nutrire” i vari sistemi e funzioni.

3) Stress.

Dalla casistica di 300 soggetti trattati e dai dati raccolti su più di 100 pazienti autistici,

risulta che in una elevata percentuale di casi si è instaurata una disbiosi intestinale già in

tenera età.

Si possono quindi collegare in modo logico le alterazioni del sistema neurologico con quelle

del sistema intestinale e quindi agire in senso terapeutico ripristinando un corretto

funzionamento dell’intestino in tutte le sue funzioni, utilizzando simbionti per la

ricolonizzazione intestinale e l’omotossicologia per una disintossicazione profonda e mirata.

L’omotossicologia agisce sull’organismo secondo il principio di isopatia, cioè introducendo in

esso diluizioni decimali, più o meno alte, del principio attivo che provoca nell’organismo sano

una reazione simile a quella in atto causata dalla malattia. Con il farmaco omeoterapico si

cerca quindi di imitare la malattia: esso diventa un controveleno simile a quello antitossinico

messo in atto dalla malattia.

Mentre la risposta immunitaria è già in corso, se si somministrano principi attivi simili, ma

non identici, si attivano, stimolandoli, ulteriori meccanismi di difesa ancora efficaci e di riserva.

Nel caso di soggetti fortemente intossicati da tossine di origine intestinale, l’utilizzo

dell’omotossicologia è fondamentale per una corretta terapia disintossicante, priva di effetti

collaterali, e di alta efficacia.

Nel caso specifico dei pazienti con diagnosi di autismo, si utilizzano prodotti omotossicologici

presenti sul mercato italiano, che ci consentono il drenaggio del sistema epatico e del sistema

linfatico, con conseguente eliminazione delle tossine accumulate nei vari tessuti, in particolare

nel tessuto mesenchimale e nella matrice extracellulare.

Viene comunque sempre impostata una ricolonizzazione intestinale attraverso prodotti a

base di fermenti lattici, con l’avvertenza di non utilizzare mai un solo ceppo intestinale, ma

sempre dei composti plurimi per ottenere una flora batterica completa ed un equilibrio vitale il

più vicino possibile alla norma.

Si deve dare poi molta importanza alla rieducazione alimentare. Accertate le eventuali

intolleranze alimentari, si imposta, con l’ausilio della famiglia, un programma alimentare

personalizzato per ogni singolo caso.

Questo “protocollo” ha dato risultati molto soddisfacenti.

I dati di tutti i pazienti autistici trattati omotossicologicamente, sono stati raccolti mediante

schede compilate dai genitori, dai terapisti, dagli insegnanti, e sono stati valutati

statisticamente.

La terapia logopedica deve essere, a nostro parere, il più precoce possibile.

Respingiamo fermamente qualsiasi forma di atteggiamento “attendista”, che non ha alcuna

ragione di esistere. Troppo spesso ci viene riferito da genitori attenti e solerti, che diverse

figure di specialisti hanno suggerito di aspettare alcuni anni (!) l’inizio della logopedia, con frasi

tipo “Il bambino non è ancora pronto”, “Deve avere prima un’esperienza di psicomotricità”,

“Acquisirà il linguaggio spontaneamente col tempo, altrimenti provvederete verso i cinque

anni”… e così via, provocando solo perdite di tempo prezioso e non recuperabile. Del resto, i

migliori risultati li abbiamo avuto proprio nei casi in cui abbiamo iniziato precocemente il

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trattamento logopedico, potendo realizzare al più presto alcune tappe fondamentali di un

itinerario coinvolgente funzioni attentive, percettive, cognitive, orali, prassiche… che non

conviene assolutamente procrastinare nel tempo. Il riscontro di un maggior numero di risultati

terapeutici soddisfacenti, rilevato da quando abbiamo adottato tale criterio di scelta di tempi di

intervento, ha confermato in concreto la sua validità.

Non facile compito è sintetizzare le linee guida e gli aspetti pratici del trattamento logopedico

nella sindrome autistica, dal momento che, al di là dei princìpi fondamentali della presa in

carico terapeutica, si può dire che ogni bambino abbia fatto storia a sé, data la diversità di

tempi di inizio del lavoro, di gravità della sintomatologia, di cause della patologia (con

conseguenti differenti possibilità di terapie abbinate ed associabili), nonché di collaborazione

della famiglia e della scuola (altre componenti senza le quali viene vanificata gran parte degli

sforzi del logopedista).

In linea di massima possiamo prima di tutto affermare che il razionale di un intervento

logopedico nell’autismo infantile deve prevedere un lavoro che miri contemporaneamente a:

- Stimolare e rinforzare le capacità percettive e attentive, non solo aumentando

quantitativamente i tempi di attenzione, ma anche rendendoli qualitativamente più significativi

ed utilizzabili ai fini di un costruttivo sfruttamento del contenuto delle percezioni, secondo quei

parametri di cui si parla anche in altri capitoli delle nostre discipline (come nelle sordità, nei

ritardi comunicativi, nelle sindromi da deficit dell’attenzione…) quali la coordinazione

sensomotoria, la separazione figura-sfondo, la costanza della forma…

- Arricchire il più possibile il patrimonio di conoscenze del bambino sfruttando tutti i canali

sensoriali senza prediligerne almeno inizialmente alcuni rispetto ad altri.

Solo in momenti successivi a quello iniziale, potrà risultare utile ricorrere in modo

preferenziale al canale grafico, data la (non solo da noi) constatata preferenza e maggiore

propensione del soggetto autistico verso questo canale comunicativo.

- Favorire tutte le forme espressive, purchè realmente collegate ad intenzioni comunicative

significative e referenziali, e non prodotte in modo stereòtipo e fine a se stesso. Agire, anzi, nei

confronti di questi tipi di produzioni ripetitive ed ossessive, in modo inibitorio, applicando quei

princìpi della “behavior modification” finalizzati ad ottenere l’estinzione di un comportamento

indesiderato.

Dare successivamente maggiore spazio all’utilizzo della verbalità, ovviamente in base

all’evoluzione delle abilità comunicative del soggetto ed alle effettive possibilità di ottenere

forme espressive più sofisticate.

- Attuare un lavoro di rinforzo e stimolazione di tutte le funzioni orali, dalle prassie non

fonemiche, alla masticazione, alla deglutizione, all’articolazione, considerato che in molti

soggetti autistici è stato possibile constatare un ritardo o un’inadeguatezza di queste funzioni.

- Stimolare e perfezionare anche un altro aspetto della motricità fine, quello manuale,

favorendo sia l’utilizzo di utensili (quali ad esempio le posate) e di oggetti di piccole dimensioni

(come i pezzi delle costruzioni), sia la prensione e l’uso di matite, penne, pennarelli…

- Avviare, non appena possibile (in presenza, cioè, di quei requisiti attentivi e cognitivi

minimi

sufficienti), un programma di prelettura e prescrittura, e quindi di lettura e scrittura,

solitamente destinato a buone possibilità di realizzazione in un’elevata percentuale di autistici.

- Curare sempre, e contestualmente alla realizzazione di tutti i punti del programma

terapeutico finora citati, gli aspetti del versante relazionale-comportamentale, classicamente

disturbato, inadeguato e distorto nel soggetto autistico, e, di conseguenza, causa di gran parte

dellelimitazioni prestazionali, al di là di più o meno limitate capacità cognitive.

L’evoluzione paradigmatica di un trattamento psicomotorio dovrebbe svilupparsi attraverso i

seguenti punti:

- l’evoluzione del comportamento spontaneo del bambino sulla scena psicomotoria,

- gli scopi progressivi della terapia psicomotoria,

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- le strategie comunicative del terapista, che a loro volta influenzano il comportamento

successivo del bambino.

Inizialmente ci si trova di fronte ad un comportamento caratterizzato da evitamento

dell’ambiente fisico ed umano, da parte del bambino. Scopo dell’intervento psicomotorio in

questa fase iniziale, è la liberazione del repertorio comportamentale spontaneo ed un

contenimento delle cosiddette “condotte tossiche”. Si inizia con una condivisione a distanza

delle azioni del bambino, che si compie di solito in un silenzio verbale che esalta l’influenza

della postura, della prossemica e della “scena” della stanza di psicomotricità, sul

comportamento stesso del bambino. Ciò produce una liberazione del repertorio adattivo

soprattutto in relazione all’utilizzazione del mondo inanimato che, più di quello umano,

interessa prevalentemente il bambino autistico.

Momento comportamentale successivo del bambino, è l’avvicinamento all’ambiente fisico,

l’esplorazione. In questa fase, l’intervento psicomotorio deve puntare al contenimento spazio-

temporale, attraverso la strategia cosiddetta del rifornimento, che consiste nel fornire al

bambino ciò di cui egli ha materialmente bisogno (oggetti, spazi d’azione, territori…) mentre si

sopprime il “rumore di fondo”, ossia gli oggetti, le azioni inutili, per lui non significative.

Non si cerca di modificare il contenuto delle sue azioni, ma di contenerle nel tempo (i

quarantacinque minuti della seduta) e nello spazio (la stanza di psicomotricità).

Contrariamente alla tappa precedente, il rifornimento richiede al terapista una maggiore

utilizzazione, benchè ancora discreta, del gesto e dello sguardo nel compiere delle azioni come:

raccogliere, dare, distribuire, posare, togliere, impilare, agganciare, annodare…

Ciò genera i primi contatti tra bambino e terapeuta, i quali evolveranno verso una forma

interattiva, il rispecchiamento, ossia un’imitazione empatica delle azioni del bambino, mentre

vi conferisce uno stile ludico. Spesso questa imitazione è reciproca, nel senso che pure il

bambino imita le azioni del terapeuta.

Scopo di questa tappa del lavoro psicomotorio, è l’incoraggiamento al dialogo corporeo.

La fase successiva ha come obiettivo fondamentale l’attivazione della simulazione e del gioco

simbolico. Dal rispecchiamento nasce una vera e propria interazione: il terapista tenta

prudentemente di modificare la relazione simmetrica stabilitasi tra sé e il bambino, ovvero

cerca di abbandonare il comportamento imitativo e inizia a proporre delle situazioni nuove,

esprimendosi con una mimica facciale e corporea spesso enfatizzate. Il contenuto delle azioni

non funge più da semplice stimolo, ma diventa mezzo di scambio tra i due attori. E’ l’inizio del

“fare finta di”, del gioco funzionale e simbolico. L’espressività del terapista implica ugualmente

un suo linguaggio verbale inizialmente piuttosto teatrale, in seguito più neutro, e principale

vettore della comunicazione durante le ultime due tappe: la direttività e la propositività

verbale.

In queste ultime due fasi, la terapia ha come obiettivo quello di aiutare il bambino a

mantenere l’attenzione su un qualsiasi compito, e a compierlo senza rinunciare allo sforzo in

occasione della minima difficoltà (come è invece spesso il caso nei soggetti autistici), e ciò può

essere raggiunto attraverso il rispetto delle regole dei giochi, la risoluzione di compiti semplici

dietro richiesta, la sollecitazione dell'attenzione, della concentrazione, favorendo la

comprensione dei messaggi verbali attraverso un continuum che ha come obiettivo finale

l’attivazione del linguaggio spontaneo.

La propositività verbale realizza, così, una progressiva soppressione del linguaggio non

verbale.

Quando il bambino accetterà di “dialogare” con il terapista e di collaborare anche ad alcuni

esercizi di natura cognitiva e prattognosica, la terapia psicomotoria in senso stretto del termine

potrà dirsi conclusa.

Riteniamo che possa essere fonte di utili informazioni sull’efficacia dei provvedimenti dietetici

e disintossicanti, proprio il riscontro delle modifiche prestazionali effettuato sui soggetti già in

terapia logopedica e psicomotoria, potendo in tal modo disporre di elementi di confronto

“intraindividuali”.

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Allo stato attuale siamo in grado di affermare di aver riscontrato le seguenti modifiche

comportamentali:

- miglioramento delle capacità attentive,

- miglioramento-aumento del contatto oculare,

- maggiore disponibilità al contatto fisico,

- miglioramento dell’interazione con terapisti, insegnanti e coetanei,

- riduzione delle manifestazioni di ipercinesia e di autoaggressività,

- riduzione o eliminazione degli eccessi di riso, di pianto, di ira,

- miglioramento o normalizzazione dei ritmi sonno-veglia.

I miglioramenti sintomatologici citati sono stati rilevati in tutti i bambini autistici, anche se in

misure leggermente differenti da caso a caso. L’eterogeneità della gravità dei quadri clinici di

partenza, il diverso stato di avanzamento del programma terapeutico abilitativo, la differenza

dei terapisti stessi (non tutti i bambini sono seguiti dallo stesso logopedista e psicomotricista)

sono elementi che sconsigliano, per il momento, un’ulteriore differenziazione quantitativa ed in

percentuale, dell’entità delle suddette modifiche comportamentali. Ci sembra già sufficiente e

confortante averne riscontrato l’ottenimento.

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

E’ soprattutto il conforto dei risultati molto soddisfacenti ottenuti con questo che potremmo

definire “metodo integrato”, che ci ha spinto a scrivere e descrivere i tratti salienti del nostro

protocollo utilizzato da alcuni anni nella gestione diagnostico-terapeutica dell’autismo infantile.

Gli aspetti principali della nostra metodica operativa, crediamo possano identificarsi nei

seguenti punti:

- Impostazione diagnostica e terapeutica di taglio fondamentalmente foniatrico e logopedico,

essendo il Foniatra ed il Logopedista, le figure maggiormente collegate e collegabili a patologie

della comunicazione; e l’Autismo è un’affezione coinvolgente (e non poco!) la sfera

comunicativa di un individuo.

- Riconoscimento, in ambito diagnostico, di una possibile multifattorialità di cause, compresa

la componente “intolleranze alimentari”, certamente non unica, ma neppure trascurabile

concausa dei danni cerebrali riscontrabili in una non indifferente percentuale di soggetti affetti

da sindrome autistica.

- Intervento terapeutico multiplo, e non “monotematico” (come molti fanno, e talvolta con

un fanatico attaccamento al “metodo”). Figura di base, e protagonista sin dall’inizio del lavoro

abilitativo, la logopedista; ma in stretta collaborazione con: psicomotricista, famiglia, scuola;

queste ultime due, intese non come entità astratte, ma attraverso la reale presenza dei

genitori (e di eventuali fratelli collaboranti) in terapia e subito dopo di essa, nonché attraverso

un periodico collegamento con gli insegnanti della scuola, per operare in sinergia con la

logopedista.

- Necessità di verificare, da parte di foniatra (nel corso dei controlli periodici) e logopedista

(frequentemente a contatto con i genitori del soggetto autistico), che vengano rispettate le

consegne dietetiche (a volte davvero difficili da rispettare) e farmacologiche che, nel nostro

caso sono date dall’omotossicologo (ma che altri potrebbero attingere altrove, purchè lo

facciano quando è riconosciuta una causa dismetabolica!).

- Focalizzazione dell’interesse preminente di tutto l’iter abilitativo, sull’aspetto “verbalità”

nell’ambito della sfera comunicativa; e quindi, lavoro sulle funzioni “orali”, sovente, a nostro

parere, trascurate, ritardate, o poco considerate, da parte di promotori di alcuni altri metodi di

intervento.

- Continua disponibilità a rivedere e rimettere sempre in discussione ciò che stiamo facendo;

e quindi, realizzazione di frequenti riunioni tra noi operatori per riesaminare periodicamente la

validità (soprattutto attraverso il riscontro dei risultati) del nostro metodo; con atteggiamento

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costantemente aperto verso l’informazione, l’aggiornamento e la sperimentazione (premessi i

dovuti consensi di parte…), convinti di aver raggiunto non “il metodo ideale”, ma “un metodo

attualmente ben funzionante” per curare l’autismo con risultati concretamente soddisfacenti.

Per corrispondenza:

Dott. Massimo Borghese

Via S. Lucia 36. 80132 Napoli

Tel. 081 7647097

e-mail: [email protected]

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50) Rimland B.: High dosage levels of certain vitamins in the treatment of children with

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51) Rodier P.M., Ingram J.L., Tisdale B., Nelson S., Romano J.: Embryological origin

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52) Rusticali S. e R.: Possibile collegamento tra deficit del’enzima biotinidasi ed autismo.

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53) Rutter M.: Cognitive deficits in the pathogenesis of autism. Journal Child Psychology

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54) Schindler O.: Manuale di patologia della comunicazione. Vol. I. Ed. Omega, Torino, 1980.

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56) Schindler O., Vernero I., Utari C., Schindler A.: Turbe centrali miscellanee non correlate

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247

59) Simonetti R.: Bioscreening: teorie biofisiche e bioelettroniche. Atti del 2° Convegno

Internazionale “Autismo. Le nuove frontiere della riabilitazione”, Nola (Na) 1997, pp.

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60) Storie vere di bambini autistici. Supplem. a Bollettino ANGSA, n° 1, 1991.

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65) Zappella M.: Bambini che perdono il comportamento autistico. Bollettino ANGSA, n° 2-3,

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66) Zeisel D.: L’influenza della dieta nella neurotrasmissione. Adv. Pediatr.,33, pp. 223-

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5555)) AAUUTTIISSMMOO EE FFOONNIIAATTRRIIAA

Autismo infantile. Attuali orientamenti sul trattamento multidisciplinare. Nostre

esperienze.” di Massimo Borghese e coll. Riabilitazione Oggi, 2001.

Sulla rivista Riabilitazione Oggi appare l’articolo:“Autismo infantile. Attuali orientamenti sul

trattamento multidisciplinare. Nostre esperienze.” di Massimo Borghese e coll.

L’autore, che da anni si dedica con passione all’abilitazione foniatrica dell’autismo, insieme ai

suoi collaboratori afferma che la presa in carico abilitativa-riabilitativa del soggetto autistico

deve realizzarsi attraverso un momento diagnostico ed un intervento logopedico che

considerino e comprendano almeno le seguenti premesse:

- l’autismo è una sindrome a genesi multifattoriale, decisamente di natura organica, per

nulla collegabile ad ipotesi di tipo psicodinamico che, peraltro, hanno frenato e sviato anni di

possibilità di seria e costruttiva ricerca scientifica;

- il deficit linguistico espressivo non è certamente l’unica, ma è sicuramente una delle più

significative ed invalidanti componenti del quadro clinico, per cui non è pensabile porre in

secondo ordine in un protocollo diagnostico-terapeutico, la considerazione di tale elemento;

- non è realizzabile un intervento abilitativo che si basi sulla mera esecuzione di un solo e

semplice “metodo”, senza un significativo coinvolgimento di tutti gli operatori utili allo scopo,

escludendo, nel contempo, figure e metodologie dannose o fuorvianti, nonché operatori che, al

di là del gruppo scientifico-culturale di appartenenza, si dimostrino singolarmente incompetenti

e non sufficientemente preparati allo svolgimento di un lavoro così specifico.

Gli Autori, premessa la conoscenza dei criteri fondamentali per una corretta diagnosi di

autismo, identificano le principali linee guida del protocollo diagnostico-terapeutico nei seguenti

punti:

- Visita foniatrica di accettazione, allo scopo di definire un primo orientamento diagnostico

ed una iniziale serie di caratteristiche del profilo comunicativo relativamente ai versanti

percettivo, integrativo, espressivo e, in particolare, relazionale-comportamentale.

- Osservazione logopedica in 4-7 sedute, al fine di approfondire ulteriormente l’analisi del

profilo comunicativo, prima della presa in carico più propriamente terapeutica.

- Osservazione psicomotoria, con intendimenti analoghi a quelli dell’osservazione logopedica.

- Indagini cliniche e strumentali: fisse (bioscreening); facoltative (potenziali cognitivi evento-

correlati, TC o RMN dell’encefalo, analisi genetica).

- Presa in carico terapeutica logopedica.

- Presa in carico terapeutica psicomotoria.

- Dieta e/o terapia disintossicante di tipo omotossicologico.

- Controlli longitudinali foniatrici, strumentali, omotossicologici.

Trattandosi di un’esperienza e non di una sperimentazione controllata, è importante rilevare

ciò che è in accordo con quanto si è dimostrato efficace in letteratura e ciò che non lo è. Ai

genitori bisogna dire con chiarezza quali trattamenti sono consigliabili in quanto la loro efficacia

è stata dimostrata da un’evidenza basata sulle prove, quali trattamenti sono ancora in fase

sperimentale e quali sono sprovvisti di ogni documentazione di efficacia. L’omeopatia-

omotossicologia non è una terapia la cui efficacia sia stata dimostrata con una evidenza basata

sulle prove. Le premesse teoriche a cui si ispirano gli altri trattamenti abilitativi sono

condivisibili.

L’uso dei potenziali evocati evento-correlati ci pare utile soprattutto a livello di ricerca e

siamo lieti quando i dati vengano pubblicati su riviste specializzate, in modo che possano

contribuire all’avanzamento della ricerca, cosa di cui c’è tanto bisogno.

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Per quanto riguarda la terapia abilitativa, che viene svolta da un foniatra e da un logopedista

che vanno ben al di là del mero problema del linguaggio per affrontare quello più ampio della

comunicazione, com’è giusto che sia nell’autismo, ci potrebbe essere qualche rischio se venisse

troppo privilegiato il momento dell’incontro a due paziente-terapeuta e se venissero messi in

ombra i fondamentali rapporti con genitori e insegnanti, ai quali i professionisti devono dare

indicazioni e valutazioni, nel ruolo di programmatori e supervisori dei diretti educatori.

La terapia logopedica deve essere, a parere degli Autori, il più precoce possibile. Anche noi,

come gli Autori, “respingiamo fermamente qualsiasi forma di atteggiamento “attendista”, che

non ha alcuna ragione di esistere. Troppo spesso ci viene riferito da genitori attenti e solerti,

che diverse figure di specialisti hanno suggerito di aspettare alcuni anni (!) l’inizio della

logopedia, con frasi tipo “Il bambino non è ancora pronto”, “Deve avere prima un’esperienza di

psicomotricità”, “Acquisirà il linguaggio spontaneamente col tempo, altrimenti provvederete

verso i cinque anni”… e così via, provocando solo perdite di tempo prezioso e non recuperabile.

Del resto, i migliori risultati li abbiamo avuto proprio nei casi in cui abbiamo iniziato

precocemente il trattamento logopedico, potendo realizzare al più presto alcune tappe

fondamentali di un itinerario coinvolgente funzioni attentive, percettive, cognitive, orali,

prassiche… che non conviene assolutamente procrastinare nel tempo. Il riscontro di un

maggior numero di risultati terapeutici soddisfacenti, rilevato da quando abbiamo adottato tale

criterio di scelta di tempi di intervento, ha confermato in concreto la sua validità.”

Trattandosi di una patologia grave e cronica, che inizia con la nascita, dura tutta la vita e

mette a dura prova la famiglia anche dal punto di vista economico, è opportuno indirizzare i

genitori verso enti pubblici o convenzionati. Parlando con l’Autore, che dirige un servizio

pubblico di foniatria a Napoli, è emersa la conferma che l’introduzione dell’aziendalismo nella

sanità pubblica, avvenuto gradualmente dopo il 1995, non ha giovato agli autistici: infatti i

Direttori Generali che prendono a riferimento il budget dell’azienda sanitaria pubblica

constatano in fretta che i costi delle risorse da impiegarsi per l’abilitazione degli autistici sono

molto superiori alle corrispondenti tariffe previste per remunerare l’azienda. In altre parole il

finanziamento delle prestazioni erogate ai disabili gravi come gli autistici non compensa

neppure la metà dei costi che normalmente si devono sostenere. Sembra assurdo, ma coloro

che si dedicano all’autismo sono condannati ad andare in rosso col budget e quindi a passare

per “spreconi”. Per eliminare questa grave stortura il Presidente della FISH ha di recente

inviato una lettera al ministro della salute ed a tutti gli Assessore regionali, perché vengano

adeguatamente riviste le tariffe delle prestazioni in favore dei disabili gravi.

Carlo Hanau e Daniela Mariani Cerati

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5566)) AAuuttiissmmoo ddaall ppuunnttoo ddii vviissttaa aauuttiissttiiccoo

Dott. Goran Dzingalasevic

L’autismo per molti studiosi è una grave malattia che colpisce i bambini autistici nella prima

infanzia e dura per tutta la vita. Esso è caratterizzato da una grande mancanza di

considerazione per gli altri: i bambini autistici non guardano i genitori, i coetanei o i vicini; non

interagiscono col mondo esterno, si isolano e sono troppo sensibili agli stimoli esterni, stanno

completamente fuori dalla società.

Anzitutto non dicono nessuna parola, non comunicano e non hanno niente da esprimere;

soddisfano i loro bisogni primari, perché non ne hanno altri, tramite una persona che sta vicino

a loro. Inoltre, non sono molto intelligenti, se è possibile misurare questa intelligenza, e si

rifiutano da imparare qualsiasi cosa venga loro proposta.

A livello cerebrale, come si può vedere con gli apparati moderni (per esempio, la TAC o

l’EEG), mostrano molti danni in tutte le parti, e spesso sono affetti da epilessia.

Sovente appaiono diverse onde nell’elettroencefalogramma, sulla TAC si vedono danni e

probabilmente il neurologo cercherà di trovare uno degli psicofarmaci a sua disposizione sul

mercato, molto potenti per tutte le serie di disturbi mentali e, quindi, anche per l’autismo e per

i comportamenti che non si possono controllare con la forza fisica.

Difficilmente testabili, anche se si applicano diversi tipi di test di intelligenza, tutti i

comportamenti critici vengono osservati secondo una moderna classificazione delle malattie

mentali: si fanno uno o più colloqui con i genitori e si conclude una diagnosi giusta.

Tutto questo rientra in un quadro clinico di un bambino appena diagnosticato come autistico.

La prognosi è molto limitata, cioè essi non sono capaci di fare nulla per tutta la vita.

Tocca ai genitori affrontare la realtà, contattando i vari professionisti che conoscono meglio il

“problema personale di un bambino autistico”. Naturalmente, il fanciullo continuerà ad avere

gli stessi problemi, ma essi sanno ora di cosa si tratta: il loro è uno dei tanti bambini autistici

che esistono nel nostro mondo.

Nel campo professionale ci sono diversi modi per dire e spiegare le cose, orientarsi tra varie

malattie; per esempio, esiste il tipo di approccio corrente: quello umanistico. Sappiamo così

che esiste anche quello non umanistico. Diversi specialisti hanno bisogno di spiegare i fatti

semplici con parole molto complicate e poco riconoscibili, così la mistificazione di un mestiere

ha maggiore ragione di sopravvivere. Quando il medico parla del suo trattamento e spiega il

suo concetto teorico ai genitori, intende soltanto l’uso degli psicofarmaci che influiscono nei

processi cerebrali; invece lo psicologo intende l’insegnamento delle abilità: fa la diagnosi di

disabilità e poi cerca di insegnare le abilità.

L’insegnante parla di insegnamento e intende insegnare dalla lavagna, nella scuola (egli

aspetta che succeda quel miracolo che si chiama apprendimento del bambino con autismo),

mentre lo psicologo insegna nel posto dove si trova il bambino. Come si vede, c’è molto

disaccordo.

Non esiste un linguaggio comune tra i diversi specialisti, ognuno pensa di avere ragione e

non cerca di unire almeno “le parole”, sarebbe meglio dire le etichette.

Per fortuna la scienza ha risposte valide: lo possiamo vedere e confermare attraverso un

sperimento puro con il controllo dei fattori che influenzano il comportamento del bambino

autistico.

Per definizione tutti i fattori devono essere sottoposti ad uno sguardo obiettivo, non

disturbato e puro, se possibile in presenza di un’équipe che filma tutto.

Il bambino si deve comportare come un cronometro, deve entrare nella stanza in un tempo

preciso e stabilito prima, andare al bagno e lavarsi nel modo già descritto nella

programmazione, vestirsi un pezzo alla volta come è scritto nel protocollo, mangiare quello che

è stato preparato e concordato nella riunione, e così via per tutte le attività.

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Sappiamo che questo comportamento sarà emesso una sola volta – esso sarà filmato in tutti

i suoi dettagli in modo professionalmente perfetto (per esempio, una festa di compleanno) – e

che non sarà ripetibile e generalizzabile ad altre situazioni abitudinarie.

L’autismo, soprattutto, non è una grave malattia; è un deficit: deficit di attenzione, deficit

nello sviluppo del linguaggio, deficit nella vita sociale, deficit o mancanza di gioco con gli altri

bambini, scarsa integrazione di stimoli esterni, ecc.

Nel campo dell’autismo esistono molte associazioni; sia professionali, dove gli operatori sono

veri professionisti che discutono argomenti molto importanti cercando di focalizzare il problema

o di fissare una diagnosi, sia non professionisti che si occupano della pratica quotidiana. Esse,

in alcuni casi, sono collegate: fanno conferenze comuni, discutono varie cose, si scambiano

esperienze.

Accanto a queste, operano anche diverse associazioni di genitori di bambini autistici. Esse

hanno molte cose da dire, ma ci sono poche soluzioni pratiche applicabili, ad esempio, nella

vita quotidiana “del bambino che sbatte la testa contro il muro”: si parla di tutti i problemi, si

espone la propria opinione – che è molto importante – e si cercano le vie d’uscita di una strada

a senso unico.

Si fa poco, rispetto a quanto concordato. Le associazioni parlano ma non comunicano tra

loro, non si cambiano le cose all’improvviso solo perché abbiamo fatto una delle tante riunioni,

e non può succedere un miracolo. E’ anche vero che non esiste una persona o un

professionista capace di cambiare tutti i comportamenti inadeguati e che abbia tutte le risposte

per tutti i problemi che si presentano.

Credo che la società, di cui facciamo parte anche noi (parlo di essa come di una vecchia

signora, stanca e demotivata, che vede tante belle conclusioni e non riesce a vedere le

soluzioni vicine), debba essere molto più efficace; non dovrebbe, cioè, girare intorno ad un

problema in modo stereotipato e ripetitivo, essere autistica e isolata.

Adesso siamo a posto! Il bambino autistico è cresciuto, è diventato un adulto, una persona

autistica. E’ normale diventare un adulto autistico, perché il futuro del bambino autistico è

diventare una persona autistica, seguendo questa e solo questa strada. Adesso i genitori

devono andare a cercare gli specialisti delle attività lavorative per iniziare un intervento a

lungo termine che alla fine ha uno scopo ben preciso: inserire il bambino nel mondo degli

adulti con la speranza di poterlo fare lavorare.

Il lavoro, che è un sogno per molti giovani e anche per gli anziani che non hanno avuto la

possibilità di lavorare, bisogna cercarlo nei posti protetti. Posti protetti sono quelli dove non si

disturbano gli altri mentre si lavora, dove possono lavorare soprattutto quelli che hanno

capacità quali, per esempio, la pazienza, o che vanno d’accordo con i superiori. Le persone

autistiche sembra che non vadano d’accordo con nessuno, mostrano problemi

comportamentali, sono rigide nello svolgimento dei compiti, sono molto sensibili ai piccoli

cambiamenti e non hanno pazienza….

Sintetizzando, esistono i sintomi di un autismo sociale – evidentemente esiste, anche se

facciamo finta che non sia così – e sembra che essi siano identici a quelli che abbiamo

diagnosticato e che sono i sintomi caratteristici dei bambini autistici.

Se la società inserisce i suoi cittadini in strutture a misura d’uomo, se ignora interi campioni

di popolazione, se li colpevolezza, allora questa società merita la stessa etichetta.

Da quanto scritto, mi sembra che l’autismo di un bambino autistico abbia lo stesso quadro

clinico dell’autismo sociale. C’è solo una piccola differenza: manca un punto di vista, quello

autistico.

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5577)) AALLTTRRAA SSCCOOPPEERRTTAA GGEENNEETTIICCAA IITTAALLIIAANNAA

Due geni candidati per l’autismo sono stati idenficati nel progetto di ricerca e di studio della

Fondazione NAAR.

La comprensione dell’autismo ed eventualmente la sua efficace cura e i metodi di

prevenzione, non potrebbe prescindere dalla scoperta ed identificazione dei geni in esso

coinvolti. Negli ultimi formidabili sei mesi abbiamo assistito alla pubblicazione di due studi che

hanno identificato due dei “candidati” geni per l’autismo. Entrambi questi geni sembrano

statisticamente associati alla malattia. Forse ancor più significativo il fatto che questi due geni

appaiono avere funzioni compatibili con le conoscenze neurobiologiche relative all’autismo.

L’associazione NAAR si onora di queste importanti riscontri e ricerche dell’anno 1999 del

dr.Flavio Keller, del dr. Christopher Stodgell, e dei loro colleghi.

Tra le molte cause dell’autismo che sono state proposte vi è una piccola disputa tra la

comunità degli scienziati in cui i genetisti giocano un ruolo critico.

Di tutte le malattie genetiche “complesse”, studiate, l’autismo riconosce la più alta

“ereditabilità” (e cioè è la più “genetica”). Il più comunemente chiaccherato me-todo di ricerca

dei geni è l’esame del genoma ovvero gli “studi di connessione, o di legame”. Questo metodo è

stato utilizzato per identificare i geni di molte altre malattie del cervello, come l’Alzheimer, la

Chorea di Hantington e i geni coinvolti sono stati descritti con mappature genetiche umane

circostanziate.

Sfortunatamente, per la maggior parte delle complesse malattie del cervello, come ad

esempio i disordini bipolari, la malattia di Tourette e l’autismo, i geni a queste associate non

sono stati ancora individuati. Le ragioni di ciò non sono così chiare. Il dr. Risch e i suoi colleghi

a Stanford, pensano che l’autismo veda coinvolti 15 o più geni. Le ricerche procedono e nuovi

metodi ed analisi sono utilizzati. I genetisti rimangono comunque ottimisti sulla possibilità di

scoprire altri geni dell’autismo per l’alta “ereditabilità” della malattia.

Di seguito riportiamo la storia di due gruppi di ricercatori che hanno individuato geni

associati all’autismo. Un gruppo giunse a questa scoperta mentre lavorava sull’individuazione

delle cause dell’elevato tasso ematico di serotonina nell’autismo, mentre l’altro si occupava da

anni di accurate misurazioni e di riscontri basati sull’evidenza.

Il gene “reelina”

Molti genitori di soggetti autistici hanno conosciuto il lavoro di Kurt Reichelt di Oslo

(Norvegia). Per oltre vent’anni egli ha pubblicato i suoi lavori sui peptidi urinari anormali nei

bambini autistici. Egli ipotizzò che molti di tali reperti potessero essere dovuti alla caduta

improvvisa di alcune sostanze “esogene” (sostanze cioè di cui noi dovremmo poter disporre nel

corpo e che ci arrivano tramite il cibo).

Reichelt nello specifico ipotizzò che il “glutine” e la “caseina” potrebbero essere direttamente

coinvolte; cosa che indusse molti genitori ad alterare la dieta dei loro bambini. In una

pubblicazione del 1999, Reichelt e i suoi colleghi pubblicarono il rilievo di un significativo

aumento, nel sangue dei bambini autistici, del tasso di un particolare tripeptide: il PyroGlu-Trp-

GlyNH2. Questo tripeptide risulta costistuito da tre aminoacidi: l’acido glutammico, il triptofano

e la glicina. (Gli aminoacidi sono costruiti a blocchi che messi assieme formano peptidi. Le

lunghe cate-ne di peptidi sono conosciute come proteine).

Questo particolare peptide è molto intressante perché è stato dimostrato essere un potente

stimolatore della captazione di serotonina all’interno delle piastrine.

Da molti anni era noto che molti individui con autismo presentavano un alto livello di

serotonina nel sangue.

Un collaboratore del dr. Reichelt, il dr Flavio Keller (Roma – Italia) propose alla Fondazione

NAAR di ripercorrere la sperimentazione del gruppo norvegese di Reichelt per cercare questo

particolare peptide nel plasma sia in soggetti normali che con autismo. Con tale studio si

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sarebbe potuto confrontare e correlare il livello di serotonina tra autistici e parenti di primo

grado. L’obiettivo del dr. Keller era quello di cercare un marcatore biologico per l’autismo e

forse una traccia per la ricerca di un candidato gene.

Ciò che accadde successivamente fu una di quelle cose che frustrano alcuni ma non

sorprendono gli scienziati.

Il dr. Keller e il suo gruppo di ricerca non riuscirono a trovare nei soggett italiani sottoposti

ad esame, il famoso tripeptide. Essi pensarono che forse, si era di fronte ad una sostanza

peculiare della popolazione norvegese. Con l’idea di verificare questa interpretazione il dr.

Keller chiese al dr. Reichelt di inviargli il materiale di esame prelevato dai soggetti norvegesi.

Ben due laboratori italiani diversi, furono incapaci di individuare il tripeptide nei materiali e

pertanto il lavoro del Dr. Reichelt risultava irripetibile. A questo punto la ricerca poteva

definirsi conclusa essendo negativo ogni riscontro.

Fortunatamente comunque, durante il lavoro di questo gruppo di ricercatori sulla

evidenzione del tripeptide, ci si preoccupò anche di individuarne le eventuali sor-genti. Essi

analizzando le registrazioni dei dati riconosciuti ed accessibili sulle proteine evidenziarono la

possibilità di migliaia di fonti diverse. Essi si preoccuparono di aggiungere via via anche altri

peptidi, trovati da Reichelt (sebbene mai pubblicati). Combinando questi peptidi si evidenziò

che solo una proteina poteva essere responsabile della creazione di questi peptidi ed era la

sola “reelina”. Era un concetto intrigante sebbene, per dirla tutta, questa particolare proteina

risul-tasse “estraibile dai capelli sottili”. La “reelina” è “una proteina segnalatrice” che ricopre il

ruolo di perno nella migrazione di alcuni tipi di neuroni e nello siluppo delle connessioni

neuronali. Vi sono inoltre alcuni recenti rilievi scientifici che ve-dono la reelina implicata nella

schizofrenia.

Vi è un modello animale (reeler-topo)che presenta una delezione del gene della reelina e, in

modo estremamente ineteressante, questo modello animale ha a che fare con l’autismo. Sia i

topi del modello che gli individui umani con autismo hanno evidenziato possedere un minor

numero di cellule di Purkinje nel cervellet-to, cosiccome una displasia del nucleo dentatus con

una riduzione della conta numerica delle cellule nell’adulto.

Nel tronco cerebrare in via di sviluppo entrambi i gruppi studiati (modello e auti-stici)

presentano un nucleo olivare inferiore displastico e alterazioni nella citoarchitettura dl nucleo

faciale. Ci sono anche anormalità neil’ippocampo, nella corteccia tentoriale e nell’amigdala.

Le più caratteristiche più significative del “topo reelin” è l’inversione della stratifi-cazione

corticale il che significa che gli strati cellulari sono stratificati in modo invertito; gli strato sopra

sono sotto e viceversa. Questo non è presente nell’autismo anche se un recente lavoro

sull’autismo evidenzierebbe un aspetto patologico in soggetti con autismo, consistente in una

anormale migrazione e laminazione o stratificazione nella corteccia cerebrale.

Una quasi “coincidenza” è che il “gene reelina” è stato localizzato sul cromosoma7q 22 un

area che quattro gruppi genetici, impegnati nel vaglio del genoma, hanno ognuno indicata

come area di interesse pur non rilevandovi significati statistici.

Così se il gene della reelina è stato trovato essere anormale, esso potrebbe contribuire a

connettere riscontri se non persino essere sufficiente per ergersi a causa singola di autismo.

Tornando a prima il dr Keller detrminò lo studio del gene in due modi.

Uno fu attraverso lo studio di una associazione caso-controllo.

Questo significa che il dr. Keller e i suoi colleghi eseguirono una comparazione tra un gruppo

di individui con autismo e un gruppo di controllo. Sebben questo metodo può essere uno

strumento poderoso nello studio dei geni uno dei rischi è che chi investiga deve prestare molta

attenzione nella selezione di un appropria-to gruppo di controllo. Per esempio molti geni sono

più comuni in certi gruppi et-nici e così fattori simili debbono essere tenuti d’acconto. Quanto

loro trovarono era un’area sul gene della reelina con un variabile numero di trinucleotidi

ripetuti, per esempio il numero delle ripetizioni non era identico tra tutti gli individui.

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Questo tipo di variazioni nella sequenza del gene è detta “polimorfismo”. Un “polimorfismo”

non significa necessariamente malattia ma esso può servire come “marker” per determinare se

un particolare gene è o meno associato ad una malattia.

Perciò il dr. Keller e il suo team misero sotto osservazione il polimorfismo che avevano

trovato nel gene della reelina nei due gruppi di comparazione. Un gruppo era costituito da 95

individui con autismo di discendenza italiana, mentre l’altro era costituito da 186 individui sani

della stessa razza e gruppo etnico.

Essi riscontrarono che il 17,9 % dei soggetti del gruppo con autismo possedeva-no un allele

lungo de detto gene ( vale a dire; ripetizioni di più di 11 trinucleotidi) mentre nel gruppo di

controllo questo era presente solo nel 7,1% dei casi. Questa differenza è statisticamente

significativa.

Il dr. Keller e i suoi effettuarono anche un secondo tipo di studio chiamato “test della

disquilibrio nella trasmissione”. In questo tipo di studio

Essi osservarono la trasmissione genica tra le famiglie. A causa del fatto che in questo tipo di

ricerche si studia la trasmissione da genitore a figlio, il controllo stesso non è sempre identico.

Comunque essi furono capaci di aggiungere 89 americani con autismo cosicchè vi erano un

totale di 172 trii-individuali (il soggetto autistico e i due genitori) e 395 familiari di primo

grado. Ciò che loro trovarono fu che la trasmissione dell’allele lungo era significativamente più

comune nei bambini colpiti dalla malattia che in quelli non affetti da autismo.

Questo è il tipo di patologia che si trova nella Sindrome dell’X Fragile. Ciò che succede è che

le stesse tre basi vengono allineate e disposte in un certo ordine e poi, come in una disco

saltellante, riproposte di nuovo. Questo succede in tutti noi ma se succede troppo spesso poi

esita in malattia. Per esempio è risaputo che nell’X Fragile se c’è un certo numero di ripetizioni

poi l’individuo diviene un portatore. Se inoltre il numero di ripetizioni supera un certo valore

l’individuo poi manifesterà la malattia e con una espressività proporzionata alla quantità stessa

delle ripetizioni.

Così come in una ricerca scientifica questo riscontro dovrebbe essere considerato preliminare

e dovrebbe essere replicato da atri gruppi inipendenti di ricerca. E’ comunque incoraggiante

che un gruppo di lavoro dell’Università del Queens in Ontario Canada ( dr. Zang e all.) abbia

presentato riscontri preliminari ad un recente meeting scienifico dove hanno fatto rilevare

l’esistenza di ripetizioni di tri-nucleotidi nella stessa regione del gene della reelina in pazienti

autistici.

E un altro gruppo non correlato dell’Università del Minnesota( dr Fatemi e all.) hanno

misurato il livello di reelina nel tessuto cerebellare autoptico di autistici, trovando una riduzione

del 43% rispetto a gruppi di controllo comparati. I rilievi del dr. Keller offrono la promessa di

un nuovo avvenire nella ricerca e la possibilità di identificare un candidato gene nell’autismo.

HOXA 1 gene

Proprio qualche mese prima noi avemmo la nostra ondata di emozione quando il gruppo di

ricerca sull’autismo dell’Università di Rochester riportò una significativa associazione con un

altro gene. Questo non fu una sorpresa visto che questo gruppo di ricerca ci aveva lavorato

sopra per molto tempo. Infatti il lavoro preliminare di questa comunicazione era il soggetto

della prima pubblicazione BOLLETTINO NAAR con un articolo dell’estate del 1997.

Questo lavoro ricevette anche una grande diffusione pubblica quando fu pubblicato come

tratto distintivo della rivista “Scientific American” nel febbraio 2000. Comunque, per quei

lettori che non hanno familiarizzato con il lavoro della dr. Patricia Rodier e dei suoi colleghi,

cercgerò di riassumere qualcosa del loro precedente lavoro.

Durante un lavoro di ricerca sui sopravvisuti al “talidomide” e specificamente lavorando su

una malattia del movimento oculare causata dalla esposizione al talidomide, due oculisti

ricercatori, Miller e Stromland fecero una importante osser-vazione. Dei 100 sopravvisuti al

talidomide conosciuti in Svezia, le registrazioni indicavano che le madri di 15 di loro avevano

assunto talidomide fra il 20 – 24 giorno di gestazione. Cinque di questi 15 casi presentarono

bambini con autismo. Inoltre nelle madri che avevano assunto talidomide in qualsiasi altro

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perio-do della gravidanza, (ndr. Negli altri 85 casi) non si ebbe incidenza di autismo.Sebbene

questi numeri siano piccoli la rilevanza statistica è significativa. Questo lasciò ipotizzare alla dr.

Rodier, esperta embriologa, che sebben il talidomide non rappresenti la causa di autismo nella

popolazione in genere, questo riscontro suggerisce fortemente che una forma di autismo è

causata da un danno che agisce in utero sullo sviluppo del sistema nervoso durante i primi

giorni di gestazione (20-24). Le implicazioni di questa ipotesi sono che , sebbene ancora non si

sappia la causa dell’autismo, si comincia a comprendere “quando” è causato.

Per queste ragioni gli scienziati possono restringere la ricerca delle cause tenendo presente il

tempo e l’area del cervello colpite nei soggetti autistici che sono sopravvisuti alla

somministrazione di talidomide.

La dr.ssa Rodier e i suoi colleghi, compreso il dr. Cristhoper Stodgell, (NAAR 1999) e Roland

D. Ciranello, (M.D. Memoria Fellow nella Ricerca di Base), ebbero a proporre questa ipotesi in

diverse maniere. Clinicamente essi notarono delle anormalità nei nervi cranici in bambini

autistici (nervi che innervano la faccia, incluso l’orecchio, la bocca, gli occhi e i muscoli

faciali).Questo fu osservato sia dal puno di vista clinico che in sede autoptica cerebrale. Fu

eseguito anche un modello animale utilizzando gli effetti chimici dell’acido valproico. E’ la

stessa sostanza del medicamento DEPAKIN. L’acido valproico è simile al talidomide per il fatto

che interrompe la chiusura del tubo neurale, il processo biologico che si attua nel cervello tra il

20 e il 24 giorno di gestazione uterina. Il modello animale con topi ha molti dei rilievi

neuroanatomici cerebrali che si sono notati nell’autismo. Questo modello animale è stato

adottato da molti altri ricercatori come il miglior modello attuale per l’autismo.

Un altro animale è il topo “knock-out” (chiusofuori) a cui è stato bloccato il gene Hoxa 1 (che

pertanto risulta inespresso). Questo è il gene che si esprime solamente in una fase

precocissima dello sviluppo cerebrale. Esso è coinvolto in questi stessi processi durante lo

stesso periodo di tempo ( 20 °-24° giorno di sviluppo in utero)

Questo topo knock-out ha molte somilianze con le anormalità cerebrali reperite nell’autismo.

Questi rilievi hanno consentito al gruppo di Rochester di investigare se le anormalità del gene

Hoxa 1 erano ciò che attualmente vede coinvolto nella lesione riscontrata nei soggetti con

autismo.

I risultati delle ricerche della dr.ssa Rodier e del dr. Stodgell e dei loro colleghi furono

pubblicate lo scorso anno nel Journal of Teratology. Essi trovarono che esisteva una variante

del gene Hoxa 1. Questa variante consisteva in una sostituzione di una singola base, guanina

per adenina. Sebbene questo gene sia tra quelli altamente preservati (sue anormalità risultano

incompatibili con lo sviluppo intrauterino o la vita) e risulti espresso trasversalmente attraverso

le specie (i geni Hox sono presenti persino negli insetti ) questa risulta essere la sola variante

attualmente conosciuta tra i mammiferi.

Essi fecero una comparazione di questa variante per un controllo tra la popola-zione

ottenendo interessanti risultati. Negli individui con autismo 21 soggetti dei 57 esaminati

possedevano la variante anormale. Nel gruppo di controllo, solo 26 su 119 individui avevano

questa variante. Questa differenza è statisticamente significativa. Altre considerazioni

emergono dall’analisi dei dati.

Nel gruppo di controllo, distinto per etnie, si contano 0 individui su 30 con la detta variante

nella popolazione asiatica, mentre nella popolazione (discendenti), africana ed europea, la

variante è stata riscontrata in 26 individui su 63 esaminati. Questa famosa variante sarà

presente negli individui asiatici con autismo?

Al momento non si sa. Inoltre la variante, piuttosto comune nella popolazioni africane ed

europee, è anche molto comune nei familiari dei soggetti austistici. La frequenza era uguale

nei familiari ammalati, cioè familiari che presentano anche loro autismo o perdita del

linguaggio. Nei parenti non ammalati, 44 di 135 persone in totale furono riscontrate possedere

la variante. Sebbene questo sia meno comune che nella popolazione ammalata è ancora un

valore estremamente significativo. Quando essi esaminarono la trasmissione del gene da

genitori a figlio, i riscontri furono di nuovo interessanti. La discendenza non ammalata presenta

la variante trasmessa in una percentuale minore rispetto alla quota statistica significativa. La

probabilità di trasmissione della variante patologica del gene Hoxa 1 nel figlio, diviene

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maggiore se la variante del gene risulta già presente nella madre, più che nel padre. Nel

bambini “maschi”, ammalati di autismo,in cui uno o entrambi i genitori presentano la variante

del gene, 19 casi su 30 hanno la variante patologica mentre nelle femmine 9 su 9. Tra tutte le

femmine della discendenza includendo le femmine non affette, 13 su 14 possiedono la

variante. Questo sembra suggerire che le femmine sono più vulnerabili nella trasmissibilità

della variante. Non si sono osservate differenze, dal punto di vista clinico tra individui affetti da

autismo che presentano la variante del gene dagli individui che non la presentano.

Mettendo assieme tutte queste osservazioni si giunge a una serie di riscontri che

suggeriscono alcune considerazione ma non conclusioni. Come in tutte le scienze la

riproducibilità è essenziale e necessaria. In questo caso, siamo fortunati che questo gruppo è

parte di una Programma di Collaborazione sull’Autismo (CPEAs), un network di gruppi di

ricerca sull’autismo fondato dall’Istituto Nazionale dello Sviluppo della Salute del Bambino

(NICHD), della Sordità e dei Disturbi della Comunicazione (NIDCD). Questo network è ora

impegnato nella replica su larga scala di questi risultati. Noi speriamo che questi studi possano

confermarsi presto. Con più grandi numeri, nuove osservazioni potranno studiare meglio alcuni

dei trend osservati come quelli relativi alle etnie e ai generi.

A questo punto il pensiero di questi ricercatori è che l’Hoxa 1 possa essere un gene

candidato per l’autismo. Cioè, possedere la variante di tale gene non è causa di autismo ma

potrebbe rendere l’individuo più vulnerabile a svilupparlo. E’ possibile che questo rappresenti

una suscettibilità rilevante ad insulti ambientali. Ovvero, come ulteriore possibile spiegazione,

la presenza di detta variante potrebbe significare una maggior vulnerabilità all’azione di un

altro gene anormale che di per sé non risulterebbe sufficiente a determinare l’autismo. Questo

è simile ai rilievi fatti quest’anno sulla Sindrome di Rett i cui ricercatori hanno scoperto un

gene “regolatore” (che è il gene che regola la funzione di altri geni) che è risultato anormale

nell’80% dei casi di Rett sd.

E’ difficile a questo punto definire il ruolo e l’impatto dei dati sul “gene reelina” e sul gene

Hoxa 1. Essi comunque rappresentano un momento dirompente per la ricerca sull’autismo. Di

converso, fino a che non saranno replicati da altri scienziati essi sono per ora riscontri

incidentali. Alcune cose sono comunque certe. Avendoi a che fare con una così altamente

ereditabile patologia, trovare dei geni coinvolti è essenziale per riconoscere cause e possibili

terapie. E comunque persino riscontri accidentali forniscono preziosi contributi che la scienza

utilizzerà poi e da cui potrà partire per nuove investigazioni, che mattone dopo mattone

costituiranno il fondamento da cui far emergere le future risposte.

5588)) AAggggrreessssiivviittàà ee ccoommppoorrttaammeennttii aauuttoolleessiioonniissttiiccii iinn ppeerrssoonnee aaffffeettttee ddaa aauuttiissmmoo

Dott. Goran Dzingalasevic

La definizione di autismo o di altri disturbi dello sviluppo a esso correlati (PDD) include

descrizioni di un’ampia gamma di comportamenti aberranti che sono usati per definire il

disturbo.

In generale, la maggioranza dei comportamenti indica che l’individuo è carente nell’abilità di

intraprendere con successo una relazione sociale. Gli specifici comportamenti sono per la

maggior parte relativamente inoffensivi per gli altri o per il ragazzo stesso.

Alcuni comportamenti relativamente inoffensivi in bambini/ragazzi/persone con autismo o

PDD includono le seguenti tendenze:

1. Scarsa socialità, compresa una scarsa abilità ad instaurare un contatto con lo sguardo in

modo da incoraggiare l’interazione sociale;

2. attività ripetitive che sembrano essere basate su un interesse per le proprietà stimolatorie

degli oggetti (pizzicare corde, allineare oggetti o farli rotare, ecc.);

3. scarse abilità comunicative, comprese forme semplici di pura reciprocità; speso le abilità

linguistiche sono marcatamente carenti;

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4. difficoltà nelle transizioni o nei cambiamenti di abitudini che rendono l’individuo resistente

a nuove attività.

Quando i bambini/ragazzi mostrano il panorama completo dei comportamenti autistici,

queste caratteristiche si combinano in un modo che limita la funzionalità dell’individuo

all’interno della società. Inoltre, tali comportamenti vanno a detrimento della crescita e dello

sviluppo, ma generalmente non a danno del bambino/ragazzo o degli altri. In ogni modo, in

alcuni casi, l’autismo e altre forme di PDD sono accompagnati da altri comportamenti che sono

semplicemente atipici e fuori luogo. Una percentuale di persone con autismo e PDD inizia

comportamenti che sono violenti e distruttivi. In alcuni casi, le azioni aggressive possono

essere dirette contro le cose, come le immotivate esplosioni di rabbia, che sono i temper

tantrums. In altri casi, le azioni aggressive possono essere dirette contro altre persone. Infine,

alcune azioni aggressive sono dirette contro se stessi: comportamenti autolesionistici (SIB- self

injorius behavior).

A causa delle gravi conseguenze a danno sia delle persone affette da autismo, sia dei

professionisti che con esse lavorano, questo ultimo gruppo di comportamenti violenti sarà il

punto centrale di questo articolo.

Quasi senza eccezione individui che mostrano uno dei tre comportamenti aggressivi sono

spesso impossibilitati a rimanere con successo in attività di gruppo. Mentre può essere fatto un

iniziale tentativo di aiutare ragazzi gravemente aggressivi, il risultato usuale è l’espulsione dal

gruppo. In seguito, altri probabilmente rifiuteranno assistenza a tali soggetti basandosi su una

storia di gravi crisi con distruzioni degli oggetti, aggressioni o SIB. Purtroppo, non essendo la

famiglia in grado di assistere il ragazzo, l’istituzionalizzazione resta l’unica alternativa possibile.

La grave natura dei comportamenti aggressivi contro sé e contro gli altri ha stimolato diversi

approcci terapeutici. In alcuni casi, individui con questi problemi sono trattati

farmacologicamente per diminuire gli scoppi di violenza. La maggior parte dei tentativi

farmacologici è scarsamente efficace. Diverse forme di approcci terapeutici basati sul dialogo e

sulla psicoterapia sono stati tentati, di solito con scarso successo. La natura devastante

dell’autismo e dei disordini ad esso correlati generalmente interferisce con qualsiasi strategia

d’intervento in cui il soggetto deve essere in possesso di un potenziale introspettivo e di

reciproco scambio verbale. Siccome la quasi totalità degli individui colpiti ha gravi problemi di

comprensione e produzione del linguaggio, le tecniche basate sul dialogo sono state

generalmente tentate e scartate nel corso del trattamento.

L’approccio forse più diffuso negli Stati Uniti per questa popolazione è l’uso di una tecnica

comportamentale basata sulle conseguenze negative. Questo si riferisce a interventi che

seguono l’occorrenza del comportamento, essendo la manipolazione delle conseguenze una

parte fondamentale della strategia terapeutica. Un assunto di fondo delle tecniche

comportamentali è che aumenteranno quei comportamenti che incontrano un rinforzo positivo.

D’altro canto i comportamenti che incontrano conseguenze negative diminuiranno nella loro

frequenza. La teoria inoltre assume: i comportamenti che non incontrano alcuna conseguenza

osservabile diminuiranno anch’essi come comportamenti inutili, che non servono all’individuo

per raggiungere mete desiderate o desiderabili.

Le tecniche comportamentali, più comunemente usate negli Stati Uniti, che seguono questi

principi si possono dividere in due gruppi: 1. tecniche punitive; 2. allontanamento o time-out

da un rinforzo positivo. Le tecniche punitive coinvolgono la presentazione di alcuni stimoli

negativi contingenti, quando si presentano comportamenti aggressivi o autolesionistici del

soggetto. Esempi di tali interventi includono rumori forti (ad esempio, gridare “no” o sbattere

la mano sul tavolo creando un improvviso rumore). Altri approcci usati, sono lo spruzzo

d’acqua nebulizzata sul viso del soggetto immediatamente dopo un atto aggressivo o

autoaggressivo. Un tempo, in alcuni casi molto gravi, è stato usato l’elettroshock, quando gli

individui aggredivano gli altri o ferivano se stessi.

Le tecniche di time-out allontanano il soggetto da un’attività desiderata o dall’ambiente, con

il presupposto che l’essere isolati o rinchiusi per un breve periodo di tempo renderà i

comportamenti inappropriati completamente inutili, producendo prima o poi la cessazione del

comportamento stesso.

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Mentre i decisi sostenitori di un intervento comportamentale che si appoggiano su strategie

basate sulle contingenze rimangono negli Stati Uniti, i limiti di questo approccio sono sempre

più chiari a molti medici ed educatori. L’uso di tecniche avversive comporta che il terapista

deve attivamente somministrare al soggetto stimoli dolorosi o che incutono paura, qualcosa

che molti terapisti non vogliono infliggere a un soggetto handicappato, in particolare nel caso

in cui le relazioni sociali gli siano già difficili.

La stessa cosa avviene per procedure di time-out, dato che la convinzione che un individuo

con un’abilità sociale limitata venga punito con una breve segregazione si rileva incoerente con

la conoscenza delle motivazioni in base alle quali agiscono molti soggetti artistici e con

sindromi pervasivi dello sviluppo. Infatti, molti soggetti autistici e PDD sembrano desiderare di

allontanarsi da situazione sociali faticose, e quindi isolare se stessi, come nei time-out.

Infine, gli interventi operanti che si fondano sul comportamentismo generalmente falliscono

nel preparare un soggetto a funzionare senza la presenza del terapista che impone stimoli

negativi per i comportamenti inappropriati. A lungo termine, una tale dipendenza terapeutica

non è considerata una conseguenza appropriata a molti soggetti. Questo riduce l’effettivo uso

di queste terapie alle situazioni in cui i comportamenti sono estremamente pericolosi e in cui la

gestione del comportamento è di una maggiore rilevanza rispetto a ogni preoccupazione su

effetti di dipendenza a lungo termine proprio di questo approccio. Così, mentre questo

approccio terapeutico continua a essere usato, molto spesso anche con la conseguenza di

comportamenti ostili o addirittura aggressivi e autolesionisti da parte dei soggetti, c’è ben poco

di entusiasmo negli Stati Uniti nei confronti di strategie che impongono ai soggetti un disagio

fisico o psicologico.

UN APPROCCIO ALTERNATIVO AI COMPORTAMENTI AGGRESSIVI E AUTOLESIONISTICI

Ancora non c’è possibile comprendere le cause d’aggressioni e SIB in ragazzi autistici e con

altre forme di disturbi pervasivi dello sviluppo. In parte a causa dell’insoddisfazione nei

confronti degli altri approcci ai problemi della gestione di aggressione su di sé e su altri, si è

evoluto un diverso metodo attraverso il lavoro della Divisione programma TEACCH. TEACCH

(trattamento ed educazione dei bambini con autismo e problemi di comunicazione) è la prima e

unica rete statale di servizi indirizzata a ragazzi autistici e alle loro famiglie negli Stati Uniti.

Nata nel 1963, la Divisione TEACCH serve i bisogni diagnostici e terapeutici di tutte le persone

affette da autismo e altri disturbi pervasivi dello sviluppo dello stato del Nord Carolina. Dalla

sua fondazione, i membri dello staff e della facoltà si sono avvicinati alla gestione dei

comportamenti da un punto di vista diverso da quelli esaminati nella sezione precedente.

Anche se i comportamenti di una persona con autismo non sono sempre facili da capire, si è

partiti dal presupposto che i problemi dell’autismo in qualche modo sfocino direttamente

nell’affidarsi dell’individuo a certi schemi di comportamento. Soggetti autistici e con altre forme

di PDD hanno certi deficit che definiscono la sindrome dal punto di vista comportamentale. Le

persone autistiche hanno limitazioni del linguaggio ricettivo che rendono difficile la

partecipazione agli scambi sociali. Molti hanno inusuali percezioni sensoriali, inclusa una

percentuale relativamente alta di persone che percepiscono il dolore in modo anormale. Sono

carenti nel giudizio sociale e non si rendono conto dei sentimenti altrui. Hanno spesso schemi

organizzativi carenti che rendono loro difficile comprendere la complessità, a meno che non ci

sia in evidenza un chiaro schema visivo per organizzare gli stimoli. Hanno problemi con le

sequenze temporali, spesso sembrano lottare con eventi in sequenza. Hanno difficoltà con il

concetto di “finito”, a volte facendo e disfacendo i compiti loro assegnati a causa di questo

problema. Hanno difficoltà con le transizioni, quando si deve passare da un compito a un altro,

o da un luogo a un altro.

Questi deficit sono di aiuto nella definizione del disordine, e individui che sono

diagnosticamene autistici presentano tipicamente la maggior parte, se non tutte, queste

caratteristiche. Nel programma TEACCH si è partiti dall’assunzione che queste aree deficitarie

siano direttamente e casualmente legate a comportamenti artistici. Questo significa che tutti i

comportamenti autistici risultano da problemi cognitivi e sensoriali che sono tipici della

sindrome. E’ probabile che la persona autistica “semplicemente non capisca come interagire”.

Il presupposto all’interno del programma TEACCH è che i comportamenti specifici – cioè

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spingere, colpire, sputare e/o gettare – siano meglio concettualizzati come indici delle

sottostanti cause dell’autismo.

Gli interventi terapeutici possono quindi mirare a individuare quale dei possibili fattori del

deficit può contribuire allo scoppio d’ira e tentare, quando è possibile, di aiutare la persona a

migliorare le sue abilità nelle aree intatte, mentre vengono sviluppate strategie per evitare

quelle aree deficitarie che non possono migliorare. Usando questo sistema, è possibile

esaminare anche una sequenza di comportamenti problematici che includano comportamenti

autolesionistici.

DEFICIT DELL’AUTISMO COMPORTAMENTI INADEGUATI

Problemi di abilità sociale aggressioni

Scarsa organizzazione tantrums

Problemi di linguaggio e di comunicazione SIB e problemi disciplinari

problemi di sequenze temporali scarse abilità nel gioco

anormalità sensoriali problemi con cibo e sonno

L’immagine dei comportamenti permette un colpo d’occhio su come alcuni problemi possono

essere capiti sulla base di un legame tra deficit e conseguenti comportamenti inadeguati.

Questa comprensione serve anche da guida per strategie d’intervento quando avvengono

questi comportamenti. Il seguente gruppo di principi guida è utile nello sviluppo di programmi

d’intervento per quasi tutti i comportamenti problematici, aggressività e autolesionismo inclusi.

I GENITORI COME AIUTO TERAPISTI

Dal suo esordio, il programma TEACCH ha utilizzato i genitori come co-terapisti nel

trattamento dei bambini autistici. Comportamenti aggressivi e autolesionistici incutono una

paura particolare ai genitori ed è utile assicurarsi che le strategie d’intervento si sviluppino con

il loro completo accordo. Una delle ragioni più importanti per cui il programma TEACCH è stato

riluttante nei confronti dell’uso di punizioni avversive basate sul condizionamento operante, è

che i genitori non si sentono a proprio agio con tali procedure e non desiderano usarle quando

sono con il bambino. Per questo motivo, sembra logico e saggio includere i genitori nella

pianificazione di sessioni basate sull’analisi e la comprensione del comportamento del bambino

e sullo sviluppo e la formazione di terapisti esperti nelle tecniche d’intervento poi usate.

Dal momento che l’autismo è un disturbo tanto complesso e pervasivo, il metodo TEACCH

prevede che i terapisti sviluppino le loro abilità in diverse aree allo scopo di avere successo con

soggetti con problemi di comportamento. Tutti i terapisti devono essere in grado di intervenire

in aree generalmente considerate dominio dei “lavori sociali” quali psicologia, comunicazione e

linguaggio in generale. Inoltre, è necessaria una certa comprensione dei concetti e delle

procedure della terapia fisica e occupazionale se si vuole rispondere a tutti i problemi clinici che

presentano i soggetti autistici e con altre forme di PDD:

Questo approccio richiede ai suoi operatori il desiderio di aprirsi a una formazione

trasversale in diverse aree, in un momento in cui la maggior parte delle discipline stanno

sottolineando la specializzazione. Nel programmare interventi per l’autismo, quindi, un modello

di ampio respiro è preferibile alla specializzazione.

INSEGNARE ABILITÀ E MODIFICARE L’AMBIENTE

Come si è già detto, le strategie TEACCH si rivolgono ai comportamenti tramite

l’identificazione di aree deficitarie che contribuiscono a quei comportamenti problematici

osservati nello specifico. Se le aree deficitarie possono essere eliminate, come è spesso

possibile nel caso in cui occorra aiutare i soggetti a diventare meglio organizzati o a

comunicare in modo funzionale, questa è la priorità assoluta. In ogni modo, si è spesso

osservato che è necessaria una certa manipolazione dell’ambiente per rimuovere gli ostacoli

troppo ardui per la persona autistica. Un programma che abbia successo deve generalmente

usare le due strategie.

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INTERVENTI BASATI SULL’INSEGNAMENTO AUMENTATIVI

L’espressione “insegnamento aumentativo” descrive lo specifico metodo di istruzione usato

nel programma TEACCH. Il metodo usa componenti organizzative visualmente chiare allo

scopo di aiutare le persone autistiche a organizzarsi meglio, così da diminuire la loro ansietà e i

comportamenti problematici. Il metodo include l’insegnare ai ragazzi a visualizzare scadenze e

metodi di lavoro, in modo individualizzato a secondo del livello di sviluppo del bambino e che

possa essere esteso e modificato quando lo sviluppo avviene. Un ragazzo ben organizzato, che

lavora liberamente su compiti che sono soddisfacienti e all’interno delle sue possibilità, sarà

molto meno soggetto a intraprendere attività autolesionistiche o aggressive rispetto a uno

disorganizzato, agitato e con carenze nell’indipendenza e nelle capacità organizzative.

5599)) LL’’AAUUTTIISSMMOO CCOOMMEE DDIISSTTUURRBBOO GGEENNEERRAALLIIZZZZAATTOO DDEELLLLOO SSVVIILLUUPPPPOO

tratta da L’AUTISMO INFANTILE

Dott. THEO PEETERS

Edito da Phoenix

Che cosa c’è dietro una parola? Un’etichetta può salvare la vita?

Qualche volta avrete sentito dire che non fa differenza se le persone sono chiamate “malati

mentali” o “ ritardati mentali” o “disabili nello sviluppo”; dopotutto non sono soltanto parole?

L’uso di queste espressioni, però, ha varie conseguenze, per cui molti adulti autistici vivono

in istituti psichiatrici perché è stata loro posta un’etichetta diagnostica sbagliata e si trovano

perciò soggetti autistici nei gruppi di ritardati mentali, pur avendo disturbi dello sviluppo tipici

dell’autismo. Ma non è così che dovrebbe essere poiché in questo modo la qualità della vita di

un autistico dipende più dal luogo dove è nato e dall’assistenza ricevuta che dalla gravità del

suo handicap.

E’ in questo senso che una diagnosi corretta può salvare la vita.

Vi è una sostanziale diversità se la cura di una persona è basata preminentemente su una

terapia farmacologica o su uno specifico intervento educativo e questo è valido anche per gli

autistici, i cui bisogni specifici devono essere presi in considerazione nella programmazione

delle attività quotidiane e nella cura della persona.

I bambini autistici possono avere turbe del comportamento, problemi di comunicazione,

dell’udito e del ritardo mentale, ma essere curati come bambini non autistici con turbe del

comportamento, problemi di udito o di ritardo mentale, è per loro disastroso, perché la ragione

delle loro difficoltà è differente. Una profonda conoscenza dell’autismo dovrebbe essere il punto

di partenza per un corretto approccio psico-educativo, in quanto è solo in base al tipo di

disturbo diagnosticato che si determina il tipo di aiuto da dare al bambino; la discussione su

una corretta definizione diagnostica si risolve a favore di un trattamento adeguato.

I genitori hanno bisogno di chiarezza e di risposte alle loro domande

Dare consigli buoni e sensati ai genitori di bambini autistici crea a volte ulteriori difficoltà,

perché gli operatori, spesso non si rendono conto di quanto sia particolare tale disturbo e

pertanto non sono in grado di offrire ai genitori l’aiuto migliore.

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6600)) LL'' aauuttiissmmoo hhaa bbaassii ggeenneettiicchhee,, II ggeenniittoorrii nnoonn hhaannnnoo ccoollppee

Dal Corriere della Sera del 17 Giugno 2001

Nuove ricerche in Usa smentiscono un luogo comune L' autismo ha basi genetiche I genitori

non hanno colpe Anni or sono Bruno Bettelheim, autorevole studioso della psiche, sostenne

che l' autismo infantile era un disturbo del comportamento che affonda va le sue radici nelle

dinamiche precoci tra madre e figlio: in risposta a un comportamento «freddo» della madre, il

bambino avrebbe elaborato meccanismi di difesa, isolandosi dal mondo in una «fortezza» che

avrebbe precluso ogni scambio emotivo. La tesi di Bettelheim e di altri psicoanalisti riscosse un

grande successo negli anni Settanta e Ottanta e fece dell' autismo un disturbo legato

all'esperienza precoce, ai primi rapporti tra la madre e il figlio. Si trattava di una spiegazione

semplificante, che imboccava la strada del cosiddetto «victim blaming», nel caso specifico la

colpevolizzazione della madre punita con la malattia del figlio a causa del suo comportamento

«sbagliato» e freddo. Le teorie psicodinamiche dell' autismo non hanno retto alla prova dei

fatti: l' autismo infantile è una sindrome, vale a dire un insieme di condizioni dovute a cause

diverse ma che presentano sintomi simili tra cui, appunto, il blocco emotivo e la tendenza a

rifugiarsi in sé stessi, malgrado i tanti sforzi dei genitori di questi bambini. Oggi il modo in cui

si guarda all'autismo è molto diverso, grazie a una serie di studi, tra cui uno i risultati del quale

sono stati pubblicati sull' American Journal of Medical Genetics. La ricerca in proposito indica

che in una significativa percentuale dei casi di autismo esiste una base genetica: un gene

localizzato sul cromosoma 7 comporta alterazioni dello sviluppo della corteccia cerebrale. In 24

su 135 bambini sofferenti di autismo sono state individuate variazioni a carico del gene Wnt2,

il che può spiegare una parte dei comportamenti autistici. L'individuazione di questo gene è

particolarmente significativa in quanto rafforza le conoscenze sulle basi genetiche dell'

autismo: in gran par te dei casi sono infatti evidenti alterazioni del cromosoma 7, lo stesso su

cui è localizzato Wnt2, che si traducono in modificazioni della corteccia cerebrale. L'ipotesi dei

ricercatori è che in gran parte dei casi di autismo si verifichi, nel corso dello sviluppo del

sistema nervoso, un' alterazione della migrazione dei neuroni che costituiscono i diversi strati

cellulari di cui è formata la corteccia. Oggi esistono diversi gruppi di ricercatori che lavorano

sulle basi genetiche dell' autismo , da quello dell' Università dell' Iowa, responsabile dei dati sul

gene Wnt2, a quello del Wellcome Center dell'Università di Oxford: tutti questi gruppi

concordano nel correlare l'autismo ad alterazioni dello sviluppo corticale indotte da diverse

mutazioni. Nei casi finora studiati, le modifiche nello sviluppo corticale sono molto variabili, il

che potrebbe spiegare l' estrema diversificazione dell' autismo infantile in cui il blocco dell'

emotività può essere associato a deficit dell'intelligenza più o meno gravi e ad altre modifiche

comportamentali, ben più serie dell' autismo descritto nel film Rainman, con Dustin Hoffman,

in cui si dava un' immagine molto edulcorata di questa malattia. La spiegazione genetica non

lascia sperare, per il momento, che sia possibile incidere significativamente sulle forme gravi di

autismo già in atto. Tuttavia si spera di arrivare presto a individuare i portatori sani di questi

geni e a fare diagnosi prenatali. Nel frattempo è importante sollevare i genitori, già provati da

una grave malattia dei loro figli, da un senso di colpa legato a un'errata teoria, purtroppo

ancora in circolazione.

Alberto Oliveti

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6611)) IIll lleeggaammee ttrraa vvaacccciinnaazziioonnee MMRRRR ee aauuttiissmmoo

Vogliamo agganciarci all'Articolo " Autismo e il tratto intestinale " riportato dal Dottor Fortini

nell'ultimo Bollettino Angsa, per inviarvi quest'altro documento datato Aprile 2000 e quindi

posteriore all'Editoriale di cui sopra, (anche se abbiamo l'impressione che l'editorialista sia di

qualche mese in ritardo rispetto all'articolo di Lorraine Fraser) , per ribadire un concetto che ci

sembra importante porre all'evidenza e cioè che sul tema Vaccinazioni ci muoviamo su un

terreno minato.

Sulle Vaccinazioni si è creato negli anni un movimento economico impressionante, che si

potrebbe anche essere trasformato in Lobby, e quando si creano delle Lobby diventa molto

difficile esprimere pareri in contrasto.

Facciamo riferimento ad esempio in un articolo : Autismo: colpa del vaccino? Tratto dal Sito

www.pediatria.it/famiglie/content/r_autvac.htm , in cui vi è stata la seguente risposta del Dott.

Giuseppe Varrasi, Pediatra: " Non ho dettagli del problema e quindi mi riservo di approfondirlo,

in quanto certamente la fonte citata (The Lancet) è autorevole e meritevole di estrema

attenzione. Tuttavia, mi sento di fare alcune considerazioni:

l'autismo è una malattia tutto sommato rara, assolutamente non paragonabile alla

frequenza con cui si vaccina con il vaccino trivalente: se veramente vaccinare fosse così

pericoloso, dovremmo assistere ad un incremento esponenziale dei casi di autismo nei

Paesi dove la vaccinazione viene praticata. Da qualche anno, il trivalente è utilizzato

moltissimo anche da noi, ma nessun dato sull'autismo giustifica questo allarme. oil fatto

che una somministrazione contemporanea di tre antigeni possa essere uno shock per il

sistema immunitario è un grossolano errore: anche nelle altre sedute vaccinali si

somministrano più vaccini insieme (polio, difterite, tetano, pertosse, epatite B), senza che

ciò costituisca un rischio. E poi, pensi che qualsiasi iniezione comporta al somministrazione

di diverse sostanze insieme (antibiotico + eccipienti). E, ancora, pensi che la maggior parte

delle malattie infettive è causata da virus che hanno antigeni multipli.

E' stato calcolato che sono molti miliardi le possibili combinazioni di antigeni cui il

sistema immunologico può rispondere: cosa vuole che siano 3 vaccini?

In altre parole, se pure venisse confermata questa ipotesi scientifica, si tratterebbe

certamente non DELLA causa dell'autismo, ma eventualmente di UNO DEI fattori concomitanti

della malattia. Dovrebbe comunque sicuramente esistere qualcosa d'altro che, in determinate

condizioni, fa scattare la malattia.

Mi lasci, infine, esprimere il sospetto che questa, come altre "notizie", si inseriscano in una

mentalità emergente anti-vaccinazioni, volta solo a cercare motivi di critica o giustificazioni per

il rifiuto. Certamente, sono il primo ad auspicare un costante controllo sui farmaci e sui loro

effetti (sia benefici, che indesiderati) e certamente ipotesi scientifiche come quella citata

possono costituire un notevole passo avanti verso la comprensione dei meccanismi alla base di

tante malattie ancora non ben conosciute; tuttavia, una notizia del genere su un quotidiano a

larga diffusione non serve certo a far avanzare la scienza, ma solo a far ammalare qualche

bambino in più di morbillo".

Argomentazioni del genere lasciano perplessi, anche perché negli Stati Uniti , l'argomento

sta diventando importante , ( utilizzando il motore di ricerca (http://www.altavista.com/) e

digitando ( Vaccines and Autism ) si trovano una quindicina di siti che parlano di questo

problema; ad esempio nel sito del National Vaccine Information Center "

909shot.com/autismo.htm " ci sono un sacco di informazioni ; viene ripreso lo studio Inglese

pubblicato da Lancet e si annuncia in data 16 Aprile 1999 la creazione di Tre Commissioni

d'inchiesta sull'incredibile Aumento di casi di Autismo in California ( 273% di incremento nella

Decade scorsa ) dopo l'istituzione della Vaccinazione Trivalente e vi è anche spazio per

smentite Ministeriali, il Dottor Stephen M. Edelson Ph.D. del Centro per lo studio dell'Autismo,

Salem, Oregon, U.s.a , inoltre afferma che alcuni addetti ai lavori ritengono che la Candida (

Candida Albicans ) , le vaccinazioni , l'esposizione ad un virus o la presenza di convulsioni

possano essere responsabili dell' Autismo Regressivo . Sito : http://www.autism.org/ con

Traduzione in Italiano.

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Per finire in un trafiletto pubblicato dal quotidiano " Il Gazzettino " del 13.09.99 , un

importante Studioso Britannico il Dottor Ken Aitken, Neurologo esperto internazionale di

Autismo, che fino a qualche mese fa escludeva Collegamenti Autismo- Trivalente), ora ha

cambiato idea , in conseguenza di questi dati Californiani, e dice che il pericolo c'è.

Qual è la morale di tutto ciò : ci troviamo di fronte a bambini che prima di essere vaccinati

con la MRR non sembrava avessero problemi di sorta ( e di autismo tantomeno ), ce li

ritroviamo con il Virus del Morbillo nell'intestino e……. non dovrebbe trovarsi lì.

La domanda quindi è : come ci è finito? e la risposta potrebbe essere : gliel'hanno inoculato,

e non possiamo liquidare la cosa in quattro e quattrotto, ma dobbiamo tenere sotto

osservazione gli studi in corso anche in Italia da parte del Dottor Montinari di Bari.

Sonia e Roberto Rusticani

6622)) VVIITTAAMMIINNAA PPPP oo BB33 ee AAUUTTIISSMMOO

Ricerca effettuata dalla Signora Maria Bonati

Vorrei proporre all'ANGSA e a chi nella ricerca può valutare se siano utili o meno i

collegamenti e le osservazioni che sto per esporre. Osservazioni alle quali ho dato importanza

fin dal 1985 quandopensavo, ma soprattutto "speravo" che la causa delle difficoltà di

apprendimento e comportamentali di mia figlia, che allora frequentava la prima elementare,

rientrassero nel quadro esposto nella relazione "Sindrome tensione-stanchezza", pubblicata su

Medico e Bambino del marzo 1985, del prof. Panizon di Trieste in cui si parla dei disturbi

organici tipici dell'allergia alimentare associati a disturbi motori, sensoriali, mentali o nervosi.

Da allora mi sono attivamente impegnata a studiare questo particolare argomento , anche in

seguito a un'idea che ho avuto nell'aprile del 1986.

Osservando le tabelle internazionali degli Alimenti, poiché mi chiedevo cosa potessi dar da

mangiare a mia figlia, avendo da poco avuto l'esito positivo dei RAST per 14 alimenti, mi

risultò evidente la differenza rilevante del contenuto di Niacina (ovvero vitamina PP o B3) nei

vari alimenti rispetto alle altre vitamine.

In tutti questi anni ho fatto presente queste osservazioni a tutti i medici che ho avuto

occasione di contattare, le ho inviate per iscritto a vari enti di ricerca universitari, e nel 1994

sono state pubblicate sul bollettino ANGSA in forma forse un po' troppo riassuntiva, tanto che

ho sempre avuto l'impressione di non essermi spiegata in modo sufficientemente chiaro.

Ho trovato nel corso di questi anni, leggendo gli articoli delle riviste mediche riguardanti le

ricerche sulle cause dell'autismo, molti collegamenti all'idea che ho elaborato sulla sua

patogenesi.

Dunque. calcolando il rapporto tra la massa della Niacina contenuta nei cibi (misurata in mg)

e quella delle proteine (misurata in g), mi è sembrato di capire che quanto questo è più

elevato, tanto minore è l'allergenicità dei cibi.

Per esempio:

CIBI RAPPORTO PROTEINE NIACINA

Agnello 0,301 17,9 5,4

Coniglio 0,471 21,2 10,0

Pollo 0,585 22,2 13,0

Tacchino 0,409 22,0 9,0

Vitello 0,201 21,3 4,3

Salmone 0,375 19,2 7,2

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Tonno 0,395 21,5 8,5

Albicocca 1,250 0,4 0,5

Mela 1,500 0,2 0,3

Interessante è anche constatare che anche gli organi vitali rientrano in questa categoria:

Cervello 0,612 9,8 8.2

Cuore 0,498 16,8 8,2

Fegato 0,642 21,0 13,5

Rognone 0,391 14,8 5,8

I cibi che hanno un rapporto inferiore possono essere invece allergogeni:

Latte 0,032 3,1 0,1

Uovo 0,498 13,0 0,1

Merluzzo 0,097 17,4 1,7

Frumento bianco 0,090 11,0 1,0

Avena (fiocchi) 0,125 8,0 1,0

Cioccolata 0,103 5,8 0,6

Soia 0,067 36,9 2,5

Inoltre, guardando queste cifre si può ipotizzare una relazione tra quanto si sa per tradizione

sulla digeribilità di alcuni cibi: cioè che le carni bianche sono migliori delle carni rosse, che il

prosciutto crudo è migliore di altri salumi, che il pesce azzurro dovrebbe avere maggiore spazio

nella nostra dieta, che non tutto il pesce può provocare allergie, ma che a causarle sono

soprattutto il merluzzo e i crostacei; che ostriche, caviale e aragoste sono afrodisiaci; che

bisogna non eccedere con uova, cioccolata e noci; che fra i cereali è preferibile il riso; che

anche il latte di soia può non essere adatto ai lattanti: migliore è la dieta REZZA-CARDI (carne

di vitello omogeneizzata, farina di riso e olio extravergine di oliva) che "trova indicazione nella

diarrea intrattabile, nell'allergia al latte vaccino del lattante, anche quando falliscono i vari latti

terapeutici in commercio, compresi i latti a base di idrolisati proteici".(Medico e Bambino,

febbraio '96, pag.84).

La mia ipotesi è che la maggiore o minore quantità di vitamina PP in percentuale rispetto alle

proteine catalizzerebbe l'idrolisi delle stesse diminuendo l'immunogenicità degli alimenti,

riducendo il peso dei polipeptidi formatisi, misurati in Daltons (6000 è considerato il valore

minimo per dare ad una proteina un potere immunogeno).

D'altra parte la vitamina PP è stata spesso in passato collegata in molti studi all'iperattività,

ai disturbi affettivi, alle turbe percettive, al bambino "problema", alle psicosi, alle malattie

mentali e all'autismo.

Prima ancora di intraprendere i miei studi di biologia ho cercato la vitamina PP: l'ho trovata

alla fine in Austria nel luglio del 1986 (in Italia non veniva prodotta) e da allora l'ho

somministrata a mia figlia in dosi di ca. 80 mg al giorno, come integratore. Non posso

evidentemente sapere se M. sarebbe cresciuta nel comportamento e nell'apprendimento in

modo diverso, ma ho potuto tuttavia constatare sempre effetti risolutivi nei problemi di

allergia, come riniti, tracheiti e tossi allergiche.

Nell'uso topico poi, per averlo sperimentato innumerevoli volte su di me e su altre persone,

posso testimoniare con certezza che poche gocce di soluzione acquosa sufficientemente

concentrata, applicate immediatamente sulle punture di insetto (api comprese), provocano la

quasi immediata scomparsa del prurito e del pomfo, anche in chi come me ha avuto in passato

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reazioni abnormi. Anche in occasione dei PRIC TEST, i pomfi per reazioni positive, sono

scomparsi immediatamente con l'applicazione della PP.

Inoltre uso ormai mettere questa soluzione sulle vescicole che si formano sulle mani e sui

piedi per disidrosi, ed esse si asciugano in breve tempo, facendo tornare la pelle normale da un

giorno all'altro; ne ho tratto beneficio anche in caso di lesioni da eczema allergico.

La spiegazione dell'azione positiva nell'uso topico e in quello sistemico (nelle patologie

allergiche respiratorie), potrebbe essere dovuta all'azione fibrinolitica di tale vitamina, che

accelerando il processo di aggregazione piastrinica ridurrebbe la flogosi; inoltre potrebbe avere

un'azione stimolante sul sistema reticolo-istiocitario, forse sottovalutata. Sistema che ha un

ruolo nella fagocitosi e nella formazione di anticorpi.

Per vedere se c'è una base scientifica in tutto ciò basta provare!

Studiando successivamente ho letto che la vitamina PP, per il fatto di essere prodotta dal

nostro organismo in piccole quantità, è unica nel gruppo delle vit.B. Deriva dall'aminoacido

TRIPTOFANO del quale occorrono 60 mg per produrre 1 mg di NIACINA.

La NIACINA, ammide dell'acido NICOTINICO, è impiegata nel trattamento delle pellagra, di

malattie del tratto gastrointestinale, quali glossiti, stomatiti, malassorbimento.

I ricercatori hanno trovato che in molti alimenti, in particolare nei cereali, la Niacina è

presente in forma "legata", cioè che non può essere rilasciata nell'organismo e perciò non

disponibile.

La vit.B6 è necessaria per un adeguato metabolismo del Triptofano , cioè per la sua

trasformazione in Niacina. Ciò potrebbe spiegare l'effetto positivo della B6 nei confronti dei

sintomi autistici, utile, ma non risolutivo. Essendo consigliata in alcuni testi l'assunzione di

Triptofano come un naturale aiuto per il sonno, a suo tempo ho provato a darne 50 mg come

sedativo a mia figlia: questo ha provocato al contrario uno scatenamento di iperattività. Più

tardi, esattamente il 23/12/1988, il triptofano è stato ritirato dal commercio, perché provocava

una "rara malattia dei globuli bianchi"(?): per questo motivo ho pensato che il problema

potesse derivare da un difetto del metabolismo di questo aminoacido, interrotto in qualche

punto per carenza di qualche enzima.

Il catabolismo del triptofano porta dunque alla formazione della vitamina PP, ma anche, per

via metabolica molto più semplice, alla formazione di una sostanza di grande importanza

fisiologica: la SEROTONINA. Questo neurotrasmettittore è implicato assieme alla DOPAMINA

nella sindrome autistica, come abbiamo avuto occasione di leggere più volte anche nel nostro

bollettino ANGSA.

In particolare rinvio alla ricerca sui peptidi, riportata nel bollettino 5/1998, dell'Università

"Campus Bio-Medico", conclusasi nel giugno 1999: pag.7."Ci sono prove che indicano la

presenza di una componente genetica, specificatamente, un alterato metabolismo della 5-HT

(serotonina). L'alterazione può essere indotta dall'accumulo di una classe di peptidi che può

determinare l'aumento della ricaptazione di serotonina a livello simpatico.

A pag.8 sono riportati i principali risultati ottenuti: è stato isolato un tripeptide che stimola

l'attività del trasportatore di 5-HT, presente in quantità superiore al normale nell'urina dei

bambini autistici e possibilmente deriva da una produzione eccessiva o dall'alterata

degradazione di un precursore. E' possibile che l'aumentata produzione del tripeptide possa

portare all'IPERSEROTONINEMIA che si riscontra frequentemente nei pazienti autistici".

Sullo stesso bollettino a pag.24 è pubblicato il risultato di un'altra ricerca promossa dalla

dott.ssa Paola Visconti dell'Università di Bologna, in collaborazione con l'Azienda Ospedaliera

S.Orsola-Malpighi e il prof. Franceschi della Cattedra di Immunologia dell'Università di Modena,

sulle interrelazioni fra sistema immunitario, endocrino e sistema nervoso centrale: " …I dati

ottenuti di difficile interpretazione non hanno evidenziato un chiaro coinvolgimento del sistema

immunitario."

Un' ipotesi più verosimile potrebbe collegarsi all'aumento di serotonina (che più studi

indicano elevata in un terzo circa dei pazienti autistici). La serotonina induce una ridotta

blastizzazione (proliferazione ai mitogeni) e quindi a maggior ragione se elevata, potrebbe aver

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prodotto un effetto di questo tipo, che non sarebbe quindi ascrivibile al sistema immunitario,

bensì alla disregolazione biochimica del sistema neurotrasmettitoriale serotoninergico. Questi

risultati non evidenziano particolari anomalie a carico del sistema immunitario.

Nella "pagina gialla" della rivista pediatrica "MEDICO E BAMBINO" del settembre 1998 invece

leggevo: "E' noto che antigeni intestinali possono essere il bersaglio di diversi autoanticorpi in

diverse malattie autoimmuni." Un altro possibile autoantigene è stato ora identificato

nell'enzima TRIPTOFANO-IDROSSILASI (presente nelle cellule enterocromaffini che producono

la serotonina). La presenza di anticorpi contro questo enzima caratterizza infatti i soggetti con

sindrome poliendocrina autoimmune di tipo1 (sindrome prevalentemente caratterizzata da

ipoparatiroidismo e insufficienza surrenale autoimmune e candidasi cronica da autoaggressione

verso i linfociti adibiti alla risposta specifica), che presentano anche disturbi intestinali

(prevalentemente diarrea) (LANCET 352, 255, 1998). Di grande interesse speculativo è il fatto

che, ancora una volta, il bersaglio dell'autoimmunità sia un enzima (vedi la transglutaminasi

nella celiachia, la tirosinasi nella vitiligine, la tireoperossidasi nella tiroidine, gli enzimi

microsomiali nell'epatite autoimmune, la glutammico-decarbossilasi nel diabete, ecc.".

La dott.ssa Paola Visconti nel bollettino n.1/1995 scrive che secondo la scuola di Tours,

potrebbe essere in causa il sistema dopaminergico. Dati a favore di tale coinvolgimento sono: il

riscontro nelle urine di alcuni soggetti autistici di valori elevati di acido OMOVANILLICO (HVA),

metabolita della Dopamina; un innalzamento della TIROSINA sierica precursore della

Dopamina, ed elevati livelli di PROLATTINA, ormone ipofisario che dovrebbe essere inibito dalla

Dopamina. A conclusione si riferiscono i risultati della ricerca genetica effettuata appunto a

Tours su 50 soggetti autistici nel 1993, sui geni che codificano alcuni enzimi che intervengono

nel metabolismo delle monoamine:

· Dopamina betaidrossilasi localizzata sul cromosoma 9

· Triptofano idrossilasi e

· Tirosina idrossilasi localizzati sul cromosoma 11.

I risultati ottenuti mostrano che non vi sono associazioni tra i marcatori della Dopamina

betaidrossilasi, la Triptofano idrossilasi ,la Tirosina idrossilasi e l'autismo.

Ritornando ora ai miei collegamenti tra il disturbo autistico, le allergie e le intolleranze

alimentari, il Triptofano, la Vitamina PP, la Serotonina e la Dopamina, ripeto ciò che avevo

scritto nelle mia lettera pubblicata nel bollettino n.3-4/1994, nella quale riferivo che per mia

figlia, in base alla diagnosi di poliallergia alimentare fatta nel 1985, all'età di 6 anni, ho seguito

una dieta senza latte, favorendo alimenti (secondo la mia teoria) con giusto rapporto tra

vitamina PP e proteine, e somministrando anche la vitamina stessa.

Scrivevo anche che i fattori biologici all'origine del disturbo non saranno diversi da caso a

caso , se si pone come causa dell'autismo un disturbo immunitario, diversa sarà solo la

risposta individuale, che avrà delle varianti e forme più o meno accentuate conseguentemente

alla qualità e alla quantità dei fattori scatenanti, così come avviene nelle allergie.

Il difetto metabolico, verosimilmente, non è solo a livello proteico; anche se sono le

macromolecole proteiche a scatenare una risposta immune, la causa primaria resterebbe la

permeabilità intestinale. Quest'ultima potrebbe derivare da un disturbo metabolico dei

carboidrati, aggravato da CANDIDOSI: l'efficacia della Vitamina PP, preposta anche al

metabolismo dei carboidrati, potrebbe avere perciò una ragione logica.

Il difetto metabolico a livello proteico potrebbe essere dovuto ancora alla difettosa

produzione o utilizzazione della Vitamina PP, in particolare del coenzima NADPH o degli enzimi

NADPH dipendenti, che intervengono nella catena biologica della Vitamina PP stessa a partire

dal TRIPTOFANO (per cui per altra via metabolica potrebbero esserci variazioni di Serotonina

cerebrale) e nella degradazione dellaTIROSINA a DOPAMINA.

Il collegamento tra SEROTONINA e DOPAMINA è dunque il coenzima NADPH che interviene

nel catabolismo del TRIPTOFANO (tra Chinurenina e Idrossichinurenina) e della FENILALANINA

(tra Fenilalanina e tirosina; tra Tirosina e Dopa).

Gli enzimi in questione sono:

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· CHINURENINA 3-IDROSSILASI

· FENILALANINA IDROSSILASI

· TIROSINA IDROSSILASI

Il primo è implicato nell'eccesso di Serotonina, gli altri due nel difetto di Dopamina.

Il NADPH (Nicotinamideadenindinucleotidefosfato) è uno dei due coenzimi piridinici di cui si

conoscono già alcune alterazioni congenite: una diminuita produzione di NADPH interviene

nell'anemia emolitica enzimopriva (FAVISMO). Le alterazioni del sistema delle NADPH-ossidasi

causano la Malattia Granulomatosa Cronica della quale recentemente sono stati scoperti vari

geni.

Per tutti questi motivi concentrerei la ricerca sul sistema NADPH-idrossilasi.

Oggi è stata completata la sequenza del Genoma umano: abbiamo ancora speranze!

Marcon (VE), 6 aprile 2000

Maria Bonat

6633)) LLaa ggeenneettiiccaa ddeellll’’aauuttiissmmoo

Una dichiarazione dell’associazione internazionale di psichiatria infantile ed

adolescenziale e delle professioni associate (IACAPAP)

Questa dichiarazione è basata sul Gruppo di lavoro sulla Genetica dell’Autismo stipulata

dall’Associazione Internazionale della Psichiatria infantile e delle professioni correlate

(IACAPAP) e la Fondazione per l’Educazione e la Ricerca sui Bambini e gli Adolescenti, a

Modena, Italia, 16-18 Marzo 2000.

DICHIARAZIONE SULLA GENETICA DELL’AUTISMO

Associazione Internazionale della Psichiatria Infantile ed Adolescenziale e Professioni

Associate (IACAPAP)

Fondata nella metà degli anni ’30, IACAPAP è l’organizzazione-ombrello internazionale delle

società nazionali dei bambini e della salute mentale. Operando come associazione non

governativa (NGO) entro la cornice delle Nazioni Unite, IACAPAP ha come scopo di promuovere

il benessere dei bambini e degli adolescenti e delle loro famiglie attraverso la promozione della

ricerca, della cura clinica e l’educazione del personale. IACAPAP persegue tali scopi attraverso

la promozione di Congressi ed Incontri internazionali e regionali, Gruppi di Lavoro,

pubblicazioni, supporto alla ricerca, facilitazione di scambi scientifici e clinici ed interazione con

i governi, fondazioni ed altre organizzazioni con scopi simili.

Nel Marzo 2000, IACAPAP ha organizzato un Gruppo di Lavoro sulla genesi dell’autismo in

collaborazione con la Fondazione per la Ricerca e l’Educazione riguardante i Bambini e gli

Adolescenti a Modena, Italia. Virtualmente tutti i gruppi di ricerca scientifici attivi in tale campo

sono stati invitati a partecipare a questo meeting. Il Gruppo di Lavoro ha portato allo stesso

tavolo esperti di autismo e di genetica per lo scambio di informazioni e di pubblicazioni e per la

chiarificazione di future aree di ricerca. Un obiettivo principale è stato quello riguardante i

metodi ottimali per facilitare la futura collaborazione e gli avanzamenti in questo campo.

IACAPAP ha una tradizione nel pubblicare le Dichiarazioni basate sulle attività dei Gruppi di

lavoro. Queste Dichiarazioni sono basate sulle discussioni e sulle scoperte fatte dal Gruppo di

Lavoro e sono generalmente discusse dal Gruppo di Lavoro inteso come un tutt’uno. Le

dichiarazioni sono poi riviste dall’Ufficio e dalla Commissione Esecutiva del IACAPAP e sono

pubblicate dallo IACAPAP come rapporto per l’organizzazione basato sul Gruppo di Lavoro e

ogni discussione successiva. Il Gruppo di Lavoro sulla Genetica dell’Autismo riflette questa

ampia base di partecipazione ed offre una vista a tutto campo di tale argomento.

DICHIARAZIONE DI MODENA: GENETICA DELL’AUTISMO

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Marzo 2000

IACAPAP si è riunita in un gruppo di lavoro internazionale sulla Genetica dell’Autismo a

Modena, Italia nei giorni 16-18 marzo 2000. Il gruppo di lavoro ha rivisitato lo stato attuale

della conoscenza sui contributi dei fattori genetici alla patogenesi dell’autismo ed ha discusso le

direzioni future e le implicazioni della ricerca. Basate su tali discussioni, sono già state

raggiunte importanti conclusioni.

IACAPAP è l’organizzazione internazionale delle associazioni nazionali della salute mentale di

bambini ed adolescenti fondata oltre 60 anni fa allo scopo di promuovere la salute mentale dei

bambini attraverso il miglioramento della distribuzione dei servizi, promozione della ricerca e

l’educazione e facilitazione delle professioni coinvolte in tali campi. In quanto organizzazione

non governativa (ONG) nell’ambito delle Nazioni Unite, IACAPAP comprende oltre 65 paesi

membri. Un grandissimo scopo della IACAPAP è di portare avanti la conoscenza della

psicopatologia dello sviluppo e le implicazioni della ricerca per la comprensione clinica, servizi e

trattamento dei singoli bambini. A tale scopo, la IACAPAP si è riunita in un Gruppo di lavoro

internazionale a Venezia, Italia, nel 1998, per rivedere le maggiori aree di avanzamento e le

prospettive future per la ricerca nel campo autistico. Tale gruppo di lavoro ha portato alla

Dichiarazione IACAPAP sull’Autismo e sui Disordini Mentali. Come continuazione di tale

processo, IACAPAP si è riunita in un Gruppo di Lavoro a Modena, Italia, nel Marzo 2000, per

rivedere il campo della genetica dell’autismo e mettere assieme i dirigenti dei vari campi per

discutere i modi per facilitare il progresso futuro.

Gli psichiatri infantili dapprima hanno riconosciuto l’autismo, circa 60 anni fa. Da allora, gli

individui affetti da autismo sono stati diagnosticati in tutto il mondo, in ogni gruppo sociale ed

etnico. I clinici ed i ricercatori hanno imparato una enorme quantità di cose riguardo ai

problemi sociali, cognitivi e di linguaggio dell’autismo, la storia naturale e la gamma di

manifestazioni. L’autismo è la forma più grave di attacco precoce di disordini mentali. Gli

individui affetti da autismo soffrono di gravi disturbi nella formazione e nel mantenimento di

relazioni sociali, nel linguaggio e nella comunicazione, nella funzionalità flessibile e

nell’adattamento. Molti individui autistici sono intellettualmente inabili. Quelli affetti dalle forme

estreme di autismo possono essere muti, socialmente isolati, gravati da comportamenti

stereotipati, profondamente incapaci dal punto di vista intellettuale e bisognosi di supervisione

a tempo pieno. Coloro che hanno forme più leggere potrebbero avere problemi nelle aree delle

relazioni sociali reciproche, comunicazioni, flessibilità, ma hanno capacità intellettive nella

gamma comune e riescono a funzionare nella vita di tutti i giorni. Per parecchie decadi,

l’autismo ha assorbito i maggiori impegni dei servizi clinici ed i programmi di ricerca a causa

delle numerose funzioni che ne erano impedite, del peso di tale disfunzione sugli individui e le

loro famiglie, della rimarchevole sintomatologia che affligge aree vitali dello sviluppo e della

natura permanente di tale disturbo. Inoltre, i movimenti politici e scientifici correlati all’autismo

hanno influenzato la comprensione e la cura degli individui con altri disturbi psichiatrici e di

sviluppo. In questo modo, è probabile che i movimenti futuri nella ricerca sull’autismo, inclusa

la genetica di tale disturbo, abbiano importanti benefici nel campo più vasto della ricerca sulla

psicopatologia dello sviluppo.

La ricerca e l’esperienza riguardanti l’autismo hanno supportato il concetto di autismo come

disordine dello sviluppo che riflette disturbi nelle funzionalità e nello sviluppo neurobiologico

sottostante. Molte linee di evidenza –incluse le scoperte della ricerca sulla funzionalità

cerebrale, la presenza delle sindromi autistiche fra individui con disordini genetici noti, e

l’impatto di fattori ambientali profondi- supportano il punto di vista secondo cui l’autismo

riflette l’espressione finale di una gamma di processi biologici ed ambientali che hanno un

impatto sulla maturazione iniziale del cervello. Tra i fattori che sono stati associati all’autismo,

sembra ora che le anormalità nel patrimonio genetico giochino un ruolo centrale. Questo punto

di vista sull’autismo come disabilità dello sviluppo sta influenzando le politiche sociali e

governative sul bisogno di programmi comprensivi di servizi educativi, di cura clinica ed

associati.

Siamo oggi in una nuova era di ricerca sull’autismo. Usando concetti di diagnosi standard

(incluse le definizioni entro gli schemi di classificazione internazionali: International

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Classification of Disorders, ICD decima edizione, e il manuale di diagnostica e statistica,

Diagnostic and Statistical Manual, DSM IV) e metodi diagnostici, i ricercatori ed i clinici di tutto

il mondo possono comunicare chiaramente e collaborare in modo scientifico. Metodi e concetti

scientifici avanzati sono stati focalizzati su individui affetti da autismo, inclusi metodi di ricerca

del linguaggio e dello sviluppo, neuroimmaginazione, neurochimica, scienze cognitive e del

comportamento ed una gamma di metodologie genetiche.

Studi recenti sull’autismo hanno usato molti degli approcci contemporanei alla ricerca

genetica sulle condizioni umane complesse. Tali approcci comprendono studi di popolazioni,

famiglie, gemelli ed individui con scoperte genetiche specifiche e di comportamento. Nel futuro

sarà importante mantenere una vasta gamma di metodologie di ricerca e permettere agli

investigatori di perseguire le scoperte con diverse metodologie. Le scoperte della ricerca sulla

genetica dell’autismo hanno portato a riconoscere che i fattori genetici dalla nascita giocano il

ruolo principale nella causa dei disordini. Un’attenta investigazione dei gemelli identici

(monozigoti) e fraterni (dizigoti) e di famiglie con più di un individuo affetto da autismo hanno

rivelato che i fattori genetici sembrano giocare un ruolo centrale per la maggior parte dei casi.

I modelli matematici suggeriscono che un certo numero di geni è probabilmente coinvolto nella

trasmissione di tale vulnerabilità, ma il numero esatto non è conosciuto, né sono stati scoperti

geni specifici. Studi genetici sofisticati da differenti gruppi e consorzi hanno messo in luce

parecchie aree del genoma umano molto promettenti in quanto si presume contengano geni

associati all’autismo.

Vi sono indicazioni che la piena espressione clinica del disordine riflette complesse interazioni

fra la vulnerabilità genetica ed altri fattori biologici ed ambientali. Tali fattori che rendono un

bambino vulnerabile non sono ancora noti. Anche la ricerca genetica ha supportato il

precedente concetto clinico di uno “spettro di sviluppo o autistico”, che ci sia una vasta gamma

di espressioni nella sottostante diatesi biologica o vulnerabilità. In alcuni individui, la sindrome

autistica appare in modo totale; in altri parenti, incluso alcuni genitori e fratelli o sorelle di

individui autistici, divengono manifesti solo alcuni aspetti del disordine. Le persone con

difficoltà in tale spettro autistico soffrono di problemi nel formare e mantenere relazioni sociali.

Possono essere goffi nelle loro comunicazioni sociali e possono avere problemi nell’espressione

e nella comprensione delle emozioni. Alcune persone possono anche avere circoscritte di

interesse o di abilità inusuali. Non è chiaro cosa porti alla sindrome piena di autismo o alle

varianti più leggere del fenotipo “esteso” o “più ampio” del disordine autistico.

Il Gruppo di Lavoro riconosce che la ricerca dei fattori genetici coinvolta nell’autismo

richiederà molti anni di ricerca finanziata, interdisciplinare e condotta in più luoghi. Questa

ricerca richiede la collaborazione di esperti in varie discipline, inclusi scienziati del

comportamento biologico e dello sviluppo di base e ricercatori clinici. Vi sono ragioni essenziali

per la formazione ed il supporto di consorzi di ricerca internazionali che possano condividere

metodi, dati per le analisi, scoperte importanti, e diffondere la vera conoscenza senza

eccessivo ritardo. Attualmente la gran parte della ricerca sulla genetica dell’autismo si è

concentrata sulla popolazione degli Stati Uniti e dell’Europa. È importante che i futuri gruppi di

ricerca includano gruppi e popolazioni cliniche di tutto il mondo. Inoltre dev’esserci spirito di

collaborazione fra genitori ed individui autistici e coloro cui è affidata la ricerca ed il

trattamento. Oggi, i professionisti e le famiglie si stanno unendo per promuovere la ricerca e

per migliorare i servizi, ed i genitori sono riconosciuti come i più efficaci ed essenziali avvocati

difensori dei propri figli.

Quando saranno scoperti i geni dell’autismo, ci sarà un lungo processo per definire le strade

fra i fattori genetici e la piena espressione clinica e lo sviluppo degli individui. Questo processo

richiederà la collaborazione fra tipi molto diversi di investigatori e clinici. Il nuovo campo della

genetica dell’autismo alimenta sia nuove speranze sia nuove preoccupazioni. Si spera che la

scoperta dei fattori genetici porti alla fine a nuovi approcci di diagnosi ed intervento e forse

anche di prevenzione e di cura. Allo stesso tempo, le questioni genetiche alimentano una

gamma di questioni etiche e politiche.

Finché è ancora presto e non sono ancora conosciuti i geni, è importante per i ricercatori, i

clinici, le famiglie e gli altri preoccupati delle questioni di politica sociale ed etica di iniziare il

processo di discussione e di chiarimento delle questioni create dalla nuova comprensione della

genetica nell’autismo. Il Gruppo di Lavoro ratifica regolamenti politici recenti fatti dai capi di

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governo e da altri, secondo i quali la conoscenza fondamentale sul genoma umano –proprio

come altri fenomeni della natura- appartiene all’intera società. In tal modo, i geni non

dovrebbero essere controllati dai brevetti. Allo stesso tempo, ci dovrebbero essere vari modi di

promuovere e utilizzare la nuova conoscenza per portare beneficio agli individui ed all’umanità.

Inoltre, è importante che tutti coloro che sono impegnati nella ricerca diffondano informazioni

accurate e attuali sia ai media scientifici che profani in modo puntuale.

È importante notare che la scoperta dei fattori genetici porterà a nuove questioni per

genitori e famiglie, incluse le preoccupazioni sulla trasmissione e sui consigli relativi alla

ripresa. Tali questioni cliniche e politiche richiederanno stretta collaborazione fra famiglie, i loro

avvocati, clinici ed altri specialisti nei vari campi medici, politici ed etici. In questo contesto,

coloro che sono preoccupati riguardo l’autismo possono imparare dall’esperienza con altre

condizioni mediche e di sviluppo in cui i fattori genetici giocano un ruolo preponderante.

In considerazione delle prospettive future per la ricerca sulla genetica dell’autismo, il Gruppo

di Lavoro afferma l’importanza dello scambio aperto di conoscenze fra differenti ricercatori.

L’avanzamento della conoscenza sull’autismo richiederà impegni considerevoli da parte di molti

gruppi di ricerca e la capacità di condividere le informazioni e comparare le scoperte. Ciò è

particolarmente rilevante in rapporto agli studi che richiedono un gran numero di famiglie e di

individui per il loro completamento in tempo utile ed in modo positivo. Inoltre, le famiglie che

partecipano volontariamente alla ricerca e che forniscono informazioni e campioni biologici

hanno il diritto di aspettarsi che gli investigatori facilitino nel modo più rapido possibile

l’avanzare della ricerca.

Vi sono importanti questioni politiche ed etiche in relazione all’importanza del condividere la

conoscenza sull’autismo e simili disordini, mentre si promuove al tempo stesso l’avanzamento

quanto più rapido della conoscenza. Nell’affermare l’importanza di tale collaborazione, il

Gruppo di Lavoro è consapevole del bisogno di preservare la libertà dei singoli scienziati e dei

gruppi per perseguire aree di priorità scientifica e delle preoccupazioni legittime sulla

protezione della priorità intellettuale/scientifica. La comunità scientifica deve continuare a

sviluppare supporti che assicurino l’equilibrio fra differenti bisogni allo scopo di assicurare una

collaborazione ottimale e individualità ottimale nel perseguire e nel riportare le scoperte

scientifiche. In tale contesto, il Gruppo di Lavoro incoraggia i ricercatori ed i consorzi che

lavorano sulla genetica dell’autismo a stabilire canali continui per la discussione e ad unirsi per

perseguire le scoperte promettenti.

La rigorosa applicazione del comportamento di sviluppo e della neuroscienza allo studio

dell’autismo ha portato ad una crescente comprensione del disordine clinico e degli individui

che ne soffrono. Nel futuro il campo della genetica umana offrirà una grande promessa per

sbrogliare le vulnerabilità biologiche nascoste; per spiegare la base delle differenze individuali

nella gravità e nel decorso; per chiarire le complesse interazioni fra influenze costituzionali ed

ambientali; e per fornire nuovi approcci alla prevenzione, agli interventi ed ai trattamenti

precoci. La collaborazione internazionale fra programmi di ricerca e consorzi da tutto il mondo

sono essenziali alla piena esplorazione delle potenzialità della genetica e di altri tipi di ricerca.

La nuova scienza della genetica umana offre grande speranza per gli individui affetti da

autismo e per le loro famiglie, come pure applicazioni in relazione ad altri gravi disordini

neuropsichiatrici e dello sviluppo. Allo stesso tempo, la natura e le implicazioni della ricerca

genetica sollevano importanti preoccupazioni di natura amministrativa, sociale ed etica, che

richiedono discussioni attente, sensibili e continuative fra famiglie, ricercatori di base ed

applicati, clinici, governi, la comunità dei fedeli e tutti coloro che sono coinvolti riguardo ai

bambini e agli adolescenti ed alla promozione del benessere umano. La conoscenza ottenuta in

relazione all’autismo avrà importanti influssi sulla comprensione e la cura dei bambini e degli

adolescenti con altri gravi disordini neuropsichiatrici e di sviluppo.

6644)) NNoovviittàà GGeenneettiicchhee ssuullllaa SSiinnddrroommee ddii RReetttt

Centro di Genetica e Medicina Molecolare

Dipartimento di Pediatria

Università di Firenze

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209, via Masaccio

50132 Firenze

Tel 055 5662 942

Fax 055 5662916

Prof. M.L. Giovannucci Uzielli

Firenze 30 Settembre, 1999

Care Famiglie,

un gruppo di Ricercatori degli Stati Uniti, ha trovato mutazioni di un gene (denominato

MECP2) e localizzato sulla regione Xq28 del braccio lungo del cromosoma X, in alcuni soggetti

con sindrome di Rett.

Abbiamo comunicato immediatamente alla presidenza della Vostra Associazione questa

notizia, di grandissima importanza per tutti noi, I risultati della ricerca saranno pubblicati entro

questa settimana sulla rivista Nature Genetics, voI. 23 no. 2 pp 185-1 88. Gli Autori sono

Ruthie Amir, Ignatia Van den Veyer, Mimi Wan, Charles Tran, Uta Francke ed Huda Zoghbi.

La strada per la diagnosi e la prevenzione, della sindrome di Rett è dunque aperta.

L’individuazione di mutazioni sul gene MECP2 è molto importante, e costituisce un punto di

partenza prezioso, ma non un punto di arrivo.

in particolare, per quanto riguarda l’interesse immediato delle famiglie, sarà possibile

effettuare l’analisi del DNA a livello del gene MECP2, per cercare la mutazione, ossia l’errore

responsabile. Dobbiamo precisare subito che i Colleghi americani hanno trovato la mutazione

del gene MECP2 solo in una parte delle pazienti con sindrome di Rett da loro studiate: questo

vuoi dire che, al momento attuale, solo in una parte delle famiglie che studieremo sui campioni

di DNA raccolti negli ultimi due anni, troveremo la mutazione.

Bisogna pensare ad un secondo gene Rett? Dobbiamo pensare alla interazione del gene

MECP2 con un secondo gene Rett situato su altro cromosoma?

Dobbiamo inoltre precisare che la mutazione individuata nelle pazienti studiate dai Colleghi

americani e nei loro familiari, appare sempre "de novo": ciò vuoi dire che la mutazione NON è

presente nel

DNA dei genitori, ed in particolare della madre. Questo conferma il fatto che la nascita di una

bambina Rett rappresenta un evento sporadico, nella famiglia, nella gran parte dei casi.

Ci sono comunque già dati certi sul fatto che nella madre possano essere presenti mutazioni

germinali, responsabili in rarissimi casi anche di sindrome di Rett in più di una figlia.

Questo è emerso dalla individuazione della stessa mutazione in due sorelle con la stessa

madre e con padre diverso: la loro madre NON presenta la mutazione nel DNA del suo sangue,

ma la mutazione è presente certamente in alcune della sue uova. Per cancellare il dubbio di

ricorrenza di sindrome di Rett in famiglie con una figlia affetta, nella quale si trovi la

mutazione, potremo comunque cercare la mutazione stessa con diagnosi prenatale sui villi o su

liquido amniotico.

I gruppi scientifici italiani, già coinvolti insieme alla Associazione Famiglie Bambine con

Sindrome di Rett, nello studio di questo disordine che tanto ci sta a cuore, si sono già riuniti e

di nuovo si riuniranno nei prossimi giorni qui a Firenze, per fare programmi concreti di ricerca

pura ed applicata alla diagnostica, per una informazione preziosa alle famiglie e per collaborare

al completamento degli studi sulla base genetica della sindrome di Rett.

Con la speranza di aggiungere presto nuovi dati alle notizie già straordinarie di oggi,

vogliamo rassicurarvi sull’impegno scientifico ed umano che vogliamo dedicare alle Vostre

famiglie. Il Vostro compito è di continuare a seguire con amore e con grande attenzione Vostra

figlia, con l’aiuto di tutti gli Operatori che possano darLe un valido aiuto.

Con i nostri più sentiti auguri

Luisa Giovannucci Uzielli - Cristina Biondi

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6655)) GGiillbbeerrtt LLeelloorrdd

Gilbert Lelord, dopo una vita dedicata all’esplorazione non di una terra sconosciuta, ma di

qualcosa di ben più misterioso e inesplorato, l’autismo infantile, giunto all’età di oltre 70 anni,

approfitta del ritiro dall’attività lavorativa per meditare sulla sua esperienza di vita.

L’incontro con l’autismo, condizione che eccita la sua curiosità e innesca in lui il desiderio di

capire per aiutare, avviene all’età di tre anni quando, grazie alla sua precocità, è ammesso alla

prima elementare.

Tra i suoi compagni c’è un bambino di 10 anni per il quale è stato approntato un programma

di insegnamento individualizzato con momenti di socializzazione. Questo bambino non

comunica, si dondola per ore e ore, ha delle reazioni imprevedibili di chiusura totale o di collere

violente ad eventi apparentemente banali e non tollera i rumori. Durante una vaccinazione

l’insegnante approfitta della presenza del medico per chiedergli: "Non avete qualcosa per lui?"

e il medico risponde: "Non ancora; bisogna trovare delle cure nuove" Questa frase,

moderatamente ottimista, gli rimane impressa nella mente e diventerà il programma della sua

vita.

Nel 51, neolaureato e interno in un ospedale psichiatrico che ospita migliaia di malati, Lelord

è colpito da uno di loro, un giovane diciottenne, dall’aspetto bello e intelligente, che passa le

sue giornate a dipingere, con un’abilità e una precisione straordinarie, la Pietà di Michelangelo

e il busto di Beethoven. Il giovane medico si chiede perchè la madre, affettuosa, premurosa,

che viene regolarmente a trovarlo, si sia separata da quel figlio superdotato. Lo comprende

quando, dopo aver ricevuto in dono uno dei suoi disegni, sempre gli stessi, lo ha appoggiato su

un tavolo senza avvertire del dono gli infermieri i quali lo hanno inavvertitamente buttato nel

pattume. Nel giovane, alla vista di ciò, si è scatenata un’aggressività verso se stesso e verso

gli altri di entità tale che gli infermieri, intervenendo numerosi, lo hanno dovuto immobilizzare

nella camicia di contenzione.

Altri eventi ricordati come determinanti nella sua scelta di vita sono stati: l’avvento della

terapia antibiotica, da lui vissuto da studente nel 44, grazie al quale pazienti affetti da infezioni

prima dolorose e mortali miracolosamente rifiorivano e guarivano, e l’introduzione in

Psichiatria, nel 53, del Largactil , grazie al quale malati deliranti, eccitati e pericolosi

miracolosamente si calmavano, diventavano gestibili e comunicavano e tutto ciò non per una

maggiore comprensione delle dinamiche esistenziali o di pensiero, ma per un’azione puramente

chimica. Questo fatto riportava la Psichiatria nell’ambito della medicina alla quale sino ad allora

aveva appartenuto in modo marginale.

Da qui il giovane medico comincia un lungo e paziente cammino di ricerca finalizzato alla

scoperta delle basi fisiologiche dei meccanismi del pensiero in condizioni di normalità e di

patologia. Da pochi anni era stata scoperta la presenza di un’attività elettrica cerebrale

rilevabile in modo incruento mediante l’elettroencefalogramma. Tale metodica era stata usata

sino ad allora solo in Neurologia e in particolare per lo studio dell’epilessia. Lelord venne deriso

quando parlò della sua intenzione di usare tale strumento per lo studio della mente. A dispetto

di tale derisione cominciò a studiare negli anni 50 l’attività elettrica cerebrale in condizioni di

riposo e di attivazione mentale nonché la risposta elettrica agli stimolo sonori, uditivi e

all’associazione di entrambi. Scoprì così che nel soggetto normale c’era un’attività elettrica ben

caratterizzata e nettamente differenziata in condizioni di rilassamento, segnatamente ad occhi

chiusi, e in condizioni di vigilanza, particolarmente ad occhi aperti, cosa che non si verificava

nei soggetti autistici nei quali tale differenza era molto attenuata, quasi a significare uno stato

di allerta ad occhi chiusi e una scarsa attivazione dell’attenzione al mondo circostante ad occhi

aperti.

Altre funzioni elementari come l’imitazione, la percezione, l’associazione e la motricità,

studiate con l’elettrografia dinamica, mostravano dei profili ben caratterizzati e nettamente

diversi nei normali e negli autistici.

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Queste scoperte lo portarono da un lato ad immediate applicazioni pratiche nell’approccio

educativo, dall’altro a cercare la collaborazione di biochimici, biofisici e genetisti per la ricerca

etiopatogenetica di tali anomalie elementari, dalle quali doveva dipendere l’alterazione

dell’interazione sociale e della comunicazione, funzioni estremamente complesse che

richiedono l’integrità delle funzionimentali basali da lui studiate. In collaborazione col

biochimico Muh analizzò più di 15000 campioni di urina di bambini normali e autistici per

dosarvi i neurotrasmettitori cerebrali e i loro metaboliti. Tra le molte sostanze dosate ne

identificò una, l’acido omovanillico, metabolita della dopamina, che presentava un andamento

peculiare nel corso dello sviluppo, nel senso che era molto elevata nei bambini più piccoli e nel

tempo subiva un calo progressivo con la crescita nei soggetti normali, cosa che non si

verificava negli autistici nei quali i livelli della sostanza rimanevano elevati nel corso del tempo,

dato interpretabile come un’espressione chimica della inadeguata maturazione cerebrale. La

ripetizione dell’esame nello stesso soggetto, resa possibile dall’innocuità dell’esame,

evidenziava inoltre una correlazione anche con il miglioramento clinico che coincideva con un

calo della sostanza, il che a sua volta era correlato con un avvicinamento alla normalità anche

dei reperti elettroencefalografici.

In collaborazione col biofisico Pourcelot, che aveva una raffinata tecnologia finalizzata alla

medicina spaziale, ma che Lelord ritenne a ragione utile anche alla sua ricerca, studiò in modo

dinamico la circolazione cerebrale settoriale, evidenziando fini ma significative anomalie

funzionali nell’emisfero sinistro, nell’area specializzata per il linguaggio, a fronte di una

normalità delle modificazioni dinamiche dell’emisfero destro, sede delle funzioni visive e di

orientamento spaziale, evidenziando così un’asimmetria funzionale tra i due emisferi che è in

accordo con la particolarità funzionale clinica caratterizzata dalla coesistenza di gravi incapacità

in alcuni campi, segnatamente nelle diverse forme di comunicazione, dipendenti dall’emisfero

sinistro e di migliori performance nelle funzioni visuospaziali dipendenti dall’emisfero destro.

A monte di tutto ciò intuì con decenni di anticipo che vi doveva essere una causa genetica,

da cui la collaborazione col genetista Mallet, col quale iniziarono ricerche sui geni responsabili

dello sviluppo cerebrale, ricerche che continuano tuttora e dalle quali si spera possano venire

risultati anche terapeutici in un futuro non lontano.

Lelord cominciò le sue ricerche in solitudine, dividendo la sua giornata tra l’assistenza diretta

e la sperimentazione di laboratorio ma, giunto a Tours con il doppio incarico di Professore di

Fisiologia alla facoltà di scienze e di terapeuta, cominciò ad avere un numero sempre crescente

di allievi provenienti da diverse discipline coi quali proseguì un cammino di ricerca che

diventava sempre più collegiale e multidisciplinare. Le difficoltà incontrate per proseguire

questo duplice cammino di assistenza e di ricerca riguardano molti fronti: da quello dello

spazio fisico in cui operare a quello del reperimento dei fondi per la ricerca. Lo spazio nel quale

tale lavoro si svolge nei primi anni dall’arrivo a Tours è caratterizzato dalla presenza di ratti, e

non di laboratorio, ma la capacità di coinvolgere amici e colleghi nella difficile missione fa sì

che un collega e amico geriatra, al momento di cambiare la sua sede di lavoro, ne informa

Lelord il quale prontamente invia un "commando" capeggiato da una delle sue prime allieve,

Catherine Barthelemy, motivata e battagliera, che va ad impossessarsi del nuovo spazio per

continuare quel lavoro che diventa ogni giorno più articolato e pesante, dal momento che i

pazienti giungono da ogni parte della Francia. L’autore racconta tutto questo con simpatia,

umanità e umiltà. Potrebbe con buona ragione dire "Ho mantenuto la lucidità mentale in tempi

di delirio collettivo" dal momento che gli anni in cui si compie la sua ricerca, tutta centrata

sulla disfunzione cerebrale del bambino autistico, sono gli stessi in cui la gran parte dei

neuropsichiatri, con la sicurezza e la protervia dell’ignoranza, affermavano contro ogni

evidenza che il cervello del bambino era normale e che la causa del catastrofico

comportamento autistico stava tutta nella mamma, vittima immolata, capro espiatorio, per la

quale Lelord ha parole dolcissime: "Portando un fardello disumano in un’atmosfera a lei ostile e

colpevolizzante,la madre affronta quotidianamente innumerevoli compiti dando il meglio di se

stessa" ( pagina 12 ), o ancora, parlando dei genitori che, oltre ad accudire al proprio figlio,

partecipano alla vita delle associazioni per solidarizzare con gli altri genitori, l’espressione

usata è " scorticati vivi" o ancora: "E’ sempre la mamma che, anche nella solitudine e

nell’abbandono, resta la colonna salda, paziente e sofferente nel mezzo della tempesta"

(p.133) o "La mia esperienza personale mi ha messo in contatto con madri rimaste sempre

molto attente alle difficoltà del proprio figlio, dimostrandogli affetto e sollecitudine, dando

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prova di pazienza e di fermezza. E questo è tanto più sorprendente se si pensa che sono

spesso di guardia 24 ore su 24, ivi comprese le domeniche e i giorni feriali. Quando il bambino

è piccolo, si alzano più volte durante la notte per assicurarsi che il pianto non sia espressione

di un pericolo tale da richiedere un intervento urgente. Di giorno attendono a lungo che il

bambino abbia preso latte a sufficienza per poi veder vanificati i loro sforzi da un rigurgito di

fronte al quale non perdono nè la pazienza nè la capacità di ricominciare tutto da capo. In

seguito, se il bambino non acquista il controllo degli sfinteri, moltiplicano il cambio della

biancheria. A questo punto incontrano il rifiuto da parte delle scuole d’infanzia. Col passare

degli anni evitano di mostrarsi nei luoghi pubblici col bambino, di andare ad esempio al

ristorante, per il timore dello scoppio di un violento accesso d’ira e dei severi sguardi di

disapprovazione che questo provocherebbe nelle persone presenti", (p. 133-134). "Malgrado

queste innumerevoli difficoltà, il sentimento costante, provato ed espresso dai genitori, resta

sempre quello: Abbiamo fatto abbastanza per nostro figlio?". Temono sempre di non averlo

fatto beneficiare del meglio delle cure disponibili." "Le mamme hanno vissuto terribilmente

isolate e spesso incomprese" (p.135)

L’autore tace pietosamente il nome dei colleghi di cui pure cita espressioni che passeranno

alla storia come una delle vergogne dell’umanità. Tra queste: "La personalità della madre

agisce come un agente patogeno, come una tossina psicologica".

Il libro è certo un mezzo di divulgazione scientifica in quanto concetti di neurofisiologia,

tutt’altro che facili, vengono spiegati in modo chiaro e comprensibile anche ai non addetti ai

lavori, ma è anche un documento ricco di umanità, calore e senso dell’umorismo. Bella e

divertente è la considerazione fatta sull’amore del prossimo. Egli narra che alla sua

affermazione "Per studiare e curare i bambini autistici non basta la professionalità; ci vuole

anche l’amore" una sua collaboratrice lo aveva duramente represso dicendo che affermazioni di

tal genere erano controproducenti e avrebbero fatto perdere credibilità al gruppo di ricerca, al

ché l’autore commenta: "una volta c’era il pudore per l’amore fisico di cui non si poteva parlare

esplicitamente, ma solo mettendo i puntini quando si arrivava al dunque; oggi quell’antico

pudore aveva ceduto il posto a quello per l’amore del prossimo, elemento fondamentale e

insostituibile per il tipo di lavoro che il suo gruppo di ricerca conduceva, ma di cui era vietato

parlare.

Trattandosi di un’autobiografia, non mancano cenni commoventi alla vita famigliare,

pienamente intrecciata con l’attività professionale in quanto la dolcissima moglie Angela fino

agli ultimi giorni della sua vita condivise la passione e l’amore per quella ricerca, dal momento

che amava teneramente quei bambini che, pur non esprimendosi, esprimevano con le loro

stranezze un disagio e una sofferenza profondi.

Il libro è scritto in modo godibile e merita di essere letto anche da chi non è coinvolto con il

tema trattato. Per chi poi è coinvolto professionalmente l’approccio pionieristico presentato

deve costituire uno stimolo alla formazione di gruppi multidisciplinari che, sull’esempio di

Lelord, continuino nella direzione da lui intrapresa per esplorare sempre più in profondità

questo misterioso disturbo al fine di trovare cure che agiscano sempre più efficaci.

Ci auguriamo naturalmente che sia al più presto disponibile anche la traduzione italiana per i

molti potenziali lettori che non conoscono il francese.

Daniela Mariani Cerati.

Abbiamo volutamente creato due diverse finestre per pubblicare Articoli sull’Autismo; una

che contenga Articoli di tenore Scientifico e l’altra dove pubblicare Riflessioni e articoli che

trattano l’Autismo da un punto di vista più “ sociale “

XIII. Riflessioni sull'Autismo

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In questa Finestra vogliamo dare il maggior risalto possibile alle Riflessioni dei genitori , oltre

a pubblicare Articoli tratti da Libri o giornali, Riflessioni che possono contenere , a volte lettere

d’amore per queste creature sfortunate, a volte degli sfoghi di persone amareggiate, delle

poesie, oppure storielle che facciano riflettere, atti di denuncia e quant’altro possa riferirsi al

variegato mondo della Disabilità psichica ed all’Autismo in particolare.

Troveranno qui spazio anche lettere, commenti o riflessioni che ci pervenissero da

Insegnanti, Medici, Operatori del Servizio Sociale e da chiunque altro volesse scriverci.

RIFLESSIONI DI UNA MAMMA

di Sonia Zen

Alla nascita di un bambino, ogni mamma vive momenti di gioia e di tensione, sarà sano, sarà

un bel bambino?

Poi ti trovi in braccio il miracolo della vita e vivi una felicità che ti fa toccare il cielo.

Quando però il tuo bambino crescendo, si trasforma in un enigma e manifesta delle

regressioni nel suo comportamento, ti trovi sconcertata e vivi nell’inquietudine questa

metamorfosi del tuo bambino che ti sembrava così perfetto.

Arriva poi una diagnosi crudele, il mio bambino è affetto da autismo e non si svilupperà

come tutti gli altri.

Ti sembra di sprofondare in un baratro senza fine, e devi consumare un lutto per tutto ciò

che tuo figlio non potrà mai essere.

La vita con un bambino che ha una grave disabilità mentale è al limite della sopravvivenza in

quanto egli non ha la possibilità di capire cosa succede intorno a lui ed è preso da crisi di

comportamento e autolesionismi.

La quotidianità è duramente scossa, con un bambino che dorme poco, che di notte ti salta

nel letto saltando come un grillo, che ignora i tuoi stati d’animo ed è imperturbabile al tuo

pianto al tuo riso e alle tue manifestazioni d’affetto.

I rapporti sociali si incrinano, gli amici, chi per pudore, chi per ignoranza ti evitano.

La famiglia vive un isolamento forzato, sia dall’handicap, sia sociale.

C’è bisogno di una vigilanza continua, perché il bimbo non ha il senso del pericolo.

Attraverso la preghiera, ho trovato la forza di affrontare il dolore e unire la famiglia

nell’accettazione e nella speranza.

Chiedo a Dio di illuminare il mio cammino e di rafforzare il mio spirito.

Il mio bambino da qualche anno, segue un programma che lo aiuta a sviluppare la

comunicazione e a supportare le aree dove è maggiormente carente.

Questo duro lavoro lo sta aiutando a crescere meglio e a dare dignità alla sua esistenza e

alla nostra, iniziando a fargli capire i primi rudimenti delle emozioni e riempie tutta la famiglia

di gioia ad ogni suo più piccolo progresso.

La nostra vita è radicalmente cambiata attraverso l’esperienza di Andrea, ci ha rivoluzionato

la scala dei valori e tutto ciò che ci circonda; anche i momenti più banali assumono un sapore e

un valore irripetibile, la consapevolezza del dolore ci ha temprato a non dare troppa

importanza a cose che altrimenti minano l’esistenza, lasciando spazio non tanto a quello a cui

per forza maggiore dobbiamo rinunciare ma piuttosto a tutto quello che possiamo godere nel

piacere di trovarci una famiglia unita e serena.

Vivere in una comunità piccola ha sviluppato con la parrocchia e con altri paesani una

solidarietà che ci commuove e incoraggia nel nostro lavoro.

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Posso dire che nelle storie delle famiglie che incontriamo nel mondo dell’ handicap attraverso

la nostra Associazione di genitori, c’è tanto dolore , ma c’è anche la speranza che con il lavoro

di tanti genitori si riesca a dare un futuro migliore e un presente dignitoso a tante persone così

speciali.

La solidarietà e l’affetto da noi incontrati da tante persone che non sono coinvolte nel

problema ci offre una vita migliore e la certezza che si può costruire un avvenire diverso per i

nostri figli.

Se ci sono momenti bui penso che oltre le nubi c’è sempre il sole.

Ringrazio le persone che ci sostengono e pregano per noi.

Chiediamo a Dio di aiutarci in questo cammino di speranza, di conservarci in salute e

illuminarci il nostro cammino.

CONSIDERAZIONI SULL’AUTISMO …

di Tiziano Gabrielli

Nel Mese di Giugno, un bambino Autistico è scomparso nei boschi del Trentino.

Fatta salva l'intima solidarietà per la famiglia Ghirardini, per la mamma e il papà di

Sebastiano provati oltre misura e nella speranza che questo allarme si traduca in sollievo per

un bambino ritrovato sano e salvo... qualche considerazione mi sembra opportuna.

Purtroppo a tutt’oggi 30/07/01 del bimbo non ci sono tracce.( n.d.r.)

Il problema "autismo" è ancor oggi sottovalutato e questo a più livelli: familiare, sanitario,

istituzionale.

Questo particolare handicap cognitivo-relazionale così difficile da definire vista la complessità

e la variabilità dei sintomi con cui si può esprimere, continua ad essere agevolmente

considerato un semplice "ripiegamento in sé stessi", che appare superato appena il bambino

comincia a relazionarsi e ad interessarsi all'ambiente... un piccolo problema dunque, ma ben

altro significa “autismo”.

E' un vivere con speciali limitazioni e con grandi difficoltà nella comunicazione, nella

relazione con gli altri e le cose, condizionati da un notevole impaccio nell’adeguare i propri

comportamenti alle attese del sociale.

Questi bambini meravigliosi ma profondamente disabili, colpiti da una malattia neurologica

ancora sconosciuta, a causa della loro bellezza e del perfetto sviluppo somatico non rientrano

agevolmente nel canone culturale di malattia. La bellezza, il vigore fisico, ancor oggi si

accompagnano a concetti come salute, successo, benessere e in tale ottica si validano e si

diffondono per questi nostri figli autistici idee profondamente errate secondo cui da una parte

si presagisce per loro un sicuro quanto spontaneo recupero nel tempo, un lento e naturale

miglioramento, o per contro, vengono ridicolmente descritti come irrecuperabili, aggressivi o di

difficile gestione.

Tutto questo in entrambi i casi è falso.

Questa disinformazione, questa leggerezza culturale rispetto al problema si traduce sovente

in scarso intervento, discontinuità di pratiche, disomogeneità di approcci, disimpegno

rieducativo che si ammanta di ricette buone per delegare, di imposizioni procedurali, di forzosa

integrazione, senza che vengano rispettati e spesso conosciuti i prerequisiti essenziali affinchè

questi bambini, adolescenti e adulti possano commisurarsi correttamente con la famiglia, la

scuola, il lavoro e con i sanitari e gli operatori responsabili della loro terapia e recupero. Perché

esiste uno standard scientificamente conosciuto e condiviso di intervento terapeutico e di

corretta modalità di approccio con questi pazienti ed è vergognoso che ancor oggi se ne parli e

basta.

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Molti genitori hanno denunciato in più occasioni le carenze formative e strutturali degli

addetti a tale patologia. Molti di loro a causa di questo abbandono istituzionale e sanitario

hanno percorso strade eccessivamente personali nella gestione e recupero dei loro figli

ammalati e questo esclusivamente per mancanza di guide autorevoli e servizi di aiuto e

controllo efficaci.

Per la diffusa sensazione che gli autistici siano “quasi normali”, si abbandonano e si

dimenticano i più elementari principi di riabilitazione: la strutturazione del tempo, dello spazio

e delle modalità di vita e di relazione di questi pazienti. Questo modo di intendere l'autismo

non significa che il soggetto con questa sindrome debba subire chissà quali limitazioni, anzi è

imperativo un atteggiamento equilibrato, quasi naturale, nella strutturazione. Strutturare la

propria giornata è fenomeno comune; tutti noi abbiamo una agenda di impegni, decidiamo

anticipatamente cosa fare prima e dopo e questo ordine programmatico produce libertà e

sollievo e facilita i compiti a cui siamo chiamati. Una simile strategia dovrebbe essere attuata

nei processi riabilitativi ed educativi di portatori d’handicap cognitivo relazionale autistico,

previlegiando una codificazione e una armonizzazione delle attività e degli impegni quotidiani

pur tendendo alla autonomizzazione di questi pazienti o almeno ad una loro vita dignitosa.

Il vuoto istituzionale invece giustifica la ricerca personale di soluzioni e la responsabilità di

tali scelte può costringere un genitore ad abbracciare con ostinazione tecniche in realtà

dannose e limitanti (la Comunicazione Facilitata ad esempio è pressoché proibita nella maggior

parte degli stati d’America, mentre da noi non sembra esistere altra proposta…). Le corrette e

globali procedure riabilitative ed educative sono ben conosciute ma impegnative e faticose da

mettere in pratica e pertanto adottate da pochi. Inoltre non spetterebbe alle famiglie

conoscerle e praticarle ma ai medici perché questi interventi non hanno alcun senso senza

l’ausilio di sanitari e di operatori coinvolti ed interessati in una rete coordinata e continua di

interventi.

Tutto questo non esiste ancora e troppi genitori sono lasciati soli con la loro disperazione

mentre il mondo si accontenta di fornire parole, promesse e variegati contenitori di handicap.

E’ vero anche che troppi genitori, in grado di offrire esperienza o in posizioni di fattivo

intervento politico e sociale, certi del loro personale train terapeutico e privi di riferimenti

istituzionali si allontano dal confronto e dall’impegno comune mentre altri ancora si isolano

perché inascoltate voci nel deserto.

Quasi tutti i medici limitano il loro intervento alla diagnosi, se va bene… e troppi operatori

non sanno nulla o poco sull’handicap di cui è portatore il bambino o l’adolescente che a loro è

stato affidato dalle istituzioni. Il gioco delle parti è il trucco per no far nulla.

Fa riflettere la verbosità sproporzionata all’inconsistenza degli impegni che ogni giorno

vengono presi attraverso il video o sui quotidiani e mai onorati nonostante le disgrazie e il

silenzio straziante di un figlio con autismo scomparso nel nulla.

Tiziano Gabrielli

Genitori in Prima Linea Tel.0461706500

Via Fanny 1 Levico Terme 38056

Genitori in Prima Linea Onlus

Fondazione OUTAUTISM

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RIFLESSIONI SULL’AUTISMO

del Dott. Vito Colamaria, Neuropsichiatra Infantile

Vi invio alcune riflessioni del dr Vito Colamaria, specialista in Neuropsichiatria Infantile,

Neurologia, Pediatria e Neurochirurgia. Egli lavora a Verona, presso il 1° Servizio di

Neuropsichiatria e Psicologia dell'Età Evolutiva della U.L.S.S. n. 25 della Regione Veneto e mi

ha espressamente autorizzato ad inviarvi questo suo scritto affinché venga pubblicato. E'

autore di varie pubblicazioni.

"Come neuropsichiatra infantile penso che, anche per chiarezza nosografica, non si possa

negare che l'autismo sia malattia della psiche, anche se, a mio avviso, su base biologica; nelle

forme "idiopatiche" - che meglio sarebbe definire "criptogenetiche" cioè a genesi oscura -

ovvero non lesionali o sintomatiche di altra malattia, esiste una disfunzione cerebrale, per lo

più temporale e dell'emisfero dominante (cfr. il nucleo disfasico dell'autismo).

Nel 1995 organizzammo un convegno di neuro-immunologia all'interno del quale fu trattato

anche l'autismo; e ciò nella convinzione allora, ma ancor di più oggi, che questa patologia sia

immuno-mediata, addirittura autoimmune. La risposta immunitaria autoaggressiva

monterebbe in seguito ad infezioni croniche o ad esposizioni a vaccini, sulla base di una

predisposizione individuale, anche familiare, in analogia a quanto succede, ad esempio, nella

febbre reumatica (in risposta allo streptococco). A questa "regola" farebbero eccezione, nella

mia esperienza, solo due casi di intossicazione da fosfati.

I foci infettivi cronici più frequenti sarebbero a carico di orecchio-mastoide e di intestino-vie

biliari-pancreas. Con i primi sembrerebbero megio spiegabili anche alcune manifestazioni

cliniche (ex. iperacusia dolorosa) o alterazioni degli esami neurofisiologici; con i secondi

sarebbero più facilmente interpretabili i problemi gastrointestinali (cfr. Wakefield: autismo

post-trivalente con ileite), ma anche le intolleranze al latte (cfr. quanto sta emergendo a

proposito dei rapporti tra latte vaccino e diabete infantile, malattia autoimmune), così come al

glutine nella celiachia.

In ordine alla candidosi e con tutto il rispetto per chi sta appassionatamente studiando il

problema, penso che questa situazione abbia solo significato di "spia accesa", cioè utilmente ci

segnala la presenza di una disreattività del sistema immunitario; proprio per questo, cure volte

all'eliminazione della candida, come del latte e/o del glutine dalla dieta, potranno migliorare il

quadro clinico, ma non risolvere l'autismo.

Corollario di ciò è la perdita d'importanza del fattore biotina: nel 1989 pubblicammo ( cfr.

Biotin-Responsive Infantile Encephalopathy: EEG-Polygraphic Study of a Case, in Epilepsia,

30(5): 573-578, 1989) un caso di encefalopatia biotino-responsiva (e con deficit accertato di

biotinidasi) sottolineando il quadro simil-autistico della bimba; quindi se è vero che nel deficit

di biotina possono comparire autismo, pur raramente, e dermatosi da candida, non è vero il

contrario; in altri termini penso che siano stati invertiti la causa con l'effetto e viceversa.

La strada è quella di chiarire prima qual'è l'agente infettivo cronico responsabile dell'autismo

nel singolo caso e qual'è la sede del focus (cosa oggi effettuabile con metodiche che sono

ancora e purtroppo al di fuori della medicina ufficiale e pertanto osteggiate dai dirigenti delle

strutture pubbliche, ecc.); l'agente non è unico, non esiste cioè la "bestia dell'autismo", così

come non esiste quella della sclerosi multipla; ma, tutti gli agenti patogeni scoperti - batteri o

virus, protozoi e parassiti - hanno in comune cronicità e immunopatogenicità; e per questi ci

sono le terapie, convenzionali od omeopatiche. Dopo, il grosso ostacolo da superare per

arrivare alla guarigione dell'autismo è l'assenza di misure terapeutiche efficaci contro la

risposta autoimmune; questa, nei più piccoli (cfr. il lavoro di Gupta a proposito della

gammaglobuline) è principalmente anticorpale e quindi più facilmente contrastabile; ma

quando passano gli anni l'autoaggressione diviene cellulare e questa, in analogia ad altre

malattie autoimmuni, diabete per prima, è molto più difficile da domare.

I recenti, continui, tumultuosi progressi dell'immunologia lasciano ben sperare al riguardo."

F.to Dr Vito Colamaria

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AL MIO BAMBINO ANDREA

Quando sei nato eri come tutti gli altri bambini, la gioia piena di papà e mamma.

Poi qualcosa, forse una fata gelosa della nostra felicità ti ha imprigionato in un bozzolo. La

disperazione ha invaso i nostri cuori, un dolore forte e accecante.

Le nostre vite intrecciate alla tua, hanno dovuto violentemente cambiare, un buio profondo

ci ha disorientato.

Poi lentamente la svolta difficile è diventata parte di noi.

Tu non sei come noi, anche se hai tutto di noi. Il tuo modo di percepire la realtà è diverso e

anche se ci vedi, ci senti, ti muovi, l'ambiente circostante è per te incomprensibile. Sei

autistico.

Sapere quel che succede nel tuo mondo ci ha aiutato a capire i tuoi comportamenti bizzarri,

l'estrema vulnerabilità, la tua sofferenza e l'angoscia del tuo quotidiano. Noi sappiamo che tu

crescendo sarai diverso, il tuo handicap è cronico, non esiste a tutt'oggi rimedio farmacologico

né una chiara patogenesi, che spieghi dove e come il delicato equilibrio si sia incrinato.

Noi sappiamo che ti amiamo e tutto quello che possiamo fare per illuminare il tuo cammino è

aiutarti ad inserirti in questo mondo così strano e complicato per te. Stai lavorando duramente

con noi?, ma ogni giorno è una nuova conquista. I tuoi occhi, così intelligenti, si illuminano

sempre di più, lo sai che siamo ORGOGLIOSI di te Andrea, Hai cominciato a vivere una nuova

vita, e noi la viviamo con te, che ci sorprendi con la tua straordinarietà.

Sonia... una mamma innamorata della vita.

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SOMMARIO

I. INTRODUZIONE .......................................................................................................... 5

II. PREFAZIONE .............................................................................................................. 8

III. TEST PER DIAGNOSI PRECOCI ............................................................................. 9

1) Bambini autistici: come identificarli presto per aiutarli. ................................................... 9

2) Quali verifiche ...................................................................................................................... 10

Le tappe delle abilità .............................................................................................................. 10

3) Come si diagnostica l'Autismo ? ......................................................................................... 10

4) La valutazione dell'autismo................................................................................................. 12

ALCUNE COSE DA RICORDARE SULL'AUTISMO (del Dottor Goran Dzingalesivic) . 12

5) APPROCCIO EVOLUTIVO DELLA VALUTAZIONE ................................................ 16

Descrizione del PEP-R ........................................................................................................... 16

Caratteristica della popolazione presa in esame .................................................................... 17

PEP-R e test di intelligenza .................................................................................................... 18

Strategie educative destinate a genitori, educatori e insegnanti ............................................. 18

IV. CHE COS’È L’AUTISMO ........................................................................................ 20

6) CHE COS'È L'AUTISMO? ................................................................................................ 20

QUAL'È LA CAUSA DELL'AUTISMO? ............................................................................. 20

COME SI MANIFESTA L'AUTISMO? ............................................................................... 20

COME SI CURA L'AUTISMO? ........................................................................................... 21

7) I disturbi pervasivi dello sviluppo ...................................................................................... 21

8) Dopo la prima Diagnosi di Autismo, l’atteggiamento Positivo è importantissimo. ....... 34

9) Autismo e gravi disturbi mentali dell'età evolutiva .......................................................... 35

PREMESSA ........................................................................................................................... 35

IACAPAP - DICHIARAZIONE DI VENEZIA .................................................................... 36

DONALD J. COHEN, M.D. .................................................................................................. 38

10) SONO AFFETTO DA AUTISMO, ECCO CHE COSA CHE MI PIACEREBBE

DIRTI .................................................................................................................................... 38

11) LA FAMIGLIA .................................................................................................................... 40

12) PRINCIPALI FONTI DI STRESS PER LA FAMIGLIA DEL BAMBINO

AUTISTICO ......................................................................................................................... 40

1) Mancanza di interazione. ................................................................................................... 40

2) Problemi di comportamento. ............................................................................................. 40

3) Incomprensione sociale ..................................................................................................... 41

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4) Incertezza per il futuro. ...................................................................................................... 41

5) Fatica e impossibilità a svolgere una vita normale. ........................................................... 41

13) POSSIBILI INTERVENTI SULLA FAMIGLIA ............................................................. 43

14) FORME DI SUPPORTO ALLA FAMIGLIA................................................................... 43

1) Informazione. ..................................................................................................................... 43

2) Formazione e addestramento. ............................................................................................ 43

3) Pianificazione e assistenza ................................................................................................. 44

4) Coordinamento dei servizi ................................................................................................. 44

5) Aiuto sociale ed emotivo. .................................................................................................. 44

15) L'AUTISMO DAL DI DENTRO ........................................................................................ 45

Come ho imparato che cosa costituisse il mio "autismo" ...................................................... 45

Che cosa chiamiamo "autismo"? ............................................................................................ 48

L’autistico "strano" ................................................................................................................ 49

L’autistico "distaccato" .......................................................................................................... 49

L’autistico in situazione di evitamento .................................................................................. 50

Dagli stereotipi ai "fatti" ........................................................................................................ 50

Sindrome di Asperger?........................................................................................................... 54

Sindrome di Asperger contro Autismo .................................................................................. 55

Le somiglianze ....................................................................................................................... 55

Le differenze .......................................................................................................................... 55

16) AUTISMO QUEI PRIGIONIERI DI SE STESSI ............................................................ 58

Autismo: è legato alla carenza di un enzima? ........................................................................ 58

17) Cosa succede ai bambini autistici da grandi? .................................................................... 59

V. PATOLOGIE COLLEGATE ALL'AUTISMO .............................................................. 61

18) Ipotesi di protocollo medico ................................................................................................ 61

Autismo: proposta di protocollo medico ................................................................................ 61

Autismo: Condizioni Mediche Associate .............................................................................. 61

Autismo: le alterazioni volumetriche a carico delle strutture del sistema nervoso centrale .. 63

Autismo: le alterazioni biochimiche ...................................................................................... 64

19) Intolleranze chimiche, ipersensibilità e problemi vari ..................................................... 64

Intolleranze chimiche ............................................................................................................. 64

Problemi di tolleranza ............................................................................................................ 65

Ipersensibilità sensoriale ........................................................................................................ 65

Un guscio di noce ................................................................................................................... 68

Ipersensibilità sensoriali e problemi biochimici .................................................................... 69

Ipersensibilità sensoriali e strategie di gestione ..................................................................... 69

Problemi Uditivi ..................................................................................................................... 69

Problemi tattili........................................................................................................................ 70

Problemi Visivi ...................................................................................................................... 70

Ipersensibilità emotiva (e/o ansia da esposizione) ................................................................. 70

Risposta di difesa dell’emotività ............................................................................................ 71

Problemi "sé-l’altro" .............................................................................................................. 71

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Costruire la tolleranza ............................................................................................................ 72

20) Deficit di Biotinidasi............................................................................................................. 75

Conclusione ed aspetti pratici della nostra ricerca : ............................................................... 78

21) Candida Albicans ................................................................................................................. 79

22) Disturbi del sonno - Melatonina ......................................................................................... 88

MELATONINA: NESSUN EFFETTO COLLATERALE CONOSCIUTO ......................... 89

SPALANCARE LE PORTE AL SONNO ............................................................................. 89

Uso della melatonina nelle alterazioni del sonno nei bambini con danno cerebrale ............. 90

VI. TERAPIE FARMACOLOGICHE E PROGETTI DI RICERCHE .............................. 92

23) Trattamenti biochimici ........................................................................................................ 92

I ) Diete per la Candida .......................................................................................................... 92

2) Ammino—acidi ................................................................................................................. 93

3) Integratori (di vitamine e minerali) .................................................................................... 94

4) Complessi omeopatici ........................................................................................................ 95

5) Ipoglicemia ........................................................................................................................ 96

6) Trattamento con farmaci correlati agli ormoni .................................................................. 97

7) Diete prive di frumento, di latte, di zuccheri e di additivi ................................................. 98

8) Desensibilizzazione ........................................................................................................... 98

9) Cure con le erbe ................................................................................................................. 99

10) Psicoterapia ...................................................................................................................... 99

11) Musica, Arte e Movimento ............................................................................................ 100

VII. TERAPIE RIABILITATIVE E PROGETTI PER L'AUTISMO ................................ 102

24) L'INTERVENTO INTENSIVO E PRECOCE ABA NEI DISTURBI AUTISTICI ... 102

L'intervento "intensivo" ....................................................................................................... 102

L'intervento "precoce" .......................................................................................................... 102

L'insegnamento attraverso le prove distinte ("discrete trial teaching"/"DTT") ................... 103

Il funzionamento specifico dell'insegnamento DTT ............................................................ 104

FLUSSO DELL'APPRENDIMENTO: ................................................................................ 105

25) Se il Vostro bambino non parla……… ............................................................................ 106

( uso della Comunicazione per Immagini con l’utilizzo di Cartelli e Fotografie ) .............. 106

VIII. PATOLOGIE COLLEGATE ALL'AUTISMO ......................................................... 114

26) Perché l’autismo ? .............................................................................................................. 114

27) Perché un progetto globale di rete ? ................................................................................. 114

28) Le linee guida del progetto ................................................................................................ 115

Prima infanzia (0 – 6 anni) ................................................................................................... 116

Età della scolarizzazione ...................................................................................................... 116

Fascia giovani adulti ............................................................................................................ 116

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29) CONTENUTI PROGETTUALI ....................................................................................... 117

DALLA INDIVIDUAZIONE PRECOCE DELLA SINDROME ALLA DIAGNOSI. ...... 117

DALLA DIAGNOSI ALLA PRESA IN CARICO ............................................................. 117

30) QUALE PERCORSO ........................................................................................................ 118

SOGGETTI COINVOLTI ................................................................................................... 118

31) OBIETTIVI ........................................................................................................................ 119

32) 1ª fascia: 0 - 6 anni (età prescolare) .................................................................................. 120

IL PERSONALE .................................................................................................................. 120

QUALITA’ DELL’INTERVENTO ..................................................................................... 120

Valutazione delle abilità ....................................................................................................... 120

COMPOSIZIONE DEL PROGRAMMA ............................................................................ 121

PROGRAMMA D’INTERVENTO DOMICILIARE ......................................................... 121

La famiglia ........................................................................................................................... 121

Il Programma educativo individualizzato ............................................................................ 121

LA FORMAZIONE ............................................................................................................. 122

PROGRAMMA NELL’AMBITO SCOLASTICO ............................................................. 122

VERIFICA dei risultati del piano di trattamento riabilitativo ............................................. 123

STRUMENTI ....................................................................................................................... 123

SOGGETTI COINVOLTI ................................................................................................... 123

33) 2ª fascia: 6 – 16 anni (età scolare) ..................................................................................... 124

Valutazione .......................................................................................................................... 124

Programma d’intervento ...................................................................................................... 124

Programma riabilitativo presso il Centro di riferimento ...................................................... 124

Programma scolastico .......................................................................................................... 125

Controllo dei risultati del piano di trattamento riabilitativo ................................................ 125

STRUMENTI ....................................................................................................................... 125

SOGGETTI COINVOLTI ................................................................................................... 126

34) 3ª fascia: oltre 16 anni (adolescenti-adulti) ...................................................................... 127

Valutazione .......................................................................................................................... 127

Programma riabilitativo ....................................................................................................... 127

Controllo dei risultati ........................................................................................................... 128

Modello di inserimento lavorativo ....................................................................................... 128

LE CARATTERISTICHE DEI CENTRI DIURNI ............................................................. 129

FINALITA’ DEI CENTRI DIURNI .................................................................................... 130

Metodologia ......................................................................................................................... 130

LA REALIZZAZIONE DI COMUNITA’ ALLOGGIO ..................................................... 131

SPECIFICITA’ DELL’INTERVENTO E CONTENUTI INNOVATIVI ........................... 131

TARGET E CRITERI DI AMMISSIONE/DIMISSIONE .................................................. 132

TIPOLOGIA DEL PERSONALE ....................................................................................... 132

TRASPORTI ........................................................................................................................ 132

METODOLOGIA D’INTERVENTO E MODELLO ORGANIZZATIVO ........................ 132

STRUMENTI ....................................................................................................................... 132

SOGGETTI COINVOLTI ................................................................................................... 133

35) La comunicazione facilitata............................................................................................... 134

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COSA E’ LA COMUNICAZIONE FACILITATA ............................................................. 134

STRATEGIE INIZIALI ....................................................................................................... 135

PERCHE’ E’ NECESSARIO IL CONTATTO FISICO? .................................................... 136

COME SI ACCEDE IN ITALIA ALLA COMUNICAZIONE FACILITATA? ................ 136

BIBLIOGRAFIA ................................................................................................................. 137

36) FORMAZIONE DI PROFESSIONISTI E GENITORI NELL’AMBITO

DELL’AUTISMO .............................................................................................................. 138

Theo Peeters ......................................................................................................................... 138

1) AUTISMO IN MODO SPECIALE ..................................................................................... 138

LA TRIADE ......................................................................................................................... 139

2) UN PROBLEMA PERVASIVO DELLO SVILUPPO. Le persone affette da autismo hanno

bisogno di protezione per tutta la vita, a diversi livelli di aiuto. .......................................... 140

3. IL CONTENUTO DELL’ADDESTRAMENTO ................................................................ 141

4. TIPI DI ADDESTRAMENTO............................................................................................. 141

5. TIPI DI ADDESTRAMENTO............................................................................................. 144

6. GIOVANI STRAORDINARI RICHIEDONO PROFESSIONISTI STRAORDINARI. Il

profilo della persona addetta alla sorveglianza. Un primo tentativo. ................................... 144

37) Panoramica su Metodi di Trattamento ............................................................................ 146

Metodi di trattamento ........................................................................................................... 146

38) ANIMALI Dl TUTTO DI PIU’ ......................................................................................... 157

Pet Therapy .......................................................................................................................... 157

Delfinoterapia....................................................................................................................... 157

Ippoterapia o Riabilitazione Equestre .................................................................................. 157

39) Il Programma TEACCH ................................................................................................... 159

Che cos’è il programma TEACCH? .................................................................................... 159

Qual’è la finalità del programma TEACCH? ...................................................................... 159

Su quali presupposti si basa il programma TEACCH? ........................................................ 159

Su quali principi si basa il programma TEACCH? .............................................................. 160

STRATEGIE DI INTERVENTO ........................................................................................ 161

LA STRUTTURAZIONE .................................................................................................... 161

IL RINFORZO ..................................................................................................................... 163

L’AIUTO ............................................................................................................................. 163

LA GENERALIZZAZIONE DEL COMPITO .................................................................... 164

I PROBLEMI DI COMPORTAMENTO ............................................................................ 164

Perché le persone autistiche presentano problemi di comportamento? ............................... 165

Perché i problemi di comportamento sono così frequenti nelle persone autistiche? ........... 165

Come intervenire sui problemi di comportamento? ............................................................. 165

40) Approccio T.E.A.C.C.H ..................................................................................................... 167

IL PENSIERO NON VERBALE, LA COMUNICAZIONE, L’IMITAZIONE E LE

ABILITA’ DI GIOCO IN UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA ....................................... 167

IX. ESAMI DI LABORATORIO .................................................................................. 181

X. DIETA SENZA GLUTINE E CASEINA ..................................................................... 183

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41) SULFATAZIONE E AUTISMO ...................................................................................... 183

XI. SCUOLA E AUTISMO .......................................................................................... 186

42) Scuola e Alunno con Autismo ........................................................................................... 187

DIAGNOSI DI AUTISMO E PSICOSI INFANTILE (dati CSA 2001-2002) .................... 189

Integrazione .......................................................................................................................... 189

"Approccio positivo" ............................................................................................................ 190

Linee guida fondamentali per avviare l’integrazione dei bambini autistici. ........................ 191

Due o tre cose su cui non si può più transigere. ................................................................... 193

43) AUTISMO E SCUOLA ..................................................................................................... 194

44) Alla scuola materna si gettano le basi per l’autonomia e l’acquisizione di abilità:

l’inizio di un cammino di due bambini affetti da autismo ............................................. 194

45) INSERIMENTO SCOLASTICO: PROBLEMATICHE E POSSIBILITÀ

EDUCATIVE DEI SOGGETTI AUTISTICI.................................................................. 197

AUTISMO, SCUOLA E FORMAZIONE CONTINUA ..................................................... 197

PROBLEMI DA AFFRONTARE ....................................................................................... 197

LAVORO DI RETE: ............................................................................................................ 198

OBIETTIVI DEL LAVORO DI RETE: .............................................................................. 198

LUOGHI E TEMPI DI LAVORO: ...................................................................................... 198

MODALITÀ DI ATTUAZIONE ......................................................................................... 199

NEL LAVORO CON GLI AUTISTICI RICORDARE: ..................................................... 199

LA SCUOLA E L'AUTISMO - PRESUPPOSTI TEORICI ................................................ 199

FORMAZIONE DEGLI INSEGNANTI ............................................................................. 199

LA CREATIVITÀ ............................................................................................................... 201

LA SCUOLA NEI CONFRONTI DEGLI AUTISTICI ...................................................... 201

PREREQUISITI PER L'INSERIMENTO SCOLASTICO DEVONO ESSERE

RAGGIUNTI MEDIANTE L'INTERVENTO TERAPEUTICO ........................................ 202

INSERIMENTO SCOLASTICO: ........................................................................................ 202

OBIETTIVI: ......................................................................................................................... 203

46) Storia di scuola, integrazione e handicap......................................................................... 206

XII. ARTICOLI SCIENTIFICI SULL'AUTISMO ............................................................ 207

47) Nuove Scoperte Genetiche sull’Autismo .......................................................................... 207

48) Conoscere per curare ......................................................................................................... 208

Bibliografia .......................................................................................................................... 212

49) La Metodologia della Ricerca ........................................................................................... 212

50) Facilitazione e Disturbo Autistico:un ponte tra mente e corpo per accedere al gesto

intenzionale ......................................................................................................................... 215

1. Autismo e azioni complesse:Facilitazione spontanea ...................................................... 215

2. Autismo e scrittura: Facilitazione spontanea ................................................................... 216

3. Autismo e ipotesi interpretative ....................................................................................... 216

Page 286: CHE COS'È L'AUTISMO · L'incidenza dell'autismo è stimata da 2 a 10 casi ogni 10.000 persone. La maggior parte delle stime che includono disturbi analoghi è da 2 a 4 volte maggiore.

286

4. Autismo e Disprassia ....................................................................................................... 217

5. Nuove conoscenze e caduta dei pregiudizi sulle disabilità .............................................. 218

6. Nuovi approcci educativi e nuove tecnologie al servizio della Comunicazione .............. 218

7. La facilitazione come tecnica ........................................................................................... 219

8.L’effetto della facilitazione ............................................................................................... 219

9.Perplessità e pregiudizi rispetto alla Comunicazione Facilitata (C.F.) ............................. 220

10.Considerazioni conclusive: autismo come discinesia dell’intenzionalità socialmente

orientata ................................................................................................................................ 220

PRASSIA = GESTO INTENZIONALE Tav.I .................................................................... 221

PRASSIE ED EMOZIONI Tav. II ....................................................................................... 222

51) l Segreti dell’Autismo......................................................................................................... 223

LE RADICI GENETICHE DELL’AUTISMO .................................................................... 224

UNA DIVERSA TEORIA DELLA MENTE ...................................................................... 225

UNA FACCENDA DI MANCATE CONNESSIONI ......................................................... 227

52) Autismo: identificate anomalie strutturali del cervello .................................................. 229

Il LEGAME FRA IL VACCINO MRR E L’AUTISMO ORA É PIÙ CHIARO ................ 231

53) I microrganismi nel tratto intestinale............................................................................... 232

Batteri presenti nel tratto intestinale .................................................................................... 232

Sovracrescita dei lieviti nel tratto intestinale ....................................................................... 233

Prove dell’abnorme presenza di sottoprodotti batterici nell’autismo .................................. 234

54) AUTISMO INFANTILE. ATTUALI ORIENTAMENTI SUL TRATTAMENTO

MULTIDISCIPLINARE. - NOSTRE ESPERIENZE. ................................................... 235

Considerazioni conclusive ................................................................................................... 243

BIBLIOGRAFIA ................................................................................................................. 244

55) AUTISMO E FONIATRIA ............................................................................................... 248

56) Autismo dal punto di vista autistico ................................................................................. 250

57) ALTRA SCOPERTA GENETICA ITALIANA.............................................................. 252

58) Aggressività e comportamenti autolesionistici in persone affette da autismo .............. 256

Un approccio alternativo ai comportamenti aggressivi e autolesionistici ............................ 258

Deficit dell’autismo Comportamenti inadeguati .................................................................. 259

I genitori come aiuto terapisti .............................................................................................. 259

Insegnare abilità e modificare l’ambiente ............................................................................ 259

Interventi basati sull’insegnamento aumentativi .................................................................. 260

59) L’AUTISMO COME DISTURBO GENERALIZZATO DELLO SVILUPPO ........... 260

60) L' autismo ha basi genetiche, I genitori non hanno colpe .............................................. 261

61) Il legame tra vaccinazione MRR e autismo ..................................................................... 262

62) VITAMINA PP o B3 e AUTISMO ................................................................................... 263

63) La genetica dell’autismo .................................................................................................... 267

Page 287: CHE COS'È L'AUTISMO · L'incidenza dell'autismo è stimata da 2 a 10 casi ogni 10.000 persone. La maggior parte delle stime che includono disturbi analoghi è da 2 a 4 volte maggiore.

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Dichiarazione sulla Genetica dell’Autismo ......................................................................... 267

Dichiarazione di Modena: Genetica dell’Autismo ............................................................... 267

64) Novità Genetiche sulla Sindrome di Rett ......................................................................... 270

65) Gilbert Lelord ..................................................................................................................... 272

XIII. RIFLESSIONI SULL'AUTISMO ............................................................................ 274

Riflessioni di una Mamma ................................................................................................... 275

Considerazioni sull’Autismo …........................................................................................... 276

Riflessioni sull’Autismo ...................................................................................................... 278

Al mio bambino Andrea ....................................................................................................... 279


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