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In A. MARCONE – U. ROBERTO – I. TANTILLO (eds.), Tolleranza religiosa in età tardoantica:
IV-V secolo, Cassino, in preparazione -- versione preliminare del testo / penultimate draft
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Tolleranza religiosa e neoplatonismo politico tra III e IV secolo
Riccardo Chiaradonna
The present article focuses on “othodoxy” and political engagement in Neoplatonism from Plotinus to the Emperor Julian. Recent studies (in particular those by E. DePalma Digeser and P. Athanassiadi) convey the idea that Neoplatonic schools were something like scriptural circles completely centred on the question of orthodoxy. Debates and philosophical argumentation were secondary. Furthermore, this religious and “ideological” attitude was closely connected to the political engagement of some Neoplatonic philosophers. Yet such conclusions are unwarranted. The first section of this paper focuses on the school of Ammonius Saccas and seeks to refute DePalma Digeser’s hypothesis that a schism in the community of the Ammonians determined Porphyry’s engagement in the Great Persecution. The second section is devoted to Iamblichus’ immediate posterity. The debates during the 4th century disprove the hypothesis that the charismatic figure of Iamblichus succeeded in transforming Neoplatonism into a scriptural community based on exegetical practices (contra Athanassiadi). Moreover, the antithesis between intolerance and freedom of conscience is an inappropriate way of understanding the debates of that time. The last section focuses on the issue of “political Neoplatonism”. Whereas some Neoplatonic philosophers were interested in politics (this holds in particular for Iamblichus and his followers), this is not enough to vindicate the existence of a specific Neoplatonist current of political thought. The Emperor Julian certainly developed a highly interesting political theology, which incorporates Neoplatonic issues, but it is controversial whether this depends on his Neoplatonic background or should rather be seen as Julian’s original achievement.
1. Status quaestionis
Il titolo di questo contributo contiene formule al centro di vivace discussione. Per quanto
riguarda il concetto di tolleranza religiosa, si dibatte sulla possibilità di applicarlo alla
situazione tra III e IV secolo individuando in alcuni provvedimenti (in particolare il
cosiddetto “Editto di Milano”) o in alcuni autori (ad esempio Simmaco) una consapevole
espressione di questa categoria, paragonabile alle sue formulazioni di epoca moderna1. Il
dibattito si è esteso a categorie opposte e, in un certo senso, complementari come quella di
“intolleranza” o “pensiero unico”. Alcuni specialisti, segnatamente P. Athanassiadi, hanno
identificato nell’ascesa dell’intolleranza un fenomeno caratteristico dell’Impero tra III e IV
secolo, fenomeno che costituirebbe un vero punto di rottura rispetto alla precedente tradizione
classica e sarebbe associato a una svolta ideologica e culturale in senso teocratico2. Le scuole
neoplatoniche sarebbero pienamente implicate in questo sviluppo, attraverso l’uso di pratiche
1 A questo riguardo, si veda ZECCHINI 2011, che contesta con validi argomenti l’applicazione della categoria moderna di tolleranza al mondo romano. Per un’aggiornata discussione sintetica, cf. MARCONE 2013. 2 Si veda ATHANASSIADI 2006 e ATHANASSIADI 2010 (con la recensione critica di MORLET 2010).
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identitarie come l’adesione a una rivelazione espressa in libri sacri e la conseguente rigida
applicazione delle categorie di ortodossia ed esclusione (eresia). In un simile contesto, l’eresia
denota un conflitto interno alla comunità (un conflitto tra platonici oppure tra cristiani) e
oppone i detentori dell’insegnamento ortodosso rispetto agli eterodossi che vengono esclusi
dal gruppo.
D’altra parte, anche la categoria di “platonismo politico” (o, per meglio dire,
“neoplatonismo politico”) sta attualmente godendo di una certa fortuna, a seguito dei
pionieristici studi di D. O’Meara, il quale ha rivendicato la portata politica del pensiero
neoplatonico, fornendo un’accurata lettura di passi e opere finora trascurati oppure non letti
secondo questa prospettiva. L’interesse per la politica non sarebbe secondario, ma
rientrerebbe a pieno titolo tra i temi portanti del neoplatonismo. Anche se, come si vedrà in
seguito, alcuni aspetti della sua ricostruzione possono essere discussi, l’analisi di O’Meara
rimane imprescindibile ed è riuscita a mettere con forza in questione la tradizionale immagine
dei neoplatonici come filosofi disinteressati alla prassi, isolati dal contesto politico e rivolti
esclusivamente a speculazioni metafisiche e teologiche. Infine, alcuni specialisti hanno
cercato sintetizzare, in qualche modo, queste acquisizioni identificando nelle scuole
neoplatoniche, e nei loro dibattiti interni focalizzati sulla questione dell’ortodossia, un
elemento chiave per comprendere i fatti politici tra III e IV secolo, particolarmente la Grande
Persecuzione di Diocleziano3.
Rispetto a queste analisi il presente contributo ha uno scopo molto più circoscritto e
intende soffermarsi su alcuni aspetti del dibattito nelle scuole neoplatoniche tra Plotino e
Giuliano imperatore. Si cercherà di mostrare che il neoplatonismo è un movimento più
sfaccettato di quanto talora non si ammetta ed è piuttosto difficile usare etichette generali in
rapporto ad autori spesso profondamente diversi. Inoltre, un’analisi dei dibattiti filosofici tra
Plotino e Giuliano non giustifica l’applicazione univoca delle categorie appena ricordate e,
soprattutto, non induce a concepire le scuole neoplatoniche come circoli di tipo
fondamentalmente ideologico e identitario che si auto-definivano a partire da principi
enunciati in libri sacri. Questo non esclude, naturalmente, che simili aspetti fossero presenti e
che i neoplatonici avessero parte attiva nelle vicende politiche dell’epoca: ad esempio, è
certamente possibile, anche se non può essere provato con certezza, che il Contra christianos
di Porfirio abbia fornito la «giustificazione teorica» alla Grande Persecuzione di Diocleziano4.
3 Si veda DE PALMA DIGESER 2012. 4 Così T.D. BARNES 1994, p. 53. Il dibattito sul ruolo di Porfirio nella Grande Persecuzione è particolarmente ricco e tutt’ora in evoluzione. Un bilancio delle ricerche si può trovare in ZAMBON 2012 e, sul Contra
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Aver messo in luce questi aspetti è senza dubbio un importante contributo delle ricerche
recenti. Ciò che non può essere provato, ed è anzi smentito dai dati in nostro possesso, è che
le scuole neoplatoniche fossero dei circoli di tipo esclusivamente ideologico-religioso, chiusi
e con rigidi requisiti di affiliazione identitaria.
2. Insegnamento filosofico e comunità scritturale: gli “ammoniani”
Nel descrivere la figura del filosofo in epoca tardoantica, si osserva spesso che non si trattava
di un semplice intellettuale, ma di una figura carismatica che aveva per i suoi allievi la
funzione di una vera e propria guida spirituale. Il filosofo incarnava un modo di vivere. Ad
esempio A. Grafton e M. Williams osservano, a proposito della figura del filosofo all’epoca di
Origene: «In età imperiale il filosofo era una creatura composita, una commistione complessa
e singolare tra un sofista itinerante e un guru illuminato»5. Questa terminologia ricorre in altre
analisi recenti. Ad esempio, Athanassiadi vede nei neoplatonici veri e propri adepti di una
religione del libro, membri di una comunità scritturale volta a formare una regola di fede:
Pleinement intégrés dans leur société, les gourous du platonisme se livrent à un combat quotidien pour la
formation d’une règle de foi fondée sur la lecture et l’interprétation guidée d’un ensemble de textes à l’usage de
la communauté scripturaire qui se réclame de Platon6.
Probabilmente la formula più efficace per sintetizzare questo tipo di personalità carismatica e
guida spirituale è quella, introdotta da G. Fowden e divenuta di uso piuttosto diffuso, di
«pagan holy man»7.
Nel delineare il ruolo dei circoli neoplatonici nella politica, si assume questa
immagine del filosofo per trarne le conseguenze sul modo in cui era strutturata la vita
christianos, si veda l’eccellente raccolta di studi in MORLET 2011. Tra i contributi più recenti, cf. SPERANDIO 2013, che rivendica, con argomenti interessanti e ricca documentazione, il ruolo dei circoli neoplatonici nella politica anti-manichea e anti-cristiana di Diocleziano. Scettico sul ruolo di Porfirio nella Grande Persecuzione è, invece, JOHNSON 2013, p. 21-24. Per quanto riguarda il presente studio, la questione può restare aperta. Qui non si intende affatto negare la presenza di elementi di polemica ideologico-religiosa nei circoli neoplatonici, né si vuole escludere la possibilità di un intervento diretto dei neoplatonici nelle vicende politiche dell’epoca. Si intende contestare, invece, che questi aspetti esauriscano il dibattito interno alle scuole neoplatoniche e che vi sia una connessione diretta tra le discussioni interne alle scuole e l’intervento nelle vicende politiche. Infine, si cercherà di mostrare che la polarità tra intolleranza e libertà di coscienza si presta male a caratterizzare le posizioni degli autori considerati e rischia di introdurre semplificazione fuorvianti. 5 GRAFTON – WILLIAMS 2011, p. 32. Sullo statuto sociale del filosofo in epoca tardoantica, cf. DILLON 2004; GOULET in stampa1. 6 ATHANASSIADI 2006, p. 22. 7 Cf. FOWDEN 1982.
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all’interno delle scuole. L’esempio forse più vistoso di questa linea storiografica, che sarà qui
sottoposto a discussione, è costituito dalle ricerche di E. DePalma Digeser, secondo la quale
l’intervento di Porfirio nella genesi della Grande Persecuzione sarebbe dipeso dalla frattura
(“scisma”) che si era stabilita all’interno della comunità degli “ammoniani” (ossia di filosofi a
vario titolo collegati all’insegnamento di Ammonio Sacca). Questa frattura si creò da un lato a
causa della controversia tra Porfirio e Giamblico sui riti teurgici e, dall’altro, a causa della
controversia tra Porfirio e gli origenisti sul valore del cristianesimo come via di salvezza8.
Così argomenta la studiosa:
The controversy between Porphyry and Iamblichus, on the one hand, and Porphyry and the Origenists, on the
other, might also have remained within the ivory tower had it not been for the significant role that the members
of this community attributed to its leadership. For this reason, the controversy over whether there was a universal
path to salvation was also a quarrel over which subgroup could rightly assert that it retained the legacy of the
truest philosophy9.
Da questa situazione sarebbe derivata una decisa spinta verso l’ortodossia che avrebbe indotto
Porfirio a intervenire pubblicamente contro i due tipi di universalismo che minacciavano
l’unità della comunità ammoniana: da una parte la via universale verso il divino attraverso i
rituali teurgici sostenuta da Giambico, dall’altra il cristianesimo.
Una prima precisazione riguarda l’uso del materiale biografico relativo ai
neoplatonici. Possediamo, in effetti, molte notizie sui maestri neoplatonici, che provengono
da alcuni ben noti scritti biografici: la Vita di Plotino scritta da Porfirio, le Vite dei filosofi e
dei sofisti di Eunapio (allievo di Crisanzio di Sardi, lui stesso allievo di Edesio che era stato
tra i principali allievi di Giamblico), l’elogio funebre di Proclo scritto da Marino di Neapoli
(Proclo o sulla felicità) e i frammenti della Vita di Isidoro di Damascio10. Ciascuno di questi
scritti risponde a precise convenzioni letterarie e deve essere considerato con una certa
cautela. Ad esempio, si è osservato che le descrizioni biografiche in Marino e Damascio sono
profondamente influenzate dalla dottrina neoplatonica dei gradi di virtù, che gli autori cercano
di ritrovare nelle vite dei filosofi11. Quanto alla Vita di Plotino, i problemi che essa pone sono
8 Una presentazione del dibattito tra Porfirio e Giamblico sulla teurgia si trova in KNIPE 2012. 9 DEPALMA DIGESER 2012, p. 9. 10 Le edizioni di riferimento sono Plotini opera, I, Porphyrii Vita Plotini. Enneades I-III, ed. P. HENRY – H.-R. SCHWYZER, Oxford 1964 (nei riferimenti si segue questa edizione); BRISSON et al. 1982; BRISSON et al. 1992; Eunapii Vitae Sophistarum, ed. G. Giangrande, Roma 1956 (una nuova edizione commentata è in preparazione: cf. GOULET in stampa2); SAFFREY – SEGONDS 2001; Damascii Vitae Isidori Reliquiae, ed. C. Zintzen, Hildesheim 1967; ATHANASSIADI 1999. 11 Cf. SAFFREY – SEGONDS 2001, pp. XCVIII-C; O’MEARA 2006.
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ancora più forti. Certamente Porfirio mirava a presentare Plotino come una figura di filosofo
ideale e, allo stesso tempo, intendeva accreditare il proprio ruolo di allievo prediletto e
detentore dell’autentico insegnamento plotiniano fondato sull’ascesi filosofica. A queste
considerazioni generali si associano altri aspetti problematici che riguardano quasi ogni
dettaglio biografico riportato da Porfirio12. Infine, i ritratti di sapienti pagani forniti da
Eunapio, tanto ricchi di episodi straordinari e prodigiosi quanto poveri (o privi) di dettagli
sulle loro opere filosofiche e sulle loro dottrine, rispecchiano bene la personalità dell’autore e
l’intento agiografico delle Vite13. Nei pochi casi in cui i dettagli forniti da Eunapio possono
essere messi a confronto con le opere delle personalità che egli descrive (soprattutto nel caso
di Porfirio e di Giamblico), i limiti delle sue biografie emergono chiaramente14. Ciò non
significa affatto, com’è evidente, che le biografie dei neoplatonici siano prive di valore:
tutt’altro. Bisogna però essere ben consapevoli dei molteplici problemi che esse pongono,
vagliarle con senso critico e leggerle insieme alle opere dei filosofi le cui vite sono narrate,
almeno quando siamo nella fortunata condizione di poterlo fare.
Il caso, prima richiamato, di Ammonio e della sua scuola è particolarmente
significativo. Rispetto a tentativi tanto ingegnosi quanto piuttosto fantasiosi di ricostruirne
l’insegnamento, è bene ricordare che i dettagli in nostro possesso sulla scuola di Ammonio
Sacca sono scarsissimi. Essi provengono dalla Vita di Plotino (v. Plot. 3, 10-35; 14, 14-16;
20, 36-38)15 e da alcuni passi dello scritto del neoplatonico Ierocle di Alessandria Sulla
12 Per un esame approfondito cf. BRISSON et al. 1982; BRISSON et al. 1992. Utile anche EDWARDS 2000. 13 Come osserva GOULET in stampa2: «Eunape se présente moins comme un historien se tournant vers un passé lointain que comme un témoin soucieux de léguer à la postérité un idéal menacé et de susciter de l’admiration pour les ancêtres qui ont jusqu’à présent incarné cet idéal». Si vedano anche le osservazioni in CIVILETTI 2007, pp. 24-25. 14 Sulla vita di Giamblico, cf. Eunap. v. soph. 5, 1-4, p. 10, 17-17, 7 Giangrande con la discussione in SAFFREY –
SEGONDS (†) 2013, pp. XXXIII-XL. Sulle Vite di Eunapio vi è un’abbondante letteratura. Si vedano, almeno, PENELLA 1990; DI BRANCO 2006, pp. 29-48; GOULET 2001, pp. 303-386; GOULET 2012b. Una traduzione italiana con ampio commento è fornita da CIVILETTI 2007. 15 L’ultimo passo è compreso nella prefazione dello scritto di Longino Περὶ τέλους, riportata da Porfirio in v. Plot. 20. Longino fa menzione di Ammonio e Origene classificandoli come platonici e specificando di aver studiato presso di loro per lungo tempo. Poco sotto, Longino fa menzione di un Ammonio peripatetico (v. Plot. 20, 49-51), Le due personalità sono distinte da EDWARDS 1993, secondo il quale sarebbe stato quest’ultimo, non Ammonio Sacca, l’Ammonio maestro di Origene cristiano menzionato da Porfirio apud Eus. hist. eccl. 6, 19, 2-9 (= Porph., C. christ., fr. 39 von Harnack). La testimonianza di Eusebio è dibattutissima e uno status quaestionis delle numerose interpretazioni sostenute si può trovare in ZAMBON 2011. Indipendentemente da questo problema, è del tutto falso affermare, come fa DEPALMA DIGESER 2012, p. 30, che «Longinus does discuss Ammonius first as a Platonist and then as an Aristotelian, yet no one but Edwards has ever disinguished Ammonius on that account». In realtà, la distinzione tra i due filosofi di nome Ammonio nominati da Longino è corrente: cf. BRISSON 1982, pp. 70-71 e BRISSON 1989. Un peripatetico di nome Ammonio, forse lo stesso nominato da Longino, è d’altronde menzionato da Filostrato nella vita di Ippodromo (v. soph. 2, 27). Come in altri casi, DePalma Digeser tende a semplificare molto i dati della tradizione in funzione delle proprie ipotesi, senza tenere gran conto del dibattito critico. Ciò è evidente in rapporto alla questione dei due Origene, piuttosto sbrigativamente risolta a favore dell’esistenza di un solo autore di questo nome, ossia il Padre cristiano che sarebbe stato allievo di Ammonio Sacca insieme a Plotino (si veda ad esempio DEPALMA DIGESER 2012, p. 28).
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provvidenza riportati nella Biblioteca di Fozio (bibl., cod. 214, col. 172a 2-9 = T. 12
Schwyzer; ivi, col. 173a 18-21 = T. 13 Schwyzer; ivi, col. 173a 32-40 = T. 14 Schwyzer; ivi,
cod. 251, col. 461a 24-39 = T. 15 Schwyzer)16. In v. Plot. 3, 28 Porfirio fa riferimento alle
«dottrine» di Ammonio (τὰ παρὰ τοῦ Ἀμμωνίου δόγματα), i cui allievi (Erennio, Origene
e Plotino) avevano stabilito con un accordo di non divulgare. Purtroppo nulla, nella Vita di
Plotino, viene detto su questo insegnamento17. Inoltre, Porfirio specifica che nelle lezioni
Plotino non si limitava a interpretare la lettera dei testi commentati (ἐλέγετο δὲ ἐκ τούτων
οὐδὲν καθάπαξ), ma infondeva nelle ricerche un carattere profondo e originale, che Porfirio
«il νοῦς di Ammonio» (v. Plot. 14, 14-16)18. La formula sembra alludere a un metodo di
insegnamento ed è molto difficile leggervi il riferimento a precisi contenuti dottrinali. È
inoltre significativo che, nel resoconto offerto da Porfirio, Plotino si opponesse su questo
punto a un altro allievo di Ammonio, ossia Longino, il quale agli occhi di Plotino era un
filologo, non un filosofo (v. Plot. 14, 19-20)19.
Un aspetto importante nella ricostruzione di DePalma Digeser riguarda la posizione di
Ammonio rispetto ad Aristotele. Ierocle riferisce che Ammonio pose fine al conflitto tra le
scuole filosofiche, purificò la filosofia di Platone e ne mostrò l’armonia con Aristotele
riguardo alle dottrine essenziali e più necessarie. È un dettaglio cruciale perché mostrerebbe i
caratteri salienti dell’insegnamento trasmesso da Ammonio alla sua comunità. Si tratterebbe
di un cammino verso la purificazione riservato a pochi e fondato sull’esegesi dei testi
fondativi della tradizione, dei quali Ammonio intendeva mostrare la reciproca armonia. Sulla
base di Ierocle, DePalma Digeser parla a questo riguardo di «philosophy without conflicts»20.
A tal proposito cf. le giuste osservazioni critiche di T.D. BARNES 2013. Sulla questione dei due Origene, cf. la recente messa a punto in ZAMBON 2011. 16 Discussione in SCHWYZER 1983, pp. 39-45; SCHROEDER 1987; SCHIBLI 2002, pp. 3-5, 21-31; KARAMANOLIS 2006, pp. 192-195. 17 Sul voto del silenzio degli allievi di Ammonio, le discussioni di riferimento sono O’BRIEN 1992, GOULET 1992, O’BRIEN 1994. Status quaestionis in D’ANCONA 2012, pp. 978-982. 18 Su questa formula, cf. Cf. PÉPIN 1992, pp. 498-501; KARAMANOLIS 2006, p. 200; GOULET-CAZÉ 1982, pp. 262-270. Per ulteriori riferimenti, cf. CHIARADONNA 2010. 19 Nella prefazione del suo scritto Περὶ τέλους Longino dichiara di essere stato allievo di Ammonio e Origene (cf. supra n. 15). Si è supposto che la testimonianza indichi l’esistenza di due circoli nella scuola di Ammonio: uno vicino al maestro e uno più ampio ed esterno, al quale apparteneva Longino, a cui sarebbe stato impartito un insegnamento meno approfondito. Ciò sarebbe suggerito anche dal verbo προσεφοιτήσαμεν, usato da Longino in v. Plot. 20, 37, verbo che indicherebbe una frequentazione informale. Così Watts 2006, pp. 156-157. La questione è comunque destinata a rimanere aperta, anche tenendo conto dell’incertezza sussistente sull’insegnamento di Ammonio. I legami tra Ammonio e il pitagorismo, più volti inferiti dagli specialisti soprattutto in base al patto del silenzio dei suoi allievi, non sono attestati dalle fonti: si veda SCHWYZER 1983, pp. 90-93. 20 Cf. DEPALMA DIGESER 2012, p. 17. Il luogo di riferimento è apud Phot. bibl., cod. 251, col. 461a 32-38: Οὗτος γὰρ πρῶτος ἐνθουσιάσας πρὸς τὸ τῆς φιλοσοφίας ἀληθινόν, καὶ τὰς τῶν πολλῶν δόξας ὑπεριδὼν τὰς ὄνειδος φιλοσοφίᾳ προστριβομένας, εἶδε καλῶς τὰ ἑκατέρου καὶ συνήγαγεν εἰς ἕνα καὶ τὸν αὐτὸν νοῦν, καὶ ἀστασίαστον τὴν φιλοσοφίαν παραδέδωκε πᾶσι τοῖς αὐτοῦ γνωρίμοις κτλ.
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Tutti i discepoli di Ammonio avrebbero condiviso il suo insegnamento fino allo scisma
causato dalla controversia tra Porfirio e Giamblico sui rituali teurgici.
Vi sono in queste conclusioni alcuni aspetti poco persuasivi. In effetti, DePalma
Digeser attribuisce ad Ammonio l’intero contenuto delle sezioni desunte da Ierocle e ritiene,
di conseguenza, che l’insegnamento di Ammonio avesse un carattere rivoluzionario, fondato
sull’attenta interpretazione dei testi con un intento concordistico, che esercitò un impatto
profondo sui suoi successori. Così facendo, Ammonio instaurò una filosofia fondata
sull’armonia di Platone e di Aristotele, purificando le tradizioni precedenti delle due scuole
dagli elementi di conflitto. Inoltre, egli avrebbe adottato innovativi metodi esegetici:
Hierocles’ testimony is unambiguous: Ammonius was the first, since the successors of Plato and Aristotle, to
believe not just that the doctrines of the two classical philosophers agreed in their “essential points”, but also that
their writings ought to be edited (and so freed of “corruption”) in such a way as to harmonize their apparent
conflicts21.
Anche ammesso che la testimonianza di Ierocle su Ammonio, conservata da Fozio, sia
fededegna, vi è un punto in cui questa ricostruzione appare criticabile22. Nel resoconto di
Fozio, bisogna riferire a Ierocle, non ad Ammonio, le considerazioni contenute in cod. 251,
col. 461a 24-30 e cod. 214, col. 173a 21-31, dove si lamenta la corruzione degli scritti di
Platone e di Aristotele per opera dei discepoli che volevano sottolinearne il reciproco
disaccordo. Ad Ammonio Ierocle non attribuisce nessun lavoro di tipo testuale, ma solo la tesi
per cui le dottrine dei due filosofi classici si accordano nelle loro dottrine essenziali23.
D’altra parte, nella «stirpe divina» (cod. 214, col. 173a 36-37: ὅσοι τῆς ἱερᾶς […]
γενεᾶς ἔτυχον φύντες) iniziata da Ammonio, Ierocle non include solo Plotino, Origene,
Porfirio e Giamblico (i portagonisti nella ricostruzione di DePalma Digeser sulle vicende
della comunità ammoniana), ma anche il suo maestro Plutarco di Atene, vissuto un secolo
dopo Giamblico e fondatore della Scuola platonica di Atene. Dalla lista è invece escluso
Longino, ossia un platonico membro della cerchia di Ammonio Sacca. In realtà, più che una
testimonianza sulla storia della comunità di tipo scritturale fondata da Ammonio, Ierocle
illustra con una genealogia quella che ai suoi occhi è l’autentica tradizione filosofica. Si tratta
21 DEPALMA DIGESER 2012, p. 36. 22 Sul carattere della testimonianza di Ierocle e le sue fonti, le discussioni recenti di riferimento sono SCHIBLI 2002, p. 28 e DÖRRIE (†) – BALTES 1993, pp. 248-250. Come ipotizzato da DÖRRIE 1955, probabile fonte di Ierocle sarebbe lo scritto di Porfirio Περὶ τοῦ μίαν εἶναι τὴν Πλάτωνος καὶ Ἀριστοτέλους αἵρεσιν in 7 libri (cf. Suda, s.v. “Porphyrius”, p. 178, 21 Adler). Ulteriori indicazioni in KARAMANOLIS 2006, p. 195 n. 9. 23 Cf. SCHWYZER 1983, pp. 44-45. Commento in SCHIBLI 2002, pp. 27-30.
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di una pratica molto diffusa tra gli autori di epoca ellenistica e tardoantica, il cui esempio
neoplatonico più famoso è la lista di maestri divinamente ispirati che si trova in apertura della
Teologia platonica di Proclo e include Plotino, Amelio, Porfirio, Giamblico e Teodoro (theol.
plat. 1, 1, p. 6, 19-23 Saffrey – Westerink)24. La genealogia di Ierocle, insomma, fornisce
informazioni interessanti sulla sua affiliazione filosofica e sulle autorità a cui pretendeva di
ispirarsi, ma non può essere usata per provare l’esistenza di una comunità ammoniana che
sarebbe durata per più generazioni di filosofi, fino allo scisma tra Porfirio e Giamblico.
Può apparire ridondante distinguere tra la tesi concordistica sulle dottrine di Platone e
di Aristotele e il lavoro esegetico sui loro testi, giacché i due aspetti sembrano implicarsi
reciprocamente. In realtà, le cose non stanno così. Nel platonismo del II secolo d.C. era
certamente stato vivace il dibattito sull’armonia di Platone e di Aristotele, che aveva opposto
platonici favorevoli ad assimilare dottrine aristoteliche ad altri (come Attico) che criticavano
in modo acceso quella posizione conciliatoria25. Inoltre, si può plausibilmente datare al I
secolo d.C. il perduto Sulla filosofia in 10 libri dell’aristotelico Aristocle di Messene,
un’opera legata al dibattito tra le scuole ellenistiche nella quale certamente Platone era
presentato in modo favorevole e si sottolineava il suo accordo con Aristotele26.
Verisimilmente, Ammonio Sacca prese posizione rispetto a questa controversia, difendendo
l’armonia tra le dottrine di Platone e di Aristotele. Per quanto possiamo ricostruire, però, tutto
questo dibattito non era legato allo studio e all’esegesi dei trattati aristotelici. Fatte salve
alcune eccezioni, sembra invece che i platonici prima di Plotino, anche quando si riferivano
ad Aristotele, avessero una conoscenza dei trattati modesta e non fossero impegnati nel lavoro
di esegesi e commento, lavoro che era invece per lo più riservato ai commentatori peripatetici
i quali, tuttavia, a loro volta non sembra nutrissero grande interesse per la controversia
sull’armonia tra le dottrine di Platone e di Aristotele. L’aristotelico Aristocle di Messene non
fa eccezione: egli non era un commentatore, ma il rappresentante di un aristotelismo piuttosto
divulgativo fondato, probabilmente, sugli scritti essoterici e nel quale lo studio dei trattati non
aveva una posizione rilevante27. In breve, a leggere bene la testimonianza di Fozio non sembra
che Ammonio avesse stabilito una comunità scritturale basata sullo studio di testi normativi e
volta ad armonizzare le tradizioni filosofiche elleniche. Tutto quel che possiamo affermare è
che Ammonio prese posizione sulla controversia relativa all’armonia tra le dottrine di Platone 24 Si veda a tal proposito quanto osserva GOULET in stampa1: «les philosophes de la fin de l’antiquité aimaient employer le langage de la succession qui légitimait leur statut de philosophe et authentifiait l’orthodoxie de leur enseignement». Sul passo di Ierocle cf. SCHIBLI 2002, p. 31. 25 La ricostruzione più dettagliata si trova in KARAMANOLIS 2006. 26 Per ulteriori dettagli, rinvio ancora a KARAMANOLIS 2006, pp. 37-42. 27 Sintetizzo qui ciò che cerco di dimostrare nel dettaglio in CHIARADONNA 2011.
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e di Aristotele, mostrando il loro accordo reciproco. In effetti, tra i componenti del circolo di
Ammonio l’unico che certamente ebbe una dettagliata conoscenza dei trattati di Aristotele fu
Plotino; tuttavia, Plotino non fu affatto l’esponente di una “filosofia senza conflitti” come
quella che Ierocle ascrive ad Ammonio. In Plotino la conoscenza approfondita di Aristotele si
associa infatti a una posizione critica, che emerge soprattutto nei trattati 6, 1-3[42-44] Sui
generi dell’essere e nel trattato 3, 7[45] Sull’eternità e il tempo28. Purtroppo, non abbiamo
elementi a sufficienza per stabilire se proprio l’atteggiamento verso Aristotele fu un elemento
di rottura tra Plotino e gli altri allievi di Ammonio29. In effetti, malgrado tutti gli ingegnosi
tentativi proposti dagli specialisti, le notizie sono così scarse da impedire ogni conclusione
sicura: noi semplicemente non conosciamo in che cosa consistesse l’insegnamento di
Ammonio Sacca (se, ad esempio, avesse già formulato la teoria dell’Uno superiore all’essere,
oppure la dottrina per cui la materia è generata da principi intelligibili). Per quel poco che
sappiamo, è impossibile ritrovare una comune matrice ammoniana nelle dottrine dei suoi
discepoli30. Le scarne allusioni contenute nella Vita di Plotino bastano comunque a suggerire
l’esistenza di tensioni sia tra Plotino e Longino (v. Plot. 14, 19-20; 20, 71-76), sia tra Plotino
e Origene platonico (cf. v. Plot. 14, 20-25)31. In breve: la comunità degli ammoniani, se mai
esistette, ebbe una vita assai complicata ben prima della disputa tra Porfirio e Giamblico.
Ci si è soffermati brevemente sulle vicende della scuola di Ammonio perché il loro
esame mostra bene tutte le forzature e le inesattezze delle interpretazioni che presentano le
scuole neoplatoniche come circoli fondati sull’esegesi scritturale. Certamente simili aspetti
erano presenti e giustamente gli interpreti sottolineano il carattere esegetico del pensiero
tardoantico. È però infondato ritenere che questo ne sia stato l’unico punto caratterizzante ed
è poco corretto ritenere che l’affiliazione esegetica mettesse in secondo piano, o addirittura
rimuovesse, il dibattito di scuola, il confronto delle posizioni dottrinali e l’argomentazione
filosofica32. Se, ad esempio, consideriamo Plotino, possiamo notare che l’esegesi non si
sostituisce mai all’argomentazione e, se mai, è piuttosto l’argomentazione che stabilisce le
28 A loro volta, Porfirio e Giamblico svilupparono letture di Aristotele diverse da quella di Plotino. Per una discussione sintetica, cf. CHIARADONNA 2012. 29 Un flebile indizio a favore di questa ipotesi potrebbe venire dalla testimonianza su Origene platonico di Procl. theol. plat. 2, 4, p. 31, 21 Saffrey – Westerink, dove si suggerisce che Origene avrebbe ceduto alle «innovazioni peripatetiche» identificando l’Intelletto con il primo principio. 30 Si vedano le giuste considerazioni in D’ANCONA 2012, p. 977. 31 Su questi passi particolarmente controversi mi limito a inviare a BONAZZI 1999, MENN 2001 (su Plotino e Longino); O’BRIEN 1994 (su Plotino e Origene). 32 È opportuno confrontare, a questo proposito, l’interessante analisi di VAN NUFFELEN 2014, il quale dimostra come sia errato il pregiudizio che individua nella vita religiosa della tarda antichità un irreversibile declino della disputa argomentativa, sostituita da un’uniformità di pensiero imposta per via autoritaria. Il presente contributo si propone di ricostruire, sul versante filosofico pagano, un quadro comparabile a quello che Van Nuffelen traccia sul versante cristiano.
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linee entro cui si sviluppa l’esegesi dei testi normativi. Il carattere proprio dell’esegesi
plotiniana emerge bene in un celebre passo programmatico posto all’inizio del trattato 3,
7[45] Sull’eternità e il tempo:
Certo, è da credere che qualcuno degli antichi e beati filosofi abbia trovato il vero; ma chi tra loro vi sia riuscito nel modo più completo, e come potremmo acquisire per noi stessi una comprensione (σύνεσις) di queste cose, merita di essere investigato33
Certamente Plotino dichiara che le sue dottrine già si ritrovano nei filosofi antichi e,
soprattutto, in Platone (cf. 4, 8[6], 1, 23-26; 2, 1-3; 5, 1[10], 8, 10-14). L’esegesi, però,
impone una selezione sulle dottrine degli antichi. In primo luogo, se è vero che gli antichi
hanno trovato la verità, è però altrettanto vero che spetta al filosofo comprendere quali tra di
loro l’hanno attinta al massimo grado. In secondo luogo, la ricerca del filosofo non è la mera
ripetizione di una verità già trovata da altri: Plotino dichiara esplicitamente che, attraverso
l’esame delle dottrine degli antichi, si deve pervenire a una comprensione propria dei
problemi investigati.
Qui non è possibile soffermarsi sull’intricato dossier relativo al rapporto tra Plotino e
gli gnostici (cf. v. Plot. 16; enn. 2, 9[33])34. È però importante osservare che agli gnostici che
frequentavano le sue lezioni Plotino non rimprovera tanto un fanatismo e un proselitismo
missionario che minaccia la libertà di coscienza e di pensiero35. Per Plotino, gli gnostici vanno
condannati perché rinunciano ai caratteri propri della vera filosofia fondata sul ragionamento
(μετὰ λόγου: 2, 9[33], 14, 41; cf. 6, 47-48). È dunque poco corretto etichettare la sua presa di
posizione come una “professione di fede platonica”36. Per Plotino, d’altronde, il fine
dell’esegesi platonica non è tanto l’edificazione morale, quanto la comprensione di ciò che è
investigato (3, 7[45], 1, 15; 4, 8[6], 1, 25-26). O, per meglio dire, il fine è l’ascesi filosofica
conseguita in modo intellettuale, attraverso la comprensione teoretica dei problemi discussi.
D’altra parte, anche quel poco che possiamo ricostruire della polemica di Porfirio
contro i cristiani induce a ritenere che egli rimproverasse loro un’affiliazione fondata solo
sulla fede in una rivelazione trasmessa da scritture sacre e refrattaria alla spiegazione
razionale. Da qui potrebbe derivare l’insistenza di Porfirio sulla critica della Scrittura: Porfirio
denuncia sia l’assurdità sia le menzogne delle narrazioni bibliche; oppure denuncia
l’impostura dei cristiani che pretendono di scoprirvi un senso profondo. Come ha osservato A.
33 Enn. 3, 7 [45], 1, 13-16, trad. LINGUITI 1997, p. 472. Per maggiori dettagli, cf. CHIARADONNA 2010. 34 Un ottimo status quaestionis si trova in D’ANCONA 2012, p. 982-993. 35 Cf. ATHANASSIADI 2006, p. 128-132. 36 Così ATHANASSIADI 2006, p. 128.
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Smith, è plausibile concludere che per Porfirio il cristianesimo fosse basato sulla rivelazione
in un modo alieno alla religione pagana, e questo malgrado il ruolo accordato dallo stesso
Porfirio agli oracoli e malgrado la sua reverenza per la tradizione, in particolare per Platone.
Per i cristiani il punto di partenza è dato dalla rivelazione e dalla figura storica di Cristo; per i
neoplatonici il punto di partenza è ciò che può essere stabilito mediante la ragione37. Ciò vale
non solo per la corrente intellettualistica del neoplatonismo rappresentata da Plotino e
Porfirio, ma anche per il platonismo teurgico di Giamblico e dei suoi discepoli.
L’argomentazione razionale, fondata su dottrine logiche e metafisiche, costituisce, in effetti,
l’ossatura su cui Giamblico costruisce la sua versione della teurgia38. Solo come esempio, si
può ricordare che la sua Risposta a Porfirio (nota da Ficino in poi con il titolo di De mysteriis
Aegyptiorum) si apre con una complessa discussione sulla gerarchia divina, nella quale
Giamblico fa un uso raffinato, contro Porfirio, di dottrine logiche desunte dall’esegesi delle
Categorie di Aristotele (cf. myst. 1, 4, pp. 10, 9-14, 9 Parthey = pp. 7, 18-11, 4 Saffrey –
Segonds). Nel De mysteriis Giamblico non esclude affatto l’uso della ragione e
dell’argomentazione, filosofica, ma se mai ne condanna un uso errato, non cosciente dei
propri limiti
Con queste osservazioni non si intende minimamente sottovalutare il ruolo di guide
spirituali assunto dai maestri di filosofia neoplatonica. Alcune notazioni prima riportate sono
incontestabili: per gli autori della tarda antichità, così come per molti altri filosofi antichi, la
filosofia era anche un modo di vita e aderire a un insegnamento aveva conseguenze profonde
sulla vita pratica. È invece fuorviante la peculiare versione di questa tesi sviluppata da alcuni
studi recenti, secondo cui il “modo di vita” dei filosofi antichi era conseguenza di esercizi
spirituali, rispetto ai quali l’argomentazione razionale e l’elaborazione filosofica avevano una
posizione secondaria39. Anche se bisogna evitare conclusioni troppo generali, le cose
sembrano stare in modo diametralmente opposto: la trasformazione interiore del filosofo
avveniva per gli autori antichi proprio grazie al progresso intellettuale. L’argomentazione
razionale aveva una posizione decisiva in questo processo. Per quanto concerne la ricerca
dell’ortodossia (la ricerca, cioè, della corretta interpretazione delle dottrine del caposcuola), si
deve notare che non fu certo patrimonio esclusivo del neoplatonismo. Probabilmente
nell’antichità l’esempio più notevole di scuola “ortodossa” e fedele all’insegnamento del
37 Cf. SMITH 2009, p. 38. 38 Purtroppo, questo aspetto non è sempre riconosciuto dagli specialisti. Tra le eccezioni, sono notevoli gli studi di SMITH 1993 e TAORMINA 1999. 39 Questa lettura è particolarmente presente nelle ricerche di scuola francese, a seguito degli studi di Pierre Hadot. Cf. HADOT 1995, pp. 276-286; CHASE 2007. Per una critica, cf. CAMBIANO 2013, pp. 7-11.
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maestro fu l’epicureismo, comunità «priva di rivolta» (ἀστασιαστοτάτη), secondo la celebtre
descrizione di Numenio di Apamea (fr. 24, 33-36 des Places). Da questo punto di vista, la
ricerca dell’ortodossia e la fedeltà al caposcuola non sembrano rispecchiare un clima
particolarmente favorevole all’intolleranza tipico del mondo tardoantico. I dissidi dentro il
neoplatonismo, d’altronde, ci furono, e furono di grande portata, ma non ha molto senso
descriverli attraverso nozioni come “eresia”, “scisma” e “apostasia”, con tutte le connotazioni
tipicamente religiose che attribuiamo a questi termini. Nel neoplatonismo si ritrova invece
una situazione consueta nelle scuole antiche, nelle quali le dottrine dei maestri sono discusse,
interpretate, recepite ma anche criticate secondo le convenzioni retoriche dell’epoca. Tutto
ciò, esattamente come la presenza di discussioni tecniche, rinvia al contesto scolastico della
tarda antichità, nel quale il dibattito filosofico fondato sull’argomentazione ebbe sempre una
posizione centrale, insieme all’esegesi dei testi normativi.
3. I dibattiti intorno a Giamblico
Nelle ricostruzioni discusse qui, la figura di Giamblico svolge un ruolo centrale. Spetterebbe a
Giamblico, infatti, aver sancito in modo definitivo e irreversibile la svolta in senso religioso e
scritturale del neoplatonismo, offrendo ai successori un modello a cui si sarebbero
scrupolosamente attenuti. È opportuno, ancora una volta, riportare le affermazioni di P.
Athanassiadi:
[…] sa [scil. di Giamblico] méthode d’enseignement, ses règles et son interprétation furent religieusement
observées pendant plusieurs siècles: le carcan de Jamblique dispensait de l’obligation de penser par soi-même.
[…] sans la moindre protestation, les intellectuels des générations futures portèrent les entraves façonnées par
Jamblique et lui en surent gré40.
Si può notare un certo compiacimento dell’interprete nell’usare parole che richiamano la
fedeltà religiosa e l’affiliazione identitaria. La conclusione è a dir poco perentoria: Giamblico
avrebbe definitivamente trasformato le scuole neoplatoniche in qualcosa di simile a circoli
fondamentalisti nei quali il principio di autorità, il richiamo a testi normativi e la ripetizione
di formule tradizionali avrebbero soppiantato ogni forma di pensiero autonomo. E questo
sarebbe avvenuto «sans la moindre protestation».
40 Cf. ATHANASSIADI 2006, pp. 172-173.
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Certamente Giamblico operò una svolta cruciale nel neoplatonismo, fondata sul ruolo
accordato ai riti teurgici e sulla posizione degli Oracoli caldaici. K. Praechter lo definì
efficacemente il secondo fondatore del neoplatonismo, attribuendogli un ruolo simile a quello
di Crisippo nello stoicismo41. Tuttavia, le sue tesi non furono affatto accolte senza correzioni,
anche molto profonde. Investigare la posizione di Giamblico nella Scuola platonica di Atene
tra V e VI secolo è un argomento che eccede i limiti del presente contributo, ed è sufficiente
rinviare ad alcuni studi che illustrano sia il debito degli ultimi neoplatonici verso Giamblico,
sia i punti nei quali il suo insegnamento fu corretto42. Per la presente ricerca, è più interessante
soffermarsi sulla prima, e più oscura, ricezione di Giamblico nel IV secolo. Come si è già
osservato, le Vite dei filosofi e dei sofisti di Eunapio sono una fonte insostituibile per
ricostruire il quadro di quei decenni, ma vanno vagliate con cautela, perché Eunapio passa
sotto silenzio le dottrine dei filosofi di cui tratta, offrendone un’immagine parziale. In realtà,
le poche notizie in nostro possesso confermano che gli stessi santoni pagani, adepti del
platonismo teurgico, descritti da Eunapio non rinnegarono affatto gli aspetti tipici della
formazione scolastica (ad esempio lo studio della logica di Aristotele). Inoltre, la svolta
teurgica di Giamblico non si impose senza ostacoli.
Un documento interessante è l’epistola 12 indirizzata da Giuliano a Prisco, filosofo di
affiliazione giamblichea (era stato discepolo di Edesio, il fondatore della cosiddetta “Scuola
di Pergamo”, a sua volta discepolo di Giamblico), maestro di Giuliano ad Atene e influente
membro della sua cerchia43. La datazione è dibattuta, ma R. Goulet ha proposto con buoni
argomenti di collocarla dopo la proclamazione di Parigi nel 360. Giuliano invita Prisco a
raggiungerlo e, nel farlo, lo prega di cercargli una copia di «tutte le opere di Giamblico sul
mio omonimo» (ep. 12, 3-4), ossia, con ogni probabilità, il grande commento di Giamblico
agli Oracoli caldaici, del quale il genero della sorella di Prisco possedeva una copia corretta44.
Gli specialisti si sono soffermati su queste linee, ponendo in luce il legame di Giuliano
rispetto a Giamblico e la sua dipendenza dal platonismo teurgico. Poco dopo, infatti, Giuliano
41 Cf. PRAECHTER 1910, 143. 42 Si veda, ad esempio, HELMIG 2012, p. 205-206 sulla diversa posizione rispetto ad Aristotele. Circa i dibattiti relativi al primo principio, si veda la discussione sintetica in LINGUITI 2012. 43 All’epistola 12 di Giuliano e alla figura di Prisco ha recentemente dedicato due importanti contributi R. Goulet: cf. GOULET 2012a e 2012b. Dell’epistola si cita, con alcune lievi modifiche, la traduzione di CALTABIANO 1991, pp. 147 e 235-236. 44 L’identificazione di questo oscuro personaggio è molto difficile. Con argomenti interessanti, GOULET 2012b suggerisce che si tratti di Giamblico II di Apamea (da non confondere con il più famoso Giamblico di Calcide), nipote di Sopatro di Apamea e, a sua volta, filosofo neoplatonico. A Giamblico II si deve probabilmente l’introduzione ad Atene del platonismo di Giamblico di Calcide.
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afferma di essere un ammiratore fanatico di Giamblico in filosofia e «del mio omonimo [ossia
Giuliano il teurgo] in teosofia» (ep. 12, 13-14).
L’epistola, però, non fornisce solo queste indicazioni. Giuliano offre importanti
informazioni sul dibattito interno alle scuole neoplatoniche. Egli invita Prisco a non seguire i
seguaci di Teodoro (οἱ Θεοδώρειοι), i quali affermavano che Giamblico era un ambizioso
(ep. 12, 8-10). Sappiamo, in effetti, che Teodoro di Asine, pur essendo stato probabilmente
allievo di Giamblico, si distaccò nettamente dalle posizioni del maestro tornando al
platonismo intellettualistico di matrice plotiniana e porfiriana45. Evidentemente, Teodoro non
era rimasto affatto isolato nel suo atteggiamento, se Giuliano si preoccupa così tanto della
possibile influenza dei suoi discepoli (probabilimente attivi ad Atene) su Prisco. A questa
importante informazione sulla prima posterità di Giamblico, sulla quale torneremo tra poco,
se ne aggiunge un’altra. L’epistola si chiude con un elogio delle «sillogi» (συναγωγαί) di
Aristotele apprestate da Prisco (ep. 12, 16). Ancora una volta, Giuliano associa l’elogio di un
platonico (Prisco, come prima aveva celebrato Giamblico) alla presa di distanza rispetto a un
altro: se prima era Teodoro di Asine, ora è Porfirio, sui cui lavori aristotelici Giuliano si
eprime in modo apertamente critico:
Lo scrittore di Tiro ha saputo inserire solo pochi elementi di logica in numerosi libri, tu, invece, con un solo libro, hai fatto forse di me un baccante nella filosofia aristotelica, e non un semplice nartecoforo (ep. 12, 18-21).
Giamblico e Prisco sono dunque entrambi esponenti di una filosofia ispirata e veramente
divina rispetto a cui Giuliano proclama il suo entusiasmo. Dall’altra parte stanno Teodoro di
Asine e Porfirio, esponenti di un platonismo al quale egli guarda con diffidenza. Gli studiosi
dibattono sull’effettiva conoscenza delle opere aristoteliche posseduta da Giuliano46.
Certamente non si può provare che Giuliano le avesse lette estesamente (ma neppure che non
le conoscesse affatto) ed è possibile che egli si fondasse in gran parte su sintesi o compendi
come quelli di Prisco. È però importante ricordare che Giamblico e la sua scuola non
rinnegarono minimamente gli aspetti tecnici e scolastici della formazione filosofica: essi si
proposero invece di integrarli in un contesto più ampio, pitagorico in filosofia e coronato dalla
rivelazione degli Oracoli caldaici47.
45 Un’ottima presentazione sintetica di questo intricato dossier si trova in GOULET 2012b, pp. 42-43. 46 Scetticismo (forse eccessivo) in proposito è espresso da BOUFFARTIGUE 1992, pp. 197-214. 47 Ad esempio, sappiamo da Simplicio che Massimo di Efeso, il filosofo e teurgo giamblicheo che fu influente consigliere di Giuliano, scrisse un commento alle Categorie di Aristotele: cf. Simpl., in Cat., p. 1, 15 Kalbfleisch. Su Giuliano e il suo interesse per la logica, si veda la n. seguente
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Per quanto riguarda Giuliano, sono significative le testimonianze che suggeriscono il
suo interesse per aspetti piuttosto tecnici della logica di Aristotele. È ben nota la controversia
che oppose Temistio a un certo Massimo, probabilmente Massimo di Efeso,
sull’interpretazione della sillogistica aristotelica, e nella quale Giuliano fece da arbitro48. Sono
indizi di un punto cruciale per intendere il clima culturale in cui operarono i neoplatonici:
questioni per noi tecniche e astratte avevano in realtà un’importanza molto forte ed
esercitavano un impatto reale sul dibattito culturale e ideologico. Gli studi qui considerati
concentrano tutta l’attenzione sulle dispute riguardanti le pratiche rituali, lasciando da parte, o
considerando marginali, altri elementi tipici dei dibattiti neoplatonici (ad esempio la ricezione
della logica di Aristotele, le discussioni sullo statuto e i limiti della conoscenza umana, la
filosofia naturale, etc.). Questi elementi sono liquidati come meri «tecnicismi»49. Una simile
posizione è, però, anacronistica e proietta sugli autori antichi la scarsa familiarità con le
questioni dottrinali propria di alcuni interpreti moderni. Comprendere l’evoluzione del
neoplatonismo e il suo impatto sul cristianesimo prescindendo dagli elementi tecnici e
dottrinali, oppure considerandoli di secondaria importanza, è semplicemente impossibile50.
Come si è accennato prima, le resistenze a Giamblico non mancarono tra i suoi stessi
discepoli: ciò vale per Teodoro di Asine, che ritornò a posizioni plotiniane sull’anima, e per
Dessippo, la cui opera sulle Categorie di Aristotele è parzialmente conservata, il quale passò
quasi del tutto sotto silenzio l’interpretazione pitagorica di Aristotele tipica del suo maestro51.
Per valutare l’immediata posterità di Giamblico è però Temistio a fornire gli elementi più
interessanti. Il celebre retore e filosofo (significativamente assente nelle biografie di Eunapio,
che sembra mettere in atto verso di lui una vera damnatio memoriae) reagì con scarso
entusiasmo alla svolta del platonismo teurgico e pitagorizzante di Giamblico. È notevole la
testimonianza di Boezio, secondo cui Temistio riteneva inautentico il trattato di Archita sulle
categorie (cf. Boeth. in cat., PL 64, p. 162 a), a cui Giamblico aveva invece accordato una
posizione centrale nell’interpretazione di Aristotele rivendicando l’origine pitagorica della
dottrina (cf. Simpl. in cat., p. 2, 15-25 Kalbfleisch). Più che un improbabile scrupolo
48 Si veda lo scritto di Temistio In risposta a Massimo sulla riduzione dei sillogismi di seconda e terza figura a quelli di prima, conservato in arabo ed edito (ancorché in modo insoddisfacente) in Badawi 19872. La disputa è ugualmente attestata in Ammon. in A, Pr. 31, 15-25 Wallies. Per un’analisi del contenuto, cf. J. BARNES 2007, pp. 377-382. 49 Cf. ATHANASSIADI 2006, pp. 122 («bavardage technique»), 126, 207, etc. 50 Cf. infra, n. 92. 51 Su Dessippo, si veda ora J. BARNES 2009.
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filologico52, la tesi di Temistio appare come una vera e propria critica dell’esegesi
pitagorizzante di Giamblico, che era probabilmente sviluppata dai filosofi vicini a Giuliano53.
Il distacco di Temistio rispetto al platonismo teurgico emerge, d’altronde, in alcuni passi delle
Orazioni e, in particolare, nell’orazione 5 Per il consolato dell’imperatore Gioviano,
pronunciata ad Ancyra il I gennaio del 364, nella quale traspaiono allusioni critiche a
Giuliano e al suo governo. Su questo dossier, mi limito a rinviare all’analisi di L. Cracco
Ruggini54. Spetta alla studiosa aver chiarito in modo persuasivo la trama di allusioni presenti
nell’orazione e, soprattutto, aver dimostrato, attraverso una fitta serie di riferimenti al
significato e alla fortuna di Empedocle tra gli intellettuali del IV secolo, che il richiamo
polemico di Temistio al “nuovo Empedocle” (or. 5, 70b; cfr, anche or. 13, 178 a)55, si
riferisce non a Cristo, come ipotizzato da Dagron56, ma a Giuliano imperatore e al suo
entourage di filosofi e teurghi57. È dunque contrapponendosi allusivamente a queste figure
che Temistio celebra la nuova politica religiosa “tollerante” di Gioviano. Come osserva la
studiosa
Temistio saluta […] con entusiasmo la nuova linea religiosa di Gioviano, che pur essendo cristiano non soltanto
aveva garantito la ἐλευθερία ai pagani, ma sapeva anche con equilibrio interpretare le leggi tradizionali della
religione «ellenica», consentendo che fossero aperti i templi e praticati i sacrifici legali, reprimendo però nel
contempo le pratiche magiche e divinatorie illegali: cioè proprio quelle manifestazioni esasperate di misticismo
teurgico che caratterizzarono il tardo neoplatonismo, e alle quali del resto gli imperatori (non solo cristiani)
avevano quasi sempre guardato con sospetto per ovvii motivi di precauzione politica, come a possibili occasioni
di crimina maiestatis58.
Queste valutazioni sono particolarmente interessanti. In effetti, l’orazione 5 di
Temistio è letta talora in modo decontestualizzato, come se si trattasse di un manifesto della
tolleranza religiosa e della libertà di coscienza, tanto più notevole perché composto in
52 Simile a quello che conduce un philologos (ossia un letterato) a giudicare come inautentica un’opera falsamente attribuita a Galeno e messa in vendita in una libreria nel lario, in base allo stile e all’intestazione: l’aneddoto è riportato in Galeno, lib. prop., XIX, pp. 8-9 Kühn. 53 Nelle sue parafrasi di Aristotele, parzialmente conservate, Temistio si attiene a un metodo esegetico sobrio, attento all’esegesi del testo e fondato principalmente sui commenti peripatetici (in particolare Alessandro di Afrodisia). Si veda CODA 2012. 54 Cf. CRACCO RUGGINI 1972. 55 Dell’orazione non esiste purtroppo ancora un’edizione critica attendibile. Tale non può essere considerata quella teubneriana apprestata da G. Downey sulla base dell’opera lasciata incompiuta da H. Schenkl: Themistii Orationes quae supersunt, rec. H. Schenkl, opus consummavit Gl. Downey, I, Leipzig 1965. Un lavoro preparatorio per una nuova e auspicabile edizione si trova in PASCALE 2010 e PASCALE 2011 56 Cf. DAGRON 1968. 57 Cf. CRACCO RUGGINI 1972, p. 234-239. Particolarmente notevole il richiamo ad Empedocle in Greg. Naz. or. 4, 59 (cf. LUGARESI 1993, pp. 121, 305). 58 CRACCO RUGGINI 1972, p. 232.
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un’epoca di oscurantismo e intolleranza, «émouvant témoignage d’une mentalité
désespérément minoritaire»59. Simili conclusioni sono poco plausibili. In primo luogo, non
tengono conto del contesto in cui l’orazione fu composta e della polemica contro l’ambiente
di Giuliano imperatore. In secondo luogo, oscurano che la tolleranza auspicata da Temistio
non è affatto completa. Secondo Temistio, infatti, il divino principe,
mentre apre i templi, chiude i luoghi ove si praticano incantesimi e, pur avendo permesso i sacrifici legittimi,
non tollera l’attività dei maghi, enunciando così gli stessi principi di Platone figlio di Aristone (cf. Plato leg. 10,
908 d)60.
La repressione delle pratiche magiche è, in effetti, un aspetto ben noto e duraturo nella
legislazione romana61. Certamente, il semplice fatto che Temistio l’auspichi così caldamente
getta più di un’ombra sul suo presunto elogio della tolleranza. In questo caso non è necessario
supporre che vi sia una polemica specificamente diretta contro il circolo di Giuliano, ma è
comunque significativo ricordare che l’accusa di esercitare pratiche magiche fu effettivamente
rivolta contro filosofi di affiliazione giamblichea, conducendoli alla morte62. L’orazione 5 di
Temistio è, in breve, un prezioso documento per ricostruire i dibattiti sulla politica religiosa di
Giuliano e le reazioni che seguirono alla sua morte. È un testo abilmente costruito e ricco di
allusioni. Certamente, la difesa della tolleranza che vi è contenuta non è né completa né priva
di limiti, specialmente se valutata secondo i nostri criteri. In ogni caso, di “emozionante” e
“disperato” qui, come ovunque in Temistio, c’è ben poco.
L’assimilazione del platonismo teurgico di Giamblico non fu dunque né immediata né
priva di contrasti63. Ancora una volta, si può constatare come questioni all’apparenza astratte e
tecniche (ad esempio la ricezione della logica di Aristotele) avessero in realtà un impatto
decisivo sul clima culturale e ideologico dell’epoca. Inoltre, l’antitesi tolleranza vs
intolleranza si rivela una volta di più come inadeguata per comprendere le diverse posizioni e
il loro confronto reciproco.
59 Così ATHANASSIADI 2010, p. 97. 60 Or. 5, 79 b-c, trad. MAISANO 1995, p. 285. 61 Si vedano i dettagliati riferimenti in CRACCO RUGGINI 1972, p. 232 n. 115. 62 Costantino condannò a morte Sopatro, amico e discepolo di Giamblico, in seguito a presunte pratiche magiche: cf. Eunap., v. soph., 6, 2, pp. 19, 21-20, 27 Giangrande; ulteriori dettagli in CRACCO RUGGINI 1972, p. 206 n. 60 e SCHLANGE-SCHÖNINGEN 1995, pp. 667-669. Sulle vicende di Massimo di Efeso e Giamblico II di Apamea sotto Valente, cf. CRACCO RUGGINI 1972, p. 232 n. 115 e 252-253, GOULET 2012b, pp. 60-61. 63 La discussione qui presentata è d’altronde solo parziale: GOULET in stampab dà ampio conto delle tensione tra i filosofi giamblichei appartenenti alla cosiddetta Scuola di Pergamo (Prisco, Crisanzio, Massimo, Eusebio).
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4. Il problema del neoplatonismo politico
L’intricata questione del neoplatonismo politico tra Plotino e Giuliano imperatore non può
certo essere affrontata nello spazio di poche pagine. Mi limiterò a richiamare alcuni punti
salienti per inquadrare il dibattito64. Certamente i filosofi neoplatonici non furono affatto
intellettuali isolati dal contesto politico in cui operarono. La scuola di Plotino era frequentata
da senatori, letterati e altre personalità di rango sociale elevato. Inoltre, egli intrattenne
rapporti stretti con l’imperatore Gallieno e la moglie Salonina tanto che, come riferisce
Porfirio, sarebbe stato suo intento fondare in Campania Platonopoli, una città governata
secondo le leggi di Platone. Il progetto però fallì per l’opposizione di altre persone vicine
all’imperatore (cf. Porph. v. Plot. 9; 12 ). Porfirio riferisce inoltre che Plotino fu impegnato
nelle occupazioni pratiche, facendo ufficio di esecutore testamentario per gli orfani (v. Plot. 9,
5-10). Di Porfirio sappiamo ben poco, ma è certamente plausibile che la composizione del
Contra christianos fosse collegata alle vicende politiche del tempo, anche se i dettagli restano
incerti65. Dal canto suo, Giamblico proveniva dalla potente dinastia siriaca dei
Sampsigeramidi e fu in stretto contatto con l’élite politica dell’impero66. Le sue Epistole,
conservate nell’Antologia di Giovanni Stobeo, ne attestano i rapporti con allievi destinatari
provvisti di una significativa posizione politica: è il caso di Discolio (che potrebbe
identificarsi con un prefetto del pretorio d’Oriente), al quale è destinata un’epistola sulla virtù
del saggio governante (Stob. 4, 5, 74-75) e soprattutto di Sopatro di Apamea, l’interlocutore
più ricorrente, che di Giamblico fu forse mecenate e protettore (Stob. 1, 5, 18; 2, 2, 6-7; 2, 31,
122; 2, 46, 16; 3, 1, 17; 3, 1, 49; 3, 11, 35; 3, 31, 9; 3, 37, 32; 4, 39, 23)67. Infine, vanno
menzionati gli influenti filosofi neoplatonici esponenti della Scuola di Pergamo,
principalmente Massimo di Efeso e Prisco di Tesprozia, che furono maestri e consiglieri di
Giuliano imperatore, oltre allo stesso Giuliano, che è ovviamente il caso più eclatante di
intellettuale vicino al neoplatonismo e impegnato nella politica.
Questa serie di informazioni necessita però di alcune precisazioni ed è bilanciata da
elementi che vanno in direzione opposta. Per quanto riguara Plotino, sono numerosi gli
64 In questa sezione si riprende, con svariati cambiamenti, quanto esposto in CHIARADONNA 2013. 65 Si vedano gli studi menzionati supra n. 4. Prudente sulle implicazioni politiche del Contra christianos è JOHNSON 2012. 66 Sulla biografia di Giamblico, cf. ATHANASSIADI 2006, pp. 153-155; SAFFREY – SEGONDS (†) 2013, pp. XXXIII-LIX. 67 Su Sopatro cf. supra, n. 62. Egli fu consigliere di Costantino, partecipando alla fondazione di Costantinopoli nel 330, prima di cadere in disgrazia ed essere messo a morte. Sul rapporto tra Giamblico e Sopatro, cf. SAFFREY
– SEGONDS (†) 2013, pp. XLI-XLII. Delle Epistole di Giamblico si veda l’edizione con traduzione e commento apprestata da TAORMINA – PICCIONE 2010.
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elementi biografici che suggeriscono il suo distacco dagli affari politici. Egli si adoperò per
distogliere il discepolo Zeto dagli incarichi politici (v. Plot. 7, 20-21), mentre un altro
discepolo, il senatore Rogaziano, arrivò a dimettersi dal suo incarico dismettendo la proprietà
e licenziando i servi (v. Plot. 7, 31-34)68. D’altronde, la frequentazione di personalità
politicamente influenti non indica necessariamente la presenza di un impegno politico in
prima persona. Si tratta, in realtà, di un fenomeno comune nel mondo romano, nel quale i
filosofi erano spesso legati a mecenati e patroni che ne proteggevano l’attività e ne
garantivano il sostentamento. Gli esempi sono numerosi, a cominciare da quelli più antichi e
celebri, come l’accademico Antioco di Ascalona, legato a Lucullo, oppure l’epicureo
Filodemo, legato a Lucio Calpurnio Pisone Cesonino69. Nel caso di Plotino, nulla suggerisce
la presenza di un simile impegno e gli appigli per trovare una riflessione politica nei suoi
scritti sono ben pochi70. Se è vero che Plotino attraversa la crisi del III secolo, nulla o quasi ne
traspare nelle sue opere. Si sono voluti trovare riferimenti al contesto dell’epoca nella
descrizione delle tragiche vicissitudini umane in enn. 3, 2[47], 6-8, oppure nell’allusione alle
istituzioni politiche che gli gnostici hanno il torto di rifiutare (2, 9[33], 9). Ciò è, beninteso,
del tutto possibile, ma è difficile trarre conclusioni precise da passi così generici71. In realtà,
gli scritti che compongono le Enneadi sono, quanti altri mai nella filosofia antica (e non),
privi di riferimenti all’ambiente storico e sociale in cui furono composti.
Per quanto concerne Porfirio, le notizie biografiche sono, come si è detto, molto
scarse. Possiamo supporre un suo coinvolgimento attivo nelle vicende politiche, ma va
comunque osservato che poco o nulla nelle opere superstiti sembra andare in questa direzione.
Al contrario, nello scritto Sull’astinenza il mondo della polis sembra rappresentare un insieme
di valori e di obblighi limitati al mondo materiale; l’impegno politico è svalutato rispetto
all’ascesi filosofica riservata a pochi (cf. abst. 2, 43, 5-10)72. Come per Plotino, il richiamo di
Porfirio all’esistenza di virtù politiche (cf. sent. 32) non va forse valutato più del dovuto73.
Molto diverso è il caso di Giamblico. Si sono già richiamati alcuni dettagli della sua biografia
che ne attestano i contatti con l’élite politica dell’impero. Oltre alle vicende biografiche, è
però il contenuto delle sue epistole a dimostrare un vero interesse per la politica. Giamblico si
sofferma sulle qualità del buon re presentando il suo governo come un’immagine che
68 Il significato di questo episodio è giustamente enfatizzato da JOHNSON 2012, p. 291. 69 Su questo fenomeno, cf. GRAFTON – WILLIAMS 2012, pp. 57, 61. 70 Ciò vale anche in rapporto alla discussione delle virtù politiche o civili nel trattato 1, 2[19], la cui portata non va sopravvalutata. Cf. CHIARADONNA 2013, pp. 744-745. 71 Cf. MAZZARINO 1966, pp. 455-456; DEPALMA DIGESER 2012, pp. 84-85. 72 Si vedano su questo le condivisibili osservazioni di JOHNSON 2012, pp. 292-293. 73 Cf., ancora, JOHNSON 2012, p. 294.
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riproduce in ambito politico il governo divino nel cosmo ed è fondata sull’esercizio delle
virtù, soprattutto la sapienza (φρόνησις) (cf. Stob. 3, 3, 26). In tal modo, l’azione del buon
governante può essere considerata simile a quella del filosofo nella Repubblica, che dopo aver
contemplato il Bene rientra dentro la caverna per riprodurre il modello dell’ordine che egli ha
conosciuto74. Da qui l’idea che sia massimamente propria del buon re la filantropia, attraverso
cui rende beneficio ai governati (Stob. 4, 5, 75; 4, 5, 76). La responsabilità politica è in tal
modo concepita essenzialmente nei termini di un’educazione morale, promossa dal
governante al fine di sviluppare nello stato una vita virtuosa.
L’ascendenza platonica di simili dottrine è innegabile, ma è abbastanza difficile
ritrovarvi uno specifico riflesso politico della teologia neoplatonica (le cui tesi caratteristiche
non compaiono nelle epistole politiche di Giamblico). In effetti, la tesi secondo cui il
governante è immagine del governo cosmico di Dio, caratterizzato da ordine e bontà,
corrisponde all’ideologia ellenistica e romana sulla regalità e trova numerosi paralleli ben
anteriori a Giamblico (non solo nel platonismo: sono tesi rappresentate nello stoicismo, negli
scritti pseudo-pitagorici, in Dione Cristostomo)75. Giamblico attribuì agli scritti della
tradizione pitagorica un ruolo fondatore, concependo il suo platonismo religioso e
matematizzante come una vera e propria forma di “pitagorismo” (anche questa è una novità
rispetto a Plotino e a Porfirio)76. Non sorprende dunque che egli si ispirasse alle concezioni
formulate negli scritti pitagorici apocrifi (da lui considerati autentici), in cui si trovano
espresse dottrine di ascendenza platonica, combinate con elementi stoici e peripatetici77. Tutto
questo appartiene a un patrimonio di riflessione politica ben consolidato all’epoca di
Giamblico, del quale è piuttosto difficile individuare il tratto specificamente neoplatonico.
Un altro aspetto, sul quale è stata portata l’attenzione, riguarda l’interesse per il tema
della legge78. Mentre la dottrina del buon re che riproduce l’ordine cosmico ha come suo
modello ultimo il re filosofo della Repubblica, la priorità accordata alle leggi riporta per
l’appunto alle Leggi, dove Platone delinea il governo non della città ideale, ma della sua
migliore approssimazione possibile in un mondo imperfetto. Qualche allusione al tema della
legge si può trovare anche in Plotino (6, 9[9], 7, 20-28), ma è impossibile trarne reali
conclusioni di portata filosofico-politica79. Nell’epistola indirizzata a un certo Agrippa (Stob.
74 Cf. O’MEARA 2003, p. 91. 75 Cf. O’MEARA 2003, pp. 97, 148, con ampia lista di paralleli. Come osserva O’Meara, la medesima dottrina teocratica si trova trasposta in ambito cristiano nell’Elogio di Costantino di Eusebio. 76 Cf. O’MEARA 1989 e TAORMINA 2012. 77 Una trattazione d’insieme si trova in CENTRONE 2000. 78 Cf. O’MEARA 2003, pp. 87-105. 79 Cf. CHIARADONNA 2013, p. 754 n. 22.
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IV-V secolo, Cassino, in preparazione -- versione preliminare del testo / penultimate draft
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4, 5, 77), Giamblico pone invece grande enfasi sulla legge, che sembra configurarsi come un
criterio indipendente dal governante e a cui egli stesso deve conformarsi per assolvere il suo
compito. Ne emerge una collocazione diversa, più modesta, del monarca, che è concepito
come guardiano delle leggi, non come colui che esemplifica in sé il buon governo del tutto. Si
tratta, ancora una volta, di tesi niente affatto originali e ben presenti nella tradizione
precedente80. Tuttavia, una simile posizione è senza dubbio congeniale ai peculiari
presupposti filosofici di Giamblico: egli, infatti, riteneva che agli uomini fosse precluso
l’accesso completo al divino, finché la loro anima si trovasse in un corpo. La figura del re
filosofo è in apparente contrasto con una simile concezione piuttosto pessimistica delle
capacità dell’uomo, mentre l’idea che il monarca sia guardiano delle leggi appare più consona
a essa. Tuttavia, il legame tra il primato della legge e la concezione filosofica dell’uomo non è
esplicitamente discusso da Giamblico e possiamo dunque solo supporre che esistesse una
simile connessione.
È indubbio che a partire da Giamblico il tema della legge acquisì un notevole rilievo.
Possediamo, ancora attraverso Stobeo, gli estratti di un’epistola indirizzata da Sopatro a suo
fratello su «Come praticare il posto di governo che gli è stato assegnato» (Stob 4, 5, 51-60)81.
Sarebbe allettante supporre che l’epistola sia stata scritta dall’amico di Giamblico e
consigliere di Costantino, ma è più probabile che l’autore sia suo figlio (Sopatro 2) e il
destinatario sia il fratello Imerio82. Anche questo scritto è caratterizzato da una concezione
piuttosto modesta del governante, almeno se paragonata con quella del re filosofo. Il bene a
cui deve tendere Imerio non è, infatti, tanto il bene assoluto, ma quello relativo alla situazione
in cui si trova ed è consono ai rapporti di potere in cui è collocato. L’obiettivo è la vita
eccellente, che nel quadro del neoplatonismo può essere identificata con divinizzazione
dell’uomo nei limiti del possibile attraverso la pratica delle virtù83. Anche in Sopatro, la legge
assume una notevole importanza, e la filantropia propria del governante comporta
l’amministrazione della giustizia come strumento di educazione dei governati. Infine, il ruolo
della legge è prominente nell’Epistola a Temistio di Giuliano imperatore dove, sulla base
delle Leggi di Platone, si difende, contro Temistio, il primato delle leggi rispetto al monarca,
che ne è guardiano restando sottoposto a esse (ad Them. 257 d-259 b, cf. anche 261 ad).
Anche in questo caso, rimane però da definire se si tratti di una teoria specificamente
80 Una ricca lista di paralleli relativi a questa epistola (lo stoicismo e Cicerone, i trattati pseudo-pitagorici, oltre a Platone e Aristotele) si trova nelle note D.P. Taormina in TAORMINA – PICCIONE, 2010, pp. 506-508. 81 Traduzione annotata in O’MEARA – SCHAMP (2006), pp. 45-69. 82 Cf. O’MEARA 2003, pp. 112-115. 83 Si veda l’introduzione di D.J. O’Meara in O’MEARA – SCHAMP (2006), p. 47.
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IV-V secolo, Cassino, in preparazione -- versione preliminare del testo / penultimate draft
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neoplatonica, collegata alla concezione dell’uomo e dell’anima, oppure del riflesso di dottrine
tradizionali84.
Se ci si fermasse a questi dati, il risultato sarebbe francamente piuttosto modesto e,
malgrado gli importanti tentativi degli interpreti recenti, resterebbe difficile postulare
l’esistenza di una filosofia politica specificamente neoplatonica tra Plotino e Giuliano. In
realtà, proprio l’opera di Giuliano imperatore offre notevoli spunti in questa direzione,
soprattutto nelle orazioni composte dopo la sua nomina ad Augusto. Qui Giuliano appare
sempre più cosciente di essere un filosofo e monarca scelto dagli dèi (si veda il celebre mito
autobiografico in ad Heraclium cynicum 227 c-234c), immagine su terra del demiurgo
platonico. Egli continua a distinguere la sua condizione da quella del vero filosofo (ad
Heraclium cynicum 235 ab; Misopogon 359 a), ma la distinzione appare meno marcata che
nell’Epistola a Temistio85. La connessione tra teologia e ideologia politica viene in
primissimo piano nell’Inno alla Madre degli dèi. Qui, nell’invocazione alla Madre degli dèi e
nell’esegesi del mito di Cibele e Attis, si intrecciano tre temi portanti del progetto filosofico
ed ideologico di Giuliano: le concezione della Romanitas come sintesi perfetta della sapienza
dei greci e dei romani, universale ed ispirata dagli dèi; la fondazione cosmologica (basata
sull’esegesi allegorica del mito) della Romanitas, che si configura in tal modo come
universale ed eterna; infine, la spiegazione dei segni e simboli divini contenuti nel mito e
delle norme etiche derivate da essi86. Letti propriamente, i crudeli paradossi del mito di Cibele
e Attis (l’amore di Cibele per il giovane, il tradimento di Attis con una ninfa e la conseguente
l’auto-evirazione di Attis) sono segni e simboli che rivelano la dimensione cosmica del potere
romano. In un simile contesto trovano senso le sezioni filosofiche dell’opera, nelle quali
Giuliano, fondandosi su Giamblico, espone una versione della cosmologia neoplatonica
basata sulla gerarchia dei principi divini e sulla figura del mediatore (Attis) tra il mondo
divino e il sensibile87. La vicenda di Attis diventa così il simbolo del processo di
trasformazione della materia bruta in un cosmo, grazie alla mescolanza con le forme (Ad
Matrem deorum 162 a-165a). Se la cosmologia dell’inno non è un corpo isolato, ma è
collegata organicamente al progetto ideologico-politico dell’imperatore, quest’opera può
essere un autentico documento di “neoplatonismo politico”. Un discorso del tutto analogo si
può fare, d’altronde, per la teologia solare dell’Inno a Helios re, alla quale Giuliano connette 84 Il carattere tradizionale delle tesi sulla legge e la regalità difese nell’epistola è sottolineato da MARCONE 1987, p. 263 85 Per un’approfondita discussione, cf. PAGLIARA 2012, pp. 28-33. 86 Sul neoplatonismo politico dell’Inno alla madre degli dèi, si veda l’importante discussione in ELM 2012, pp. 118-136. 87 Maggiori dettagli sul retroterra giamblicheo dell’inno si troveranno in LECERF 2012.
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saldamente la fondazione di Roma (cf. ad Helium regem 153 d) e, infine, per la polemica
anticristiana del perduto Contra galileos. Come ha molto bene osservato S. Elm, in ciascuno
di questi scritti Giuliano mette in luce aspetti diversi di un’unica idea fondamentale, che egli
elabora con piena coscienza della riflessione teologica e filosofica vicina a lui: l’οἰκουμένη
romana è stata creata nella sua universalità dalla provvidenza divina e non è una semplice
invenzione umana.88
Tuttavia, ci si può chiedere se punti così notevoli, che permettono davvero di attribuire
a Giuliano l’elaborazione di una teologia politica neoplatonica, rivelino solo la presenza
dell’insegnamento giamblicheo, oppure qualcos’altro. Alcuni studi recenti hanno
approfondito queste analisi, sottolineando ad esempio il condizionamento implicito del
modello cristiano, percepibile nel modo in cui Giuliano articola la sua visione teologica.
Questo potrebbe spiegare perché, sia nell’Inno alla Madre degli dèi sia nell’Inno a Helios re,
Giuliano si allontani in parte da Giamblico lasciando cadere alcuni punti della sua teologia (ad
esempio la concezione del primo principio al di là dell’essere e completamente ineffabile),
semplificandoli, cercando di dotare il paganesimo di un sistema dogmatico quanto più
possibile coerente e competitivo rispetto a quello dei suoi avversari89. Pertanto, è
probabilmente affrettato ritenere che la restaurazione pagana di Giuliano sia una diretta
applicazione del platonismo teurgico di Giamblico. La realtà è molto più sfaccettata e, se mai,
si deve proprio a Giuliano (è il tratto principale della sua originalità filosofica) l’aver costruito
una versione specificamente politica della teologia neoplatonica di affiliazione giamblichea90.
5. Conclusioni
Negli ultimi anni, si è sostituita all’opinione tradizionale, certamente unilaterale e per alcuni
versi poco fondata, secondo cui i neoplatonici erano intellettuali del tutto disinteressati alla
vita politica e presi solo da astratte speculazioni metafisiche, un’altra opinione, che sta
ottenendo consensi crescenti. Nelle sue formulazioni più nette (come quelle di Athanassiadi e
DePalma Digeser), la nuova interpretazione (potremmo chiamarla una nuova “ortodossia”,
per usare un termine particolarmente caro a questa corrente di studi) vede nei neoplatonici dei
maestri o guide spirituali a capo di circoli di tipo fondamentalmente religioso, pienamente 88 Cf. ELM 2012, pp. 286-321. 89 Così DE VITA 2011, pp. 247-252; si veda, nel medesimo senso, TANASEANU DÖBLER 2013, pp. 136-148. La questione dei paralleli tra la teologia giulianea e il modello cristiano è comunque molto intricata e difficile da risolvere. Si vedano, da ultime, le interessanti analisi di GREENWOOD sui paralleli trinitari. 90 Giustamente LECERF 2012, p. 184 n. 36 vede nella teologia politica dell’Inno a Helios re un elemento originale di Giuliano rispetto al suo retroterra giamblicheo.
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integrati nel clima ideologico e politico dell’epoca fondato sul dibattito relativo all’ortodossia
e all’affiliazione identitaria.
Come si è cercato di mostrare in questo contributo, simili conclusioni si basano su tesi
non sempre false, ma unilaterali, costruendo a partire da affermazioni unilaterali un quadro
abbastanza fantasioso, per quanto letterariamente attraente. L’opposizione rigida tra libertà di
coscienza e intolleranza si rivela per altro poco utile per comprendere gli sviluppi del tempo,
mentre sarebbe molto più interessante investigare come si costruì un comune retroterra
intellettuale, fondato sull’argomentazione e la cultura delle scuole, e come si svolse nel
dettaglio il complesso fenomeno di assimilazione anche attraverso il conflitto che ebbe luogo
tra pagani, cristiani e tra le diverse correnti che dividevano ciascuno dei due fronti91. Non si
tratta di costruire un’immagine falsamente irenica dell’epoca: i conflitti ci furono ed ebbero
spesso aspetti tragici. L’interesse specifico dell’età tardoantica, però, sta proprio nel fatto che,
anche attraverso il conflitto, si costruì un terreno comune di confronto. Fu questo comune
retroterra culturale che permise al cristianesimo di incorporare, trasformandola, l’eredità della
cultura antica. La storia del pensiero filosofico e teologico offre una prospettiva privilegiata
per comprendere questo processo ed è abbastanza velleitario pretendere di ricostruire la storia
delle scuole filosofiche neoplatoniche lasciando da parte (o svalutando, o non comprendendo)
proprio i dibattiti dottrinali a cui esse diedero vita92.
È possibile che alcune interpretazioni qui criticate risentano, nella piccola provincia
degli studi sul neoplatonismo, di una certa “retorica identitaria” piuttosto in voga di questi
tempi. Considerazioni identitarie o “spirituali” sembrano avere la meglio sull’argomentazione
filosofica conducendo a svalutarne la portata. Che questo non avesse luogo nel mondo
tardoantico è precisamente una delle ragioni che ne rendono lo studio così fecondo e ricco di
interesse.
Bibliografia
91 Sull’intreccio tra conflitto ed emulazione/assimilazione, si veda l’illuminante ricerca su Giuliano e Gregorio di Nazianzo in ELM 2012. 92 Giustamente MORLET 2010, p. 413 osserva, a proposito di Athanassiadi 2010, che l’Autrice «ne fait guère de cas du développement dogmatique de l’Église. Elle n’ y voit qu’un “labyrinthe” (p. 106), elle ironise sur le “feu d’artifice dogmatique” de Nestorius (p. 102); elle ne reconnaît dans les théologiens que des “gourous théologiques” (p. 105)». È appena il caso di ricordare come l’elaborazione teologica e dogmatica fu l’àmbito privilegiato per la costruzione di un retroterra intellettuale comune ai Padri cristiani e ai loro avversari neoplatonici. Basterà menzionare l’importanza della logica di Porfirio nell’elaborazione della teologia trinitaria dal IV secolo in poi: si veda ZACHHUBER 2013.
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