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Date post: 15-Feb-2019
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collana del Dipartimento di Architettura e Analisi della Città Mediterranea .DOC UMENTI
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c o l l a n a d e l D i p a r t i m e n t o d i A r c h i t e t t u r a e A n a l i s i d e l l a C i t t à M e d i t e r r a n e a

. D O C U M E N T I

i n c o p e rt i n aB u c a t u re d i f u c i l e r i a n e l l a c a p o n i e r a d e l l a B a t t e r i a A r g h i l l à

ARCHITETTURE DI TRINCEA S E G N O E D I S E G N O D E I F O R T I U M B E R T I N I

S E B A S T I A N O N U C I F O R A

© 2002biblioteca del cenide

v ia staz ione 10, canni te l lo ( rc )

ph 0965.794731 fx 0965.794317

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Documenti del Dipartimento

Architettura e Analisi della Città Mediterranea

Università di Reggio Calabria

Sebastiano Nucifora

Architetture di trincea

Progetto grafico

Domenico Cogliandro

Impaginazione

Sebastiano Nucifora

Proprietà artistica e letteraria riservata per tutti i paesi.Senza il consenso dell’editore non sono consentite la riproduzione,la archiviazione in un sistema di recupero o la trasmissione,anche parziale, in alcun modo e con qualsiasi mezzo(elettronico, meccanico, microfilmatura, fotocopiatura).

Prima edizione: Settembre 2002

ISBN 88-87669-26-0

i n d i c e . D O C U M E N T I

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Tecnica e mater ia l i

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10 Una guerra mai fat taIntroduzione a l tema

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Fort i f icaz ioni e campi t r incerat ic lass i f icaz ione dei s istemi d i d i fesa

cause del la nasci ta dei campi t r incerat i

precursor i

manual ist ica

perché i for t i umbert in i furono scarsamente ut i l izzat i

Aspetto terr i tor ia lesistema terr i tor ia le e dato cul tura le

s istema tat t ico e d ist r ibuz ione dei for t i

B ib l iograf ia

Disegno, segno e s igni fcatoconsideraz ioni su l d isegno di un forte

segno e s igni f icato

conclus ioni

Glossar io

Forma e t ipoelement i d ist int iv i : inv is ib i l i tà e or izzonta l i tà

e lement i cost i tut iv i d i un forte

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Sul le sponde del lo stret topresentaz ione di Francesca Fatta

Del tema trattato in questo volume si sono occupati i corsi di Disegno dell'architettura tenuti da

Francesca Fatta negli anni accademici 1998/1999, 1999/2000 e 2000/2001, a cui hanno collaborato,

oltre lo scrivente, Agostino Urso, Anna Petino e Gabriella Curtii e, relativamente all’anno 1998/1999,

Domenico Cogliandro. Un ringraziamento va a tutti loro e agli studenti che, con passione e impegno,

si sono cimentati nei difficili rilievi di queste architetture.

Un grazie speciale a Salvo Marano e a Maria Calandra.

Dedico questo volume alla pazienza e alla competenza di Maria.

S.N. Settembre 2002

L’architettura è non più un alzar muri e travi su un tracciato fonda-zionale, ma piuttosto un’impronta, il risultato diretto di uno scavo, e verifica la possibilità sua di sopravvivenza in assenza di faccia-te...

l u c i a n o s e m e r a n i

Lo Stretto di Messina è considerato una via di transito tra le più rilevanti nel contesto dell'area mediterranea. Un braccio di mare che sotto il profilo tattico ha sempre rivestito una grande importanza.Si naviga tra due coste e si osserva a destra e a sinistra un paesaggio complesso, stratificato, ricco di segni che testimoniano tormentate vicende e profonde memorie culturali.Ma com'è lo stretto visto da terra? O meglio, quali sono quelle architetture che sullo stretto traguardano il mare e si ergono come segnali per contraddistinguere la costa o, al contrario, architetture che secondo strategie difensive, sono state concepite per "vedere" senza esse-re viste? Il vedere per essere visti e il vedere per non essere visti sono i due principi strategici che contrappongono quelle particolari costruzioni realizzate sulla linea di costa, su promontori o rocce a strapiombo, su spiagge o isolotti tenuti alla terra ferma da lingue di sabbia che le maree scoprono e ricoprono. I fari, archi-tetture "estroverse" dalla prevalenza verticale, con il loro occhio luminoso fatto per vedere e soprattutto per essere visto, i fortini, strutture "segrete" in parte ipogee poste sugli altipiani delle coste dagli austeri impianti planimetrici orizzontali, concepiti per scrutare il passaggio delle navi sullo stretto. Sono architetture immerse in paesaggi unici, per lo più solitari, silenziosi, in cui il rapporto con la natura e col territorio risulta particolar-mente forte. Sebastiano Nucifora in questo triennio ha affrontato in modo specifico lo studio dei fari sulla costa siciliana e ne ha fatto oggetto della sua tesi di dottorato. Adesso completa l'analisi delle strategie visuali con i fortini.

Le caratteristiche di questi luoghi sono da rintracciare nel rapporto fra natura e architet-tura. Descrivere, rappresentare, raccontare un paesaggio, un organismo architettonico com-plesso, conduce ad esprimersi accettando di vederlo sia attraverso quel piano di sensazioni poetiche e di messaggi provenienti dal patri-monio dell'inconscio collettivo, sia esplorando-ne le proprietà morfologiche architettoniche e naturali che rendono l'ambiente dell'area dello Stretto di Messina, sistemi singolari di paesag-gio e architettura costituiti di terra, mare, sole, vento e mito, e Sebastiano Nucifora, anche attraverso una attenta descrizione grafica, intel-ligente e gradevole, ne illustra le peculiarità.Esistono, a nostro parere, due procedure fon-damentali tese a descrivere e rappresentare i luoghi: una, quella scientifica, legata al disegno di rilievo, che si basa sulle tecniche di una rap-presentazione geometrica dello spazio, finaliz-zata a esprimere la sostanza formale dell'archi-tettura. L'altra, quella dell'irreale poetico, che rende "reale" la rappresentazione attraverso il filtro strumentale della favola, del sogno, del mito riscoperto. Fari e fortini suggeriscono entrambi gli approcci e invitano a soffermasi sulla complementarietà dei due aspetti: lo spa-zio topologico e lo spazio geometrico, per pun-tualizzare forse la questione più sottile presente nella lettura dei forti umbertini dell'area dello Stretto messa in luce da Sebastiano Nucifora.Si parte dall'idea di spazio vissuto come uno spazio filtrato dalla memoria, del vivere corroso dal tempo che cancella, sottolinea e seleziona i dati spaziali recepiti. È lo spazio declinato all'imperfetto che si articola fuori dal presente ma recupera la sua potenza nel processo di rimozioni e di sublimazioni. Evocato sia da condizioni eccezionali che da fenomeni insi-

s u l l e s p o n d e

continuità e di attrazione.I parametri lynciani divengono strumenti attra-verso i quali l'uomo si muove nello spazio: le emergenze, i riferimenti, i percorsi, i nodi, i distretti sono elementi strettamente legati alla specificità del luogo e alla percezione/cognizio-ne del soggetto. Si potrebbero ricordare molti altri interessanti studi sull'argomento che hanno in comune questo approccio spaziale di tipo fenomenologico o esistenziale. Essi tentano di ridimensionare l'impotranza della geometria, dimostrando che esiste un approccio spaziale/strategico, fortemente strutturato nell'uomo, che è a-geometrico e a-matematico.Ritorniamo all'Area dello Stretto e ai forti umbertini posti a corona tra Sicila e Calabria.Essi sono stati immaginati per una strategia difensiva militare capace di coprire con le gittate dei cannoni l'intero territorio tra le due sponde. Il punto di vista dal fortino avrebbe garantito l'avvistamento e l'eventuale attacco alle navi nemiche di passaggio per lo stretto. Ma le strategie cambiano, specie quelle milita-ri (lo sbarco in Normandia insegna).Se il punto di vista dal fortino controllava le navi dello stretto allora un punto di vista più alto avrebbe a sua volta controllato i fortini che controllavano le navi. E così fu. L'istituzione della flotta aerea che sorvolava l'area strategica, mise in luce ciò che era stato progettato per dominare la vista senza essere visto.Come una partita a scacchi, il re fu abbattuto e i fortini decaddero, quntomeno solo strate-gicamente.

Francesca Fatta Agosto 2002

gnificanti lo Stretto di Messina si ripresenta improvviso, inaspettato, a volte indesiderato e, nella sua quotidianità, si sostanzia di nuovi continui insospettati dettagli. Lo spazio vissuto è infatti anche lo spazio del sentimento, lo spa-zio della poesia. Nella nostra memoria esso si libera del surplus e diventa teatro della nostra vita intima.Poi c'è lo spazio onirico, un filtrato dell'incon-scio, caricato oltre che dai dati personali anche da quelli del mondo archetipico. Uno spazio senza tempo dove gli elementi assumono dimensioni, colori e forme emblematici.Ora se lo spazio vissuto è lo spazio della memoria e lo spazio onirico è lo spazio dell'in-conscio, lo spazio geometrico è invece frutto della mente, prodotto dall'astrazione. Lo spazio geometrico non deriva da una percezione del mondo acquisita nell'infanzia, ma da una con-cezione astratta del reale: quella di un universo esteso, illimitato, senza direzioni, senza suoni né odori, osservato da un punto di vista ester-no all'universo stesso.Lo spazio geometrico è la manifestazione dell'homo erectus, che guarda verso l'orizzonte e oltre, là dove i termini topologici lontano e vicino, alto e basso non hanno significato. Gli oggetti si misurano secondo distanze definite dalla triade cartesiana, rappresentazione di uno spazio razionale, intelligibile, indeformabile. Adatto per studiare traiettorie e le gittate dei cannoni, e la proiezione dei fasci luminosi delle lanterne.La sommatoria di questi concetti da luogo ad uno studio dello spazio fenomenologico, analisi di luoghi identificati e precisi, non tanto misura-bili da distanze fisse, angoli, aree, ma definito piuttosto da rapporti di vicinanza, di separazio-ne, di successione nel tempo; di recinzione, di

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UNA GUERRA MAI FATTAIntroduzione a l tema*

-Così la fortezza non è mai servita a niente?--A niente- disse il capitano.Dino Buzzati, Il Deserto dei Tartari

Dal manuale Fortificazioni del colonnello Lodovico Marinelli, 1911.

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Una mattina di un imprecisato giorno del 1892 il tenente colonnello Venerando Balzo, giovane ingegnere e tecnico responsabile, nonché Capo Cantiere dell'Ufficio del Genio Militare dello Stato Maggiore del Regio Esercito Italiano, controllava minuziosamente il sistema di apertura e di chiusura del massiccio ponte levatoio in ferro che permetteva l'accesso ad uno dei ventiquattro forti (l'ultimo in ordine di tempo) fatti costruire, per volere dello stesso Re Umberto I di Savoia tra le colline di mezza costa dei versanti calabrese e siciliano dello Stretto di Messina. La loro esistenza, ideata dai famosi gene-rali Cavalli e Mezzacapo, aveva il compito di arginare un eventuale attacco da parte della flotta dell'impero Ottomano, ora più che mai probabile in un periodo in cui l'Italia meridionale assumeva un ruolo strategico per la politica espansionistica che si andava progettando verso i Balcani e l'Africa mediterranea.

Venerando constatò il perfetto funziona-mento del meccanismo nascosto al livello del fossato che riportava adesso, in un controllato cigolio di complessi ingranag-gi, il ponte in posizione di apertura. Fatto questo ampliò lo sguardo all'intero forte, così ordinato nella geometrica simmetria dell'impianto, nella impeccabile ed uni-forme tessitura dei paramenti murari in pietra calcarea e nella robusta finitura in pietra lavica e mattoni delle testate dei muri, delle finestre strombate, delle porte e delle feritoie. Salì, dal lato della capo-niera, per una delle rampe carrabili fino a raggiungere il terrazzo verso mare, dove sei binari perfettamente circolari attende-vano il futuro collocamento dell'artiglieria di posizione. Da lì sopra si godeva di una ineguagliabile vista verso lo Stretto men-tre, ad ovest, si delineava nitida all'oriz-zonte (la giornata era tersa e ventosa) la sagoma delle isole Eolie.Soddisfatto, decise che l'indomani avrebbe dichiarato conclusi i lavori, per-fettamente in regola con i tempi imposti dal Comando Generale.Il forte (il suo forte) era dunque, così come gli altri ventitré, finalmente pronto. Pronto ad accogliere, pensava Balzo, eroiche guarnigioni di soldati di fan-teria e quei nuovi obici di posizione con il puntamento rapido in direzione, dalla gittata potente e precisa, capace di raggiungere senza meno fin quasi l'altra sponda. Questa nuova potenza, degna del secolo che stava per arrivare, avrebbe reso impossibile qualunque tipo di attraversamento di quel corridoio di mare destinato ad essere, per i nemici, una bocca di lupo senza scampo.Gli invisibili fortini, era convinto Venerando, scavati e appiattiti sulla cima delle colline, come soldati striscianti pan-cia a terra e fucile puntato, sarebbero per sempre stati gli implacabili guardiani di Scilla e di Cariddi.Contemporaneamente, a qualche miglia-io di chilometri di distanza, su una delle pianure del New South Wales, Lawrence Hargrave1, anch'esso ingegnere, ripeteva fra se e il vento che si andava levando da settentrione che sì, era quella l'intui-

Figur ine sul la guerra i ta lo-turca, 1911-1912.

Col lez ione del la Chocolate Juncosa- Barcel lona

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zione giusta: usare due superfici portanti sovrapposte in luogo di una sola e sta-bilizzare il suo grande aquilone con due separati flussi d'aria, uno per le superfici portanti anteriori e l'altro per le poste-riori. Per ora lo avrebbe guidato da terra il suo famoso Box, ma presto, molto presto, ne avrebbe fatto, con l'ausilio di un motore a scoppio, una vera e propria macchina volante capace di trasporta-re cose e persone. Certo, se il tenente Venerando Balzo avesse potuto essere lì e vedere con i propri occhi l'oggetto volante di Hargrave sollevarsi da terra con sì tanta leggiadria e librarsi ben al di sopra della sua testa, le sue certezze avrebbero iniziato a vacillare (come in realtà l'aquilone di Lawrence in quel suo primo volo), poiché Venerando era uomo d'armi sveglio di comprendonio e avreb-be subito intuito le potenzialità militari di quello strano aliante così sorprendente da imitare gli uccelli. Avrebbe intuito che appena un decennio dopo i fratelli Wilbur e Orville Wright, passando per le esperienze di Samuel Cody, avrebbero sviluppato quell'idea fino alla fatidica data del 17 Dicembre 1903, quando portan-do in volo il loro primo biplano a motore, così simile nella sua essenza all'aquilone di Lawrence, avrebbero inaugurato una nuova era per il progredire civile e, loro malgrado, per una diversa idea di guerra.Se avesse potuto vederlo, quell'aquilone, Balzo avrebbe certamente capito che gli attacchi degli assedianti, semmai fosse-ro giunti, avrebbero avuto come teatro il cielo e non già più il mare. Così sarebbe stato.

Il destino dei ventiquattro forti dello Stretto era segnato; nessun colpo partì mai dalle loro artiglierie, poiché nessuna artiglieria mai fu collocata sui binari delle loro terrazze. L'illusione dell'invisibilità resistente alla vista frontale delle colline cadde misera-mente alla prepotente vista zenitale delle riprese aeree. Da qui la loro vulnerabilità e inutilità.Il progresso del novecento avanzava veloce più che mai e Balzo Venerando, adesso capitano, prima di prendere il brevetto di pilota (fu uno dei migliori nel conflitto del quindicidiciotto quando aveva poco più di quarant'anni) a lungo odiò il rombo di quegli uccelli di ferro e di fuoco.

* Ad eccezione del tenente colonnello Venerando

Balzo, frutto di fantasia, fatti e personaggi narrati in

questa introduzione sono reali.

1. Lawrence Hargrave era australiano di origini

inglesi, nato a Greenwich nel 1850 e residente nel

New South Walles. Hargrave cominciò ad interes-

sarsi ai problemi del volo intorno ai 30 anni. Le sue

ricerche, annotate ed illustrate con cura nei suoi

quaderni di appunti, sono oggi raccolte nel Museo

delle Scienze del New South Wales... G. Accascina,

Aquiloni, Stampa alternativa, 1991, p.69.

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Moebius, Les Humanoides Associés, 1979

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FORTIFICAZIONI E CAMPI TRINCERATI

Nell'ultimo quarto del XIX secolo, le nuove scelte di politica espansionistica del Regno d'Italia, impongono la neces-sità di elaborare un piano generale delle fortificazioni che tenesse conto di futuri e ipotetici scenari di guerra.Nell'ottobre del 1880, a questo scopo, l'allora Ministro della guerra generale Milon nominò una commissione per-manente presieduta dai generali Luigi Mezzacapo e Salvatore Pianel. A seguito della relazione sui lavori di tale commis-sione, il Ministro indicava con urgenza le aree delle coste dell'Italia peninsulare da fortificare per una più efficace difesa con-tro eventuali operazioni di sbarco nemico. Tra queste era compresa l'area dello

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Stretto di Messina, luogo tradizional-mente strategico nello scacchiere bellico del Mediterraneo e punto di passaggio obbligato verso il settentrione. Il Regio Decreto del 7 Dicembre 1882 n° 1128 accoglieva in toto i suggerimenti della commissione e dichiarava di pubblica utilità la costruzione delle opere di forti-ficazione dello Stretto e della Piazza di Messina. Tale documento dava l'avvio alle procedure di esproprio delle terre e ai conseguenti lavori di costruzione che da lì a poco lo Stato Maggiore dell'Esercito Italiano avrebbe portato al termine con la nascita di una ventina di strutture militari, in seguito denominati con l'appellativo di Forti Umbertini. Di questi forti, 15 venne-ro fatti costruire sulla sponda sicula e 9 sulla sponda calabra.Prima di entrare nello specifico di que-sti manufatti e di studiarli secondo i vari aspetti con cui si propongono all'osser-vatore odierno, cerchiamo di dare una risposta alle seguenti domande: come si inquadrano nelle scelte strategiche delle strutture militari dell'epoca; perché venne costruita questo tipo di difesa così distante rispetto al luogo da difendere; chi furono i loro ideatori e da quale manuali-stica o precedenti esperienze trassero lo spunto per la loro edificazione; infine, per quale motivo il loro uso risultò così limita-to in relazione alla entità dell'intera opera.

I Forti dell'area dello Stretto sono, nel lessico militare, manufatti appartenenti alla categoria delle fortificazioni artificiali permanenti, mentre, per il numero e il modo in cui sono disposti, fanno parte di un sistema difensivo chiamato campo trincerato a forti e batterie staccate, col-legati tatticamente fra loro.Nell'arte della guerra la fortificazione è per definizione ciò… che insegna ad approfittare delle condizioni offensive e difensive naturali delle località (fortifica-zione naturale), oppure ad accrescerle o a sostituirle con opportuni provvedimenti (fortificazione artificiale) al fine di favorire l'azione delle truppe e l'efficacia delle armi che vi sono impiegate e altresì di provvedere alla conservazione di tutti

gli elementi di forza nella preparazione, nell'attesa e nello sviluppo dell'azione.1

L'appellativo permanente si riferisce tanto ai materiali usati nella costruzione, che erano di tipo durevole quali pietre, mat-toni, metalli etc., quanto alle intenzioni degli ingegneri militari che li progettarono con lo scopo di assicurare stabilmente, e quindi anche in tempo di pace, il posses-so ed il controllo di località di importanza strategica quali porti, città capitali, passi montani, sondi ferroviari, linee di frontiera o, come nel caso in questione, importanti passaggi di mare.2 Tali fortificazioni si dif-ferenziano da quelle passeggere, campali o di circostanza, che invece si caratte-rizzavano per l'aspetto temporaneo della loro durata, e che venivano progettate ed eseguite in tempo reale sul campo di bat-taglia, perdendo di qualunque importanza alla fine della guerra stessa.La fortificazione permanente può essere di tipo isolata, come nel caso di una singola postazione, un singolo fortino, una batte-ria; o prevedere una serie di opere posizio-nate sul territorio in vario modo e che, in vario modo, interagiscono con esso. Sono opere che possono svilupparsi in senso lineare, allo scopo di controllare una fron-tiera o comunque un limite importante (si pensi alla linea Maginot), oppure tendere ad occupare e controllare il territorio in più direzioni; nel secondo caso si parla pro-priamente di campi trincerati o di regioni fortificate. Il campo trincerato, detto anche piazza a forti staccati, è, nella accezione più generale, una fortificazione costituita da una cinta continua di opere poste attorno ad un nucleo da difendere (città, stabilimento militare, luogo strategico etc.) e da una linea o più linee di opere staccate, più o meno distanti dal luogo in oggetto. La differenza sostanziale con la regione fortificata risiede nel fatto che quest’ultima riunisce le opere staccate in piccoli gruppi, intervallati tra loro da larghi spazi di manovra; questo espe-diente aveva, secondo gli ideatori, una funzione deterrente nei confronti dell'at-taccante, il quale risultava ostacolato, nel passare tra un gruppo e l'altro di opere,

Classificazione dei sistemi di difesa

16 . D O C

dell'arte della guerra, sia nella costruzio-ne di nuove armi di offesa, sia nella idea-zione di nuove strutture di difesa. A dire il vero, il meccanismo di azione e reazione non fu, nel caso in questio-ne, subitaneo, e per tutto il secolo XV e buona parte del XVI alla produzione di fucili e cannoni sempre più potenti e precisi non corrispose l'invenzione di nuove strutture difensive. D'altro canto, le innumerevoli quantità di mura, torri e castelli presenti a protezione dei luoghi e che, fino a quel momento, avevano ben assolto ai loro compiti difensivi, rappre-sentavano un patrimonio di beni militari che avrebbe richiesto ingenti somme di denaro nel caso di totale rifacimento. Si assiste così ad un periodo transitorio in cui la prima contromisura fu rappre-sentata dall'ispessimento delle murature esistenti allo scopo di offrire una mag-giore resistenza all'impatto dei proiettili. Un esempio è l'operazione di riammo-dernamento che Niccolò V, a metà del XV secolo, attuò sulle mura di Roma nel momento in cui ispessì tutte le torri della cinta di Leone IV e ne costruì una nuova con il muro basamentale profondo circa 8 metri. Con il passare del tempo e il perfe-zionamento dei mezzi d'attacco, altre modificazioni si andarono apportando alle opere esistenti. Tra queste, ciò che maggiormente caratterizzerà l'aspetto esteriore delle nuove fortezze, l'abbas-samento delle mura, e più ancora quello delle torri, che in certi casi furono elimi-nate, allo scopo di offrire un bersaglio di dimensioni minori ai tiri dell'attaccante. Questa esigenza è alla base anche del cambio del tracciato in pianta delle torri che, da circolari o quadrangolari, diven-nero di forma pentagonale con il vertice rivolto verso l'esterno, due lati di con-giunzione con la cortina muraria, e il lato di base inserito in quest'ultima. Questa nuova forma darà vita alla struttura che in seguito verrà denominata bastione o baluardo. Considerato che la muratura scoperta comunque mal resisteva ai colpi delle artiglierie, si ricorse inoltre ai primi terrapieni o rampari in terra sistemati

Cause della nascita dei campi

trincerati

dall'azione dell'artiglieria delle strutture laterali prospicenti gli spazi di manovra e dalle sortite delle guarnigioni di stanza nei gruppi stessi. Alcuni autori, tra cui Borgatti, fanno rientrare nella tipologia dei campi trincerati anche le regioni forti-ficate, definendole come campi trincerati a gruppi di opere staccate3; i loro fautori sostenevano che raggruppare le opere staccate, oltre a diminuire le spese di costruzione dell'intera opera, garantisse una maggiore resistenza della linea di difesa e un minore impiego di truppe. La proprietà comune ai due tipi di fortifica-zione riguarda invece la capacità di carat-terizzare l'area in cui vengono edificate; in modo più discreto e puntuale nel caso dei campi trincerati, in modo più invasivo in quello delle regioni fortificate. Le aree interessate, infatti, sono sempre di ampie dimensioni, poiché solo con un raggio sufficientemente ampio è possibile fare un'azione di appoggio a un potente com-plesso di forze mobili e proteggere una località importante.

L'evoluzione dei sistemi e delle strategie di fortificazione per la difesa dei luoghi ha sempre proceduto di pari passo con quella del perfezionamento nella tecnica di produrre ed utilizzare gli armamenti per il loro attacco. Spesso le guerre si sono vinte nel momento in cui l'attaccante risultava in possesso di armi tecnologica-mente innovative per le quali il difensore non aveva previsto adeguate contromi-sure.Non è questa la sede per una descrizio-ne dell'evoluzione dell'arte della guerra dalle sue origini ai giorni nostri; tuttavia, per comprendere il perché si arrivi alla ideazione delle strutture dei forti umber-tini è necessario definire almeno le tappe fondamentali che hanno portato, nell'età moderna, alla nascita e alla scomparsa del sistema difensivo a campi trincerati.E' indubbio che il punto di svolta più importante è rappresentato dalla appari-zione, nel XIV secolo, e dalla diffusione, nel XV, della polvere da sparo. Questo nuovo mezzo, dalla catastrofica potenza distruttrice, rivoluzionò tutti gli aspetti

Schemi di Campo trincerato e Regione fortificata secondo Borgatti

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Figur ine sul la guerra i ta lo- turca, 1911-1912. Col lezione del la Choco la te Juncosa- Barce l lona

sia all'esterno che all'interno della cinta muraria e, più ancora, si presero a sca-vare fossati attorno alle mura per meglio proteggerne il piede. I fossati, spesso acquei, erano larghi e profondi affinché non si colmassero con i resti delle mura eventualmente abbattute, e ad essi fu sempre accompagnato un muro di scarpa verso la città e, a volte, uno di contro-scarpa verso l'esterno.In queste trasformazioni è già possibile cogliere molti degli elementi caratteri-stici delle fortificazioni ottocentesche quali fossati, terrapieni, muri di scarpa, ma più ancora la tendenza all'abbassa-mento dell'intera struttura che cerca di essere sempre meno visibile ai nemici. Tuttavia, tatticamente, queste opere con-tinuavano ad essere costruite sempre a

stretto ridosso del nucleo da difendere. Per giungere alla ideazione del sistema a campi trincerati e dunque a ciò che con-cerne il posizionamento delle fortificazioni sul territorio, è necessario che avvenga una nuova rivoluzione nel campo degli armamenti. E' il 1844 quando il generale torinese Giovanni Cavalli mette in pratica le sue teorie per risolvere il problema legato alla presenza del cosiddetto vento, cioè il gioco che esiste tra il diametro del pro-iettile e quello effettivo dell'anima interna della bocca dell'artiglieria. Questa diffe-renza minima, ma necessaria, tra le due misure, era in realtà la causa di problemi di non poco conto, dovuti soprattutto alla sfuggita laterale dei gas al momento dello sparo, con conseguente perdita di poten-za e di gittata dell'arma. Il Cavalli intro-dusse la rigatura dell'anima interna della bocca da fuoco, con la quale si poté abbandonare la classica palla di canno-ne sferica a favore del proiettile di forma ogivale che perfettamente si adattava all'anima dell'arma. La rigatura è la carat-teristica essenziale di tutte le artiglierie moderne e i suoi effetti sulle potenzialità delle nuove armi furono tali da rivoluzio-nare tutti i sistemi di attacco-difesa. La ragione di queste trasformazioni è pre-sto detta. Per colpire a grande distanza ed in modo efficace occorrono due con-dizioni: che il tiro sia preciso, cioè colpi-sca il bersaglio, e che sia efficace, cioè di potenza adeguata al bersaglio stesso. I proiettili sferici lanciati dalle vecchie armi ad anima liscia non erano adatti alle lun-ghe gittate, né ai tiri precisi, né a calibri elevati. Le lunghe gittate non potevano ottenersi a causa della scarsa aereodi-namicità della palla di cannone, venendo meno alla nascente necessità di colpire il nemico da distanza sempre più grande. Le traiettorie di tiro non potevano essere precise poiché le irregolarità della resi-stenza dell'aria (a cui la scarsa capacità penetrante della sfera non permetteva di reagire in modo sufficiente) facevano sbandare gli antichi proietti, provocando un errore che cresceva in misura espo-nenziale in relazione alla distanza, tanto

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Bastione. Da B. Zanotti, Atlante di forti-ficazione, 1891

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che per gittate superiori ai 2500 metri la precisione diventava irrisoria. I calibri elevati, infine, non potevano essere usati poiché avrebbero appesantito ancora di più il proiettile, con conseguente ulteriore perdita di gittata e precisione. Con l'introduzione dell'artiglieria rigata e del proiettile ogivale tutti questi problemi vennero in gran parte eliminati, con un considerevole aumento della stabilità e della precisione della traiettoria. Il tiro poteva disporre di una maggiore potenza di lancio e di un notevole aumento della gittata, consentendo di colpire ad una distanza praticamente doppia di quella fino ad allora possibile con le artiglierie ad anima liscia. Questa innovazione, introdotta definitivamente intorno al 1860, portò ad una drastica revisione di tutte le strutture fortificate poiché diede la pos-

sibilità agli attaccanti di colpire con forza e da più grande distanza i bersagli visibili con tiri sia diretti che arcati, e anche di ottenere buoni risultati verso i bersagli non visibili con i tiri indiretti.La conseguenza dell'impiego su larga scala dei tiri curvi con obici e mortai e di proiettili dal calibro decisamente più elevato resero poco efficaci le strutture difensive esistenti. La contromisura che si oppose a questa nuova condizione fu quella di allontanare sempre più le opere staccate dal nucleo da difendere, giun-gendo così alla costituzione dei campi trincerati. Il vantaggio era quello di tenere l'attaccante più lontano dal nucleo e, qualora si trattasse di una città, gli era impedita una azione violenta di bombar-damento con conseguente distruzione del centro e forzata cessione della piaz-

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Bast ioni . Da Fort i f icaz ioni d i L. Mar ine l l i

za. Secondo i manuali di fortificazione, il sistema avrebbe avuto un effetto deter-rente tale da neutralizzare le mosse dei belligeranti e garantire così una pace duratura tra gli stati. Sulla fiducia riposta nella validità dei campi trincerati, Mariano Borgatti scri-veva nel 1898: la difesa deve esaurirsi al perimetro del campo trincerato; giacché essendo il bombardamento una delle azioni più importanti da tentare sul nucleo abitato per produrre danni che conducano poi alla resa, o per il sollevamento della popolazione civile, o per importanza dei danni stessi, l'attaccante, appena potrà spingere avanti le proprie batterie, bom-barderà la piazza.4

La seconda metà degli anni settanta del XIX secolo vide molti stati europei intra-prendere la costruzione di mastodontiche opere di fortificazione allo scopo di adat-tarsi alle nuove condizioni. La Francia, che già aveva dotato di una difesa ester-na Parigi nel 1837, disseminò la frontiera con la Germania di anelli di forti attorno alle proprie città (Verdun, Toul, Epinal, Belfort), e lo stesso fece la Germania soprattutto in Alsazia e Lorena. Anversa, in Belgio fu dotata di un anello di forti lungo un perimetro difensivo di 92 chilo-metri, mentre nuove fortificazioni nasce-vano a Nemer e a Liegi. In Italia, oltre alla proposta per la costru-zione dei forti dell'area dello Stretto, la Commissione permanente per la difesa generale dello Stato presentò, nel 1871, la proposta di fortificare praticamente tutto. Secondo i suggerimenti conte-nuti nella relazione finale, la penisola si sarebbe dovuta presentare irta di forti, fortezze e campi trincerati. Nella prima stesura erano circa un centinaio i punti da fortificare in vario modo, poi scesero a ottanta in una seconda stesura e, in ultimo furono ancora notevolmente ridotti. Di tutti i progetti di campi trincerati (tra cui ricordiamo quelli realizzati nei territori di Mestre, di Verona e di Terni), molti dei quali rimasti sulla carta, i forti umbertini peloritani e aspromontani rimangono una delle opere costruite più imponente per numero di forti ed estensione territoriale.5

Occorre distinguere le personalità militari che hanno portato alla nascita del campo trincerato e che si sono occupate delle strategie di posizionamento delle struttu-re sul territorio, da quelle che con le loro ricerche hanno contribuito all'innovazione tecnologica e formale delle singole strut-ture. Le prime hanno rivolto i loro studi all'organizzazione spaziale dell'area da difendere, aspetto che influisce fortemen-te a livello ambientale, mentre le seconde si sono occupate dell’introduzione di nuovi elementi architettonici o di nuovi modi per costruire gli elementi già esi-stenti: fronti bastionati, terrapieni, fossati, finestre strombate, caponiere etc. Questo aspetto riguarda più specificamente la sfera compositiva del singolo edificio ed incide nella sua configurazione formale.

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Tra le personalità che si occuparono del primo aspetto, il precursore delle teorie sui campi trincerati fu Nicolò Tartaglia che, in uno scritto risalente al 1546 inse-rito nell'opera Quesiti et inventioni diver-se, affermò la necessità di fortificare un centro urbano, o comunque un nucleo importante, tenendo in considerazione un ampio tratto di campagna circostante. Egli sosteneva che, oltre la cinta delle mura urbane, fosse necessario posizio-nare tutto intorno e a debita distanza un certo numero di opere difensive definen-do, in tal modo, i principi base del campo trincerato. Qualche anno più tardi Aurelio de Pasino propose al principe d'Oran-ge, in concomitanza della guerra della Fiandre, un progetto simile per Anversa, che però fu attuato solo in parte. Nel 1689 Sebastien Le Prestre de Vauban, che vedremo essere figura di spicco tra coloro che innovarono l'aspetto formale e funzionale delle singole opere, suggerì per la difesa di Parigi non solo di rinforza-re le vecchie mura, ma anche di costruire una nuova linea difensiva esterna, e ad una distanza pari alla gittata massima dei cannoni dell'epoca. Nonostante questi precedenti, la storia della fortificazione attribuisce ufficialmete ai tedeschi il merito della costruzione dei primi veri campi trincerati. A Coblenza, nel 1816, il generale prussiano Asler mise in pratica le sue teorie secondo le quali le resistenze delle piazzeforti dovevano con-centrarsi soprattutto all’esterno, secondo il principio che conviene esaurire, se pos-sibile, le forze dell'attaccante nei primi periodi della lotta.6 A Coblenza seguirono Ulma, Colonia, Rastatt, Germensheim e, in Italia settentrionale Verona e Bressanone. Per quanto riguarda l'apparato architet-tonico delle singole strutture abbiamo visto come le modificazioni formali siano anch'esse frutto dell'esigenza di contra-stare l'evoluzione delle armi da fuoco. Il personaggio a cui si fa universalmente riferimento e che tra i primi teorizzò, o piuttosto mise in pratica, i risultati di questa esigenza, è proprio Sebastien Le Prestre de Vauban, maresciallo eco-

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nomista ed ingegnere ai tempi di Luigi XIV. Vauban è considerato l'esponente dell'arte classica delle fortificazioni di quel periodo ed una sua biografia rac-conta che avrebbe lavorato a ben 118 piazzeforti, costruendone ex-novo 33. Egli è l'ideatore di tre nuovi sistemi di for-tificazione che sarebbero in seguito dive-nuti modello di riferimento formale per le costruzioni analoghe di tutta Europa. Il primo sistema, la cui idea di base è quella di scaglionare in profondità la difesa, prevede che l'opera fortificata abbia, nel fronte d'attacco, la presenza di due bastioni a forma pentagonale tra cui è inserita un'opera avanzata triango-lare staccata dal muraglione e chiamata mezza luna, la quale fiancheggia i bastio-ni e protegge la tenaglia. Un fossato separa bastioni e tenaglia dalla mezza luna, mentre quest'ultima è collegata alla tenaglia da una doppia caponiera. Innanzi al fossato ci sono la Piazza d'armi ed il camminamento coperto che difendono direttamente gli spalti che si sviluppano a stella attorno a tutto l'insieme.Il secondo sistema (1687) è basato sull’idea di aumentare in profondità la difesa, diminuendo la lunghezza del peri-metro della piazzaforte, e nasce dall'esi-genza di rispondere ad un tipo di attacco concepito dallo stesso maresciallo (tir à

ricochet o attacco alla Vauban).7 In que-sto nuovo schema, il primo sistema viene perfezionato con l'introduzione di torri bastionate e di un fossato doppio anzi-ché unico. Il terzo sistema del 1698 è, di fatto, solo la sofisticazione del secondo, che rimane la vera invenzione di Vauban. Tuttavia anche i tre sistemi da lui pro-posti non sono del tutto originali poiché fanno riferimento ad altri specialisti del mestiere che già in precedenza avevano elaborato soluzioni similari. Già nel XVI secolo le intelligenzie militari turche ave-vano infatti suggerito all'Europa precisi modelli di riferimento, raccolti prima da De Ville nella sua opera fondamentale Les fortifications del 1628 e poi innovate dalle teorie di Comte de Pagan a cui Vauban si richiama direttamente. Per molti Pagan è il vero autore del primo sistema ma anche il suggeritore del secondo e del terzo, ai quali però Vauban apporta modifiche così personali da non renderne discutibile la paternità.

22 . D O C

Manualistica

Frontespizio del testo di M Borgatti

La fortificazione permanente contemporanea 1898

Anche se i tre sistemi di Vauban non sono stati da lui teorizzati in nessun testo8, il geniale stratega di Saint Léger de Foucheret è tuttavia l'autore di uno dei trattati più importanti del 700 sulla razionalizzazione delle prese delle città: il Traitè de l'attaque et de la defense des places edito postumo nel 1737, che si sviluppa sulla base delle innu-merevoli esperienze condotte durante la sua carriera di grande pratico delle fortificazioni. Sempre in Francia videro la luce altre importanti opere dal carattere più squisitamente tecnico-costruttivo quali l'Architecture militaire ou l'art de fortifer di L. de Cormontaigne del 1741 e, in Germania, Anfansgrunde zu der Fortifikation di G. R. Fasch edito a Norimberga nel 1780.I manuali italiani di quel periodo sono soprattutto opera di scrittori milita-ri veneti quali A. Raschini Soliani e C. Borgo, autori rispettivamente del Trattato di Fortificazioni moderne del 1748 e dell'Analisi ed esame ragionato dell'arte della Fortificazione del 1770. Senza dimenticare autori stranieri di ini-zio Ottocento, che ebbero largo seguito in Italia, come B. F. de Belidor con il suo La scienza degli ingegneri nella direzione delle opere di fortificazione del 1813, c'è da dire che gli spunti principali agli ide-atori delle fortificazioni umbertine dello Stretto vennero dai trattati scritti della metà dell'Ottocento in poi, quando cioè furono recepite le modificazioni tattiche e tecnologiche dovute alla introduzio-ne dell'artiglieria rigata nella guerra di posizione. Importante, a tal proposito è la seconda edizione del testo di G. H. Dufour De la fortification permanente edito a Ginevra nel 1851.Per ciò che riguarda la manualistica dell’ottocento, essa fa riferimento in particolar modo a scrittori della scuo-la piemontese esperti in arte militare quali Giovan Battista Bruzzo, autore di un testo uscito a Torino nel 1849 con il titolo Nozioni sulla fortificazione per-manente, e soprattutto a C. Sachero e al duo E. Cosentino e G. Carotti, autori rispettivamente del Corso di fortifica-

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For te d i montegna da E. Le i thner La guerra d i for tezza, 1893

zione permanente, edito a Torino nel 1861, e di Elementi di Fortificazione, che uscì a Modena nel 1874. Successivi alla costruzione dei Forti dello Stretto sono le opere forse più famose sul tema, quali Fortificazione permanente di B. Zanotti del 1891 e soprattutto i testi di Mariano Borgatti, Il campo trincerato moderno del 1897 e la Fortificazione permanente contemporanea del 1898. Nelle opere citate vengono riportati sia vari schemi di campo trincerato che di forti staccati permanenti, nonché tutta una serie di disegni, particolarmente ricchi di parti-colari esecutivi, che servono tanto alla realizzazione dei corpi principali (magaz-zini da polvere, caponiere, rivellini, case-matte, cannoniere, fossati, rampe etc.) quanto ai più minuti elementi delle ferito-ie, delle strombature delle finestre, delle guide dei ponti levatoi, delle cupole per le gli obici, dei recipienti da polvere da sparo e fino al modo migliore per acca-tastare i proietti.A completare il quadro degli autori ita-liani di fine secolo vanno ricordati gli scritti di E. Rocchi, di A. Guidetti e soprattutto di Leone Andrea Maggiorotti, al quale si deve l'opera completa in 13 volumi Architetti e Architetture milita-ri del 1936 che, pur non essendo un manuale, rappresenta un lavoro storico completo sulle fortificazioni dalle origini fino agli inizi del XX secolo. Maggiorotti, Rocchi ed altri furono teorici, ma anche realizzatori pratici, di schemi diversi di campo trincerato. Il primo ne ideò uno, detto appunto tipo Maggiorotti, a svi-luppo pentagonale per gruppi di piccole opere (in realtà una regione fortificata) disposte attorno al nucleo da difendere; il secondo un altro (detto tipo Rocchi) che prevede forti staccati disposti ad anello attorno al nucleo da difendere. Altri schemi presenti spesso nei manuali sono il tipo Laurent, il tipo Welitschko, il tipo Cool e il tipo Crainicianu, tutti carat-terizzati da fronti difensivi lineari.9 Gli stessi autori, così come per gli schemi dei campi trincerati, forniscono un vasto repertorio formale dell'organizzazione planimetrica delle singole opere staccate

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26 . D O C

Schema di campo trincerato tipo Rocchi, da M.Borgatti La fortificazione permanente contemporanea, 1898

del tipo permanente. Anche in questo caso gli autori italiani più prolifici sono Rocchi e Maggiorotti, nelle cui soluzioni si ritrovano chiari riferimenti compositivi dei forti messinesi e reggini.Il caso dello Stretto, anche per la vasti-tà in senso longitudinale dell'area da difendere, non permetterà l'uso rigido di uno degli schemi proposti dai manuali, ma richiederà l'adattamento di schemi lineari contrapposti lungo le due sponde, con forti principali, batterie diversificate e polveriere. D'altro canto siamo qui in presenza del passaggio di un importante tratto di mare sicché il sistema difensi-vo rientra nell'ambito particolare di ciò che la manualistica chiama fortificazione costiera. Sarà il generale Giovanni Cavalli, lo stesso che introdusse l'artiglieria rigata, l'artefice principale della strutturazione delle due linee dei forti umbertini, non-ché l'ideatore delle soluzioni composi-tive e tipologiche delle singole opere. Dal generale Cavalli prenderà il nome uno dei forti più importanti della sponda messinese, sito sulla sommità del Monte Gallo, che ha rappresentato il primo avamposto di difesa contro i nemici che avessero tentato l'ingresso da Sud nelle acque dello Stretto.

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sopra:

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La fort i f icaz ione permanente

contemporanea, 1898

L'uso in azioni di guerra del sistema dei forti umbertini fu decisamente limitato se si considera l'entità dell'intera opera in termini di impiego di risorse economiche e quantità di mezzi messi in campo per la loro costruzione. Le ragioni di ciò furo-no essenzialmente due, peraltro tra loro correlate: una temporale e l'altra tecno-logica. L'unico conflitto che vide coinvolta l'Ita-lia, avvenuto tra la fine della costruzione dei forti, il 1892, e l'inizio della I guerra mondiale, fu quello dichiarato alla Turchia il 29 settembre del 1911 per la conquista della Libia. Questa azione bellica, alle cui conseguenze era in fondo legata l'esi-genza di proteggere il passaggio dello Stretto verso il Mediterraneo settentriona-le, arrivava però dopo un lasso di tempo lungo quasi venti anni, e doveva risolversi appena un anno dopo con la pace firma-ta a Losanna il 18 ottobre del 1912, che decretava la cessione della Tripolitania all'Italia. Durante questa sorta di ritardo del conflitto, che tra l'altro non interessò mai le sponde italiche ma rimase confi-nato tra le coste africane e i Dardanelli,

qualcosa di fondamentale era però avve-nuta. Il 17 dicembre 1903 i fratelli Wright sor-prendevano il mondo intero effettuando il loro primo volo ufficiale con un biplano a motore più pesante dell'aria e, di li a poco, tutti i più importanti eserciti veni-vano dotati di una flotta aerea da guerra, dando di fatto vita all'era dell'aviazione militare. L'invenzione dell'aereo, al pari di quel-la della polvere da sparo, era destinata a stravolgere l'idea stessa di guerra e, improvvisamente, i forti umbertini si ritro-varono ad essere già superati senza nep-pure essere messi alla prova dei fatti.Il sistema di costruzione dei forti si basa-va infatti su un'idea di mimetizzazione che teneva conto dei mezzi bellici pre-senti all'epoca della loro ideazione. Il loro alloggiamento veniva ricavato scavando il fianco interno della collina e addossan-do ad esso la costruzione. In tal modo il fianco esterno rimaneva inalterato alla vista dal mare e non dava adito ad alcun sospetto circa quello che in effetti nascondeva. Questo espediente faceva

Perché i forti umbertini furono scarsamente

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in modo di riservare alla costruzione un solo prospetto, quello interno dal lato del ponte levatoio; invisibili alla vista frontale, ma perfettamente individuabile alla vista zenitale, i forti risultavano pertanto del tutto inservibili nel caso di un attacco dal cielo. Senza l'ausilio di un aeroplano, chi ancora oggi volesse tentare di individua-re, da una nave che attraversa lo Stretto, anche una soltanto di queste postazioni, si imbarcherebbe in una impresa a dir poco improbabile. L'osservazione aerea intensificata e i progressi ottenuti nel rilievo fotografico, che davano l'opportunità al nemico di individuare con esattezza le posizioni e quindi i punti importanti da assegnarsi come obiettivi dell'artiglieria sia aerea che terrestre, affermarono la necessi-tà di ricorrere al mascheramento e al mimetismo soprattutto dall'alto e, in effetti, tutte le fortificazioni novecente-sche avranno come principio costrut-tivo quello di occultare le strutture alla vista zenitale. C'è da ricordare inoltre che durante il primo conflitto mondiale

l'importanza della fortificazione campa-le aumentò, mentre diminuì quella della fortificazione permanente, probabilmente perché quest'ultima si rivelò troppo rigi-da e monolitica nei confronti di un tipo di guerra che diventava sempre più agile e meno di posizione.Per quanto ne sappiamo, l'utilizzo dei forti dello Stretto si limitò a prestare sede a poche guarnigioni di fanteria durante il conflitto italo-turco e al posizionamento, in alcune strutture, di artiglierie contrae-ree durante il secondo conflitto mondiale. Proprio alle bombe degli alleati si devono gli unici danni strutturali subiti da alcuni dei forti umbertini: risalgono infatti a quel periodo la distruzione totale del forte Correale, i pesanti danneggiamenti subiti del forte di Antennamare, poi distrutto, e quelli di altre strutture come il forte Crispi e il forte Beleno.

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Note 1. R. Biasutti, voce Fortificazione dell'Enciclopedia

Italiana Treccani, edizione del 1949, Volume XV p.729.

2. La difesa del passaggio di uno stretto marittimo

è un argomento specifico trattato nei manuali sulle

opere di fortificazione. A questo proposito Mariano

Borgatti scrive:...potrà ancora fortificarsi uno stretto

che congiunge due mari, come per noi lo stretto di

Messina, al fine di garantire transito alla propria flotta

ed impedirlo alla flotta avversaria...Lo stretto si può

considerare in questo caso come un porto di rifugio

aperto da due parti e che la flotta avversaria, se lo

stimerà, attaccherà come una piazza marittima. M.

Borgatti, La fortificazione permanente contemporanea

teorica ed applicata, Tipografia G. U. Cassone, Torino

1898, p.103.

3. M. Borgatti, voce Campo trincerato dell'Enciclope-

dia Italiana Treccani, edizione del 1949, Volume VIII

p. 612.

4. M. Borgatti, La fortificazione permanente contem-

poranea teorica ed applicata, cit., p. 66.

5. Dopo la liberazione di Roma il nuovo stato italiano

doveva creare una propria organizzazione militare,

sostituire i vecchi armamenti, allestire una vera flotta,

definire le posizioni strategiche da fortificare.

Tra i grandi temi in discussione, quello della difesa

permanente ebbe un ruolo fondamentale. L'iniziale

lavoro del Comitato di stato maggiore generale fu

meticoloso, analitico. Centoundici sedute prima di

produrre i primi progetti dove, per non sbagliare, si

pensò di fortificare tutto. La penisola italiana si sareb-

be presentata irta di forti, fortezze e campi trincerati:

le servitù militari derivate da tutte queste costruzioni

avrebbero potuto salvare il Paese dallo scempio edili-

zio del secondo dopoguerra!

Nella prima serie di riunioni il Comitato, presieduto da

Luigi Mezzacapo, prese dettagliatamente in esame la

difesa della frontiera nord est.

La linea difensiva avanzata venne fatta coincidere

col letto del fiume Piave, mentre la seconda linea era

stabilita sull'Adige. In mezzo, per completare il raf-

forzamento della piazza marittima di Venezia e come

punto di manovra per un corpo d'armata, fu proposta

la costruzione d'alcuni forti a Mestre.

L'importanza della città lagunare derivava dalla debo-

lezza delle linee difensive offerte dal Tagliamento e

dal Piave. A Mestre poi, proprio in quegli anni si stava

sviluppando un grosso centro ferroviario che avrebbe

potuto avere importanza strategica notevole. Infine il

timore che l'Austria potesse invadere l'Italia partendo

da Pola utilizzando la nostra rete fluviale (Po e Adige,

soprattutto) convinse i generali della necessità di rite-

nere la piazzaforte di Venezia tra le quattro principali

d'Italia con Genova, La Spezia e Messina.

Il Comitato, ripresi i lavori nel febbraio 1882, propose

quindi un estesissimo sistema di fortificazioni terrestri

e marittime anche per offrire un rifugio sicuro alla flotta

e proteggere la più importante struttura militare vene-

ziana: l'arsenale.

Gli alti costi convinsero il governo a chiedere un piano

ridotto di più rapida ed economica attuazione, così

fu decisa una notevole diminuzione delle fortificazioni

in tutta Italia per pressione del generale Ricotti, osti-

nato avversario delle difese di tipo permanente. Con

questo progetto ridotto prese il via l'operazione: si

tenga presente che, in quel tempo, il governo temeva

soprattutto un'aggressione francese e quindi riservò

una particolare attenzione alla difesa di Roma e della

costa occidentale, mentre l'alleanza con l'Austria

(Patto della Triplice alleanza) rendeva imbarazzante un

sostenuto impegno nella fortificazione del nord-est. C.

Zanlorenzi, I forti di Mestre, Storia di un campo trince-

rato, Verona 1997.

6. Questa teoria era in contrasto con quella del gene-

rale austriaco Brese che sosteneva come la difesa

dovesse essere forte soprattutto al centro, in modo

da far trovare all'avversario aumento di resistenza dal

margine all'interno, raggiungendo il massimo sulla

cinta principale.

7. Per una spiegazione esauriente si veda Attacco e

difesa secondo il Vauban, in M. Borgatti, La fortifica-

zione permanente contemporanea teorica ed applica-

ta, cit., pp. 427 sgg.

8. A tal proposito Enrico Rocchi scrive:...la fortifica-

zione, scienza di carattere essenzialmente pratico che

Vauban ritenne dovesse avere esclusivamente per

guida il buon senso e l'esperienza... E. Rocchi, Lo

studio della Fortificazione in E. Von Leithner, La forti-

ficazione permanente e la guerra di fortezza, Voghera

Enrico, Roma 1895, p. VIII.

9. Per una spiegazione esauriente sui vari schemi teorici

dei campi trincerati si veda: Campi trincerati teorici, in M.

Borgatti, La fortificazione permanente contemporanea

teorica ed applicata, cit., pp. 609 e sgg.

30 . D O C

ASPETTO TERRITORIALE

Il sistema difensivo dei forti umbertini non può essere considerato una somma di singole costruzioni che insistono in luoghi puntuali, bensì un organismo uni-tario che entra in sistema con l'intero territorio. La relazione che deve legare il sistema tattico alle caratteristiche mor-fologiche dei luoghi è una peculiarità di tutti i campi trincerati, ma è ancora più evidente nel caso in cui l'area da difen-dere compendia l'attraversamento di un braccio di mare.

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Sistema territoriale e dato culturale

A tal proposito Mariano Borgatti così scrive…Le posizioni delle opere costiere risultano in massima determinate dalla configurazione topografica delle coste, dalle alture che le circondano…ma devo-no pure essere studiate in base alla con-figurazione dello specchio d'acqua d'at-tacco, alle rotte percorribili dalla flotta avversaria per giungervi, per schierarsi o per ritirarsi…1

In questi casi l'area da difendere non gravita, secondo una considerazione di ordine puramente geometrico, attorno ad un nucleo, ma si sviluppa longitudi-nalmente su un intero tratto di mare, che nel caso dello Stretto di Messina diviene l'asse di simmetria su cui si ribaltano due strutture territoriali dalle caratteri-stiche omologhe: quella peloritana nel versante siciliano e quella aspromontana nel versante calabrese.

I due sistemi montuosi sono caratteriz-zati da una serie di singoli ril ievi che, disponendosi su una successione di piani arretrati, disegnano il paesaggio in profondità e si propongono all'osser-vatore come reiterate quinte teatrali. La singolarità delle emergenze è accentuata dalla configurazione idrografica del terri-torio, inciso dai solchi delle fiumare che arrivano fino al mare e intagliano i ripidi versanti delle colline. Questa morfolo-gia frammentata viene riscattata da una distribuzione omogenea dei rilievi che risulta essere più evidente nel versante peloritano laddove, su quello aspromon-tano, è più discontinua, con le alture disposte a intervalli più ampi e ad una distanza maggiore dalla costa.Pur con queste lievi differenze è comun-que possibile parlare di un unicum terri-toriale morfologicamente e paesaggisti-camente concluso e ben riconoscibile. Se ragioniamo in termini topologici pos-siamo assimilare questo tipo di struttu-ra ad una sistema in cui le emergenze rappresentano i punti nodali, mentre le depressioni rappresentano le linee direzionali. L'insieme delle emergen-ze è gerarchizzato e propone, mano a mano che ci si addentra verso l'interno,

le vette più importanti che, con le loro moli, chiudono visivamente il teatro dello Stretto…valle conclusa, compresa tra i ril ievi siciliani e calabresi 2.Al pari del dato naturale, anche l'impian-to del campo trincerato dei forti umberti-ni agisce secondo una logica equivalen-te, poiché si propone al territorio con gli stessi elementi: nodi e linee direzionali.I singoli forti diventano in questo caso i punti nodali del sistema, mentre le linee direzionali sono rappresentate da percorsi di varia natura. Per ciò che riguarda i forti c'è da notare una stretta rispondenza con il dato naturale, poi-ché, allo stesso modo in cui le alture si gerarchizzano in base alla profondità del piano scenico (i monti più elevati sono quelli più lontani dalla linea di costa), anche i forti si dispongono in modo che quelli più importanti si trovino sulle postazioni più alte. Questo consente loro di svolgere un ruolo di controllo sui forti sottostanti e di risultare al contempo più protetti, in quanto più lontani dalla linea di fuoco nemica. Le linee direzionali possono essere fisi-che, come la maglia stradale che mette in collegamento le costruzioni apparte-nenti ad ogni singolo versante; logiche, come le invisibili linee di collegamento tra i forti posti ad una medesima quota; oppure virtuali, come i ripetuti ponti visivi che i forti contrapposti si lanciano dalle sommità delle rispettive colline, ricon-nettendo idealmente le due sponde dello Stretto. Tra i percorsi virtuali è interessante nota-re come ve ne siano altri dalla emble-matica natura: le traiettorie di tiro delle artiglierie pesanti che, nelle intenzioni degli ingegneri militari, avrebbero dovuto coprire, senza pause spaziali, l'intero braccio di mare dello Stretto. Queste artiglierie non entrarono mai in funzione, e delle loro traiettorie rimango-no, più innocuamente, le linee disegnate sulla carta a testimonianza di una raffina-ta trama balistica ideata con meticolosa e necessaria precisione.

32 . D O C

Sistema tattico e distribuzione

dei forti

Lo Stretto di Messina è stato da sem-pre il passaggio a settentrione privi-legiato verso il Mediterraneo interno. L'importanza strategica che ha rivesti-to nel corso della storia ha portato di volta in volta i regnanti ad occuparsi della difesa di questo braccio di mare e delle città principali, Messina e Reggio Calabria, che vi si affacciano. Non è lo scopo di questo scritto riper-correre le vicende architettoniche delle fortificazioni militari che si sono succe-dute e stratificate sulle due sponde, ma è importante tenere presente che il siste-ma dei forti umbertini si inserisce in uno scacchiere militare già contrassegnato da precedenti strutture, in qualche caso riutilizzate e messe in rete con il sistema stesso. Un esempio per tutti è il forte della Lanterna di San Raineri a Messina che, debitamente armato, ha continuato ad essere, alla fine dell'800, un punto forte per la difesa della città e per il con-trollo del passaggio dello stretto.Una bella Carta delle Coste dello Stretto di Messina, redatta dal Genio Militare subito dopo l'Unità d'Italia, ci rende edotti dello stato di fatto delle batterie da costa costruite durante la campagna di Garibaldi del 1860. Le batterie sono tutte situate a bassa quota e concen-trate nella parte terminale dello Stretto, e si ha ragione di credere che, armate con le nuove artiglierie rigate, sarebbero rientrate a pieno titolo, nel caso di un attacco nemico, nel sistema delle linee di fuoco.Fatte queste debite considerazioni, c'è da rilevare come il sistema umbertino possa comunque essere considerato un'insieme concluso e bastante alle esigenze difensive dello Stretto di fine 800. Era formato da ventidue forti, di

cui quattordici posti sul versante pelo-ritano e otto su quello aspromontano. Procedendo da sud verso nord, e non facendo per il momento alcuna distin-zione funzionale, si possono elencare i seguenti forti, qui indicati con il nome, o i nomi, con cui sono generalmente cono-sciuti. Essi sono, sul versante peloritano: Cavalli o Monte Gallo sopra Larderia, Schiaffino o Giulitta sopre Santa Lucia, Antennammare nel luogo ove ora sorge il Santuario omonimo, Mangialupi ove ora è il Policlinico di Messina, Petrazza a Camaro Superiore, Correale a Noviziato Casazza, Campone sopra l'abitato di Calvaruso, Puntal Ferraro sul colle San Rizzo, Ogliastri e San Jacchiddu sul viale Giostra a Messina, dei Centri sul Monte Salice, Masotto, Crispi e Serra la Croce a Curcuraci;3 e sul versante aspromon-tano: Pentimele sud e Pentimele nord o Pellizzari sopra Reggio Calabria, Catona sopra il centro omonimo, Arghillà tra le fiumare di Catona e Gallico, Telegrafo o Beleno sul piano del Piale, Siacci o Matiniti Superiore, Matiniti Inferiore I e Matiniti Inferiore II o Poggio Pignatelli sui pianori di Matiniti. A questi forti o batte-rie vanno aggiunte la polveriera Menaia a Curcuraci nel messinese e la polverie-ra Modena a Reggio Calabria. Un'altra batteria, di precedente edificazione ma riadattata nel periodo umbertino è posta nell'ex semaforo di Spuria a Ganzirri.4

Prima di analizzare in dettaglio i sistemi dei due versanti è necessario fare ancora riferimento alla manualistica per chiarire come tutte la strutture appena elencate fossero tipologicamente e dimensio-nalmente diversificate in base alla loro dislocazione e specifica funzione. Il concorso delle varie opere costiere in una azione simultanea contro un attacco

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nemico era assicurato, oltre che dalla disposizione planimetrica, dalla loro differente altitudine sul livello del mare, poiché con essa variava anche l'effetto dei tiri contro le navi. Da un punto di vista difensivo, le posizioni alte erano da preferirsi a quelle basse, poiché contro opere poste oltre i 400 metri di altitudi-ne, i colpi delle navi nemiche avrebbero avuto scarsa probabilità di ottenere buoni risultati a causa dell'angolo di tiro troppo accentuato che si sarebbe dovuto adottare per colpire il bersaglio. Riguardo l'azione offensiva, di contro, batterie di cannoni situate troppo in alto avrebbero avuto il difetto di non pote-re eseguire tiri di lancio radenti molto decisi, anche perché sarebbe aumentata la possibilità di errori nella stima delle distanze. I tiri radenti erano necessari nel momento in cui si doveva impedire un passaggio a viva forza dello stretto, circostanza in cui non si aveva il tempo necessario per misurare le distanze con precisione, e buoni risultati si potevano ottenere proprio in virtù della radenza delle traiettorie e della grande velocità dei proiettili. D'altra parte, da posizioni alte, l'azione dei tiri ficcanti, prodotti da obici e mortai, diventava per le navi molto pericolosa, poiché quei proiettili avevano la capacità di perforare i loro ponti corazzati. Da tutte queste conside-razioni risulta evidente come nei sistemi difensivi complessi fosse necessaria la presenza tanto di batterie basse che di batterie alte.Borgatti propone una distinzione delle batterie molto precisa, dividendole in: batterie basse, medie ed alte. Le batte-rie basse erano quelle poste ad una alti-tudine non superiore ai 20 metri s.l.m., quelle medie erano comprese tra 20 e

Carta del le coste del lo Stret to d i Messina con l ’ ind iv iduazione del le batter ie da

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100, mentre le alte arrivavano fino a 700 metri circa, limite che si riteneva non fosse consigliabile superare per batte-rie costiere. Lo stesso autore prosegue dicendo:…le batterie basse …debbono essere armate di cannoni del maggior calibro, perché con tiri di lancio radenti possano colpire i fianchi delle navi per perforane le corazze e sconquassarle. Le navi, per lottare con probabilità di successo contro di esse, sono obbligate a fermarsi a distanza, che si ritiene non debba essere superiore ai 3 km. In que-ste condizioni le navi stesse si trovano esposte ai tiri curvi delle batterie alte…5

Da quanto detto si evince che le batterie basse dovevano essere armate principal-mente con dei cannoni per il puntamento diretto a tiro radente, le batterie alte con obici e mortai a tiro curvo e puntamento diretto o indiretto, mentre le medie era preferibile che avessero sia obici che cannoni. In relazione alle opere di rinter-ro che dovevano eseguirsi a protezione delle strutture, essere dovevano far sì che le batterie basse dovessero…essere resistentissime, perché sono esposte ai tiri di lancio delle potenti artiglierie delle navi …6, mentre le alte, meno esposte al tiro delle navi, potevano avere robustez-za minore, con notevole risparmio, cosa che pare non fosse di poco conto, sui costi di costruzione dell'opera.Sempre Borgatti opera una distinzione importante quando afferma che le opere costiere, oltre che da batterie principali, devono essere costituite anche da forti da costa e batterie complementari. La differenza sostanziale tra una batteria e un forte risiede nel fatto che quest'ulti-mo è sempre posto in una posizione più arretrata, ma anche più isolata e quindi più esposta ad eventuali attacchi da terra. Ne consegue che un forte, proprio perché in situazione di emergenza deve poter contare su forze proprie, deve essere più grande e meglio armato di una batteria, e soprattutto avere fronti di attacco su più lati se non su tutti, al contrario di una batteria che ne ha in genere uno solo. La distinzione tra forte e batteria non è però così netta,

poiché anche le seconde sono spesso organizzate per la difesa vicina e per battere il terreno circostante. Forse pro-prio a causa di questa indeterminatezza, molte delle strutture militari dello Stretto di Messina vengono indifferentemente chiamati forti o batterie, come nel caso, ad esempio della batteria Monte Gallo, chiamata spesso forte Cavalli. Le batterie complementari erano opere ad azione locale, atte a proteggere i luoghi di ancoraggio e di sbarco, o a garantire la copertura degli angoli morti lasciati dalle batterie principali. Un'ultima classe di strutture, di supporto alle bat-terie e ai forti propriamente detti, era rappresentato dalle polveriere, il cui ruolo era quello di tenere le grandi quan-tità di polvere da sparo per la confezione dei proiettili, evitando una concentrazio-ne dei medesimi nelle batterie più espo-ste ai bombardamenti. Chiariti pertanto gli elementi che compongono un sistema difensivo costiero, analizziamo adesso la specifica realtà dei forti umbertini dello Stretto.La distribuzione sul territorio rende evi-dente un sistema tattico basato sulla for-mazione di più linee difensive, a distanza ed altitudine crescente dalla costa, che si sviluppano longitudinalmente alle due sponde. Il disegno di questo sistema, ricavato dalla distribuzione planimetrica dei forti, restituisce una forma generale più logica e completa sul versante pelo-ritano, dove le strutture si dispongono su tre direttrici, ben distinte in base all'altitudine, che gravitano attorno al forte di Antennamare e seguono l'an-damento della linea di costa. Due dei forti posizionati sul versante siciliano (la batteria Campone e la batteria dei Centri) erano addetti al controllo di un tratto verso occidente del litorale tirreni-co. Questo lascia supporre la necessità di proteggersi anche da un eventuale attacco dal lato aperto del Mediterraneo, o comunque di avere un controllo com-pleto sul golfo di Milazzo. Il disegno del sistema aspromontano, pur rispondendo alla stessa logica, è meno completo. Probabilmente esso,

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più che essere l'equivalente opposto del sistema peloritano, era complementare a quest'ultimo, a copertura, di volta in volta, dei punti lasciati maggiormente esposti dal primo.Sul versante siciliano, troviamo una prima linea di batterie posta ad una distanza media dalla costa di circa 1 km e ad una altitudine variabile tra gli 80 e i 90 metri s.l.m., così distribuite da sud a nord: la batteria Schiaffino a circa 6 km a sud del porto di Messina, le batterie Mangialupi e Ogliastri poste rispetti-vamente all'inizio e alla fine del centro urbano (nei limiti in cui si presentava alla fine dell'800)7 e la batteria, ricavata ristrutturando l'ex semaforo di Spuria, posta in prossimità della punta di Capo Peloro. L'orografia del territorio peloritano, dove le catene dei promontori arrivano spesso fino al mare lasciando alla riva solo una sottile striscia di terra, ha dettato l'ubi-cazione di questa prima linea, più alta di quanto suggerito dalla manualistica, ma comunque sempre in posizione valida per una difesa con tiri radenti. L'analisi grafica effettuata evidenzia come il passo tra queste batterie, che potremmo definire medio-basse, non è costante sulla singola linea di difesa, come accadrebbe se fosse definito sulla base di valutazioni di ordine geometri-co di tipo lineare, quanto piuttosto in relazione all'intero sistema sulla base di precise ragioni di ordine topologico. Una prima impone, nella parte più a sud dello stretto dove più ampia è la distanza con l'altra sponda, di armare batterie basse e più vicine alla linea di costa (Schiaffino e Mangialupi); una seconda si basa sulla estensione della città di Messina (posizione di Mangialupi e Ogliastri); una terza è dettata dalla necessità di chiudere con Spuria il versante ionico e contemporaneamente proteggere anche l'inizio di quello tirrenico. Il tratto lascia-to libero tra Ogliastri e Spuria è quello in cui il braccio di mare si restringe e c'è quindi la possibilità di arretrare maggior-mente le batterie, che risultano infatti posizionate sulla seconda linea. Questa, In

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dislocata a poco più di due km dalla costa ed una altitudine compresa tra 250 e 350 metri s.l.m.8, si apre, da sud, con la batteria Monte Gallo e prosegue con quelle di Petrazza, San Jacchiddu, Crispi, Masotto e Serra la Croce in dire-zione di Capo Peloro, per girare poi sul Tirreno fino alla batteria di Salice sul monte dei Centri. Tutte le batterie della seconda linea, che potremmo definire medio-alte, sono posizionate in modo da risultare sfalsate rispetto a quelle della prima. Sulla base di questo accorgimen-to, proiettando perpendicolarmente sulla prima linea le tracce delle batterie poste sulla seconda, ecco che il passo che appariva in precedenza irregolare, assu-me ora un ritmo, se non uguale, almeno più costante. La terza linea, formata da tre batterie alte, dà luogo ad un sorta di arco posto a congiunzione del versante ionico e di quello tirrenico; dalla loro posizio-ne planimetrica risulta evidente che la Correale difende il versante ionico, men-tre la Campone quello tirrenico; Puntal Ferraro, posta lungo l'asse che prosegue poi per Antennamare, ha una posizione di cerniera ed appartiene ad entrambi i versanti. Le batterie di questa terza linea sono poste ad una altitudine compresa tra i 400 metri s.l.m. di Correale e i poco più di 500 di Campone e Ferraro. Il sistema umbertino peloritano culmina nella emergenza rappresentata dal Forte di Antennamare, seriamente danneggia-to in seguito ai bombardamenti subiti durante la seconda guerra mondiale e oggi rimpiazzato dalla successiva edifi-cazione dell'omonimo santuario. Posto a 1124 metri s.l.m. è un luogo dal quale si domina l'area dello Stretto nella sua interezza, da Capo dell'Armi in Calabria fino al versante tirrenico con il golfo di Milazzo e le isole Eolie. Probabilmente Antennamare, proprio in virtù della posi-zione strategicamente privilegiata, era l'unico vero forte del versante siciliano, dove si trovava il centro di controllo dell'intero sistema. La situazione del versante calabrese pre-senta un disegno delle linee di difesa non

così continuo come quello del versante siciliano. Una prima linea corta, posta anche qui a circa 1 km dalla costa, è for-mata dalle batterie di Catona, prospicien-te il porto di Messina ad 80 metri s.l.m., e quella di Beleno situata a 110 metri s.l.m., a controllare l'approdo di Villa San Giovanni. Più continua risulta essere la seconda linea, sempre disposta parallela-mente alla costa ad una distanza media di circa 2,5 km formata, procedendo da sud, dalle batterie Pentimele sud e Pentimele nord, da quella di Arghillà, di Matiniti infe-riore e di Poggio Pignatelli, tutte ubicate intorno ai 300 metri s.l.m., ad eccezione del fortino di Arghillà (150 metri s.l.m.) posto tra le fiumare di Gallico e di Catona in una zona in cui il terreno sale in modo più graduale. Decentrata per questioni di sicurezza, verso la periferia sud di Reggio Calaria, è la polveriera di Modena, men-tre poco sopra le due batterie di Matiniti Inferiore trova posto l'unico vero forte tut-tora presente nel contesto delle fortificazio-ni umbertine: l'imponente costruzione del Forte Siacci di Matiniti Superiore posto a quota 350 metri s.l.m. Dalla configurazione planimetrica del ver-sante aspromontano, risulta una concen-trazione di strutture soprattutto nell'ultimo tratto della costa, in prossimità del punto più stretto del braccio di mare in questione. Le posizioni delle batterie di Pentimele, più spostate verso sud, pur rimanendo parte integrante del sistema complessivo, pos-sono essere lette soprattutto in relazione al controllo del porto di Reggio Calabria, città priva di quelle opere difensive portuali pre-senti invece nella zona falcata di Messina.9 Se si escludono i due forti di Pentimele e la polveriera di Modena, le sei strutture rimanenti ripropongono, in scala ridotta, la stessa configurazione del versante pelo-ritano, con un forte principale, quello di Matiniti Superiore, a controllo di due linee difensive sottostanti.Se le strutture dei forti umbertini rappre-sentano, oggi, l'aspetto più appariscente dell'intero intervento militare post-unita-rio effettuato nell'area dello Stretto, non va dimenticata la concomitante realiz-zazione della rete viaria che collegava i

38 . D O C

forti tra loro. A proposito del sistema di comunicazioni di un campo di opere costiere, Borgatti scrive che ...le parti della fronte a mare che si trovano sulla terra ferma debbono essere collegate con buone strade car-reggiabili o con ferrovie, fra di loro, con la città di cui si difende il porto, e cò suoi stabilimenti marittimi, quando questi con-tengono provvigioni per le opere.10 Ciò a testimonianza di quanta impor-tanza si desse alla mobilità dei reparti per il ricambio di uomini e di mezzi. Le strade dovevano essere tutte carrozzabili in quanto avrebbero dovuto permettere il passaggio dei carri che trasportavano i cannoni, ed erano indispensabili per il buon funzionamento dell'intero sistema, poiché dovevano garantire collegamenti rapidi e giornalieri soprattutto per ciò che riguarda l'approvvigionamento delle munizioni. Era infatti buona norma tene-re, nelle batterie, un numero di munizioni bastante ad un giorno di bombardamen-ti, evitando la concentrazione di grandi quantità di polvere da sparo al loro inter-

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no per evitare che, colpite, potessero esplodere. Nel versante peloritano l'opera più importante fu il potenziamento del percorso di crinale che da Capo Peloro risale verso Faro Superiore e Castanea, per proseguire verso colle San Rizzo fino a Antennamare e concludersi a Piano Magri a nord-ovest del Monte Scuderi. Ma al di là delle strade principali, tutte le colline reggine e messinesi furono fornite di una capillare trama viaria che ancora oggi rende possibile l'attraversamento di monti e valli fino ad allora percorribili sol-tanto grazie a scomodi sentieri.

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1. M. Borgatti, La fortificazione permantente con-

temporanea teoria e applicata, pp. 116 e 120

2. M. Giovannini, Le sezioni dello stretto, Jason,

Reggio Calabria, 2001, p. 7

3.Una rilevanza storica assume, fra tutti i villaggi

sede dei Forti Umbertini, Curcuraci. Nel suo terri-

torio, infatti, sono ubicate ben quattro batterie...

Ciò non deve meravigliare perché la sua posizione è

tale da essere stato scelo, da sempre, come luogo

di osservazione e controllo dei movimenti nel Mare

Tirreno e nello Stretto di Messina. Basta ricordare

che dalle colline di Curcuraci fu dato l'allarme a

Messina, nel cui porto si trovavano le navi romane

di Caio Duilio, sulla presenza delle navi cartaginesi

durante la prima guerra punica...Curcuraci, inoltre,

significa "territorio fortificato", dall'unione delle

parole arabe "Kurkur" (territorio) e "Aci" (fortezza o

fortificazione). A. Principato, Forti Umbertini: l'Ar-

chitettura, in Città e Territorio n° 3-4, Marzo 1998

pp.30-31

4. Le strutture elencate sono quelle personalmente

visitate, sia esternamente che internamente. In par-

ticolare si fanno le seguenti considerazioni: a) il forte

di Antennamare, danneggiato durante la seconda

guerra mondiale, fu abbattuto a seguito dei lavori

di sbancamento per la realizzazione dell'attuale

Santuario. Del forte rimangono tracce evidenti, oltre

che nell'area dell'attuale presidio militare, anche

nella struttura retrostante il Santuario; b) della batte-

ria Correale, che si sa essere stata distrutta durante

la seconda guerra mondiale, non è stata trovata

traccia; c) non è stato possibile visitare dall'inter-

no le seguenti batterie: Masotto, Serra la Croce e

Mangialupi (la cui struttura è comunque gravemente

compromessa); d) nella Polveriera Modena di Reggio

Calabria è evidente la presenza di opere in cemen-

to armato, il che è incompatibile con le tecniche

di costruzione dei forti umbertini e lascia supporre

una sua ricostruzione o un suo rimaneggiamento in

epoca successiva. e) delle seguenti strutture elen-

cate da Antonino Principato non si è trovata traccia:

polveriera di Camaro (che doveva essere collegata

alla batteria Petrazza), polveriera di Curcuraci (che

doveva essere collegata alla batteria Masotto), pol-

veriera di Faro Superiore (che doveva essere colle-

gata alla batteria Serra la Croce). A. Principato, op.

cit., p. 30.

5. M.Borgatti, La fortificazione permantente contem-

poranea teoria e applicata, cit., p. 124.

6. ibidem

7. In questo senso è possibile dire che le due batte-

rie appartengono alla categoria delle complementari.

8. Ad eccezione della batteria Masotto, che si

attesta sui 422 metri s.l.m. Certe anomalie vanno

comunque relazionate sempre alla specificità del

luogo.

9. In questo senso è possibile dire che anche le due

batterie di Pentimele appartengono alla categoria

delle complementari.

10. M Borgatti, La fortificazione permantente con-

temporanea teoria e applicata, cit., p. 128.

Note

Batter ia Monte dei Centr i

40 . D O C

FORMA E TIPO

L'esigenza fondamentale di ogni forte è quello di essere nascosto alla vista dei nemici. Questa ricerca di invisibilità relativa è ciò che detta e condiziona la forma e la modalità di costruzione di tutti i manufatti umbertini.

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I luoghi scelti per l'edificazione hanno caratteristiche morfologiche simili, ma differenziate, come abbiamo visto in precedenza, per fasce di altitudine. L'altura sulla quale, o forse è meglio dire dove, la costruzione sarebbe sorta, doveva rispondere a due parametri: essere tale da avere la veduta verso mare sgombra da ostacoli naturali o artificiali, e presentare un profilo verso mare con una pendenza ben precisa. Questa doveva risultare abbastanza inclinata da poter consentire ai cannoni di effettuare tiri di depressione verso il nemico, ma non troppo in modo da conservare, tra il forte vero e proprio e il profilo della collina, una massa coprente sufficientemente adeguata a proteggere la struttura dai tiri ficcanti lanciati dalle navi. Questa massa coprente, general-mente indicata con il nome di ramparo, ha una pendenza che di norma si aggira intorno ai 25°.Scelto il sito, l'avvio della costruzione consisteva nello sbancare la metà verso monte della parte sommitale della col-lina. Era questa una operazione che richiedeva un notevole sforzo sia di uomini che di mezzi, se si pensa che per far posto ad un forte di media gran-dezza, come ad esempio la batteria di

Prof i lo del la batter ia San Jachiddu

Elementi distintivi: invisibilità

e orizzontalità

San Jachiddu, si dovevano rimuovere circa 35000 mc di terreno. Fatto ciò, il forte veniva in seguito realizzato in modo che la quota massima non supe-rasse quella della sommità della collina. Questo appiattirsi sul terreno è un dato comune a tutti i forti umbertini la cui orizzontalità rappresenta la caratteristica più evidente. Le due direzioni planari sono molto prevalenti rispetto a quella zenitale e ciò dà luogo a delle costruzio-ni che sembrano quasi perdere la terza dimensione, tanto i volumi sono bassi rispetto all'estensione in pianta.L'architettura che si origina da un pro-cedimento costruttivo di questo tipo può essere definita, con un termine prettamente militare, di trincea, essendo perfettamente nascosta e protetta senza tuttavia possedere nessuna caratteri-stica dell'architettura ipogea. Questo tipo di forti sono infatti costruzioni che appartengono all'ordinamento a cielo scoperto, dove i locali interrati esistenti ricadono tutti entro i l imiti del traccia-to della pianta emergente dal piano di campagna. Abbiamo già ricordato come la ricerca della presunta invisibil ità fosse stata portata avanti tenendo conto della sola veduta frontale dal mare e che non avrebbe, in seguito, soddisfatto le esi-genze di invisibil ità totale e di mimesi con l'ambiente che la guerra moderna avrebbe da li a poco richiesto; questo però, progettisti e costruttori dei forti umbertini, non potevano saperlo.

Fossat i , da Fort i f icaz ioni d i L. Mar ine l l i , 1911

Borgatti afferma che …le opere costie-re debbono evidentemente presentare caratteri diversi da quelle terrestri per-ché: 1° sono esposte ad artiglierie più potenti; 2° sono armate di artiglierie pure molto più potenti;3° devono svi-luppare la loro azione celermente, con-tro bersagli dotati di grande mobilità e poco vulnerabili…1 Le risposte a queste precise esigenze si materializzano in architetture caratterizzate da una serie di elementi fissi, che rispondono a preci-se funzioni e che, variamente combinati per numero e posizione, danno luogo a tipologie diverse. Gli elementi primari possono esse-re ridotti a: il fossato, le caponiere, le rampe di collegamento tra i vari livelli esterni, la corte e i corpi dei volumi emergenti veri e propri, i cui locali inter-ni erano destinati a funzioni varie e, in ultimo, le piazzole poste sulla parte alta del ramparo e destinate ad accogliere i paioli e le traverse. Possiamo dire che la corte e le piazzo-le (senza le traverse) sono gli elementi vuoti della costruzione, il corpo dei volumi rappresenta il pieno e le rampe gli elementi che li collegano. Inoltre è possibile dire ancora che il fossato è un elemento ricavato per sottrazione, men-tre le caponiere sono volumi emergenti accorpati per addizione.Questi elementi sono collocati all'inter-no del tracciato della pianta emergente dal piano di campagna definito dai vari fronti, ad eccezione del fossato esterno che può correre parallelamente all'intero perimetro del forte oppure, più spesso, essere posto solo sul lato dell'ingresso principale verso monte.Il tracciato in pianta presenta general-mente un fronte a mare, lungo il quale sono collocati i cannoni o gli obici, due fronti laterali, aventi eventuale azione di fiancheggiamento sugli approdi alla costa o rispetto alle altre batterie vicine, e un fronte verso monte detto fronte di gola, dove si trova l'ingresso, destinato alla difesa vicina verso nemici che fos-sero riusciti ad arrivare da terra fino in prossimità del forte.

Elementi costitutivi di un forte

Pianta copertura1.Fossato, 2.Caponiera, 3.Rampe, 4.Corte, 5.Ingresso e ponte levatoio, 6.Traverse, 7.Paioli, 8.Guardiola

Pianta al livello della corte1. Deposito munizioni, 2.Dormitori, 3.Scuderie, 4.Alloggi ufficiali, 5.Caponiera, 6.Sollevamento e stoccaggio munizioni di pronto impiego (riservette), 7.Munizioni di pronto impiego e manutenzione artiglieria, 8. Locali guardiolaE

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Pianta al livello delle piazzole

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Il fronte a mare è, nel caso dei forti dello Stretto, sempre ad andamento rettili-neo e non ha mai un prospetto esterno poiché quest'ultimo risulta addossato al fianco della collina. La lunghezza di que-sto fronte è direttamente dipendente dal numero di cannoni che dovevano essere rivolti verso mare e presenta sempre un parapetto interno protetto dal ramparo, la cui altezza dipende dal tipo di artiglie-ria prevista.I fronti laterali sono in genere di lun-ghezza limitata sia perché non si vole-va aumentare troppo la profondità dell'opera che per non essere soggetti ai cosiddetti tiri di infilata da parte del nemico. La loro lunghezza è pressoché costante in tutti i forti e ne consegue una configurazione in pianta in genere tanto più allungata quante più postazioni per obici e cannoni presenta il fronte a mare. Raramente queste fronti hanno un prospetto esterno, risultando anch'essi addossati alle pareti scavate della col-lina. Quando ne presentano uno, come nel caso della Batteria Monte Salice, questo è bucato con finestre strombate generalmente armate di artiglierie legge-re e di fucileria.Il fronte di gola è quello che presenta l'unico vero prospetto fuori terra di tutto il forte. Al centro è generalmente col-locato l'ingresso, sempre preceduto da un ponte levatoio in ferro con il quale superare il fossato antistante. Il fron-te è ritmato dalle finestre strombate a scalini, singole o abbinate a due a due, che dovevano eventualmente essere armate con fucileria ed artiglieria leggera o, eccezionalmente con pezzi di medio calibro.Del fossato si è già detto come possa essere antistante al solo fronte di gola o rigirare attorno all'intera struttura. Nel primo caso si è in presenza di un fossato lineare, costruito generalmen-te in quelle batterie situate in luoghi la cui conformazione rendeva pensabile un'eventuale attacco terrestre ravvici-nato da una sola direzione, mentre nella seconda opzione possiamo parlare di un fossato di tipo radiale, utilizzato nei C

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Caponiere e fossati da Fortificazioni di L. Marinelli 1911

Il sistema di rampe della batteria di Pentimele nord

forti in cui era necessario prevedere una difesa ravvicinata da tutti e quattro i lati. Nei manufatti umbertini, il fossato radiale è presente nei tre forti calabresi posti sui pianori di Matiniti (Siacci, Pignatelli, e Matiniti Inferiore), mentre in tutti gli altri casi è antistante al solo fronte di gola. Le caponiere, dette anche capannate, sono costruzione emergenti introdotte nel fossato con lo scopo di fiancheggiar-lo con fuoco di mitragliatrici e fucileria, e il loro numero dipende dal tipo di fos-sato presente. Sono quasi sempre a due livelli con un doppio ordine di finestre strombate, dovendo difendere il forte sia all'altezza del piano di campagna che all'altezza di quello del fossato. Se il fossato è lineare, la caponiera è generalmente unica e posta su una delle due estremità del fronte di gola; se il fossato è radiale, le caponiere possono essere in numero maggiore in base all'im-portanza di ogni singolo fronte. Nel caso dei due forti di Matiniti Inferiore siamo in presenza di tre caponiere: una posta al centro del fronte di gola e due sugli angoli del fronte a mare. Le loro forme sono differenziate in base agli angoli di tiro da coprire ma tendono tutte ad arrotondare gli spigoli in modo da offrire meno superficie d'impatto ai colpi dei nemici. Le rampe servono a collegare i vari livelli esterni del forte che di solito si riducono a tre: quello dell'ingresso, uno intermedio e quello delle piazzole. La loro dimensione è notevole in quanto su di esse dovevano essere trasporta-ti i pezzi di artiglieria pesante fino alle piazzole. Nei forti a corte aperta sono un elemento estremamente caratteriz-zante l'architettura, soprattutto quando sono poste in modo simmetrico di fronte all'ingresso centrale come nel caso dei forti di Pentimele, Cavalli, Arghillà, San Jachiddu, e Schiaffino. Nel caso dei forti Campone e Puntal Ferraro, invece, la rampa é unica e addossata asimmetrica-mente al muro interno del fronte di gola. Questa disposizione dà luogo ad un pro-spetto, a sua volta asimmetrico, dove il muro esterno sale a gradoni seguendo il

La rampa e il muro gradonato della batteria Puntal Ferraro

Paiolo del forte di Matiniti inferiore e sistemazione dell’artiglieria da Fortificazioni di L. Marinelli

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La corte aperta di forte Cavalli. Tipo A

La corte della batteria di Catona. Tipo B

La corte interna del forte Siacci. Tipo C1

livello della rampa.Dalle rampe si giunge al piano delle piazzole; in queste sono attrezzati i paioli intervallati spesso dalle traverse. I paioli, sempre disposti in coppie di due, sono pozzi circolari poco profondi, di 5 metri di diametro, dove avrebbero dovu-to essere alloggiati i pezzi di artiglieria pesante orientati verso il mare. Quelli dei forti umbertini sono costituiti da un doppio gradino di pietra calcarea che fungeva da binario entro il quale dove-vano poter girare obici e cannoni per il puntamento rapido in direzione del ber-saglio voluto.2 In quasi tutti i forti, e in special modo nelle batterie basse dove era più proba-bile che giungessero a buon fine i colpi nemici, per ogni coppia di paioli veni-va innalzata una traversa, la cui quota massima non superava comunque mai l'altezza del parapetto. La traversa è un volume di muratura che nei forti in questione varia mediamente dai 10 metri delle strutture più piccole fino ai 13-15 metri di quelle più grandi. La funzione della traversa era di isolare tra loro la coppia di paioli per evitare gli effetti degli shrapnels e delle granate. Nel pic-colo vano basso ricavato al loro interno trovavano generalmente posto le muni-zioni di immediato impiego. La piazzola dove era alloggiata la coppia di paioli ha una misura costante di 15 metri, e viene a configurarsi come una sorta di modulo al fine di un'analisi dimensionale delle costruzioni. Si avranno, in questo senso: forti piccoli a quattro postazioni (due piazzole a due coppie di paioli e una traversa) come nel caso della bat-teria Monte Salice e delle due batterie di Pentimele; forti medi a sei postazioni (tre piazzole a due coppie di paioli e due traverse), come nel caso delle batterie San Jachiddu, Campone, Puntal Ferraro, Schiaffino, Catona, Petrazza; forti grandi a otto postazioni (quattro piazzole a due coppie di paioli e due traverse), come le batterie Monte Gallo, Arghillà, Pignatelli e Matiniti Inferiore fino alle dieci posta-zioni di Forte Siacci.3

La crescita modulare dimensionale va di

46 . D O C

pari passo con la crescita di importanza di ogni singolo forte, che era tanto più potente quante più postazioni di artiglie-ria pesante possedeva.Se dal numero delle postazioni di canno-neggiamento possiamo trarre una clas-sificazione dimensionale e modulare dei forti umbertini, è però dalla posizione e dall'ampiezza della corte interna e dalla disposizione dei volumi emergenti che la definiscono, che se ne può dedurre una vera classificazione tipologica. In uno schema di massima possiamo individuare tre casi: nel primo i volumi sono addossati al fronte a mare e ai fronti laterali in modo da formare una "C" attorno alla corte (Cavalli, Schiaffino, San Jachiddu, Pentimele sud e nord, Arghillà, Campone e Ferraro); nel secon-do sono addossati ad un solo fronte laterale con una stecca di locali e un terrapieno (Catona, Petrazza, Ogliastri, Beleno); nel terzo sono addossati linear-mente con due stecche, una sul fronte di gola e un'altra sul fronte a mare, for-mando una corte interna stretta e lunga (i tre forti di Matiniti).Nei primi due casi si configura una corte aperta verso il fronte di gola il cui accesso dal ponte levatoio è diretto. Nel secondo, però, più che di una corte vera e propria si può parlare di un percorso che gira attorno al volume emergente e che, dalla quota dell'ingresso, porta fino all'altezza delle piazzole dove sono situati i cannoni. Nel terzo, infine, la corte è chiusa tra due volumi e all'in-gresso si accede da una galleria passan-te dal volume sul fronte di gola. Queste diverse disposizioni della corte danno vita a tipologie di forti abbastanza distinte tra loro, sia per ciò che riguarda la percezione spaziale che se ne ricava che per le specifiche funzione di ogni singolo tipo. Da un punto di vista percettivo, nei forti a corte aperta la spazialità è immediatamente comprensibile con un solo sguardo, mentre negli altri casi il percorso cognitivo è più tortuoso e solo una esplorazione completa o una visione dall'alto riescono a dare l'idea

Le tre tipologie di forti

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della conformazione e ampiezza della struttura. Visitando il Forte Siacci di Matiniti Superiore, ad esempio, non si ha subito l'idea della sua mole enorme (la più estesa tra quelli rimasti integri), e solo dopo aver camminato a lungo tra gli spazi esterni e gli innumerevoli cammi-namenti interrati interni ci si rende conto della sua entità. I forti a corte aperta, che chiameremo di tipo A, hanno i volumi tutti addossati al fronte a mare e presentano un solo ram-paro di protezione alla struttura. Da un punto di vista funzionale ciò è importan-te perché ci aiuta a comprendere il com-pito specifico di queste batterie, che è prevalentemente quella di cannoneggia-mento e non quello di deposito di polveri e munizioni. I locali presenti nei volumi si riducono alla funzione di dormitorio per gli uomini di stanza nel forte, e degli alloggi per gli ufficiali, solo appena più grandi e confortevoli dei primi. I locali per il deposito delle munizioni erano di pochi metri quadri, disposti, in genere, al livello della corte o a un livello inferiore verso il ramparo, in corrispondenza ver-ticale con la linea della piazzola.4 Questa posizione assicurava i locali al luogo più protetto del forte e, tramite un sistema di fori nel solaio di calpestio del livello delle piazzole, permetteva anche un rapido passaggio delle munizioni verso le traverse, atte a contenere quelle di immediato impiego.I forti come Catona o Ogliastri, che chia-meremo di tipo B, presentano invece un ramparo doppio: uno a protezione immediata delle piazzole di cannoneg-giamento, e uno a protezione dei volumi emergenti.Queste batterie, che sono di piccola o media dimensione, oltre al compito di cannoneggiamento, che rimaneva comunque il più importante, avevano presumibilmente anche quello di polve-riera, poiché in essa veniva stipata una quantità maggiore di munizioni e di pol-veri util izzate anche dalle batterie vicine. Ciò spiegherebbe la protezione maggio-re dei volumi con l'ulteriore terrapieno. D'altro canto, se si mettono a confronto

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la piante, ad esempio, della batteria di Catona e della polveriera di Modena (l'unica classificabile come esclusiva-mente tale) si potrà notare come, ad eccezione della parte delle piazzole, la prima è compositivamente uguale alla seconda.La tipologia C, a corte interna, prevede due situazioni distinte in base alla quota di calpestio della corte stessa. La prima, che chiameremo C1, è quella del Forte Siacci a Matiniti Superiore. Come più volte ripetuto, questo è l'unico vero forte di tutto il sistema umbertino, che doveva avere il suo gemello siciliano in quello di Antennamare andato distrutto. La quota d’ingresso del ponte levatoio è, come negli altri due casi finora visti, complana-re a quella della corte interna, alla quale si accede attraversando il volume posto sul fronte di gola. Dalla corte una rampa porta alla quota delle piazzole che pre-sentano dieci postazioni di artiglieria non inframezzate da traverse. Sotto il calpestio delle piazzole sono situate le riservette che dovevano contenere le munizioni di pronto impiego. Il ramparo è doppio, uno a protezione del fossato verso mare e l'altro a difesa del forte stesso; nella stecca dei volumi addossati a questo secondo ramparo, sono allog-giati i magazzini per le polveri posti nei vani che in pianta si vedono intramezzati da grosse murature piene. Nella stecca contro il fronte di gola sono sistemati i vani adibiti a dormitorio, scuderie, servizi vari e alloggi per gli ufficiali. Questi ultimi sono decisamente meno spartani che quelli degli altri forti. Siamo qui in presen-za perfino di stanze, se non riccamente, decorosamente affrescate che lasciano immediatamente intendere di trovarsi all'interno del luogo di comando. La par-ticolarità più importante del forte Siacci è però la presenza, unica tra tutti i forti umbertini, del bastione, posto sul fronte di gola, a conferma dell'esigenza di difen-dersi da un eventuale attacco proveniente da terra. La caratteristica forma a cuneo si protende verso l'esterno della struttu-ra, bassa e terrapienata, con la funzione di dividere le forze nemiche d'assalto e

48 . D O C

deviare i proiettili dell'artiglieria pesante. La seconda situazione, che chiamere-mo C2, è quella presente nei due forti di Matiniti Inferiore. Pur presentando la stessa configurazione planimetrica i volumi si trovano, in questo caso, al di sotto della quota di ingresso del ponte levatoio, a sua volta coincidente con quella delle piazzole. In virtù di questa complanarità si riscontra l'assenza delle rampe mentre la corte si sviluppa ad una quota poco maggiore di quella del fossa-to di gola. In questi forti, la funzione dei vani adibiti a deposito munizioni è facil-mente intuibile dal fatto che essi sono a due a due intramezzati da un terrapieno laterale di protezione, e che sono siste-mati in corrispondenza delle mancate traverse, e collegati al piano delle piaz-zole con delle scale che sbarcano pro-prio in prossimità dei paioli. Per concludere il discorso sui vani adibi-ti al ricovero delle munizioni si registra il caso della batteria Puntal Ferraro, dove esiste, interrato e a brevissima distanza dal forte vero e proprio, un volume a se stante adibito allo scopo. Come detto anche nel precedente capi-tolo, la separazione delle funzioni tra le varie strutture non è netta; si vengono a configurare dei forti, dei forti-batteria, delle batterie,delle batterie-polveriere, e così via, definibili sulla base della loro importanza tattica, della esigenza gior-naliera di munizionamento e dello stato

di collegamento con le altre strutture vicine. L'unica vera differenza funzionale riscon-trabile è tra le polveriere e tutte le altre strutture, come si evince dal caso di Modena. Sia la posizione territoriale che la configurazione planimetrica lasciano facilmente intendere come la struttura non sia adibita al cannoneggiamento verso mare. Il sito in cui sorge non ha una vista privilegiata verso lo stretto e le quattro postazioni di artiglieria presenti sono rivolte tutte verso l'interno, non cioè ad offesa del nemico, ma a difesa di se stesse. Le attività che si svolge-vano all'interno dei locali non erano, inoltre, solo quelle di accatastamento delle munizioni, ma anche della loro pre-parazione e imballaggio. La presenza dei binari nel pavimento fa intuire l'uso di carrelli trasportatori con cui le munizioni preparate venivano accompagnate fino ai carri in partenza verso forti e batterie.

La polveriera della batteria Puntal Ferraro

492 3 / 0 2

Fossato di gola e ponte levatoio del forte Siacci

Pianta del forte Siacci (ridisegno da una pianta catastale)

1.M. Borgatti, La fortificazione permanente contem-

poranea teorica e applicata, cit. p. 321.

2. Fanno eccezione le postazioni dei cannoni del

forte dei Centri a Salice, dove i paioli sono al livello

del piano di calpestio della piazzola ed hanno anda-

mento semicircolare.

3. Quanto alla disposizione dei paioli c'è da rilevare

un'altra particolarità dei tre forti del gruppo Matiniti i

quali non presentano alcuna traversa di divisione.

4. Il colonnello di fanteria Romeo Mella così sintetizza

la disposizione delle funzioni di un forte da campo

trincerato:...Le opere staccate dei campi trincerati

per quasi tutto l'Ottocento furono ispirate al principio

di presentare azione frontale potente, battere il ter-

reno interposto fra esso, essere chiuse alla gola; ed

ebbero tutte fosso e spalto. L'ordinamento interno

dei forti fu pressoché comune a tutti i tipi: o a due

linee di fuoco, una di fanteria e una di artiglieria; o a

una linea unica mista. Il fronte e i fianchi erano divise

in tratti per mezzo di traverse entro le quali, in appo-

siti locali, si tenevano le munizioni o si rifugiavano gli

uomini. Tra le traverse vi erano le artiglierie, semplici

o accoppiate; dove non stavano artiglierie si sten-

devano i fucilieri. Sotto al ramparo, erano ricoverati

i dormitori per il presidio, i magazzini e i simili, con

accesso dal rovescio stesso del ramparo. R. Mella,

voce Fortificazione dell'Enciclopedia Italiana Treccani,

edizione del 1949, Volume XV p.742.

Note

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BATTERIA DI PENTIMELE NORD

1

2

3 4

TIPO “A” a corte aperta e 2 coppie di paioliEstensione in pianta mq 2800

Dello stesso tipo:Batteria di Pentimele sud

LEGENDA1. Caponiera 2. Ingresso e sistema delle rampe3. Interno della corte

4. Sezione trasversale5. Pianta copertura6. Pianta al livello della corte7. Assonometria8. Prospetto sul fronte di gola

Rilievo di: E. Abrami , L. Agazzani , C. Albansese, G.

Bottitta, L. Bonfanti, M. Filice, D. Iaria, J. Ibbrahim, F. Manti,

K. Theodoridis.

Disegni di Maria Calandra e Sebastiano Nucifora

512 3 / 0 2

5

6

7

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52 . D O C

BATTERIA DI SAN JACHIDDU

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3

4 5

TIPO “A” a corte aperta e 3 coppie di paioliEstensione in pianta mq 3400

Delle stesso tipo:Batteria Schiaffino

LEGENDA1. Fossato (San Jachiddu)2. Rampe (San Jachiddu) 3. Fronte di gola (Schiaffino)4. Caponiera (San Jachiddu)

5. Sezione trasversale6. Pianta copertura7. Pianta al livello della corte8. Assonometria9. Prospetto sul fronte di gola

Rilievo di: S. Arcidiacono, S. Beccaria, A. Carbone, N.

Caristi, M. Crisei, I. Famulari, I. Hauner, F. Romano.

Disegni di Maria Calandra e Sebastiano Nucifora

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6

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BATTERIA DI ARGHILLA’

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3

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TIPO “A” a corte aperta e 4 coppie di paioliEstensione in pianta mq 5400

Delle stesso tipo:Batteria Cavalli

LEGENDA1. Finestra sul fronte di gola (Arghillà)2. Fossato e fronte di gola (Cavalli) 3. Caponiera e fronte di gola (Arghillà)4. Vista sulla corte (Cavalli)

5. Sezione trasversale6. Pianta copertura7. Pianta al livello della corte8. Assonometria9. Prospetto sul fronte di gola

Rilievo di: M. Barbuto, M.R. Bellissimo, R. Brandi, S.

Calarco, C. Ciaccio, D. Cicala, A. Ciliberto.

Disegni di Maria Calandra e Sebastiano Nucifora

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BATTERIA CAMPONE

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TIPO “A” a corte aperta e 3 coppie di paioli con impianto asimmetricoEstensione in pianta mq 2400

Delle stesso tipo:Batteria Puntal Ferraro

LEGENDA1. Fronte di gola gradonato (Campone)2. Fossato e ponte levatoio (Ferraro) 3. Corte (Campone)4. Ingresso e fronte di gola (Ferraro)

5. Sezione trasversale6. Pianta copertura7. Pianta al livello della corte8. Assonometria9. Prospetto sul fronte di gola

Rilievo di: F. Baglione, D. Bontempo, A. Carrozza, C. Chiavi, F. D’Agostino I, F. D’Agostino II.

Disegni di Maria Calandra e Sebastiano Nucifora

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6

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BATTERIA MONTE DEI CENTRI

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TIPO “A” a corte aperta e 2 coppie di paioli con fronte laterale apertoEstensione in pianta mq 1100

Delle stesso tipo:

LEGENDA1. Fossato e ponte levatoio 2. Caponiera 3. Traversa e zona dei paioli4. Vista della corte

5. Sezione trasversale6. Pianta copertura7. Pianta al livello della corte8. Assonometria9. Sezione sul fronte di gola

Rilievo di: E. Berndt, S. Bilardo, M. Bonaccorso, C. Chiefari.

Disegni di Maria Calandra e Sebastiano Nucifora

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9

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60 . D O C

BATTERIA DI CATONA

1 2

3

4

TIPO “B” a corte aperta e 3 coppie di paioli Estensione in pianta mq 4400

Delle stesso tipo:Batteria OgliastriBatteria Beleno (a 4 coppie di paioli)Batteria Petrazza

LEGENDA 1. Finestra della caponiera (Catona) 2. Zona delle Piazzole (Petrazza) 3. Assonometria dello stato di fatto (Beleno) 4. Caponiera e fronte di gola (Catona) 5. Assonometria (Ogliastri)

6. Sezione trasversale 7. Pianta copertura 8. Pianta al livello della corte 9. Assonometria10.Prospetto sul fronte di gola

6

5

Rilievo di: M.A. Borrello, M.S. Caridi, G. Falvo D’Urso

Labate, E. Flores, A. Camaioni, S. Cinqueonce, R. Spada.

Disegni di Maria Calandra e Sebastiano Nucifora

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8

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BATTERIA DI MATINITI INFERIORE

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3

TIPO “C2” a corte scavata e 3 coppie di paioli Estensione in pianta mq 200

Delle stesso tipo:Batteria Poggio Pignatelli

LEGENDA1. Veduta d’insieme 2. Fossato e caponiera del fronte a mare 3. Ingresso

4. Assonometria5. Sezione trasversale6. Pianta copertura7. Pianta al livello della corte8. Prospetto sul fronte di gola

4

5

Rilievo di: C.N. Forneri, R.

Minacapilli, R. Alessio, L.

Barbuscia, S. Briganti, C.

Chiappetta, B. Bombace, G.

Chirico, V. Ciulla, D. Callea, F.

Berlingeri

Disegni di Maria Calandra e

Sebastiano Nucifora

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6

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64 . D O C

POLVERIERA DI MODENA

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2

3

TIPO “Polveriera”Estensione in pianta mq 300

Delle stesso tipo:

LEGENDA1. Veduta dal basso2. Veduta d’insieme con la zona degli alloggi 3. Veduta della copertura

4. Sezione trasversale5. Pianta copertura6. Pianta 7. Assonometria8. Prospetto

4

Rilievo di: G. Amato, V. Baggetta, F. Bellocco, M. Billotta.

Disegni di Maria Calandra e Sebastiano Nucifora

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5

6

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8

66 . D O C

Se da un punto di vista compositivo è stato possibile individuare diverse tipolo-gie di manufatti in base alla dimensione e alla funzione prevalente che erano preposti a svolgere, per ciò che riguarda l'aspetto costruttivo dei forti umbertini ci si trova di fronte ad una assoluta unifor-mità di soluzioni. La tecnica, i materiali, i particolari costruttivi, le soluzioni tecnologiche adottate si ripetono pedissequamente in ogni struttura e confermano, se mai ce ne fosse bisogno, come i forti dello Stretto siano il risultato di un proget-

TECNICA E MATERIALI

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672 3 / 0 2

Particolare del muro sul fronte di gola della batteria Monte dei Centri

Caponiera e parte del muro sul fronte di gola della batteria di Pentimele sud

to unitario, con comuni riferimenti alla manualistica militare dell'epoca.Ciò che colpisce il visitatore contempo-raneo è soprattutto la presenza di una tale minuziosa attenzione nel disegno dei particolari che, al di là del dato fun-zionale, rivela una ricerca formale non sospettabile in strutture adibite a compiti di guerra.Da un punto di vista costruttivo, l'uso del cemento armato, con cui sono costruite tutte le strutture militari del novecento, non era ancora entrato a far parte della consuetudine edificatoria, e la struttura portante dei forti umbertini è realizzata in muratura di pietra calcarea locale e calcestruzzo regolarizzata da orizzontamenti in mattoni. Questi ultimi sono usati anche nelle ammorsature dei muri, mentre gli angolari esterni sono quasi sempre in pietra squadrata, lavora-ta e sistemata a blocchi per garantire, in quei punti, una maggiore resistenza. Le strutture esterne sono poi rivestite della stessa pietra di colore chiaro, non squadrata e messa in opera ad opus incertum. Questo tipo di paramento è uno degli elementi che salta subito agli occhi in tutti i forti, e ne restituisce un'immagine solida ma non monolitica, disegnata dalla trama muraria irregolare della faccia vista.Qualche volta, come nel caso dei fortini di Pentimele, anche gli angolari sono realizzati in mattoni e rimangono a vista

68 . D O CU

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Tavola di particolari esecutivi tratta da Atlante di fortificazio-ne di M. Borgatti

così come le file di orizzontamento che segnano il ritmo costruttivo in elevazio-ne.I vani interni presentano coperture volta-te in laterizio, con un'ampia campiona-tura di forme: dalla botte, al padiglione, alla crociera, ai solai con profilati in acciaio e voltine ripetute, in origine tutte intonacate, ma che oggi lasciano spesso trasparire l'elegante disegno che i laterizi compiono nel concorrere al loro mutuo sostenimento. Se la pietra è il rivestimento privilegiato degli elementi superficiali, il compito di mettere in evidenza gli elementi lineari e puntuali è quasi sempre affidato al mattone, che contrassegna il ritmo degli elementi orizzontali e verticali dell'intera struttura. I primi sono le copertine dei muri e i marcapiani, dove, spesso, gli elementi non sono a spigolo vivo ma elegantemente arrotondato. I secondi sono le paraste-contrafforti che scandi-scono sia il passo del muro sul fronte di gola che i passi delle facciate sulle corti interne. Nel forte di Matiniti Superiore è di note-vole interesse l'articolazione delle due facciate interne, dove, sia nei ricorsi orizzontali che negli elementi vertica-li, il mattone viene impiegato con un gioco di rientranze e sporgenze che arricchisce i prospetti con interessanti soluzioni, come, ad esempio, nell'anda-mento semicurvo dei capitelli. Altri ele-menti verticali, realizzati frequentemente in mattoni faccia vista, sono i pilastri dell'ingresso principale, dove il materia-le è sapientemente utilizzato per dare dignità all'unico elemento di rappresen-tanza dell'intero manufatto. In alcuni casi i pilastri sono realizzati in pietra, ma mantengono lo stesso disegno a ricorsi orizzontali dei precedenti. Gli elementi in cui l'uso del mattone si rivela più caratterizzante sono però le bucature, sia quelle interne alla corte, che danno accesso ai locali chiusi, che, soprattutto quelle esterne verso il fossa-to, utilizzate come postazioni di fucileria. Queste finestre presentano, come da manuale, una strombatura a gradini, che

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Pilastro d’ingresso della batteria

Puntal Ferraro

Ingresso del forte Siacci

Presa d’aria in pietra lavica

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70 . D O C

ticale. Se la realizzazione a gradini delle finestre strombate sottende ad una motivazione essenzialmente pratica, lo stesso non può dirsi, ad esempio, per la sagomatu-ra di molti degli stipiti di porte e finestre interne, che rivelano, ancora una volta, una insospettabile cura per il particolare. I mattoni sono impiegati, alternati alla pietra lavica, anche nelle pavimentazioni e nei rivestimenti delle rampe di colle-gamento tra la corte e le piazzole. La

garantiva la massima libertà di tiro e, al contempo, la massima protezione possi-bile. Generalmente sono poste nei muri e nelle caponiere a difesa del fossato, e possono essere singole o binate; la loro forma a feritoia, bassa e allargata, è tipica delle bucature adibite al fuoco di difesa, con la piattabanda semicircolare a sesto ridotto. Quando sono poste nella parte bassa della caponiera la loro forma può aumentare in altezza, a vantaggio di una maggiore libertà di movimento ver-

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Spaccato assonometrico di una finestra da fucileria

sul fronte di gola della batteria Pentimele nord

pietra lavica è utilizzata nella definizione di finiture e particolari, nella copertina dei muri e negli elementi basamenta-li e terminali del ponte levatoio, ma, soprattutto, nei gradini delle scale di collegamento esterno e nella realizza-zione delle cunette per il deflusso delle acque piovane, scavate nei cornicioni di coronamento. Anche la sua lavorazione è fatta con estrema cura, come dimostra la sagomatura dei bocchettoni terminali delle cunette.L'ocra giallo della pietra calcarea, il rosso dei mattoni laterizi e il nero della pietra lavica definiscono l'immagine visibile dei forti umbertini, la cui mime-tizzazione con l'ambiente era affidata, oltre che alla cromaticità, anche alla loro posizione.Tra gli impianti tecnologici presenti, aerazione, illuminazione, smaltimento e raccolta delle acque piovane, quello di maggiore interesse è senza dubbio il primo. Chi ha visitato i locali interni di almeno uno di questi forti sa che anche nei vani interrati esiste una ventilazio-ne più che soddisfacente, garantita da una intelligente realizzazione di canali di collegamento tra i vari livelli e l'esterno. La conservazione di polveri e munizioni accatastate nei vani interrati e semin-terrati imponeva, d'altronde, soluzioni che garantissero la totale assenza di condizioni di umidità tali da mettere in pericolo il buon funzionamento dei pro-iettili nel momento del bisogno. Tra gli accorgimenti adottati c'era quello di iso-lare dal terreno il piano di calpestio degli ambienti adibiti a polveriera tramite delle intercapedini ottenute realizzando l'in-tradosso del solaio mediante una serie di voltine a botte in mattoni. Il solaio di base risulta così aerato da una serie di condotti verticali che, attraversando i soffitti e i sovrastanti terrapieni, giungo-no fino alla sommità del forte.Un meccanismo distintivo, presente in tutte le strutture considerate, è quello che aziona il ponte levatoio e permette lo scavalcamento del fossato di gola. Il ponte funziona mediante un congegno a contrappesi realizzato con due travi in

Tavola sulle finestre da fucileria tratta da Fortificazioni

di L. Marinelli

ferro solidali con la passerella. Il mec-canismo ribalta la passerella verso l'alto facendo ruotare verso il basso le travi in un vano ricavato al di sotto della struttu-ra. La parte interna della corte antistante il ponte levatoio è pavimentata con una piazzola in basole di pietra lavica segna-te dagli alloggiamenti per i contrappesi2. Un altro elemento caratterizzante l'im-magine dei forti umbertini è la gabbia di Melsens, una maglia metallica flessibile, realizzata in striscie di materiale condut-tore, disposta in modo regolare su quasi tutta la superfice del forte ed avente la funzione di parafulmine. Pur essendo un elemento minore nell'economia dell'inte-ra struttura, la sua presenza era di note-vole importanza poiché evitava il rischio di esplosioni durante la caduta di inop-portune scariche elettriche dal cielo.Le strutture dei forti umbertini, per il sistema costruttivo e le soluzioni tecno-logiche adottate, sono tuttora, per ciò che riguarda le costruzioni in muratura, una sorta di cantiere scuola, una lezio-ne di tecnologia delle costruzioni che meriterebbe uno studio specifico e una attenzione maggiore.1. Nell'uso dei materiali fa eccezione forte dei Centri

dove non si riscontra la presenza né del mattone

laterizio né di elementi di pietra lavica, e tutti gli

elementi sono realizzati in pietra calcarea. Questa

particolarità conferma il carattere singolare di que-

sta struttura che, anche a livello formale si discosta

leggermente dalle altre presentando, ad esempio, un

tracciato di base quadrangolare anziché decisamen-

Tavola di particolari esecutivi tratta da Atlante di forti-

ficazione di M. Borgatti

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La gabbia di Melsens nella batteria di Matiniti Inferiore

72 . D O C

732 3 / 0 2

Sezione trasversale sul vano sottostante il ponte

levatoio della batteria Monte dei Centri

Intercapedini per l’isolamento

delle pareti delle riservette del

forte Siacci

Particolare del vano sottostante il

ponte levatoio con l’alloggiamento

dei contrappesi per l’apertura

Sezione longitudinale sul vano

sottostante il ponte levatoio della

batteria Monte dei Centri

te allungato in una direzione.

2. In alcuni manufatti, come il forte Ferraro o il forte

Campone, questo meccanismo è ancora perfetta-

mente funzionante.

Note

In questo capitolo:

I disegni relativi alla batteria Monte dei Centri

sono di: E. Berndt, S. Bilardo, M. Bonaccorso e C.

Chiefari.

I disegni relativi alla batteria Pentimele sono di: S.

Amaddeo, A. Bevacqua, R. Criaco e C. Albanese.

i disegni relativi alla batteria Campone sono di:

D. Bontempo, A. Carrozza, F. D’Agostino I e F.

D’Agostino II.

74 . D O C

DISEGNO, SEGNO E SIGNIFICATO

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Non sempre, nelle opere architettoniche, il disegno di progetto e il disegno di rilievo si avvalgono degli stessi metodi di rappre-sentazione. Le ragioni di questa dicotomia sono molteplici, ma si basano soprattutto sullo scarto esistente fra il disegno che scaturisce dall'elaborazione di un'idea e quello che questa idea analizza e che cerca di restituire sulla carta in modo scientifico.

752 3 / 0 2

Sul piano concettuale, nel caso di un'opera come un forte umbertino, que-sta dicotomia è inesistente, e inesistente è pure lo scarto tra il disegno di proget-to e la rappresentazione del rilievo. Ciò accade per un motivo molto semplice: nei disegni di progetto di opere militari di questo tipo non esiste l'elaborazione di un'idea originale, in quanto essa è già stata codificata in appositi manuali e deve essere solo applicata in modo rigido, con minimi adattamenti alla situazione specifica. In questo senso, il metodo di rappresentazione del disegno di progetto è analitico, così come quello di rilevo, poiché nulla concede a ciò che non è propriamente funzionale. I modi di rappresentazione suggeriti dai manuali si basano su due delle tre pro-iezioni mongiane: sul piano orizzontale, la pianta, e sul piano laterale, il profilo, relegando quella sul piano verticale, il prospetto, ad un ruolo marginale.L'importanza della definizione di queste due vedute è spesso sottolineata dagli stessi autori dei manuali; a tal proposi-to E. Cosentino e G. Carotti scrivevano nel 1874: ...In qualsiasi opera di forti-ficazione due sono gli elementi prin-cipali, costitutivi, che danno carattere e classificazione alle opere, e sono: il loro tracciato (pianta) e il loro profilo (sezione).1 Anche Borgatti nei suoi testi dedica ampi paragrafi alle discussioni generali sui profili e sui tracciati 2 e si sofferma nel descrivere sia le altezze e le pen-denze dei primi che le forme, tenagliate, bastionate, dei secondi. Gli autori si riferiscono al dato costrutti-vo del manufatto, sostenendo che dalla scelta del tipo di tracciato e di profilo derivano le caratteristiche salienti della costruzione. Nessuno accenna mai ad una discussione sui prospetti, come d'al-tro canto sembra logico, in un’ opera che fa della invisibilità alla vista frontale la sua prerogativa. Il concetto stesso di prospet-to, cioè di qualcosa che si deve mostra-re, perde di significato teorico e pratico, poiché nulla racconta della specificità dell'opera. Di contro, pianta e sezione Piante e sezioni della batteria di Matiniti inferiore

Considerazioni sul disegno

di un forte

Sezioni t rasversa l i d i for t i da

E. Le i thner, La guerra d i for-

tezza

76 . D O C

si rivelano disegni necessari, e per certi versi bastanti, a definire il manufatto. Così come suggerito per il progetto, anche la rappresentazione del rilievo deve avvalersi degli stessi disegni e, più ancora che per il primo, la sezione diventa la vista indispensabile poiché è ciò che realmente serve a comprendere l'essenza del manu-fatto. Nel disegno di rilievo, la pianta diventa una rappresentazione quantitativa, poi-ché spiega soprattutto la geometria della costruzione, la sua disposizione funzionale e l'apparato modulare; mentre la sezione trasversale si rivela una rappresentazione

qualitativa, poiché spiega, o per meglio dire svela la natura della relazione che il manufatto ha con il terreno, che è di fatto, parte integrante della costruzione stessa.Ciò non equivale ad affermare che è inutile o sbagliato disegnare in prospetto queste strutture, quanto che questo tipo di vista, peraltro limitata al solo fronte di gola (gli altri tre prospetti sono inesistenti perché totalmente interrati), si limita a raccontare solo se stessa.3

Il ruolo dell'assonometria, a differenza di quanto avviene nei disegni dell'architettu-ra militare costruita in elevato dalla metà del Cinquecento fino a tutto il Settecento, qui aiuta soprattutto a comprendere le relazioni interne del forte ai vari livelli, ma non è indispensabile alla rappresentazio-ne dell'insieme. Non c'è, in questo caso, un vero ingombro da rappresentare, e lo spazio stesso dell'oggetto4, come lo chiama Massimo Scolari, è uno spazio volumetricamente assente, essendo rica-vato per sottrazione e non per addizione. Il suo uso risulta più interessante nella forma di sezione o esploso, specie nella rappresentazione dei particolari ottenuti dalla somma di piccole entità volumetri-che, come sono le finestre sui fossati e sulle caponiere costituite dall'addizione dei mattoni variamente disposti.Per quanto riguarda la prospettiva, essa sembra incapace di relazionarsi con il manufatto in sè, al fine di produrre una rappresentazione significativa. Nella descrizione grafica di un forte umbertino non appare importante ciò che è percepi-bile dall'occhio, quanto invece ciò che non lo è. Paradossalmente, una prospettiva a volo d'uccello, punto di vista dal quale nessuno avrebbe mai dovuto vederlo, è l'unico tipo di disegno che può aggiungere informazioni valide, in questo caso però, entrerebbe in gioco la rappresentazione del paesaggio, e tutte le osservazioni fin qui fatte andrebbero riconsiderate sotto questa luce.

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772 3 / 0 2

Il segno elementare che sintetizza l'ar-chitettura di un forte umbertino è la linea orizzontale. Questa indica la comunione con il piano del terreno, la minima visibi-lità sull'orizzonte. La figura geometrica che meglio può rappresentare la forma del manufatto è invece il rettangolo. Esso ha due lati di lunghezza prevalente rispetto agli altri, così come il fronte a mare e quello di gola di un forte lo hanno rispetto a quelli laterali. In realtà i due elementi sono viste diver-se di un'unica entità. Se infatti imma-giniamo il rettangolo al vaglio dei piani mongiani, esso diventerà una linea orizzontale sul piano verticale, ciò che è realmente percettibile alla vista frontale: lo spianarsi della sommità della collina, il regolarizzarsi del filo del terreno; sul piano orizzontale, cioè alla vista zenitale, la figura si manifesterà invece per quella che è. La bidimensionalità del rettangolo si appiattisce sul foglio di carta come il forte sulla cima dell'altura, e questa disposizione rende bene ciò che abbia-mo definito la caratteristica principale dell'architettura dei forti, cioè l'orizzon-talità5. Wassily Kandinsky, nel descrivere la prima delle linee fondamentali (orizzon-tale, verticale, obliqua) in un passo di Punto linea superfice, così scrive:...La forma più semplice è l'orizzontale. Nella rappresentazione che se ne fa l'uomo, essa corrisponde alla linea o alla super-fice sulla quale egli si trova o si muove. La linea orizzontale è quindi una base portante fredda, che può essere fatta proseguire sul piano in diverse direzioni. La freddezza e la piattezza sono i suoni fondamentali di questa linea, ed essa può venir definita come la forma più concisa della infinita possibilità di movi-mento freddo6. Da queste parole traspare tutta la cari-ca passiva che la simbologia associa all'orizzontalità: il segno sottrattivo, il valore statico, la negatività che ha la posizione dell'uomo dormiente, la vita piattamente orizzontale7, come dice

Segno e significato

Esploso assonometr ico del la batter ia San Jachiddu

78 . D O C

Bachelard o, in ultimo, la posizione assunta dall'uomo nella morte.Se teniamo presente la funzione primaria che i forti umbertini avevano nella mente dei loro ideatori, cioè quella di fare la guerra, ecco che il significato simbolico associato al concetto di orizzontalità torna, e sembra plasmarsi sull'architet-tura reale. L'idea di guerra rimane infat-ti, a mio parere e a dispetto di odierni e aberranti appellativi come giusta o santa, naturalmente associata alla nega-

tività della parola morte.La guerra proposta dai forti dello Stretto non è poi neanche quella della fierezza messa in mostra dai castelli fortificati medioevali e rinascimentali che porta-vano in alto le proprie torri in segno di potenza, quanto della viltà del nascon-dersi, allo scopo di tendere un tranello al nemico tramite ciò che è, poco nobil-mente, un'imboscata a tutti gli effetti.Se l'orizzontalità dei forti si porta dietro la negatività di questo simbolismo, essa ha, d'altro canto, la necessità di essere supportata dalla verticalità4 dell'altura su cui si posa. Prima di aprire le bocche di fuoco, il forte ha bisogno di controllare, di vedere, e soprattutto di vedere senza essere visto, e solo l'elevazione su un punto privilegiato gli permette di essere dominante verso la distesa orizzontale per eccellenza: il mare.Fortunatamente oggi è possibile sepa-rare i forti umbertini dall'idea primigenia della guerra e li si può guardare per ciò che sono nella loro fisicità materica, cioè architetture importanti inserite nel paesaggio contemporaneo dello Stretto. In questo senso, paradossalmente, le valenze negative legate al simbolismo della loro conformazione, ora che è venuto meno il loro scopo, possono lasciare posto a quelle positive della loro stazione. Lo stare in alto equivale all'es-sere verticali, quindi all'essere vivi, con tutta la carica di positività che questo comporta.Il forte non serve più a proteggere, a difendere, a portare la morte attraverso le funeste traiettorie delle artiglierie ma, più innocuamente, a guardare e, per chi ci riesce, anche a vedere e a sentire. Vedere e sentire ciò che il paesaggio dello Stretto riesce ancora a comunica-re, quell'essere separazione e congiun-zione di due sponde, uguali e contrarie ma, come l'orizzontale e il verticale, complementari e indispensabili l'una all'altra.

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Spesso l'immagine attuale del paesaggio antropizzato è il risultato di un sovraffol-lamento di segni inseriti nel territorio in modo casuale. Questi segni fanno della visibilità la loro prerogativa, quasi che senza visibilità non vi possa essere pre-senza. Ciò, d'altro canto, riflette una tendenza comportamentale odierna, che spesso non risparmia neanche l'architettura, con cui la vita si riempie di immagini pre-potenti e di rumori che diventano solo la pellicola sottile che cela la paura del vuoto.In una ipotesi di riuso, già per altro in atto per alcuni forti di entrambi i ver-santi, le invisibili sentinelle del tenente Balzo si ripropongono oggi all'attenzione dell'osservatore andando controcorrente. La negatività della piattezza del loro segno diventa oggi la testimonianza di una presenza discreta, silenziosa ma insieme vitale e reale. Questi forti segna-no il paesaggio senza rumore, rimanen-do seminascosti nel suo grembo, quasi ad auspicare un ritorno della materia alla madre terra. Ricordano che in architettura esiste il tema dello scavo e della mimesi. Dai loro punti di vista privilegiati lanciano, a dispetto di proposte di inutili ponti reali, magici ponti visivi sullo Stretto, utili alla sosta e alla riflessione dello spirito. 1. E. Cosentino, G. Carotti, Elementi di fortificazio-

ne, Tipografia Sociale, Modena 1874, p. 81.

2. M. Borgatti, La fortificazione permanente contem-

Conclusioni

Note poranea teorica e applicata, cit., pp. 113 e seguenti.

3. In questo senso è ancora più sorprendente la

cura quasi maniacale nell'uso del mattone anche per

la qualificazione dell'aspetto esteriore del manufatto;

ma ciò è probabilmente dovuto a quell'innato gusto

per il decoro che ancora alla fine dell'ottocento le

maestranze possedevano e proponevano, in con-

tinuità con tutta l'architettura militare fino a quel

momento realizzata, anche in manufatti in cui ciò

che contava era la mera funzione.

4. M. Scolari, Elementi per una storia dell'axonome-

tria, in Casabella n° 418, p.42.

5.Orizzontalità: dal greco xxxx; letteralmente l'oriz-

zonte è ciò che limita la terra, che separa il cielo

dalla terra oppure che delimita lo sguardo...è l'effet-

to fondamentale della forza di gravità a cui il corpo,

assumendo tale posizione, non oppone resistenza.

L'immagine più ricorrente è la superfice del mare in

una giornata di piatta. La sensazione che produce

è la calma che tende alla noia. F. Fatta, Geometria:

Avventure dello spazio e immagini della ragione,

Jason , Reggio Calabria 1998, p.71

6. W. Kandinsky, Punto linea superfice, Adelphi,

Milano 1996, pp. 59-60.

7. G. Bachelard, La fiamma di una candela, SE,

Milano 1998, p.13.

8. Verticalità: dal latino derectus. Indice di dominio

sul piano dell'orizzonte. L'uomo assume una posi-

zione eretta, che lo differenzia dal resto del mondo

animale per la sua verticalità. Tale posizione gli con-

sente di "vedere" e conoscere il mondo (alto, basso,

destra, sinistra), definendo regioni spaziali relative

alla sua posizione verticale. La verticalità è sintomo

di vitalità, simbolo dell'ascensione al cielo, predomi-

nio dello spirito sulla materia. F. Fatta, op.cit. p. 71

In questo capitolo:

I disegni relativi alla batteria di Matiniti Inferiore sono

di: A.Rocco, L. Barbuscia e S. Briganti.

I disegni relativi alla batteria Campone sono di:

D. Bontempo, A. Carrozza, F. D’Agostino Ie F.

D’Agostino F II.

80

Affusto

Dal francese affuster, appoggiarsi al fusto di un albero. Struttura di sostegno del cannone.

Poteva essere da attacco o da difesa. Quelli d'attacco avevano le ruote ed erano, quindi, mobili per essere impiegati

nelle operazioni d'assedio.

L'affusto da difesa aveva solo due rotelle in ghisa, nella parte posteriore, che permettevano di ruotare parzialmente il

cannone per modificare l'angolo di puntamento.

Aggere

Rialzo in terra, muro, pietrame o legno eretto a difesa degli accampamenti. Si costruirono però anche aggeri offensivi per

sostenere macchine e artiglierie in approccio. Spesso è sinonimo di argine.

Angolo morto

Zona posta dietro un ostacolo dove non possono arrivare i proiettili di una determinata traiettoria. Chi si ripara dentro

questo angolo è defilato dal tiro nemico.

Antemurale

Opera leggera anteposta come prima difesa contro il nemico, costruita variamente (muro, terra, palizzate, ecc.).

Ariete

Strumento da percossa costituito da trave a testa rinforzata manovrata con violenza per lo sbrecciamento del muro.

Era mosso a mano o appeso o montato su bilanciere, spesso riparato da testuggine, da castello o da riparo simile. Nel

Medioevo fu chiamato anche montone o gatto.

Avancorazza

Guscio protettivo in metallo, di solito in ghisa, applicato sull'orlo dei pozzi d'installazioni corazzate, emergente dal calce-

struzzo quel tanto da proteggere la base della cupola.

A

G L O S S A R I O

81

BBaluardo

vedi anche bastione. Il termine, per taluni trattatisti, distingueva opere in muro da quelle di terra, dette appunto, bastioni.

La distinzione si è poi dileguata nel tempo e con l'uso esclusivo delle opere in muro.

Barbacane

Costruzione avanzata, spesso staccata dalle mura vere e proprie, destinata a coprirne per lo più il piede (difesa bassa).

Chiamato propugnacolo dai romani, poi antemurale ebbe un molteplice uso arrecando danno alla chiarezza del termine

che oggi spesso, nel gergo murario, è soltanto usato come sinonimo di muro scarpato controspinta.

Barbetta

In ogni sorta di tiro radente di cannone a cielo scoperto, detta in tal modo perché la fiammata "faceva la barba allo spal-

to" che li riparava.

Bastida o basti

Caposaldo avanzato fuori delle mura con caratteristiche fortificatorie semi permanenti e strutture leggere, costruite in

legno e terra.

Bastione

Elemento pentagonale (due facce, due fianchi, una gola) innestato all'incontro di due cortine angolate in asse alla biset-

trice del loro angolo al fine di realizzarvi il fiancheggiamento irrobustendo contemporaneamente lo spigolo. Sinonimo di

baluardo.

Battifolle

Torre più alta della precedente, a guardia di un passaggio obbligato.

Battifredo o belfredo

Torre mobile d'assedio. Termine trasformato nel tempo a indicare torre alta, fissa, con caratteristiche di fortificazione

permanente.

Battiponte

Appoggio in muratura disposto nel fossato a sostegno del ponte levatoio abbassato, quando la larghezza del fossato

risultava maggiore dello sbraccio del ponte.

Bertesca

Opera leggera in legno o muratura a torretta costruita a piombo o sporgente da muro fortificato, con servizio per lo più

di guardia o di avvistamento. Moltiplicata dai Crociati, scomparvero, a partire dal secolo XVI, per la loro vulnerabilità ai

bombardamenti.

Bicocca

Opera alta, provvisoria e avanzata, destinata soprattutto all'avvistamento.

Caditoia o piombatoia

Vano aperto verso il basso tra i beccatelli che sostengono merlature avanzate per bersagliare " a piombo" con pietre,

pece, acqua bollente, l'assediante che iniziava la scalata.

Campo trincerato

Corona di forti disposta attorno ad una piazzaforte (nucleo), con lo scopo di salvaguardarla dalla portata dell'artiglieria

nemica. Il termine venne coniato per indicare che le truppe, accampate tra il nucleo e la corona staccata, erano trincera-

te, cioè protette anche senza l'erezione della classica muraglia continua.

Il concetto del campo trincerato venne enunciato già nel XVI secolo dal matematico bresciano Nicolò Tartaglia.

Camicia

Ogni raddoppio o fasciatura applicata contro l'opera difensiva al fine di incrementare la resistenza all'urto degli arieti e

dei proiettili. Costituisce di solito la prima e più economica reazione alla potenza aumentante dei mezzi d'offesa, spesso

accompagnata dalla terrapienatura interna.

Caminada

Strada interna corrente contro mura, adiacente a quelle e a servizio della manovra necessaria alla loro difesa. Detta

sovente anche "terraggio", non va confusa col cammino continuo di ronda, corrente dietro le merlature ad uso della

difesa.

Cannone

Pezzo di artiglieria con calibro superiore ai 20 mm. Il calibro viene determinato dal diametro interno della canna. Il medio

calibro comprende le armi con diametro da 100 a 210 mm.

Nel primo trentennio dell'ottocento, i proiettili sferici da quattro chili avevano una gittata massima di duemila metri, senza

precisione per lo sbattimento che avveniva all'interno della canna.

C

82

Un radicale miglioramento dell'efficacia di queste armi fu ottenuto con la Rigatura della canna, cosa che permetteva

una maggior precisione ed una gittata più che doppia. Una ulteriore miglioria fu ottenuta con la cosiddetta Cerchiatura

della canna (invenzione che permetteva una maggiore elasticità, ideata dal colonnello Giuseppe Bianchi e realizzata dalla

Armstrong di Pozzuoli), ottenuta mediante la forzatura a caldo di due tubi sovrapposti uno all'altro.

I materiali utilizzati per costruire un cannone erano di vario tipo: Bronzo; Ghisa, detta anche Ferraccio; Sterro, ossia una

lega di rame, zinco, ferro e stagno; Acciaio.

Come ulteriore componente di definizione ricordiamo la RETrocarica, cioè la possibilità di caricamento del proiettile dalla

parte posteriore (culatta) del cannone.

Cannoniera

Apertura variamente angolata che difende il pezzo di artiglieria da posta, in casamatta o in barbetta. Quasi sempre

costruita con forti spessori di pietra in semplice o doppia tromba di muro con arrotondamenti antischeggia dei merloni

laterali.

Capitale

Asse di simmetria nel tracciamento del fronte bastionato, congiungente il centro della piazza col vertice del bastione.

Caponiera

Elemento difensivo ridotto e basso, immesso nel fossato e destinato a difenderlo col tiro radente. Spesso adiacente e

prolungante i piedi del bastione.

Cartoccio

Confezione di esplosivo contenente la carica di lancio per proiettili di artiglieria.

Casamatta

Vano coperto, ricavato dietro o dentro mura, aperto verso l'esterno per consentire difesa rasente terra nevrobalistica o a

fuoco.

Cavaliere

In genere qualsiasi opera fortificata più elevata di un'altra; dapprima frequente sull'asse dei primi baluardi, venne grada-

tamente abbandonato quando gli svantaggi dell'esposizione superarono i vantaggi offerti dalla posizione dominante.

Circonvallazione

Linea continua disposta dall'assediante all'esterno del proprio campo. Volta verso la campagna, serviva a coprirlo a

tergo da sorprese di alleggerimento tentate dall'esterno in favore della difesa.

Controguardia

Opera a V staccata, con facce parallele e più basse di quelle del bastione che, in tal modo, difendeva, raddoppiava e

anticipava.

Controscarpa

Piano inclinato esterno, opposto a quello di scarpa.

Corno

Opera destinata a rafforzare fronti più deboli o esposti, si appoggiava di solito ai rivellini e costituiva per lo più contro-

guardia chiusa e avanzata. Detta anche "a cappello da prete" o "a coda di rondine" per la sagoma assunta in pianta.

Corona

Opera analoga a quella a corna, con due o tre rivellini associati tra loro e avanzati contro il nemico.

Corpo di guardia

Locale destinato alle guardie e situato nei pressi della porta d'accesso.

Cortile d'arme

Spazio variamente chiuso e bersagliabile dall'alto. Serviva con le sue doppie chiusure ad intercettare infiltrazioni nemiche

e ad assicurare gli assediati allorché, in sortita, dovevano momentaneamente aprire le porte.

Defilamento

Occultamento di armi, soldati o postazioni, agli occhi del nemico.

Feritoia

Apertura donde bersagliare gli assedianti. Si distinguono in arciere, balestriere, archibugiere.

Fiancheggiamento

Qualsiasi tiro rivolto verso il fianco dell'assediante in avanzata a difesa di un'opera che molto meno economicamente sì

difende frontalmente; spesso confuso col termine "radente".

Ficcante o piombante

Qualsiasi tiro che si operi da sito più elevato su un attaccante; si contrappone al termine "radente" eseguito a livello.

D

F

83

G

Fronte di gola

Lato posteriore della fortificazione, opposto al fronte di attacco. Nei forti del campo trincerato di Mestre il fronte di gola

corrisponde all'ingresso delle opere e, comunque, al lato scoperto dal terrapieno e meno difeso dall'armamento pesante.

Fulmicotone

Esplosivo costituito da nitrocellulosa, ottenuto trattando il cotone con una miscela di acido nitrico e solforico.

Gabbionata

Elemento mobile di copertura costituito da cilindri di rami e virgulti, riempiti di terra, ciotoli, ghiaia o simili, adoperati

anche come ostacoli più robusti. Disposti orizzontalmente e rotolati in avanti permettevano anche meno cruento approc-

cio all'avversario.

Gatto o montone

Il termine indicò inizialmente una specie di ariete usato dall'assediante e convenientemente protetto per avvicinare le

mura, percuoterle e sbrecciarle. Designò in seguito il complesso ariete e copertura, anche con elementi avanzanti a can-

nocchiale scorrenti su rulli.

Gittata

E’ la distanza massima raggiungibile dal proietto. Nei cannoni a polvere e nel vuoto, corrisponde ad una elevazione di 45°.

La gittata aumentò considerevolmente, rivoluzionando la tecnica degli assedi, con l'uso, introdotto nel secolo scorso, dei

proietti ad ogiva e delle canne rigate dei pezzi.

Guardiola

vedi bertesca.

Infilata

Il fuoco d'infilata indica i colpi che corrono paralleli al muro e colpiscono al fianco il nemico che sta attaccando.

Innesco

Congegno che, inserito nella spoletta, determina l'accensione della carica di lancio.

Lizza

Striscia di terra compresa tra due recinti di difesa concentrici. Dominata dai due muri, serviva ad evitare l'avvicinamento

delle torri degli assedianti e a scaglionare la difesa in profondità. In tempi di pace veniva usata come sede di gare, corse e

tornei, donde il detto "scendete in lizza" per significare un intervento in difesa di qualcuno o di qualcosa.

Lucchetta

riparo in legno a forma di scatola troncopiramidale con la base aperta verso il basso ricavata tra merlo e merlo a copertura

del tiratore appostato. Avendo analoga funzione della mantelletta, vedi anche ventiera.

Lunetta o freccia

Opera addizionale esterna aperta alla gola costituita da un saliente a due fianchi. Si inseriva come seconda controguardia

al di là dello spalto, spesso coperta da una seconda linea di spalti e da un raddoppio di strada coperta; serviva come

avamposto a incrementare il fiancheggiamento e a proteggere e a sostenere le soldatesche impegnate in sortita. Spesso

fortemente sporgente, veniva anche chiamata freccia.

Merli

Parte superiore della muraglia interrotta a denti, detti anche trine, pizzi e risalti; forse inizialmente quadri per i Guelfi e a

coda di rondine per i Ghibellini, non costituiscono chiara indicazione della fazione, data la instabilità loro.

Mezzaluna

Il termine indica, nel Quattrocento, un rivellino a pianta semi√circolare; nel Cinquecento corrisponde a un rivellino con anda-

mento triangolare verso il nemico e semicircolare nell'interno; nel Seicento, in Francia, distingue il rivellino ad andamento

completamente triangolare. Di solito la mezzaluna era anteposta alla cortina, ma anche su questo punto le definizioni sicure

non abbondano nei trattati dell'epoca.

Mitragliatrice

Arma da fuoco, portatile o fissa, a tiro rapido. Il suo calibro può essere compreso tra i 15 e i 45 millimetri. Le mitragliatrici

fecero la loro prima comparsa nella guerra di secessione statunitense dove la Gattling, a 10 canne rotanti con manovella, e

la Martigny, 10 canne fisse in fascio, sconvolsero le tattiche di combattimento del tempo.

Mortaio

Pezzo d'artiglieria a canna corta, utilizzato per tiri di breve gittata con una traiettoria molto curva. Efficacissimo per colpi-

re obiettivi defilati e orizzontali.

Obice

Pezzo di artiglieria con caratteristiche intermedie tra il cannone e il mortaio. Capace di tiri a traiettoria tesa o curva.

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P

84

R

S

Orecchione

Smusso tondo dell'angolo tra faccia e fianco nel bastione. Serve a coprire le cannoniere del fianco ritirato.

Paiolo o Paiuolo

Struttura di alloggiamento di cannoni, obici o mortai

Paradosso

Traversone in terra parallelo o quasi all'andamento del fronte al fine di garantire il difensore da tiri di rovescio. Frequente

dietro strade coperte, cavalieri, trincee.

Parianette

Traverse distribuite sulle cortine destinate a diminuire gli effetti dei tiri nemici di infilata.

Piazzola

Piattaforma per la collocazione di un pezzo di artiglieria.

Piedritti

Struttura o elemento verticale con funzione di sostegno.

Piazzaforte (piazza)

Località fortificata in modo permanente, da utilizzare come base d'operazioni.

Pluteo

Scudo o mantelletta semicilindrica leggera, montata su ruote a protezione di piccoli nuclei di guastatori avanzati verso il

muro difeso.

Polveriera

Detto anche "magazzino a polvere", è il locale adibito a deposito di esplosivi.

Puntone

Torre sporgente ad angolo dalle mura verso l'assediante. Per lo più pentagonale, è opera di transizione tra torri tonde e

bastioni. Indico all'inizio nel sec. XV, il bastione stesso; se ne ricordano esempi antichissimi.

Ramparo

Dal francese emparer, fortificare. Muro che circonda un forte o opera in terra a sua protezione

Riservetta

Locale destinato alla conservazione di munizioni e proiettili.

Rivellino

vedi anche mezzaluna. Opera addizionale avanzata foggiata a V o a semicerchio, anteposta e più bassa della cortina

che difende, spesso coprendo anche la porta aperta sulla sua capitale. Era contornata da proprio fossato utilizzata per

il fiancheggiamento e comunicava spesso per via sotterranea con la tenaglia e la cortina retrostante. Chiamata anche

corno o bastionetto veniva interrotta con traverse più elevate, sviluppando facce molto lunghe. Si veda il rivellino del

forte di Sarzanello sviluppato quasi come forte equivalente a quello principale. I primi rivellini avevano naturalmente forme

meno complicate. Noti quelli rettangolari della fioritura viscontea, disposti di là del battiponte a guardia anche dei fossati.

Rocchio

Base cilindrica, di larghezza maggiore dell'altezza, dove veniva posto l'affusto del cannone. Il maschio era il perno cen-

trale attorno a cui ruotava la postazione.

Rondella

Bastionetto tondo per lo più angolare.

Saliente

Qualsiasi opera angolata col vertice verso il campo nemico.

Saracinesca

Serranda contrappesata scorrente verticalmente a chiusura di porta. Se articolata, così da calare in ogni caso anche

sopra ostacoli infilatile sotto, detta "organo".

Scarpa

Parete del fossato contro la piazza o aggiunta di muro inclinato posta alla base dell'opera fortificata allo scopo di rin-

forzarla, annullare gli angoli morti antistanti, allontanare le torri mobili degli assedianti, diminuire il pericolo delle mine

sotterranee.

Shrapnel

Dal nome del suo inventore, Enrico Shrapnel. Dette anche "granate a pallottole", erano dei proiettili destinati a bersagli

animati. Nella cavità interna contenevano numerose pallette di piombo indurite con antimonio. Queste venivano irraggiate

tutto attorno come micidiali proiettili quando lo shrapnel, fatto esplodere da una spoletta a tempo, raggiungeva l'obiettivo.

85

Spalto

Fascia rilevata di terreno inclinato verso il nemico. Protegge la strada. Coperta di controscarpa, la costeggia, aumenta il

defilamento lontano della piazza; spesso forato con scale sotterranee per le sortite, intervallato da piazza d'armi, confor-

tato da traverse, viene foggiato a salienti successivi (denti da sega) per aumentare la efficenza del fiancheggiamento cui

è destinato.

Spoletta

Congegno applicato a proiettili di artiglieria, bombe, missili, per provocare l'esplosione della loro carica interna.

Strada coperta

Linea di comunicazione ricavata nello spalto sul ciglio della controscarpa. Spesso veniva raddoppiata con una

sottostante galleria segreta di controscarpa destinata, col fuoco così disponibile, a bersagliare le spalle dell'assediante,

calatosi nel fossato.

Tenaglia

In genere qualsiasi opera difensiva convessa. Nel fronte bastionato distingue un antemurale basso destinato a difendere

il piede della cortina e a incrementare la difesa radente del fossato; serve pure a coprire pusterle basse aperte sul fossa-

to stesso (soccorso, sicurezza, ritorni offensivi sul nemico, vettovagliamenti, esploratori).

Tenagliato

Sistema di fortificazione stellato dovuto al Montalembert, adottato dalla scuola francese sino a metà del secolo XVIII. Il

nostro Alghidi da Carpi ne aveva prevista l'applicazione più di un secolo prima.

Tenaglione

Elemento di braga a difesa bassa della cortina composto da un'opera allungata parallela alla cortina stessa e da due ali

oblique divaricate verso i due bastioni che la contengono; sostituiva il rivellino ma, più complicata e costosa, non trovò

frequenti applicazioni.

Terrapieno

Cumulo di terra ammassata alla base o ai lati di strutture preesistenti, come sostegno, rinforzo o sbarramento.

Traditore

Batterie in barbetta o in casamatta nascoste e anche sovrapposte in vari ordini scalati tra di loro nel tratto di fianco

riparato dall'orecchione dei tracciati bastionati. Non visibili da chi avanzava sulla magistrale baluardo, fiancheggiavano

la cortina e la faccia del baluardo attiguo e spazzavano il tratto di fossato a loro antistante. Lo sviluppo delle "tradire" si

riduceva naturalmente quando, per la penuria di artiglierie, si disimpegnava la stessa funzione con archibugi o moschet-

toni da posta.

Traversa

Costruzione per lo più in terra interposta a tratti rettilinei di difesa, in muri o in terra, al fine di contenere gli effetti del tiro

di infilata nemico (vedi anche parianette).

Ventiera

Battente rotante tra merlo e merlo a copertura del vano intermedio e del tiratore dietrostante (vedi anche mantelletta e

lucchetta).

Il glossario è tratto da C Zanlorenzi I forti del campo trincerato di Mestre e da AAVV sul sito www.castellinet.it ed integra-

to, per alcune voci, dallo scrivente.

T

V

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Finito di stampare nel mese di settembre 2002

presso Grafiche Femia srl

Marina di Gioiosa Jonica (RC)

b i b l i o t e c a d e l c e n i d e


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