Eclisse 4 - Winter 2012Theme: The Devil
Cover by Storm NeverlandGraphic Design: Serena Bosca & Giulia Hepburn
Text Editing: Luca Malkamok RomanoContact: [email protected]
INDICE
Articoli - fumetti - fotografie
“Dalla depravazione all’illuminazione” scritto da Martina Giudice
Pagina 8
“La sua luce”poesia di InnerEvey
Pagina 11
“Il diavolo innamorato”scritto e disegnato da Mrs Storm
Pagina 13
“Il diavolo veste a righe”scritto da Giulia Hepburn
Pagina 27
“Vexilia regis, prodeunt inferni”fotografie di Giulia Hepburn
Pagina 32
“Diavol”scritto da Martina Giudice
Pagina 45
“Help”scritto e disegnato da Serena Bosca
Pagina 50
Illustrazioni
“Bestia immonda”cover di Mrs Storm
Pagina 1
“Oni”opera di Subaru Sumeragi
Pagina 6
“Baphomet”dipinto da Luca Malkamok Romano
Pagina 10
“Girl”incisione di Laura Di Fonzo
Pagina 12
“Mirror”incisione di Monica Porro
Pagina 26
“La mela”opera di Maria Laura Silano
Pagina 49
“Il diavolo”back cover di Mrs Storm
Pagina 58
Giulia Hepburn: ”Se mi trovassi faccia a faccia con il diavolo, gli farei tirare tre dadi da sei. Entrambi sapremmo quale sarebbe il risultato”
Mrs Storm: “Il diavolo?L’ho sognato, ed era innamorato”
Maria Laura: “Il diavolo è qualcosa di più penetrante di quanto l’iconografia classica ci faccia intendere”
Luca Malkamok: ”Disquisisce per ore della differenza tra demòni e dèmoni ma, da bravo bizantino, sempre per sentito dire”
Serena Bosca: ”Ho eliminato tutti i diavoli dal mio regno”
InnerEvey: “Il diavolo è il lato recondito dell’anima, che a tratti, emerge nella nostra vita”
IN THE SHADOW WE ARE
Monica Porro: “Se il diavolo non esiste, ma l’ha creato l’uomo, credo che egli l’abbia creato a propria immagine e somiglianza”
Martina Giudice: ”Diavol? Ribelle e appassionato, come molti dovrebbero essere”
Laura di Fonzo: ”Lussuriosamente come un rosso drappo striscia e si insinua nelle carni e nelle menti, donando un furioso fremito di pazzia e decadenza. Per poi lasciare le sue consapevoli vittime vuote come gusci rotti, prive di anima”.
Subaru Sumeragi: “Il vero diavolo è dentro di noi”
“Sono quella forza che vuole sempre il male e opera sempre il bene” (Mefistofele, dal “Faust” di J. W. von Goethe)
Per celebrare il primo anno di vita di Eclisse Magazine, abbiamo posto una sfida ai nostri autori dando loro un unico tema, un solo protagonista, a cui
ispirarsi: Il Grande Avversario in persona, il Diavolo!
Attraverso i loro occhi potrete abbandonarvi alla ri-scoperta di una delle figure più complesse e ambigue della cultura occidentale che permeano
l’immaginario collettivo, tra suggestioni bulgakoviane, echi shakespeariani, tarocchi e insospettabili curiosità legate alla moda.
Un ritratto per certi versi quasi affettuoso nella sua umanità, lontano dagli aspetti più grotteschi della imago diaboli e da cui traspare una chiara im-
pronta romantico-rinascimentale.
Luca “Malkamok” Romano
eclisse
Nella nostra cultura quella del Diavolo è ormai una figura ambigua e spesso strumentalizzata, ma
che ha radici molto antiche. L’angelo caduto che si ribellò a Dio e che nella cultura cristiana viene
chiamato Lucifero è una trasposizione di Satana, il nome del Diavolo nella tradizione ebraica, che
significa “Avversario”. Questa figura è presente anche nella cultura islamica e nel Corano gli viene
attribuito il nome di Iblis o Shaytan.
La classica immagine odierna di Diavolo come essere immondo con corna e attributi bestiali ci ar-
riva dal tardo medioevo dove l’arte e la cultura vissero un momento
di grande interesse verso questa figura. Alcuni suoi attributi, come
ad esempio il palco di corna, cominciarono ad apparire solo dal IX
secolo, assecondando l'immaginario di quel periodo e richiamando
indirettamente l'aspetto di alcune divinità pagane.
Nei tarocchi, la figura del Diavolo ottiene un posto nell’arcano XV.
Specularmente alla carta del Papa che indica la via verso le vette spi-
rituali il Diavolo indica la via verso le profondità dell’essere. Nella
raffigurazione tradizionale dei Tarocchi Marsigliesi il personaggio al
centro ha le ali da pipistrello e una torcia in mano a sottolineare il
suo muoversi nell’oscurità dell’inconscio. Il lato animalesco è molto
sottolineato e ricorda all’iniziato che anche quello fa parte della natura umana e che per raggiungere
l’illuminazione va accettato ed elevato.
È l’arcano della passione amorosa e creativa, votato alla materialità, ma in sé stesso spirituale. La
carta può rappresentare una tentazione o una ricerca nell’inconscio nel mare in tempesta che sono le
nostre pulsioni. In negativo può rappresentare una deviazione e un comportamento autodistruttivo
Dalla depravazioneall illuminazione
‘
e negativo, spesso viene associata anche all'avidità.
La carta non è né maschile né femminile: è generata dai due principi, rappresentati a lato della figura
principale, e li contiene entrambi in qualità di ermafrodito. È energia
pura, ma caotica, che incanalata può diventare simile quella divina.
A causa dell'influenza dell'educazione religiosa di primo acchito que-
sta carta potrà sembrare negativa, ma in realtà non lo è sempre: il
Diavolo può si rappresentare una perdita di moralità o degli errori
nei piani, ma determina anche una grande forza creativa e un gran-
de impulso. è una carta che porta alla dinamicità, che sottolinea le
azioni e indirizza l’attenzione su quelle che sono le pulsioni, anche
sessuali, dell’individuo o su dei problemi che ancora non si voglio
accettare o risolvere.
La carta invita a conoscere sé stessi in modo profondo, accettando
anche i lati oscuri della propria personalità, prestando attenzione su
tutto ciò che ci muove dal profondo per riconoscerlo e diventare così una persona più completa e
cosciente.
Nella tarologia le cose non sono viste in modo semplicistico e quindi
divise tra bene e male, ma sono complesse e articolate: quello della
carta del Diavolo, insieme alla carta della Morte, ne è forse l’esempio
più lampante.
Negli insegnamenti delle principali religioni monoteistiche odierne il
Diavolo è visto come il male puro, da allontanare e aberrare: è la con-
taminazione e la blasfemia più estrema, senza controllo né moralità,
privo di qualsiasi logica e votato alla depravazione. La visione sim-
bolica suggerita dalle carte invita invece a fare un passo oltre questa
definizione e ad usarla come metafora: la carta non invita ad abbando-
nare la ragione per concedersi all'immoralità, ma a riflettere sul motivo
per cui questi aspetti dell’umanità sono presenti in tutti noi e su dove
abbiamo deciso di mettere i paletti tra giusto e sbagliato.
Per approfondire: "La via dei tarocchi" di Alejandro Jodorowsky e Marianne Costa, Feltrinelli edizioni.
Accesa. Accecante.
Prende il nome di Fama. Vidi uomini e donne perdere loro stessi avvolti da essa.
Quando finalmente ebbero l’occasione di ritrovarsi, furono vuoti, spenti da quella stessa fiamma.
Luccicante, vibrante. Prende il nome di Denaro. Ebbi il novero di uomini e donne che ne accumularono tanto da
perderne la stima, e finirono miseramente desiderando di aggiungerne ancora, accorgendosi in realtà di non avere stretto nulla.
Soffusa, fioca. È cornice di lascivia e peccato carnale. Prende il nome di Piacere.
Mi raccontarono di uomini e donne che si avvicinarono alla sua fonte convinti di esserne dissetati, ma presto le loro membra si seccarono e disperatamente tornarono alla stessa sorgente finendo i loro giorni nel
tormento.Questa è la Sua luce.
Tutti noi ne siamo vittime e personificazione al tempo stesso. Tutti noi sappiamo che la scelta migliore è quella di lasciarci circondare
soltanto da qualche raggio della Sua luce.
In un mattina che doveva vedere il suo inizio, quando i raggi del sole
non avevano ancora baciato la terra scura...
...un cantastorie addormentato ai
piedi di una collina su cui crescono i
biancospini...
...sognò il re dei demoni che a lui si rivolgeva con queste parole:
Sono caduto nel tranello più grande di tutti.
Si era innamorato. Lei era una
regina delle Fate, una delle figlie di
Eva nascoste a Dio.
Perché dite a me queste cose,
temibile tentatore?
Perché tu le dovrai cantare.
E far conoscere a tutti la vostra
umiliazione?
É il mio prezzo da pagare per averla.
Conosci i cortei delle Fate? Non esiste nulla nel misero
mondo imperfetto più splendente e nobile, quanto temibile. Lei ne gui-da la testa, è la Regina Medb che
per il rifiuto di un uomo, ha scatenato una guerra...
Come si conquista una Fata?
C'era una distesa di cadaveri che non lasciavano respiro
alla terra per colpa della loro
putrefazione...
Li ho tramutati in fiori dai mille colori, il loro
sangue in rugiada e le vesti strappate in tenera
erba verde.
L'ho fatto per lei.
L'ho fatto rinascere...
L'ho fatto per lei.
C'era un uccello splendido, riverso a
terra, morto per colpa di un misero umano.
...tramutandolo in fenice, ancora più
splendente di prima.
L'ho fermato nella sua furia e trasformato
quella lava bollente, che nel mio
regno nasce...
C'era un vulcano dalla lava incandescente che colava inesorabile, mangiando la
foresta intorno.
L'ho fatto per lei.
...in fresche acque che bagnano il mon-
te, sgorgando da una fonte
miracolosa.
Ma Medb non si è fatta impressionare.
I tuoi sono solo inganni, esattamente
come i miei, quando dono foglie secche trasfor-mate in monete d'oro ad
un povero viandante.
Con un gesto cancellò tutte queste mie opere,
per dimostrarmi che il suo potere era pari al mio, ma
questo già lo sapevo.
Come avrebbe potuto mai attirare anche solo il mio sguardo, altrimenti?
Vuoi stupirmi, Principe dei
demoni? Smasche-ra la tua debo-lezza ai mortali.
Così perderei fascino
e mistero.
Così dimostrere-sti di essermi
davvero devoto.
Ho accettato ed ora l'ho fatto.
Tu cantastorie dovrai narrare
questa storia, del Diavolo
innamorato.
Così il cantastorie fuggì via da quella collina, con le prime luci del giorno che
nascondevano le ombre del demonio alla sua vista.
Narrò una storia d'amore, come gli era stato richiesto,
finché le sue parole si dispersero nelle quattro direzioni, fino a giungere
anche alle orecchie di Medb.
Non l'hai fatto. Non gli hai dato tu le parole perfet-
te con cui narrarla.
Credevi che lo avrei reso un poeta per-fetto come ho fatto con altri? No, meglio lasciarlo raccontare
con i suoi limiti.
Pensavo che la tua vanagloria ti avrebbe portato a donargli un ta-lento innaturale.
Proprio per que-sto non l'ho fat-to. Era quello che ti aspettavi
da me.
La tua su-perbia è
leggendaria.
Le leggende sono per gli
uomini.
La regina Medb sorrise...
Permettimi, mia Signo-ra, di mostrarti me-
raviglie di regni in cui non sei mai stata. Sono sicuro che questa vol-
ta riuscirò a stupirti ancora di più
In un delicato suono di campanelli d'argen-to, mosse lentamente la mano per appog-giarla su quella che
lui le porgeva.
Lei accettò.
“Non indosserai una veste che è tessuta di due diverse materie”, Levitico 19,19
Le vediamo ovunque: sulle passerelle di stilisti di fama mondiale, sulle t-shirt dei ragazzi, sulle
nostre lenzuola, ma anche sul manto di animali come le zebre. Parliamo delle righe.
Le righe hanno avuto una storia molto travagliata nei secoli: sono
state simbolo degli emarginati nel periodo medioevale, di pro-
stitute, dei boia, degli ebrei, e da sempre erano associate alla
figura del demonio.
La citazione del Levitico non è chiara al riguardo, se con due
materie diverse, si intendano fibre diverse (ad esempio cana-
pa e lino) o si riferisca, come ritennero gli esegeti medievali,
alle righe? Forse il problema non è di carattere “interpretativo”,
ma culturale/visivo. L’uomo del Medio Evo, sembra provare una
certa avversione verso tutte quelle superfici che confondono
la vista. Ogni immagine del periodo dovrebbe idealmente ave-
re una profondità, composta da una successione di piani, ma
questo le righe per loro natura confondono questa suddivisione
fondendola in un unico piano bicromo. Le righe confondono
l’occhio e la mente, così come fa il demonio.
Curiosi sono i casi legati a questo tipo di abbigliamento.
Sul finire dell’estate del 1254, in Francia, giungono a Parigi dei nuovi religiosi dell’ordine della
Madonna del Carmine. Ciò che destò scandalo furo-
no i loro mantelli rigati. Bisogna sapere che il mantel-
lo ha un forte valore simbolico di investitura, poiché
nel medio evo ad ogni manto è legato un passaggio,
l’ingresso ad una nuova condizione. Il manto dei car-
melitani è motivo di trasgressione, tanto che i frati
divennero vittime di “bullismo”, bersaglio di ingiurie
e beffe da parte della popolazione. Alcuni studiosi
pensano che il manto carmelitano fosse tanto odiato,
in quanto richiamava quello orientale, mussulmano,
una specie di djelleba (tunica ampia, generalmente
di colore blu, usata dai popoli che vivono nel deser-
to) . Non era accettabile che un cristiano portasse un
indumento simile a quello degli infedeli. Forse non
sapevano che, ad esempio, Federico II, alla corte di Palermo nel 1211, amava vestire alla maniera
saracena, ma ai potenti si perdona tutto, e soprattutto Palermo e Parigi sono due mondi separati
nel medioevo, probabilmente neanche lo sapevano!
Ci furono diverse bolle papali tese ad obbligare i carmelitani a cambiare il loro mantello. Questa
diatriba durò lunghi anni, fino a quando i frati rinunciarono a quel mantello “sbarrato”, per adot-
tare una cappa bianca.
Purtroppo non sono giunte fino a noi testimonianze pittoriche del mantello carmelitano, invece,
prima dell’anno mille, molti personaggi biblici, inizialmente nelle miniature e poi nella pittura
murale, indossano almeno un indumento a righe.
Caino, Giuda, Salomè, spesso, vengono rappresentati con degli indumenti a righe, a sottolineare
la loro inclinazione maligna. Successivamente ai testi biblici, si aggiungeranno i personaggi di
testi letterari, dove le righe saranno indumenti tipici di lebbrosi, falsari, saltimbanchi, pazzi, cri-
minali, mussulmani, ebrei, eretici.
Caso singolare è la figura relativa a San Giuseppe. Da sempre personaggio sottovalutato, una sor-
ta di comparsa, al quale gli vennero attribuiti vizi di ogni genere (l’idiozia, l’avarizia, l’ubriachez-
za) rappresentato come un vecchio canuto e mai in primo piano. Solo a partire dal Rinascimento
inizierà la sua rivalutazione, per poi raggiungere i suo apice grazie ai gesuiti e all’arte barocca.
In epoca medioevale San Giuseppe, veniva spesso rappresentato con delle “brache rigate”, so-
prattutto nelle zone della Germania. Questo simbolo significa dare importanza ad un suo ca-
rattere tipico: l’ambiguità. Non è un marchio di infamia, come in Giuda o Caino, ma di divers,
qualcosa di singolare e bizzarro.
Anche gli animali non sfuggono al giudizio dell’uomo medioevale, che condanna quelli dal man-
to maculato e rigato, infatti, nelle gesta eroiche, il protagonista è spesso in groppa ad un cavallo
bianco o dal manto unito, mentre gli antagonisti su cavalli pezzati,baio, dai molti colori.
Nel Rinascimento, soprattutto a Venezia, le righe ricoprivano le vesti degli schiavi di colore che
arrivavano dall’Africa, simbolo dei popoli lontani dalla civiltà.
Le righe passano da orizzontali a verticali, salvo alcune eccezioni,
tra il 1500 e il 1600, e questa nuova forma veste soprattutto i so-
vrani, mentre quelle orizzontali rimangono relegate alla condizione
servile. La Controriforma, porrà infine freno all’evolversi delle righe,
favorendo gli indumenti più rigorosi.
Al loro ritorno, esse sono molto più scure e caravaggesche, atte a
creare giochi di luci ed ombre, la moda coinvolgerà nuovamente
l’aristocrazia, per poi fermarsi con l’inizio della guerra dei Trent’anni: le vesti dei lanzichenecchi
zebrate non hanno di certo aiutato la loro rivalutazione.
Segue un periodo senza righe, a parte qualche eccezione negli accessori e abiti femminili. C’è
una certa attenzione per l’Oriente: alla classe agiata piace farsi ritrarre come sultani e le righe
sembrano aiutare nell’intento.
La svolta avviene nel 1775 con la rivoluzione americana, le righe dal nuovo continente sconvol-
gono il vecchio continente, coinvolgendo tutte le classi sociali, e finalmente inizia il declino del
carattere dispregiativo delle righe. Ora intrigano e seducono: vestirsi di righe è un mezzo per
proclamare la propria anglofobia (in ricordo delle tredici colonie americane insorte contro l’In-
ghilterra) e adesione ai movimenti liberali. Le righe contadine si confondono con quelle aristo-
cratiche e cominciano ad adornare i tessuti per interni e da arredamento.
Ma la svolta epocale arriverà nel 1789 con la Rivoluzione Francese.
Non si sa per quale ragione la rivoluzione abbia impiegato largamente l’uso della rigatura, tanto
da farne diventare elemento emblematico. Forse era una similitudine alle sbarre della Bastiglia e
la rigatura vestiaria, forse un ricordo dell’immagine del diavolo associata ai sanculotti. La coccar-
da diventa il simbolo per eccellenza., Costituta da tre strisce concentriche, prima ancora della
bandiera francese, ha una forte valenza simbolica, ideologica, patriottica, repubblicana. Diventa
emblema della guardia nazionale, immagine dell’unità del paese. Chi osa profanarla commette
un crimine contro lo Stato, chi vende coccarde non tricolori è punito con la morte.
L’epoca rivoluzionaria, “rivoluziona” la storia della rigatura, infatti, inseguito, le istituzioni in Eu-
ropa, abbandoneranno a poco a poco gli antichi stemmi con motivi animali o vegetali, per lascia-
re spazio a marchi geometrici a righe.
Pensando ai giorni nostri, quando vediamo un cartello di divieto, da che cosa è costituito? Se
immaginiamo un indumento con larghe righe e colori contrastanti a che cosa ci rimanda? La riga-
tura con connotazione maligna non è del tutto sparita, basti pensare alle tenute dei carcerati o ai
prigionieri ebrei nei campi di concentramento. Chi indossa questi indumenti non può conoscere
la salvezza, la speranza, durante la dittatura nazista, le righe violano profondamente la libertà
dell’uomo.
Ma questo collegamento tra medioevo ed età moderna, in Occidente, lo troviamo anche a livello
lessicale. Se pensiamo alla parola correggere essa ha il doppio significato di “mettere in riga”, ma
anche di “punire”, (si pensi alle case di correzione), il verbo sbarrare, cancellare, ma sottolinea
anche che le sbarre sono a righe. Esempi come questi li troviamo anche nella lingua inglese (to
strip: spogliare e privare), tedesca ( streifen e strafen, rigare e punire, hanno, probabilmente, la
stessa origine etimologica), francese ( rayer, tracciare righe e sopprimere), e latine (stria, striga,
strigilis, si ricollegano al verbo stringere, che tra i suoi significati ha quello di serrare, privare).
Nella cultura occidentale, a distanza delle varie epoche, la riga è ancora associata ad un’idea
di impedimento, esclusione, punizione. Chi l’indossa è l’escluso della società. Ma se invece noi
provassimo ad immaginarla anche come una protezione? I folli e gli stolti medioevali che in-
dossavano abiti rigati, oltre ad essere un simbolo infamante, non potevano rappresentare una
barriera contro il demonio? Una specie di amuleto che era in grado di proteggerli? Così come i
nostri pigiami a righe, o le lenzuola, non servono per proteggerci durante la notte proprio quan-
do siamo più deboli ed inermi?
Per approfondire:“La stoffa del diavolo - una storia delle righe e dei tessuti rigati”, Michel Pastoureau, edizione
“il melangolo”.
Tu fosti perfetto nelle tue vie dal giorno che fosti creato, finché non si trovò in te la perversità
Ezechiele 28:15
Come mai sei caduto dal cielo, astro mattutino, figlio dell’aurora? Come mai sei atterrato, tu che calpestavi le
nazioni? Tu dicevi in cuor tuo: Io salirò in cielo, innalzerò il mio trono al di sopra delle stelle di Dio; mi siederò sul monte dell’assemblea, nella parte estrema del settentrione; salirò sulle sommità delle nubi, sarò simile all’Altissimo.
Isaia 14:12-14
Aronne offrirà il giovenco del sacrifizio per il peccato, che è per sé, e farà
l’espiazione per sé e per la sua casa.Poi prenderà i due capri, e li presenterà
davanti all’Eterno all’ingresso della tenda di convegno.
E Aronne trarrà le sorti per vedere qual de’ due debba essere dell’Eterno e quale
di Azazel.
Dove sei tu ora Azazel?
Un leggero odore di cenere, ed eccolo. È tornato. Mi volto e lui è lì, appoggiato al muro che sorride e mi guarda.
“Ehilà, come mai ti hanno ficcata qua dentro ancora una volta?”
Sorrido. “Perché chiedi se lo sai?” rispondo irriverente.
Lui scoppia a ridere divertito “Io so cosa succede, ma non come me lo racconterai...” commenta enigmatico.
“Beh allora aggiungerò qualche dettaglio così ti dirò qualcosa di nuovo. L’infermiera mi ha fatto ancora arrabbiare, mi ha tirato uno schiaffo dopo avermi dato i sedativi, ma io non li ho ingoiati subito e l’ho aggredita. Mi ha detto...”
Mi porge un cioccolatino spuntato da una delle numerose tasche della giacca e abbandono l’argomento.
“E come faccio a mangiarlo?” gli chiedo muovendo le spalle per fargli notare la mia situazione.
“Serve aiuto?” chiede avvicinandosi.
“No, no, tutto quel dolore non vale un cioccolatino” rispondo scuotendo la testa.
“E come no? Questo è un meraviglioso cioccolatino al cocco, la lussuria in formato cubetto di due centimetri! Voi umani... sempre lì a preoccuparvi del dolore: non è sempre una cosa negativa!” Ridacchia e mi scarta il cioccolatino, metà a lui e metà a me. Butta la carta per terra e inizia a gironzolare per la stanza guardandosi attorno, gli piace far sciogliere il cioccolato lentamente quindi non parla per un po’. La sua presenza però è rassicurante, forse perché è l’unico che non mi ha mai fatto del male, il mio unico amico. L’unica stranezza è che il mio caro amico sostiene di essere Diavol, il Diavolo, e non in senso metaforico.
Diavol
Dovrebbe farmi paura ed invece non provo nessun timore quando c’è lui, nemmeno da quando mi ha dato la dimostrazione di avere certe capacità...
forse perché prima l’ho conosciuto come amico. L’ho incontrato al parco e forse non è stato poi così tanto per caso. Avevo appena litigato con Nikolaj ed ero seduta da sola su una panchina con il labbro sanguinante e il viso gonfio, lui si è avvicinato e facendo finta di niente mi ha offerto un cioccolatino e una sigaretta, la migliore della mia vita. Abbiamo iniziato a parlare ed è diventata sera senza che nemmeno me ne accorgessi, andavamo d’accordo su tutto. Quel giorno qualcosa in me ha iniziato a cambiare. Ora dicono che sono pazza, ma la verità è che ho solo avuto il coraggio di fare quello che andava fatto: quel bastardo si è meritato tutto quello che gli è successo. Forse il sangue ha sporcato un po’ troppo, ma qualcuno avrà sicuramente ripulito... È stato così interessante, non avevo mai provato simili sensazioni. Mi è piaciuto, e sono felice di sapere che non potrà più far male a nessuno. La gente come lui non merita di vivere. Diavol è d’accordo con me, quelli come Nikolaj non piacciono nemmeno a lui e ha detto che mi aiuterà quando uscirò di qui, avremo un sacco di cose da fare... Peccato che il resto del mondo non la pensi proprio come noi, stupide leggi, mi avrebbero dato la pena di morte se Diavol non mi avesse aiutata dicendomi di dare la colpa lui. Uno psicologo ed eccomi qua.
Un leggero morso e il sapore del cioccolato invade anche la mia bocca “Ehi Diavol, quand’è che me ne potrò andare via di qui? Odio questo posto, e odio quelli che ci lavorano, e poi è tutto così bianco, è snervante... Voglio andare al parco...”
Si volta subito e si avvicina a me accovacciandosi leggermente per portare i nostri occhi sullo stesso livello. “Non preoccuparti, non ci vorrà ancora molto... Dobbiamo aspettare qui una persona che arriverà presto, vedrai che ti piacerà un sacco e quando avrete fatto amicizia potremo andare via insieme e portare avanti i nostri progetti...” sussurra accarezzandomi la ciocca nera, me l’ha fatta diventare lui così, una ciocca nera nei capelli rossi, quando me la sfiora mi sembra di sentire dell’elettricità scorrermi lungo tutto il corpo.
“Ora vado” mi sussurra “arriva il dottore, fai la brava.” sottolinea le ultime parole con un sorriso malizioso e mi fa l’occhiolino prima di scomparire. Non c’è più,
ma io sento ancora il suo profumo.. Tornerà presto, torna sempre da me.
Con un sospiro mi giro verso la porta e aspettando che si apra guardo le pareti: le odio... sono così... bianche. Alla fine la porta si apre ed entra il dottore con l’infermiera dell’altro giorno, bianchi pure loro e con quello stupido sorriso sul viso.
“Come andiamo stamattina?” mi chiede tirando fuori una penna e annotando qualcosa sul taccuino che ha sempre in tasca. “Adesso l’infermiera le darà un leggero sedativo così quando è tranquilla le togliamo questa brutta camicia di forza e la portiamo nella sua stanza, ok?”
E me lo chiede pure? Tanto è lui che decide! Annuisco tanto per fargli capire che lo sto ascoltando intanto guardo l’infermiera e sorrido, ha ancora il livido che le ho fatto l’altro giorno.
“E quello?” indica stupito il dottore avvicinandosi alla carta del cioccolatino. “Questo da dove arriva? Si è di nuovo tolta la camicia di forza da sola? Questi cioccolatini qui non li vendono nemmeno!”
“Gliel’ho detto: è stato il mio amico. Ma per voi lui non esiste, quindi... Non so dottore, lei cosa propone? L’avrà lasciata l’inserviente magari...” sorrido e lo guardo, è diventato bianco come il suo camice.
“Si... infatti... sicuramente... uno scherzo di qualcuno...”
Cerca di convincersi, ma so che ha paura. D’accordo con Diavol ho raccontato al dottore tutta la verità, ma lui non ci crede e per questo sono ancora qui.
Eppure...
Io non sono pazza.
IO SONO IL
ASCOLTATE IL SUONO DELLE VOSTRE GRIDA
GUARDATE IL MOSTRO CHE AVETE CREATO
CHE VI CONDANNA