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E-DIALOGUE Nr 6 anno 2010 cmis Conference Mondiale Instituts Seculiers SOMMARIO Lettera del presidente (F.M. Herraez) ............................................. 2 Vita della CMIS: ................................................................. 2 sito assemblea generale consiglio di presidenza nomina del segretario CIVCSVA Vita della Chiesa: ................................................................ 4 ricordando Paolo VI Dalla Chiesa Congolese Dal Messico Madonna di Sümela Sinodo dei Vescovi Per la riflessione: ................................................................ 5 Essere presenze profetiche, oggi (G. Mazzola ) Vita degli istituti: ................................................................ 16 Missionarie degli infermi Missionarie della regalità di Cristo COMI OMMI Mission de Notre Dame de Bethanie CCIS FEBIS CNIS CIIS Cruzados de Santa Maria Servite Secular Institute Voluntas dei Figlie dei sacri Cuori di Gesù e Maria Missionarie della Parola di Dio Prêtres du Prado Missionarie secolari Scalabriniane Oblatos Diocesanos Testimonianze .................................................................. 20 dall’Istituto Dominicain d’Orléans Dall’istituto Maddalena Aulina Dall’istituto Deus Caritas Spigolando ...................................................................... 27 perché il post-concilio è ancora così difficile? (P. Gheddo)
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E - D I A L O G U EN r 6 a n n o 2 010c m i s

Conference Mondiale Instituts Seculiers

SOmmArIO

Lettera del presidente (F.M. Herraez) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2Vita della CMIS: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 sito assemblea generale consiglio di presidenza nomina del segretario CIVCSVAVita della Chiesa: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 ricordando Paolo VI Dalla Chiesa Congolese Dal Messico Madonna di Sümela Sinodo dei VescoviPer la riflessione: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Essere presenze profetiche, oggi (G. Mazzola )Vita degli istituti: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 Missionarie degli infermi Missionarie della regalità di Cristo COMI OMMI Mission de Notre Dame de Bethanie CCIS FEBIS CNIS CIIS Cruzados de Santa Maria Servite Secular Institute Voluntas dei Figlie dei sacri Cuori di Gesù e Maria Missionarie della Parola di Dio Prêtres du Prado Missionarie secolari Scalabriniane Oblatos DiocesanosTestimonianze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 dall’Istituto Dominicain d’Orléans Dall’istituto Maddalena Aulina Dall’istituto Deus CaritasSpigolando . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 perché il post-concilio è ancora così difficile? (P. Gheddo)

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E-DIALOGUE • Nr 6 anno 2010 2

La parola del presidenteCi sono diversi motivi per rallegrarsi che vorrei sottolineare.

In primo luogo, è stato recentemente nominato un nuovo segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. Si tratta di P. Joseph Tobin William, C.SS.R. Contemporaneamente il Santo Padre lo ha fatto arcivescovo di Obba. E ‘stato Superiore Generale dei PP. Redentoristi, vice presidente dell’Unione dei Superiori Generali, e membro del Consiglio per le relazioni tra la Congregazione e le Unioni Internazionali dei Superiori Generali. Noi gli auguriamo ogni bene in questo servizio alla Chiesa e alla vita consacrata.

In secondo luogo, abbiamo on-line il sito web, con una presentazione rinnovata. C’è voluto del tempo, ma è lì. Ora è disponibile per i contributi da parte di tutti noi .Occorre che tutti gli istituti secolari uniscano gli sforzi per farne una pagina di vita, utile e

ricca di contenuti. In terzo luogo, abbiamo constatato che questa newsletter, che tanto amorevolmente cura

Marcella nostra segretaria, viene accolta molto bene. E ‘testimoniato dalle molte e-mail che si ricevono e sono sempre gradite.

In quarto luogo, è quasi delineato il tema su cui si concentrerà la nostra discussione nel prossimo Congresso-Assemblea del 2012 che sarà celebrata in Assisi. Quanto prima vi daremo informazioni più precise.

Poiché questi mesi centrali dell’anno, tendono ad essere momenti di assemblee nei vari Istituti, posso solo augurare a tutti che il Signore ci rinnovi e rivitalizzi per continuare a vivere con speranza la nostra vocazione secolare.

IL SItO Una grande novità dopo un lungo periodo di attesa . Finalmente vede la luce il nuovo sito. Pagina rinnovata ma ancora priva di alcune

informazioni preziose. Molti istituti ad esempio non ci hanno ancora inviato la propria scheda di presentazione

onde far conoscere le caratteristiche del proprio istituto. Per alcuni non sono invece state completate le informazioni o le traduzioni nelle varie lingue, ci stiamo naturalmente lavorando. Tuttavia se coloro che debbono inviare ancora la scheda volessero farci avere anche la traduzione nelle lingue più usate ci sarebbero di grande aiuto.

ASSEmbLEA GENErALE Sono cominciati i lavori preparatori della prossima assemblea generale che, come abbiamo

detto sarà preceduta dal congresso . L’assemblea si terrà ad Assisi nel luglio 2012 Le date previste sono 23 -29 luglio Il tema del congresso sarà: In ascolto di Dio nei “solchi della storia” : la secolarità parla alla consacrazione

Vita della CmIS

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E-DIALOGUE • Nr 6 anno 2010 3

IL CONSIGLIO DI prESIDENzA si è riunito a Varsavia il 27 giugno ed a Roma il 5 settembre .. tema in discussione il lavoro

intorno al primo numero della nuova rivista di approfondimento.Intanto si sta predisponendo la partecipazione all’incontro di Lourdes preparato dalla

conferenza francese

Il Santo Padre Benedetto XVI ha nominato Segretario della Congregazione per gli Istituti

di vita consacrata e le Società di vita apostolica il Rev.do Padre Joseph William Tobin, C.SS.R.,

elevandolo in pari tempo alla sede titolare di Obba, con dignità di Arcivescovo.

rEV.DO p. JOSEph WILLIAm tObIN, C.SS.r.Il Rev.do P. Joseph William Tobin, C.SS.R., è nato a Detroit, Wayne Country, Michigan, il

3 maggio 1952.

Al termine del cammino di formazione ha emesso la Professione temporanea il 5 agosto 1972

e quella perpetua il 21 agosto 1976. Ha ricevuto l’Ordinazione sacerdotale il 1° giugno 1978.

Nel 1975 ha ottenuto il Baccalaureato in Filosofia presso l’Holy Redeemer College, Waterford

(Wisconsin); nel 1977 il Master of Religious Education e nel 1979 ilMaster of Divinity (teologia

pastorale) presso il Mount Saint Alphonsus Major Seminary (New York).

Dal 1979 al 1984 è stato Vicario parrocchiale della Holy Redeemer Parrish di Detroit. Nella

stessa Parrocchia ha svolto poi il Ministero di Parroco dal 1984 al 1990. Dal 1990 al 1991

ha assunto il servizio di Parroco della Saint Alphonsus Parrish di Chicago (Illinois). Vicario

Episcopale per l’Arcidiocesi di Detroit dal 1980 al 1986, ha offerto la sua collaborazione

anche al locale Tribunale diocesano.

È stato eletto Consultore Generale dei Padri Redentoristi nel 1991 ed il 9 settembre 1997

Superiore Generale, riconfermato poi in tale incarico il 26 settembre 2003. Nello stesso anno

è divenuto Vice-Presidente dell’Unione dei Superiori Generali.

Inoltre è stato membro del Consiglio per i Rapporti tra la Congregazione per gli Istituti di

vita consacrata e le Società di vita apostolica e le Unioni Internazionali dei Superiori e delle

Superiore generali dal 2001 al 2009.

Conosce l’inglese, lo spagnolo, il francese, l’italiano e il portoghese.

Nomina del Segretario della CIVCSVA

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E-DIALOGUE • Nr 6 anno 2010 4

rICOrDANDO pAOLO VIRicordando la morte di Paolo VI avvenuta a Castel Gandolfo la sera del 6 agosto

di trentadue anni fa Il vescovo di Albano ha parlato di lui come Missionario ed evangelizzatore”In nomine Domini”

Il vescovo di Albano Marcello Semeraro ha rievocato la figura e l’opera di Papa Montini, celebrando la messa di suffragio all’altare della cattedra nella basilica di San Pietro, venerdì pomeriggio 6 agosto, festa della Trasfigurazione del Signore.

Alla celebrazione era presente una delegazione della diocesi di Brescia e della parrocchia e del comune di Concesio. Al termine è stata distribuita un’immaginetta con un ritratto di Paolo VI accompagnato da una preghiera per la sua beatificazione.

“Chi rilegge l’esortazione apostolica - ha evidenziato il presule - percepisce subito quanto Paolo VI sia stato consapevole della complessità dell’opera evangelizzatrice e quanto abbia sottolineato l’energia insita nel Vangelo di “raggiungere e quasi sconvolgere” ciò che è in contrasto con la Parola di Dio e il disegno

della salvezza; di quanto sia stata viva in lui la percezione della frattura tra Vangelo e cultura e la sofferenza di fronte al mondo scristianizzato. Ciò ha indotto Giovanni Paolo ii a divenire l’araldo della “nuova evangelizzazione” e oggi fa ripetere al nostro Papa Benedetto che “la sfida della nuova evangelizzazione interpella la Chiesa universale, e ci chiede anche di proseguire con impegno la ricerca della piena unità tra i cristiani”.

Il vescovo Semeraro ha sottolineato come la sfida della nuova evangelizzazione “non lo angosciava affatto, ma ancor più faceva sorgere nel suo animo la speranza. “Noi stiamo vivendo nella Chiesa un momento privilegiato dello Spirito”, scriveva. Non può esserci evangelizzazione senza tale fiducia nell’azione dello Spirito”.

I La Chiesa congolese

sta celebrando l’Anno del Cardinal Malula (dal 20 settembre 2009 al 20 settembre 2010), per ricordare il 50° anniversario del suo episcopato e il 20° della morte.

In una serie di convegni svoltasi dall’11 al 13 luglio, è stato sottolineato come il porporato sia stato un vero uomo di cultura.

“E’ stato uno dei primi teologi africani a rivendicare l’inculturazione dei valori cristiani”, ha ricordato monsignor Monsengwo.

“E’ stato un eccellente scrittore, un uomo fortemente impegnato nel dibattito politico, un avido lettore, un grande compositore di musica (ha composto la maggior parte dei canti del rito congolese), amante delle arti e un ammiratore di valori culturali africani come il matrimonio”.

Aspetti di vita pastorale ed ecclesiale

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E-DIALOGUE • Nr 6 anno 2010 5

“Il Cardinale ha lasciato un patrimonio incommensurabile alla Chiesa del Congo e del mondo.

CIttà DEL mESSICO

I Incontro dell’Azione cattolica a sul tema “Vita, pane, pace, libertà”

“Consapevoli delle molteplici sfide che i cristiani devono affrontare nel mondo attuale, vi esorto a prestare ancora maggiore attenzione alla necessità di un’adeguata formazione e di una profonda vita spirituale che tenga in conto seriamente l’esperienza di fede in Dio”: è l’invito rivolto in un messaggio dal Santo Padre Benedetto XVI ai partecipanti al VI Incontro continentale americano di Ac sul tema “Vita, pane, pace, libertà. Laici di Azione cattolica nella città per un mondo più umano”, svoltosi a Città del Messico dall’8 all’11 luglio per iniziativa del Forum internazionale di Azione cattolica (Fiac).

L’incontro, oltre ad un’occasione di confronto sul cammino delle associazioni di Ac presenti nel continente, è stato un’occasione per guardare alla realtà della società e della chiesa latino americana.

ROMA, venerdì, 30 luglio 2010 (ZENIT.org)

mADONNA DI SümELADopo 88 anni di chiusura è stata celebrata dal patriarca di Costantinopoli la Prima messa

al monastero della Madonna di Sümela .Si è Pregato perché la Madonna di Sümela diventi garante della pacifica coesistenza dei

due popoli, cristiani e musulmani e ponte tra i due popoli.

SINODO DEI VESCOVI

I Assemblea speciale dei vescovi per il medio oriente sul tema : La Chiesa Cattolica nel Medio Oriente: comunione e testimonianza.

«La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuor solo e un’anima sola» (At 4,32)

L’obiettivo dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi è: confermare e rafforzare i cristiani nella loro identità mediante la Parola di Dio e i Sacramenti, e ravvivare la comunione ecclesiale tra le Chiese particolari, affinché possano offrire una testimonianza di vita cristiana autentica, gioiosa e attraente

Pubblichiamo un intervento tenuto da Giorgio Mazzola alla conferenza italiana degli istituti secolari regione Puglia . Pensiamo possa essere un prezioso contributo di riflessione per tutti.

Per la riflessione

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E-DIALOGUE • Nr 6 anno 2010 6

Essere presenze profetiche, oggiNOtE DI SpIrItUALItà LAICALE

Relazione di Giorgio Mazzola1

In occasioni di questo genere (siete davvero in tanti!), io penso sempre che, al di là delle cose che dirò – più o meno utili, non so – il valore più grande sia quello di poter vivere insieme un tempo di riflessione e di condivisione. Un modo di sperimentare l’accoglienza di cui si parlava stamattina, nella prima relazione del convegno, e che ho potuto sperimentare nei volti che già da stamattina ho incontrato. Questa è sicuramente la cosa più bella.

Tra i volti più abituali che mi accoglievano qui, ne manca uno e lo voglio ricordare, è Domenico Saracino, che quest’anno non è più fra noi. Lui certamente realizzava bene il desiderio di accoglienza di questa terra.

Dirò un’altra cosa come premessa. Dicevo a qualcuno che vengo da un periodo non proprio semplicissimo, per cui non sono riuscito a dedicare il tempo che si sarebbe dovuto per preparare questa relazione, e quindi provo a indicare solo alcuni passi. La mia relazione non vuole essere, quindi, una risposta compiuta – questo però vale sempre, in qualche misura – ma semmai intende dare delle indicazioni di percorso, potremmo dire, di lettura spirituale per questo tempo. Questa è l’intenzione che do al mio intervento. Sarebbe stato più giusto prepararlo facendolo precedere almeno da qualche lettura sulla terra di Puglia, che non conosco moltissimo, però questo è proprio il vostro ruolo, il vostro compito: quello di tradurre per questa terra ciò che significa essere esistenze profetiche.2

1. La profezia: ciò che Dio ha da dire sul mondo

Provo ora ad entrare un po’ più nell’argomento, ricordando innanzitutto che il tema che mi è stato assegnato: Essere presenze profetiche, oggi è veramente impegnativo, ma soprattutto “chiede” un’esistenza impegnativa.

La prima cosa che è giusto ricordare è che, per essere precisi, più che essere noi a dover immaginare un ruolo profetico, è Dio che si preoccupa di farlo. La profezia è propriamente la Parola di Dio sul mondo. Questa è la profezia. Essere profetici vuol dire: ‘dire sul mondo quella parola che si ascolta da Dio’. E, a volerla dire tutta, è proprio questo che caratterizza in senso proprio e in senso stretto la laicità. La laicità è proprio questo: saper dire sul mondo quella parola che Dio ha da dire sul mondo.

1 Giorgio Mazzola ha 50 anni, è ingegnere elettronico, si occupa di progettazione e realizzazione di centrali di produzione di energia elettrica all’Enel. Vive a Milano. Dal 2006 è Presidente dell’Istituto Secolare Cristo Re (fondato da Giuseppe Lazzati) dove è stato per anni Maestro degli aspiranti e membro del Consiglio Generale. È componente del Consiglio esecutivo della Conferenza mondiale degli Istituti secolari (CMIS).

Il testo è tratto dalla registrazione.2 Mi ero anche ripromesso di leggere un libro che mi fu regalato un po’ di anni fa, scritto dall’ex-amministratore

delegato dell’azienda per la quale lavoro, che appunto è un pugliese, e il cui titolo è qualcosa del tipo: ‘Perché la Puglia non è la California’. Non so se qualcuno lo ha intravisto. La tesi era che la Puglia ha tutto per poter essere una grande terra, ne ha tutte le possibilità; e l’autore, che è pugliese, si domandava “perché” non è così.

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‘Dire’ è naturalmente da intendersi in senso ampio: cioè ‘dire una parola sul mondo’ per noi può voler dire non soltanto parlare ma soprattutto agire. Noi diciamo ciò che Dio vuole dire sul mondo, agendo sul mondo. ‘Avendo a che fare con questo mondo’. È importantissimo questo! Vorrei ribadirlo in una stagione dove, se vedo bene, di fronte a queste difficoltà del tempo presente, ci sono molti che in maniera più o meno esplicita ed evidente da questo mondo si stanno ritirando. Magari non è detto, però nei fatti è così: ‘Il mondo è complicato…’, ‘Il mondo va male…’, ‘Facciamo le cose in un ambito un po’ più custodito, più protetto, così verranno meglio’.

Spesso si sente parlare di comunità che nascono, che riuniscono famiglie, sacerdoti, che vivono in un certo luogo, comunità in cui – si dice - si vive finalmente come si dovrebbe. Ma non mi sembra questa la strada. In questa maniera noi veniamo meno a quel ruolo profetico che ci è stato assegnato, cioè quello di ‘stare là’ perché ‘stando là’ e agendovi, noi possiamo avere a che fare con le cose, perché è questo ciò che Dio vuole.

Cercare altri luoghi significherebbe tradire la nostra vocazione cristiana. Sarà complicato, sarà difficile, come vedremo fra poco, ma quello è il nostro posto. Non ci è lecito abbandonarlo. Anzi, questa è una regola che conosciamo bene e che agisce come verifica: tutte le strade che evitano il percorso della croce non sono autentiche. Se si cercano strade che ci facilitano, che evitano di passare da quel mistero della croce e dalla morte, tutte quelle strade sono ingannevoli.

Ecco allora, essere profeti vuol dire, da un lato essere attentissimi alla realtà che ci circonda (cosa succede?), sapendo andare ‘oltre’ la superficie, non fermarsi mai a ciò che appare semplicemente, provare sempre a scavare e andare più a fondo. Quindi, per essere profeti bisogna saper capire che cosa sta dicendo Dio, bisogna saper essere attenti agli avvenimenti, alle persone per capire cosa sta dicendo Dio. E dall’altro bisogna essere sensibilissimi al mistero di Dio; avere quella sensibilità spirituale che ci fa riconoscere là dove Dio si sta manifestando. E Dio si manifesta là dove si intravedono i segni pasquali, cioè i segni di una morte e di una risurrezione.

Questa è la nostra vocazione: estremamente attenti e fedeli al mondo, ma, per poterlo fare, estremamente vicini al mistero di Dio. Lo ripeto, il mistero di Dio è il mistero della Pasqua, il che significa che la nostra esistenza, e l’esistenza di tutti noi – questo è l’aspetto battesimale nello specifico – continuamente e ripetutamente rinnova quel mistero. Vale a dire: noi con la nostra vita manifestiamo qualcosa di Dio nel momento in cui moriamo, nel momento in cui perdiamo, nel momento in cui cediamo, nel momento in cui ci consegniamo, nel momento in cui succede qualcosa che sembra dirci che tutto si perde. In quel momento Dio sta riguadagnando spazio. Il mistero della Pasqua non è qualcosa che celebriamo esclusivamente nell’Eucaristia. Noi il mistero della Pasqua lo viviamo nella nostra carne. Questa è l’esistenza cristiana. Noi continuamente facciamo esperienza che se vogliamo essere fedeli al Vangelo, noi continuamente capiamo che dobbiamo perdere noi stessi, che dobbiamo rinunciare, che dobbiamo consegnare. Che non ci rimane niente. Ecco, in quel momento, noi stiamo ripercorrendo la strada della risurrezione.

E allora proviamo a vedere un po’ più da vicino se riusciamo a cogliere questo appunto, in questo tempo presente. Facciamo un esercizio di lettura del tempo presente e al tempo stesso di lettura di ciò che Dio sta muovendo all’interno di queste vicende.

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E-DIALOGUE • Nr 6 anno 2010 8

2. Il tempo presente: ‘il naufragio dell’identità cattolica’

Mi sono lasciato ispirare da un articolo di un bravo teologo, uscito sul primo numero del 2010 della Rassegna di Teologia, che si intitola così: Il naufragio dell’identità cattolica, tra crisi e opportunità. Un titolo particolare. L’articolo è molto interessante e, se ne avete l’occasione, vale la pena di leggerlo. Mi riferirò solo a qualcosa della prima parte di questo intervento, che in sostanza dice quello che sta succedendo sotto i nostri occhi, cioè che in Italia, ma evidentemente non solo, c’è un’identità cattolica che, appunto, si sta smarrendo, che si sta sgretolando. I motivi saranno quelli dell’avanzare della secolarizzazione, del contesto ormai anti-religioso, dell’avanzare della cosiddetta ‘cultura del niente’. Però soprattutto sempre di più si fanno i conti con cattolici ‘di nome’ - e che magari ci tengono molto – ma poi in realtà sono molto lontani dalla vita cristiana. Sempre di più capita che ci siano diversi che si dichiarano cattolici ma che non vivono un reale percorso di interiorizzazione della propria fede.

E un altro fenomeno è quello della religion à la carte. Ovvero una religione a ‘menù’, il fenomeno della fede in cui ‘si prende’, come al supermercato, da una determinata religione quello che si vuole. Cioè ‘scelgo io’ la mia appartenenza. È stata ben coniata questa forma: ‘credere senza appartenere’, cioè prendendo poi di fatto le distanze da tutta una serie di leggi cristiane e, quello che preoccupa, anche dalla verità del Vangelo.

In questo articolo si parla di un libro di uno spagnolo che si intitola appunto Naufragi, che narra la vicenda di questo colono spagnolo che viene colto da una terribile tempesta mentre sta navigando e la nave viene spinta là dove non pensava di andare, e si trova di fronte a delle civiltà diverse da quelle che pensava di andare a conquistare. Cosa fa questo colono spagnolo? Deve rapidamente abituarsi ad abbandonare le vesti da colonizzatore e via via assume gli abiti delle diverse rappresentanze di popolazioni di quel luogo: assume gli abiti dello sciamano, dello schiavo, dell’abitante del posto. Quindi fa un’esperienza molto particolare: quella di essere conquistato, anziché di conquistare, dalle popolazioni che andava a visitare. Alla fine di questa vicenda lui riprenderà i suoi abiti iniziali, però in maniera evidentemente molto diversa, perché nel frattempo ha fatto tutto un percorso di integrazione, qualcosa di più della semplice conoscenza. Si è immerso nelle situazioni che era andato ad incontrare.

Cosa vuole dire questo libro? Vuole appunto provare a ragionare su questo tema, che ci vedrà impegnati in questi anni, cioè di una identità cattolica che si deve ‘ripensare’, ri-immaginare, ri-definire. Questo è un percorso che è iniziato con il Concilio. Infatti fino al Concilio la Chiesa si immaginava con la missione di dover ‘conquistare il mondo’; il mondo esiste nella misura in cui deve ‘essere portato’ dentro la Chiesa. Il Concilio ha cominciato a introdurre una nuova immagine, portando un’effettiva discontinuità rispetto al precedente pensiero della Chiesa. Pensare al mondo come una realtà con la quale entrare in dialogo, in un dialogo sincero, non come qualcosa da omologare a se stessi ma il mondo con una sua autonomia. Noi saremo sempre più chiamati (e lo siamo già da oggi) a svolgere questo servizio.

Termino questa introduzione rileggendo con voi quel passo di Paolo che fa capire appunto qual è il modo di comportarsi, di stare in queste nuove situazioni in cui appunto tutto sembra perdersi. Naturalmente, lo diciamo della chiesa, ma possiamo dirlo dei nostri Istituti. Vedete quante cose sono cambiate! Io ogni tanto penso agli anni che venivano ricordati poco fa nella

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E-DIALOGUE • Nr 6 anno 2010 9

presentazione, gli anni che mi hanno visto coinvolto nella formazione iniziale dei giovani. È stata una esperienza straordinaria. Tanti giovani, con un percorso itinerante che proponeva diversi incontri, anche in ascolto di diverse spiritualità ecclesiali; è stata un’esperienza entusiasmante. Adesso, a distanza di soli pochi anni, in Italia c’è soltanto un giovane in formazione. Nel giro di pochissimi anni è cambiato così tanto. Sta cambiando il contesto. Sta cambiando la capacità di mettersi in gioco, si vede la fatica e a volte anche l’asfissia delle nostre parrocchie, che non riescono ad avere un respiro un po’ più ampio, che non riescono ad educare i giovani a vivere le ‘cose grandi’, ma invece si limitano a correr dietro a bisogni immediati, che, seppur importanti, non possono far breccia.

La strada che probabilmente la Parola di Dio ci indica è proprio questa, quella di cui parla Paolo:

‘Mi sono fatto giudeo con i giudei per guadagnare i giudei; con coloro che sono sotto la legge sono diventato come uno che è sotto la legge; pur non essendo sotto la legge allo scopo di guadagnare coloro che sono sotto la legge; con coloro che non hanno legge sono diventato come uno che è senza legge, pur non essendo senza la legge di Dio, anzi essendo nella legge di Cristo, per guadagnare coloro che sono senza legge. Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli, mi sono fatto tutto a tutti per salvare a ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il Vangelo per diventarne parte’.

Probabilmente questo è il manifesto della nostra maniera di essere fedeli al Vangelo, e di arrivare – così a me sembra, non credo di sbagliare – molto, molto vicino alla nostra vocazione.

3. Lettura spirituale del naufragio. Un testo illuminante: Atti 27

Allora, a questo punto, il titolo ‘Il naufragio della identità cattolica’ mi ha fatto venire in mente un testo della Scrittura che parla proprio di un naufragio. Non so se di pomeriggio sia un po’ pericoloso leggerlo tutto, c’è il rischio infatti che la lettura sembri un po’ lunga, però tenterei lo stesso di leggerlo.

È il capitolo 27 del libro degli Atti che, - come sempre la Parola di Dio ci sorprende! – è un testo che non ci aspetteremmo di incontrare nella Bibbia. Sembra un diario di bordo, di una traversata. Però è estremamente indicativo e illuminante per quello che vogliamo dire; perché siamo appunto in un’epoca di tempesta, stiamo attraversando una tempesta, piena di difficoltà; la nave non si sa bene dove stia andando.

Provo a leggerlo, voi provate a immaginare tutti i luoghi che si toccano in questo viaggio. Si parla del sud della Turchia, della Cilicia e della Panfilia, di Creta e di tutte le altre zone del Mediterraneo. Si citano moltissimi venti in questo racconto. E poi vi inviterei a sentire che succede di Paolo, in questo passaggio, come si rapporta Paolo con gli altri prigionieri che sono con lui. Come si rapporta con il centurione. E poi, un’altra cosa cui vi chiederei di provare a fare attenzione è cosa succede del carico della nave (perché la nave portava un carico).

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E-DIALOGUE • Nr 6 anno 2010 10

1Quando fu deciso che ci imbarcassimo per l’Italia, consegnarono Paolo3, insieme ad alcuni altri prigionieri, a un centurione di nome Giulio della coorte Augusta. 2Salimmo su una nave della città di Adramitto, che stava per partire verso i porti della provincia d’Asia e salpammo, avendo con noi Aristarco, un Macèdone di Tessalonica. 3 Il giorno dopo facemmo scalo a Sidone e Giulio, con gesto cortese verso Paolo, gli permise di recarsi dagli amici e di riceverne le cure. 4 Salpati di là, navigammo al riparo di Cipro a motivo dei venti contrari 5 e, attraversato il mare della Cilicia e della Panfilia, giungemmo a Mira di Licia. 6 Qui il centurione trovò una nave di Alessandria in diretta in Italia4 e ci fece salire a bordo. 7 Navigammo lentamente parecchi giorni5, giungendo a fatica all’altezza di Cnido. Poi, siccome il vento non ci permetteva di approdare, prendemmo a navigare al riparo di Creta, dalle parti di Salmone, 8 e costeggiandola a fatica giungemmo in una località chiamata Buoni Porti, vicino alla quale si trova la città di Lasèa6.

9 Essendo trascorso molto tempo ed essendo ormai pericolosa la navigazione poiché era già passata la festa dell’Espiazione, Paolo li ammoniva dicendo: 10 «Vedo, o uomini, che la navigazione comincia a essere di gran rischio e di molto danno non solo per il carico e per la nave, ma anche per le nostre vite». 11 Il centurione però dava più ascolto al pilota e al capitano della nave che alle parole di Paolo7. 12 E poiché quel porto era poco adatto a trascorrervi l’inverno, i più furono del parere di salpare di là nella speranza di andare a svernare a Fenice, un porto di Creta esposto a libeccio e a maestrale.

13 Appena cominciò a soffiare un leggero scirocco, convinti di potere ormai realizzare il progetto, levarono le ancore e costeggiavano da vicino Creta. 14 Ma dopo non molto tempo si scatenò contro l’isola un vento d’uragano, detto allora «Euroaquilone». 15 La nave fu travolta nel turbine e, non potendo più resistere al vento, abbandonati in sua balìa, andavamo alla deriva. 16 Mentre passavamo sotto un isolotto chiamato Càudas, a fatica riuscimmo a padroneggiare la scialuppa; 17 la tirarono a bordo e adoperarono gli attrezzi per fasciare di gòmene la nave. Quindi, per timore di finire incagliati nelle Sirti, calarono il galleggiante e si andava così alla deriva. 18 Sbattuti violentemente dalla tempesta, il giorno seguente cominciarono a gettare a mare il carico; 19 il terzo giorno con le proprie mani buttarono via l’attrezzatura della nave. 20 Da vari giorni non comparivano più né sole, né stelle e la violenta tempesta continuava a infuriare, per cui ogni speranza di salvarci sembrava ormai perduta.

21 Da molto tempo non si mangiava, quando Paolo, alzatosi in mezzo a loro, disse: «Sarebbe stato bene, o uomini, dar retta a me e non salpare da Creta; avreste evitato questo pericolo e questo danno. 22 Tuttavia ora vi esorto a non perdervi di coraggio, perché non ci sarà alcuna perdita di vite in mezzo a voi, ma solo della nave. 23 Mi è apparso infatti questa notte un angelo del Dio al quale appartengo e che servo, 24 dicendomi: Non temere, Paolo; tu devi comparire davanti a Cesare ed ecco, Dio ti ha fatto grazia di tutti i tuoi compagni di navigazione. 25 Perciò non perdetevi di coraggio, uomini; ho fiducia in Dio che avverrà come mi è stato annunziato. 26 Ma è inevitabile che andiamo a finire su qualche isola».

3 Si noti il tema della consegna.4 Paolo sta andando a Roma, prigioniero. 5 Bisogna sapere che in quell’epoca i viaggi duravano veramente tanto, addirittura mesi interi. E anzi

bisognava navigare normalmente tra maggio e settembre, il che non è però il caso del nostro racconto.6 Si noti la fatica, i venti contrari.7 Paolo non viene ascoltato.

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27 Come giunse la quattordicesima notte da quando andavamo alla deriva nell’Adriatico8, verso mezzanotte i marinai ebbero l’impressione che una qualche terra si avvicinava. 28 Gettato lo scandaglio, trovarono venti braccia; dopo un breve intervallo, scandagliando di nuovo, trovarono quindici braccia. 29 Nel timore di finire contro gli scogli, gettarono da poppa quattro ancore, aspettando con ansia che spuntasse il giorno9. 30 Ma poiché i marinai cercavano di fuggire dalla nave e già stavano calando la scialuppa in mare, col pretesto di gettare le ancore da prora, Paolo disse al centurione e ai soldati: 31 «Se costoro non rimangono sulla nave, voi non potrete mettervi in salvo». 32 Allora i soldati recisero le gòmene della scialuppa e la lasciarono cadere in mare.10

33 Finché non spuntò il giorno, Paolo esortava tutti a prendere cibo: «Oggi è il quattordicesimo giorno che passate digiuni nell’attesa, senza prender nulla. 34 Per questo vi esorto a prender cibo; è necessario per la vostra salvezza. Neanche un capello del vostro capo andrà perduto». 35 Ciò detto, prese il pane, rese grazie a Dio davanti a tutti, lo spezzò e cominciò a mangiare. 36 Tutti si sentirono rianimati, e anch’essi presero cibo. 37 Eravamo complessivamente sulla nave duecentosettantasei persone. 38 Quando si furono rifocillati, alleggerirono la nave, gettando il frumento in mare.11 39 Fattosi giorno non riuscivano a riconoscere quella terra12, ma notarono un’insenatura con spiaggia e decisero, se possibile, di spingere la nave verso di essa. 40 Levarono le ancore e le lasciarono andare in mare13; al tempo stesso allentarono i legami dei timoni e spiegata al vento la vela maestra, mossero verso la spiaggia. 41 Ma incapparono in una secca e la nave vi si incagliò; mentre la prua arenata rimaneva immobile, la poppa minacciava di sfasciarsi sotto la violenza delle onde. 42 I soldati pensarono allora di uccidere i prigionieri, perché nessuno sfuggisse gettandosi a nuoto, 43 ma il centurione, volendo salvare Paolo, impedì loro di attuare questo progetto; diede ordine che si gettassero per primi quelli che sapevano nuotare e raggiunsero la terra; 44 poi gli altri, chi su tavole, chi su altri rottami della nave. E così tutti poterono mettersi in salvo a terra.

Si tratta di un brano veramente straordinario. Che cosa rappresentano il viaggio in mare, la tempesta, il naufragio? In effetti sono termini non nuovi per chi ha familiarità con la Scrittura. Questo è praticamente un itinerario battesimale. Noi siamo chiamati a scendere nelle acque per poi risorgere…

Il battesimo è la nostra condivisione dell’itinerario pasquale, della legge pasquale, che governa tutto il mondo. È un viaggio naturalmente che ci rende anche un’immagine del viaggio della vita.

Provo a riprendere alcuni dei temi che ho già provato ad indicare durante la lettura, per cui sono già famigliari.

8 Per Adriatico qui si intende una parte del Mediterraneo orientale.9 Il testo si presenta ricchissimo di simboli: la notte, la non visione delle stelle, l’attesa del giorno, ecc…10 Si abbandona anche la scialuppa di salvataggio.11 Si getta il carico dalla nave12 La terra che non si riconosce è la terra nuova.13 Si noti che vengono abbandonate anche le àncore!

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4. In balìa dei venti, toccando i porti di tutte le civiltà.Innanzitutto, l’essere in balìa di tutti questi venti che ci portano là dove noi non vorremmo

andare. E in contatto con tantissime civiltà diverse (anche l’immagine del vento è per noi consueta. Spesso rappresenta l’azione dello spirito, che soffia dove vuole). Ecco, in questa stagione della vita, se si guarda bene a ciò che sta avvenendo e che sempre più avverrà, ci accorgiamo appunto che non siamo più noi a governare il mondo, come vorremmo, ma è piuttosto il mondo che sta portando noi. Siamo stati parte di una storia in cui la chiesa, come dire, teneva tante cose: anche stamattina si è parlato della questione delle scuole cattoliche, ma pensiamo a tutto quello che aveva in mano la chiesa in Italia. Aveva tutto: percorsi formativi, oratori, cinema, scuole… tutto! E oggi, come mai siamo qui? Questa è una bella domanda: come mai, con la chiesa che aveva in mano così tanto, come mai siamo arrivati qui? È un esame di coscienza da farsi. È una domanda quanto meno necessaria. Siamo quindi in una stagione in cui ci dobbiamo rendere conto che il mondo ha una consistenza propria, ci sta conducendo lui. Quindi dobbiamo ribaltare il nostro modo di pensare, c’è una varietà che ci supera, la varietà che abbiamo sentito in questo brano: i porti più diversi, le civiltà più diverse, le esperienze più diverse, le ideologie più diverse, le religioni più diverse.

5. Far parte di una storia sbagliata

Paolo lo dice subito che non è stagione, non è il momento, per partire, però la decisione è presa e quindi si va, e Paolo prende parte al viaggio. Quindi la nave affronta tutte le vicende che abbiamo sentito. Questa mi sembra un’altra constatazione dei nostri tempi, basta leggere il giornale o ascoltare il telegiornale e uno si chiede cosa stia succedendo, quante cose che non vanno, non funzionano.

La nostra storia è segnata dal peccato? Si, ma è la nostra storia. Questo è un passaggio essenziale che fa parte della vocazione cristiana. Noi non siamo qui per fare le distinzioni tra chi ‘fa male’ e chi ‘fa bene’ (anche se questo sembra spesso far parte dell’ ‘approccio cattolico’). Questa è la nostra storia! Non devo cercare una storia diversa, un’area diversa, purificata, dove potrò custodirmi meglio. No, questo è il nostro mondo. E bisogna volergli bene così.

Il che non significa ‘non combattere’ fino in fondo il peccato. Anzi, opporsi con estrema decisione. ‘Io con quella orribile bestia che è il demonio non voglio averci nulla a che fare!”. Questo però non significa non sentirsi parte di quella storia, di una storia sbagliata, di una storia che ha preso una certa piega.

È la nostra storia. Perché? Perché Gesù ha fatto esattamente così, è entrato a far parte di questa ‘storia sbagliata’, l’ha accolta sino in fondo, se l’è presa lui. Il carico di quella storia sbagliata se l’è preso lui. Ecco qui di nuovo il Battesimo: scendere e risalire. Gesù è sceso per poi risalire, però è sceso sino in fondo, ha toccato la feccia che il peccato aveva portato nell’esperienza umana. Lui questo peccato è andato a scovarlo sin nel più profondo della nostra terra. Ripeto: questo non significa che non bisogna dare ‘nome e cognome’ al peccato, come è stato ricordato stamattina in tanti passaggi della relazione di don Raffaele Bruno, però bisogna dire che io in quella storia ci voglio stare! Da cattolico, da cristiano, ma ci voglio stare, perché è la mia e la nostra storia.

Apro una piccola parentesi: stamattina si è parlato di criminalità organizzata evidentemente; io vengo da due - tre settimane nell’est dell’Europa a discutere per motivi di lavoro con un certo

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contratto in cui il fornitore, che aveva avuto un contratto già più che soddisfacente, è venuto fuori con una variante di decine e decine di milioni di euro (ingiustificate, per quello che ho capito io). Ed è stato un confronto durissimo, perché quelli sostanzialmente dicevano – sapendo di essere i padroni di una certa tecnologia – che le condizioni erano di prendere o lasciare. Vi dico: questa a me pare, per molti aspetti, criminalità organizzata; magari molto raffinata, fatta a livello della più grande tecnologia, ma rimane criminalità organizzata (io mi sentivo, virtualmente, oggetto di ricatto). Questo lo voglio dire per due motivi.

Primo motivo: in Italia abbiamo molti guai, ma altrove le cose vengono fatte in maniera più raffinata ma non meno grave. Quando sentiamo dire di certi ‘bonus’ pluri-milionari che premiano i consiglieri di amministrazione di una banca o altro, quelli non sono dei ‘crimini’? (se solo si pensa alla situazione che abbiamo oggi…?) Naturalmente questo non per sminuire i problemi attuali di tante terre che soffrono, assolutamente, ma per dire che altrove i crimini si fanno in maniera più elaborata, più sofisticata, ma non meno grave.

Secondo motivo: quando parlavo con un’amica di un istituto secolare, dicendo il motivo della mia assenza lontano dall’Italia, mi sono sentito – comprensibilmente – dire: ‘ti è capitata una brutta storia. Mi dispiace’ Ma io mi sono sentito di dire: ‘Ma guarda che questa è la vocazione cristiana! Non è che sto facendo delle cose diverse. Non è che il mio lavoro ‘mi sta facendo fare delle cose strane e - ahimè – mi è capitata addosso questa tegola’. No! Questa è la vocazione cristiana, che è fatica a favore della giustizia. Contro la disonestà; contro gli approfittatori; contro il guadagno illecito. E questa è la nostra vocazione. Non sto facendo niente di strano, sto vivendo o tentando di vivere la vocazione cristiana.

6. Essere nella stessa barca, una barca pagana

Essere nella stessa barca: anche questa è una immagine bellissima: cioè essere nella stessa barca con i pagani. Paolo ha fatto questa esperienza di viaggio tra i pagani, quindi – per dirla con una battuta – non è che potesse ‘andare a messa’ tutti i giorni… e neanche la domenica… ma non per questo veniva meno alla sua vocazione cristiana. Come sapete, quando si vuole condividere veramente tutto nella vita, si dice proprio questo: imparare a stare ‘nella stessa barca’.

Io non sono esattamente un uomo di mare, ma la barca è quel luogo dove gli spazi sono proprio contenuti, bisogna condividere tutto. Credo che sia giusto cogliere questa immagine: imparare a stare nella stessa barca, con tutti gli uomini e le donne di questo mondo. I cristiani laici stanno sulla barca di tutti, non hanno una barca propria magari bella e che va meglio. No! Nella barca di tutti, disastrata, fatta su con le corde così come abbiamo sentito. I cristiani - e per noi laici questa è una regola assoluta – non cambiano il mondo ‘dal di fuori’, lo cambiano (se il Signore ci dà la grazia) ‘dal di dentro’. Stando lì, anzi: soprattutto stando lì. Anche qui mi sentirei di esprimere un parere: nel nostro panorama ecclesiale, non passa giorno che non si senta parlare di una nuova iniziativa. Benissimo, le iniziative sono importanti, però noi la vita la cambiamo facendo e vivendo la normalità della vita cristiana. Come si combatte la criminalità organizzata? Come si combatte la mafia? Non ho le competenze per poterlo stabilire però dico: va bene le iniziative, ma vorrei dire che quello che serve è – anche o soprattutto – la vita normale, la vita di tutti coloro che fanno il loro mestiere. Se io faccio l’insegnante, lo faccio bene, lo faccio con rigore, rispettando le regole. Se faccio l’avvocato… faccio l’avvocato. Così l’ingegnere, il papà, la mamma, l’educatore,

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lo faccio rispettando le regole, non chiedendo niente di più, essendo preparato, facendo le cose per bene. Nella normalità, non c’è molto di più da inventare. Anche la politica bisogna farla bene. Ecco, ognuno al suo posto. La nostra vocazione è la vocazione della normalità. Se possiamo evitare di fare la ‘milleunesima’ iniziativa, sarebbe meglio. Diciamo che noi vogliamo cambiare le cose con la vita ordinaria.

7. A rischio della vita: perdere tutto e se stessi

Altro punto: a rischio della vita. Perdere tutto e se stessi: questo è un altro tema che è venuto fuori frequentemente da questo brano. Come si cambiano le cose quando si è disposti a perderci! Se non si fa quel passo, le cose non cambieranno mai. Questa è la legge pasquale, che è inscritta in questo mondo. E qui c’è questo passo interessantissimo, dei carichi che vengono tutti buttati giù uno dopo l’altro, la scialuppa, il frumento e anche le ancore, tutto viene buttato, per essere leggeri e potere arrivare finalmente a terra. È un immagine, credo, importante per la chiesa. Dobbiamo entrare in un periodo di purificazione, dobbiamo lasciare le cose inutili di fronte a un mare in tempesta. Le cose inutili vanno abbandonate. C’è qualcosa di troppo che si è accumulato e dobbiamo farne a meno. Io credo che c’è una parte di devozionalismo, di protagonismo, di personalismo, che certamente dobbiamo abbandonare. Sentivo, ad esempio, quello che è successo ad Haiti. Ormai tutti fanno la ‘propria’ carità, ognuno che deve fare il ‘proprio’, quasi volendo mettere l’etichetta ‘questo è il mio aiuto’. Questo è terribile: ognuno che ci tiene a dare qualcosa purché si sappia di averlo dato. Ma questo è proprio il contrario di ciò che dice il Vangelo: ‘La tua destra non sappia ciò che fa la sinistra’. Quando vuoi fare l’elemosina, falla nel segreto, non deve saperlo nessuno; anzi, quasi vergognati che tu stai meglio di tanti altri. Quante volte questo precetto evangelico viene ignorato. È la visibilità, questa mania della visibilità che si trova dappertutto, a volte anche nella chiesa.

La nostra vocazione è quella di chi non pretende nulla per sé. Cosa hanno di specifico gli istituti secolari? Gli istituti secolari hanno di specifico che non vogliono avere nulla di specifico. Sono ‘consegnati’ al mondo e alla chiesa. Ci basta il vangelo, punto. Come sarebbe bello. Quanto bisogno ci sarebbe nella chiesa oggi di qualcuno che dice di fare una cosa senza voler mettere la propria etichetta, il proprio gruppo, la propria iniziativa, la propria scuola, la propria banca, ecc. ecc. Noi siamo lì a ‘perdere’. Certo che è duro, ma questo è il Vangelo. Siamo poveri e vogliamo rimanere poveri. Poveri di visibilità, poveri di appagamento, poveri di iniziative, veramente poveri. Vogliamo servire il Vangelo, non ci interessa nient’altro, tra la gente disperata di questo mondo. È la povertà ciò che rivela la verità della consegna della nostra vita. Non voler avere niente in cambio, niente come ritorno.

8. L’approdo: il compimento della vocazione

Ma qual è il ritorno che il Signore ci assicura? Ecco l’approdo, che è il compimento della nostra vocazione. Paolo finalmente, attraverso questa vicenda incredibile, essendo stato vicino alla morte per tante volte, finalmente arriva, all’ultimo capitolo, a Roma – che non è la Roma di oggi perché era il cuore della ‘mondanità’ di quel tempo – e Paolo vuole arrivare là, nel cuore del mondo pagano. Altro che scappare! Altro che proteggersi! Paolo è andato là in mezzo. E quindi ecco che il naufragio ha fatto di Paolo un profeta. Un vero profeta, uno che dà la vita per noi.

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9. Atteggiamenti spirituali del naufrago

Concludo provando a dire quali sono gli atteggiamenti spirituali del naufrago, cioè i nostri atteggiamenti spirituali, in una vicenda di tempesta. Quali sono questi atteggiamenti?

Primo atteggiamento (lo abbiamo detto): condividere questa sorte. Non abbandonare la barca. La barca traballa ma io rimango a bordo, sino in fondo, con i prigionieri. Detto in altra maniera, vado in questa terra (la Puglia), amando questa terra. È una storia sbagliata, si, ma io amo questa terra, non l’abbandono, è la mia sorte.

Secondo atteggiamento: come si distingue Paolo (= il cristiano) in questa vicenda? È colui che infonde coraggio. Tutto va male, la nave sta andando ormai in rovina, ma il cristiano salta su e dice che bisogna aver fiducia. Questa è la nostra vocazione. Credo che facciamo fatica a metterci in quei panni, non è così semplice, ma questa è la vocazione cristiana. Tra l’altro si tratta di un comando che riceviamo ad ogni celebrazione eucaristica: “In alto i cuori”. Chi vede tutto nero, non può definirsi cristiano. Il cristiano è uno che ha fiducia, che infonde la speranza. Specie in questo tempo, ci vuole il cristiano che in tutti i diversi ambienti invita a vedere bene nelle cose.

Altro atteggiamento: la preghiera, evidentemente. La preghiera come espressione dell’unione con Dio, cioè il sapere essere uniti a Dio, vivere un’esistenza vicina al cuore di Dio. Paolo appunto dice: “Il Signore mi ha detto così” (per fare questo bisogna essere vicini a Dio, bisogna ascoltare la sua voce, di fronte a questo trambusto). Quindi una vita luminosa, una vita che di nuovo riprende in mano il Vangelo e lo prende sul serio. Purificandolo da tutte le scorie che si sono accumulate negli anni.

Un altro atteggiamento è la simpatia per il mondo, che si nota nei rapporti che Paolo ha con il centurione. Interessante vedere il centurione che pure è lì per portarlo a Roma ed essere giudicato, però ha una grande stima di Paolo, al punto che alla fine – come abbiamo detto – quando qualcuno propone di ammazzare tutti, egli si oppone perché vuole appunto salvare Paolo e così vengono salvati tutti. Ma cos’è questa? È l’esperienza di Gesù: a motivo di uno, tutti vengono salvati. Quindi, anche se il mondo va avanti così, io continuo ad avere simpatia per questo mondo, continuo a riempirmi di passione per questo mondo, continuo ad andarci, continuo a seguire con passione quello che succede, quello che avviene. Anche questo fa parte della vita cristiana.

L’ultimo punto che mi sono segnato, è un tema sul quale ritorno spesso. È una questione necessaria in questa stagione della chiesa, è il tema del linguaggio da rinnovare – dicevamo, da purificare – della nostra fede. Ecco, ciò che è, a mio avviso, da rinnovare è appunto il linguaggio, che sta diventando un po’ stantìo, un po’ ripetuto, non sta più parlando alle vicende di questo mondo. Se dovessimo prendere come immagine quella del nostro brano biblico degli Atti – cerchiamo di immaginarci Paolo in quel contesto – verrebbe da dire che serve un linguaggio … da scaricatore di porto o da galeotti. Sicuramente, uno che sta davvero nella stessa barca, non usa un linguaggio ecclesiale di una certa ridondanza, troppo ricamato. Uno che vive le vicende e le sofferenze di questo mondo, gli passa dalla testa di usare un linguaggio troppo zuccherato; capisce subito che non va bene.

Penso anche ad alcune espressioni di molti canti liturgici del nostro tempo: io ho la sensazione che siano fuori luogo, non vicini all’esperienza cristiana. Un altro esempio che faccio spesso è quello delle preghiere dei fedeli, dove si sentono cose del tipo ‘preghiamo

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per i poveri, perché il Signore li assista, ecc.’… non lo so, se proprio si vuole dire qualcosa, direi invece: ‘pensando ai poveri preghiamo, perché il Signore abbia pietà di noi, … perché il Signore ci perdoni perché continuiamo a tollerare la povertà in tanti uomini e tante donne e tante famiglie, e magari a noi non manca niente’. Preghiamo quindi perché il Signore ci perdoni, è questo che dobbiamo fare innanzitutto. Poi, con l’atteggiamento di chi è perdonato, forse riusciamo a fare qualcosa anche per i poveri, forse!

Ho sentito alla radio, in occasione del terremoto dell’Aquila, un religioso – certo un brav’uomo – che, con un certo entusiasmo, dichiarava di essere lì perché nel prossimo vedeva Gesù che soffre, etc.. Non lo so, a me queste cose non convincono più, ammetto il mio limite. Se vuoi aiutare la gente che ha perso tutto, prova anzitutto a immaginare che significa in un istante perdere tutto, non avere più la tua cucina, le tue pentole, il tuo letto, il tuo cassetto con le tue cose, le tue persone care, tutto. Prova a immaginare cosa succede, prova, almeno per quanto possibile, ad immedesimarti. Se si capisce cosa significa ‘perdere tutto’ in un momento, secondo me, si ammutolisce o si piange per la disperazione. Solo dopo che questo è accaduto e se il Signore ci fa la grazia, si può fare, in silenzio, qualcosa per gli altri. Se no, è sufficiente aver visto e aver pianto.

Ecco, questo mi pare un tema molto importante per il futuro della chiesa e noi come laici dobbiamo giocare un ruolo decisivo su questo, è un ruolo proprio nostro. Se non lo facciamo è davvero un bel guaio.

Ho letto poco di don Tonino Bello ma a me sembra che lui facesse proprio così, provava a usare un linguaggio diverso. Ha ribaltato i canoni. Ha fatto proprio quell’operazione.

Concludo allora con gli ultimi due versetti del libro degli Atti, là dove si parla dell’approdo della vocazione. Paolo, dopo aver affrontato tutta quella vicenda, giunge a Roma. A Roma passerà diversi anni e il libro degli Atti si conclude proprio così (si parla di un affitto!):

‘Paolo trascorse due anni interi nella casa che aveva preso in affitto e accoglieva tutti quelli che venivano da lui, annunciando il Regno di Dio, insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimenti’.

Principalmente caratterizzata da assemblee e rinnovi. A tutti auguriamo un fecondo lavoro.

I Missionarie degli infermi

Nel mese di luglio si è celebrata l’assemblea generale dell’istituto missionarie degli infermi Cristo speranza

I Missionarie della regalità di Cristo

Hanno celebrato la loro assemblea generale nei giorni 21- 27 agosto 2010 Un evento di per sé ordinario, ma caratterizzato dalla coincidenza nello stesso anno della

assemblea generale con le assemblee delle due zone Italia e d America

Vita degli Istituti

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E’ come un grande processo di ricognizione e rilettura del carisma a tutti i livelli di esperienza culturale.

A conclusione è risultata eletta come presidente generale Fiorella Pecchioli

I COMI

Hanno celebrato la loro assemblea generale confermando alla presidenza Andreina Gambardella ,

I OMMI

L’istituto, dopo un lungo periodo di preparazione ha celebrato in agosto 7-22 la assemblea generale nella quale si sono svolte le elezioni per la presidente generale e il consiglio. Con la partecipazione di 33 delegate provenienti da 11 paesi è risultata eletta Anita Plourde

I Mission de Notre- Dame de Bethanie

Nella assemblea generale del luglio scorso è stata eletta una nuova responsabile generale dell’istituto nella persona di Patricia Aubert

I CCISLa conferenza canadese degli istituti secolari sta preparando per il 18 settembre una

giornata di riflessione a cui potranno partecipare tutti gli istituti interessati .Il giorno seguente sarà celebrata la assemblea della conferenza.

I FEBIS ( federazione boliviana degli istituti secolari)

Ha organizzato per il 17 luglio in Bolivia un incontro per tutti gli istituti secolari per approfondire e discutere il documento di Aparecida sul tema di come vivere a partire dalla consacrazione secolare ha partecipato Francisca Adalia Tavares de Oliveira membro del consiglio esecutivo CMIS

I CNIS Federazione brasiliana istituti secolari

Ha organizzato per i giorni 10/11 luglio a San Paolo del Brasile un incontro degli istituti secolari della federazione brasiliana . tra i partecipanti Francisca AdaliaTavares de Oliveira del consiglio CMIS

I CIIS Conferenza italiana Istituti Secolari reg. Lazio

ha promosso un incontro di riflessione sul tema : La solidarietà: un impegno a valorizzare le differenze e le specificità cui ha partecipato Marisa Parato del consiglio esecutivo CMIS il cui testo sarà pubblicato prossimamente

I Cruzados de Santa Maria

Nei giorni7-9 maggio si è celebrata a Mostoles Madrid Il secondo incontro di laici in marcia organizzato dall’istituto Cruzados de Santa Maria . Il tema della presente edizione è stato : edificati sulla roccia.

Si è iniziato con un concerto omaggio dedicato ad Abelardo de Armas, in occasione del suo 80mo compleanno . Abelardo cofondatore, insieme con il servo di Dio P. Tomas Morales,

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del nostro istituto non ha potuto essere presente a causa di una infermità neurologica di cui soffre da circa una decina di anni . Ciò nonostante circa cento persone presenti al concerto-omaggio hanno potuto testimoniare con la loro presenza l’affetto e la riconoscenza verso la persona, la vita e la sua spiritualità ed il fecondo lavoro apostolico . in questa occasione si è realizzato un DVD che raccoglie gli aspetti più rilevanti della sua personalità e che possono essere viste nella pagina web dei Cruzados de Santa Maria : www.cruzadosdesantamaria.es.

Il giorno 8 i presenti all’incontro hanno partecipato ad uno degli ambiti di lavoro a cui si erano precedentemente iscritti ( i cui titoli e contenuti abbracciavano diversi aspetti: educazione,famiglia,volontariato,Gioventù,Lavoro,Musica e arte, cultura e pensiero, vita pubblica , mezzi di comunicazione, cultura della vita etc)

Ogni sessione ha avuto inizio con una relazione sviluppata dagli esperti, sull’onda della quale i presenti hanno portato la loro esperienza di evangelizzazione come laici nel mondo. Si è conclusa la giornata con una veglia di preghiera sul tema di Cristo Eucarestia presieduta da don Rafael Zomoza vescovo di Getafe.

La mattina del 9 dopo avuto un incontro di preghiera comunitaria si è celebrata la assemblea generale in cui si sono presentate le conclusioni dell’incontro e si sono aperte le prospettive di azione . Particolarmente incoraggianti sono state le parole di don Juan José Rodriguez, delegato per l’apostolato secolare della diocesi di Getafe e di Fernando Martin Herraez direttore generale dei Cruzados de Santa Maria invitandoci ad un triplice dialogo : con il Signore mediante la preghiera , con ogni persona mediante l’apostolato personale “cuore a cuore”, e con la Chiesa istituzionale mediante la sintonia di azione e l’appoggio alle sue opere ed iniziative.

L’incontro si è concluso con la celebrazione dell’eucarestia presieduta da D. Joaquin Lopez de Andujar, vescovo di Getafe che ha molto gradito la scelta della sua diocesi per la realizzazione delI’incontro e sollecitò a proseguire approfondendo in questo lavoro la presa di coscienza dei laici come agenti di evangelizzazione.

Ora comincia il lavoro giorno per giorno , stimolati da questa piattaforma di mobilitazione dei laici cristiani che è “laici in marcia”. Incontri come quello vissuto in Mostoles suppongono un forte impulso , ma anche una grande occasione di grazia del Signore

I Servite secular institute

ha tenuto la sua Assemblea Generale a West Wickham, Kent,Inghilterra dal 18 Gennaio - 2 Febbraio 2010.

Nello svolgimento dei lavori sono stati affrontati temi sulle caratteristiche ed il senso della Missione nel mondo di oggi e la Spiritualità nell’invecchiamento.

A conclusione sono risultate elette: Presidente: Arkell Julia (Inghilterra):Vice Presidente: Kelly Winifred (Scozia);Consigliere

Generale: Moya Garcia Clemencia (Colombia)

I Voluntas dei

Ha celebrato la sua assemblea generale e sono state rinnovate le cariche : il nuovo direttore generale è :Père James Selvaratnam DunstanIl suo consiglio è :

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Père Jean-Paul Chiasson (Canada)Père Pierre Marois (Canada)Fr Andrew Sioletti (USA)Padre Andrées Solano Sosa (République Dominicaine)Padre Manuel Cornejo Garate (Chili)Fr Innasi Muddiyappan (Inde)Inoltre una coppia rappresenta i membri associati:Raymonde Jetté et Fernand Turgeon.Sono stati eletti per i prossimi 6 anni

I Figlie dei sacri cuori di Gesù e Maria

Nei primi giorni di luglio è stata celebrata l’assemblea elettiva ed è stata rieletta la prof.ssa Silvia Deastis come presidente generale per il secondo mandato

I Missionarie della Parola di Dio

Nell’assemblea generale del 4-7 agosto hanno eletto la nuova presidente ed il nuovo consiglio centrale .

La nuova presidente è Marilena Mazzei

I Prêtres du Prado

Verso il 150esimo anniversario della loro nascita. Il prossimo 10 dicembre l’istituto si prepara a festeggiare , ricordare, rivivere con un nuovo impulso missionario i 150 anni di fondazione ad opera del P. Chevrier . Una festa dunque che secondo le indicazioni del padre fondatore è tutta ancorata nel mistero dell’Eucarestia , nella contemplazione di Dio e nel farsi “buon pane” per l’umanità.

I Missionarie Secolari Scalabriniane

Il 25 luglio 2011 la comunità di Missionarie Secolari Scalabriniane compirà il suo 50° anno di vita . Mentre esprimono la loro gratitudine programmano un anno “speciale” per ricordare quello che ha fatto il Signore chiamandole a vivere nel suo progetto di vita e di amore e per celebrare nella lode il dono ed i doni ricevuti a servizio della Chiesa e dell’umanità itinerante .

Sarà un anno in cui ripercorrendo il cammino attraverso contributi e testimonianze sarà maggiormente possibile leggere le caratteristiche del carisma specifico che hanno incarnato in questi anni.

I Oblatos diocesanos

L’istituto in Argentina, nella casa principale di San Esteban dà inizio all’anno di preparazione per la celebrazione dei sessanta anni di fondazione . desiderio comune è essere insieme a rivivere il passato , il presente e individuare insieme il futuro dell’istituto che oggi è diffuso in Argentina, Bolivia, Cile, e Paraguay

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tEStImONIANzA DI ANtOINEttE pErrEt

Una tragica notizia ha colpito l’Istituto Secolare Dominicain d’Orléans nel suo gruppo di Haiti: uno dei suoi membri, Dadoue Elane Printemps è stata assassinata nei pressi di Port au Prince, il 24 aprile 2010, durante l’attacco al suo veicolo da parte di malviventi che non hanno esitato a sparare.

L’abbondante corrispondenza che Dadoue aveva scambiato con la sua Responsabile Generale sin dal suo ingresso nell’Istituto, i contatti diretti e le numerose testimonianze ricevute dopo la sua morte, in particolare da parte dei membri dell’Istituto e dei frati domenicani, consentono di avere un quadro completo di “questo membro eccezionale” dell’Istituto Secolare Dominicain d’Orléans, così come la definiva fr. Grandoit, con il quale lavorava dal 1983.

Per quanto riguarda l’attentato di cui è stata vittima, si pensa sia dovuto al clima di insicurezza che vige da tempo nel Paese, perché parlava regolarmente nelle sue lettere della situazione politica “che non cambia”, della “repressione molto forte”. Nel 2006, scriveva : “Sono quasi due anni che non vado a Port-au-Prince a causa dell’insicurezza che vige in tutto il Paese. Oggi più che mai, persino a Cabaret, il rapimento di persone è all’ordine del giorno… se non si dispone di 50.000, e fino a 100.000 dollari, la persona rapita sarà uccisa.” Di recente la situazione sotto questo punto di vista era un po’ migliorata, ma il terremoto del 12 gennaio 2010, che ha aperto le porte della prigione, ha liberato tutti coloro che le polizie locale e internazionale avevano avuto tante difficoltà a neutralizzare. Tuttavia, è in corso un’inchiesta giudiziaria, ma tre settimane dopo il fatto, non è ancora possibile determinare se l’attentato è dovuto a un atto di banditismo o se si tratta di un assassinio premeditato, in relazione agli impegni politici e sociali della vittima, che già nel passato avevano messo la sua vita in pericolo.

Dadoue era una donna di straordinario coraggio, dinamismo e determinazione, profondamente convinta della forza del Vangelo, e che tentava di rendere Cristo presente in molte azioni a favore della popolazione più povera del suo paese. Sapeva creare legami con tutti e portava gioia e amicizia intorno a se. Entrata nell’Istituto nel 1989, aveva pronunciato i voti perpetui nel gennaio del 1998 e trovava nella sua consacrazione una forza che ispirava tutte le sue azioni, in frequente collegamento con la comunità domenicana impiantata in diversi luoghi. Faceva di tutto per partecipare agli incontri di gruppo dell’Istituto, malgrado i numerosi ostacoli rappresentati dalla distanza, dal tempo e, a volte, dal clima. Per esempio, nel dicembre 2007, non aveva potuto partecipare all’incontro di Port-au-Prince “ perché c’era una forte tempesta di vento e di pioggia in tutta la regione di Cabaret e la città è stata completamente allagata ... c’erano molti cadaveri... anche la zona di Fondol dove lavoro è stata colpita; le case dei poveri contadini sono state schiacciate dalle frane.”

In una popolazione dove sono presenti il vudu, ma anche moltissime sette protestanti, si sforzava di rendere visibile la Chiesa, aiutando a costruire delle cappelle in luoghi totalmente sprovvisti di luoghi di culto. Si occupava dell’istruzione religiosa dei numerosi bambini che la

testimonianze

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circondavano, animava celebrazioni, processioni e altri eventi correlati al tempo liturgico. Per esempio, nel 2001, scriveva : “A Fondol, durante le vacanze, abbiamo organizzato numerosi incontri di preghiera, di raccoglimento, e consacreremo per il 15 agosto, festa dell’Assunta, una cappellina intitolata a Nostra Signora dell’Assunzione. La gente comincia a capire un poco la Chiesa cattolica.”

Spinta da uno spirito di libertà e di resistenza alle oppressioni, non temeva di affrontare il pericolo, assumendo responsabilità in tutti i campi. Aveva particolarmente a cuore quello dell’infanzia. Da molti anni, aveva accolto dei bambini ai quali garantiva l’educazione e la formazione professionale e faceva in modo da affidare loro responsabilità che fossero alla loro portata, cioè reali. Si può quindi immaginare la disperazione dei 16 bambini che vivevano con lei in quel momento. Per loro aveva fatto costruire, nel 2006, una casa circondata da un terreno, in “un luogo un po’ più tranquillo, che dispone di acqua ed è più fresco. I bambini sono veramente contenti, abbiamo spazio per fare giardinaggio, per gli animali, ecc....”. A volte, li faceva partecipare alla sua attività, come indica un passo della lettera sopracitata: “Dall’inizio di luglio, con i bambini andiamo sulla montagna della catena dei Matheux, zona di Fondol, per aiutare i contadini di quella comunità a costruire una scuola elementare per i bambini dell’area. Ci sentiamo molto bene lassù, nel fare un lavoro così importante, perché la maggior parte di quei bambini potranno per la prima volta imparare a leggere e scrivere... abbiamo ricevuto la prima parte del denaro dai medici di emergenza della Germania e la seconda parte dai contadini della FDDPH ...l’edificio non è ancora terminato, ma so che il Signore è contento di questo lavoro e che ci aiuterà sicuramente a raccogliere altri fondi. Terminerà sicuramente quello che ha cominciato.”

Per lei, l’azione a favore dell’infanzia passava necessariamente attraverso la creazione di scuole in regioni di montagna, per le quali cercava di raccogliere i fondi promessi da diverse associazioni dei paesi europei dove era riuscita a recarsi. Per esempio, nel 2006, parla della costruzione di “una bellissima scuola che avevo chiesto sulla montagna Catienne” “dai medici di emergenza della Germania” - si interessava molto da vicino al settore della sanità, occupandosi di quattro ambulatori, tra cui uno per gli ammalati di AIDS, rigettati dal loro ambiente. Conosceva bene la medicina tradizionale, imparando regolarmente con i “medici foglie”, spesso molto anziani ma ottimi conoscitori delle piante e, nel 1992, impara a fare massagi durante un soggiorno nel Costa Rica. Nel luglio 1998, parla di un viaggio a Cuba per seguire “una formazione in medicina popolare... ho imparato molte cose che non sapevo...”. Per lei è l’occasione di conoscere “un po’ la vita di un Paese che cambia sistema di vita...” e pur non potendo approvare tutti gli aspetti di quel sistema, è stata colpita dal fatto che “nessuno dorme per strada, non ci sono bambini sporchi che chiedono l’elemosina... da noi, è più grave, più duro vedere tutti i giorni dei bambini che cercano cibo nei bidoni della spazzatura...”.

Sin da giovane, Elane aveva sentito la chiamata a vivere con i contadini poverissimi della montagna. Ed è a Dauphiné, nel comune di Verrettes, che trova quello che cercava. Nel 1985, lavora là, vivendo “con veri poveri, senza casa, senza sicurezza…”. Quel suo desiderio di impegno l’aveva portata a fondare, con padre Grandoit O.P. e alcuni contadini della montagna, un movimento ecclesiale, chiamato Force pour la défense des droits des paysans haïtiens - FDDPH, il cui scopo è quello di vivere in solidarietà con la popolazione e di accompagnarla nei suoi sforzi di sviluppo, suscitando in quel modo la speranza per frenare

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la desertificazione causata dall’esodo rurale. Un lavoro notevole viene svolto per un lungo periodo, in particolare presso le donne che fanno oggetto di scarsa attenzione, e Elane organizza incontri per loro. Nel 1993, segnala “un incontro per parlare della violenza alle donne. C’erano 45 donne, tutte con gli stessi problemi, sia con i bambini, sia con gli uomini, sia con la società...”. Nel 1999, racconta che le suore domenicane le hanno chiesto “di aiutarle a preparare le riunioni e la formazione delle contadine affinché diventassero donne consapevoli dei loro diritti e dei loro doveri. Visto che faccio questo da molto tempo, ho accettato e loro sono molto contente.” Lo stesso anno, trascorrerà “un mese con i piccoli, per continuare il lavoro di nutrizione con le mamme nel N.O.”

Dice inoltre che l’équipe ha cominciato “a organizzare un piccolo progetto di commercio per le mamme... Abbiamo preso solo 15 mamme per aiutarci, non è molto, ma è un incentivo. Ero stata io a lanciare l’idea nell’équipe ...”. Nel 2005, durante un periodo molto difficile, dice : « Continuiamo a lottare passo per passo. Siamo in una terribile insicurezza... le donne di Pierre Payen tengono duro, con grande coraggio, buon umore, una bella voce per cantare. Le attività vanno avanti, il panificio porta un grande aiuto, le donne gestiscono molto bene il denaro...”

Un’altra testimonianza è data in una lettera di ottobre 2006: “Il lavoro della FDDPH con i contadini va molto bene. Il sistema di irrigazione di Fondol dà un ottimo rendimento di verdure e frutta di ogni tipo, come banane, pomodori, spinaci e altri.”

Il movimento FDDPH è conosciuto da un’associazione di solidarietà internazionale RETE RADIE RESCH, con sede a Padova. Nel 1996, Elane viene invitata in Italia per partecipare a un congresso sul tema : “Resistenza degli esclusi”, che raduna più di 500 persone provenienti dall’Europa e da diversi paesi del Terzo Mondo. Diversi Haitiani partecipano ad un nuovo congresso nel 2002, e nell’aprile 2008 Elane è nuovamente invitata a testimoniare al 22° Congresso che si svolge a Rimini sul tema “Intessere reti, restituire, ricostruire, resistere » e deve intervenire su “Esperienza di resistenza di una comunità contadina in un ambiente di grave sottosviluppo socio-economico-culturale, la zona montana di Dauphiné (Verrettes, provincia dell’Artibonite, Haiti)”.

La persona ospitante aggiungeva : “Infatti siamo da tempo impegnati a sostenere il progetto educativo che state realizzando nel campo educativo e formativo. Desideriamo ascoltare la sua testimonianza e pensiamo che la sua partecipazione al dibattito sarà molto importante e apprezzata.” Durante quel soggiorno, Elane ha dovuto portare la sua testimonianza nelle scuole, parrocchie e associazioni varie dove “da tempo c’è un grande interesse per la realtà haitiana.”

Per rispondere meglio ai fabbisogni che percepiva, si teneva costantemente informata in vari campi.

Nel 1987, la troviamo a Santo Domingo, con altre 9 persone di Haiti, per acquisire una formazione nel campo dell’animazione, per cui deve imparare lo spagnolo, lingua parlata in quella parte dell’isola. Vi ritorna nel periodo marzo-aprile 1990, per acquisire una formazione sociale. Nel luglio 1992, si reca a San Jose di Costa Rica per seguire una formazione in “economía teología - ecología teología - teología della liberación - lectura popular de la Bíblia”, durante 2 mesi. Nel 1993, vuole andare a Santo Domingo pour una “sessione sulle cooperative” “per poter meglio aiutare i contadini poveri”. Di passaggio a Parigi, chiede a un professore di lettere di prestarle dei libri di filosofi greci che trattino della democrazia, il che

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dimostra il suo interesse per le questioni di società. Teneva in modo particolare a trasmettere il Vangelo e, dal 2006, aveva progettato una formazione superiore in catechesi e pastorale, ma “con il problema di Haiti, niente è sicuro. Attendo sempre la risposta dallo Spirito Santo”. La realizzazione del suo progetto sembrava ormai vicina nel 2007, mentre faceva la richesta di visto e di borsa di studio per passare un anno a Lumen Vitae, a Bruxelles, e scriveva: “Una formazione come Lumen Vitae rappresenta una ricchezza per i bambini, per la mia organizzazione, e anche per Haiti. Il progetto si realizza nel 2008-2009 e Elane ha lasciato un tale ricordo in quell’Istituto, che gli studenti che l’hanno conosciuta stanno preparando un “Libro d’oro” destinato alla sua famiglia. Ma ho già ricevuto molte testimonianze che si possono riassumere nella seguente: “Che disastro! Una donna preoccupata di portare Gesù Cristo e la Sua Buona Novella ai suoi. Era così meravigliata delle conoscenze che acquisiva e non perdeva occasione di esprimere il suo ardente desiderio di condividerle con la sua diocesi. Noi che l’abbiamo conosciuta all’Institut International Lumen Vitae proviamo veramente un grande dolore, che sarà certo ancora più grande per i suoi amici haitiani...”.

In una sua lettera parlando del beneficio che aspettava dal suo soggiorno a Lumen Vitae, Elane-Dadoue scriveva : “Se non si ha abbastanza luce, non si può dare luce agli altri...” Non potrà ormai più trasmettere direttamente questa luce che cercava tanto, ma il suo esempio stesso porta la Buona Novella che considerava essenziale nella vita delle persone che incontrava. Dobbiamo renderle omaggio, sicuri che vive ora pienamente la gioia che si sforzava di infondere intorno a se.

L’ACCOmpAGNAmENtO DEI mALAtI IN AmbIENtE OSpEDALIErO

Gisèle, Istituto Secolare Madeleine Aulina

Vorrei parlare della mia esperienza personale negli ultimi 18 mesi. Lavoro in un’unità di cure palliative, per mia scelta. Prima lavoravo in medicina generale ma, di ritorno in Francia, ho scelto le cure palliative.

La prima domanda da farsi è forse la seguente: come testimoniare la Buona Novella del Vangelo ai malati per i quali non c’è più speranza di guarigione ? Come servire la fecondità di Dio, come fare? Mi piace questa espressione ! Ma penso che si possa servire solo attraverso Dio, con Lui e in Lui. Naturalmente, servo la Parola solo se non separo la mia fede dalla mia vita quotidiana.

In quale maniera vivo il mio inserimento nelle cure palliative ? Prima di tutto, devo svolgere il mio lavoro nel miglior modo possibile e, cosa essenziale per un medico, devo fare sforzi di formazione continua.

Inoltre, non devo mai dimenticare che il paziente che ho di fronte è una persona e non un insieme di organi da trattare come una macchina da riparare.

Poi, questo essere di fronte a me è più o meno in grande difficoltà, più o meno gentile, ma è pur sempre una creatura di Dio, un fratello di Gesù, quindi anche mio fratello, figlio del Padre : “Tutto quello che avete fatto a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l’avete fatto a me”.

Ma non sono l’unica a curare. Per me è importante vivere in ascolto degli altri e, in ospedale,

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c’è il personale sanitario (anche i volontari, gli assistenti sociali, gli psicologi, il cuoco).Quando la malattia limita fortemente l’attività, molte domande vengono dai pazienti, dai più

giovani ai più anziani. Queste domande riguardano spesso il senso della sofferenza, della vita e della morte. Devo dire che le riflessioni dei pazienti mi hanno molto segnata. Hanno qualcosa da dire sul senso della vita, e questo riguarda qualsiasi persona dell’équipe, non solo l’infermiere, il medico, il volontario, ma anche la donna delle pulizie, l’agente del servizio ospedaliero.

Sono stata interpellata da alcuni pazienti senza ricorrere all’aiuto del cappellano per rispondere alle loro domande.

C’è un altro aspetto da considerare quando si è in contatto con gli infermi. Bisogna essere pronti a sentire l’espressione di sofferenze fisiche, psicologiche e morali, a livello sia del paziente, sia della famiglia : si puo trattare di collera, di vergogna, di incomprensione, di rifiuto, di sofferenza. Talvolta si sente, e non è cosi raro, esprimere il desiderio di accelerare la fine.

E tutte queste cose mi insegnano tanto sulla natura umana. Attraverso questi incontri, lo Spirito Santo è qui per suggerirmi quello che devo fare, e sopratutto quello che devo dire, quello che devo fare come cristiana ; parlare della misericordia del Padre, la cui casa contiene un’infinità di dimore, ma si tratta il più spesso delle volte di gesti piuttosto che di parole, di ascolto e di comprensione.

Ci sono anche incontri con gli altri membri dell’équipe sanitaria ; tutti insieme, cerchiamo di alleviare le sofferenze, di confortare i malati e i loro familiari. Ma anche noi abbiamo bisogno di psicologi che ascoltino la nostra sofferenza. Devo stare attenta ai miei colleghi, cercare di essere un fermento di pace nelle relazioni, e i miei colleghi non sono tutti cristiani !

Quando si parla insieme nelle riunioni di informazione (2-3 volte al giorno), apprendo dai miei colleghi molti dettagli sui pazienti e, insieme, possiamo conoscerli meglio e quindi aiutarli. Scopro lo Spirito di Cristo che opera nel cuore di tutti e trovo quindi delle ragioni per rendere grazie, per restare fedele alla Parola che mi nutre.

Vorrei dire una seconda cosa : per testimoniare la mia preferenza per la vita, dal suo inizio alla sua fine naturale, ho deciso di seguire una formazione specifica. Qualche anno fa, ho seguito un master di bioetica a Barcellona, che mi ha consentito di essere più forte, più serena nell’ascoltare opinioni diverse dalle mie. Per esempio, mi ha consentito di capire le sofferenze nascoste dietro un desiderio di eutanasia.

C’è anche un lavoro di ascolto. Infatti, se non ascolta, il medico non capisce molto del suo paziente. L’ascolto fa anche sì che il paziente si senta compreso e possa esprimersi.

Un’ultima cosa : c’è nei nostri pazienti una ricchezza culturale e religiosa di grande diversità. Il fatto di informarmi sui vari modi di affrontare i momenti della fin di vita in altre religioni mi insegna molto anche sulla mia religione.

Concludo : proprio con queste parole, con questi gesti, con la nostra presenza accanto al moribondo che la società rifiuta, gli facciamo capire che è una persona degna di essere amata.

Non sappiamo come parlare con quelle persone invalide (costrette al letto, che non producono più, che non hanno nulla, che non fanno più niente, che spesso sono rigettate dalle loro famiglie), e mi ricordo di un caso : una persona affetta da una psicosi cronica, che era emarginata, asociale, ci diceva : “Come si sta bene qui, c’è qualcuno che mi ascolta !” E’ un’esperienza importante, che ci spinge ad andare avanti.

Ecco quello che vivo ogni giorno.

Da : Serviteurs de la Fécondité de Dieu (CNISF), 2ème trimestre 2009

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L’ESprESSIONE StrANIErA, VIVErE LA prOprIA fEDE IN UN’ALtrA CULtUrA

Chantal, Istituto Secolare Deus Caritas

Sono nata a Mauritius, mentre i miei genitori sono nati in Cina, a Canton. Quello che sto per dire non riguarda l’Asia in generale, ma una provincia cinese in particolare.

Avevo intitolato questa piccola testimonianza : “Terra di Cina e terra di Francia, cammino di Emmaus”. Il titolo del forum è : “Servo della fecondità di Dio”. La mia testimonianza andrà piuttosto nel senso opposto, ossia : come io ho beneficiato della fecondità dei servi di Dio. L’isola Mauritius è un paese di missione, siamo sul sito degli spiritani che sono stati i primi missionari nel mio paese natale.

La realtà concreta che ho voluto scegliere è quella della comunità cinese alla quale appartengo. Ma in quella realtà concreta, ho scelto un evento : il Capodanno cinese.

Il Capodanno cinese non avviene a data fissa, non è come il 1° gennaio. E’ fissato secondo il calendario lunare. Il Capodanno cinese si traduce nella lingua cinese con la parola “primavera”.

Il Capodanno, quindi la primavera, è il rinnovamento, il tempo nuovo che significa accogliere la durata, il tempo che continua. E come fare per accogliere il soffio di questo tempo nuovo che arriva ? Quando diciamo “festeggiare l’anno nuovo” è come attraversare, andare da un anno verso un anno nuovo; e per poterlo fare, vorrei ricorrere a tre grandi pedagoghi che mi hanno guidata verso il cristianesimo.

Questi tre grandi pedagoghi, secondo il mio vissuto familiare, sono aspetti molto pratici del confucianesimo, del taoismo e del buddismo. Mi limiterò a dire qualche parola su ognuno di questi principi di vita.

Il confucianesimo : quello che ho imparato, nella mia famiglia, è il rispetto fondamentale del piccolo verso la gerarchia. Ecco un esempio : non chiamerò mai le mie sorelle più grandi, i miei fratelli più grandi per nome, e lo stesso dicasi per mio zio, mia zia e tutti quelli più grandi di me. Li chiamerò in funzione del legame esistente tra noi. Quindi mio fratello grande, lo chiamerò fratello grande, il secondo, secondo fratello grande, e così via.

Quindi, quello che è importante non è il nome, ma è come mi colloco, in famiglia, nei confronti di quella persona. Il rispetto della gerarchia è un aspetto importante del confucianesimo.

Un altro aspetto del confucianesimo è quello della tolleranza, della pace e dell’armonia tra quello che si fa sulla terra e quello che averrà in cielo. Non so cosa ci sia dietro la parola “cielo” usata da Confucio (si tratta di uno spazio o di una realtà ?), ma tutto quello che si fa in casa, in comunità deve essere in simbiosi con il cielo che esiste e tutto quello che si fa deve essere gradito al cosmo nel quale ci troviamo.

Parlerò ora del taoismo. Quello che ho imparato in famiglia (tao vuol dire virtù, via, quindi cammino) è indefinibile ma, nel tempo stesso, è l’essere che esiste. E’ l’indefinibile e, nello stesso tempo, l’unico. E per raggiungere l’unico, ci sono tempi di interiorità, di preghiere. Per questo motivo nelle immagini si vedono spesso dei templi costruiti in cima a scogliere, in cima a montagne. Ed è proprio per raggiungere il silenzio della natura, per consentire all’uomo di

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accogliere e di vivere l’interiorità attraverso la preghiera. In famiglia vedevo i miei genitori pregare il 1 e il 15 di ogni mese, e dedicare molto tempo

alla preghiera o recarsi in pagoda. La terza guida è Budda. Non voglio lanciarmi qui in una discussione : il buddismo è una

filosofia di vita. Nella mia famiglia non abbiamo mai venerato il Budda, non ne avevamo un’immagine. Ma il buddismo significa vivere lo spirito di distacco, di rinunzia, di semplicità; poi, vivendo in una famiglia modesta, significa accontentarsi dell’essenziale e vivere semplicemente. Ecco la cosa importante.

Nell’immagine di Budda c’è una persona molto presente, rappresentata in modo particolare in mezzo ad altri dei; si dice che essa è “la deità”,quindi la dea vicina al Budda, è una donna. Nel giorno di Capodanno, mia madre cambia le immagini e sceglie sempre la più bella o la più originale, e l’immagine della donna mi è rimasta perché rappresenta la dolcezza, il dono di quella donna nel distacco e nella sobrietà. La dolcezza di quella donna mi è rimasta impressa, e in ultima analisi, mi fa pensare al dono di una persona.

Quindi è stata la terra dei miei avi a darmi e a farmi capire questi tre grandi pedagoghi che conducono inconsapevolmente i membri della mia famiglia, i membri della mia comunità verso il cristianesimo. Il cielo di Confucio, l’interiorità di Tao, la rinunzia di Budda e la dolcezza di quella dea accanto al Budda sono veramente pietre miliari che per noi, come per la Samaritana, guidano i nostri passi sulle strade di Samaria.

L’altra parte della mia testimonianza riguarda la terra di Francia. Per me, la Francia è la terra degli antenati della fede, che sono stati i missionari venuti a Mauritius. Quello che trovo ammirevole nella Chiesa di Francia, è il suo inestimabile lavoro missionario. Quanta gratitudine dobbiamo avere ! Ed è dir poco !

Direi che nella Chiesa di Francia c’è un’apertura di spirito, un dono di vita dei missionari. Le chiese locali sono aperte mentre le pagode, i templi, le moschee o altre chiese sono chiuse. Mentre la chiesa cattolica, la chiesa cristiana rimane aperta e chiunque può entrarvi, che

sia buddista, musulmano o no; entra, dice quello vuole, parla, recita la sua preghiera, rimane in adorazione. L’apertura della chiesa rientra nella preoccupazione di essere una Chiesa missionaria, di condividere la ricchezza della fede.

Vorrei sottolineare un aspetto : in Cina, durante un certo tempo, si è scritto che fede cristiana uguale fede occientale. No ! La fede cristiana è una fede universale e purtroppo, quando si parla della fede della Chiesa, si dice che è la fede dell’Occidente. E’ vero che l’Occidente ci ha dato molti missionari, ma penso veramente che si tratti di una fede universale. Non c’è confusione tra la fede di una parte del mondo e quella di altre parti del mondo.

Quindi, i tre servitori della fede mi hanno veramente insegnato che cos’è la fecondità della Chiesa attraverso l’altro aspetto della terra di cultura che è la Francia, e che c’è, nelle altre religioni e nel mio vissuto familiare, l’importanza della parola “testimone”. Che io sappia, non esiste per i musulmani, per gli induisti e per i buddisti la parola “testimone”.

L’unica religione che racchiuda veramente la nozione di “testimone” è la religione cattolica ; non si è testimoni di Confucio, non si è testimoni di Tao, di Budda, ma si è testimoni di Cristo. A questo riguardo, entro spesso in discussione con amici della mia famiglia che non sono credenti. La testimonianza è veramente la rivelazione, la rivelazione della religione da parte di qualcuno. La religione è un insieme di cose, ma la religione è

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qualcuno. Il cristianesimo è una religione rivelata. Ha un nome, e questo nome è Cristo. Un ultimo punto sul modo in cui il carisma e la spiritualità dell’Istituto possono aiutarmi

nella fecondità, e direi nella fecondità della Chiesa. Il carisma del nostro Istituto, Deus Caritas, la spiritualità della piccola Teresa, è quella di testimoniare l’Amore unico di Dio, di testimoniare la tenerezza del Padre (nel confucianesimo, l’importanza della pietà filiale è fondamentale, la pietà, il rispetto del figlio per il padre).

Questa mattina, abbiamo parlato di ABBA; nella nostra tradizione, nella nostra famiglia chiamiamo nostro padre APA.

C’è un legame tra il padre che si vede e il Padre : Dio nostro Padre.La piccola Teresa, che è un testimone e che è la Chiesa con il suo insegnamento, con la sua

piccola via. La piccola Teresa aveva due fratelli missionari, di cui uno in Cina (1896-1909). La piccola Teresa gli scriveva spesso, ha scritto 7 lettere, e solo 6 le sono state restituite. La settima, scritta dal convento delle carmelitane, è stata posta da padre Rouland sul petto di una giovane donna morente e la lettera di Teresa è quindi sepellita in terra cinese.

C’è qui tutto il simbolismo della fecondità della donna. Questa lettera, questa parola di vita che fa tutt’una con quella terra che Teresa e altri santi hanno amata. I cinesi hanno dato un nome alla piccola Teresa : “Piccola via profumata”.

Per servire la fecondità di Dio bisogna forse diventare questa presenza sottile, seducente, attraente e profumata nel tempo, per diventare poi segno di Dio, per essere un segno profumato del mondo nella nostra modesta dimensione, laddove siamo impiantati per essere più profondamente radicati nella vocazione battesimale e radicati nel cuore di questo mondo, con tutte le sue complessità, per essere finalmente la presenza del profumo di Dio. E, come diceva Teresa : “tutto è grazia” !

Penso che la fecondità di Dio si debba vivere come una grazia. Lo è stata per me. Voglio cercare di renderla come una grazia con tutto quello che ho ricevuto da parte della Chiesa. E vorrei ringraziare voi, le vostre famiglie, i missionari e tutti i sacerdoti che le vostre famiglie hanno saputo dare a tutti i paesi in missione. Grazie !

Da : Serviteurs de la Fécondité de Dieu (CNISF), 2ème trimestre 2009

pErChé IL pOSt-CONCILIO è ANCOrA COSì DIffICILE?

ROMA, venerdì, 30 luglio 2010 (ZENIT.org).- Gli ultimi 50-60 anni della Chiesa cattolica sono di difficile lettura. Per capire questa affermazione, bisogna ricordare lo spartiacque del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), cioè com’era la Chiesa prima e dopo il grande discrimine. Essendo nato nel 1929 e sacerdote nel 1953, ho vissuto abbastanza per dire che la Chiesa prima del Concilio era molto diversa da quella che viviamo oggi. Certamente più unita e più sicura della Verità che annunziava (lo studio delle teologia a noi giovani seminaristi

Spigolando

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e preti dava certezze, oggi semina interrogativi, ipotesi e dubbi), ma anche ingessata in formalismi, schematismi, clericalismi, giuridismi, autoritarismi, trionfalismi….

Pio XII, parlando ai giornalisti nell’Anno Santo 1950, aveva esortato a formare una “opinione pubblica” nella Chiesa (il suo discorso era spesso citato alla scuola di giornalismo), cioè la libertà, per formare una coscienza matura, di discutere e anche di dissentire riguardo alla linea tenuta dalle autorità ecclesiali, un dibattito e una condivisione, in modo da non soffocare sul nascere le idee nuove che potevano sorgere anche nei fedeli e nel clero. Ma questa esortazione del Papa era intesa nel quadro della fede e dell’obbedienza sostanziale, per mantenere l’unità e la carità tra i membri del gregge di Cristo.

Poi è venuto l’inaspettato e straordinario Giovanni XXIII (il Papa di Sotto il Monte) e il suo Concilio Vaticano II (1962-1965), una meravigliosa e provvidenziale svolta nella storia della Chiesa dei nostri tempi. In quegli anni lo Spirito soffiava veramente forte e spingeva la Chiesa ad un “aggiornamento”, come diceva Giovanni XXIII. I temi più sentiti alla base e tra i padri conciliari erano la sincerità, la trasparenza, la collegialità, la povertà, la condanna del trionfalismo e del clericalismo, l’apertura al “dialogo” ecumenico e con le religioni non cristiane (la prima enciclica di Paolo VI del 1963 era sul dialogo); insomma, tutti sentivamo l’urgenza per la Chiesa di svecchiarsi e rinnovarsi per essere efficace nel testimoniare e trasmettere il messaggio di Cristo agli uomini del nostro tempo.

Ho seguito a Roma il Concilio come direttore di “Mondo e Missione” (allora era “Le Missioni Cattoliche”) e giornalista dell’Osservatore Romano; inoltre ero “perito”, nominato da Giovanni XXIII, per il decreto “ad Gentes”. Ricordo bene che durante e subito dopo il Concilio noi giovani preti eravamo entusiasti della Chiesa e della missione, avevamo una forte carica di evangelizzazione che ci era venuta proprio dal Concilio. Erano gli anni in cui lo Spirito suscitava numerose vocazioni alla vita consacrata e al sacerdozio.

Ma poco dopo la fine di quel tempo affascinante, nasce nella Chiesa uno spirito di critica, di contestazione, di polemica, che era il frutto dell’atmosfera creata dal “Sessantotto”, un movimento culturale di denunzia, di rivolta contro la società esistente e ogni tipo di “potere” e di “autorità”, che ha creato, assieme a cose positive, anche danni irreparabili alla famiglia (il sesso libero), alla scuola (il voto politico uguale per tutti), alla società (lo spirito di denunzia e di protesta) e alla Chiesa (la contestazione permanente e militante del Papa). Sono solo esemplificazioni sommarie per dire il risultato spesso anarchico del Sessantotto.

Nella Chiesa, soprattutto fra i teologi e la stampa cattolica, si sono formate due correnti di pensiero che, semplificando molto, avevano queste caratteristiche:

1) Da una parte si pensava che il Concilio era finito e andava studiato, vissuto e applicato; dall’altra che il Concilio era un’opera incompleta, incompiuta, cioè rimasta a metà del guado, e che, per aggiornare la Chiesa ai tempi moderni, era necessario proseguire non tanto secondo la lettera (cioè i testi ufficiali approvati), ma secondo “lo spirito del Concilio” sulla via dei dibattiti e delle sperimentazioni, accelerando il cammino verso il prossimo inevitabile Concilio Vaticano III. Si incominciò a discutere fra la lettera e lo spirito del Concilio: la lettera erano i testi dei documenti approvati, lo “spirito” era quello rappresentato dalle idee dei “progressisti” e dei “profeti”. Allora, bastava andare

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contro quanto il Papa diceva o scriveva (penso ad esempio alla Humanae Vitae del 1968!) e si veniva proclamati “profeta dei tempi nuovi”.

2) Da un lato si guardava al Concilio come alla conclusione di un lungo cammino storico di “aggiornamento” della Chiesa, ma nella continuità col passato; dall’altra il Concilio era inteso come una rivoluzione, una rottura col passato, l’inizio di un cammino nuovo che andava reinventato giorno per giorno; quasi un punto di partenza per una nuova Chiesa, che nel suo passato vedeva solo i fatti negativi.

3) La collegialità nel governo della Chiesa era interpretata in modi molto diversi, direi opposti: da un lato la libertà di esprimere e discutere esperienze e orientamenti nuovi, però nell’obbedienza al Papa e ai vescovi a lui uniti; dall’altro la libertà e l’autonomia delle Chiese locali assumeva un valore assoluto, per cui ogni intervento di Roma era visto (e a volte è ancora visto) come un freno al rinnovamento, un ostacolo all’attuazione dello “spirito del Concilio”. Non solo, ma l’autorità nella Chiesa, in diocesi, seminari e istituti religiosi e missionari, veniva fortemente minata dalla prevalente idea che anche il Popolo di Dio doveva essere governato con metodi “collegiali” e “democratici”. L’autorità infatti, si diceva, viene dal basso, nasce dalla base, dal popolo; mentre secondo la Scrittura e la Tradizione, la Chiesa non è una “repubblica”, ma una “monarchia” perché l’autorità viene da Dio (sto semplificando molto per far capire le conseguenze di un certo spirito di quel tempo!).

4) Il dialogo interreligioso e interculturale era accolto con gioia: ma alcuni lo vedevano come un ascolto, un confronto e una collaborazione con fedeli di altre fedi e credenze, avendo però ben fermo il radicamento nella fede, nella tradizione cristiana e nell’unità della Chiesa; dall’altro era visto come un andare verso gli altri, conoscerne e apprezzarne i “valori”, “fare un cammino insieme”, fino a giungere ad una specie di integrazione vicendevole. La storia di come sono nati e tramontati i “cristiani per il socialismo” (che assurda illusione!) e quelli che promuovevano il dialogo col marxismo e col movimento comunista lo dimostra ampiamente; così come non pochi fra quelli che si erano lanciati nel dialogo (non rettamente inteso) con induismo e buddhismo.

5) Un’altra novità del Concilio era la presa di coscienza della Chiesa circa la fame e miseria estrema di gran parte dell’umanità e delle ingiustizie a livello internazionale fra popoli ricchi e popoli poveri. La soluzione che il Concilio proponeva, oltre alle riforme per orientare come Cristo i credenti verso i poveri e gli “ultimi”, era la “Dottrina sociale della Chiesa” (più volte nominata nella Gaudium et Spes). Ma nell’atmosfera dei tempi post-conciliari e sessantottini, alcuni interpreti “profetici” dello “spirito del Concilio” affermavano che la Chiesa non ha nulla o ben poco da dire in campo politico-sociale-economico. Se si voleva veramente fare il bene dei poveri, bisognava seguire l’unica “lettura scientifica della società” a favore dei poveri, che era quella marxista. Non per diventare comunisti e approvare tutto quello

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E-DIALOGUE • Nr 6 anno 2010 30

che faceva il comunismo nel mondo, ma per “fare un cammino insieme” alle forze popolari che contestavano il capitalismo e preparavano un mondo nuovo più giusto ed egualitario. “L’unica speranza dei poveri è il socialismo” mi diceva il grande padre Davide Turoldo nel novembre 1973 a Torino, al congresso dei “Cristiani solidali con Vietnam, Laos e Cambogia” (a cui ero stato invitato a dare la mia testimonianza su richiesta del Card. Pellegrino). Non c’è da meravigliarsi perchè allora la cultura dominante in buona parte del mondo cattolico (e anche nelle associazioni giovanili) era questa: oggi nessun cattolico di semplice buon senso lo direbbe più, visto come sono finite le molte esperienze del “socialismo reale”.

6) Nella confusione di idee di quel tempo, che tra l’altro allontanava (o disaffezionava) non pochi preti e fedeli dalla Chiesa, per i vescovi italiani il punto di riferimento preciso era il Papa. Ma l’altra corrente di pensiero affermava che Paolo VI (il “Papa tentenna”, “Paolo il mesto”) era animato dalla “paura del nuovo”. E dopo le aperture del tempo conciliare aveva subito tirato il freno con molti decreti sull’applicazione del Concilio (come la “Ecclesiae Sanctae” del 1966), che ristabilivano l’autorità di Roma sulle Chiese locali, togliendo loro l’autonomia indispensabile per sperimentare e portare avanti le novità conciliari. Paolo VI, a quel tempo, era snobbato, contestato, anche deriso. A volta dico che “il Papa martire” del secolo XX è stato Paolo VI. Alcuni, per salvare la sua persona, dicevano che lui in realtà non era così, ma che la mitica “Curia romana” l’aveva ingabbiato e costretto a fare un cammino diverso da quello che aveva previsto o voluto.

La Chiesa, anche in Italia, oggi soffre ancora di questa divisione, che non viene dal Concilio e dai suoi documenti, ma dall’interpretazione errata che non pochi ne hanno dato. Quindi, mentre in passato, fare il prete era abbastanza semplice anche se costoso in termini di rinunzie, sacrifici e mortificazioni, in seguito è diventato più difficile perché la via da percorrere, per molti, non è più così chiara e sicura.

di padre Piero Gheddo*

*Padre Piero Gheddo (www.gheddopiero.it), già direttore di Mondo e Missione e di Italia Missionaria, è stato tra i fondatori della Emi (1955), di Mani Tese (1973) e Asia News (1986). Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente scrivendo oltre 80 libri. Ha diretto a Roma l’Ufficio storico del Pime e postulatore di cause di canonizzazione. Oggi risiede a Milano.