STRATEGIE NUTRIZIONALI,INTEGRAZIONE E RECUPERO
Responsabile scientifico: Enrico Arcelli
L’Equipe Enervit: la scienza e la ricerca per lo sport . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
Indice e carico glicemico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6
Pre-sport: strategie nutrizionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
Alimentazione e integrazione durante lo sport . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
Il recupero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
Sport e proteine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
Omega-3 e sport . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41
INDICE
4
l’equipe enervit:la scienza
e la ricerca per lo sport
L’Equipe Enervit è una società di ricerca scientifi-
ca applicata allo sport che si avvale della collabo-
razione di un gruppo di esperti, di ricercatori e del
contributo di centri universitari italiani e di altri
paesi europei.
In più di trent’anni, l’Equipe Enervit ha fatto
la storia dell’alimentazione e dell’integrazione per
l’attività fisica. Le esperienze maturate “sul
campo” hanno consentito di studiare a fondo i
problemi dell’integrazione proteica ed energetica,
della sete, dei radicali liberi e del recupero.
L’Equipe Enervit ha diffuso le conoscenze scien-
tifiche sviluppate grazie agli studi dei suoi ricer-
catori e ha insegnato a molte generazioni di spor-
tivi ad alimentarsi in modo corretto e continua a
farlo oggi con lo scopo di tradurre queste espe-
rienze in risposte utili alle esigenze di tutti coloro
che praticano sport ad ogni livello o che sempli-
cemente conducono una vita attiva.
Gli esperti dell’Equipe Enervit sono impegnati
anche nella divulgazione delle più moderne stra-
tegie alimentari e sono al servizio di tutte le per-
sone che credono nella ricerca della salute attra-
verso l’alimentazione.
L’obiettivo di questa pubblicazione dell’Equipe
Enervit è appunto quello di diffondere le ultime
novità nel campo della nutrizione dello sport e di
fornire a coloro che praticano attività fisica le linee
guida che consentono loro di potersi alimentare ed
integrare nei modi più razionali.
La nutrizione applicata allo sport è un campo
di ricerca relativamente nuovo, in evoluzione e
in rapida crescita. Nuovi studi scientifici stanno
fornendo informazioni innovative per capire come
5
reagisce l’organismo di un atleta durante o dopo
l’attività fisica.
I dati acquisiti in laboratorio, però, non sempre
aiutano a capire quello che accade effettivamente
durante un allenamento o una competizione. È
per questo che è così importante il contatto con-
tinuo con gli atleti.
In questo modo è possibile soddisfare i fabbisogni di
energia e di nutrienti, in moltissimi casi assai elevati
e, al tempo stesso, concorrere al raggiungimento e
al mantenimento della migliore “forma” fisica.
Una razionale alimentazione, inoltre, deve garantire
la reintegrazione di quegli elementi le cui carenze
potrebbero limitare la prestazione.
6
- 1 -Indice e carico glicemico
È ormai nota da decenni la possibilità di classificare i
carboidrati in funzione della loro attitudine a determi-
nare risposte glicemiche ed insulinemichepiùomeno
pronte. Nella letteratura scientifica è stato introdotto
il termine di glycemic index (GI) e, in italiano, di indice
glicemico (IG).
L’impiego di questo criterio classificativo degli
alimenti (specie di quelli contenenti carboidrati)
ha ricevuto un crescente supporto scientifico ed ha
ora molte applicazioni di tipo pratico.
L’INDICE GLICEMICO
L'indice glicemico è l’espressione della velocità con
cui aumenta la glicemia in seguito all'assunzione
di un certo alimento. In un grafico in cui si indicano i
valori della glicemia nelle due ore successive all’as-
sunzione di 50 g di un alimento che si vuole testare,
in pratica, si calcola la superficie al di sopra dei valori
basali e la si confronta conquella chesi hadopo l’inge-
stione di 50 g di un alimento di riferimento, di solito
il glucosio (si veda la Figura 1).
Un indice glicemico pari a 50, per esempio, indica che
l'alimento preso in esame determina un’area
di innalzamento della glicemia che è la metà
di quella del glucosio.
Risposta glicemica
Ris
post
agl
icem
ica
3
2,5
2
1,5
1
0,5
0
-0,530 60 90
Glucosio
Saccarosio
Fruttosio
3
5
2
5
1
5
0
5
Glucosio
S ii5
2
5
1
5
0
5
Saccarosi
Fruttosio
5
0
30 60 90
Tempo (min)
Figura 1 - Il grafico indica l’andamento nel tempo (in min) dellaglicemia (in mmol/L) dopo l’assunzione di 50 g di glucosio (lineablu), di saccarosio (linea rossa) e di fruttosio (linea verde).
7
Tabella 1
COME CONSIDERARE L’INDICE GLICEMICO
Molto basso: inferiore a 40
Basso: inferiore o uguale a 55
Medio: compreso tra 56 e 69
Alto: superiore o uguale a 70
Tabella 2
ESEMPI DI INDICE GLICEMICO
RIFERITO AL GLUCOSIO
Broccoli, finocchi, insalata, spinaci,
zucchine, etc. 15
Soia 18
Yogurt bianco 19
Fruttosio 23
Ciliegie 23
Orzo perlato 23
Legumi 30
Albicocca 32
Latte scremato 34
Pere 38
Mela 39
Ravioli 41
Pesca 44
Arancia 46
Uva 48
Piselli 49
Cioccolato 51
Succo d’arancia 54
Banana 56
Pasta 57
Biscotti da tè 58
Patate bollite 59
Riso bianco 60
Gelato 63
Biscotti di pasta frolla 66
Zucchero 67
Gnocchi 69
Pane bianco di frumento 73
Miele 76
Patate fritte 78
Wafer alla vaniglia 80
Patate al forno 88
Glucosio 100
L’indice glicemico di un alimento, oltre che
dal tipo di carboidrato presente in esso, viene
influenzato da altri fattori:
• dal metodo di cottura (il riso soffiato ha
un indice glicemico superiore a quello bollito,
oppure le carote crude presentano un indice
glicemico più basso rispetto a quelle cotte);
8
• dalla composizione del pasto (la presenza
di grassi e di proteine rallenta la digestione e
di conseguenza i carboidrati contenuti nell’ali-
mento vengono assorbiti più lentamente);
• dalla presenza di fibre (quelle idrosolubili
rallentano l'assorbimento di glucosio a livello
intestinale e sono in grado di mantenere
la glicemia costante per lunghi periodi).
In seguito a queste evidenze, ci si è resi conto
di quanto possa essere importante tenere conto
dell’indice glicemico anche nelle scelte alimen-
tari dello sportivo, non soltanto per ottenere
effetti favorevoli sul peso e sulla composizione
corporea, ma anche per una più favorevole
modulazione del metabolismo energetico
durante la prestazione.
Gli alimenti a basso indice glicemico, in partico-
lare nei pasti che precedono una gara o un alle-
namento, possono favorire l’utilizzo dei grassi
durante l’attività fisica e consentire così un
risparmio del glicogeno.
L'indice glicemico non è l'unico parametro che
occorre considerare per calcolare la risposta
glicemica. Esiste un indice, infatti, che è ancora
più importante: quello del carico glicemico.
Il carico glicemico (CG), oltre a tenere conto
della qualità dei carboidrati contenuti negli
alimenti (come fa l’indice glicemico), considera
anche la loro quantità.
IL CARICO GLICEMICO
Il carico glicemico non tiene conto solo
dell’indice glicemico, ma della densità dei car-
boidrati. Quanto più un cibo è densamente costi-
tuito da carboidrati, tanto più è elevata la risposta
glicemica e la conseguente messa in circolo
dell’insulina.
Le ricerche scientifiche, del resto, hanno eviden-
ziato che, per mantenere un ottimale livello
di glicemia post-prandiale, non è sufficiente
prendere in considerazione il solo indice glice-
mico, ma anche la quantità complessiva dei car-
boidrati assunti. Il carico glicemico si ottiene
moltiplicando la quantità di carboidrati presente
in un alimento per il suo indice glicemico e divi-
dendo poi per 100:
IG x grammi di carboidrati dell’alimento
CG = ---------------------------------------------
100
In questo modo, si definisce la quantità –
e non solo la qualità - di alimento e, di conse-
9
guenza, quella dei carboidrati che è bene assu-
mere in un pasto. Il carico glicemico deve esse-
re di circa 30. Un pasto con elevato carico glice-
mico, infatti, comporta un’altrettanto elevata
risposta glicemica post-prandiale, con relativo
aumento del livello di insulina nel sangue.
Per esempio 100 grammi di pasta danno un cari-
co glicemico (CG) di 45,6 (che supera abbondan-
temente il valore ideale di 30). Esso si ricava
moltiplicando l’indice glicemico (IG) della pasta
(57) per la quantità di carboidrati, in grammi,
presenti in 100 g di pasta (80) e dividendo per
100 il risultato. Per poter mangiare nello stesso
pasto anche 300 g di broccoli con CG 1,35 (IG 15
x 9 g di carboidrati / 100) e una mela di 120 g con
CG 4,7 (IG 39 x 12 g di carboidrati / 100), si devo-
no assumere non più di 40-45 g di pasta pesata
a crudo.
CARBOIDRATI PER LO SPORT
I diversi carboidrati utilizzati dagli sportivi hanno
caratteristiche differenti l’uno dall’altro.
Fruttosio
Il fruttosio è un prodotto naturale. Come il sac-
carosio è lo zucchero della barbabietola e della
canna da zucchero, così il fruttosio è natural-
mente presente nella frutta, nel miele, nelle
cipolle o nella cicoria.
Il fruttosio è molto solubile ed ha proprietà
organolettiche eccezionali: il suo potere dolcifi-
cante è superiore al saccarosio ed è un esalta-
L'indice glicemico (IG) è un indicatore qualitativo dell’effetto che ha sull’andamento della
glicemia (ossia dei livelli del glucosio nel sangue) una determinata quantità di un cibo conte-
nente carboidrati. Segnala, in pratica, qual è l’entità della risposta della glicemia in seguito
ad una quantità di cibo contenente 50 g di carboidrati disponibili.
Il carico glicemico (CG) è un indicatore quantitativo, che si ottiene moltiplicando l’indice glice-
mico per la quantità di carboidrati presenti nell’alimento e dividendo poi per 100. In questo
modo, si definisce la quantità – e non solo la qualità – dell’alimento e, di conseguenza,
dei carboidrati da assumere in un pasto (valore ideale 30).
10
tore di gusto e aromi. Il fruttosio è considerato
insulino-indipendente e favorisce il consumo
di grassi da parte dei muscoli nel corso dell’at-
tività. Dopo l‘assunzione, il fruttosio passa rapi-
damente dallo stomaco, mentre viene assorbito
a livello intestinale ad una velocità inferiore
rispetto al glucosio e al saccarosio.
La sua risposta glicemica è nettamente meno
elevata di quella di altri zuccheri semplici.
Il fruttosio ha l’indice glicemico più basso in asso-
luto tra gli zuccheri semplici con un valore di 23.
Giunto al fegato, esso viene trasformato in glu-
cosio e immagazzinato sotto forma di glicogeno
epatico, una riserva di energia che può essere uti-
lizzata durante lo sforzo fisico.
CARATTERISTICHE DEL FRUTTOSIO
• Elevata velocità dello svuotamento gastrico
• Graduale assorbimento intestinale e, di conse-
guenza, un utilizzo modulato nel tempo
• Bassa risposta insulinemica, con conseguente
miglior utilizzo dei grassi circolanti (FFA) e un
possibile risparmio del glicogeno muscolare
• Assenza di “ipoglicemia reattiva”
• Efficacia sulla risintesi del glicogeno epatico
• Basso indice glicemico (23).
Maltodestrine
Le maltodestrine sono polimeri del glucosio; esse,
in altre parole, sono molecole di varia lunghezza,
composte da un numero di molecole di glucosio
molto variabile: maltosio (due molecole di gluco-
sio), trisaccaridi (tre molecole), tetrasaccaridi
(quattro molecole) e polisaccaridi (composti da un
numero ancora maggiore di molecole di glucosio).
Una prerogativa di non poco conto riferita alla
particolare struttura chimica di questi elementi
nutritivi è la capacità di esercitare una minor
pressione osmotica rispetto a simili soluzioni
di glucosio o zuccheri semplici. Tale terminologia
significa che, quando sciogliamo le maltodestrine
in acqua, si ha una bevanda meno "densa" di
quelle preparate con altri zuccheri. Questa carat-
teristica permette una vantaggiosa utilizzazione
da parte dell'organismo secondo quanto viene
dimostrato da numerose ricerche scientifiche.
CARATTERISTICHE DELLE MALTODESTRINE
• Esercitano una bassa pressione osmotica
• Consentono di mantenere adeguati livelli
di glicemia durante l'esercizio
• Sono in grado di elevare il tempo di esaurimento
negli sforzi prolungati
11
• Possono consentire un risparmio di glicogeno
muscolare
• Hanno un elevato indice glicemico (100 come
il glucosio), adatto per il recupero dopo l’attività.
In miscela con il fruttosio, l’indice glicemico si
riduce.
• Dopo lo sforzo, favoriscono un più rapido
ripristino delle riserve di glicogeno muscolare
rispetto agli altri carboidrati.
Glucosio
Il glucosio è formato da una sola molecola (mono-
saccaride); rappresenta la forma di gran lunga più
comune di carboidrato elementare che passa dal-
l’intestino al sangue dopo la digestione e una delle
fonti energetiche per l’organismo e per le cellule.
Il glucosio è un supporto anche nella sintesi delle
proteine e nel metabolismo dei grassi. Dato che
le cellule del sistema nervoso non sono in grado
di metabolizzare i lipidi, il glucosio rappresenta
la loro fonte principale di energia. Il glucosio, dopo
l’assorbimento dall’intestino, entra nel sangue e
una frazione viene indirizzata direttamente alle cel-
lule del cervello, mentre gran parte del rimanente
si accumula nel fegato e nei muscoli in una forma
complessa simile all’amido, denominata glicogeno.
Quest’ultimo costituisce una fonte fondamentale di
energia per il corpo, in particolare quando si svolge
attività fisica. Il rapido assorbimento fa del glucosio
uno degli zuccheri semplici a più alto indice glice-
mico, tanto che il valore viene fissato a livello inter-
nazionale a 100 e rappresenta l’unità di misura di
tale indice in confronto con tutti gli altri carboidra-
ti. Il livello di glucosio nel sangue e nei tessuti è rego-
lato da alcuni ormoni, soprattutto dall’insulina e dal
glucagone.
Si tenga presente che gli altri monosaccaridi pre-
senti in natura sono il fruttosio (del quale si è già
parlato) e il galattosio (che si trova nello zucchero
del latte, il lattosio, un disaccaride costituito da
una molecola di glucosio e, appunto, da una
di galattosio). Il fruttosio e il galattosio, dopo l’as-
sorbimento intestinale, vengono indirizzati al
fegato, dove vengono a loro volta convertiti in glu-
cosio. Il percorso di trasformazione di questi zuc-
cheri fa sì che il glucosio che ne deriva venga rila-
sciato lentamente da parte del fegato; il loro indice
glicemico, dunque, risulta essere sensibilmente
inferiore a quello del glucosio.
Nell’interno delle cellule, la via metabolica per
convertire il glucosio in molecole più semplici
e per produrre energia sotto forma di adenosin-
trifosfato (ATP) è definita glicolisi, un processo
12
chimico che, attraverso vari passaggi, porta
alla trasformazione di ogni molecola di glucosio
in due molecole di acido piruvico.
Saccarosio
Il saccarosio è un disaccaride; esso, cioè, è formato
da due molecole, una di glucosio e una di fruttosio;
è lo zucchero che si consuma abitualmente a casa
o al bar e che di solito è chiamato semplicemente
zucchero o zucchero da cucina.
Nei paesi europei, il saccarosio viene estratto dalla
barbabietola e nel resto del mondo dalla canna da
zucchero. Ha un indice glicemico medio-alto (67).
Isomaltulosio
L’isomaltulosio è uno zucchero naturale, simile ma
meno dolce del saccarosio ed è tra i componenti del
miele e dello zucchero di canna. Come il saccarosio,
l’isomaltulosio è formato da una molecola di frutto-
sio e da una di glucosio; esse però sono legate
diversamente tra loro. Il legame dell’isomaltulosio è
più resistente all’azione digestiva: ne consegue un
assorbimento che è del 20-25% più lento rispetto al
saccarosio. L’isomaltulosio ha un indice glicemico
basso e un basso grado di osmolarità, rispetto al
glucosio e al fruttosio.
Come documentato da alcune ricerche scientifiche,
durante sforzi prolungati, l’isomaltulosio fornisce
energia per un tempo più prolungato e contribuisce
a far “bruciare” più grassi del saccarosio.
BIBLIOGRAFIA
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Wu C.L., Williams C. : A low glycemic index meal before exerciseimproves endurance running capacity in men. Int J Sport Nutr ExercMetab.16(5):510-27, 2006.
13
Gli obiettivi delle strategie nutrizionali da attuare
prima di ogni attività sportiva sono rivolti
a ottimizzare la disponibilità di carboidrati e
di riserve idriche.
L’ingestione di carboidrati 3-4 ore prima di uno
sforzo fisico può aumentare i depositi di glicogeno
epatico e muscolare ed è stata associata a un
miglioramento delle prestazioni nelle prove
di endurance. Va considerato, però, che un
aumento dei livelli plasmatici di insulina
in conseguenza all’assunzione di carboidrati,
specialmente ad alto indice glicemico, nell’ora
precedente l’inizio dell’attività inibisce la lipolisi
e l’immissione in circolo del glucosio da parte
del fegato.
Per quello che riguarda l’idratazione dell’organi-
smo, molti atleti hanno difficoltà ad arrivare
all’esercizio fisico avendo la giusta quantità
di acqua nel corpo.
L’APPORTO DI ENERGIA
La scelta di alimenti a basso indice glicemico
o, meglio, l’esclusione di alimenti ad alto indice
glicemico dai pasti immediatamente precedenti
la prestazione sportiva, può favorire l’ossida-
zione degli acidi grassi in corso di esercizio
fisico.
L’utilizzo di acidi grassi da parte dei muscoli,
a sua volta, sembra indurre il risparmio di gli-
cogeno che, quindi, risulta disponibile più a
lungo durante la prestazione sportiva, soste-
nendone la durata o permettendo eventual-
mente un’intensità più elevata nelle fasi finali.
Un uso controllato di carboidrati a basso indice
glicemico nelle ore precedenti la prestazione,
inoltre, può far sì che si riduca il rischio di ipo-
glicemia reattiva durante le prime fasi della
prestazione stessa.
All’origine di questi effetti c’è la modulazione
- 2 -Pre-sport: strategie nutrizionali
14
della produzione insulinica; essa è elevata con
gli alimenti ad alto indice glicemico e ha effetti
inibitori sul rilascio di acidi grassi liberi da
parte del tessuto adiposo, con la conseguente
carente disponibilità per il metabolismo ener-
getico dei muscoli. Sono ormai numerose, in
effetti, le evidenze sperimentali a favore dell’as-
sociazione tra impiego di carboidrati a basso
indice glicemico, maggiore concentrazione pla-
smatica di acidi grassi liberi e l’ossidazione
di una maggiore quantità di essi durante
l’esercizio fisico.
La strategia nutrizionale pre-gara basata sul
basso indice glicemico e sul contenimento della
produzione insulinica, in ogni caso, è utile soltanto
in quelle discipline sportive nelle quali si verifichi
un’effettiva tendenza all’esaurimento del glicogeno
muscolare e nelle quali l’intensità di esercizio sia,
almeno in alcune fasi della prova, compatibile con
l’utilizzo dei grassi a scopo energetico, quindi con
frequenze cardiache inferiori a quella della soglia
anaerobica.
Al di sopra di questi livelli, infatti, è ben nota la
rapida caduta dell’utilizzo dei lipidi a scopo ener-
getico, con sostanziale impossibilità di un consu-
mo alternativo a quello dei carboidrati e, in parti-
colare, del glicogeno.
LA LETTERATURA SCIENTIFICA
Sono numerosi i lavori scientifici che dimostrano
gli effettivi vantaggi dell’assunzione di pasti
o di carboidrati a basso indice glicemico prima
dell’attività sportiva quando lo sforzo è protratto.
Nello studio condotto dal Dipartimento di
Nutrizione dell’Università californiana di San
Josè (De Marco et al. 1999), i dati evidenziano
che un pasto assunto da 10 ciclisti ben allenati
30 minuti prima di un allenamento (2 ore al
70% del massimo consumo di ossigeno e
in seguito al 100% del massimo consumo
di ossigeno fino a esaurimento) può incidere
positivamente sulla massima prestazione rela-
tiva ad un impegno elevato. Al termine dell’in-
tenso esercizio, i livelli plasmatici di glucosio
sono risultati più alti e la valutazione della per-
cezione dello sforzo è risultata significativa-
mente più bassa nel caso del pasto a basso
indice glicemico a confronto con quello ad alto
indice glicemico. Da sottolineare che il tempo
di esaurimento era migliore del 59% dopo
il pasto a basso indice glicemico (206.5 ±43.5 s),
rispetto a quello ad alto indice glicemico
(129.5 ±22.8 s). La ricerca del Dipartimento di
Scienza dello Sport, Salute ed Esercizio
dell’Università Britannica di Hull (Moore et al.
15
2009) ha valutato gli effetti di alimenti a basso e
ad alto indice glicemico, consumati da 10 ciclisti
45 min prima di un allenamento di 40 km, sul
metabolismo e la successiva prestazione di
endurance. La composizione di entrambi i pasti
prevedeva 1 g di carboidrati per chilogrammo di
peso corporeo. Il tempo finale per completare il
percorso fu significativamente inferiore per il
gruppo che aveva assunto i carboidrati a basso
indice glicemico (93±8 min) rispetto a quelli con
alto indice glicemico (96±7 min). Anche il livello
di ossidazione dei carboidrati risultò più elevato
nel caso del pasto a basso indice glicemico nei
confronti di quello ad alto indice glicemico.
Un pasto a basso indice glicemico, quindi,
è in grado di aumentare la disponibilità e una
maggiore ossidazione dei carboidrati per tutto il
periodo e fino alla fine dell’attività e di mantenere
elevata la produzione di energia. I dati hanno evi-
denziato anche il miglioramento dei tempi delle
prestazioni.
PROTEINE PRIMA DELL’ATTIVITÀ FISICA
Un discorso differente è quello relativo a ciò che
è bene assumere prima di un allenamento per
il miglioramento della forza e/o della massa
muscolare.
L’aumento di dimensioni delle fibre muscolari è,
in genere, stimolato da un intenso allenamento
contro resistenza, associato alla disponibilità
di aminoacidi essenziali; tale fenomeno è la risul-
tante di due processi sempre e parallelamente
in atto: la sintesi proteica e la degradazione pro-
teica. Un bilancio fra i due processi tale da favorire
l’accrescimento della massa muscolare è possi-
bile solo se la velocità della sintesi proteica eccede
quella della degradazione proteica; i fattori
alimentari che supportano l’uno o l’altro processo,
inoltre, sono differenti. L’allenamento contro resi-
stenza, fra l’altro, determina la produzione di
ormoni con effetto anabolico, come l’IGF-1, e sti-
mola l’mTOR, una molecola che favorisce la sin-
tesi proteica. Un effetto sinergico è posseduto
dall’assunzione di aminoacidi, soprattutto con-
temporanea con l’attività fisica, dal momento che
anch’essi, agiscono su IGF-1 e mTOR.
Dal punto di vista nutrizionale, i due processi
di sintesi e di degradazione proteica sono entrambi
influenzati dalla concentrazione nel plasma
sanguigno di aminoacidi essenziali, mentre non
risentono della presenza di aminoacidi non
essenziali; i tempi con cui si verifica la disponi-
bilità di aminoacidi essenziali, tuttavia, è l’ele-
mento caratterizzante. La sintesi proteica, infatti,
viene stimolata da un’elevata presenza di amino-
16
acidi essenziali nel plasma, ovvero da un notevole
incremento della concentrazione in tempi brevi;
tale picco ha però effetti modesti nell’inibire
la degradazione (Boirie et al., 1997). Un modera-
to incremento protratto nel tempo, viceversa,
inibisce la degradazione proteica, ma non ha
alcun effetto sulla sintesi (Dangin et al., 2001). È
chiaro che in generale, in diversi momenti, sono
utili sia fonti di aminoacidi essenziali a rapido
assorbimento, sia fonti a lento rilascio.
L’insieme delle evidenze di alcune ricerche
scientifiche sull’assunzione di proteine prima
dell’attività fisica sembra suggerire che, al fine
di favorire al massimo la crescita muscolare in-
dotta dall’allenamento, sia utile assumere, im-
mediatamente prima dell’allenamento, un inte-
gratore che abbia contemporaneamente le
seguenti caratteristiche:
- sia ricco in aminoacidi essenziali;
- sia ricco in leucina;
- venga assorbito molto rapidamente.
Una ricerca condotta dall’Università del Texas
(Tipton et al., 2001) ha evidenziato che quando,
immediatamente prima di un allenamento
muscolare, si assumeva, assieme a dei carboi-
drati, una quantità relativamente modesta
(6 grammi) di aminaocidi essenziali puri, in forma
rapidamente assimilabile, si aveva un significati-
vo incremento della sintesi proteica rispetto a
quando la somministrazione avveniva immediata-
mente dopo il lavoro. Una possibile spiegazione
formulata dall’equipe di Tipton fu la seguente: l’au-
mento notevole del flusso sanguigno al muscolo
durante lo sforzo poteva provocare un tempora-
neo incremento della possibilità di utilizzare ami-
noacidi essenziali per la sintesi proteica, quando
tali aminoacidi fossero disponibili per le fibre
muscolari con il giusto timing. L’esperimento di
Tipton dimostrò che non conta solamente la com-
parsa degli aminoacidi nel flusso sanguigno, ma
anche le dinamiche di trasporto di aminoacidi
essenziali dal sangue al muscolo, dinamiche alte-
rate in modo transitorio e favorevole durante l’al-
lenamento.
COME È POSSIBILE OTTENERE FONTI
PROTEICHE CON UN TIMING COSÌ RAPIDO
Poiché il processo digestivo delle proteine porta
alla loro demolizione a cui segue l’assorbimento
dei “frammenti” generatisi, “idrolizzare” le pro-
teine ovvero “predigerire” le proteine con un pro-
cesso industriale che mima quello naturale, porta
ad ottenere fonti proteiche ad assimilazione più
rapida. L’assorbimento dovrebbe essere più rapido
17
somministrando aminoacidi liberi, ovvero l’equiva-
lente di proteine già completamente “fram-
mentate” nei singoli aminoacidi. Questo non ac-
cade, come documentato da alcune ricerche
scientifiche. Il processo naturale di digestione
di una proteina non arriva a totale completezza
e nell’intestino si trova di norma una miscela
di aminoacidi liberi, di dipeptidi e di tripeptidi (Silk
et al., 2008). Questi tre elementi possono essere
assorbiti tal quali, mentre peptidi di 4 o più amino-
acidi non possono attraversare l’epitelio intestinale
se non in condizioni molto particolari. La ricerca ha
dimostrato che miscele di tripeptidi, di peptidi
e di aminoacidi singoli vengono assorbite in modo
più efficiente rispetto a miscele di soli aminoacidi
liberi. (Silk et al., 2008 – Matthews, 1972).
GLI AMINOACIDI ESSENZIALI NON SONO TUTTI
UGUALI. IL RUOLO SPECIALE DELLA LEUCINA
Ogni aminoacido essenziale ha un ruolo nella
sintesi proteica nella misura in cui è un compo-
nente del muscolo umano; l’importanza della
leucina, tuttavia, va probabilmente oltre il suo
ruolo di “mattone” costitutivo della proteina
muscolare. Recenti studi sembrano dimostrare
come, accanto ad altri fattori, la leucina sia deter-
minante nell’“innescare” la sintesi proteica,
dando l’avvio, all’interno della cellula, ad un pro-
cesso biochimico che successivamente coinvolge
gli altri aminoacidi essenziali come “materiale da
costruzione”. La leucina sembra stimolare la sin-
tesi proteica, agendo sull’mTOR (Koopman et al.,
2008). In questo processo, in un certo senso, la
leucina può essere considerata non soltanto co-
me un “mattone”, ma anche e soprattutto il
“capomastro” (Garlick, 2005; Dreyer et al., 2008).
ASSUNZIONE DI NUTRIENTI PRE-ESECIZIO
Queste sono le principali considerazioni da tenere
presenti:
1. I depositi di glicogeno sono limitati e dipendono
in larga misura dallo stato nutrizionale, dall'in-
tensità e dal livello di allenamento dell’atleta.
I depositi endogeni di glicogeno durante attività
da moderata a elevata intensità (65 - 85%
Sintesi proteica muscolare
25
20
15
10
5
0
perc
entu
ale
%
prima
21
dopo
8
dopo 1 h
11
dopo 3 h
17
Figura 1 - Percentuali di sintesi proteica muscolare con assun-zione di 6 g di aminoacidi essenziali, assieme a 35 g di saccaro-sio sciolti in 500 ml di acqua, prima e dopo l’esercizio fisico.
18
del massimo consumo di ossigeno) possono
avere una durata variante da 90 a 180 minuti
(Tarnopolsky et al., 2005).
2. L’intensità, il ritmo e il volume dell’attività
si riducono in relazione alla diminuzione
dei livelli di glicogeno (Coyle et al., 1985).
La deplezione del glicogeno è associata
all’aumento del catabolismo del tessuto
muscolare e alla riduzione dell’attività del
sistema immunitario (Gleeson et al., 2004).
3. Quando si compiono allenamenti per aumentare
la forza e/o la massa muscolare, l’assunzione
prima dell’attività di soli aminoacidi essenziali
o di sole proteine aumenta la sintesi proteica
muscolare. L'ingestione pre-esercizio di pro-
teine e di carboidrati, inoltre, ha dimostrato
di produrre una quantità significativamente
maggiore di sintesi delle proteine muscolari
(Tipton et al., 2001).
4. L’assunzione regolare di varie fonti di proteine,
in combinazione con carboidrati stimola
un maggiore aumento della forza e agisce
positivamente sulla composizione corporea
rispetto alla sola assunzione di carboidrati
(Cribb et al., 2006).
GLOSSARIO
IGF-1: IGF significa insulin-like growth factor;
si tratta di un ormone con effetto anabolico.
mTOR: è l’acronimo di mammalian Target
Of Rapamycin (bersaglio nei mammiferi della
rapamicina); è un enzima attivato dall’allena-
mento e dagli aminoacidi, in particolare dalla
leucina.
Leucina: è un aminoacido essenziale, ossia che
deve essere necessariamente dato come tale
con gli alimenti; è uno dei tre aminoacidi a catena
ramificata, assieme all’isoleucina e alla valina.
19
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20
Le tre fonti energetiche utilizzabili dai muscoli
durante lo sforzo sono essenzialmente costituite:
(a) dal glicogeno, soprattutto da quello contenuto
nei muscoli stessi;
(b) dai grassi endogeni, quelli che arrivano per
via ematica dagli adipociti e quelli già presenti
nei muscoli;
(c) dai carboidrati esogeni, quelli assunti con
l’integrazione nel corso dello sforzo stesso.
Poiché in molte discipline sportive di media-
lunga durata (specie in quelle cicliche, ma anche
nei giochi di squadra) la prestazione peggiora
quando i depositi muscolari del glicogeno si svuo-
tano (Costill, 1971; Kustrup et al., 2006), è impor-
tante non soltanto iniziare l’attività fisica avendo
tanto glicogeno nei muscoli, ma anche massimiz-
zare l’utilizzo dei grassi endogeni e dei carboidrati
assunti nel corso dello sforzo.
COME RISPARMIARE GLICOGENO MUSCOLARE
L’utilizzo prima dello sforzo di carboidrati a diffe-
rente indice glicemico influenza l’utilizzo dei
grassi endogeni da parte dei muscoli nel corso
dell’impegno fisico che viene compiuto successi-
vamente. Se, infatti, prima dell’esercizio vengono
assunti carboidrati ad alto indice glicemico, non
soltanto si ha un sensibile aumento della glice-
mia, ma anche dell’insulinemia (Wu e Williams,
2006; Febbraio et al., 2000) e questo accelera il
consumo del glucosio ematico, favorendo l’ipogli-
cemia, ma soprattutto rende più difficile il consu-
mo di grassi da parte del muscoli. Se, al contra-
rio, l’attività fisica è preceduta dal consumo di
carboidrati a basso indice glicemico, succede che
nel corso di essa aumenta l’utilizzo dei grassi
- 3 -Alimentazione e integrazione
durante lo sport
21
endogeni e si determina, come conseguenza, il
risparmio di glicogeno muscolare (Mondazzi e Ar-
celli, 2009); questo è soprattutto importante nelle
fasi iniziali e quando l’intensità è inferiore a quel-
la della soglia anaerobica.
Nelle fasi ad alta intensità, invece, per poter avere
un risparmio del glicogeno – in particolare con
l’obiettivo, se si sta gareggiando, di poterne avere
a disposizione una certa quantità per il finale
della competizione - diventa invece importante
massimizzare l’utilizzo dei carboidrati assunti nel
corso dello sforzo. Al contrario di quello che suc-
cede a riposo, nel corso dello sforzo l’assunzione
di carboidrati non determina un aumento dei li-
velli di insulina nel sangue (Coyle et al., 1986;
Hargreaves et al., 1984; Jeukendrup, 2004). In
questo caso, dunque, non deriva alcuna influenza
negativa (in termini di utilizzo di grassi), dal fatto
di assumere carboidrati ad alto indice glicemico, i
quali, per le loro caratteristiche, vengono assor-
biti in tempi molto rapidi. Ciò è soprattutto van-
taggioso se si tiene conto del fatto che è stato
chiaramente dimostrato che, nel soggetto che sta
pedalando, la velocità di ossidazione dei carboi-
drati esogeni non dipende dai tempi di perma-
nenza nello stomaco, né dalla capacità dei mu-
scoli di estrarre i carboidrati dal sangue, ma è
principalmente limitata dall’assorbimento di essi
a livello intestinale (Jeukendrup e Jentjens,
2000). Si noti che sotto sforzo l’afflusso di sangue
all’intestino si riduce notevolmente e con esso la
capacità di assimilazione dei vari nutrienti, car-
boidrati compresi.
LA QUANTITÀ MASSIMA DI CARBOIDRATI CHE È
POSSIBILE CONSUMARE DURANTE LO SFORZO
Fra i carboidrati da assumere nel corso dello
sforzo, dunque, quelli ad alto indice glicemico
rappresentano la prima scelta; in questo senso,
vanno molto bene sia il glucosio, sia i polimeri
di esso, vale a dire le maltodestrine, che, con la
digestione, danno luogo a molecole di glucosio.
Secondo Jeukendrup (2008), l’assunzione di tali
carboidrati consente di ossidare, nel corso del-
l’attività fisica, fino a 1 g di carboidrati di origine
esogena per ogni minuto. Non si può andare oltre
tali livelli per il fatto che questa è, appunto, la
massima quantità di glucosio che può essere
assorbita; il trasporto di tale molecola attraverso
la parete intestinale, infatti, avviene grazie a spe-
cifici carriers (trasportatori) che, in pratica, arri-
vano a saturazione quando i carboidrati presi per
bocca raggiungono 1 g/min.
Ad ogni modo, si può sfruttare il fatto che l’assor-
bimento del fruttosio avviene attraverso un diffe-
rente carrier (Ferraris e Diamond, 1997).
22
Quando, infatti, il trasportatore del glucosio rag-
giunge la saturazione, quello del fruttosio può
essere ancora attivo e può lavorare parallela-
mente, permettendo l’assorbimento di una certa
quantità di tale monosaccaride, quantità che è un
po’ inferiore a quella che sa trasportare il carrier
del glucosio, ma che, in ogni caso, va a sommarsi a
quella. Se, perciò, si prendono contemporanea-
mente glucosio (o maltodestrine) e fruttosio è
possibile ottenere un’aumentata ossidazione di
carboidrati esogeni, addirittura fino a 1,75 g/min,
(Jeukendrup, 2008).
È però importante che siano scelte corretta-
mente le quantità e i rapporti di tali carboidrati.
Le dosi dei carboidrati assunti, infatti, devono
pareggiare (o, meglio, superare di poco) quelle
massime che possono essere assorbite;
se, infatti, permanessero nell’apparato digerente
elevate quantità di carboidrati, ne potrebbero
derivare disturbi gastrointestinali per l’atleta,
specie se si fa riferimento al fruttosio.
L’interpretazione della letteratura scientifica
(Jentjens e Jeukendrup, 2005; Jeukendrup,
2008), in pratica, suggerisce che l’apporto del
glucosio debba essere, come massimo, pari
a 1,2 g/min e quello del fruttosio di circa 0,9
g/min, per un totale, quindi, di 2,1 g/min
di carboidrati. Combinando opportunamente
fruttosio e glucosio (o maltodestrine) si può
arrivare ad un’ossidazione di carboidrati
di circa a 1,7 g/min.
Queste assunzioni di alti dosaggi di carboidrati
sono piuttosto impegnative, nel senso che impli-
cano la combinazione di bevande e/o di gel e/o
di sciroppi e/o di compresse.
Per quello che riguarda la scelta fra glucosio come
tale o come polimero (maltodestrine), ci sono vari
motivi per preferire le maltodestrine. Esse, innan-
zitutto, garantiscono una diminuzione della dolcezza
del prodotto, in genere non gradita dagli atleti
L’assorbimento dei carboidrati
intestino
Glucosio
pareteintestinale
sang
ue
Fruttosio
Figura 1 - Il passaggio di monosaccaridi attraverso la pareteintestinale avviene grazie a dei trasportatori (carrier); quelliper il glucosio (le cui molecole sono indicate sopra come piccoliesagoni) ne consentono il trasporto massimo di 1 g per min;il carrier del fruttosio (piccoli pentagoni, più sotto) è in gradodi trasportarne una quantità un po’ inferiore, ma tale quantità –andando a sommarsi a quella del glucosio – riesce a fare sì chenel sangue arrivino più zuccheri di quelli che arrivebbero conla sola assunzione di glucosio o di molecole (come le maltode-strine) che, con la digestione, danno luogo a glucosio.
23
quando di esso ne va assunta una notevole quantità
nel corso di una competizione di lunga durata;
se si usano le maltodestrine, inoltre, vi è - a parità
di peso e di apporto calorico - una diminuzione
della osmolarità della bevanda.
Va precisato, infine, che le ricerche che hanno fornito
questi dati sono state effettuate in soggetti che
pedalavano, in laboratorio (sul cicloergometro) o su
strada (su biciclette da corsa). La pratica suggeri-
sce che gli stessi quantitativi di carboidrati non pos-
sono certamente essere assunti da chi sta correndo.
Per i singoli corridori è indispensabile provare in
allenamento le quantità e le qualità dei prodotti che
possono essere tollerati nel corso dello sforzo.
CONCLUSIONI
Si può dire, in definitiva, che per risparmiare
il glicogeno muscolare e per fare sì che - per una
pari intensità dello sforzo sostenuta fino a quel
momento - se ne abbia a disposizione una quan-
tità maggiore alla fine della competizione,
è importante utilizzare carboidrati a basso indice
glicemico prima dello sforzo, in tal modo favo-
rendo il consumo dei grassi endogeni, specie
nella prima parte dell’attività fisica.
Durante l’impegno, poi, è bene scegliere la miscela
di carboidrati che garantisce lamassima ossidazione
dei carboidrati stessi da parte dei muscoli impe-
gnati nello sforzo. Le ricerche compiute negli ultimi
anni dimostrano per chi sta pedalando che:
• la quantità di carboidrati utilizzata dai muscoli
dipende sostanzialmente dalla quantità
di carboidrati assorbita a livello intestinale;
• assumendo glucosio o carboidrati che (come
le maltodestrine), dopo la digestione, forniscono
molecole di glucosio, i muscoli sono in grado
di ossidare comemassimo 1 g/min di carboidrati;
• sfruttando il fatto che, a livello intestinale, il traspor-
tatore del fruttosio è diverso da quello del glucosio,
assumendo - assieme al glucosio (o alle maltode-
strine) – anche fruttosio, si puòaumentare l’assorbi-
mento intestinale di carboidrati e, di conseguenza,
portare fino a 1,7 g/min la quantità che di essi può
essere utilizzata per ogniminuto daimuscoli;
• per avere il massimo vantaggio da tale punto
di vista, è bene che esista una certa proporzione
fra i carboidrati che vengono assunti; tenendo
anche conto delle capacità massime di assorbi-
mento di essi, è verosimile che le quantità ideali
siano di 0,9 g/min per il fruttosio e di 1,2 g/min
per il glucosio (o le maltodestrine);
24
• al fine di avere il massimo assorbimento inte-
stinale (e, di conseguenza, il massimo utilizzo
di carboidrati esogeni da parte dei muscoli),
senza d’altro lato avere disturbi gastrointesti-
nali, la quantità di carboidrati assunti per bocca
non dovrebbe eccedere i 2,1 g/min;
• le maltodestrine presentano alcuni vantaggi nei
confronti del glucosio per il fatto che sono meno
dolci e che garantiscono una minore osmolarità.
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25
Una corretta alimentazione può favorire il recu-
pero degli atleti?
Ci sono validi motivi per credere che in molti casi
possa essere così. Per prima cosa, però, va detto
che nello sport il termine “recupero” può avere
significati differenti (Tabella 1). Ci si può riferire,
per prima cosa, al ritorno verso i valori di riposo
della frequenza cardiaca subito dopo uno sforzo.
Si può anche usare il termine “recupero” facendo
riferimento al pagamento dei debiti di ossigeno.
Si pensi, in particolare, a quanto può succedere
durante l’attività fisica; si possono fare due
esempi:
• il caso di un corridore che stia compiendo
delle ripetute, come 8 volte 200 m. ad alta
intensità;
• il caso di un giocatore di calcio che compie,
durante la partita, alcuni sprint a breve
intervallo l’uno dall’altro.
In queste due situazioni l’atleta va incontro
ad un debito di ossigeno che è bene che venga
pagato al più presto e che ha due componenti:
(a) il debito di ossigeno alattacido; in questo
caso è importante che la fosfocreatina venga
risintetizzata il più presto possibile; (b) il debito
di ossigeno lattacido, nel quale è utile che
gli ioni La- e H+ siano allontanati il più veloce-
mente possibile dai muscoli e dal sangue.
Nei casi citati finora - quello del ritorno della
frequenza cardiaca verso i valori basali e quello
del pagamento dei debiti di ossigeno, nel loro
insieme costituenti quella che, secondo Zie -
genfuss et al. (2008), può essere chiamata fase
veloce del recupero – l’alimentazione, ad ogni
modo, non può rendere più rapido il recupero, a
meno che il soggetto presenti particolari caren-
ze; ciò che davvero conta è l’allenamento.
- 4 -Il recupero
26
Ma il termine “recupero” può fare riferimento
anche a processi che avvengono al termine di un
certo sforzo e che complessivamente rap-
presentano la fase lenta del recupero (Zie-
genfuss et al., 2008), come per esempio al riac-
quisto da parte del corpo dell’acqua e dei mine-
rali, al riempimento delle scorte di energia, alla
riparazione dei tessuti danneggiati e così via
(Tabella 1). È soprattutto importante che tale
recupero sia veloce se, dopo una competizione o
dopo un allenamento impegnativo, è previsto -
entro alcune ore o alcune decine di ore - un
nuovo impegno. Un recupero ottimale, infatti,
consente ad un atleta di presentarsi nelle miglio-
ri condizioni non soltanto ad una seduta di alle-
namento se ne ha già compiuta una il giorno pre-
cedente, ma anche ad una partita di calcio quan-
do il giocatore, dopo una partita, ne deve giocare
un’altra nel giro di due-tre giorni e persino in una
manifestazione del ciclismo come il Giro d’Italia
o il Tour de France quando c’è da compiere una
tappa ogni giorno. In tali casi il recupero può cer-
tamente essere reso più rapido grazie ad una
corretta alimentazione. Questo articolo riguar-
derà soprattutto il riempimento dei depositi di
glicogeno dell’organismo e la sintesi proteica
che pone rimedio alle microlesioni che, durante
l’attività, si determinano a livello muscolare.
Tabella 1I SIGNIFICATI DEL TERMINE “RECUPERO”
TIPO DI RECUPERO TEMPI DI RECUPERO IMPORTANZA(ordine di grandezza) DELL’ ALIMENTAZIONE
FASE VELOCE DEL RECUPERO• Ritorno verso i valori di riposo minuti nessuna importanzadella frequenza cardiaca
• Pagamento dei debiti minuti o decine nessuna importanzadi ossigeno (alattacido e lattacido) di minuti
FASE LENTA DEL RECUPERO• Riacquisto, al termine di uno ore o decine di ore fondamentalesforzo, dell’acqua, dei minerali,dell’energia; riparazionedei tessuti danneggiati….
27
RIEMPIMENTO DEI DEPOSITI DI GLICOGENO
In molte discipline (gran fondo di ciclismo,
maratona, partita di calcio...), la prestazione ri-
sulterà senza dubbio compromessa (Costill et
al., 1971) se già all’inizio si ha una scarsa quan-
tità di glicogeno nei depositi muscolari, in parti-
colare per avere sostenuto in precedenza un im-
pegno che ha portato alla sua deplezione. Una
dieta “normale” talvolta non consente di recupe-
rare il glicogeno neppure in 48 ore, mentre una
dieta che apporti una bassa quantità di carboi-
drati può richiedere anche più di 3-4 giorni
(Costill et al., 1971). Va tenuto presente che esi-
stono due stadi nel recupero del glicogeno da
parte delle fibre muscolari, il primo dei quali è
insulino-indipendente, mentre il secondo è insu-
lino-dipendente (Price et al., 1994).
Nelle decine di minuti immediatamente suc-
cessive all’attività (primo stadio) è più rapido il
riempimento di glicogeno delle fibre muscolari
che sono state impegnate, grazie al fatto che,
dopo l’esercizio, vi è una traslocazione alla super-
ficie di esse di una molecola che è indicata come
GLUT4 (Glucose Transporter Carrier Protein 4).
Il GLUT4 non soltanto consente – senza che nel
sangue ci siano livelli di insulina superiori alla
norma - il passaggio del glucosio dal sangue
all’interno della fibra, ma favorisce la sintesi del
glicogeno nella fibra stessa agendo su quello che
è l’enzima più importante nel favorire tale proces-
so, la glicogeno sintasi. Secondo Price et al.
(1994), questa elevata tendenza delle fibre musco-
lari ad assorbire glucosio e a sintetizzare glicoge-
no tende a perdere di efficacia già nelle decine di
minuti successive al termine dello sforzo; dopo
un’ora, infatti, essa è scesa ad un quinto, mentre
dopo due ore è scesa ad un nono.
Per quello che riguarda il tipo di carboidrato che
è bene che l’atleta assuma in questa fase,
va detto che oggi - a seconda di come vengono
digeriti ed assorbiti - gli alimenti apportatori di
carboidrati vengono suddivisi in quelli “ad alto
indice glicemico” e in quelli “a basso indice glice-
mico”. I primi sono quelli che, una volta assunti
per bocca, determinano un rapido innalzamento
della glicemia e, di conseguenza, dell’insuline-
mia. Sono ad alto indice glicemico i cibi ricchi in
amidi e poveri in fibre, per esempio il pane, il
riso, i dolci, le patate, i cereali della mattina, le
merendine, le bibite dolci (cole, aranciate, tè
pronti in bottiglia…) e così via. Si veda, in propo-
sito, l’articolo a pag. 6.
I cibi “a basso indice glicemico”, al contrario,
28
fanno sì che nel sangue siano poco accentuati
i livelli di innalzamento di glucosio e di insulina.
Sono a basso indice glicemico molti tipi di verdura
e la maggior parte dei tipi di frutta. Fra i carboi-
drati comunemente usati dagli atleti, hanno un
indice glicemico elevato il glucosio, le maltode-
strine e il saccarosio. Il fruttosio, invece, ha un
basso indice glicemico.
LE DUE FASI DEL RECUPERO DEL GLICOGENO
MUSCOLARE
Per quello che riguarda la prima fase del recu-
pero del glicogeno, in teoria, nel corso di essa
(per il fatto che è insulino-indipendente),
potrebbero essere utilizzati anche carboidrati
a basso indice glicemico poiché, soprattutto
grazie al GLUT4, le molecole di glucosio posso-
no entrare nelle fibre senza che ci sia la neces-
sità di elevati livelli di insulina. In pratica, però,
anche in questa fase è preferibile scegliere
quelli ad alto indice glicemico, grazie ai quali il
glucosio arriva più rapidamente nel sangue e
risulta così anticipata l’azione del GLUT4 nel
farlo entrare nelle fibre muscolari e nel favori-
re la sintesi del glicogeno.
Quanto alla seconda fase del recupero, in essa -
essendo ormai cessato lo stimolo costituito
dall’attività fisica - il GLUT4 non si trova
più alla superficie delle fibre muscolari e, al
fine del passaggio delle molecole di glucosio
nelle fibre stesse e della risintesi del glicogeno,
sono necessari alti livelli di insulina nel sangue
che favoriscono la traslocazione del GLUT4
alla superficie delle fibre e che si possono otte-
nere assumendo carboidrati ad alto indice gli-
cemico, come glucosio, maltodestrine o sacca-
rosio. La contemporanea assunzione di proteine
e/o di aminoacidi, in particolare di glutammina,
favorisce la sintesi del glicogeno (Zawadzki et
al., 1992; Ivy, 1998; Ivy et al., 2002; Berardi et
al., 2006), soprattutto quando l’apporto di car-
Il recupero del glicogeno muscolarepe
rcen
tual
e%
tempo (min)
85
2015 11
0
0
20
40
60
80
100
120
30 60 90 120
Figura 1 - La tendenza al recupero del glicogeno muscolareè soprattutto veloce nelle decine di minuti successivi all’attività(fase insulino-indipendente), grazie al fatto che alla superficiedelle fibre muscolari è presente una molecola denominataGLUT4. Poi tende via via a rallentare. Affinché avvenga la risintesidel glicogeno muscolare, però, è necessario che vengano assunticarboidrati. Da Price et al. (1994), modificata.
29
boidrati è inferiore ad 1,2 g per kg di peso cor-
poreo e per ora (Jentjens e Jeukendrup, 2003).
LA SINTESI PROTEICA DOPO L’ALLENAMENTO
Vari autori hanno dimostrato che dopo uno
sforzo muscolare intenso il recupero può esse-
re favorito e che si possono avvertire meno
disturbi muscolari (dolori ed indolenzimenti)
se, subito dopo lo sforzo, si assumono proteine
e/o certi specifici aminoacidi o molecole da essi
derivate. Per capire il motivo di ciò, va detto,
per prima cosa, che in ogni momento della
giornata le proteine del corpo umano vanno
continuamente incontro a break-down e a sin-
tesi (Phillips, 2004). I due processi avvengono
contemporaneamente, anche se – a seconda
dei momenti – può prevalere l’uno oppure l’al-
tro. L’alimentazione e l’allenamento hanno, da
tale punto di vista, una notevole importanza.
Nell’individuo sedentario il patrimonio proteico
del corpo rimane pressoché costante. Quando
egli è digiuno da varie ore, però, il break-down
tende a prevalere, mentre predomina la sintesi
nelle decine di minuti successive al momento
nel quale egli ha assunto proteine con gli ali-
menti (Phillips, 2004).
Quanto all’atleta, nel corso dell’allenamento
nei suoi muscoli prevale l’atteggiamento catabolico
e dunque il break-down (Adlercreutz, 1986);
si ha perciò una perdita di proteine. Dopo l’alle-
namento (subito dopo o a partire da qualche
tempo dopo il termine di esso), al contrario,
tende di solito a prevalere l’atteggiamento ana-
bolico e, dunque, la sintesi predomina sul
break-down (Adlercreutz, 1986; Gibala, 2007);
le proteine del corpo tendono così ad aumenta-
re, a patto, però, che ci sia la disponibilità della
materia prima necessaria per la sintesi, vale a
dire degli aminoacidi derivati dalla digestione
degli alimenti proteici (Tipton et al., 2004). È
utile, in ogni caso, che – proprio grazie ad un’ap-
propriata alimentazione - la sintesi proteica
(quella che pone rimedio alla demolizione pro-
teica che si è avuta durante l’allenamento e
quella che favorisce la produzione di nuovo
materiale proteico) venga favorita non appena
viene terminata un’attività fisica impegnativa.
Tra l’altro, secondo Phillips et al. (1997), dopo
ogni seduta di allenamento questa tendenza
alla sintesi proteica dura per alcune decine di
ore, ma è massima soltanto nelle tre ore suc-
cessive all’allenamento; è ridotta della metà già
dopo 24 ore, mentre scende ad un terzo dopo 48
ore (Chesley et al., 1992; MacDougall et al.,
1995; Phillps et al.,1997).
30
GLI AMINOACIDI A CATENA RAMIFICATA E LA
GLUTAMMINA
Oltre all’apporto di proteine, ad ogni modo,
è importante anche quello degli aminoacidi
a catena ramificata (Rasmussen et al., 2000;
Dreyer et al., 2008; Drummond et al. 2008).
Gli aminoacidi a catena ramificata sono tre
(leucina, valina, ed isoleucina) e sono “aminoaci-
di essenziali”, ossia hanno queste due caratteri-
stiche: il corpo non è in grado di sintetizzarli ed
essi sono indispensabili per il benessere, la
salute e la vita stessa degli individui. È necessa-
rio, dunque, che vengano assunti per bocca
come tali. Essi sono presenti in percentuale dif-
ferente nelle varie proteine alimentari. La carne
bovina, per esempio, è composta per il 20% da
proteine. Gli aminoacidi ramificati costituiscono
il 20% di queste proteine. 100 gr. di carne bovina
contengono quindi 4 gr. di aminoacidi ramificati.
L’integrazione con aminoacidi a catena ramifi-
cata è in grado negli atleti di ridurre l’eccesso di
ormoni catabolici e di far tornare più facilmente
alla norma, subito dopo l’allenamento, gli
ormoni anabolici (Carli et al., 1992).
Fra gli aminoacidi a catena ramificata, oggi
viene data molta importanza alla leucina;
essa, infatti, si è dimostrata capace di agire su
due molecole che favoriscono la sintesi proteica:
un enzima, la mTOR (mammalian Target Of
Rapamycin), e un ormone con effetto anabolico,
l’IGF-1 (Insulin-like Growth Factor) (Rasmussen
et al., 2000; Dreyer et al., 2008; Drummond et al.
2008). Si veda il glossario a pagina 18. Grazie a
ciò, la leucina è in grado di favorire il recupero
muscolare immediatamente dopo un esercizio
intenso. Secondo Rowbotton et al. (1996), le
competizioni e gli allenamenti impegnativi pos-
Sintesi proteica dopo lo sforzo
perc
entu
ale
%
tempo in ore (h)0
0
20
40
60
80
100
120
6 12 18 24 30 36 42 48
50
Figura 2 - Subito dopo l’allenamento o a partire da qualchetempo dopo di esso (a seconda che, dal punto di vista ormo-nale, si passi velocemente o meno da un atteggiamento cata-bolico ad uno anabolico), inizia la sintesi proteica per porrerimedio al break-down proteico che si è avuto duranteil lavoro e per iniziare la sintesi di nuove proteine. Questatendenza alla sintesi proteica – determinata dall’allenamento– si protrae per alcune decine di ore, ma già dopo 24 oreè pari al 50% di quella massima e dopo 48 ore è pari ad unterzo. Affinché la sintesi possa effettivamente verificarsi,però, é necessario che le fibre muscolari disponganodei “mattoni elementari”, vale a dire degli aminoacidi chederivano dalla digestione delle proteine.
31
sono ridurre la produzione da parte dell’organi-
smo di glutammina, un aminoacido che normal-
mente non è essenziale, ma che lo diventa pro-
prio in queste situazioni. La glutammina è parti-
colarmente utile ai tessuti in rapida crescita,
come l’epitelio intestinale e quello emopoietico.
Quando il suo livello nel sangue scende, il siste-
ma immunitario perde efficienza e può ridursi la
resistenza alle infezioni (Castell e Newsholme,
2001; Castell, 2003). Il calo di tale aminoacido,
inoltre, è considerato un indice biochimico di
sovrallenamento (Rowbotton et al., 1996).
CONCLUSIONI
Al fine della rapida risintesi del glicogeno
muscolare dopo un impegno che ha portato
alla sua deplezione, in definitiva, è utile assume-
re carboidrati ad alto indice glicemico e iniziare
a farlo il più precocemente possibile dopo il ter-
mine dello sforzo. Se contemporaneamente si
assumono proteine, il recupero del glicogeno è
favorito e, al tempo stesso, si aiuta la sintesi
proteica, in particolare si pone più rapidamente
rimedio agli effetti negativi determinati nei
muscoli dall’atteggiamento catabolico che si ha
nel corso dell’attività fisica. Gli aminoacidi a
catena ramificata, in particolare la leucina,
favoriscono la riparazione dei tessuti muscola-
ri subito dopo lo sforzo e la sintesi di nuove
proteine muscolari.
La glutammina, a sua volta, favorisce la sinte-
si del glicogeno, oltre ad allontanare il rischio
di infezioni e di sovrallenamento, due possibili
conseguenze degli sforzi intensi e ripetuti.
Tabella 2I FATTORI ALIMENTARI CHE ACCELERANO IL RECUPERODOPO UNA GARA O DOPO UN ALLENAMENTO INTENSO
RIACQUISTO DELL’ACQUA E DEI MINERALI bevande con minerali
RISINTESI DEL GLICOGENO carboidrati ad alto indice glicemico+ proteine o aminoacidi(glutammina in particolare)
RIPARAZIONE DEI TESSUTI DANNEGGIATI proteine + leucinaE SINTESI DI NUOVE PROTEINE
32
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33
LAVORO MUSCOLARE E TURN-OVER PROTEICO
L’ipertrofia, vale a dire l’aumento di dimensio-
ni delle fibre muscolari, è di norma la conse-
guenza di un allenamento intenso contro resi-
stenza (specie in palestra con macchine e bilan-
cieri), associato alla disponibilità di aminoacidi
essenziali (sono molecole essenziali quelle che
l’organismo non sa sintetizzare e che, dunque,
essendo indispensabili all’organismo stesso
per sintetizzare nuove molecole proteiche,
devono obbligatoriamente essere assunte gior-
nalmente con gli alimenti). Si tenga presente,
ad ogni modo, che nell’organismo c’è un conti-
nuo turn-over, vale a dire si svolgono due pro-
cessi sempre e parallelamente in atto: la
degradazione proteica (o break-down) e la sin-
tesi proteica. Le proteine del corpo, in parole
semplici, vengono continuamente degradate e
ricostruite; non tutti gli aminoacidi che deriva-
no dalla degradazione vengono recuperati e si
potrebbe dire che, di conseguenza, servono
“pezzi di ricambio”. Dal punto di vista quantita-
tivo, questo fattore è senz’altro più rilevante in
coloro che praticano sport ad elevato impegno
muscolare.
Un bilancio positivo fra i due processi, tale
cioè da favorire l’accrescimento della massa
muscolare, è possibile solo se la velocità della
sintesi proteica eccede quella della degradazio-
ne proteica; i fattori alimentari che supportano
l’uno o l’altro processo, inoltre, sono differenti.
Il lato comune è il fatto che, dal punto di vista
nutrizionale, questi processi sono entrambi
influenzati dalla concentrazione nel plasma
sanguigno di aminoacidi essenziali; il timing
della loro disponibilità è l’elemento caratteriz-
zante.
La sintesi proteica, in pratica, viene stimolata
- 5 -Sport e proteine
34
da un picco di aminoacidi essenziali nel plasma,
ovvero da un notevole incremento della concen-
trazione in tempi brevi; tale picco ha però effetti
modesti nell’inibire la degradazione.
Un moderato incremento di tale concentrazione
protratto nel tempo, viceversa, inibisce la
degradazione proteica, ma non ha alcun effetto
sulla sintesi. È chiaro che in generale, in diver-
si momenti, siano utili sia fonti di aminoacidi
essenziali a rapido assorbimento sia fonti a
lento rilascio.
TUTTE LE PROPRIETÀ DELLE PROTEINE
Un individuo attivo ha necessità nutrizionali
superiori a quelle di un sedentario. Per il maggior
dispendio energetico, infatti, aumentano le sue
richieste di macronutrienti; spesso, a causa del-
l’abbondante sudorazione, vi è anche un incre-
mentato bisogno di acqua e di minerali. Le neces-
sità proteiche, in particolare, sono aumentate.
Più proteine se si svolge attività fisica
La maggior richiesta di proteine è necessaria:
• per permettere l’aumento della massa mu-
scolare, aumento che si verifica particolar-
mente in certe fasi della preparazione;
• per via del fatto che negli sportivi (caratterizzati,
come sono solitamente, da una maggior
massa magra e da una minor massa grassa)
il contenuto di proteine nel corpo è maggiore
a parità di peso corporeo e che in loro il turn-
over proteico è aumentato;
• poiché, oltre ai carboidrati e ai grassi, le pro-
teine possono costituire una fonte di energia;
negli sport di resistenza esse coprono fino al
15% del fabbisogno energetico in attività di
durata superiore all’ora (Gibala, 1987; Paul,
1989).
I benefici legati all'assunzione di proteine
• aumento della sazietà - Il potere saziante
di un cibo è influenzato da numerosi fattori.
Tra questi ve ne sono alcuni prettamente sog-
gettivi, come l'aspetto e l'appetibilità, ed altri
oggettivi, come la composizione in macronu-
trienti (carboidrati, proteine, grassi), il volume
e il contenuto in acqua e fibra. Le proteine
generalmente aumentano la sazietà in misura
maggiore rispetto ai carboidrati o ai grassi,
grazie al fatto che determinano la produzione
di ormoni quali il CCK e il PYY, capaci di ritar-
dare l’insorgenza dell’appetito.
• aumento della termogenesi – le diete a ele-
vato apporto proteico sono associate ad un
incremento della termogenesi, che influenza
35
e aumenta la spesa energetica (in studi con-
dotti per lunghi periodi, l'aumento della ter-
mogenesi contribuisce alla relativamente
bassa efficienza energetica delle proteine).
L'energia spesa per i vari processi fisiologici
e metabolici legati alla digestione, all'assor-
bimento e all'elaborazione dei nutrienti intro-
dotti con la dieta, infatti, ammonta al 30% del-
l’apporto calorico fornito dalle proteine assun-
te con gli alimenti.
• mantenimento o accrescimento della massa
magra - in alcuni individui, una dieta modera-
tamente elevata in proteine può avere un’azione
stimolante sull’anabolismo muscolare, favoren-
do il mantenimento della massa magra musco-
lare e migliorando il profilo metabolico.
Tuttavia, gli eventuali potenziali vantaggi asso-
ciati a un moderato aumento dell’assunzione
di proteine devono essere valutati alla luce
dell’abituale dieta e delle individuali esigenze.
PROTEINE E AMINOACIDI:
LE NECESSITÀ PER LO SPORTIVO
Nell’individuo normale non in sovrappeso le proteine
corporee costituiscono quasi il 15% del peso
del corpo (arrivano quasi al 20% o più nell’atleta
muscoloso e con una percentuale di grasso molto
bassa) e sono componenti strutturali dei tessuti
(muscoli, organi interni, pelle, sangue...). I pro-
cessi che regolano il metabolismo organico sono
controllati da proteine (ormoni ed enzimi). Sono
sempre strutture proteiche gli anticorpi, le sen-
tinelle che neutralizzano gli attacchi di agenti
esterni.
Tutte le proteine ingerite devono essere dap-
prima digerite da specifici enzimi, chiamati
genericamente proteasi, che le spezzano nelle
loro parti costitutive, gli aminoacidi. Questi
ultimi vengono poi assorbiti attraverso le pare-
ti intestinali. In seguito, essi passano all'inter-
no dei vasi sanguigni e vengono trasportati dal
sangue al fegato, poi ai tessuti per creare,
sostituire e riparare le strutture dell'organi-
smo. Soprattutto in mancanza di grassi e di car-
boidrati disponibili, le proteine possono essere
utilizzate a scopo energetico.
Le proteine si trovano in forma immediatamente
disponibile in molti tipi di alimenti di origine
animale e vegetale (sono particolarmente
abbondanti nella carne, nelle uova, nel latte,
nella soia e nei legumi). Le molecole proteiche
sono costituite da una ventina di aminoacidi dif-
ferenti; di essi, come si è detto in precedenza,
sono definiti essenziali quelli che non possono
36
essere sintetizzati dall’organismo; essi sono
nove per gli adulti e dieci per i bambini: lisina,
triptofano, valina, istidina, leucina, isoleucina,
fenilalanina, treonina, metionina; per i bambini
anche arginina.
L’ANABOLISMO E IL CATABOLISMO MUSCOLARE
In un sedentario, la sintesi proteica muscolare
(o anabolismo) è in equilibrio con la degradazione.
Quando costui è a digiuno da varie ore, però,
la demolizione (o catabolismo) prevale e il suo
patrimonio in massa muscolare si riduce. La
situazione si inverte e il bilancio torna in parità
quando egli si alimenta con un pasto contenente
anche proteine (Phillips, 2004).
In chi compie d’abitudine allenamento per
la forza (contro resistenza) e si alimenta corret-
tamente, l’anabolismo prevale sul catabolismo
con conseguente aumento delle proteine
muscolari. Nel corso della singola seduta, però,
pur avvenendo sia la sintesi che la degradazio-
ne, quest’ultima è superiore; ciò succede so -
prat tutto nelle discipline di endurance (Gibala,
2007).
Al termine del lavoro fisico è la sintesi a preva-
lere sulla demolizione, a patto però che ci sia
disponibilità di aminoacidi per il muscolo.
L’allenamento contro resistenza, infatti, stimola
la sintesi delle proteine muscolari per lo meno
per due giorni; essa è massima nelle tre ore
successive all'esercizio, si dimezza dopo 24 ore,
ma – pur essendosi ridotta ad un terzo - é anco-
ra attiva dopo 48 ore (Chesley et al., 1992;
MacDougall et al., 1995; Phillips et al.,1997).
La sintesi proteica, in ogni caso, è maggiore sia
rispetto al solo esercizio senza la possibilità
di disporre di aminoacidi, sia alla sola disponibilità
di queste molecole senza l’attività contro
resistenza (Biolo et al., 1997; Tipton et al., 2004).
QUANDO ASSUMERE LE PROTEINE
Se l’obiettivo è quello di sfruttare al meglio questa
tendenza alla sintesi proteica derivata dall’alle-
namento, è un errore consumare una quantità
eccessiva di proteine in un unico pasto (Layman
2009), tenendo anche conto che l'assunzione
di molte proteine in un'unica soluzione ne riduce
l'assorbimento. Considerando che nell'organismo
non esistono depositi di aminoacidi, nel giro
di poche decine di minuti dal momento in cui essi
sono stati assimilati e, dunque, sono giunti
nel sangue, essi o sono utilizzati per sintetizzare
proteine, oppure vengono trasformati in altre
molecole. Se per parecchie ore non vengono
assunte proteine, per la verità, l’organismo
“smonta” quelle dei muscoli e utilizza gli aminoacidi
37
che ne derivano per sintetizzare enzimi, ormoni
e le altre proteine necessarie per vivere.
A rigore, dunque, un “serbatoio” di proteine esi-
ste. Esso, però, è costituito proprio dai muscoli e,
nel caso dell’atleta che abbia come obiettivo quel-
lo dell’aumento della massa muscolare, questo
costituisce senza dubbio uno svantaggio.
Se si vuole ricavare dalle sedute di allenamento
per la forza la produzione di proteine muscolari
che sia quella massima possibile e che, in parti-
colare, avvenga con continuità nelle decine
di ore successive alla seduta stessa, perciò,
è preferibile non concentrare l’assunzione protei-
ca in un solo o in soli due pasti.
In un articolo pubblicato sul numero di marzo 2009
della rivista “Nutrition and Metabolism” il prof.
Donald Layman dell’Università dell’Illinois ha evi-
denziato che, per il massimo stimolo della sintesi
proteica, un adulto deve assumere circa 90 g
di proteine in un giorno, distribuendole in uguali
quantità di circa 30 g per ogni pasto principale,
mentre oggi in genere la suddivisione non è uniforme,
essendo di circa 10 g di proteine a colazione, di circa 20
g a pranzo e di circa 60 g a cena, con evidenti problemi
sull’efficace utilizzo delle proteine. Fra l’altro nelle abi-
tudini alimentari italiane, il contenuto in proteine della
prima colazione molto spesso è nullo o quasi.
In chi segue i criteri dell’alimentazione zona,
le proteine possono essere distribuite secondo
25
15
15
5
0
20
primacolazione
spuntino spuntino cenapranzoprima spuntinopranzo cena
g di
pro
tein
e
assunzione proteica giornaliera: 90 grammi
spuntino
35
20
15
10
5
0
30
25
primacolazione
spuntino spuntino cenapranzoprimacolazione
pp spuntinopranzo cena
g di
pro
tein
e
assunzione proteica giornaliera: 120 grammi
spuntino
Figura 1 - Distribuzione consigliata delle proteine nei pasti della giornata (tre pasti principali e due spuntini; il primo dei due puòanche essere spostato la sera, prima di coricarsi) al fine di favorire al massimo la sintesi proteica. A sinistra è indicatala distribuzione delle proteine se l’assunzione giornaliera consigliata di proteine è di 90 g, a destra se è di 120 g. Un’elevata quantitàquotidiana di proteine va concordata con un medico sportivo.
38
quanto indicato nella figura 1; in chi ha una
massa magra notevole e si allena molto, ovvia-
mente, i quantitativi quotidiani di proteine posso-
no essere anche maggiori, ma comunque ben
distribuiti nei pasti principali e negli spuntini.
Altrettanto importante (o in misura maggiore)
è assumere proteine nel periodo immediatamente
precedente o in quello immediatamente successivo
alla seduta per la forza. La sintesi proteica è maggiore
(Biolo et al., 1997; Phillips et al., 1997), infatti,
se nel periodo che segue l’allenamento il muscolo
ha una buona disponibilità di aminoacidi; tra l’altro,
l’apporto di aminoacidi ai muscoli che hanno appena
lavorato può essere maggiore per il fatto che in essi
c’è un aumento della circolazione (Biolo et al.,
1997; Phillips et al., 1997).
Anche al fine della scelta del momento più cor-
retto per assumere le proteine, però, va tenuto
presente che, a seconda della loro origine, esse
hanno tempi differenti di digestione e di assorbi-
mento intestinale. Differente, di conseguenza, è
anche il momento in cui si verifica il picco ema-
tico degli aminoacidi che derivano dalla loro
assimilazione, nonché la durata della permanen-
za di essi nel sangue. Boirie et al. (1997), Dangin
et al. (2001), Lacroix et al. (2006) e Farnfield et al.
(2008), per esempio, hanno constatato che i livel-
li ematici degli aminoacidi nel sangue hanno un
picco circa due ore dopo l’assunzione delle proteine
del siero del latte (proteine “veloci”), salvo poi
avere una rapida discesa subito dopo e ritornare ai
livelli basali dopo tre ore; se viene assunta casei-
na (proteina “lenta”), invece, il picco massimo
(pari a circa la metà del picco delle proteine del
siero) é raggiunto dopo quattro ore e rimane
costante per lo meno fino alla settima ora.
LE PROTEINE DELLA SOIA PER LO SPORT
Si è soliti pensare che la capacità di favorire
lo sviluppo della muscolatura da parte delle
proteine della soia sia inferiore a quella delle
proteine del siero del latte. L’errore nasce dal
fatto che le proteine sono abitualmente classi-
ficate in funzione del valore biologico e non in
funzione alla reale capacità di stimolare la sin-
tesi proteica. Uno studio apparso di recente
(Kalman et al, 2007) sul Journal of the Inter -
national Society of Sports Nutrition, dimostra
che in due gruppi di soggetti che si erano sot-
toposti a 12 settimane di allenamento per lo
sviluppo della massa muscolare, non c’è alcu-
na differenza per quanto riguarda sia la com-
posizione corporea sia la quantità di testoste-
rone libero, fra coloro che avevano assunto 50
grammi di proteine della soia (Supro®) e coloro
39
che, invece, avevano assunto pari quantità di
proteine del siero del latte. Per valutare la qua-
lità delle proteine, si utilizza tradizionalmente il
metodo della Protein Efficiency Ratio (PER); esso,
però, riflette la richiesta di amminoacidi dei gio-
vani ratti in crescita e non quella degli organismi
umani. Il metodo considerato attualmente più
attendibile è, invece, quello denominato Protein
Digestibility-Corrected Amino Acid Score
(PDCAAS), un indicatore della qualità della pro-
teine basato su vari parametri, quali il contenuto
aminoacidico di una proteina alimentare, la dige-
ribilità e la capacità di fornire amminoacidi
essenziali nella quantità adeguata a soddisfare le
reali necessità dell’organismo umano. Secondo
questo metodo, le proteine isolate dalla soia
Supro® hanno ottenuto il massimo punteggio
totalizzabile (1.0), esattamente come le proteine
del siero del latte.
Numerosi studi hanno evidenziato che, ai fini
dell’aumento della massa muscolare, le proteine
isolate della soia hanno un’efficacia equivalente a
quelle del siero del latte (Kalman et al., 2007;
Candow et al., 2006). Dalle ricerche scientifiche
appare evidente che il consumo di miscele di pro-
teine “rapide” e “lente”, vale a dire con differenti
tempi di assimilazione, determina un incremento
maggiore della massa muscolare rispetto all’as-
sunzione di una singola proteina o di proteine che
hanno lo stesso tempo di digestione e di assimi-
lazione. Da sottolineare, inoltre, che le proteine
della soia sono ricche di arginina. Le ricerche
scientifiche hanno dimostrato che questo ami-
noacido ha effetti positivi sul rilascio dell’ormone
della crescita, sul sistema immunitario e sulla
risintesi del glicogeno dopo l’attività fisica nel
caso che l’apporto di carboidrati sia ridotto.
40
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41
Obiettivo di questo articolo è di esporre i motivi
per i quali è vantaggioso per gli atleti l’utilizzo
costante degli acidi grassi essenziali omega-3.
Da questo punto di vista, si può certamente fare
riferimento ad alcune ricerche scientifiche pub-
blicate negli ultimi anni.
In ogni caso, va premesso che, ai fini dell’otti-
mizzazione della performance sportiva, un ruolo
fondamentale viene svolto dagli ormoni. Gli
ormoni, infatti, fungono da agenti per il trasferi-
mento delle informazioni, ossia sono dei “mes-
saggeri” che tengono i contatti fra i vari organi.
Essi in ultima analisi controllano praticamente
ogni elemento che abbia una rilevanza ai fini
della prestazione atletica, per esempio ai fini
degli “aggiustamenti” che si verificano nel corso
dell’attività fisica per permettere che essa possa
svolgersi con la massima efficienza possibile,
oppure per quello che riguarda l’insieme degli
“adattamenti” che si verificano in seguito ad un
dato tipo di allenamento oppure di un altro.
Molti degli ormoni prodotti nel nostro corpo pos-
sono essere modulati dal regime alimentare, in
particolare dalla strategia alimentare zona e/o,
appunto, dall’assunzione di acidi grassi omega-
3 a catena lunga, come EPA e DHA.
GLI ACIDI GRASSI OMEGA-3 E L’INFIAMMAZIONE
Oggi gli atleti, per poter raggiungere le presta-
zioni di alto livello e per poterle mantenere, si
allenano molto. I maratoneti d’alto livello, per
esempio, compiono ogni giorno due sedute di
allenamento (o persino tre) e, complessivamen-
te, superano la media di 30 chilometri quotidia-
ni di corsa, ma in qualche caso anche di 40. A
lavori altrettanto impegnativi si sottopongono
ciclisti, triathleti, marciatori, sciatori di fondo,
ma anche atleti di varie altre discipline. Per loro
ciò implica un aumento del rischio di incorrere
in infortuni, soprattutto in quelli da microtraumi
ripetuti; la conseguenza è il riposo forzato per
periodi più o meno lunghi, con un’inevitabile
perdita di efficienza.
I fattori che legano l’elevato rischio di infortuni
all’aumentata quantità di allenamento sono rap-
presentati, secondo alcuni autori (Ekstrand e
- 6 -Omega 3 e sport
42
Gillquist, 1982; Lysens et al., 1984), dallo stress
eccessivo, in particolare al fatto che in tale
situazione vi è un sensibile aumento dei livelli
ematici di quello che è considerato l’ormone
dello stress, il cortisolo. L’eccesso di tale ormo-
ne, fra l’altro, comporta spesso un peggiora-
mento della performance.
Vi è, parallelamente, un’aumentata produzione
di ormoni ad attività proinfiammatoria. Secondo
Ostrowski et al. (1998), per esempio, l’esercizio
fisico intenso fa sì che il muscolo produca una
grande quantità di citochine proinfiammatorie.
Secondo Pedersen et al. (2000), i livelli di inter-
leuchina-6, un tipico eicosanoide proinfiamma-
torio, aumentano di ben 100 volte in seguito ad
una seduta impegnativa. Poiché il livello di inter-
leuchina-6 è correlato con il danno muscolare, si
può immaginare che cosa può succedere in un
atleta quando tale produzione di eicosanoidi
proinfiammatori si ripete per due (o tre) volte al
giorno e sono molto limitati i tempi per recupe-
rare tra un momento di “insulto” e il successivo.
Al tempo stesso, le sessioni di allenamento
intenso riducono la produzione di prostaglandi-
ne della serie 1, dotate di attività antinfiammato-
ria. Poiché sono l’entità della risposta proin-
fiammatoria e di quella antinfiammatoria a con-
dizionare la durata dei tempi di recupero dopo
una seduta di allenamento (o dopo una competi-
zione), si può dire che quanto maggiore è la pro-
duzione di ormoni proinfiammatori e quanto
minore è quella degli ormoni antinfiammatori,
tanto maggiore dovrà essere il tempo di recupe-
ro necessario all’atleta e tanto minore dovrà
essere il lavoro compiuto se egli vuole ridurre il
rischio di infortunio.
Al fine di diminuire questo stato infiammatorio
dell’organismo che cosa possono fare gli atleti?
È possibile ridurlo in maniera radicale seguendo
un’alimentazione anti-infiammatoria (come la
strategia alimentare zona), poiché ciò fa dimi-
nuire la formazione di acido arachidonico, vale a
dire dell’elemento che maggiormente stimola la
formazione di eicosanoidi proinfiammatori che
sono alla radice dell’infiammazione (Sears,
2005). Lo stato infiammatorio dell’organismo si
riduce ulteriormente proprio con un’integrazio-
ne adeguata di olio di pesce ricco di EPA e DHA
(Sears, 2005); tali acidi grassi omega-3 a lunga
catena, infatti, sono in grado, fra l’altro, di sosti-
tuire una parte delle molecole di acido arachido-
nico presenti nelle membrane cellulari e questa
è una premessa alla produzione sia di una mino-
re quantità di eicosanoidi proinfiammatori (come
l’interleuchina-6), sia di una maggior quantità di
43
prostaglandine della serie 1, dotate di effetto
antinfiammatorio (Bagga, 2003; Burns et al.,
2007; Grimble, 1998). Tutto questo, in pratica,
significa che l’integrazione con omega-3 può
essere considerata come un mezzo per ridurre il
rischio di infortuni soprattutto in chi compie
allenamenti intensi e ripetuti.
È stato anche ipotizzato che l’eccessiva produ-
zione di citochine possa essere la causa del
sovrallenamento (Smith, 2000), un’altra delle
conseguenze – anch’essa, come gli infortuni,
assai temuta dagli atleti – delle elevate quantità
di allenamento.
GLI ACIDI GRASSI OMEGA-3 E L’EFFICIENZA
DEL SISTEMANERVOSO CENTRALE
L’utilizzo abituale di acidi grassi omega-3 a cate-
na lunga si è dimostrato efficace anche nel
migliorare l’efficienza del sistema nervoso cen-
trale, in particolare per quello che riguarda
alcune caratteristiche (come i tempi di reazione
e il tono dell’umore) che possono essere molto
utili per la prestazione di atleti di varie discipli-
ne. Fontani et al. (2005b), per esempio, hanno
seguito due gruppi di soggetti sani in una ricer-
ca in doppio cieco; ad un gruppo è stata fornita
un’integrazione di omega-3, mentre all’altro è
stato dato un placebo (olio d’oliva). I soggetti
sono stati sottoposti a test che prevedevano dif-
ferenti tipi di attenzione; in alcuni di loro si otte-
nevano miglioramenti significativi dopo l’assun-
zione di omega-3. Risultavano ridotti i tempi di
reazione, in particolare quelli coinvolgenti i pro-
cessi corticali complessi, tanto importanti in
molti sport, a partire dai giochi di squadra (cal-
cio, basket, rugby, hockey…), dai giochi indivi-
duali (tennis…) e dagli sport di combattimento
(pugilato, karate, judo…). I test sui tempi di rea-
zione risultano ulteriormente migliorati se si
abbinano i policosanoli agli omega-3. Il tono del-
l’umore è stato altresì studiato da Fontani et al.
(2005a) mediante il test POMS (Profile Of Mood
POMS
35
40
45
50
55
60
65
Vigore Aggressività Tensioneansia
Stanchezza Depressione Confusione
Valo
rim
edi
Prima
Dopo
Figura 1 - Valori medi del test POMS (Profile Of Mood State, profilodello stato dell’umore); è evidente come, dopo l’assunzione diomega-3, si abbia unmiglioramento significativo del vigore, mentresi riducono i valori per le sensazioni negative, soprattutto per quellidell'aggressività, dell'ansia e della depressione (Fontani et al., 2005a).
44
State, ovvero profilo dello stato dell’umore). Da
questo test si ricavano valori, espressi numeri-
camente, di una sensazione positiva (vigore) e di
cinque sensazioni negative (aggressività, tensio-
ne-ansia, confusione, depressione, stanchezza).
Fontani et al. (2005a) hanno evidenziato come,
dopo l’assunzione di omega-3, si abbia un
miglioramento significativo del vigore, mentre si
riducono i valori per le sensazioni negative,
soprattutto per quelli dell'ansia, della depres-
sione e dell'aggressività. Si veda la Figura 1.
ALTRI POSSIBILI EFFETTI FAVOREVOLI PER LA
PRESTAZIONEDELL’ATLETA DALL’USODIOMEGA-3
Negli atleti esistono forse altri effetti favorevoli
determinati dall’integrazione con acidi grassi
omega-3 a catena lunga. Tali effetti, però, non
hanno avuto una conferma “sul campo”, per lo
meno negli atleti agonisti di un certo livello
(Tabella 1).
Secondo Sears (2005), per esempio, l’associa-
zione della strategia alimentare zona e dell’inte-
grazione con olio di pesce, ottimizzando la pro-
duzione di eicosanoidi, fa sì che si abbia un
aumento del diametro dei capillari e, quindi,
un’accelerazione del trasferimento di ossigeno
ai muscoli, in tal modo aumentando la produzio-
ne aerobica di ATP, la “benzina” dei muscoli.
Negli atleti d’alto livello delle discipline aerobi-
che, in realtà, non è ancora chiaro se gli indici di
utilizzo di ossigeno dopo l’assunzione di omega-
3 abbiano subito miglioramenti, forse perché in
questi atleti l’efficienza aerobica è già quella
massima possibile.
Un altro possibile effetto dell’integrazione con
omega-3 è rappresentato dall’aumento della
massa muscolare, così importante negli atleti
delle discipline nelle quali sono fondamentali la
forza e la potenza muscolare, non soltanto, dun-
que, nei lanci dell’atletica, nel sollevamento pesi
e nel body building, ma anche nelle prove di
velocità, di salto e così via. Nel corso delle sedu-
te di lavoro contro resistenza (quelle che vengo-
no effettuate proprio per aumentare la massa e
la forza dei muscoli), come è ben noto, si deter-
minano danni microscopici (microlesioni) che
costituiscono lo stimolo biologico per la sintesi
di nuove proteine, il fattore-base per il migliora-
mento di quelle caratteristiche muscolari. La
riduzione dell’infiammazione e il passaggio
dalla fase catabolica a quella anabolica che si ha
nella fase successiva all’allenamento è tanto più
precoce quanto minore è lo stato infiammatorio
dell’organismo. Il naturale processo di rilascio
in circolo di una buona quantità di fattori ormo-
nali con effetto anabolico (soprattutto del GH,
45
l’ormone della crescita) è sicuramente favorito
dall’utilizzo della strategia alimentare zona e,
forse, anche dall’utilizzo abituale di omega-3. In
tal modo può essere aiutata la sintesi proteica
dei muscoli. In questo caso, ad ogni modo, l’effi-
cacia sulla sintesi proteica sembra essere pos-
seduta più dalla strategia alimentare zona che
dagli acidi grassi omega-3.
L’abbinamento di zona ed omega-3 è senz’altro
molto utile anche ai fini del dimagrimento.
Esistono discipline sportive nelle quali gli atleti
sono suddivisi in base al proprio peso corporeo
(sollevamento pesi, pugilato ed altri sport di
combattimento, pesi leggeri del canottaggio….)
e nelle quali, dunque, può risultare determinan-
te diminuire la massa grassa, senza – al tempo
stesso – ridurre la massa muscolare. Anche
nella maggior parte degli altri sport (le eccezio-
ni sono pochissime, come il sumo o le categorie
con il peso più alto del sollevamento pesi e degli
sport di combattimento) un’eccessiva quantità di
grasso corporeo può pregiudicare i livelli di
performance. Si è dimostrato clinicamente che,
anche in questo caso, l’associazione della stra-
tegia alimentare zona e di omega-3 consente di
eliminare l’eccesso di grasso corporeo in manie-
ra più efficace rispetto alle diete solitamente rac-
comandate agli atleti.
CONCLUSIONI
L’integrazione con acidi grassi essenziali
omega-3 a catena lunga (EPA e DHA),
in definitiva, è sicuramente efficace nel dimi-
nuire lo stato infiammatorio dell’organismo, nel
migliorare lo stato dell’umore e l’attentività,
riducendo i tempi di reazione complessi.
È altresì possibile che ottengano anche altri
effetti che possono favorire la performance
atletica (si veda la Tabella 1).
Tabella 1GLI EFFETTI DELL’INTEGRAZIONE CON OMEGA 3 NEGLI ATLETI
EFFETTI DIMOSTRATIA. Effetti antinfiammatori: B. Effetti sul sistema nervoso centrale• minori rischi di infortuni; • miglioramento dell’attentività• tempi ridotti di recupero; e dei tempi di reazione complessi;• minori rischi di sovrallenamento. • miglioramento del tono dell’umore.
EFFETTI POSSIBILIC. Effetti sull’apporto di ossigeno ai muscoli. D. Effetti sulla massa muscolare. E. Effetti sul dimagrimento.
46
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