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Giornalino parrocchiale di Sondalo, Mondadizza, le preSe ......E-mail: [email protected]...

Date post: 25-Nov-2020
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GIORNALINO PARROCCHIALE DI SONDALO, MONDADIZZA, LE PRESE, FRONTALE N° 29 - DICEMBRE 2019 in nsie m e I ammino C
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Page 1: Giornalino parrocchiale di Sondalo, Mondadizza, le preSe ......E-mail: dongiacomofolini@gmail.com CollaboraTori Don Rocco Nesossi Cell. 338.3929928 - E-mail: rocconesossi@tiscali.it

Giornalino parrocchiale di Sondalo, Mondadizza, le preSe, FrontaleN° 29 - Dicembre 2019

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Per contattare la parrocchiaDon Giacomo FoliniTel. 0342.803228 - Cell. 339.5630579 E-mail: [email protected]

CollaboraToriDon Rocco NesossiCell. 338.3929928 - E-mail: [email protected] André GbenougaCell. 347.1876880 - E-mail: [email protected] Enzo CapitaniCell. 339.8192409 - E-mail: [email protected]

INSIEME IN CAMMINORegistrazione del Tribunale di Sondrio n°401/2012 del Registro Stampa

N° 29 - Dicembre 2019Trimestrale delle parrocchie S. Maria Maggiore di Sondalo S. Giovanni battista di MondadizzaS. Gottardo di le PreseS. lorenzo di Frontale

Direttore responsabile Roberta CerviDirettore editoriale don Giacomo FoliniCoordinatrice del gruppo di redazione Angela CastelliSTaMPa: Tipografia Polaris - Sondrio

Questo numero è stato stampato in 550 copie

Per comunicare con noi: [email protected]

ci stiamo avvicinando al Santo NatalePer i Cristiani, festa della Luce e non solo quella degli addobbi e degli sfavillanti esterni ed in-terni dei centri commer-ciali. Luce che ci aiuta a non aver paura a vedere nel buio della notte, ma anche Luce che fa av-vertire intorno e dentro di noi un autentico clima spirituale. in questo numero nata-lizio ospitiamo vari con-tributi sul Natale: spunti di riflessione offerti dal Papa, dai nostri sacer-doti, dai catechisti, leg-giamoli con attenzione come occasioni di ri-flessione per accendere la Luce che ci orienta nell’incertezza che ci circonda.

Siamo alle porte anche di un nuovo annoNon sappiamo cosa ci riservi il Signore per il 2020: quali circostanze liete, tristi o impegnati-ve dovremo affrontare. il vescovo oscar, lo scorso anno, nell’affidare a Ma-ria il cammino dell’an-no nuovo ci ricordava che la Madre di Gesù, in silenzio, cercava di comprendere, a poco a poco, il significato degli avvenimenti che succe-

devano intorno a lei… il figlio che giaceva nella mangiatoia era apparen-temente un bimbo come tutti i bambini del mon-do… e lei, una donna semplice, che cercava di vedere e capire il senso di quello che stava avve-nendo. Così forse dovremmo fare anche noi, in que-sto tempo della nostra vita: stare un po’ da soli, in silenzio, e cercare di capire e dare risposte, di fede, agli avvenimenti che ci succederanno.

Angela Castelli

ABBONAMENTO 2020 È possibile sottoscrivere l’abbonamento annuale a “Insieme in cammino” e ogni numero ti sarà recapitato direttamente a casa.• abboNaMENTo aNNuo € 18,00 (consegna a mano)• abboNaMENTo aNNuo € 30,00 (comprensivo di spese postali per resi-

denti fuori comune) IBAN IT 58W 05216 52260 000000008191

I sacerdoti invitano a rinnovare il sostegno all’iniziativa del Bollettino parroc-chiale sottoscrivendo o rinnovando l’abbonamento a “Insieme in cammino” per il 2020: è un modo per lasciar entrare nelle case questo importante stru-mento di comunicazione della nostra comunità pastorale.GrazIe alla redazione ed a tutti i suoi collaboratori per il tempo e per l’impegno profuso

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nsiemeIC 3amminoinnsiemeIC2 editoriale Sommario

1 Ci stiamo avvicinando al Santo Natale Siamo alle porte anche di un nuovo anno

editoriale2 il miracolo della

vita, che è amore, si rinnova nel Santo Natale

La voce del Papa4 Non venga mai

meno la bella tradizione del presepe

Avvento7 ogni giorno può

essere Natale8 insieme verso il

Natale

La voce del parroco10 Gesù è la nostra

luce

Visita vicariale12 “Camminate con i

piedi per terra e con il cuore abitate in cielo”

ministranti pronti al servizio13 una sorprendente

risposta

Festa per don Gianni14 60° di ordinazione

sacerdotale

Dalla comunità16 Saluto a don Filippo

Anno catechistico 2019/202018 il paradosso del

catechismo che va di corsa

esperienze20 ricordi

degli anni ’50/’60 - Dall’Adda

allo Zambesi - La nostra Africa - Saluti da Vipiteno

(Sterzing)

Attività economiche32 il distretto

farmaceutico valtellinese

L’intervista36 Cristian

da Mondadizza alla Svezia

il 1800 in Valtellina e a Sondalo40 Secolo di povertà,

alternanze politiche e speranza

contributi44 il benessere ci ha

portato ad essere un po’ egoisti: una riflessione sul Natale di oggi

Auguri speciali da Frontale45 al Natal … di maiôn

de Frontal

cantare… che passione! 46 Coro parrocchiale…

in trasferta a Trepalle

25 anni di bandainsieme48 Musica insieme, che

passione

Vita di comunità52 l’oraTorio…

PEr TuTTi!

52 Anagrafe: dal 1° settembre al 30 novembre 2019

calendario di cammino53 Celebrazioni del

Santo Natale53 appuntamenti di

inizio anno

il miracolo della vita, che è Amore, si rinnova nel Santo Natale

il primo momento del percorso dell’incarnazione è nella Natività quando Dio entra nella storia degli uomini attraverso Maria e il suo consenso. la nascita del Salvatore, evento di accoglienza e silenzio, aiuta a riscoprire il valore

trascendente di ogni vita umana e il valore della famiglia. Non è facile, ma ricordiamo che la venuta del figlio di Dio ha rinsaldato la relazione di Maria e Giuseppe rendendola aperta sia verso la volontà di Dio (per Maria dando il suo assenso all’annunzio dell’angelo e per Giuseppe obbedendo all’invito dell’angelo durante il sogno di prendere in sposa Maria) sia verso i doveri di cittadini appartenenti ad una istituzione (recarsi a Nazareth per assolvere all’ordine dell’imperatore di partecipare al censimento). Qualsiasi famiglia in crisi dovrebbe ricordarlo. Da allora ad oggi, innumerevoli i cambiamenti: dalla famiglia patriarcale, all’emancipazione femminile, alla famiglia nucleare. Non dimentichiamo che famiglia significa protezione. il pensiero del filosofo Aristotele descrive la famiglia come un nucleo di persone atto a garantire il proseguimento del genere umano. Questo concetto ha determinato notevoli influenze sull’umanità, soprattutto quella occidentale, la quale vede da sempre la famiglia tradizionale come un insieme di adulti di sesso opposto, capaci di procreare dei figli, considerati il completamento della famiglia stessa e la ga-ranzia per il futuro del genere umano. oggi il concetto si è allargato, ma sempre ruota attorno al vocabolo famiglia. Se si chiedesse di esprimere il concetto di famiglia ad un gruppo di bambini, questi sicuramente lo descriverebbero con un solo termine: amore, parola che va al di sopra di tutte le sfumature. ogni gruppo di persone conviventi unito dall’amore e dal rispetto reciproco e che curano i bisogni dell’altro garantiscono il mantenimento, l’educazione e la crescita dei figli, quando presenti, rappresenta a tutti gli effetti una famiglia. Ci aiutano a superare ogni dubbio o reticenza o identità, le parole di Papa Francesco, che torna a farci riflettere sull’amore. “La gioia vera viene da un’armonia profonda tra le persone, che fa sentire la bellezza di essere insieme, di sostenersi a vicenda nel cammino della vita. L’amore vero è una relazione, una realtà che cresce, che si costruisce come una casa, luogo di affetto, di aiuto, di speranza, di sostegno. La fa-miglia nasce da questo progetto d’amore”.

Roberta Cervi

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nsiemeIC 5 La voce del PapaLa voce del Papa

Non venga mai meno la bella tradizione del presepe

il primo dicembre, in concomitanza con la visita di papa Francesco a Greccio è stata pubblicata la lettera apostolica “Admirabile signum” sul significato e il valore di un segno che

“suscita sempre stupore e meraviglia”: il presepe.

Il presepe, atto di evangelizzazione da riscoprire “Rappresentare l’evento della nascita di Gesù - si legge nel testo - equivale ad annunciare il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio con semplicità e gioia”. “Mentre contempliamo la scena del Natale - scrive il Papa - siamo invitati a metterci spiritualmente in cammino, attratti dall’umiltà di Colui che si è fatto uomo per incontrare ogni uomo. E scopriamo che Egli ci ama a tal punto da unirsi a noi, perché anche noi possiamo unirci a Lui. Con questa Lettera vorrei sostenere la bella tradizione delle nostre famiglie, che nei giorni precedenti il Natale preparano il presepe. Come pure la consuetudine di allestirlo nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nelle piazze... È davvero un esercizio di fantasia creativa, che impiega i materiali più disparati per dare vita a piccoli capolavori di bellezza. Si impara da bambini: quan-do papà e mamma, insieme ai nonni, trasmettono questa gioiosa abitudine, che racchiude in sé una ricca spiritualità popolare.

Mi auguro che questa pratica non venga mai meno; anzi, spero che, là dove fosse caduta in disuso, possa essere riscoperta e rivitaliz-zata”.

San Francesco e il presepe vivente a Greccioil Papa, rievocando le origini della rappresen-tazione della nascita di Gesù, sottolinea l’etimo-logia latina della parola:

“praesepium”, cioè mangiatoia e cita Sant’agostino che osserva come Gesù, “adagiato in una mangiatoia, divenne nostro cibo”. E ricorda il presepe vivente voluto da San Francesco a Greccio nel Natale del 1223, che riempì di gioia tutti i presenti: “San France-sco, con la semplicità di quel segno, realizzò una grande opera di evangelizzazione. Il suo insegnamento è penetrato nel cuore dei cristiani e permane fino ai nostri giorni come una genuina forma per riproporre la bellezza della nostra fede con semplicità”.

Stupore e commozione per il Dio che si fa piccolo“Il presepe - scrive il Papa - suscita tanto stupore e ci commuo-ve” perché “manifesta la tenerezza di Dio” che “si abbassa alla nostra piccolezza”, si fa povero, invitandoci a seguirlo sulla via dell’umiltà per “incontrarlo e servirlo con misericordia nei fratelli e nelle sorelle più bisognosi”.

I segni del presepe: il cielo stellato nel silenzio della nottela lettera passa in rassegna i vari segni del presepe. innanzitutto il cielo stellato, nel buio e nel silenzio della notte: è la notte che a volte circonda la nostra vita. “Ebbene, anche in quei momenti - scrive il Papa - Dio non ci lascia soli, ma si fa presente” e “porta luce dove c’è il buio e rischiara quanti attraversano le tenebre della sofferenza”.

I paesaggi, gli angeli, la stella cometa, i poveriCi sono poi, spesso, i paesaggi fatti di rovine di case e palazzi antichi, “segno visibile dell’umanità decaduta” che Gesù è ve-nuto “a guarire e ricostruire”. Ci sono le montagne, i ruscelli, le pecore, a rappresentare tutto il creato che partecipa alla festa della venuta del Messia. Gli angeli e la stella cometa sono il segno che “noi pure siamo chiamati a metterci in cammino per raggiungere la grotta e adorare il Signore”. i pastori ci dicono che sono “i più umili e i più poveri che sanno accogliere l’avvenimento dell’Incarnazione”, così come le statuine dei mendicanti. “I poveri, anzi, sono i privilegiati di questo mistero e, spesso, coloro che maggiormente riescono a riconoscere la presenza di Dio in mezzo a noi” mentre il palazzo di Erode “è sullo sfondo, chiuso, sordo all’annuncio di gioia”. “Nascendo nel presepe - afferma France-sco - Dio stesso inizia l’unica vera rivoluzione che dà speranza e dignità ai diseredati, agli emarginati: la rivoluzione dell’amore, la rivoluzione della tenerezza”.

Dal fabbro al fornaio: la santità del quotidianoNel presepe vengono messe spesso statuine che sembrano non avere alcuna relazione con i racconti evangelici, a dirci – osser-

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nsiemeIC 7AvventoLa voce del Papa

va il Papa – che “in questo nuovo mondo inaugurato da Gesù c’è spazio per tut-to ciò che è umano e per ogni creatura. Dal pasto-re al fabbro, dal fornaio ai musicisti, dalle donne che portano le brocche d’ac-qua ai bambini che gioca-no”, a rappresentare “la santità quotidiana, la gioia di fare in modo straordina-rio le cose di tutti i giorni, quando Gesù condivide con noi la sua vita divina”.

Maria e Giuseppe: l’ab-bandono a Dio

Nella grotta ci sono Maria e Giuseppe. Maria è “la testimonianza di come abbandonarsi nella fede alla volontà di Dio”, così come Giuseppe, “il custode che non si stanca mai di proteggere la sua famiglia”.

Gesù Bambino: l’amore che cambia la storiaNella mangiatoia c’è il piccolo Gesù: Dio “è imprevedibile” - af-ferma il Papa – “fuori dai nostri schemi” e “si presenta così, in un bambino, per farsi accogliere tra le nostre braccia. Nella de-bolezza e nella fragilità nasconde la sua potenza che tutto crea e trasforma” con l’amore. “Il presepe ci fa vedere, ci fa toccare questo evento unico e straordinario che ha cambiato il corso della storia”.

I Magi: i lontani e la fedeinfine, l’ultimo segno. Quando si avvicina la festa dell’Epifania, si collocano nel presepe le tre statuine dei re Magi che “insegnano che si può partire da molto lontano per raggiungere Cristo”.

Dio vuole la felicità dell’uomo“Il presepe - conclude Papa Francesco - fa parte del dolce ed esigente processo di trasmissione della fede”: non è importante come si allestisce, “ciò che conta, è che esso parli alla nostra vita”, “il Dio che si è fatto bambino per dirci quanto è vicino ad ogni essere umano, in qualunque condizione si trovi” e a dirci che “in questo sta la felicità”.

Sintesi da “VAtiCAn newS”

Ogni giorno può essere Natale

Con l’avvento comincia per la Chiesa un nuovo anno liturgico che, attraverso l’ascolto della Pa-

rola di Dio, le varie celebrazioni e i riti ci aiuta ad entrare, ancora una volta e un po’ per volta, nel mistero infinito di Gesù Cristo, il Figlio di Dio che, per opera dello Spirito Santo, si è fatto uomo per distruggere le opere del diavolo (Cfr. 1 Gv. 3, 8.), redimere dal peccato l’intera umanità e svelarci l’amore del Dio uno e Trino.l’Avvento è un periodo forte di quat-tro settimane, (sei nel rito ambrosiano) che ci guida a stimolare in noi quell’at-teggiamento di attesa piena di gioia e riconoscenza per il ricordo di un evento che ha cambiato per sempre il corso della storia: la venuta, come la parola avvento vuole significare, del Figlio di Dio nella Persona di Gesù Cristo, nato dalla sempre beata Vergine Maria.Non solo, esso, specialmente nelle prime due settimane, ci invita ad una vigilante speranza nella preghiera, per l’ultima venuta di Gesù Cristo nella storia, quando egli ri-tornerà nella gloria per realizzare appieno il suo piano di salvezza e per separare per sempre, nel giudizio finale, le pecore dalle capre (Cfr. Mt 25, 31-46), il grano dalla zizzania,

i figli di Dio dai figli del diavolo (Cfr. Mt 13:37-43). Per questo motivo l’attesa ha anche un carattere penitenziale sim-boleggiato dal colore viola della casula che il sacerdote indossa durante le ce-lebrazioni eucaristiche. Tra queste due attese, cioè quella del ricordo del Santo Natale che festeggia-mo il 25 dicembre e dell’ultima, chiama-ta anche parusia, si colloca una venuta intermedia che raccorda quella passata e quella futura. Questa venuta interme-dia è quella che celebriamo nei sacra-menti, specialmente quello dell’Eucari-stia quando Gesù Cristo si fa presente realmente con tutta la sua realtà storica di nascita, passione, morte, risurrezione e parusia. Quindi ogni giorno, per chi lo vuole, può essere Natale. ogni giorno ci può essere l’incontro personale con Gesù Cristo, fuori e den-tro di noi e nel nostro cuore. Per chi vorrà incontrarsi con il Signore attraverso i sacramenti e la preghiera sicuramente egli donerà il perdono, la pace e la gioia che Gesù Cristo è ve-nuto a portare sulla terra. Questo cari lettori è l’augurio natalizio che faccio a ciascuno di voi e a tutti i vostri cari.

don Rocco

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nsiemeIC 9 AvventoAvvento

insieme verso il Natale

le vie del paese illuminate a festa, sulle finestre della scuola compaiono le figure di candidi cuori, anche le vetrine dei negozi si vestono di rosso e di stelle, e nelle nostre case si

respira il profumo di resina degli abeti luccicanti e del muschio raccolto nel bosco. Da ogni parte brillano i simboli di un Natale che si avvicina, con i suoi colori, i suoi odori e sapori, le sue liete melodie. anche noi abbiamo voluto rallegrare la nostra chiesa con i simboli dell’avvento e del Natale, ma lo abbiamo fatto cari-candoli del loro vero significato: aspettiamo Gesù, la vera luce, la vera gioia, il vero gusto e profumo della vita, come ci ha proposto l’itinerario di avvento.

un’immagine centrale: una CHIESA. Quattro candele che illumi-nano una corona: AVVENTOSiamo partiti da questi due elementi per presentare alla comunità il nostro itinerario di attesa.Cosa accomuna la CHiESa alla Corona dell’avvento? Cominciamo col dire che la corona dell’avvento è il simbolo, in progresso, dell’attesa di Gesù che arriverà a portare la luce. Essa è molto semplice nella sua fattura:• solitamente è intrecciata con rami verdi di abete, pianta sem-

preverde che richiama l’idea di una vita che non si spegne;• la sua forma circolare, come un anello nuziale, è segno

di fedeltà: Dio è fedele alle sue promesse; • le quattro candele, che si accendono una ogni domenica di avvento, sono il segno del Signore che si avvicina e della cre-scente gioia dell’uma-nità che lo attende.la corona, nella sua forma circolare, ci con-tiene tutti come in un abbraccio cosmico e racchiude il nostro esse-re CHIESA, con tutte le debolezze, imperfezioni,

disattenzioni e stanchezze. la candela, che bruciando si consuma, ci ricorda il nostro essere finito e fragile, ma la luce che promana dalla sua timida fiammella evoca speranza e rinascita, risveglio e cambiamento: mentre la cera si scioglie e la candela si abbassa, la sua fiamma tende invece coraggiosamente verso l’alto. Per questo, ogni candela che abbiamo acceso è stata doppia-mente evocativa: ci ricorda che non possiamo essere una chiesa stanca, abitudinaria, statica, chiusa e impaurita, ma che dobbia-mo incamminarci verso il Natale con energia, progettualità, dina-micità e coraggio: non abbiamo bisogno di altro! Con attenzio-ne, voglia di cambiamento, cuore grande e fiducia, sa-remo costruttori di comuni-tà vive e accoglienti, dove sapremo far risplendere la luce della fiamma e alimen-tare il calore del fuoco.

A.P.

NOI, una CHIESA...

una chiesa attenta e pronta ad ope-rare su se stessa

un esercizio di ristruttu-razione: questo sembra volerci dire la candela “con la pala” accesa l’8 dicembre, seconda do-menica d’avvento e festa dell’immacolata.Quale felice accosta-mento! la pala o il badile sono gli attrezzi utilizzati nell’edilizia e in agricol-tura: costruire, quindi, e rivoltare le zolle; ope-

rosità e rinnovamento. la chiesa è chiamata a progredire nel migliora-mento, come Maria, che con il suo sì, fu pronta ad accettare uno straordina-rio cambiamento in lei e si lasciò attraversare e abitare da Dio.il cambiamento, a sua volta, implica apertura e fiducia verso i progetti di Dio: una candela “con il cuore” e una candela “con Vangelo” illumi-nano la terza e la quar-

ta domenica d’avvento, indicandoci il cammino verso una luce ormai vicina! aprire il cuore e lasciar passare questa luce sono le condizio-ni necessarie perché si realizzi in noi la potenza del Vangelo: nasce il bambino, la chiesa è in festa, l’attesa si è fatta gioia, la gioia ci rimette in cammino, viaggiatori nella fede e annunciatori di lieta Novella!

Una catechista

IN C

AMBI

AMEN

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TENT

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APERTA A TUTTI

IN FESTA

DAL CUORE GRANDECHE SI FIDA DI DIO

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nsiemeIC 11La voce del parrocoLa voce del parroco

Gesù è la nostra Luce

Carissimi,iniziando l’anno pastorale ci era-vamo proposti di correre verso la

mèta, verso il premio che Dio ci chiama a ricevere in Cristo, ovvero la vita eterna, non in un modo affannoso e sconclu-sionato, ma con una volontà e un ritmo che ci sapranno portare lontano. ora, nel percorso dell’avvento in prepa-razione al Natale, ci stiamo lasciando guidare dal simbolo della luce per com-prendere insieme il significato dell’es-sere Chiesa, cioè essere comunità di fratelli.Ma, domandiamoci, in un tempo come il nostro, che cosa può rappresentare per noi il tema della luce. Siamo som-mersi da tante luci e l’ambiente che ci circonda ne è testimone: tante luci che sfavillano, luminarie sui balconi, nelle strade, ovunque, ma queste luci illumi-nano veramente il nostro cuore? Queste

luci ci dovrebbero portare a orientare il nostro sguardo a Gesù, la luce vera, il verbo di Dio, che viene nel mondo per illuminare tutta l’umanità.Nel prologo del vangelo di Giovanni che la liturgia ci fa proclamare nella messa del giorno di Natale leggiamo, in particolare, di una persona, Giovanni battista, che ha saputo indicare presen-te nel mondo la luce vera. Così recita il vangelo: «Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, per-ché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare te-stimonianza alla luce». Ecco, allora, chi è per noi la luce, è Gesù e, come Gio-vanni battista, dobbiamo essere capaci di indicarne la presenza nel mondo, a coloro che incontriamo nel corso della nostra vita: Gesù è presente, cammina con te e ti conduce per mano. la sua luce risplende in mezzo alle tenebre di questo mondo, in cui anche oggi non viene accolto. Non stupiamoci: spesso Gesù viene rifiutato e, forse, molte volte accade anche per noi che, con i nostri gesti e il nostro agire, non corrispon-diamo al suo amore.riconosciamoci, dunque, bisognosi di persone che, come Giovanni battista, sanno ammettere i propri limiti, sanno riconoscere il proprio ruolo come un servizio da svolgere in umile semplici-tà, diventando voci che indicano la via della salvezza e squarciano quel silen-zio assordante a cui spesso ci stiamo abituando.Non mi dilungo oltre e concludo questi brevi pensieri con una piccola storia che vuole anche essere il mio augurio per il Natale ormai alle porte. il Signore

Gesù, che è venuto nel mondo per libe-rarci dalla schiavitù del peccato e della morte, sia per noi la luce che orienta ogni passo della nostra vita, ogni nostro pen-siero, ogni nostra azione e ci aiuti ad es-sere strumenti di luce per i nostri fratelli.

La lucciola di nataleGiunsero alla capanna di Betlemme ad adorare il Bambin Gesù, insieme agli altri animali, anche gli insetti. Per non spa-ventare il piccolo restarono in gruppo sulla soglia. Ma Gesù, con un gesto delle manine, li chiamò ed essi si precipitaro-no, portando i loro doni. L’ape offrì il suo dolce miele, la farfalla la bellezza dei suoi colori, la formica un chicco di riso, il baco un filo di finissima seta. La vespa, non sapendo che cosa offrire, promise che non avrebbe più punto nessuno, la mosca si offrì di vegliare, senza ronzare, il sonno di Gesù.Solo un insetto piccolissimo non osò av-vicinarsi al bambino, non avendo nulla da offrire.Se ne stette timido sulla porta; eppure avrebbe tanto voluto dirgli il suo amore. Ma, mentre con il cuore grosso e la testa bassa stava per lasciare la capanna, udì una vocina: «E tu, piccolo insetto, per-ché non ti avvicini?». Era Gesù stesso che glielo domandava. Allora, commos-so l’insetto volò fino alla culla e si posò sulla manina del bambino.Era così emozionato per l’attenzione ri-cevuta, che gli occhi gli si colmarono di lacrime. Scivolando giù, una lacri-ma cadde proprio sul piccolo palmo di Gesù. «Grazie», sorrise il bambinello. «Questo è un regalo bellissimo». In quel momento un raggio di luna, che curio-sava dalla finestra, illuminò la lacrima.

«Ecco è diventata una goccia di luce!», disse Gesù sorridendo. «Da oggi por-terai sempre con te questo raggio lu-minoso. E ti chiamerai lucciola perché porterai con te la luce ovunque andrai».

Buon natale e buon cammino nella luce del Bambino di Betlemme!

don Giacomo

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nsiemeIC 13 Visita vicarialeministranti

pronti al servizio

“camminate con i piedi per terra e con il cuore abitate in cielo” Don Bosco

il Vicario foraneo ha il compito di una visita periodica alle Parroc-chie e, a partire dal 2019, questa sarà compiuta con periodicità triennale. la visita è innanzitutto un’occasione importante di

comunione, di dialogo, di condivisione delle esperienze, delle scelte e dei problemi dei presbiteri all’interno del vicariato: è anche un momento di raccordo per una migliore determinazione delle proposte diocesane alle esigenze e alla realtà delle singole parrocchie, delle comunità pastorali e dei diversi contesti di vita. È anche una verifica circa l’amministrazione dei beni e la tenuta dei registri parrocchiali, liturgici e amministrativi. il contesto di riferimento è il documento vescovile rilasciato alle Parrocchie dopo l’ultima visita pastorale del Vescovo Diego Coletti (31 gennaio 2015) e i vari strumenti periodicamente pubblicati dalla Curia.Per quanto riguarda la nostra Parrocchia la visita si è tenuta il 13 dicembre 2019 ad opera di don Gianluca Dei Cas, Vicario foraneo e Parroco di rogorbello, Vervio, Tovo, Sernio, Mazzo e lovero. all’incontro pomeridiano con i sacerdoti della Comunità Pastorale è seguita la celebrazione dei vespri solenni in San Francesco e quindi l’incontro con i fedeli.la visita ha previsto anche la compilazione di un ampio que-stionario sulla situazione delle parrocchie; sull’argomento si era tenuta in precedenza un’assemblea della comunità pastorale. le schede amministrative sono state redatte con la collaborazione dei membri dei Consigli per gli affari Economici.

Don Gianluca Dei Cas, vicario foraneo, celebra la S. Messa

nella chiesa di san Francesco nel

settembre 2018.

Coinvolgere i ragaz-zi nei giochi o in attività più impor-

tanti è sempre un piacere e una grande soddisfa-zione. Dalla Parrocchia di Sondalo esce un piccolo volantino a colori con una importante doman-da: Vuoi fare il CHieRi-CHettO per aiutare il tuo DOn?le adesioni sono piovute a sorpresa: ben 24 aspi-ranti! bello! bravi! Meraviglioso, anche perché in quella tipo di risposta sono stati coin-volti anche i loro genitori.Domenica 17 novembre si è svolto un solenne rito tutto per loro. Dopo la lettura del Vangelo, il parroco si congratula con i ragazzi, li ringra-

zia, li richiama a prende-re sul serio il bellissimo e importante servizio che offriranno all’altare, in chiesa. li invita ad es-sere come i discepoli di Gesù, a casa, a scuola, in chiesa e nei giochi. Vengono chiamati per nome per la consegna della veste. Mamme e nonne li aiutano ad in-dossarla: sono tuti gioiosi

e sorridenti e si guarda-no a vicenda mentre don Giacomo consegna loro il crocifisso. recitano poi la preghiera del chierichet-to e un battito di mani del fedeli sigilla il rito. Terminata l’Eucarestia, l’immancabile foto di gruppo. Si vede il parro-co molto contento e sod-disfatto che poi invita tutti al pranzo con i genitori. Così termina la festa ... in festa!.una mamma commenta ad alta voce: “Da quando il mio bam-bino si è impegnato a fare il chierichetto, è più buono”.Mi auguro che tutte le mamme possano dire così.

Sorelle della Misericordia (Pineta di Sortenna)

Una sorprendente risposta

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nsiemeIC 15Festa per don GianniFesta per don Gianni

60° di ordinazione sacerdotaleiO hO VOLUtO beNe A SONDALO e i SONDALiNi mi hANNO VOLUtO beNe

Venerdì 4 ottobre, festività di San Francesco, la comunità pastorale ha festeggiato i sessant’anni di ordinazione sacer-dotale di Gianni Sala Peup che è stato Parroco di Sondalo

per ben trentasette anni (dal 1974 al 2011). la celebrazione della Santa Messa si è tenuta nella chiesa di San Francesco che è stata consacrata al culto vent’anni fa ed è stata costruita proprio grazie alla tenace opera di don Gianni. oltre al clero della Comunità Pastorale hanno concelebrato al rito don remo Giorgetta, vicario al momento dell’ingresso di don Gianni in Parrocchia nel 1974 e i due preti giovani nativi di Sondalo, don alessandro Zubiani e don Elio Partesana. Nell’omelia don Gianni, visibilmente emozionato per il ritorno nella sua amata parrocchia, ha ringraziato il Signore per le gra-zie ricevute in tutti questi anni facendo riferimento alla pazienza del contadino del Vangelo verso il fico che tarda a dare frutti. Ha quindi esortato a vedere il giogo che tocca a tutti noi come una possibilità di lavorare insieme, con armonia e concordia. Durante i suoi trentasette anni di servizio religioso alla comunità di Sondalo

don Gianni ha dato prova di grande tenacia e dedizione alla sua missione: le attenzioni pastorali sono state rivolte a tutti, ma con speciale attenzione ai malati e agli anziani. la curiosità per la ricerca storica ed archivistica lo ha visto in-cessantemente impegnato nell’approfondimento delle tracce del passato. i suoi studi, pubblicati inizialmente sul bollettino parrocchiale Voce sondalese sono stati raccolti in alcune pubblicazioni. Schegge di storia sondali-na e soprattutto Le chiese di Sondalo sono i due volumi più importanti che forniscono una grande mole di informazioni di sicuro affidamento. la gratitudine dei Sondalini per il bene rice-vuto è stata espressa a don Gianni da un par-rocchiano con un breve discorso al termine della Santa messa e anche il Sindaco ilaria Peraldini ha portato il sentito saluto dell’am-ministrazione Comunale ricordando il conferi-mento della cittadinanza onoraria nel 2011 al caro sacerdote. la presenza di bandainsieme, che ha eseguito alcuni brani festosi al termine della celebrazione, e un curato e gustoso mo-mento conviviale in oratorio, aperto a tutta la comunità, hanno concluso la serata.

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Saluto a don Filippo

al termine della s. Messa di domenica 20 ottobre, celebrata da don Filippo Macchi, in partenza per la missione dioce-sana in Mozambico, la comunità gli ha consegnato in dono

simbolico un paio di sandali.

“Un pensiero per te, caro Don Filippo, che ti prepari ad andare in una terra lontana, lontano dalle tue radici, dai tuoi amici e compagni di vita ... Ti prepari a compiere un cammino che si-curamente irrobustirà la tua vocazione e ti aprirà orizzonti nuovi, muoverai i tuoi passi tra gente sconosciuta che, però, ne siamo

certi, sentirai da subito come “la tua gente”, perché la distanza è geo-grafica, è culturale, è linguistica, ma l’umanità, sappia-mo, non ha confini territoriali e il seme che ci accomuna tutti è in quel Cristo che andrai a rendere vivo tra i fratelli che ti accoglieranno presto in mezzo a loro.bruno, in rappresen-tanza del gruppo di mistagogia, gli ha ri-volto, a nome di tutta la nostra comunità, l’au-gurio di un cammino sereno e prospero nel-la fede e nell’amicizia fraterna, portando con te un pezzettino di noi, un dono che ti ricorderà sempre i passi che hai mosso qui, tra la nostra gente, che ti ha voluto bene e custodirà sem-pre nel cuore il ricordo di te. Calpesterai altri suoli, percorrerai altri sentieri e sarai pastore di un nuovo

gregge, ma il sole che vedrai ogni mattino levarsi e ogni sera tramontare, anche se più intenso, sarà il nostro: il Cristo, nostro Sole e nostra speranza.Buon cammino Don Filippo! E sarà un cammino più dolce, se calzerai i nostri sandali...I sandali: un oggetto semplice, ma biblicamente grande! La storia della Bibbia è una storia di spostamenti e migrazioni: Abramo che lascia la sua terra per una terra sconosciuta, Giacobbe che fugge e poi torna, l’esilio babilonese del popolo di Israele, Gesù che nasce a Betlemme e poi deve fuggire in Egitto. E la vicenda umana di Cristo, itinerante per la Galilea, si iscrive tutta in una dimensione missionaria e nella prospettiva del dono totale e to-talizzante: tutto comincia con una chiamata e con un mandato: «chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due […] E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali» solo l’indispensabile per camminare, perché il Vangelo non può fermarsi mai. L’unica sicurezza della missione saranno bastone e sandali, non mezzi economici, non certezze, non ripari dietro i quali nascondersi dalle difficoltà o dagli insuccessi. Così considerati, dunque, i sandali, ci raccontano la vocazione cristiana dell’andare verso il fratello per portargli un grande mes-saggio. Sono i simboli del cammino che ogni battezzato, seguen-do il paradigma di Cristo e dei suoi apostoli, deve compiere per annunciare il Vangelo in tutto il mondo. I sandali sono anche segno di povertà e di essenzialità: sono probabilmente le prime calzature inventate dall’uomo, che, fin dalla Preistoria, proteggeva i propri piedi con foglie e fibre ve-getali, e da queste rudimentali protezioni derivarono i primi cal-zari. Indossare i sandali significa dunque vivere dell’essenziale e sapersi affidare a chi si incontra sul proprio cammino e che ci dona accoglienza e ospitalità. e questa è l’essenza della vita cristiana: camminare in Gesù, verso Gesù, con Gesù e per Gesù.

DON LUciANO LANFrANchi è tOrNAtO ALLA cASA DeL PADre

Mentre il giornalino è ormai pronto per la stampa giunge no-tizia della morte, a Morbegno, di don luciano lanfranchi che è stato parroco a le Prese dal 1976 al 1990. Nello stesso periodo ha prestato servizio a Mondadizza. lo ricorderemo sul prossimo numero.

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nsiemeIC 19Anno catechistico

2019/2020Anno catechistico 2019/2020

il paradosso del catechismo che va di corsa

in questa strana avventura che è la vita, ci troviamo spesso in situazioni paradossali, talvolta solo apparentemente inspiega-bili, ma il paradosso è una macchina per pensare e, in quanto

tale, mi costringe a fare un ragionamento intorno al paradossale senso dell’invito a correre, promosso dal percorso di catechismo appena inaugurato sotto l’egida del testo paolino:

Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla (Phil. 3, 12)

Perché paradossale? apparentemente inspiegabile? Non è forse già la nostra vita tutta una corsa? Si pensi ai modi di dire con i quali usualmente ci congediamo da amici o da persone mole-ste: vado di corsa, sono di fretta; simili sono le formule alle quali ricorriamo per dire che abbiamo tanti impegni ed è faticoso star dietro a tutto: si corre dalla mattina alla sera, la mia giornata è una continua corsa tra lavoro, casa, figli; non ho neanche il tempo di prendere respiro, corro sempre di qua e di là. E non si può dire che non sia vero: anche il tempo corre, anzi, come dicevano gli antichi, tempus fugit! E noi a tentare di tenere il passo.

Ebbene, l’imperativo del neo-avviato percorso di cate-

chismo (e si badi come, curiosamente, lo stesso termine percorso contenga

l’idea della corsa) ci incalza tuonando: Ora corri! Ecco il

paradosso: corre la vita, corro-no le ore, corrono i giorni e corrono

gli anni a questo punto, mi aspetterei, come spesso peraltro viene da più parti ri-

cordato, un invito alla calma; tirare il freno, pren-dersi del tempo per sé, gustare quell’ozio fecondo

che è lo spazio della riflessione, del pensiero, della contempla-zione, del lasciar sedimentare

in noi il precipitato delle nostre giorna-te. Eppure, ci deve essere una spie-gazione, perché il messaggio evan-gelico non è mai contraddittorio e non lo è nemme-no il neotesta-mentario passo dell’apostolo che sorregge il nostro percorso:

Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! […] Io corro, ma non come chi non ha méta (1Cor. 9,24 ss)

non come chi non ha méta! Eccola, la chiave di volta che tiene in equilibrio tutto il ragionamento e porta finalmente allo sciogli-mento del paradosso iniziale: Paolo si rivela un atleta della fede, come un podista che deve domare il suo corpo in vista delle gare, temperante in tutto (1Cor. 9,5), proteso alla vittoria. Non si tratta dunque di una corsa caotica e incerta tra le numerose attività che ingarbugliano le nostre giornate, ma è l’allenamento rigoroso e costante dell’atleta che disciplina se stesso, con il sacrificio e la perseveranza, sfiorando i limiti del dolore e dello sfinimento: io tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù (1Cor. 9,27). Ora corri! risuona come lo sparo della pistola ai blocchi di par-tenza: ora! subito, senza indugio, cogliendo l’attimo, quell’istante che potrebbe essere determinante per la vittoria; l’atleta è pronto a cogliere l’istante, i muscoli in tensione si lanciano nella corsa, il corpo è un proiettile che arriva al traguardo. l’atleta è ciascuno di noi, impegnati nelle proprie missioni, catechisti e ragazzi, genitori e figli, sacerdoti e fedeli, maestri e discepoli che si allenano nello stadio privilegiato delle nostre comunità, luoghi eletti della ricerca e dell’incontro con lui, il traguardo e il premio incorruttibile che non ci vede l’uno avversario dell’altro, ma ciascuno stretto all’altro in un’alleanza che ci guadagnerà il trofeo della vittoria.

Una catechista

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ricordi degli anni ’50/’60

i tre articoli presentati nella rubrica “espe-rienze” rivisitano, con

testimonianze sondaline, il periodo storico degli anni 1950/60. la mano

d’opera edile af-folla i cantieri idro-elettrici: alla loro chiusura le grandi imprese dell’epo-ca si trasferiscono in tutto il mondo. l’impresa lodigiani lascia Cancano per realizzare l’enorme diga di Kariba sul fiume Zambesi: ne dà testimonianza il racconto di Piero Co-mensoli. Con il 1960 finisce il protettorato italiano sulla Somalia, ma mol-

ti italiani vi trovano an-cora occasioni di lavo-ro: è il caso di ippolito rastelli, perito agrario in un grande bananeto. infine un libro recente fa rivivere la non sem-plice “naia” di molti giovani valtellinesi di quegli anni nelle con-traddizioni dell’alto adige.

Dall’Adda allo ZambesiteStimONiANzA Di UN’imPreSA itALiANAIntervista a Pierino Comensoli a cura di Monica Cavazzi

Perché sei andato in Africa?il lavoro alla diga di Cancano stava finendo, la ditta per cui lavo-ravo, la lodigiani cercava operai per il cantiere africano per la costruzione della diga di Kariba e io avevo voglia di cambiare. Era il 1956.

Raccontaci qualcosa di questa diga…la diga di Kariba è una delle dighe più grandi al mondo alta 128 m e con un’arcata di 580 m; si trova in corrispondenza dell’omo-nima gola sul fiume Zambesi che fa da confine tra Zimbabwe e Zambia in africa meridionale. Nel 1955 gli inglesi, che lì comandavano ancora, avevano inizia-to la costruzione della diga, ma non riuscivano a far procedere i lavori perché, quando il fiume era in piena, portava via tutto quello che gli operai avevano costruito. Così una cordata di tre ditte italiane: lodigiani, Girola e Torno portarono in africa 1000 operai italiani e con circa 7000 indigeni, in 4 anni, riuscirono nell’impresa in cui gli inglesi avevano fallito. bisogna dire che il fiume Zambesi normalmente non è più grande del nostro Po, però quando sopraggiungeva una nuvola, era meglio mettersi al riparo di corsa perché iniziava a piovere fortissimo e il fiume iniziava ad aumentare la sua portata fino a raggiungere, in poco tempo, i 25 m d’altezza. ad esempio per evitare che le ondate portassero, a valle i mezzi da lavo-ro venivano legati con corde metalliche.

Quindi il clima africa-no era molto umido e piovoso?No, assolutamente; il clima era perfetto, era sempre estate e non era per niente umido, né di giorno né di notte, piove-va raramente, ma quando sopraggiungeva una nu-vola si scatenava l’inferno!

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1000 operai Italiani, c’erano anche altri Sondalini?il cantiere era enorme, c’erano 4 accampamenti con cucine e baracche, si lavorava ininterrottamente sia di giorno che di notte. il cantiere era diviso in chi lavorava alla costruzione della diga, chi alla costruzione della centrale idroelettrica tutta sotterranea in galleria e naturalmente chi era impegnato nella preparazione dei materiali. Dovete capire che non è facile incontrarsi, se non ci si trova nello stesso accampamento e con lo stesso turno di lavoro! Comunque di Valtellinesi ce n’erano veramente tanti, di le Prese solo io, alcuni di Frontale, di Grailé, Mondadizza e an-che sondalini, bettegacci, Carnevali e Simonelli sono solo alcuni nomi che mi ricordo. io facevo il carpentiere, mi occupavo della costruzione delle armature e dei ponteggi per la diga, la maggior parte dei miei conterranei erano minatori.

Com’era fatto un accampamento?in ogni accampamento c’era un cucina con la sala mensa, intorno c’erano i dormitori, spazi ricreativi e la chiesa. appena giunto a Kariba dormivo in una baracca di lamiera, era come dormire in un forno! Poi mi hanno trasferito nell’accampamento che si trovava in alto rispetto al cantiere, come trovarsi in Ceresé: il dormitorio erano vere e proprie costruzioni di due piani, con 10 stanze da tre persone ogni piano, c’era pure una piscina.

Qualche ricordo della vita in accampamento?il prete amava suonare le campane spesso durante il giorno, però lavorando anche di notte c’era sempre qualcuno che aveva biso-

gno di dormire, ma il prete imperterrito continuava a suonare le campane finché un giorno … è spa-rito il ”batài”! Posso raccontarvi che gli scarti della cucina venivano gettati in un canale lungo il pendio: venivano le scimmie a banchet-tare, il problema era che dovevi tenere ben chiuse porte e finestre se non volevi che le scimmie en-trassero a rubare tutto quello che trovavano.

Quali animali hai vi-sto là per la prima volta?beh, molti direi, visto che praticamente eravamo dentro a una riserva naturale. un giorno ci siamo fatti accompagnare dalle guardie a vi-sitare il parco. ab-biamo caricato le jeep sui barconi e poi siamo sbarcati sulla riva opposta dove sonnecchia-vano i leoni; ab-biamo visto gli ele-fanti, gli ippopotami, i bufali, le antilopi e dei serpenti enormi, è stato bellissimo!

Animali dentro al cantiere?Dentro, per fortuna no, però dalla sommità della diga si vedevano i coccodrilli spiaggiati a scaldarsi in riva al fiume, chi è caduto giù non è più stato trovato! Di notte intorno al cantiere si mettevano a cerchio i mezzi pesanti come barriera e si accendevano in mezzo grandi falò; sentivi i versi degli animali e vedevi i loro occhi illumi-narsi nell’oscurità, ti passava la voglia di fare un giretto al buio!

Lavoravate con gli Inglesi?No, lavoravamo per loro. Gli inglesi erano i mandanti e quindi controllavano che rispettassimo i tempi di esecuzione dei lavo-ri, facevano ispezioni ovunque per paura che noi italiani li fre-gassimo. Nella costruzione della diga in calcestruzzo venivano lasciati dei fori di forma conica per drenare l’acqua, poi quando ti innalzavi con il muro, i fori sottostanti venivano chiusi con un metodo particolare, attaccate ai blondin, che erano gli stessi usati a Cancano, pendeva una palla di cemento rivestita di sacchi e catrame, veniva fatta oscillare e con un colpo molto forte si in-seriva nel buco, si rompeva la parte di rivestimento che andava a tappare il buco. Gli inglesi volevano sapere come riuscissimo a chiudere questi buchi e un giorno si sono appostati con le macchine fotografiche. Quel giorno i blondin non funzionavano, la corda era troppo corta o la palla non oscillava come doveva.

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Quando gli inglesi se ne sono andati, in quattro e quattr’otto i buchi sono stati chiusi!

Invece lavoravano con voi gli abitanti del posto..Sì, per lo più erano manovalanza. Qualche volta di notte ti chie-devano di poter andare al gabinetto, ma invece partivano con un pezzo di corda, gli attaccavano dei rampini e la usavano a mo’ di canna da pesca, giù in acqua e su piena di pesci, che al mattino si caricavano in spalla e portavano a casa. in cantiere eri obbligato a mettere gli scarponi: i neri erano abituati a cammi-nare scalzi, sembrava che camminassero sulle uova. Sulle scale però con gli scarponi non ci riuscivano proprio a salire quindi li toglievano, legavano insieme le stringhe e li mettevano a spalla. all’ora del pranzo loro non venivano in mensa, ma mangiavano in cantiere: venivano messi in fila indiana e poi veniva loro servita una specie di polenta molle con fagioli e altre verdure, chi aveva una sua scodella era fortunato, gli altri dovevano lavare il badile e usare quello come piatto altrimenti il mangiare glielo mettevano in mano. alla sera veniva dato anche il pane, ma solo a quei neri che avevano segnate tutte le ore lavorative sul cartellino.

Tu hai sempre lavorato alla diga?Sì, io ho sempre lavorato alla diga; solo un giorno sono andato allo scavo della centrale idroelettrica perché era avvenuto un crollo dentro a una galleria e una squadra di minatori era rima-sta intrappolata. io ho aiutato a trivellare i sassi caduti per poter infilare un tubo che arrivasse agli intrappolati e portasse loro aria e bottiglie di coca cola. intanto da una parte, dove c’era il tubo dell’aria, i bianchi hanno iniziato a scavare seguendo la galleria crollata e dall’altra parte i neri hanno iniziato a scavare in una galleria parallela per collegarsi a quella crollata. Ci sono voluti 3 giorni di scavi ininterrotti per liberare i minatori.

Quanto hai lavorato alla diga di Kariba?Tre anni, me ne sono andato nell’agosto del 1959, poco prima che la diga fosse inaugurata, proprio dalla regina Elisabetta ii d’inghilterra.

È stata la tua unica esperienza africana?No, nel 1962 sono ritornato in africa occidentale, in Ghana, dove stavano costruendo la diga di akosombo e la relativa centrale idroelettrica esterna sul fiume Volta.

Raccontaci qualcosa della diga di AkosomboQuesta diga è stata costruita dalla ditta italiana impregilo: è uno sbarramento in materiali sciolti lungo 700 m e alto 134 m. Qui si

lavorava principalmente con i mezzi pesanti, cioè i dumper che caricavano la terra e la depositavano sulla diga; ogni 60 cm di materiale depositato si procedeva a rullare e pressare. il cantiere era piccolo: di bianchi eravamo solo una cinquantina.

Quanto tempo sei rimasto in Ghana?Diciotto mesi; qui il clima era tremendo, caldissimo di giorno, eri sempre sudato e freddissimo di notte; stavi sotto le coperte con la giacca, l’umidità era altissima! Per contrastare l’enorme perdita di liquidi ci davano da bere spesso thè caldo e manciate di sale da mangiare.

Non sei più ritornato in Africa?No, nel 1963 mi sono sposato e quindi ho cercato lavoro vicino a casa.

C’è qualcosa che avresti voluto fare in Africa e non ci sei riuscito per qualche ragione?Sì, avrei voluto sorvolare con l’aereo le ca-scate Vittoria che si trovano a monte rispet-to alla diga di Kariba.

La nostra Africa StOrie Di miGrAziONi AL cONtrAriOa cura di elia tomè

ippolito rastelli, di le Prese, classe 1940, partì per la Somalia la prima volta nel 1964.

la Somalia era stata colonia italiana dal 1885 circa fino alla seconda guer-ra mondiale e in questo periodo molti imprenditori italiani vi avevano creato aziende agricole per la coltivazione di frutti tropicali (banane, papaye, pom-pelmi) e canna da zucchero. Nel do-poguerra iniziò il processo di decolo-nizzazione e il controllo del Paese fu affidato in amministrazione fiduciaria all’italia, fino al 1960, quando diventò indipendente, con il nome di repub-blica unita di Somalia, sotto la presi-

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denza di abdeh abdullah osman Daar. le attività economiche delle aziende tuttavia non subirono contraccolpi importanti da questi mutamenti politici e continuarono a lavorare.

Ecco la sua testimonianza“Dopo un viaggio in nave durato due settimane, arrivai a Merca, a circa 100 Km a sud della capitale Mogadiscio, dove mi fu affidato il controllo di 900 ettari di bananeti.Abitavo in una casetta circondata da un grande giardino, con un “servitore tuttofare” di nome Bigio, una persona eccellente, che era per me come un fratello, davvero fidato e fedele. Pensa che, mentre schiacciavo il mio pisolino quotidiano dopo il pranzo, scacciava a sassate le scimmiette che rumoreggiavano, saltando sui rami delle piante del giardino, perché potessi riposare tranquil-lo! Per le pulizie e il bucato si faceva aiutare, al bisogno, da alcune ragazze. Molti somali parlavano italiano, o almeno riuscivano a comunicare, proprio grazie all’eredità coloniale.Io dovevo dirigere il lavoro di circa 800 persone, uomini e donne, provenienti dai villaggi vicini, creati per loro sui terreni dell’azien-da. Ogni villaggio aveva un responsabile a cui io potevo fare riferimento per organizzare le attività e distribuire le paghe, ogni venerdì. Ricordo che una volta un capo villaggio si tenne per sé il denaro del suo gruppo, io redistribuii il dovuto ai lavoratori e lo denunciai alle autorità: fu arrestato e non lo vidi più. I lavori erano impegnativi: bisognava livellare il terreno secondo una pendenza

precisa per lo scorrimento delle acque d’irrigazio-ne, piantare i “bulbi”

dei banani, fare delle “potature” e, dopo 9 mesi, raccogliere i ca-schi di frutti pron-ti. Poi si tagliava la pianta che ave-va fruttificato (il banano fruttifica una sola volta) e si faceva cresce-re la piantina gio-vane cresciuta ai piedi della vecchia (da ogni bulbo cre-scono circa cinque

piante, in successione). Il tutto era organizzato in maniera tale da realizzare quattro raccolti al mese. La frutta veniva portata al vicino porticciolo di Merca e poi trasferita al largo su piccole imbarcazioni, qui era imbarcata sulle grandi navi bananiere che attraverso il canale di Suez raggiungevano l’Europa. Bisognava anche provvedere alla pulizia dei canali d’irrigazione, perché il fiume da cui si captava l’acqua, lo Uebi Scebeli, trasportava abbondante limo che si depositava sul fondo e ostruiva tutto. Gli abitanti dei villaggi bevevano quest’acqua, dopo averla fatta decantare, pensa quante infezioni intestinali! Io consigliavo loro di bollirla, ma gli sembrava troppo complicato e non lo facevano, allora feci scavare un pozzo molto profondo da cui si pompava un’acqua limpidissima. Ma qualcuno si lamentava, dicendo che quell’acqua era proprio insipida…., certo non era “condita” con batteri e terriccio! I lavoratori erano come tutti noi: ce n’erano di attivi e diligenti, ma pure di sfaticati e “furbi”, tutto il mondo è paese. Qualche volta venivano rubate delle banane, allora stabilii che, al termine di ogni giornata di raccolto, una quota della frutta sotto misura fosse gratuitamente distribuita tra i lavoranti. L’orario lavorativo andava dalle 6 alle 12 e dalle 14 alle 18; al temine della giornata, grazie alla consulenza di Padre Franco, francescano ex medico del Niguarda, distribuivo medicine contro le gastroenteriti dei bambini (me le spediva mia sorella dall’Italia) e, per ogni fami-glia, i farmaci contro la malaria, che era endemica. Medicavo an-che ferite, piccole e non. Il venerdì, se non era previsto il raccolto, era il giorno di riposo, perché la Somalia è un paese di religione islamica. I Somali, almeno quelli del sud, dove lavoravo io, non erano per nulla “fanatici”, erano molto tolleranti, rispettosi delle donne (anche se queste erano comunque considerate inferiori) e la loro fede si esprimeva essenzialmente nella preghiera serale, in quelle zone non avevano neppure la moschea. A volte noi italiani impiegati nelle piantagioni venivamo raggiunti dal missionario Padre Franco; lui si interessava anche della popolazione locale, ma solo per aiutarli nei loro bisogni, senza cercare conversioni, dato che per gli islamici abbandonare la loro fede è considerato gravissimo e porta ad essere rifiutati dalla società. I rapporti di noi europei con i locali erano comunque ottimi e anche la situazione politica tranquilla. In Somalia, come in molti altri paesi africani, la vita e la competizione politica non si basano sui partiti, come li intendiamo noi, ma sulle tribù. La popolazione somala è divisa in circa 12 tribù, di cui 3-4 più numerose e predominanti, che si spartiscono la gestione dei posti di potere. Quando, per motivi interni o su istigazione di potenze straniere, questi equilibri si

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rompono, scoppiano scontri sanguinosi in cui l’appartenenza ad una tribù ti rende automaticamente nemico delle tribù nemiche e la pace diventa un obiettivo quasi irraggiungibile. Ma in quegli anni tutto era calmo, il presidente della neonata repubblica era una persona colta e retta: ebbi anche l’occasione di conoscerlo personalmente durante uno dei controlli periodici che facevo in una piantagione di pompelmi che gli era stata donata dagli imprenditori agricoli italiani.Tornavo a casa mediamente ogni anno, ma prima dovevo trovare un valido sostituto per il lavoro.Nel 1968 i militari, guidati da Siad Barre, organizzarono un col-po di stato e presero il potere: io conoscevo ormai benissimo l’ambiente e sfuggii ai posti di blocco senza problemi; neppure le attività delle aziende italiane subirono contraccolpi, anche perché il nuovo presidente aveva legami importanti con i politici italiani. Dopo 8 anni di permanenza, nel 1972, decisi di lasciare la Somalia, tornai in Italia e diedi una svolta alla mia esistenza: nuova famiglia, nuovo lavoro…Ma la vita ci riserva sempre delle sorprese: nell’autunno del 1987, dopo l’alluvione che aveva sconvolto la nostra provincia, mi trovai impossibilitato a continuare la mia attività di maestro di sci in Alta valle. Mi telefonò un ex collega e mi riferì che imprese agricole italiane cercavano lavoratori per l’Africa, anche per l’azienda dove ero stato per 8 anni. Mi sembrò un “segno del destino”! Ma non ero più un giovanotto, avevo moglie e una figlia… dovevo prima consultarle. la moglie Franca racconta: “Salivo in auto verso l’Alta valle lungo la pista provvisoria, quando lo incrociai, mi fece cenno di fermar-mi, lo feci, abbassai il finestrino e anche lui si fermò, abbassò il suo e al mio cenno interrogativo disse: - Che ne dici se torno in Somalia? - Non mi succede spesso… ma rimasi senza parole!”.

a fine 1987 ippolito riprende così il suo lavoro, nello stesso posto, con il sempre affezionatissimo bigio. Durante questo secondo soggiorno viene raggiunto, anche per lunghi periodi, dalla moglie e dalla figlia, felicissime di riunire la famiglia e condividere questa nuova esperienza con il papà. Certo, devono adattarsi alle mille scomodità della vita nella savana, al cicaleccio delle scimmiette in giardino, a bere spremute al posto dell’acqua (sempre pericolosa, se non bollita), ma la ricchezza delle relazioni con le persone e la bellezza dei luoghi sono impagabili. Nel 1991 però la situazione politica comincia a farsi incerta, le autorità non garantiscono più la sicurezza e gruppi di banditi armati cominciano a scorrazza-

re nelle piantagioni rubando tutto quel che trovano. ippolito avverte la moglie di non raggiungerlo per le vacanze e pochi mesi dopo rientra definitivamente in italia.La situazione in Somalia precipita in una guerra infinita, e a tutt’oggi il governo somalo di fatto non controlla quasi nulla del territorio. Ad aggra-vare la situazione di conflitto si sono poi inseriti gruppi fondamentalisti che organizzano attentati e assalti sangui-nosi. Ippolito mantiene ancora contat-ti e relazioni con alcune persone che hanno lavorato con lui, da loro sa che tutta la zona delle piantagioni è stata abbandonata e la boscaglia ha invaso quei terreni così rigogliosi e produttivi. Il territorio in pratica è sotto il controllo di bande armate che derubano e op- primono con ogni mezzo la popolazione inerme e innocente. Forse noi, abituati a vivere in pace, non ci rendiamo ben conto di quanto essa sia preziosa...

E sul doversi rapportare con un mondo tanto diverso, cosa ci dice Ippolito? “L’Africa mi ha insegnato tantissimo. Il mio ruolo nella piantagione mi dava un potere quasi assoluto sulle persone, nel campo lavo-rativo; e questo può farti perdere il senso della misura, portarti a un pericoloso delirio di onnipotenza. Invece ho sempre guardato a loro con responsabilità, ho capito la necessità di rispettare il loro modo di pensare, avevo ottimi rapporti con gli anziani dei villaggi, cercavo di sostenere chi aveva problemi di salute o di lavoro, loro lo capivano e me ne erano riconoscenti. Anche dopo la mia partenza ho ricevuto lettere colme di affetto e gratitudine: le relazioni costruite con le persone rimangono sempre.”

“Quando calava la notte – aggiunge Franca- si spegneva il gene-ratore; buio e silenzio calavano sulla savana e si restava soli con se stessi, lontani dalle sicurezze, ma anche dai tanti falsi problemi della “civiltà”. In quella situazione puoi apprezzare le persone nella loro profonda natura, ma soprattutto capisci davvero ciò che nella vita è essenziale (poco) e ciò che è superfluo (moltissimo).

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nsiemeIC 31 esperienzeesperienze

Saluti da Vipiteno (Sterzing)

a cura di Carlo Zubiani

Nel cassetto dei ricordi della gran parte del-le nostre famiglie si

trovano cartoline da centri dell’alto adige: soprattutto i nati dopo il 1940 vi hanno prestato il servizio militare ob-bligatorio (la naja) nelle briga-te orobica e Tridentina. Fanti

alpini o artiglieri, orgogliosi questi ultimi della loro prestanza fisica, ve-nivano chiamati sotto il nome degli storici e gloriosi battaglioni e grup-pi – Morbegno, Tirano, Sondrio e tanti altri - in luoghi prossimi quan-to a distanze, ma lontanissimi per storia, usi e cultura, raggiungibili dopo viaggi interminabili in treno

via Milano- Verona- bolzano fino alle destinazioni di San Candido, Dobbiaco, brunico, Vipiteno, bressanone, bolzano, Merano, Silandro, Malles e altre minori. in queste cittadine vi erano enormi aree militari, caserme e depositi: questo si vedeva, ma poi vi era una rete di luoghi minori, polveriere e altre funzioni con presenza anche di militari americani sotto le insegne della Nato. Tutti i toponimi erano ripetuti in tedesco: una complessità di situazioni che il militare di leva in qualche modo viveva soprattutto nei momenti di libera uscita, avvertendo l’ostilità in certi esercizi commerciali ed ambienti. Senza esagerare era un’esperienza problematica, che poneva interrogativi, anche se la consapevo-lezza della vera complessità delle situazioni generali non veniva avvertita. Nei racconti post naia prevalgono i fatti di caserma, gli scherzi spesso volgari e beceri, le amicizie, l’assurdità di certe regole e procedure, le esperienze dell’addestramento, dei campi e delle marce: un mondo che soprattutto manteneva e perpetuava se stesso. (Hai voglia di riproporre la coscrizione obbligatoria

come fatto ancora educativo!). la massiccia presenza militare italiana nell’alto adige, ma il ceppo tedesco preferisce la deno-minazione Sud Tirol, era figlia della prima guerra mondiale ma si intensificò moltissimo all’epoca della guerra fredda, essendo la frontiera del brennero anche quella con il blocco orientale. Sul bollettino di settembre 2018 abbiamo già presentato un romanzo su questi temi (Resto qui di Marco balzano) . la vicenda narrata si ferma prima di un periodo terribile, quella del separatismo con attentati e cospirazioni per l’indipendenza del Sud Tirol dallo stato italiano: la data emblematica è la notte fra l’11 e il 12 giugno 1961, festività del Sacro Cuore, in cui furono fatti esplodere centinaia di ordigni soprattutto per colpire linee elettriche, con l’obiettivo di mettere fuori esercizio le fabbriche del polo industriale di bolzano (individuato come simbolo della italianizzazione forzata dell’alto adige praticata dal fascismo). anche per i soldati di leva iniziò un periodo durissimo con estenuanti turni di guardia non solo ai luoghi militari, ma anche agli innumerevoli obiettivi civili (strade, ferrovie, linee elettriche…): la crisi, nella fase acuta, durò una decina d’anni. Tratta quest’argomento in forma documentata e accessibile il romanzo-testimonianza di lilli Gruber “Inganno” (editore rizzoli) la cui lettura porta noi militari di leva nei decenni 1960/70 a rivivere e comprendere vicende avvertite, però mai colte nella loro complessità storica.È una vicenda lontana? Forse ma, geograficamente, almeno d’estate non più di un’ora di macchina e cinquanta chilometri. Certo è lontanissima la vicenda etnica, linguistica e storica che però costituisce una delle grandi questioni italiane ed europee del dopoguerra e un esempio per il superamento di crisi sepa-ratiste che tanto si prestano a strumentalizzazioni e nuovi disordini anche cruenti. Di recente ho colto il significato “domestico” di queste vicende visitando, a bressanone, un vecchio maresciallo trentino dell’esercito che sotto naja mi aveva insegnato: “qui è diritto solo il manico del badile” (come è noto un buon manico deve essere convenientemen-te arcuato). Tiene sul tavolo di sala un’immagine di Silvius Magnago, esponente di punta della Sudtiroler Volkspartei e alla mia sorpresa reagisce: “Noi gli dobbiamo molto, c’è stato un periodo in cui l’aria era grama e c’era gente disposta a tutto: la pace sociale di adesso la dobbiamo soprattutto a lui, al suo equilibrio”.Verrebbe da dire: valicando lo Stelvio, o più comodamente il Passo del Forno, vale la pena di raccogliere l’invito della Gru-ber: “non limitatevi a guardare solo la bellezza della cartolina!”

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nsiemeIC 33 Attività economicheAttività economiche

il distretto farmaceutico valtellinesea cura di Carlo Zubiani (seconda parte)

LA SOcietÀ bieFFe

Nell’anno 1972 Siccardi promosse l’acquisto della ditta bieffe (sta per biochimici Firenze) che aveva uno stabilimento a Calenzano dove produceva soluzioni per infusione (flebo-

clisi) e per dialisi, oltre ad alcune specialità medicinali. la gestio-ne fiorentina non decollò: Egidio Cadringher, che vi fu destinato per un breve periodo, ricorda la difficoltà del rifornimento d’acqua con le autobotti, condizione di grande difficoltà operativa e di pregiudizio per la redditività dell’impresa. la prima sede legale e amministrativa locale della bieffe a Sondalo, fu in via di Mezzo, 8 e, in seguito, al condominio Storile.Per la costruzione dello stabilimento di Grosotto fu costituita la Società Titachi S.p.a: fu un momento di sentita partecipazione con la richiesta di molte persone di poter investire nell’iniziativa. il capitale sociale fu aumentato da 100 milioni ad un miliardo con le sottoscrizioni di oltre 60 soci in prevalenza di Sondalo: fra questi i collaboratori più stretti di Siccardi e il rag. Ezio Partesana che fu anche il primo presidente della società. Terminata la costruzio-ne, la Titachi aveva esaurito il proprio scopo e si procedette alla fusione per incorporazione nella bieffe. Per l’insediamento a Gro-sotto furono decisivi l’impossibilità di trovare un’area opportuna a Sondalo ed il ruolo svolto dal sig. Giovanni Nolo belina (allora collocatore a Sondalo). l’area individuata a Grosotto era, come sempre in Valtellina, frazionata fra molti proprietari che, riuniti in assemblea, accettarono la proposta di vendita. iniziò quindi la laboriosa fase delle pratiche che comportò la sottoscrizione di oltre cento atti notarili di compravendita. a Sondalo rimase per qualche anno viva la polemica per l’opportunità mancata di avere lo stabilimento nel Comune.

La tecnologia clear flex: passo decisivo per lo sviluppoPer ovviare alle difficoltà di reperimento a Calenzano della materia prima (acqua) nello stabilimento di Grosotto venne installata la produzione di fleboclisi in flacone di vetro alla quale venne subito affiancata quella innovativa per la produzione dello stesso pro-

dotto in sacca di plastica. a Grosotto, inizialmente, la produzione delle sacche iniziava con l’estrusione del tubolare dal quale si ricavavano le sacche. Veniva anche estruso il tubicino da saldare alle sacche e quello per la produzione dei deflussori utilizzati per la somministrazione delle soluzioni ai pazienti. le sacche veni-vano poi serigrafate, riempite, sterilizzate e confezionate. Viene sviluppata e brevettata nel 1978 la tecnologia Clear Flex: sacca in plastica priva di PVC e macchina che, partendo da rotolo di film Clear Flex, forma la sacca, la riempie e la chiude. l’innovazione sarà decisiva per la qualificazione della produzione e il conse-guente sviluppo dell’azienda a livello internazionale.

Quotazione in borsaNello stesso anno 1978 la bieffe attivò l’iter per la quotazione in borsa - mercato ristretto - passo molto significativo nella realtà economica di allora. il prospetto ufficiale, di cui pubblichiamo un estratto da atti Mediobanca, fotografa la situazione in un momento decisivo per lo sviluppo aziendale: la composizione degli organi sociali è testimonianza del radicamento locale nella prima fase della vita della bieffe. Nel Consiglio di amministrazione figura alberto Siccardi che, dopo l’esperienza nelle aziende paterne, lascerà l’italia per operare, sempre nel settore farmaceutico, in Svizzera, Canton Ticino. inizialmente costituì la Medital S.a. de-dicata allo sviluppo delle vendite estere della bieffe. Negli anni 90 guidò la Società promuovendone l’espansione in Europa e non solo. attualmente, con i figli, possiede la società Medacta, leader mondiale nella produzione di protesi d’anca, per chirurgia spinale e soluzioni di medicina sportiva.

Sede: Grosotto (So) - Via Nuova ProvincialeAnno costituzione: 1958 come s.n.c. trasformata in S.p.a. nel 1970Settore di attività: Fabbricazione e commercio di specialità farmaceutiche, prodot-ti galenici e medicali, profumerie ed articoli affini in genere, nonché attrezzature in plastica per uso medicaleAzionariato: n. 203 azionisti nell’aprile 1981 di cui 46 intervenuti nell’assemblea rappresentavano, in proprio e per delega, l’86,7% del capitale socialeCariche sociali Consiglio di Amministrazione: Ezio Partesana (P), Francesco Siccardi (CD), ubaldo bruci, Dario Cardoni, Gian Carlo Cillario, Modesto Govoni, Ernesto Palotti, Domenico Pini, alberto Siccardi Sindaci: Fabiano Garbellini (P), Giuseppe besseghini, Francesco lucini

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nsiemeIC 35 Attività economicheAttività economiche

L’espansione internazionale degli anni 1980 - 90Negli anni 80 il portafoglio della bieffe si arricchì: soluzioni per urologia, soluzioni per nutrizione con acquisizione della Stholl Farmaceutici di Modena e suture chirurgiche con acquisizione della toscana italsuture. Verso la fine del decennio la produzione di soluzioni a Calenzano venne cessata e trasferita a Grosotto. Nel corso del 1990 varie operazioni di fusione societaria portarono la bieffe biochimici Firenze e la Medital a cambiare entrambe la ragione sociale in bieffe Medital. Negli anni a seguire si assistette all’espansione geografica con l’apertura di stabilimenti in: • Svizzera (S. Vittore per produzione del film Clear Flex, Campo-

cologno per la produzione delle macchine Clear Flex) • Spagna (produzione sacche Clear Flex) • Tunisia (assemblaggio componentistica)• Cina (joint-venture con una Società di Stato, produzione di

sacche per dialisi) e sedi commerciali in Francia e olanda. Nello stesso periodo le attività di stampaggio e assemblaggio delle valvole e della componentistica varia necessaria ai vari raccordi sacca/paziente vennero unificate nel nuovo stabilimento di Mazzo.

Misure per la sviluppo e di riordino organizzativoVenne inoltre creato il gruppo Engineering per le necessità interne di installazione/ modifica degli impianti. l’esperienza maturata in questo settore consentì alla bieffe di proporsi per la costruzione “chiavi in mano” di stabilimenti farmaceutici e l’assistenza ai li-cenziatari della tecnologia Clear Flex. la prima installazione fu in algeria su commessa del Governo di quel paese. Seguirono analoghe commesse in Tunisia e burkina Faso.Furono eseguite razionalizzazioni delle varie funzioni per renderle più robuste ed efficaci:• il deposito di Zola Predosa (bo) fu spostato nel nuovo magaz-

zino costruito a bomporto (Mo);• la produzione di aminoacidi e fiale fu trasferita da Modena a

Grosotto con la conseguente chiusura della Stholl;• la produzione di suture chirurgiche fu spostata nello stabilimento

spagnolo con la conseguente chiusura dello stabilimento di Calenzano;

• le attività di marketing vennero centralizzate a Milano nella bieffe Medital Marketing.

Dalla Bieffe alla Baxterormai la bieffe era diventata un gruppo rilevante con una tecno-logia unica e innovativa che attirava l’interesse dei concorrenti.Nel 1997 il gruppo bieffe venne in buona parte ceduto alla mul-tinazionale americana baxter.

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nsiemeIC 37 L’intervistaL’intervista

cristian da mondadizza alla SveziaA cura di Orsola Genovese

La tua scelta di divenire cuoco quando è avvenuta e perché. la scelta di diventare cuoco è nata quando avevo all’incirca dodici anni; sono stato ad una cena di capodanno in un albergo dove lavorava mio cognato come chef di cucina. le mie intenzioni, allora, erano quelle di fare il liceo artisti-co siccome avevo molta fantasia e doti nel disegno, ma quella sera ho scoperto che con il cibo si potevano fare delle opere d’arte e da lí ho avuto l’interesse per la cucina. a 14 anni ho intrapreso il corso di scuola alberghiera all’iPSSar di bormio e nel tempo libero ho cominciato a fare le prime esperienze nella ristora-zione. Dopo 5 anni di scuola ed alcune stagioni estive nei ristoranti della zona, mi sono trasferito il liguria per fare le prime esperienze lontano dalla Valtellina. Da li in poi sono stato in Francia, Monte-carlo, Svizzera e Spagna alternando le stagioni all’estero con alcune stagioni in

italia. Nell’ultima esperienza in Spagna ho conosciuto la mia attuale compagna e madre delle mie due figlie gemelle, che sono nate a Tenerife nel 2010. Sem-pre nello stesso anno abbiamo deciso di trasferisci in Svezia per essere vicini alla nonna materna, che tuttora ci sta dando una mano con la gestione delle nostre gemelline. Per me non è difficile integrar-mi in un paese estero, sono sempre stato attratto da nuove avventure e mi attrae imparare diverse culture. ogni nazione ha le proprie usanze e stili di vita; posso dire che in Svezia a differenza dell’italia, dove abbiamo più regolarità negli ora-ri di pranzo e cena, la gente mangia a tutte le ore, infatti anche i ristoranti sono aperti tutto il giorno. Mi ricorderò sempre questo episodio: la mia compagna mi annunciò che saremmo andati a cena da sua madre ed io attorno all’orario di pranzo ho cominciato a cucinare un piatto di pasta; lei mi chiese cosa stessi facendo siccome la cena era verso le quattro di pomeriggio. Piccole situazioni che con il tempo sono ormai diventa-te normali e alle quali mi sono adattato perfettamente. in Svezia si può andare a scuola gratuitamente per imparare la lingua svedese, ma io non ci sono stato: ho imparato la lingua ascoltando la gen-te, una dote naturale che mi ha portato adesso a parlare cinque lingue diverse.

Hai aperto un tuo ristorante, il sogno di ogni cuoco, una scelta coraggiosa al giorno d’oggi. infatti, dopo due anni lavorando in alcuni ristoranti della città ho avuto un contatto con il proprietario di un locale che ave-va diverse difficoltà nel far funzionare il suo ristorante con cucina svedese. Ho

lavorato all’incirca un anno mantenedo il concetto iniziale e cercando di capire quali fossero le soluzioni per far funzio-nare al meglio quella attività. È nata così l’idea di cambiare concetto al locale e di creare un ristorante italiano; sono entrato cosí a far parte dell’azienda e nel 2013 abbiamo inaugurato il nuovo ristorante con il nome “la locanda”, un nome che rispecchiava l’immagine della casa in cui è ubicato il locale, uno degli edifici più antichi della città. Col passare degli anni sono stati fatti dei cambi nella socie-tà e adesso sono il proprietario unico del locale. il nome iniziale purtroppo è sta-to cambiato perché la parola locanda, che viene utilizzata in tantissimi paesi nel mondo per dare il nome ad un ristoran-te, qui in Svezia è stata registrata come marchio da un privato. Da lì la decisione di cambiare il nome al ristorante con “la locandiera”. Certamente è un lavoro pe-santissimo! Specialmente quando non si è più tanto giovani e quando si ha una propria famiglia con bambini piccoli. Si-curamente si è avverato un sogno che è stato maturato negli anni e la scelta di aprire un ristorante è nata quando ho visto che in un paese ricco e in costante crescita come la Svezia, c’erano molte più possibilità che in altri paesi, con mi-nore difficoltà per il piano finanziario e per il fatto che avendo un’idea credibile, le banche possono dare dei prestiti ge-nerosi. Nel corso degli anni ci sono state tante soddisfazioni, ma altrettante diffi-coltà: essendo un ristoratore alle prime armi ho avuto bisogno di molto tempo per trovare un equilibrio tra dipendenti e carichi di lavoro. adesso sono entrato nel quinto anno di gestione e anche se

sento di essere molto stanco, sono molto motivato per andare avanti con questo lavoro, costruendo piano piano ciò che ho sempre voluto avere per il mio risto-rante.

La cucina italiana è molto rinomata e apprezzata dagli stranieri. la cucina italiana è rinomata in tutto il mondo, ma in alcuni paesi si può tro-vare una cultura totalmente sbagliata da quella che è nel nostro paese. la decisione di aprire un ristorante è nata anche per questo: nella città in cui mi sono trasferito ho trovato un sacco di ristoranti italiani che di italiano avevano ben poco con bandiere tricolori sfaccia-tamente sventolate da tutte le parti. la gastronomia italiana in Svezia è molto apprezzata, ma spesso è stata rivisitata per mancanza di prodotti tipici e a vol-te per avvicinarla di più al palato degli svedesi (vedi carbonara con la panna). la cultura gastronomica svedese è sta-ta molto povera negli anni passati per mancanza di prodotti; il clima rigido non consente di poter coltivare diversi tipi di ortaggi ed anche gli allevamenti ne risentono, ma grazie alla politica sociale e ai tanti immigrati, si è arricchita con il

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passare degli anni importando prodotti e culture da tutto il mondo. oggi i paesi scandinavi sono diventati i migliori sotto l’aspetto innovativo della gastronomia mondiale. io importo prodotti diretta-mente dall’italia e mi affianco anche ad alcuni fornitori che fanno arrivare ogni settimana diverse delicatezze del nostro territorio.

Il tuo ristorante è frequentato anche da persone di successo e hai ricevuto anche dei premi. Succede spesso che arriva qualche personaggio famoso come cliente, ma sinceramente io lo vengo a sapere sem-pre dopo da altre persone, siccome nè io nè il mio personale riusciamo a rico-noscerli subito. abbiamo avuto diverse volte l’ex giocatore di tennis björn borg, alcuni personaggi famosi della televisio-ne svedese e diversi giocatori di hockey della massima serie. Personaggi che sono difficilmente riconoscibili se non si seguono spesso i media. Ho ricevuto anche un premio dalla camera di com-mercio italiana che lavora nel territorio svedese ed è un marchio di riconosci-mento per le attività che trasmettono la

cultura italiana all’estero. in Svezia ci sono altre 25 aziende come la mia e nel mondo circa 2200. Sicuramente è stata una grande soddisfazione far parte di questo progetto e sono contento di aver raggiunto i criteri per ottenere questo ri-conoscimento. Spero di poter raggiun-gere altri traguardi importanti nel futuro e mantenere lo standard di qualità che ho sempre avuto.

La ristorazione nel tempo ha subito grandi cambiamenti... in effetti negli ultimi anni c’è stato un grande cambiamento soprattutto per quanto riguarda le intolleranze e le ten-denze. Ciò non mi crea problemi perché fa parte del mio lavoro soddisfare il clien-te. bisogna adeguarsi sempre perché in questi anni sia le intolleranze e le varie tendenze sono aumentate. Certamente con il menù alla carta il cliente può sce-gliere in base alle sue esigenze: rimane più impegnativo per me quando si tratta di un buffet o una cena prestabilita e se nel gruppo dei clienti vi sono persone con intolleranze devo fare dei cambia-menti e modificare le ricette per soddi-sfare anche loro.

Cosa chiede oggi il cliente rispetto al passato? il cliente di oggi è lo stesso che c’era in passato, ma possono variare le aspet-tative di ogni persona: c’è il cliente che vuole assaporare gusti nuovi, quello che vuole solo riempirsi la pancia spenden-do poco, oppure quello che vuole un piatto classico della cucina italiana. Nel mio concetto di ristorante cerco di poter accontentare tutti e di gestire al meglio le aspettative della mia clientela. la cucina

che propongo io è un misto tra il classi-co ed il rivisitato con l’opzione di offrire dei menu personalizzati o degustazioni per le cene, su prenotazione. Grazie alla collaborazione con diverse associazio-ni di consumatori, abbiamo organizzato cene a tema con degustazioni di vini fatte da esperti svedesi famosi. Credo che il piatto più richiesto qui da me sia lo “zgigoiner” un piatto semplicissimo da preparare, ma che fa molta scena e che io accompagno con una maionese al tartufo. inoltre ho investito tantissimo per poter offrire ai miei clienti un’ottima pizza che viene considerata, da alcuni, la migliore del nostro territorio. il ristoran-te serve principalmente il menu alla carta e solo un giorno a settimana abbiamo il famosissimo “afterwork”, un apericena a buffet che è diventato il più famoso del-la città con il tutto esaurito su due turni da 130 persone ciascuno ogni venerdí sera. È stato importante per me costru-ire piano piano il concetto di menu per assecondare i gusti degli svedesi che sono la maggioranza della mia clientela totale, cercando di scoprire quali prodot-ti fossero preferiti rispetto ad altri.

In tutto il mondo imperversano in tele-visione programmi dedicati alla cuci-na, dove i cuochi sono divenuti famosi come i calciatori. le trasmissioni televisive le ho sempre snobbate, a volte sembrano già pilotate in qualche maniera. Mi interessano di più i documentari sulla cucina di tutto il mondo. la cucina di alto livello con porzioni minime e di alto costo l’ho già vissuta e non mi attira più di tanto, prefe-risco un buon piatto caldo e sostanzioso. le modifiche ai piatti tipici ci possono

stare e non le vedo come una brutta cosa perché abbiamo gusti diversi e le combinazioni con i vari sapori fanno parte dell’evoluzione della gastronomia. Prendiamo ad esempio i pizzoccheri: io ho provati a cucinarli in diversi modi cre-ando combinazioni di gusti che mi hanno stuzzicato la mente per idee nuove.

I tuoi genitori vengono a visitarti? Hai nostalgia di Mondadizza?Non capita spesso che qualcuno venga a visitarmi, i miei genitori (Emilio Giudice e Nicolina baretto) sono stati qui l’anno scorso nel periodo natalizio e l’ultima vol-ta che io sono venuto a casa in italia è stato parecchio tempo fa. Mi manca tan-tissimo Mondadizza e la porterò sempre nel cuore. Sono tante le piccole cose di cui sento la nostalgia e non vorrei elen-carle tutte. Forse un giorno ritornerò, ma adesso la Svezia è la mia nuova casa: vivo in un paese molto civilizzato in cui si pagano tasse alte, ma si ricevono degli ottimi servizi, dove la corruzione quasi non esiste e dove la gente si impegna moltissimo per manterere l’ambiente pu-lito. un paese perfetto per far crescere i miei figli.

L’intervistaL’intervista

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nsiemeIC 41il 1800 in Valtellina

e a Sondaloil 1800 in Valtellina e a Sondalo

Secolo di povertà, alternanze politiche e speranza

la Valtellina, fino ai primi anni del 1800 non aveva strade carrabili. Era attraversata dall’antica via Valeriana, poco più di un sentiero, percorribile solo a piedi e a dorso di animali e

solo per pochi tratti da carretti e con un fondo fangoso e spesso invaso dalle acque dell’adda. Essa collegava i paesi in parte sul piano e in gran parte sulle pendici della montagna al sicuro dalle piene dell’adda (vedi stampe a colori). una cronaca racconta di una disastrosa alluvione avvenuta in Valtellina tra il 17 ed il 18 settembre 1772. l’impetuosità dell’acqua danneggia la viabilità a Verzedo bloccando il passaggio verso il bormiese. Danni ben più gravi sono provocati dalla forza dell’ac-qua nel tratto tra boscaccia e Tiolo. il 29 settembre il comune di Sondalo manda una cinquantina di uomini per riparare i danni. Mentre questi erano al lavoro, all’improvviso, da sotto Migiondo, si stacca una frana che trascina campi interi di grano saraceno e piante. l’adda rimane ostruita per più di un’ora, prima di riuscire a tracimare e allaga bolladore. la fanghiglia arriva all’altezza degli uomini al lavoro. i più riescono a fuggire, ma una parte rimane intrappolata fino alla vita. Vengono estratti dal fango e, per le loro condizioni, muniti dei santi sacramenti; uno solo non riuscirà a

sopravvivere. i solchi che vediamo tuttora sotto Migiondo sono stati, in gran parte, provocati da tale frana. i Grosini, che avevano appena rifatto il ponte, ritornarono a levarlo per timore che l’adda, riprendendo il suo corso, lo portasse via di nuovo. il governo Napoleonico (1797/1813) lascia il nostro territorio mol-to impoverito e con disordini sociali. Con il trattato di Vienna (1814/1815) la nostra provincia viene annessa il 15 aprile 1815 al territorio austriaco del lombardo/Veneto. Per la sua posizione di confine, la montuosità, le sue vicende storiche e il secolare isola-mento si trova svantaggiata rispetto alle altre province lombarde. le novità ed un po’ di guadagno erano portati dagli emigranti stagionali ed annuali. il governo austriaco (1815/1859) instaura un periodo di stabilità e ordine sociale con un’amministrazione moderna, ma molto bu-rocratica. la provincia viene divisa in 79 comuni raggruppati in 7 distretti con un commissario governativo in ognuno. Sondalo apparteneva a quello di Tirano.l’amministrazione comunale era affidata ai cittadini iscritti al cen-so e le pratiche erano controllare da un commissario. Gli imperiali e regi uffici amministrativi erano a Sondrio. Degni di nota erano gli uffici della censura, della polizia con la coscrizione e un servizio militare di 8 anni, delle costruzioni (il nostro Genio Civile) con 21 dipendenti tra cui 8 ingegneri, dell’istruzione con l’istituzione di 3 classi di scuole elementari in ogni Comune, il censo che impo-neva una tassazione molto alta in rapporto con la redditività del

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nsiemeIC 43il 1800 in Valtellina

e a Sondaloil 1800 in Valtellina e a Sondalo

terreno e del suo alto frazionamento. i primi decenni del 1800 sono sta-ti caratterizzati da una crisi agraria generale e da una grande piovosità. Particolarmente difficile è stato il 1817 ricordato come l’anno della fame di atavica memoria. il raccolto viene completamente distrutto dalla pio-vosità con conseguenti carestie ed epidemie. la miseria era tale che i provvedimenti caritativi messi in atto dalle comunità e le indagini del governo non portarono a provvedi-menti per migliorarle e il tenore di

vita della gente rimane sempre quello di una sten-tata sopravvivenza. il disboscamento progressivo, praticato dai Comuni come risorsa, altera il regime delle acque, provocando frane, valanghe, alluvioni e danni a strade e ponti. Per quelli che non possedevano boschi scarseggiava anche la legna per gli usi domestici.l’alluvione del 1834 a Sondalo danneggia il ponte in legno di bolladore e travolge quello di San rocco. il Mallero rompe gli argini e allaga completamente Sondrio e il governo fa intervenire l’esercito per il ripristino della città. Ciò che di meglio ha lasciato il governo austriaco è la realizzazione di una rete stradale che ha reso possibile il collegamento del nostro territorio con quello cir-costante, costruendo strade larghe 5 metri con giusta pendenza, ponti, arginature e provvedendo alla loro manutenzione. Vennero costruite la strada Sondrio-bormio, dello Spluga, dello Stelvio, dell’aprica e il collegamento via terra lecco-Colico, oltre a quelle secondarie per raggiungere i bagni di Masino, di Santa Caterina per sfruttare le acque ferruginose e quella per lo stabilimento dei bagni Nuovi di bormio, dando così origine al turismo. Viene inoltre portata a termine la rettificazione dell’adda da Sondrio a Morbegno, bonificando i terreni paludosi. le diligenze del ser-vizio postale e trasporto dei passeggeri sostavano a bolladore per il cambio dei cavalli e per la ristorazione dei passeggeri agli hotel Des alpes e Posta, dove i ragazzini andavano a scacciare i mosconi ai cavalli “Parar via i moscon”, sperando di ricevere qualche centesimo di mancia. Non si hanno notizie di partecipazione di Sondalini ai moti di risorgimento e alle guerre di indipendenza. la guerra tra gli austriaci e i Franco-Piemontesi si risolse con la

vittoria dei secondi nelle battaglie di San Martino e Solferino il 24 giugno 1859. a Sondrio già il 29 maggio i cittadini circondano e minacciano la guarnigione austriaca, che nottetempo, in sordi-na, lascia la città e va a rinforzare il presidio di bormio. Volontari armati rizzano barricate al Ponte del Diavolo e, facendo rotolare dei massi dalle pendici delle montagne, respingono gli austriaci che tentavano di invadere la valle. inviato da Garibaldi viene in aiuto il colonnello Gerolamo Medici, che avanza fino a S. anto-nio Morignone; pochi giorni dopo Garibaldi con i suoi volontari raggiunge bormio.il canonico Fanti nelle sue memorie ricorda così l’avvenimento: “1859, 18 giugno. Arrivo di Garibaldi Giuseppe, generale delle truppe volontarie delle Alpi. Dopo la battaglia di San Fermo a Como corre in aiuto dei valtellini che scacciò i tedeschi, che scendono dallo Stelvio fino a Bolladore con canoni e 4000 sol-dati. Lo incontrai a Boladore e femmo colloquio. Pernottò due notti all’albergo delle Alpi e le truppe anche a Santa Marta per tre mesi”. Gli austriaci abbandonano Sondalo il 2 luglio 1859. Con la pace di Villafranca (11 luglio 1859) la lombardia viene ceduta al regno Sardo-Piemontese e con la nomina, il 17 marzo 1961, di Vittorio Emanuele ii, re d’italia viene a far parte del regno d’italia. Nel periodo di passaggio tra la fine del governo austriaco (novembre 1859) e la proclamazione del regno d’italia (marzo 1961) viene nominato governatore della Valtellina luigi Torelli. il centro di aggregazione e luogo culturale e di incontro della nostra comunità sondalina era la Parrocchia.il parroco era una delle persone più istruite della comunità. Vi-veva in mezzo alla gente e forniva un’educazione legata a una concezione spirituale della vita, in-fondendo coraggio e speranza. le chiese costruite dalla gente con offer-te, donazioni e lavoro rappresentano ancor oggi la storia della comunità e dovrebbero contribuire a mantenere le tradizioni.a quel tempo, in cui la povera gente era costretta a una vita dura, così diver-sa dalla nostra, le grandi feste religiose come il Natale, si svolgevano senza fe-steggiamenti esteriori, ma erano vissute con una convinta e profonda religiosità e fiducia nella Divina Provvidenza.

Leandra Pozzi

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nsiemeIC 45Auguri speciali

da Frontalecontributi

il benessere ci ha portato ad essere un po’ egoisti: una riflessione sul Natale di oggi

a breve sarà di nuovo Natale e i negozi e i centri commer-ciali si avviano a esporre prodotti e beni da regalare. le campagne pubblicitarie si sono attivate già da tempo per

le vendite e per gli sconti e tra i consumatori si fa a gara a chi riesce ad acquistare di più.

il Natale è da molti considerata la festa più sentita dell’anno poiché riunisce tutta la fa-miglia.un tempo si aspettava il Natale con gioia, aveva un fascino particolare, ci si sentiva più buoni, soprattutto per i più piccoli poiché, si aspettavano i doni: una manciata di frutta secca, quaderni, libri e matite per la scuola e i più fortunati un gioco o un abito nuovo da indossare rigorosamente nel giorno di festa o la domenica.le famiglie erano numerose con tanti figli e

di soldi ce n’erano pochi, le esigenze erano minori, ma c’era tanta solidarietà e unione fra le persone.oggi viviamo nel benessere, non ci facciamo man-care nulla: cibo, abiti, viaggi, auto, svaghi, pc, te-lefonini e cura del proprio corpo, ma poi ci chie-diamo, a che serve tutto ciò?Siamo veramente felici?

Non ve- diamo l’altro, il nostro vicino che magari ha bisogno di una parola buona, qualche anziano solo che aspetta da noi un sorriso, un gesto. Siamo così presi e assorbiti nel nostro mondo di benessere che siamo diventati incapaci di dialogare, di sorridere e di insegnare ai più piccoli il volersi bene.Eppure basterebbe così poco per aprire il nostro cuore al pros-simo, al sofferente, a chi è malato o in difficoltà, una carezza, una visita o un abbraccio fraterno per condividere un Natale più sentito e pieno di armonia.

Adelina Della Bosca

Al Natal … di maiôn de FrontalA Natāl li šcöli li é finìdae noàntri maiôn an pòsa da li fadìga.E intēnt che’n špéċia al Gesù Bambīnan va a remār quatro ramīn.Da ġiugār m’à miga štó gran têmpan va per légna che m’a plu bontêmp.An se caminā sil Têsma l’à tacā a piār ġio la nêf.Giöö li mēn li me śgelàvae per šcaldàrse noàntri an cantàva.Sénza limentàrse plu de tēnt,de bóna léna an ġéva avēnt.Quatro rèm, un sciuch e’ na fascìnaper cargār, staséra, la cuśgìna.Sia grénċ, che piscinīna ogneūn al sè ramīn.M’à cargā de tuta prèscia e m’à tirā fina a la Fléscia.A cà col šcur an sé rivāe la légna m’à dešcargā.E pé via de córsa che a mésa m’à da irse me li vôl pé miga sentīr.Tre canzôn e quai preghierìnaper ringraziār la nòsa Madonìna.Li campèna li è sonàdae la mezanöċ l’é rivàda.“Vén a léċ al mè veġīn,che domēn al riva al Bambīn”e ilóra tuċ contênt an va a posārche domēn … l’é ġemó Natāl.

Auguri a tuta la ġênte che sìof pé sémpri contênt.Bôn Natāl e bôn èn!

il testo è stato composto da walter, Gabriele, Katia, Lorenzo, Anna e Raffaele e presentato in occasione della serata natalizia di recita di poesie dialettali con il coro Stelvio di Bormio diretto dal Maestro Matteo Bertolina il 20 dicembre 2016. Ringraziamo Dario Cossi per aver inserito gli accenti fonetici.

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nsiemeIC 47cantare…

che passione! cantare… che passione!

coro parrocchiale… in trasferta a trepalle

a fine agosto ricevo l’invito (via cellullare) per partecipare, con il nostro coro parrocchiale, ad una

rassegna canora in commemorazione dei defunti in calendario per il 2 novem-bre a Trepalle.Faccio un veloce passa-parola sul grup-po Whatsapp (siamo moderni!) e comin-cio a percepire un certo entusiasmo da parte dei componenti, ma anche un po’ di timore per il confronto con altri cori.Questa volta decido di non metterla pro-prio ai voti, come invece siamo soliti fare

per prendere le nostre

decisioni importanti; procedo all’iscrizi-ne di impulso perché finalmente è arriva-ta una bella occasione per dimostrare, anche fuori dal comune di Sondalo, la nostra bravura.Più o meno tutti convinti scegliamo i can-ti da proporre e ci mettiamo a ripassare le nostre due scelte: “Anima di Cristo” e “Padre nostro tu che stai” con una prova settimanale e organizzandoci per il trasporto per quella serata con un pullman: finalmente la nostra 1ª gita “sociale”!È andata più che bene! Coro quasi al completo (purtroppo alcuni di noi non hanno potuto partecipare). abbiamo eseguito i canti in maniera egregia! E lo dico convinta, anche a nome di Piera ed ivan: non è un complimento di parte (anche perché siamo piuttosto esigen-ti!): chiedete conferma ai sondalini saliti con noi che, confusi tra il pubblico, ci hanno ascoltato commossi.

Personalmente sono stata orgo-gliosa di partecipa-re all’iniziativa per valorizzare l’impe-gno di tutti i compo-nenti del coro e per una volta anche con qualche applauso… avete emozionato davvero!ripensando alla no-stra storia non so far risalire ad una data precisa la nascita del nostro coro parrocchia-le composto da adulti… credo siano ormai più di una ventina d’anni!

la nostra caratteristica principale è di essere un coro amatoriale e quindi non pretendiamo la per-fezione, ma questo non ci impedisce di imparare anche bei canti complicati a più voci. abbiamo una ricchezza in più rispetto ad altri cori che è la com-ponente maschile (un bel numero!): gli uomini, con la loro voce, rendono più armoniosi i canti e per-mettono l’alternanza del-le voci. È un bell’impe-gno farne parte perché animiamo le celebrazioni domenicali (lungo tutto l’anno e non solo le feste più solenni), tutti i funerali (ci sono le “colonne” dei coristi pensionati che non mancano mai) e le altre feste di precetto.Siamo un bel gruppo affiatato, ma anche disponibili e accoglienti a nuovi ingressi di cantori, quindi chi volesse aggregarsi ci faccia un pensierino: è sempre ben accetto! il nostro compito è quello di animare l’assemblea durante le celebrazioni liturgiche. la fortuna di avere un coro parrocchiale non esclude – anzi sostie-ne, guida, rafforza - la partecipazione di tutta l’assemblea ai canti con la pre-ghiera-canto che è alla portata di tutti. Coraggio, fatevi sentire anche voi!

natalia

Emozionante e suggestivo! Ecco due parole per descrivere la nostra parteci-pazione alla rassegna corale organizza-ta a Trepalle il 2 novembre scorso.

un modo innanzitutto per ricordare chi non è più con noi, ma resta nel nostro cuore e un modo anche per confrontarci con noi stessi e con gli altri cinque cori presenti.bellissima la cornice della chiesa di s. anna, calda, raccolta e gremita di gente che ha ascoltato con raccoglimento i canti proposti. ogni coro si è esibito, dando il meglio, con due canti diversi per genere e mo-dalità di esecuzione, all’insegna della tradizione, ma anche in chiave più mo-derna, accompagnati da molteplici stru-menti musicali.al termine della serata …il gran finale con il canto “Viaggio nella vita” di Giosy Cento eseguito da tutti i coristi presenti: un’unica voce che è salita al cielo come preghiera nel ricordo dei nostri cari de-funti.

iva

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nsiemeIC 4925 anni di

bandainsieme25 anni di bandainsieme

musica insieme, che passioneIl ricordo di Enzo, primo presidente

la musica ha tre componenti fondamentali: ritmo, melodia ed armonia. Sicuramente l’armonia è da intendersi per le note che generano il miracolo della musica, ma nei miei ricordi è

anche un’altra cosa. Fu sicuramente la forza che permise ad un gruppetto di giovani delle due precedenti formazioni musicali di Sondalo, di sanare una ferita che non faceva sicuramente onore al nostro paese e tantomeno a tutti gli innamorati della musica bandistica di quegli anni. Mi ritrovai con alcuni giovani del vecchio Complesso Bandistico Gioventù Sondalese e della Banda Musicale di Sondalo a pen-sare e desiderare che il tempo della divisione fosse finito e che l’unione anche in musica faceva la forza. Così nacque nel 1993 il comitato promotore che poi portò nel 1994 alla costituzione ufficiale della BandaInsieme di Sondalo. Non so quale fu il motivo, ma i componenti più “anziani” delle due formazioni (mi vien da sorridere perché oggi ho già quasi gli stessi anni), ci diedero fiducia e ci lasciarono fare. Ci dispiacque anche un po’ che alla prima prova si presentò solo Muscetti Emilio “Migliuccio” e per anni fece parte della nostra banda portando esperienza umana, buon umore, diventando un po’ “il nostro

nonno” (tutti ricordiamo la sua critica alla maglietta color “PET” ma che lui indossò sempre con orgoglio!). Sì, fu un tempo di provvidenza e di fiducia. Fiducia a noi giovani e fiducia nel futuro che può sempre esse-re migliore e bello. Fu tanto il lavoro per riparare e reperire gli strumenti, promuovere il ritorno a tutti gli ex suonatori, unificare i conti di gestione (ci venne affidata anche la gestione dei conti correnti che chiudemmo per aprirne uno solo). Non so quante sere fui fuori casa, riunioni, ansie per tante decisioni da prendere, ma insieme ci riuscimmo. Il nome che cercammo ci venne del tutto naturale, come la divisa “povera” adottata, ma che sprizzava l’energia dei nostri anni. Ho diversi nomi in testa di quel gruppo di giovani, ma per paura di dimenticarmene qualcuno (sono passati 25 anni e la memo-ria inizia a fare scherzi) non li menziono, ma tutti sappiano che diventammo grandi con quell’esperienza e fummo orgogliosi di aver gettato un seme buono che anche oggi cresce grazie ad altri giovani che continuano a sognare con la musica. La direzione musicale di BandaInsieme fu affidata al maestro Ermanno Gianoli (ricordo ancora quando andammo a casa sua a proporglielo) ed i primi corsi di musica furono in gran parte autogestiti dai suonatori più esperti, che in veste di umili maestri trasmettevano il dono di quest’arte a tanti giovani e persone anche adulte interessate a far parte della banda e che oggi sono ancora lì (forza ragazzi!). Dire cosa è la banda di paese non è semplice, ma di certo è un luogo dove le diversità tra le persone (di carattere, pensiero, estrazione sociale) nella musica trova unità e bellezza esaltando l’unicità di ciascuno.

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nsiemeIC 5125 anni di

bandainsieme25 anni di bandainsieme

Coscritti del 2001 in festa

Come ogni associazione è luogo di incontro dove cresce l’ami-cizia e la condivisione e dove anche non mancano a volte litigi e contrasti. La differenza la fa la musica, perché lo garantisco, sentire il suono del tuo strumento che si mescola ai suoni di tutti gli altri, è un’emozione unica che risana e dà vigore. Fu anche “amore” la banda per me e anche per altri componenti e vien pro-prio da dire che “galeotto fu lo spartito e chi lo scrisse” – perché diversi matrimoni furono rallegrati dalla nostra musica, compreso quello del sottoscritto. Con orgoglio ho guidato la banda come presidente (non da solo ma insieme ad altri giovani) dal 1994 al 2003 poi il Signore mi ha voluto su altre strade (con Lui la banda non poteva competere J ). Anche per il rinnovo delle cariche confermammo che il darsi fiducia è la forza della BandaInsieme, eleggendo come presidente Pozzi Moreno allora diciottenne e che in seguito rivestì anche per un breve periodo l’incarico di maestro. Chiudo perché mi sta prendendo un po’ di magone. Auguri BandaInsieme, ma auguri soprattutto a tutti voi musicisti

di oggi, piccoli e grandi, innamo-rati della musica, che con gioia rallegrate la nostra vita e che con orgoglio rappresentate la nostra comunità.

enzo Capitani

La musica è libertàLa Banda non è solo un com-plesso musicale formato da strumenti a fiato e percussioni, la Banda è composta da per-sone, persone che condividono l’amore per la musica; un fuoco interiore che, nel mio caso, mi accompagna fin da bambino; una passione nata nella Banda del mio paese natale e coltiva-ta fino ad oggi.Nel 1994 è iniziata la mia av-ventura con Bandainsieme, ho portato con me le espe-rienze fatte in altre bande,

nel gruppo fondato insieme ai miei fratelli e in alcune formazioni musicali. Per alcuni anni sono stato un “suonatore” e quando il maestro di allora, ermanno Gianoli, ha deciso di lasciare, ho preso il suo posto e da allora condivido l’amore per la musica con persone fantastiche.Purtroppo oggi parlare di Banda ha un sapore un po’ amaro, infatti la musica bandistica è spesso considerata “Musica di serie B”, buona solo per feste paesane e processioni. Niente di più falso. La musica, anche quella bandistica, non è solo intrattenimento e colonna sonora di avvenimenti e celebrazioni solenni, ma è anche molto altro, ci è amica nel senso più profondo del termi-ne e, come ogni amico che si rispetti, ci regala qualcosa. Ci fa compagnia sì, ma ci consola, ci rallegra, ci costringe a pensare, veicola messaggi, valori, le nostre emozioni. Due note bastano a spalancare le porte di un mondo.La musica ci regala la libertà.

Maestro ivan Bontempi

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nsiemeIC 53 Vita di comunitàVita di comunità

L’OrAtOriO… Per tUtti!

un’instancabile e preziosa animatrice dell’Oratorio, anche in questo numero, si è prestata a fare un resoconto sintetico delle attività svolte. È facilmente riconoscibile, è colei che

non si sottrae mai a offrire tempo, energie ed idee – forse è in po’ vulcanica - ma come faremmo senza di lei!).

Da metà settembre sono iniziate le aperture dell’oratorio sia il pomeriggio della domenica per tutti (grandi e piccoli) che per fasce d’età: - il secondo sabato sera del mese per i ragazzi delle scuole

medie,- l’ultimo venerdì sera del mese per i ragazzi delle scuole su-

periori e giovani.

la partecipazione è stata buona a seconda delle giornate e delle proposte.Grande successo ha avuto l’iniziativa dei biscotti glassati e della pizzata (fatta in “casa/oratorio”). Non sono mancate le proiezioni di film sgranocchiando pop-corn, le partite di calcio e di biliardo oltre che a numerosi laboratori manuali.

i ragazzi sono contenti, vengono volentieri e a volte si fa fatica a chiudere, perché vorrebbero ancora restare a giocare Questa ri-partenza positiva speriamo funga da stimolo per altret-tante attività che si possono fare insieme ai ragazzi e, tutta la Comunità, è invitata a dare una mano e a fare nuove proposte.

l’oratorio è un luogo per tutti: adulti e bambini; luogo dove poter fare quattro chiacchere, riscaldarsi con una tazza di thè e far merenda, dove giocare in libertà o fare qualche attività utile alla parrocchia, ma non solo.Non sono poi mancate le feste che hanno ulteriormente movimen-tato la vita oratoriale e comunitaria:

• LA FeStA Dei NONNi (20 OttObre)

• LA FeStA DeL riNGrAziAmeNtO Per i FrUtti DeLLA terrA (10 NOVembre)

• LA FeStA Dei chierichetti (17 NOVembre),

e in futuro se ne proporranno altre proprio per far crescere lo spirito di appartenenza all’oratorio e per far sì che le persone possano incon-trarsi e trascorrere insieme bei mo-menti di condivisione e amicizia. Nella vita frenetica di ogni giorno, non bisogna tralasciare scelte im-portanti come quella di dedicare e trascorrere un pomeriggio o una serata insieme ai nostri bambini e ragazzi all’oratorio: non può che far del bene a loro, ma anche a noi adulti e al nostro cuore! È un bel modo di dimostrare che ci si vuole bene e che ci si tie-ne al nostro Paese e alla nostra Parrocchia.

LA POrtA è APertA A tUtti, Vi ASPettiAmO!

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nsiemeIC 55Anagrafe della

comunità pastoraleVita di comunità

le nuove tovaglie per l’oratorio confezionate da anna acqua-fredda grazie alle stoffe colora-te regalate dalla signora rosa Maria Quarantini. Generosità chiama generosità; anche Fa-bio e Giulia hanno regato stoffe … un sentito ringraziamento da parte di tutta la Comunità par-rocchiale. ora non resta che … incontrar-ci per merende, pranzi e cene comunitarie!

dal 1° settembre al 30 novembre 2019

bAtteSimi Sondalo 29 settembreDal Pozzo Elisa, Mazzetta Rachele e Zanaboni Gioele

mAtrimONi Sondalo Bettegacci Claudio e Pozzi Gabriella 14 settembre Foppoli Massimiliano e Rodigari Claudia 21 settembre

FUNerALiSondalo Valmadre Sandra Caterina (anni 72) 3 settembre Massara Sefano (anni 53) 4 settembre Zappa Daria (anni 87) 13 settembre Cordelli Vincenzo (anni 78) 30 settembre Dal Pozzo Pietro Martino (anni 87) 2 ottobre Pircher Maria Luisa (anni 80) 24 ottobre Cappelletti Remo (anni 84) 14 novembre

mondadizza Sassella Anselmo (anni 73) 5 novembre

Le Prese Cappelletti Agnese (anni 85) 18 novembre

Frontale Cossi Angelina (anni 98) 7 novembre Bilatti Angela (anni 81) 28 novembre

Proposta di

un’esperienza

di formazione e servizio

per i ragazzi di

seconda e terza media

dal 26 al 30 dicembre

2019

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nsiemeIC 57calendario

di camminocalendario di cammino

VeNerDì 20 DicembreSONDALOchiesa di san Francesco ore 10:00 Confessioni ore 14:30 Confessioni per i ragazzi ore 20:00 Confessioni

SAbAtO 21 Dicembre SONDALOore 21:00 chiesa di S. Francesco Tradizionale concerto di Natale con bandainsieme e coro parrocchiale

mArteDì 24 DicembreSONDALOore 10:00 Confessioni ore 14:30 ConfessioniSONDALO, LE PRESE E FRONTALE ore 16:15 chiusura NovenaGRAILé ore 18:00 S. Messa

NOTTE DI NATALESONDALOore 21:15 raPPrESENTaZioNE NaTaliZia

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE MONDADIZZA ore 21:00LE PRESE ore 22:00SONDALO - FRONTALE ore 24:00

mercOLeDì 25 DicembreSOLENNITÀ DEL NATALE S. Messa MONDADIZZA ore 9:00LE PRESE ore 09:30SONDALO ore 10:00 FRONTALE ore 10:45

mArteDì 31 DicembreS. Messa e canto del Te DeumGRAILÈ ore 17:00SONDALO ore 18:00

Festa comunitaria di fine annoore 21:00 in oratorio

mercOLeDì 1° GeNNAiOSOLENNITÀ MARIA SANTISSIMA MADRE DI DIOS. MessaMONDADIZZA ore 9:00LE PRESE ore 09:30 SONDALO ore 10:00 FRONTALE ore 10:45

DOmeNicA 5 GeNNAiOSOLENNITÀ DELL’EPIFANIAS. MessaGRAILÈ ore 17:00

LUNeDì 6 GeNNAiOSOLENNITÀ DELL’EPIFANIAS. Messa per le famiglie e “bacio” a Gesù BambinoMONDADIZZA ore 9:00LE PRESE ore 09:30 SONDALO ore 10:00 FRONTALE ore 10:45

DOmeNicA 12 GeNNAiOFESTA DEL BATTESIMO DEL SIGNORE E BATTESIMO COMuNITARIOSONDALO ore 10:00 FRONTALE ore 10:45

Appuntamenti di inizio anno 21 GeNNAiO FeStA

PAtrONALe

la festività del santo patrono

sarà celebrata come di con-

sueto con la fiaccolata dalla

chiesa di S. Francesco a quella

di sant’agnese la sera del 20

gennaio; la mattina seguente

sarà celebrata la messa solenne

nella chiesa dedicata alla santa

31 GeNNAiO ricOrDO

Di SAN GiOVANNi bOScO

in occasione della festa di S.

Giovanni bosco che ha dedica-

to la sua vita all’educazione dei

giovani, si terrà in oratorio, dopo

la celebrazione della Santa Mes-

sa delle 18.00, un momento di

festa con cena, attività formative

e gioco.

mArzO beNeDiziONe DeLLe FAmiGLie Don Giacomo intende compiere la benedizione delle famiglie nel corso del mese di marzo. il calendario dettagliato sarà diffuso successiva-mente. la visita del parroco porta la benedizio-ne del Signore nelle case ove le famiglie vivono i momenti gioiosi e quelli difficili: nei limiti del possibile i membri della famiglia dovrebbero es-sere presenti ad attendere con gioia un momento semplice, ma significativo di preghiera comune. il parroco desidera vedere tutti, nelle famiglie e sui luoghi di lavoro. Eventuali esigenze particolari siano segnalate: ad esse sarà prestata la mas-sima attenzione.

celebrazioni dal Santo Natale all’epifania

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LUce, PAce, AmOre

la pace guardò in basso

e vide la guerra,

“là voglio andare” disse la pace.

l’amore guardò in basso

e vide l’odio,

“là voglio andare” disse l’amore.

la luce guardò in basso

e vide il buio,

“là voglio andare” disse la luce.

Così apparve la luce

e risplendette.

Così apparve la pace

e offrì riposo.

Così apparve l’amore

e portò vita.

Laurence Housman

(poeta e filologo classico inglese)

alcuni suggerimenti per un regalo di Natale. al tuo nemico, perdono. al tuo avversario, tolleranza. a un amico, il tuo cuore. a un cliente, il servizio. a tutti, la carità. a ogni bambino, un buon esempio. a te stesso, rispetto.

Oren Arnold (Romanziere, giornalista, umorista americano)


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