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Gor e la maledizione del Drago

Date post: 14-Mar-2016
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Michela Bedin, bambini 8+
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Disponibile anche: Libro: 13,50 euro e-book (download): 8,99 euro e-book su CD in libreria: 8,99 euro
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Page 1: Gor e la maledizione del Drago

Disponibile anche:

Libro: 13,50 euro e-book (download): 8,99 euro e-book su CD in libreria: 8,99 euro

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MICHELA BEDIN

GOR E LA MALEDIZIONE

DEL DRAGO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 www.0111edizioni.com 

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 www.0111edizioni.com  www.ilclubdeilettori.com 

 

   

   

   

   

   

GOR E LA MALEDIZIONE DEL DRAGO Copyright © 2011 Zerounoundici Edizioni

Copyright © 2011Michiela Bedin ISBN: 978‐88‐6307‐382‐9 

In copertina: Immagine di Roberta Ripamonti 

Finito di stampare nel mese di Settembre 2011 da Logo srl 

Borgoricco ‐ Padova 

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Dedico questo libro a tutti coloro che trovano rifugio

nel mondo della fantasia per sfuggire alla realtà.

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Capitolo 1

L’incendio Nella grande vallata ai piedi della montagna Tor c’era un paese: Nogard. Confinava a est e a ovest con prati e campi coltivati, a sud con un folto bosco, luogo di caccia degli abitanti del villag-gio, e a nord con montagne dalle vette così alte che anche nei me-si estivi, solitamente caldissimi, regnava la neve. Con il passare degli anni Nogard si era trasformato in un paese per lo più disabitato. Molte persone se n’erano andate per cercare fortuna altrove, altre erano addirittura scomparse. Le poche fami-glie rimaste non potevano avere più di un figlio, cosicché il nu-mero degli abitanti si era ridotto a poco più di un centinaio. Le case abbandonate erano oramai in rovina e nessuno si prendeva più la briga di sistemarle, poiché sarebbe stato un lavoro inutile: i vecchi proprietari non sarebbero più tornati. Ai piedi della montagna, nascosta da due alberi secolari, isolata dal resto del paese, c’era una casa costruita per metà nella roccia. Vista dall’esterno sembrava molto piccina, invece dentro la casa era ampia e molto fresca, grazie alla roccia e all’ombra degli al-beri circostanti. Dal villaggio era possibile raggiungerla solo at-traversando l’unico ponticello posto sul fiume Din. Nel periodo delle piogge questa via era molto pericolosa, poiché l’acqua del fiume in piena arrivava a scorrere sopra il ponte. La casa era abitata, da ben tre generazioni, da una delle famiglie più antiche del paese: Dan, il capofamiglia, la moglie Jo e il figlio Gor.

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Dan era un uomo alto, con una grande forza fisica, abituato a la-vorare da quando era piccolo per aiutare la famiglia, taciturno ma con una grande sensibilità. Si alzava presto al mattino per rag-giungere il suo lavoro di taglialegna nei boschi, da cui tornava so-lo a tarda sera. Jo era bionda, con gli occhi azzurri come il mare e magra come uno stecco. A lei spettava il compito di gestire la casa, di occu-parsi degli animali da cortile – oche, galline e conigli – e soprat-tutto di accudire il figlio tanto desiderato. A causa della lontanan-za dal villaggio, che impediva a Gor di frequentare giornalmente la scuola, lei stessa gli insegnava a leggere e a scrivere. Era una donna dolcissima, sempre disponibile ad aiutare il pros-simo, ma anche molto cocciuta: quando decideva una cosa, nes-suno riusciva più a farle cambiare idea. Gor era un bambino molto sveglio per i suoi dieci anni. Dal papà aveva ereditato i capelli neri e lisci, dalla mamma gli occhi azzur-ri. Aveva lo sguardo vispo di quelli che la sanno lunga e sembra-va sempre sul punto di combinare qualche guaio. Per questo la mamma cercava di non perderlo mai di vista. Spesso si annoiava perché era solo e non poteva raggiungere gli altri bambini del villaggio. Si dirigeva, allora, verso la montagna con il pretesto di andare incontro al padre. In realtà Gor desiderava fortemente avventurarsi in quella parte della montagna, chiamata dagli abitanti del villaggio “zona male-detta”. I racconti degli anziani, infatti, parlavano di persone e di animali inspiegabilmente scomparsi proprio in quella zona e da decenni ormai più nessuno osava entrarvi. Gor non aveva mai creduto fino in fondo a questi racconti, così, appena poteva, sfi-dava le sue paure oltrepassando la linea di confine tra la zona si-cura e quella vietata, sempre attento a non farsi scoprire. Quella sera era a letto e sentì i suoi genitori discutere. In punta di piedi si avvicinò per ascoltare il motivo della discussione ma sa-peva benissimo che la maggior parte delle volte ne era lui la cau-sa.

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Il padre stava dicendo adirato: «Sono certo fosse lui! Ho visto le sue impronte sul sentiero che conduce alla montagna proibita, sa benissimo che non può andar-ci!» «Ne sei proprio certo? E se era qualcun altro? Un bambino del villaggio, ad esempio? Capita che vengano a portare il pranzo al padre». «Domani mattina voglio chiarire il problema. Se era lui, a costo di legarlo a un albero, non metterà più piede su quella monta-gna!» Gor si rese conto di essere nei guai. Fin da piccino non era mai riuscito a mentire a suo padre, senza corrugare la fronte. Negli ul-timi anni capitava sempre più spesso che quella debolezza lo met-tesse nei guai. Come avrebbe fatto? Tornò a letto senza fare rumore e rimase a guardare a lungo il soffitto in attesa di addormentarsi. Era troppo preoccupato per il giorno seguente. Ma poi si addormentò. Quella notte, scoppiò un terribile temporale. Le finestre della casa vibravano al rumore dei tuoni. Gor si svegliò spaventato, aveva sempre avuto paura dei temporali e rimase lì a osservare i lampi di luce dei fulmini, con la speranza che finissero presto. A un certo punto, in lontananza sentì il suono della campana del villaggio che avvisava un perico-lo immediato. Dalla stanza dei genitori percepì lo scricchiolio del letto, segnale che suo padre si stava alzando. Lo sentì vestirsi velocemente e uscire di casa. Gor pensò che per quella volta l’aveva scampata, non aveva idea di cosa fosse accaduto ma sicuramente suo padre aveva qualcosa di più importante di cui occuparsi, che della sua bravata. Si rimise così a dormire tranquillo e il temporale era oramai lontano. A svegliarlo fu l’odore del fumo. Con il timore che fosse la sua casa ad andare a fuoco si alzò, urlando a squarciagola: «Mamma! Mamma, il fuoco! Dove sei?» «Sono qui fuori, Gor! Vieni, tesoro! Sto dando da mangiare agli

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animali. Poi ti preparo la colazione». Quando il bambino si affacciò alla porta, lo spettacolo fu scorag-giante. La montagna dietro casa era in fiamme. Lingue di fuoco alte diversi metri si levavano verso il cielo grigio di fumo e l’odore era insopportabile. La cenere trasportata dal vento era ar-rivata fino alla casa e sui prati circostanti, leggera si adagiava a terra come neve, aveva un che di inquietante. «Mamma, riusciranno a spegnerlo prima che raggiunga la nostra casa?» domandò Gor allarmato. «Non ti preoccupare, tuo padre e gli altri uomini del villaggio hanno affrontato altre situazioni simili, andrà tutto bene. Forza, andiamo a fare colazione» rispose Jo prendendo il figlio sotto braccio per dargli sicurezza. Gor diede un’ultima occhiata preoccupato alla montagna, poi se-guì la madre in casa. Mentre Jo preparava il latte, Gor la osservò e la vide preoccupata, ma per cosa? Per l’incendio? «Mamma? Cosa c’è? Sei così seria!» La mamma gli diede il latte. Si sedette davanti a lui su uno sga-bello e guardandolo dritto negli occhi chiese: «Papà pensa che tu vada nella montagna proibita. Voglio la veri-tà!» Gor sentì lo sguardo della mamma penetrargli fino nell’anima e si sentì in trappola. Sapeva di non esser capace di mentire, ma la co-sa che lo preoccupava di più, era il fatto di vedere sua madre così arrabbiata. Non riusciva a reggere il suo sguardo severo e abbassò gli occhi, tormentato per averla delusa, e spaventato per la puni-zione che gli avrebbe inflitto. A quel punto Jo non aveva bisogno di conferme e bofonchiò: «Lo sai che non vogliamo che tu salga su quel versante della montagna, è molto pericoloso. Neppure gli adulti ci vanno volen-tieri, e lo fanno solo in casi estremi. Tu sei un bambino, devi promettermi che non ci andrai mai più. Prometti!» insistette Jo vedendo il figlio indeciso. «Gor, prometti?»

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«Mamma!» «Non voglio scuse. Prometti!» «Prometto!» farfugliò Gor con un filo di voce. Gor trascorse il giorno stranamente a svolgere compiti. Teneva sotto osservazione l’incendio che non prometteva nulla di buono. La mamma aveva chiuso il capitolo, era tornata affettuosa come sempre. Gor cercò, per quanto poté, di starne alla larga. Temeva quello che avrebbe raccontato al padre al suo ritorno e come lui avrebbe reagito. Solo al pensiero si sentiva rabbrividire. La gior-nata passò lenta e noiosa. Quella sera, dopo cena, Jo ordinò al figlio di andare a letto prima del solito e lui stupito ne chiese il motivo: «Perché mamma? Non è presto?» «Non sappiamo se riusciranno a spegnere il fuoco, dobbiamo te-nerci pronti per ogni situazione». «Il papà non torna? È lì fuori da questa notte! Non gli sarà acca-duto qualcosa di brutto, vero?» chiese preoccupato. «No Gor, non ti devi angosciare, tuo padre sa quello che fa». Dal tono della sua voce capì che era in ansia. «Mamma» chiese Gor «vieni a letto anche tu?» «No! Io aspetto tuo padre. Ora vai e buonanotte». Abbracciò il figlio, gli diede il bacio della buonanotte e lo ac-compagnò a letto. Gor, per quanto fosse preoccupato, non ci mise molto ad addormentarsi. A un certo punto fu svegliato dalla voce del padre, non conosceva l’ora , ma suppose che fosse molto tar-di. Curioso si alzò ad ascoltare. «Abbiamo provato ma non riusciamo a domarlo» stava raccon-tando Dan. «Non ci rimane che spingere l’incendio verso la mon-tagna proibita; lì ci sono molte zone rocciose e forse riusciamo a circoscriverlo per spegnerlo. Ora è meglio che vada a letto, devo essere riposato prima dell’alba per dare il cambio agli uomini che stanno combattendo contro il fuoco. Buonanotte». Si diresse verso la stanza da letto zoppicando dalla stanchezza. Gli rimanevano poche ore di riposo, prima di risalire sulla mon-

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tagna a domare il fuoco. Gor tornò a letto di corsa, cercando di farlo in punta di piedi per attutire il rumore, non voleva essere scoperto. Si rese conto che la situazione era loro sfuggita di mano, l’aveva capito dal tono della voce del padre. Ora era tormentato dal fatto che volessero spinge-re il fuoco verso la montagna, lì c’era il piccolo cervo abbandona-to che aveva trovato e che da due settimane nutriva e teneva na-scosto dentro una grotta. Se il fuoco fosse arrivato fino lì che ne sarebbe stato di lui? “ Potrei parlarne alla mamma – pensò – lei ha sempre detto che bisogna aiutare chi ne ha bisogno”, ma poi, ricordando la discussione del mattino, ci ripensò. L’unica solu-zione che gli rimaneva era andarci di nascosto, prendere il picco-lo cervo e tornare prima che la mamma si svegliasse. Così si ve-stì, si rimise sotto le coperte e attese l’alba. Quando il padre si fosse alzato, lui l’avrebbe seguito. «Dan, sveglia, è quasi l’alba!» Jo svegliò il marito. «Ti ho prepa-rato del caffè bollente!» «Mi raccomando!» disse Dan seriamente alla moglie «Se le cose non dovessero andare come programmato, e dovessi notare che le fiamme si avvicinano troppo alla casa, andate al villaggio. Ho già avvisato la moglie di Gim, vi ospiterà volentieri». «D’accordo!» rispose Jo. «Tu fai attenzione, ci vediamo presto e buona fortuna». Osservò il marito allontanarsi con passo veloce verso il sentiero che conduceva alla montagna, quando sparì dalla visuale, chiuse la porta e tornò a riposare. Gor già da un po’ stava dietro la porta della sua stanza con lo zai-netto in mano, in attesa che la mamma tornasse a letto; aspettò un tempo sufficiente per permetterle di riaddormentarsi, raggiunse la cucina e silenzioso si avviò verso la porta. Per sua fortuna, la madre si era dimenticata di chiudere con il chiavistello, così, senza fare rumore, uscì in cortile. Non capiva che ora fosse, il fumo era talmente fitto da coprire completamente il cielo da non permettere neppure il passaggio dei raggi del sole,

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che si stava alzando. Gor si diresse verso la stalla accanto alla ca-sa, per prendere una corda che poteva essergli utile, e si avviò verso la montagna. A mano a mano che saliva, l'aria era sempre più irrespirabile, per sua fortuna aveva un fazzoletto, che bagnò con dell’acqua che si era portato. Se lo mise davanti alla bocca, l’avrebbe aiutato a re-spirare meglio, almeno è quello che suo padre gli aveva insegnato in casi d’incendio. Cercò di accelerare il passo per fare veloce e ritornare prima che la mamma si accorgesse della sua assenza. Raggiunta l’entrata della tana, entrò e cercò il povero cervo che, spaventato, si era messo rannicchiato in fondo alla grotta. Appena vide il bambino, gli andò incontro sbattendo spaventato gli zocco-li sul pavimento roccioso. Gor cercò di calmarlo parlandogli pia-no e accarezzandolo; cercò di portarlo verso l’uscita, ma l’animale non ne voleva sapere. Decise allora di prendere la cor-da, gliela mise al collo e lo trascinò all’esterno. Nell’altro versante gli uomini tentavano di spingere l’incendio in direzione del versante nord, molto più roccioso, con la speranza che con il terreno arido il fuoco si spegnesse, perché non erano più in grado di gestirlo. Quando uscì dalla grotta, Gor si spaventò. Era un vero inferno, il calore era insopportabile, il fumo era ovunque e gli alberi inco-minciavano a prendere fuoco. L’animale era in preda al panico, tirava con forza la corda che Gor teneva tra le mani. Lo sbatac-chiava a destra e a sinistra senza sapere dove andare. Gor non era più in grado di tenerlo e cercando di fermarlo perse l’equilibrio. Cadde a terra battendo la testa e l’ultima cosa che vide, prima di svenire, furono gli uccelli in fuga dall’incendio. Jo, al suo risveglio, entrò nella stanza di Gor per chiamarlo e rag-giungere al più presto il villaggio perché l’aria era irrespirabile, non potevano aspettare ancora, era troppo rischioso. Trovando il letto vuoto, pensò che il bambino si fosse svegliato prima di lei. Passando per la cucina si accorse che mancavano i panini dal ta-volo, incominciò ad avere un brutto presentimento. Corse fuori

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in preda al panico, sperando di sbagliarsi, ma senza risultato, Gor non c’era. Tornò in camera, e solo allora si accorse che mancava lo zaino. Con il pensiero che potesse finire nei guai, si cambiò ve-locemente per raggiungere il marito e avvisarlo dell’accaduto.

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Capitolo 2

Morgan A rianimare e svegliare Gor fu un odore intenso d’erbe. Ne rico-nobbe alcune: la malva, la menta, l’erba cipollina e il mugo. Per-cepiva però anche altri odori mai sentiti. Si rese conto di essere disteso in un letto di foglie e coperto con una pelle d’orso. Non riusciva ad alzarsi: come ci provava, gli sembrava che la stanza girasse e la testa gli faceva un gran male. «Ti sei svegliato? Volevi dormire tutto il giorno?» La voce era calma e gentile, ma non riusciva a vedere il volto dell’uomo che gli parlava. «Chi sei?» chiese Gor farfugliando. «Oh scusa! Ora arrivo e mi presento. Devo solo finire quest’infuso d’erbe che ti rimetterà in piedi». L’uomo che Gor si trovò davanti, lo lasciò senza parole. Aveva il passo deciso e la voce di un cinquantenne, ma era vecchissimo, forse il più anziano che avesse mai conosciuto; non riusciva a dargli un’età, ma sicuramente superava il secolo. La sua pelle era scura e rugosa, i pochi capelli che aveva erano bianchi e secchi, le spalle così curve che sembrava portassero un peso sulla schiena, aveva però lo sguardo di una persona sveglia e intelligente ma molto triste. Questo colpì molto Gor, sentì che era una persona molto sola. «Ehi! Ragazzo, hai perso la lingua?» lo canzonò il vecchio. Solo allora Gor realizzò che aveva continuato a osservare l’anziano senza dire nulla e si affrettò a rispondere:

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«Oh no! Io sono Gor, grazie per avermi aiutato». «Io sono Morgan. Sei stato fortunato che passavo da quelle parti, in caso contrario ora saresti un bambino alla brace. Che cosa ci facevi in quella zona? Lo sai che è proibito andarci?» «Sì, lo so! Dovevo aiutare un cervo, mio amico. Lo hai per caso visto?» chiese Gor. Poi guardandosi intorno domandò «Dove mi trovo?» «A casa mia!» rispose Morgan senza dare molte spiegazioni. Osservò la casa in cui si trovava: era piccola, di legno e aveva un’unica stanza. Alle pareti erano appesi molti trofei d’animali imbalsamati, gufi, picchi, scoiattoli, falchi e altro, il pavimento invece era ricoperto di pelli d’orso. Sul tavolo, al centro della stanza, c’erano molte ciotole di legno, l’etichetta presente su o-gnuna era scritta in una lingua che Gor non conosceva. Morgan prendeva qualcosa da una ciotola, qualcosa da un’altra e metteva tutto dentro un bollitore che stava sul fuoco. Lo vide me-scolare con un cucchiaio di legno. Dopo alcuni minuti ne versò il contenuto fumante in una tazza e l’offrì a Gor dicendo: «Vedrai che con questa tisana ti sentirai meglio. È un po’ amara, ma devi assolutamente berla». Gor accettò la tazza ringraziando, ma non trovava il coraggio di bere. Appena avvicinava la tazza alla bocca, sentiva lo stomaco chiudersi. L’odore era orribile e non osava pensare come potesse essere il sapore. Pensò “se chiudo le narici e butto giù tutto in un sorso forse non me ne accorgo” e così fece. Per poco non sputò tutto. Non era solo amaro, era terribile! Gli venne anche il dubbio di essere stato avvelenato. Come se Morgan l’avesse letto nel pensiero, gli disse offeso: «Puoi fidarti, se volevo farti del male, ti avrei lasciato dov’eri!» Gor, ignorando ciò che gli disse, continuò a chiedere: «Non ti ho mai visto al paese! Non ci vieni mai?» «È una storia molto lunga e non so se ti piacerebbe ascoltarla». «Mi sono sempre piaciute le storie» rispose Gor incitandolo a continuare.

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«Sono stato esiliato dal villaggio tantissimi anni fa. Tutti mi cre-dono morto. Venivo chiamato “lo stregone”». «Stregone? Per gli intrugli che fai?» chiese Gor sfacciatamente. «Oh scusa! Non era mia intenzione offenderti». Il vecchio fece un sorriso subdolo, con il quale mostrò gli unici quattro denti che aveva e che lo rendevano tanto ridicolo e rispo-se: «Fa niente, ci sono abituato, so che i miei infusi non sono molto buoni ma so anche che sono efficaci, o sbaglio?» «Sì! In effetti, la testa non mi gira più e posso ascoltare il tuo rac-conto. Perché sei stato esiliato?» «No! Non c’è tempo. Devi tornare a casa, i tuoi genitori saranno preoccupati. Io sono sempre qui, se tu vorrai, potrai tornare a tro-varmi, ne sarei contento e con calma ti rivelerò i miei segreti». Non aveva poi torto Morgan, solo in quel momento Gor si rese conto di non sapere quanto tempo fosse trascorso da quando era caduto nel bosco e si affrettò a chiedere: «Da quanto tempo sono qui?» «Da un po’, è quasi il tramonto». «Oh santo cielo! Questa volta sono proprio nei guai!» si lamentò Gor alzandosi velocemente dal giaciglio e correndo verso l’uscio. Aperta la porta, notò che l’incendio era stato domato, il fumo era alto nel cielo e non si sentiva più lo scoppiettio del fuoco. Si guardò attorno meravigliato, gli sembrava di essere in un angolo di paradiso. La casa era situata in una piccola radura, con un prato pieno di fiori di diversi colori. Lì vicino c’era una cascata dall’acqua limpidissima che permetteva di vedere i grandi pesci nuotare sul fondo; più a valle a circa mezzo miglio il torrente schiumava facendo un forte gorgoglio. Sicuramente c’erano delle rapide. Era impossibile percorrerlo sia a nuoto, sia in canoa. La radura era circondata dal fitto bosco e da cespugli di rovi così alti da formare una sorta di muro; non si vedevano passaggi o sentieri che portavano all’esterno. Come avrebbe fatto a uscire da lì se non sapeva neppure dove si trovava? Il vecchio intuendo i pensie-

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ri del bambino gli disse: «Non ti devi preoccupare, ti accompagno dove ti ho trovato, così saprai tornare a casa da solo». Così dicendo si diresse verso un enorme cespuglio, ne prese un ramo che girò verso destra e lo legò a una corda che era annodata a un albero lì vicino. Gor non l’aveva neppure notato. A questo punto girandosi verso il bambino gli ordinò: «Andiamo! Si sta facendo tardi». Quando Gor si avvicinò, si accorse che il ramo spostato aveva aperto un passaggio che attraversava la fitta boscaglia per un cen-tinaio di metri. Non riusciva però a vederne l’uscita, il passaggio era stretto e doveva fare attenzione perché c’erano molte spine che gli graffiavano le gambe. Arrivati alla fine, il vecchio spostò un altro ramo e si trovarono finalmente nel bosco. L’entrata fian-cheggiava un sentiero. Morgan disse: «Ora segui questo sentiero per cinque minuti e ti troverai alla grotta, non ti puoi sbagliare». «Tu non vieni?» chiese Gor. «No! Ti staranno cercando, è meglio che nessuno mi veda. Devi promettermi che non dirai ad anima viva di avermi visto. Ora ti tolgo la fasciatura che ti ho fatto, così non dovrai dare spiegazio-ni». Con mani agili tolse la benda al bambino, facendo attenzione a non fargli male, poi con voce autoritaria disse : «Ora vai!» «Aspetta!» disse Gor vedendo che il vecchio, presa la sua fascia-tura, se ne stava tornando verso il cespuglio. «Se volessi rivederti, posso usare questo passaggio?» «Perché mai un bambino vorrebbe rivedere un vecchio come me?» «Perché voglio conoscere la tua storia». «Se è davvero quello che desideri, io sono qui. Ricorda, però! Nessuno deve sapere di questo passaggio. Vedrai che quando tor-nerai a casa avrai altro cui pensare che a un vecchio». Così di-cendo entrò e richiuse dietro di sé il cespuglio senza neanche sa-

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lutarlo. Gor rimase senza parole, non gli restava che avviarsi lungo il sen-tiero nella direzione consigliata da Morgan. Il fuoco, dopo ore ininterrotte di lavoro, era stato spento con suc-cesso. Sebbene i danni fossero ingenti, perché buona parte del bo-sco era carbonizzata, gli uomini erano contenti di aver evitato che il fuoco arrivasse al villaggio. Ora la preoccupazione era un'altra, dovevano trovare Gor. Dan era riuscito a organizzare due squadre di soccorso per cercare il figlio. Trascorsero delle ore e tutti in-cominciavano a temere il peggio, l’unico indizio che avevano era un piccolo cervo legato con la corda di Gor. Era rimasto impiglia-to a un albero ma non erano riusciti a capire da quale direzione fosse arrivato perché il fuoco aveva cancellato tutte le tracce. Jo era molto preoccupata e continuava a pregare di rivedere il fi-glio sano e salvo. Ciò che la tormentava era che il giorno prece-dente, nel vedere il figlio incerto sulla promessa di non salire sul-la montagna, non aveva chiesto alcuna spiegazione. Aveva intuito che c’era qualcosa che lo turbava e avrebbe dovuto chiederne il motivo, invece di rifiutarsi di ascoltarlo; ora non si sarebbe senti-ta così spaventata e tormentata. Il cervo legato con la corda la diceva lunga a Jo, che sapeva quan-to a Gor piacessero gli animali. Sicuramente era salito sulla mon-tagna per aiutare il piccolo amico, ma ora dov’era? Che fine ave-va fatto? Perché non era insieme al cervo? Le ricerche continua-vano però senza risultati. Gor faticò a trovare la grotta che gli serviva da punto di riferi-mento, il paesaggio a causa del fuoco era cambiato e aveva diffi-coltà a orientarsi e a ritrovare la strada giusta per tornare a casa. Era preoccupato. Pensava ai suoi genitori e si sentiva in colpa, e-rano sicuramente arrabbiati e ansiosi. Che cosa avrebbe racconta-to loro? Che scusa si sarebbe inventato? Finalmente riconobbe l’entrata della grotta, nascosta da un grosso albero fumante, caduto a causa del fuoco, da lì prese il sentiero, quel poco che ne rimaneva, e si diresse verso casa. A un tratto si

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fermò. Davanti a lui sentì dei rumori che via via si facevano più vicini, cercò un albero che non era stato raggiunto dal fuoco e si nascose, in attesa di scorgere chi si stava avvicinando. Avrebbe potuto essere la squadra di soccorso mandata dal padre oppure un animale randagio infastidito dall’incendio: doveva fare attenzio-ne. “Meglio essere prudenti” pensò Gor. Riconobbe la voce del padre, prima ancora che fosse sufficiente-mente vicino per vederlo e lo chiamò a gran voce: «Papà! Papà!» «Gor! Oh Gor, finalmente!» rispose Dan. «Dove sei, figlio mio?» «Sono qui!» Gor si mire a correre e, raggiunto il padre, gli gettò le braccia al collo piangendo. «Oh! Scusa papà, perdonami se vi ho fatto preoccupare». «Non importa, ora non è il momento di parlarne» ribatté brusca-mente Dan per nascondere la commozione. Non voleva mostrare la propria debolezza al figlio, ma era stato così in pena per lui che ora sentiva scorrere il sangue nelle vene, si risentiva vivo. «Dobbiamo andare subito dalla mamma, è molto addolorata» dis-se Dan accarezzando la testa del figlio. Gor fece un salto all’indietro con una smorfia di dolore. «Ahio!» «Cosa ti è successo? Sei ferito?» chiese il padre preoccupato. «Fammi vedere!» Osservò con cura la testa del bambino. Vicino all’orecchio destro c’era un bernoccolo grosso come una patata. «Ti fa molto male?» «Un pochino!» «Riesci a camminare fino a casa? Soffri di mal di testa o altro?» Uno degli amici di Dan intervenne: «Se è necessario, possiamo costruire una portantina per portare il bambino…» «No! Non è necessario, sto bene, andiamo a casa dalla mamma,

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sto morendo di fame». Solo in quel momento si rese conto di non aver ancora mangiato. Lo zaino con le provviste dov’era finito? L’aveva scordato nella grotta o nella baita del vecchio? Era un regalo di suo padre, gli spiaceva averlo perso, sarebbe tornato a cercarlo in un secondo momento. Ora, quello che gli importava principalmente era anda-re a casa, ci avrebbe pensato più tardi con la mente lucida dove poteva averlo lasciato. La squadra si affrettò a tornare a casa, a nessuno di loro piaceva rimanere a lungo in quei boschi, ancora meno quando scendeva la sera. Quando arrivarono, Jo era sulla porta. Era rimasta lì per ore ad ascoltare ogni rumore in attesa che tornassero. Quando vide Gor accanto al padre, per poco non svenne! Non credeva ai propri oc-chi, gli corse incontro, lo abbracciò e piangendo non smise di ba-ciarlo fino a quando Dan disse: «Jo! Gor ha bisogno di una fasciatura alla testa, ha preso una bot-ta cadendo». «Oh santo cielo! Forza, entra in casa!». Velocemente prese una ciotola, vi imbevette uno straccio con acqua e aceto e lo mise sul-la ferita del figlio. «Mamma, ho fame!» piagnucolò Gor. «Ora ti prendo del pane e del formaggio». «Mi spiace tanto, non volevo farvi preoccupare, ho combinato un pasticcio» disse Gor affranto e con le lacrime agli occhi «ma l’ho fatto per un buon motivo». Sentiva gli occhi dei genitori che lo guardavano con rimprovero e continuò: «Voi mi avete insegnato ad aiutare chi ne ha bisogno, e io dovevo assolutamente dare aiuto a un piccolo cervo rimasto orfano. La situazione mi è sfuggita di mano, volevo prenderlo e portarlo a casa al sicuro prima della colazione, ma si è spaventato a causa del fuoco e mi ha spinto a terra. Sono svenuto e quando mi sono svegliato non c’era più, l’ho cercato ovunque senza risultato, poi

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il fuoco mi ha circondato». A questo punto si fermò, fece un respiro profondo e abbassò lo sguardo, non poteva menzionare il vecchio ma non voleva rac-contare bugie, decise che avrebbe narrato senza scendere nei par-ticolari. «Ho trovato un posto dove mettermi in salvo. Passato il pericolo sono tornato sui miei passi e ho trovato il papà. Quello che mi fa stare male è non esser riuscito a salvare il cervo». Vide i suoi genitori guardarsi sorridendo e chiese incuriosito: «Perché sorridete?» «Finisci di mangiare» rispose la mamma. «Ho finito, cosa c’è?» «Vieni con noi» disse la mamma alzandosi da tavola. Prendendo-lo per mano lo accompagnò nella stalla, e con grande stupore, Gor vide il piccolo cervo. «Oh! Dove l’avete trovato?» domandò Gor correndo verso l’amico abbracciandolo. «Era rimasto impigliato a un ramo con la corda, e visto il tuo sa-crificio per salvarlo, abbiamo pensato di portarlo a casa, sapeva-mo che ti avrebbe fatto piacere» disse Dan. «Grazie papà, sei il migliore» disse Gor con le lacrime agli occhi. «Non credere che questo basti per salvarti dalla punizione» pun-tualizzò Dan. «Ora tutti a letto» intervenne la mamma. «La giornata è stata lun-ga e tu Gor devi riposare». Disteso a letto, Gor poteva finalmente pensare alla giornata appe-na trascorsa. Davanti agli occhi rivide tutti gli avvenimenti acca-duti: dall’incendio al piccolo cervo imprigionato, al povero vec-chio esiliato. Perché era stato cacciato? Che cosa aveva fatto di così terribile? Cercando le risposte si addormentò. I giorni seguenti trascorsero tranquilli, la punizione che Gor si aspettava non arrivò. Nessuno tornò più sull’argomento, e di que-sto fu grato ai suoi genitori. Era certo che dietro c’era lo zampino della mamma, il papà di solito non era così magnanimo. I giorni

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passarono. Una sera sentì i suoi parlare. La mamma stava dicendo che l’avvenimento accaduto era più istruttivo di qualsiasi punizione, ma non fu proprio così. Gor non riusciva a togliersi dalla mente il vecchio Morgan e più di qualche volta cercò di chiedere informa-zioni al padre sugli avvenimenti importanti successi al villaggio in passato, con la speranza che tra questi trapelasse qualcosa sull’uomo esiliato, ma niente. Suo padre non raccontò mai nulla che gli fosse d’aiuto. Fu quasi sul punto di fare domande dirette perché non riusciva a trattenere la sua curiosità, ma poi ci ripen-sò, non voleva insospettirlo. Una notte, una delle tante che Gor passava guardando le stelle, cercando un modo per tornare sulla montagna senza che sua ma-dre se ne accorgesse, successe di nuovo: fin da quando era picco-lo, gli capitava che durante la notte sentisse dei rumori. Sembra-vano provenire dalle grandi querce che erano fuori di casa. Fino a qualche anno prima, per la paura, andava a letto con i genitori, perché credeva che da un momento all’altro gli alberi si sarebbero rotti e gli sarebbero caduti addosso nel sonno, schiacciandolo. Al-tre volte credeva fossero dei fantasmi che arrivavano a prenderlo perché si era comportato male. Il padre per tranquillizzarlo e farlo dormire gli raccontava che anche lui quando era piccolo sentiva quei rumori e che suo papà conosceva un vecchio stregone che sapeva parlare con le piante. Un giorno lo chiamò e gli domandò se per cortesia potesse chiedere cosa succedeva, se per caso fos-sero ammalati. Questi volle rimanere solo, si sedette a ginocchia incrociate a ter-ra sul prato, in mezzo ai due alberi, e rimase così per ore, a occhi chiusi. Il nonno lo osservava preoccupato dalla finestra. Quando lo vide alzarsi, gli corse incontro per sapere cosa si erano detti. Lo stregone, sorridendo, disse che non c’era da preoccuparsi. A creare tanta confusione erano le querce, perché erano molto gros-se, alte e pesanti; e ogni qualvolta sentivano la necessità di sgran-chirsi i rami, questi, poiché erano vecchi, muovendosi facevano

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rumore. Contento, il nonno regalò allo stregone l’agnellino che aveva nella stalla. Quando Gor era piccolo, si consolava ascoltando questa storia. Sorrideva immaginando quelle grosse querce allungare le loro lunghe braccia per stiracchiarsi, con dolore e tanti scricchiolii. Avrebbe tanto voluto conoscere suo nonno, ma era morto nella zona proibita quando suo padre era piccolo. Crescendo, le cose cambiarono; iniziò a dubitare della veridicità del racconto. Ogni qual volta che, per capirne di più, si avvicinava in punta di piedi, non riusciva nemmeno a uscire sul cortile che il lamento era già finito. Non per questo si arrese: visto che vicino agli alberi non vedeva mai nessuno, cominciò a scriversi la data e l’ora di ogni qual volta sentiva il rumore, per capire se c’era qualche frequenza particolare, ad esempio la luna piena, un temporale o altro, ma niente, poteva succedere di sentirlo per giorni di seguito o nulla per mesi. Assillò talmente il padre che questi si vide costretto a chiamare qualcuno per saperne di più. In effetti, quello che gli aveva rac-contato il padre non era poi molto credibile, anche perché quei rumori non sembravano scricchiolii di legna. Ma quasi un lamen-to, una richiesta di aiuto, ma da parte di chi? Un giorno che Gor era al villaggio con la mamma, Dan con l’aiuto del suo amico Gim perlustrò gli alberi palmo a palmo ma senza trovare nulla. Un vero mistero.

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Capitolo 3

Il racconto di Morgan Una mattina a Gor capitò un’occasione da non perdere. Il padre era al lavoro e la madre era stata chiamata da un anziano, per aiu-tare la moglie a preparare un dolce tradizionale per l’annuale fe-sta del villaggio, in omaggio al patrono “Dragon”. Era l’unica ad avere la ricetta originale, tramandata da generazioni, e per quanto avesse tentato di insegnare ad altre donne come cuocerlo, si so-steneva che nessuna fosse in grado di farlo buono quanto lei. Jo si avvicinò al figlio, che stava costruendo una casetta per un riccio trovato il mattino, e gli disse: «Gor, io devo andare al villaggio, vuoi venire con me?» «No, mamma! Vorrei rimanere a casa, altrimenti non riesco a fi-nire la casetta entro sera; posso?» «È da molto che non vedi i tuoi amici, la casetta la puoi finire domani. Sei sempre solo!» insistette Jo. «Io vorrei rimanere, tu vai! Non ti preoccupare, sono abbastanza grande da sapermela cavare» disse Gor deciso. «E va bene! Se sei sicuro, io vado. Cercherò di fare il più veloce possibile, ma tu fai attenzione a non cacciarti nei guai durante la mia assenza!» «Stai tranquilla, vai pure. Ciao mamma!» «Ciao tesoro!» Jo non era troppo convinta di lasciarlo. Non era la prima volta che rimaneva solo, ma dopo l’episodio accaduto, ne aveva sem-pre avuto timore. Sebbene nell’ultimo periodo si fosse sempre

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comportato giudiziosamente, temeva si cacciasse ancora nei guai. Gor osservò la madre allontanarsi con la coda dell’occhio, in mo-do che non si accorgesse della sua contentezza. La conosceva be-ne, sapeva che non era lieta della decisione di lasciarlo solo a ca-sa. Per questo quando sparì completamente dalla visuale, attese un po’ per timore di vederla comparire all’improvviso. Solo quando fu assolutamente certo che non sarebbe ritornata, prese un foglio e il calamaio e scrisse: “Cara mamma, sono anda-to a cercare dei pezzi di legno per completare la casetta, torno su-bito”. Mise il foglio sul tavolo, chiuse la porta e correndo si avviò verso la montagna proibita. Doveva fare veloce, non aveva molto tempo a disposizione. Non fu facile per Gor trovare il cespuglio. Gli passò davanti un’infinità di volte. Tentò di spostare così tanti rami che stava per rinunciare, aveva tutte le mani graffiate. Alla fine lo trovò, ed en-trò nello stretto passaggio. Non aveva idea se Morgan fosse in casa e cosa stesse facendo. Sul lato della casa che dava sul giardino, c’era una finestra e pen-sò di controllare, non voleva disturbare. Non appena si affacciò alla finestra, lo vide: era davanti a lui gi-rato di spalle e teneva in mano una bottiglia a forma di drago, il cui tappo ne era la testa. La lontananza non gli permetteva di ca-pirne il materiale, ma sembrava fatto di legno o d’osso. Teneva in mano quella bottiglia come fosse una reliquia. Dopo averla girata e rigirata più volte nelle sue mani, la accostò alla bocca e ne fece un piccolissimo sorso. Il suo viso sembrava di pietra, senza espressione, e i suoi occhi spaventarono Gor: aveva-no uno sguardo maligno, quasi di fuoco, e il sorriso che ne seguì fece accapponare la pelle al bambino. Si accucciò sotto la finestra con il cuore che batteva all’impazzata. Non sapeva più cosa fare, se bussare o tornarsene a casa; poi pia-no piano si rialzò, giusto in tempo per vedere Morgan nascondere la bottiglietta in un foro nella parete di legno. Con una tavola che s’incastrava perfettamente come un puzzle, chiuse il nascondi-

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glio: era impossibile notarlo. Prima che Morgan lo potesse vedere, Gor in punta di piedi si al-lontanò ed entrò nel sentiero, ancora indeciso sul da farsi. Quello che aveva visto l’aveva lasciato senza parole, con il respiro af-fannoso e la fronte madida di sudore. Si fece tante domande: Che cosa aveva bevuto? E perché era così segreto? E quegli intrugli che fa, sono magici? Chi è quest’uomo? È buono o cattivo? La curiosità decise per lui, e prima di cambiare idea, si diresse a passo deciso alla porta e bussò. TOC TOC «Morgan?» chiamò. Non ricevette risposta, così richiamò: «Morgan? Sono Gor, sei in casa?» Il vecchio che aprì la porta era lo stesso che aveva conosciuto, con un sorriso cordiale, la voce calda e gli occhi dolci, sembrava un’altra persona quella che aveva davanti ora. «Ciao Gor! Come stai? Ti ho aspettato per giorni, ho pensato non venissi più!» esclamò Morgan. «Ho dovuto aspettare che le acque si quietassero, non mi permet-tevano di allontanarmi» rispose Gor. «E oggi come ci sei riuscito?» «Mio padre è al lavoro e mia madre è andata al villaggio, non ho molto tempo! Devi scusarmi, ma sono venuto perché vorrei cono-scere la tua storia, me la puoi raccontare?» Morgan rise e disse: «Ti ha detto nessuno che sei sfacciato? Mi piaci! Vieni con me! Devo prendere delle erbe che mi servono con urgenza, cammi-nando ti racconto la mia storia e poi ti accompagno per un tratto di strada, in questo modo arriverai prima a casa, sai io conosco delle scorciatoie!» Gli fece l’occhiolino, raccolse un cestino e si avviò con passo de-ciso verso il sentiero di cespugli. Gor, mentre si avviava a sua volta, si girò verso la finestra, dove poco prima aveva spiato il vecchio e si accorse che l’erba era tutta calpestata; Morgan non ci

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avrebbe messo molto a capire che era stato osservato, poiché l’unica persona che conosceva il posto era lui, era meglio che gli venisse in mente qualcosa. Ora gli girava le spalle, ma quando fosse tornato a casa, se ne sarebbe sicuramente accorto. Sudava freddo, era nei guai! Preso dal panico, fece la prima cosa che gli venne in mente: corse cercando di calpestare l’erba che era già stata schiacciata in precedenza. Quando fu vicino alla fi-nestra, finse d’inciampare e da disteso con le braccia avanti schiacciò più erba che poté. Morgan rimase allibito da tale comportamento, si chiese cosa a-vesse spinto il bambino a correre così verso casa e domandò: «Gor, cosa succede? Ti sei fatto male?» Gor non sapeva cosa rispondere, doveva immediatamente pensare a qualcosa da dire. Mentre si alzava, strofinandosi le ginocchia in segno di dolore per prendere tempo, si guardò intorno, solo allora notò sotto la fine-stra una piccola aiuola con dei fiori bellissimi. Avevano la corolla viola e i petali di color azzurro, così delicati che sembravano di seta. La cosa strana era il gambo, nero con le spine e i fiori erano piccoli come margherite. Gor ne rimase pro-fondamente colpito e disse: «Sto bene. Questi fiori sono bellissimi, non ne avevo mai visti di così belli, da dove vengono? Volevo raccoglierne qualcuno per la mamma». - «Mi spiace ma non puoi, è una specie molto rara che ho trovato in una vallata non lontana da qui» rispose Morgan ta-gliando corto. «Ora andiamo, si sta facendo tardi». «Ti servono per fare qualche tisana?» insistette Gor. «No!» rispose secco il vecchio. «Andiamo!» Gor per sua fortuna non vide lo sguardo di Morgan, era infuocato, ma capì dal tono che non era il caso di insistere e lo seguì; chie-dendosi quanto poteva fidarsi di quello sconosciuto. S’inoltrarono nella foresta. Se suo padre l’avesse saputo, lo a-vrebbe legato a una sedia a vita. Più salivano e più c’era buio, il

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fitto del bosco non permetteva ai raggi del sole di entrare e Gor incominciava a sentire freddo. Se Morgan l’avesse lasciato lì, non sarebbe più riuscito a tornare a casa, sarebbe morto. Gor tentò di fare domande su dove si trovavano o dove fossero diretti, ma il vecchio non rispose mai, si domandò come facesse un uomo della sua età ad avere una simile andatura. Morgan con-tinuava per la sua strada con passo regolare. Gor aveva il fiatone e le gambe incominciavano a cedergli, inciampava in continua-zione. Morgan invece non aveva nessun segno di debolezza, e quando lo sentiva cadere si girava, gli sorrideva e continuava im-perterrito per la sua strada senza aspettarlo, così Gor era costretto ad alzarsi velocemente, se non voleva rimanere indietro. La terra era nera, bruciata e aveva un terribile odore di zolfo. Gor, a forza di cadere, assomigliava a uno spazzacamino. Finalmente Morgan si fermò e indicò con il dito davanti a loro. Il sottobosco stava finendo e si poteva vedere l’azzurro del cielo dinanzi a loro. Gor fece una corsa per raggiungere la vetta e arrivare al sole, per-ché voleva scaldarsi. Fece quel pezzetto di sentiero a quattro zampe perché era ripido. Era molto stanco e quando ne uscì rima-se senza fiato, un po’ per lo sforzo ma soprattutto perché si trova-vano in cima a una montagna, con un prato verdissimo. Tutt’intorno si poteva ammirare una catena di montagne che si ergevano, grandi e piccole, con grande maestà; quella in cui si trovavano era piatta come se qualcuno le avesse tagliato la punta. Era uno spiazzo circolare con al centro un grande sasso. Gor ne approfittò subito sedendocisi sopra. Gli sembrava di stare seduto sul trono di un re e di essere il sovrano di tutto quello che gli sta-va attorno. Il sole picchiava forte e l’aria era calda come fosse una fornace, sembrava di essere all’inferno. Gor, osservando attentamente, si accorse che di tutte le montagne che c’erano lì attorno, quella su cui era seduto era l’unica con un prato verde, le altre erano sola-mente roccia e terra bruciata. Si girava continuamente a osservare il paesaggio, non capiva dove si trovava. Le sue familiari monta-

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gne con le vette innevate da lì non si vedevano, aveva una gran sete e non c’era neppure un misero torrente dove potersi disseta-re. Raccolse un filo d’erba e notò che era secca. Non capì com’era possibile che fosse così verde; anche quella puzzava di zolfo, ma da dove veniva? Morgan era alle sue spalle e gli disse: «Non metterla in bocca e non toccarti il viso, è molto velenosa, nel giro di pochi secondi potresti gonfiarti». «Cos’è?» chiese Gor preoccupato, gettando via l’erba che aveva in mano e pulendosi le mani sui pantaloni. «È erba zolforina, in piccole dosi è utile per curare, ma in grandi quantità può uccidere. Si trova solo qui!» E così dicendo estrasse dalla tasca un sacchetto di tela e incomin-ciò a riempirlo di fili d’erba. «Dove ci troviamo? Il paesaggio è bellissimo! Da qui sopra mi sembra di essere un re!» «Infatti è cosi, hai ragione! Quel sasso su cui sei seduto è il trono di un drago, il più grande di tutti i tempi, da qui poteva controlla-re le vallate sottostanti e le montagne che gli stavano attorno per evitare che qualche nemico arrivasse fino a lui». «Un drago? Qui?» Gor era eccitatissimo, era sempre stato il suo sogno poter vedere un drago, e continuò a tartassarlo di domande. «Che fine ha fatto? È ancora vivo? Tu lo hai visto?» «Calma ! Calma! Un passo alla volta». Così dicendo Morgan si sedette vicino a Gor e con lo sguardo all’orizzonte iniziò il suo racconto: “La nostra era una terra fertile. Ogni anno il raccolto era buono e potevamo affrontare l’inverno senza problemi, fino a quando, ol-tre un secolo fa, le cose cambiarono a causa del clima. Ci furono lunghi periodi di piogge, il raccolto marcì per la troppa acqua e fu buttato, questo per due anni consecutivi, con quello che veniva salvato non si riusciva ad arrivare all’anno successivo, dovevamo attingere alle riserve che ben presto finirono. All’epoca gli anzia-ni del villaggio dissero che era un male di passaggio. Il problema fu che l’anno successivo le piogge non arrivarono per niente, e

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neppure l’anno dopo. Iniziò un periodo di siccità, gli uomini do-vevano innaffiare due volte al giorno per salvare il raccolto che ora si stava seccando. Il fiume si stava prosciugando e presto non ci fu neppure acqua da bere. Il consiglio degli anziani si radunò. Dovevano al più presto trova-re una soluzione. Dopo un attento esame arrivarono a una conclu-sione, dovevano trovare qualcuno che fosse sufficientemente for-te da poter andare a trovare dell’acqua e portarla fino a qui: un drago. Non fu facile arrivare a ciò, si sapeva che chiedere aiuto a un dra-go significava stipulare un contratto, e per quanto fossero secoli che non si faceva, sapevano che un impegno con un drago era molto pericoloso. Se per un qualsiasi motivo non veniva mante-nuta la promessa richiesta, il drago aveva il potere e la possibilità di fare una maledizione. Erano comunque tutti d’accordo, ma non sapevano come trovarlo. Si sapeva della sua esistenza anche se nessuno era mai riuscito a vederlo. Andando a cacciare o a fare legna nei boschi capitava di trovarne delle tracce. Fu chiamato Xiro, un ragazzo di circa vent’anni, figlio di grandi cacciatori di draghi o meglio, come ve-nivano chiamati, ammazza-draghi, forse lui conosceva il modo di rintracciarlo. Gli venne spiegata la situazione, e Xiro disse: «Sono secoli che non si vede un drago. Il mio sogno, da quando sono nato, è poterne uccidere uno, come hanno fatto i miei nonni. Mio padre in punto di morte mi ha detto che dovevo tenere alto il nome della famiglia trovandone uno, visto che lui non ci era riu-scito. Ora voi mi chiedete di trovarlo per i vostri servigi?» «Se non lo troviamo al più presto e lo convinciamo ad aiutarci, prima dell’inverno saremo tutti morti. Sei la nostra unica speran-za» disse l’anziano del villaggio Dargo. Xiro si mise a camminare avanti e indietro, indeciso sul da farsi, sapeva che doveva aiutare la sua gente, ma lui era un ammazza-draghi e questo loro lo sapevano, non potevano obbligarlo a fare certe scelte e chiese:

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«Se io vi do una mano a trovare il drago e ve lo porto qui, dopo aver usufruito del suo aiuto, dovrete lasciarmi libero di farne quello che meglio credo, in caso contrario non se ne fa niente». Ci fu un attimo di silenzio; gli anziani si guardarono tra loro fa-cendosi dei segni con il capo. «Va bene, accettiamo!» rispose Dargo, che non era molto convin-to, ma non avevano altra scelta. «Bene!» disse Xiro soddisfatto. Sedendosi continuò: «Non è facile trovarlo, sono anni che lo cerco e se anche riuscissi a scoprire dove si nasconde, non farei in tempo neppure ad aprire la bocca che sarei morto. C’è un’unica persona che si può avvici-nare senza correre pericolo, è il suo amico più fidato, un elfo. Devo cercarlo, non so dove si trovi, ma lo scoverò, promesso!» Così dicendo si alzò e uscì. Gli anziani non ebbero neppure il tempo di fare altre domande che era già fuori. Erano tutti preoc-cupati, non erano contenti della situazione che si era creata e non sapevano come sarebbe finita, dovevano solo sperare che tutto andasse per il meglio. Per tutto il giorno Xiro non si vide, il giorno dopo all’alba uscì dalla sua casa, vestito da guerriero, con zaino in spalla. Dargo lo vide e notando che non aveva la spada, fece un sospiro di sollie-vo: se avesse portato anche quella con sé non ci sarebbero state speranze. Xiro gli passò davanti e gli fece un saluto con il capo, il vecchio ricambiò augurandogli buona fortuna, ma non ebbe ri-sposta. Lo guardò mentre si avviava verso il bosco, il sole ancora non si era alzato e la nebbia del mattino lo avvolse ancora prima che entrasse nella boscaglia. Rimase per un po’ a guardare il pun-to dove Xiro era sparito, come avesse paura di vederlo tornare in-dietro, e poi rientrò in casa. Ci volle più di una settimana prima che Xiro riuscisse a mettersi in contatto con l’elfo. Si sentiva un idiota, andava avanti e indie-tro parlando a voce alta, chiedendo aiuto e sperando che l’elfo u-scisse dal suo nascondiglio. Una mattina fu svegliato da un buon profumo, si mise a sedere stupito. Seduto vicino al fuoco, c’era

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un esserino alto poco più di un metro, era l’elfo. «Ho preparato una tisana di mirtilli. Ne vuoi un po’?» chiese l’elfo. Xiro si alzò e si sedette di fronte a lui. «Sì, grazie!» rispose allungando la mano verso la ciotola in terra-cotta che gli porse. Fece un lungo sorso, era davvero ottima e ag-giunse: «Abbiamo bisogno del tuo aiuto». «Ti sto ascoltando!» disse l’elfo. Xiro spiegò la situazione che si era creata a causa della siccità e del pericolo di sopravvivenza che dovevano affrontare, e aggiun-se: «Vorremmo sapere se sia possibile avere l’aiuto del drago per cercare l’acqua e portarcela». In attesa di una risposta, osservò quell’essere che gli stava di fronte. Pensava fossero belli gli elfi, ma si sbagliava. Quello che aveva dinanzi aveva le orecchie a punta, i capelli, se così si pote-vano chiamare, dritti come spaghetti e duri come la canapa, il na-so era aquilino con un grosso neo sopra, le mani e i piedi (era scalzo) erano nodosi con le unghie gialle e mal curate. Xiro pro-vava un po’ di ribrezzo. Si chiese se aveva fatto bene ad accettare la tisana o se ci fosse il rischio di qualche malattia. Se, a chiudere questo quadretto, avesse avuto almeno il viso simpatico! Invece era serio e lo guardava con quegli occhietti tondi che penetravano fino nell’anima sicuramente per accertarsi di quanto fosse since-ro. Finalmente rispose: «Va bene! Parlerò con il drago: se accetterà, sarà lui a farsi vede-re, in caso contrario non cercarci più. Addio!» Raccolse le ciotoline, le infilò nelle tasche dei calzoni e se ne an-dò. Quando tornò al villaggio, Xiro fu subito chiamato dagli anziani, impazienti di una risposta che lui non aveva. Furono delusi nel sapere com’era andato il suo incontro con l’elfo. Ora dovevano solo aspettare. Passarono due giorni e sotto lo sguardo meravigliato degli abitan-

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ti di Nogard l’elfo fece il suo ingresso al villaggio. Fu Dargo ad accoglierlo, tese la mano e si presentò, l’elfo si fermò davanti a lui e, senza ricambiare la stretta di mano, disse: «Ho bisogno di un luogo dove possiamo parlare indisturbati, gui-dami. Io sono Felix». Dargo gli fece strada, seguito dagli altri anziani, verso la propria casa. Lo fece accomodare e aspettò che fosse lui a prendere la pa-rola. «Il drago Airok accetta di aiutarvi a una condizione: che lui possa diventare uno di voi e essere libero di volare nel cielo, senza peri-colo di essere ucciso». Dargo era preoccupato: come avrebbero fatto con Xiro che vole-va mano libera per uccidere il drago? Non aveva molto tempo per riflettere e prese la decisione che in quel momento considerò mi-gliore, poi con calma avrebbe affrontato gli altri problemi. In no-me di tutti disse: «Per noi va bene, accettiamo». «Non è così semplice, non basta la vostra parola, il drago vuole quella dell’ammazza-draghi, Xiro, e la sua spada». Fu chiamato subito Xiro che, sotto lo sguardo meravigliato degli anziani, accettò subito senza obbiettare per quanto riguardava da-re la sua parola, mentre fu più difficile rinunciare alla spada che apparteneva alla sua famiglia da molte generazioni. Gli anziani fecero di tutto per convincerlo, fino a quando si arrese e contro-voglia accettò. La spada fu consegnata all’elfo, che la portò con sé. Sebbene fos-se più grande di lui e pesasse moltissimo, non fece un briciolo di fatica, la sollevò come fosse una piuma e si allontanò prometten-do che il drago si sarebbe fatto vedere presto. La sera stessa, all’imbrunire, il sole fu oscurato da un enorme a-nimale, che piano e con fare elegante atterrò al centro del villag-gio. I bambini erano incuriositi e attratti dal colore argenteo delle sue scaglie. Lo splendore che emanavano, colpite dai raggi del sole che tramontava, creavano giochi di luce e piccoli arcobaleni.

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Aveva un enorme corno sul naso, e dalle sue narici uscivano pic-coli sbuffi di fumo. Gli occhi erano verdi come i prati a primave-ra; ma il suo sguardo profondo era pericoloso come un mare in tempesta. La bocca era enorme con lunghi denti bianchi e aguzzi. Le mamme terrorizzate da quell’essere gigantesco presero i loro bambini e li portarono al sicuro in casa. Dargo si avvicinò e prima ancora di presentarsi il drago disse: «Salve a te o Dargo, capo del villaggio». Dargo per un attimo rimase colpito e poi facendo un inchino ri-spose: «Salve a te o possente drago Airok, grazie di essere qui». Airok ricambiò l’inchino e aggiunse: «Per me è un onore essere qui e potervi aiutare. Ho accettato per-ché ho sentito parlare di te, della tua saggezza e correttezza». Poi alzò la testa e osservò qualcosa che stava alle spalle di Dar-go, come avesse sentito un pericolo. Il suo sguardo incrociò quel-lo di Xiro e disse: «Un po’ meno della tua. Fatti pure avanti, Xiro, abbiamo un patto da fare». Xiro si avvicinò e capì di aver sbagliato a dare la sua spada; il drago era più grande di quanto si fosse aspettato, una qualsiasi arma gli avrebbe fatto il solletico e lui aveva consegnato di per-sona quella che al momento del bisogno l’avrebbe aiutato. Se a-vesse ucciso quell’enorme drago avrebbe avuto la stima di tutti gli ammazza-draghi ancora in vita e il suo nome sarebbe stato ri-cordato negli anni a venire da villaggio in villaggio per decenni. Si mise di fronte al drago, si guardarono per un po’ con aria di sfida, nessuno dei due voleva abbassare per primo lo sguardo. Fu Xiro a parlare per primo e disse con voce decisa: «Sono pronto!» «Sento che non sei completamente sincero, ma il desiderio di aiu-tare la tua gente è forte, alza la tua mano destra e ripeti con me: Io, cacciatore di draghi Xiro…» e così ripeté le parole che Airok diceva:

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«…prometto che da oggi e nei giorni a venire non caccerò e non ferirò in alcun modo mio fratello drago Airok, anche in nome di tutti gli abitanti di Nogard». A questo punto toccò a Airok fare la promessa: «Io, Airok, prometto che da oggi e nei giorni a venire, finché la promessa sarà mantenuta, aiuterò la gente del villaggio». Airok appoggiò la propria zampa su quella di Xiro e subito si creò una sfera azzurra che avvolse le loro mani. Piano piano di-ventò rossa come il fuoco e quando svanì, sul dorso della mano dell’ammazza draghi e sulla zampa del drago ci fu un marchio, diverso per ognuno di loro. Airok sul dorso aveva impresso una spada mentre Xiro un occhio di drago.” Gor non ne poteva più. Stava scoppiando dal caldo, aveva le guance infuocate, se fosse stato in un'altra circostanza sarebbe già scappato, ma la storia era troppo interessante e non voleva inter-rompere Morgan, temeva che poi non gliel’avrebbe raccontata più e voleva sapere come finiva. Cercava di respirare con calma per rilassarsi e sentire meno caldo, ma la storia gli metteva ten-sione. Anche Morgan, che apparentemente sembrava calmo, mol-te volte tirava gli zigomi in segno di nervosismo. Morgan conti-nuò: “Dopo il patto, le cose migliorarono, gli abitanti costruirono un gran telo quadrato che passarono con la cera per renderlo imper-meabile. Con delle corde legarono gli angoli del telo alle zampe del drago, così era pronto per andare in cerca d’acqua. Ci metteva diverse ore per andare e tornare perciò non faceva più di un viag-gio al giorno; anche se l’acqua non bastava per i fabbisogni di tut-ti, dovevano accontentarsi. Questo accadeva tutti i giorni per qua-si due lune piene, poi finalmente arrivarono le piogge e Airok po-té tornarsene nella sua montagna fino all’anno dopo. Trascorsero alcuni anni e Xiro, crescendo, era sempre più arrab-biato con se stesso per aver accettato di fare il patto con il drago. Quello che proprio non gli andava giù, era di essere stato deruba-to della sua spada, unico ricordo dei suoi avi e delle loro imprese.

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Sull’impugnatura c’era una tacca per ogni drago ucciso. Non po-teva lasciarla, doveva riprenderla a tutti i costi. Una mattina pre-parò il suo zaino e partì determinato a riprendersi ciò che gli ap-parteneva.” Morgan smise di raccontare, si alzò e disse: «È ora di tornare a casa». «No! Non proprio ora! Voglio sapere cosa successe poi!» «La prossima volta, è già molto tardi e hai la faccia incandescen-te. Qui fa molto caldo. Forza, andiamo!» Così dicendo Morgan prese la via del sentiero e a Gor non rimase che seguirlo, offeso da quell’interruzione. Dovette però ammette-re che era arrivato al limite della sopportazione per il caldo. Lo scorrere delle ore gli era sfuggito. Doveva ritornare a casa il più presto possibile. Gor vide che il cestino di Morgan era ancora vuoto e gli chiese: «Hai ancora il cestino vuoto, non hai trovato quello che volevi?» «La cosa più importante l’ho presa» rispose il vecchio battendo la mano sul taschino dove aveva messo il sacchetto con l’erba zolfo-rina; e continuò: «Riguardo al resto, prima accompagno te, poi finisco il mio rac-colto». Scendere fu facile, la strada era in discesa e la fecero quasi cor-rendo. Morgan accompagnò il bambino a un sentiero e gli disse di seguirlo, era una scorciatoia, e sarebbe arrivato in un battibaleno a casa. Prima di salutarsi Gor chiese: «Quando finirai di raccontarmi cosa accadde?» «Quando vorrai!» «Appena mi è possibile torno a trovarti». E si avviò verso casa.

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Capitolo 4

L’occhio marchiato Il sentiero sbucava proprio dietro casa, Gor si avvicinò piano per vedere se la mamma era tornata. Era stato via tanto tempo, ma per sua fortuna la porta era ancora chiusa, tirò un sospiro di sollievo, aveva il tempo di lavarsi e cambiarsi i vestiti. Jo era ancora al villaggio, aveva fatto presto con il dolce, però poi era stata chiamata da un’amica prossima al parto che aveva biso-gno di assistenza. Il bambino non ne voleva sapere di nascere e la madre era sfinita. Jo non era stata capace di negare il suo aiuto, ma era in pena, si era pentita di aver lasciato Gor solo a casa. Erano trascorse molte ore e aveva timore che si fosse messo nei guai. Sperava che il bambino nascesse presto senza troppe complicazioni. Finalmente dopo qualche ora venne al mondo. Jo lo lavò, lo vestì, lo conse-gnò alla madre e si diresse velocemente verso casa. Era quasi il tramonto. Gor intanto dopo essersi preso i vestiti puliti si tuffò nel fiume. L’acqua era fredda, ma con tutto il caldo che aveva sofferto aveva l’impressione di farla evaporare. Incominciò a lavare i vestiti che indossava, non voleva che la madre vedesse come li aveva con-ciati, anche perché non avrebbe saputo cosa inventarsi. Fu diffici-le renderli presentabili, la terra solforosa non se ne voleva andare, neppure dalle sue ginocchia: dovette grattarle con così tanta forza che quasi sanguinavano. Prese l’asciugamano e si distese al sole, doveva riflettere su quello che Morgan gli aveva raccontato. Ed ecco dopo tanto tempo capitò di nuovo: quello strano lamento si fece sentire; difficilmente accadeva di giorno, si guardò in giro per capirne la provenienza, ma come sempre non capì, oramai c’era abituato e ritornò ai suoi pensieri. Avrebbe tanto voluto ve-dere un drago. Se solo fosse nato un secolo prima! E se fosse ancora nascosto da qualche parte?

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Si mise a giocare fingendo di fare il patto con il drago, alzò il palmo e fece la promessa proprio come Xiro. Poi si ammirò la mano facendo finta di avere il marchio dell’occhio. Si bloccò di colpo, il cuore incominciò a battere tanto forte che sembrava gli uscisse dal petto. Si diede un pizzicotto, forse stava sognando, non poteva crederci, aveva veramente un occhio dise-gnato sul dorso della propria mano. Non se ne era mai accorto perché le linee non erano nitide, a prima vista sembrava un’imperfezione della pelle, ma osservando con attenzione c’era disegnato proprio un occhio. Corse in casa, prese pennino e cala-maio e con l’inchiostro seguì le linee per vedere cosa ne usciva, voleva esserne sicuro. Quando ebbe finito aveva disegnato un bell’occhio di drago. Perché aveva quel disegno? Che legame a-veva lui con Xiro? Era immerso nei suoi pensieri, quando la porta si aprì. La madre era arrivata, appena vide il bambino si rilassò. Salutandolo chie-se: «Ciao tesoro, com’è andata la giornata?» Gor, troppo preso dai suo pensieri per sentirla entrare, si spaven-tò. La boccetta d’inchiostro che teneva in mano gli scivolò, ca-dendo a terra, e macchiò il pavimento. Era sconvolto. La mamma guardandolo si preoccupò e chiese: «Tesoro! Stai bene? Ti ho spaventato?» «Sì mamma, tutto bene. Scusa, ho macchiato il pavimento» rispo-se Gor cercando di sfuggire allo sguardo indagatore della mamma che insisteva: «Sei sicuro? Sei così pallido, hai la febbre?» Jo gli andò vicino per tastare la sua fronte, ma Gor si sottrasse rassicurandola: «Sto bene, mamma! Non ti devi preoccupare». Tentò di cambiare discorso. «Ora pulisco! Perché hai ritardato tanto?» «Lascia, tesoro, me ne occupo io». Jo prese uno straccio e si mise a pulire il pavimento. «Ho aiutato a partorire un bel bambino, è stata dura ma alla fine tutto si è risolto. Hanno chiesto il mio aiuto e non me la sono sen-

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tita di sottrarmi. Mi spiace di aver ritardato tanto. Ti sei annoia-to?» «No, ho passato un bel pomeriggio, non devi spiacerti, mamma. Hai fatto bene». «Ora preparo la cena, sarai affamato e tuo padre starà per arriva-re». «Oh sì! Mi mangerei un bue. Posso aiutarti?» mentì Gor. Non a-veva per niente appetito, ma non poteva destare sospetti. «Se mi aiuti mi fa piacere, così ci sbrighiamo! Vai a prendere le patate e inizia a pelarle. Così intanto mi racconti come hai passato la giornata». Se sua madre avesse saputo veramente come aveva trascorso il pomeriggio, le sarebbe venuto un colpo. Gor si trovò costretto a mentire e questo lo faceva sentire in colpa. «Non ho fatto nulla di speciale, sono andato a cercare della legna per costruire la casetta, ma non ne ho trovata, così ho giocato fuo-ri e mi sono fatto un bagno. Ho anche lavato i vestiti perché sono caduto sul fango e li ho sporcati. Temevo ti arrabbiassi vedendo-li». «Non era necessario, sono cose che succedono» rispose la mamma facendogli una carezza. Quella sera a cena suo padre e sua madre parlavano su come ave-vano trascorso la giornata. Gor aveva altri pensieri che gli ronza-vano in testa, si guardava continuamente la mano, aveva dovuto lavarsela molto bene per togliere l’inchiostro ma non era riuscito a eliminarlo completamente, non riusciva ancora a crederci. Dan chiese al figlio: «Gor come sei tranquillo stasera! È successo qualcosa?» «No papà! Tutto bene!» «Vuoi dei fagioli?» chiese Dan allungando la ciotola. «Sì, grazie!» rispose Gor. A Gor venne spontaneo osservare il dorso della mano del padre e non riuscì a trattenere un’esclamazione. «Oh santo cielo!»

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Il padre ritirò la mano, allarmato e chiese: «Che succede?» «Niente, niente!» si affrettò a rispondere Gor. «Ci stai preoccupando», intervenne la mamma «ti stai compor-tando in modo strano ultimamente». «No, niente. Mi è venuta in mente una cosa ma non è importante, state tranquilli». Dan non era convinto della risposta del bambino, aveva notato che era impallidito e gli tremava la mano, ma era inutile insistere. Si vedeva chiaramente che Gor non ne voleva parlare e allora la-sciò correre. Gor sudava freddo, aveva notato che anche il padre aveva qualco-sa sul dorso della mano. Non era riuscito a vederlo con nitidezza, ma era quasi certo che anche lui avesse qualcosa di disegnato. Perché non se ne era mai accorto? E se lo avesse avuto anche sua madre? Doveva assolutamente sapere, così le chiese la prima cosa che gli venne in mente: «Mamma, mi fai vedere l’anello che ti ha regalato papà al vostro matrimonio?» Jo guardò il marito, non riusciva a capire cosa capitasse al figlio, non le aveva mai chiesto dell’anello. Non capiva il motivo di tale domanda, ma vedendo che il marito era tranquillo allungò la ma-no verso il figlio. Gor si alzò di scatto e fece cadere la sedia. «Gor! Ora basta! Vedi di calmarti, stai esagerando!» gridò Dan arrabbiato. Gor fu pronto a scusarsi: «Scusate, ho bisogno di una boccata d’aria». Corse verso la porta prima che i suoi avessero qualcosa da obbiet-tare. Gli mancava il respiro e gli girava la testa. Com’era possibi-le che anche i suoi genitori avessero l’occhio impresso sul dorso della mano? Che legame avevano con Xiro? Per quanto si sfor-zasse di cercare delle risposte, non riusciva a trovarle. E se era so-lo frutto della sua immaginazione? Doveva assolutamente tornare da Morgan, era l’unico che poteva aiutarlo a rispondere alle mille domande che gli ronzavano in testa. Si sedette sulla panchina che

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aveva costruito suo padre: diceva che gli era utile per pensare. Quando aveva dei problemi, se ne stava lì in compagnia della lu-na e delle stelle, fumando la sua pipa fino a quando riusciva a trovare una risposta ai suoi pensieri. Dan lo raggiunse, si sedette affianco al figlio e disse: «Gor! Figlio mio! So che c’è qualcosa che ti turba, vuoi parlar-ne?» Gor non rispose, non sapeva cosa dire. Il padre continuò: «Io sono tuo padre e ti voglio bene, non farei nulla per ferirti e questo tu lo sai. Quando vorrai raccontarmi quello che succede, io sarò qui, pronto ad ascoltarti». «Grazie papà!» rispose Gor abbracciandolo. Rimase così coccolato fino a quando si addormentò. Dan lo portò a letto e gli rimboccò le coperte. Jo attese il marito e poi insieme andarono a dormire. Insieme cercarono di comprendere cosa stes-se accadendo al figlio, erano preoccupati in quanto non lo aveva-no mai visto così, ma non riuscirono a trovare una risposta. Deci-sero di aspettare che fosse lui ad andare da loro, anche se Jo af-franta piangeva: «E se non dovesse venire e finisse nei guai? Non potrei perdo-narmelo». «Non ti devi tormentare, è un bravo ragazzo, sa quello che fa. Quando sarà il momento giusto, verrà da noi, vedrai» la consola-va Dan. «Lo spero tanto» rispose Jo con voce sconsolata. «Però per un po’ non lo lascerò solo, non mi fido. Ora dormiamo, è stata una gior-nata lunga e difficile. Buonanotte». «Buonanotte» rispose Dan. Jo rimase molte ore sveglia prima di addormentarsi, aveva troppa ansia, ma poi la stanchezza prese il sopravvento. Gor il mattino seguente fu svegliato dalla mamma. Non ricordava neppure di essere stato portato a letto. Si vestì e andò al villaggio con lei, e questo si ripeté per giorni. Non lo lasciava mai solo. Gor non sapeva come fare per andare da Morgan. Al villaggio si

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divertiva perché poteva giocare con i suoi amici, mentre la mam-ma stava a chiacchierare con le sue amiche. A casa lo riempiva di compiti o doveva aiutarla a dare da mangiare agli animali. Ac-compagnando la mamma, incontrava tante persone e fece una scoperta: tutti avevano l’occhio del drago sul dorso della mano. All’inizio aveva difficoltà a riconoscerlo, ma poi divenne talmen-te bravo che gli bastava un’occhiata per vederlo. Adulti, anziani, bambini, perfino quelli appena nati, tutti erano marchiati. Sicu-ramente c’era una ragione plausibile. Appena l’aveva scoperto su se stesso e sulla sua famiglia si era spaventato, aveva pensato di essere un ammazza-draghi, ma ora vedendo che tutti l’avevano, si era tranquillizzato. Finalmente una mattina Gor fu svegliato dalla mamma: «Gor! Sono stata chiamata al villaggio per una cosa urgente, non so a che ora tornerò, cercherò di fare presto. Fai il bravo, ci ve-diamo più tardi». «Va bene, mamma! Stai tranquilla, vai pure» rispose Gor. Non diede neppure il tempo alla mamma di chiudere l’uscio di casa, che era già in piedi vestito. Aspettò una decina di minuti e poi uscì, era l’alba. La voglia di conoscere la continuazione del racconto lo spinse ad andare nella montagna, senza pensare che forse Morgan stava ancora dormendo. Se ne rese conto solo quando fu davanti alla sua porta, non osava bussare per paura di svegliarlo. Era lì, indeciso con la mano alzata, quando una voce lo fece sussultare dalla paura: «Entra pure, sono sveglio». Aprì la porta ed entrò. Morgan stava tagliuzzando minuziosamen-te delle erbe. Stava sicuramente preparando qualche tisana. «Hai avuto problemi? È passato un bel po’ di tempo dall’ultima volta» chiese Morgan senza distogliere lo sguardo da quello che stava facendo. «Sì! Non riuscivo a venire, la mamma mi teneva d’occhio. Non ho molto tempo, per favore puoi continuare il racconto?» «Sì! Approfittiamo per farci una passeggiata». Così dicendo si

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avviò verso la porta, la aprì e fece cenno a Gor di seguirlo. «Dunque! A che punto eravamo arrivati?» chiese Morgan. Gor, dallo sguardo del vecchio, ebbe l’impressione che sapesse benissimo a che punto del racconto fossero arrivati e che volesse metterlo alla prova per vedere se fosse stato attento e rispose: «Xiro voleva riprendersi la spada e partì determinato a farsela ri-dare». «Ah sì! Allora…»: “Non fu facile…”. «Aspetta!» interruppe Gor «Ho una cosa da chiederti!» «Chiedi!» «Ho notato che tutti noi abbiamo marchiato sul dorso della mano l’occhio del drago, perché?» Morgan si fermò a guardarlo e con un sorriso gli disse: «Però, sei più sveglio di quanto mi aspettassi! Non ti rispondo o-ra, avrai la risposta durante il racconto, vedrai! Ora ascolta». Così dicendo riprese il racconto: “Come dicevo non fu facile trovare la montagna del drago, e an-cor più difficile fu avvicinarsi, senza essere visto, a quello spiaz-zo di prato. Il drago teneva la spada ai piedi della sua roccia. Xiro si nascose e aspettò. Alla fine il drago sarebbe andato in cerca di cibo e lui ne avrebbe approfittato. Rimase nascosto rannicchiato dietro un sasso senza muoversi, temeva di essere scoperto. Era contro vento, ma non si poteva mai sapere se il drago l’avrebbe sentito, qualora il vento per un qualsiasi motivo avesse cambiato direzione. Passarono parecchie ore, poi finalmente Airok si mos-se. Spiegò le enormi ali e prese il volo. Xiro ne approfittò, corse verso la spada e cercò di estrarla, ma era stata piantata molto in profondità e non ci riuscì. Tentò con le mani nude di togliere un po’ di terra, fino a quando la spada incominciò a muoversi. Dopo vari tentativi la sfilò dalla terra, la afferrò con entrambe le mani doloranti, in quanto si era fatto parecchie escoriazioni togliendo la terra durissima, e ora sanguinavano. Esultante si voltò per an-darsene, ma dovette fermarsi di colpo. Airok era lì, lo osservava possente più che mai, le zampe posteriori piegate e quelle anterio-

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ri pronte all’attacco, dalle narici gli usciva un filo di fumo. Non se ne era neppure accorto di averlo alle spalle e chissà da quanto tempo. Xiro, preso alla sprovvista, non ci mise molto a mettersi in posizione di difesa e urlò: «Rivoglio la mia spada!» «Ora è mia! Fa parte del patto». «No!» urlò Xiro. «Mi appartiene da sempre, l’ho ceduta solo per-ché non ho avuto tempo di riflettere. Stai alla larga e non ti farò del male». Il drago allungò una zampa per prendere la spada, ma Xiro lo colpì ferendolo. Airok digrignò i denti dal dolore e si ritrasse. Xi-ro ne approfittò per scappare e corse dentro il bosco. Il drago, sanguinante, riprese il volo, arrabbiato con se stesso per aver sot-tovalutato l’ammazza-draghi: pensava fosse un novellino, ma si era sbagliato. Accecato dal dolore e con l’orgoglio ferito, sputò fuoco ovunque, desiderava ucciderlo. Il bosco prese fuoco, e l’incendio si diffuse velocemente. La gente del villaggio guarda-va la montagna in fiamme senza sapere come spegnerle, l’acqua era appena sufficiente per loro. Tutti avevano lo sguardo rivolto verso l’incendio, quando dal fu-mo uscì un essere grandissimo che si avvicinava a grande velocità al villaggio. Era Airok. L’anziano, ignaro di quello che era successo, gli corse incontro pensando che fosse venuto per aiutarli. Quando si avvicinò, si re-se subito conto che non era così. Il drago aveva gli occhi infuoca-ti e sulla zampa una ferita profonda da cui usciva molto sangue. Dargo preoccupato chiese: «Cosa ti è successo?» «Xiro! Il vostro caro amico Xiro!» gridò Airok infuriato. «Si è ri-preso la spada, rompendo la promessa. A causa di quel traditore, sai a cosa andrete incontro ora? Pagherete tutti». «Ti prego!» supplicò Dargo inginocchiandosi. «Non è causa no-stra, non prendertela con tutti noi. Cercheremo di sistemare le co-se. Parlerò con Xiro, sono sicuro che capirà e ti renderà la spada».

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Dargo ci provò, ma non ci furono parole che poterono convincere il drago o fermare la sua ira e, prima ancora che finisse di parlare, Airok mandò la sua maledizione, ignorando le suppliche del vec-chio: «Io drago Airok, mando la mia maledizione a tutti gli abitanti di Nogard, da qui alla fine dei loro giorni. Ogni famiglia potrà avere un unico figlio, maschio o femmina. Ogni persona porterà sul dorso della mano destra il segno di questa maledizione che passe-rà da padre in figlio per l’eternità. Appena ebbe finito di pronun-ciare queste parole, si levò una nube azzurra, che avvolse il vil-laggio e quando svanì, tutti avevano marchiato sul dorso della propria mano un occhio di drago. Airok se ne andò». Al momento la maledizione non sembrò molto severa, ma con il passare degli anni si sentì il suo peso. Nogard venne, un paio di volte, colpito da epidemie, che portarono alla decimazione delle famiglie. Chi ebbe la sfortuna di perdere il proprio figlio, cercò invano di averne un altro, ma senza risultati. Le case rimasero abbandonate, tutto questo a causa di Airok.” Gor ascoltò il racconto senza dare la sua opinione, sentiva che Morgan aveva un grande odio verso il drago, cosa che lui non ap-provava. Dopo tutto era stato il primo a essere attaccato e si era solo difeso. Morgan continuò il racconto: “Mentre Airok mandava la sua maledizione, l’elfo Felix vide il bosco in fiamme. Ebbe il terribile sospetto che qualcosa di grave stava accadendo. Corse più veloce possibile per raggiungere il villaggio, ma prima di arrivarci s’imbatté in Xiro. Quando vide che aveva con sé la spada, tutto gli fu chiaro, lo fermò e gli chie-se: «Xiro, cosa hai fatto?» «Ho recuperato ciò che era mio di diritto». «Non è stata una buona idea. Devi riconsegnarla al più presto, forse non tutto è perduto». «Non se ne parla nemmeno» rispose Xiro tenendo la spada con

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entrambe le mani per paura che gli fosse sottratta contro la sua volontà. «Hai rotto la promessa che avevi fatto e non è una buona cosa. Se riconsegni la spada e ti fai vedere pentito, forse fermerai la sua ira». Felix tentò ancora di convincerlo ma senza risultato. Xiro si mise in posizione di combattimento con la spada alzata pronto per col-pire e disse: «Se la vuoi, vieni a prenderla». Solo a quel punto Felix si accorse che c’era del sangue sulla lama della spada e gridò: «Che cosa hai fatto? L’hai ucciso? O solo ferito?» «Ferito, ma tra non molto sarà morto». L’elfo abbassò le braccia in segno di sconfitta e finse di andarse-ne. Osservò con la coda dell’occhio Xiro e quando si accorse che abbassava la guardia, con un balzo fulmineo gli si tuffò contro gettandolo a terra. L’ultima cosa che vide Xiro, fu l’elfo che rac-coglieva un sasso e con violenza lo colpiva alla testa. Appropria-tosi della spada, Felix corse dal drago per fermarlo, ma arrivò troppo tardi: la maledizione era già compiuta. Lo cercò ovunque, senza successo, decise di nascondere la spada perché era troppo ingombrante, e rallentava la sua corsa, sarebbe ritornato a pren-derla in un secondo momento. Trovò il drago nascosto in una grotta, impegnato a leccarsi la feri-ta. Cercò di avvicinarsi, ma Airok era così infuriato che tentò di incenerirlo. Tentò di parlargli per calmarlo, ma senza successo, anzi fece la cosa contraria. Il drago non ancora soddisfatto lanciò un sortilegio contro l’elfo, che scappò non prima di ricambiare, lanciando anche lui la sua maledizione, imprigionando il drago all’interno della montagna per l’eternità. Mentre scappava, si rese conto di non avere via di scampo, le mani e le gambe incomin-ciavano a irrigidirsi impedendone i movimenti e fece l’unica cosa che pensava fosse giusta: riprese la spada e si creò una barriera magica, protettiva, intorno a se stesso, prima di rimanere comple-

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tamente pietrificato.”

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Capitolo 5

L’elfo Felix Così dicendo, Morgan alzò la mano e puntò il dito di fronte a sé. Gor, fino a quel momento era talmente impegnato ad ascoltare che non aveva fatto caso a ciò che lo circondava, guardò dritto nella direzione che Morgan indicò e vide un grandissimo pioppo, sotto il quale c'era qualcosa che, lì per lì, non riusciva a distingue-re bene. Sembrava un enorme sasso. Si avvicinò, il sasso in realtà era un elfo pietrificato con una grande spada, che teneva stretta tra le braccia, come se avesse paura che qualcuno potesse portar-gliela via. Avevano camminato nel bosco e Gor non sapeva nep-pure che strada avessero fatto, ovunque a terra c'erano foglie sec-che, eccetto nelle vicinanze dell’elfo. Questi si trovava all'interno di un triangolo, se ne poteva vedere chiaramente la forma poiché al suo interno non c'era nulla, né fogliame, né legnetti, né erba e ciò permise di vederne chiaramente il perimetro con il confine circostante. Morgan disse: «Se provi a toccarlo, sei morto; già altre persone ci hanno provato lasciandoci la vita». Gor raccolse un sasso e lo lanciò all'interno del triangolo, ma an-cora prima di toccare terra si polverizzò; si sedette dinanzi all'elfo sul tappeto di foglie e si mise a osservare: notò che c'erano dei re-sti di piccoli animali che probabilmente, ignari del pericolo, si e-rano avvicinati troppo a quel triangolo magico. L'elfo aveva i ca-pelli corti, orecchie a punta, ed era poco più basso di Gor. Dall’espressione del viso trapelava una profonda tristezza, i suoi occhi erano inespressivi. Gor ebbe la sensazione di essere osser-vato e provò una grande compassione per quell’essere. Avrebbe voluto tanto aiutarlo, se solo ci fosse stata la possibilità di liberar-lo da quell'incantesimo! Guardando Morgan, capì che egli non provava il suo stesso sentimento, anzi si vedeva chiaramente che era infastidito, non ne sapeva però il motivo.

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Morgan continuò: «Io capisco un po' di magia, ma questa per me è incomprensibi-le». «Vorresti liberarlo?» chiese Gor ingenuamente. Morgan rise, Gor sentì i brividi sulla schiena, la risata era sadica e disse: «Oh sì! Certamente! Non prima di essermi ripreso la spada» e continuò «Secondo il mio parere una sola persona può recuperar-la, ci ho pensato per lunghi anni e sono arrivato all’unica conclu-sione possibile: solo a una persona speciale è permessa la possibi-lità di recuperarla». «E chi sarebbe?» chiese Gor. «Una persona d’animo nobile, una persona che per un qualsiasi motivo non è stata toccata dalla maledizione del drago. Tu dovre-sti farmi questo favore: cercare questa persona e portarla qui». «Come faccio a trovarla?» «Devi andare al villaggio e osservare a uno a uno, sia grandi sia piccini, e scoprire chi non è stato maledetto». «Questa è solo una tua supposizione. E se non trovo nessuno?» chiese Gor. «Se non trovi nessuno vorrà dire che ho sbagliato. Dovrò cercare un altro modo per recuperarla». «Perché ci tieni tanto a questa spada?» «Ho ragione di credere che il drago sia ancora vivo, nascosto o imprigionato da qualche parte sulla montagna. Quando riuscirà a liberarsi voglio essere pronto con la spada degli ammazza-draghi per ucciderlo, prima che possa fare del male. Ora, forza! Dob-biamo tornare». Gor si alzò e fece un giro su se stesso, voleva memorizzare bene quel luogo, caso mai avesse voluto tornarci, e seguì Morgan in silenzio osservando ogni piccolo dettaglio che potesse aiutarlo a ritrovare la strada, un albero particolare, un sasso o altro. Quando arrivò a casa, la madre non era ancora arrivata, andò così a sten-dersi sul letto, aveva una brutta sensazione, si sentiva triste per-ché certe cose non gli tornavano. Aveva visto chiaramente che

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Morgan odiava l'elfo, glielo aveva letto negli occhi. E perché vo-leva uccidere il drago? Si era solo difeso! In quel momento prese una decisione, non sarebbe più tornato da Morgan perché non a-veva nessuna intenzione di aiutarlo a recuperare la spada. I giorni passarono, per quanto Gor fosse fermo sulla sua decisione, quan-do andava al villaggio e incontrava qualcuno, era più forte di lui, gli osservava la mano. Tutti quelli che aveva incontrato fino ad allora, erano marchiati. Un paio di volte andò anche dall'elfo. Si sedeva lì a gambe incrociate e lo osservava, avrebbe tanto voluto sapere la sua versione della storia. Suo padre, fin da piccolo, gli aveva insegnato a non fermarsi mai alle apparenze, di non ascol-tare mai la storia da un’unica persona, solo così poteva essere ob-biettivo e trovare la verità. Ma chi avrebbe potuto raccontargli l’altra versione, se l’unico che poteva farlo era diventato un sas-so? Una notte Gor fece un sogno: “Era nel bosco a raccogliere funghi, quando sentì fischiare, si vol-tò e si trovò davanti all’elfo, gli sorrideva ma il suo sguardo era triste, e gli disse: «Solo tu mi puoi aiutare, ma devi prestare attenzione». Poi arrivava un'aquila enorme, prendeva l'elfo e se lo portava vi-a.” Si svegliò di colpo, seduto sul letto madido di sudore e con il re-spiro affannoso. Quando fu mattina, si vestì e disse alla mamma che andava a raccogliere funghi, ma in realtà andò da Felix. «Come posso aiutarti?» chiese rivolgendosi all'elfo. «A chi dovrei fare attenzione?» A quel punto sentì dei rami rompersi, stava arrivando qualcuno e, veloce, si nascose. Era Morgan. Il vecchio si mise davanti all'elfo e cominciò a parlare: «Ebbene! Hai avuto visite? So che ogni tanto viene a trovarti quello sciocco ragazzino. Molto presto la spada sarà mia e per te sarà finita per sempre». Prese un sasso e lo lanciò con rabbia verso l'elfo. Con un botto si disintegrò. Gor era rannicchiato dietro un albero, non osava nep-

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pure respirare, se lo avesse sentito sarebbe stato nei guai. Morgan se ne andò subito dopo, ma Gor aspettò un tempo che sembrò in-terminabile, aveva paura di muoversi troppo presto. Quando pen-sò che il pericolo fosse passato, si alzò, e con i cinque sensi alla massima allerta si avviò verso casa. Chi era veramente Morgan? A che rischi era andato incontro frequentandolo? Quando ci pen-sava, si sentiva accapponare la pelle. Quella sera sognò di nuovo l'elfo: “Gor era al fiume a giocare quando, dentro l'acqua, vide riflesso il volto dell'elfo. Si avvicinò per ascoltare cosa gli stava sussurran-do: «Solo tu mi puoi aiutare». «E come?» chiese Gor. «Recupera la spada e salva il drago». «Dove si trova il drago?» «Sei bravo! Troverai il modo di scoprirlo da solo! Fai attenzione a Morgan». «E la spada? Come faccio a prenderla senza essere fulminato?» «Abbi fiducia» rispose l’elfo e il volto piano piano si disciolse nelle acque del fiume. Gor aveva bisogno ancora di risposte, si mise a chiamarlo a gran voce, gridando: «Aspetta! Aspetta, non devi andare!». Si svegliò, suo padre gli era vicino. «Stai bene?» «Tutto ok. Solo un brutto sogno». «Vuoi raccontarlo?» «Domani» rispose il bambino e si rimise a dormire. Gor il mattino dopo si svegliò tardi, si sentiva sfinito. Tutta la notte aveva sognato draghi, elfi e uomini che volevano ucciderlo. A lungo pensò a ciò che Felix gli aveva detto in sogno, e arrivò a un’unica conclusione, doveva provare a recuperare la spada. A-veva paura di morire, ma l'elfo gli aveva detto di avere fiducia, doveva tentare. Per paura di non tornare, scrisse una breve letteri-

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na alla mamma dicendole quanto le voleva bene e si avviò verso la montagna. Questa volta non seguì il sentiero, lo fiancheggiò camminando all’interno della boscaglia. Fu più faticoso perché c'erano parecchi cespugli di spine e doveva girarci attorno. Aveva paura di incontrare Morgan. Non si sentiva più al sicuro con lui, c'erano troppe cose che non gli tornavano, e poi non voleva che s'impadronisse della spada. Quando arrivò dall'elfo, rimase per un po' nascosto per essere sicuro che Morgan non fosse nei paraggi. Uscì dalla boscaglia, si fermò davanti a Felix, e gli disse parlando piano: «Mi hai detto di avere fiducia. Io ho fiducia in te; tu ne hai in me? Lo sai, vero, che non ti farei mai del male?» Così dicendo si avvicinò. Tese la mano piano per prendere la spada. Quando arrivò al perimetro nel triangolo, chiuse gli occhi aspettandosi il peggio. Con grande stupore si di toccare qualcosa di freddo. Aprì gli occhi. Stava toccando l'elfo. Con calma diresse la sua mano verso la spada e con dolcezza la sfilò. Pesava moltis-simo, la stese a terra e s’inginocchiò di fronte a essa, la osservò a lungo. Era perfetta, lucida, e senza nessun segno di ruggine, seb-bene fossero passati molti anni. C'erano però delle macchie rosse, sembrava sangue, forse era quello del drago ferito da Xiro. Con l'indice della mano lo toccò, era fresco come se fosse stata appena usata. In quel momento prese una decisione, si alzò, prese la spa-da, la rimise al suo posto tra le braccia dell'elfo e disse: «Nessuno sa proteggerla meglio di te! Ti ringrazio di avermi scel-to, ma non so se sarò in grado di usarla nel modo giusto e di na-sconderla bene, la affido ancora a te fino a quando non mi sentirò pronto». Tornò a casa. Il giorno dopo andò dal padre e gli disse: «Papà! Hai tempo per me o hai cose più importanti da fare?» «Volevo andare al fiume a pescare, potresti venire con me, se ti va!» «Ho bisogno di parlarti, ma è una storia lunga». «Ok! I pesci non scappano, posso andarci anche domani.» rispose

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Dan e aggiunse «Vieni, andiamo a sederci sotto l'albero». Sotto uno dei due alberi c'era una radice che usciva dal terreno, era così grande che si poteva usare come sedia, così si sedettero e Dan disse: «Sono tutto tuo, ti ascolto». Gor fece un gran sospiro, doveva assolutamente parlare con lui, ma aveva anche paura. Disse: «Papà, voglio essere sincero con te, ho fatto delle cose di cui non mi sento molto fiero. Vi ho mentito; ma ho bisogno del tuo aiuto, ti prego! Anche se ti sentirai deluso o ferito, cerca di capirmi e di aiutarmi». Gli occhi di Dan si fecero severi e rispose: «Farò del mio meglio, promesso». Gor abbassò gli occhi e incominciò il racconto. Iniziò da quando era andato a liberare il cervo e di com’era stato salvato da Mor-gan. Raccontò del drago, dell'elfo e per ultimo della spada che era riuscito a estrarre. Ogni tanto Dan lo interrompeva per chiarire dei dettagli. E per finire Gor gli disse della paura che aveva di Morgan, del fatto che sentiva che c'era qualcosa che non quadra-va in lui. Solo alla fine alzò lo sguardo verso il padre, e si stupì nel notare che non era arrabbiato, ma molto preoccupato. Da quando era nato Gor, aveva cercato in tutti modi di tenerlo lonta-no dalla maledizione del drago, ma a quanto pare, dal destino non si può scappare. Guardò il figlio, era cresciuto ed era più maturo di quanto credesse. Era giunto il momento di dirgli come stavano davvero le cose: «Sebbene tu abbia fatto delle cose per le quali meriteresti non una punizione, ma cento, capisco perché hai fatto certe scelte. Ora devi fare una promessa, ma la devi mantenere. Gor, il nostro futu-ro è nelle tue mani». «Che cosa stai dicendo?» chiese Gor. «Non capisco di che cosa parli». «Ascoltami bene! Certi avvenimenti sono veramente andati così, come ti ha raccontato quel vecchio, ma non è stato del tutto since-

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ro. Alcune cose non le so neppure io, e poiché non voglio farti confusione, devi promettermi che fino a quando non avrò raccolto tutte le informazioni che servono per schiarirti le idee, non andrai più nel bosco. È pericoloso. Non mi fido di quell’uomo». «E chi ci darà le risposte che ci servono?» «Le chiederò al vecchio guaritore. Ci andrò, il più presto possibi-le». Dan avrebbe voluto recarsi quello stesso giorno dal guaritore Zorda, ma abitava lontano, oltre il villaggio, verso sud, dopo i campi coltivati e avrebbe impiegato molte ore per andare e torna-re. Il tempo si stava mettendo al peggio, dei nuvoloni neri da temporale si stavano avvicinando e non promettevano nulla di buono, decise allora di rinviare la visita. Proprio quella sera in-cominciò a piovere a dirotto, piogge, tuoni e fulmini scatenavano a terra la loro ira. E il fiume s'ingrossò tanto che Dan con l'aiuto di Jo e di Gor mise dei sacchi pieni di terra sugli argini per pro-teggersi da un’eventuale fuoriuscita d'acqua. La loro casa si tro-vava sotto la montagna, era protetta ma l'orto e gli animali sareb-bero stati travolti dall'acqua. Per due giorni le cose non cambia-rono, la pioggia continuò inesorabilmente a scendere. Furono co-stretti a lavorare sodo, costruirono un recinto provvisorio ai mar-gini del bosco, per ospitare gli animali. La notte era impossibile dormire, il fiume ruggiva la sua furia e i cavalli non smettevano di nitrire. Dan spesso usciva per assicurarsi che tutto andasse be-ne e per calmare gli animali, la paura di essere travolti nel sonno era motivata. La sera del terzo giorno finalmente nel cielo si co-minciò a vedere qualche sprazzo di sereno. Ci vollero un paio di giorni prima che le acque incominciassero a ritirarsi e il paesag-gio era sconcertante. Il raccolto non esisteva più, al suo posto vi era solo terra e fango. Alcuni alberi erano inclinati dalla forza della corrente, indeboliti dalla terra troppo carica di acqua, Dan dovette abbatterli perché pericolosi. C’era tanto lavoro da fare per rimettere tutto a posto: c’era il recinto degli animali da rifare, si-stemare l’argine del fiume che in alcuni tratti aveva ceduto e il

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campo da ripulire dai detriti che il fiume in piena aveva portato. I giorni passarono veloci. Una notte Gor si svegliò e quello che vi-de lo spaventò moltissimo: alla finestra della sua camera c'era qualcuno che lo stava osservando, era Morgan. Il bambino rimase immobile per la paura, e poi perché non voleva che Morgan sa-pesse che l'aveva visto. Finse di dormire, ogni tanto apriva un oc-chio per controllare se fosse ancora lì. Molti pensieri gli passaro-no per la testa, si chiese perché Morgan fosse arrivato fino alla sua casa , e temeva potesse fare del male ai suoi genitori. Non riuscì più a dormire, le ore passavano lente. Quando vide che fuo-ri stava schiarendo, corse nella camera del padre e gridò: «Papà! Papà! Oh, che paura ho avuto! Questa notte alla mia fine-stra c'era il vecchio Morgan che mi osservava». «Perché non hai chiamato?» «Avevo troppa paura. Perché si è spinto fino qui?» «Ha bisogno di te». rispose Dan. «Papà, ti prego, non andare a lavorare oggi. Non lasciarci soli!» «No! Oggi vado da Zorda, ma non vi lascio qui da soli, non mi fido. Vi accompagnerò al villaggio e rimarrete da Gim fino al mio ritorno». Jo non sapeva come stavano realmente le cose, Dan aveva deciso di non dirle tutto per non preoccuparla. Faticarono a convincerla, non voleva andare al villaggio perché aveva ancora molte cose da sistemare dopo l’alluvione ma Dan insistette tanto che dovette ar-rendersi e seguirli. Dan accompagnò Jo e Gor a casa di Gim, e li lasciò in compagnia della moglie. Il marito era andato al lavoro ma Morgan non avrebbe raggiunto il villaggio di giorno, per cui Dan andò a far visita a Zorda. Gli ci volle un po' per andare e tor-nare, la strada era lunga e la pioggia aveva reso difficile il cam-mino.

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Capitolo 6

La verità Zorda era molto anziano e conosceva molte cose avvenute nel passato. Le gambe avevano difficoltà a reggerlo e così non poteva più andare al villaggio per curare le persone, oltretutto era così affezionato alla propria casa che non voleva trasferirsi. Ogni giorno un uomo andava da lui portando la lista delle persone che stavano male, elencando i vari sintomi, e Zorda preparava le me-dicine per ognuno. Jo gli aveva fatto da assistente prima di cono-scere Dan, per cui spesso era chiamata per aiutare i malati che non sapevano come usare le erbe date dal guaritore. In cambio i malati gli portavano da mangiare, perché era troppo vecchio per riuscire a cacciare o coltivare. Zorda fece accomodare Dan e a-scoltò in silenzio le sue parole; alla fine gli disse: «Tuo figlio sta giocando con il fuoco, è una fortuna che non si sia ancora scottato. Devi stargli vicino perché è piccolo, ed è nei guai fino al collo. Ora ti racconterò come andarono realmente le cose, poi spetta a te prendere una decisione su come affrontare il pro-blema». «Alcune cose le conosco, sono pronto a sentire il resto». Così dicendo rimase ad ascoltare, sbalordito e preoccupato, il racconto di Zorda. Alla fine riprese la strada che portava a No-gard cercando di camminare il più veloce possibile. Sapeva che Gor era impaziente di sapere e altrettanto lo era lui di raccontare. Arrivò a casa dell'amico Gim che era buio pesto e ne chiese ospi-talità. Gor fu felice di trascorrere la notte al villaggio, Gim e la moglie avevano un figlio della sua età. Giocò tutto il giorno, tanto da scordare la visita del padre da Zorda. Dan pensò che fosse meglio così, vedere suo figlio felice e spensierato lo rilassò. Pensò che un giorno in più non avrebbe cambiato la situazione. Mentre fumava la pipa con il suo amico Gim, Dan spiegò tutto quello che sapeva,

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dal racconto di Gor a quello di Zorda: aveva bisogno di togliersi il peso che aveva nello stomaco. Gim concordò con lui sul fatto che le cose si stavano mettendo male per Gor, era solo un bambi-no, per cui non sarebbe stato facile affrontare le difficoltà a cui stava andando incontro. Si chiesero se fosse in grado di affrontare tutto questo. Anche il mattino seguente Dan non andò al lavoro, doveva assolutamente parlare con Gor, non sapeva da dove co-minciare e decise di tornare dal vecchio Zorda, sicuramente l'a-vrebbe aiutato. Partirono presto pensando che Gor avesse diffi-coltà a fare una così lunga camminata; invece, con grande stupore di Dan, arrivarono senza fare alcuna sosta. Zorda fu felice di ri-vedere il bambino che non vedeva da quando era nato. Si sedette-ro sotto l’ombra di un cipresso e Zorda incominciò: «Tuo padre mi ha riferito tutto quello che il vecchio Morgan ti ha raccontato, ma le cose non sono andate proprio così. Ora faccia-mo un passo alla volta: se non capisci, fermami pure e chiedi. Va bene?» Gor annuì, e Zorda continuò: «Come va in grammatica? Sei capace di anagrammare il nome del nostro villaggio Nogard?» Il bambino rimase in silenzio per un po', solo un piccolo movi-mento delle labbra dimostrava che stava analizzando la parola, poi i suoi occhi s’illuminarono e disse: «Dragon! Non ci avevo mai fatto caso!» Zorda riprese: «Se unisci il tuo nome a quello di tuo padre e anagrammi anche quelli, cosa ne esce?» Il bambino era preso dall'euforia e fece più veloce di quanto pen-savano: «Dragon! Di nuovo! Che vuol dire?» «Tu e tuo padre siete discendenti dei cavalieri del drago, da secoli i vostri nomi si ripetono da padre in figlio, tuo nonno si chiamava Gor, e il tuo bisnonno Dan». «E se nasceva una femmina?» chiese Gor stupito.

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«Non è mai accaduto». Gor non poteva credere alle proprie orecchie, lui Cavaliere dei draghi, l'aveva sempre sognato ma non avrebbe mai pensato di esserlo. Dan era sulle spine, fumava la sua pipa e osservava il bambino pensando a quale fosse il suo futuro. Zorda continuò: «Eviterò di raccontarti tutto dall'inizio, ti dirò solo le cose che non sono vere. Prima di tutto devi sapere chi sono. Il mio nome è Zorda e il mio bisnonno era il capo del villaggio, Dargo. Voglio chiarire subito la fonte delle mie informazioni. Le cose che ora ti dico sono passate da padre in figlio fino ad arrivare a te. Non è mai esistito un uomo di nome Morgan al nostro villaggio». «Sì!» rispose Gor a gran voce. «Io l’ho conosciuto!» «No Gor! Io e tuo padre ne abbiamo parlato, al momento non ca-pivamo chi potesse essere, ma poi abbiamo capito. Morgan in re-altà è Xiro!» «Non è possibile, vi sbagliate! Se fosse Xiro avrebbe oltre il seco-lo, non è possibile!» Gor incominciava ad agitarsi. Zorda gli prese le mani e guardan-dolo negli occhi gli disse: «Guardami Gor. Questa è la verità, lui non poteva esporsi troppo con te. Sa chi sei, e voleva il tuo aiuto per riprendere la spada e trovare il drago. Se te la senti, continuo; in caso contrario, la-sciamo le cose come stanno». «Gor sei arrivato fino a qui, hai sentito quello che Morgan ti ha detto, ora devi sentire l'altra versione del racconto e trovare la ve-rità» disse Dan. Gor annuì, non aveva più parole. Osservò il paesaggio. La casa di Zorda era circondata da prati e campi, le montagne erano così lontane viste da lì. I suoi pensieri erano in quei boschi, alla casa di Morgan, all'elfo e al trono del drago sopra la montagna male-detta. Voleva sapere e ascoltò: «Come tu sai, ci furono grandi siccità e fu chiamato un elfo per cercare il drago. Fu chiamato perché il tuo trisavolo si era dovuto allontanare dal villaggio. Lo avevano aspettato a lungo, ma ve-

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dendo che non tornava si erano trovati costretti a fare diversa-mente. In caso contrario sarebbe andato il tuo antenato dal drago; comunque non tardò molto a tornare, e fu lui in groppa al drago a cercare l’acqua per il villaggio. Il tuo avo, che si chiamava come te, e Airok erano una cosa sola fino a quando Xiro non si riprese la spada, ferì Airok e uccise Gor. Per questo Xiro è stato allonta-nato dal villaggio o meglio è scappato. Come avrai visto, Xiro sa usare bene le erbe ed è capace di fare pozioni che pochi conosco-no; se poi aggiungi che sa usare anche la magia, ti renderai conto che è un nemico temibile. Capitò a me, un giorno passeggiando in cerca d’erbe medicinali, di incontrarlo nel bosco. Per quanto non lo avessi mai visto, non ci misi molto a riconoscerlo, e il suo vol-to mi rimase impresso. Mi era stato descritto così bene che ci misi un attimo a capire chi avevo davanti e sperai di non vederlo più. Non capivo come potesse essere ancora vivo. Tornato a casa, pre-si i libri avuti in eredità da mio padre e trovai su uno di essi una ricetta per fare un elisir di lunga vita. Servivano delle erbe specia-li, che personalmente non ho mai visto, e sangue di drago, che, come tu sai, sono animali che vivono molto a lungo. Ho pensato che fosse riuscito a fare la pozione, e ora ne ho la conferma». «Dove avrà preso il sangue di drago? Significa che ha ucciso Ai-rok?» chiese Gor preoccupato. «No! Non credo! Penso che fosse riuscito ad avere un po' del suo sangue quando l’ha ferito, ne bastano poche gocce» rispose Zor-da. «Mi sai dire che tipo di erbe servono per la pozione? Un paio di volte sono andato con Morgan, scusa Xiro, a raccoglierne». «A parte il sangue di drago e alcune erbe tradizionali che io cono-sco molto bene, ne servono due tipi che mi sono rimaste impres-se, ma non ho mai visto. Una è verdissima con un grande odore di zolfo, infatti è chiamata erba zolforina. L'altra ha dei fiorellini piccoli con la corolla viola, i petali azzurri e il gambo nero con le spine, che vengono chiamati: i fiori della vita». Gor che era seduto si alzò di colpo e disse:

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«Li ho visti e so dove sono! I fiori li tiene in una piccola aiuola dietro casa, mentre l'erba si trova ai piedi della roccia del drago. C'è una cosa che non ti ho detto, papà» disse Gor rivolto a Dan. «Quando sono andato a casa di Xiro, l'ho visto bere da una botti-glietta a forma di drago. Dopo aver bevuto, i suoi occhi si sono fatti rossi, infuocati, ne ho avuto paura». «È come pensavo» lo interruppe Zorda. «Secondo il mio parere sta finendo la pozione e ha bisogno di te per cercare il drago. Sei l'unico che lo possa trovare». «Io? E come faccio?» chiese Gor. «Nessuno sa dove sia. Spetta a te sapere dove trovarlo e anche come, sei il nuovo cavaliere!» «Io? Non potresti essere tu, papà? Anche tu sei un cavaliere» dis-se Gor e preoccupato aggiunse «Xiro potrebbe farmi del male? L'ho visto fuori dalla finestra della mia camera, ho paura». Il padre rispose con dolcezza: «Per quanto vorrei essere io il nuovo cavaliere, non è così. Sei riuscito a estrarre la spada senza che ti succedesse qualcosa di male, questo dimostra che sei il prescelto. Per quanto riguarda Xi-ro, sì! Potrebbe fare del male a tutta la famiglia. Gli servi per tro-vare il drago, e farebbe qualsiasi cosa per obbligarti ad aiutarlo. Di questo però non ti devi preoccupare, ho già provveduto, ci tra-sferiamo al villaggio, saremo al sicuro, fino a quando non trovia-mo il modo di fermarlo». Gor rispose: «Xiro non sa che posso estrarre io la spada, lui pensa che ci sia qualcuno senza marchio». Dan vedendo l’ingenuità del bambino provò compassione e spie-gò: «Gor tesoro! Xiro ha sempre saputo chi fossi e ti ha raccontato delle bugie. Voleva incuriosirti e spingerti ad arrivare da solo a certe conclusioni. Sa che sei in gamba e averti avuto come alleato l’avrebbe aiutato. Ti ha messo alla prova, è stato astuto». Gor si sentiva tradito e offeso. Come aveva potuto essere tanto

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sciocco? Zorda prevedendo i suoi pensieri gli disse per consolar-lo: «Non devi sentirti in colpa. Xiro ha un secolo più di te, è naturale che sia più furbo». Gor dispiaciuto disse: «Oh, papà! Mi spiace tanto; non volevo crearti tutti questi pro-blemi. Non avrei mai creduto che finisse così». Si prese una pau-sa per pensare e poi chiese «Ma perché la montagna è considerata maledetta?» A rispondere fu ancora Zorda: «Molte volte è capitato che alcune delle persone che si erano i-noltrate nella montagna per fare una passeggiata, non facessero ritorno. Le sparizioni ci avevano spaventato, convincendoci che ci fosse qualche maledizione. Ora tutto è chiaro. Probabilmente si erano imbattuti in Xiro, che per timore di essere scoperto deve aver provveduto a farli sparire… non poteva permettere che avvi-sassero il villaggio del loro incontro». «Ora non ci pensare, devi finire di ascoltare il racconto. Zorda, puoi continuare» disse Dan facendo un cenno all’anziano. «Xiro ti ha raccontato che Airok ha fatto una maledizione all’elfo, non è così? Anche se era ferito, perché avrebbe dovuto far del male a un amico? La verità è questa»: “Dopo aver preso la spada, Felix la nascose e cercò il drago. Lo trovò ferito in una grotta e decise di fare un incantesimo per te-nerlo in salvo, temeva per la sua vita. Sarebbe tornato a liberarlo in un secondo momento. L’incantesimo consisteva in una formula magica, che sigillava l’entrata alla grotta per chiunque, all’infuori di lui. Era un segreto grande da tenere tutto per sé e decise di dir-lo al cavaliere del drago, il tuo antenato. Lo cercò, ma quando lo trovò, era già morto. Xiro era ancora lì e gli disse: «Sei arrivato tardi. Se non desideri fare la stessa fine, è meglio che mi dici dove si trova il tuo drago». «Non te lo dirò mai» rispose Felix. «Questo lo vedremo».

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Felix tentò di scappare ma qualcosa lo colpì. Non ci mise molto a capire che Xiro gli aveva fatto un incantesimo, a ogni passo si sentiva sempre più pesante, mani e piedi incominciavano a para-lizzarsi. A quel punto fece la cosa che pensava più ovvia. Con fa-tica raggiunse il nascondiglio della spada, la tenne stretta a sé e con le poche forze che gli rimasero fece un incantesimo per pro-teggere se stesso, subito dopo diventò una statua di pietra. Pochi sanno che quando il tuo avo è stato portato a casa per la sepoltura, nascosto in una tasca, fu trovato un ciondolo, che secondo il mio bisnonno, Dargo, gli era stato dato da Felix un attimo prima di es-sere colpito dall’incantesimo. Tuo padre era solo un bambino quando gli è stato consegnato con la promessa che l’avrebbe cu-stodito in segreto fino a quando ce ne sarebbe stato bisogno. Pen-so sia arrivato il momento di tirare fuori questo tesoro e conse-gnarlo a te. Secondo il nostro parere quel ciondolo è la chiave per trovare il drago”. Dan si mise le mani in tasca ed estrasse una collanina con appeso un ciondolo a forma di occhio. Lo stesso occhio disegnato sui dorsi delle mani. Gor allungò la mano per prenderlo, voleva ve-derlo bene. Quando le sue dita si chiusero sul ciondolo, questo cambiò colore, diventò rosso con sfumature gialle come lingue di fuoco. Rimasero a osservare quei giochi di luci a bocca aperta, ora ne avevano la conferma, Gor era il prescelto. Lo indossò con la promessa di non toglierselo mai più, era certo che gli avrebbe portato fortuna. Xiro era preoccupato, qualcosa stava andando storto. Perché il bambino non era tornato da lui? Aveva pensato che si fosse am-malato e aveva atteso, ma niente. Poi, quando vide delle orme vi-cino all’elfo, aveva capito che il bambino lo stava evitando di proposito. Mai, da anni, si era avvicinato tanto a una casa, ma do-veva farlo, era l'unico modo per parlare con il bambino. Doveva convincerlo a tornare perché era l'unico che potesse aiutarlo. Per questo una notte osò arrivare fino alla finestra della sua came-ra. Era tardi e il bambino dormiva profondamente. Aveva ripro-

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vato il giorno seguente, ma inspiegabilmente la casa era disabita-ta. Ora si stava preoccupando, la pozione era quasi finita e del bambino non c’era traccia. Doveva trovarlo a ogni costo e portar-lo con sé, con le buone o cattive maniere. Decise che quella sera stessa si sarebbe recato al villaggio, per scoprire dove si fosse na-scosto. Avrebbe dovuto prestare attenzione perché, se qualcuno lo avesse visto e intuito chi fosse, tutto sarebbe andato perduto. Non aveva idea di dove andare a cercarlo, ma decise che avrebbe fatto un giro del villaggio per farsi un'idea. Erano molti anni che non ci andava e doveva capire com’era strutturato per sapere da dove i-niziare. Si vestì da mendicante per passare inosservato e incomin-ciò il suo giro. Quando arrivò alla zona sud, verso i campi, vide arrivare Gor con suo padre. Era stato fortunato! Li osservò men-tre si avvicinavano, dovevano aver percorso molta strada perché erano impolverati e stanchi. Xiro capì all'istante dove potevano essere andati. Solo una persona abitava da quelle parti, era Zorda, l'unico uomo che poteva dargli dei problemi. Sapeva tutto di lui. Se Gor e suo padre erano andati fino a lì, ora sapevano la verità, e a lui non rimaneva che tornare a casa e traslocare al più presto. Senza farsi vedere entrò nel primo vicolo che trovò, attraversò il paese a passo deciso verso la montagna. Gor era stanchissimo, non riusciva neppure a camminare. La strada era lunga e le notizie che gli erano state date l'avevano scosso. Il villaggio oramai era vicino, durante il ritorno lui e Dan non avevano neanche aperto bocca. Dan pensò che fosse meglio aspettare che il figlio analizzasse da solo le cose che gli erano sta-te raccontate e con calma il giorno dopo gli avrebbe parlato. Non aveva neppure informato il bambino della sua intenzione di anda-re a catturare Xiro con l'aiuto di alcuni amici. Saperlo in libertà non lo faceva sentire al sicuro, era preoccupato per la sua fami-glia. Girandosi verso Gor, vide che ciondolava dalla stanchezza. Senza neppure chiedere, lo prese in braccio, Gor abbracciò suo padre con entrambe le braccia e prima ancora di arrivare a casa si addormentò. Dan mise a letto il figlio e decise che era arrivato il

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momento di informare Jo di quello che stava accadendo. Chiese all’amico di vegliare su di lui e andò a fare una passeggiata con la moglie. Le raccontò tutto. Jo non la prese bene, era più che pre-vedibile, pianse a lungo in silenzio abbracciata al marito. Dan disse: «Andrà tutto bene, te lo prometto». «Veglia su di lui». «Non lo lascerò mai». Tornarono a casa. Jo dormì su una sedia vicino al letto di Gor. Voleva stargli vicino. Gor durante la notte fece vari incubi, urlò e pianse. Quando la mattina si svegliò, vide addormentata accanto a sé la madre. Capiva la sua preoccupazione, la abbracciò forte e dandole un bacio sulla fronte le disse: «Ti voglio bene mamma». «Anch'io tesoro» rispose la mamma svegliandosi. «Non ti devi preoccupare, si sistemerà tutto» cercò di rassicurar-la. «Prometti solo che farai attenzione e terrai tuo padre sempre in-formato delle tue azioni, in modo di avere un aiuto». «Te lo prometto». Rimasero abbracciati parecchio; poi andarono a fare colazione in cucina. Dan quella mattina andò al lavoro, doveva parlare con gli uomini. Furono tutti d'accordo ad accompagnarlo quella sera stes-sa. Rimaneva il fatto che non sapevano dove fosse il passaggio, e così durante l'orario di pranzo Dan tornò al villaggio e parlò con il figlio: «Gor, devi spiegarmi dove si trova con esattezza il passaggio per la casa di Xiro». «Perché, papà?» «Dobbiamo, se possibile, catturarlo». «Papà! È pericoloso! È in grado di fare magie. Potrebbe farti di-ventare una statua come Felix!» «Non andrò da solo, gli uomini mi accompagneranno. Non sap-piamo dove si trovi il passaggio» insistette Dan.

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«Non lo troverete mai senza di me, per cui vengo con voi». «Non se ne parla nemmeno». «Devo venire papà, non so spiegarti dov'è». «Lo troveremo!» «Impossibile! Se fosse semplice, non credi che qualcuno ci si sa-rebbe già imbattuto?» Dan ci pensò un attimo, e disse rassegnato: «D'accordo, però devi seguire le mie istruzioni alla lettera, se ti dico "corri" devi correre». «Va bene». «Vai a prepararti, partiamo subito». Gor li accompagnò al passaggio. Mentre tutti entravano nel sen-tiero, si sentì osservato, si guardò attorno ma non vide nulla. En-trò per ultimo, gli uomini avevano già circondato la casa, impu-gnando spade, asce e forconi. Suo padre entrò in casa buttando giù la porta con una spallata e subito molti lo seguirono per aiu-tarlo in caso si fosse trovato in difficoltà. Con grande stupore la casa era vuota, Xiro se n’era già andato portando con sé tutto quello che poteva. Xiro dalla boscaglia aveva visto Gor accompagnare al passaggio segreto gli uomini. Aveva avuto fortuna, era uscito giusto in tem-po. Se avesse ritardato solo pochi minuti lo avrebbero preso. Vide Gor voltarsi nella sua direzione, e veloce si nascose dietro un al-bero. Si allontanò con passo veloce verso la sua nuova dimora. Gli sarebbe piaciuto vedere la loro faccia scoprendo la casa vuota e, rise di soddisfazione. Gor andò al nascondiglio segreto per recuperare la boccetta, ma non c’era. Solo quando stava uscendo, la vide a terra sotto uno sgabello, era vuota, ma la raccolse comunque. Lì vicino c’era lo zaino che credeva di aver perduto la sera dell’incendio. Dan e gli uomini distrussero tutto, e appiccarono il fuoco. Gor corse verso i fiori della notte, ma con suo dispiacere vide che Xi-ro li aveva distrutti. Con calma ne raccolse qualcuno ancora inte-ro. Fu fortunato, li sradicò con le radici facendo attenzione a non

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romperli, voleva portarli a Zorda. Quando la casa prese fuoco, si allontanarono per non essere investiti dal fumo e dalle fiamme, ma attesero finché furono certi che non ci fosse pericolo per il bo-sco, poi si avviarono verso casa.

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Capitolo 7

Il talismano Il mattino seguente Gor, Dan e Jo andarono a cercare una casa che fosse sufficientemente confortevole per ospitarli. La fecero scegliere a Gor: ne preferì una molto lontana dalla montagna e già arredata, i mobili erano vecchi e malandati ma per il momento potevano andare bene. Si fecero prestare un carro per andare alla loro casa a recuperare le cose indispensabili. Non vi avrebbero fatto ritorno fino a quando la situazione non si fosse risolta per il meglio. Mentre Gor sceglieva le cose da portare con sé, gli venne da piangere. Erano successe molte cose e si sentiva responsabile. Quella era la sua casa e gli piaceva molto, non era giusto che do-vesse lasciarla. Aveva le mani piene di giochi, quasi tutti di le-gno, intagliati dal papà, li avrebbe portati con sé, non voleva se-pararsene. A un certo punto, un sasso, che era un ricordo del non-no paterno, gli cadde dalle mani e rotolò in una nicchia della roc-cia. Ci teneva troppo per lasciarlo lì e andò a recuperarlo. Mentre lo raccoglieva si accorse che c'era un disegno sul muro che non aveva mai notato. Guardandolo con attenzione notò che aveva la forma di un occhio scavato nella roccia, con le stesse dimensioni del suo ciondolo. Gli venne un'idea, tolse il ciondolo dalla collana che aveva al collo e lo avvicinò al disegno. Le dimensioni erano le stesse, lo accostò fino a incastrarlo. In quello stesso attimo si sentì un forte rumore, la terra vibrò sotto i piedi di Gor, che spa-ventato corse verso l'uscita e s’imbatté nel padre che stava cor-rendo nella direzione opposta in cerca di lui. «Che cosa è successo?» chiese Dan. «Non lo so di preciso» rispose Gor e raccontò quello che aveva fatto. Andarono a vedere, ma era tutto tranquillo fino a quando non sentirono Jo gridare: «Dan! Dan corri, presto!» Corsero fuori pensando che fosse in pericolo. Jo era in cortile e

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guardava verso l'alto, alzarono lo sguardo e rimasero increduli a quello che si presentava ai loro occhi. I due grandi alberi secolari si erano piegati uno verso l'altro. I rami si erano incrociati a for-mare un ponte sospeso a tre metri di altezza. Uno aveva fatto scendere a terra alcune liane a formare una scaletta. Gor disse: «Provo a salire!» «Non ci pensare nemmeno». «Papà ti prego, voglio andare a vedere». «Vengo anch'io, non ti permetto di andarci da solo» rispose Dan con un misto di preoccupazione e curiosità. «No, invece, nessuno dei due salirà su quell’albero!» disse Jo con disperazione. «Stai tranquilla, non faremo nulla d’insensato» cercò di convin-cerla Dan. «Ti prego…!» «Andrà tutto bene» disse abbracciando la moglie in lacrime. Salirono sull'albero prestando attenzione a non cadere. Attraver-sarono il ponte e si accorsero che nell’albero si era aperto un var-co, da cui all’interno del tronco scendeva una scaletta. Si guarda-rono, indecisi sul da farsi; infine presero una decisione: sarebbero tornati il giorno dopo con qualche arma per la difesa e alcune tor-ce che permettessero di vedere dentro quell’oscurità. Scesero dall’albero con un gran sollievo di Jo. Estrassero il ciondolo dal muro e con un rumore assordante gli alberi tornarono alla loro posizione. Il mattino seguente, prima di andare alla casa, si equipaggiarono con zaini pieni di provviste, attrezzi, torce, corde, pugnali e tutto quello che poteva essere uti-le. Gor, prima di partire, volle portare il fiore della notte e la boc-cetta, anche se vuota, all'uomo che quella mattina sarebbe andato da Zorda. Ci teneva molto che gli fosse consegnato, sicuramente avrebbe saputo farne buon uso. Sebbene Jo desiderasse andare con loro, Dan non ne volle sapere, e con fatica riuscì a convincer-la a rimanere a casa. «Potrei esservi utile». Jo cercava di persuadere il marito.

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«Non posso rimanere in pena per te, saperti sola con Morgan in giro. Sarai più utile qui. Nel caso non dovessimo ritornare, entro qualche ora raduna gli uomini e vieni alla casa» disse Dan deciso. «Farò come dici, ma voi fate attenzione». Partirono. Appena giunsero alla casa, attivarono subito il disposi-tivo con il ciondolo e salirono sull'albero. A Gor faceva un po' impressione, il dover scendere dentro il tronco. Era buio e aveva paura ci fossero animali pericolosi, così fece scendere prima il padre; quando fu sicuro che non ci fossero pericoli, a parte qual-che ragnatela abbandonata, lo seguì. Quando misero i piedi a ter-ra, accesero le torce. Si trovavano all'interno di una grotta, guar-dando verso l'alto si accorsero di essere scesi di parecchi metri, lì sotto c'era molta umidità, la casa ideale per ragni, scorpioni e ser-penti. Per questo fecero molta attenzione a dove mettevano i pie-di; come non bastasse, faceva freddo. Per fortuna si erano portati delle maglie per coprirsi. Dan cercò di illuminare meglio per ca-pire la direzione che avrebbero dovuto prendere, ma non c'era al-tra scelta, vi era un unico corridoio e l'avrebbero seguito. Non a-vevano idea di dove conduceva, così si muovevano con lentezza anche perché il soffitto era basso e Dan era costretto a camminare inclinato. Via via che s’incamminavano, sentivano un forte odore di zolfo che andava aumentando. Il tunnel era scavato nella roc-cia, secondo Dan era stato creato da forti correnti d'acqua ora pro-sciugate, era stretto, ma si stava allargando e finalmente Dan poté alzarsi in piedi. Da qualche fessura nella roccia si poteva vedere il cielo all'esterno, ma non erano sufficientemente grandi per capire dove si trovassero. Vi erano parecchie infiltrazioni d'acqua che formavano piccoli rigagnoli lungo le pareti; non era possibile ber-la perché troppo sporca di terra. A un certo punto incominciaro-no a trovare a terra resti di piccoli animali, topi, pipistrelli, scoiat-toli e di altri, difficili da distinguere. L'odore incominciava a cambiare, si sentiva puzza di escrementi, che per poco Gor non calpestò facendo una smorfia di disgusto. A quel punto incomin-ciarono a domandarsi se era bene continuare, o tornare indietro.

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Dan incominciò a parlare sottovoce al figlio perché aveva timore che qualcuno o qualcosa stesse ascoltando. Gli domandò cosa preferisse fare e la risposta fu di andare avanti. Non riuscirono a capire quanto avessero percorso. Si stavano avvicinando all'enne-sima curva quando arrivò una fiammata che per poco non fece ar-rosto Gor. Veloci, si misero uno vicino all'altro contro la parete, chiedendosi cosa fosse successo. Gor, ripreso dallo spavento, eb-be un'idea e parlando ad alta voce disse: «Sono Gor, figlio di Dan, il Cavaliere dei draghi di Nogard e tu sei Airok?» Si sentirono dei rumori, forse di passi, e arrivò un'altra fiammata, molto più vicina della prima. Un'altra così e sarebbero bruciati! «Siamo qui per aiutarti. Devi avere fiducia». Finalmente una voce si fece sentire: «Se sei tu il Cavaliere dei draghi, devi dirmi la frase di ricono-scimento da drago a Cavaliere». Gor guardò suo padre in cerca d’aiuto, ma vide che ne sapeva quanto lui. «Il mio avo, che portava il mio stesso nome, è stato ucciso da Xi-ro, mentre Felix ti aiutava a metterti in salvo. Mio padre non co-nosce nessuna frase e io ancora meno, ma devi credermi sulla pa-rola. Permettimi almeno di uscire allo scoperto in modo che io possa vederti e tu giudicarmi». Ci fu un attimo di silenzio e poi disse: «Vieni avanti». «Solo io? Può venire anche mio padre?» «Così sia! Venite avanti entrambi». Dan non era contento di quella decisione e cercò di convincere Gor a tornare indietro. Con calma, un passo alla volta, tenendo le mani alzate per non destare sospetti, Gor uscì allo scoperto. Dan fu costretto a seguirlo. Avevano lasciato gli zaini e le torce a ter-ra, non vedevano molto bene, c'era poca luce e non avevano nulla per difendersi. Guardarono avanti a loro. Quello che si era pre-sentato ai loro occhi era un essere grandissimo, non riuscivano a

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distinguerlo bene, dovevano abituare gli occhi alla poca luce, ci volle un po'. Gor era eccitatissimo, continuava a osservare il dra-go con il grande desiderio di toccarlo, mentre Dan avrebbe voluto fare dietro front. Airok era in piedi pronto all'attacco; in posizione per lanciare l'ennesima fiammata. Quando vide che Gor era un bambino si rilassò, si piegò sulle ginocchia per poterlo vedere meglio e gli disse: «Sei solo un bambino! Saresti tu il nuovo cavaliere?» «Così dicono, non ti piaccio?» «Sei solo un bambino!» Airok, ma subito dopo s’inchinò e ag-giunse «Mi fa piacere averti al mio fianco. Non è l’età che fa di un uomo un cavaliere, ma ciò che ha nel cuore». «Il piacere è tutto mio. Non ti deluderò». «Ti aspettavo da tanto tempo». «Lo so» dopo un attimo di silenzio, con gli occhi che gli brillava-no, Gor chiese «Posso chiederti una cosa che desidero da molto?» «Chiedi!» «Posso toccarti?» «Tutto qui? Fatti coraggio, vieni avanti». Dan cercò di trattenerlo, ma Gor si avvicinò al drago e con una mano lo sfiorò, con delicatezza come se avesse paura di romperlo o fargli male. La pelle era dura come la roccia e liscia, le scaglie che lo ricoprivano come una corazza erano lucide e calde. Da così vicino poteva sentire l’odore di zolfo che fuoriusciva dalle sue narici e il battito del suo cuore, forte e veloce. Dan osservava la scena impaurito, il suo bambino era così piccolo vicino al drago. Ma dovette ammettere che c’era della sintonia tra i due, si vedeva e si sentiva, sembrava si conoscessero da sempre e si sentì di troppo. Provò un pizzico d’invidia, lui non aveva avu-to un drago tutto per sé ma avrebbe potuto comunque condividere questo momento con suo figlio. Si fece avanti e si presentò: «Io sono Dan». Airok alzò lo sguardo verso di lui. Lo guardò attentamente e dis-se:

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«Il tuo bisnonno è stato un bravo cavaliere e un bravo uomo. Gli assomigli moltissimo fisicamente, mi spiace che sia morto, ma mi fa piacere conoscere suo nipote». E così dicendo s’inchinò. Dan rimase colpito da tali parole, gli fecero molto piacere e ringraziò; poi rivolgendosi a Gor disse: «Forse è il caso di capire come si possa uscire da qui, non trovi?» «Per uscire ho bisogno di Felix» disse Airok. «Felix è sotto un incantesimo di Xiro, pietrificato nel bosco» ri-spose Gor. «Quando Felix mi ha rinchiuso qui dentro ha dovuto fare un in-cantesimo e solo lui conosce le parole per scioglierlo. Ho provato moltissime volte a uscire ma senza risultato. È stato Xiro a pietri-ficarlo?» chiese Airok. «Sì, lo stesso giorno che sei stato rinchiuso qui». Gor con calma spiegò tutti gli avvenimenti accaduti. «Xiro conosce molte formule magiche. Molti anni fa conoscevo un uomo che ne sapeva qualcuna, e che forse può aiutarci, ma non so se è ancora vivo, si chiamava Dargo» disse il drago. Intervenne Dan: «Dargo è morto da molti anni. Il suo pro-nipote Zorda forse può aiutarci, conosce gli avvenimenti, quello che sappiamo lo dob-biamo a lui e in più è un guaritore, forse conosce qualche formula magica». E così dicendo, rivolgendosi verso il figlio proseguì: «Gor, dobbiamo andare, si è fatto tardi». «Io voglio rimanere ancora qui» rispose Gor. «Se non torniamo, la mamma radunerà la squadra di soccorso. Non vorrai che gli uomini scoprano Airok, vero? Non sono anco-ra pronti a questo, potrebbero fargli del male». «Tuo padre ha ragione, dovete andare» disse il drago. Gor stava osservando il drago con timore, come se potesse svani-re da un momento all'altro. Airok, vedendo che Dan non riusciva a convincerlo, insistette: «Gor, avremo moltissimo tempo per stare insieme, ma ora devi

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andare a cercare il modo per tirarmi fuori di qui; per favore, non ne posso più! Sono stato rinchiuso per troppo tempo». A malincuore Gor si staccò dal nuovo amico, raggiunse il padre e insieme si avviarono all'interno del corridoio che portava verso l'uscita, salutando Airok e promettendogli che sarebbero tornati al più presto, con notizie sicure. Airok fermò Gor: «Aspetta! C’è un modo per esserti vicino: nel momento in cui re-cuperi il ciondolo, devi reggerlo con le mani, e recitare la formula che ora ti dico. Quando il ciondolo diventerà rosso e scotterà, non aver paura, non mollare, a quel punto quella pupilla sarà la mia e potrò vedere quello che farai. Non potrò aiutarti ma ti sarò co-munque vicino, e quando sarai da me potrò consigliarti su cose a cui non avresti dato importanza». «Come dovrò tenerlo, perché tu possa vedere con chiarezza?» «Al collo, come una collana, tenendo l'occhio rivolto verso avan-ti, andrà benissimo!» rispose Airok. «Lo farò sicuramente. Che cosa devo dire?» chiese Gor impazien-te. «È una frase difficile: se non la dirai bene, non funzionerà, sei pronto?» Gor annuì con il capo e Airok disse: «Avu tabara tica putura sele mere capistau!» Gor ripeté la frase perfettamente e cominciò a ripeterla continua-mente avviandosi verso l'uscita; salutò Airok con la mano per pa-ura di scordarsi le parole. Andò così spedito che Dan non ebbe nemmeno il tempo di accendere le torce. Un paio di volte inciam-parono e dovettero fermarsi per fare luce perché non vedevano più nulla. Arrivati fuori, furono accecati dalla luce del sole. Si e-rano così abituati al buio che prima di scendere dall'albero dovet-tero aspettare alcuni minuti per abituare gli occhi. Dan doveva ancora muoversi quando notò Gor scendere dall’albero e correre verso la casa. Voleva recuperare il ciondolo al più presto, aveva timore di scordarsi la formula. Appena sentì uno scatto della

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chiusura del passaggio segreto, mise il ciondolo tra le mani e pro-nunciò le parole. La prima volta, non successe nulla; fu preso dal panico, ma era sicuro di aver pronunciato le parole giuste. Le ri-peté scandendo con calma, parola dopo parola e, come gli disse Airok, l'occhio incominciò a farsi rosso e caldo. Per un attimo pensò di lasciarlo cadere, non riusciva a resistere, scottava troppo, ma di colpo diventò freddo. Gor pensò che qualcosa non fosse andato come doveva ma osservando bene l'occhio, o meglio la pupilla, notò che qualcosa era cambiato, sembrava avesse vita. La girò verso di sé e disse: «Airok, spero di esserci riuscito, sono felice che tu sia al mio fianco». Infilò il ciondolo nella collana e se la mise al collo. Il giorno seguente Dan accompagnò Gor da Zorda. Gli spiegaro-no tutti i nuovi avvenimenti e quello di cui avevano bisogno tra-lasciando il particolare che Airok potesse vederli, meno persone sapevano più si sentiva sicuro. Zorda ascoltò senza dire parola; alla fine, emozionato, disse: «Mi piacerebbe molto, prima di morire, vedere il drago, se riu-scissi a conoscerlo e aiutarlo saprei di non aver vissuto invano. Farò il possibile ma non garantisco. I libri sono quelli che Xiro aveva lasciato nella sua vecchia casa e mio nonno li prese per sé. Sono scritti in una lingua che non conosco, spero di riuscire a de-cifrarla». «Sei l'unico che ci possa riuscire, in caso contrario Airok è desti-nato a rimanere prigioniero nella grotta per sempre!» «È una grande responsabilità quella che mi date, ma cercherò di essere all'altezza per salvarlo». Così dicendo si salutarono e tornarono verso casa. Xiro stava facendo uno dei suoi giri per cercare Gor, quando ina-spettatamente lo vide entrare con il padre nel sentiero dei campi. Pensò che, se per due volte gli era capitato di vederlo tornare dal-la stessa direzione, sicuramente stava organizzando qualcosa e decise di andare a vedere di persona di cosa si trattava. Sarebbe

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stato semplice convincere il vecchio a parlare, non c'era nessuno ad aiutarlo. Qualche giorno passò senza inconvenienti, Gor giocava con i suoi amici, ma il suo pensiero era per Airok, voleva tirarlo fuori da lì al più presto. Ogni giorno si svegliava prima che il papà andasse al lavoro e gli chiedeva se era quello il giorno che sarebbero an-dati da Zorda. Il padre rispondeva: «Non so quando andremo! Zorda è stato chiaro; ha detto che ap-pena ci fossero state novità ce l'avrebbe comunicato tramite gli uomini che ogni giorno vanno da lui a prendere le medicine». Una sera, molto tardi, qualcuno bussò forte alla porta della casa di Gor. Un uomo con voce spaventata raccontò che qualcosa di terribile era successo al vecchio Zorda e che dovevano andare a vedere al più presto. Gor si sentì gelare, se era accaduto qualcosa a Zorda, come avrebbero fatto ad aiutare il drago? Il mattino se-guente una squadra di otto uomini era pronta per andare dal vec-chio, stavano per partire quando Gor li raggiunse e disse rivol-gendosi al padre: «Vengo pure io». «No! Tu rimani con la mamma» ordinò il padre che non sapeva cosa si sarebbe trovato davanti, e per questo preferiva lasciare il bambino a casa. Gor si avvicinò al padre e gli sussurrò all’orecchio in modo che nessuno potesse sentire e bisbigliò: «Lo sai, papà, che devo venire! Airok potrebbe notare qualcosa che lo possa aiutare, dobbiamo tentare». Il figlio era così determinato che non riuscì a opporsi e cedette. Partirono subito dopo, il tempo stava peggiorando e un forte ven-to soffiava portando con sé odore di pioggia. Volevano arrivare da Zorda prima che piovesse in modo da capire cosa fosse acca-duto, e anche perché l’acqua avrebbe cancellato eventuali tracce da seguire. Appena Dan e Gor entrarono nella casa di Zorda, non ebbero dubbi su chi fosse passato a fargli visita. Il vecchio era a terra in ginocchio piegato su se stesso, pietrificato. Solo Xiro po-

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teva aver fatto una cosa simile. La casa era a soqquadro, Gor cer-cò subito i libri ma senza risultato. A bassa voce con tono dispia-ciuto disse: «Airok, ora non so più fare come procedere». Lì non c’era più nulla che potessero fare, così decisero di tornare a casa. Gor quella notte si svegliò molte volte. Pianse in silenzio per paura che suo padre potesse sentire, non voleva far vedere d’essere debole. Sotto le coperte sfogava la sua delusione. Come avrebbe fatto ad aiutare Airok? Il talismano s’illuminò per ricor-dargli che gli era vicino e lo stava osservando. Il bambino ap-prezzò il gesto e un po’ consolato si addormentò, non prima di averlo ringraziato. Il mattino si svegliò presto, molto prima che suo padre andasse a lavorare. Aspettò che si alzasse e gli chiese: «Papà! Giacché sei di strada, potresti accompagnarmi alla grot-ta?» «Non se ne parla, è pericoloso». «Lo sai che devo andare! E poi, chi meglio di Airok può proteg-germi?» «Non puoi rimanere lì fino a questa sera». «Per favore! Potrebbe venire a prendermi la mamma, più tardi». Dan ci pensò un attimo e disse: «Va bene, preparati! Io vado a mettermi d’accordo con la mam-ma, e la farò accompagnare da qualcuno. Morgan è ancora libero e pericoloso. Portati lo zaino con qualcosa da mangiare. Fai velo-ce, hai solo pochi minuti». «Grazie, papà!» rispose Gor felice e corse a prepararsi. Mise nel-lo zaino una borraccia d’acqua e qualche pezzetto di pane con del formaggio affumicato. Dan lo accompagnò fino alla loro casa, si assicurò che entrasse nel passaggio e si avviò al lavoro verso la montagna.

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Capitolo 8

La maledizione A Gor fece impressione percorrere la strada da solo e per farsi co-raggio parlava ad alta voce rivolgendosi a Airok: «Oh, Airok, ho paura! Tu sei con me, vero? Puoi fare un segno per farmi sapere che mi senti?» Subito il ciondolo s’illuminò e Gor si sentì rincuorato. Ci mise una manciata di minuti ad arrivare, il drago lo stava aspettando impaziente, non gli diede neppure il tempo di riposare e gli disse: «Piccolo Cavaliere, mi fa piacere vederti». «Fa piacere pure a me» e aggiunse «hai visto cosa è successo a Zorda?» «Sì! Sono addolorato, mi sarebbe piaciuto conoscerlo. Ho notato una cosa, la posizione che aveva Zorda...» Airok smise di parlare e fece una smorfia di dolore, seguita da un ruggito così forte che Gor cadde a terra tappandosi le orecchie, pensava gli scoppiassero i timpani. Quando smise di urlare Airok aveva il respiro affannoso con forti spasmi del corpo. Rivolgendosi a Gor disse balbettando: «Mi spiace, non posso fare a meno di urlare, questo dolore è così intenso che non posso resistere». Gor meravigliato disse: «Allora sei tu? Spesso mi è capitato di sentire un lamento, ma non avevo mai pensato che fossi tu. Cosa ti succede?» Airok mostrò la sua zampa destra, sulla quale era impresso il marchio della spada. Era molto arrossata e spiegò: «Quando fai un maleficio ci sono i pro e i contro, ricordalo sem-pre. Ogni volta che nasce un bambino, la maledizione, che feci nel momento di rabbia, si ripete sul nascituro. A lui viene impres-so il marchio nella mano senza dolore, mentre il mio marchio s’infiamma ricordandomi che un'altra persona è stata toccata dal maleficio. Sembra di avere il fuoco nelle vene, è intenso ma per

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fortuna non dura a lungo». «Mi spiace, posso aiutarti in qualche modo?» chiese Gor sconvol-to da tanto dolore. «No! Ti ringrazio, non c'è nulla che tu possa fare. Dovrei solo an-nullare la maledizione, cosa che non posso fare fino a quando Xi-ro è vivo. Tornando al vecchio Zorda, ho notato che era messo in una posizione alquanto strana, non naturale, mi ha dato l'impres-sione che volesse nascondere o proteggere qualcosa. Devi assolu-tamente tornare lì e vedere se ho ragione». «Io non ho visto nulla di insolito» rispose Gor. «Dovete spostarlo, è l'unico modo per vedere cosa c'è sotto, pen-so che la soluzione sia lì!» insistette Airok. «Va bene, farò come dici. Cercherò di convincere mio padre ad accompagnarmi domani stesso; promesso». Gor si fermò ancora un paio d'ore in compagnia del drago che gli raccontò le avventure avute con il suo trisavolo. Sarebbe rimasto tutto il giorno ad ascoltarlo. Avrebbe voluto viverle lui al posto del suo avo. Si avviò poi verso casa, era felicissimo e soddisfatto, era discendente di un cavaliere tanto audace e coraggioso. Per tut-ta la strada raccontò alla mamma le avventure che gli erano state raccontate, facendo attenzione a non farsi sentire dai due uomini che li scortavano. Non poteva rivelare la presenza di Airok, era troppo presto. Quella sera informò il padre delle osservazioni di Airok su Zorda e insieme decisero di tornare il giorno dopo alla casa, per vedere se potevano fare qualcosa. Avevano bisogno d’aiuto, così mentre il bambino andava a letto, Dan uscì a cercare qualcuno disposto ad accompagnarli. Riuscì a trovare sei uomini e l'indomani mattina all'alba partirono. Camminarono con passo veloce per tornare a casa prima che facesse buio. A Dan faceva un po' impressione vedere Zorda in quelle condizioni, infatti pri-ma di entrare rimase qualche minuto sull'uscio; poi, ripensando al suo avo cavaliere, si fece coraggio ed entrò. Fu faticoso spostarlo, dovettero mettersi tutti e sei a tirare con le corde, con le quali a-vevano legato il vecchio. Quando finalmente ci riuscirono, sco-

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prirono che a terra c’era qualcosa scritto con del carboncino. Gor osservò bene le mani di Zorda e si accorse che tra le dita della mano destra teneva stretto un pezzetto di legno bruciato. Gor e-sclamò di getto: «Airok aveva ragione!» Uno degli uomini si girò a guardare il ragazzo stupito e chiese: «Airok! Il drago?» Dan guardò il figlio fulminandolo con uno sguardo. Gor si era tradito, doveva salvare la situazione e pronto rispose: «Sì! In un sogno che ho fatto! Mi capita di fare dei sogni premo-nitori e questo è uno di quelli». Dan fece un sospiro di sollievo. Non voleva che Gor si esponesse ancora come cavaliere del drago, temeva di metterlo in pericolo. Si misero tutti in cerchio guardando quello che c'era scritto sul pavimento. Gim disse: «È una lingua sconosciuta, per noi incomprensibile! Che cosa vorrà dire?» «Non lo so» rispose Gor e aggiunse «potrebbe essere la formula che cerchiamo per annullare l'incantesimo della pietrificazione. Dobbiamo tentare!» Così dicendo si mise a leggere a voce alta, con molta calma, cer-cando di pronunciare correttamente le parole e sperando che qualcosa accadesse. Attesero, ma nulla cambiò. Gor si sedette per lo sconforto. Il padre gli andò vicino, e abbracciandolo gli disse: «Gor, sei sicuro di aver letto correttamente? Tieni presente che Zorda non aveva molto tempo a disposizione, potrebbe esserci qualche parola scritta non correttamente. Guarda con attenzione» indicò una parola «quella che tu hai letto come “u” potrebbe esse-re una “g”! Riprova a leggere, sostituendo alcune lettere che non sono chiare». Gor si avvicinò al messaggio per osservare meglio e riprese a leggere più volte, sostituendo man mano alcune lettere fino a quando qualcosa successe. Fu Dan ad accorgersene e battendo la

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spalla del figlio gli disse, indicando le mani dell'anziano: «Gor guarda le sue mani, stanno prendendo colore, non sono più grigie». Non solo le mani, ma anche i piedi e i vestiti stavano prendendo il loro colore originale, fino a quando l'incantesimo svanì comple-tamente. Zorda cadde a terra svenuto. Cercarono di svegliarlo con dei sali, ma inutilmente. Si stava facendo tardi, decisero allora di preparare una portantina e di portarlo al villaggio in modo che qualcuno potesse prendersi cura di lui. Dan rivolgendosi al figlio disse: «Non devi affliggerti, sei stato bravissimo. Non è colpa tua se le cose sono andate così, Zorda è molto vecchio e per questo l'incan-tesimo l’ha indebolito. Vedrai, si riprenderà! Ora prendi carta e calamaio e scrivi la formula prima di scordarla». «Va bene papà! Se torniamo a casa presto, andiamo da Airok?» chiese Gor, che sentiva il bisogno di parlare con il drago. «Oggi non penso sia possibile. Domani sicuramente!» Mentre Gor scriveva la formula, Zorda veniva legato su una por-tantina, in modo che durante il viaggio di ritorno non cadesse. Quando furono pronti, si avviarono verso il villaggio, ci volle un po' per arrivare, a causa dell'anziano che rallentava il passo. Gor, sfinito, andò a letto senza cena quella sera. Si era stancato molto, non solo per la camminata, ma anche per i fatti accaduti. Era da poco passata la mezzanotte. Gor fu svegliato dal padre: «Gor, svegliati! Zorda ha ripreso i sensi e desidera parlarti». «Ho ancora sonno, è buio» si lamentò Gor. «Non può farlo do-mattina?» «Sta molto male, non sappiamo se arriverà a domattina». Gor, udite quelle parole, si alzò subito. Si vestì e seguì il padre. L’aria fuori era fredda e lui non si era preso neppure il mantello per coprirsi, ora stava borbottando dal freddo, aumentò l’andatura per arrivare il prima possibile. La casa della persona che ospitava Zorda era piccola, tanto che dovette metterlo nell’unica camera che c’era. Quando Gor entrò,

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s’impietosì vedendolo, si notava a prima vista che stava molto male. Si avvicinò al suo capezzale, gli prese una mano per fargli sentire la sua solidarietà e gli disse: «Sono qui! Mi volevi parlare?» L’anziano, che fino a quel momento aveva gli occhi chiusi, lì socchiuse per guardarlo e gli fece quello che doveva essere un sorriso, e che invece assomigliò a una smorfia. Respirava con fa-tica, e a ogni respiro emetteva un fischio. Con un filo di voce, prendendosi parecchie pause per riprendere fiato, a causa di forti conati di tosse che lo facevano diventare paonazzo, disse: «Sono contento di averti conosciuto. Sei un bravo ragazzo. Devi farti coraggio. Sono sicuro che sarai un bravo cavaliere, e le tue imprese si ricorderanno per molto tempo, sei degno del nome del tuo trisavolo. Devi fare attenzione a Xiro, è molto malvagio, non ti devi fidare di lui, è…» Non riuscì a finire la frase, con l’ultimo attacco di tosse, fece un respiro profondo e se ne andò, lasciando andare la mano che un attimo prima stringeva quella di Gor. Il bambino tentò di scuoter-lo, gridando con le lacrime agli occhi: «No! No! Non puoi andartene ora, ti prego!» Dan gli appoggiò la mano sulla spalla per sostegno: «Era molto vecchio, l’incantesimo lo aveva indebolito. Forza, an-diamo a casa». Gor stava ancora stringendo la sua mano, non voleva andarsene, si sentiva responsabile. Era sua la colpa, se non avesse chiesto il suo aiuto, ora sarebbe ancora vivo. Dan gli prese il braccio e lo portò verso casa, pianse in silenzio, senza farsi sentire dal padre, solo Airok se ne accorse e per l’ennesima volta fece sentire la sua presenza illuminando il ciondolo. Gor non riuscì a chiudere oc-chio quella notte, si addormentò che era già mattina, così quando si svegliò era molto tardi, il padre era al lavoro da molto e la mamma sicuramente era uscita per delle commissioni. Avrebbe dovuto aspettare il suo rientro per andare da Airok ma non aveva

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la pazienza di attendere, così le scrisse un biglietto che lasciò sul tavolo in cucina: “Mamma, scusa, ma devo assolutamente andare da Airok. Mi porto dei pezzetti di carne secca per pranzo. Mi fai venire a pren-dere dal papà, per favore? Ci vediamo stasera, non ti preoccupare, starò attento. Ti voglio bene, Gor.” Prima di uscire di casa prese lo zaino e si avviò verso la vecchia casa. Prima di uscire dal villaggio fu chiamato da alcuni bambini che stavano giocando. Gli chiesero se volesse partecipare al gio-co, ma lui, senza neppure guardarli, proseguì per la sua strada. Era così immerso nei suoi pensieri che non li aveva neppure sen-titi. Fino a qualche mese prima era suo grande desiderio stare in mezzo ai bambini della sua età a giocare, perché era sempre solo. Ora, che avrebbe potuto giocare con loro, poiché abitava al vil-laggio, aveva problemi più grandi da affrontare. Ogni volta che entrava in casa era colto dalla nostalgia, gli mancava la sua stanza e tutte le cose che aveva dovuto lasciare perché non c’era suffi-ciente spazio nella casa nuova. Si diresse verso il meccanismo e lo attivò, poi corse verso il passaggio. Xiro era nascosto dietro a un albero, erano giorni che provava ad appostarsi a varie ore. Finalmente la sua determinazione lo pre-miò. Osservò il bambino entrare in casa e si spaventò quando sen-tì vibrare la terra e vide gli alberi inclinarsi. Per un attimo pensò gli cadessero addosso. Poi lo vide correre verso una delle due grandi querce ed entrare nel tronco. Rimase un po’ lì, indeciso sul da farsi, aveva immaginato che avesse trovato il drago, ma mai si sarebbe aspettato che fosse dentro un albero! Era furioso per la visita al vecchio Zorda, non gli aveva portato nessun pro, a parte i libri che dopo molti anni era riuscito a riprendersi. Il vecchio si era fatto pietrificare piuttosto che raccontare qualcosa. Piano, fa-cendo attenzione che non ci fosse nessuno, si arrampicò sull’albero e solo allora vide l’entrata del passaggio. Con un’espressione di trionfo disse: «Bravo! Sei in gamba! Ora tocca a me».

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Deciso, attraversò il ponte e si avviò verso l’entrata, determinato più che mai a trovare il drago, ma quando mise il piede all’ingresso del tronco, un forte bagliore di luce lo accecò e prima ancora di rendersene conto si trovò scaraventato indietro di alcuni metri. Se non fosse stato pronto ad aggrapparsi a una liana, sa-rebbe sicuramente caduto dall’albero. Con fatica riuscì a risalire sul ponticello di legno, gli ci volle un attimo per riprendersi e rea-lizzare cosa gli fosse successo. Il passaggio era protetto da un in-cantesimo, cercò di scioglierlo lanciando formule magiche di sua conoscenza, ma non ottenne nessun risultato. Stanco per lo sforzo e deluso per non esserci riuscito, si arrese, se ne andò imprecando e zoppicando. Il suo piede era ustionato ed era una fortuna che non si fosse bruciato tutto. Ritornò dentro il bosco con la promes-sa che sarebbe tornato al più presto. Gor, ignaro di quello che stava accadendo all’esterno, si diresse da Airok. Parlarono di quello che era accaduto il giorno prima. Gor disse: «Ora finalmente andrò a liberare Felix e potremo...» Non continuò il discorso perché, osservando il Drago, si accorse che non ne era convinto e gli chiese: «Dovresti esserne contento, tra un po’, forse già domani, potresti essere fuori di qui». Airok rispose: «Sono preoccupato. Ho un brutto presentimento. Non devi andare da solo da Felix e devi prestare attenzione, Xiro potrebbe essere ovunque». «Stai tranquillo, vedrai, andrà tutto bene. Sarà bello vederti volare alto nel cielo azzurro!» disse con voce malinconica. «Sento che hai qualcosa da chiedermi, puoi parlare!» insistette Airok, accortosi dal tono della voce e dallo sguardo del bambino che qualcosa lo demoralizzava. «Quando sarai fuori di qui, potrai portarmi a fare un giro sopra di te?» chiese senza guardarlo negli occhi per paura di una risposta negativa.

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«Perché non provi subito a salire? Non possiamo volare, ma ve-diamo se sei capace di reggerti senza cadere. Meglio cadere da fermi, che a duecento metri di altezza». A Gor s’illuminarono gli occhi, corse verso il drago e lo abbrac-ciò, poi guardandolo gli disse: «Sei alto, come faccio a salire?» Senza rispondere, Airok gli diede la zampa, Gor ci appoggiò il piede e in un battibaleno era in groppa. Così si sentiva veramente un cavaliere e si chiedeva che effetto avrebbe fatto vedere tutto dall’alto, già da lì sopra gli sembrava di toccare il cielo con un di-to. Durò poco, le squame erano lisce e si sentiva scivolare giù. Tentò di aggrapparsi a qualsiasi cosa, ma non c’era nulla su cui aggrapparsi e così si trovò in fondo alla coda. Airok rise e lo pre-se in giro: «Che razza di cavaliere sei, se non sei neppure capace di stare in groppa a un drago?» «Come faccio a stare lì sopra, si scivola!» rispose Gor quasi ur-lando deluso. «Dovrai cercarti un pezzo di cuoio che userai per sederti e una corda da legarmi intorno al collo. Vedrai, così andrà meglio». Passarono tutto il giorno a chiacchierare come vecchi amici. A un certo punto, a pomeriggio inoltrato, Airok sentì arrivare qualcuno e si mise in posizione per affrontare un eventuale pericolo, spin-gendo Gor dietro di sé, disse: «Nasconditi! Sta arrivando qualcuno!» «È mio padre!» e chiamò a voce alta «Papà! Papà! Sei tu?» «Sì, tesoro! Sto arrivando». Quando Dan arrivò, rimase sbalordito dalla scena che si presenta-va ai suoi occhi. Il drago era disteso e Gor gli stava sulle zampe e chiacchierava a breve distanza dal muso del drago. Se avesse vo-luto, avrebbe potuto mangiarlo in un boccone. Gli vennero i bri-vidi a pensare quell’eventualità. Il legame che si era creato tra i due era fortissimo, sembravano due fratelli. «Dobbiamo andare, è tardi!» disse Dan.

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«Sì, ora vengo». Gor salutò Airok e, insieme al padre, si avviò verso casa. Durante il tragitto informò il padre sul fatto che voleva andare il giorno dopo da Felix, per liberarlo dall’incantesimo e far uscire Airok dalla grotta. Dan capì il desiderio del figlio di liberare l’amico e per quanto fosse preoccupato non tentò neppure di dissuaderlo dall’intento. Aveva sperato che quel momento arrivasse il più tardi possibile. Era preoccupato per il suo bambino, era piccolo, e dire che era un cavaliere dei draghi gli sembrava un’idiozia. Aveva evitato le oc-casioni di uno scontro con Xiro, sperando che le cose tornassero “normali”, come qualche mese prima, ma non era così. Se gli a-vesse vietato di andare, alla prima oppurtunità si sarebbe recato di nascosto, e da solo; preferiva accompagnarlo per essergli di a-iuto, in caso si fosse trovato in difficoltà. Cercarono di pianificare una strategia per evitare visite da parte di Xiro. Andarono a letto presto quella sera, volevano alzarsi prima dell’alba per muoversi con il buio, con la speranza di non essere visti. Nessuno dei due chiuse occhio. Gor era contento, a breve avrebbe volato insieme al suo amico. Era riuscito a recuperare, grazie alla madre, un pez-zo di cuoio e una corda che aveva già messo nello zaino. Dan, come Airok, aveva un brutto presentimento e sperava tanto di sbagliarsi.

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Capitolo 9

Finalmente liberi Pioveva a dirotto quando quella mattina uscirono di casa, così si misero dei mantelli per proteggersi dall’acqua. Jo li salutò sulla porta con le lacrime agli occhi, era in ansia per loro, avrebbe pre-ferito che con loro andasse anche Gim con qualche amico, ma lo-ro non ne vollero sapere. Più erano e più difficile era passare i-nosservati. Dan disse al figlio: «Ci bagneremo un poco, ma la pioggia ci aiuterà ad attutire i ru-mori del nostro passaggio». «Sì lo so, ma fa così freddo!» «Vuoi rinunciare? Possiamo rimandare a un altro giorno». «Non se ne parla, si va avanti!» rispose Gor deciso più che mai. Camminarono all’interno della boscaglia per non essere visti. Gor sbagliò strada un paio di volte. Con tutta l’acqua caduta, alcuni rigagnoli erano diventati torrenti e si erano trovati obbligati a raggirarli perdendo così l’orientamento. Ci misero più del previ-sto, ma alla fine arrivarono. La pioggia stava diminuendo, ma lo-ro oramai erano completamente fradici. Rimasero nascosti per un po’ temendo che Xiro fosse nei paraggi. Finalmente uscirono allo scoperto. Gor si mise a battere i piedi e le mani per scaldarsi, sta-va tremando dal freddo e si avviarono da Felix. Dan chiese: «Sei pronto? Tocca a te!» «Sì!» Gor non ebbe neppure bisogno del foglietto, aveva imparato a memoria la formula e, scandendo con calma le parole per non sbagliare, la recitò: “Sindala pacana sfacalanda”. Poco a poco l’elfo riprese colore, com’era successo con Zorda, partendo dai piedi e dalle mani e via via tutto il corpo fino a quando cadde a terra svenuto. Dan fece uno scatto avanti per sor-

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reggerlo ma fu fermato con uno grido da Gor. Si girò verso il fi-glio con sguardo interrogativo, non capiva perché non avesse po-tuto prenderlo. Gor spiegò: «Attorno all’elfo c’è un incantesimo che lo protegge, non hai vi-sto? Non cresce nulla in quel perimetro. Se tu lo avessi toccato adesso, saresti morto, solo a me è permesso avvicinarmi». Così dicendo si avvicinò a Felix per alzarlo. «Sei piccolo! Non riuscirai a portarlo qui». «Ora ci provo». Suo padre aveva ragione, era troppo pesante, così tentò di sve-gliarlo, ma senza risultato; non gli rimase che tirarlo per i piedi. Doveva assolutamente riuscire ad allontanarlo dal perimetro dell’incantesimo; suo padre poi l’avrebbe aiutato. Tenere la presa era faticoso per la stanchezza e poi aveva le mani intorpidite per il freddo, ma alla fine ci riuscì. Dan lo aiutò prendendo Felix sot-to il braccio e sollevandolo si avviò verso il bosco mentre Gor re-cuperava la spada. Appena furono nascosti, Dan mise il corpo i-nerme di Felix sulle spalle per potersi muovere più velocemente e andarono a cercare un posto riparato per riposare. Ci misero un po’ ma alla fine trovarono una grotta riparata da cespugli che fa-ceva al caso loro, ed entrarono. Finalmente Dan poté adagiarlo a terra per valutarne le condizioni. Gor era preoccupato perché non aveva ripreso i sensi, temeva che morisse, com’era successo a Zorda. Con voce affranta chiese: «Non morirà, vero?» «Devi avere pazienza. È rimasto immobilizzato per oltre un seco-lo» rispose Dan. L’elfo incominciò a sbattere le palpebre e poco a poco aprì gli occhi, mosse le labbra per parlare, ma non riuscì a dire neppure una parola. Dan capì che era troppo intorpidito per muoversi, così incominciò a massaggiargli gambe e braccia, seguito subito dopo da Gor. Avrebbe voluto accendere un fuoco per riscaldare l’ambiente perché erano bagnati e infreddoliti, ma aveva il timore di far notare la loro presenza.

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Felix li guardava con gratitudine e piano piano incominciò a muoversi. Incominciando dalle dita delle mani e via via tutto il corpo, riuscì a dire anche un grazie. Ascoltò Gor, che lo informa-va di tutti gli avvenimenti, raccontandogli di aver trovato Airok, di Zorda che era riuscito a trovare la formula per l’incantesimo della pietrificazione, ma che per questo Xiro lo aveva ucciso. A-scoltò con interesse e, appena fu in grado di parlare, disse con fa-tica mangiandosi alcune parole: «G-Grazie p-per avermi liberato, so-sono stato in pena per te. Ti vedevo c-con Xiro e temevo il p-peggio; ora, dove si trova?» «Abbiamo tentato di catturarlo, ma ci ha preceduto. È scappato nel bosco e non sappiamo dove sia finito. Potrebbe essere ovun-que». «È mo-molto pericoloso, do-dobbiamo liberare Airok, solo lui può aiutarci» disse Felix. «Noi abbiamo la spada degli ammazza-draghi» disse Gor mo-strando con soddisfazione la spada che per molti anni l’elfo aveva custodito. Felix incominciava a muoversi, aiutato da Dan e Gor, riuscì a mettersi seduto. Cercò di coprirsi il corpo con i suoi vestiti ridotti a stracci. Dopo tutti quegli anni, era fortunato ad averli ancora. Guardò Gor con dolcezza e gli disse: «Sono molte le cose che ancora non sai. Quella spada è molto po-tente, ma solo nelle mani degli ammazza-draghi, nelle nostre è solo un peso. Essa è stata forgiata con minerali speciali, simili al diamante, e protetta dal creatore con una formula magica vecchia di millenni. Nessuno è in grado di distruggerla, per questo motivo ho creato un triangolo magico intorno a me, per evitare che Xiro ne entrasse in possesso, è una protezione per tutti i cacciatori di draghi. È chiamata Sidma. Se tenti di uccidere Xiro con quella, a rimetterci saresti solo tu». «Noi cavalieri non abbiamo una spada?» «Sì! La possedeva il tuo trisavolo, ma il giorno che è stato ucciso da Xiro non l’ho vista vicino a lui. Non so dove si trova. La spada

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dei cavalieri del drago è nata nello stesso anno di quella degli ammazza-draghi. L’unica differenza è che è stata forgiata con la pietra lavica, che si trova sulla montagna dove risiedono da sem-pre i draghi. Anch’essa è protetta da una formula magica e si chiama Zacandra». «Non ci rimane che nascondere Sidma da qualche parte» disse Dan. «Se fossi certo che Xiro non la possa trovare, la lascerei volentie-ri da qualche parte, ma non mi posso fidare. Se dovesse entrarne in possesso, diventerebbe ancora più potente». Gor rabbrividì, aveva paura e, se avesse potuto, l’avrebbe distrut-ta con le proprie mani. Felix disse: «Mi sento meglio! Mi date una mano ad alzarmi? L’ingresso del-la grotta che porta da Airok non è lontana da qui. Dobbiamo an-darci al più presto». Dan e Gor si alzarono, lo presero sotto braccio per aiutarlo, ma le gambe non lo reggevano e furono obbligati a portarlo a peso mor-to. Quando uscirono dal nascondiglio, osservarono Felix mentre si guardava attorno emozionato e lo sentirono inspirare profon-damente a occhi chiusi per assaporare i profumi del bosco. Non ci fu bisogno di chiedergli spiegazioni per il suo comportamento, dopo oltre un secolo immobilizzato (deve essere stato terribile), aveva tutta la loro comprensione. Si fecero dare le direttive per raggiungere la grotta. Effettuarono varie pause, per far riposare Felix che non si dava per vinto, tentava in continuazione di cam-minare. Quando raggiunsero il posto, riuscì quasi a essere com-pletamente autonomo. Entrarono. La grotta era buia ma non ave-va importanza, Felix doveva solo dire la formula per aprire il pas-saggio e liberare il drago. Dan fece sedere a terra Felix, che per lo sforzo era madido di sudore e aveva il respiro affannoso, e giran-dosi verso il figlio, disse: «Lascia che Felix riprenda un attimo fiato prima di pronunciare la formula. Io aspetto fuori, mi nasconderò dentro la boscaglia per

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coprirvi le spalle se qualcosa andasse storto. Mi raccomando, te lo affido!» Non aspettò la risposta del figlio, e si avviò verso l’uscita. Felix si alzò con fatica e si avviò verso la parete in fondo alla grotta, inciampò su qualcosa che era sul pavimento e finì lungo disteso sbattendo le ginocchia. Non riuscì a capire su cosa in-ciampò, ma sentì qualcosa di caldo scorrere sulle ginocchia, sicu-ramente sangue, si era ferito. Non aveva tempo ed era troppo buio per controllare la ferita, così con fatica, zoppicando, si rialzò con l’aiuto di Gor che gli fu accanto preoccupato. Aveva sentito il botto e aveva capito che era caduto. Insieme si avviarono verso il fondo della grotta con le mani avanti per non sbattere e facendo piccoli passi per non inciampare. Quando sentirono il freddo della roccia sul palmo della mano, si fermarono e Felix fece quello che doveva. Fece dei gesti con le mani, che Gor non vide, recitando alcune parole. Alla fine un grande flash di luce li colpì, illumi-nando l’intera grotta. Solo in quel momento si accorsero cosa ci fosse all’interno della grotta. Gor, spaventato fece un’esclamazione: «Oh! Mio Dio! Siamo nei guai. Dobbiamo scappare». «Gor, tu scappa, io non posso correre. Vai, presto!» incitò Felix. «Non senza di te!» disse Gor afferrandolo per il braccio e tirando-lo. «Potrebbe tornare da un momento all’altro, devi salvarti almeno tu!» insistette Felix. Cercò di uscire dalla grotta senza inciampare sui libri o sulle boc-cette che aveva sentito a terra, trascinato da Gor che non voleva sentire ragioni sul fatto di abbandonarlo. Urtò qualcosa e mise le mani per non cadere, capì che era un letto. Possibile che con tutti i posti che c’erano, avesse trovato come casa proprio quella grot-ta? La stessa che molti anni prima, anche lui, aveva scelto come casa per il drago? Finalmente uscirono allo scoperto, si guardaro-no attorno per paura che fosse già lì. Non pioveva più e stava ca-lando il tramonto, se avessero raggiunto il bosco, sarebbero stati

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in salvo. Solo in quel momento Gor si ricordò di aver lasciato la spada nella grotta, lasciò l’elfo e tornò di corsa dentro per recupe-rarla. C’era molto buio e faticò a trovarla, si mise in ginocchio, tastò il pavimento fino a quando vide un debole brillare e capì di averla trovata, la recuperò e tornò veloce dall’amico. Quando uscì, trovò Xiro davanti a loro al limite del bosco. Quan-do lo vide, Xiro con un sorriso sarcastico gli disse: «Vedo che sei riuscito a liberare l’elfo. Ci tenevi tanto! Sei stato bravo». Gor ascoltava a denti stretti, aveva una gran rabbia, ma sapeva che doveva avere sangue freddo. Xiro continuò con ironia: «Bravo! Vedo che hai recuperato anche la spada, saresti così gen-tile da darmela? Mi è mancata moltissimo! Tu non te ne fai nulla di quella, ti servirebbe la famosa spada dei cavalieri del drago. È un vero peccato che tuo padre l’abbia distrutta. Era dentro la mia povera casa, che è stata bruciata, già, un vero peccato!» Dan da dentro il bosco ascoltò la conversazione pronto a uscire nel momento propizio, ma quando sentì parlare della spada decise di tentare di recuperarla. Si allontanò piano per non farsi scoprire e, quando raggiunse il sentiero principale, si mise a correre per raggiungere la casa in rovina il prima possibile. Si ricordava di aver visto una spada il giorno che era andato lì, ma ignorava fosse la spada dei cavalieri del drago. Mentre correva, sperava che Xiro non facesse del male a Gor prima del suo ritorno. La casa era completamente bruciata, si mise a spostare le travi, doveva assolutamente essere lì da qualche parte. Finalmente un raggio di sole fece brillare qualcosa, andò deciso per raccogliere l’oggetto, non sapendo ancora se fosse quello che cercava. Ne ebbe la conferma quando si tagliò, si era incastrata tra le macerie. Faticò un poco, ma alla fine riuscì a recuperarla e soddisfatto ri-prese la via del ritorno. Intanto Gor e Felix prendevano tempo, non sapevano che fine a-vesse fatto Dan e, non vedendolo, temevano il peggio. Forse era stato scoperto da Xiro, poteva essere ferito, o peggio. Gor avreb-

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be voluto chiedere, ma se non fosse andata così, avrebbe tradito la sua presenza mettendo tutti in pericolo, doveva solo attendere. «Ora che ci siamo detti tutto ci possiamo salutare» disse Xiro. Alzò le braccia per mandare una delle sue maledizioni. Gor non poteva permetterlo, afferrò la spada con entrambe le mani, deciso a ucciderlo, ma Felix lo fermò dicendogli: «Non puoi riuscirci con quella». «Ci proverò ugualmente». «Allora lo farò io». Felix strappò la spada dalle mani di Gor e corse verso Xiro. Lo stregone lo vide arrivare, non tentò neppure di fermarlo, lo osser-vò solo con un sorriso beffardo. Nell’attimo stesso che Xiro fu colpito con la spada, Felix fu catapultato indietro di parecchi me-tri, folgorato. Gor s’inginocchiò per assicurarsi che fosse ancora vivo. Era svenuto e respirava con fatica. Xiro approfittò per recuperare la spada, finalmente era sua, ma nell’attimo stesso in cui stava per afferrarla, fu colpito da una fiammata. Senza neppure vedere da dove fosse arrivato l’attacco, corse a nascondersi nel bosco, lasciando la spada a pochi metri da lui. Da dove si trovava, cercò di capire cosa fosse successo e chi fosse l’avversario che l’aveva colpito, ma non vedeva nessuno, anche se aveva già un’idea. Eccolo finalmente, stava uscendo dal-la grotta possente più che mai, con la testa abbassata e le ali pie-gate perché la grotta era troppo piccola per lui: Airok il drago. Mentre si avvicinava al ragazzo, gli gridò: «Recupera la spada presto, e sali in groppa». Gor ubbidì, recuperò la spada, prese lo zaino, lo mise sulle spalle e salì su Airok. Mentre il drago spiegava le ali per prendere il vo-lo, diede un ultimo sguardo a Felix che era ancora a terra privo di conoscenza, gli spiaceva abbandonarlo ma non aveva scelta, sa-rebbe tornato da lui al più presto. Airok si alzò in volo, Gor cercò di stare aggrappato più possibile, ma senza corda scivolava giù, inoltre era oltre un secolo che il drago non volava, e ora andava di qua e di là senza riuscire a prendere quota. Gor con una mano si

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reggeva sulle scaglie e con l’altra teneva la spada, all’ennesima virata violenta dovette lasciar andare la spada per non finire nel vuoto anche lui. La vide scendere velocemente e finire dentro il fiume. Non riusciva più a reggersi, gli facevano male le mani e incominciò a scivolare giù verso la coda. Airok gli gridava: «Reggiti, siamo quasi arrivati, non mollare proprio ora». «Non riesco, non ce la faccio più». Era penzoloni nel vuoto, attaccato alla coda con le mani, un atti-mo prima di mollare la presa ruzzolarono entrambi sul prato. Gor riconobbe subito il posto nel quale si trovavano grazie al grande odore di zolfo. Era il prato di erba zolforina. Airok lo chiamò: «Gor, stai bene?» «Sì, tutto a posto» rispose alzandosi da terra velocemente. Stava bene, a parte le ginocchia che avevano una brutta sbuccia-tura e lo facevano zoppicare. A preoccuparlo maggiormente fu il suo corpo, completamente ricoperto d’erba. Secondo Xiro era molto velenosa, poteva essere nei guai. Si alzò e si diresse da Ai-rok. Anche il drago si era ferito una zampa a causa della caduta, ma niente di grave. Gor espose subito il problema. Fu ricambiato con una sonora risata: «Ti ha raccontato davvero molte bugie» disse Airok e aggiunse «Non è per nulla velenosa, anzi, al contrario ha molte proprietà curative. Forza! Prendine un po’, forma una pallina e passala sul-le ginocchia ferite». Gor seguì il consiglio. Con suo grande stupore in pochi attimi il sangue si fermò e in un paio di minuti la pelle si cicatrizzò com-pletamente. Fece lo stesso su Airok e anche la sua ferità guarì. Pensando a Felix ferito, ne raccolse un po’ e la mise nello zaino, poteva essergli utile per affrontare Xiro. Intanto, Airok si diresse verso il suo “trono”. Ci salì sopra, alzò la testa verso il cielo, spiegò le ali, s’issò in tutta la sua grandezza e inspirò l’aria fino a riempire completamente i polmoni. Gor pensò che fosse davvero maestoso. Era contento di essergli amico; averlo avuto come ne-mico gli avrebbe fatto paura. Si avvicinò al drago e gli disse:

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«Dobbiamo tornare indietro al più presto, mio padre potrebbe es-sere in pericolo». «Sì, sono d’accordo, ma dobbiamo trovare una corda, se vuoi che ti porti in volo». «Ce l’ho» disse Gor soddisfatto. Tolse lo zaino dalle spalle; estrasse la corda, il pezzo di cuoio e chiese: «Proviamo?» Airok abbassandosi il più possibile disse: «Sono tutto tuo». Gor passò la corda sul collo del drago, fece un nodo, non strinse troppo per non stritolarlo, e si sedette mettendosi il cuoio sotto il sedere, avvolse i lembi della fune intorno alle mani il più forte possibile, e disse: «Sono pronto, puoi partire». Airok spiegò le ali e si alzò in volo, andò piano fino a quando non fu certo che Gor fosse aggrappato bene, poi prese velocità. Ora si muoveva con agilità ed eleganza, virando con sicurezza, era il padrone del cielo. Tornarono alla grotta, ma di Xiro non c’era traccia. Gor scese prima ancora che Airok avesse messo le zampe a terra, aveva vi-sto al margine del bosco il padre a terra ed era corso a soccorrer-lo. «Papà! Papà! Come stai?» «Sto bene! Dove sei stato? Ero così preoccupato per te! Ho temu-to di averti perso». Gor invece di rispondere, lo investì di domande. «Che cosa è successo? Dov’è Xiro ? E quella spada da dove vie-ne?» disse indicando la spada che si trovava accanto al padre. Dan rispose: «Non hai molto tempo, devi andare a uccidere Xiro prima che riesca a trovare un rifugio dove nascondersi. Brandisci questa spada, appartiene da secoli ai cavalieri dei draghi, ora è tua. Ora

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vai, se ci sfugge, farà del male a qualcun altro e non possiamo permetterlo». «Tu stai bene, vero?» chiese Gor che non ne voleva sapere di la-sciarlo solo perché era ferito a una spalla e alla gamba destra. «Io posso aspettare, tu vai!» «E Felix?» «Non c'è più nulla da fare» disse dispiaciuto Dan, sapendo di dare un dolore al bambino, e continuò «Devi farti forza e affrontare Xiro». «Da che parte è andato?» chiese Gor determinato. «Da quella parte» rispose Dan orgoglioso, indicando un sentiero che entrava nel bosco; e aggiunse «È ferito, segui le tracce di sangue e lo troverai».

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Capitolo 10

La fine della maledizione Gor si diresse velocemente verso il bosco, sentì suo padre in lon-tananza che gli diceva di fare attenzione, ma non gli rispose per-ché era oramai lontano. Più si avvicinava, più sangue trovava, Xi-ro doveva avere una brutta ferita per perdere tanto sangue. In alto nel cielo, Airok volava a filo degli alberi per non perderlo di vista e questo lo rincuorava, sapeva di avere un buon alleato in caso di bisogno. Incominciò a vedere Xiro in lontananza, gli sarebbe sta-to addosso molto presto perché zoppicava, barcollava e andava avanti reggendosi a tutti gli alberi che incontrava. Quando gli fu vicino, gli ordinò di fermarsi. Xiro si girò, reggendosi a un albe-ro, e lo guardò dritto negli occhi. Perdeva molto sangue dall’inguine, in faccia si vedeva chiaramente il dolore che prova-va. Con fatica disse: «Una volta, tanto tempo fa, quando salvavi la vita a qualcuno, questi ti era riconoscente a vita. A quanto pare questo ora non ha più valore, poiché sei qui brandendo quella spada con sguardo minaccioso. La tua intenzione mi sembra ovvia, o sbaglio? O sei qui per aiutare un povero vecchio che sta morendo?» Gor si sentì ferito da tale opinione e rispose: «Vale ancora, ma non per te, sei malvagio, hai ucciso il mio tri-savolo, Zorda, Felix, ferito mio padre, e chissà quante altre per-sone innocenti. Avrai quello che ti meriti». «A te ho salvato la vita, saresti bruciato nell’incendio ancora pri-ma di sapere chi eri, questo me lo devi riconoscere». Gor stava perdendo il coraggio di affrontarlo, aveva ragione, gli aveva salvato la vita e gli era debitore, stava perdendo tempo pre-zioso. Xiro era consapevole delle indecisioni del bambino e insi-stette per indebolirlo ancora:

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«Sono molto debole, sento il bisogno di riposare, potrei morire ancora prima di raggiungere un posto dove rilassarmi. Ora me ne vado, se vorrai uccidermi, dovrai farlo colpendomi alle spalle». Xiro, con calma, dopo avergli dato l’ultima occhiata soddisfatta, si girò e si avviò, Gor abbassò la guardia, non se la sentiva di af-frontarlo in quelle condizioni. Mentre osservava Xiro che si al-lontanava, vide un’ombra passare sopra le loro teste. Un attimo dopo, Airok atterrò davanti a Xiro e gli disse: «Sei bravo con le parole, incanterai un bambino, non me». Xiro si girò di scatto per scappare, con lo sguardo terrorizzato, ma riuscì a percorrere solo pochi passi che fu investito da una fiammata lanciata da Airok. Gor chiuse gli occhi, sentì le grida di dolore di Xiro poi più nulla, quando li aprì, era a terra morto. Airok lo raggiunse e gli disse: «Sali, dobbiamo andare da tuo padre, avrà bisogno di noi». «Mi spiace, sarai deluso di me!» disse Gor con tono dispiaciuto. Si vergognava tanto per non essere stato capace di combattere contro Xiro. «Non devi nemmeno dirlo, non sono deluso di te. Lui era molto abile a giocare con la personalità altrui, e sapeva come fare, sei stato bravissimo. Sei un grande cavaliere, grazie a te posso volare di nuovo. Felix è stato liberato dall’incantesimo e Xiro finalmente non farà paura più a nessuno». «Ma a che prezzo? Felix e Zorda sono morti, mio padre è ferito, non dovevo permetterlo». «Ogni guerra ha i suoi sacrifici, non per questo devi sentirti in colpa, hai fatto quello che hai potuto, nessuno avrebbe fatto me-glio di te». Gor non ne era molto convinto, ma non si mise a discutere, quello che era stato non poteva cambiarlo, la prossima volta si sarebbe impegnato di più. Diede un’ultima occhiata a Xiro per essere si-curo che fosse davvero morto, e salì in groppa al suo drago. Con grande stupore, quando raggiunsero Dan, era in compagnia di Gim e di alcuni uomini del villaggio. Erano stati mandati da Jo

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a cercarli perché non aveva ancora avuto loro notizie, ed era in ansia. Trovarli non fu facile, ci volle un bel po’ di fortuna, ma al-la fine ce l’avevano fatta. Stavano costruendo una portantina per portare Dan. Si spaventarono molto alla visione del drago, le leg-gende raccontate lo facevano pericoloso e, per quanto Dan li a-vesse preparati, trovarselo davanti li aveva scossi. Gor prese un po’ di erba zolforina dallo zaino, fece due palline, ne mise una per ogni ferita del padre e lo bendò. Gli uomini sta-vano discutendo su dove sotterrare Felix. Gor li interruppe espri-mendo il suo desiderio: «Scusate! Io desidero che la sua tomba sia nella grotta, quella che lui aveva scelto per Airok». Guardò il drago per avere la sua approvazione e la ottenne. «Sono d’accordo con te, è il posto migliore». Presero la salma per portarla dentro la grotta, quando dal margine del bosco sentirono dei rumori. Non sapendo che tipo di pericolo stesse incombendo su di loro, si prepararono alla difesa. In un at-timo furono circondati da decine di elfi. Airok ordinò: «State tutti fermi, sono amici. Depositate le armi». Gli uomini obbedirono subito dandogli fiducia. Erano in forte minoranza, non avrebbero avuto via di scampo se ci fosse stato un attacco. Uno di loro fece un passo avanti e si presentò. «Sono Danio, capo del popolo degli elfi». Gor si affiancò ad Airok osservandoli. Si assomigliavano tutti, a prima vista sembrava appartenessero tutti alla stessa famiglia. Vestivano abiti sporchi e mal ridotti con colori dalle tonalità che andavano dal verde, al marrone e giallo ocra. Potevano così mi-metizzarsi con la vegetazione. Gor disse: «In cosa possiamo esservi utili?» «Siamo qui per riportare a casa Felix. È uno di noi, il suo posto è tra la sua gente e la sua famiglia. Se lo merita dopo tanti anni». «Mi spiace che le cose siano andate così» disse Gor affranto «Non è questo che volevo per lui, non volevo liberarlo dall’incantesimo per vederlo morire subito dopo!»

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«Se Felix avesse potuto scegliere un modo per morire, sarebbe stato questo; perdere la vita al fianco del cavaliere dei draghi, per lui è sicuramente stato un grande orgoglio». A un cenno del capo, quattro elfi con una portantina si avvicina-rono e caricarono la salma, per poi avviarsi verso il bosco. Così, silenziosi com’erano arrivati, se ne andarono senza salutare. Gor decise di nascondere la spada dei cavalieri all’interno della grotta, in modo che solo lui o Airok, nel momento del bisogno, avrebbe-ro avuto la possibilità di recuperarla. La portò all’interno e la infi-lò in quello che per decenni fu il giaciglio del drago. Airok com-pletò il lavoro richiudendo l’ingresso con un incantesimo. Per quanto Dan insistesse perché Gor tornasse a casa con Airok, lui non ne volle sapere. Voleva stargli vicino, approfittò per rac-contargli come avesse tentato di uccidere Xiro, senza riuscirci, perché non si era accorto che aveva un pugnale nascosto ed era stato ferito perdendo le forze; anche se con un po’ di fortuna era riuscito a colpirlo con la spada dei cavalieri obbligandolo a scap-pare. Gor a sua volta raccontò come Xiro lo avesse abbindolato, convincendolo a lasciarlo libero e come fosse intervenuto Airok, sistemando la situazione. Quando arrivarono al villaggio, furono circondati da curiosi vo-gliosi di sapere gli avvenimenti accaduti. Jo abbracciò il figlio e volle personalmente controllare la ferita del marito per essere si-cura della gravità. Con suo grande stupore, quando tolse la fascia-tura, la ferita era completamente guarita, non lasciando nessun segno, merito dell’erba zolforina. Dan si alzò in piedi incredulo, non aveva il minimo dolore. Subito dopo, quando Airok fece il suo ingresso nel villaggio, fu-rono tutti presi dal panico e cercarono un posto dove nascondersi. I più coraggiosi brandirono spade e archi per ucciderlo. Non fu facile convincerli che era buono e che non era lì per creare scom-piglio. Alla fine Gor ci riuscì, e raccontò a tutti i presenti, che via via si facevano sempre più numerosi, come aveva trovato il drago e come, grazie a lui, Xiro fosse morto. Era stanchissimo, gli sem-

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brava di non dormire da un’eternità, così informò i presenti che avrebbe continuato il racconto il giorno successivo. Fu preso sot-to braccio dalla mamma e portato a casa. Appena si stese sul letto si addormentò subito. Airok si alzò in volo e si diresse verso la propria casa, non prima di aver fatto un lungo giro assaporando il piacere della libertà. Il giorno dopo, insieme a Gor raccontò, alla presenza di tutto il villaggio e degli anziani, l’intera storia. Alla fine disse: «Xiro è morto! Perciò la maledizione non ha più senso, da questo momento la considero annullata». Una nube azzurra avvolse l’intero villaggio e, quando si dissolse, nessuno aveva più il marchio dell’occhio sul dorso della mano. Quella stessa sera ci fu una grande festa. Gor si avvicinò a Airok e gli disse: «Mi porti al fiume? Devo assicurarmi di una cosa». «Se ci vuoi andare per la spada, sappi che ci sono passato prima di venire. Comunque sali che ti ci porto». Volarono alti nel cielo e atterrarono in riva al fiume, dove era ca-duta la spada, Gor cercò di capire dove fosse ma senza risultato, l’acqua era troppo profonda per recuperarla. «Qui l’acqua è molto profonda, non riusciamo a recuperarla, ma non ti devi preoccupare, conosciamo solo noi dove si trova con esattezza» disse Airok. «Meglio così» rispose Gor, felice dopo molto tempo. Nei mesi successivi le cose cambiarono al villaggio. Quasi tutte le donne erano in attesa di un bambino, compresa Jo. Erano tutti in festa e Gor non vedeva l’ora di vedere il suo fratellino o sorel-lina, intanto trascorreva parecchio tempo con Airok. Un giorno che il sole era alto nel cielo e Airok e Gor facevano il loro volo quotidiano, videro all’interno del fiume un luccichio. Era la spada degli ammazza-draghi che, colpita dai raggi del sole, faceva vedere la sua presenza. Succedeva sempre alla stessa ora; così, per assicurarsi che nessuno l’avesse recuperata, andavano a

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controllare. Quando vedevano il riflesso sull’acqua, volavano alti nel cielo spensierati e felici con il loro segreto.

FINE ANTEPRIMA

CONTINUA…

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