2 DIALOGO TRA UN RICERCATORE E UN PUBBLICITARIODAL FALSO MITO DEI PERSUASORI OCCULTIAL RISCHIO DEI SUGGERITORI DIGITALI
8 ALLA RICERCA DELLA HUMAN SATISFACTIONdi Marzio Bonferroni
12 BANCO ALIMENTARE: UNA PRATICA DI HUMAN SATISFACTIONdi Elena Todesco
18 TOTAL SINGLE SOURCE PANELUNO STRUMENTO DA SCOPRIRE
20 PROGETTO, DUNQUE INVESTO: UN ANNO DI OSSERVATORIO ANIMAdi Pierluigi Giverso e Matteo Tagliaferri
26 SEMINARIO WORKSHOP GfK EURISKOEXPO MILANO 2013. ISTRUZIONI PER L’USO
SOMMARIO CENTODICIANNOVE
GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | LUGLIO 2013 | 1
Basta crisi. I politici hanno deciso che nesiamo fuori - quasi. L’anno prossimo il PILfinalmente crescerà, o non decrescerà. Male domande drammatiche permangono,anche nel nostro settore, nel mondo dellacomunicazione, del marketing, dellaricerca sociale. Se ci fermiamo a riflettere ci
rendiamo conto che tutto si tiene, che la buona ricerca favorisce la comunicazione efficace, e che imedia più efficienti e reputati sono i migliori veicoli per i contenuti propri ma anche per la pubblicitàche ospitano. Dietro le pratiche migliori di marketing si scorgono ricercatori e comunicatori capacidi fare sistema, di parlarsi reciprocamente in una fertilizzazione incrociata che crea risultati virtuosi.Per questo Social Trends inaugura i dialoghi tra professionisti, iniziando da un confronto traricercatori e professionisti della pubblicità. Per favorire conoscenza reciproca e per far cadere inutilisteccati. Vogliamo contribuire a fare sistema, per le nostre professioni, per il futuro del nostro Paese.
EURISKO SOCIAL TRENDSI L C A M B I A M E N T O S O C I O C U L T U R A L E
NOVEMBRE 2013NUMERO 119
FARESISTEMA
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GM (Giuseppe Minoia)Esistono aspetti da chiarire, pensieri nascosti che riguardano
la relazione tra ricerca (psicosociale o in quanti altri modi la
vogliamo definire) e mondo della pubblicità, relativamente ai
prodotti di comunicazione commerciale?
Ci stiamo avvicinando e incontrando, o siamo ancora fermi
agli anni 70/80, quando gli uomini della pubblicità pensava-
no “vade retro ricercatore, perché tarpi le ali alla mia creatività”?
AF (Andrea Fontanot)Ho l’impressione che la situazione possa essere addirittura un
po’ peggiorata negli ultimi anni. Spiego perché. Inutile na-
scondere che un pregiudizio, serpeggiante tra i corridoi delle
agenzie, c’è sempre stato. Io ho cominciato alla fine degli anni
’80 e ricordo le reazioni di scoramento, quando il cliente co-
municava “Bisogna testare questa campagna; prima di produrre
facciamo una qualitativa”. Questo soprattutto in un’agenzia di
pubblicità, che ha vari aspetti e molte anime e dove il pregiu-
dizio parte dal reparto creativo. È abbastanza comprensibile,
visto il rapporto filiale che un creativo ha verso la propria pub-
blicità. Dopo aver superato i vari assalti, prima quelli interni
del reparto account, poi quelli del cliente, c’è l’ennesima tagliola
della ricerca sulla strada del parto felice dell’idea.
Io, in passato, come account, poi negli ultimi anni da strategy
planner, ho avuto un rapporto un po’ meno conflittuale con
la ricerca qualitativa. L’ho vista più come un mio strumento,
una risorsa, ma questo non è il punto di vista dominante. Le
cose, dicevo, sono un po’ peggiorate negli ultimi anni, un po’
per l’accelerazione dei tempi e dei processi, e forse anche per
la perdita di una certa cultura nei due lati della nostra dialet-
tica quotidiana, che sono quelli dell’azienda e dell’agenzia. Que-
sto peggioramento ha fatto sì che negli ultimi tempi si sia uti-
lizzata la ricerca come una sorta di oracolo. Ho visto addirit-
tura - e siamo all’aberrazione massima - utilizzare la ricerca
come discriminante per far vincere una gara. La spada di Da-
mocle massima. Invece di usare la ricerca come una risorsa di
arricchimento, approfondimento, comprensione delle dina-
DAL FALSO MITO DEI PERSUASORI OCCULTIAL RISCHIO DEI SUGGERITORI DIGITALI
Dopo tanta ricerca sull’efficacia e l’efficienza della comunicazionepubblicitaria, pensiamo sia utile aprireun confronto con chi la pubblicità la crea. Lo facciamo con Andrea Fontanot,International Strategy Director di Saatchi & Saatchi Health, figura di grande esperienza nella comunicazione, che ha recentemente suscitato interessecon un suo contributo (“Un mito duro a morire. Deconstructing Vance. Storia e attualità del clichè pubblicitario = persuasore occulto”)pubblicato sull’ultimo numero di BILL, un nuovo periodico voluto da pubblicitariimpegnati, decisi a dibattere sul ruolo non solo commerciale di questa forma di comunicazione. Fontanot trae spuntida una rilettura critica dell’opera di Vance Packard I persuasori occulti(1957), titolo originale The hiddenpersuaders. Partiamo da qui.
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Dialogo tra un Ricercatore e un Pubblicitario
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miche di comunicazione che si vanno a suscitare nei target che
si vuole raggiungere, l’ho vista usare come un semaforo per in-
dicare: “va bene” / “non va bene”. Frustrante per tutti, agenzia
e ricercatori.
GM Sorge la domanda: perché, dopo decenni dedicati ad ap-
profondire, a fare ricerche, a scrivere libri sul ruolo della ricerca
esistono ancora questi preconcetti? Abbiamo spiegato alle azien-
de che la ricerca serve se crea circoli virtuosi di sapere e di ar-
ricchimento cognitivo, utili come insight per nuovi concept,
da mettere a tema in racconti, da parte delle più belle menti
della creatività. E abbiamo aggiornato sui valori, sui convin-
cimenti, e sui nuovi segmenti di pubblico.
Mi chiedo: i pubblicitari ci leggono? Sono interessati ai nostri
discorsi? O pensano di essere fuori dal gioco, in una sorta di
terreno legibus solutus, al di fuori delle correlazioni cultura-
li, sociali ed economiche?
AF Non vedo in giro tanta voglia di approfondire, di con-
frontarsi su queste tematiche. Noi facciamo un lavoro che ri-
guarda la comunicazione che potrebbe attingere da tantissi-
mi campi per arricchirsi. La ricerca è uno di questi, con tutti
i risvolti di derivazione psicologica, sociale e semiotica.
Ci sono mille aspetti che rendono questo lavoro tuttora, a mio
parere, affascinante. Però non vedo molta voglia di rimetter-
si in discussione. Io credo che quello che abbiamo vissuto ne-
gli ultimi anni nel mondo della pubblicità sia stato un processo
di affannata corsa all’evoluzione tecnica, nel senso di tecnica
del proprio mestiere, dovuto alla trasformazione veloce del si-
stema mediatico. Questo tipo di rincorsa, che siamo stati co-
stretti a fare, temendo la perdita di contatto con quello che sta-
va succedendo nel mondo (e anche questo forse non siamo ri-
usciti a farlo compiutamente, se valutiamo come la pubblici-
tà sta reagendo all’evoluzione digitale dei mezzi) ha appiatti-
to tutto il resto. Per cui alla tua domanda rispondo: No, pur-
troppo non c’è, forse non c’è più, forse c’era in passato, quan-
do ho cominciato, con le persone che mi hanno insegnato que-
sto mestiere. Il primo è stato Marco Vecchia, che mi ha por-
tato in pubblicità. Allora vedevo che c’era un altro tipo di ap-
proccio. Oggi ci si accontenta di dire “ho fatto questa verifica
internamente, quindi sono a posto”. La ricerca diventa uno step
di un processo, piuttosto che un momento di arricchimento,
di evoluzione, di apprendimento delle dinamiche che creiamo
con i nostri atti comunicativi.
Dal punto di vista del cliente basta pensare: “mi è stato detto
che la pubblicità funziona, quindi va bene” oppure “non va bene
e non si va avanti”.
GM Forse qualcosa è mancato dal mondo della ricerca. Forse
non ci siamo resi conto della delicatezza del dover entrare nei
territori della comunicazione creativa, in una logica un po’ da
elefante che con la sua pesantezza distrugge la cristalleria crea-
tiva. Credo che ci sia anche questo nella preclusione dei pub-
blicitari verso la ricerca. Abbiamo visto ricerche che qualche vol-
ta potevano essere accusate di superficialità, o di errori inter-
pretativi, o di supponenza. Suggerirei un mea culpa da parte del
mondo della ricerca verso la pubblicità. Ma penso anche che
la pubblicità abbia fatto pochissimo per aprirsi e mettersi in una
posizione di ascolto. Se faccio riferimento alle mie non poche
esperienze, ricordo che non raramente le presentazioni di ri-
cerca avvenivano di fronte all’azienda e all’agenzia schierate en-
trambe in posizione di difesa, considerando la ricerca appun-
to come intrusione che tarpa le ali invece di servizio che le ren-
de più agili. D’altra parte, non raramente anche le innovative
segmentazioni dei nostri stili di vita sono state percepite come
un nodo per stringere e costringere dentro percorsi che veni-
vano considerati asfittici e prevedibili. Ma le cose forse stanno
cambiando. Queste resistenze, che si sono create anche per col-
pa nostra, perché non siamo stati capaci di dialogare con e per
gli insight creativi, forse sono solo un ricordo.
AF Quello che sta emergendo - è il motivo per cui siamo qui
a parlarne - è che oggi le occasioni di dialogo sono momenti
rari di confronto. Da parte dell’agenzia si notano certamente
mancanze nei ricercatori, che si possono riassumere in due pun-
ti fondamentali:
1. Il rispetto dei ruoli: un elemento che anche a me dà fasti-
dio, quando lo noto, nelle discussioni tra ricerca ed agenzia, è
il voler entrare troppo negli aspetti tecnici di comunicazione,
non avendone spesso padronanza; si creano così situazioni im-
barazzanti, con la richiesta di cambiare, per esempio, un fra-
me. Il nostro obiettivo invece è di cogliere il problema per poi
favorirne una libera rielaborazione.
2. Il secondo aspetto riguarda il linguaggio. Ritorniamo ai tem-
pi di Vance Packard; mi viene in mente la serie televisiva Mad
Men (ndr Mad Men è un serial statunitense prodotto dal 2007,
ideato da Matthew Weiner, che utilizza il mondo pubblicita-
rio di New York degli anni settanta come specchio per raccontare
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i grandi cambiamenti avvenuti nella società americana durante
il decennio). Nella prima puntata della prima serie c’è una sce-
na in cui, per un cliente che si occupa di un marchio di siga-
rette, arriva una ricercatrice motivazionale, presentata come
una psicologa di stampo freudiano, che fa un lungo discorso
sul rapporto con le sigarette. Il direttore creativo, una volta che
lei è uscita, prende la ricerca e la getta nel cestino; un account
prende dal cestino la ricerca e cerca di presentare i risultati al
cliente per “farsi bello”, ma il direttore creativo lo smentisce e
propone un’idea esattamente contraria, rendendo felicissimo
il cliente che voleva sentirsi dire esattamente quello. È chiaro
che è un problema di linguaggi differenti, che non si incontrano
e che hanno bisogno di trovare invece momenti di scambio co-
struendo un nuovo e condiviso “contratto comunicativo”.
GM Siamo stati ingenui, a volte anche incolti, nel modo di af-
frontare questi temi delicati. E nel porgere i risultati dell’ana-
lisi alla committenza. Ma voltiamo pagina. Noi qui in GfK Eu-
risko siamo convinti che la ricerca per la pubblicità abbia an-
che favorito la crescita culturale ed economica. Il pubblico è
cresciuto in consapevolezze, grazie alla pubblicità sono cresciuti
gli atteggiamenti consumeristici e sono sempre più stati mes-
si in crisi i messaggi non veri, manipolatori, basati su deside-
ri senza costrutto. Inoltre, siamo sempre più convinti che le ri-
cerche per la pubblicità abbiano aiutato a far crescere i beni del
nuovo benessere. È difficile fare un bilancio, ma noi ritenia-
mo che sia decisamente positivo, a meno di non condividere
il paradigma della decrescita felice alla Latouche.
Ma noi sappiamo che il pubblico desidera la crescita felice, una
crescita che sia verde e blu, rispettosa della sostenibilità am-
bientale e socioculturale. Oggi le persone si lamentano perché
non crescono felicemente, e perché decrescono infelicemen-
te. Le teorie alla Latouche ben vengano per alimentare il di-
battito, ma non possono essere risolutive chiavi interpretati-
ve per capire gli atteggiamenti e i comportamenti dei cittadi-
ni e dei consumatori oggi.
AF L’articolo sui persuasori occulti e in generale il progetto del-
la rivista BILL nasce dalla percezione del deficit di cultura del-
la pubblicità e della comunicazione attuale nei mass media, la
cui responsabilità viene molto superficialmente affibbiata a noi
pubblicitari e ai ricercatori. In sostanza, si semplifica troppo
sul “bravo consumatore ingenuo” e sulla decrescita felice.
Nel vostro seminario annuale “Saper vedere oltre la crisi”, si par-
la dell’indice di benessere sociale basato su bisogni di secon-
do ordine, che avete dimostrato essere addirittura più im-
portante del Pil nel definire lo stato generale di un Paese. In
sostanza, voi dite, occorrono risposte più ricche e complesse
per un individuo che manifesta bisogni di un nuovo benessere
che sono a cavallo tra il materiale e l’immateriale.
La pubblicità, se lavora bene, lavora in questa direzione, del-
la crescita felice, nell’accrescimento di questi bisogni.
GM Proseguiamo sul tema dei bisogni di secondo tipo. Qual-
cuno mi ha chiesto di spiegare meglio cosa intendiamo per que-
sto tipo di bisogni. La formula è seducente ma forse un po’ ne-
bulosa. Ci provo: i bisogni di secondo tipo sono un aggrega-
to di desideri che si configurano in bisogni di nuove esperienze.
Esempio: ho sete ma desidero dissetarmi in un percorso di espe-
rienza di rinfrescamento; desidererei quel tipo di bottiglia che
sarà di un colore particolare, evocativo di una certa emozio-
ne e che esteticamente rimanderà a precise esperienze artisti-
che, tra design e artigianato. Ovviamente mi voglio dissetare,
ma di un liquido che abbia una determinata origine, con un
GRAZIE ALLA PUBBLICITÀSONO CRESCIUTI GLI ATTEGGIAMENTI CONSUMERISTICI E SONOSTATI MESSI IN CRISI SEMPRE PIÙ I MESSAGGI NON VERI, MANIPOLATORI,BASATI SU DESIDERI SENZA COSTRUTTO.
AF Credo che il racconto sia figlio dell’evoluzione dei mezzi
di cui parlavo prima. Fino a 10-15 anni fa quando si lavorava
quasi esclusivamente sulla comunicazione tradizionale, ai tem-
pi pre-Internet, si puntava sulla sintesi estrema, in una logica
di sottrazione molto hemingwaiana.
Oggi i nuovi mezzi offrono l’opportunità di instaurare un tipo
di dialogo e di rapporto con il proprio target molto più ricco,
più duraturo nel tempo, che si articola in modo diverso pro-
prio per le caratteristiche dei mezzi che favoriscono rapporti
molto più complessi. Ma non è detto che chi è bravo nelle sin-
tesi sia altrettanto bravo nello storytelling. Come se un He-
mingway improvvisamente dovesse passare a uno stile più ric-
co, se non addirittura barocco. Forse vale anche il contrario e
ci sono persone che con lo storytelling riescono ad articolare
meglio il messaggio, a lavorare più sull’esperienza. E un altro
aspetto che favorisce tale evoluzione è il retail, che richiede co-
municazioni nuove, di tipo fisico e non solo verbale. Penso a
tutta l’evoluzione dell’esperienza multisensoriale che vediamo
nei punti vendita più evoluti, da Ikea a Nike, ad Abercrombie.
Non è la storia raccontata con testo e immagini, ma la realtà
che diventa esperienza, che da virtuale diventa fisica. È il ge-
nius loci, dove il brand prende vita.
GM In questo quadro ritorniamo alla domanda di apertura:
con il racconto non si rischia di tornare a quella persuasione
occulta che siamo concordi la pubblicità tabellare non riesce
a creare? In sostanza, raccontare alla fine non significa inven-
tare, fare fiction?
AF No, non vedo tanto questo rischio perché c’è una sorta di
disclaimer; nel momento in cui entro in uno di questi mon-
di sono abbastanza conscio di esserci. Mi fanno più paura quel-
le tipologie di comunicazione che sono veramente occulte e che
hanno più a che fare con certe forme di giornalismo. Detto sot-
tovoce, perché trattasi di territorio minato, dove oggi ci sono
rischi di persuasione occulta è in quegli ambiti che non sono
ufficialmente etichettati come comunicazione pubblicitaria
commerciale. Se la narrazione si svolge in un territorio bran-
ded, il consumatore sempre più “scafato” è in grado di coglierne
il senso, e di eventualmente difendersi. Dove si annidano mag-
giori pericoli, anche per le persone più consapevoli, è nel tipo
di comunicazione online, dove si assiste all’utilizzo abbastan-
za spregiudicato di opinioni e suggerimenti da blog.
È il caso di “Trust Me, I’m Lying. Confessions of a Media Ma-
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valore del tutto peculiare per me ma anche per la sociocultu-
ra cui appartengo, che mi garantisca anche che non sta facendo
morire di sete altri. Come si può capire, è un secondo livello
difficile da cogliere, pertanto il nostro invito ai pubblicitari è
di procedere assieme, per tentativi ed errori, sino a creare nuo-
ve rappresentazioni, nuovi racconti efficaci nell’evocare que-
sto tipo di bisogni. Difficilmente noi occidentali oggi mori-
remmo di sete, ma potremmo soffrire di insoddisfazione per-
ché i nostri bisogni di secondo tipo non sono stati intercetta-
ti. Ad esempio, quando scegliamo un albergo, ci muoviamo se-
condo questo orientamento di secondo livello. Dove, fatti sal-
vi i bisogni primari, conta un certo tipo di esposizione “con vi-
sta” o un certo tipo di colazione con determinati contenuti sa-
lutistici, edonistici, estetici. Questo la pubblicità smart deve per-
cepire e tradurre in racconto, in comunicazione.
AF È un territorio molto affascinante e anche piuttosto mi-
nato, perché poi bisogna essere bravi nella definizione di que-
ste storie e questi racconti, a far sì che questo percorso non sia
percepito come forzato, lontano dalla realtà. Parlare di biso-
gni di secondo tipo, per esempio, può avvenire se quelli di pri-
mo tipo sono soddisfatti. Non bisogna sottovalutare l’impat-
to con la realtà. Specie in questi tempi di crisi, che coinvolgo-
no fasce ampie di popolazione. Questo è comunque un terreno
di dialogo molto interessante.
GM Continuiamo sul tema della pubblicità che diventa rac-
conto. Fino a 10 anni fa non si usava il termine racconto; le cam-
pagne avevano una loro schematicità, sostanzialmente facile
da analizzare. Oggi invece la pubblicità è racconto, storytelling.
Secondo te, il “racconto” pubblicitario attuale in che cosa è nuo-
vo e diverso?
OGGI I NUOVI MEZZI OFFRONOL’OPPORTUNITÀ DI INSTAURARE UN TIPO DI DIALOGO E DI RAPPORTOCON IL PROPRIO TARGET MOLTO PIÙRICCO, PIÙ DURATURO NEL TEMPO,CHE SI ARTICOLA IN MODO DIVERSOPROPRIO PER LE CARATTERISTICHEDEI MEZZI CHE FAVORISCONORAPPORTI MOLTO PIÙ COMPLESSI.
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nipulator”, di Ryan Holiday, (PR americano noto per alcune
campagne controverse). Creava le notizie, le faceva circolare.
Lui stesso spiega “Funziona in maniera piuttosto semplice: qual-
cuno mi paga, io costruisco una storia e la confeziono, e si fa
in modo che risalga tutta la catena dell’informazione, da un
piccolo blog a Gawker, al sito web di un network locale, all’-
Huffington Post, ai quotidiani nazionali e ai network TV e poi
all’inverso, finché il falso diventa reale. Qualche volta creo la
storia dal nulla, qualche volta mi invento un documento e lo
spaccio come trafugato da un’azienda, può succedere veramente
in mille modi”. I casi riportati spaziano dalla fabbricazione vera
e propria di una candidatura per le Presidenziali alla costru-
zione di pseudo-scandali per provocare attenzione e appeal al
proprio brand. Se pensiamo a questi approcci, la pubblicità che
vediamo sui media (cosiddetta “tabellare”), cioè spot, annunci
stampa, comunicati radio, poster, ma anche su internet, che nel-
la stragrande maggioranza dei casi si dichiara ed è perfettamente
riconoscibile come tale, non è affatto “occulta”.
I rischi allignano lì, a mio parere, dove raccomandazione, ven-
dita, indicazione commerciale e autorevolezza giornalistica del-
la testata si mescolano. Ma pensiamo anche più semplicemente
a Trip Advisor: bisogna leggere tra le righe per capire se e quan-
do ci si possa fidare di queste recensioni. Sono nuovi tipi di in-
formazione e di relazione intorno a un prodotto o a un brand,
che richiedono nuove regolamentazioni.
GM Concludiamo con una riflessione sul peso specifico del-
la pubblicità. Per una persona della mia generazione la pub-
blicità è stata un fattore culturale rilevante, dove non soltan-
to il contenuto ma anche la forma hanno avuto un ruolo im-
portantissimo. Pensiamo alla Pop Art, alla grafica, ma anche
al cinema, alla letteratura. Mi chiedo se oggi la pubblicità pos-
sieda statuti formali, narrativi, contenutistici tali da incide-
re sull’evoluzione socioculturale, oltre che sui rapporti di
desiderio con i prodotti.
AF Noi di BILL pensiamo che la pubblicità sia tuttora
un fattore culturale e sociale centrale nella vita di un
Paese; per questo siamo andati a studiare come è oggi
la comunicazione nei Paesi emergenti. Riteniamo che la
Primavera Araba, ad esempio, si sarebbe capita in anticipo ana-
lizzando la comunicazione pubblicitaria di quei Paesi.
GM Mi vengono in mente i film Barilla anni ‘90, con il padre
che tornava a casa con tanta voglia di spaghetti, o “chi mi ama
mi segua” dei jeans Jesus. Sono stati cornerstones della pub-
blicità. Oggi esistono esempi altrettanto risonanti?
AF Sì esistono, forse non tanto in Italia dove di coraggio ce n’è
poco. Mi viene in mente la campagna Chrysler con Clint East-
wood che parla dello stato di crisi di Detroit e che è stata alla
base di un dibattito che fece scandalo. Quando la pubblicità
prende una posizione forte, anche ideologica, credo che pos-
sa essere molto risonante.
GM In Italia c’è qualcosa di così memorabile oggi?
AF Forse no, ma la capacità c’è. Per questo ci vuole coraggio.
Mettiamo assieme ricercatori e pubblicitari e partiamo per stu-
diare nuove campagne. Ma occorre un cliente con una men-
talità molto aperta. L’analisi dei Paesi del Brics (Brasile, Rus-
sia, India, Cina, Sudafrica) ci ha permesso di utilizzare la pub-
blicità come sistema di comprensione di quello che sta succe-
dendo. Ogni Paese ha una storia particolare, in tutti la pubblicità
è recente e urbana. La Russia ha una cultura visiva molto vi-
vace e si sta velocemente affermando sulla scena dei festival in-
ternazionali. I brasiliani sono considerati all’avanguardia;
hanno vinto al festival di Cannes il premio Agenzia dell’An-
no. Anche i Cinesi stanno producendo cose molto interessanti.
Sono tutti Paesi caratterizzati da una grande energia che si ri-
trova nei loro messaggi. C’è grande fertilità.
GM Expo 2015 potrebbe mettere a disposizione spazi per mo-
strare queste nuove produzioni, queste testimonianze dell’e-
nergia creativa “per la vita” dei Paesi emergenti.
> SOMMARIO
8 | GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013
ALLA RICERCADELLA HUMAN SATISFACTION
Con il termine human satisfaction si intende una diversa visione e relativo metodo per integrare ed evolvere il modello di consumatore, che è ritenuto ormai umanamente restrittivo e non più utile, per lo stesso profitto delle imprese. La sfida per la human satisfaction sta nella suamisurazione. Su questo anche GfK Eurisko ha aperto un Think Thank per capire quale potrà essere il modo migliore di integrare e parametrare le necessità/items delle persone-clienti e dei varistakeholder, nelle aree dell’emotività, della razionalità e dell’etica. Con questa premessa, può essere utileriflettere su alcuni elementi che riguardano l’origine e le prospettive di questa visione.
GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013 | 9
di Marzio Bonferroni http://it.wikipedia.org/wiki/Marzio_Bonferroni
La vera opportunità, oggi,
per le imprese e per le stesse modalità
di ricerca, è offerta dal riconsiderare
il consumatore in una prospettiva
più completa, di “ascolto”
e comprensione del suo modo
di essere. L’atto di consumo,
i comportamenti e le attitudini
ad esso collegate direttamente,
sono sempre più secondari rispetto
all’essere umano nella sua integrale
realtà psichica, che ne determina
preferenza e tempi di decisione.
Il concetto della customer
satisfaction, dunque, oggi deve
evolvere nella più completa human
satisfaction, per ottenere vendite
e profitto attraverso la creazione
di relazione, fiducia e soddisfazione
dell’essere umano-cliente
verso l’impresa e i suoi brand.
Obiettivo primario per l’impresa
del futuro, che produca sia per larghe
masse di pubblico, sia per altre
imprese industriali o commerciali,
è dunque quello non di catturarne
semplicemente l’attenzione,
ma di ottenere una forte relazione
fiduciaria con ogni singola
persona-stakeholder, interno
o esterno all’impresa, per fornire
risposte alle sue necessità allargate
alle aree dell’emozione, della ragione
e dell’etica, quest’ultima oggi
particolarmente rilevante.
La comunicazione, nei progetti
di sviluppo di un’impresa, diventa
una voce sempre più importante.
Occorre considerare, dunque,
che i pubblici, esposti ai messaggi,
razionalmente o inconsciamente
si chiedono ….“a cosa serve questo
messaggio”, cioè come
la comunicazione realizza o accresce
il valore della marca, e soprattutto
quali necessità risolve?
Il valore di un brand, per il pubblico,
si identificherà sempre più
nella sua capacità di risolvere
necessità emotive, razionali ed etiche.
Il problema é trasversale, e si presenta
in tutto il settore della comunicazione
d’impresa, in modo evidente,
nei messaggi che vengono diffusi
nei diversi media, off e online,
semplici o complessi che siano,
ed è definibile in alcuni elementi:
- Scarsa consistenza nei contenuti
- Eccesso di attenzione
agli aspetti estetici e formali
- Scarsa attenzione alle istanze
del pubblico e alle sue necessità
- Scarsa propensione alla promozione
del dialogo e della relazione,
fino alla fidelizzazione
da mantenere e sviluppare.
Dopo tanti anni di analisi,
esperimenti, esperienze dirette
e indirette, l’orientamento non è più
verso la pubblicità, ma verso
la comunicazione, metodo
e non tecnica, basato sulle logiche
10 | GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013
Per ottenere la relazione fiduciaria,
per l’impresa è determinante
conoscere dunque a fondo, attraverso
analisi e ricerche ad hoc, le necessità
emotive, razionali ed etiche.
Queste tre aree compongono
nel loro complesso la totale human
satisfaction, all’interno della quale
l’atto di consumo non è che una
piccola porzione di vita
della persona-cliente dell’impresa.
Si passa, dunque, sempre
più decisamente da un’economia
orientata alla produzione
a un’economia orientata all’ ascolto
del cliente, sempre con intenti
di profitto, ma come frutto
di un rapporto relazionale e umano
fra impresa e mercato.
Nelle tre aree della human satisfaction
si devono analizzare le necessità/item,
diverse da impresa a impresa,
e la cui soddisfazione è determinante
per creare prima attenzione,
poi opinione positiva e infine
desiderio di acquisto e acquisto
ripetuto nel tempo, misurazione
concreta del rapporto fiduciario
tra impresa e cliente.
L’impresa moderna, secondo
gli economisti più attenti, si rende
pienamente conto dell’importanza
vitale e strategica della comunicazione,
che alcuni considerano addirittura
il “bene economico dominante”
nell’economia del prossimo futuro.
Attenzione a non commettere più
l’errore di considerare la pubblicità
quale sinonimo di comunicazione.
Le tecniche pubblicitarie sono sempre
valide per attirare l’attenzione
e dire in pochi secondi cos’é
una marca e un prodotto, pur
non assolvendo al compito sempre
più determinante di realizzare
una forte relazione fiduciaria con
i pubblici di interesse, fino ad arrivare
alla loro fidelizzazione, attraverso
un processo integrato tra impatto
e relazione fidelizzata.
Per l’impresa moderna, e sempre più
in futuro, non è più determinante
la semplice attrazione del cliente,
ottenuta con tecniche di “aggancio
dell’attenzione”, bensì la fidelizzazione
(loyalty) ottenuta attraverso una
relazione costante e utile per i diversi
stakeholder. In questo il web,
il mondo digitale e le conseguenti
tecniche diventano determinanti.
I progetti di comunicazione
e sviluppo utili per le imprese,
nella concezione della totale human
satisfaction, come nella costruzione
di un edificio, hanno necessità
di basarsi su forti fondamenta.
I progetti dunque si devono realizzare
attraverso un preliminare
orientamento indicato da ricerche
quali-quantitative approfondite
sulle necessità degli stakeholder,
e attraverso una strategia globale
orientata all’essere umano (strategia
olistica e integrale), nella quale
si considerino tutti gli aspetti,
dal posizionamento-impatto iniziale,
alla relazione continuativa,
alla fidelizzazione, per ottenere
comunicazione sia interna
sia esterna, fino al presidio
della “comunità” potenzialmente
esistente per ogni marca.
IL VALORE DI UN BRAND, PER IL PUBBLICO, SI IDENTIFICHERÀ SEMPRE PIÙ NELLA SUA CAPACITÀ DI RISOLVERE NECESSITÀ EMOTIVE, RAZIONALI ED ETICHE.
GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013 | 11
di processo e orientata a una nuova
considerazione e rispetto dell’essere
umano, visto in tutte le sue integrali
componenti psicologiche ed economiche
nelle aree emotive-razionali-etiche.
Per sintesi, possiamo tentare
di configurare tre pilastri per i progetti
di sviluppo e comunicazione
di marketing attuale, ovvero:
1. La human satisfaction,
come obiettivo della comunicazione
e del marketing, per passare
decisamente dalla vecchia visione
ristretta della customer satisfaction
e dell’atto di consumo quale elemento
dominante, a una visione allargata
a considerare le necessità che l’essere
umano ha pur sempre nelle aree
dell’emozione, ma anche della ragione
e dell’etica e che, insieme,
in modo complementare e sinergico,
determinano la human satisfaction,
misurabile nel rapporto che esiste
e che si evolve, fra necessità umane
e soluzioni proposte dall’impresa.
L’obiettivo è quello di tentare,
per mezzo della comunicazione
e del marketing, di ridurre
il più possibile il gap esistente fra
le necessità rivelate nell’essere
umano-cliente, e le soluzioni offerte
dall’impresa e dai suoi brand.
Questo non solo nell’area emozionale
(che la pubblicità per tanto tempo
ha ben presidiato).
2. La multicreatività, quale nuovo prodotto della creatività
di un team multidisciplinare,
rappresentativo di tutte le discipline
e tecniche umanistiche, di marketing
e di comunicazione tendenti insieme
a generare una strategia unitaria
per risolvere le necessità emotive,
razionali ed etiche. Il nuovo creativo
sarà dunque il team multidisciplinare,
generatore della strategia dalla quale
nasceranno i messaggi orientati
a risolvere le esigenze delle human
satisfaction di ogni singolo
stakeholder, e non limitarsi
al customer, che rappresenta soltanto
una parte dell’essere umano-cliente.
3. La logica di processo, per tendere a eliminare il gravissimo
problema rivelato da imprenditori
e manager attenti e innovativi,
che consiste nell’eccesso
di frammentazione delle diverse
tecniche della pubblicità, della
comunicazione, della relazione
e della loyalty che fra di loro
non si parlano o, peggio ancora,
tendono a escludersi a vicenda
per motivi essenzialmente collegati
ai singoli business e aree di
competenza. Occorre in pratica
un’entità super partes
(team multidisciplinare) che,
come un architetto, realizzi prima
il progetto per l’interesse
della persona-cliente e poi, soltanto
successivamente, e su basi
di capitolato di tecniche necessarie,
pensi alla valutazione e all’acquisto
di quello che realmente serve
all’impresa e non ai suoi fornitori
di beni e di servizi. La stessa parola
“Agenzia” è notevolmente invecchiata,
e dovrà necessariamente evolversi
verso una pratica consulenziale
indipendente, rivelando spesso
in se stessa più l’intenzione di “agire
per conto di”…, ovvero di vendere,
più che quella di ascoltare le esigenze
e di condurre una consulenza
tendenzialmente obiettiva.
In sintesi dunque questa è la sfida.
Una sfida di metodo e culturale,
prima che tecnica, avendo comunque
sempre a disposizione metodi
e tecniche scientifici per la ricerca
quali-quantitativa e per l’analisi
delle necessità e anche dell’efficacia
obiettiva dei programmi
di sviluppo e comunicazione.
> SOMMARIO
12 | GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013
Dottor Giussani, come spiegare il Banco Alimentare a unprofano…“La nostra fondamentale missione, scritta anche nello Statu-
to, è il recupero di eccedenze (provenienti da produzione, dis-
tribuzione e catering) e cioè alimenti perfettamente e lecita-
mente commestibili, ma non più commerciabili, per varie ra-
gioni (rottura delle confezioni, scadenze ravvicinate, difetti di
packaging, etichette non adeguate). Noi recuperiamo tutto que-
sto, che altrimenti verrebbe buttato, lo selezioniamo e lo dis-
tribuiamo gratuitamente a strutture caritative (Caritas, par-
rocchie, associazioni, Mense e Comunità) che hanno come in-
terlocutori famiglie e persone indigenti. Questa organizzazione
si avvale del contributo di circa 1.700 volontari che operano
continuativamente, a seconda della loro disponibilità, appli-
cando una regola per noi fondamentale: fare tutto gratuita-
mente. Il Banco Alimentare non paga il cibo che raccoglie e non
chiede compensi alle strutture che lo ricevono. È un dono, un’o-
pera di carità: condividere il bisogno per condividere il senso
della vita. Questo è il nostro slogan che richiama alla pover-
tà, al bene come alimento, come significato della vita”.
Quella del Banco Alimentare è ormai una lunga storia…“Il Banco compirà 25 anni nel 2014. La Giornata Nazionale
della Colletta Alimentare, che è per noi un ‘fuori mission’, per-
ché non si recuperano eccedenze, ma si dona del cibo, ha, in-
vece, 17 anni. La Colletta, che è molto conosciuta, si svolge
l’ultimo sabato di novembre. In questa giornata si richiede a
tutti di fare una spesa in più che sarà donata a una famiglia
povera. Sul territorio nazionale si muovono circa 135mila vo-
lontari delle principali strutture caritative che poi riceveran-
no gli alimenti. L’ultimo anno sono state raccolte circa 9mila
e 200 tonnellate di cibo e i consumatori che abbiamo incon-
trato sono stati circa 5 milioni”.
Avete altre iniziative sul territorio?“C’è SitiCibo, una raccolta quotidiana di eccedenze di grandi men-
se, strutture di ristorazione, ospedali, scuole e grandi aziende.
BANCO ALIMENTAREUna pratica di Human Satisfaction
Eccedenza: sostantivo femminile singolaredi radice latina (ex-cedĕre, andare oltre)che significa quantità, parte che supera i limiti stabiliti. Non c’è valore emozionalein questa definizione. Né sentimentalismo. È un dato di fatto, semplicemente. Banco Alimentare si occupa da anni di eccedenze. È una realtà organizzativaconsolidata che svolge un servizioquotidiano, efficace, civile, ma silenzioso.Se incontrassimo qualcuno per strada e gli dicessimo “Banco Alimentare”sarebbe interessante collezionare le risposte e capire le associazioni di pensiero. Noi l’abbiamo chiestodirettamente ad Andrea Giussani,presidente della Fondazione BancoAlimentare, da sempre esperto di marketing e di comunicazione.
GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013 | 13
di Elena Todesco
14 | GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013
A fine orario-mensa, il cibo non servito e non toccato (la te-
glia intera di pasta, il pane, la pentola di riso, la frutta, la ver-
dura) viene preparato, caricato su camioncini e portato in strut-
ture convenzionate vicine, che lo servono al pasto successivo.
In caso di alimento cotto, utilizziamo frigo che abbattono in po-
chi minuti la temperatura, portandola a 2°C, e consentendo la
massima sicurezza. Così si riescono a servire pasti completi. L’an-
no scorso si è trattato, su tutto il territorio, di 700mila porzio-
ni equilibrate sotto il profilo nutrizionale!”
Come si finanzia tutto questo? Se tutto è gratuito e organiz-zato secondo i criteri del volontariato, la domanda sorge dav-vero spontanea…“Con fatica, purtroppo. Con donazioni private, scarsi contri-
buti pubblici e bandi. Ora, però, ci sono due limiti fondamentali:
i bandi sono pochi e sono comunque più attenti al front-end
cioè a chi si interfaccia con il povero (noi non ci occupiamo
direttamente di lui). Negli ultimi anni abbiamo usufruito an-
che di bandi regionali e di una contribuzione che deriva da un
bando del Ministero del Welfare che sostiene associazioni di
volontariato. Poi ci sono donazioni di aziende e di privati…
Abbiamo anche una buona risposta al direct/mailing. Inoltre
organizziamo esperienze di co-marketing con alcune aziende
e facciamo volontariato di impresa con i dipendenti che ven-
gono a fare i volontari per un giorno…
Sono tutte attività che toccano la Social Responsability. Anche
se siamo oculati nelle spese, la situazione è complessa, perché
i donatori sono diminuiti mentre la richiesta di alimenti è in
continuo aumento. Poi, naturalmente, ci sono le spese di eser-
cizio, i trasporti e gli affitti… quest’anno la Fondazione, che
ha in carico un piccolo nucleo di persone e di servizi centra-
li, ha chiuso in rosso e le 21 associazioni che fanno parte del-
la rete Banco Alimentare stentano a raggiungere il pareggio.
Il nostro fiore all’occhiello è che i soldi sono destinati allo sco-
po e non alla gestione, o agli eventi…
Noi spendiamo in gestione il 16% dei denari di cui disponia-
mo; le grandi Charity spendono percentuali molto più eleva-
te per promuoversi e quindi hanno rientri molto elevati. La no-
stra percentuale è corretta, ma lo sforzo di autopromozione e
pubblicità è scarso e quindi i ritorni proporzionalmente limitati.
Il movimento dei vostri finanziamenti non è chiaramenteespresso sul vostro sito… “Noi siamo orgogliosi di spendere poco in pubblicità e pro-
mozione, ma è pur vero che altre realtà di volontariato hanno
maggiore visibilità e potere attrattivo. I proventi del 5 X mille,
per esempio, per noi sono ancora scarsi: siamo al 200esimo po-
sto, con 170mila euro circa.
Per permettere a tutte le 21 associazioni della nostra rete di fare
la propria campagna, le donazioni sono state distribuite su di-
GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013 | 15
versi codici fiscali… ma questa si è rivelata una linea perden-
te che pensiamo di cambiare. La nostra comunicazione sul 5
x mille inoltre è stata scarsa fino a oggi. Compare solo in cal-
ce alla nostra mail… poi c’è il passaparola di amici… nient’altro”.
Sembra dunque che anche per fare del bene, e per farlo inmodo sensibile, sia necessaria visibilità…“Noi non esibiamo temi di carità da sostenere immediatamente
perché emozionanti, gravi malattie, denutrizione nel terzo mon-
do. Non abbiamo a che fare con bisogni in qualche modo di
moda: non restauriamo castelli fatiscenti, non avviamo ricer-
che scientifiche. Possiamo solo far vedere i nostri magazzini che
producono prodotti per destinatari operosi, ma silenziosi. Noi
non siamo una Charity, ma un’impresa di logistica che fa ca-
rità. Salvo la Colletta, per il pubblico vasto non abbiamo fre-
quente visibilità con il nostro tipo di attività. Le grandi Onlus,
le ‘imprese filantropiche’ fanno eventi pubblici e raccolgono mol-
ti soldi. Noi facciamo la Colletta che raccoglie cibo da distri-
buire, ma è una giornata che non dà margini per pagare il re-
sto dell’attività quotidiana.”
Voi non siete una Onlus caritatevole a tutto tondo, ma una real-tà pragmatica che si occupa di solidarietà laica. Dichiarate dilavorare ‘nel perseguimento di finalità di solidarietà sociale
nei settori dell’assistenza sociale e della beneficienza nel sol-
co della dottrina cristiana, della dottrina sociale della Chie-
sa e del suo magistero’...“Laico… cristiano… il problema non si pone. All’origine del-
la nostra storia c’è un elemento religioso che cerchiamo di te-
stimoniare, ma che non ha mai posto limiti alla nostra attività.
Noi consegniamo pacchi a qualsiasi tipo di organizzazione: a chi
si occupa di Rom come di extracomunitari di varie religioni.
Chi ci dona le eccedenze non si è mai posto il problema: sposa
l’attenzione alla persona, la nostra efficienza organizzativa e la
qualità del risultato. I fatti dimostrano la nostra mission.
Quando parliamo di eccedenze, noi ci riferiamo a opportuni-
tà di recupero. Si dice che in Italia c’è spreco, che è uno scan-
dalo, che si butta via un sacco di cibo… È certamente vero, è
uno scandalo. E allora cosa possiamo fare?
Suggerire, come accade in certe trasmissioni televisive, di recu-
perare l’avanzino per fare le polpette? Non è la nostra compe-
tenza né ci sembra la priorità del tema dello spreco. È elegante
parlarne in uno studio televisivo, procura anche quella sottile
colpevolizzazione della società dei consumi che piace a tutti noi,
anche a chi ha comportamenti iperconsumistici.
A noi del Banco Alimentare, invece, dello spreco interessa prio-
ritariamente la possibilità di recuperarlo e ridistribuirlo. La
nostra società dei consumi impone alla produzione com-
portamenti che producono sprechi: impone l’estetica, la
perfezione della scatoletta… Allora, invece di flagellarci mo-
dificando eventualmente un comportamento individuale, la-
voriamo per recuperare. Diamo valore a ciò che altrimenti sa-
rebbe perso. Dare questi prodotti al Banco Alimentare tra-
sforma l’eccedenza in nuovo valore.
E parliamo allora di valori; la vostra attività rientra in uncomportamento ecologico- ambientale che però voi non sot-tolineate…“A questo proposito, c’è un dibattito interno, in Fondazione.
Noi svolgiamo un’attività che ha a che fare con la carità; que-
sto è il nostro focus principale, ma è una carità sociale che ha
anche conseguenze ecologiche (di non spreco), etiche (di com-
portamento), di educazione ambientale (per via della dimi-
nuzione di rifiuti/emissioni). Questi aspetti per noi sono solo
conseguenze. Qualcuno ci dice ‘ mettetevi un vestito più alla
moda, non dite di ricevere alimenti eccedenti per distribuirli.
Anche GfK Italia contribuisce al successo della Colletta del Banco Alimentare, l’ultimo sabato di novembre.
A NOI DEL BANCO ALIMENTARE,INVECE, DELLO SPRECOINTERESSA PRIORITARIAMENTELA POSSIBILITÀ DI RECUPERARLOE RIDISTRIBUIRLO.
pongono a test su come gestiamo i loro alimenti. Sono pro-
totipi virtuosi di aziende. Chi ci dà alimenti, progressivamente
aumenta le quantità perché scopre che si tratta di un vantaggio
sociale, etico, ma anche di efficienza.
Alla fine l’azienda spende meno. Buttare la roba costa, ci sono
procedure impegnative… noi aiutiamo le aziende a ridurle.”
Ma se cedendo le eccedenze le aziende diventano più efficienti,innescano un circolo virtuoso, pagano meno tasse, produconomeno rifiuti, senza considerare che quello che non si vendenon verrà sprecato... perché non tutte le aziende si rivolgonoal Banco Alimentare? “Noi dobbiamo dare più voce alla comunicazione… abbiamo
aziende amiche, che hanno molti filoni di prodotto e che in-
vitiamo periodicamente a raccontare la positività del rappor-
to che hanno con noi, come donatori di alimenti.
Le comunità che ricevono alimenti da noi, invece, solitamen-
te non vogliono essere visibili.
16 | GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013
Dite di essere ambientalisti perché diminuite lo spreco re-
cuperando alimenti che altrimenti andrebbero all’inceneri-
tore. Avreste più credito, così’. In Italia apparentemente non
si muore di fame. Invece siamo un Paese con 4 milioni di po-
veri a rischio di povertà alimentare, 1 su 37 Italiani. E a ri-
schio significa che ci sono persone che non sanno se man-
geranno domani. Per queste persone il cibo non è solo un va-
lore economico.
Difficile far capire il messaggio che il cibo ha un valore eti-
co e passarlo di mano è una necessità reale. Abbiamo brand
della GDO che da anni ci danno non solo le loro eccedenze
alimentari, ma hanno implementato dei processi interni di
cernita di ogni singola scatoletta. Se non è più che perfetta,
ci viene consegnata. Noi la controlliamo, verifichiamo che il
prodotto all’interno sia integro e la distribuiamo. Queste azien-
de della GDO non pubblicizzano il fatto di essere nostri part-
ner, ma lavorano con noi; vogliono che il cibo che ci conse-
gnano con la loro etichetta sia conservato bene, e ci sotto-
IN ITALIA APPARENTEMENTE NON SI MUORE DI FAME. INVECE SIAMOUN PAESE CON 4 MILIONI DI POVERI A RISCHIO DI POVERTÀALIMENTARE, 1 SU 37 ITALIANI. E A RISCHIO SIGNIFICACHE CI SONO PERSONE CHE NON SANNO SE MANGERANNO DOMANI.PER QUESTE PERSONE IL CIBO NON È SOLO UN VALORE ECONOMICO.
GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013 | 17
Anche se hanno comunità molto attive, mense, case di ac-
coglienza, servizi sociali generalmente non cercano la fama.
Avete in programma di comunicare di più?“Al momento non avremmo nemmeno i soldi per fare
grandi campagne. Un guru della comunicazione ci ha det-
to una cosa interessante: se uno pensa alle associazioni che
si occupano dei drogati pensa a Don Picchi, Don Mazzi, Don
Ciotti… ma i nomi delle associazioni che queste persone han-
no creato, nessuno li conosce. Si ha in mente il testimonial
in genere, il leader. E allora ci ha suggerito di trovarci un te-
stimonial che sia il nostro simbolo perché la gente si affezioni
a lui. Ma il Banco Alimentare non è una persona. È un inte-
ro popolo dietro uno scopo...”
Ritorniamo alle aziende. Si potrebbero facilitare le proce-dure della donazione al Banco?La nostra attività trae grande sostegno dalla legge del buon
Samaritano (Legge 155/2003) che ci ha permesso il crescen-
te sviluppo di SitiCibo. Ma da un anno, ad esempio, se si do-
nano merci del valore superiore ai 5 mila euro, si deve co-
municare l’operazione all’Agenzia delle Entrate.
Le aziende vorrebbero evitare questa procedura, sulla quale
noi non possiamo, però, intervenire. Le norme dovrebbero
essere facilitanti e spesso non lo sono.”
Parliamo un po’ di controlli di sicurezza sui prodotti…“Noi rispettiamo tutte le norme igieniche. Consumiamo tem-
po e denaro per formare persone addestrate e subiamo con-
trolli di ogni genere.
Siamo una macchina efficiente, ma il discorso è difficilmente
divulgabile; resta tra tecnici. Siamo spesso noi a fare corsi sul-
la sicurezza alimentare agli addetti delle aziende. Ma anche
di questo nessuno parla”.
Quali difficoltà logistiche dovete superare per la raccoltadelle eccedenze alimentari?“È una procedura standard. Ci sono giri scadenzati. Esiste un
calendario. È come accade nella grande distribuzione nor-
male… c’è un programma di massima e poi ci sono gli adat-
tamenti, anche con le comunità che serviamo.
Esiste una qualità nell’eccedenza che deriva dalla qualità del-
l’azienda. Ci vuole un buon livello di coscienza ed efficien-
za per lavorare bene.
Sembrerebbe questa la sua conclusione“La qualità non è vendibile se il mondo non lavora sulla qua-
lità. Bisogna lavorare per innalzare la qualità complessiva…
ci vorrebbe una vera rivoluzione culturale. Quella che fa sco-
prire che la bellezza della vita e delle opere produce ancor più
desiderio di far bene e quindi fa stare meglio tutti.
> SOMMARIO
TOTAL SINGLE SOURCE PANELUNO STRUMENTO DA SCOPRIREUna svolta nel mondo della ricerca è il nuovo Total Single Source Panel che permette di raggiungere 30.000 potenziali individui e 13.000 famiglie,monitorandoli a largo spettro - in mododiretto, oggettivo e spesso anche inconsapevole - utilizzando tecnologied'avanguardia. “Portiamo il nostro lavoro in una dimensione spazio-temporale piùmoderna. La società moderna producesicuramente più dati, ma meno informazioni e molta più complessità di ieri. il nostro sistema Total Single Source Panel è un risolutore di complessità, in grado di sostenere manager e aziende nel recuperare integrazione e coerenza fra le informazioni cruciali per le loro decisioni, permettendo di agire in tempi sempre più rapidi e con efficacia ed efficienza maggiori”. Così spiega Silvio Siliprandi AD e Presidente GfK Eurisko, al quale abbiamo chiesto di sintetizzare i plus che rendono il Total Single Source Panello strumento più adatto al nuovo millennio.
18 | GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013
Con questa nuova risorsa qualunquetipo di azienda può avere una serieimportante di informazioni sul posizionamento competitivo dei propri prodotti, sui target attuali e potenziali, e su come gli investimentipubblicitari vadano a ricadere sui comportamenti d’acquisto/consumo.
Attraverso questa analisi avremo,
quindi, anche il tracciato di come
gli investimenti dell’azienda intercettano
le spese e le scelte delle famiglie
per diventare prodotti e servizi.
Una soluzione straordinariamente
efficace per dare informazioni, supporto
e chiavi di lettura ad aziende e società,
nonché al mondo della consulenza
e delle Pubbliche Amministrazioni,
su come oggi si possano trattare
i dati che riguardano le persone.
Il Total Single Source Panel fornisce dati su tutti i mezzi, a casa e fuori casa. È anche dotato di GPS, fondamentale per rilevare il territorio, importanteoggi, e ancor più in futuro, perché essostesso un Media. Il tutto incrociato per i consumi e gli Stili di Vita degli Italiani.Il Total Single Source Panel fa convergere
tutti i risultati delle ricerche GfK Eurisko
che hanno sempre lavorato su campioni
distinti. Il vantaggio? Tutta l’informazione
all’interno di un’unica fabbrica.
Il Total Single Source Panel utilizzatecnologie d’avanguardia.
GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013 | 19
PER MAGGIORI [email protected]
I panelisti hanno a disposizione:
A. Il Dialogatore, un tablet customizzato
GfK Eurisko, con software particolari:
va tenuto a casa; è sempre acceso perché,
attraverso questo mezzo,
GfK Eurisko dialoga e formula,
anche quotidianamente se necessario,
delle domande. Nel corso dell’anno,
attraverso questo mezzo, vengono
raccolte le informazioni psicografiche,
tipiche di Sinottica, i consumi fuori casa,
i consumi di beni e servizi.
B. L’Eurisko Media Monitor, un device grande circa la metà
di uno smartphone: serve a rilevare
l’esposizione a tv, radio e territorio.
Una volta all’anno, 4000 membri
del panel devono accettare di usarlo
per tre mesi e mezzo.
Trascorso questo tempo, il device
viene passato ad altri 4000 membri
del panel per i successivi tre mesi
e mezzo, e, quindi, a un terzo gruppo
per lo stesso periodo di tempo.
Il device deve essere tenuto in tasca,
in borsetta, attaccato alla cintura.
C. Il tracciatore automaticodella navigazione (software Meter): viene inserito all'interno del pc,
dello Smartphone e del Tablet,
con il compito di rilevare
la navigazione Internet (ma non
il traffico mail di posta elettronica).
D. Il barcode scannerper la rilevazione degli acquisti:
i panelisti devono scansionare
i prodotti come avviene alla cassa
del supermercato.
I dati sono sempre trattati in modoaggregato, senza alcun collegamentocon l’identità della persona. Non c'è alcun tipo di collegamentoall'individuo, al suo nome e cognome.
> SOMMARIO
TOTAL SINGLE SOURCE PAN
EL
20 | GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013
PRIMO RILIEVO: I PROGETTIQuanti progetti? Quali progetti? Cominciamo con il dire che
sono due su tre gli Italiani che hanno progetti (figura 1), una
percentuale in crescita nel maggio 2013 (ultima indagine), ri-
spetto alla rilevazione di un anno prima, che evidenziava un 62%
di famiglie con progetti, e di quella di fine 2012, con solo il 56%
di risposte positive, un dato che si spiega almeno in parte con
l’elevata incertezza economica e politica di quel momento. Il
numero di progetti si rivela piuttosto stabile: oscilla tra 0,9 e 1,1
nelle diverse rilevazioni.
Gli Italiani risparmiano con il proposito di costruire una sor-
ta di ‘cuscinetto’ per emergenze o imprevisti (il 27% del cam-
pione) o una riserva per il futuro (il 14%).
PROGETTO, DUNQUE INVESTOUn anno di Osservatorio ANIMA
Ha compiuto un anno l’OsservatorioANIMA - GfK Eurisko sui risparmi e i progetti delle famiglie italiane. Un lavoro articolato in analisi ricorrenti,distanziate di alcuni mesi l’una dall’altra,su un campione di 550 soggetti maggiorennie bancarizzati, rappresentativi di circa 39 milioni di Italiani. L’Osservatorio è nato allo scopo di studiare i progetti delle famiglie italiane (che richiedono un impegno economico), le modalità con cui li perseguono, l’orientamento e le preferenze rispetto agli strumenti di investimento e, non ultimo, il sentimentsulla congiuntura economica del momento e le prospettive del Paese,variabili esterne che influenzano le decisionidi spesa, risparmio e investimento. In sintesi, l’Osservatorio evidenzia che gli Italiani vedono il risparmio come un ‘paracadute’ da aprire in caso di crisi,sono disposti a rinunciare a rendimentielevati in cambio della sicurezza del capitale, e sono tradizionalistinell’approccio ai consumi.
GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013 | 21
di Pierluigi Giverso e Matteo Tagliaferri
100
90
80 20
30
40 50
60
70
10
0
10 0 10
FIGURA 1 IL ‘PROGETTOMETRO DEGLI ITALIANI’Può dirmi se ha qualche progetto per i prossimi mesi, per lei, per la sua vita, per la sua famiglia? Se sì, quanti?
GLI ITALIANI CHE HANNO PROGETTI
66 maggio 2013
56 dicembre 2012
62 maggio 2012
Base: popolazione bancarizzata (N=550) Valori in percentuale
100
90
80 20
30
40 50
60
70
10
0
2
1
0
3
0
00002
1,6
1,8
1,4
0,8
0,6
0,4
0,2
1,2
0
1
QUANTI PROGETTI HANNO
1,1 maggio 2013
1,0 dicembre 2012
1,0 maggio 2012
22 | GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013
Ci sono poi progetti ‘stagionali’ - come le vacanze - che cattu-
rano maggiormente l’attenzione degli Italiani almeno nel mese
immediatamente precedente l’estate: andare in vacanza è indi-
cato, infatti, dal 31% del campione. Provvedere all’istruzione dei
figli figura stabilmente come il quarto progetto più citato, seguito
dall’aiutare economicamente i familiari, dal rimborsare i debi-
ti, acquistare o ristrutturare casa o altri beni importanti.
LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE? IN CODA Ultima nella scala degli interessi la previdenza complementa-
re, dato che si presta a una duplice interpretazione: una che vede
gli Italiani come essenzialmente fatalisti o convinti che qualcun
altro (lo Stato) provvederà, come è avvenuto finora e a dispet-
to di ogni evidenza, un’altra che individua piuttosto un gap tra
l’esigenza di risparmiare anche per la pensione (almeno per quel-
la fetta di persone impegnate ad accumulare un capitale come
riserva di sicurezza per il futuro) e gli strumenti di previden-
za complementare. Insomma, l’offerta non sarebbe in grado di
convertire la domanda in soluzioni concrete di investimento.
La quota di chi progetta di iniziare o continuare a costituirsi una
pensione integrativa, un modesto 4% dei bancarizzati, potrebbe
però crescere in maniera clamorosa, secondo quanto rilevato
dall’Osservatorio. Il 41% del campione, infatti, (figura 2) a una
domanda sul tema si è dichiarato disposto a sottoscrivere una
forma di previdenza complementare, ammesso che questa sia
in grado di rispondere ad alcune esigenze. Quali? Il 18% degli
Italiani bancarizzati vorrebbe che le forme di previdenza
complementare gli permettessero di coprire eventuali esigen-
ze impreviste, il 14% pone come questione preliminare il co-
noscere “con precisione l’ammontare della pensione obbliga-
toria rispetto allo stipendio netto” e un altro 9% desidera sa-
pere “con precisione l’ammontare dell’integrazione rispetto allo
stipendio netto”. Il 14% vorrebbe la “garanzia di mantenere l’at-
tuale tenore di vita” e solo il 5% indica come determinante il
fatto di “godere di vantaggi/agevolazioni fiscali”. Posto che al-
cune di queste esigenze trovano già oggi risposta nella regola-
mentazione esistente (si pensi al regime delle anticipazioni) e
nell’attuale offerta di mercato, rimane sul tavolo il problema di
una comunicazione non efficace.
COME RAGGIUNGERE I PROPRI OBIETTIVISe si provasse a tratteggiare un primo profilo degli Italiani sul-
la base di questi dati emergerebbe un popolo di risparmia-
tori, più formiche che cicale, anche se formiche che difficil-
FIGURA 2 PREVIDENZA COMPLEMENTARE? SÌ, A CERTE CONDIZIONI
permettessedi coprireeventualiesigenzeimpreviste
sapessecon precisionel'ammontaredella pensioneobbligatoriarispetto allostipendio netto
desse la garanzia di mantenerel'attuale
tenore di vita
sapessecon precisionel’ammontare
dell’ integrazionerispetto allostipendio netto
permettessedi goderedi vantaggi /agevolazionifiscali
1814 14
95
41
59
Sottoscriverebbe una pensione integrativa
a patto che...
Non sottoscriverebbeuna pensione integrativa
Citazioni spontanee, risposte multipleBase: ha progetti per il futuroRilevazione di maggio 2012Valori in percentuale
ATTUALMENTE IL 34% RISPARMIA O INVESTE, IL 14% ATTINGE A SOLDI MESSI DA PARTE E SOLO IL 6% PAGA A RATE O DILAZIONA NEL TEMPO I PAGAMENTI.SONO DUNQUE FONDATE SUL BUON SENSO E SULLA LINEARITÀ LE STRATEGIECHE GLI ITALIANI METTONO IN CAMPO PER REALIZZARE I PROPRI PROGETTI
GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013 | 23
mente riescono a incanalare gli sforzi verso precisi obiettivi
a lunga scadenza, e che privilegiano un approccio tattico a
uno strategico. Quanto alle modalità per raggiungere i pro-
pri obiettivi, gli Italiani non cercano scorciatoie (figura 3): il
75% del campione dichiara di ridurre le spese superflue, il
12% riduce (anche?) quelle importanti, evidenze confermate
dai dati Istat sulla spesa media mensile delle famiglie italia-
ne, scesa del 2,8% nel 2012, la caduta più forte dal 1997, anno
di inizio delle nuove serie storiche di Istat.
Attualmente il 34% risparmia o investe, il 14% attinge a sol-
di messi da parte e solo il 6% paga a rate o dilaziona nel tem-
po i pagamenti. Sono dunque fondate sul buon senso e sulla
linearità le strategie che gli Italiani mettono in campo per rea-
lizzare i propri progetti. In ottica dinamica, un anno di crisi
ha lasciato il segno: rispetto a un anno fa è salita dal 68 al 75
la percentuale di coloro che applicano una qualche forma di
spending review al bilancio familiare, mentre è scesa dal 43 al
34% quella di coloro che riescono effettivamente a mettere del
denaro da parte o risparmiare/investire.
Da ultimo, evidenziamo che ‘risparmiare di più’ era, a fine
2012, un proposito per l’anno nuovo per la metà del campione.
Le prossime rilevazioni potranno saggiare quanto gli Italia-
ni hanno dato seguito ai loro propositi.
GLI INVESTIMENTI?VERSO VALORI STABILI, NON PIÙ IMMOBILINell’ambito degli investimenti, l’Osservatorio indaga sia la
propensione a investire nei diversi strumenti, sia gli aspetti
a cui le persone prestano maggiore attenzione. Ma andiamo
con ordine. Come investirebbero gli Italiani? Le evidenze cam-
biano a seconda che si consideri l’intero campione o solamente
il sottoinsieme di risparmiatori/investitori.
Nel primo caso , il 43% degli intervistati investirebbe, aven-
done la possibilità, un valore stabile nelle diverse rilevazio-
ni (oscilla tra il 46% e il 41%). Tra la prima e l’ultima rile-
vazione emerge, però, una piccola rivoluzione in ordine alle
forme di investimento predilette: se un anno fa il 25% del cam-
pione si dimostrava disponibile a investire in immobili e il
19% in prodotti finanziari, nel maggio di quest’anno la si-
tuazione si presentava opposta, in quanto il 23% indicava i
prodotti finanziari come prima scelta e ‘solo’ il 18% avreb-
be optato per l’investimento immobiliare (figura 4).
FIGURA 3LA RIDUZIONE DEL SUPERFLUORIMANE LA STRATEGIAPRIORITARIA. CHE SI ACCOMPAGNAOGGI A UN MAGGIORRICORSO ALLE ‘SCORTE’
E quali sono le strategie, dal punto di vista economico, che sta mettendo/metterà in atto per realizzare questi progetti?
ridurrele spesesuperfluein vacanza
metteredel denaroda parte,risparmiare/investire
usare i soldi,i risparmimessida parte
ridurrele speseimportanti
pagare a rate,dilazionarenel tempoi pagamenti
68
77 75
43 42
34
14
8
14 13 11 128 9
6
Citazioni spontanee, risposte multipleBase: ha progetti per il futuroValori in percentuale
maggio 2013
dicembre 2012
maggio 2012
FIGURA 4 L’INVESTIMENTO IMMOBILIAREPERDE APPEAL (NON È PIÙ UN BENE RIFUGIO?)Se oggi avesse dei soldi da investire, quali prodotti sceglierebbe?
Base: popolazione bancarizzata (N=550) Valori in percentuale
2320
25
1919
maggio 2013
PRODOTTI FINANZIARI
CASE / IMMOBILI
LIQUIDITÀ / CC
dicembre 2012 maggio 2012
67
6
18
re in un anno dal 12 al 21%. Il fenomeno dei ‘fondi a scaden-
za’, che hanno intercettato più della metà della raccolta netta del-
l’industria del risparmio gestito nei primi cinque mesi del 2013,
conferma il trend. Passando poi al secondo tema, cioè le carat-
teristiche che maggiormente orientano le decisioni di investi-
mento, la protezione del capitale (indicata dal 44% del campione
complessivo e dal 65% del sottoinsieme dei risparmiatori) e la
presenza di un rendimento minimo (citata rispettivamente dal
38% e dal 68%) sono di gran lunga le principali, seguite a gran-
de distanza dai costi contenuti (20% di citazioni in entrambi gli
universi) e dalla semplicità (16% e 26% di citazioni).
L’attenzione per questi aspetti ancora una volta contribuisce a
spiegare il favore di cui godono i fondi a scadenza, che hanno
fra i loro punti di forza naturali l’implicita protezione del capi-
tale (costruiti come portafogli diversificati di titoli obbligazio-
nari con scadenza allineata a quella dei prodotti) e la capacità
di offrire un rendimento minimo attraverso lo stacco di cedo-
le periodiche dall’ammontare spesso dichiarato. L’orizzonte tem-
porale necessario per valutare la bontà di un investimento è in
media di circa due anni, ma un intervistato su quattro (il 27%
per la precisione) riconosce che esso deve variare in funzione del
tipo di investimento. Poi, circa la metà di coloro che possiedo-
no prodotti di investimento si dichiara molto o abbastanza sod-
disfatto del proprio portafoglio, valore che non mostra una for-
te volatilità nel corso del tempo.
È affine per certi versi al tema della soddisfazione, in quanto auto-
riferito, quello dell’atteggiamento verso gli investimenti, rilevato
nell’Osservatorio di dicembre 2012 e in quello del maggio 2013.
La cautela risulta essere un binomio quasi inscindibile quando
24 | GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013
Molti fattori concorrono a questo cambio di preferenze: primi
fra tutti, l’allungamento dei tempi delle transazioni e il calo dei
prezzi, la difficoltà a ottenere un mutuo, l’introduzione dell’I-
mu che è andata a pesare ulteriormente sui bilanci delle fami-
glie; a proposito di quest’ultima, tra l’altro, rispondendo a una
domanda specifica, circa l’85% del campione si è espresso a fa-
vore di una riforma dell’imposta e a parere del 44%, addirittu-
ra, questa rappresenta una delle iniziative prioritarie su cui si ri-
tiene che il Governo debba intervenire. Dall’altra parte, gli in-
vestimenti mobiliari (titoli di stato, fondi comuni, ecc.) hanno
potuto contare nel periodo intercorso tra la prima e l’ultima ri-
levazione (maggio 2012 - maggio 2013) di un vento favorevo-
le, vale a dire di un andamento complessivamente positivo. Li-
mitando l’analisi al sotto-campione (decisamente più piccolo)
degli investitori (figura 5), cioè coloro che detengono almeno un
prodotto finanziario, la propensione all’investimento raddop-
pia (all’80%) e si amplificano i fenomeni già evidenziati. La pre-
ferenza per i prodotti di investimento sale dal 53% della prima
rilevazione al 72% della più recente, mentre la preferenza per gli
immobili si dimezza, dal 29 al 15%, passando addirittura per il
37% dell’autunno 2012. L’interesse per Btp e simili è stato an-
ch’esso piuttosto altalenante, essendo passato dal 27 al 36, e poi
al 22 e nuovamente al 36% nel corso delle quattro rilevazioni.
È facile individuare nell’evoluzione dello spread dei Titoli di Sta-
to Italiani il motivo del loro altalenante appeal nei diversi fran-
genti, anche sullo sfondo dell’evoluzione della scena istituzio-
nale e politica italiana. A livello di maggior dettaglio è interes-
sante la progressione dell’investimento in fondi obbligaziona-
ri/obbligazioni, che fra gli investitori vede le preferenze passa-
FIGURA 5 MENTRE CHI GIÀ È NEL MONDO DEGLI INVESTIMENTI RIPETEREBBE CON MAGGIORECONVINZIONE LA SUA SCELTA, ORIENTANDOSI DI PIÙ VERSO I TITOLI DI STATOE se oggi avesse dei soldi da investire, quali dei seguenti prodotti sceglierebbe?
non indicanon investirebbe/ non ha soldi da investire
prodotti di investimentoe cioè >
case / immobili terrebbe i soldi sul c/c/ in liquidità
Citazioni guidate, risposte multiple - Base: n = 110 (maggio 2012), 136 (dicembre 2012), 107 (maggio 2013) Valori in percentuale
maggio 2013
dicembre 2012
maggio 2012
7 7 5
80 81 79
53 55
72
29 28
15
6 8 1013 12
16
Non investirebbe 11%Non ha soldi
da investire 5%
Investirebbe in...
GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013 | 25
Questa stabilità velata di pessimismo è una visione del futuro
con cui anche l’industria del risparmio gestito si deve confrontare.
All’industria del risparmio, dunque, spetta il compito di aiu-
tare le famiglie italiane a non ‘schiacciarsi’ su soluzioni di ri-
sparmio troppo basiche e alla lunga impoverenti, a non ri-
nunciare a guardare al futuro e insomma ad aiutarle a rispar-
miare e investire nel modo più efficace per realizzare i propri
progetti di vita. I fondi obbligazionari a scadenza da una par-
te sono un interessante passo in questa direzione. I consulen-
ti possono appoggiarsi ai fondi flessibili di nuova generazione
costruiti con l’obiettivo di difendere il capitale e le fasi di ribasso
dei mercati. Proporre prodotti complessi sotto il profilo gestionale
all’interno di una confezione semplice sarà una delle chiavi del
successo per gli operatori del risparmio gestito.
Se spetta alle Sgr raccogliere questa sfida, agli intermediari del
risparmio - banche e sim - spetta un compito altrettanto im-
pegnativo: adottare nuovi modelli di consulenza più vicini al
modo di pensare dei risparmiatori: la teoria del portafoglio
comportamentale (Behavioral portfolio theory), che non ha
ancora trovato applicazione su scala industriale, può fornire
qualche spunto sulla direzione da seguire.
si parla di investimenti, per gli Italiani: oltre il 90% degli inter-
vistati si dichiara infatti prudente. Una certa disillusione sul mon-
do del risparmio contraddistingue poi oltre la metà delle per-
sone. Non sono del tutto assenti le indicazioni di segno positi-
vo: il 40% del campione si dichiara molto o abbastanza aperto
alle novità, il 34% molto o abbastanza ottimista e il 31% mol-
to o abbastanza dinamico. Insomma, gli investimenti vanno af-
frontati con prudenza, ma non con una totale chiusura, è il mes-
saggio che si può leggere da questi dati.
LA CRISI E L’ITALIA VISTI DAGLI ITALIANIL’Osservatorio ANIMA - GfK Eurisko ha anche fornito l’oc-
casione di verificare l’opinione degli Italiani sulla direzione del
Paese e dell’Europa. Così, nel maggio di un anno fa, il 33% si
attendeva una situazione economica e finanziaria invariata del-
l’Italia rispetto alla Germania, a fronte di un 17% di ottimisti
(per i quali la situazione dell’Italia sarebbe migliorata) e un 32%
di pessimisti (situazione in peggioramento relativo).
A fine anno, invece, l’Osservatorio ha catturato le previsioni sul
processo di integrazione europea: per il 15% esso avrebbe fat-
to passi avanti nel 2013, ma per il 42% avremmo vissuto una
fase di stallo e il 43% anticipava un peggioramento. Passata da
poco la metà dell’anno, possiamo lasciare ai posteri l’ardua sen-
tenza sulla bontà della previsione. Infine, a maggio 2013 il 19%
del campione ha previsto un miglioramento, nei mesi succes-
sivi, della situazione economica dell’Italia, il 42% ha previsto
stabilità e il 29% ha previsto un peggioramento (figura 6).
FIGURA 6 NEI PROSSIMI MESI, COME CAMBIERÀLA SITUAZIONE ECONOMICA DELL’ITALIA?
Base: popolazione bancarizzata (N=550) Valori in percentuale
10%Non sa / non indica
1%Migliorerà di molto
18%Migliorerà
di poco
42%Non subirà variazioni
12%Peggiorerà di poco
17%Peggiorerà di molto
Lo scorso anno i fondi obbligazionari a scadenza hanno raccolto 14 miliardi di euro*, oltre la metà dei 24 miliardi ottenuti da tutti i fondi obbligazionari, una tendenza proseguita nella prima metà del 2013. È un gradimento commerciale e di pubblico che trovafondamento in alcune caratteristiche intrinseche di questiprodotti, che ANIMA ha cominciato a proporre dal 2009. In particolare, i fondi obbligazionari a scadenza mixano le caratteristiche proprie delle obbligazioni - cioè unascadenza predefinita, una cedola periodica e la sicurezza del rimborso a scadenza, aspetti che li fanno assimilare ai titoli di Stato - con i vantaggi tipici dei fondi comuni, vale a dire la diversificazione degli investimenti e una gestione attiva e professionale del portafoglio. Che la proposizione dei fondi obbligazionari a cedola piaccialo dice anche GfK Eurisko, secondo cui i risparmiatorigenericamente propensi ad investire sono il 36%, ma diventano il 44% quando si parla di investimenti versoprogetti finalizzati e addirittura il 54%** nel caso dei fondiobbligazionari a scadenza. Numeri a parte, il vero plus dei fondi a cedola sembra essere la capacità di raccontareper intero e fin dal principio l’intero ‘film’ dell’investimento e di mettere a calendario un ‘appuntamento’ con il proprio denaro. Insomma, progetto dunque investo.
* Elaborazione ANIMA su dati Assogestioni ** Fonte: GfK Eurisko
PIACE L’INVESTIMENTO A SCADENZA
ALL’INDUSTRIA DEL RISPARMIO SPETTA IL COMPITO DI AIUTARE LE FAMIGLIE ITALIANE A NON ‘SCHIACCIARSI’ SU SOLUZIONI
DI RISPARMIO TROPPO BASICHE E ALLA LUNGA IMPOVERENTI, A NON RINUNCIARE A GUARDARE AL FUTURO
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26 | GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013
Direttore responsabile Giuseppe Minoia
Comitato Editoriale Paolo Anselmi, Isa Cecchini, Fabrizio Fornezza, Remo Lucchi,Giuseppe Minoia, Vitalba Paesano,Silvio Siliprandi
Coordinamento editoriale e ufficio stampa Vitalba Paesano
Grafica e impaginazione Fabio Berrettini
Segreteria Maura Giovannini, Tiziana Pascali
Il numero è stato inviato in formato PDF via email il 29 novembre 2013.Eurisko Social Trends è edito da GfK, allo scopo di migliorare la conoscenza delle trasformazioni della società, in ambito nazionale e internazionale. È diffuso, in forma gratuita, a una mailinglist riservata. L’iscrizione alla mailing può essere richiesta da istituzioni o imprese, oppure dalle persone che facciano parte delle medesime e siano investite di responsabilità, o da giornalisti e colleghi della stampa. Per richiedere l’iscrizione, inviare una email a [email protected]
GfK garantisce che le informazioni relativeagli abbonati, custodite nel proprio archivio elettronico, non saranno cedute ad altri e saranno utilizzate esclusivamente per l’invio del Periodico. Tali informazioni verranno gratuitamente rettificate o cancellate su richiesta. La cancellazione interromperà gli invii.
Scriveteci via email: osservazioni,suggerimenti, idee, contributi
via Monte Rosa, 1920149 Milanotel. 02 438091fax 02 48009526
w w w . g f k - e u r i s k o . i t
EURISKOSOCIALTRENDS
> SOMMARIO
MILANO 4 DICEMBRE 2013 PRESSO IL CENTRO SVIZZERO VIA PALESTRO, 2
EXPOMILANO2015ISTRUZIONIPER L’USO
L’AGENDA È LA SEGUENTE:
1. prima di tutto, che cosa intende essere EXPO 2015 per le imprese(intervento a cura della direzione marketing di EXPO)
2. quindi, quattro interventi dedicati ai contenuti, ai valori, ai segment più significativi che visiteranno EXPO
- i valori veicolabili dall’evento, dalla responsabilità alla sostenibilità sociale, culturale, ambientale
- i segmenti-target del pubblico più interessanti per l’intercettazione da parte delle imprese
- le prefigurazioni e le attese del pubblico, “cavalcabili” dalle imprese
- lo stretching del tema food, dall’alimentare all’entertainment
3. di seguito, le “istruzioni per l’uso”
- come creare sinergia con le imprese (a cura di PriceWaterHouse)
- il modello di workshop GfK Eurisko ad hoc per le imprese sensibili ai contenuti di EXPO.
S E M I N A R I O W O R K S H O P G f K E U R I S K O
Per partecipare, si prega di contattare la segreteria [email protected]
Per accredito [email protected]
I L C A M B I A M E N T OS O C I O C U L T U R A L E
Il Seminario Workshop GfK Eurisko,dedicato alle imprese di tutti i tipi, non solo food, intende essere l’occasione per individuare le opportunità che EXPO MILANO 2015 offrirà loro.
Il Seminario vuole essere il luogo ove cogliere insight, da parte delle imprese, sui contenuti,indipendentemente dall’essere presenti o meno nell’esposizione.
Gli interventi saranno a cura di Giovanni Sacripante (EXPO), Vincenzo Grassi (PriceWaterHouse), e di Paolo Anselmi, Fabrizio Fornezza,Remo Lucchi,Giuseppe Minoia,Gianni Para, Stefano Pironi (GfK Eurisko).