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I O N E IT A L AN D RI TOA I A Z rivista di diritto alimentare · 2011-09-24 · 3 Anno V, numero 1...

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Sommario Editoriale Luigi Costato Codex Alimentarius e competenze congiunte 1 Ricerche Manuel Parras Rosa Ángel Martínez Gutiérrez Comportamiento del canal Horeca en el uso y comercialización de aceites de oliva: aspectos juridicos y de mercado 3 Ferdinando Albisinni A long lasting path of competition/co-operation of public and private food law: the case of Self-Regulation Codes 14 Alessandro Artom Self-Regulation Code on Beer Advertising 19 Valeria Paganizza Fukushima, Rasff ed Ecurie 25 Osservatorio sull’Europa Fabio Gencarelli Il caso “Lidl”: come valutare la liceità di una pubblicità comparativa di prodotti alimentari 32 Ioana Ratescu Notification of food supplements in Romania 36 Commenti Alessandro Artom Giovanna Roggero Le intese lesive della concorrenza nel mercato della pasta 39 Alimentare & Globale a cura di Paolo Borghi 44 AlimentarEuropeo a cura di Paolo Borghi e Laura Salvi 46 www.rivistadirittoalimentare.it Anno V, numero 1 Gennaio-Marzo 2011 rivista di diritto alimentare A S S O C I A Z I O N E IT A LIA N A D IR IT T O A L I M E N T A R E I T A L I A N F O O D L A W A S S O C I A T I O N Editoriale Codex Alimentarius e competenze congiunte Nel settore alimentare si vanno sempre più affermando soluzioni di soft law. La difficoltà di arrivare a definizioni delle ricette di specifici cibi in sede di negoziati internazionali ad alto livello fanno sempre più pre- ferire il ricorso a soluzioni tecniche, che investano organismi super partes, o presunti tali, formati da rappresentanti tecnici di moltissimi Stati aderenti. Ad essi si è aggiunta, nel 2003, quanto al Codex ali- mentarius, l’UE, con decisione del Consiglio del 17 novembre. Qualche interesse riveste l’allegato II alla decisione, con il quale si precisano le competenze dell’Unione, quelle degli Stati membri e quelle condivise; e proprio in materia agricola e alimentare i confini fra le competenze non appaiono così chiari. Infatti le competenze esclusive dell’UE riguardano “l’armonizzazione delle norme relative a taluni prodotti agricoli e alimentari, additivi, contaminanti, medicinali veterinari, pesticidi (?), prodotti ittici e della pesca, compresi aspetti quali l’etichettatura, i metodi di campiona- mento e di analisi”, ecc. “sempre che la normativa comunitaria abbia interamente o ampiamente armonizzato tali materie”, ecc.. Trascurando le competenze esclusive degli Stati membri dell’UE, che sono limitate ad aspetti procedurali o a questioni giuridiche o di bilancio, le competenze “congiunte” riguardano le materie non inte- ramente armonizzate relative alla PAC, comprese le norme veterina- rie e fitosanitarie, il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di salute umana, animale e vegetale, misu- re di pubblica sanità, ricerca e sviluppo tecnologico, ambiente, svi- luppo, e altre politiche dell’UE “che potrebbero avere, anche parzial- mente, attinenza con le attività specifiche della commissione del Codex alimentarius. Le competenze non interamente, ma “ampiamente” armonizzate sono di incerta competenza, dato che il termine ampiamente è, in questo caso, sostanzialmente equivalente alla locuzione “non intera- mente”. Ovviamente, sul piano operativo, è lecito supporre che l’attività dell’UE sia più rilevante di quella degli Stati membri ma, in linea di principio - e questo è ben noto ai giuristi italiani che devono confron- tarsi con l’art. 117 della Costituzione - quando i confini delle compe- tenze non sono ben definiti, le contestazioni possono abbondare. Luigi Costato
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Page 1: I O N E IT A L AN D RI TOA I A Z rivista di diritto alimentare · 2011-09-24 · 3 Anno V, numero 1 † Gennaio-Marzo 2011 A rivista di diritto alimentare S S O C I A Z I O N E I

Sommario

Editoriale

Luigi CostatoCodex Alimentarius e competenze congiunte 1

Ricerche

Manuel Parras RosaÁngel Martínez GutiérrezComportamiento del canal Horeca en el uso y comercialización de aceites de oliva: aspectos juridicos y de mercado 3

Ferdinando AlbisinniA long lasting path of competition/co-operation ofpublic and private food law: the case of Self-RegulationCodes 14

Alessandro ArtomSelf-Regulation Code on Beer Advertising 19

Valeria PaganizzaFukushima, Rasff ed Ecurie 25

Osservatorio sull’Europa

Fabio GencarelliIl caso “Lidl”: come valutare la liceità di una pubblicità comparativa di prodotti alimentari 32

Ioana RatescuNotification of food supplements in Romania 36

Commenti

Alessandro ArtomGiovanna RoggeroLe intese lesive della concorrenza nel mercato della pasta 39

Alimentare & Globale

a cura di Paolo Borghi 44

AlimentarEuropeo

a cura di Paolo Borghie Laura Salvi 46

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Anno V, numero 1 • Gennaio-Marzo 2011

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CIAZIONE ITALIANA DIRITTO ALIMENTARE

ITALIAN FOOD LAW ASSOCIATIO

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Editoriale

Codex Alimentarius e competenze congiunte

Nel settore alimentare si vanno sempre più affermando soluzioni disoft law.La difficoltà di arrivare a definizioni delle ricette di specifici cibi insede di negoziati internazionali ad alto livello fanno sempre più pre-ferire il ricorso a soluzioni tecniche, che investano organismi superpartes, o presunti tali, formati da rappresentanti tecnici di moltissimiStati aderenti. Ad essi si è aggiunta, nel 2003, quanto al Codex ali-mentarius, l’UE, con decisione del Consiglio del 17 novembre.Qualche interesse riveste l’allegato II alla decisione, con il quale siprecisano le competenze dell’Unione, quelle degli Stati membri equelle condivise; e proprio in materia agricola e alimentare i confinifra le competenze non appaiono così chiari.Infatti le competenze esclusive dell’UE riguardano “l’armonizzazionedelle norme relative a taluni prodotti agricoli e alimentari, additivi,contaminanti, medicinali veterinari, pesticidi (?), prodotti ittici e dellapesca, compresi aspetti quali l’etichettatura, i metodi di campiona-mento e di analisi”, ecc. “sempre che la normativa comunitaria abbiainteramente o ampiamente armonizzato tali materie”, ecc..Trascurando le competenze esclusive degli Stati membri dell’UE,che sono limitate ad aspetti procedurali o a questioni giuridiche o dibilancio, le competenze “congiunte” riguardano le materie non inte-ramente armonizzate relative alla PAC, comprese le norme veterina-rie e fitosanitarie, il ravvicinamento delle disposizioni legislative eregolamentari in materia di salute umana, animale e vegetale, misu-re di pubblica sanità, ricerca e sviluppo tecnologico, ambiente, svi-luppo, e altre politiche dell’UE “che potrebbero avere, anche parzial-mente, attinenza con le attività specifiche della commissione delCodex alimentarius.Le competenze non interamente, ma “ampiamente” armonizzatesono di incerta competenza, dato che il termine ampiamente è, inquesto caso, sostanzialmente equivalente alla locuzione “non intera-mente”.Ovviamente, sul piano operativo, è lecito supporre che l’attivitàdell’UE sia più rilevante di quella degli Stati membri ma, in linea diprincipio - e questo è ben noto ai giuristi italiani che devono confron-tarsi con l’art. 117 della Costituzione - quando i confini delle compe-tenze non sono ben definiti, le contestazioni possono abbondare.

Luigi Costato

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In questo fascicolo l’attenzione è rivolta ad emergenti profili di interesse nella discipli-na e nel governo dell’agro-alimentare, in una prospettiva comparativa fra esperienzenazionali, europee, ed extra-europee, che conferma la dimensione multi-livello deldiritto alimentare, anche in ambiti direttamente operativi.Il lavoro di Manuel Parras Rosa e Ángel Martínez Gutiérrez esamina in chiave giuri-dica ed economica pratiche commerciali comunemente adottate in Spagna nel cana-le “Horeca” (Hotel, ristorazione collettiva, catering), ove l’olio di oliva viene servito alpubblico in contenitori riutilizzati più volte, non sigillati e non etichettati, che svalutanola capacità distintiva dei marchi ed omettono qualunque specifica informazione ai con-sumatori. Gli autori sottolineano l’assenza nell’ordinamento spagnolo di norme nazio-nali direttamente comparabili a quelle contenute nella legge italiana 11 marzo 2006n.81 (che vietano ai pubblici esercizi di somministrare olii di oliva non etichettati), maconcludono per una lettura sistematica della disciplina europea, che indurrebbe adindividuare un obbligo di utilizzazione di contenitori sigillati ed etichettati per la som-ministrazione di olio di oliva anche nel canale Horeca, pur in assenza di una specifi-ca disposizione in tal senso.Gli interventi di Ferdinando Albisinni e di Alessandro Artom riprendono le relazioni pre-sentate nel convegno di Amsterdam del settembre 2010 organizzato dalla EuropeanFood Law Association su “Private Food Law”, ponendo in rilievo come in quest’areadi esperienza fonti di matrice privatistica e volontaria vadano assumendo collocazio-ne istituzionale, definendo procedure ed individuando soggetti, oltre che fissando con-creti canoni di comportamento.La ricerca di Valeria Paganizza dà conto della reazione europea, anche sul piano delladisciplina giuridica, all’emergenza seguita all’incidente nucleare di Fukushima. In que-sto caso la Commissione, anziché sospendere puramente e semplicemente le impor-tazioni dal Giappone di prodotti alimentari e di mangimi, ha previsto specifiche dispo-sizioni di controllo, coordinando il sistema europeo con quello giapponese ed assicu-rando l’operatività congiunta dei due sistemi di scambio rapido di informazioni nel set-tore alimentare (Rasff) ed in quello delle emergenze radioattive (Ecurie). Le normedella general food law hanno così trovato occasione di specifica declinazione ed inte-grazione con regolamenti Euratom aventi impianto e struttura ben diversi.In Osservatorio sull’Europa, Fabio Gencarelli analizza la recente decisione della Cortedi Giustizia in tema di pubblicità comparativa fra prodotti alimentari, sottolineando ilcontributo di riordino sistematico offerto da questa giurisprudenza; Ioana Ratescuesamina la disciplina nazionale rumena sulla notifica dei food supplements, ponendo-ne in rilievo le peculiarità rispetto al generale quadro disciplinare europeo.Il Commento di Alessandro Artom e Giovanna Roggero sulle pronunce del TAR Lazioe del Consiglio di Stato, in tema di intese lesive della concorrenza nel mercato dellapasta, riferisce dell’elaborazione giurisprudenziale di originali linee guida, ai fini dellavalutazione del comportamento delle imprese e dell’individuazione del mercato rile-vante nell’ambito dei consumi alimentari di base.Completano il fascicolo l’ormai consueta rubrica, Alimentare & Globale, curata in que-sto numero da Paolo Borghi, sul WTO e il commercio internazionale, e la nuova rubri-ca, AlimentarEuropeo, curata da Paolo Borghi e Laura Salvi, che dà conto dei proce-dimenti innanzi alla Corte di giustizia, decisi od in corso di decisione, che in variamisura investono temi propri del diritto alimentare europeo.

la redazione

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rivistadi diritto alimentare

DirettoreLuigi Costato

Vice direttoriFerdinando Albisinni - Paolo Borghi

Comitato scientificoFrancesco Adornato - Sandro Amorosino

Alessandro Artom - Corrado BarberisLucio Francario - Alberto Germanò

Giovanni Galloni - Corrado GiacominiMarianna Giuffrida - Marco Goldoni

Antonio Jannarelli - Emanuele MarconiPietro Masi - Lorenza Paoloni

Michele Tamponi

Coordinatrice della RedazioneEleonora Sirsi

RedazioneGiuliano Leuzzi - Nicoletta Rauseo

Segreteria di RedazioneMonica Minelli

EditoreA.I.D.A. - ASSOCIAZIONE

ITALIANA DI DIRITTO ALIMENTARE

RedazioneVia Ciro Menotti 4 – 00195 Romatel. 063210986 – fax 063217034

e-mail [email protected]

Sede legaleVia Ricchieri 21 – 45100 Rovigo

Periodico iscritto il 18/9/2007 al n. 393/2007 delRegistro della Stampa

presso il Tribunale di RomaISSN 1973-3593 [online]

dir. resp.: Ferdinando Albisinni

HANNO COLLABORATO A QUESTO FASCICOLO

FERDINANDO ALBISINNI, ordinario nellʼUniversitàdella Tuscia - ViterboALESSANDRO ARTOM, Studio Artom-Papini, MilanoPAOLO BORGHI, ordinario nellʼUniversità di FerraraLUIGI COSTATO, emerito nellʼUniversità di FerraraFABIO GENCARELLI, avvocato in RomaÁNGEL MARTÍNEZ GUTIÉRREZ, associatonellʼUniversità di JaénVALERIA PAGANIZZA, dottoranda nellʼUniversitàdi FerraraMANUEL PARRAS ROSA, ordinario nellʼUniversitàdi JaénIOANA RATESCU, Studio Schönherr, BucharestGIOVANNA ROGGERO, Studio Artom-Papini, MilanoLAURA SALVI, dottoranda nelʼUniversità diFerrara

Nel rispetto della pluralità di voci e di opinioniaccolte nella Rivista, gli articoli ed i commen-ti pubblicati impegnano esclusivamente la re-sponsabilità degli autori

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(*) Este trabajo tiene su origen en el Dictamen emitido por los autores a solicitud de la Dirección General de Planificación y Análisis deMercados de la Consejería de Agricultura y Pesca de la Junta de Andalucía, que fue defendido en los primeros días de marzo de 2009.Evidentemente, la versión original del Dictamen ha sido objeto de un proceso de adaptación y actualización, cuyo resultado es el pre-sente trabajo.

Ricerche

Comportamiento del canal Horeca

en el uso y comercialización de

aceites de oliva: aspectos juridi-

cos y de mercado*

Manuel Parras RosaÁngel Martínez Gutiérrez

1.- Introducción y justificación

Como es conocido, una práctica extendida en el canalcomercial de hostelería, restauración y catering –HORECA,en adelante-, en nuestro país, consiste en ofertar al consu-midor final los aceites de oliva en envases que permitenuna reutilización inmediata y prácticamente indefinida. Así,es habitual que los aceites de oliva sean ofrecidos en lasdenominadas “aceiteras” o, en el mejor de los casos, enuna botella etiquetada de mediana capacidad que, sinembargo, no se encuentra precintada. Muy al contrario, auncuando la citada botella tiene adherida una etiqueta queofrece la preceptiva información sobre el producto origina-riamente incluido en ella, lo cierto es que carece de precin-to alguno, como consecuencia de haber sido utilizada antespor otros clientes. Nos encontramos, pues, ante una situa-ción que, desde luego, contrasta claramente con la ofertaen el mismo establecimiento de otros productos como, porejemplo, el vino o el agua que, como es notorio, no solo seofrecen en sus envases originales sino también perfecta-mente precintados.La práctica descrita presenta un cúmulo de riesgos, tantopara los consumidores finales, como para los operadoreseconómicos. Desde la perspectiva de aquéllos, la posibili-dad de rellenar directamente los envases en los estableci-mientos de hostelería, restauración y catering constituye uncaldo de cultivo para el desarrollo de comportamientosfraudulentos que lesionan los derechos e intereses de losconsumidores. Y es que esta práctica genera una situaciónpropicia para explotar la asimetría informativa del mercadopor parte de los empresarios menos honestos, de tal mane-ra que, incluso cuando el envase reutilizado es una botella

etiquetada, podría ocurrir que ofrecieran aceites de oliva decalidad inferior a la señalada en el envase.Por su parte, desde la perspectiva de los operadores eco-nómicos, la referida práctica viene a lesionar claramentesus intereses, pues la reutilización de botellas etiquetadaspara el ofrecimiento de nuevos aceites de oliva podríalesionar gravemente al titular de la marca oleícola. Y es queeste signo distintivo vendría a diferenciar en el mercado unaceite de oliva diferente al incluido originariamente bajo laautorización y consentimiento de aquél.Es por todos estos motivos que algunos países de nuestroentorno han incluido en sus respectivos Ordenamientosjurídicos normas prohibitivas de la práctica examinada,como, por ejemplo, Italia que en la Ley No. 81 de 11 demarzo de 2006, insertó ne lo artículo 4, los apartados 4–quater y 4–quinquies que vienen a ordenar cuanto sigue:“4-quater. Al fine di prevenire le frodi nel commercio dell’o-lio di oliva ed assicurare una migliore informazione ai con-sumatori, e’ fatto divieto ai pubblici esercizi di proporre alconsumo, fatti salvi gli usi di cucina e di preparazione deipasti, olio di oliva in contenitori non etichettati conforme-mente alla normativa vigente.4-quinquies. In caso di violazione delle disposizioni di cui alcomma 4-quater, si applica a carico degli esercenti la san-zione amministrativa pecuniaria da euro 1.000 a euro3.000”.Pues bien, a diferencia del Sistema de normas italiano,nuestro Ordenamiento jurídico carece de un precepto delgénero, carencia que permitiría concluir, en vía preliminar,sobre la licitud del rellenado de botellas y otros envases deaceites de oliva en los establecimientos de hostelería, res-tauración y catering. Sin embargo, aun cuando no existeuna norma prohibitiva específica, consideramos que el vetode esta práctica encontraría su fundamento en la interpre-tación sistemática de varios cuerpos normativos que hanvenido a dictarse en distintos niveles territoriales (comuni-tario, estatal y autonómico) para regular diferentes parcelasde la realidad y atender, por lo tanto, a finalidades y objeti-vos totalmente dispares. Radica aquí, precisamente, elobjetivo fundamental de este trabajo, toda vez que la moti-vación de la prohibición de esta práctica pivota principal-mente, aunque no de forma exclusiva, sobre la realizaciónde un complejo estudio normativo. Y decimos principalmen-te, aunque no de forma exclusiva, porque, junto a losaspectos jurídicos, concurren también cuestiones de mer-

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Ncado que, viniendo a hacer conveniente la prohibición de lapráctica en cuestión, no deben despreciarse en ningúncaso.Es por este motivo que en este trabajo, antes de abordar laparte jurídica que se manifiesta como principal, examina-mos, brevemente, la situación de la demanda de aceites deoliva en el canal HORECA y el poder de la marca como unatributo extrínseco de identificación, diferenciación de laoferta, fidelización y creación de confianza en el consumi-dor y en el propio hostelero, puesto que son objetivos quepueden quedar lesionados si no se prohíbe la práctica exa-minada en este trabajo. A continuación, analizamos aque-llos grupos normativos que, viniendo a regular determina-das cuestiones relacionadas con los aceites de oliva o, ensu caso, con la citada práctica podrían sustentar una prohi-bición de la misma. Para ello, tras hacer una breve presen-tación de la normativa concreta, examinamos los preceptosaplicables al supuesto de hecho que nos ocupa.Finalmente, en un último apartado, recogemos las principa-les conclusiones de este trabajo.

2.- Análisis de la cuestión controvertida desde la perspecti-va del mercado

2.1. Breve referencia a la demanda de aceites de oliva enel canal HORECA en España

En España, el consumo interior de aceites vegetales comes-tibles en el 2009 se cifró en 849,91 millones de litros, de losque 506,80 millones (59,62 por 100) lo fueron de aceites deoliva (virgen extra, virgen y oliva). El resto del consumocorrespondió a aceite de girasol, fundamentalmente, orujode oliva, mezcla de semillas, soja, etc. Por sectores de con-sumo, en los hogares se consumió el 75,09 de la demandatotal de aceites vegetales comestibles, en el canal HORECAel 20,86 por 100 y en el canal institucional -centros de ense-ñanza, establecimientos penitenciarios, centros de la terceraedad y asistencia social, centros sanitarios, fuerzas armadasy de orden público, comedores de empresa, comunidadesreligiosas y otros-, el 4,05 por 100 (cuadro 1).Para el interés de este trabajo, conviene referirnos a la infor-mación contenida en el cuadro 2 en el que recogemos lacuota de mercado de los aceites vegetales comestibles porsectores de consumo para el año 2009. Como se aprecia,los aceites de oliva poseen la mayor cuota de mercado enlos hogares, mientras que los “Otros aceites” son los másconsumidos en el sector HORECA y en el institucional. Portipos de aceites de oliva, en los hogares, el aceite de olivavirgen extra representa el 21,76 por 100 del consumo total,el virgen el 2,53 por 100 y el aceite de oliva el 46,14 por 100.En el canal HORECA, el aceite de oliva virgen extra repre-senta solo el 9,31 por 100, el aceite de oliva virgen el 3,60por 100 y el aceite de oliva el 12,80 por 100. Finalmente, enel sector institucional, los porcentajes son del 8,80, 2,65 y22,52 por 100, respectivamente (cuadro 2).

En nuestra opinión, considerando los datos contenidos en elcuadro 2, el canal HORECA representa una oportunidadpara el aumento de los aceites de oliva vírgenes. En estecontexto, entendemos que la prohibición de la práctica delrelleno de botellas u otros envases en el canal HORECAreforzaría la confianza de los productores en este canal, queahora es escasa, ayudando en sus estrategias comercialesa aquéllos que están produciendo excelentes aceites deoliva vírgenes extra y que no pueden acercarlos al consumi-dor a través de los canales de libre servicio –supermerca-dos, hipermercados y discounts-, pero que, sin embargo,encuentran en el canal HORECA una excelente vía decomercialización, siempre y cuando se asegure que subotella no sea rellenada con otro aceite de inferior calidad.En este sentido, muchos productores de aceites de oliva decalidad no contemplan la posibilidad de comercializar susaceites a través de establecimientos de hostelería y restau-ración, porque piensan que los riesgos que asumen sonmayores que los beneficios a obtener, como consecuenciade la práctica generalizada en el canal HORECA.Obsérvese que un productor esforzado por ofrecer un buenproducto en el mercado, no desea que su botella sea relle-nada con otro aceite de inferior calidad, por el consiguientedeterioro de imagen y pérdida de valor de marca, del mismomodo que no desea que su aceite sea vertido en un envaseque no permite identificarlo con el productor y la marca. Noobstante, que un productor no desee comercializar su acei-te en el canal HORECA, no significa que este producto nopueda ser ofrecido en un determinado establecimiento dehostelería y restauración, puesto que siempre se podrárecurrir al mercado mayorista o minorista para conseguirlo.Esta circunstancia hace, si cabe, más necesaria, desde laperspectiva de la imagen y del valor de marca, la prohibiciónde la práctica objeto de estudio en este trabajo.Por último, el canal HORECA es más accesible para losmedianos y pequeños productores que el canal de la grandistribución, en el que la elevada concentración y el domi-nio de las marcas de distribuidor lo hacen prácticamenteimposible de abordar. Desde este punto de vista, si los pro-ductores de aceites de oliva de calidad tienen confianza enel canal HORECA, los consumidores conocerían más mar-cas de las que encuentran en los lineales de los estableci-mientos de libre servicio, actuando el canal HORECA comoagente promocional e impulsor de la demanda de aceitesde oliva.

CUADRO 1 CONSUMO DE ACEITES VEGETALES COMESTIBLES EN EL MERCADO

ESPAÑOL, EN EL 2009 (En millones de litros)

Tipos de aceites vegetales comestibles Sectores

de consumo

Aceite de oliva

virgen extra

Aceite de oliva

virgen

Aceite de oliva

Total aceites de oliva

Otros aceites

Total

Hogares HORECA Institucional Total

138,90 16,51 3,02

158,43

16,18 6,39 0,91 23,48

294,45 22,71 7,73

324,89

449,53 45,61 11,66 506,80

188,70 131,75 22,66 343,11

638,23 177,36 34,32 849,91

Fuente: Mercasa (2010). Elaboración propia.

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2.2. Situaciones de consumo de los aceites de oliva en elcanal HORECA

Los establecimientos de hostelería, restauración y cateringadquieren los aceites de oliva para dos destinos o usos. Elprimero es el preparado de platos, esto es, los aceites deoliva como inputs en el proceso productivo de los estable-cimientos del canal HORECA. Para este uso o consumo,los envases suelen ser de 25 y/ó 50 litros. En ese uso oconsumo, más allá de la buena costumbre de algunos res-taurantes de practicar los “maridajes” entre platos y aceitesde oliva, el aceite de oliva es un ingrediente más, por lo queel consumidor valora el “plato” más que el aceite de olivacon el que se elaboró. Además, para este uso el consumode aceites de oliva vírgenes de calidad es escaso.La segunda vía de consumo de aceites de oliva en el canalHORECA se produce cuando el aceite de oliva es el ele-mento central o determinante del acto de consumo. Nosreferimos a usos cada vez más extendidos en nuestro país:preparación de tostada, cata lúdica, cata con pan de variosaceites mientras se esperan los platos, preparación a gustodel consumidor de ciertos platos, normalmente ensaladas,aderezo, etc.En ambas opciones de consumo, el consumidor no tiene,generalmente, conocimiento del aceite utilizado, pero mien-tras que en la primera, como insistimos, el aceite es uninput que pierde buena parte de su identidad en el procesoproductivo, en la segunda opción el aceite de oliva virgenes el elemento protagonista. Sin embargo, muchas veceslos consumidores desconocen qué aceite es el que se leofrece y, lo que aún es peor, se le puede ofrecer un produc-to distinto al que cree que está consumiendo por la informa-ción del etiquetado. Estos hechos generadores de descon-fianza en el consumidor y en el productor, son los que tra-tan de evitarse con la prohibición de la práctica del rellenode botellas u otros envases en los establecimientos de hos-telería y restauración.Es oportuno resaltar, en este momento, que el consumo deun determinado aceite de oliva por el consumidor en elcanal HORECA, no es un proceso de compra normal delconsumidor. En el proceso de compra normal, por ejemplo,el que se sigue cuando un consumidor adquiere un aceitede oliva en un supermercado, se supone, a nivel teórico,que el consumidor realiza una valoración de cada una delas alternativas posibles, influida por determinados factores

de diversa índole: externos –entorno, cultura, clase social,familia, etc., internos –experiencia, creencias, actitudes,motivaciones, etc.- y de marketing, con base en una ponde-ración subjetiva para cada uno de los atributos percibidos(Schifman y Kanuk, 2001). De esta manera, mediante laconsideración cuidadosa de todos los atributos de las alter-nativas posibles que pueden satisfacer una necesidad, elconsumidor conseguirá elegir la mejor opción posible(Posavac et al., 2002). Sin embargo, el consumo de undeterminado aceite de oliva en el canal HORECA, en gene-ral, no es solicitado, sino que es ofrecido por el restaurador.En el primer caso, es un acto de compra previo al acto deconsumo. En el segundo caso, es un acto de compra/con-sumo simultáneo, donde se ha suprimido el proceso debúsqueda de alternativas por el consumidor, por la confian-za en el restaurador, de ahí que al sustituirse la decisiónpropia del consumidor por la del hostelero, éste ha de seraún más cuidadoso con lo que oferta, en el sentido de infor-mar fielmente del producto y de evitar el fraude.

2.3. La marca como elemento de identificación, diferencia-ción, confianza y fuente de valor

Es sabido que los consumidores, en general, carecen delconocimiento suficiente para poder reconocer y evaluar lacalidad técnica de un aceite de oliva, generándose una asi-metría en el mercado, al no poseer los consumidores lamisma información que los productores o comercializado-res –en nuestro caso, hosteleros. Para poder inferir la cali-dad de los aceites en el mercado, el consumidor recurre aindicadores o señales de información intrínsecas y extrín-secas. A través de estos indicadores, los consumidoresinfieren el nivel de calidad de los aceites y, al mismo tiem-po, perciben que los oferentes se preocupan por el cumpli-miento de sus promesas de calidad.Entre los indicadores extrínsecos más importantes están lamarca, el etiquetado, el origen y el precio. Algunas investi-gaciones han concluido que la señal más relevante y fiablees la marca (Erdem y Swait, 1998), especialmente cuandoel consumidor tiene dificultad para elegir entre productos oevaluar las propiedades intrínsecas (Zeithmal, 1988). Endefinitiva, la marca permite al consumidor reducir notable-mente los costes de búsqueda y procesamiento de la infor-mación, a la vez que es un punto de referencia, esto es, unsigno que revela la identidad del producto, concentra lainformación, garantiza la oferta y reduce la incertidumbre oel riesgo percibido por el consumidor.En definitiva, las empresas pretenden obtener una ventajacompetitiva sostenible en el tiempo fruto de la creación deuna marca con un alto valor. Pero, como hemos señalado yargumentado con anterioridad, este objetivo no está garan-tizado actualmente en la comercialización de aceites deoliva vírgenes en el canal HORECA por la práctica genera-lizada objeto de este estudio.

CUADRO 2 CUOTA DE MERCADO DE LOS ACEITES VEGETALES COMESTIBLES POR

SECTORES DE CONSUMO, EN EL 2009 (En porcentaje)

Tipos de aceites vegetales comestibles Sectores

de consumo

Aceite de oliva virgen

extra

Aceite de oliva

virgen

Aceite de oliva

Total aceites de oliva

Otros aceites

Total

Hogares HORECA Institucional

21,76 9,31 8,80

2,53 3,60 2,65

46,14 12,80 22,52

70,43 25,71 33,97

29,57 74,29 66,03

100,00 100,00 100,00

Fuente: Mercasa (2010). Elaboración propia.

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N3.- Análisis de la cuestión controvertida desde la perspecti-va jurídica

3.1. Normativa específica en materia de comercializaciónde los aceites de oliva

La comercialización al por menor de los aceites de oliva seencuentra regulada por un cúmulo de disposiciones norma-tivas, cuyos principales hitos vienen representados por elReglamento (CE) núm. 1019/2002 de la Comisión, de 13 dejunio de 2002, sobre las Normas de comercialización deaceite de oliva1, y el Real Decreto 1431/2003, de 21 denoviembre, por el que se establece determinadas medidasde comercialización en el sector de los aceites de oliva ydel aceite de orujo de oliva.Pero, además, junto a estos dos hitos normativos de carác-ter especial, resulta igualmente de interés el Real Decreto308/1983, de 25 de enero, por el que se aprueba la regla-mentación técnico-sanitaria de los aceites vegetalescomestibles2. Se trata de un cuerpo normativo de naturale-za administrativa que, habiendo sido dictado hace 26 añospara disciplinar la obtención, elaboración, industrializacióny comercialización de los aceites comestibles de origenvegetal, ofrece interesantes normas jurídicas sobre la pre-sentación y ofrecimiento al mercado del aceite de oliva que,a nuestro juicio, se muestran complementarias a las ante-riores y, por tanto, deben ser integradas en el recientemarco jurídico diseñado por los dos instrumentos normati-vos citados más arriba.Pues bien, si realizamos una lectura detenida delReglamento (CE) núm. 1019/2002, podemos colegir cuál hasido la doble preocupación del legislador comunitario que hadirigido su actividad normativa. En efecto, el análisis sosega-do de la citada norma comunitaria revela el interés del legis-lador no solo por ofrecer las máximas garantías en la auten-ticidad del aceite de oliva puesto a disposición del consumi-dor final, sino también por suministrarle la mayor informaciónsobre diferentes aspectos relevantes de esta preciada grasavegetal como, por ejemplo, el tipo de aceite de oliva concre-to o las características definitorias del mismo (Albisinni,1998; Adornato, 1999; Costato, 2002; Albisinni, 2011). Léase, en este sentido, la Exposición de Motivos delReglamento (CE) núm. 1019/2002 y, en concreto, los con-siderandos núm. 2, 3 y 7, donde se asevera, respectiva-mente, que “(c)on el fin de garantizar la autenticidad de losaceites de oliva vendidos, procede prever, para el comercio

al por menor, envases reducidos que lleven un sistema decierre adecuado…”, que “…parece necesario que se infor-me al consumidor sobre el tipo de aceite de oliva que se leproponga...” y que “…en algunos casos, el lugar de recolec-ción de las aceitunas es diferente del de extracción delaceite y es conveniente incluir esta información en losenvases o en las etiquetas de esos envases para no indu-cir a error al consumidor…”.Así pues, y partiendo de estas premisas básicas, resulta deespecial interés a los efectos de este trabajo los artículos 1y 2 del citado cuerpo normativo, así como las medidas com-plementarias contenidas en el artículo 3 del Real Decreto1431/2003 que se refieren, con carácter general, a la pre-sentación de los envases de aceites de oliva al consumidorfinal. Veámoslos.En este sentido, el artículo 1.1. del Reglamento (CE) núm.1019/2002 ordena cuanto indica seguidamente.“1. Sin perjuicio de lo dispuesto en la Directiva 2000/13/CE,el presente Reglamento establece las normas de comercia-lización, en la fase de comercio al por menor, específicasde los aceites de oliva y los aceites de orujo de oliva men-cionados en las letras a) y b) del punto 1 y en los puntos 3y 6 del anexo del Reglamento núm. 136/66/CEE.”Por su parte, el artículo 2 del Reglamento establece cuan-to se expone a continuación.“Los aceites a que se refiere el apartado 1 del artículo 1 sepresentarán al consumidor final en envases de cinco litroscomo máximo. Estos envases deberán llevar un sistema deapertura que pierda su integridad después de su primerautilización y un etiquetado conforme a los artículos 3 a 6.No obstante, en el caso del aceite destinado al consumo enrestaurantes, hospitales, comedores y otros centros simila-res, los Estados miembros podrán fijar, en función del tipode establecimiento de que se trate, una capacidad máximade los envases superior a cinco litros”.Precisamente, esta disposición normativa ha sido comple-mentada con el artículo 3 del Real Decreto 1431/2003 que,siendo intitulado “capacidad de los envases”, preceptúacuanto sigue.“Conforme a lo previsto en el segundo párrafo del artículo 2del Reglamento (CE) núm. 1019/2002, en España podráncomercializarse los aceites a que se refiere el artículo anterioren envases de 10, 20, 25 y 50 litros siempre que se destine afreidurías, restaurantes, comedores y otros centros similares”.Junto a estas disposiciones normativas, el Real Decreto308/1983 establece interesantes normas jurídicas sobre los

(1) Esta normativa comunitaria ha sido modificada en diversas ocasiones. La última modificación se ha llevado a cabo mediante elReglamento (CE) núm. 182/2009, de la Comisión, de 6 de marzo de 2009.(2) Este Real Decreto ha sido modificado en diferentes ocasiones. En concreto, esas modificaciones se llevaron a cabo a través de lassiguientes disposiciones normativas, cuya exposición realizamos por orden cronológico; a saber: Real Decreto 478/2007, de 13 de abril;Real Decreto 1909/1985, de 24 de noviembre; Real Decreto 538/1993, de 12 de abril; Real Decreto 98/1992, de 7 de febrero; RealDecreto 494/1990, de 16 de marzo; Real Decreto 475/1988, de 13 de mayo; Real Decreto 1043/1987, de 24 de julio; y Real Decreto2813/1983, de 13 de octubre. Por su parte, la normativa citada en el texto ha sido complementada a través de la Orden Ministerial de25 de julio de 2001 por la que se establece límites de determinados hidrocarburos aromáticos policíclicos en el aceite de orujo de oliva.

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envases y la comercialización de los aceites vegetalescomestibles, en general, y de los aceites de oliva, en parti-cular.

“VI. 1. Envasado.1.1 Los envases de aceites acondicionados con destino ala venta al consumidor final, así como los suministrados afreidurías, economatos, establecimientos de hostelería,hospitales y otros establecimientos y colectividades simila-res, deberán estar cerrados y precintados, de forma que elprecinto quede inutilizado después de su apertura…”.“VI. 1.2 Tipos de envases.Envases destinados para la venta directa al consumidorfinal: 0.1, 0.25, 0.50, 0.75, 1, 2, 2.50, 3, 5 y 10.Para uso individual se autorizarán envases de capacidadcomprendida entre 0.025 y 0.050 litros.Para facilitar el aprovisionamiento a freidurías, economa-tos, establecimientos de hostelería, hospitales y otros esta-blecimientos y colectividades similares se autoriza ademásenvases de 25 y 50 litros de capacidad”.“VII. Transporte, almacenamiento, venta y comercio exte-rior.Almacenamiento y transporte.(…)Los envases con destino a la venta directa al consumidorfinal, así como los suministrados a freidurías, economatos,establecimientos de hostelería, hospitales y otros estableci-mientos y colectividades similares, deberán ir etiquetados. Todos los envases deberán ir precintados, sea cual fueresu capacidad, incluso los bidones o cisternas…”“3. Venta.Queda prohibida la venta a granel de todos los aceitesobjeto de esta Reglamentación destinados al consumidorfinal, así como los suministrados a freidurías, economatos,establecimientos de hostelería, hospitales y otros estableci-mientos y colectividades similares. Los aceites se venderán en envases precintados…

Pues bien, a la vista del tenor literal de estos preceptosreproducidos, la licitud de la práctica examinada en estetrabajo de investigación parecería imponerse como unaconsecuencia necesaria. A favor de esta tesis, depondría lainterpretación sistemática del párrafo segundo del artículo2 del Reglamento (CE) núm. 1019/2002, del artículo 3 delReal Decreto 1431/2003 y del precepto 1.2 de la disposi-ción VI del Real Decreto 308/1983. Y es que la mayor capa-

cidad de los envases destinados a “…freidurías, restauran-tes, comedores y otros centros similares” vendría a justifi-car el envasado del aceite de oliva directamente por losestablecimientos de hostelería y restauración, pues el ofre-cimiento de esta grasa vegetal al consumidor final obligaríaa presentarlo en recipientes de menor capacidad. Sin embargo, un análisis detenido de este grupo normativopermitiría sustentar, en nuestra opinión, una tesis contraria,cuyo acomodo resulta perfecto, por lo demás, no sólo con elespíritu del Reglamento (CE) núm. 1019/2002, sino tambiéncon la prohibición de venta a granel contenida en el precepto3 de la disposición VII del Real Decreto 308/1983. Obsérveseque, si el objetivo de la norma comunitaria es “…garantizar laautenticidad de los aceites de oliva vendidos…”, difícilmentepuede alcanzarse mediante un envasado directo por los esta-blecimientos de hostelería y restauración y, en consecuencia,con una presentación, ofrecimiento y venta a granel de losaceites de oliva a los consumidores finales.En consecuencia, a continuación ofrecemos una serie deargumentos interpretativos que, situándose en la línea tra-zada por el considerando segundo del Reglamento (CE)núm. 1019/2002, fundamentarían una prohibición de la cita-da práctica. En este sentido, y como primer argumento,podría indicarse la inclusión del canal HORECA en el con-cepto “comercio al por menor” del aceite de oliva. Y es que,si bien es cierto que este canal utiliza grandes cantidadesde aceite para los preparados alimenticios, no lo es menosque, a través de este canal, también se presenta y comer-cializa aceite de oliva directamente al consumidor final, loque constituye, como es sabido, el elemento determinantede la definición del citado concepto jurídico (Vérgez, 2006).Léase, en este sentido, la interpretación auténtica conteni-da en el artículo 1.2º del Reglamento (CE) núm. 1019/2002cuando ordena que “…se entenderá por comercio al pormenor la venta al consumidor final del aceite…” 3.En segundo lugar, y como consecuencia de lo anterior, con-sideramos que la presentación y comercialización de losaceites de oliva directamente al consumidor final por losestablecimientos de hostelería, restauración y catering obli-gará al cumplimiento de las prescripciones normativasorientadas a garantizar la autenticidad de los aceites y lainformación al consumidor (Gómez, 1980). Y ello, sin perjui-cio de que el aceite destinado a ser consumido en los res-taurantes, hospitales o comedores (rectius, en las respecti-vas cocinas de esos establecimientos), se pueda presentaren envases de elevada capacidad –esto es, en envases de

(3) Este planteamiento viene a contrastar, sin embargo, con la Clasificación Nacional de Actividades Económicas 2009, aprobada por elReal Decreto 475/2007, de 13 de abril, donde se excluye del comercio minorista al canal HORECA. No obstante, creemos que estaexclusión debe ser matizada por cuanto se expone a continuación. Y es que, de un lado, no debe despreciarse la finalidad administra-tiva y fiscal de la citada Clasificación Nacional que, a nuestro modo de ver, vendría a empañar la citada exclusión y, en consecuencia,no afecta al planteamiento sustantivo manifestado en el texto. Pero además, y, por otro lado, debe recordarse la existencia de estable-cimientos de hostelería que, sin embargo, sí están incluidos por Ley en el concepto de comercio minorista. Éste es el caso, por ejem-plo, de las explotaciones económicas organizadas en forma de franquicia, cuya regulación se contiene en el artículo 62 de la Ley7/1996, de 15 de enero, de Ordenación del Comercio Minorista.

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carácter industrial- que, manifestándose acordes a lasmayores necesidades presentadas por los mismos, debe-rán reunir también las cautelas previstas por la normativa. Odicho en otras palabras, con independencia del destinoespecífico de cada uno de los aceites de oliva (cocina ver-sus consumo directo), todos los envases empleados debe-rán cumplir idénticos requisitos en orden a garantizar losobjetivos perseguidos por la normativa comunitaria; a saber,la autenticidad del producto y la información del consumidor.A favor de esta tesis aboga también la reglamentación técni-co-sanitaria de aceites vegetales comestibles contenida en elReal Decreto 308/1983, puesto que, resultando de aplicación“…a toda clase de comerciantes...”, donde debemos enten-der insertos los establecimientos de hostelería y restaura-ción, los preceptos 1.1 de la disposición VI y 1 de la disposi-ción VII ordenan, respectivamente, que los envases destina-dos, tanto a consumidor final como a las indicadas colectivi-dades deberán estar cerrados, precintados y etiquetados.En tercer lugar, y con relación a los aceites presentados ycomercializados directamente al consumidor final por losestablecimientos de hostelería y restauración, la autentici-dad de los aceites quedará garantizada, a nuestro juicio,siempre que, al menos, se observe una de las dos condicio-nes siguientes, cuya presencia cumulativa sería la situaciónidílica; a saber, bien la utilización de envases acordes alconsumo previsible, o bien el empleo de un sistema de cie-rre que impida el rellenado del contenido de los envases.En cuarto lugar, y en lo que hace a la primera condición cita-da, creemos que la autenticidad de los aceites de olivapodrá conseguirse siempre que se atempere la capacidadde los envases con las necesidades de los consumidoresfinales en los citados establecimientos. Se trata de una exi-gencia que, en nuestra opinión, encuentra acomodo no sóloen el considerando segundo del Reglamento comunitariocuando asevera que “…procede prever, para el comercio alpor menor, envases reducidos…”, sino también en el apar-tado primero del artículo 2 del Reglamento (CE) núm.1019/2002 cuando ordena que la capacidad de los envasesde aceite de oliva ofertado al consumidor final deberá ser“…de cinco litros como máximo…”, de donde se infiere queno existe reparo legal alguno para ofertar este producto alcitado colectivo en envases de inferior capacidad e, incluso,en monodosis que se manifestaría como el envase paradig-mático para el consumo de aceite por el público en los esta-blecimientos de hostelería, restauración y catering.De hecho, y aunque debe ser interpretada a la luz de la nor-mativa comunitaria con el objetivo de superar alguna contra-

dicción, la reglamentación técnico-sanitaria de los aceitesvegetales comestibles contenida en el Real Decreto 308/1983viene a abogar por esta tesis, pues presenta en el precepto 1.2de la disposición VI una amplia tipología de envases para ofer-tar los aceites a los consumidores finales, llegando a diferen-ciar entre envases destinados a la venta al consumidor final(cuya capacidad podría ser 0.1, 0.25, 0.50, 0.75, 1, 2, 2.50, 3y 5 litros) y envases destinados para el uso individual (cuyacapacidad podría comprender entre 0.025 y 0.050 litros)4.En quinto lugar, y por lo que se refiere a la otra condición indi-cada para alcanzar la autenticidad de los aceites, creemosque todo envase destinado al consumo directo de los aceitesde oliva en los establecimientos de hostelería y restauracióndeberá tener “…un sistema de apertura que pierda su integri-dad después de su primera utilización…” [art. 2 Reglamento(CE) núm. 1019/2002]. Se trata, en definitiva, de una exigen-cia que no resulta respetada en ningún caso cuando se ofer-tan los aceites de oliva en las típicas aceiteras empleadasnormalmente en el canal HORECA o en botellas reutilizadaspor el propio establecimiento de hostelería y restauración.Precisamente, y con relación al sistema de apertura de losenvases destinados a los consumidores finales, podemosrealizar una doble apreciación. De un lado, ha de subrayar-se que, aun cuando el precepto parece sugerir la posibilidadde ofrecer aceites de oliva a los consumidores finales enenvases carentes del sistema de apertura indicado comoconsecuencia de tratarse de una segunda o ulterior utiliza-ción, lo cierto es que la interpretación sistemática de los dosincisos que conforman el primer apartado del artículo 2 delReglamento comunitario permite una conclusión de signocontrario. Y es que, conforme a la exégesis propuesta, todoaceite de oliva presentado al consumidor final deberá con-tenerse, como hemos dicho, en envases de capacidad infe-rior a cinco litros y, en todo caso, provistos de un sistema deapertura que pierda necesariamente su integridad cuandose pretenda acceder al contenido del mismo. Constituyeuna conclusión que resulta ratificada expresamente por lospreceptos 1.1 de la disposición VI, 1 y 3 de la disposición VIIdel Real Decreto 308/1983 que ordenan, respectivamente,que “(l)os envases de aceites acondicionados con destino ala venta al consumidor final… deberán estar cerrados y pre-cintados, de forma que el precinto quede inutilizado des-pués de su apertura”, “(t)odos los envases deberán ir pre-cintados…”, “(q)ueda prohibida la venta a granel de todoslos aceites objeto de esta Reglamentación destinados alconsumidor final…” y “(l)os aceites se venderán en envasesprecintados y bajo marca registrada”.

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(4) La interpretación sistemática del precepto 1.2 de la disposición VI del Real Decreto 308/1983, relativo a los tipos de envases, con elartículo 2 del Reglamento (CE) núm. 1019/2002 pone de manifiesto la contradicción existente entre ambos cuerpos normativos.Obsérvese que, mientras el precepto estatal permite ofertar aceite de oliva al consumidor final en envases de 10 litros, el preceptocomunitario niega esta posibilidad, al ordenarse que los aceites de oliva “…se presentarán al consumidor final en envases de cincolitros como máximo…”. Dicha contradicción habrá de resolverse a favor de esta última disposición normativa como consecuencia nosólo del principio de jerarquía, al tratarse de una disposición de mayor rango, sino también de los principios de temporalidad (es unanorma posterior) y de especialidad (se trata de una norma especial, dedicada a disciplinar la comercialización de algunas grasas vege-tales, no de todas).

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Pero, además, y de otro lado, no creemos que este sistemade apertura exigido por el artículo 2 del Reglamento (CE)núm. 1019/2002 resulte suficiente para garantizar la auten-ticidad de los aceites de oliva, puesto que, perdida la inte-gridad del mismo como consecuencia de la primera utiliza-ción, el envase admitiría todo tipo de manipulaciones. Espor ello que, siguiendo el tenor literal del considerandosegundo del mismo cuerpo normativo, propongamos que,junto al sistema de apertura exigido, se acompañe de “…unsistema de cierre adecuado…” que impida el acceso al con-tenido del envase tras ser suprimido el precinto, tal y comoocurre, por ejemplo, en otros productos, no necesariamen-te alimenticios, puestos a disposición de los consumidoresfinales (perfumes, bebidas alcohólicas, etc). En efecto, cre-emos que los envases utilizados para el ofrecimiento de losaceites de oliva al consumidor final debería llevar un siste-ma que los hiciera irrellenables con el objetivo de garanti-zar la autenticidad del producto ofertado.

3.2. Normativa sobre envases y residuos de envases

Como hemos apuntado anteriormente, la prohibición de lapráctica examinada en este trabajo de investigaciónencuentra su fundamento en diferentes cuerpos normativosque vienen a incidir en determinados aspectos de la misma.Y, en este sentido, puesto que el comportamiento de algu-nos establecimientos de hostelería y restauración consisteen la reutilización directa de botellas etiquetadas de media-na capacidad (normalmente entre 100 y 500 ml), creemosobligada la referencia en esta sede a la Ley 11/1997, de 24de abril, que regula los Envases y Residuos de envases.Constituye un interesante texto legislativo que, implemen-tando a nuestro Ordenamiento jurídico la Directiva94/62/CE, del Parlamento Europeo y del Consejo, de 20 dediciembre, tiene como objetivo, según asevera laExposición de Motivos, no solo la prevención o reduccióndel impacto de los envases sobre el medio ambiente, sino

también el fomento de la reutilización y del reciclado de losenvases. A tal fin, se viene a exigir la implantación de siste-mas de gestión de residuos que constituyen el instrumentonecesario para la satisfacción de los objetivos previstos enla Norma de armonización; a saber, el reciclado y valoriza-ción de los envases usados. Léase, en este sentido, elpárrafo primero del artículo 1 de la citada Ley donde seasevera que “(e)sta Ley tiene por objeto prevenir y reducirel impacto sobre el medio ambiente de los envases y lagestión de los residuos de envases a lo largo de todo suciclo de vida. Para alcanzar los anteriores objetivos se esta-blecen medidas destinadas, como primera prioridad, a laprevención de la producción de residuos de envases, y ensegundo lugar, a la reutilización de los envases, al recicla-do y demás formas de valorización de residuos de envases,con la finalidad de evitar o reducir su eliminación”.Pues bien, aunque no es nuestra intención acometer unanálisis exhaustivo de la Ley 11/1997, sí creemos intere-sante resaltar algunos aspectos de su contenido que clara-mente inciden en la práctica examinada en este trabajo. Eneste sentido, y por una parte, nos parece interesante lasdefiniciones contenidas en su artículo 2, donde se realiza lainterpretación auténtica de algunos conceptos y expresio-nes utilizados posteriormente en el texto normativo. Asípues, y a los efectos que interesan en este trabajo deinvestigación, cabe resaltar las nociones de “envase”5,“residuo de envase”6, “reutilización”7, envasadores8, comer-ciantes y distribuidores9. Por otra parte, debe subrayarse cómo, a fin de fomentar lareutilización y el reciclado de los envases, nuestro legisladorha impuesto al poseedor final de los residuos de envases yenvases usados la obligación de entregarlos “…en condicio-nes adecuadas de separación por materiales a un agenteeconómico para su reutilización, a un recuperador, a un reci-clador o a un valorizador autorizados…” (arts. 6.2. y 12.1.).Pero además, y por último, el incumplimiento de esta obli-gación se ha calificado como infracción muy grave [art.

(5) Se entiende por “envase”, “todo producto fabricado con materiales de cualquier naturaleza y que se utilice para contener, proteger,manipular, distribuir y presentar mercancías, desde materias primas hasta artículos acabados, en cualquier fase de la cadena de fabri-cación, distribución y consumo. Se consideran también envases todos los artículos desechables utilizados con este mismo fin. Dentrode este concepto se incluyen únicamente los envases de venta o primarios, los envases colectivos o secundarios y los envases detransporte o terciarios…Se considerarán envases los artículos diseñados y destinados a ser llenados en el punto de venta y los artículos desechables vendi-dos llenos o diseñados y destinados al llenado en el punto de venta, a condición de que desempeñen la función de envase…”.(6) Se entiende por “residuo de envase”, “todo envase o material de envase del cual se desprenda su poseedor o tenga la obligaciónde desprenderse en virtud de las disposiciones en vigor”.(7) Se define la “reutilización” como “toda operación en la que el envase concebido y diseñado para realizar un número mínimo de cir-cuitos, rotaciones o usos a lo largo de su ciclo de vida, sea rellenado o reutilizado con el mismo fin para el que fu diseñado, con o sinayuda de productos auxiliares presentes en el mercado que permitan el rellenado del envase mismo. Estos envases se consideraránresiduos cuando ya no se reutilicen”.(8) Se define “envasadores” como aquellos “agentes económicos dedicados tanto al envasado de productos como a la importación oadquisición en otros Estados miembros de la Unión europea de productos envasados, para su puesta en el mercado”.(9) Se define la noción de “comerciantes o distribuidores” como “los agentes económicos dedicados a la distribución, mayorista o mino-rista, de envases o de productos envasados. A su vez, dentro del concepto de comerciante, se distingue: a) Comerciantes o distribui-dores de envases: los que realicen transacciones con envases vacíos. b) Comerciantes o distribuidores de productos envasados: losque comercialicen mercancías envasadas, en cualquiera de las fases de comercialización de los productos”.

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19.1.b)] que lleva aparejada la sanción económica consis-tente en una multa de cuantía elevada (entre los 10 y los100 millones de pesetas) [art. 20.1.a)].En consecuencia, y a la vista de cuanto antecede, creemosque la práctica consistente en la reutilización directa deenvases usados por parte del establecimiento de hosteleríay restauración estaría vetada, desde la perspectiva de laLey 11/1997, toda vez que, cumplida la finalidad del enva-se y, por tanto, agotado el contenido del mismo por la clien-tela del establecimiento, el envase habría de ser considera-do como un residuo (esto es, un residuo de envase), cuyodestino debería ser el tratamiento industrial para ser reutili-zado como fórmula para su valorización. O dicho en otraspalabras, aun cuando el envasado de las botellas usadaspor parte de los establecimientos de hostelería y restaura-ción podría concebirse como una forma de reutilización deesos envases, lo cierto es que esta actividad se muestracontraria al procedimiento legalmente previsto para la valo-rización de los envases concretos.Es más, a favor de este planteamiento deponen otros argu-mentos que, en ningún caso, deben despreciarse.Obsérvese, en primer lugar, el precepto 1.1 de la disposi-ción VI del Real Decreto 308/1983 cuando, refiriéndose alas características de los envases donde se presenta elaceite de oliva, ordena que “(l)os aceites se presentarán enenvases nuevos…”.Pero además, y en segundo lugar, resulta interesante tam-bién a estos efectos la delimitación conceptual de activida-des económicas contenido en el artículo 2 de la Ley, donde– lo hemos dicho - se diferencia entre envasadores ycomerciantes.Por último, y en tercer lugar, debe alegarse como ulteriorfundamento de nuestra tesis la interpretación sistemáticadel artículo 2 de la Ley con los artículos 9.2º delReglamento (CE) núm. 1019/2002 y 8 del Real Decreto1431/2003 que exigen a los envasadores de aceite de olivala obtención de una autorización administrativa, cuya refe-rencia deberá aparecer en el etiquetado adherido a losenvases. Se tratan, en definitiva, de dos exigencias que noparece que sean observadas por los establecimientos dehostelería y restauración cuando llevan a cabo la prácticaexaminada en este trabajo.

3.3. Normativa sobre protección de consumidores y usuarios

Desde la perspectiva de la protección de los consumidoresy usuarios, la práctica examinada en este trabajo tampocoresulta acreedora de una calificación de licitud. Muy al con-trario, esta forma de presentación y comercialización de losaceites de oliva en los establecimientos del canal HORECAviene a atentar contra algunos de los derechos básicos delos consumidores y usuarios (Gómez, 2004), que actual-mente se encuentran reconocidos en el artículo 8 del RealDecreto Legislativo 1/2007, de 16 de noviembre, por el quese aprueba el Texto Refundido de la Ley General para laDefensa de los Consumidores y Usuarios y otras leyescomplementarias10. Esta lesión permitiría, por tanto, califi-car la conducta como infracción en materia de consumo y,en consecuencia, imponer una importante sanción econó-mica al sujeto responsable de la misma.En efecto, el empleo de aceiteras o la reutilización de enva-ses para ofrecer y distribuir los aceites de oliva en el canalHORECA viene a infringir, a nuestro modo de ver, dos dere-chos básicos de los consumidores y usuarios; a saber, elderecho a la protección contra los riesgos que puedan afec-tar su salud o seguridad [art. 8 a)] y el derecho a gozar deuna información correcta sobre los diferentes bienes o ser-vicios [art. 8 d)]. En este sentido, y por lo que se refiere alprimer derecho citado, consideramos que esta conducta delcanal HORECA supone, de un lado, una lesión del debergeneral de seguridad previsto en el párrafo primero del artí-culo 11 del citado Real Decreto Legislativo cuando ordenaque “(l)os bienes o servicios puestos en el mercado debenser seguros” (Parra, 2009). Del mismo modo, y de otro lado,el ofrecimiento de los aceites de oliva en aceiteras despro-vistas de cualquier información relativa al fabricante o distri-buidor mayorista implica una infracción de una obligaciónespecífica impuesta a los oferentes de bienes o serviciospor la letra e) del artículo 13 del mismo cuerpo normativocuando establece que “(c)ualquier empresario que interven-ga en la puesta a disposición de bienes y servicios a losconsumidores y usuarios estará obligado, dentro de los lími-tes de su actividad respectiva, a respetar… e) la prohibiciónde suministro de bienes que carezcan de las marcas deseguridad obligatoria o de los datos mínimos que permitanidentificar al responsable del bien…” 11(Parra, 2009).

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(10) Debe anotarse que la práctica estudiada en este trabajo no lesiona únicamente la reciente normativa estatal de carácter tuitivo delos consumidores y usuarios (modificada también por la Ley 29/2009). Muy al contrario, junto a este cuerpo normativo se disponen otrosque, con idéntica finalidad protectora, son infringidos por un comportamiento del género del canal HORECA. Piénsese, por ejemplo, enel Real Decreto núm. 1334/1999, de 31 de julio, por el que se aprueba la Norma general de etiquetado, presentación y publicidad delos productos alimenticios; en el Reglamento (CE) núm. 178/2002 del Parlamento Europeo y del Consejo, de 28 de enero de 2002, porel que se establecen los principios y los requisitos generales de la legislación alimentaria, se crea la Autoridad Europea de SeguridadAlimentaria y se fijan procedimientos relativos a la seguridad alimentaria; y en el Reglamento (CE) núm. 852/2004, del ParlamentoEuropeo y del Consejo, de 29 de abril de 2004, relativo a la higiene de los productos alimenticios.(11) Para entender estas normas en materia de consumo resulta interesante realizar una lectura detenida de la reglamentación técnico-sanitaria de los aceites vegetales comestibles contenida en el Real Decreto 308/1983, pues allí se exponen una serie de requisitosindustriales, higiénicos-sanitarios, de materiales, de personal, etc, que, en nuestra opinión, no resultan observados por los estableci-mientos de hostelería y restauración cuando acometen la práctica examinada en este trabajo.

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Por lo que se refiere al segundo derecho indicado, la con-ducta examinada en este trabajo supone una clara infrac-ción del derecho a la información reconocido a los consu-midores y usuarios. Obsérvese que, cuando se utilizan lasaceiteras para la presentación y comercialización del acei-te de oliva en los establecimientos de hostelería y restaura-ción, se omite toda información relativa al producto, cuyapresentación resulta obligatoria por mor del párrafo segun-do del artículo 18 del Real Decreto Legislativo (Álvarez,2009). En efecto, este precepto ordena que “…todos losbienes y servicios puestos a disposición de los consumido-res y usuarios deberán incorporar, acompañar o, en últimocaso, permitir de forma clara y comprensible, informaciónveraz, eficaz y suficiente sobre sus características esencia-les, en particular sobre las siguientes: a) Nombre y direc-ción completa del productor. b) naturaleza, composición yfinalidad. c) Calidad, cantidad, categoría o denominaciónusual o comercial si la tiene. d) Fecha de producción osuministro y lote, cuando sea exigible reglamentariamente,plazo recomendado para el uso o consumo o fecha decaducidad. e) Instrucciones o indicaciones para su correc-to uso o consumo, advertencias y riesgos previsibles…”.Pero, además, cuando se presentan y ofertan aceites deoliva en envases reutilizados, las discrepancias entre lainformación de la etiqueta y la realidad de producto impli-can una infracción del párrafo primero del artículo 18 delReal Decreto Legislativo que veta la inducción a error a losconsumidores, al ordenar que “(e)l etiquetado y presenta-ción de los bienes… deberán ser de tal naturaleza que noinduzca a error al consumidor y usuario…”.Pues bien, todas estas lesiones de los preceptos citadoshan sido calificadas como infracciones en materia dedefensa de los consumidores y usuarios por la letra k) delpárrafo primero del artículo 49 del Real Decreto Legislativo,al ordenar que serán infracciones “….el incumplimiento delos requisitos, obligaciones o prohibiciones establecidas enesta Norma y disposiciones que la desarrollen”, cuya san-ción económica oscilará, en razón de su gravedad, entrelos 3005,06 y los 601.012,10 euros.

4.- Conclusiones

La inexistencia de una norma prohibitiva de la prácticaextendida en el canal HORECA de nuestro país, consisten-te en ofertar al consumidor final los aceites de oliva enenvases que permiten una reutilización inmediata y prácti-camente indefinida por parte del propio establecimientohostelero, no significa que esta práctica no sea contraria alOrdenamiento jurídico. En este sentido, a poco que seconstatan los intereses afectados por la citada práctica ylos riesgos inherentes a la misma, se identifican una seriede argumentos jurídicos que permitirían motivar una prohi-bición, al respecto. Así, y por lo que se refiere a la normati-va específica en materia de comercialización al por menorde los aceites de oliva, podemos sustentar los siguientes

planteamientos sobre la práctica estudiada en este trabajo.La citada práctica se muestra contraria al espíritu y objeti-vos perseguidos por el legislador comunitario en elReglamento (CE) núm. 1019/2002. Y es que, si su objetivoes “…garantizar la autenticidad de los aceites de oliva ven-didos…”, difícilmente puede alcanzarse mediante un enva-sado directo por los establecimientos de hostelería, restau-ración y catering.Con relación a los aceites presentados y comercializadosdirectamente al consumidor final por los establecimientosde hostelería y restauración, la autenticidad de los aceitesquedará garantizada siempre que, al menos, se observeuna de las dos condiciones siguientes; a saber, bien la uti-lización de envases acordes al consumo previsible, o bienel empleo de un sistema de cierre que impida la manipula-ción del contenido de los envases.En lo que hace al sistema de cierre de los envases, conside-ramos que todo envase destinado al consumo directo de losaceites de oliva en los establecimientos del canal HORECAdeberá tener “…un sistema de apertura que pierda su integri-dad después de su primera utilización…” [art. 2 Reglamento(CE) núm. 1019/2002]. Pero, además, y siguiendo el tenorliteral del considerando segundo del mismo cuerpo normati-vo, el sistema de apertura exigido deberá acompañarse de“…un sistema de cierre adecuado…” que impida el acceso alcontenido del envase tras ser suprimido el precinto, tal ycomo ocurre, por ejemplo, en otros productos, no necesaria-mente alimenticios, puestos a disposición de los consumido-res finales (perfumes, bebidas alcohólicas, etc.). En efecto,creemos que los envases utilizados para el ofrecimiento delos aceites de oliva al consumidor final debería llevar un sis-tema que los hiciera irrellenables con el objetivo de garanti-zar la autenticidad del producto ofertado.Por otro lado, creemos que la Ley de Residuos viene adeponer en sentido contrario a la práctica examinada y,muy especialmente, en sentido contrario a la reutilizaciónde los envases usados, toda vez que nuestro legisladorestatal ha impuesto al poseedor final de los residuos deenvases y envases usados la obligación de entregarlos“…en condiciones adecuadas de separación por materialesa un agente económico para su reutilización, a un recupe-rador, a un reciclador o a un valorizador autorizados…”(arts. 6.2. y 12.1.). En efecto, cumplida la finalidad del enva-se y, por tanto, agotado el contenido del mismo por la clien-tela del establecimiento, el envase habría de ser considera-do como un residuo (esto es, un residuo de envase), cuyodestino debería ser el tratamiento industrial para ser reutili-zado como fórmula para su valorización. O dicho en otraspalabras, aun cuando el envasado de las botellas usadaspor parte de los establecimientos del canal HORECApodría concebirse como una forma de reutilización de esosenvases, lo cierto es que esta actividad se muestra contra-ria al procedimiento legalmente previsto para la valoriza-ción de los envases concretos.Igualmente consideramos que el Real Decreto Legislativo1/2007, de 16 de noviembre, por el que se aprueba el Texto

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Refundido de la Ley General para la Defensa de losConsumidores y Usuarios y otras leyes complementarias,viene a coadyuvar igualmente en la prohibición de la prác-tica examinada. Obsérvese, en este sentido, el empleo deaceiteras o la reutilización de envases para ofrecer y distri-buir los aceites de oliva en el canal HORECA viene a infrin-gir, a nuestro modo de ver, dos derechos básicos de losconsumidores y usuarios; a saber, el derecho a la protec-ción contra los riesgos que puedan afectar su salud o segu-ridad [art. 8 a)] y el derecho a gozar de una informacióncorrecta sobre los diferentes bienes o servicios [art. 8 d)].Finalmente, hemos de señalar que, junto a los argumentosjurídicos expuestos, la prohibición de la práctica objeto deestudio en este trabajo tendría, en nuestra opinión, reper-cusiones positivas en el mercado de los aceites de oliva, alcontribuir al incremento de la demanda de aceites vírgenesde calidad. En efecto, la prohibición de la práctica del relle-no reforzaría la confianza de los productores de aceites decalidad en el canal HORECA, se generaría una cultura decalidad de los aceites de oliva que, en este momento, essolo incipiente y los consumidores conocerían muchas másmarcas de las que encuentran en los lineales de los esta-blecimientos de libre servicio, actuando el canal HORECAcomo agente promocional e impulsor de la demanda deaceites de oliva de calidad.

RESUMEN

En España, a diferencia de lo que ocurre en Italia, no exis-te una norma prohibitiva de la práctica extendida en losestablecimientos de hostelería, restauración y catering(HORECA) de ofertar al consumidor los aceites de oliva enenvases que permiten una reutilización inmediata y prácti-camente indefinida. Sin embargo, aun cuando no existeuna norma prohibitiva, consideramos que el veto de estapráctica podría encontrar fundamento en la interpretaciónsistemática de varios cuerpos normativos, siendo ésta elprincipal objetivo de este trabajo. Pero, además, junto a losaspectos jurídicos, cuestiones de mercado que recogemosen este trabajo hacen conveniente, también, la prohibiciónde la práctica en cuestión.La principal conclusión de este trabajo es que, a poco quese constatan los intereses afectados por la citada prácticay los riesgos inherentes a la misma, se identifican una seriede argumentos jurídicos, más allá de los económicos, quepermitirían motivar su prohibición.

ABSTRACT

In Spain, unlike what happens in Italy, there is no rule pro-hibiting the widespread practice in restaurants and cateringestablishments (HORECA channel) to offer the consumer

the olive oil in containers that can be reused immediatelyand almost indefinitely. However, even when there is norule against it, we believe that the veto of this practice couldfind its foundation on the systematic interpretation of vari-ous regulatory bodies, which is the main objective of thiswork. But also with legal issues, market issues that we col-lect in this paper make convenient the prohibition of thepractice in question.Main conclusion of this paper is that, when interests affect-ed by that practice and the risks inherent to it are detected,a number of legal arguments, beyond the economic, areidentified which would justify its ban.

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A long lasting path of competition/

co-operation of public and private

food law:

the case of Self-Regulation Codes·

Ferdinando Albisinni

1.- The peculiar relation between Innovation and Food Law

Innovation and Food law share a peculiar relation, charac-terized by reciprocal strong influence and interference1.Technological innovation, mainly from XIX century andstarting with the revolutionary ideas of the famous Frenchchef Appert – as it is well known – has radically changed thetechniques applied to food, in all phases from production, toprocessing, to distribution.As a consequence, Food law is often under strong pressureto find adequate regulatory answers to the challenges oftechnological innovations.In Europe, the Novel Foods legislation,2 the introduction ofrules on the traceability of beef after the explosion of the“mad cow” crisis,3 and the general adoption of the precau-tionary principle,4 may be cited among the many significantexamples of an approach of the food legislator, aimed toanswer to needs and demands coming from innovation andnot finding sufficient regulatory tools in the already existinglegislation.But the impact of technological innovation is not limited tothe substantive aspects of food, as it deals largely – in analways more pervasive way – to immaterial aspects, first ofall those related to the communication on the market, thusforcing the food legislator to deal both with substantive and

immaterial issues in regulating food production and market-ing.On the other side, juridical innovation is not only an answerto technics; it is also by itself an expression of the elabora-tion of new and original models and institutions, through anexperimental approach, which may develop in what someGerman scholars effectively defined as Rechtsreform inPermanenz5.In this complex and articulated process, which enriches thearmoury of legal tools with new additions, and in the sametime enhances consolidation and simplification of existingrules,6 the traditional borders between public and privatelaw are assuming new contents.Protected interests typically classified as “public goods” –like consumer’s protection and fair competition – increas-ingly rely on new tools which utilize private models, like con-tracts, voluntary acceptance of rules and standards, andcivil compensation as enforcement tool instead of criminalor administrative sanctions.In the field of control and surveillance, certification bodies ofprivate nature are chosen to perform duties which are tradi-tionally considered “public”7.

2.- Private Regulatory Law

Along this path, Private Regulatory Law is anticipatingand/or integrating Public and State Law.In the specific field of communication on the market, the tra-ditional answers of European legal systems relied largelyon public law.In Italy, criminal sanctions, already established in the PenalCode of 1930,8 punish fraud in trademarks and commercialsigns,9 fraud in trade,10 sale of non-genuine food,11 and morerecent legislation introduced specific provisions of criminalsanctions in case of illicit use of international and EuropeanPDO and PGI.12

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(·) Paper discussed in the European Food Law Association Congress, “Private Food Law. Non regulatory dimension of Food law”,Amsterdam, 16-17 September 2010. The proceedings of the Congress are in course of publication by Wageningen Academic Publishers,2011, ed. Bernd van der Meulen.(1) See W.M.F. Jongen and M.T.G. Meulenberg (ed.), Innovation in agri-food systems, Wageningen Academic Publishers, 2005; on thepeculiar relation between innovation and food law see F.Albisinni, Strumentario di diritto alimentare europeo, Utet, 2009.(2) Regulation (EC) No. 258/97 of the European Parliament and of the Council of 27 January 1997.(3) Council Regulation (EC) No. 820/97 of 21 April 1997.(4) See Article 7 of Regulation (EC) No. 178/2002 of the European Parliament and of the Council of 28 January 2002.(5) See, with reference to company law, U. Noack – D.A. Zetzsche , Corporate Governance Reform in Germany: The Second Decade,Center for Business & Corporate Law Research Paper Series No. 0010, Düsseldorf, 2005.(6) See, e.g., Council Regulation (EC) No. 1234/2007 of 22 October 2007 on the “Single CMO”.(7) See, e.g., article 5 of Regulation (EC) No. 882/2004 of the European Parliament and of the Council of 30 April 2004; article 11 ofRegulation (EC) No. 510/2006 of the European Council of 31 March 2006; article 118-septdecies of Regulation (EC) No. 1234/2007 ofthe European Council of 22 October 2007.(8) Royal Decree No. 1389, 19 October 1930. Italian legislation, in original and updated text, is published at www.normattiva.it(9) Ibid. at Article 514.(10) Ibid. at Article 515.(11) Ibid. at Article 516.(12) Article 517-quater, added to the Penal Code by L. No. 99, 23 July 2009.

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Other sanctions, provided by the general law on safety rulesfor food products and materials13, punish with a fine, origi-nally of criminal nature and lately weakened to administra-tive nature, the use of misleading labelling and advertising.14

In both cases, nevertheless, there was lack of specificattention for protecting “goods” different from bona fides inmarketing, labelling and business communication.Even when dealing with immaterial aspects of food products,law (public law) was looking to the substantive aspects of theproducts per se considered, and to the fairness of communica-tion, advertising and labelling by comparison to what is prom-ised to the consumer, neglecting other relevant aspects pertain-ing to general expectations of consumer and to social behaviour.This gap has been filled by private regulatory rules, lookingto new needs and to new disciplinary areas, and implement-ing new tools of regulation and enforcement.

3.- The IAP – Institute of self-regulation in MarketingCommunication - 1963

The first significant experience in Italy of a self-regulatorysystem on marketing communication was set up in 1963, onthe basis of the following principles:“(...) having established that the function of advertising isequally in the interest of enterprises and consumers, havingacknowledged the requirement that the principles of moral-ity and loyalty underlying the profession are enhanced, (...)as a further concrete impediment to marginal degenerativeforms of advertising, commits advertisers, artists, producersand the media, through their respective associations towork out and collect under a single moral Code ofAdvertising the rules that are to govern all advertising activ-ities in defence of entrepreneurial activities and of the fun-damental interests of consumers; moreover it commits suchassociations to appropriate themselves of such Code andensure its application by their members.”15

The IAP - Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, as regu-lated in its own Statute, is a non-profit organisation. It aimsto collect in one single voluntary organisation, together withall subjects operating along the food chain, also artists, pro-ducers and the media, adopting an inclusive approach,which does not limit competences for a fair market commu-nication to producers and sellers of the products, butassigns responsibilities in the process of establishing, main-taining, and respecting adequate standards, to all subjectsin any way engaged in communication.The shift is from the liability approach of public law, aimed

to prohibit and sanction illicit acts, and therefore addressedmainly to producers and resellers of substantive products,to a responsibility approach characteristic of private regula-tory law, aimed to assure voluntary (and, whenever possi-ble, preventive) compliance and therefore addressed to allsubjects who in any way play a role (i.e.: assume responsi-bility) in the communication process.Amongst the main tasks of IAP are the formulation andupdating of the rules of the Code of Self-Regulation, and theestablishing of a Jury and a Review Board, having the taskto decide “according to the provisions of the Code”16 on anyform of advertising, both prior to and after the publication.The Code of Self-Regulation was first published on May 12,1966 and has been constantly updated. At present time it isin force the 50th edition, effective from January 18, 2010.17

Decisions are published, posted on the website and filed inthe database of the IAP.18

The media through which marketing communication is dis-seminated, “which directly or through their trade associa-tions accept the self-regulatory code, even if not involved inthe proceedings before the Jury”, are obliged to observe itsdecisions;19 therefore going well beyond the borders andlimits usually assigned to public law decisionsThrough this way, the Code marked a significant innovationregarding subjects involved, roles assigned, effects of decisions.Even with reference to the content of regulation, the Codemarked a step in the path, broadening the discipline of fairmarket communication, from rules limited to specific illicitbehaviours (as happened under the criminal provisions ofthe Penal Code) to a more general consideration of mis-leading marketing communication, including overall fairnessin trade and taking into account behaviour, values andhabits of the consumers.Among alia, provisions of the Code:- hold a broad and open definition of what is covered by theCode:

“Preliminary and General Rules – e) DefinitionsThe term “message” refers to any form of public pres-entation of the product and therefore includes theouter packaging, wrapping, labelling etc.”“Article 2 – Misleading marketing communicationMarketing communication must avoid statements orrepresentations that could mislead consumers, includ-ing omissions, ambiguity or exaggeration that are notobviously hyperbolical, particularly regarding the char-acteristics and effects of the product, prices, freeoffers, conditions of sale, distribution, the identity ofpersons depicted, prizes or awards.”;

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(13) Law No. 283, 30 April 1962.(14) Ibid. at Article 8.(15) Agreement approved at the Conference of Ischia on October 3 to 6, 1963.(16) Article 32 of the Code of Self-Regulation.(17) Published at www.iap.it.(18) Ibid. at Article 40.(19) Ibid. at Article 41.

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- expressly mention ideal values, which obtain further pro-tection, added to the protection of economic interestsalready recognised by public law:

“Article 10 – Moral, Civil, and Religious Beliefs andHuman DignityMarketing communication should not offend moral, civiland religious beliefs. Marketing communication shouldrespect human dignity in every form and expressionand should avoid any form of discrimination.”;

- operate distinct evaluation of messages by reason of theirdestination to adult consumers or to children and young people:

“Article 11 – Children and young people.Special care should be taken in messages directed tochildren and young people or to which they may beexposed. Such messages should avoid material thatcould cause psychological, moral or physical harm,and should not exploit the credulity, inexperience orsense of loyalty of children or young people.In particular, such marketing communication must notsuggest:• violating generally accepted rules of social behaviour;• acting dangerously or seeking exposure to danger-

ous situations;• that failure to posses the promoted product means

either their own inferiority or their parents’ failure tofulfil their duties;

• that the role of parents and educators is inadequatein supplying healthy nutritional advice;

• adopting poor eating habits or neglecting the needfor a healthy lifestyle;

• soliciting other people to purchase the promotedproduct.

The portrayal of children and young people in market-ing communication must avoid playing on the naturalsentiments of adults towards the young.”

- include specific rules for specific categories of products,among which spirits, cosmetics, food supplements and alia:

“Article 22 – Alcoholic Beverages.Marketing communication concerning alcoholic bever-ages should not be in contrast with the obligation todepict styles of drinking behaviour that project modera-tion, wholesomeness and responsibility. This principleaims to safeguard the primary interest of the population ingeneral, and of children and young people in particular, ina family, social and working environment safeguardedfrom the negative consequences of alcohol abuse.”.

We may therefore reasonably assume that, in the Italianlegal experience, the voluntary creation of IAP, and its oper-

ation using tools proper of private regulatory law, largelyanticipated lines and themes of regulations, which havefound place in public law only much later.

4.- Legislative reforms in the 1990’s - Co-operative compe-tition between public and private law

The last decade of XX century has seen significant legisla-tive reforms in Italy in the areas of market regulation and ofcommercial communication, mainly under the influence(directly or indirectly) of the European Community.The institution of the Anti-trust Authority in 199020 gave expressand formal recognition to the European principles againstagreements in any form having the effect of restriction or distor-tion of competition, against abuses of dominant position, and infavour of effective free competition between undertakings.Two years later, in 1992, the implementation of Europeandirectives led to the introduction of new rules on labelling,presentation and advertising of food products21, and ondeceptive advertising.22

Those reforms crossed and interacted each other, and theirapplication offered an original framework to rules on commer-cial communication, especially with reference to food products.The D. Leg.vo No. 74/1992 on deceptive advertising had toidentify competences and procedure for the effective imple-mentation of the new regulation.The Anti-trust Authority created in 1990, with its recognisedskill and qualification, appeared to the Italian legislator of1992 to be the natural choice for an independent bodycalled to investigate and decide on the compliance with thenewly introduced rules.23 The underlining (and largelyshared) idea was that advertising is a decisive part of mar-ket competition and that assuring non deceptive advertisingis essential both to protect consumers, and to guarantee fulland fair competition among undertakings.On the basis of the new competence received, the Anti-trustAuthority largely expanded the field of its review, adopting avery broad definition of advertising and assuming that withinthis expression must be included any form of commercialcommunication, with any means, therefore including labels.24

So arguing, the Italian Anti-trust Authority expressed by way ofinterpretation as general rule, even in the field of public law, theprinciple, originally introduced by IAP in the field of private reg-ulatory law, that the discipline of commercial communication inthe market may not be divided in separate chapters, subject todifferent rules, on the basis of means and media utilized, butmust be considered in an unified and uniform perspective.25

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(20) L. No. 287, of 10 October 1990, establishing the AGCM – Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.(21) D. Leg.vo No. 109, of 27 January 1992, implementing Directives 79/112/EEC, 89/395/CEE, 89/396/EEC.(22) D. Leg.vo No. 74, of 25 January 1992, implementing Directives 84/450/EEC and 97/55/EC.(23) Article 7 of D. Leg.vo No. 74/1992.(24) See dec. No. 1078, 21 April 1993, Oleificio Viola, at www.agcm.it(25) On competence and powers of the AGCM in cases of consumers’ protection, with specific reference to food law, see A.Astazi, Pratichecommerciali scorrette nell’ambito dei contratti del consumo alimentare e tutela dei consumatori, in www.rivistadirittoalimentare.it, No. 02-2008.

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Moreover, the Anti-trust Authority affirmed the principle(lately accepted also by the courts of justice) that the exis-tence of trade marks duly registered under the laws appli-cable at the time of registration does not allow the trademark owner to reproduce this mark on the labels, when thisuse may induce the consumer to a deceptive understandingof the characteristics of the product.This principle has been recognised primarily in the area ofFood Law. With specific reference to the true origin of afood product, the Anti-trust Authority in a long and coherentseries of decisions declared that the true origin of olive oil isthat of the place where olives have been picked and that atrade mark containing a reference to a geographic placecannot be used on the label of a bottle of olive oil when theolives come from a geographic place different from thatmentioned in the trade-mark.26

With these conclusions, the Anti-trust Authority, operatingas a powerful independent Authority with effective decision-making powers, anticipated criteria which will find officiallegislative recognition in Europe only later, throughRegulation (EC) No. 1019/2002 of 13 June 2002.27

The reciprocal influence and interference within rules, crite-ria and arguments among private regulatory bodies, publicbodies, and formal rules of law, expanded in those casesfrom a domestic dimension to a larger European sphere.The above mentioned D. Leg.vo No. 74/1992, in addition tothe public law competences attributed to the Anti-trustAuthority to investigate and sanction cases of deceptiveadvertising, introduced a relevant and original example ofco-operative competition mechanism between public andprivate law (and between public and private institutions andbodies). Article 8 stated that, in case of deceptive advertis-ing, interested parties may turn to self-regulation voluntarybodies and in this case may agree to postpone any applica-tion to the Anti-trust Authority until the private body adoptsits final decision.Under the same Article 8, even when the application is previ-ously deposited before the Anti-trust Authority, any party mayask the Authority to suspend its procedure waiting for thedecision of the private body. In this hypothesis the Authoritymay suspend the procedure for a term up to thirty days.This rule has been afterwards confirmed with a larger appli-cation area by the Consumers’ Code28. Article 27-ter29 of theCode states that consumers and competitors, even throughtheir associations or organizations, may agree in general

terms with trade operators and producers that, before mak-ing any petition to the Anti-trust Authority or to the courts ofjustice, they will turn to self-regulation voluntary bodies tostop unfair commercial practices (including but not limited todeceptive advertising).Along the steps and with the peculiarities above mentioned,largely moving from experiences and cases in Food Law,public and private regulatory bodies and rules have there-fore been recognised in the Italian Consumers’ Code as anarena of co-operative competition, offering to undertakingsand consumers a large armoury of possible tools and reme-dies, concurrent but harmonised in their content and in theiroperational procedures.

5.- The Beer Advertising Code - Private regulation as tool toexpand and anticipate consumer protection

The new Beer Advertising Code, adopted in 2010 by theItalian Brewers Association30, locates itself within this longlasting path of competition/co-operation of public and pri-vate food law, getting inspiration from previous private andpublic experiences and in the meantime introducing someprovisions having innovative character.In the Code31 special attention is given to young people andto minors and more generally to the declared fundamentalgoal to avoid any sort of commercial communication, whichcould in any way induce consumers to drink in a “non-responsible way”.The inspiration of the Code is expressly derived fromDirective No. 1989/552/EEC, of 3 October 1989, on televi-sion broadcasting activities, whose Article 15 states, withreference to alcoholic beverages:“Article 15.Television advertising for alcoholic beverages shall complywith the following criteria:(a) it may not be aimed specifically at minors or, in particu-lar, depict minors consuming these beverages;(b) it shall not link the consumption of alcohol to enhancedphysical performance or to driving;(c) it shall not create the impression that the consumption ofalcohol contributes towards social or sexual success;(d) it shall not claim that alcohol has therapeutic qualities orthat it is a stimulant, a sedative or a means of resolving per-sonal conflicts;

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(26) See, among others, dec. No. 4970, 30 April 1997, Bertolli-Lucca; dec. No. 5562, 18 December 1997, Olio Carapelli Firenze, No. 5563,18 December 1997, Olio Carli Oneglia, No. 5564, 18 December 1997, Olio Monini Spoleto, No. 5713, 19 February 1998, Olearia delGarda; No. 7619, 13 October 1999, Cooperativa agricola Trevi, published at www.agcm.it. For a comment of the decisions of the AGCMsee F. Albisinni, Etichettatura dei prodotti alimentari, in “Diritto alimentare. Mercato, Sicurezza”, Wolters Kluwer Italia, 2010.(27) Amended by Regulation (EC) No. 182/2009 of 6 March 2009.(28) D. Leg.vo No. 206, 6 September 2005.(29) Introduced by D. Leg.vo No. 146, 2 August 2007, article 1.(30) For a detailed discussion of the Code, see A. Artom, Self-Regulation Code on Beer Advertising, infra.(31) Published at www.assobirra.it.

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(e) it shall not encourage immoderate consumption of alco-hol or present abstinence or moderation in a negative light;(f) it shall not place emphasis on high alcoholic content asbeing a positive quality of the beverages.”Those provision has been later amended:- by Directive No. 97/36/EC, of 30 June 1997, which

extended to “teleshopping” the application of the men-tioned rules;

- and by Directive No. 2007/65/EC, of 11 December 2007,which introduced Article 3(e), stating at par. 1(e):

“audiovisual commercial communication for alcoholic bever-ages shall not be aimed specifically at minors and shall notencourage immoderate consumption of such beverages”.The entire Directive of 1989 has been finally repealed byDirective No. 2010/13/EU, of 10 March 2010, concerningthe provision of audiovisual media services, which con-firmed the above mentioned provisions.32

Comparison of the provisions of these Directives with thecontent of the Beer Advertising Code clearly shows theinnovative approach of the Code.In the directive of 1989 the scope of regulation was initiallylimited to television advertising, only later extended toteleshopping and recently to general audiovisual commer-cial communication, while we have seen that already backin 1963 the IAP (whose model inspired the Beer AdvertisingCode) adopted an inclusive and comprehensive approachconsidering any form of commercial communication as sub-ject to the Code of Self-regulation.Even with the last amendments, the public European legis-lation above mentioned, on advertising of alcoholic bever-ages, is applicable only to “audiovisual commercial commu-nication”, with a scope much narrower than that of the pri-vate Beer Advertising Code.Moreover the Code, on the basis of the experience of IAP,inter alia:- pays special attention to the mode and form of the com-

mercial communication, e.g. adopting specific rulesregarding the use of comics or animated figures, consid-ered as addressed to young people by their nature andtherefore evaluated on the basis of strict criteria;

- adopts a very broad definition of “dangerous activities”which in any case cannot be associated with the use ofbeer, including in the definition even simple domesticactivities;

- excludes any association of beer with the use of anyvehicle, on the assumption that all vehicles require inany case full attention from the driver.

Summing up, even on the basis of a brief examination ofthis new private Code and comparison with public rules

applicable to the same products, the consideration whichmay be shared is that the private Code expands and antic-ipates consumer protection through recourse to self-regula-tion, i.e. to a regulation which is introduced and managed bythe same subjects who are called to apply it.The duty to respect is the result of voluntary acceptance, aspart of the collective participation to the Brewers Association.It is a case of private food law, which is distinguished by itsnature of being collective food law, whose strength andeffectiveness is mainly based in its being a shared regula-tion, not imposed by a stronger contracting party (as hap-pens in some instances of private standards fixed by pow-erful market players), but created by the same parties thatassume the obligation to respect it.

6.- Some open questions

Even after placing the Self-regulation Code within the com-prehensive concept of private collective food law abovementioned, some relevant questions remain open.Which kind of formal (or informal) relation may be construedbetween private and public regulation in the final evaluationof commercial communication on food?Which effects on the liability / responsibility of food produc-ers at public law, may have the compliance with privateestablished Code rules?In particular, may a food producer evoke as protectionagainst public law sanctions the circumstance that the dis-cussed commercial communication has been verified by theJury of the Code prior to its use?Which is the status of the Jury? Is it the same of privatearbitrators, which cannot be held responsible for errors atlaw? Or must it be compared to certification bodies, respon-sible for not having checked the violation of applicablerules?In an area of regulation, like Food Law, where rules ofresponsibility may in some cases operate even in absenceof any fault criteria,33 any possible answer to those ques-tions involves crucial issues, both for the producersinvolved and for the viability of the system proposed.In the past century legal scholars analyzed, along oppositeperspectives, the competition between modern Statemonopoly of law sources34, and social experiences vindicat-ing a territory outside the State regulation35.In this century we have to deal with a multilevel and pluralis-tic situation, with many competing and overlapping sourcesof regulation, with still no clear rules of effective supremacyand with a sort of pendulum among different sources.

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(32) See Article 9(e) and Article 22 of the Directive of 2010.(33) See, e.g., Article 19 of Regulation (EC) No. 178/2002 on the duty to withdraw, and see Court of Justice, 23 November 2006, C-315/05, Lidl Italia, on the liability of distributors.(34) See the fundamental contribution of H.Kelsen, General Theory of Law and State, Harvard University Press., Cambridge Mass., 1945.(35) It is sufficient here to remember S. Romano, L’ordinamento giuridico, Pisa 1918, and 2nd ed. Firenze 1945.

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Self-Regulation Code on Beer

Advertising·

Alessandro Artom

1.- Introduction

The idea of adopting a self-regulation code on beer adver-tising comes from the need to improve, in the field of PrivateFood law, the Public law, including both national and EUlaw, through the private instrument of self-regulation andthe voluntary respect by all parts concerned.The aim of such private activity is to integrate the Public lawin this field with the adoption of simple and fast rules, volun-tarily adopted by the companies, to marketing properly alco-holics products, as beer, and to promote those products tothe consumer, in order to obtain a safer consumption.In this regard, the rules of the Italian Self-regulation Coderepresent a considerable progress in the field of commercialadvertising’s self-regulation, because both regulatory andprocedural provisions have been conceived not only to reg-ulate brewers and distributors’ marketing activity, but also tomake consumers more aware of important social matters,related to the consumption of alcoholic beverages. In addi-tion, the self-regulation makes the consumer able to usefree, fast and efficient instruments of private justice, in orderto prevent immediately the spread of unfair advertising.The Code is therefore the instrument by which the compa-nies associated to Assobirra1 show, on one hand, their willto be bound by the principles commonly shared by thebrewers of Europe, and on the other hand, the need to edu-cate the public on a responsible consumption of alcohol.

This principle constitutes the common ground adopted byall European beer producers.

2.- The European Principles

On the European level, the principles concerning the alco-hol advertising were set for the first time in 1989 by theDirective n. 5522 and then confirmed in the Directive2007/65/CE concerning television broadcasting activities,which has been recently transposed into Italian law by theDecree 15 March 2010, n. 443. Now, those principles arelaid down in the Directive n. 13 of 10 March 2010, concern-ing television advertising and teleshopping for alcoholicbeverages4 and the Beer’s Italian Code fully complies withthe Directive’s purposes.First of all, the new Directive stresses the importance of theself-regulation instruments in the field of alcoholic products’advertising. In recital n. 44, it states that self-regulationinstruments can play an important role in delivering a highlevel of consumer protection and that Member Statesshould recognise this role as a complement to the legisla-tive and judicial and/or administrative mechanisms in place.In addition, recital n. 89 of the Directive foresees that it isnecessary to lay down strict criteria relating to the televisionadvertising of alcoholic beverages, in order to safeguard theconsumer against unfair commercial communication.These criteria are laid down in article 22 of the Directive5

and they have been implemented in the Italian Self-regula-tion Code on beer advertising.In particular, the advertising of beer may not be aimed atminors or depict minors consuming these beverages; itshall not link the consumption of alcohol to enhanced phys-ical performance or to driving; it shall not create the impres-sion that the consumption of alcohol contributes towardssocial or sexual success; it shall not claim that alcohol has

(·) Paper discussed in the European Food Law Association Congress, “Private Food Law. Non regulatory dimension of Food law”,Amsterdam, 16-17 September 2010. The proceedings of the Congress are in course of publication by Wageningen Academic Publishers,2011, ed. Bernd van der Meulen.(1) ASSOBIRRA – Associazione degli industriali della Birra e del Malto. Assobirra is the Italian association of beer and malt producers/dis-tributors, settled in Rome (Viale di Val fiorita n. 90). Assobirra is associated with Confindustria (Confederation of Italian industry) and withthe European Association Brewers of Europe (BOE), embracing in full the ethical code of the latter and carries on institutional, promo-tional and technological development tasks.(2) Council Directive 89/552/CEE of 3 October 1989 on the coordination of certain provisions laid down by Law, Regulation andAdministrative Action in Member States concerning the pursuit of television broadcasting activities.(3) Decreto Legislativo 15/03/2010, n. 44 implementing Directive n. 2007/65/CE on the coordination of certain provisions laid down byLaw, Regulation and Administrative Action in Member States concerning the pursuit of television broadcasting activities.(4) Directive 2010/13/EU of the European Parliament and of the Council of 10 March 2010 on the coordination of certain provisions laiddown by law, regulation and administrative action in Member States concerning the provisions of audiovisual media services (AudiovisualMedia Services Directive) (Text with EEA relevance).(5) Directive 2010/13/EU, article 22: “Television advertising and teleshopping for alcoholic beverages shall comply with the following cri-teria: (a) it may not be aimed specifically at minors or, in particular, depict minors consuming these beverages; (b) it shall not link the con-sumption of alcohol to enhanced physical performance or to driving; (c) it shall not create the impression that the consumption of alcoholcontributes towards social or sexual success; (d) it shall not claim that alcohol has therapeutic qualities or that it is a stimulant, a seda-tive or a means of resolving personal conflicts; (e) it shall not encourage immoderate consumption of alcohol or present abstinence ormoderation in a negative light; (f) it shall not place emphasis on high alcoholic content as being a positive quality of the beverages”.

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therapeutic qualities or that it is a stimulant, a sedative or ameans of resolving personal conflicts; it shall not encourageimmoderate consumption of alcohol or present abstinenceor moderation in a negative light and, finally, it shall notplace emphasis on high alcohol content as being a positivequality of the beverages.The Italian Code on beer advertising reflects also the provi-sions of the Italian Code of Self-Regulation of MarketingCommunication, that is a private standard voluntarily adopt-ed in Italy since 1966 by all producers, advertising agenciesand media, concerning the advertising in all fields. Article 22of this Code refers to alcoholic beverages and affirms thatthe marketing communication concerning such beveragesshould not be in contrast with the principle to invite aresponsible consumption of alcohol. This principle aims tosafeguard the primary interest of the consumers in general,especially children and young people, in a family, social andworking environment protected from negative conse-quences of alcohol abuse.Regarding beer, in application of art. 22, the Jury has decid-ed some cases. One of the most interesting case recentlydecided by the Jury on alcohol advertising was about a tvadvertising of “Birra Nastro Azzurro” of April 20086.This tv advertising shows a cargo ship full of beer boxesthat leaves the harbour. The captain does not realize that agroup of young people are going after the boat, on boarddinghy, because he’s listening to the music with earphones.The guys manage to reach the boat, start a big party whereall the people on board dance and drink beer all night long.At sunrise, the cargo ship arrives to the harbour of destina-tion and from the pier one guy ask the captain where theItalian party is. The captain is surprised and realizes whathappened during the night: the guys drank all beers andwrote “Thanks Italy!” on the cargo ship. The captain and theboy laugh and drink the last two beers. The tv advertisingfinishes with a claim “Nastro Azzurro. C’è più gusto a essereitaliani” and the image of some empty bottles of beers.On this advertising, the Jury, appointed by the ReviewBoard, stresses the strong psychological impact that mar-keting communication on alcoholic beverages could haveon consumers, if alcohol is depicted as a means to satisfyunreasonable needs and behaviours. On the other hand,art. 22 of the Code (CAP) on alcoholic beverages doesn’thave the function to give a teaching direction to advertisingagency’s creativity. In the tv advertising examined, the Juryconsiders that the story showed put the event on unrealbasis because it’s unlikely that a group of young people

attacks a cargo ship, makes a noisy party without any reac-tion from the captain. In addition the tv advertising showesonly few bottles of beer inside a box full of ice.Consequently there are no messagees that suggest an irre-sponsible consumption of alcohol.For these reasons, the Jury has considered that the mes-sage complies with article 22 of CAP.The specifically improvement made by the Italian Code onbeer advertising is that to emphasize a moderate andresponsible consumption of beer, as an alcoholic beverage.Despite the importance of such rules, there was no specificand independent regulation on beer advertising in Europe.Therefore Brewers of Europe, with the adoption of SevenOperational Standards, has satisfied this need.

3.- Seven Operational Standards of the «Brewers ofEurope»

The Association of the Brewers of Europe7 currently repre-sents 27 national brewing associations and producers ofaround 95% of the beer brewed in the EU and is a foundingmember of the EU Alcohol and Health Forum and is com-mitted to being part of the solution when it comes to tacklingalcohol misuse.The Brewers of Europe has adopted uniform criteria for theinstitution in the Member States of self-regulation systemsfor the commercial communication of beer8.The Seven Operational Standards, agreed upon by theBrewers of Europe in 2007, have been adopted in order tooptimise, in the field of the beer advertising, the effective-ness of the national mechanisms of self-regulation and toguarantee responsible commercial communications in theEU9. These particular guide lines would have to be imple-mented by April 2010 and Italy has fulfilled the task troughthe adoption of the Code. At the moment, we have imple-mented all the Seven Operational Standard, fixed by theBrewers of Europe.The first Standard deals with “code coverage”. The objec-tive is that all the commercial communications on beer,regardless of their form and source, have to be covered bythe Code, as well as all brewers and all distributors and allpractitioners (for example advertising agencies, promotion-al commercial agencies, points of sale involved on promo-tional operations).The second Operational Standard deals with “code compli-ance”. It’s essential that there is the maximum compliance

(6) Decision n. 54/2008 of 26 May 2008 – Comitato di Controllo vs Birra Peroni spa.(7) Website: www.brewersofeurope.org.(8) On May 26th 2010 the association of the Brewers of Europe has published a report on the Seven Operational Standards:“Responsible beer advertising through self-regulation”.The report offers, both from an EU-wide and a national perspective, an overviewof the background, baseline, progress and next steps in relation to the full implementation of the Seven Operational Standards by themembership of the Brewers of Europe.(9) Operational Standards for National Self-Regulatory Action Plan: 1) Full code coverage; 2) Increased code compliance; 3) Impartialjudgments; 4) Fast procedure; 5) Effective sanctions; 6) Consumer Awareness; 7) Own-initiative compliance monitoring.

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with both the letter (that’s to say, formal rules) and the spir-it (which are the principles not formally written down) of thecode, in order to prevent that irresponsible commercialcommunications on beer reach the public sphere. In addi-tion, it’s important that the “copy advice” is provided on aconfidential and free basis, making this mechanism easilyavailable to every beer producer.The third Operational Standard requests an impartial judge-ment in the commercial communications. The private judi-cial body is composed by three independent and qualifiedmembers including the chairman. “Indipendent” means thatthe individual should be independent not just from the com-pany whose advertisement is being investigated, but alsoindependent from the brewing and advertising industries asa whole.The fourth Operational Standard requests a fast procedure,in order to have a speed decision if the advertising is inbreach of the Code and consequently the Jury may order tointerrupt immediately the advertising or promotional activi-ties in breach.The fifth Operational Standard deals with “Sanctions”. It isnecessary that sanctions act as a deterrent to prevent brew-ers from launching unfair communications or promotionalactivities. The strength of such sanctions must show boththe regulator and the consumer that self-regulation is anefficient and effective system.The sixth Standard stresses the importance to guaranteeand increase the consumer’s awareness of the self-regula-tory system and its functioning. Such knowledge is reach-able by the publication of the jury decisions.The last Operational Standard deals with the monitoring,time to time, of the Code by the judicial body: the Jury. Suchsystem has to be based on planned and systematic checkof the Jury’s activity, as well as on a continue up-dating ofthe code through a regular review.

4.- Purposes and Obligations

The Italian Self-regulation Code on beer advertising is com-posed of two parts: the first one deals with general purpos-es, the obligations undertaken by all Italian beer producers

associated to Assobirra, the field of application and the def-initions commonly accepted; the second one is about con-duct rules, procedural and judicial rules.Concerning the purposes, the Code aims to ensure that anykind of marketing communication on beer (that’s to say allmedia, tv, radio, cinema, web, press, public bills, promotion-al activities in the points of sale, … and including labels andpackagings) must comply with the principle of “responsibledrinking”.The subjects bound by the Code are all the Assobirra’sassociated companies (producers and distributors) andtheir marketing agencies, including advertising agencies,advertising dealers and media advertising managers andthe point of sale of HO.RE.CA (Hotel Restaurant Cafè SaleChannel) and large distribution dealers, where promotionalactivities are made.In particular, the brewers and the practitioners voluntarilyundertake to observe the code and its rules, to ensure com-pliance by their members, to efficiently disseminate the rul-ings of the Jury and to adopt appropriate measures towardsmembers who fail to comply with/or repeatedly disregardthe Jury’s decisions.In the part dedicated to definitions, the key terms of theCode are explicated. The principal terms contain definitionsfor: acceptance clause, agency, Assobirra, beer, code, copyadvice, hazardous activities, Jury, marketing communica-tion, minors, point of sale, sanctions and secretariat10.One of the most important definitions refers to the accept-ance clause. In this regard, Italian brewers undertake toensure that their members and associates shall include aspecial clause in the contracts subscribed with their adver-tising agencies, specifying acceptance of the provisions ofthe Code, its Regulations and the rulings of the Jury includ-ing publication of the latter, as well as acceptance of finaldesist orders issued by the Jury. The desist order consistsin the immediate interruption of marketing communicationon beer.Another important definition refers to the Copy Advice. Infact, it consists of an advisory and confidential service givenfrom the Jury’s Secretariat to the brewers companies or rel-ative agencies. The legal advice delivered by the Jury’sSecretariat concerns the compliance or the non-compliance

(10) Some of the most relevant definitions: AGENCY – Advertising agencies, advertising and marketing advisors, exclusive dealer adver-tising, advertising managing agents and promotional commercial agencies, points of sale involved on promotional operation in Italy;POINT OF SALE: location of supply and/or sale of beer including sales free of charge, to the consumer that belongs to HO. RE. CA. chan-nel or to the LARGE ORGANIZED DISTRIBUTION or to exhibition opened to public, to promote beer, in the latter case that such promo-tion will be made directly by the brewer itself, with or without distribution of free beer samples; SANCTION/S - The sanctions imposed bythe Jury to the beer company are as follows: a) at the first stage the interruption of marketing communication on beer i.e. desist ordershould marketing communication submitted for examination appear to clearly violate one or more articles of the self-regulation code, theJury may order to the beer company and agencies to desist from publishing it, and the condemnation of Jury’s costs of procedure; b) atthe second stage, in case of non-compliance of the desist order, a fine will imposed through a compulsory contribution from a minimumof € 1.000 to a maximum of € 10.000 devolved to scientific research, in the field of the prevention of alcohol abuse accompanied by thepublication of the Jury’s decisions on Assobirra’s website; SECRETARIAT – The Jury’s Secretariat is the independent office competentto receive the consumers petition on marketing communication about beer. The Jury’s Secretariat, will examine the consumers petitionand will perform the inquiring tasks for the Jury. The Jury’s Secretariat is the competent office to realize the copy advice.

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with the Code of a forecast advertising campaign. Theadvertising is submitted in advance and in a confidentiallyway by the brewers producers or agencies before its broad-cast or publication.Finally, the Jury is defined. The Jury is judging body and itis composed of three independent and qualified memberschosen among experts in law, consumer affairs and com-munication. The expert in law (lawyer and/or university pro-fessor in law) holds the office of chief of justice, the expertof communication holds the office of reporter, the expert ofconsumerism is the third private Judge.

5.- Conduct rules

The crucial point of the Code is represented by the conductrules, in accordance to the provisions of the mentioned arti-cle 22 of Directive n. 13 of 2010. These rules are includedin articles from 1 to 8 of the Code and their purpose is toaddress any kind of marketing communication and/or pro-motional activities towards principles of moderation andresponsibility in the alcohol consumption, in relation to thestandards established by the Brewers of Europe.According to article 1, the marketing communication aboutbeer must not encourage excessive or irresponsible con-sumption of beer, nor present abstinence or moderation ina negative way; it must not be connected with violent,aggressive or anti-social behaviour and it must not showpeople who appear to be intoxicated or in any way presentintoxication in a positive way.In this regard, Assobirra has focused its attention on thesocial matters connected with an irresponsible consumptionof alcohol and it has promoted a specific information andawareness campaign concerning the abuse of alcoholicbeverages, in order to make the public more aware of theimportance of a moderate and responsible consumption inour society.The program is called “Guida tu la vita. Bevi responsabil-mente”(drive your life. Drink responsible)11 and it focuses onspecific situations, like alcohol and driving, alcohol andpregnancy, alcohol and young people.On the matter dealing with alcohol and pregnancy, Assobirrawants the gynaecologists and women to be more aware ofthe risks connected with alcohol consumption during thepregnancy, especially for the future child. The Italian beerproducers initiative on this problem has been recognised bythe EU Alcohol & Health Forum as the first initiative promot-ed on this field in Europe by an alcohol company.Regarding young people, Assobirra promotes some initia-

tives in cooperation with the Italian private radio, called“Radio 105”, one of the most popular radio among youngItalians. Young people are asked to talk together about alco-hol and promote a correct behaviour in relation to alcoholconsumption.In the Code a special attention is dedicated to minors.According to article 2, the marketing communication aboutbeer must not be aimed at minors, it must not show minorsconsuming beer, it must not be promoted in media, pro-grams or at events where the majority of the audience iscomposed by minors. In particular, marketing communica-tion must not address to minors through graphic picturesand/or cartoons on beer and it should not use testimonialswhose normal working activity is addressed to minors12.Article 3 of the conduct rules deals with driving. The adver-tising about beer must not associate, directly or indirectly,the consumption of beer with the act of driving vehicles ofany kind. In this regard, the mentioned Assobirra’s advertis-ing campaign on alcohol, “drive your life, drink responsible”,is focused on the problems connected with alcohol and driv-ing.This clause of the Code is in accordance with the new pro-visions recently adopted in the Italian legislation. FromAugust 13th it is in force the new Driving code (codice dellastrada), L. 29 July 2010 n. 12013. According to the article 53,it is forbidden to sell alcoholic beverages in the highwaystops between 2:00 and 6:00 a.m., in order to fight roadaccidents caused by alcohol consumption. For bars, discos,pubs and clubs the prohibition is valid between 3:00 and6:00 a.m., according to article 54 of the new legislation. Afixed level of 0,5 grams per litre is considered “driving underthe influence of alcohol” and forbidden by the new Drivingcode.The other conduct rules of the Code refer to hazardousactivities, therapeutic properties, alcohol content, perform-ances and promotional activities. In particular, article 4establishes that marketing communication about beer mustnot associate consumption of beer with the performance ofhazardous activities (all the human activities that involve aparticular attention and/or physical effort), nor portray theact of consumption prior to or during such activities.On therapeutic properties, article 5 says that marketingcommunication must not lead to believe that beer has prop-erties of preventing, treating or curing a human diseases.Article 6 stresses the importance that beer advertising mustnot create any confusion as to the nature and strength ofbeer and it must not present the high alcoholic content ofbeer as a positive quality of the beverage or as a good rea-son for choosing it.

(11) There is also a website dedicated to the program, www.beviresponsabilmente.it.(12) Recently the new Decree 15 March 2010 n. 44 on audiovisual media services has increased minors’ protection. In particular, art. 9bans tv transmissions that could damage the physical, psychological and moral development of minors or show scenes of violence orpornography. Art. 9 also introduces a protection system against any kind of transmission that could damage minors.(13) L. 29 July 2010 n. 120.

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In accordance to article 7, the beer advertising must notconnect the consumption of beer to better physical abilitiesand it must not lead people to believe that consumption ofbeer enhances social or sexual success.The last conduct rule, article 8, underlines that promotionalactivities on beer in the point of sale must not drive to irre-sponsible or anti-social behaviour or encourage an exces-sive consumption of beer. In addition, the distribution of freebeer samples must not be made out of the points of saleand no sampling of beer must be offered to minors.

6.- Procedural rules

The competent bodies for beer advertising and promotionalactivities are the Jury and the Secretariat. The first one isthe judging body and the second one is the independentoffice competent to receive the consumer’s petitions andthe requests of copy advice. The articles of the Code dedi-cated to the bodies and the procedures are from 9 to 18.The procedure of monitoring starts with a petition, throughwhich the consumer or the consumer’s association makethe Jury’s Secretariat aware of an advertising which is prob-ably in infringement with the Code.The Secretariat evaluates the petition and in the term of 5workdays it can act in three alternative ways:- it can accept the petition and send it to the Jury with a briefreport and, simultaneously inform both the consumer andthe beer company that the procedure is started; the beercompany is invited to present pleadings to the Jury in thesuccessive 5 workdays;- the Secretariat can refuse the petition with a brief explana-tory note to the consumer;- it can consider the petition incomplete and so ask the con-sumer further information and, in case of refusal, theSecretariat files the petition in the successive 10 workdays.In case of acceptance of the consumer’s petition, the Jurywithin 10 workdays judges the submitted marketing commu-nication and after the evaluation of pleadings eventuallysubmitted by the beer company, it can decide in two alter-native ways:it can order the company to stop immediately the advertis-ing, which is called “desist order”, warning that in case ofnon-compliance a sanction will be imposedit can consider the company’s pleadings worthy to be dis-cussed before the Jury in a public hearing in the successive10 workdays.During the discussion before the Jury, the Secretariat willreport on the case. The petitioner consumer and the beercompany may explain their opinions on the matter, alsothrough a nominee named for the purpose. At the end of thediscussion, the Jury takes a decision. The Jury’s decisions have a binding effect not only for the

company involved in the procedure introduced by the con-sumer, but also for all the agencies and the points of salewhich have accepted the Code’s provisions with the accept-ance clause. The decisions are also published onAssobirra’s website.

7.- Copy advice

The request of copy advice is examined confidentially bythe Secretariat with the story board, the graphic productioncompleted by texts of marketing communication on beer. Inthe term of 7 workdays the Secretariat gives its legal adviceto the asking beer company or advertising agency. In partic-ular, the Secretariat can provide in three alternative ways:- it can approve the marketing communication and if a con-

sumer makes a petition on that advertising, theSecretariat will not accept the petition, in accordance toits previous copy advice, unless the consumer’s petitionconcerns the ways of spread used for the advertising (forexample: spread in programs for minors);

- it can find some infringements to the Code and order thebeer company to remove them and to prepare a written com-mitment in the successive 5 workdays. If the commitment isreceived correctly and in time by the Secretariat, the market-ing communication will be approved in the modified version;

- it can refuse the submitted marketing communication, con-sidering it in breach of the Code. In case of successivebroadcast or publication of this advertising, the Secretariatwill alert immediately the Jury. In this case, the beer compa-ny involved can argue the copy advice before the Jury, whichdecides in the successive 10 workdays, in a private session.

8.- Cases

To better understand the functioning of the procedures fol-lowed by the Jury and the Secretariat, it seems advisable toillustrate two practical cases:- the Case A is about a TV advertising;- the Case B is about promotional activities in points of sale.

Case AThe first case refers to a TV beer advertising broadcastedduring the afternoon, a particular and protected time slotwhich is typically aimed at minors. According to article 13Italian Law No. 125/200114, the advertising of alcoholic bev-erages is forbidden in programs aimed at minors, especial-ly in the 15 minutes that come before and after the trans-mission of such programs.First of all, the consumer communicates the Secretariat (bymail or e-mail) the advertising he wants to submit to the Jury,explaining his reasons and attaching the required documents.

(14) L. 30 March 2001, n. 125 on alcohol problems.

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Then the Jury’s Secretariat examines the petition sent bythe consumer and in the term of 5 workdays:it can accept the petition and send it to the Jury with a reportand, at the same time, inform both the consumer and thebeer company that the procedure is started. The beer com-pany is invited to present pleadings to the Jury in the suc-cessive 5 workdays.OR it can, on the contrary, refuse the petition with a briefexplanatory note to the consumerOR finally, it can consider the petition incomplete and soask the consumer further information and, in case ofrefusal, the Secretariat files the petition in the successive 10workdays.When the consumer’s petition is sent to the Jury, the Jurywithin 10 workdays judges the marketing communicationand after the evaluation of pleadings eventually submittedby the beer companyit can order the company to stop immediately the TV beeradvertising in question (“desist order”), warning that in caseof non-compliance a sanction will be imposed as a compul-sory contribution to be devolved to the scientific research,accompanied by the publication of the Jury’s decision onAssobirra website and the condemnation of Jury’s costs ofprocedure on the contrary, the Jury can consider the company’s plead-ings worthy to be discussed before the Jury in the succes-sive 10 workdays.During the discussion before the Jury, the Secretariat willreport on the case. The petitioner consumer and the beercompany may explain their opinions on the matter, alsothrough a nominee named for the purpose. At the end of thediscussion, the Jury takes a decision.

Case BThe second case deals with promotion and sampling withinpoints of sale with distribution of leaflets to the consumer

which lead to an irresponsible consumption of beerbecause of their content and pictures.In this case the consumer warns the Secretariat of the pro-motional activity in the point of sale and he explains his rea-sons, supporting them with the required documents.If the procedure starts before the Jury, the Secretariat asksthe point of sale to send a brief report concerning the waysused for the promotion impeached, in the term of 5 workdays.After having examined the pleadings submitted by the beercompany and by the point of sale, the Jury in the term of 10workdays…- can order the company and the point of sale to stop

immediately the promotional activities in breach with theCode, warning that in case of non compliance of suchorder, a sanction will be imposed as a compulsory contri-bution to be devolved to the scientific research, accompa-nied by the publication of the Jury’s decision on Assobirrawebsite and the condemnation of Jury’s costs of proce-dure

- on the contrary, the Jury can consider the company’spleadings and the brief sent by the point of sale worthy tobe discussed before the Jury in the successive 10 work-days.

During the discussion before the Jury, the Secretariat willreport on the case. The petitioner consumer and the beercompany may explain their opinions on the matter, alsothrough a nominee named for the purpose. At the end of thediscussion, the Jury takes a decision. Finally, it is important to remember that whenever the Juryis involved in such cases, it has to inform the Italian AntitrustAuthority (AGCM)15 for the purpose of foreclosure and ofstay of proceedings foreseen by the Italian ConsumerCode, article 27 ter par. 316, and by the Regulation on theinquiry procedures concerning the unfair business-to-con-sumer commercial practices, article 20.

(15) Website: www.agcm.it.(16) Legislative Decree 6 September 2005, n. 206, Art. 27-ter (Self-Regulation): par.3 – when a procedure starts before a self-regulationbody, the parties can decide not to refer to the Authority until the final decision of the body, or they can ask the Authority to suspend theproceeding, whenever the it has been introduced by another person entitled to do so, waiting for the self-regulation body to decide.

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FUKUSHIMA, RASFF ED ECURIE

Condizioni speciali per l’importa-

zione di alimenti e mangimi prove-

nienti dal Giappone, dopo l’11

marzo 2011

Valeria Paganizza

1.- Brevi premesse

E’ dello scorso 25 marzo il regolamento di esecuzione dellaCommissione n. 297/20111, che impone condizioni specialiper i mangimi e gli alimenti originari dal Giappone, o prove-nienti da esso, a seguito dell’incidente nucleare diFukushima. L’evento, che ha assunto proporzioni ben piùgravi di quelle inizialmente pronosticate, ha allertato i siste-mi di scambio rapido di informazione sia nel settore alimen-tare (RASFF)2 e che nello specifico ambito dell’emergenzaradioattiva (ECURIE)3, ma ancor prima ha indotto laCommissione ad adottare misure di emergenza per fronteg-giare la crisi in atto. Pur variando le circostanze dell’inciden-te e le modalità di gestione dello stesso, la mente non puòche ritornare a quanto già accadde, poco meno che venti-cinque anni fa, a Cernobyl e all’attivazione, già all’epoca, dimisure relative all’importazione di alimenti da Paesi terzi4. Inassenza di puntuali indicazioni dall’Unione sovietica e nelclima di incertezza sulle misure da attuare, fu la Comunitàa dover assumere il compito di coordinazione per far fronteall’emergenza5. D’altra parte, fu quello l’evento che ispiròl’istituzione del sistema di scambio per le emergenzeradioattive, con la Decisione EURATOM/87/6006. Il sestoconsiderando dell’atto richiamato sottolinea, infatti, come iltragico avvenimento del 1986 abbia dimostrato la necessitàche la Commissione, in caso di emergenza radioattiva,

disponga “rapidamente di tutte le informazioni utili secondouna presentazione concordata”.Il testo della decisione riprende la formulazione dellaConvenzione di Vienna del 6 ottobre 1986, sulla notifi-cazione rapida di un incidente nucleare, anche se, comerilevato da Blumann, l’assimilabilità è solo parziale7: ilgiurista evidenzia come lo scambio rapido di informazioni,previsto dall’accordo internazionale, veda sottesa “unacerta apprensione”, legata all’“eterogeneità politica e militare”delle parti che, nella Comunità europea, non può, al con-trario, sussistere. Come si evince dall’articolato dell’atto, laquestione è affrontata in una prospettiva ampia, con l’atti-vazione del sistema di scambio ogni qualvolta si rilevi unrischio di emissione importante di materiali radioattivi o“tassi anormali” di radioattività8. Ed accanto a questo appa-rato, a distanza di tanto tempo ma in circostanze pressochéanaloghe, in quanto ad effetti, è chiamato a rispondere,oggi, il sistema di allarme rapido specifico per il settore deglialimenti e dei mangimi. E’ da notare che, al contrario diquanto accadde nel 1986, nella questione che l’Unioneeuropea è tenuta attualmente ad affrontare, l’emergenza èstata soggetta ad un’osservazione costante, dal sorgeredell’evento sismico, ai più recenti comunicati sulle misureintraprese, in Giappone, per fronteggiare i rischi di contami-nazione radioattiva. Per questa ragione, diversamente daquel che successe venticinque anni fa, la Commissione èintervenuta, da subito, allertandosi per l’emergenza nel set-tore degli alimenti e mangimi, stabilendo le condizioni parti-colari per il commercio di alimenti o mangimi di origine nip-ponica e modificando il regolamento 297/2011, a poco piùdi due settimane dalla sua pubblicazione, con il regolamen-to di esecuzione (UE) n. 351/20119.

2.- Misure di emergenza: articolo 53 del regolamento178/2002

Il regolamento 297/2011, così come il successivo regola-mento 351/2011, hanno trovato la propria base giuridica

(1) In GU n. L 80 del 26 marzo 2011, entrato in vigore il giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale.(2) Il sistema europeo di allarme rapido per gli alimenti e mangimi, attuato in via sperimentale dal 1979, è attualmente disciplinato dal rego-lamento n. 178 del 28 gennaio 2002; v. L. Petrelli, Il sistema di allarme rapido per gli alimenti e i mangimi, in q. Riv. n. 4-2010, p. 14.(3) Decisione EURATOM/87/600 del Consiglio del 14 dicembre 1987, concernente le modalità comunitarie di uno scambio rapido di infor-mazioni in caso di emergenza radioattiva.(4) Raccomandazione della Commissione del 6 maggio 1986, n. 156; decisione della Commissione del 07 maggio 1986, n. 157;Regolamento del Consiglio 1388 del 12 maggio 1986, in GU L 127 del 13 maggio 1986. Si veda, in proposito, O. Pirotte, P. Girerd, P.Marsal, S. Morson, Trente ans d’expérience EURATOM – La naissance d’une Europe nucléaire, Bruxelles, 1988, p. 321, ove si ricordache, accanto alle misure relative al commercio di prodotti alimentari, furono precisati livelli massimi di contaminazione, prima non fissati. (5) Si vedano, a riguardo, J. Vigier, Tchernobyl : ses conséquences dans le cadre de la Communauté européenne, in Rev. Mar. Com.,1987, pp. 198 ss.; J. Grunwald, Tchernobyl et les communautés européennes: aspects juridiques, in Rev. Mar. Com., 1987, pp. 396 ss. (6) Si veda anche la brevissima nota di L. Cartou, Chroniques de législation communautaire octobre 1987 – mars 1988, in Rev. Trim.Dr. Eur., 1988, p. 385.(7) C. Blumann, Energie – L’impact de l’affaire de Tchernobyl sur la politique communautaire de l’énergie, in Rev. Trim. Dr. Eur., 1989, p. 84.(8) Si veda l’articolo 1 della decisione EURATOM/87/600.(9) Regolamento di esecuzione (UE) 351 del 2011, della Commissione, dell’ 11 aprile 2011.

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non su disposizioni inerenti ad allarmi radioattivi, ma nell’ar-ticolo 53 del regolamento 178/200210. Detta norma asseg-na, alla Commissione, un ruolo di primaria importanza nellagestione delle emergenze che hanno ad oggetto rischi,legati agli alimenti destinati alla nutrizione umana o ani-male, non adeguatamente affrontabili dallo Stato membro odagli Stati membri interessati. Nel caso di specie, l’allarmegenerato con la catastrofe di Fukushima ha assunto unaportata ed una gravità tali da richiedere un’azionedell’Istituzione europea. Solo la coordinazione garantitadall’Istituzione tra le Autorità nazionali preposte ai controllisulla merce importata potrà, infatti, garantire un efficacearginamento contro l’ingresso di alimenti contaminati11: l’u-niformità nelle procedure e nelle misure adottate si rivela, insimili frangenti, strumento insostituibile per il raggiungimen-to degli obiettivi di sicurezza perseguiti.L’articolo 53 distingue due ipotesi, a seconda che il rischiosia connesso ad un prodotto di origine comunitaria o, diver-samente, di un Paese terzo. Nella vicenda attuale, è ques-ta seconda evenienza a trovare considerazione. Il primoparagrafo del citato articolo, alla lettera b), dispone tre dis-tinti ordini di misure adottabili da parte dell’Istituzione comu-nitaria: la Commissione potrà sospendere le importazionida tutto il Paese terzo interessato, da una sola parte diesso, o, eventualmente, da un Paese terzo di transito.Ancora, essa potrà disporre speciali condizioni per l’alimen-to o il mangime proveniente da tutto il Paese terzo interes-sato o da una parte di esso. In questa cornice, è fatta salva,comunque, la possibilità di adottare qualunque altra misuraritenuta adeguata. E’ evidente che l’adozione delle misurein esame si inserisce nel secondo ordine di accorgimentiche l’Istituzione può assumere, nell’ipotesi di emergenza. Al di là della rilevanza che l’articolo 53 del regolamento178/2002 esplica sulla scena della sicurezza alimentare, èstato rilevato, nella dottrina giuridica, l’elemento di profondainnovazione introdotto, dalla norma in esame, nell’equilibriotra i poteri conferiti agli Stati membri e l’azione attribuita allaCommissione12. Il termine di paragone è individuabile nel-l’atto comunitario che ha rappresentato il fondamento delsistema di allarme rapido per gli alimenti e i mangimi cheoggi conosciamo: la direttiva 92/59 sulla sicurezza generaledei prodotti13. L’articolo 9, in particolare, prevedeva la possi-bilità per l’Istituzione comunitaria di adottare una decisioneche obbligasse gli Stati membri ad assumere i provvedi-menti temporanei opportuni, tra quelli elencati alle lettere dad) ad h) dell’articolo 6 (tra esse figuravano anche le con-

dizioni preventive per l’immissione di un prodotto sul merca-to, per garantirne la sicurezza). La differenza tra quantoprevisto nella direttiva e quanto successivamente indicatonel regolamento 178/2002 è notevole: mentre nella primal’iniziativa della Commissione si concludeva nell’impo-sizione agli Stati membri dell’adozione di misure, la cuiscelta, comunque, era lasciata a questi ultimi, nel piùrecente atto comunitario l’Istituzione assume accorgimentidirettamente incidenti sui singoli prodotti (e dunque sui pro-duttori), superando così il tradizionale modello di “coammin-istrazione” che sino ad allora aveva consentito l’equilibriodei ruoli decisionali.

3.- Ambito di applicazione

Nel caso di specie, lungi dal sospendere integralmente leimportazioni dal Giappone, la Commissione, su parere delComitato permanente per la catena alimentare e la salutedegli animali, ha stabilito delle condizioni particolari per lacommercializzazione degli alimenti e dei mangimi da essooriginari. Nello specifico, il regolamento 297/2011 si applicaa tutti quei prodotti, provenienti dalle isole nipponiche, chehanno lasciato lo Stato d’origine prima del 28 marzo 2011 oche siano stati raccolti o trasformati prima del 11 marzo201114. Certamente, dunque, le norme del regolamento tro-veranno applicazione a tutti i beni usciti dal Giappone dopoil 28 marzo 2011. Sicuramente, non rientrerà nel raggiod’azione ogni prodotto che abbia lasciato lo Stato primadell’11 marzo 2011, perché questa è la data del sisma,momento fino a cui la sicurezza dei prodotti non è messa indiscussione. E i prodotti raccolti o trasformati prima dell’11marzo 2011 ed usciti dopo tale data, ma prima del 28marzo? E i prodotti raccolti o trasformati dopo l’11 marzoma usciti prima del 28? Perché la scelta di indicare, nelregolamento, tale secondo giorno? Un’interpretazione chetenga conto delle esigenze di sicurezza alimentaredovrebbe suggerire che ogni alimento, destinato allanutrizione umana o vegetale, debba essere sottoposto alregime dell’atto in esame, ogniqualvolta abbia lasciato ilGiappone dopo la data del sisma (l’incertezza sul momentoesatto in cui i primi fenomeni di contaminazione si sono ver-ificati rende doveroso assumere quale dies a quo da con-siderare nelle misure, unicamente il giorno di percezionedel terremoto). Considerando, infatti, che il superamentodei livelli di elementi radioattivi, quali il cesio 137, nell’at-mosfera, era già stato rilevato nei giorni immediatamente

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(10) Si vedano il primo considerando del regolamento (UE) 297/2011 e il primo considerando del regolamento (UE) 351/2011.(11) Sui controlli effettuati nel settore degli alimenti e mangimi si veda il regolamento 882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio,del 29 aprile 2004, il quale dispone, all’articolo 3, una proporzionalità tra le verifiche effettuate e il rischio identificato, prevedendo even-tualmente, come effettivamente accade nel caso in esame, accertamenti ad hoc su prodotti “non conformi”.(12) F. Albisinni, Commento all’articolo 53, in La sicurezza alimentare nell’Unione europea, (commento articolo per articolo al regolamen-to 178/2002), a cura dell’IDAIC, in NLCC, 2003, pp. 439 ss.(13) Direttiva 92/59/CEE del Consiglio, del 29 giugno 1992, relativa alla sicurezza generale dei prodotti, abrogata dalla direttiva2001/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 dicembre 2001, relativa alla sicurezza generale dei prodotti.(14) Articolo 1 del regolamento 297/2011.

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successivi alla prima scossa, verosimilmente, una comple-ta tutela dovrebbe prevedere campionamenti aventi, comeriferimento, l’uscita dal Paese dopo l’11 marzo. D’altraparte, le condizioni speciali stabilite nell’atto in commentonon appaiono di certo delle più restrittive, pur imponendoagli operatori misure economicamente gravose.

4.- Misure di applicazione

Le disposizioni del regolamento 297/2011 si applicano aiprodotti precedentemente indicati, salvo che essi non rien-trino nell’ambito della direttiva 97/78 del Consiglio del 18dicembre 199715 sui controlli veterinari (per i quali si appli-cano, dunque, le specifiche norme). Le merci dovranno fareingresso, nel territorio dell’Unione europea, attraverso puntidi entrata determinati (PED). Appare essenziale, in questosenso, il richiamo effettuato dall’art. 2, paragrafo 2, delregolamento in esame, ai punti di entrata, così come defin-iti all’articolo 316 del regolamento 669 del 2009, di appli-cazione del regolamento (CE) n. 882/2004, sul livelloaccresciuto di controlli ufficiali sulle importazioni di alcunimangimi ed alimenti di origine non animale. La determi-nazione dei punti di ingresso è finalizzata alla canaliz-zazione delle merci in entrata, verso postazioni di controlloorganizzate, preparate ed attrezzate agli accertamenti che,come vedremo, sono richiesti all’arrivo delle merci nel terri-torio europeo. Il punto di entrata determinato o il posto diispezione transfrontaliero (PIF) dovrà essere avvisato

almeno due giorni prima, dell’arrivo delle partite in ingresso.Queste, giunte nel territorio dell’Unione europea, dovrannoessere accompagnate da una dichiarazione, sottoscritta daun rappresentante dell’autorità giapponese, attestante o laprovenienza dei beni da una zona non interessata alla con-taminazione17 o la dipartita dal Giappone, nell’eventualitàessi siano originari proprio di una delle province “a rischio”,anteriore all’11 marzo 2011. Mentre sulla prima tipologia dipartite dovranno essere condotti controlli meramente docu-mentali e di identità, sulle seconde, oltre a questi, dovrannoessere effettuati campionamenti fisici nella misura del 20%delle partite18.Occorre sottolineare la modifica introdotta, ad opera delregolamento 351/2011, nella formulazione dell’articolo 2,paragrafo 3, terzo trattino del regolamento 297/2011.Quest’ultimo, nel caso in cui il prodotto fosse dichiaratoproveniente da uno dei luoghi interessati dalla contami-nazione19, rendeva necessario, nel documento di accompa-gnamento della partita, l’espresso riferimento alla confor-mità ai livelli di radioattività massimi stabiliti dai regolamen-ti (EURATOM) n. 3954/87 del Consiglio del 22 dicembre198720, n. 944/89 della Commissione del 12 aprile 198921 en. 770/90 della Commissione del 29 marzo 199022. La for-mulazione attuale, invece, rinvia ai livelli indicati nell’allega-to II del regolamento 351/2011: come si evince dal terzoconsiderando dell’atto comunitario, la modifica è stataintrodotta al fine di garantire la coerenza tra i controlli all’e-sportazione effettuati in Giappone e gli accertamenti con-dotti all’importazione. Per evitare una divergenza nei livelli

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(15) Direttiva 97/78/CE del Consiglio del 18 dicembre 1997 che fissa i principi relativi all’organizzazione dei controlli veterinari per prodot-ti che provengono da Paesi terzi e che sono introdotti nella Comunità.(16) Si ricorda la formulazione della definizione offerta dall’articolo 3 del regolamento (CE) n. 669/2009: “Il punto di entrata, indicato all’ar-ticolo 17, paragrafo 1, primo trattino del regolamento (CE) n. 882/2004, in uno dei territori elencati nell’allegato I di detto regolamento;nel caso di trasporto marittimo in cui le partite sono scaricate da una nave e poi caricate su un’altra per trasportarle a un porto di un altroStato membro, quest’ultimo porto deve essere considerato il punto di entrata designato”.(17) L’articolo 5 del regolamento 297/2011 dispone controlli sull’eventuale presenza di Iodio 131, Cesio 134 e Cesio 137: a seguito del-l’evolversi della vicenda che ha interessato la centrale di Fukushima, sono state rilevate fuoriuscite di plutonio, materiale, questo, nonelencato dall’atto comunitario. Il regolamento 351/2011, affermando, al quinto considerando, che al momento vi è la prova solo dellacontaminazione da Iodio 131, Cesio 134 e Cesio 137, prosegue specificando l’opportunità che i controlli obbligatori siano effettuati solisulle predette sostanze. Lascia liberi, tuttavia, gli Stati membri di condurre analisi sulla presenza di altri radionuclidi. Lo stesso conside-rando aggiunge, infine, una statuizione che sembra in contraddizione con quanto prima asserito, affermando, nello specifico, che l’alle-gato II, il quale fissa i valori di riferimento per i controlli, debba indicare anche i livelli di azione adottati in Giappone in relazione “ai radio-nuclidi stronzio, plutonio ed elementi trans plutonici”. Pare di capire, dunque, che l’allegato II rechi tali ultimi valori solo a titolo preven-tivo, per garantire, agli Stati membri che lo ritengano opportuno, degli intervalli di riferimento, ma senza, con ciò, rendere obbligatori gliaccertamenti sui suddetti radionuclidi. Tale argomentazione trova conforto nel fatto che la modifica dell’articolo 2, paragrafo 3, terzo trat-tino non ha interessato l’elencazione delle sostanze contaminanti.(18) Si veda l’articolo 5, paragrafo 1, del regolamento in commento.(19) Le province interessate dalla contaminazione sono, secondo quanto indicato dall’articolo 2 del regolamento in commento,Fukushima, Gunma, Ibaraki, Tochigi, Miyagi, Yamagata, Niigata, Nagano, Yamanashi, Saitama, Tokyo e Chiba.(20) Regolamento (EURATOM) n. 3954/87 del Consiglio, del 22 dicembre 1987, che fissa i livelli massimi ammissibili di radioattività peri prodotti alimentari e per gli alimenti per animali in caso di livelli anormali di radioattività a seguito di un incidente nucleare o in qualsia-si altro caso di emergenza radioattiva.(21) Regolamento (EURATOM) n. 944/89 della Commissione, del 12 aprile 1989, che fissa i livelli massimi ammissibili di contaminazio-ne radioattiva per i prodotti alimentari secondari a seguito di un incidente nucleare o di qualsiasi altro caso di emergenza radioattiva.(22) Regolamento (EURATOM) n. 770/90 della Commissione, del 29 marzo 1990, che fissa i livelli massimi di radioattività ammessi neglialimenti per animali contaminati a seguito di incidenti nucleari o di altri casi di emergenza da radiazione.

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limite di radionuclidi presenti negli alimenti e nei mangimi, ilregolamento 351/2011 assume, a riferimento, i parametrivigenti nelle isole nipponiche, ove, ovviamente, siano inferi-ori a quelli in uso nell’Unione europea. Un’altra pre-cisazione, non contenuta originariamente nel testo dellecondizioni stabilite dalla Commissione, estende l’appli-cazione delle stesse ai prodotti originari delle zone costieredelle province di contaminazione, indipendentemente dalluogo di sbarco.Nelle ipotesi in cui gli alimenti e i mangimi siano effettiva-mente provenienti dalle zone “a rischio”, la dichiarazioneallegata alle partite dovrà essere accompagnata da un rap-porto di analisi. Le autorità competenti dei PED e dei PIF,per tale ipotesi, dovranno procedere a campionamenti fisicinella misura del 10%, oltre che ai consueti controlli docu-mentali e di identità.E’ interessante rilevare la diversità delle percentuali di pre-lievi fisici da effettuarsi, ai fini del controllo, sulle partite dimerce a seconda che essa, prodotta o trasformata dopol’11 marzo 2011, provenga o meno dalle province interes-sate dall’inquinamento radioattivo. Ancor più singolare è lacircostanza che il minor numero di accertamenti, in ingres-so, sia effettuato proprio sulle partite provenienti dalleregioni “a rischio”. Ad un primo esame, peraltro, la dispo-sizione può trovare semplice spiegazione nella circostanzafatto che questi ultimi lotti giungono nel territorio dell’Unionedopo esser stati sottoposti ad ispezioni nel Paese di orig-ine23. Inoltre, i risultati delle analisi e dei campionamentiaccompagnano la suddetta merce dalla partenza, all’arrivonei punti di controllo. Ciò dovrebbe operare, evidente-mente, quale garanzia per la salubrità del prodotto immes-so in commercio, che comunque è sottoposto ad una pro-cedura di campionamento.Una circostanza che merita di essere rilevata è che gliaccertamenti – secondo quanto appare dalla disciplinasoprarichiamata - sono effettuati in modalità “random”24, sulcomplessivo ammontare delle partite e non su ciascun lotto,nella misura sopra indicata: si potrebbe osservare che,plausibilmente, la possibilità di ingresso di merce contami-nata non è in alcun modo remota. In attesa dei risultati dei controlli, gli stock sono fermati esottoposti a custodia, per un massimo di cinque giorni lavo-

rativi. Evidentemente, chiunque voglia importare in Europa,dal Giappone, merce proveniente dalle province in cui èstata segnalata la contaminazione, dovrà ben guardarsi daltrasportare beni estremamente deperibili e valutare la pre-senza di festività nel Paese dove è sito il punto di ingresso.Le spese (sia per i controlli che per eventuali misure adot-tate in caso di difformità), inoltre, saranno poste a caricodell’operatore commerciale: all’orizzonte, pertanto, siprospetta un incremento dei prezzi dei prodotti di originenipponica o una sensibile diminuzione delle importazioniprovenienti da tale Paese (peraltro non particolarmenteconsistenti). Va considerato, infatti, che in caso di non con-formità del prodotto, questo, quando non rispedito all’orig-ine, dovrà essere sottoposto ad una eliminazione “in con-dizioni di sicurezza”25. L’espressione, alquanto vaga, recauna sola certezza: costi non indifferenti per l’operatore.Salva l’assoluta evidenza che ogni singolo prodotto dellepartite importate non abbia contaminazioni superiori ai limi-ti fissati, probabilmente la valutazione tra gli aspetti nega-tivi, possibili e consistenti, e i benefici, farà optare per lasospensione dell’ingresso delle merci o per l’effettuazionedi controlli sistematici (anch’essi dispendiosi) all’origine. Taliinfluenze sui volumi di importazione di alimenti di prove-nienza nipponica avranno, si suppone, durata indefinita: èpur vero che il regolamento 297/2011 prevede, per la pro-pria applicazione, il limite del 30 giugno del corrente anno26.Come facilmente intuibile, esso sarà però sostituito, alloscadere, da un analogo provvedimento legislativo, in quan-to gli effetti della contaminazione, par di capire dalle recen-ti notizie di cronaca, saranno certamente destinati a protrar-si per un periodo ben più esteso27. Tornando alle previsioni del regolamento, a ciascuna parti-ta è assegnato un codice di identificazione, riportato in ognidocumento di accompagnamento (nella dichiarazione, nel-l’eventuale rapporto di analisi, nel certificato sanitario enegli incartamenti commerciali che seguono la merce)28. Ilotti potranno, però, entrare in libera pratica, solo quando ladichiarazione di cui all’articolo 2, paragrafo 3, sarà statavidimata dalle Autorità dei PED o dei PIF, previa attes-tazione dell’avvenuta effettuazione dei controlli documen-tali, e di identità, e dell’esito positivo dei campionamentieventualmente eseguiti.

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(23) Occorre sottolineare la singolare formulazione del terzo considerando del regolamento 351/2011: esso asserisce, infatti, che l’atto“comunitario” oggetto di modificazione prevedeva un obbligo di controllo preventivo all’esportazione da parte dell’autorità giapponese.L’espressione non è delle più felici, sembrando quasi porre, come destinatario dell’obbligo, l’autorità del Paese terzo. Una più attenta let-tura porta a comprendere il significato esatto della disposizione, individuando gli operatori professionali quali soggetti su cui incombe l’one-re di sottoporre le merci ad accertamenti, qualora intendano commercializzare, sul territorio dell’Unione, prodotti di origine nipponica.(24) Cfr. sesto considerando del regolamento 297/2011.(25) Si veda l’articolo 7 del regolamento 297/2011.(26) Si veda l’articolo 9 del regolamento 297/2011, il quale dispone una revisione mensile dello stesso atto, sulla base dei risultati otte-nuti dalle analisi.(27) Il reiterarsi delle scosse sismiche e l’elevato livello di radioattività riscontrato nelle acque marine che lambiscono la costa delGiappone, in prossimità della centrale di Fukushima non possono, d’altra parte, che far supporre il protrarsi delle misure adottate dallaCommissione.(28) Articolo 3 del regolamento in commento.

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Può, d’altra parte, verificarsi l’ipotesi che dagli accertamen-ti emergano prodotti non conformi ai livelli di radioattivitàindicati nei regolamenti sopra citati: in tal caso, la partita,che si ricorda è identificata attraverso un codice univoco,non sarà immessa nel mercato29. La sua sorte sarà, comeanticipato, il ritorno al Paese d’origine o l’eliminazione incondizioni di sicurezza.

5.- RASFF ed ECURIE nell’attuazione delle misure

I sistemi RASFF ed ECURIE entrano così in azione perconsentire, agli Stati membri, lo scambio dei dati raccoltidurante le operazioni di controllo. La circostanza, oltre aduna conoscenza istantanea del punto della situazione daparte di ciascun nodo della rete, permette la comuni-cazione, in tempo reale, del rinvenimento di un prodotto nonconforme, con indicazione esatta del luogo di provenienza.L’integrazione tra le informazioni, contenute nelle notifichedei sistemi di allarme rapido, e i dati, inseriti nelledichiarazioni che accompagnano i prodotti importati, all’in-gresso nel territorio dell’Unione europea, consentono diallertare i PIF e i PED. Così facendo, si garantirà, nell’ipote-si di superamento dei livelli massimi di radioattività stabiliti,l’intensificazione degli accertamenti, sia sulla merce in arri-vo che su quella già presente sul territorio nazionale (emagari sottoposta alla custodia temporanea), in attesa deirisultati dei campionamenti effettuati, conformemente aquanto già stabilito dal regolamento 882/200430. Ancora,sarà possibile individuare, con una certa rapidità, partite dimerce sfuggite ai campionamenti: come previamente argo-mentato, gli accertamenti sono effettuati in modalità “ran-dom” sul complessivo flusso di merci in ingresso. Se, attra-verso i due sistemi di allarme, si dovesse identificare uncaso di contaminazione, sarà possibile, come accennato,avviare il ritiro di prodotti riconducibili a quelli “nocivi”, tute-lando così maggiormente il consumatore finale31.L’obiettivo di offrire la massima sicurezza nel settore ali-mentare potrà essere perseguito solo attraverso il corretto

funzionamento di entrambi i sistemi, i quali operano, è il casodi ricordarlo, attraverso procedure che, pur apparendo, aduna sommaria lettura, analoghe, in realtà presentano dif-ferenze strutturali sostanziali. Nell’ECURIE, i soggetti notifi-canti saranno gli Stati membri che abbiano deciso di prenderemisure, nelle ipotesi indicate con ampio respiro all’articolo 1della decisione 87/600. Essi dovranno immediatamentecomunicare i provvedimenti assunti, sia alla Commissione siaagli Stati membri che possano avere interesse, motivandol’adozione. Questi ultimi, qualora abbiano adottato misure aseguito del ricevimento della notifica, dovranno, a loro volta,informare l’Istituzione comunitaria degli accorgimenti assunti,provvedendo ad un costante aggiornamento sui livelli diradioattività riscontrati. A tale incombente è tenuto, ovvia-mente, anche l’originario notificante. Le comunicazioni sono trasmesse, all’interno del sistema discambio nelle allerte radiologiche, attraverso punti di con-tatto, designati da ciascuno Stato e disponibili 24 ore su2432. Anche la rete RASFF utilizza la medesima organiz-zazione per “punti di contatto”, in un apparato costante-mente ricettivo e sottoposto a verifiche sulla regolarità difunzionamento33. Diverso è però l’ambito di attivazione diquesto secondo sistema. Secondo quanto specificato dalregolamento 16/2011, al suo quarto “considerando”, essadovrebbe avvenire in presenza di un rischio, diretto o indi-retto, per la salute umana dovuto agli alimenti, ai materialia contatto con gli alimenti o ai mangimi, a norma del rego-lamento 178/2002 e in presenza di un grave rischio per lasalute umana, animale o per l’ambiente, a norma del rego-lamento (CE) 183/2005. In concreto, i membri della retenotificheranno alla Commissione ogni informazione relativaal rilevamento di un potenziale nocumento per la salute delconsumatore, con evidente necessità di celerità, nel caso siappalesi un rischio di una certa gravità, o comunque tale darichiedere azioni rapide. L’Istituzione europea, al ricevimen-to delle notifiche, sarà tenuta alla ritrasmissione dellestesse, previa verifica a norma dell’articolo 8 del regola-mento 16/201134, a tutti i membri della rete (e non solo aquelli interessati, come, invece, nel sistema ECURIE).

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(29) Articolo 7 del regolamento 297/2011.(30) Si confronti, in proposito, l’articolo 3 del regolamento 882/2004.(31) I sistemi di allarme operano in ogni fase della catena distributiva, non solo all’ingresso della merce in un determinato Paese dell’Unioneeuropea. La circostanza favorisce – ma non garantisce – la possibilità di scoprire partite di merce sfuggite al campionamento.(32) Si veda l’articolo 5 della decisione EURATOM/87/600.(33) Cfr. articolo 2 del regolamento (UE) 16/2011 della Commissione del 10 gennaio 2011, recante disposizioni di applicazione relative alsistema di allarme rapido per gli alimenti e i mangimi.(34) Si riporta, per semplicità di lettura, il testo dell’articolo 8 del regolamento 16/2011: “Prima di trasmettere una notifica a tutti i membridella rete, il punto di contatto della Commissione: a) ne controlla la completezza e la leggibilità e verifica se sono stati scelti i dati appro-priati dai dizionari di cui all’articolo 7, paragrafo 2; b) controlla la correttezza della base giuridica citata per i casi di non conformità riscon-trati; in ogni caso, se è stato identificato un rischio, la notifica è trasmessa anche in caso di base giuridica non corretta; c) controlla chel’oggetto della notifica rientri nell’ambito della rete come definito all’articolo 50 del regolamento (CE) n. 178/2002; d) garantisce che leinformazioni essenziali contenute nella notifica siano in una lingua facilmente comprensibile da tutti i membri della rete; e) controlla ilsoddisfacimento delle prescrizioni di cui al presente regolamento; f) identifica nelle notifiche il ripetersi dello stesso operatore professio-nale e/o pericolo e/o paese d’origine. Al fine di rispettare i termini di trasmissione, la Commissione può apportare piccole modifiche allanotifica, preventivamente concordate con il membro notificante, prima di inviarla”.

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Mentre, poi, lo scambio di informazioni per le emergenzeradiologiche non fa alcuna menzione dei Paesi terzi, se nonsolo quale mera origine delle comunicazioni giunte allaCommissione35, nel sistema RASFF, il coinvolgimento oltrefrontiera è doveroso qualora il rischio sia legato ad unprodotto proveniente da o destinato ai summenzionatiPaesi non appartenenti all’Unione36. Va precisato, tuttavia,che accanto all’ECURIE, vi sono una serie di altre reti che,a livello internazionale, raggiungono i medesimi obiettivi. Sipensi, ad esempio, allo IAEA Response System, il qualeopera sulla base di un manuale di procedura (ENATOM) esu piani di emergenza prestabiliti37. Quanto sopra per sotto-lineare che, eventualmente, qualora le informazionidovessero interessare Paesi extraeuropei, comunque visarà l’attivazione di sistemi che colmano la lacuna eviden-ziata nell’ECURIE.Ciò che differenzia nettamente la rete di allerta rapida pergli alimenti e i mangimi, da un lato, e quella per le emergen-ze radiologiche, dall’altro, è individuabile nel ruolo dellaCommissione. Nella prima, ad essa è attribuita l’intera fasedella gestione del rischio. Non solo: in caso di emergenza(e l’ipotesi è quella prevista dal già citato articolo 53 delregolamento 178/2002), laddove gli Stati membri non pos-sano far fronte adeguatamente alla stessa, l’Istituzioneeuropea avrà il compito di adottare “in prima persona” mis-ure direttamente incidenti sul commercio dei prodotti cui èconnesso un “rischio grave ed immediato” per la saluteumana, degli animali o per l’ambiente.La circostanza appare estremamente rilevante: mentre,infatti, con l’attivazione del RASFF il risultato sarà l’adozionedi misure caratterizzate da una certa uniformità e garantiteproprio attraverso la supervisione della Commissione, paricertezza non potrà ottenersi a seguito delle comunicazionidel sistema ECURIE. Ne consegue che anche l’efficaciadegli accorgimenti assunti dai Paesi membri avrà pesodiverso a seconda del tipo di apparato attivatosi.

6.- Conclusioni

Non è ancora giunto il momento di formulare considerazionisulla valenza delle misure assunte dalla Commissione con

il regolamento in commento. Attesi i recentissimi sviluppidella vicenda, infatti, non è da escludere l’adozione di ulte-riori strumenti volti ad intensificare la portata delle stesse.L’unica certezza è che, al di là delle considerazioni di carat-tere economico ed etico che emergenze come quella in attoinevitabilmente recano, l’effettività dei controlli si rivelaimprescindibile. Solo così, infatti, la tempestiva attivazionedei sistemi di allarme potrà, nell’eventualità, tentare dioffrire piena tutela al consumatore di alimenti. A ciò si aggiunga che la collaborazione tra RASFF edECURIE, pur nella diversità e non sovrapponibilità dei dueapparati38, è pensata, dal regolamento 297/2011, quale stru-mento “univocamente rafforzato”: come si è precisato, l’attocomunitario è stato adottato, sulla base dell’articolo 53 delregolamento 178/2002, al fine di garantire tutela alla saluteumana, animale o all’ambiente, nei confronti di alimenti chepossano presentare, per queste, un grave rischio. L’ottica incui vedere le condizioni particolari per la commercializ-zazione dei prodotti provenienti dal Giappone è, dunque,strettamente legata alla circolazione degli alimenti ed al sis-tema di allarme rapido nel settore alimentare. In questaprospettiva, potremmo quindi affermare che l’ECURIE siaaffiancato al RASFF a mero scopo preventivo (in virtù delfatto che all’origine del rischio vi sia un incidente nucleare):in realtà, la capillare organizzazione di quest’ultimo e l’aller-ta sottesa ai controlli che saranno posti in essere su alimen-ti e mangimi, dovrebbe consentire allo stesso di coprire conpiena funzionalità il compito cui è chiamato39. Sono fattesalve, ovviamente, le ipotesi in cui il RASFF non opera, nonrientrando il prodotto “a rischio” nella definizione di alimen-to offerta dall’articolo 2 del regolamento 178/2002 (sonoescluse, ad esempio, le piante prima della raccolta): in talievenienze, la copertura sarà garantita comunque dal sis-tema ECURIE.

ABSTRACT

The paper is intended to offer an overview of the measuresadopted by the EU Commission, to face the outcomes ofFukushima nuclear meltdown. Through Regulation (EU)297/2011, the Institution imposed special conditions on the

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(35) L’unico riferimento ai Paesi terzi, nella decisione EURATOM/87/600 è individuabile all’articolo 5, paragrafo 1.(36) Si veda, a riguardo, l’articolo 10 del regolamento 16/2011. In realtà, considerando che al RASFF partecipano anche Paesi nonMembri dell’Unione europea, l’articolo in esame dovrebbe incaricare la Commissione, nello specifico, di effettuare le comunicazioni aiPaesi terzi non membri della rete.(37) Dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, ad oggi, fanno parte 151 Paesi. Lo stesso regolamento 297/2011, d’altra parte, alsuo quarto considerando richiama la Convenzione dell’AEIA sulla notifica tempestiva di un incidente nucleare, del 26 settembre 1986,anch’essa siglata in risposta all’evento di Černobyl. Essa giunse a coprire la lacuna, manifestatasi nell’occasione, data dall’assenza diuna qualunque disposizione che imponesse l’obbligo, in capo ad uno Stato, di notificare un incidente verificatosi sul proprio territorio. Siveda, in merito, F. Nocera, The legal regime of nuclear Energy – A comprehenisve guide to International and European Union Law,Antwerpen – Oxford, 2005, p. 127.(38) Si veda il cinquantanovesimo considerando del regolamento 178/2002.(39) Ciò appare tanto più vero se si considera che rigorosi controlli saranno comunque effettuati, da parte delle Autorità giapponesi,all’uscita della merce dalle isole.

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import of food and feed originating in or consigned fromJapan.Such measures – ensuring food safety by means of randomofficial controls on imported goods - have been enforced onthe legal basis of article 53 of Regulation (EC) 178/2002,that charges the Commission with the implementation ofactions, when a risk for public health, animal health or forthe environment cannot be adequately contained by the

interested Member State, individually. Since the emergency concerns food safety, in relation to anuclear accident, both the RASFF (Rapid Alert System forFood and Feed) and the ECURIE (European Union’sUrgent Radiological Information Exchange System) havebeen put on the alert: the Commission will be informed reg-ularly thanks to the coordination and efficiency of the mem-bers of the two networks.

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(1) Corte giust. 18 novembre 2010, in causa C-159/09, Lidl c. Vierzon Distribution, non ancora pubblicata in Raccolta. Per un primo com-mento, si veda C. Binet, Arrêt ‹‹Lidl››: les critères pris en compte pour examiner la licéité d’une publicité comparative, in Journal de droiteuropéen, 2/2011, p.34, e E. Adobati, Possibilità di utilizzo della pubblicità comparativa, in Dir. Com. Sca. Int., 1/2011, p.87.(2) Si veda in particolare Corte giust. 15 ottobre 2001, in causa C-112/99, Toshiba Europe, in Racc., p. I-7945; 8 aprile 2003, in causaC-44/01, Pippig Augenoptik, in Racc., p. I-3095; 19 settembre 2006, in causa C-356/04, Lidl Belgium, in Racc., p.I-8501 e 19 aprile 2007,in causa C-381/05, De Landtsheer Emmanuel, in Racc., p.I-3115.(3) Direttiva 84/450/CEE del Consiglio, del 10 settembre 1984, concernente la pubblicità ingannevole e comparativa (GU L 250 del19.9.1984, p.17) e direttiva 97/55/CE del Parlamento e del Consiglio, del 6 ottobre 1997, che modifica la direttiva 84/450/CEE relativaalla pubblicità ingannevole per includervi la pubblicità comparativa (GU L 290 del 23.10.1997, p.18). Ai sensi dell’art. 2 bis della diretti-va 84/450, la pubblicità comparativa è ‹‹qualsiasi pubblicità che identifica in modo esplicito o implicito un concorrente o i beni o serviziofferti da un concorrente››.

Osservatorio sull’Europa

Il caso ‹‹Lidl››: come valutare la

liceità di una pubblicità comparati-

va di prodotti alimentari

Fabio Gencarelli

1.- Introduzione

La sentenza della Corte di giustizia del 18 novembre 2010qui commentata1, è conforme all’indirizzo giurisprudenzialeben consolidato2 relativo alle condizioni di liceità di una pub-blicità comparativa, condizioni interpretate nel senso piùfavorevole a questa tecnica di marketing, che consente dimettere in evidenza in modo oggettivo le caratteristiche deivari prodotti paragonabili e quindi di stimolare la concorren-za tra i fornitori di tali beni nell’interesse dei consumatori.La sentenza in questione si segnala tuttavia alla nostraattenzione in quanto, oltre ad escludere ormai qualsiasi dub-bio sull’applicabilità ai prodotti alimentari della normativaeuropea in materia di pubblicità ingannevole e comparativa,ossia la direttiva 84/450/CEE come modificata dalla direttiva97/55/CE3 (in prosieguo: la ‹‹direttiva 84/450››), fornisce algiudice nazionale elementi interpretativi particolarmente utiliin merito ai criteri da prendere in considerazione nel valuta-re la liceità di una pubblicità comparativa di tali prodotti.

2.- I Fatti e la questione pregiudiziale

Allo scopo di meglio comprendere la portata di tale pronun-cia, sembra anzitutto opportuno riepilogare i fatti all’originedella causa principale.La controversia dinanzi al giudice nazionale riguarda duesocietà che gestiscono supermercati, e cioè rispettivamen-

te la società Lidl e la società Vierzon Distribution che operacon l’insegna Leclerc. Quest’ultima ha realizzato nel 2006una campagna pubblicitaria che metteva a confronto gliscontrini di cassa relativi ad una spesa effettuata in varisupermercati, tra cui Lidl e Leclerc. Gli elenchi dei prodottiacquistati, accompagnati dai rispettivi prezzi, comprende-vano prodotti di uso quotidiano, principalmente alimentari: ilprezzo totale di ciascun “carrello di spesa” mostrava che ilsupermercato Leclerc era il meno caro.A seguito di tale campagna pubblicitaria , Lidl ha citato ingiudizio la società Vierzon dinanzi al Tribunal de commercedi Bourges (Francia), ritenendo violate le norme nazionalisulla pubblicità comparativa.Dato che la legislazione nazionale di settore riprendevaquasi testualmente la direttiva 84/450, il giudice del rinvio haritenuto necessaria, per risolvere la controversia, l’interpre-tazione della normativa europea in materia di pubblicitàcomparativa. Il Tribunal de commerce di Bourges ha quindisospeso il giudizio, sottoponendo alla Corte un quesito pre-giudiziale volto a determinare se le condizioni di ammissibi-lità della pubblicità comparativa, stabilite all’art. 3 bis delladirettiva 84/450, possono applicarsi a un paniere di prodottialimentari o, se al contrario, le differenze sussistenti tra iprodotti confrontati per quanto riguarda le condizioni e illuogo di produzione, gli ingredienti utilizzati e l’esperienzadel produttore implichino variazioni sotto il profilo della com-mestibilità e del piacere derivante dal loro consumo, tali daopporsi ad una pubblicità comparativa fondata sui prezzi deiprodotti in questione. In altri termini, il quesito posto dal giu-dice del rinvio riguarda la possibilità di applicare in via gene-rale ai prodotti alimentari le norme sulla pubblicità compara-tiva, nonostante le particolari caratteristiche di tali prodotti.

3.- La sentenza

Alla luce della formulazione della domanda di pronunciapregiudiziale, la Corte ha anzitutto rilevato che tale quesito

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poneva essenzialmente l’accento sulla condizione stabilitaall’art. 3 bis, n.1, lett. b) della citata direttiva , secondo cui,per essere lecita, la pubblicità deve confrontare prodotti che‹‹soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessiobiettivi››. Seguendo una giurisprudenza ormai consolida-ta4, il giudice di Lussemburgo evita un’interpretazione trop-po restrittiva di tale condizione, ricordando che, per soddi-sfarla, i beni messi a confronto devono semplicemente pre-sentare ‹‹un grado d’intercambiabilità sufficiente per il con-sumatore››5.Malgrado le suindicate specificità dei prodotti alimentari, laCorte rifiuta di escludere qualsiasi comparabilità tra questi,esclusione che avrebbe come conseguenza di limitare lapubblicità comparativa a prodotti alimentari identici. Infatti,come rileva nelle proprie conclusioni l’avvocato generaleMengozzi, anche se i prodotti in questione presentanocaratteristiche gustative differenti, ciò non impedisce chepossano soddisfare bisogni simili ed essere quindi conside-rati come sostituibili6.Per giustificare l’applicabilità della direttiva a prodotti ali-mentari non identici, il giudice europeo richiama anzitutto lagiurisprudenza De Landtsheer Emmanuel, secondo cui laragione per la quale l’art. 3, n. 1, lett. b) della direttiva ponecome condizione di liceità che la pubblicità comparativaconfronti beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o sipropongono gli stessi obiettivi ‹‹è segnatamente riconduci-bile alla circostanza che, ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis,della direttiva in parola, l’elemento specifico della nozione dipubblicità comparativa è costituito dall’identificazione di un“concorrente” dell’operatore pubblicitario o dei beni e servi-zi da lui offerti e che, per definizione, le imprese sono “con-correnti” se offrono sul mercato prodotti o servizi intercam-biabili››7. Orbene, la Corte ne deduce che, se i prodotti sod-disfano, in una certa misura, bisogni identici, si deveammettere un qualche grado di sostituibilità reciproca,sostituibilità che deve essere accertata, caso per caso, dalgiudice nazionale in base a una valutazione concreta e spe-cifica dei prodotti confrontati nel messaggio pubblicitario.In secondo luogo, la Corte respinge il divieto di pubblicitàcomparativa per prodotti alimentari non identici, basandosi

sull’effetto utile della normativa in questione. Premesso cheun divieto di tale pubblicità non risulta in alcun modo dallaformulazione della disposizione in causa, il giudice diLussemburgo ritiene che siffatto divieto comporterebbe unanotevole limitazione della portata di questa tecnica di mar-keting, ciò che ‹‹equivarrebbe ad escludere qualsiasi possi-bilità effettiva di pubblicità comparativa in ordine ad unacategoria particolarmente importante di beni di consumo, eciò a prescindere dal profilo comparativo prescelto››. Il risul-tato sarebbe quindi, conclude la Corte, in netto contrastocon l’orientamento giurisprudenziale costante secondo cuile condizioni imposte alla pubblicità comparativa devonointerpretarsi nel senso più favorevole a questa8.Giova peraltro osservare che, sebbene soltanto la questio-ne dell’applicabilità della direttiva ai prodotti alimentari siastata sottoposta alla Corte, questa ha ritenuto opportunosoffermarsi su due altri requisiti di liceità della pubblicitàcomparativa: da un lato, il divieto di pubblicità ingannevole9

sancito dall’art. 3 bis, n. 1, lett. a), della direttiva 84/450 e,dall’altro, la necessità, stabilita dall’art. 3 bis, n. 1, lett. c),della stessa, di confrontare obiettivamente una o più carat-teristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentati-ve, compreso eventualmente il prezzo, dei beni o servizimenzionati nel messaggio pubblicitario.Per quanto attiene al carattere ingannevole di una campa-gna pubblicitaria, suscettibile di indurre in errore il consu-matore medio, normalmente informato e ragionevolmenteattento ed avveduto, la sentenza in epigrafe fornisce al giu-dice nazionale alcune linee direttrici sugli elementi pertinen-ti da prendere in considerazione per valutare l’esistenza omeno di tale carattere ingannevole.Il giudice europeo ha anzitutto precisato che talune indica-zioni o omissioni che accompagnano la pubblicità possonorenderla ingannevole, se influenzano il comportamento deiconsumatori cui è rivolta, facendo credere erroneamenteche i prodotti selezionati dall’operatore pubblicitario sianorappresentativi del livello generale dei prezzi di quest’ultimirispetto a quelli praticati dal concorrente e che quindi taliconsumatori realizzeranno risparmi uguali a quelli vantatidalla pubblicità effettuando i propri acquisti presso l’opera-

(4) Vedi sentenza Lidl Belgium cit., punto 26 e sentenza De Landtsheer cit, punto 44.(5) Sentenza Lidl cit., punto 25. Secondo la Corte (sentenza De Landtsheer Emmanuel cit., punti 33 - 37), la valutazione concreta delgrado di sostituibilità dei beni confrontati compete al giudice nazionale che deve svolgerla alla luce degli obiettivi della direttiva e deiprincipi fissati dalla giurisprudenza, tenendo conto sia dello stato attuale del mercato che delle possibili evoluzioni dello stesso, senzalimitarsi alle abitudini di consumo esistenti in un solo Stato membro.(6) V. conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi del 7 settembre 2010, in causa C-159/09, non ancora pubblicate in Raccolta, punto48. L’avvocato generale sottolinea al riguardo che nella sentenza De Landtsheer Emmanuel cit, punto 66, ‹‹ la Corte si è posta nellomedesimo ordine di idee quando ha affermato la liceità di una pubblicità comparativa che metta a confronto un prodotto senza denomi-nazione di origine ad un prodotto che ne è provvisto››.(7) Sentenza De Landtsheer Emmanuel, cit., punti 27-29.(8) Sentenza Lidl cit., punto 38.(9) Ai sensi dell’art. 2, par. 2, della direttiva 84/450, la pubblicità ingannevole è ‹‹qualsiasi pubblicità che, in qualsiasi modo, compresa lasua presentazione, induca in errore o possa indurre in errore le persone alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, dato il suo carat-tere ingannevole, possa pregiudicare il comportamento economico di dette persone o che, per questo motivo, leda o possa ledere unconcorrente››.

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tore pubblicitario piuttosto che presso il concorrente10.Parimenti, una pubblicità comparativa basata esclusiva-mente sul prezzo, potrebbe rivelarsi ingannevole se i pro-dotti selezionati presentassero differenze obiettive tali dacondizionare sensibilmente la scelta del consumatore,senza che tali differenze emergano dalla pubblicità in que-stione. Infatti, se l’omissione del marchio dei prodotti con-frontati non dà luogo, di per sé, ad una pubblicità inganne-vole, è chiaro che nei casi in cui l’indicazione del marchiopuò influenzare sensibilmente la scelta del consumatore –trattandosi di un confronto tra prodotti i cui marchi rispettivisono molto diversi in termini di notorietà – l’omissione delmarchio più rinomato potrebbe configurare un caso di pub-blicità ingannevole ai sensi della direttiva11.La Corte precisa infine che, oltre al marchio, altre caratteri-stiche dei prodotti confrontati, quali la loro composizione oil loro modo e luogo di produzione, possono condizionaresensibilmente la scelta dell’acquirente. Pertanto, tali carat-teristiche, considerate non essenziali ai fini dell’applicazio-ne dell’art. 3 bis, n. 1, lett. b), in quanto non escludononecessariamente un grado d’intercambiabilità sufficiente trai prodotti in questione, devono tuttavia essere prese in con-siderazione,ai sensi dell’art. 3 bis, par. 1, lett. a), al fine diverificare il carattere non ingannevole della pubblicità com-parativa. Infatti, gli ingredienti utilizzati nella fabbricazionedi un alimento o il ricorso ad un metodo particolare di pro-duzione possono svolgere un ruolo importante nella sceltadell’acquirente, sicché la mancata informazione del consu-matore su tali differenze esistenti tra i prodotti, comparatisolo sul piano del prezzo, può indurlo in errore12.Per quanto concerne la terza condizione di liceità di cuiall’art. 3 bis, par. 1, lett. c), la Corte si è limitata a pronun-ciarsi sull’esigenza di verificabilità dei prezzi indicati nellapubblicità comparativa. Richiamando la giurisprudenza LidlBelgium13, essa rileva che tale condizione può essere sod-disfatta solo se i beni i cui prezzi sono messi a confrontopossono essere individualmente e concretamente identifi-cati in base alle informazioni contenute nel messaggio pub-blicitario. La verificabilità dei prezzi dei beni è sempre con-dizionata alla possibilità d’individuare quest’ultimi. Infatti,come rilevato d’all’avvocato generale Tizzano nelle sueconclusioni nella causa Lidl Belgium, la condizione inesame sarebbe privata di ogni effetto utile ove i soggettipotenzialmente interessati a controllare la veridicità e cor-rettezza delle informazioni dell’inserzionista non fosseromessi in grado di effettuare tale controllo, essendo eviden-temente impossibile procedere a un confronto se i terminidello stesso non sono né conosciuti né conoscibili. D’altraparte, una pubblicità comparativa che non permettesse

l’identificazione dei beni o delle caratteristiche a confrontonon sarebbe neppure in linea con la finalità informativa per-seguita dalla direttiva in quanto, per la sua indeterminatez-za e vaghezza, tale messaggio non consentirebbe di orien-tare correttamente il consumatore nelle sue scelte di acqui-sto14.Come per le condizioni di liceità precedenti, spetta al giudi-ce del rinvio verificare se la suddetta esigenza di individua-zione precisa dei prodotti oggetto del confronto è statarispettata.

4.- Conclusioni

Come si è detto, la sentenza Lidl ha confermato un orienta-mento giurisprudenziale nettamente favorevole alla pubbli-cità comparativa, da cui discende l’ammissibilità di tale tec-nica di marketing per i prodotti alimentari anche se nonidentici.Tale pronuncia presenta tuttavia un evidente interesse, inquanto la Corte è andata oltre la questione pregiudizialeposta dal giudice del rinvio, fornendo a tale giudice elemen-ti interpretativi utili in merito all’applicazione di altri criteri diliceità di una pubblicità comparativa.Se le condizioni e i luoghi di produzione degli alimenti, gliingredienti utilizzati e l’esperienza del produttore sono ele-menti suscettibili di modificare la loro commestibilità o il pia-cere procurato dal loro consumo, tutto ciò non incide in lineagenerale sul carattere intercambiabile di tali prodotti. Unmessaggio pubblicitario che confronti questo tipo di beni diconsumo può quindi soddisfare le esigenze della direttiva84/450/CEE. La Corte sottolinea tuttavia che tali caratteristi-che relative alla produzione di derrate alimentari sono ele-menti di particolare rilevanza nella valutazione del carattereeventualmente ingannevole del messaggio pubblicitario.In definitiva, pure se conferma la sua interpretazione favo-revole alla pubblicità comparativa, il giudice europeo stabi-lisce al contempo, operando in tal modo un delicato bilan-ciamento tra diverse esigenze, alcuni punti fermi al fine dievitare prassi pubblicitarie che possano provocare distor-sioni di concorrenza o avere un’incidenza negativa sullascelta dei consumatori.

ABSTRACT

La sentenza Lidl del 18 novembre 2010, seguendo un indi-rizzo giurisprudenziale consolidato, interpreta le condizionidi liceità della pubblicità comparativa nel senso più favore-

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(10) Sentenza Lidl cit., punto 50.(11) Sentenza Lidl cit., punto 53. Vedi anche sentenza Pippig Augenoptik cit., punto 53(12) Sentenza Lidl cit., punto 55.(13) V. sentenza Lidl Belgium, cit., punto 61.(14) V. conclusioni dell’avvocato generale Tizzano del 29 marzo 2006 in causa Lidl Belgium, cit., punti 48 e 49.

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vole all’uso di tale tecnica di marketing, che mette in eviden-za le caratteristiche dei vari prodotti e stimola la concorren-za nell’interesse dei consumatori.La sentenza è particolarmente interessante in quanto, oltread eliminare qualsiasi dubbio sull’applicabilità della direttiva84/450 ai prodotti alimentari, anche se non identici, fornisceal giudice nazionale elementi interpretativi utili sull’applica-zione dei criteri di liceità della pubblicità comparativa. LaCorte stabilisce in tal modo alcuni punti fermi al fine di evi-tare messaggi pubblicitari che possono comportare unadistorsione di concorrenza e avere una incidenza negativasulla scelta dei consumatori.In particolare, la Corte precisa che, se la composizione o ilmodo e il luogo di produzione degli alimenti comparati nonincidono in linea generale sul carattere intercambiabile ditali prodotti, queste caratteristiche rappresentano fattoriparticolarmente rilevanti ai fini della valutazione della natu-ra eventualmente ingannevole del messaggio pubblicitario.Infatti, una pubblicità comparativa basata unicamente sulprezzo potrebbe rivelarsi ingannevole, se i prodotti selezio-nati presentano differenze obiettive (ad es. quanto agliingredienti o anche alla notorietà del marchio)tali da condi-zionare fortemente la scelta del consumatore, senza chequeste differenze emergano dalla pubblicità in questione.

In accordance with well-established case law, the ECJ judg-ment of 18 November 2010 in case C-159/09 Lidl interpretsthe provisions of Directive 84/450 on misleading advertis-ing, as amended by Directive 97/55, in a sense favourableto the use of comparative advertising as a marketing toolwhich promotes competition in the interest of consumers.In addition to expressly confirming that the requirementslaid down in the Directive apply also to food products,including where the compared food products are not identi-cal, the judgment provides some useful guidelines as towhat constitutes lawful comparative advertising.In particular, the Court specified that, on one hand, the factalone that the compared food products differ in terms of ingre-dients, conditions or place of production etc. does not excludein itself that they present a sufficient degree of interchangeabil-ity as required by the provisions of the Directive applying tocomparative advertising. On the other hand, these same fea-tures represent relevant factors for the purpose of establishingwhether an advertisement is misleading. Hence, a comparativeadvertising campaign based solely on the price of productscould mislead consumers if the compared products are objec-tively different (for ex. in terms of ingredients or reputation ofbrand names) and these differences are not disclosed althoughthey may have a significant effect on the buyer’s choice.

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Notification of food supplements

in Romania

Ioana Ratescu

1.- Legal background

First regulations regarding food supplements were enactedthrough Emergency Government Ordinance no. 97/2001regarding the production, circulation and commercializationof foodstuffs (“EGO 97/2001”) and Law no. 57/2002 approv-ing EGO 97/2001. EGO 97/2001 still in force provides thatthe “Public Health Ministry is empowered to issue regula-tions regarding food supplements and fortifying foods” andthat “Regulation must set rules on fortifying, food restorationthrough the addition of nutrients, as well as the rules on themanufacturing and commercialization of food supplementscontaining nutrients. Such regulation must state the recom-mended daily amount of nutrients”.Nevertheless, the issue of food supplements was regulatedat national level in 2005 on the basis of:(i) Joint Order no. 243/402/2005 of the Minister of

Agriculture, Forests and Rural Development andHealth Minister;

(ii) Joint Order no. 1228/244/63/2005 of the Minister ofAgriculture, Forests and Rural Development, HealthMinister and President of the National SanitaryVeterinary and Food Safety Authority; and

(iii) Health Minister Order no. 1069/2007.The existence of the three above-mentioned orders gener-ated many difficulties in the notification and commercializa-tion of food supplements for economic agents envisaging tonotify and sell food supplements in Romania.

2.- Notification requirements

According to Public Health Minister Order no. 1069/2007approving the Norms on food supplements (“Order1069/2007”) creating the legal frame for application ofDirective 2002/46/EC on food supplements1, food supple-ments represent foodstuffs the purpose of which is to sup-plement the normal diet and which are concentratedsources of nutrients and other substances with a nutritionalor a physiological effect, alone or in combination, marketedin doze form, namely forms such as capsules, pastilles,tablets, pills and other similar forms, sachets of powder,ampoules of liquids, drop dispensing bottles and other sim-

ilar forms of liquids or powders designed to be taken inmeasured small unit quantities. Food supplements mayconsist of nutrients (vitamins and minerals) alone or nutri-ents in combination with other substances.According to Directive 2002/46, to facilitate efficient moni-toring of food supplements, the manufacturer or the personplacing on the market a food supplement shall notify thecompetent authority of that placing on the market, by for-warding a model of the label used for the product.Moreover, Member States shall not, for reasons related totheir composition, manufacturing specifications, presenta-tion or labelling, prohibit or restrict trade in food supple-ments which comply with Directive 2002/46. Therefore,competent authorities of the Member States are not entitledto set up further (documentation) requirements. Apparently,such requirements were significantly supplemented byRomania as far as the notification of food supplements notexclusively consisting of nutrients is concerned.

2.1. Notification before the Health MinistryAs per Order 1069/2007, the Health Ministry represents thecompetent authority for the notification of food supplementsconsisting exclusively of nutrients (such as vitamins andminerals), such nutrients being synthetically obtained.The procedure before the Health Ministry is simplified andhas a rather informative purpose (no actual analysis of theproduct is made), along with the principles enshrined underDirective 2002/46. The procedure consists of submitting anotification form together with a template of the label in hardand soft copy and the Health Ministry issues the form attest-ing the registration of the notification within 48 hours fromsubmission of the notification.However, in the case of products not exclusively consistingof vitamins and minerals, but also containing other synthet-ically obtained ingredients, the product is not to be notifiedto the Health Ministry.

2.2. Notification before the Institute of Food Bio-ResourcesMinister of Agriculture, Forests and Rural Development,Health Minister and President of the National SanitaryVeterinary and Food Safety Authority Order no.1228/244/63/2005 approving the Technical Norms on thecommercialization of pre-dosed food supplements of animaland vegetal origin and/or of their mixtures with vitamins,minerals and other nutrients (“Order 1228/2005”) states thetechnical rules applicable to the commercialization of thefollowing categories of products:(i) animal and vegetal extracts and other processed prod-

ucts of animal and vegetal origin;(ii) mixtures of vegetal and animal extracts, their mixtures

with vitamins and/or minerals, including mixtures of

(1) Directive 2002/46/EC of the European Parliament and of the Council of 10 June 2002 on the approximation of the laws of the MemberStates relating to food supplements.

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vitamins and/or minerals with medicinal and aromaticplants, animal origin products, microorganisms, aminoacids, fats of vegetal and animal origin and other nutri-ents;

(iii) bee products, mixtures of bee products and/or mixturesof bee products with medicinal and aromatic plantsand/or other products of animal origin and/or essentialoils, vitamins, minerals and other nutrients;

(iv) other products scientifically proven to be food supple-ments, which are not covered by Order 1069/2007 andAgriculture, Forests and Rural Development Ministerand Public Health Minister Order no. 244/401/2005 onthe processing and commercialization of medicinal andaromatic plants used as such, partially processedunder the form of pre-dosed food supplements.

According to Order 1228/2005, the above-mentioned prod-ucts may be commercialized only further to a prior notifica-tion to the Institute of Food Bio-Resources (“IFB”) or othersimilar institutes located in different cities in Romania whichare mentioned under Order 1228/2005.Therefore, depending on the composition of the foodstuffs,one of the above-mentioned authorities may have compe-tence in relation to the notification of a food supplement. Aparticular emphasis will be placed in the following on thenotification procedure before the IFB, due to its specificcharacteristics and requirements.

3.- Notification procedure before the IFB

3.1. General considerations With a view to performing the notification procedure, themanufacturer, the importer or the authorized representativeof the manufacturer should submit the notification file to theIFB. The notification file will include the following documen-tation:- the notification application for the product;- a copy of the certificate of registration with the Trade

Registry;- the product presentation sheet, specifying that the prod-

uct falls within the categories of products mentionedunder points (i)-(iv) above, or, in the case of importedproducts, the conformity certificate and the country of ori-gin;

- the quantitative and qualitative list of ingredients for theproduct;

- physical-chemical and microbiological analysis bulletinissued by a laboratory accredited by a third party;

- the label of the product in Romanian language;- the packaging certificate, issued in accordance with the

legislation in force. In fact, this packaging certificate rep-resents a certificate confirming that the product complieswith the legislation in force.

The above-mentioned documents (except for the label ofthe product) may be also filed in English language. In casethe product is commercialized as food supplement in other

countries, such information may be also filed with the IFB.Based on the notification file, the IFB will issue the notifica-tion certificate for the product. The notification certificate willbe granted within 10 calendar days as from the date of sub-mission of the file (provided all required documents are sub-mitted). In case there are notification files for which no cer-tificates were granted, the Interministerial TechnicalCommittee for medicinal and aromatic plants will asses,evaluate and decide the applicable measures from a tech-nical standpoint.The product may not be marketed until the date of issuanceof the certificate. The food supplements already notified donot require any other notification.The notification certificate will include the following:- the IFB heading;- series and number under which it was registered with the

IFB;- date of issuance;- name of the product for which it was granted;- identification particulars of the applicant for the respective

product;- name, surname and signature of the person proposing

the issuance of the notification certificate;- name, surname and signature of the legal representative

of the IFB, as well as its seal.The number of the notification certificate will be used on allcommercial documents, including in the numbering of thenotification certificate for the product.

3.2. Specificities of the notification procedureApart from the documentation specifically provided underOrder 1228/2005, the applicant is also required to provide aso-called statement of commitment. On the basis of thisstatement of commitment, the applicant should attest as tothe product’s manufacturing according to applicable stan-dards, as well as its engagement to communicate to the IFBadditional information and data that may become availableto it at any time. This obligation imposed on the applicantactually goes beyond the possibilities of the Member Statesas set described in Art 10 of Directive 2002/46.In relation to the list of ingredients, and in particular the useof the “excipients” in the product, applicants are required toprovide the quantities of all ingredients used in the prod-ucts. It appears that a statement that an ingredient is usedin accordance with technological requirements and/or incompliance with specific legislation may not suffice.According to IFB’s requirements, any ingredient present onthe label of the product should be quantitatively provided inthe notification application.Moreover, the IFB requests information regarding the typeof “flavours” used in the product. In one specific case, it wassufficient to indicate the use of “flavours” in the product,without any additional information as to the nature of aro-mas being required. However, the quantity of aroma used inthe product needs to be stated, as this also qualifies as aningredient used in the product.

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By proceeding like this, the IFB would be provided with thefull recipe of the product which in the majority of cases qual-ifies as a secret, confidential and publicly inaccessible infor-mation, the consequence being, in case of failure to providethe necessary information, the rejection of the notificationapplication.However, a successful solution might be the provision ofthe nutritional information giving an overview about thecontent of the most important ingredients, along with aletter explaining the legal situation on EU-level (in casethe product is already legally sold in different EU-mem-ber states).

4.- Conclusion

We may therefore conclude that the requirements imposedunder Order 1228/2005 go far beyond the notification requi-rements provided for under Directive 2002/46/EC and mayaffect the goal of this Directive, which consists in the freemovement of such products and the creation of equal con-ditions of competition in the context of the functioning of theinternal market. Apparently, there are many more othercountries (apart from Romania) which set up hurdles for theplacing on the market of food supplements which are not inline with European law.

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Le intese lesive della concorrenza

nel mercato della pasta

Alessandro Artom - Giovanna Roggero

1.- Premessa

In data 9 febbraio 2011, il Consiglio di Stato, in sede giu-risdizionale (Sezione Sesta), si è pronunciato in materiadi restrizione di comportamenti della concorrenza adotta-ti in ambito associativo1. La sentenza ha deciso sui ricor-si in appello avanzati da 27 aziende di pastai e dalleassociazioni Unipi e Unionalimentari, avverso distintesentenze del T.a.r. del Lazio del 2 dicembre 2009, con lequali erano stati respinti i ricorsi proposti dalle medesimeaziende ed associazioni contro un provvedimento di chiu-sura dell’istruttoria dell’AGCM del 25 febbraio 2009. Taleprovvedimento aveva accertato l’esistenza di due inteserestrittive della concorrenza, volte a coordinare l’aumen-to del prezzo della pasta, ed aveva applicato alle impre-se e alle associazioni coinvolte le relative sanzioni ammi-nistrative pecuniarie.Con questa nota si ripercorreranno i passaggi essenziali del-l’intera vicenda, che ha visto coinvolte diverse imprese ope-ranti in un settore, quale quello della produzione e vendita dipasta, di notevole rilevanza per l’industria alimentare italiana.L’analisi dell’istruttoria condotta dall’AGCM, delle pronuncedel T.a.r. del Lazio e della sentenza del Consiglio di Statosopra citata, consente di individuare e conoscere i compor-tamenti, adottati dalle imprese e dalle associazioni di catego-ria, che sono stati ritenuti idonei a falsare il gioco della liberaconcorrenza nel mercato e quindi vietati dalla legge.

2.- L’istruttoria dell’AGCM

L’indagine dell’AGCM si è aperta il 10 ottobre 2007, a segui-to di una segnalazione della Federconsumatori della Puglia,pervenuta nell’agosto dello stesso anno, relativa ad un pre-sunto accordo tra i produttori di pasta pugliesi in merito ad un

aumento programmato dei prezzi pari a circa il 25%. A soste-gno della propria segnalazione, l’Associazione allegava unarticolo tratto dal “Corriere del Mezzogiorno” del 20 luglio2007, nel quale veniva citato un incontro avvenuto a Romain data 18 luglio tra un ampio numero di imprese aderentiall’Unipi (Unione Industriali Pastai Italiani) attive nel settoredella produzione di pasta, durante il quale si sarebbe conve-nuto l’aumento del prezzo della pasta a partire dal settembresuccessivo. La necessità di tale incremento sarebbe statadeterminata dall’aumento del prezzo del grano duro che,secondo i partecipanti all’incontro, dall’inizio dell’anno 2007sarebbe aumentato del 50% circa: in particolare durante talelasso di tempo il prezzo della semola di grano duro sarebbepassato da 24 centesimi a 35 centesimi di euro al chilo.Sulla base di tale segnalazione e di ulteriori elementi relati-vi agli annunciati rincari della pasta, quali articoli di stampae comunicati diffusi via internet, l’Autorità ha ritenuto diavviare un’istruttoria2, ai sensi dell’art. 81 del Trattato CE3,nei confronti delle associazioni Unipi (Unione IndustrialiPastai Italiani) e Unionalimentari (Unione Nazionale dellaPiccola e Media Industria Alimentare), al fine di accertarel’eventuale realizzazione di intese lesive della concorrenzanel mercato nazionale della produzione e vendita di pasta. In particolare, l’oggetto del procedimento concerneva l’in-tervento da parte delle associazioni di categoria, anche peril tramite di vertici associativi e ricorrendo all’utilizzo degliorgani di informazione di larga diffusione, sull’entità degliincrementi di prezzo da praticarsi, a fronte dell’aumento delcosto di una delle principali materie prime. Tale interventoavrebbe fornito agli associati un evidente punto di riferimen-to per l’aumento del prezzo del prodotto finito e indotto per-tanto le imprese a determinare, mediante una strategia uni-forme, la percentuale e il valore assoluto degli aumenti deiprezzi, mettendo così in atto un comportamento idoneo afalsare in modo rilevante il gioco della concorrenza sui mer-cati interessati. Diversamente, in assenza di un segnalecosì netto da parte delle associazioni di categoria, le singo-le imprese avrebbero potuto reagire all’aumento del prezzodella materia prima in modo non uniforme e indipendente-mente l’una dall’altra.Successivamente, in data 5 dicembre 2007, a fronte delleinformazioni acquisite nel corso dell’attività istruttoria e sulpresupposto che l’intesa contestata facesse parte di un piùampio coordinamento tra le imprese operanti nel settore

(1) Sentenza n. 896/2011, pubbl. in www.giustizia-amministrativa.it.(2) Artt. 12 e 14 L. 287/1990.(3) Ora art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

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della pasta, l’Autorità estendeva il procedimento nei con-fronti di 29 società4.Nel corso del procedimento, sulla base di quanto previstodall’art. 14-ter L. 287/1990, alcune parti presentavanoimpegni volti a rimuovere i profili anticoncorrenziali dell’in-frazione contestata5. Gli impegni così presentati venivanotuttavia ritenuti dall’Autorità inidonei ad eliminare gli ele-menti anticoncorrenziali oggetto dell’istruttoria e, di conse-guenza, rigettati in toto.Con provvedimento del 25 febbraio 2009, l’Autorità conclu-deva l’istruttoria e contestava a Unipi, Unionalimentari e a27 su 29 imprese parti del procedimento una violazione del-l’art. 81 del Trattato CE, consistente nell’aver posto in esse-re due intese restrittive della concorrenza, nel mercatonazionale della pasta secca di semola, volte a coordinarel’aumento dei prezzi6. Con il medesimo provvedimento,l’Autorità intimava alle associazioni e alle società di aste-nersi in futuro dal porre in essere nuovamente comporta-menti analoghi a quelli oggetto dell’infrazione accertata eapplicava loro le sanzioni amministrative pecuniarie. Secondo l’Autorità, una prima intesa sarebbe intervenutatra le imprese produttrici di pasta secca di semola e l’asso-ciazione Unipi; l’altra si sarebbe realizzata in ambito esclu-sivamente associativo, per opera di Unionalimentari, edavrebbe assunto le caratteristiche di una deliberazione diun’associazione di imprese, rilevante ai sensi dell’art. 81 delTrattato CE. Tale norma vieta infatti “tutti gli accordi traimprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tuttele pratiche concordate che possano pregiudicare il com-mercio degli Stati membri e che abbiano per oggetto o pereffetto di impedire, restringere o falsare il gioco della con-correnza all’interno del mercato interno”.Nel caso di specie, l’Autorità non ha individuato l’oggettodei comportamenti delle associazioni e delle imprese nellafissazione di un prezzo concordato, unitario ed omogeneo,ma ha piuttosto accertato l’esistenza di condotte volte, nelloro complesso, a realizzare aumenti concordati del prezzodella pasta secca di semola, la cui entità sarebbe poi stata

definita da ciascuna impresa, secondo le proprie caratteri-stiche di posizionamento sul mercato.In particolare, nel caso della prima intesa, la strategia di fis-sazione concordata degli aumenti dei prezzi sarebbe stataresa possibile grazie ad alcune riunioni, svoltesi in sedeUnipi, nel corso delle quali le informazioni che le imprese siscambiavano non riguardavano dati storici (ossia aumentidi prezzi già applicati), ma per lo più aumenti ancora dadeterminare, oppure già annunciati, ma non ancora in vigo-re. In tale contesto, un ruolo determinante sarebbe statosvolto da Unipi, che ha diffuso le decisioni assunte durantele riunioni attraverso l’invio di dettagliate circolari e attraver-so comunicati stampa: ciò sia al fine di favorire la partecipa-zione anche da parte di imprese pastaie di piccole dimen-sioni non presenti alla riunione,sia per facilitare il compito difar accettare alla GDO i prezzi più alti che le imprese si pre-paravano a chiedere.Relativamente alla seconda intesa, essa si sarebbe concre-tizzata - secondo la ricostruzione operata dall’Autorità -nella divulgazione di una determinazione diUnionalimentari, volta ad indirizzare gli associati verso unaumento uniforme di prezzo. L’associazione avrebbe per-tanto fornito agli associati un importante segnale per l’au-mento del prezzo del prodotto finito, per effetto del quale leimprese hanno potuto sostituire un meccanismo di reazioneautonoma ed individuale all’aumento del prezzo della mate-ria prima con una strategia concordata ed uniforme.L’AGCM ha giudicato le due intese particolarmente gravi,tanto per il loro oggetto, quanto per gli effetti prodotti, com-portando un incremento del prezzo di cessione al canaledistributivo e di quello pagato dal consumatore finale. Icomportamenti delle parti dinanzi al problema dell’aumentodel costo della materia prima, sono stati ritenuti idonei acoordinare gli aumenti del prezzo della pasta, in una misu-ra maggiore rispetto a quanto sarebbe stato possibile qua-lora ciascuna società avesse agito individualmente. Di fronte alle censure mosse dall’AGCM, le società e leassociazioni hanno contestato fermamente la propria

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(4) Le società interessate dal procedimento sono Antonio Amato & C. Molini e Pastifici S.p.A., Barilla G.E.R. Fratelli S.p.A., Chirico Molinie Pastificio Dal 1895 S.p.A., Colussi S.p.A., De Matteis Agroalimentare S.p.A., Del verde Industrie Alimentari S.p.A., F. Divella S.p.A.,F.lli De Cecco Di Filippo Fara San Martino S.p.A., Lguori Pastificio dal 1820 S.p.A., Nestlè Italiana Divisione Prodotti Alimentari S.p.A.,Pasta Berruto S.p.A., Pasta Zara S.p.A.., Pastificio Le Mantovanelle S.r.l., Pastificio Attilio Mastromauro – Granoro S.r.l., PastificioCarmine Russo S.p.A., Pastificio Di Martino Gaetano & F.lli S.p.A., Pastificio Fabinelli S.p.A., Pastificio Felicetti S.r.l., Pastificio F.lliCellino S.r.l., Pastificio Gazzola S.p.A., Pastificio Guido Ferrara S.r.l., Pastificio La Molisana S.p.A., Pastificio Lucio Garofano S.p.A.,Pastificio Mennucci S.p.A., Pastificio Riscossa F.lli Mastromauro s.p.A., Rummo S.p.A., Tamma S.r.l., Tandoi Filippo e Adalberto FratelliS.p.A. e Valdigrano di Flavio Pagani S.r.l.(5) Art. 14-ter L. 287/1990 (Norme per la tutela della concorrenza nel mercato):1. Entro tre mesi dalla notifica dell’apertura di un’istrutto-ria per l’accertamento della violazione degli articoli 2 o 3 della presente legge o degli articoli 81 o 82 del Trattato CE, le imprese posso-no presentare impegni tali da far venire meno i profili anticoncorrenziali oggetto dell’istruttoria. L’Autorità, valutata l’idoneità di tali impe-gni, può, nei limiti previsti dall’ordinamento comunitario, renderli obbligatori per le imprese e chiudere il procedimento senza accertar.el’infrazione. 2. L’Autorità in caso di mancato rispetto degli impegni resi obbligatori ai sensi del comma 1 può irrogare una sanzione ammi-nistrativa pecuniaria fino al 10 per cento del fatturato. 3. L’Autorità può d’ufficio riaprire il procedimento se: a) si modifica la situazionedi fatto rispetto ad un elemento su cui si fonda la decisione; b) le imprese interessate contravvengono agli impegni assunti; c) la deci-sione si fonda su informazioni trasmesse dalle parti che sono incomplete inesatte o fuorvianti.(6) Provvedimento del 25 febbraio 2009 n. 19562, pubblicato nel Bollettino AGCM n. 8 del 16 marzo 2009, in www.agcm.it .

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responsabilità sostenendo, in alcuni casi, l’inesistenza diun’intesa lesiva della concorrenza in violazione dell’art. 81del Trattato CE, in altri casi, la mancata partecipazione atale intesa.In particolare, con riferimento alla prima intesa, le argomen-tazioni addotte dall’associazione Unipi e dalle impreseassociate riguardavano: l’assenza di un consenso espressoda parte delle singole società partecipanti alle riunioni insede Unipi all’aumento concordato dei prezzi; l’assenza diun parallelismo dei comportamenti tenuti dalle parti e laconseguente impossibilità di ravvisare anche una fattispe-cie di pratica concertata; gli aumenti di prezzo sarebberostati determinati dalla crescita dei costi della materia prima;le riunioni avrebbero avuto ad oggetto unicamente lo scam-bio di informazioni storiche e pubbliche; Unipi avrebbe svol-to solamente la propria missione istituzionale. Per quanto concerne invece le argomentazioni difensivedell’associazione Unionalimentari, relative alla secondaintesa, l’associazione ha sostenuto l’infondatezza dell’ad-debito mosso nei suoi confronti, in quanto in ambito asso-ciativo non sarebbe stata conclusa alcuna intesa restrittiva.Sulla base di tali argomentazioni, le società e le associazio-ni sanzionate dall’AGCM hanno impugnato il provvedimen-to da quest’ultima emesso il 25 febbraio 2009 e ne hannochiesto l’annullamento di fronte al T.a.r. del Lazio.

3. Le pronunce del T.a.r. del Lazio

Il T.a.r. del Lazio ha respinto i ricorsi avanzati dalle societàe dalle associazioni coinvolte con distinte sentenze del 2dicembre 2009, le quali, se pur diverse dal punto di vistaformale, si presentano identiche nel loro contenuto sostan-ziale7.In particolare, i giudici della Sezione I del T.a.r. Lazio hannorammentato i principi più volte affermati dalla Sezione stes-sa in materia di configurabilità ed individuabilità di un’inte-sa, che, in quanto restrittiva della concorrenza, ponga inessere una fattispecie stigmatizzabile ai sensi dell’art. 81del Trattato CE, ora art. 101 del Trattato sul funzionamentodell’Unione europea8.Sul punto, il T.a.r. ha evidenziato come il fondamentale pre-supposto affinché un’intesa possa essere considerata anti-

concorrenziale e conseguentemente vietata, sia costituitodall’avere per oggetto o per effetto di impedire, restringereo falsare in maniera consistente l’andamento della concor-renza all’interno del mercato nazionale o in una sua parterilevante. In tale ottica, ogni operatore economico deveautonomamente determinare la propria condotta sul merca-to ed è sempre vietato ogni contatto, diretto o indiretto, cheabbia per oggetto o per effetto di influenzare il comporta-mento sul mercato di un concorrente o di informare taleconcorrente sulla condotta che l’impresa stessa ha decisodi porre in essere. La legge, quindi, inibisce ogni tipo di ini-ziativa consistente nel coordinamento delle linee di azionedelle singole imprese, posto che tali iniziative finiscono conil sostituire all’alea della concorrenza il vantaggio della con-certazione, così erodendo i benefici che in favore dei con-sumatori derivano dal normale uso della leva concorrenzia-le. Il coordinamento può essere costituito da accordiespressi, da pratiche concordate, ovvero da decisioni diassociazioni di imprese o organismi similari.Nel caso di specie, a fronte della riserva mossa dalle socie-tà ricorrenti secondo cui non vi sarebbe stato un consensoespresso all’aumento concordato del prezzo della pasta, ilT.a.r. ha sottolineato che gli aspetti formali non assumonoalcuna rilevanza in merito alla identificabilità degli elementipropri di un accordo anticompetivivo e ha ricordato come,secondo la giurisprudenza comunitaria, l’accordo anticon-correnziale non debba necessariamente essere formato periscritto per assumere rilevanza giuridica, ovvero richiedereparticolari formalità o sanzioni in caso di inadempienza.Infatti, sono comportamenti illeciti anche quelle forme dicoordinamento delle attività di impresa che, sebbene nonconfigurino un vero e proprio accordo, implicano comunqueuna consapevole collaborazione tra le imprese stesse adanno della concorrenza9.Le pronunce del T.a.r. si soffermano inoltre sull’importanza,che assume il concetto di “mercato rilevante” nell’accerta-mento di una pratica anticoncorrenziale. A tal proposito, igiudici amministrativi ricordano che, per mercato rilevante siintende “quella zona geograficamente circoscritta dove,dato un prodotto o una gamma di prodotti considerati traloro sostituibili, le imprese che forniscono quel prodotto sipongono fra loro in rapporto di concorrenza”10. Nella pratica,la definizione del mercato rilevante implica un accertamen-

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(7) Sentenze T.a.r. Lazio, Sez. I, n. 12355, 12319, 12324, 12322, 12315, 12330, 12323, 12331, 12318, 12320, 12321, 12314, 12316,12332, 12336, 12327, 12317, del 2 dicembre 2009.(8) Cfr, ex multis, le sentenze T.a.r. Lazio: 29 dicembre 2007 n. 14157; 14 settembre 2007 n. 4951; 27 febbraio 2007 nn. 1730, 1733,1734, 1736, 1738, 1741, 1743, 1745, 1746, 1748, 1750.(9) A tale proposito, nelle sentenze del T.a.r. si parla anche di “criterio sostanzialistico”, secondo cui la poliformità delle modalità estrin-secative dell’intesa vietata dall’art. 81 del Trattato – accordi espressi, pratiche concordate, deliberazioni, anche se adottate ai sensi didisposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari – viene quindi a dimostrarsi signi-ficativamente depotenziata di rilevanza, atteso che l’accento va posto sulla sostanza rappresentata da un accordo, la cui emersione èdirettamente attributaria della volontà, comunemente e concordemente espressa dalle imprese interessate, di assumere un determina-to comportamento sul mercato. Tale criterio impone perciò di valorizzare il dato fattuale integrato dal concordamento di condotte e dalladirezione da queste ultime assunte in senso anticompetitivo.(10) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 14 marzo 2000 n. 1348, 12 febbraio 2001 n. 652, e 9 aprile 2009 n. 2201.

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to di fatto, seguito dall’applicazione ai fatti accertati dellenorme giuridiche in tema di mercato rilevante, come inter-pretate dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale. Taleapplicazione delle norme ai fatti, si traduce in un’operazio-ne di “contestualizzazione” delle norme, per mezzo dellaquale si adattano concetti giuridici indeterminati, comequello di “mercato rilevante”, al caso specifico.Nell’accertamento di un’intesa anticoncorrenziale, il compi-to di individuare il mercato rilevante viene affidatoall’AGCM, mentre il giudice amministrativo è tenuto adesercitare un mero sindacato di legittimità, che non siestende al merito. Il compito del T.a.r. è acclarare se la rico-struzione dei fatti operata dall’Autorità sia immune da travi-samenti/vizi logici e accertare che le norme siano state cor-rettamente individuate, interpretate e applicate. Nel caso di specie, l’AGCM ha provveduto ad identificare ilmercato rilevante nel mercato della pasta secca di semola,escludendo la rilevanza dei mercati della pasta seccaall’uovo, della pasta fresca e di quella surgelata. Il T.a.r. haritenuto l’operazione condotta dall’AGCM immune da vizi dilegittimità, sia per quanto concerne le norme individuate,interpretate e applicate, sia l’assenza di vizi logici nell’ac-certamento dei fatti, operato dall’Autorità.Le società ricorrenti innanzi al T.a.r. hanno inoltre contesta-to l’esistenza di un accordo in merito all’incremento del prez-zo della pasta, adducendo la mancanza di parallelismo tra lesingole condotte di ciascuna di esse, tanto sotto il profilodella coincidenza temporale, quanto relativamente all’identi-tà di valore percentuale e/o assoluto degli aumenti praticatisul mercato dalle società stesse. Sul punto, il giudice ammi-nistrativo ha ricordato che è stata proprio la caratteristicaconfigurazione del mercato a rendere economicamentenecessaria la diversificata modulazione degli aumenti diprezzo. Diversamente, si sarebbe presentata una disomo-genea incidenza sulle quote di mercato, vantate da ciascu-na delle imprese coinvolte, a fronte di identici aumenti deiprezzi praticati da imprese, con quote di mercato diverse.In merito agli incrementi dei costi delle materie prime, inparticolare del grano duro, le imprese pastaie hanno ravvi-sato nel processo di crescita di tali costi la presenza diun’idonea causa giustificativa ai fini della traslazione deirelativi oneri sul prezzo finale applicato alla clientela. Adavviso del T.a.r., l’argomentazione così presentata dallesocietà ricorrenti, anziché addurre un’idonea giustificazioneall’incremento dei prezzi praticati al consumatore, non fache consolidare il convincimento tanto dell’AutoritàAntitrust, quanto del giudice amministrativo stesso, in ordi-ne alla formazione di un accordo illecito. Inoltre, risulta ditutta evidenza che, nel caso di specie, nulla avrebbe impe-dito alle imprese di determinare autonomamente le politichedi prezzo in ragione del trend di innalzamento dei costi dellamateria prima.

Con riferimento alle modalità con le quali le società hannorealizzato le intese restrittive della concorrenza nel merca-to della pasta, il T.a.r. ha individuato nelle riunioni svoltesi insede Unipi e Unionalimentari il principale strumento di rac-cordo tra le imprese.Contrariamente a quanto sostenuto da queste ultime neiricorsi avverso il provvedimento dell’AGCM, il giudiceamministrativo ha rilevato che le riunioni avevano un chiaroscopo anticoncorrenziale e che durante le stesse non veni-vano discussi e analizzati dati storici, ma concordate politi-che di prezzo attuali e future, al fine di “eliminare ogni ragio-nevole incertezza in merito alla politica di prezzo di tutti ipartecipanti alle stesse, coniugando la politica di aumentidei prezzi con la ragionevole tranquillità che l’applicazionedi tali aumenti non avrebbe comportato l’esclusione dalmercato delle imprese o la perdita di significative quote dimercato, data l’esistenza di generale consenso”11.Infine, le associazioni di categoria, lungi dall’aver svolto uni-camente la propria funzione istituzionale nelle riunioni dequo, avrebbero assunto un vero e proprio ruolo “catalizza-tore” rispetto al perfezionamento del coordinamento dellecondotte delle imprese in ottica anticompetitiva.

4. La sentenza del Consiglio di Stato

Avverso le sentenze del T.a.r. del Lazio del 2 dicembre2009, le società e le associazioni hanno proposto appello alConsiglio di Stato, che ha disposto la riunione dei ricorsisulla base della loro connessione sia oggettiva che sogget-tiva, e ha deciso con un’unica sentenza il 9 febbraio 2011.In tale pronuncia, il Consiglio di Stato ha rigettato gli appel-li proposti dalle società, concordando sia con quanto rileva-to dall’AGCM nel suo provvedimento, che con le decisionidei giudici di prime cure. In particolare, il Collegio - come già rilevato dal T.a.r. - ha con-statato la correttezza e l’immunità da vizi logici e giuridici del-l’istruttoria condotta dall’AGCM relativamente all’individuazio-ne delle due intese restrittive e al mercato rilevante interessa-to dalle stesse. Sul punto, il Consiglio di Stato ha osservatoche “nell’ipotesi di intese restrittive, la definizione del merca-to rilevante è successiva all’individuazione dell’intesa, inquanto sono l’ampiezza e l’oggetto dell’intesa a circoscrivereil mercato su cui l’abuso è commesso: vale a dire che la defi-nizione dell’ambito merceologico e territoriale nel quale simanifesta un coordinamento fra imprese concorrenti e si rea-lizzano gli effetti derivanti dall’illecito concorrenziale è funzio-nale alla decifrazione del grado di offensività dell’illecito.Correttamente, quindi, l’AGCM ha definito il mercato rilevan-te prendendo le mosse dall’oggetto del comportamento con-testato che ha avuto incidenza nel settore della pasta seccadi semola ed ha riguardato l’intero territorio nazionale”.

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(11) Par. 170 del provvedimento 25 febbraio 2009 dell’AGCM.

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Per quanto concerne le censure mosse dalle società appel-lanti in merito al mancato raggiungimento della prova circal’esistenza di un’intesa tra le parti, i giudici d’appello hannoconstatato che dai documenti raccolti in istruttoriadall’AGCM, “si evince chiaramente l’esistenza di una con-certazione tra le imprese finalizzata a definire, nel corso diripetute riunioni in sede associativa, politiche di aumenti diprezzo della pasta secca di semola, da proporre ai principa-li clienti ed in particolare alla grande distribuzione organiz-zata (GDO)”. Tali riunioni - come già osservato dal T.a.r. -non risultavano infatti finalizzate esclusivamente al confron-to sulle modalità con cui affrontare la crisi del settore, mapossedevano un chiaro oggetto anticoncorrenziale. Leimprese si riunivano per discutere di prezzi e, in modo par-ticolare, per concordare le strategie da seguire nella loro fis-sazione, confrontandosi sull’entità degli aumenti da attuare,fissando, oltre alla misura percentuale, anche la data a par-tire dalla quale tali aumenti avrebbero dovuto essere comu-nicati alla GDO.Con riferimento a tali riunioni, il Consiglio di Stato si è sof-fermato sul principio della c.d. partecipazione passiva,secondo cui “ove risulti provato che un’impresa abbia par-tecipato a riunioni durante le quali sono stati conclusi accor-di di natura anticoncorrenziale, senza esservisi manifesta-mente opposta, spetta a tale impresa dedurre indizi atti adimostrare che la sua partecipazione alle dette riunioni erapriva di qualunque spirito anitconcorrenziale, dimostrandoche essa aveva dichiarato alle sue concorrenti di partecipa-re alle riunioni in un’ottica diversa dalla loro”. Qualora talecomportamento dell’impresa non sia ravvisabile, come nelcaso di specie, il Consiglio di Stato ha ritenuto che “il fattostesso di approvare tacitamente una iniziativa illecita,senza distanziarsi pubblicamente dal suo contenuto odenunciarla agli organi amministrativi rappresenta unamodalità di partecipazione all’intesa, idonea a far sorgere laresponsabilità dell’impresa nell’ambito di un unico accordo,anche qualora l’impresa non abbia dato seguito ai risultati

di una riunione avente un oggetto anticoncorrenziale”.Di fronte alla difesa delle società appellanti in merito all’as-senza di parallelismo tra le condotte delle imprese e secon-do le quali gli aumenti applicati dalle imprese sarebberostati sensibilmente divergenti per tempistica ed importi, ilConsiglio di Stato ha replicato affermando che “a frontedella prova dell’esistenza di un accordo teso alla comunedefinizione delle strategie di prezzo, l’ulteriore dimostrazio-ne del parallelismo di comportamenti risulta superfluo, atte-so che l’illiceità della condotta discende dalla oggettiva ido-neità della stessa ad alterare la concorrenza”. In ogni caso,il Consiglio ha rilevato che le società hanno comunqueposto in essere un parallelismo di comportamenti, consi-stente nell’aver adottato una comune politica di incrementodei prezzi.Il Collegio si è dunque soffermato sull’effetto limitativo dellalibera determinazione individuale dei prezzi, che le inteseanticoncorrenziali possono causare e ha precisato chesono vietate “non solo le intese tramite le quali le impresefissano i prezzi a livelli esattamente determinati o stabilisco-no esattamente prezzi minimi al di sotto dei quali esse siimpegnano a non vendere, ma, più in generale, tutte le inte-se che mirino o abbiano ad effetto di limitare la libera deter-minazione individuale del prezzo e, quindi, la sua naturaleflessibilità”.Infine, la sentenza ha sottolineato l’illiceità della traslazionesui consumatori degli aumenti dei costi delle materie prime.Su tale questione, il Consiglio di Stato ha ribadito quantogià precisato in altra occasione: “sebbene risponda ad unaordinaria regola di condotta delle imprese aumentare i prez-zi in conseguenza degli aumenti dei costi della materiaprima, traslandoli sui consumatori, tuttavia in un mercatoconcorrenziale non è lecito che siffatto aumento dei prezzisia frutto di una decisione concertata tra le imprese concor-renti, anziché di una scelta individuale, che potrebbe ancheessere diversa dalla rigida traslazione dell’aumento deicosti”12.

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(12) Decisione del 23 giugno 2006, n. 4017, Imballaggi metallici.

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Anno IV, numero 2 • Aprile-Giugno 2010

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a cura di Paolo Borghi

L’UE ha posto in discussione misure adottate dall’Argentinasulle importazioni di prodotti alimentariAlla riunione del Consiglio WTO per gli scambi di merci, il 5luglio 2010, l’UE ha espresso preoccupazione per una notadel governo argentino che limiterebbe le importazioni ali-mentari, tra cui alcune provenienti dall’UE. A conferma diciò, l’UE ha segnalato che da maggio 2010 si sono verifica-ti ritardi nella concessione di certificati che permettonol’uscita di merci UE dai porti argentini, con conseguenti can-cellazioni di ordini a lungo termine verso l’UE. Quest’ultimaha contestato all’Argentina la possibile violazione degliimpegni assunti in sede G20 contro il protezionismo.Canada, Colombia, Australia, Giappone, Svizzera,Norvegia e Stati Uniti hanno dichiarato di condividere lepreoccupazioni dell’UE.L’Argentina replica evidenziando un aumento delle sueimportazioni dall’UE, comprese alcune di prodotti alimentari.

Adottati i reports del Panel e dell’Appellate Body sulla con-troversia “Mele” tra Nuova Zelanda e AustraliaIl 9 agosto 2010 è stato pubblicato il rapporto del Panel cheha concluso in I grado la controversia “Australia —Measures Affecting the Importation of Apples from NewZealand” (WT/DS367). Il report aveva ritenuto che sedicimisure SPS australiane denunciate dalla Nuova Zelandanon fossero basate su una corretta valutazione del rischioe, di conseguenza, fossero incompatibili con l’articolo 5.1 e5.2 dell’accordo SPS (nonché implicitamente con l’articolo2.2 dell’Accordo SPS, che – come è noto – richiede che lemisure SPS siano basate su principi scientifici e non man-tenute senza prove scientifiche sufficienti). Il Panel avevainoltre dichiarato tredici di tali misure contrarie anche all’art.5.6 dell’accordo SPS, in quanto non proporzionate, ossiapiù restrittive di quanto richiesto per raggiungere il livello diprotezione fitosanitaria ritenuto adeguato dall’Australia.Il 31 agosto 2010, l’Australia ha notificato la sua decisionedi ricorso all’organo d’appello. Anche la Nuova Zelanda, il13 settembre 2010, ha notificato una decisione di ricorsoall’organo d’appello contro alcune questioni di diritto conte-nute nella relazione del Panel, e contro alcune interpreta-zioni giuridiche fatte proprie dal Panel stesso. Il 29 novem-bre 2010 è stato distribuito ai membri WTO il report con cuil’Appellate Body ha confermato la valutazione del Panelsecondo cui le sedici misure oggetto della pronuncia diprimo grado, correttamente qualificate misure SPS, nonsono state basate su una corretta valutazione del rischio e

quindi sono incompatibili con gli articoli 5.1 e 5.2 dell’accor-do SPS (e, conseguentemente, devono ritenersi anche incontrasto con l’articolo 2.2 dell’accordo SPS). L’Organod’appello ha, invece, riformato le conclusioni del Panel di Igrado secondo cui le misure dell’Australia contro il “colpo difuoco batterico” e l’ALCM (un moscerino che attacca lefoglie della mela) erano incompatibili con l’articolo 5.6 del-l’accordo SPS, ma non è stato in grado di portare a compi-mento una analisi giuridica del livello di protezione che sisarebbe raggiunto con l’attuazione delle misure propostedalla Nuova Zelanda (come alternativa a quelle adottatedall’Australia). Alla riunione del 17 dicembre 2010, ilDispute Settlement Body ha adottato i reports di primo esecondo grado.

Conclusa la controversia fra Stati Uniti e Cina sul pollameLa controversia “United States — Certain MeasuresAffecting Imports of Poultry from China” (WT/DS392) erainiziata il 17 aprile 2009, con la richiesta di consultazioni daparte della Repubblica popolare cinese nei confronti degliUSA, con riguardo a misure adottate da questi ultimi checolpivano l’importazione di prodotti avicoli provenienti dallaCina. La misura in questione è principalmente la Section727 dello Omnibus Appropriations Act of 2009, accusata diostacolare di fatto le importazioni negli USA di pollame cine-se, negando l’uso di qualsiasi finanziamento erogatodall’US Department on Agriculture per questo scopo. Il 29settembre 2010 la relazione del panel è stata distribuita aiPaesi membri.Ad avviso del Panel, stabilito trattarsi di misure SPS ai sensidell’accordo, la Section 727 doveva effettivamente conside-rarsi incompatibile con l’art. 5.1 e 5.2 dell’accordo SPS, per-ché non basata su una valutazione del rischio che tenga inconsiderazione gli elementi di cui all’art. 5.2 dell’accordostesso; con l’art. 2.2 dell’accordo SPS perché è stata man-tenuta senza prove scientifiche sufficienti; con l’art. 5.5 del-l’accordo SPS perché la distinzione tra prodotti avicoli pro-venienti dalla Cina e prodotti avicoli provenienti da altriPaesi membri dell’OMC è arbitraria o ingiustificabile, ecostituisce una discriminazione ai danni della Cina; con l’ar-ticolo 2.3 dell’accordo SPS, prima frase, come conseguen-za del contrasto con l’art. 5.5; con l’art. 8 dell’accordo SPSperché la Section 727 ha provocato indebito ritardo nelleprocedure di approvazione, in violazione dell’allegato C (1)(a), dell’accordo SPS.Per quanto riguarda le contestazioni della Cina in riferimen-to al GATT 1994, il Panel ha rilevato, anzitutto, una incom-patibilità della Section 727 con l’art. I, par. 1, del GATT 1994(perché gli Stati Uniti non hanno esteso immediatamente oincondizionatamente ai prodotti provenienti dalla Cina il

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vantaggio riconosciuto a tutti gli altri membri dell’OMC) econ l’art. XI, par. 1, del GATT 1994, perché la Section 727ha costituito restrizione quantitativa. Il Panel ha poi consta-tato che la Section 727 non era giustificata ai sensi dell’art.XX (b) del GATT 1994, perché in contrasto con gli articoli2.2, 2.3, 5.1, 5.2 e 5.5 dell’accordo SPS.Nessuna raccomandazione di prompt compliance agli USAsi è tuttavia resa necessaria, a seguito della decisione delPanel, perché all’epoca della decisione la Section 727 nonera più in vigore. Il rapporto del Panel è stato adottato il 25ottobre 2010.

I colloqui sulle indicazioni geografiche producono una primabozza di accordoPer la prima volta in oltre 13 anni di trattative, i negoziatoridell’OMC in tema di proprietà intellettuale hanno iniziato aelaborare un progetto concreto per l’istituzione di un regi-stro multilaterale delle indicazioni geografiche per vini eliquori. Una bozza di comunicazione sul primo di sei granditemi in discussione è stata diffusa in una riunione informaledei Membri il 13 gennaio 2011. Il progetto è stato sviluppa-to durante due giorni di consultazioni tra i rappresentanti deitre gruppi che hanno presentato proposte, e consta di circauna pagina e mezzo, contenente diverse parti ancora nondefinite, sulle quali diverse opzioni sono ancora in discus-sione. “Questo testo composito promana esclusivamentedai membri stessi, e non dalla presidenza”, ha detto la pre-sidente del gruppo dei negoziatori, Darlington Mwape.Il progetto, concernente il tema delle notifiche, ha ad ogget-to le definizioni, le descrizioni, la base giuridica dei terminie tutte le altre informazioni possibili che i membri si comu-nicherebbero nell’ipotetico sistema basato sull’istituendoregistro. Le opzioni tra parentesi quadre, presenti nel testo,riflettono le diverse posizioni dei gruppi creatisi fra i nego-ziatori: “sponsor W/52” (UE, Svizzera ed i loro alleati), il“gruppo di proposta comune” (Stati Uniti, Australia, Canada,Nuova Zelanda, Giappone, Cile, Argentina ed altri), e da

ultimo Hong Kong e Cina (che hanno tentato di avvicinarele posizioni degli altri gruppi).Le aree complessivamente oggetto della bozza sono lanotifica, la registrazione (modalità per eseguirla, ruolo delsegretariato dell’OMC, ecc.), gli effetti giuridici (in particola-re, quali impegni e obblighi deriverebbero ai membri dallaregistrazione di un termine anche in relazione ai problemiconnessi alla “partecipazione”), la distribuzione dei costi delfunzionamento del sistema, l’introduzione di un trattamentospeciale per i Paesi in via di sviluppo, e infine la volontarie-tà (o meno) della partecipazione al registro, con conse-guenze diverse sugli effetti della registrazione (poiché solose la partecipazione al sistema fosse obbligatoria, si potreb-bero prevedere implicazioni automatiche della registrazioneper tutti gli Stati membri del WTO).Quest’ultima problematica – le modalità di partecipazione egli effetti della registrazione – si sono rivelati, secondo lapresidente del gruppo dei negoziatori Mwape, il problemapiù complesso da risolvere, e la sua soluzione rappresental’obiettivo dichiarato per il 2011.

Il Comitato agricoltura del WTO continua a discutere surestrizioni all’esportazioneDiversi membri dell’OMC hanno espresso perduranti preoc-cupazioni per le restrizioni alle esportazioni, in occasionedella riunione del Comitato agricoltura del WTO il 31 marzo2011, particolarmente di fronte ad alcune recenti notifichedella Repubblica Ex-Jugoslava di Macedonia, delKirghizistan e della Moldavia, nonché sulla base di ulterioriinformazioni da parte dell’Ucraina, che ha annunciato divoler estendere il suo regime di quote sulle importazioni finoa luglio 2011.Il Comitato ha anche ascoltato il Costa Rica con riguardo aisuoi ultimi sforzi per frenare un ricorso al sostegno internosuperiore agli impegni assunti, e ha aggiunto tre Paesi(Grenada, Maldive e Swaziland) alla lista dei Paesi in via disviluppo importatori netti di prodotti alimentari.

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AlimentarEuropeo

Giurisprudenza della Corte di giu-

stizia in materia alimentare

a cura di Paolo Borghi e Laura Salvi

Prodotti alimentari e pubblicità comparativa(Sentenza della Corte di giustizia UE del 18 novembre2010, in causa C-159/09, Lidl c. Vierzon Distribution SA)

Con la sentenza resa nel procedimento C-120/08 la Cortedi giustizia dell’UE si è di recente espressa con riguardo allamateria della pubblicità ingannevole e comparativa di pro-dotti alimentari. La vicenda oggetto di controversia riguardava la pubblicità amezzo stampa effettuata dalla Vierzon Distribution attraversola comparazione di una selezione di prodotti alimentari dallastessa distribuiti con i corrispondenti prodotti commercializza-ti dalla concorrente catena di supermercati gestiti dalla Lidl.Quest’ultima era ricorsa al giudice nazionale lamentando laviolazione, da parte della Vierzon, dell’art. L 121-8 del codicefrancese dei consumatori, ove – in linea con la previsione dicui all’art. 3 bis, n. 1, della direttiva del Consiglio 84/450/CEEconcernente la pubblicità ingannevole e comparativa – è pre-visto tra le condizioni di liceità della pubblicità comparativa ilrequisito del sufficiente grado di intercambiabilità dei beni oservizi. In base a tale requisito, i prodotti considerati devonosoddisfare gli stessi bisogni o proporsi il medesimo obiettivo(art. 3 bis, n. 1, lett. b). Il giudice del rinvio decideva disospendere il procedimento e di interrogare la Corte sullapossibilità di applicare le norme dell’Unione in materia quan-do oggetto di confronto siano prodotti alimentari, atteso chequesti possono differenziarsi anche notevolmente sotto il pro-filo della loro commestibilità e del piacere derivante dal loroconsumo in funzione di vari fattori e circostanze.Nell’ambito di una più ampia analisi interpretativa del men-zionato art. 3 bis, n. 1, dir. 84/450, la pronuncia dei giudicidell’Unione ha chiarito che la mera circostanza che gli ali-menti si differenzino sotto i profili sopra menzionati non ostaa che un confronto di tali prodotti possa integrare la condi-zione di liceità rappresentata dal sufficiente grado di inter-cambiabilità tra i prodotti considerati. La Corte di giustiziaha quindi sancito il libero utilizzo dello strumento della pub-blicità comparativa con specifico riferimento ai panieri diprodotti alimentari, rimettendo tuttavia ai giudici nazionalil’operazione della valutazione concreta della sussistenzadel sufficiente grado di intercambiabilità necessario perpoter considerare lecita tale pratica commerciale.

Vietato l’utilizzo in etichetta dell’espressione «cioccolatopuro»(Sentenza della Corte di giustizia UE del 25 novembre2010, in causa C-47/09, Commissione europea c.Repubblica italiana)

L’impiego dell’espressione «cioccolato puro» nell’etichetta diprodotti di cioccolato contenenti esclusivamente burro dicacao quale materia grassa integra una violazione del dirittodell’Unione. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia dell’UE con lasentenza resa il 25 novembre 2010 nel caso C-47/09, aven-te ad oggetto il ricorso per inadempimento promosso dallaCommissione nei confronti dell’Italia per l’asserita violazionedi alcune disposizioni di cui alla direttiva 2000/36/CE, relati-va ai prodotti di cacao e di cioccolato destinati all’alimenta-zione umana, e alla direttiva 2000/13/CE in materia di eti-chettatura e presentazione dei prodotti alimentari, nonchédella relativa pubblicità. Ad essere in contrasto con tali normeera la previsione dell’art. 6, d.lgs. 178/2003, che prevede lapossibilità di integrare la denominazione di vendita dei pro-dotti di cioccolato non contenenti grassi vegetali diversi dalburro di cacao attraverso l’abbinamento del termine «puro»a quello di «cioccolato».Respingendo le motivazioni dell’Italia, che sosteneva lavalenza meramente descrittiva (e non qualitativa) del-l’espressione «cioccolato puro», i Giudici diLussemburgo hanno affermato che tale dicitura costitui-sce una nuova denominazione di vendita, il cui impiegosi pone in contrasto con il carattere obbligatorio e tassa-tivo del sistema delle denominazioni di vendita sancitodalla dir. 2000/36/CE. La Corte ha ricordato che l’utilizzoentro il limite del 5% di grassi vegetali diversi dal burro dicacao nella fabbricazione di prodotti di cioccolato, noncomportando una modifica sostanziale della natura delprodotto, non giustifica l’impiego di una diversa denomi-nazione di vendita. Il sistema instaurato dal legislatoreitaliano, che comporta il mantenimento di due diversedenominazioni («cioccolato» e «cioccolato puro») a desi-gnazione di prodotti sostanzialmente identici finisce per-tanto col violare anche il diritto del consumatore didisporre di un’informazione corretta, imparziale, obiettivae che non sia tale, secondo il principio generale in mate-ria di etichettatura di cui alla dir. 2000/13, da indurlo inerrore. A garanzia di tale diritto del consumatore, secon-do la Corte di giustizia, è sufficiente, piuttosto, l’inseri-mento in etichetta di un’indicazione «neutra ed obietti-va», separata rispetto alla denominazione, che informi ilconsumatore circa l’assenza, all’interno del prodotto, disostanze grasse vegetali “sostitutive”.

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Privo di carattere distintivo il marchio rappresentato dalconiglietto di cioccolato Lindt(Sentenza del Tribunale, del 17 dicembre 2010, causa T-336/08, Chocoladefabriken Lindt & Sprüngli AG / Ufficio perl’armonizzazione nel mercato interno)

Nella causa causa T-336/08 il Tribunale UE si è pronuncia-to sul ricorso proposto dalla società Lindt diretto ad ottene-re l’annullamento della decisione dell’Ufficio per l’armoniz-zazione nel mercato interno (UAMI) con cui era stata riget-tata la domanda di registrazione come marchio del segnotridimensionale raffigurante un coniglio di cioccolata connastro rosso. A sostegno del suo ricorso la ricorrente dedu-ceva la violazione da parte dell’UAMI dell’art. 7, par. 1, lett.b) del reg. (CE) n. 40/94 sul marchio comunitario (oggisostituito dal reg. 207/2009), che vieta la registrazione dimarchi sprovvisti del c.d. carattere distintivo, e dell’art. 7par. 3 dello stesso regolamento, ove si ammette la registra-zione di quei marchi che abbiano acquisito un caratteredistintivo in conseguenza dell’uso.Dopo aver ricordato che il carattere distintivo preteso dallanormativa sui marchi si concreta nella capacità di identifica-re il prodotto per cui si chiede la registrazione del marchiocome proveniente da una determinata impresa, e distin-guerlo così da quello di altri produttori, il Tribunale ha nega-to il riconoscimento di tale carattere al marchio richiesto,respingendo tutte le argomentazioni della società. Secondoi Giudici, anzitutto, gli elementi che compongono il segnotridimensionale costituito dal coniglio di cioccolato non sonoidonei ad identificare l’origine commerciale del prodotto,essendo essi forme tipiche nelle quali si presentano i pro-dotti di cioccolato in alcuni periodi dell’anno. Non assumo-no rilievo per l’individuazione di un carattere distintivo“intrinseco”, inoltre, circostanze quali l’esistenza di eventua-li accordi commerciali tra produttori o di registrazioni delmarchio a livello nazionale, o l’eventuale carattere originaledel prodotto. Respinta anche l’argomentazione della ricor-rente secondo cui il marchio richiesto avrebbe una capaci-tà distintiva derivante dall’uso in alcuni Paesi dell’UE: talecircostanza, anche se fosse dimostrata, non sarebbecomunque sufficiente a provare che il marchio ha acquisitotale capacità distintiva a seguito dell’uso in tutta l’UE, comerichiesto dalla normativa. Il 1° marzo 2011 la sentenza del Tribunale è stata impugna-ta davanti la Corte di giustizia dalla società Lindt. A fonda-mento del ricorso vi sono diversi argomenti: sia l’UAMI cheil Tribunale sarebbero giunti alle loro conclusioni solo sullabase di presunzioni, venendo quindi meno all’obbligo diesame dei fatti su di essi incombente ex art. art. 74, n. 1, delreg. 40/94; l’assunto del Tribunale, secondo cui il marchio inquestione sarebbe privo di carattere distintivo intrinseco intutto il territorio dell’UE, sarebbe smentito dal fatto che dettosegno è stato registrato come marchio in 15 Stati membridell’Unione europea; inoltre, l’affermazione che le caratteri-stiche del segno sono «di uso comune sul mercato» nontroverebbe riscontro nella pratica; quanto all’asserita assen-

za in capo al marchio richiesto della capacità distintiva deri-vante dall’uso che se ne è fatto in tutta l’Unione, il Tribunale,da un lato non avrebbe considerato il principio per cui ilcarattere distintivo in seguito all’uso deve essere acquisitounicamente ove non sia già presente un carattere distintivointrinseco (che si riscontrerebbe nei 15 Paesi in cui il mar-chio è registrato), dall’altro, non avrebbe condotto una valu-tazione del carattere distintivo del marchio conformementeal principio del carattere unitario del marchio comunitario.

Conflitto tra IGP e marchi aventi ad oggetto lo stesso pro-dotto: il caso birra «Bavaria»(Sentenza della Corte di giustizia, del 22 dicembre 2010,causa C-120/08, Bavaria NV c. Bayerischer Brauerbund)

La Corte di giustizia si è pronunciata, nella causa C-120/08,in merito all’applicabilità dell’art. 14, n. 1, reg. 2081/92(disciplina oggi abrogata sulla protezione delle indicazionigeografiche e delle denominazioni d’origine dei prodottiagricoli ed alimentari), alle ipotesi di conflitto tra una deno-minazione registrata quale IGP secondo la procedura sem-plificata di cui all’art. 17 dello stesso regolamento e un mar-chio concernente lo stesso tipo di prodotto la cui domandadi registrazione sia stata presentata successivamente allaregistrazione della denominazione.Ad essere in conflitto, nel caso in esame, erano la denomi-nazione «Bayerisches Bier», oggetto di domanda di regi-strazione come IGP da parte dell’associazione BayerischerBrauerbund nel 1994, ed effettivamente registrata con pro-cedura semplificata attraverso il reg. 1347/2001, e il mar-chio internazionale «Bavaria», di proprietà dell’omonimasocietà produttrice di birra olandese e tutelato in Germaniacon diritto di priorità dall’aprile 1995.A fronte della domanda di pronuncia pregiudiziale propostadalla Corte suprema federale tedesca (Bundesgerichstof)nell’ambito della controversia promossa dal Bayerischer,con cui questa chiedeva di condannare la Bavaria a rinun-ciare alla protezione del suddetto marchio, la Corte ha sta-tuito che la disposizione di cui all’art. 14, n.1, del reg.2081/92 ben può trovare applicazione con riferimento aconflitti, quale quello di specie, che interessano IGP regi-strate con procedura semplificata e un marchio la cuidomanda di registrazione sia successiva alla data di entra-ta in vigore della registrazione della denominazione; ciòcomporta che la domanda di registrazione del marchiodebba essere rigettata o la registrazione annullata. Talesoluzione, sottolinea la Corte, deriva dalla finalità emergen-te dall’impianto complessivo del regolamento di apprestareuna tutela di pari livello tanto alle denominazioni oggetto diprocedura di registrazione normale, quanto a quelle ogget-to di una procedura semplificata contro qualsiasi impiegoindebito di tali denominazioni, nonché contro imitazioni,indicazioni ingannevoli e prassi suscettibili di indurre inerrore il consumatore circa la provenienza dei prodotti.

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Contraria alla normativa dell’UE, secondo la Commissione, ladenominazione di vendita «burro da spalmare» (Ricorso proposto il 25 gennaio 2011, causa C-37/11,Commissione europea c. Repubblica Ceca, in GU C 80 del12.3.2011, pag. 16)

La Commissione europea, il 25 gennaio scorso, ha propo-sto davanti la Corte di giustizia un ricorso per inadempimen-to nei confronti della Repubblica Ceca. Questa, nel permet-tere la commercializzazione con la denominazione di vendi-ta «burro da spalmare» di un prodotto lattiero-caseario contenore in peso di almeno il 31% di materie grasse e almenoil 42% di materia secca sarebbe venuta meno agli obblighiad essa incombenti in forza del combinato disposto dell’art.115 del regolamento (CE) n. 1234/2007 recante organizza-zione comune dei mercati agricoli e disposizioni specificheper taluni prodotti, del punto I, n. 2, primo e secondocomma, dell’allegato XV di tale regolamento e della parte A,punti 1 e 4, dell’appendice all’allegato XV dello stesso.Secondo la Commissione il prodotto «burro da spalmare»non soddisfa i requisiti necessari all’utilizzo della denomina-zione di vendita «burro», riservata su previsione delle sud-dette disposizioni ai prodotti con un tenore minimo di gras-si lattieri dell’80% e tenore massimo di acqua del 16 %.Trattandosi, nella fattispecie, di un prodotto lattiero casea-rio con contenuto di grassi lattieri inferiore al 39%, la deno-minazione da utilizzare obbligatoriamente, ai sensi delpunto I, n. 2, dell’allegato XV in combinato disposto con laparte A, punto 4, dell’appendice all’allegato XV, del regola-mento è quella di «Grasso lattiero da spalmare X%», con laconseguenza che l’impiego della denominazione commer-ciale «burro da spalmare» comporta una violazione delledisposizioni del diritto dell’Unione.

OGM e contaminazione di alimenti(Conclusioni dell’avvocato generale Bot del 9 febbraio2011, in causa C-442/09, Karl Heinz Bablok e a. c. FreistaatBayern)

Il 9 febbraio 2011 l’Avvocato generale Bot ha rassegnato lesue conclusioni nel procedimento C-442/09, instaurato aseguito di domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalgiudice nazionale tedesco e riguardante l’interpretazione dialcune disposizioni del regolamento (CE) 1829/2003, relati-vo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati.Diverse le questioni su cui la Corte di giustizia è chiamataad esprimersi: se possa essere qualificato come «organi-smo geneticamente modificato», secondo la definizione for-nita all’art. 2, punto 5, del reg. 1829/2003, materiale prove-niente da varietà vegetali geneticamente modificate (nelcaso di specie: polline di mais Gm MON 810); se la merapresenza di tale materiale in un alimento (nella fattispeciemiele e integratori a base di polline) sia sufficiente per poterconsiderare quest’ultimo «prodotto a partire da OGM» aisensi dell’art. 2, punto 10 dello stesso regolamento e, se sì,se si debba trattare necessariamente di una “contaminazio-

ne volontaria”; infine, se tali alimenti vadano assoggettatiallo specifico regime di autorizzazione all’immissione incommercio, etichettatura e sorveglianza previsto dal rego-lamento a fronte di qualsivoglia contaminazione, senzaconsiderare eventuali soglie quantitative.L’avvocato generale propone alla Corte di rispondere allaprima delle questione sopra elencate nel senso che il polli-ne di mais MON 810, in quanto sprovvisto della capacitàeffettiva di riprodursi, non può essere considerato come“OGM”. In senso positivo si esprime invece l’Avvocatorispetto alla seconda delle questioni poste dal giudice delrinvio, dovendosi considerare il polline di mais MON 810ingrediente del miele e degli integratori alimentari, i qualiquindi costituiscono «alimenti che contengono ingredientiprodotti a partire da OGM» ai sensi dell’art. 3, n.1, lett. c)del reg. 1829/2003, senza peraltro che assuma rilevanza lavolontarietà o meno della presenza di tale polline. Quanto,infine, all’ultimo dei quesiti sollevati, il parere dell’avvocatoè che quale che sia l’entità della presenza di materialegeneticamente modificato negli alimenti, questi vanno sot-toposti al regime di autorizzazione all’immissione in com-mercio, etichettatura e monitoraggio previsto dal regola-mento. La pronuncia che ci si attende dai Giudicidell’Unione andrà ad inserirsi nel dibattito in corso sullacontroversa questione della coesistenza tra colture GM eproduzioni tradizionali all’interno dell’UE.

Libera circolazione delle merci e rispetto del principio di pro-porzionalità(Sentenza della Corte di giustizia del 3 marzo 2011, incausa C-161/09, Kakavetsos-Fragkopoulos AE c.Nomarchiaki Aftodioikisi Korinthias)

Una normativa nazionale che limiti, all’interno del territoriodello Stato, la circolazione di un determinato prodotto infunzione delle diverse regioni di produzione dello stesso,sebbene formalmente neutrale rispetto agli scambi intraco-munitari, è da considerarsi ciò nondimeno una misura dieffetto equivalente ad una restrizione quantitativa ex art. 29TCE (art. 35 TFUE).E’ il principio che si ricava dalla pronuncia della Corte resail 3 marzo scorso nel caso C-161/09, in cui ad essere ogget-to di analisi sono alcune disposizioni nazionali greche che,da un lato, impongono un divieto di introduzione, immagaz-zinamento e trattamento, allo scopo della successivaesportazione, di uve secche provenienti da diverse regionidel Paese in una regione precisa nella quale è consentitotrasformare solo le uve prodotte localmente, e dall’altroriservano il riconoscimento di una DOP registrata sia a livel-lo nazionale che di Unione alla sola uva secca di una parti-colare varietà (“Vostizza”) che sia stata sottoposta a trasfor-mazione e confezionamento nella regione in cui è prodotta.Dopo aver ricordato che l’art. 29 CE è norma dotata di effet-to diretto, la Corte rileva come le previsioni nazionali in que-stione, in quanto idonee a restringere le correnti di esporta-

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zioni di un prodotto e ad ostacolare anche solo potenzial-mente gli scambi all’interno dell’Unione, costituiscano unamisura di effetto equivalente, ponendosi quindi in contrastocon la suddetta disposizione del Trattato. Quanto poi allaquestione se lo scopo di protezione della qualità superioredi un prodotto ottenuto in una certa regione posto a fonda-mento del suddetto divieto nazionale possa costituire unlegittimo obiettivo di interesse generale che, ex art. 30 CE,giustifica una deroga al divieto di cui all’art. 29 CE, i Giudicisi pronunciano in senso negativo. La restrizione alle espor-tazioni derivante dalla misura greca, in particolare, nonsarebbe giustificabile né a titolo di tutela dei diritti di proprie-tà industriale e commerciale, per il caso di uva secca coper-ta da DOP, né, con riguardo all’uva secca sprovvista diDOP, a titolo di tutela dei consumatori: in entrambi i casi lamisura attuata risulterebbe non coerente col perseguimen-to di tali obiettivi e soprattutto non conforme ai requisiti diproporzionalità, esistendo altre misure in grado di arrecareun minore pregiudizio alla libera circolazione delle merci cuiil legislatore greco avrebbe potuto ricorrere.

Fornitura di alimenti pronti per il consumo immediato: qua-lificazione ai fini IVA come cessione di beni o prestazione diservizi(Sentenza della Corte di giustizia del 10 marzo 2011, nellecause riunite C-497/09, C-499/09, C-501/09 e C-502/09,Finanzamt Burgdorf c. Manfred Bog e al.)La Corte di Giustizia UE si è pronunciata in merito alladistinzione tra somministrazione e cessione di alimenti conla sentenza resa il 10 marzo 2011 a definizione di quattroprocedimenti instaurati su domanda di pronuncia pregiudi-ziale proposta dal giudice tributario tedesco.Il caso riguardava l’esercizio di attività di fornitura divivande o alimenti pronti per il consumo immediato in luo-ghi quali stand, chioschi-bar mobili e foyer di cinema, e diattività di catering nell’ambito di feste e cerimonie, attivitàche le autorità tributarie tedesche ritenevano doversiqualificare come prestazioni di servizi, perciò non assog-gettabili all’aliquota IVA ridotta prevista per le cessioni dibeni che costituiscano vendite di «prodotti alimentari».Nel chiarire che, al fine della qualificazione di operazionicomplesse quali quelle sopra menzionate come «cessio-ne di beni» o «prestazione di servizi», è necessario con-siderare tutte le circostanze in cui l’operazione vienesvolta e individuare gli elementi caratteristici e predomi-nanti della stessa, la Corte ha sancito che l’attività di ces-sione di vivande e cibi pronti per il consumo immediato instand, chioschi e foyer è da qualificarsi di norma comecessione di beni, essendo la preparazione di tali cibi som-maria e standardizzata e costituendo gli elementi di pre-stazioni di servizi che eventualmente la accompagnanoprestazioni accessorie minime non incidenti sul caratterepredominante della cessione. In questo caso, si è ulte-riormente precisato, i piatti preparati per essere consu-

mati immediatamente rientrano nella nozione di “prodottialimentari” di cui alla normativa dell’UE in materia di IVA,la cui fornitura integra, quindi, una «cessione di prodottialimentari» soggetta ad aliquota IVA ridotta.Per quanto riguarda invece le attività di catering la Corte -in linea, peraltro, con la definizione di catering fornita dalrecente regolamento di esecuzione (UE) n. 282/2011 relati-vo al sistema comune di IVA - ritiene che esse costituisca-no di norma prestazioni di servizi, in quanto risultato di unacomponente rilevante di elementi di servizi combinata ad unaltrettanto non trascurabile lavoro di know-how.

Alimenti e mangimi geneticamente modificati: legittimazio-ne all’adozione di misure d’urgenza(Conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi del 22 marzo2011, cause riunite da C-58/10 a C-68/10, Monsanto SAS ealtri)Sono state presentate il 22 marzo 2011 le conclusioni del-l’avvocato generale Mengozzi nella causa Monsanto SAS ealtri, che nasce dalla riunione di undici procedimenti instau-rati in seguito alla sottoposizione alla Corte di altrettantedomande di pronuncia pregiudiziale da parte del Conseild’État francese. La questione giuridica sui cui i Giudicidell’Unione devono pronunciarsi nasce dal divieto di coltiva-zione del mais geneticamente modificato MON 810 impo-sto, nel febbraio 2008, dalle autorità francesi sulla basedella c.d. clausola di salvaguardia di cui all’art. 23 della dir.2001/18. Il giudice del rinvio, sostanzialmente, chiede allaCorte di stabilire se, a fronte di un OGM che costituisce unalimento per animali che sia stato già autorizzato sulla basedella normativa in vigore precedentemente al reg.1829/2003 relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamen-te modificati e per cui sia in corso la procedura di rinnovodell’autorizzazione, le misure di urgenza adottabili durantequesto periodo transitorio trovino il loro fondamento nell’art.34 del reg. 1829/2003, che attribuisce tale competenza allaCommissione, oppure nell’art. 23 della dir. 2001/18, chevede quali soggetti legittimati gli Stati membri o, ancora, inentrambe le disposizioni.L’avvocato generale ritiene che la base giuridica per l’ado-zione di provvedimenti urgenti, nel caso di specie, nonpossa che essere l’art. 34 del reg. 1829/2003, essendo cheil mais MON 810, inizialmente autorizzato sulla base delladirettiva 90/220/CE, è stato poi notificato come prodotto esi-stente ai sensi dell’art. 20 del reg. 1829/2003, e non quindisulla base della direttiva 2001/18. Legittimata all’adozione dimisure urgenti ex art. 34 del reg. 1829/2003 – seppur in pre-senza di un rischio di danni per la salute o l’ambiente nonmeramente ipotetico - è perciò la Commissione, con la pos-sibilità per gli Stati membri di adottare misure unilaterali soloa titolo provvisorio e in via sussidiaria ed eccezionale, allor-ché non si riscontri un’azione tempestiva della prima. Illecito, dunque, secondo l’avvocato generale, è il divieto dicommercializzazione del mais MON 810 imposto dal gover-

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Anno V, numero 1 • Gennaio-Marzo 201149

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no francese, che avrebbe dovuto previamente investire delproblema la Commissione. Si tratta di affermazioni di indub-bio rilievo, rispetto alle quali sarà interessante vedere comesi orienterà la Corte nel prendere una decisione che potràavere certamente riflessi importanti sull’attuale scenario diregolamentazione degli Ogm nell’Unione europea.

Prosegue la controversia sulla registrazione del marchiocomunitario «BUD»(Sentenza della Corte di giustizia (grande sezione) del 29marzo 2011, causa C-96/09 P - impugnazione della senten-za del Tribunale del 16 dicembre 2008, cause riunite T-225/06, T-255/06, T-257/06 e T-309/06, Budĕjovcký Budvarc. UAMI – Anheuser-Busch (BUD))

La Corte di giustizia UE, con la sentenza del 29 marzo 2011(C-96/00 P), si è nuovamente pronunciata in materia dimarchi comunitari. La causa in questione aveva ad oggettol’impugnazione da parte della Anheuser-Busch Inc. dellasentenza del Tribunale del 16 dicembre 2008 (cause riuniteT-225/06-T-255/06,T-257/06, T-309/06, Budĕjovcký Budvarc. UAMI), con cui erano stati accolti i ricorsi proposti dallasocietà ceca Budvar avverso le decisioni dell’UAMI cheavevano rigettato una serie di opposizioni alla registrazionecome marchio comunitario del marchio figurativo e denomi-nativo «BUD» proposte dalla stessa società; questa avevainvocato l’esistenza di una registrazione anteriore relativa almarchio internazionale figurativo «Bud», ottenuta per il pro-dotto Birra con effetto in Italia, Austria e Benelux, nonchél’esistenza della denominazione «bud» quale tutelata indiversi Stati membri dell’Unione.Il Tribunale, ritenendo che l’UAMI fosse incorso in una vio-

lazione dell’art. 8, n. 4, reg. n. 40/94 sul marchio comuni-tario, aveva annullato le decisioni contestate. LaAnheuser-Busch ha così impugnato tale sentenza avantila Corte di giustizia, che ha deciso per un annullamentoparziale della stessa. Secondo la Grande sezione, ilTribunale sarebbe incorso in un triplice errore di diritto nel-l’interpretare la suddetta disposizione che – ricordiamo -prevede due condizioni per l’esclusione dalla registrazio-ne di un marchio a seguito di opposizione da parte del tito-lare di un marchio non registrato o di un contrassegno uti-lizzato nella normale prassi commerciale e di portata nonpuramente locale: l’acquisizione di diritti a tale contrasse-gno prima della data di presentazione della domanda diregistrazione del marchio e la sussistenza in capo al tito-lare di tale contrassegno dello specifico diritto di vietarel’uso di un marchio successivo. La Corte ha sancito che la «portata non puramente loca-le» del segno cui fa riferimento l’art. 8, n. 4 del reg. 40/94non va interpretata come estensione geografica della suaprotezione, bensì in termini di portata del suo utilizzo.Questo utilizzo deve essere «sufficientemente significati-vo nel traffico commerciale» e va valutato necessaria-mente con riferimento al territorio di protezione. La Corte,infine, ha stabilito che il diritto dell’opponente di vietarel’utilizzo del marchio deve necessariamente sussistereanteriormente alla data di deposito della domanda di regi-strazione dello stesso, avendo però l’opponente l’onere diprovare esclusivamente la disponibilità di tale diritto e nonanche che esso sia stato effettivamente esercitato consuccesso. Ritenendo che lo stato degli atti non consentis-se una definizione della controversia la Corte ha però rin-viato la causa al Tribunale, da cui ci si attende, perciò, unanuova pronuncia con riferimento ai punti sopra esposti.

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