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TEMA Galileo Galilei idee per l’educazione SETTEMBRE 2009 nuova serie numero 74 - seTTemBre 2009 (1. 2009) • Tariffa R.O.C.: Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, DCB (Como) 8 EURO Sebbene meridionale Nuove superiori? Distingue frequenter La valutazione dell’insegnamento della religione cattolica Una sen- tenza illuminante I quattro lati del triangolo artistico Oltre lo sguardo nazionale Emigrante clandestino! Nido sonoro Shirin, Marjane e le altre Essere ragazzi al tempo di Berlusconi Quasi Stato di diritto... Segalini non mi parli di sesso Educazione non formale I giovani protagonisti del cinema dei Sud del mondo Bocciare o non bocciare? Ritorno al passato La terra. istruzio- ni per l’uso I sogni nel cassetto Rete e interculturalità Un vocabolario tutto per noi Perché leggere e scrivere fiabe in clas- se L’educazione smarrita TEXT Democrazia e Educazione
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Sebbene meridionale • Nuove superiori? • Distingue frequenter • La valutazione dell’insegnamento della religione cattolica • Una sen-tenza illuminante • I quattro lati del triangolo artistico • Oltre lo sguardo nazionale • Emigrante clandestino! • Nido sonoro • Shirin, Marjane e le altre • Essere ragazzi al tempo di Berlusconi • Quasi Stato di diritto... • Segalini non mi parli di sesso • Educazione non formale • I giovani protagonisti del cinema dei Sud del mondo • Bocciare o non bocciare? • Ritorno al passato • La terra. istruzio-ni per l’uso • I sogni nel cassetto • Rete e interculturalità • Un vocabolario tutto per noi • Perché leggere e scrivere fiabe in clas-se • L’educazione smarrita • TEXT Democrazia e Educazione

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Redazionevia Magenta 13, 22100 Comotel. [email protected]

Direttrice responsabileCeleste Grossi

VicedirettoreAndrea Bagni

RedattoriBianca Dacomo Annoni, Francesca

Capelli, Paolo Chiappe, Maurizio Disoteo, Marisa Notarnicola, Cesare Pianciola, Andrea Rosso, Gianpaolo Rosso, Giovanni Spena, Filippo Trasatti, Stefano Vitale

CollaboratoriGiovanna Alborghetti, Monica Andreucci, Guido Armellini, Antonella Baldi, Marta Baiardi, Antonia Barone, Gabriele Barrera, Annita Benassi, Giorgio Bini, William

Bonapace, Franco Calvetti, Andrea Canevaro, Minny Cavallone, edoardo Chianura, Angelo Chiattella, Rosalba Conserva, Vita Cosentino, Marina Di Bartolomeo, Lella Di Marco, Mauro Doglio, Lidia Gargiulo, Maria Letizia Grossi, Toni Gullusci, Monica Lanfranco, Mariateresa Lietti, Marco Lorenzini, Franco Lorenzoni, Francesca Manna, Raffaele Mantegazza,

Corrado Mauceri, Cristina Meirelles, Alberto Melis, Luciana Mella, Bruno Moretto, Giorgio Nebbia, Filippo Nibbi, enrico Norelli, Laura Operti, Carlo Ottino, Giuseppe Panella, Pino Patroncini, Vito Pileggi, Nevia Plavsic, Rinaldo Rizzi, Marcello Sala, Nanni Salio, Antonia Sani, Cosimo Scarinzi, Maria Antonietta Selvaggio, Angelo Semeraro, Scipione Semeraro, Rezio

NUMERO 74 SETTEMBRE 2009

c o s t r u i r e l ’ u g u a g l i a n z a l i b e r a r e l e d i f f e r e n z e

Sisini, Monica Specchia, Marcello Vigli

Grafica e impaginazioneNatura e comunicazione Como (Andrea Rosso con Marco Bracchi)

AbbonamentiAttivazione immediata:tel. 031.268425,[email protected]: (4 numeri + 10 lettere telematiche + CDiario + 2

cd rom tematici): 45 euroSostenitore: 70 euroVersamenti sul conto corrente postale n. 25362252 intestato aAssociazione Idee per l’educazione, via Anzani 9, 22100 Como. Registrazione Tribunale di Como n. 1/2001 del 10 gennaio 2001

StampaFotocomp sncvia Varesina 3, 22075

Lurate Caccivio (Como)tel. 031 494454

Proprietà della testataAssociazione Idee per l’educazione. Sede legale: via Anzani 9, 22100 Como

Consiglio di amministrazioneBianca Dacomo Annoni (vice presidente), Andrea Rosso, Gianpaolo Rosso, Filippo Trasatti (presidente), Stefano Vitale

eDIt3 Sebbene meridionale • CeLeSTe GROSSI

PRe4 Nuove superiori? • PAOLO CHIAPPe6 Distingue frequenter • ANTONIA SANI 8 La valutazione dell’insegnamento della religione cattolica • MARIA MANTeLLO9 una sentenza illuminante

tema GaLILeO GaLILeI a cura di CeLeSTe GROSSI e CeSARe PIANCIOLA10 Signor Sarsi, la cosa non istà così • CeSARe PIANCIOLA12 Intervista a Margherita Hack • CeLeSTe GROSSI, CeSARe PIANCIOLA14 Il nostro scrittore più grande • eNRICO NOReLLI16 Galileo Galilei visto al cinema • GIuSePPe PANeLLA17 I documenti perduti del processo a Galileo • LuCA DeSIATO19 Tra mostre e libri • A cura di GASPARe POLIZZI

IDee PeR L’eDUCaZIONe20 I quattro lati del triangolo artistico • GIANFRANCO STACCIOLI22 Oltre lo sguardo nazionale • WILLIAM BONAPACe, MARIA PeRINO 24 emigrante clandestino! • MAuRIZIO DISOTeO 25 eSPeRIeNZe NARRATe Nido sonoro • MARIO PIATTI 26 FACCIAMO PACe Shirin, Marjane e le altre • CeLeSTe GROSSI27 NOTe IN CONDOTTA essere ragazzi al tempo di Berlusconi • ANDReA BAGNI27 Le LeGGI Quasi Stato di diritto... • CORRADO MAuCeRI28 CORSIVO Segalini non mi parli di sesso • ANTeO CROCIONI 28 educazione non formale

maPPamONDO29 I giovani protagonisti del cinema dei Sud del mondo • CINZIA QuADRATI 31 L’eRBA DeL VICINO Bocciare o non bocciare? • PINO PATRONCINI

De ReRUm NatURa33 Ritorno al passato35 La terra. Istruzioni per l’uso • STeFANO VITALe

mODI e meDIa36 I sogni nel cassetto • STeFANO VITALe38 NAVIGO eRGO SuM Rete e interculturalità • eDOARDO CHIANuRA38 un vocabolario tutto per noi • MONICA LANFRANCO 39 SCRIPT Perché leggere e scrivere fiabe in classe • MARIA LeTIZIA GROSSI40 IL LIBRO L’educazione smarrita • STeFANO VITALe41 HuMuS

teXt42 Democrazia e educazione • NORBeRTO BOBBIO48 TReND • LOReNZO SANCHeZ

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editc o s t r u i r e l ’ u g u a g l i a n z a l i b e r a r e l e d i f f e r e n z e

Sebbene meridionaleCeLeSTe GROSSI

Un amico insegnante mi ha chiesto in prestito una t-shirt che più volte mi ha visto indossare, dal mo-mento che dall’inizio degli anni Novanta periodicamente mi è toccato tirarla fuori dall’armadio. La vuole per metterla il primo giorno di scuola. Sulla maglietta è stampato il cranio di un ominide con la scritta “Oui je sui terun”. Capisco il suo disagio (sia il mio amico che io abbiamo vissuto la maggior parte della nostra vita a Como, ma entrambi siamo nati nel Sud Italia) e il messaggio che cerca di dare ai suoi alunni e alle sue alun-ne, ma soprattutto ai loro genitori e ai suoi colleghi. Gliela darò con piacere purché me la restituisca subito, penso che mi servirà sempre più frequentemente.

Nei miei primi anni di insegnamento, qui nelle Prealpi lom-barde, la Lega non esisteva. Il razzismo sì, ma era all’acqua di rose. È capitato che il padre di un mio alunno, con l’intento di complimentarsi, dicesse a me − che ancora oggi ho uno spic-cato accento campano (neppure io so dire se prevalentemente napoletano, casertano o di Altavilla Irpina), con qualche in-flessione calabrese (catanzarese e di Reggio Calabria) −: «Non si sente per niente che è meridionale». O, al massimo, che un collega di educazione musicale scrivesse su una scheda di va-lutazione, in una lingua tutta sua, il giudizio: «Sebbene meri-dionale, l’alunna è molto musicale».Ora i tempi sono cambiati e le vittime del razzismo pure. In questa corsa alla denominazione di origine controllata anche delle persone, bambine e bambini compresi, si arriva a pro-porre di introdurre come materia di studio il dialetto (e chi lo dovrebbe insegnare? e le verifiche sarebbero solo orali o anche scritte?) e di sottoporre gli insegnanti da reclutare ad un test di conoscenza dei dialetti locali (il plurale è d’obbli-go, visto che ci sono differenze anche a pochi chilometri di distanza). Alla Lega Nord l’Associazione Nazionale Docenti ri-sponde: «per evitare proposte tanto inconsistenti quanto de-magogiche, sarebbe utile introdurre anche per i candidati al Parlamento della Repubblica Italiana un test di conoscenza

della cultura e della lingua italiana oltre che della Costituzione». La boutade estiva di umberto Bossi non ha riscosso entusiasmi neppure all’interno della maggioranza. «La Lega ritiene che vada introdotto lo studio del bergamasco o del dialetto della Val Trompia nella scuola. Io sono personalmente e serenamente contrario − ha detto il vicepresidente dei deputati del Pdl, Osvaldo Napoli −. Non solo questo punto non fa parte del programma di governo (e già questo basterebbe). Ma sono con-trario per la semplice ragione che i futuri imprenditori della Val Brembana faranno ottimi affari a Pechino o a Mosca o a New York a condizione che sapranno esprimersi in inglese. Pensare invece che il dialetto sia un prerequisito per ammettere un insegnate in graduatoria o ammettere un alunno in una classe, lo trovo inutil-mente eccentrico». «Non voglio fare polemiche – ha risposto Bossi –. Per parlare all’estero occorre l’inglese, per parlare con la propria gente il dialetto va benissimo». Il senatùr non demorde. Alle parole del ministro Maria Stella Gelmini – «Penso che la scuola debba occuparsi anche di trasmettere ai ragazzi la conoscenza dell’identità, della storia dei luoghi e della cultura di un de-terminato territorio. Non mi soffermerei troppo sul dialetto, ma credo però che sia importante la difesa del-l’identità, che è fatta anche di tradizioni locali.» – Bossi ha ribadito: «Stop alla carcerazione dei nostri dia-letti imposta da Roma ladrona. Scriveremo una legge per la salvaguardia dei nostri dialetti che devono essere insegnati anche nelle scuole perché rappresentano la nostra storia e per secoli sono stati la nostra lingua».

Come compito a casa ciascuno traduca la seguente frase in cinque dialetti a piacere: Vi auguro un buon anno scolastico.

ul dialet de la galasia

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école numero 74 pagina 4

preLa prima fase dell’operazione consisten-te nell’imporre una sconosciuta Gelmini come esecutrice di provvedimenti di taglio finan-ziario e di appropriazione moderata del con-trollo sul sistema formativo è stata vinta dal-la maggioranza compatta al seguito del duo Berlusconi-Tremonti. Vittoria ai punti, rever-sibile, ottenuta sullo slancio delle elezioni e di un prudente defilarsi di forze interme-die (Cisl, uil, dirigenti, collegi docenti an-ziani proni esteriormente ai diktat e pronti invece a lavorare come termiti sotto la scor-za per trovare scappatoie individuali ai tagli ecc.). Come l’ultimo degli Orazi di Tito Livio, il capo del governo con la sua finora stabile fortuna ha potuto affrontare separatamen-te i movimenti scolastici dell’autunno e gli scandali personali di primavera. Forse pri-ma o poi si troverà ad affrontare più di un Curiazio alla volta. Nella scuola un piccolo ro-gnoso Curiazio che già si erge è quello dello stesso iter applicativo di questi provvedimen-ti lanciati con forzature legislativa di parten-za cioè a colpi di decreto ma in più anche con disinvolture tali da ledere i principi costitu-zionali sulla divisione dei poteri soprattutto nel rapporto Stato-Regioni, da qui ricorsi e sentenze che unite a una resistenza dal basso potrebbero creare notevoli grane al governo nel cui piano per la scuola la velocità e l’im-mediatezza dei risultati, imposti dal ministe-ro dell’economia, sono strategiche.

Nuove superiori?Non siamo nemmeno di lontano a una nuova fase reazionaria organica parago-nabile a quella gentiliana perché manca teoria generale e manca coerenza am-ministrativa in quello che viene fatto nella scuola e nelle superiori in specie, tutto è calato sbrigativamente dall’esterno, tutte le svolte sono possibili con-tando sulla smemoratezza collettiva. Le destre postmoderne agiscono così an-che perché sono ancora oggi più esterne che interne alla scuola, non la conosco-no nel suo funzionamento concreto, è anche il loro vantaggio immediato questa estraneità, e del resto non c’è una strategia di destra coerente e organica per la scuola stessa

PAOLO CHIAPPE

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école numero 74 pagina 5

Fretta, estraneità, confusioneÈ da questa fretta che nasce anche la sciocchezza di un riordino che parte nel 2010/2011 ma riguarderà anche le seconde classi, costringendo cinquecentomila ragazzi e ragazze che iniziano ora la scuola superio-re a fare il primo anno con il vecchio siste-ma per poi passare ad orari, materie ed or-ganizzazione nuovi dal secondo anno. Il che apre la strada a problemi di giustizia ammi-nistrativa e complicazioni valuative: come si potrà valutare seriamente un alunno che è stato costretto dal governo stesso a fare una conversione a u in marcia?Le destre postmoderne agiscono così an-che perché sono ancora oggi più esterne che interne alla scuola, non la conoscono nel suo funzionamento concreto, è anche il loro vantaggio immediato questa estraneità, e del resto non c’è una strategia di destra coerente e organica per la scuola stessa. Per quello che può contare, anche in contempo-ranea le due giovani educatrici Maria Stella Gelmini e Giorgia Meloni dicono cose abba-stanza opposte. Il primo programma di Forza Italia nella le-gislatura 1994 era riassunto in un progetto di legge di poche righe che dava i soldi ai genitori perché mandassero i figli dove vo-levano, non era previsto nemmeno un con-trollo igienico-sanitario sugli esercenti pri-vati. Non siamo nemmeno di lontano a una nuova fase reazionaria organica paragonabi-le a quella gentiliana perché manca teoria generale e manca coerenza amministrativa in quello che viene fatto nella scuola e nel-le superiori in specie, tutto è calato sbriga-tivamente dall’esterno, tutte le svolte sono possibili contando sulla smemoratezza col-lettiva. una manipolazione dal basso impre-vista ma prevedibile si infiltra poi anche nei provvedimenti che potrebbero parere più cri-stallini nel loro principio d’ordine, creando comiche confusioni di significati: il voto di condotta che ora fa media viene magari usa-to, invece che come elemento di severità, per alzare le medie finali quindi i crediti, in una spirale burocratica di interpretazioni che premia soprattutto l’adesione esteriore ai valori formali richiesti dalla scuola. Non c’è un filo logico, non c’è nessuna elabora-zione pedagogica, il senso di ciò che voglio-no le destre per la scuola si trova più che altro nelle omissioni, nei silenzi, nell’igno-ranza finta o vera della complessità, in un dolce lasciarsi andare al più nostalgico dei semplicismi che finisce per diventare uno dei tanti elementi del cocktail postmoderno. Le regole di selezione dei giornalisti diret-ti dall’alto formano intorno a queste opera-zioni uno pseudo-ambiente fino a cancellare dalla coscienza immediata il senso dell’as-surda situazione a cui ci tocca di assistere: i responsabili della diffusione dei valori e del livello intellettuale di Italia 1 e Canale 5, delle feste di villa Certosa, che si fanno avanti per salvare la gioventù italiana dal-l’incultura. Insegnanti con tanto di laurea applaudono la patacca o tacciono ipnotizza-ti tanta è la paura di staccarsi dall’opinione posta artificialmente dai media come domi-nante nel gruppo. Per un po’ almeno.

NostalgiaFino a qualche tempo fa sembrava prevale-re a destra la tendenza all’aziendalismo e al familismo (da qui la centralità del buo-no scuola). Ora quasi improvvisa c’è stata la svolta verso i valori tradizionali, le certez-ze disciplinari, il rifiuto della dottrina dello studente-cliente, rifiuto sostenuto con vee-menza da Giorgio Israel leader del “Gruppo di Firenze” e consigliere del governo. Però continua anche il trasferimento (incostitu-zionale) di risorse dal pubblico alle priva-te che sono proprio il nido di ciò che Israel aborrisce, con la sfacciata pratica dei pluri-mi buoni scuola. Le posizioni del “Gruppo di Firenze” han-no uno sfondo da analizzare, che è l’esi-genza quasi leninisticamente messa avanti a tutto di riportare al centro la questione dei contenuti appresi e quindi degli strumenti di controllo e, in ultima istanza, di affida-re il recupero di prestigio degli insegnan-ti al recupero di credibilità delle bocciatu-re. Questo è il loro volontario semplicismo, diverso da (benché alleato con) il semplici-smo berlusconiano della pseudo realtà flut-tuante. Da qui comunque la scelta comune alle de-stre e ai loro collaboratori di mettere da par-te la complessità, di identificare come nemi-co principale uno solo, il cosiddetto confuso pedagogismo della sinistra figlio del ’68. Da qui l’uso che Israel crede di fare di questo governo e l’uso che questo governo fa di Israel e di altri come lui. Da qui la volontà direi disperata di eleva-re di buttare via il bambino dell’attivismo pedagogico insieme con qualsiasi altra ac-qua sporca o pulita che sia. Questa ideologia esclude in sé quindi che abbia senso partire da una riflessione su come far amare lo stu-dio ai giovani. Ma curiosamente questo contenutismo esclu-de anche la domanda che dovrebbe stare più a cuore ai contenutisti: quali contenuti sono davvero essenziali oggi? I contenuti non si discutono.Infatti il pacchetto per le superiori in realtà non parte neanche da una strategia che ri-metta al centro i contenuti né dalla promo-zione della professionalità degli insegnanti. Parte da tagli stabiliti a monte e usa a valle il semplicismo pedagogico delle Mastrocola, l’innamorata degli esami di riparazione, e degli Israel. Tagli di orario e quindi di cat-tedre che non mirano affatto a ricompatta-re in modo sensato i nuclei disciplinari né prevedono di utilizzare le risorse risparmia-te dentro la scuola stessa per ciò che vi è di più urgente (edilizia, sicurezza, arredo, la-boratori, sostegno, mense, biblioteche, corsi di aggiornamento) né ancor meno prevedo-no subito dopo di promuovere investimenti nuovi di qualità progettati davvero in modo non contingente né localistico. Niente di tutto questo.

Le caratteristiche del riordinoQuesto riordino si caratterizza per due inter-venti: il primo è la riduzione del numero de-gli indirizzi per tipologia di scuola, che pas-sano da 10 a 6 per i Licei, da 43 a 11 per gli

istituti tecnici, da 31 a 6 per gli istituti pro-fessionali. In totale, si passa da 84 indirizzi principali (più una miriade di sottoindirizzi) a 23. Il secondo è la soppressione di molte ore di insegnamento: nei licei saranno 27 a settimana nel biennio (891 ore annue), 31 ore nel triennio (1.023 ore annue). Per gli istituti tecnici e per i professionali l’orario sarà di 32 ore settimanali, 1.056 ore annue. La classica divisione tra istruzione liceale e tecnica viene confermata per l’ennesima vol-ta, senza peraltro ripensare il senso né del-l’una né dell’altra filiera. La riduzione di ore e di indirizzi non è in astratto né un male né un bene; anzi sfolti-re sarebbe piuttosto un bene, a condizione però che fosse il punto di arrivo di una defi-nizione dei nuclei essenziali e di una nuova meditata calibratura tra elementi cognitivi libreschi e scuola laboratorio.La media Ocse per gli studenti di 15 anni varia tra 971 e 890. Questi dati puramente quantitativi dicono poco perché si tratta di vedere con quanti alunni per classe, quanto tempo viene dedicato a lezioni frontali, e con quali strumenti didattici, quanto a ef-fettivi laboratori, a attività di gruppo, qual è la logica didattica di ciò che si fa, la qua-lità della partecipazione e dell’impegno dal-l’alto e dal basso, la possibilità di comparare i risultati in termini di conoscenze acquisite e di mobilità sociale ottenuta. e soprattutto quanto si punta sulla qualità del corpo inse-gnante, che si ottiene invogliando i migliori a dedicarsi a tale professione, e invoglian-do quelli che sono dentro la professione a sviluppare le loro attività e competenze mi-gliori. Svilupparle nell’insegnamento, non in altre funzioni e pseudocarriere che allonta-nano dalla prima linea. Quindi incentivando-li con retribuzioni adeguate, selezioni accu-rate, formazione all’ingresso, aggiornamento professionale, composizione e distribuzione razionale delle cattedre e stabilità dell’in-segnamento nel tempo, luoghi di lavoro at-trezzati e belli. È fondamentale creare agli insegnanti le condizioni per uscire dall’isolamento ideali-stico, in realtà burocratico, e dare strumenti reali per la progettazione cooperativa e per il lavoro di gruppo tra educatori. Per capire che si sta andando in direzione esattamente opposta basta ricordare che adesso viene portato a compimento il pro-cesso di cosiddetta saturazione e quindi scomposizione casuale delle cattedre, spaz-zando via anche le ultime riserve naturali privilegiate intatte come l’insegnamento di storia e filosofia nei classici.È alla luce di questi fatti che deve esse-re esaminato anche il vero significato del-la “carriera” previsto dal disegno di legge Aprea, tutto fondato sul principio di disar-ticolazione e disuguaglianza delle funzioni dell’insegnamento. Ciò che si sta togliendo in termini di senso professionale autentico lo si vuole compen-sare con una nuova gerarchia premiale arti-ficiosa e che riversa nella scuola il rischio di una logica parauniversitaria di cooptazione e di nepotismo da cui era rimasta finora per miracolo esente.

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école numero 74 pagina 6

L’esercizio della laicità ha il suo fon-damento nell’azione del distinguere: separa-re per conoscere. Ce lo ricorda spesso Lidia Menapace in quel suo citare con compiaci-mento il monito di Tommaso d’Aquino: «di-stingue frequenter».A ben vedere una prima distinzione riguarda il significato stesso del distinguere. Dobbiamo rifiutarci di “distinguere” quando il contesto in cui questo verbo si colloca lo fa divenire si-nonimo di “discriminare”: «senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religioni» re-cita l’articolo 3 della Costituzione. Dobbiamo invece essere in grado di “distinguere” in pre-senza di percorsi, di ambiti, di culture, di reli-gioni, di scelte comportamentali, proprio per non essere indotti a discriminare a causa della nostra ignoranza.Distinguere vuol dunque dire «differenziare per mezzo dell’intelletto cosa da cosa, persona da persona, caso da caso», con tutte le impli-cazioni razionali e sentimentali che una cono-scenza autentica comporta, vale a dire libera-zione da pregiudizi, luoghi comuni, stereotipi, per lasciar “lavorare” ragione e sentimento nel confronto/ laboratorio con la realtà.Se questo fosse il metodo adottato nei pro-getti di “accoglienza”, tale azione potrebbe definirsi laica, diversamente − come spesso avviene − l’azione praticata è ascrivibile a una sorta di indistinta tolleranza rubricata impro-priamente sotto il termine pluralismo.

La “laicità sana”Di questa inadeguatezza a muoversi sul ter-reno delle distinzioni che caratterizza la no-stra società della semplificazione, gode i ric-chi frutti il Vaticano che dall’alto del suo un po’ scalfito ecumenismo ha coniato addirittu-ra una “laicità sana”, di cui detiene il copyri-ght. uno degli aspetti più inquietanti di que-sta operazione, peraltro in sé non nuova, è rappresentato dalla falsa distinzione tra cul-tura cristiana nella tradizione cattolica e fat-to religioso, distinzione la cui strumentalità è più che mai evidente nel Nuovo Concordato, laddove l’aspetto culturale (il cattolicesimo «parte del patrimonio storico del popolo ita-liano») viene ribadito/ accettato per far rien-trare l’IRC tra gli insegnamenti curricolari del-le scuole pubbliche di uno Stato laico, mentre ciò avviene d’intesa tra le due parti solo in grazia dell’ossequio di cui continua a godere la Chiesa cattolica in Italia. Su questa pseudodistinzione poggia il co-stante tentativo delle gerarchie cattoliche e dei politici loro devoti di andare oltre i pur deboli paletti di questo Concordato che se-gnano con la facoltatività della scelta del-l’IRC un simulacro di laicità. Tra i tentativi di fare dell’aspetto culturale della tradizione cattolica un veicolo per “cristianizzare” tut-ta la popolazione scolastica, anche coloro che non scelgono l’IRC, ma che non posso-no divenire preda di quella “laicità insana” in aumento nel mondo cattolico, una volta

Distingue frequenter Il nuovo “Regolamento sulla valutazione” prevede che il docente di attività alternativa comunichi una nota scritta, ma non faccia più parte del Consiglio di Classe per la valutazione. Naturalmente coro di anatemi da parte dei sostenitori dell’ora alternativa. Ha voluto la Gelmini ingraziarsi ulteriormente il Vaticano? Può essere, poiché il numero di chi si avvale potrebbe lievitare… Ma non potrebbe segnare questo provvedimento anche una ripresa delle lotte per una laicità senza compromessi, visto che la discriminazione toccherebbe allo stesso modo tutti e tutte coloro che non scelgono l’insegnamento della religione cattolica? Potrebbe essere finalmente l’IRC a uscire dall’orario scolastico obbligatorio? L’Intesa tra Governo e CeI è già stata ridiscussa nel 1990. Potrebbe esserlo di nuovo, sotto una forte spinta della società civile, delle forze politiche e sindacali. Sarebbe un esempio grande per l’europa. Ma bisogna imparare a distinguere e a non attestarsi nella difesa dell’ora alternativa

ANTONIA SANI

ora di religione

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école numero 74 pagina 7

smarrito l’ancoraggio all’identità religioso-nazionale dell’infanzia, si colloca uno degli ultimi atti del ministro Fioroni. La circolare 45 del 22 aprile del 2008 consente alla ri-chiesta della CeI di “armonizzare la colloca-zione dell’IRC nel nuovo impianto curricolare della scuola dell’infanzia, e del I° ciclo”, su-perando così, senza clamore, il limite di un insegnamento confessionale. Nel febbraio del 2009, Garagnani del Pdl in VII Commissione Istruzione della Camera la risoluzione sulla “Salvaguardia della tradizione culturale e spi-rituale legata al Cristianesimo nelle politiche scolastiche”. Nel corso del dibattito sulla ri-soluzione (approvata a maggioranza col voto contrario del Pd), sono state espresse perle del tipo «I valori del Cristianesimo sono fon-damentali per l’Italia e devono essere tutela-ti anche nelle scuole di ogni ordine e grado. Le altre religioni non possono in nessun caso sminuire l’importanza della religione cattoli-ca.» (P. Goisis LNP); «Si dovrebbe evitare di confondere cosa sia religioso e cosa sia laico, in quanto spesso tale distinzione non è chia-ra.» (R. Farina PdL); «L’importanza della reli-gione cattolica e della tradizione cristiana è confermata anche dal fatto che il Presidente Obama ha giurato sulla Bibbia» (V. Aprea pre-sidente della commissione). Qualche perla è stata formulata anche nell’opposizione: e. G. De Biase (Pd) ha ritenuto inesatta la formula-zione della proposta di risoluzione in quanto il avrebbe dovuto riferirsi non al cristianesi-mo ma alla religione cattolica. e, a proposito di distinzioni e di laicità (!), ha affermato di non condividere l’eliminazione del crocefisso dalle aule, in quanto la cultura cattolica deve essere tutelata.

Sia fatta la volontà della maggioranzaMa quando dalle sedi della politica ligia al Vaticano ci si inoltra nel mondo della scuo-la, l’indignazione cresce. Ciò che maggior-mente suscita scandalo nella nota vicenda del professor Coppoli, rinviato a giudizio al Tribunale di Terni sulla base di accuse del di-rigente scolastico del suo Istituto per aver tolto dalla parete il crocefisso durante la sua ora di lezione, è il tenore delle accuse. Vi rie-cheggiano gli argomenti contenuti nella pro-posta di risoluzione appena citata, che dimo-strano una volta di più il loro radicamento anche nei luoghi destinati alla formazione dei giovani ai principi costituzionali. Il dirigente si fa scudo della volontà «maggioritaria» de-gli studenti che egli «è tenuto a garantire» di fronte alla quale la libertà d’insegnamento deve cedere. e sostiene: «diverse sentenze di varie autorità hanno affermato che l’esposi-zione del crocefisso non appare censurabile con riferimento alla laicità dello stato». Gli fa eco la pronuncia del Consiglio di Disciplina del CNPI, il massimo organo elettivo dei do-centi, che dopo aver proclamato il dovere del docente di rispettare la volontà espressa dalla maggioranza degli alunni, valuta come

«pretestuoso il richiamo alla libertà di inse-gnamento in quanto smentito dai comporta-menti successivi in mancato raccordo con la volontà espressa dal consiglio di classe».Ci troviamo palesemente in presenza di un uso strumentale del simbolo religioso, sul quale si possono fare questioni di maggio-ranza e minoranza non ammissibili in materia di fede ma evidentemente ammissibili se del crocefisso si fa un simbolo culturale, soste-nuto da una maggioranza (?) che vi ravvisa valori familiari da salvaguardare per non nau-fragare nell’ignoto.L’idea che la laicità della scuola risieda in quella fondamentale distinzione tra autono-mia dei valori civili e fede religiosa che rende incompatibile la presenza di qualsiasi simbo-lo religioso all’interno delle aule scolastiche non è stata minimamente presente nel re-sponso del CNPI.

L’autonomia delle religioniuna recente indagine condotta da Pino Patroncini sulla base del libro Des maitres et des Dieux- ecoles et religions en europe, (St.etienne 2005) aiuta a capire un po’ di quan-to avviene in europa sul terreno dell’insegna-mento religioso. Va detto che non ne uscia-mo molto confortati. Anche qui però occorre distinguere. Innanzitutto, se la presenza ge-neralizzata di un insegnamento religioso nel quadro dell’orario scolastico (fanno, in par-te, eccezione Francia, ungheria e Slovenia) suscita sconcerto, colpisce positivamente la pluralità delle religioni che con pari diritto vi hanno accesso. Il caso di un insegnamento religioso unico riguarda solo Italia (religio-ne cattolica), Cipro e Grecia (religione orto-dossa), Turchia (religione islamica). In molti paesi non sono previste attività alternati-ve alla scelta facoltativa, o obbligatoria con esonero, dell’insegnamento religioso. Quasi ovunque è previsto un non meglio precisa-to “controllo statale”. Non risultano dati sulle modalità di retribuzione dei docenti.In questo quadro a dir il vero desolante se per laicità della scuola si intende non il plu-ralismo religioso ma l’autonomia dalle religio-ni, spicca il referendum di Berlino della pri-mavera scorsa, voluto da un’associazione di cattolici e protestanti sostenuti da gruppi di musulmani moderati, per mettere sullo stesso piano dell’“etica” (materia obbligatoria) un insegnamento religioso, attualmentefacoltativo. Il referendum è clamorosamente fallito, grazie alla coscienza autenticamente laica − così appare − della grande maggioran-za dei berlinesi.La sua eco in Italia ha rinvigorito – in questo caso impropriamente – la polemica sull’ora alternativa; come se un’ora alternativa all’IRC con programma certo e attraente possa risol-vere la discriminazione subita dai non avva-lenti. Si è assistito addirittura in una scuola elementare di Roma a un’alleanza inedita tra genitori di alunni dell’Irc e di non avvalenti,

per richiedere un’attività certa e programma-ta per chi non segue l’IRC.Su questo punto l’incapacità di distingue-re tocca il culmine. L’IRC è considerato dalla gran parte di genitori e studenti “una materia come le altre”, (visto il permanere della sua collocazione all’interno dell’orario scolastico obbligatorio!). Dal docente di religione catto-lica molti preferirebbero un insegnamento di Storia delle religioni, ignorando la particola-re figura di questo docente fornito di idonei-tà dal Vicariato per l’insegnamento della reli-gione cattolica mentre è compito della scuola storicizzare le religioni come altre espressioni dell’umanità nei secoli , compito che spetta agli insegnanti delle varie discipline e non al docente di religione cattolica. Insomma, si va perdendo il senso del privilegio consentito a una sola religione, per di più all’interno del-l’orario obbligatorio, (collocazione determina-ta non dal Concordato, bensì dalla successiva Intesa tra Governo e CeI nel 1985).La vicenda del professor Marani di Cesena rientra in questo quadro.Alunni e alunne preferirebbero all’irc altri in-segnamenti (diritti umani, storia delle religio-ni…), quindi il Collegio dei Docenti si impe-gni a programmarli e a destinarvi un docente. e la scuola sarà laica! Da un lato la proposta è stata giudicata un attacco all’IRC, ma dal-l’altro essa tende a consolidarlo rendendolo di fatto opzionale, e discriminando ancor più all’interno dei non avvalenti coloro che scel-gono − legittimamente autorizzati dalla Corte Costituzionale − un’opposizione di principio non sottostando ad alcun palliativo.

L’autentica laicitàVanno invece in direzione di un’autentica lai-cità lotte come quella innescata per il terzo anno consecutivo da numerose associazioni laiche, confessioni religiose, studenti, con ri-corsi al TAR Lazio per sottrarre l’assegnazio-ne del credito scolastico nell’ammissione agli esami di Stato ai docenti di religione cattolica cui sono equiparati i docenti di attività alter-nativa, con buona pace di coloro che volon-tariamente o giocoforza trascorrono quell’ora privi di docenti.Poi l’ultima giravolta del nuovo Regolamento sulla Valutazione che prevede che il docen-te di attività alternativa comunichi una nota scritta, ma non faccia più parte del Consiglio di Classe per la valutazione. A questo punto con una nuova stagione di lotte per la laici-tà senza compromessi si potrebbe ottenere di portare finalmente l’IRC fuori dall’orario sco-lastico obbligatorio. Ma per farlo bisogna im-parare a distinguere e a non attestarsi nella difesa dell’ora alternativa (che da noi è l’op-posto rispetto a Berlino, dove erano le reli-gioni a contendere la scena a una materia di nome “etica” stabilita a pieno titolo nel curri-colo didattico, mentre da noi, a pieno titolo, nel curricolo c’è religione cattolica introdotta per opera dello Spirito Santo).

ora di religione

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La valutazione dell’insegnamento della religione cattolicaL’insegnante di religione cattolica dà un giudizio fuori pagella e non esprime punteggi di valutazione

MARIA MANTELLO *

alcuni organi d’informazione hanno posto un nesso alquanto improprio tra la Sentenza del Tar del Lazio sull’IRC (n. 7076 del 17 luglio 2009) e il Regolamento sulla valutazione della ministra Gelmini (DPR 22 giugno 2009 n° 122, pubblicato sulla Gu 191, del 19-8-2009). Solo a guardare le date, infatti, si scopre che la sentenza che ha dichiarato illegittimia ogni qualsivoglia attribuzione di punteggio di credito per la religione cattolica e la partecipazio-ne “a pieno titolo” agli scrutini degli insegnanti di questa disciplina, è di luglio, mentre il “Regolamento sulla Valutazione” degli alunni è di giugno. Quindi precedente alla sentenza del Tar. Interessante è inoltre che questo “Regolamento sulla valutazione degli alunni” ribadisca quan-to stabilito già dalle leggi in materia, che come noto precedono ordinanze e circolari governa-tive, dichiarando in pratica che l’insegnante di religione cattolica dà un giudizio fuori pagella e non esprime punteggi di valutazione.A tal proposito confrontare in particolare: - l’articolo 4 – “valutazione sugli alunni nella scuola secondaria di secondo grado” – che nel ribadire il Decreto Legge n° 297 del 16 aprile 1994, afferma: «la valutazione della religione cattolica è comunque espressa senza attribuzione di voto numerico»; - l’articolo 6.1, che nello stabilire il credito minimo per ciascun anno ai fini dell’ammissio-ne agli esami di maturità, esclude da questo calcolo espressamente l’insegnamento cattolico (IRC): «le valutazioni suddette non si riferiscono all’IRC».

* Presidente della Associazione Nazionale del Libero Pensiero “Giordano Bruno”.

NOTA1. Sulla sentenza del Tar del Lazio si possono vedere gli articoli su www.periodicoliberopensiero.it alle pa-gine: http://www.periodicoliberopensiero.it/voci/voci_20090820-mantello-tar.htm; http://www.periodi-coliberopensiero.it/voci/voci_0908_mazzullo.htm.

ora di religione

ILLeGIttImI I CReDItI sCOLastICI PeR L’ORa DI ReLIGIONeCon sentenza n. 7076 del 17 luglio 2009 il Tar del Lazio ha accolto due ricorsi pro-posti per l’annullamento delle Ordinanze ministeriali emanate dall’allora Ministro della Pubblica Istruzione Fioroni per gli esami di Stato del 2007 e 2008 che pre-vedevano la valutazione della frequenza dell’insegnamento della religione cattoli-ca ai fini della determinazione del credito scolastico, e la partecipazione “a pieno titolo” agli scrutini da parte degli inse-gnanti di religione cattolica.

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Il TAR del Lazio tenta di “salvare” la Gelmini I tagli per 8 miliardi nel triennio e la dele-ga in bianco al Governo per la regolamenta-zione delegificata dell’ordinamento scola-stico (articolo 64 del D.L. n.112/08) erano già passati al vaglio positivo della Corte Costituzionale. Durante l’estate, il 24 luglio, il TAR del Lazio, per evitare che gli errori com-messi dal Ministero potessero vanificare gli ef-fetti della manovra finanziaria, ha pubblicato tre sentenze distinte, ma tutte e tre di uguale contenuto, relative ai ricorsi presentati con-tro l’articolo 64 (il testo delle sentenze è re-peribile nel sito www.giustizia-amministrativa.it). Resta ancora aperta la questione degli or-ganici. L’impressione è che i giudici siano con-sapevoli che il Piano Programmatico, previsto nella legge come atto presupposto di tutti gli interventi attuativi, non è stato adottato pri-ma della determinazione degli organici del per-sonale docente. una nuova udienza del TAR è stata fissata al 22 ottobre per definire questo aspetto. In quella data l’anno scolastico sarà iniziato da quasi due mesi con organici illegit-timi operanti a tutti gli effetti ed il Governo sarà pronto a varare un decreto legge per sa-nare il sanabile.

INfOUNa seNteNZa ILLUmINaNteLE ASSOCIAZIONI E CONFESSIONI RELIGIOSE PROMOTRICI DEI RICORSI

Il TAR ha affermato che «l’attribuzione di un credito formativo ad una scelta di carattere religioso degli studenti e dei loro genitori, quale quella di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, dà luogo ad una precisa forma di discriminazio-ne, dato che lo Stato Italiano non assicura identicamente la possibilità per tutti i cittadini di conseguire un credito formativo nelle proprie confessioni ovvero per chi dichiara di non professare alcuna religione in etica Morale Pubblica».Motiva ancora la sentenza che l’interpretazione data dal Ministero dell’Istruzione «ha porta-to all’adozione di una disciplina annuale delle modalità organizzative degli scrutini d’esame, che appare aver generato una violazione dei diritti di libertà religiosa e della libera espres-sione del pensiero; nonché di libera determinazione degli studenti relativamente all’insegna-mento della religione cattolica».I ricorsi sono stati promossi a partire dal 2007 da alcuni studenti e studentesse con numero-se associazioni laiche e confessioni religiose non cattoliche (elenco completo a fine comu-nicato) coordinate dalla Consulta Romana per la Laicità delle Istituzioni e dall’Associazio-ne “Per la Scuola della Repubblica” ed assistite dagli avvocati professori Massimo Luciani, Fausto Buccellato e Massimo Togna. Ad essi il TAR ha riconosciuto la richiesta «di tutela di valori di carattere morale, spirituale e/o confessionale che […] sono tutelati direttamente dalla Costituzione e che quindi come tali non possono restare estranei all’alveo della tutela del giudice amministrativo».La sentenza 7076/2009 del TAR del Lazio è importante perché dà una concreta applicazio-ne al principio supremo della laicità dello Stato nei termini in cui era stato affermato dalla Corte Costituzionale nella nota sentenza n.203/1989. Il TAR, dopo aver ricordato il principio della laicità dello Stato, enunciato dalla Corte Costituzionale come «garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà religiosa, in regi-me di pluralismo confessionale e culturale» (Corte Costituzionale n. 203/89), ha precisato che «sul piano giuridico, un insegnamento di carattere etico e religioso, strettamente at-tinente alla fede individuale, non può assolutamente essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico», la scelta di avvalersi o meno dell’insegnamento della religione cattolica deve essere assolutamente libera e in nessun modo condizionata. «In una società democratica – ha affermato il TAR – certamente può essere considerata una violazione del principio del pluralismo il collegamento dell’insegnamento della religione con consistenti vantaggi sul piano del profitto scolastico e quindi con un’implicita promessa di vantaggi di-dattici, professionali ed in definitiva materiali».A tal proposito, ha precisato ancora la sentenza che «lo Stato, dopo aver sancito il postulato costituzionale dell’assoluta, inviolabile libertà di coscienza nelle questioni religiose, di pro-fessione e di pratica di qualsiasi culto “noto”, non può conferire ad una determinata confes-sione una posizione “dominante” e quindi una indiscriminata tutela – violando il pluralismo ideologico e religioso che caratterizza indefettibilmente ogni ordinamento democratico mo-derno”, infatti “qualsiasi religione – per sua natura – non è né un’attività culturale, né ar-tistica, né ludica, né un’attività sportiva, né un’attività lavorativa, ma attiene all’essere più profondo della spiritualità dell’uomo ed a tale stregua va considerata a tutti gli effetti».La sentenza è illuminante su quali siano oggi i confini posti dalla legge all’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche. Le associazioni e le confessioni promotrici dei ricorsi continueranno ad operare per garantire il rispetto di tali limiti ed auspicano che il Ministero dell’Istruzione prenda atto dell’illegittimità delle ordinanze e non le riproponga negli anni a venire.

Consulta Romana per la Laicità delle Istituzioni, Comitato Insegnanti evangelici Italiani (CIeI), Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, Comitato torinese per la Laicità della scuola, Tavola Valdese, CRIDeS - Centro Romano di Iniziativa per la Difesa dei Diritti nella Scuola, FNISM – Federazione Nazionale degli Insegnanti, Associazione Democrazia Laica, Associazione “XXXI ottobre per una scuo-la laica e pluralista (promossa dagli evangelici italiani)”, Associazione Nazionale del Libero Pensiero “Giordano Bruno”, uAAR - unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni, unione Italiana delle Chiese Cristiane Avventiste del 7° Giorno, Alleanza evangelica Italiana, Associazione “Per la Scuola della Repubblica”, Comitato Bolognese Scuola e Costituzione, C.I.D.I. - Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti, Coordinamento Genitori Democratici, Associazione Scuola università e Ricerca “As.SuR”, Chiesa evangelica Luterana in Italia, unione Cristiana evangelica Battista d’Italia, Movimento di Cooperazione educativa, uCeI – unione delle Comunità ebraiche Italiane, Federazione delle Chiese Pentecostali.

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tem

aGalileo Galilei

Dedichiamo questo tema al quattrocen-tenario galileiano e all’Anno Internazionale dell’Astronomia. Nel 1609 Galilei fece del cannocchiale lo strumento di osservazioni astronomiche, tra cui la somiglianza del-la Luna e della Terra e l’individuazione dei quattro maggiori satelliti di Giove, che era-no prove indirette della validità del siste-ma copernicano, e l’anno successivo le co-municò al mondo scientifico nel Sidereus nuncius. Nel 1616 il cardinal Bellarmino in-timò al grande scienziato di astenersi quo-vis modo dall’insegnare la teoria copernica-na, che invece, confidando nelle apparenti aperture di urbano VIII, Galilei difenderà nell’opera capitale del 1632 Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano, incorrendo nei rigori dell’In-quisizione.

Conflitti e polemicheGalilei è sempre apparso una figura sim-bolica del conflitto tra scienza e autorità religiose, ed è stato oggetto di opere che abbiamo spesso fatto leggere o vedere a scuola, come la Vita di Galileo di Brecht o il Galileo di Liliana Cavani.Ricordo nel 1963 lo straordinario alle-stimento della Vita di Galileo di Giorgio

Strehler, con Tino Buazzelli, al Piccolo di Milano (non ho visto invece quello re-cente, del 2007, di Antonio Calenda, con Franco Branciaroli). All’epoca del Galileo di Strehler ci furono polemiche e discussioni a non finire, con un battagliero Geymonat impegnato a difendere l’indipendenza del-la scienza dai poteri (religiosi e civili) e a illustrare in molti scritti1 Galilei come em-blema della liberazione della scienza da ogni ipoteca metafisica: i dispositivi tec-nici usati nell’osservazione del mondo fan-no della verità la figlia del tempo e non dell’autorità («Largo campo di filosofare a gl’intelletti specolativi parmi che porga la frequente pratica del famoso arsenale di voi, Signori Veneziani, ed in particolare di quella parte che meccanica si domanda...», è il famoso incipit dei Discorsi e dimostra-zioni matematiche intorno a due nuove scienze che Galilei, vecchio e cieco, affida nel dramma di Brecht ad Andrea Sarti per-ché lo esporti clandestinamente). Galilei ci apparve campione di un razionalismo scientifico e sperimentale che la cultura il-luministica avrebbe esteso a programma in tutti gli ambiti del sapere. Tutt’altro “spirito del tempo” si dovette re-gistrare poi.

A CuRA DI CeLeSTe GROSSI e CeSARe PIANCIOLA

CeSARe PIANCIOLA

Signor Sarsi, la cosa non istà così

• Ottavio Leoni, Ritratto di Galileo Galilei. Matita nera, rossa e biacca su carta bianca e cilestrina; 1624. Biblioteca Marucelliana, Firenze.

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ci consentano di scegliere tra di essi. – Il termine “vero” esprime allora solo l’ap-provazione di una tesi di fronte a e da par-te di un particolare uditorio: ha un valore espressivo e non descrittivo.Contro questi luoghi comuni viene subi-to in mente la polemica galileiana de Il Saggiatore contro il gesuita Orazio Grassi: «forse stima che la filosofia [naturale] sia un libro e una fantasia d’un uomo, come l’Iliade e l’Orlando furioso, libri ne’ quali la meno importante cosa è che quello che vi è scritto sia vero. Signor Sarsi, la cosa non istà così...» (cap. 6).Il prosieguo della citazione4 introdurrebbe la questione della matematizzazione della natura che sta alla base della scienza mo-derna, il rapporto tra sensate esperienze e necessarie dimostrazioni, tra osservazioni e metodo ipotetico-deduttivo. e bisogne-rebbe anche discutere su quanto il modello meccanicistico, di cui Galilei è considera-to uno dei padri, risulti inadeguato rispet-to agli sviluppi della fisica e della biologia contemporanee5.

La LunaTorniamo invece al Galileo di Brecht, dopo aver ricordato un’altra ricorrenza.Il 2009 è anche il quarantennale dello sbarco sulla Luna degli astronauti america-ni, il 21 luglio 1969. La storica frase di Neil Armstrong quando mise piede sul suolo lu-nare fu: «È un piccolo passo per un uomo, ma un balzo gigantesco per l’umanità». Ma ci fu chi animosamente mise in dubbio il preteso trionfo del progresso sans phra-se. Su il manifesto rivista (n. 4, settembre 1969) Marcello Cini pubblicava un lungo articolo (“Il satellite della Luna”, poi ripro-dotto in appendice al volume collettaneo L’ape e l’architetto, Feltrinelli 1976), in cui sottolineava gli aspetti politici e militari dell’impresa, del resto dichiarati dai porta-voce ufficiali della NASA. Cini non faceva sconti a favore dei successi sovietici nella corsa spaziale, che il 3 ottobre 1957 ave-vano portato a far girare intorno alla Terra il primo satellite artificiale, lo Sputnik, un mese dopo a spedire un nuovo satellite, con la cagnetta Laika, e nell’aprile del 1961 avevano lanciato il primo cosmonauta: Yuri Gagarin. Davanti a chi parlava di crisi delle società dell’est, dell’ottobre polacco e dei carri armati a Budapest, «si sbandierò la forza militare e tecnologica, dunque l’in-trinseca bontà di un sistema [...] come se un risultato produttivo potesse compensa-re una crisi politica [...]». Così come a chi parlava della guerra in Vietnam si esibirono la targa con la firma di Nixon e la bandiera degli Stati uniti deposte sulla Luna. Le imprese spaziali ebbero ricadute tecno-logiche militari determinanti nel conflit-to tra le due superpotenze e quello che la Nasa chiamava «un surrogato benigno del-la guerra» portò infine al programma di Guerre stellari di Reagan. «I moti dei corpi celesti ci son divenu-ti più chiari; ma i moti dei potenti resta-no pur sempre imperscrutabili ai popoli», dice verso la fine il Galileo di Brecht, che

nella versione americana del 1947, scritta con l’occhio fisso al sole di Hiroshima, è uno scienziato angosciato dal “tradimento” della scienza di cui si è fatto complice (nel 1947 uscì anche la Dialettica dell’illumini-smo di Adorno e Horkheimer, vasto affresco filosofico dell’intreccio tra progresso e bar-barie). Brecht sottolineava vigorosamente le implicazioni sociali della nuova scienza (per cui Günther Anders scriveva: «In que-st’opera Brecht parla sempre contempora-neamente dal punto di vista cosmologico e sociologico. egli vuole scuotere le prete-se di coloro che immaginano o asseriscono fermamente di risiedere al centro dell’uni-verso. [...] la speranza che “non esisterà più né un Sopra né un Sotto” ha sempre in Galileo come in Brecht un senso tanto so-ciale quanto cosmologico»6).Limitiamoci però ad accennare ad alcune conseguenze “morali” che la rottura episte-mologica galileiana e la rivoluzione scien-tifica moderna comportarono. Galilei sottrasse la fisica alla sudditanza rispetto alla teologia e alla teleologia, e dopo la rivoluzione astronomica moderna – come disse il Leopardi delle Operette morali – «risulterà che gli uomini, se pur sapran-no o vorranno discutere sanamente, si tro-veranno ad essere tutt’altra roba da quello che sono stati fin qui, o che si hanno im-maginato di essere» (Il Copernico. Dialogo). Se la Terra è un pianeta tra gli altri disper-so nell’infinità dei mondi, diventava diffi-cile ritenere che l’uomo sia il re del creato e «causa finale delle stelle, dei pianeti [...] e di tutte le cose». Secondo Freud, l’umani-tà dovette elaborare il primo lutto del suo narcisismo ferito (il secondo essendo la de-finizione del posto dell’uomo nella natura ad opera dell’evoluzionismo darwiniano e il terzo la scoperta dell’inconscio da parte della psicoanalisi). Come diceva Leopardi, rimangono «i cenci» e «le miserie» del genere umano non più sublimati da consolazioni antropocentriche metafisiche e religiose. O dalle loro tradu-zioni in mitologie secolarizzate. «e giusti-zia e pietade, altra radice / avranno allor che non superbe fole» (La Ginestra).

NOTE1. Sono raccolti in L. Geymonat, Per Galileo. Attualità del razionalismo, a cura di M. Quaranta, Bertani, Verona 1981.2. Il passo non è compreso nella trad. it. di P. Feyerabend, Contro il metodo, Feltrinelli, Milano 1979, che si basa sulla prima edizione dell’opera.3. Cfr. La filosofia e lo specchio della natura, Bompiani, Milano 2004, pp. 249-252.4. «La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se pri-ma non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. egli è scritto in lingua matematica [...]».5. Segnalo il bel libro, frutto di molti anni di insegnamento, di Mariarosa Macchi, Immagini mec-canicistiche del mondo. Dalla Rivoluzione scientifica a Kant, Franco Angeli, Milano 1989, che contiene anche utili percorsi didattici.6. Günther Anders, “Vita di Galileo”, in Uomo senza mondo. Scritti sull’arte e la letteratura, a cura di S. Velotti, Spazio Libri editori, Ferrara 1991. Traggo la citazione dall’articolo di F. Cuomo, “La Vita di Galileo. La scienza nel pensiero e nell’opera di Betold Brecht” (ubib040701s001.pdf).

Innanzi tutto si dà spesso per scontato che non esista più conflitto tra scienza e potentati religiosi, senza tener conto che oggi il conflitto si è spostato dall’astrono-mia alle tecniche biomediche, alla ripro-duzione assistita, all’uso delle cellule sta-minali embrionali nella ricerca scientifica, ecc. Anche l’autocritica cattolica sul caso Galilei, oltre ad arrivare fuori tempo mas-simo, ha avuto risvolti apologetici inaccet-tabili. È vero che nel 1992 Giovanni Paolo II riabilitò Galilei affermando che i teologi del suo tempo avevano trasposto «indebi-tamente nel campo della dottrina della fede una questione di fatto appartenente alla ri-cerca scientifica» e che «paradossalmente, Galileo, sincero credente, si mostrò su que-sto punto più perspicace dei suoi avversa-ri teologi», come dimostrano le sue famo-se lettere copernicane. Ma la commissione presieduta dal cardinal Poupard sottolinea-va anche come Galilei non avesse forni-to prove decisive sulla verità del sistema eliocentrico, per cui l’atteggiamento della Chiesa di Roma era almeno in parte giusti-ficato. D’altra parte Joseph Ratzinger ave-va già invocato strumentalmente l’autorità dell’epistemologo Paul Feyerabend, che, da enfant terrible qual era, aveva scritto: «La Chiesa dell’epoca di Galileo si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo, e prese in considerazione anche le conseguenze eti-che e sociali della dottrina galileiana. La sua sentenza contro Galileo fu razionale e giusta, e solo per motivi di opportunità po-litica se ne può legittimare la revisione»2. A parte questa irritante affermazione, che è stata ricordata molto spesso nella polemica sul mancato intervento di Benedetto XVI alla Sapienza, Galilei, secondo Feyerabend, invocava prove che erano tali solo all’in-terno degli assunti copernicani e si servi-va spregiudicatamente di argomenti retori-ci dove mancavano prove, comportandosi da geniale «imbroglione». Analogamente, per Richard Rorty, Bellarmino e Galilei ope-ravano all’interno di due sistemi epistemici diversi e, non essendoci fatti e verità og-gettive, essendo invece ciò che riteniamo “vero” frutto delle griglie prodotte da «tre secoli di retorica» che hanno stabilito ciò che è “scientifico”, la disputa Bellarmino-Galilei non ha più appoggi oggettivi di una discussione che verta su scelte politiche o su gusti estetici3.Arriviamo al punctum dolens. Galilei sareb-be veicolo di una concezione “realistica” della scienza che oggi non avrebbe più ra-gion d’essere. Circolano ampiamente alcuni luoghi comuni. Li elenco avvalendomi an-che del saggio di Diego Marconi Per la veri-tà. Relativismo e filosofia (einaudi 2007):- Non esistono fatti ma solo interpretazioni (illimitatezza della semiosi).- Siccome non c’è un modo in cui le co-se stanno, indipendentemente da schemi concettuali e coordinate storico-culturali, dobbiamo lasciar cadere la nozione di “cor-rispondenza alla realtà”.– I criteri di giustificazione delle creden-ze “scientifiche” sono molteplici e “incom-mensurabili”, e non ci sono metacriteri che

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INteRvIsta mODeRNItà DI GaLILeO Il 2009 – quattrocentenario delle scoperte astronomiche di Galilei – è stato proclamato Anno internazionale dell’astronomia. Su Galilei, divulgazione scientifica, rapporto tra scuola e scienziati, laicità, donne abbiamo intervistato l’astrofisica Margherita HackCeLeSTe GROSSI, CeSARe PIANCIOLA

Quali aspetti della figura di Galilei hanno per lei maggiore attualità?La modernità di Galileo che si basava su os-servazioni, esperimenti e non su astratti dog-mi filosofici, come avveniva in precedenza. e l’importanza delle sue osservazioni − sia quel-le che fece prima, sia quelle del 1609, quan-do costruì un cannocchiale su racconti sen-titi da viaggiatori che ne avevano visto uno in Olanda e lo utilizzò per guardare la Luna. Grazie al cannocchiale scoprì che la Luna ha montagne, pianure e crateri come la Terra alla quale è in tutto simile. La Luna non è un corpo fatto di una materia speciale, eterea, come diceva Aristotele il quale pensava che i corpi celesti avessero una natura comple-tamente diversa da quella terrestre. Nel 1604 era esplosa una supernova, una stella molto grande il cui splendore aumenta di un miliar-do di volte alla fine della sua vita. Galileo osservò questa stella da Padova puntandola con delle mire con un manico di coltellino – come dice lui – e si accorse che rimaneva fissa rispetto alle altre stelle, questo voleva dire che era molto lontana, molto più lonta-na della Luna. Anche questo contraddiceva i pregiudizi di Aristotele il quale diceva che i corpi celesti sono eterni e immutabili, quindi se c’è qualcosa che varia deve per forza esse-re più vicino della Luna. Galileo dimostrò in-vece che la stella da lui osservata era molto al di là della Luna. Altra scoperta importan-

te fu quella dei quattro satelliti di Giove. Li chiamò Pianeti medicei perché si accorse che ruotavano intorno a Giove. Per lui questo co-stituì un vero e proprio modello del sistema solare in miniatura. Scrisse che come molti son pronti ad accettare il sistema copernica-no però restano turbati dal fatto che la Luna ruoti intorno alla Terra; qui invece abbiamo

un esempio di ben quattro corpi che ruotano intorno a Giove e tutti insieme compiono in dodici anni una grande orbita intorno al Sole, proprio come la Luna con la Terra che in un anno compiono una grande orbita intorno al Sole. Per lui proprio la scoperta dei Pianeti medicei e della loro rotazione intorno a Giove rappresentavano la prova evidente della real-

CON La testa veRsO IL CIeLO e I PIeDI PeR teRRaMargherita Hack è professore emerito all’università di Trieste, città in cui ha diretto l’Os-servatorio Astronomico dal 1964 al 1987, portandolo a rinomanza internazionale. Per il suo importante contributo all’astrofisica, le è stato intitolato l’asteroide 8558 Hack. Nel 1978 ha fondato la rivista L’ Astronomia (il primo numero è quello di novembre del 1979); successivamente, insieme con Corrado Lamberti, ha diretto la rivista di cultura astrono-mica Le Stelle. Ha pubblicato centinaia di articoli sulle più prestigiose riviste scientifi-che internazionali e molti libri di livello universitario, ma anche numerosi libri divulga-tivi. Proprio per la sua attività di divulgazione scientifica, nel 1995 ha ricevuto il Premio Internazionale Cortina ulisse. Tra le sue più recenti pubblicazioni divulgative Le mie fa-vole. Da Pinocchio a Harry Potter (passando per Berlusconi), edizioni dell’Altana, Roma 2008; Il mio zoo sotto le stelle, con Bianca Pauluzzi, Di Renzo editore, Roma 2007; Così parlano le stelle - L’Universo spiegato ai ragazzi con eda Gjergo, Sperling & Kupfer, 2007; L’universo di Margherita con Simona Cerrato, illustrazioni di Grazia Nidasio, editoriale Scienza, Trieste 2006.Nell’ottobre del 2008, per gli studenti dell’Onda ha tenuto in Piazza Signoria a Firenze, una lezione di astrofisica. Margherita Hack è molto nota anche per le sue attività in cam-po sociale e politico. È presidente onoraria dell’uaar - unione degli atei e degli agnostici razionalisti italiani.

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Smentite alla megalomania umanaNel corso dei secoli la scienza ha inflitto all’egoismo proprio dell’umanità due gravi smentite. La prima volta quando ha mostrato che la Terra, piuttosto che essere il centro dell’universo, non è che una particella insignificante del sistema cosmico di cui possia-mo a malapena rappresentarci la grandezza. Questa prima dimostrazione è legata per noi al nome di Copernico. La seconda smentita è stata inflitta all’umanità dalla ricerca biologica, che ha ridotto a nulla la pretesa dell’uomo di avere un posto privilegiato nell’ordine della creazione, sta-bilendo la sua discendenza dal regno animale e mostrando con efficacia la sua natura animale. Quest’ultima rivoluzione si è compiuta per noi in seguito ai lavori di Darwin, di Wallace e dei loro predecessori, lavori che hanno provocato la più accanita resistenza da parte dei contemporanei. una terza smentita alla megalomania umana sarà inflitta da parte delle ricerche psicolo-giche dei nostri giorni che si propongono di dimostrare che l’io non è il solo padrone in casa propria, anzi che deve accontentarsi di informazioni rare e frammentarie di ciò che caratterizza, al di fuori della propria coscienza, la sua vita psichica. Da qui la levata generale di scudi contro la nostra scienza, l’abbandono di tutte le re-gole accademiche di cortesia, lo scatenarsi di una opposizione che scuote tutti i punti fermi di una logica imparziale.

(S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi, 1915-17, lezione XVIII)

tà del Sistema copernicano. Fu appunto que-sto che lo portò a scrivere nel Sidereus nun-cius le sue scoperte per le quali fu tacciato di eresia in quanto la Bibbia diceva che non era la Terra a muoversi ma bensì il Sole. A riprova dell’eresia fu usato un passo della Bibbia in cui si dice che Dio intimò al Sole di fermarsi. e se c’era l’intimazione al Sole di fermarsi vo-leva dire che era il Sole a muoversi.

Lei, nel 1995, ha ricevuto il Premio Internazionale Cortina Ulisse per la divul-gazione scientifica. Le sembra che in Italia questa attività raggiunga livelli quantitati-vi e qualitativi soddisfacenti?Direi che le cose vanno migliorando. In questi ultimi tempi sono stati pubblicati anche libri molto buoni. Quantitativamente sono ancora pochi, ma c’è della buona divulgazione oggi anche in astronomia. Ci sono buoni libri sia sul sistema solare, sia sulla cosmologia.

Il 17 gennaio ha presieduto la seduta pub-blica durante la quale è stata scelta la cinquina finalista dell’edizione 2009 del Premio letterario Galileo per la divulgazio-ne scientifica, giunto a Padova alla terza edizione. I cinque testi sono stati spediti a oltre cento classi delle superiori componenti la giuria popolare che ha avuto il compito di scegliere il libro vincitore. Tra i libri non scelti dagli studenti ce ne sono due dell’editoriale Scienza di Trieste, La Fisica del miau e la Fisica del bau di Monica Marelli. Penso che gli studenti delle scuole superiori non li hanno nemmeno guardati, perché li hanno ritenuti libri per bambini, per il loro aspetto assai colorato. È stato un gros-so sbaglio. Sono due testi di fisica straordi-nari perché dimostrano come le leggi della fi-sica spieghino il comportamento di specie di animali, siano a quattro zampe o volatili. Due manuali di fisica estremamente utili non per i bambini, ma proprio per i liceali e anche per gli universitari.

Che esperienza ha del rapporto concreto tra scienziati e mondo della scuola?Dipende da scienziato e scienziato. Ce ne sono molti che provano piacere a far capire il loro lavoro e quindi a divulgare anche ai gio-vani lo scopo delle loro ricerche. Ma ci sono anche quelli che pensano solo al loro lavoro.

Lei fa parte del Comitato di presidenza del-l’Uaar, l’Unione degli atei e degli agnosti-ci razionalisti italiani, e nella sua attività ha sempre coniugato l’impegno scientifico alla battaglia per la laicità delle istituzioni e per tenere a freno le ingerenze clericali. Secondo lei c’è un conflitto di fondo tra le attuali posizioni della gerarchia cattolica e il primo comma dell’articolo 33 della no-stra Costituzione: «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento»?La scienza non è libera. Finché si tratta di fi-sica e matematica certamente la chiesa non ricade più in errori come è avvenuto con Galileo, però quando si tratta di biologia, di biofisica e di temi connessi con la vita la li-bertà dello scienziato viene molto limitata. Penso per esempio all’influenza potente che

ha avuto la chiesa sia sui politici sia sugli elettori che hanno votato per il referendum contro la pessima legge 40 sulla fecondazio-ne assistita. una legge in cui il politico si sostituisce al medico, per esempio quando decide il numero degli embrioni da impianta-re, una decisione che dipende dall’età, dalla salute della donna e quindi deve essere pre-sa dal medico non certo dai politici o quan-do proibisce, in modo veramente vergognoso e anche contraddittorio, ai genitori portatori sani di malattie gravi, come l’anemia medi-terranea, di verificare se l’embrione da im-piantare è sano o no. L’embrione deve esse-re comunque impiantato, poi, se si vede che il feto è malato, allora si può ricorrere al-l’aborto terapeutico. Si arriva all’assurdo, alla contraddizione, che l’embrione è più sacro del feto, che l’embrione ha più “anima” del feto. Queste assurdità sono state sanate: non certo dalla politica, ma dalla giustizia.

Una delle biografie inserite nel libro di Sara Sesti e Liliana Moro, Donne di scienza. 55 biografie dall’antichità al duemila (Pristem - Università Bocconi, seconda edizione del 2002) è la sua. A che punto è oggi la parità

tra uomo e donna nelle istituzioni universi-tarie e scientifiche?Le ricercatrici sono intorno al 50% del totale. In molti campi ormai superano il numero de-gli uomini, per esempio in medicina, in biolo-gia, in biofisica. Il numero delle donne che si laureano in ingegneria è in continua crescita, era prossimo a zero una ventina di anni fa. Però, quando si passa dai ricercatori agli as-sociati, ecco che il numero di donne diminui-sce e disunisce ancora di più quando si arriva all’ultimo livello, quello di ordinario. Le cose andranno cambiando nel tempo. Come è sta-ta raggiunta e superata la parità a livello di ricercatori, crescerà anche la percentuale tra associati e ordinari. Sono molte le donne che affermano, ricevono premi, fanno scoperte. Certo le donne devono avere costanza, grin-ta, essere consapevoli delle proprie capaci-tà, delle proprie forze e non avere complessi di inferiorità. Spesso tendono ad essere trop-po arrendevoli, anche a causa dell’educazione che ricevono fin da bambine. Sono i genitori ad avere il compito di non inculcare alle fi-glie già da bambine l’idea che debbano esse-re più malleabili, più gentili, più sottomesse degli uomini.

Pagina a fianco• Galileo Galilei, Disegni autografi della Luna. Manoscritto cartaceo, novembre/dicembre 1609. Acquarello. Biblioteca Nazionale Centrale, Firenze.

Qui a lato• Musa, Astrolabio arabo sferico. Ottone, 1480 - 1481. Museum of the History of Science, Oxford.

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In un magnifico corso sul codice letterario illuminista, negli anni in cui aveva cattedra a Napoli, un grande maestro, Francesco Orlando, grande francesista, regalava avvincenti, pe-netranti letture sei-settecentesche, attraver-sando, con Fontenelle e Saint Évremond, la Querelle des Anciens et des Modernes; e con Pascal e Montesquieu, metteva in luce le mo-dalità della precauzione letteraria e dello straniamento nelle Provinciali o nelle Lettere persiane; e individuava in Galileo, in partico-lare nel Dialogo sui Massimi Sistemi, un pro-totipo, il punto di partenza della letteratura illuministica: un testo in cui venivano origi-nalmente adottate, in modo organico, funzio-nale, prospettive e caratteristiche che poi sa-ranno ricorrenti in modo regolare nelle opere caratterizzate da un appello all’opinione pub-blica in nome della ragione e della lotta al pregiudizio in una situazione in cui si è espo-sti alla censura ed agli arbitri di un potere assoluto. Si tratta di un modello retorico-co-municativo che si basa sulle modalità della precauzione, dello straniamento, dell’antifra-si, del paradosso.

Dal Sidereus nuncius alle Lettere coperni-caneIl Sidereus nuncius, che illustra le prime sco-perte rese possibili grazie alle osservazioni con il cannocchiale, usa la lingua della comu-nità internazionale dei dotti, ma presentan-dosi con gli allettamenti di un gusto baroc-cheggiante che punta sulla meraviglia, cerca l’iperbole, la spettacolarizzazione; e la cap-tatio benevolentiae nei confronti del potere granducale (presso il quale Galileo aveva bi-sogno di accreditarsi dopo il lungo soggior-no padovano). Con quest’opera Galileo speri-menta l’efficacia, la potenza dello strumento letterario nel diffondere/ divulgare le scoper-

te, le nuove idee, con contenuti ben adatti a colpire l’immaginazione collettiva. La scoper-ta dell’irregolarità della superficie della luna, del numero inquietante delle stelle della Via Lattea, dei satelliti di Giove è lo spartiacque tra vecchio e nuovo, tra mondo aristotelico-tolemaico e scienza moderna: segna la fine della contrapposizione qualitativa tra mondo celeste e mondo terrestre. La risonanza del-l’opera, il numero straordinario di edizioni e traduzioni proiettano Galileo al centro del-l’attrazione internazionale. Questo opuscolo segna una svolta epocale: dopo di esso come potrebbe ormai non essere risolta a vantag-gio dei moderni la disputa sulla “superiori-tà”? Nessuno degli antichi aveva mai potuto conoscere, vedere, ciò che i moderni adesso scoprivano.È in questo clima di successo, di popolari-tà, di prestigio internazionale che Galileo può pensare di affrontare il nodo centrale dei rapporti tra scienza e fede: non contrappo-nendosi alle posizioni delle gerarchie eccle-siastiche, ma cercando di ridefinire gli am-biti della scienza e dell’interpretazione delle Scritture e rivendicando la proprie fede cat-tolica. Nascono così le lettere copernicane (a Benedetto Castelli, a monsignor Pietro Dini e alla granduchessa di Toscana), ispirate dalla fiducia nella forza persuasiva della ragione e dalla speranza di poter ottenere il sostegno degli ambienti nobiliari, degli intellettua-li, degli stessi ecclesiastici, che già in parte non gli erano avversi. Queste lettere scritte non in latino ma in volgare sono il primo pre-cedente, la prima prova di quella prosa luci-da, rigorosa, argomentata, razionale che poi Galileo dispiegherà nel Dialogo sapientemen-te variata, arricchita e movimentata dalla fin-zione letteraria.Dopo la condanna delle teorie copernicane

e l’ingiunzione a non professarle del 1616, Galileo non rinuncia alla sua attività, che continua intensissima con lavori sulle maree, sulle macchie solari, sulle comete e nel 1623, quando già era pronto Il Saggiatore, l’ele-zione del nuovo papa urbano VIII rianima la speranza di poter riprendere la sua batta-glia culturale. Nel 1616 il cardinale era senza dubbio un ammiratore di Galileo ed in quanto uomo di potere mostrava di saper apprezza-re l’immaginazione, la capacità inventiva, il rigore dimostrativo. Proteggere un cattolico geniale noto in tutta europa e particolarmen-te nell’europa riformata non nuoceva all’im-magine dell’ambizioso cardinale, anzi poteva contribuire ad attirare verso il cattolicesimo protestanti illustri. Ma i limiti della libertà concessa erano fissati fin dall’inizio e Galileo ne subirà le conseguenze.

Il SaggiatoreCon Il Saggiatore Galileo ritorna pubblica-mente alla polemica scientifico-letteraria con armi nuove, e su un argomento indipendente dalla teoria copernicana. È la sua prima im-portante opera letteraria in volgare, pubbli-cata a cura dell’Accademia dei Lincei e de-dicata al papa: si tratta ancora formalmente di una lettera ma in essa il latino pedante dell’avversario (il gesuita Orazio Grassi) nella controversia sulle comete, riportato puntual-mente da Galileo nelle affermazioni da confu-tare, è facile bersaglio del commento ironico, scintillante, vivacissimo che trasforma la let-tera in una sorta di dialogo con un avversario sapientemente ridicolizzato (tanto da far di-menticare che nel merito, riguardo alla natu-ra delle comete, Galileo aveva torto e il suo avversario ragione...).Il Saggiatore sperimenta insomma un altro re-gistro della retorica galileiana, quello ironico,

Il nostro scrittore più grande Il Dialogo galileiano del 1632 è il coronamento di un impegno scientifico, divulgativo e retorico-letterario “illuministico” che abbraccia oltre un ventennio di campagna culturale appassionata, che adotta nel corso del tempo e in relazione alle circostanze e agli obiettivi lingua, generi, prospettive, toni, registri diversi: una esperienza e una consapevolezza letteraria che nel Dialogo appunto ha il suo frutto più maturo ENRICO NORELLI

• Galileo Galilei, Telescopio. Legno, pelle, vetro, 1610. Istituto e Museo di Storia della Scienza, Firenze

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che sarà poi elemento così importante per la sua opera maggiore.

I registri del DialogoLa buona riuscita dell’operazione letteraria de Il Saggiatore, i segni delle aperture di urbano VIII inducono forse Galileo ad una eccessi-va fiducia, a ritenere forse questione supera-ta anche l’applicazione del decreto del 1616 (quegli anni vedevano anche la fine della re-clusione di Tommaso Campanella). È il mo-mento di comparire in pubblico, di uscire dalle dispute tra specialisti, accademici, cor-tigiani, ecclesiastici sospettosi, invidiosi, ri-vali, di rivolgersi non agli uomini del pote-re ma alla “opinione pubblica” cercando un effetto come quello che aveva ottenuto il Sidereus nuncius.Ma questa volta, per una trattazione este-sa, complessa, approfondita sui temi centra-li della controversia aristotelico-copernicana, la lingua non dovrà essere il latino; per lo scopo, il destinatario, la portata degli argo-menti la lingua sarà il volgare, quel volgare che negli anni Galileo ha utilizzato nei suoi lavori, ha affinato, reso efficace, adattabile, pertinentissimo veicolo della comunicazione dei suoi studi, delle sue scoperte, dei suoi ra-gionamenti, delle sue dimostrazioni (e, ulti-mamente, anche delle sue pungenti ironie).Galileo quindi dal 1624 riprende, rielabora i temi dei lavori degli anni precedenti (dal Discorso del flusso e reflusso del mare, alle lettere copernicane, alla lettera di risposta all’Ingoli, che nel 1616 gli aveva presentato venti obiezioni contro il movimento della ter-ra e a cui si sentì sufficientemente sicuro per rispondere appunto solo nel ’24); ma quel-lo che concepisce e si appresta a comporre adesso è un’opera di trattazione e sistema-zione complessiva delle tesi a favore dell’ipo-tesi copernicana, benché presentate con la necessaria cautela.e già proprio per questo Galilei non darà al-l’opera la forma ancora allora consueta, con-venzionale del trattato specialistico in lati-no, ma quella del dialogo in volgare, che si richiama alla grande tradizione umanistica e, ancor prima, classica e socratico-platonica, opera rivolta appunto ad un pubblico ampio di persone colte e interessate, ma non spe-cialiste, come lo stesso Sagredo, il gentiluo-mo veneziano personaggio del Dialogo. e però questo dialogo, presentato formalmente come inteso a informare in modo neutrale sulle ra-gioni delle opposte teorie, tolemaica e coper-nicana, dovrà poi essere impostato in modo accorto per poter convincere alle tesi coper-nicane: utilizzerà procedimenti codificati dal-la sapienza tecnica della tradizione retorica, adotterà l’impianto richiesto secondo la ca-sistica della “causa mirabilis” in cui l’oratore deve convincere un uditorio inizialmente del-la posizione contraria a quella che si vuole far prevalere (era così naturalmente per G. che doveva rendere credibile l’idea della mobilità

della terra contro il senso comune); adotterà quindi un tipo di svolgimento che si basi sul-le figure del paradosso, sullo straniamento, sull’ironia; e sul “passaggio di voce”: infatti il dialogo vira verso la commedia filosofica, verso il comico, per la presenza di un perso-naggio, l’aristotelico, a cui si dà la parola, facendo in modo che si ridicolizzi da sé. Il Simplicio del Dialogo è il capostipite di una serie in cui entrano il gesuita delle Provinciali di Pascal, il Pangloss del Candido...Su questa impostazione retoricamente così consapevole, così calcolata, si innestano ul-teriori necessari elementi “precauzionali” in parte scelti, in parte contrattati, assunti, re-spinti, imposti, in una schermaglia con le au-torità ecclesiastiche, i censori, romani e fio-rentini, le volontà del papa, le istanze, le caute protezioni granducali che porteranno, anche con qualche finale forzatura, alla pub-blicazione, a Firenze, all’inizio del 1632, a più di due anni dal termine della composizione: nei mesi del più violento imperversare della peste, si negozia, tra Roma e Firenze, sul tito-

Un grandissimo rivolgimento anche nella metafisica

Copernico: « [...] La Terra insino a oggi ha tenuto la prima sede del mondo, che è a dire il mezzo; e (come voi sapete) stando ella immobile, e senza altro affare che guar-darsi all’intorno, tutti gli altri globi dell’universo, non meno i più grandi che i più pic-coli, e così gli splendenti come gli oscuri, le sono iti rotolandosi di sopra e di sotto e ai lati continuamente; con una fretta, una faccenda, una furia da sbalordirsi a pensarla. e così, dimostrando tutte le cose di essere occupate in servizio suo, pareva che l’universo fosse a somiglianza di una corte; nella quale la Terra sedesse come in un trono; e gli al-tri globi dintorno, in modo di cortigiani, di guardie, di servitori, attendessero chi ad un ministero e chi a un altro. Sicché, in effetto, la Terra si è creduta sempre di essere impe-ratrice del mondo: e per verità, stando così le cose come sono state per l’addietro, non si può mica dire che ella discorresse male; anzi io non negherei che quel suo concetto non fosse molto fondato. Che vi dirò poi degli uomini? che riputandoci (come ci ripute-remo sempre) più che primi e più che principalissimi tra le creature terrestri; ciaschedu-no di noi se ben fosse un vestito di cenci e che non avesse un cantuccio di pan duro da rodere, si è tenuto per certo di essere uno imperatore; non mica di Costantinopoli o di Germania, ovvero della metà della Terra, come erano gl’imperatori romani, ma un impe-ratore dell’universo; un imperatore del sole, dei pianeti, di tutte le stelle visibili e non visibili; e causa finale delle stelle, dei pianeti, di vostra signoria illustrissima, e di tut-te le cose. Ma ora se noi vogliamo che la Terra si parta da quel suo luogo di mezzo; se facciamo che ella corra, che ella si voltoli, che ella si affanni di continuo, che eseguisca quel tanto, né più né meno, che si è fatto di qui addietro dagli altri globi; in fine, che ella divenga del numero dei pianeti; questo porterà seco che sua maestà terrestre, e le loro maestà umane, dovranno sgomberare il trono, e lasciar l’impero; restandosene però tuttavia co’ loro cenci, e colle loro miserie, che non sono poche.[...] Ma voglio dire in sostanza, che il fatto nostro non sarà così semplicemente mate-riale, come pare a prima vista che debba essere; e che gli effetti suoi non apparterranno alla fisica solamente: perché esso sconvolgerà i gradi delle dignità delle cose, e l’ordine degli enti; scambierà i fini delle creature; e per tanto farà un grandissimo rivolgimento anche nella metafisica, anzi in tutto quello che tocca alla parte speculativa del sapere. e ne risulterà che gli uomini, se pur sapranno o vorranno discorrere sanamente, si tro-veranno essere tutt’altra roba da quello che sono stati fin qui, o che si hanno immagi-nato di essere».

(Giacomo Leopardi, “Il Copernico. Dialogo”, in Operette morali)

lo, sul Proemio “Al discreto lettore”, sul modo di presentare «»l’argomento di urbano VIII”.Ma su tutto questo si distende poi, e domina, nell’opera, la stupefacente ricchezza del me-raviglioso galileiano, delle descrizioni, delle «esperienze fattibili», delle «molte osserva-zioni ignote all’antichità», dei «fenomeni ce-lesti», delle «nuove speculazioni», delle «fan-tasie ingegnose», dei «capricci matematici», delle «digressioni curiose» che arricchiscono e si alternano alla «rigorosa osservanza delle leggi matematiche», alle «speculazioni esqui-site» (così l’autore presenta nel proemio “Al discreto lettore” il contenuto del Dialogo).Tutto inutile?... Così verrebbe da lamenta-re, visto l’esito, a pochi mesi di distanza, col processo, la condanna, l’abiura, l’Indice...e invece no: un trionfo dell’intelligenza, della scienza e della letteratura, (nella sua funzione migliore, più nobile, più “utile” manzoniana-mente), se da quest’opera si ispira e discende anche il meglio della letteratura illuministica; e se, per dirla con Calvino, Galileo è il nostro scrittore più grande.

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«Il misfatto di Galileo può esser considerato il “peccato originale” delle scienze naturali

moderne. […] La bomba atomica, come fenomeno tecnico non meno che sociale, è il classico prodotto terminale delle sue

conquiste scientifiche e del suo fallimento sociale. L’”eroe” dell’opera non è dunque

Galileo, bensì il popolo, come ha rilevato Walter Benjamin, benché con espressione

a mio parere un po’ troppo netta» (Bertolt Brecht, Sulla “Vita di Galilei”)

Losey e BrechtNel 1973, Joseph Losey sembra essere torna-to ai suoi antichi amori e gira un film tratto da Casa di Bambola di Henryk Ibsen. Il suo buon successo lo spinge a portare a compi-mento un vecchio progetto legato agli esordi della sua attività di regista. La Vita di Galilei di Bertolt Brecht, infatti, è un testo teatrale scritto in Danimarca nel 1938 e mai rappre-sentato nella sua prima stesura. L’occasione di produrlo, tuttavia, con l’aiuto dell’amico commediografo George Tabori e le note di scena dello stesso Brecht che, per l’occasio-ne, revisionò con ampiezza il testo e ne mutò il finale, fu data a Losey da una concomitanza di favorevoli circostanze, non ultimo il con-senso del grande attore britannico Charles Laughton a interpretare il ruolo di Galilei. La messa in scena teatrale del 1947 viene una-nimente considerata una delle migliori rap-presentazioni dell’opera brechtiana per meri-to sia dell’attore inglese che delle soluzioni rigorose e asciutte di regia volute dal regi-sta americano. Ventisette anni dopo, dun-que, Losey ritenta la prova. I risultati, pur-troppo, non saranno all’altezza dell’edizione precedente. Non solo l’attore israeliano Topol non sembra essere all’altezza del ruolo che fu già di Laughton ma l’intera opera sembra inficiata dal fatto di essere puro teatro “fil-mato” e non la trasposizione cinematografi-ca di un testo teatrale. Il film, allora, avreb-be dovuto applicare al cinema le idee teatrali di Brecht stesso (a partire dall’“epicità” della messinscena per finire con l’”estraniazione”, la Verfremdung rispetto allo spettatore) per ottenere migliori risultati dal punto di vista della realizzazione estetica. Tutto ciò appare difficile in un film che vo-glia rivolgersi ad un pubblico più vasto della scena teatrale e, soprattutto, è ben lontano dalla prospettiva di poetica di Losey. Va poi detto che lo stesso Brecht sceneggiatore (ad esempio, per il Lang di Anche i boia muoio-no! del 1943) si era guardato bene dal tentare l’applicazione della propria estetica al cinema di Hollywood. Quello che c’è di bello e interessante nel film

(fallito) di Losey sono alcune interpretazio-ni di personaggi minori (edward Fox come il Cardinale Inquisitore, Michael Lonsdale come il Cardinale Barberini poi divenuto Papa urbano VIII e lo straordinario caratte-rista irlandese Patrick Magee come il terribile Cardinale Roberto Bellarmino) e la costruzio-ne dello spazio chiuso dell’azione quale set cinematografico. Al film (mai distribuito in Italia se non nel 1985 su RAI 2) manca una prospettiva ideologica compiuta come, in-vece, accadeva al testo teatrale di Brecht. Se, da un lato, l’idea della “separazione tra scienza e classi popolari” veniva rappresen-tata come il frutto della disputa sulla natura eliocentrica del cosmo, dall’altro, l’abiura ga-lileiana era forse suggerita a Brecht dai pro-cessi di Mosca e le “confessioni spontanee” di molti esponenti tra i più significativi del Partito Comunista russo e del Comintern (il caso di Bucharin o di Radek risultavano assai significativi in quest’ottica ). La natura del-la scienza moderna, il tema dell’abiura come metafora di una mancata volontà di rottura (considerata troppo estremistica) all’inter-no di un quadro ben definito e consolidato di relazioni tra scienza e fede, la dimensione materiale delle idee e la debolezza dei loro portatori umani che risultano al centro della proposta teatrale del testo brechtiano sfug-gono alla presa delle immagini del film e si trasformano in una sorta di narrazione tutta verbale di fatti storici senza relazione diret-ta con la loro attualità o possibile reciprocità socio-politica.

Giordano Bruno con GalileiPartire dall’errore drammaturgico commes-so da Losey nella sua realizzazione del film su Galileo era d’obbligo visto gli stretti le-gami con il grande dramma “epico” di Brecht ma non si può dimenticare per questo il fat-to che su Galileo esisteva già un film televi-sivo che aveva avuto poca fortuna e ricevuto una pessima accoglienza presso la burocrazia della RAI.Si tratta del Galileo di Liliana Cavani (girato nel 1968 con il finanziamento pubblico). Il film, il secondo girato dalla regista di Carpi, non fu mai trasmesso sui canali televisivi di allora anche se fu presentato al Festival di Venezia di quell’anno e vinse, ex-aequo con John Cassavetes, il premio “Cineforum” del-la critica. Si tratta, ovviamente, di un film dal taglio televisivo ma non privo affatto di pregi sia luministici (il nitore dei luoghi della ricer-ca scientifica contrapposto alla confusione e allo sporco programmatico dei luoghi pubblici del Potere) che di interpretazione e di analisi storico-teorica. Non solo vi abbondano personaggi storici utilizzati in chiave dimostrativa (fra’ Paolo

Sarpi che consegna allo scienziato un model-lino di cannocchiale venutogli dall’Olanda, Giordano Bruno che discute con Galilei della natura dello spazio e dell’ipotesi copernicana sull’eliocentrismo, Sagredo, il discepolo pre-diletto dell’astronomo pisano) ma il tentati-vo è quello di rendere conto del rapporto tra la nuova ed emergente visione scientifica del mondo e il potere ecclesiastico del suo tempo (in realtà, di sempre). Per questo motivo, appare di notevole impor-tanza la figura di Giordano Bruno (interpreta-to in maniera straordinaria dall’attore bulgaro Gheorghi Kolaiancev) che, in un incontro ov-viamente mai avvenuto con Galilei, gli spiega non solo le proprie teorie sull’“infinito uni-verso e mondi” ma anche il proprio atteggia-mento nei confronti della gerarchia ecclesia-stica. «Aveva dato torto a Giordano Bruno, Galileo, quando ancora non esistevano verifiche scien-tifiche delle sue tesi. La sua ansia di provare tutto lo aveva frenato di fronte all’ardore del-l’eretico radicalismo dell’amico. Ma dal mo-mento in cui la scienza e l’esperienza con-fermano quella tesi, non esita a contrapporsi con decisione al potere dell’epoca»1.La fine di Bruno (il cui urlo finale sul rogo fu consigliato all’allora giovane regista di ridur-re se non tagliare per motivi di trasmissione televisiva) non spaventa però Galilei anche se la sua abiura sembra più il frutto di deca-dimento fisico e di rinuncia alla lotta che di autentica convinzione morale. Lo scienziato pisano (interpretato da Cyril Cusack) non ri-nuncia affatto alle proprie idee ma è costret-to ad abiurare schiacciato dalla situazione assurda e incomprensibile in cui si trova. Il finale, infatti, lo vede prostrato dalla violenza intessuta di fredda magnificenza dei riti ec-clesiastici all’interno dei quali viene piegato a chiedere perdono per l’ereticità delle pro-prie teorie. Nella descrizione dello scontro tra Potere e Verità, il sogno scientifico di Galilei si sbriciola e il suo sguardo si perde nelle nebbie melanconiche del futuro declino.

NOTE1. Francesco Buscemi, Invito al cinema di Liliana Cavani, Mursia, Milano 1996, p. 50.

Galileo Galilei visto al cinema La scienza e l’abiura GIUSEPPE PANELLA

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Con il 350° anniversario del processo e della condanna del grande scienziato da par-te dell’Inquisizione romana, che cadeva il 22 giugno 1983, si riaccesero polemiche e aspet-tative, fino a che si è giunti, qualche mese fa, alla pubblicazione definitiva dei documenti superstiti da parte della Pontificia Accademia delle Scienze: I documenti del processo di Galileo Galilei (pag. XXVII-280), a cura di Sergio M. Pagano e Antonio G. Luciani. Quello che della vicenda sin’ora si conosceva erano frammenti, tessere di mosaico, nonché per intero: tre deposizioni di Galileo del 12, del 30 aprile e del 21 giugno 1633 innanzi agli Inquisitori, la sentenza e la successiva for-mula di abiura pronunziata nel convento della Minerva il 22 giugno del 1633. Tali frammenti erano stati pubblicati da Antonio Favaro agli inizi del nostro secolo.L’attesa della rivelazione completa era moti-vata dall’e sistenza di un volume che girava da anni nell’Archivio Segreto Vaticano: il Codice del processo di Galileo. una volta aperto, e minuziosamente trascritto, si sono trova ti parziali documenti originali, riassunti, estrat-ti, lettere di prelati e nunzi risalenti al dopo processo e concer nenti la condannata dottri-na galileiana, il referto dei medici fiorenti-ni, datato 17 dicembre 1632, attestante le infermità che impedivano a Galileo di recar-si a Roma per essere giudicato: «... vertigi-ni frequenti, melancolia hipocondriaca, de-bolezza di stomaco... e un’hernia carnosa grave»; inoltre, particolare curioso, una copia di mano di Galileo stesso dell’ammonizione segreta del Cardinale Bellarmino del 26 mag-gio 1616, dove gli si proibisce di trattare o insegnare la dottrina copernicana all’infuori che ex suppositione, per ipotesi. Copia da mo-strare probabilmente agli avversari nella po-lemica, attestando di non aver avuto condan-na ma solo un ammonimento prudenziale.La conclusione della vicenda purtroppo è una sola: l’istruttoria e i verbali degli interroga-

si, in essa c’è una lotta fra Galileo e i suoi avversari per la leadership scientifica, il mo-nopolio di speculazione e d’insegnamento.un’idea della sua virulenza ci viene data dal-lo stesso Galileo nella lettera al discepo-lo elia Diodati (che è del 25 luglio 1634, quindi posteriore di un anno al proces-so); in essa, riferendo una notizia saputa da un amico, afferma che «Il P. Christoforo Grembergero, Giesuita, Mathematico di quel Collegio Romano, venuto sopra i fatti miei, disse all’amico queste parole formali: “Se il Galileo si havesse saputo mantenere l’affet-to dei Padri di questo Collegio, viverebbe glorioso al mondo e non sarebbe stato nulla delle sue disgrazie, e harebbe potuto scrive-re ad arbitrio suo d’ogni materia, dico anche di moti di terra, etc.” sì che V. S. vede che non è questa né quella opinione quello che mi ha fatto e fa la guerra, ma l’essere in di-sgrazia dei Gesuiti». Ma torniamo alla per-dita dei nostri documenti. Come può esse-re avvenuto questo danno irreparabile? Qui è il caso di parlare di quel vento della sto-ria che, in periodi cruciali, ha disperso interi archivi: il vincitore di turno saccheggia im-ponendo la sua vittoria, nella mitica convin-zione che tutto debba ricominciare ab initio. Nel 1810, nella Roma occupata dalle trup-pe francesi, un gran numero di casse di do-cumenti del Sant’uffizio furono trasportate a Parigi per volere dello stesso Napoleone, in-tenzionato a istituire in Francia un Archivio Centrale dell’Impero, il che non avvenne per il rapido declino del suo astro. Al tempo del-la Restaurazione fu mandato dalla Santa Sede come commissario pontificio per il recupero dei documenti Mons. Mario Marini, e l’aiutò nel lavoro, benché con poco profitto, il conte Giulio Ginnasi.Per imperizia, o noncuranza, molte casse di documenti scomparvero, e fu dato ordine di macero dei documenti ritenuti meno impor-tanti, col risultato che molto materiale fu

I documenti perduti del processo Galileo Quest’anno è uscita una nuova edizione accresciuta, rivista e annotata da monsignor Sergio Pagano dei documenti concernenti il processo a Galilei (I documenti vaticani del processo di Galileo Galilei (1611-1741), Archivio Segreto Vaticano, Città del Vaticano 2009, pp. CCLVIII-332). Ripubblichiamo ampi estratti dell’articolo di Luca Desiato uscito su L’astronomia nell’ottobre 1985 in occasione della prima edizione (1984) della raccoltaLUCA DESIATO *

tori di questo famoso processo sono andati irrimediabilmente perduti.Aggiunta alla citata pubblicazione, e prove-niente dalla Congregazione del Sant’uffizio, è la denuncia anonima, attribuita dallo stu-dioso Carlo Redondi al matematico gesuita Grazio Grassi, e che sta alla base del sugge-stivo saggio Galileo eretico. Ma il documen-to, da perizia calligrafica, non è risultato di mano del Grassi, e perde di probabilità la sti-molante ipotesi che Galileo fu lì lì per essere condannato, non per la teoria copernica na, ma per ben più gravi tesi atomistiche sulla natura corpuscolare della luce sostenute nel Saggiatore. Tesi che inficiavano la formula-zione del dogma eucaristico tridentino.A proposito dell’inimicizia coi gesuiti vale la pena fare un breve excursus. Tale oppu-gnazione era nata già nel 1610, alla pubbli-cazione del Sidereus Nuncius sulla scoperta delle macchie solari; il viaggio fatto a Roma lo vedrà discutere con P. Scheiner, diretto-re del famoso Osservatorio Astronomico del Collegio Romano. Il P. Scheiner ammetterà alla fine come giuste e veritiere le scoperte di Galileo, meritandosi tuttavia in una sua lettera l’epiteto di «porco e maligno asino-ne». La polemica era proseguita nel 1622 con la pubblicazione del Saggiatore, in risposta alla Libra Astronomica del P. Grazio Grassi: l’argomento visibile era il discorso sulle tre comete apparse recentemente nei cicli; quel-lo di fondo: una specie di manifesto della “Nuova Scienza”. Con la solita mancanza di peli sulla lingua Galileo parlerà del Grassi in una lettera come di un «bufalaccio, ser ba-lordissimo e solennissima bestia». Nella pre-parazione e nello svolgimento del processo un altro gesuita sarà in prima linea contro Galileo: il P. Inchofer, consultore dell’Inqui-sizione, che l’accuserà aspramente di essere copernicano convinto, quindi fortemente so-spetto d’eresia. Questa polemica antigesuiti-ca ci porterebbe fuori d’argomento. In sinte-

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venduto ai pizzicagnoli di Parigi che l’usa rono come carta da avvolgere.In tal modo pressoché l’intero corpus degli atti proces suali di Galileo subì questa inglo-riosa sorte. una perdita massiccia che ci duo-le enormemente: la vicenda di Galileo rimane una ferita nella nostra coscienza di moderni, e sapere in tutte le sfumature come in real-tà si svolse oltrepassa di gran lunga la moda del mistero svelato. Furono complessi i moti-vi che portarono al processo e alla condanna del fondatore della fisica moderna. Tra i motivi che portarono a tale processo e condanna c’è da vedere anzitutto la preoccu-pazione delle gerarchie cattoliche di preser-vare i fedeli dalle dottrine protestanti: siamo nei tempi della Controriforma, quindi di una severità occhiuta verso certe materie (ricor-diamo che la teoria copernicana era per lo più accettata nelle nazioni del nord europa); inoltre: l’essere entrato Galileo a trattare ar-gomenti biblici (l’episodio di Giosuè che fer-ma il Sole) in realtà scindendo il campo della rivelazione da quello delle cognizioni scienti-fiche vigenti all’epoca della composizione del testo sacro, ma campo pericolosissimo per le autorità, e in odore di libera interpretazione della Bibbia. Incautamente, data l’epoca, ma non a torto, Galileo entrò a trattare proble-mi biblici, (e con le sue intuizioni precederà i moderni risultati dei biblisti sui “generi let-terari” del testo sacro). Valendosi del presup-posto che il mondo è l’opera e la Scrittura la parola di Dio egli cerca di distinguere nel te-sto biblico quello che è rivelazione di fede e

quello invece che, in materia astronomica, è frutto delle cognizioni scientifiche dell’epoca in cui fu composto: lo scrittore sacro, ispirato dallo Spirito, deve infatti «accomodarsi alla capacità del popolo, per lo più assai rozzo e incapace» (lettera ad elia Diodati del 15 gen-naio 1633 che riprende alcuni temi già am-piamente trattati nella famosa lettera a Maria Cristina di Lorena del 1615), e più avanti: «la luna fu sempre sferica, sebbene l’universale tenne gran tempo che ella fusse piana», per-ciò: «Quando sia vero che il moto sia della terra e la quiete del sole, nessun ditrimento patisce la Scrittura, la quale dice quello che apparisce alla moltitudine popolare», mentre è pernicioso ed è «grande abuso, in quistioni naturali, valersi delle Scritture Sacre», poiché ciò porterebbe, dimostrate false dalla scienza alcune affermazioni, a pregiudicarne il valore di verità rivelata. Posizione che in seguito il Baronio sintetizzerà col detto: «La Bibbia ci insegna come si vada in Cielo, non come vada il cielo». Oltre a questa spinosa controversia biblica, nei fattori che portarono al processo e alla condanna non possiamo poi ignorare il peso del grande sconcerto culturale e filoso-fia): la Terra non è più il centro, luogo privile-giato dell’Incarnazione, ma un semplice pia-neta del sistema solare, visuale nuova che per motivi pseudoteologici ripugnava fortemente. Per di più Galileo non aveva menzionato, in buona fede o per dissimulazione, nel chiede-re l’imprimatur per la stampa del Dialogo so-pra i due Massimi Sistemi l’ammonizione avu-ta dal Cardinale Bellarmino nel 1616. Infine,

un calcolo di real-politik di Papa urbano VIII nel suo barcamenarsi tra Francia e Spagna (e tacitare con una condanna i teologi di pane spagnola che l’accusavano di connivenza ver-so nuove e perniciose dottrine). Tuttavia, il motivo principale è da ascriversi nella net-ta distinzione portata da Galileo fra il campo della scienza e quello della fede, incrinando con le sue teorie astronomiche e i postulati della “scienza nuova” le basi del grande edifi-cio aristotelico-tomista, dove armoniosamen-te confluivano teologia, scienza e filosofia. La vita dei grandi uomini è come il lampo che abbaglia. I suoi avversari non poterono e non vollero capire. Quel processo, la condanna e l’avvilente abiura indussero il grande scien-ziato alla disperazione di sentirsi come de-pennato dal libro de’ viventi, condannato alla solitudine e al silenzio, in domicilio coatto nella sua villa “II Gioiello” ad Arcetri. eppure, non trovava certo rassegnazione la sua natu-ra altera e passionale se scri veva al discepo-lo elia Diodati, il 7 marzo 1634: «... I tor-ti e l’ingiustizie che l’invidia e la malignità mi hanno macchinato contro, non mi hanno travagliato né mi travagliano. Anzi, restan-do illesa la vita e l’honore, la grandezza delle ingiurie mi è più presto di sollevamento... e l’infamia ricade sopra i traditori et i costitui-ti nel più sublime grado dell’ignoranza, madre della malignità, dell’invidia, della rabbia e di tutti gli altri vizii et peccati scelerati».Ormai non aveva più nulla da temere, essendo venuti meno quei presupposti della dissimula-zione honesta che nella società del Seicento marcavano i rapporti del cortigiano e dell’uo-mo d’arte con la sfera del potere. una dife-sa per maschera e per figura nel momento della resa psicologica. In questo Galileo, nel suo viaggio astronomico verso terre scono-sciute (la scoperta dei pianeti medicei, delle macchie solari e delle fasi di Venere), aveva espresso la fisionomia del nuovo intellettua-le in viaggio nella mutevolezza del reale, in-quieto nei rapporti con la natura, allarmato di fronte alla vastità dello spazio cosmico.Con gli occhi di oggi possiamo dire che quello contro Galileo non fu un processo alla scien-za (nel “partito galileiano” militavano mol-ti teologi ed ecclesiastici) bensì un proce-dimento disciplinare dell’autorità contro un credente che con le sue teorie veniva a turba-re delicati equilibri e stratificate convinzioni. Ma giustamente, da noi moderni, tale proces-so e condanna sono stati vissuti come trau-matica frattura dei rapporti fra scienza e fede. Nei confronti di Galileo, nonostante i motivi che ne spiegano in parte la persecuzione, si sarebbe potuto procedere con più prudenza intellettuale e maggior delicatezza evangeli-ca. Invece, si volle stravincere, e riaffermare la barocca apoteosi di una scienza vistosa-mente paludata, ma pur sempre ancella nel corteo di Fede, Filosofia e Scrittura.

* Luca Desiato è l’autore di Galileo mio padre, Mondadori 1983. Questo testo è tratto da un arti-colo uscito su L’astronomia nell’ottobre 1985.

Il mensile L’astronomia (direttore onorario Mario Cavedon, direttore responsabile Antonio Lucarella, coordinatore editoriale Michele Ferrara) è distribui-to in edicola e in abbonamento (60 euro per un anno). Info: www.lastronomia.it.

• Johann G. Doppelmayr, Sei carte celesti in proiezione gnomonica, 1742.Incisione colorata. Collezione privata, Vienna.

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Le mostreOltre alla mostra di Firenze Galileo. Immagini dall’universo. Dall’antichità al telescopio (14 marzo - 30 agosto 2009), nell’anno di Galilei sono da segnalare altre iniziative.A Pisa è stato privilegiato – con la mostra Il cannocchiale e il pennello. Nuova scienza e nuova arte nell’età di Galileo (9 maggio - 19 luglio 2009) – il rapporto tra scienza e arte, evidenziando la trama di relazioni con cui le scienze e le arti si trovarono a rispondere alla ‘rivoluzione’ galileiana, tramite l’esposizione di tele di artisti del XVII secolo, da Ludovico Cardi detto il Cigoli a Ribera, da Arcimboldo a Jacopo Ligozzi, da Caravaggio ad Artemisia Gentileschi, da Frans Francken a Filippo Napoletano, da Pietro Paolini a Guercino. Padova ha proposto tre mostre: Gli anni padovani di Galileo, tra private passioni e pubblici impegni – 1592/1610 (4 aprile -15 luglio 2009), L’universo secondo Galileo (18 marzo - 6 aprile 2009) e Il futuro di Galileo. Scienza e tecnica dal Seicento al Terzo Millennio (28 febbraio - 14 giugno 2009), che ha presentato esperimenti, simulazioni multimediali, nonché preziosi strumenti scientifici antichi e moderni.

I libri recenti (2007-2009)Studi su momenti significativi dell’attività scientifica galileiana

R. Newton, Il pendolo di Galileo, Bollati Boringhieri, Torino 2008: un importante studio di storia della fisica che parte dalla scoperta del-l’oscillatore armonico evidenziato dal “pendolo di Galileo” per arrivare alla descrizione del suo ruolo in microfisica e in astrofisica.e. Reeves e A, Albini, Galileo’s glassworks. The telescope and the mirror, Harvad university Press, Cambridge uSA 2008: il libro segue la prei-storia del telescopio a partire dalle descrizioni medievali delle lenti, fino alla ricostruzione dei contatti epistolari che nel 1608-1609 posero Galileo sulla traccia delle lenti e dei telescopi olandesi.A. Albini, Oroscopi e cannocchiali. Galileo, gli astrologi e la nuova scienza, Prefazione di M. Hack, Avverbi, Grottaferrata 2008 viene fornito un quadro esauriente sul punto di vista di Galileo intorno all’astrologia, seguendone l’evoluzione lungo il corso della vita dello scienziato pisano.Giorgio Strano, a cura di, Il telescopio di Galileo: lo strumento che ha cambiato il mondo, Giunti, Firenze 2008 (ricavato da una mostra te-nutasi a Firenze il 4 marzo 2008 – 31 gennaio 2009, a cura dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza, il libro presenta tramite ricerche multidisciplinari e con l’ausilio di molte riproduzioni la difficoltà e la complessità dell’operazione compiuta da Galileo con la costruzione del telescopio e l’impatto avuto sulla società dell’epoca.D. Freedberg, L’ occhio della lince. Galileo, i suoi amici e gli inizi della moderna storia naturale, tr. it. di L. Guerrini, Bononia university Press, Bologna 2007: lo studio descrive con grande ricchezza documentaria l’attività di Federico Cesi e dei primi protagonisti dell’Accademia dei Lincei, tra i quali lo stesso Galilei, nell’intreccio tra ricerche di astronomia e di storia naturale.

Scritti che toccano il tema del rapporto di Galileo con la Chiesa e il cattolicesimo, e tornano sul processo del 1633

L. Guerrini, Galileo e la polemica anticopernicana a Firenze, Polistampa, Firenze 2009: il libro documenta l’ostilità degli ambienti filosofici ed ecclesiastici fiorentini che contribuirono all’istruzione del primo processo romano con la condanna del copernicanesimo nel 1616.P. Redondi, Galileo eretico, Laterza, Roma-Bari 2009: ristampa di un volume uscito per einaudi nel 1983 e aggiornato nel 2004, che suscitò molte discussioni, perché sostenne che le vere ragioni della condanna del 1633 riguardavano il miracolo eucaristico, messo in discussione dall’atomismo galileiano.I documenti vaticani del processo di Galileo Galilei, a cura di Sergio Pagano, Archivio Segreto Vaticano, Città del Vaticano, 2009: si tratta di una nuova, integrale edizione dei documenti relativi al procedimento contro Galileo conservati nell’Archivio storico della Congregazione per la Dottrina della Fede, nell’Archivio Segreto Vaticano, nella Biblioteca Apostolica.G. Pani e V. D’Adamo, a cura di, Il caso Galileo. Il metodo scientifico e la Bibbia: Ratzinger - Galileo alla Sapienza, Sigma, Palermo 2008: il libro ripercorre la storia del “caso Galileo”, fermandosi soprattutto sul processo del 1633 e avvalendosi dell’apertura degli archivi vaticani.A. Righini, Galileo: tra scienza, fede e politica, Compositori, Bologna 2008 (il libro segue Galileo nella sua umanità e cultura, letteraria, mu-sicale e artistica, e nelle sue posizioni religiose e politiche.Ph. Steele, Galileo, il genio che affrontò l’inquisizione, IdeeAli, Trezzano sul Naviglio 2007: si tratta di una biografia che si sofferma soprat-tutto sulla fanciullezza di Galileo, sui rapporti con i genitori e sui suoi passatempi preferiti, per arrivare a comprendere meglio le scoperte in età adulta.e. Festa, Galileo. La lotta per la scienza, Laterza, Roma 2007: il libro si sofferma sulla condanna a Galileo del 1633 e sul ruolo di urbano VIII, indicando le motivazioni di una punizione eccessiva, che ancora oggi la Chiesa si rifiuta di chiarire.M. Bucciantini, Galileo e Keplero. Filosofia, cosmologia e teologia nell’età della Controriforma, einaudi, Torino 2007 (2003): il libro mette a confronto, anche grazie a documenti inediti, le ricerche parallele di Keplero e Galileo e ricostruisce la mancata interazione tra i due grandi astronomi moderni.

Studi di storia della cultura, con aspetti di storia dell’arte, della musica, della letteratura e della filosofiaN. Fabbri, De l’utilité de l’harmonie. Filosofia, scienza e musica in Mersenne, Descartes e Galileo, edizioni della Normale, Pisa 2008: si tratta di un percorso sul ruolo dell’harmonia nella riflessione filosofica moderna – intesa come modello metafisico ed epistemologico, coesistenza di differenze, scienza dei suoni –, che presenta anche, sotto questo aspetto, l’opera di Galileo.R. Casati, La scoperta dell’ombra. Da Platone a Galileo la storia di un enigma che ha affascinato le grandi menti dell’umanità, Laterza, Roma-Bari 2008: il libro propone una storia filosofica dell’ombra nella quale trovano un posto di rilievo le Guerre d’ombra – cap. XI – condotte dall’astronomia galileiana sulla forma e la figura della luna e sulla struttura del sistema solare.A. Onorati, Virginio Cesarini, Galileo, i Lincei e la Roma di urbano VIII, Anemone Purpurea, Albano 2007: lo studio si sofferma sulla figura di Virginio Cesarini, appassionato di scienze e accademico dei Lincei, e sul suo rapporto con Galileo, che gli dedicò Il Saggiatore.M. Piccolino e N.J. Wade, Insegne ambigue. Percorsi obliqui tra storia, scienza e arte da Galileo a Magritte, eTS, Pisa 2007: la ricerca tratta dell’ambiguità nella comunicazione, come emerge anche – nel capitolo 3 – dalle maschere e dalle dissimulazioni cosmologiche nella pole-mica di Galileo sulla comparsa di nuove stelle.G. Polizzi, Galileo in Leopardi, Le Lettere, Firenze 2007: lo studio descrive l’ambigua presenza di Galilei nell’intera opera di Leopardi, dai pri-mi scritti alla Crestomazia della prosa e allo Zibaldone, tra incondizionato riconoscimento della sua grandezza scientifica e filosofica e pra-tiche di dissimulazione.

Tra mostre e libri A CURA DI GASPARE POLIZZI

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I triangoli hanno tre lati, lo sanno anche i bambini. Spesso però i disegni dei bambi-ni ci presentano un mondo ai nostri occhi “illogico”. Le loro “irregolarità”, non sono sempre frutto di incompetenza, ma sono la conseguenza di una loro fase di “ricer-ca”. Stanno provando a trasformare la realtà “vera”, in una immagine “falsa” (dove vero e falso però non vogliono dir nulla). I di-segni che spesso producono i bambini sono veri e falsi allo stesso tempo. Sono logici e illogici. un volto con tre occhi potrebbe essere un viso che si sposta di lato (come Picasso), una persona con quattro gambe potrebbe non essere un animale, ma una si-gnora che si muove veloce (come Duchamp). un triangolo non ha tre lati, lo sanno anche i bambini. e tutti e quattro i lati sono col-legati fra loro ed interagiscono (prospettiva interazionista).

Primo latoeuripide faceva recitare ai suoi attori che «l’atteso non si compie e all’inatteso un dio apre la via». Come dire: è inutile cercare di progettare in maniera ossessiva la vita perché avvenga ciò che ci si è previsto; c’è sempre l’inatteso che va considerato; anzi, è proprio l’inatteso l’elemento importante, non ciò che si è ipotizzato. Nonostante gli apporti del-l’epistemologia contemporanea e delle varie psicopedagogie, a scuola si continua a pen-sare in termini di “atteso”. Si programma (lo fa l’adulto), si organizza (lo fa l’adulto), si agisce (questo tocca ai bambini), si verifi-ca (questo è compito esecutivo degli allievi e compito di controllo dell’adulto). In questo modo il dio dell’inatteso se ne fugge dall’edu-cazione scolastica e con lui si allontana an-che una moderna concezione della conoscen-za e dell’apprendimento.

Secondo lato«La conoscenza è una navigazione in un ocea-no di incertezze attraverso arcipelaghi di cer-tezze», scrive edgar Morin (I sette saperi ne-cessari all’educazione del futuro). Conoscere è navigare, non arrivare ad un qualsivoglia porto. e a voler essere ancora metaforici si può affermare che conoscere è una passeg-giata. La navigazione si associa ad eventi pe-ricolosi (fino all’affondamento del vascello), la passeggiata dà un’idea più serena di un possibile percorso. Passeggiando si ha l’im-pressione di non far niente eppure qualcosa ci succede, si ha l’impressione di avere vissuto, di essere stati attenti alle cose, di aver sco-perto le loro caratteristiche, di aver apprezza-to la loro estetica…

Terzo latoNel film Il piccolo buddha c’è una scena che

IDeeper l’educazioneDIDattICa Il lavoro educativo nella dimensione espressiva non può ridursi ad insegnare una materia. L’arte e l’educazione artistica, per definizione, non si possono rinchiudere in formule geometriche ed anche i triangoli possono avere quattro lati. Per costruire un bel triangolo quadrato occorre costruire un quarto lato: l’adulto, l’educatore I quattro lati del triangolo artistico GIANFRANCO STACCIOLI *

ARO 09

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ci riconduce all’idea di inatteso e di percorso come passeggiata. Il padre del piccolo bud-dha va a visitare un monastero tibetano ed i monaci stanno completando un mandala di sabbia. È un’opera d’arte meravigliosa, che è stata realizzata da più monaci e che ha ri-chiesto mesi di lavoro. «Quando sarà finito – dice il monaco allo sbalordito occidentale – sarà distrutto con un solo gesto, così». (e nel pronunciare queste parole allarga il brac-cio a significare lo spostamento delle polve-ri colorate). «Ma perché?», domanda l’incer-to spettatore. «Per significare che ogni cosa nell’universo è impermanente», gli risponde il monaco. Lo scopo del fare non è arrivare ad un prodotto finito, ma è un agire dentro la cosa che si fa, procedendo con passione e competenza, con impegno e con amore.

Ecologia dell’azione educativaIn termini più “pedagogici”, queste tre idee possono essere tradotte in un modello preci-so che si chiama ecologia dell’azione educa-tiva. Il primo concetto rimanda al tema della costruzione di una conoscenza che va inte-sa come processo non completamente pre-vedibile perché direttamente connesso alle elaborazioni delle persone (costruttivismo); il secondo all’importanza di situare gli ap-prendimenti in un tessuto fatto di azioni si-gnificative e significanti (contestualismo); il terzo riprende la questione del rapporto fra mezzi e fini che ha avuto in John Dewey il grande maestro (attivismo in chiave fenome-nologica).I tre lati del triangolo che garantiscono una crescita di competenza “artistica” si riferi-scono al costruire un contesto dove preval-gono i significati. Ma, al di là delle etichette teoriche, il lavoro educativo nella dimensio-ne espressiva non può ridursi ad insegnare una materia. L’arte e l’educazione artistica, per definizione, non si possono rinchiudere in formule geometriche ed anche i triangoli possono avere quattro lati. Per costruire un bel triangolo quadrato occorre costruire un quarto lato: l’adulto, l’educatore.

Quarto latoLe competenze tecniche e metodologiche (pur utili) non bastano. un educatore d’ar-te insegna il suo stare nel mondo, la sua fi-losofia di vita. La creatività artistica utilizza strumenti e materiali come “pietre” (Rodari) per denunciare in modo “leggero” le illogi-cità e le incertezze che si annidano nel rap-porto persona/ realtà (interna ed esterna) e nella stessa cultura nella quale siamo immer-si. Il primo strumento lo chiama «le associa-zioni pigre». La parola «cadendo nella mente si trascina dietro, o urta o evita, variamente si mette in contatto» con parole che comin-ciano con la stessa lettera “s” (tautogram-ma), con le parole che rimano con “asso”, con le parole che le stanno lessicalmente ac-canto, «per via del significato», con parole che iniziano con le lettere che la compon-gono (acrostico). Le associazioni pigre por-tano all’«accostamento fantastico»: si parte dalla parola sasso e si creano accostamen-ti sequenziali «capricciosi», imprevisti, im-pertinenti. Ogni coppia interessante può di-

ventare uno stimolo per inventare storie per bambini (più avanti lo chiamerà il «binomio fantastico»). Il secondo meccanismo gli consente di «af-fondare nel mondo del passato». La parola si fa meccanismo per «disseppellire campi del-la memoria che giacevano sotto la polvere del tempo». Come le madeleine nella memo-ria di Proust. Infine, c’è un terzo ingrediente. Scrive Rodari: «nel processo apparentemente meccanico si cala, come in uno stampo, ma anche modifi-cando lo stampo stesso, la mia ideologia…» (le mie “idee sociali”). La realtà fa irruzione nell’esercizio surrealistico. Siamo di fronte ad una visione più complessa dell’uso della fan-tasia (almeno come la si utilizza spesso con i bambini di oggi). La grammatica non vie-ne usata solo per “giocare” con la lingua, ma per parlare della realtà, del mondo, delle in-giustizie, dei dolori, delle stupidità degli uo-mini e dei popoli. Si tratta di un “riso civile” che si fa tramite di messaggi etici, culturali, politici, filosofici. Ridere non basta, divertir-si a manipolar parole non basta. Il gioco si fa serio, non è più iocus, ma ludus.

Il ruolo dell’educatoreIl ruolo dell’educatore è quello di aiutare l’al-lievo a percorrere tutti e quattro i lati del triangolo artistico. Il “primo lato” richiede una sua presenza come colui che segue l’al-lievo e che non si pone davanti indicando la strada da percorrere. È un seguire mental-mente, che non abbandona l’allievo, ma che si pone di fianco, è un compagno che lo so-stiene nei momenti di tempesta o di smarri-mento. Il “secondo lato” è ancor più diffici-le da perseguire, perché viviamo nell’epoca della fretta, in un tempo dove le esperien-ze si bruciano ed abbiamo imparato a per-cepire come tempo perso il fare meditato, il fare lento. Il “terzo lato” è drammaticamente complesso da perseguire (eppure si può). I francesi usano – per spiegare la funzione de-gli educatori – lo slogan: défricheurs du quo-tidien (che sarebbero quelli che fanno puli-zia). Il nostro quotidiano è invaso da cose inutili, da troppi stimoli e da bisogni indotti dal contesto massmediatico o dalle pretese dell’“ingegneria scolastica”. Il “quarto lato” riguarda l’adulto stesso e le competenze che sono necessarie perché lui possa seguire tut-te e tre queste cose assieme, aggiungendo-ci del suo. Perché per lavorare nell’arte con i ragazzi, bisogna che anche l’adulto entri in gioco, che apra le sue capacità relazionali, di empatia, di coinvolgimento, di attenzione e di rispetto. Roberto Rossellini ha scritto che « il più minuto avvenimento della vita quoti-diana contiene in sé una straordinaria poten-za drammatica». Come dire: la banalità non esiste, siamo noi che la costruiamo e siamo noi che possiamo evitarla, con la formazio-ne artistica, tirando – come direbbe Rodari – delle “pietre sorridenti”.

* Gianfranco Staccioli è Segretario generale dei CeMeA italiani; insegna all’università di Firenze.L’articolo è un estratto dell’intervento al Convegno “L’arte di formare all’arte”, tenutosi a Bologna l’8 marzo 2008.

INfOIl pensiero di Edgar Morinedgar Morin (Parigi 1921). È uno degli autori più importanti del filone del sapere noto come teoria della complessità. Di difficile collocazione, proprio in virtù di un approccio ai saperi di tipo transdisciplinare ha segnato con le sue opere la seconda metà del ‘900. Il 14 settembre 2009 si terrà a Torino alla Sala

Biblioteca del Centro Studi Sereno Regis (via Garibaldi 13, tel. 011.532824, 011.549005, fax 011.5158000) un seminario per discutere del suo pensiero (http://www.cssr-pas.org/portal/2009/08/lunedi-14-settembre-seminario-sul-pensiero-di-edgar-morin/).

Il paterno educativoÈ finita l’epoca del paterno autoritario. Le relazioni educative si sono sostanzialmente materializzate. Ma l’assenza di un codice paterno condiviso rappresenta un problema: la funzione paterna è l’unica che presiede lo sviluppo di interessi vitali e che consente la crescita dell’autonomia e struttura relazioni conflittuali evolutive. Per riflettere sul tema, il Centro Psicopedagogico per la Pace e la gestione dei conflitti di Piacenza, con il patrocinio del Comune di Pesaro e dell’A.T.S. n. 1 di Pesaro, organizza, il convegno il paterno educativo. L’iniziativa si tiene a Pesaro il 19 settembre 2009 (Aula Magna Liceo Scientifico G. Marconi, via Nanterre 10). Il convegno sarà seguito dalla lettura teatrale La valigia di mio padre di Orhan Pamuk ad opera di Fabio Doriali.Per informazioni e iscrizioni: Centro Psicopedagogico per la Pace e la gestione dei conflitti, via Campagna 83, 29121 Piacenza, tel. 0523.498594, fax 0523.498594, [email protected], www.cppp.it.

GandhiIl 15 giugno 2007 l’Assemblea generale delle Nazioni unite ha stabilito che la ricorrenza della nascita del Mahatma Gandhi, il 2 ottobre di ogni anno, sia commemorata per disseminare il messaggio della nonviolenza attraverso l’educazione e la sensibilizzazione dell’opinione pubblica. “L’economia della felicità” (http://www.cssr-pas.org/portal/2009/08/2-9-ottobre-leconomia-della-felicita/) è un percorso interattivo di scoperta del messaggio di Gandhi ai giovani. Rivolta alle scuole medie superiori, l’iniziativa di formazione si terrà a Torino dal 2 al 9 ottobre (La Fabbrica delle “e”, corso Trapani 91/b).

Don MilaniÈ condotto «sul doppio binario dello studio attento del lascito milaniano e insieme dell’esperienza creativa ed esplorativa in educazione», scrive Fulvio Cesare Manara nella prefazione al libro di Josè Luis Corzo Toral, Lorenzo Milani. Analisi spirituale e interpretazione pedagogica (Servitium, 2008). Il testo è nato da una tesi di dottorato in teologia e dall’esperienza pedagogica che l’autore ha maturato alla Casa-scuola Santiago uno di Salamanca. una post-fazione di Perticari attualizza il messaggio milaniano.

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Nel dibattito pubblico, in Italia come altrove, esiste una tendenza eccessiva a clas-sificare le persone a partire dalle loro origi-ni, utilizzando categorie etniche o nazionali come se fossero delle entità naturali con po-tenzialità euristiche. Malgrado le perplessità da più parti espresse nei confronti delle in-terpretazioni culturaliste, tali procedure me-todologiche spesso forgiano l’analisi al punto da formularere interpretazioni che riconduco-no ad una presunta natura intrinseca di de-terminate comunità nazionali i diversi risul-tati ottenuti a scuola dai minori di origine straniera o la concentrazione in una certa at-tività lavorativa.I passaggi che conducono a tale prospettiva “nazionale” non sono una tendenza naturale; essi trovano infatti la loro genesi nei proces-si sociali e si riflettono costantemente nel-le pratiche collettive e nelle interpretazioni dei fenomeni dando vita ad un diffuso sen-so comune.Di particolare interesse risulta a questo propo-sito l’analisi dell’antropologo Piero Scarduelli che, partendo dalla critica nei confronti di una interpretazione naif dei processi post moderni di métissage, delinea un panorama italiano nel quale ritiene che l’”ibridazione culturale” è per ora in gran parte assente. Gli scambi culturali tra autoctoni e nuovi cittadi-ni avverrebbero essenzialmente sul piano ma-teriale, attraverso la produzione, l’acquisto e il consumo di prodotti “etnici”, ma molto meno in termini di prassi sociale, al punto che tra italiani e immigrati prevarrebbe l’isolamento culturale reciproco, la separazione tra i diver-si gruppi nazionali e una contiguità spaziale senza modificazione di schemi e strutture co-gnitive, senza assimilazione di simboli e valo-ri. Tutto ciò darebbe vita a “comunità semio-tiche” contrapposte, che includono coloro che riconoscono e condividono lingua, categorie, valori, norme, il cui risultato complessivo è il diffuso consolidamento dello sguardo essen-zialistico e culturalista che diventerebbe la principale chiave di lettura attraverso cui leg-gere il fenomeno migratorio e le relazioni che intercorrono tra italiani e immigrati, divenen-do sentire diffuso.Lo “sguardo nazionale” e il criterio della di-scendenza etnica vengono adoperati anche per interpretare la realtà riferita al mondo dei minori di origine straniera, sia da parte dei media italiani, come è avvenuto a proposito delle “bande” giovanili di latino americani a Genova, o ancora a seguito delle vicende delle rivolte delle banlieu parigine, sia da parte di molti operatori che a vario titolo si occupano di giovani. I giovani immigrati, o figli di im-migrati, si trovano in tal modo ad essere so-vraccaricati di attribuzioni di significati cultu-rali, passivamente acquisiti dai loro genitori. Infatti non basta che gli immigrati abbiano figli perché si abbia una “seconda generazio-ne”, bisogna che gli schemi di rappresentazio-ne e d’azione nella società rendano possibile, o necessaria, l’espressione di un’identità etni-ca, che essa si cristallizzi in uno spazio di ri-

ferimento comune dando in tal modo visibilità e legittimità a certe categorie.

Documenti ministeriali e burocrazia scola-sticaRischi analoghi di essenzializzazione delle identità si riscontrano anche nella scuola. un rapido esame dei documenti ufficiali e delle procedure amministrative può essere istrutti-vo in tal senso. Nelle Linee guida per l’acco-glienza e l’integrazione degli alunni stranieri per esempio si legge: «Si sta delineando in Italia una scuola delle cittadinanze, europea nel suo orizzonte, radicata nell’identità na-zionale, capace di valorizzare le tante identi-tà locali e, nel contempo, di far dialogare la molteplicità delle culture entro una cornice di valori condivisi». Tali affermazioni risultano problematiche. L’identità nazionale, se non viene chiarita nella sua dimensione aperta, dinamica e pro-cessuale, non può essere partecipata da chi non ha un passato condiviso. Anche la nozio-ne di “identità locali” da “valorizzare” non è ovvia né riguardo alla definizione, né riguar-do al riconoscimento, anzi, richiama proprio quella riproduzione culturale che in altri pas-saggi di questo e di altri documenti ministe-riali è rifiutata. Ma soprattutto il ricorso al “dialogo” nasconde la stessa logica, lo stesso paradigma dello “scontro” tra culture, inte-se come universi omogenei e compatti in cui non è affatto scontato che si possa ravvisare una “cornice di valori condivisi”.Non meno contraddittoria è l’azione svolta dalla burocrazia scolastica, a partire dalle se-greterie degli istituti per arrivare alle stati-stiche dei Servizi Amministrativi che, utiliz-zando con una certa disinvoltura categorie

a carattere nazionale per definire i minori di origine straniera presenti nelle aule, involon-tariamente rafforza e consolida le definizio-ni identitarie. Non importa da quanto tem-po questi alunni vivono in Italia o se vi sono nati o meno; benché questa distinzione sia stata introdotta, spesso nella rappresenta-zione sociale dell’amministrazione, essi sono collocati in quadri di riferimento a carattere nazionale, riproducendo ancora una volta la distinzione noi/loro, mettendo in evidenza la contraddizione presente entro sistemi istitu-zionali che si autodefiniscono universali nello stesso tempo in cui costruiscono la rilevanza della dimensione etnica1. La maggior parte degli insegnanti a loro volta legge la nuova realtà plurale del mondo del-la scuola e dei minori che la frequentano se-condo una rigida dicotomia italiani/stranieri, noi/loro, differenziati secondo l’origine, man-tenendo sullo sfondo il peso di altri fattori in gioco, quali il capitale culturale e la strati-ficazione sociale, interpretati come elementi che peggiorano la situazione e non come mo-tivi importanti delle difficoltà.La situazione degli adolescenti stranieri risul-ta quindi paradossale: interiorizzano model-li simili ai loro coetanei, hanno aspettative e desideri simili, ma non la stessa struttura delle opportunità. Il mercato del lavoro seg-mentato e etnicizzato, in cui sono concentra-ti i genitori, e i percorsi formativi, in cui sono concentrati i figli, sono due componenti fon-damentali che potranno avere conseguenze nella costruzione di una stratificazione socia-le a base “etnica” e di forme di “integrazione verso il basso” che coinvolgeranno persone di origini diverse, non esclusivamente giova-ni di origine straniera.

NUOvI CIttaDINI In Italia la situazione degli adolescenti stranieri è paradossale: interiorizzano modelli simili ai loro coetanei, hanno aspettative e desideri simili, ma disuguali opportunità nei percorsi formativi. Con conseguenze nella costruzione di una stratificazione sociale a base “etnica” e nelle forme di “integrazione verso il basso” che coinvolgeranno persone di origini diverse. Culture di strada e scuole sono gli ambiti su cui orientare riflessioni e interventi Oltre lo sguardo nazionale WILLIAM BONAPACE, MARIA PERINO

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Benché non si debba concludere drasticamen-te che il “contesto è destino”, occorre tutta-via porre attenzione al fatto che le opportu-nità divergono in base ad alcuni fattori. Gli autori della imponente ricerca Cils2 condotta negli Stati uniti segnalano che una parte del-le “nuove seconde generazioni” è nelle con-dizioni di confluire negli strati più bassi della società: nei processi cumulativi degli svan-taggi, il genere, la classe sociale e l’etnicità si intersecano verso esiti di segmentazione sociale, confermando l’importanza dell’origi-ne nazionale come fattore di distinzione e di penalizzazione. Se ciò emerge nel momento in cui i ragazzi di seconda generazione si af-facciano sul mercato del lavoro, si può ipotiz-zare che in qualche misura sia preparato negli anni della formazione scolastica se questa è “debole”, e se, in modi più o meno impliciti, mantiene una prospettiva culturalista, per cui l’origine è la variabile che spiega i comporta-menti e i risultati, motiva aspettative basse e orientamento precoce e separa la popolazio-ne scolastica secondo linee nazionali. La for-te concentrazione di alunni migranti può in-fatti rafforzare la tendenza alla segregazione secondo criteri socioeconomici. Questa evo-luzione può prendere diverse forme: ad esem-pio, gli alunni provenienti dagli ambienti più favoriti possono abbandonare le scuole nel-le quali gli alunni migranti sono numerosi, gli insegnanti possono chiedere il trasferi-mento a scuole meno “difficili” determinan-do un turnover nocivo all’apprendimento e al funzionamento dell’istituto. Quale che sia il meccanismo, il fenomeno aggrava le inegua-glianze tra le scuole e aumenta nettamente la difficoltà di garantire l’equità nell’istruzione.

Mimetismo identitario Sulla base delle precedenti osservazioni, la prospettiva di analisi che qui viene proposta è volta a togliere enfasi alla identificazione culturale e ad abbassare il grado di rigidità della distinzione insiders/ outsiders, sia ri-guardo all’analisi dei risultati dell’apprendi-mento, sia riguardo alle dinamiche relaziona-li che si innescano negli spazi scolastici e in tutti gli ambiti di socialità giovanile. Da la-vori di ricerca svolti abbiamo rilevato innan-zitutto che il concetto di doppia identità, che spesso si usa per la “seconda generazione”, è insufficiente: i giovani incontrati condivido-no esperienze e stili di consumo con i coe-tanei italiani, hanno connessioni “globali” tramite internet, la musica, le televisioni, le-gami transnazionali con il paese di origine in forme e modi diversi rispetto ai genitori, tan-to che la nozione stessa di integrazione (in che cosa? in quale spazio?) non risulta più scontata. I ragazzi si muovono in spazi fami-liari, locali, transnazionali e globali con stra-tegie e modalità diverse, attivando di volta in volta aspetti di sé che in altri contesti sono lasciati in ombra, con la capacità di “reggere” la «poligamia dei luoghi» (Beck). Le forme di identificazione si costruiscono nell’interazio-ne, nelle situazioni sociali in cui i ragazzi si formano, nella realtà locale, e in questo sen-so è opportuno orientare lo sguardo, ai mec-canismi che innescano alcuni percorsi, alle condizioni che generano certe forme di iden-

tificazione e di comportamento e possono fa-vorire l’organizzazione di schieramenti. Gli schieramenti sono mobili, situazionali e si formano in base a vari elementi di identifica-zione. un insegnante in un lavoro di ricerca ne indica ben sei: l’impegno nello studio, la svogliatezza, il delinquere, l’amicizia, il vici-nato − tutti trasversali all’origine nazionale − una vaga rivendicazione di appartenenza po-litica che potrebbe rientrare in un processo di mimetismo identitario.

Cultura di strada e scuole che faticanoMolti insegnanti si sentono impotenti e fini-scono con l’adattarsi al disordine. Il fatto che alcuni immigrati in determinati momenti sto-rici si dirigano a scuole disorganizzate, in cui gli insegnanti devono competere con l’intru-sione della “cultura di strada” e le rivalità dei ragazzi, può essere fondamentale nel decide-re la direzione che prenderà l’“integrazione”. La possibilità che in futuro i ragazzi stranieri possano trovarsi concentrati in scuole di cat-tiva reputazione e basse prestazioni, fuggi-te dagli insegnanti ed evitate dalle famiglie più ambiziose (anche tra gli immigrati), e che forniscono una debole formazione e poche possibilità di collocazione sul mercato del la-voro, sono segni di sviluppi potenzialmente preoccupanti. Il rischio in questo scenario è che anche in Italia si crei un nuovo prole-tariato con tonalità solo parzialmente “etni-che”, cioè uno strato svantaggiato composto prevalentemente, ma non esclusivamente, dai figli di immigrati, ma dove questi ultimi si trovino ulteriormente svantaggiati proprio a causa della loro origine “etnica”. Il tipo di rapporti creati all’interno della scuola, nei quartieri, nelle associazioni e al-trove è fondamentale in questo senso: la “se-conda generazione” non è problematica in sé, e i problemi della scuola non sono legati alla presenza di stranieri, in astratto dal conte-sto.È nelle scuole e nei quartieri che occorre con-trollare l’eventuale emergenza di aree di di-sfunzionamento poiché i comportamenti e gli atteggiamenti sono il prodotto delle dinami-che interattive tra i vari attori, italiani e stra-nieri, adulti e adolescenti.Assumere questa prospettiva significa pertan-to monitorare anche lo scarto tra il discorso sui giovani universalistico e di pari opportu-nità − che ci è parso comunque trascurato e in secondo piano − e le pratiche di separatismo che di fatto si esprimono nella concentrazio-ne scolastica; significa altresì tenere sotto controllo il diffondersi di un altro discorso pubblico, di irrigidimento e di riduzionismo identitario che legittima l’uso di categorie et-niche e l’organizzazione di schieramenti nelle interazioni tra giovani, tra giovani e adulti, tra adulti, in contesti di incertezza e di vul-nerabilità sociale.

NOTE1. Confrontare A. Appadurai (trad. it. 2005), in cui l’antropologo afferma che sono proprio le tecniche statali con i censimenti, i dispositivi legislativi e le pratiche amministrative a sostanzializzare le eti-chette etniche e a oggettivare le appartenenze.2. Children of Immigrants Longitudinal Study, a cura di A. Portes e R. Rumbaut.

INfOA scuola nessuno è stranieroLa scuola è diventata uno spazio decisivo per costruire le condizioni e accompagnare le scelte dell’integrazione interculturale e dello scambio reciproco, della conoscenza e del riconoscimento di ciascuno. un’occasione di riflessione e di confronto per i docenti e gli operatori della scuola multiculturale si terrà a Firenze (presso il Palazzo dei Congressi e degli Affari) il 9 ottobre 2009.

Il convegno “A scuola nessuno è straniero. Il tempo dell’inclusione” è promosso da Regione Toscana e ufficio Scolastico Regionale per la Toscana, e organizzato da Giunti Scuola.Informazioni e iscrizioni: Idest, tel. 055.8944307, fax 055.8953344, [email protected] www.ascuolanessunoestraniero.eu.

I diversi linguaggi del comunicare”“Parole e non solo... Tra memoria ed immaginazione i diversi linguaggi del comunicare” è il progetto di formazione per docenti delle scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado che l’AIMC - Associazione Italiana Maestri Cattolici (via Carducci 48, 14100 Asti, tel. 338.1355925, [email protected], www.aimcasti.it) organizza per l’anno scolastico 2009-2010. Il primo convegno si terrà il 17 ottobre.

Adolescenze infranteL’illusione dell’amore. Adolescenze infrante (http://issuu.com/meridiana/docs/l_illusione_dell_amore) è un libro curato per le edizioni La meridiana ([email protected]) da Paola Scalari. Gli autori e le autrici hanno attinto alla loro esperienza di psicologi e psicoterapeuti con adolescenti. Quattordici storie di ragazzi e di ragazze che nel fare esperienza dell’amore sono inciampati nelle loro fragilità.

Centro Psicopedagogico per la PaceFondato nel 1989 da Daniele Novara, il Centro Psicopedagogico per la Pace e la gestione dei conflitti nei suoi primi vent’anni opera a Corleone nel passaggio dalla mafiosità diffusa alla consapevolezza di volerne uscire; nell’accompagnamento critico sui temi della violenza a scuola; nella mediazione scolastica e familiare; nei processi post-bellici nei Balcani, ma specialmente in Kosovo dove viene realizzato un Centro educativo sperimentale.L’attività didattica del Centro si basa sul modello formativo della maieutica, ispirata da Danilo Dolci, un metodo centrato sul coinvolgimento attivo, sulla sintonizzazione antiprescrittiva e sulla creatività. Negli anni, l’Istituto è cresciuto realizzando prodotti come la mostra interattiva Conflitti, Litigi… e altre rotture, spettacoli interattivi come Anna è furiosa – rivolto all’infanzia – e Cosa vuoi da me papà? – rivolto agli adolescenti –, numerose pubblicazioni e la rivista trimestrale Conflitti.

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L’Italia, si sa, è un paese incapace di fare i conti con la propria storia e, per lo-gica conseguenza, di scarsa e breve memo-ria. Se non fosse per i lavori di Angelo Del Boca e di qualche altro studioso, la barbarie del colonialismo italiano sarebbe ancora oggi edulcorata, così come edulcorate sono altre storie d’invasione, come quella dell’uRSS nel corso dell’ultima guerra mondiale e dell’oc-cupazione, sempre durante l’ultima guerra, della Grecia e della Jugoslavia. Italiani brava gente, anche quando si parla di emigrazione che sarebbe sempre avvenuta in modo legale, mentre gli immigrati d’oggi in Italia arriva-no solo per delinquere e godere di immeritati privilegi, soprattutto per via clandestina.

Il cammino della speranzaIl titolo del libro (Torino, einaudi, 2009, pp. 426, euro 35) è ripreso da quello del film del 1950 di Pietro Germi (e la citazione continua in copertina con la ripresa di un fotogram-ma) a dimostrazione che non mancarono, in passato, testimonianze su questo tema, come spesso capita, dimenticate.La motivazione prevalente che spinse tanti italiani a cercare rischiosi e spesso mortali “cammini della speranza” era la più natura-le e legittima: la fame e la voglia di trovare un lavoro per vivere o sopravvivere. Tuttavia, spesso, questa ricerca dovette passare per vie clandestine (per diversi anni e in diversi pae-si, l’immigrazione clandestina degli italiani superò quella regolare) e non furono assenti vere e proprie organizzazioni criminali, come le bande siciliane che operavano in Francia per falsificare passaporti e avviare i clande-stini verso imprese che, peraltro, ne facevano connivente richiesta. Il fenomeno migratorio clandestino, soprattutto verso la Francia fu tanto esteso che nel 1947 comuni frontalie-ri come Bardonecchia e Giaglione, giunsero a chiedere aiuto alla prefettura di Torino per avere risorse da impiegare per la sepoltura dei numerosi migranti clandestini che mori-vano in montagna, durante la traversata dei gelidi passi alpini innevati, affrontata spesso

con abiti inadeguati, bagagli troppo pesanti e con l’aiuto di “guide alpine” pronte a bat-tersela alla prima difficoltà o al sopraggiun-gere della polizia, proprio come gli odierni “scafisti”. Rinauro è molto chiaro quando ci avverte di non essere «un seguace della popolare tesi secondo cui “gli albanesi eravamo noi”» per-ché troppe sono le differenze storiche, socia-li, economiche. Tuttavia, il libro suggerisce alcune riflessioni legate al dibattito odierno sull’emigrazione/ immigrazione. Anzitutto, rileggere la storia dell’emigrazione italiana clandestina porta a considerare come le con-dizioni di immigrato regolare e irregolare non siamo affatto così impermeabili l’una all’al-tra e come tra le due, spesso, non ci sia una cesura netta ma una continuità, un passare da una situazione all’altra. Gli italiani emi-gravano con permessi turistici, contando in una regolarizzazione dopo un certo periodo trascorso in un paese. La speranza era che il bisogno di braccia li avrebbe aiutati a trova-re qualcuno disposto ad assumerli e a rego-larizzare così la loro posizione. In altri casi, il confine tra regolare e clandestino era det-tato dalle condizioni di lavoro. È il caso del Belgio, dove molti lavoratori giungevano as-sunti regolarmente attraverso il reclutamen-to per le miniere, che avveniva con promes-se false e con la descrizione di condizioni di vita e di lavoro che si rivelavano ben presto illusorie. Molti di tali lavoratori, viste le reali condizioni di lavoro nelle miniere, fuggivano, ma cercavano di rimanere nel paese per intra-prendere altre attività, oppure tentare la stra-da verso la Francia o altri paesi, ma diventa-vano così dei clandestini.Da questi e da altri possibili esempi risulta il dato storico della labilità del confine tra clan-destino e regolare, che invece sembra assolu-tamente certo ed evidente a molti dei politici italiani d’oggi, tutti presi nei loro demagogici discorsi a discriminare tra immigrati “buoni” e “cattivi”, tanto più in presenza di una leg-ge come la Bossi-Fini che mette a repentaglio la possibilità di essere un “regolare” qualora

si perda il posto di lavoro (cosa tante volte avvenuta, in passato, a lavoratori italiani che diventavano, dunque, clandestini). È così evi-dente che voler separare in modo troppo net-to immigrato regolare e non regolare rispon-de solo a esigenze politiche; nell’Italia d’oggi come in altri paesi un tempo, spesso si giun-ge alla situazione di “regolari” dopo un perio-do passato da “clandestini” e i rischi di rica-dere in situazioni irregolari dopo un periodo di tranquillità sono sempre presenti.

Guerra tra poveriMa si sa, questa è anche un po’ la politica del divide et impera. Chi riesce a salire su una zattera e a conquistarvi un posto reagi-sce in seguito a colpi di remo in testa a chi in seguito vorrebbe trovarvi lo stesso rifugio. È la logica che purtroppo si sente applicare da certi immigrati ben integrati e stabilizzati che se la prendono con i nuovi arrivati, quasi che loro stessi non avessero passato le mede-sime vicissitudini.Per chi, come me, ha avuto frequenti contat-ti con le comunità di ex immigrati italiani in Belgio, ora prevalentemente ben integrati, è sorprendente notare l’atteggiamento spregia-tivo se non razzista verso le nuove immigra-zioni (poco importa se provenienti addirittu-ra da paesi comunitari, come la Polonia o la Romania).In passato, soprattutto in Francia, l’immigra-zione italiana, anche clandestina, fu utilizza-ta per arginare l’immigrazione algerina o afri-cana, ritenuta “più pericolosa”.Rinauro racconta dell’incentivazione al rien-tro, in termini economici, di certe categorie di immigrati regolari considerati non più “uti-li”, un fenomeno che sembra ripetersi anche oggi. Accadde, in certi paesi, agli italiani, in quella che viene chiamata “Fortezza europa” e si ripete oggi per immigrati di diversa pro-venienza in molti paesi: in tempi di crisi, la Repubblica Ceca incentiva i vietnamiti a rien-trare in patria, la Spagna lo fa con i romeni, il Giappone con i sudamericani. Persone che sono considerate, nel capitalismo, solo brac-cia da lavoro e che quando non servono più, vengono rimandate a casa con quattro sol-di. e a condizione di non rientrare nei diver-si paesi d’immigrazione, a rischio di venirvi considerati “clandestini”.

memORIa Il libro di Sandro Rinauro, Il cammino della speranza, l’emigrazione clandestina degli italiani nel secondo dopoguerra, ripercorre una storia occultata: quella dell’emigrazione clandestina degli italiani Alla fine degli anni Quaranta. Conoscere la storia aiuta a comprendere il presente Italiano? emigrante clandestino! MAURIZIO DISOTEO

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NIDO sONOROuna ricerca-intervento sulle esplorazioni sonore nella prima infanzia. Il laboratorio, avviato nel 2002 con la direzione scientifica di François Delalande, uno dei pionieri della ricerca sulla musicalità infantile ha visto coinvolti 86 bambini e bambine, le educatrici di cinque nidi della provincia di Lecco, un’équipe di tredici ricercatori/ricercatrici coordinati da Maurizio Vitali, direttore del Centro

Studi Musicali e Sociali Maurizio Di Benedetto

MARIO PIATTI *

Da tempo ormai, anche in Italia, si sta ponendo una particolare attenzione all’inci-denza che la musica ha nello sviluppo cogni-tivo ed emotivo di bambini e bambine molto piccoli. Come spesso succede, la pratica edu-cativa nasce e si sviluppa sulla base di intui-zioni, o di voglia di fare qualcosa in cui si prova piacere, o ancora per rispondere a bi-sogni e desideri espressi dai bambini stessi. Ma, come spesso succede, a fronte di queste pratiche “spontanee” c’è chi si prende la bri-ga di porsi domande “scientifiche”, di capire il perché e il per come avviene che i bambi-ni hanno comportamenti musicali senza che nessuno abbia loro insegnato nulla, e quindi anche di pensare come si possano progetta-re e realizzare situazioni e attività didattiche per favorire e potenziare lo sviluppo di questa musicalità innata.Possiamo considerare François Delalande uno dei pionieri della ricerca sulla musicalità in-fantile. Già con La musica è un gioco da bam-bini (ed. or 1984, tr. it. Franco Angeli, Milano 2001) l’autore ha evidenziato come l’attività giocosa con i suoni vada sottratta alla sfe-ra del “rumore” per essere invece valorizzata come musica.

Nel volume recentemente uscito nella colla-na Idee e materiali musicali del Centro Studi Musicali e Sociali Maurizio Di Benedetto (edi-tore Franco Angeli, Milano 2009) che ha per titolo La nascita della musica. esplorazioni sonore nella prima infanzia, vengono ripor-tati dati, riflessioni analitiche, considerazioni pedagogiche emerse da una ricerca-interven-to iniziata nel 2002 con la direzione scien-tifica dello stesso Delalande, e che ha visto coinvolti 86 bambini e le loro educatrici di cinque nidi della provincia di Lecco, non-ché un’équipe di tredici ricercatori/ricercatri-ci coordinate da Maurizio Vitali, direttore del Centro Studi lecchese1. Il volume è correda-to da due preziosi DVD in cui sono raccolti ben 87 brevi video selezionati dalle 55 ore di registrazione. In realtà il lettore potrebbe iniziare proprio dalla visione dei filmati, “go-dibili” di per sé, anche senza commento par-lato o scritto. Ci si può così fare un’idea della quantità e della qualità delle condotte e dei comportamenti che bambine e bambini di età compresa tra 11 e 35 mesi hanno di fronte alla possibilità di “giocare” con uno strumen-to musicale in contesti sia individuali che di coppia o piccolo gruppo.Il volume si apre con una riflessione genera-le dello stesso Delalande sull’ontogenesi del-le condotte musicali, in cui si evidenziano in particolare i punti di vista dell’antropologia e della psicologia sulla nascita della musica e sul percorso dall’esplorazione all’invenzione.I vari contributi dei ricercatori sono poi rag-gruppati in due parti.Nella prima (pp. 49-201), “L’esplorazione indi-viduale”, sono approfonditi molteplici aspetti relativi al piacere della scoperta e alla que-stione della diversità di “stile” (inteso come impronta personale, anche in relazione alla diversità di genere bambino/bambina); anco-ra: alla possibilità di “trasporto” dei compor-tamenti senso-motori e delle abilità acquisite da uno strumento a un altro, da una situa-zione a un’altra, nonché alle dinamiche nella relazione adulto-bambino. Viene poi discusso l’eterno problema del rapporto tra quantifica-zione e interpretazione, dualismo inevitabi-le in quanto, come afferma Delalande stesso, «non esiste interpretazione senza misurazio-ne, anche minima, se non altro per la neces-sità di comparare, così come non esiste una misurazione senza un’interpretazione, che sia prima o dopo» (p. 185).Nella seconda parte (pp. 205-304) vengono descritte, con interventi dei vari ricercatori, situazioni diversificate: non più esperienze in cui i bambini sono messi individualmen-te in una identica situazione, ma molteplici proposte finalizzate sia a verificare nel tempo la persistenza di certe condotte esplorative, delle modalità di rapporto con l’adulto, del-la capacità di organizzazione delle produzio-ni strumentali, sia ad analizzare l’incidenza di alcuni parametri nella modificazione del-le condotte e dei comportamenti: dalla pre-sentazione contemporanea di più strumenti diversi, alla attività di gruppo, alla diversa programmazione degli interventi in relazione anche alla diversità dei luoghi e dei contesti dei vari servizi del territorio.Le osservazioni conclusive di Delalande si ri-

volgono agli educatori, sottolineando come «tutta l’arte di chi educa sta nell’utilizzare i dispositivi a proposito» (p. 295); ai genito-ri, con una sollecitazione: «osservate il vo-stro bambino mentre cerca le sonorità e non esitate da filmarlo, a sistematizzare e orga-nizzare le vostre osservazioni, per voi – per gustare meglio le sue prime invenzioni sono-re – ma anche per condividerle con noi» (p. 298); agli architetti, affinché tengano con-to, nei “capitolati”, della necessità di «una sorta di laboratorio di musica, ben protetto a livello acustico» (p. 299); agli antropolo-gi e agli psicologi, perché pongano attenzio-ne non solo alla dimensione cognitiva delle condotte esplorative dei bambini, ma anche alle sensazioni tattili e cinestesiche, oltre che all’espressione e alla comunicazione vo-cale, evidenziando che «la linea di separazio-ne che, per lo meno nel primo anno di vita, sembra più pertinente non è tanto quella tra strumentale e vocale, ma fra esplorazione da una parte e espressione-comunicazione dal-l’altra» (p. 302).Alla fine concordiamo con Delalande: «Il let-tore spettatore che ha ancora in mente le im-magini dei bambini che provano per la prima volta nella loro vita queste esperienze sono-re, tattili, relazionali attraverso il suono, non avrà difficoltà a riconoscere in queste con-dotte, nella loro forma nascente, le esperien-ze di piacere del musicista adulto» (p. 304).

* Docente di Pedagogia musicale, Conservatorio della Spezia.

NOTA1. Per una “storia”della ricerca-intervento cfr. www.csmdb.it/NidoSonoro/Progetto.htm.

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La NasCIta DeLLa mUsICa

Il nuovo volume della collana “Idee e ma-teriali musicali, La nascita della musica. Esplorazioni sonore nella prima infanzia (con due DVD), a cura di François Delalande, pre-senta i risultati della ricerca sulle esplorazioni sonore dei bambini in età 0-3- anni realizza-ta da un’equipe del CSMDB. Offre importanti orientamenti per uno sviluppo dell’educazione musicale in senso antropologico e per la defi-nizione di “un’ontogenesi delle condotte mu-sicali”. Il libro è in vendita nelle librerie e sul sito www.francoangeli.it.

IDee e mateRIaLI

– D. Vineis, Spartito perso. Giochi d’animazio-ne con le musiche del ‘900. – G. Marinoni, B. Lazzarotto, S. Cornara, M. Vitali, Farsi sentire. La musica nei progetti so-cio-educativi. – M. Spaccazocchi, La musica e la pelle. – M. Vitali, Alla ricerca di un suono condiviso. – e. Strobino, M. Vitali (a cura di), Suonare La città (con CD allegato). – F. Ferrari, Giochi d’ascolto. L’ascolto musica-le come tecnica d’animazione. – M. Disoteo, M. Piatti, Specchi sonori. Autobiografie ed identità musicali.– e. Strobino, Musiche in cantiere. Proposte per il laboratorio musicale. – F. Delalande, La musica è un gioco da bam-bini, edizione italiana a cura di Maurizio Disoteo.

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shIRIN, maRjaNe e Le aLtReDal mese di giugno, le manifestazioni pacifiche del popolo iraniano vengono represse dalle forze governative. Numerose persone sono state uccise, centinaia ferite, oltre duemila arrestate. Ma come spesso accade i riflettori che hanno illuminato la tragedia iraniana si sono spenti, anche per effetto di una

censura implacabile. Motivo in più per parlare a scuola di quanto è avvenuto e sta avvenendo. e magari per portare in classe il romanzo di Azar Nafisi, Leggere Lolita a Teheran (Adelphi, 2004) e la graphic novel di Marjane Satrapi, Persepolis, pubblicata in Italia per le edizioni Lizard tra il 2002 e il 2003, o il film omonimo nelle sale dal 2008

CELESTE GROSSI

«Da ora in poi dirò: Chi lascia la sua patria può vivere ovunque. Io però mi rifiuto di

tornare in Iran solo per morire. un giorno in Iran ci vivrò. Altrimenti la mia vita non avrà avuto senso». Marjane Satrapi, “Teheran è la mia casa” (Internazionale, 13 luglio 2009).

shirin ebadi, l’avvocata Nobel per la pace 2003, prima donna musulmana a ricevere il premio, per motivare l’uscita del suo roman-zo, La gabbia d’oro (Rizzoli, 2008) citò le pa-role del pensatore e sociologo iraniano Alì Svariati: «Se non potete eliminare l’ingiusti-zia, almeno raccontatela a tutti». Da allora in Iran le ingiustizie si sono moltiplicate, ma si sono moltiplicate ancor di più le persone che lottano per cambiare il paese.

Certo la soluzione dei problemi in Iran è nel-le mani degli iraniani stessi, ma la repressio-ne violenta dei diritti è una questione che riguarda tutti i cittadini e le cittadine del mondo. e la scuola, in tutto il mondo, è te-nuta ad occuparsene.

Le donne Dopo i contestati risultati dlle elezioni presi-denziali (12 giugno 2009) a Teheran e in al-tre città iraniane una moltitudine di persone, soprattutto giovani donne e uomini, hanno, in modo pacifico, manifestato il proprio dis-senso nelle strade e nelle piazze. La risposta di governo e polizia è stata violenta: pestag-gi, arresti, torture e morti. Radio e televisione ufficiali all’inizio hanno parlato di 8 morti, poi di 11. Ma ormai è inne-gabile che molti dei giovani “arrestati”, sono in realtà stati uccisi. «La situazione in Iran è peggio di quello che pensavamo», ha detto un mese dopo le elezioni Shirin ebadi.«Le madri angosciate sono andate dappertut-to per avere notizie dei figli. Ma non hanno risposte − ha dichiarato Shirin ebadi −. e ora che le madri piano piano recuperano le salme del loro figli si capisce che il numero di mor-ti era molto più alto di quello dichiarato uffi-cialmente». Anche se all’atto della consegna dei corpi le autorità intimano alle madri di non parlarne con nessuno, la verità si è sapu-ta in Iran e nel resto del mondo perché, pro-segue ebadi, «non si può tenere il dolore nel petto a lungo». Ogni giorno la misura della tragedia appare più vasta. Le donne che hanno perso perso-ne care, quelle che cercano i dispersi e quelle che hanno amici e parenti in prigione hanno creato un comitato. Le esponenti del comita-to e le altre donne solidali ogni sabato alle 19, per un’ora, si riuniscono in un parco in

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Teheran vestite di nero in segno di lutto e in silenzio gridano il loro dolore ai passanti.ebadi ha chiesto «a tutte le donne libere del mondo, ogni sabato sera dalle 19 alle 20 di riunirsi in un parco nelle vostre città vesti-te di nero per far sentire la solidarietà con le madri in lutto in Iran e per far sentire la loro voce al mondo. In Italia, il messaggio è stato raccolto dalle Donne in Nero che han-no deciso di fare da cassa di risonanza al gri-do silenzioso delle iraniane. Sul loro blog (http://donneinnero.blogspot.com/) si leg-ge «Rispondiamo all’appello di Shirin ebadi ed esprimiamo la nostra solidarietà alle ma-dri iraniane e a tutte le donne che, in Iran e ovunque nel mondo, anche a rischio della loro vita, scendono in strada per esigere giu-stizia e verità, perché non scenda il silenzio sulle vittime della repressione e del potere che usa la forza delle armi per mettere a ta-cere chiunque lotti per il rispetto dei propri diritti. Mentre estendiamo la nostra solidarie-tà alle madri dell’Iran, alziamo anche le no-stre voci perché la loro sofferenza non ven-ga usata per giustificare “soluzioni” militari alla crisi, come è stata usata la repressione delle donne in Afghanistan per giustificare la guerra, lanciata in 2001, che continua anco-ra oggi».Il 25 luglio scorso si sono svolte iniziative in tutto il mondo per rispondere all’appel-lo di scrittori, artisti, attivisti per i diritti umani iraniani − tra cui Organizzazione del-la difesa dei diritto dell’uomo in Iran, Lega Iraniana per la Difesa dei Diritti dell’uomo (LDDHI), Campagna internazionale dei dirit-ti dell’uomo in Iran, Osservatori dei diritti dell’uomo, Reporter senza frontiere, Amnesty International, Iniziativa Donne vincitrici del Premio Nobel in difesa dei diritti del popo-lo iraniano.

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QUasI statO DI DIRIttO... Come ci ha insegnato Calamandrei, la Costituzione, se non è alimentata dall’impegno quotidiano e coerente, è un pezzo di carta; bisognerebbe celebrarla di meno e praticarla di più. L’emblematica vicenda dei regolamenti Gelmini applicativi delle leggi sui tagli alla spesa della scuola pubblica

dimostra lo stato di degrado delle nostre istituzioni ma anche le difficoltà delle opposizioni politiche e sociali

CORRADO MAuCeRI

sotto il primo aspetto, come è noto, l’articolo 64 del Decreto Legge n. 112/08 ha sottratto al Parlamento ogni ruolo in materia di riassetto dell’ordinamento scolastico e con una delega in bian-co di delegificazione l’ha attribuito al potere regolamentare del Governo; per coinvolgere in qualche modo Parlamento e Regioni era stato previsto che il Ministro, prima di realizzare gli interven-ti previsti, avrebbe dovuto predisporre un Piano programmatico da sottoporre al parere delle Commissioni Parlamentari e della Conferenza unificata e successivamente entro dodici mesi, avreb-be dovuto adottare i regolamenti attuativi.La Ministra si è limitata a predisporre soltanto uno schema di Piano e, dopo avere acquisito i pareri (peraltro con molte osser-vazioni), non ha mai adottato formalmente tale Piano. I regola-menti sono stati adottati dopo oltre un anno, e nel frattempo la Ministra ha anticipato l’applicazione delle disposizioni contenu-te nei regolamenti ancora inesistenti, disponendo pesanti tagli agli organici.

Molti garanti, ma niente garanzieIn uno Stato di diritto dovrebbero esserci istituzioni prepo-ste al controllo dell’attività legislativa ed amministrativa sia del Parlamento sia del Governo per garantire in qualche modo il con-fronto democratico ed imporre, almeno, l’osservanza delle regole che la stessa maggioranza si era date.Nel nostro Paese ci sono il Presidente della Repubblica e la Corte Costituzionale deputati al controllo della legittimità costituzio-nale delle leggi, Consiglio di Stato, Corte dei Conti, TAR tutti de-putati al controllo di legittimità dell’operato del Governo e dei Ministri.Tutti questi organi di garanzia costituzionale e di controllo sono intervenuti su tutti gli atti concernenti questa materia; il Presidente della Repubblica ha autorizzato due decreti-legge così urgenti che ancora dopo oltre un anno non sono stati attuati, la Corte Costituzionale ha ritenuto legittima la delega in bianco al potere regolamentare del Governo sull’ordinamento scolastico in generale (nella storia della Repubblica non si era mai verificata una tale forma di generale delegificazione), Consiglio di Stato, Corte dei Conti e, ultimo il TAR, hanno ritenuto che, pur mancando gli atti formalmente adottati, gli schemi possono essere sufficien-ti, che i pareri delle Commissioni Parlamentari e della Conferenza unificata Stato – Regioni - enti locali si possono anche non pren-dere in considerazione e che infine il Ministro può ignorare la legi-slazione vigente e dare applicazione ad una legislazione in fieri.Tutto ciò succede non in una fantasiosa repubblica delle bana-ne, ma nel nostro Paese dove ci sono una Costituzione che af-ferma i principi dello Stato di diritto e forze politiche che alla Costituzione si richiamano, ma che molto spesso sono distratte o non sono in grado di esserne i garanti..

esseRe RaGaZZI aL temPO DI BeRLUsCONI

ANDREA BAGNI

Questa estate mentre facevo l’esame si stato ho sco-perto chi è un vero uomo, che cosa fa, come parla. Dalle ragazze in classe ogni tanto arrivava un messaggio triste sui maschi: «profe i ragazzi non si innamorano, non si ab-bandonano, gli interessa altro; e se si innamorano non lo dimostrano, non ci si capisce niente». Non si innamorano i maschi, niente sentimenti, gli interessa solo il sesso, figu-riamoci. È vero però che per i ragazzi a scuola un mare di roba resta nel non detto. Non dicibile. Come se emozioni e sentimenti non trovassero un alfabeto possibile: parole che non siano quelle della tradizione maschile, né la pura ripe-tizione-imitazione del discorso femminile. Se c’è un femmi-nismo della differenza, ci sarà pure da qualche parte una differenza maschile decente. Ma se le parole mancano, l’as-senza dei nomi per dire le cose cambia la natura delle cose. Quella interna, quella che conta. Ma in luglio ho letto che un «vero uomo» è Berlusconi. Lo ha scritto la stampa russa. uno statista con le palle, perché si sa che lo Stato è maschio − già in Una giornata particolare Sofia Loren era gettata a terra e messa incinta da uno sguar-do del duce a cavallo. Peraltro anche nella tradizione di sini-stra, per certi versi, la politica è “conquista”. Nel mio paese ancora vive la leggenda dei vecchi comunisti ribelli al regi-me e vispi con le donne. Comunismo era vitalità, sfida, desi-derio, guardare avanti. Mai pensare alla morte, diceva il pa-dre del mio compagno di studi. Non è roba da uomini, è un segno di debolezza, un deficit di vita. Va da sé che tutti si sposavano e i figli venivano mandati in chiesa per un’educa-zione religiosa, con battesimo e ora di religione, perché così

fan tutti. L’educazione era affidata alle donne, i padri lasciavano fare. Tuttavia non si era alla doppia morale spudorata di Berlusconi: il family day, le leggi al servizio del Vaticano, e poi le belle giovani intorno alla piscina perché mica siamo santi. Zona politica la piscina, non solo perché il premio per le ragazze consegnate a domicilio è un beneficium di natura pubblica, ma perché è già un fatto di potere il sesso. un gioco di ruolo. Il Presidente e la ragazza. Domani vado a incontrare i Grandi della Terra per salvare l’umanità, tutto dipende da me, carina. Mi aspetti stanotte nel lettone? Come giustificazione giuridica, il fatto che si tratta solo di merce, di utilizzazione finale. Banalità dall’acquisto e riposo dell’eroe − che può essere anche buono, un Padre: dimmi il tuo cognome, ti aiuto, ti trovo un posto in parlamento. Perché gli elettori pure mi amano. Il potere è amore. Il mio corpo è quello della nazione. e il tipo dice alla ex prosti-tuta adesso escort, «vai tranquilla anche senza preservativo, lo sai chi è, che è continuamente controllato». Potere maschio, medicalmente assistito.Mi veniva in mente la vecchia signora di Pirandello di cui si domanda sempre al-l’esame di stato: quella che si veste da giovane ed è ridicola, però se uno pensa che forse cerca di trattenere il marito più giovane che si è innamorato di un’al-tra, più giovane, diventa un casino ridere. Ma soprattutto mi ricordava Mazzarò e la roba. Mazzarò che sembra disteso sulla sua terra, con tutto il mondo degli umani che cammina sul suo corpo. Goffo immenso e tragico. Forse è per questo che a sentire le registrazioni ho provato una specie di strana tristezza: per il ricco che si vanta con la giovane della sua ricchezza, della sua villa con gelate-ria (cosa di meglio per conquistare la bambina dei gelati), del suo ruolo mon-diale. e però resta il maschio patetico, quello che non può dare la vita ma solo prenderla. Il vecchio che – come Mazzarò – alla fine non potrà portare via con sé la sua roba, che resterà lì, a disposizione del ragazzino sudicio che può an-cora correre nel mondo. Forse al maschile appartiene questa difficoltà a vivere al vita nella misura del vivente, senza sogni di onnipotenza, senza sentirsi universali. Forse si è do-minati dalla paura della morte. Paura che neanche il potere, il dominio, la vio-lenza, riescono a esorcizzare. La fragilità, indicibile, inammissibile, spinge a possedere, comprare, accumulare. Disporre sul lettone. Cercare di vivere della vita degli altri. Delle altre. Sogno a portata di mano di nuovi inizi che vinca-no il tempo. Per i ragazzi che ho davanti e per me la cosa difficile da fare è trovare un modo vero per essere uomini, lasciando perdere gli uomini veri. Riuscire a spostarsi dal gioco del potere: vincere o perdere, essere forti o deboli, dominanti o domi-nati. Potenti o impotenti. Possedere o non essere nessuno. Il casino è non avere paura di essere se stessi, con la propria parzialità − magari liberatoria se per-mette di sentire che le cose finiscono. Fa parte del gioco. Non si può comperare l’eternità, neanche plastificando la propria vita nell’immagine. Non in eterno. Anche i popoli non amano per sempre.

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seGaLINI NON mI PaRLI DI sessO ANTeO CROCIONI

Insomma, basta con le pornodottores-se della ASL di Milano, basta con i loro corsi a luci rosse nelle scuole (si par-la persino di preservativi alla fragola). D’ora in avanti non potranno più parla-re ai ragazzi e alle ragazze, ma spieghe-

ranno ai professori e ai genitori, che poi riferiranno a tem-po e luogo ai giovani. Così a settembre il collegio docenti riunito ascolterà come si usa un preservativo (età media 52 anni, mai visto tale oggetto?). Magari scopro che sino-ra ho sbagliato tutto, dai 15 anni in poi, quando li usavo per fare i gavettoni al preside. uso improprio di preserva-tivo, ma l’unico concepito dal mio collega don Picozza che segue gli orientamenti anti-Aids del Papa. e poi la scuola avrà nel bilancio i soldi per comprare i preservativi da mo-strare, magari anche alla banana e al passionfruit, fosfore-scenti o extra-strong, o ce li dovremo com-prare noi? Ma sino a che pun-to potrò spin-germi, senza essere accusa-to di essere un prof a luci ros-se, corruttore di giovani, con tendenze per-verse, maga-ri pure un po’ omosessuali? Potrò parlare di sesso orale, anale, di con-traccezione, di omosessualità e di tutto quel-lo che peraltro i miei allievi cercano subito su internet appena stacco lo sguardo dal Pc? Penso di porre un quesito per via gerarchica, dal pre-side al Csa, su fino al ministero. Non rischio di certo di fi-nire sui giornali pure io. Ma tanto lo so che i miei allievi non mi faranno tante do-mande, tutto finirà in un’oretta. Sì, perché loro con me, né con gli altri colleghi, di certe cose non hanno voglia di parlare. Perché sanno che staranno in classe con noi altri due o tre anni e che, anche se disegnano cazzi sulla lava-gna nel cambio d’ora e poi ridono quando entra la giovane collega Sfalanderi, i professori un po’ d’autorità ce l’hanno ancora e alla fine, valutano. e poco conta se sono giova-ni o vecchi, digrignanti o ridanciani, è il ruolo che con-ta. Segalini sa che io so che sta con la Lavarelli, dunque se mi fa una domanda sul petting immagina che io sappia che loro fanno questo e non gli va. La Lavarelli l’altro gior-no piangeva, in classe, e quando le ho chiesto cosa ave-va, mi ha solo risposto di lasciarla uscire con la sua ami-ca, la Djallo. Poi mi ha ringraziato, ma non mi ha detto nulla, proprio nulla. Io sono adulto, forse anche troppo, parlare di sesso in classe non mi disturba, ma sono loro, i ragazzi, che non se la sentono. e sono loro che ne han-no bisogno.

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L’educazione non formale rappresenta un concreto campo d’azione: è por-tatrice di valori specifici e qualifica l’identità degli stessi attori coinvolti. La Piattaforma europea per l’educazione non formale (il testo completo è leggibile su: www.ficemea.org, www.piemonte.cemea.it) è il risultato del percorso Networking european Non Formal education, realizzato nel quadro del Programma Grundvig (www.programmallp.it) da CeMeA Francia e CeMeA Piemonte, escuela Publica de Animacion e da Coordinadora Infantil y Juvenil (Madrid), e da NIDM (Praga), con l’obiettivo di riconoscere i principi comuni dell’azione culturale, educativa e forma-tiva sul piano europeo, senza ambire ad un modello unico di formazione o ad una norma, ma al fine di permettere agli animatori di ciascun paese d’agire e intervenire in europa sulla base di principi comuni.L’educazione formale, l’educazione non formale, l’educazione informale hanno pro-prie specificità, ma contribuiscono a costruire l’educazione globale di ciascun indi-viduo, hanno un’interazione tra loro e degli spazi comuni. L’educazione non formale è un diritto, eguaglianza di tutti dinnanzi a questo di-ritto deve essere garantita per permettere la libera scelta e favorire l’espressione di ciascuno.Deve favorire la costruzione dell’autonomia e della socializzazione delle persone, la partecipazione alla vita sociale, i processi d’emancipazione personale, la lotta con-tro ogni forma di esclusione. essa non deve aggravare o determinare ineguaglianze rispetto al tempo libero, alla cultura. Deve rafforzare il principio del rispetto per tutti, animatori e partecipanti.Deve essere riconosciuta come elemento costitutivo dell’educazione di ogni perso-na. Deve essere sostenuta dalle istituzioni e dai poteri pubblici della società. Non deve essere abbandonata alla logica del mercato e della privatizzazione.Ha dei valori e delle specificità educative proprie è portatrice di trasformazioni so-ciali e societarie.Concerne tutti e non soltanto una popolazione specifica o in difficoltà. essa non è un “supplemento accessorio”.L’animazione nell’educazione non formale deve essere riconosciuta come tale. Il va-lore e la dignità professionale degli animatori devono essere riconosciuti. essa è proposta dagli attori del settore con statuti diversi che devono essere valorizzati nelle loro competenze di soggetti educativi e sociali, capaci di proporre progetti; tecnici e pedagogisti di settori d’attività o discipline. La formazione dovrà permettere agli animatori di creare spazi d’impegno e reti per la partecipazione attiva dei cittadini.La qualificazione degli animatori, quale che sia il loro statuto, è un elemento indi-spensabile per la qualità educativa delle azioni in direzione di soggetti diversi.La qualità educativa è il risultato della concretizzazione dei seguenti punti:1. Definizione di obiettivi per l’azione o la formazione: l’azione di eNF deve inscri-versi in un progetto pianificato, intenzionale e concreto.2. Legame dell’azione o della formazione col tessuto sociale, educativo, culturale del contesto: considerare le aspettative, i bisogni dei soggetti e della realtà (edu-cativa e sociale) rispetto a contenuti, processi e strumenti.3. Avere una durata: un progetto di eNF non è uno “spot”, ma deve inscriversi nel quotidiano.4. Trasferabilità dell’esperienza, dell’azione educativa: le azioni d’eNF devono inse-rirsi in un processo di sviluppo culturale, sociale e personale.5. Partecipazione e associazione del pubblico, considerazione dei suoi bisogni: l’eNF si fonda sulla partecipazione attiva delle persone alla loro propria educazione.6. esistenza d’una documentazione: sotto forme diverse per e con il concorso attivo dei partecipanti all’azione o alla formazione.7. Dimensione interdisciplinare, trasversalità e globalità dell’attività: apprendere a costruire connessioni tra i saperi e gli apprendimenti (pensare globalmente, agire localmente).8. utilizzazione dei metodi d’educazione attiva: che favorisce il lavoro per piccoli gruppi, la partecipazione, la pedagogia del progetto, l’auto educazione.9. unità di teoria e pratica nell’azione dell’eNF: organizzazione dei contenuti tra ap-porti teorici, riflessioni e pratica d’attività, integrate delle analisi delle pratiche ed interazione tra riflessione ed esperienza.10. esistenza d’una diversità culturale nell’azione o formazione: l’eNF è aperta a tutti, favorisce e riconosce l’espressione dei diversi punti di vista e lotta contro le discriminazioni per l’affermazione dell’intercultura.11. Considerazione e applicazione delle pari opportunità tra uomini e donne nelle forme e nelle modalità definite dalle équipe dei formatori: tenere conto dell’edu-cazione al genere e della sensibilizzazione alla decostruzione degli stereotipi ses-suali.12. L’eNF come spazio d’educazione permanente per la sostenibilità ambientale: per sperimentare precise responsabilità individuali e collettive.13. Organizzazione di un processo di valutazione delle azioni: non è un giudizio ma una forma di riorganizzazione dei saperi, degli apprendimenti, delle esperienze per la rielaborazione di nuovi progetti. 14. Dimensione internazionale de l’eNF: iscrivere le azioni o le formazioni nel qua-dro internazionale per la costruzione di un’europa sociale e della cultura.

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mappamondo

jaya che sa leggere e scrivereIl giovane Jaya, restato orfano della madre, raggiunge il padre, lavoratore di un jermal (le piattaforme da pesca in legno, tipiche dell’Indonesia, che fanno − o meglio faceva-no, perché grazie a pressioni internazionali, stanno, via via, per essere tutte smantellate − grande uso di lavoro minorile), e non sem-bra intenzionato ad andarsene, nonostante la sua vita a bordo sia molto dura, tra il ri-fiuto dell’uomo, che aveva abbandonato lui e

sua madre e che continua a voler rimuovere il figlio e il suo passato (nel corso del film si scoprirà il perché), le piccole dimostrazioni di potere e i soprusi, ai quali lo sottopongo-no i suoi compagni di lavoro. Il film Jermal narra del microcosmo di adolescenti e delle dinamiche di gruppo distorte con violenze psicologiche e fisiche messe in atto come reazione ad una situazione di isolamento in cui l’assenza di un ampio spazio di movi-mento e la conseguente convivenza forzata

hanno come unica valvola di sfogo una con-tinua tensione.La storia evolve ed evolvono i rapporti tra i ragazzi da una parte, sempre compatti ed uniformi in azioni e reazioni per combattere la malcelata solitudine e mancanza di affetto e Jaya dall’altra. Il muro di incomunicabili-tà a poco a poco viene abbattuto e il prota-gonista dall’esclusione passa non proprio al-l’inclusione, ma almeno al riconoscimento di ruolo, in quanto sa leggere e scrivere.

sUD Il “Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina” è una tra le più significative attività di promozione e di animazione culturale organizzate dal COE – Centro di Orientamento Educativo. La Giuria dell’edizione 2009 del Festival, composta dallo scrittore senegalese Boubacar Boris Diop, dal regista kazaco Darezhan Omirbayev e dalla regista italiana Maria Sole Tognazzi, ha attribuito il premio per il miglior lungometraggio al film indonesiano Jermal di Ravi L. Bharwani e Rayya Makarim I giovani protagonisti del cinema dei sud del mondo CINZIA QuADRATI *

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Muta in parallelo anche il rapporto tra il ra-gazzino e suo padre, anch’esso intessuto ini-zialmente di violenza, di inspiegabile ranco-re. Jaya, con ostinazione, resiste e riesce a conquistare l’affetto paterno.Il film ha un forte impianto realista, è bru-talmente sincero nella rappresentazione e dei personaggi, molto fisici, sempre in mo-vimento, sempre affannati, il tutto reso con grande precisione di dettagli.Purtroppo il film non ha e non avrà distribu-zione in Italia.

Mourid il mattatoreSarà possibile, invece, rivedere un altro film in competizione perché il COe (Centro di Orientamento educativo) ne ha acqui-sito i diritti di distribuzione non commer-ciale per la pellicola e il DVD. Si tratta di Mascarades dell’algerino Lyes Salem, regista è che il Festival ha visto crescere artistica-mente, mostrando tutti i suoi film. Il suo cortometraggio d’esordio è Jean Fares, del 2001, interamente ambientato in una cabina telefonica, con il regista come protagonista: divertente saggio di imbarazzi intercultura-li nel comunicare dalla Francia al padre in Algeria il nome del futuro figlio. Il secondo, Cousines, del 2003, disponibile in DVD, si svolge in Algeria e tratta dei postumi della guerra civile, del clima di insicurezza e pau-ra, della forzata chiusura dell’universo fem-minile.Mascarades è il suo primo lungometrag-gio. Passato in diversi Festival, in europa e Africa, è una scanzonata commedia di costu-me. Narra la storia di Mourid, che si arrabat-ta in un villaggio dell’Algeria per cercare di dare il meglio a moglie, figlio e sorella nar-colettica in età da marito. In preda a ma-nie di grandezza, da ubriaco, annuncia a gran voce il presunto matrimonio della so-rella con un ricco uomo d’affari e così tutti si trovano coinvolti a reggere “la commedia” da lui inscenata. Il primo interesse del film è nel piacevole affresco sociale che mette in scena: da una parte gli anziani, immobi-li, impotenti e muti osservatori dei costu-mi che cambiano sotto i loro occhi, dall’al-tra i giovani uomini che cercano di inventarsi un’esistenza dove le opportunità e i mezzi sono pochi, guardando al denaro, converti-to immediatamente in beni-status symbol e le donne, sempre concrete e sempre padrone dei loro sentimenti, che cercano di uscire, senza calpestare la tradizione, dallo stereo-tipo della sottomissione al maschio. una so-cietà compatta, capace di relazioni umane solidali, che ha ancora il senso della comu-nità, del bene del singolo, che è il bene di tutti. Mattatore degli eventi, anello impre-scindibile della catena di relazioni parenta-li, amicali, d’affari è il vulcanico Mounir, un Lyes Salem, assai gaglioffo, simpatica cana-glia, che fa della sua rigida osservanza alla tradizione, al sogno, miraggio della scalata sociale, la chiave del gioco ironico che co-struisce da dentro e orchestra con maturità da fuori. Il film risulta riuscito nell’impianto, nella struttura filmica, ha ritmo e leggerezza e misura nei bozzetti e personaggi, compresi quelli di contorno, che si fanno amare.

Sguardi da lontano sulla tragedia del RuandaTra i cortometraggi il vincitore del primo premio e del premio della Fondazione ISMu (Iniziative e studi sulla multietnicità) è Waramutseho di Auguste Bernard Kouemo Yanghu, regista camerunese alla terza espe-rienza nei corti. L’opera affronta il tema del genocidio ruandese, scegliendo come prota-gonisti due studenti, uno hutu e l’altri tutsi che vivono insieme in Francia quando scop-piano le terribili violenze del’94 e scoprono che il fratello dell’uno ha ucciso la famiglia dell’altro. un film che tratta a distanza, dal punto di vista di chi ha subito quello che è successo in Ruanda indirettamente o da lon-tano. Dalle prime scene, nessun indizio del tema che si vuole veramente affrontare, pro-prio come improvvisa e terribile è scoppia-ta la violenza in Ruanda. La tensione cresce, ben dosata, nelle reazioni dei due giovani, attoniti di fronte a immagini e a raccon-ti incredibili. utilizzando la metafora dello sport, della competizione nel rispetto del-l’avversario (i due praticano atletica, si al-lenano per la staffetta), si accenna al senso di appartenenza, alla divisione etnica, alla capacità di perdono, alla riconciliazione. Lo stile è asciutto, una macchina da presa as-

festIvaL DeL CINema afRICaNO, D’asIa e ameRICa LatINaOttanta, dei quasi quattrocento, film e video provenienti da oltre cinquan-ta nazioni di tre continenti, sono stati proiettati a Milano (marzo 2009) al “Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina”, giunto alla dicianno-vesima edizione. Il Festival è l’unica rassegna italiana interamente dedica-ta alla conoscenza della cinematografia, delle realtà e delle culture “altre”. Accanto alle 2 sezioni “competitive” – lungometraggi di fiction e documentari – anche tre concorsi riservati esclusivamente all’Africa: “Per il miglior film”, “Per i migliori cortometraggi di fiction”, “Per i migliori documentari”. In pa-

rallelo alle proiezioni, per il secondo anno, è stato allestito il Festival Center, uno spazio per continuare a parlare e far vivere il cinema e incontrarne i protagonisti. Il festival è stato, come di consueto, organizzato dal COe - Centro di Orientamento educativo e ha previsto uno spazio dedicato specificamente alle scuole ([email protected], tel. 02.6696258).Il bilancio dell’edizione 2009 fatto dagli organizzatori è positivo sia per la presenza di pubblico chee la buona accoglienza da parte dei media.I film, disponibili in DVD, si possono acquistare al COe, via Lazzaroni 8, Milano; www.coeweb.org; [email protected].

sai immobile, che scruta negli sguardi dei due giovani, facendo emergere, di fronte a tali atrocità, quello che le parole non rie-scono a dire.

Il sonno dell’informazione in AlgeriaHa vinto il premio Cinit (Cineforum Italiano) – Ciemme (Cinema e Media), che consiste nell’acquisizione dei diritti homevideo, un cortometraggio Benaissa, proveniente ancora dall’Algeria, di Khaled Lakhdar: la breve storia di un conduttore radiofonico che dopo la tra-smissione notturna rientra per andare a letto, quando invece il suo quartiere si anima del-le voci, dei rumori dei suoi abitanti, che per lui, che non riesce a dormire, si amplificano in suoni da incubo. un film dalla narrazione fluida ed armoniosa, dai movimenti di mac-china avvolgenti in cui il montaggio sonoro ha grande importanza, e quasi storia a sé ri-spetto alle immagini. Dopo un inizio onirico, però irrompe, brusca, la realtà con il peggiore degli incubi, quello di un attacco terroristi-co. Il regista gioca con l’immagine del sonno dell’informazione, finché la brusca virata nel dramma non rende implicita la denuncia ri-volta alla sua società.

* COe - Centro di Orientamento educativo.

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BOCCIaRe O NON BOCCIaRe?La varietà di opzioni che si offrono in uscita dalla secondaria superiore nei differenti paesi d’europa fa a pugni col carattere sempre più da corsa ad ostacoli che in Italia si vuole dare a esami, ammissioni, medie e insufficienze. Ma la selezione è un dilemma non solo nostrano

PINO PATRONCINI

L’aumento delle bocciature nella scuo-la secondaria italiana, inferiore e superiore, ha sollevato numerose polemiche. La cosa è stata direttamente correlata a tre misure at-tuate quest’anno: la introduzione del voto in decimi nella scuola media, la restaurazione del voto in condotta, la introduzione della media del per l’ammissione all’esame di sta-to della secondaria superiore e la necessità del sei in tutte le materie per l’ammissione a quello della media. Nel momento in cui scri-vo i dati sono ancora provvisori e incompleti. e qua e là emerge qualche contraddizione. Ma al di là della superficialità di qualche giorna-lista che prima ha gettato allarmi e poi ha smentito, i dati sembrano confermati: 6% di bocciati nei primi due anni delle medie (nel-l’esame di terza media non sembra invece es-serci stata una modificazione significativa), 18% di bocciati a giugno nei primi due anni delle superiori ( accompagnato da un 24% di “sospesi” ovvero “rimandati” a dopo i corsi di recupero, un dato dunque destinato a cresce-re), e ben il 9% di bocciati nell’ultimo anno delle superiori, dato formato da un 6% di non ammessi agli esami e un 3% di bocciati al-l’esame stesso.Sono dati che meritano diverse considerazio-ni e che possono essere letti da diversi pun-ti di vista. uno di questi riguarda il senso da dare al-l’obbligo scolastico innalzato fino ai 16 anni: la secondaria obbligatoria, inferiore e supe-riore, boccia a giugno circa 250.000 dei suoi 2.500.000 alunni obbligati e quasi altrettan-ti ne rimanda. C’è di che riscrivere un’altra Lettera a una professoressa!un altro riguarda il senso da dare ad una am-

missione all’esame che, restaurata da Fioroni, aveva già portato a un raddoppio dei respinti dell’ultimo anno (fino a tre anni fa i promossi viaggiavano intorno al 97-98%) e che, affina-ta con la condizione necessaria ma non suffi-ciente della media del sei, ha prodotto prima un raddoppio dei non ammessi e poi un nu-mero persino superiore di bocciati all’esame. La logica avrebbe suggerito il contrario: sele-zionati in entrata i risultati degli esaminan-di avrebbero dovuto essere migliori. e invece no, ad ennesima dimostrazione che non è un problema di tecniche ma di culture. Colpa dei voti in condotta che per lo più han-no alzato le medie di ammissione? Colpa della “costante del 3%”, sorta di inconscio colletti-vo delle commissioni d’esame che fa si che da anni l’esito dell’esame si attesti appunto sul 97% di promossi ( solo che prima non c’era l’ammissione)? O colpa piuttosto di una serie di messaggi mandati dal Ministro, e non solo, alla scuola perché si torni alla selezione. un messaggio che la Gelmini, messa di fronte ai dati, arci-gnamente non ha mancato di ribadire: «una scuola che promuove tutti non è una scuo-la seria!».

Italia, Finlandia, Francia…eppure solo pochi giorni prima la stessa Gelmini aveva pomposamente annunciato ai giornali che la scuola italiana si avvia ad imitare quella finlandese. Peccato che nella scuola finlandese invece praticamente non si bocci mai. Infatti in Finlandia fino a 16 anni, tranne in casi particolari concordati con i ge-nitori, gli alunni, che frequentano una scuo-la uguale per tutti, non vengono mai respin-ti, e nei primi anni della scuola elementare per non risultare troppo sanzionatori i voti sono sostituite dalle faccine “smile”. Dai 16 ai 18 invece non frequentano classi organiz-zate per età, ma moduli con verifiche fina-li, per cui la bocciatura annuale complessiva

come la conosciamo noi non esiste. esiste la possibilità di farcela in due o tre anni a fre-quentare tutti moduli e a superare le verifiche e solo col quarto anno uno studente è consi-derato fuori corso, più o meno come succede da noi con l’università.L’incoscienza e la superficialità del nostro mi-nistro è tanto più grave perché è noto a tut-ti che da noi, per diverse ragioni, esiste una relazione diretta tra bocciature e dispersione scolastica. L’Italia non è la Francia, dove si boccia parecchio e fin dalle elementari (dopo il Giappone è il paese con lo “stress scolasti-co” degli alunni più alto al mondo) ma dove 130 anni di tradizione scolastica repubblica-na fanno sì che l’andare a scuola sia vissuto con la stessa scontata normalità con cui si tiene la destra quando si guida. Italia, Finlandia, Francia… Ma come si pro-muove o si boccia negli altri paesi europei?Premesso che vi sono differenze nelle prati-che e nelle procedure riguardanti rispettiva-mente la primaria, la secondaria fino ai 15-16 anni (il cosiddetto obbligo a tempo pieno, in quanto i 7 paesi che hanno l’obbligo a 17 o a 18 anni consentono di assolverlo anche in part-time o in alternanza scuola-apprendista-to) e la secondaria superiore, esistono prati-camente tre sistemi: quelli che non bocciano, quelli che bocciano solo alla fine di un ciclo e quelli che bocciano o promuovono ogni anno. Va detto anche che alle procedure va aggiun-ta la cultura pedagogica dominante: come in Italia, dove la regola è promuovere o boccia-re ogni anno, ma negli anni si è allentata la selezione per cui non si boccia praticamente nella primaria e finora si è cercato di bocciare il meno possibile negli altri gradi di scuola, così anche in Finlandia si dovrebbe formal-mente bocciare ogni anno, ma come abbiamo visto ciò non succede per ragioni pedagogi-che e organizzative. Nell’obbligo scolastico fino a i 16 anni ap-plicano la promozione automatica de jure Danimarca, Grecia, Irlanda, Cipro, Svezia, Regno unito, Islanda, Liechtenstein e Norvegia e de facto anche Finlandia e Malta. In questi paesi la bocciatura è prevista solo in via eccezionale ( ad esempio per una lun-ga assenza), concordata con i genitori e dopo la valutazione di persone competenti esterne alla scuola (psicologi, medici e operatori so-ciali). In tutti gli altri casi gli alunni in dif-ficoltà ricevono di solito un supporto supple-mentare. La selezione in alcuni casi è affidata tuttavia al giudizio di uscita, che può esse-re anche spietato nell’indicazione del livel-lo raggiunto, come succede nel Regno unito dove è inappellabilmente sanzionato dalle ri-sposte ai test nazionali.Le bocciature possono avvenire solo alla fine di un ciclo in Spagna, Francia e Portogallo. Ma quando si parla di cicli si intendono non i gradi di scuola, ma dei sottoinsiemi più o meno lunghi, di uno due o al massimo quat-tro anni. In Portogallo, dove il sistema è sta-to recentemente riformato in un modello 6 + 6, i cicli corrispondono grosso modo alle scansioni del vecchio sistema che prevedeva elementare, media e superiore (con differen-ze anche nell’inquadramento degli insegnan-ti). In Francia possono essere di uno o due

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anni: l’elementare è divisa in tre cicli (anno preparatorio e bienni elementare e medio), la media in due bienni (adattamento e orienta-mento), la secondaria superiore in un biennio e un anno terminale: ad ogni biennio, come si può ben capire dagli attributi usati, corri-spondono degli obiettivi. Negli anni scorsi in Francia, dove i problemi non sono meno che in Italia, si è a lungo dibattuto sul redouble-ment, vale a dire sulla possibilità di bocciare ogni anno, ma, almeno per ora, le cose non sono cambiate.In tutti gli altri paesi si può o si potrebbe bocciare ogni anno, ma nella Comunità fran-cese del Belgio, in Germania, in ungheria, in Portogallo, in estonia e in Bulgaria non è possibile bocciare al primo anno o nel primo biennio della primaria, in Polonia nei primi tre anni. In Spagna e a Cipro si può bocciare solo una volta nel ciclo primario. una men-zione merita la Lettonia dove dal 2003 si può bocciare, mentre prima la cosa era limitata a casi eccezionali e col consenso dei genitori.Nella secondaria, soprattutto dopo i 15-16 anni, prevale un maggior rigore e si indivi-dua nei risultati la chiave di volta per pro-mozioni e bocciature. La cosa è più attenuata in Irlanda, Danimarca, Svezia, Regno unito e Islanda, anche grazie ai modelli part-time ivi presenti (Irlanda, Regno unito) o a quelli modulari (paesi scandinavi). In alcuni paesi è previsto da norme nazionali con quante insuf-ficienze si può essere promossi o bocciati: in Germania una sola insufficienza non da luo-go a bocciatura ma con due si è irrimediabil-mente bocciati, in Spagna, dove Aznar aveva introdotto la stessa regola della Germania, il governo Zapatero ha deciso che con due in-sufficienze si viene promossi, ed in qualche caso anche con tre, su decisione motivata del consiglio di classe.Riguardo ad esami e passaggi da un grado all’altro o agli esami finali, altro nodo della selezione modello Gelmini, l’europa presenta una varietà altrettanto vivace.Il passaggio dalla primaria alla secondaria inferiore prevede esami o un orientamen-to obbligatorio deciso dalla scuola (come avviene in Germania in base ai risultati) in Austria, Germania, Paesi Bassi, Lussemburgo e Lietchestein: un’area geografica territorial-mente compatta. Prevede invece un certifica-to apposito in Grecia, Bulgaria, Cipro, Belgio, Polonia, Lituania. Negli altri paesi o non si pone come problema per via del modello sco-lastico a struttura unica (Portogallo, Islanda, paesi scandinavi e repubbliche baltiche, pae-si mitteleuropei) o avviene automaticamen-te (Francia, Spagna, Romania, Regno unito, Irlanda).Al termine della secondaria inferiore o a con-clusione del percorso scolastico obbligato-rio a tempo pieno (15-16 anni) sono previsti esami simili ai nostri in Francia, Regno unito, Malta, Paesi Bassi, Danimarca, Norvegia, Islanda, estonia, Lettonia e Polonia. Totalmente esterni sono invece gli esami in Romania ed Irlanda. Al contrario sono to-talmente interni gli esami Grecia, Cipro, Portogallo, Belgio, Liechtenstein. Negli altri paesi fanno testo i voti e il lavoro svolto nel corso dell’anno scolastico.

Esami finaliAnche per la secondaria superiore la maggio-ranza dei paesi europei adotta un esame di verifica finale, per lo meno per quanto riguar-da l’educazione generalista, corrisponden-te ai nostri licei. Fanno eccezione Svezia e Spagna dove ci si basa solo sui risultati del-l’anno scolastico. Tuttavia Belgio, Islanda, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia svol-gono esami interni e tengono conto del la-voro in corso d’anno. In Belgio, Slovacchia e Repubblica Ceca anche le prove scritte sono stabilite dalla scuola. Dal 2005 tuttavia la Slovacchia ha introdotto anche un esame esterno.Sono totalmente esterni gli esami termi-nali in Francia, Irlanda, Malta, Slovenia e Romania. Nel resto d’europa gli esami sono più o meno simili ai nostri con un controllo misto in-terno-esterno. Tuttavia le prove scritte non sono nazionali ovunque: in alcuni casi ven-gono decise dalla scuola (estonia, Grecia, Paesi Bassi, Portogallo) o dalla commissione d’esame (Lietchenstein, Austria e 10 laender su 17 della Germania).In Repubblica Ceca, estonia e Finlandia sono previsti due certificati finali: uno con i voti del percorso scolastico e uno con i risultati dell’esame finale, ma solo quest’ultimo con-sente di proseguire gli studi all’università. In questi paesi ed anche in Polonia è per-ciò data la possibilità di accontentarsi di una certificazione finale senza sottoporsi all’esa-me terminale. Nel Regno unito i titoli finali sono attribui-ti sulla base di una sola materia da apposi-te agenzie esterne controllate dal governo. I piani di valutazione sono predefiniti e nei casi di programmi a modulo possono preve-der anche la certificazione dei singoli modu-li. un programma dura in genere due anni e può comprendere anche lavori controllati in modo esterno. Anche in questo caso l’europa presenta dun-que una varietà di situazioni abbastanza in-conciliabili, ma si possono distinguere una tendenza e una caratteristica. La tendenza è quella una maggiore severità giocata in chiave selettiva e punitiva più o meno parallela a quelle della nostra Gelmini, lo testimoniano i casi della Lettonia che ha abolito la promozione automatica nell’obbli-go o il dibattito francese sul “redoublement” che si è anche accompagnato ad un dibat-tito sulla fine eventuale della scuola media unica. La caratteristica è, al contrario, quella di una scuola più friendly di quanto noi non siamo abituati in Italia (a parte la scuola elemen-tare). Soprattutto dagli 11 ai 16 anni il prin-cipio di una accoglienza generalizzata non sembra in discussione, tranne alcune ecce-zioni e ripensamenti (la Francia, appunto!). Invece in Italia la scuola media e tanto meno il biennio iniziale della superiore sembrano non avere mai “fatto pace” con adolescenti e preadolescenti. e la stessa varietà di opzioni che si offrono in uscita dalla secondaria su-periore fa a pugni col carattere sempre più da corsa ad ostacoli che da noi si vuole dare a esami, ammissioni, medie e insufficienze.

Una manciata di terraAttraverso un pugno di terra di Tiret Haifa (oggi Tiret al Karmel) che passa di mano in mano, il film documentario (52 minuti,

Palestina, 2008) Una manciata di terra della regista di Haifa Sahera Dirbas racconta il passaggio della memoria collettiva, dalla prima generazione all’ultima, di alcune famiglie palestinesi

fuggite o cacciate via dalla loro terra nel 1948 e da allora sparse tra Cisgiordania, Siria e Giordania. Sahera Dirbas, sta ultimando le riprese del docu-dramma La sposa di Gerusalemme, ambientato nella Città Vecchia di Gerusalemme. Una manciata di terra, il suo secondo lavoro dopo Estraneo a casa mia, Gerusalemme, è stato in concorso al Festival del Film Documentario di Al Jazeera. È stato presentato al Centro culturale “Mahmud Darwish” di Ramallah e alla Cinemateque di Gerusalemme. In Italia il film è distribuito dall’Associazione per la Pace (tel. 06.5577326, fax 06.5585268, www.assopace.org, [email protected], [email protected]).

Il diritto di leggere«L’istruzione è un diritto. eppure, nel corso della storia, le società hanno usato l’accesso

all’istruzione come arma di oppressione» ha detto Haidar eid, professore presso l’università di Al-Aqsa in Palestina. In collaborazione con l’università di Al-Aqsa, il

Free Gaza Movement ha lanciato la campagna “Il diritto di leggere” che si avvarrà delle navi Free Gaza per fornire libri e altri materiali fomativi alle università in tutta la Striscia di Gaza occupata. Si tratta di un atto di solidarietà e di resistenza al blocco israeliano a Gaza che nega l’istruzione ai palestinesi. Secondo l’uNWRA, l’assedio impedisce che l’inchiostro, la carta e altri materiali per l’apprendimento entrino in Gaza. La campagna invita tutti ad unirsi in questa azione “persona a persona”, contribuendo con uno o più libri e/o dare un contributo economico per l’acquisto dei libri e per le spese di spedizione a Cipro (http://www.freegaza.org/en/join-in/donate, indicando “Right to Read” nel campo commento) oppure inviando libri nuovi o usati da spedire a Gaza. La campagna consente alle istituzioni accademiche in tutto il mondo di dare accesso alla propria biblioteca online alle università di Gaza e di donare copie dei libri universitari, nuovi o usati, da consegnare tramite il Free Gaza Movement.

INfO

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de rerum natura

Dal blog di Mario Agostinelli, presidente del Gruppo consiliare Sinistra per Unaltralombardia (www.marioagostinelli.it) riprendiamo il docu-mento “Nucleare: dieci domande e dieci rispo-ste” − elaborato da Comitato antinucleare, Unaltralombardia, Rete Lilliput, Beati i co-struttori di pace, Loc − una lettura utile per iniziare a riparlare a scuola del pericolo nu-cleare

1. Gli impianti atomici di terza gene-razione sono più sicuri dei precedenti?Falso. Innanzitutto va chiarito che i reattori nu-cleari di III generazione, sviluppati negli anni ’90, rappresentano l’evoluzione della II genera-zione sviluppata negli anni 1960-70, la fisica del reattore è immutata, sono stati invece mi-gliorati tutti i dispositivi tecnologici di contor-no.Sul fronte sicurezza, la terza generazione si di-stingue dalla precedente perché i sistemi di si-curezza sono o ridondanti o di tipo “passivo”. I reattori di tipo ePR (european Pressurized Reactor) sono di tipo ridondante ovvero se ad esempio esiste un sistema di pompe per far cir-colare l’acqua per il raffreddamento, tale siste-ma è quadruplicato in modo che ve ne sono altri tre di scorta.I sistemi passivi (come l’AP 1000 (Advanced Passive) di Werstinghouse) sono invece quelli

NUCLeaRe Il 10 luglio scorso il Senato ha approvato il Disegno di legge che riapre per l’Italia l’incubo nucleare. Ora come allora l’Italia (L’Aquila recentemente ce lo ha ricordato) è un territorio altamente sismico; è tutt’altro che risolta la questione delle scorie nucleari che durano centinaia di migliaia d’anni, sono altamente pericolose e non si sa dove collocarle visti che in Italia non esiste un sito di destinazione finale; l’avanzamento delle tecnologie nucleari rispetto alla fine degli anni Ottanta è assai scarso non ci esime dal confermare il giudizio dato allora. Ritorno al passato

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che, facendo affidamento su circolazione natu-rale, gravità, convezione e gas compressi, fanno sì che il reattore sia in grado di auto-arrestarsi in caso di necessità e di assicurare la refrigera-zione anche in assenza di alimentazione elettri-ca e di operatori.È indubbio che i reattori di III generazione sia-no migliori dei precedenti, così come una nuo-va auto è generalmente più sicura del vecchio modello rottamato, ma il rischio di incidenti permane. Riguardo agli ePR va segnalato che il giornale inglese “The Independent” sostiene che in caso di incidente morirebbero il doppio del-le persone rispetto ad un vecchio reattore poi-chè la quantità di materiali radioattivi presen-ti nei reattori è maggiore. I documenti redatti da eDF (L’enel francese), dicono che le quantità di Bromo, Rubidio, Iodio e Cesio radioattivi sa-ranno 4 volte superiori rispetto ad un reattore normale. Stime indipendenti di Posiva Oy (che smaltisce scorie nucleari finlandesi) dicono che lo Iodio 129 sarebbe 7 volte tanto, la NAGRA (Swiss National Co-operative for the Disposal of Radioactive Waste) dice che il Cesio 135 e 137 prodotto sarebbe 11 volte tanto. La Areva, che progetta gli ePR, ha risposto alla domanda di-retta dell’Independent, ammettendo l’aumen-to di radioattività: “la radioattività complessi-va delle scorie in realtà aumenta solo in misura leggera” [http://www.independent.co.uk/envi-ronment/green-living/new-nuclear-plants-will-produce-far-more-radiation-1604051.html]

2. Un terribile incidente come quello di Cernobyl oggi potrebbe ripetersi?Vero. Ovviamente è difficile che accada un in-cidente simile ma è statisticamente impossibi-le escludere la possibilità di un incidente gra-ve in una centrale. In base al numero attuale di reattori in circolazione gli scienziati stima-no la probabilità di un incidente catastrofico ogni 200 anni (Aspoitalia). Ininterrotto è inve-ce lo stillicidio di “piccoli” incidenti: nel 2008 vi sono stati 4 incidenti nelle centrali spagnole (oggi acquisite da enel) e nel solo mese di luglio sono tre i casi segnalati in Francia (Tricastin e Romans-sur-Isère). Pensiamo a luoghi fortemen-te urbanizzati come la Pianura Padana…

3. Le centrali EPR destinate all’Italia garan-tiranno un risparmio sulle bollette dei cit-tadini?Falso. Qualcuno ha rilevato sconti sulla propria bolletta dopo l’avvio della riconvertita centra-le di Torre Valdariga Nord? La riconversione di questa grande centrale da petrolio a carbone, definito “pulito”, inaugurata il 30 luglio 2008 da Scajola in persona, era stata voluta dall’enel proprio per ridurre le tariffe elettriche, essendo il carbone meno costoso di metano e petrolio e più abbondante di entrambi (anche se piu’ in-quinante).Si ricordi che enel non è più un’azienda di Stato (anche se lo stato rimane il maggior azionista), per cui deve produrre profitti, e i profitti non si fanno abbassando le tariffe e promuovendo il risparmio. Anche la borsa elettrica, creata po-chi anni fa con la liberalizzazione del mercato, doveva far abbassare i prezzi, qualcuno se ne è accorto?

4. La creazione dei quattro reattori ci affran-cherà del tutto dalle importazioni di greg-gio?Falso. È falso sostenere, come ha fatto il gover-no italiano, che il nucleare costituisca una so-luzione al problema dell’aumento del costo del petrolio. Vale la pena sottolineare che in Italia la generazione elettrica non utilizza il petrolio come fonte principale: nel 2007 i prodotti pe-

troliferi hanno inciso solo per l’8,2% (20,9 mi-liardi di kWh), è il gas metano a coprire il 66% della produzione termoelettrica.

5. Esistono rischi per gli abitanti che vivono nelle aree dove sorgeranno le centrali?Vero; per il banalissimo motivo che non esiste la sicurezza matematica che in una centrale nu-cleare non succedano incidenti. Gli ingeneri nu-cleari sanno benissimo che non si progetta nul-la a rischio zero, si tende alla massima riduzione possibile. Pertanto i rischi rimangono.

6. Le scorie prodotte potranno essere smalti-te in maniera definitiva?Falso. Le scorie, per utilizzare le parole di Giuseppe Zampini, amministratore di Ansaldo energia (che controlla Ansaldo nucleare): “sono il problema, uno dei punti su cui siamo cadu-ti, sappiamo gestire le centrali ma in Italia non sappiamo dove mettere le scorie”. Attualmente (dati ISPRA - Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) abbiamo circa 60 mila metri cubi di rifiuti radioattivi (in parte stoc-cati all’estero ma destinati a rientrare in Italia) e 235 tonnellate di combustibile irraggiato per cui dobbiamo trovare un sito sicuro. Iniziamo a smaltire queste prima di produrne altre!

7. Esiste un sistema sicuro per rendere inno-cui plutonio e prodotti di fissione?Non esistono oggi soluzioni concrete al proble-ma dei rifiuti radioattivi. Le circa 250 mila ton-nellate di rifiuti altamente radioattivi prodotti finora nel mondo sono tutte in attesa di esse-re conferite in siti di smaltimento definitivi. L’unico deposito di profondità esistente, si tro-va negli uSA ma ospita solo rifiuti militari e non quelli dei reattori civili.Riguardo al plutonio, risultano particolarmente vulnerabili gli impianti di riprocessamento dove vengono riciclate le barre di combustibile esau-ste estraendo il plutonio generato e l’uranio non consumato. Durante il processo sono possibili sottrazioni di materiale perché è impossibile un controllo rigoroso fra materiale in entrata e in uscita nell’impianto.Quando nel 1996 il Dipartimento per l’ener-gia statunitense compilò il noto “50° Years Report”1, scoprì che non quadravano i conti fra entrare ed uscite di plutonio nei vari impian-ti. Da quello di Los Alamos risultavano spariti 765Kg, l’equivalente di 150 bombe nucleari!2

Il rischio trafugamenti non diminuirà in futuro, anzi aumenterà perché i nuovi ePR sono proget-tati per funzionare non solo con l’usuale ura-nio arricchito ma con il MOX (un mix di ossidi di uranio e plutonio), ottenuto proprio con gli impianti di riprocessamento. Pertanto il “nuovo nucleare” sotto questo aspetto risulta più peri-coloso rispetto al “vecchio”3. Dal 1995 l’Agenzia tiene nota di tutti gli incidenti che coinvolgo-no la sottrazione illecita, la detenzione e l’uso di materiale nucleare4. Al 31 dicembre 2006 la lista prodotta contava ben 1.080 casi, Il 54% di origine criminale.

8. Le future centrali di quarta generazione “ricicleranno” il plutonio?Falso perché la quarta generazione è un mito, è il sogno di una tecnologia nucleare che non ab-bia i problemi del nucleare!Attualmente esiste un comitato internazionale formato da dieci paesi che lavora su sei tecnolo-gie di reattori, (www.gen-4.org) comunemente identificato col termine quarta generazione:1. reattori veloci raffreddati a gas;2. reattori veloci raffreddati al piombo;3. reattori a sale fuso;4. reattori veloci raffreddati al sodio;

5. reattori supercritici raffreddati ad acqua;6. reattori a gas ad altissima temperatura:Quali fra questi vedrà un giorno la luce è trop-po presto per dirlo e qualsiasi previsione è puro esercizio di fantasia.

9. Nazioni come Francia e Svezia possono rap-presentare dei modelli per il nostro Paese?Falso. Ogni paese deve cercare il proprio model-lo di produzione di energia elettrica basandosi sulle proprie caratteristiche peculiari. La Svezia non ha il nostro clima per cui sarebbe un mo-dello sbagliato, la Francia ha scelto il nucleare per diverse ragioni, non escluso il fatto di avere un arsenale nucleare militare: il nucleare civile è integrato a quello militare poiché le tecnolo-gie sono le stesse. Certo guardare oltre confine non fa mai male, ma perché non guardare allo-ra alla Spagna, alla Germania o al Portogallo? un paese, come l’Italia, povero di risorse ener-getiche primarie e dipendente dalle importazio-ni dall’estero. ebbene il Portogallo sta diven-tando un leader mondiale nelle fonti alternative (Vedi Financial Times 28 febbraio 2009), ed en-tro il 2020 prevede di produrre il 60% dell’ener-gia elettrica da fonti alternative! Quanti posti di lavoro pulito e diffuso si creerebbero in Italia potenziando le tecnologie solari?

10. L’installazione dei reattori creerà una maggiore produzione di energia elettrica?Falso. È ovvio che quattro centrali in più, anche se fossero a metano, se fatte funzionare pro-durrebbero corrente che andrebbe a sommarsi a quella già generata. Ma un sistema elettrico è più complicato: aumentare la potenza instal-lata non significa aumentare la produzione di energia elettrica perché, dato che l’energia elet-trica non è facilmente accumulabile, si produ-ce energia in misura eguale alla domanda, non di più. Tanto per capirci il 31 dicembre 2007 in Italia avevamo centrali installate per una poten-za complessiva di 93.598 MW, una cifra molto superiore alle nostre necessità (la potenza mas-sima richiesta a febbraio 2009 è stata di 49.170 MW – Terna - Rete elettrica Nazionale). Tenuto conto che parte di questa potenza non è mai disponibile a causa dei cicli di manutenzione, le imprese elettriche programmano il funziona-mento dei loro impianti a seconda della richie-sta e della convenienza, ovvero fanno funziona-re gli impianti più redditizi.Ma deve essere chiaro che già oggi in Italia ab-biamo impianti sufficienti. Importiamo energia perché i francesi la esportano a basso costo per il semplice fatto che un reattore nucleare non ha una produzione modulabile: quando parte non lo si spegne fino a che il combustibile non si esaurisce, per cui se l’energia prodotta non viene usata la si deve disperdere, a quel pun-to tanto vale venderla a basso prezzo. Per inci-so in Italia siamo anche esportatori di corren-te, nel 2008 abbiamo esportato 432 milioni di Kwh (Terna).

NOTE1. Il nome deriva dal fatto che il Report contene-va i dati dei primi cinquant’anni di produzione del plutonio negli uSA.2 Vedi Arjun Makhinjani, Dangerous Discrepancies, Missing plutonium in the US nuclear Weapons Complez?, Science for democratic Action, agosto 2006.3. Vedi anche Secure energy: options for a safer world Security And Nuclear Power, OxfordResearchGroup.4. Dati tratti da: Combating illicit trafficking in nu-clear and other radioactive material reference ma-nual, International atomic energy agency Vienna, 2007, www-pub.iaea.org/MTCD/publications/PDF/pub1309_web.pdf.

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INfOLa teRRa. IstRUZIONI PeR L’UsO

“2000 partecipanti, una sola idea: vivere insieme sulla Terra”. Questo lo slogan del 5° Congresso Mondiale sull’educazione Relativa all’Ambiente (Montréal 10-14 maggio 2009) organizzato all’università del Quebec di Montreal (uqam) e dall’università di Lakehead di Ontario

STEFANO VITALE

Il Congresso è, da anni, un’occasione di scambio e di confronto tra realtà formative, gestio-nali, sociali di tutto il mondo sui temi più attuali dell’ambiente. L’impressione è di una grande kermesse, di un format ben strutturato, con i suoi inevitabili riti, le sue sorprese.Quest’anno il congresso ha lavorato su tre domande fondamentali. Come l’educazione relativa all’ambiente può:1. Arricchire il senso della nostra vita? Come può contribuire alla costruzione delle nostre iden-tità personali e sociali? Come può migliorare il nostro rapporto col mondo?2. Contribuire all’innovazione sociale? Come può favorire la risoluzione dei problemi socioeco-logici e di ecosviluppo delle nostre società? Come può orientare l’azione della cittadinanza attiva?3. Influenzare le politiche pubbliche? Come può preparare i cittadini a partecipare agli affari pubblici ed esercitare un ruolo politico? Quali cambiamenti sono necessari nelle politiche pub-bliche per favorire lo sviluppo dell’educazione relativa all’ambiente?

Si vola alto, come è giusto. Oltre alle conferenze in plenaria, erano previsti dei lavori di com-missioni articolate su 12 tematiche: La relazione tra ecologia ed economia: il nodo dei tra-sporti; L’equità socio-ecologica; La salute ambientale; La sfida urbana (i materiali relativi alla conferenza-laboratorio svolta nell’ambito di questo filone, condotta a nome dei CeMeA da Myriam Fritz-Legendre, responsabile dei CeMeA in Borgogna, da Laurence Guillaume, re-sponsabile Gruppo Nazionale educazione Ambientale Francia, e da me, si possono consultare ai siti www.ficemea.org e www.piemonte.cemea.it); ecologicizzare l’insegnamento superiore; La scuola nella comunità; L’educazione sociocomunitaria; L’interpretazione del patrimonio cul-turale; I saperi e le pratiche autoctone; L’etica e la filosofia ambientale; L’arte: immaginario, creatività e significato; L’identità ecologica.Il Congresso è stato arricchito da alcuni simposi su tematiche generali (L’educazione scientifi-ca, Il pensiero sistemico, La biodiversità, Le metodologie educative) e da un Forum Permanente delle ONG in cui le molte associazioni presenti hanno potuto conoscersi, scambiare esperien-ze, presentare progetti.Sono stati inseriti anche spettacoli teatrali “ecologici” e presentazioni di libri. Forse c’era an-che troppo: una indigestione di incontri, conferenze, dibattiti che hanno inevitabilmente crea-to sfilacciamenti, dispersione, equivoci, disdette. In più tutto era rigorosamente a pagamento (vitto, alloggio, iscrizione con costi non indifferenti, ma è una macchina grossa ed oggi non si può fare nulla senza la logica della co-produzione). Diciamo che era un po’ triste partecipa-re, ad esempio, al Forum delle Ong dove i rappresentanti delle associazioni presenti (paganti) parlavano giusto tra di loro (pagando).e poi una certezza: l’ambientalismo oggi è una galassia molto variegata. e questo non è un male. Congresso come questi hanno il compito fornire delle chiavi di interpretazione, di lettura di tale realtà. Si va infatti dai sostenitori di un ambientalismo new age, introspettivo, esisten-ziale ad una esaltazione onirico-emotivo del contatto con la natura; da una precisa scelta di campo anticapitalista ed antisviluppista ad una visione utopica del rapporto pacifico tra uomo e natura; si lega l’ambiente alla difesa delle minoranze etniche, alla costruzione di una socie-tà attenta ai bisogni di salute dei cittadini, all’espressione artistica. Insomma il congresso ha testimoniato della ricchezza della “naturale” trasversalità dell’educazione ambientale. Non era compito di questo incontro “fare delle scelte” e non è facile oggi poter fare delle scelte corag-giose. Resta il fatto che è molto importante che le realtà “non governative” impegnate “sul campo” a diversi livelli possano avere uno spazio-tempo di confronto.Il prossimo incontro sarà a Brisbane (Australia): non male come viaggio a proprie spese (e le associazioni non hanno grandi risorse). Il congresso del 2011 è stato presentato con un video pubblicitario stile “agenzia di viaggio”. Anche questo è ambiente.

Verso futuri sostenibili e nonviolentiIl convegno “Verso futuri sostenibili e non-violenti dall’immaginazione alla realizzazione” (http://www.cssr-pas.org/portal/2009/08/convegno-verso-futuri-sostenibili-e-nonvio-lenti/) si tiene a Torino alla sede del Gruppo Abele (La Fabbrica delle “e”, corso Trapani 91/b) il 3 ottobre 2009. Nei locali accanto alla sala del convegno sarà esposta la mostra fo-tografica “economia gandhiana e sviluppo so-stenibile”.

L’altra viaConiugare sobrietà, piena occupazione e di-ritti. Fare politica di progettazione di un’al-tra economia. Sono alcuni dei temi affronta-ti in L’altra via, il libro di Francesco Gesualdi che delinea un nuovo orizzonte economico e i passi immediati per avviare l’inversione di marcia. edito da Altreconomia in formato su-pertascabile (una settantina di pagine) il li-bro costa solo tre euro ed è reperibile in libre-ria, nelle botteghe del mondo, on line (www.altreconomia.it), o richiedendolo al Centro Nuovo Modello di Sviluppo (via della Barra32, 56019 Vecchiano (Pi), tel. 050.826354, fax 050,827165, [email protected]).

DarwinIl Calendario del Popolo in occasione delle ce-lebrazioni per il bicentenario della nascita di Charles Robert Darwin pubblica un numero mo-nografico, curato da Telmo Pievani ed emanuele Serrelli, con contributi originali di studiosi che presentano i vari aspetti dell’opera del natu-ralista in modo accessibile e rigoroso. Si par-la dei metodi della moderna biologia evoluzio-nista ma anche dell’influenza di Darwin sulla scuola, sulla società italiana, sul marxismo, sul movimento operaio e sui mezzi di comunicazio-ne di massa.

La nuova era nucleare Alla pagina web http://www.cssr-pas.org/por-tal/2009/08/unalba-cupa-ecco-la-nuova-era-nucleare-jake-lynch/ informazioni e riflessioni sulla centrali nucleari di nuova generazione.

Educazione ambientaleWeeC (www.environmental-education.org) è una rete mondiale di discussione e ricerca, nata nel 2003 per dare continuità ai Congressi mondia-li se ne sono già tenuti cinque (in Portogallo, Brasile, Italia, Sud Africa, Canada; i prossimi due nel 2011 e nel 2013 saranno a Brisbane, in Australia e a Marrakech, in Marocco) e al dibatti-to sui temi chiave dell’educazione ambientale.World environmental education Congress, [email protected],tel. +39.011.4366522.

A piedi nudi nei parchi“A piedi nudi nei parchi. Alla scoperta delle aree protette vicine e lontane” è un percorso di edu-cazione ambientale che Cesvi - Cooperazione e sviluppo rivolge a 100 classi del secondo ci-clo delle scuole primarie lombarde. La propo-sta è sostenuta della Fondazione Cariplo e della Fondazione ASM.Per informazioni: www.cesviedu.org, www.cesvi.org/?pagina=pagina_generica.php&id=1642, [email protected], tel. 035.2058035.

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modi e media

Non si trattava di fare come se il problema non esistesse. La malattia è lì davanti agli occhi, sempre presente purtroppo. eppure la malattia può far diventare creativi. Certo, così ci si confronta anche con la sofferenza nostra e degli altri. Ma questo può farci capire il va-lore della comunicazione, della condivisione. Stare male, stare a lungo in ospedale è terribile per un bambino: è esattamente il contrario di ciò che tutti pensiamo debba e possa essere la sua vita . Ma un bam-bino malato è un bambino, una persona che pur con le sue difficoltà ha dei diritti, ha una vita emotiva, può sviluppare delle relazioni, può continuare a crescere, giocare, apprendere. È questa l’idea di Antonio Celotto, un giovane informatico di Fiano che lavora in una scuola su-periore: oltrepassare le barriere della malattia e dell’isolamento crean-do gli strumenti per fare in modo che suo figlio, e con lui tutti i bam-bini costretti a lungo degenze più o meno croniche, possano restare in contatto attivo con gli altri ovvero i compagni di scuola, gli inse-gnanti, i familiari, gli amici, il mondo.

Hospital Harmony AccessNon è un caso che l’associazione si chiami “I sogni nel cassetto” (www.progettohha.org). Per tanto tempo il progetto è rimasto appun-to in un cassetto perché mancavano i mezzi ed i fondi per realizzar-lo. Oggi l’associazione esiste ed esiste anche lo strumento “Hospital

Harmory Access”. Tecnicamente si tratta di una postazione telematica (una lavagna multimediale) che permette ai piccoli malati di seguire le lezioni scolastiche, di parteciparvi attivamente in modo interattivo ed assolutamente in tempo reale. Il bambino è presente, può essere segnata sul registro la sua presenza, può essere interrogato, risolvere un problema, scrivere un tema e spedirlo o rispondere immediatamen-te ad una domanda. Ma non solo. La postazione permette anche di es-sere in contatto con la famiglia in qualsiasi momento, di accedere a siti internet protetti, di ascoltare musica, di usare giochi educativi, di vedere film e cartoni animati e molto altro ancora.Il contatto è visivo, diretto, in tempo reale appunto. Si scavalcano i muri, la scuola esce dai suoi confini, l’ospedale non è più un luogo di isolamento e di sofferenza. Tutti conosciamo l’importanza della rela-zione, ma anche dell’agire. Il bambino agisce concretamente, inter-viene, fa i compiti, parla coi compagni, non è spettatore passivo. un bambino malato sa di essere malato, ma può vivere la malattia come una “condizione esistenziale differente” che fa parte della vita e non come qualcosa che genera esclusione, emarginazione.Per gli adulti coinvolti, gli insegnanti prima di tutto, si tratta di con-tinuare a fare il loro mestiere. Si tratta infatti di uno strumento mol-to semplice, di uso facile che non richiede particolari apprendimenti, che non provoca particolari sconvolgimenti nella normale struttura-

PeR UN UsO INteLLIGeNte DeLLe teCNOLOGIe Ci sono sogni che meritano di essere realizzati. Qui la storia è semplice e come tale bella e importante. È la storia di un papà con un figlio affetto da una grave malattia, l’emofilia A. Non si è mai arreso all’idea di veder crescere il suo bimbo in una camera d’ospedale, aspettando che il tempo trascorresse in maniera passiva e privo di stimoli, restando lontano dai suoi compagni di scuola, dalla famiglia, dagli amici, da una vita normale I sogni nel cassetto STEFANO VITALE

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zione delle giornate di scuola. Anzi, sicuramente migliorerà il clima ed il contesto di lavoro permettendo di svolgere le lezioni in modo innovativo, più stimolante, curioso, dando agli insegnanti strumenti informativi e formativi in più.La scuola continuerà a “essere scuola” ed il bambino fisicamente as-sente dall’aula sarà in realtà presente seguendo le lezioni, facendo i compiti, intervenendo se necessario in tempo reale, lo ribadiamo. Potrà essere interrogato, chiedere spiegazioni, parlare e scrivere sen-za differenze.Finita la lezione potrà collegarsi con la famiglia, potrà giocare, ascol-tare musica, guardare un film o chiudere il PC e leggere un libro o riposare.

Tecnologie per l’educazione attivaMolto spesso si criticano, ed a ragione, gli strumenti informatici ac-cusandoli di rinchiudere i ragazzi in un universo virtuale, falso, di isolarli dalla realtà. Qui siamo in una situazione opposta. L’informatica permette la comunicazione, sostiene il coinvolgimen-to attivo delle persone in maniera semplice e funzionale, aiuta tutti (bambini, genitori, scuola, mondo della cultura) a fare rete, come si dice oggi, per davvero. e lo fa partendo dal basso, dai bisogni quoti-diani, dalla realtà di tutti i giorni. Senza sottovalutare la dimensione del piacere, del divertimento che sta alla base della motivazione co-municativa e dello stesso apprendimento.Va detto che per ogni bambino la postazione può essere personalizza-ta per tenere conto delle sue specifiche esigenze. Insomma uno stru-mento che è qualcosa di più di una normale innovazione tecnologica di cui in fondo ci stupiamo sempre meno. Qui siamo in un scenario educativo che configura una combinazione di assunzione di respon-sabilità sociale e personale per costruire un ambiente che promuove il benessere delle persone intese come soggetti globali.ed il quadro è quello di una educazione attiva che considera il bambi-no un soggetto che può e deve sempre partecipare al processo della sua crescita. un soggetto che vive nella relazione con gli altri, che si vede rispettato nella sua specificità ed individualità, che viene va-lorizzato nelle sue differenze. È un progetto che sarebbe piaciuto ai grandi padri della pedagogia: qui penso a Dewey, a Maria Montessori, a Freinet, a Paulo Freire, a Bruno Ciari che tanta importanza attribui-vano alla relazione tra tecnologia ed educazione, che hanno sempre cercato di elaborare strategie e strumenti per favorire l’autonomia dei bambini nei processi di socializzazione, che riflettevano sul con-cetto di “comunità educativa”. e penso anche a Ivan Illich che tanto criticava la società dei consumi e difendeva l’idea dell’autoformazi-ne, penso a Jerome Bruner che ci ha insegnato come l’identità del bambino di costruisca nel dialogo narrativo delle proprie esperienze, nel confronto, nella conversazione continua con gli altri. Si tratta di lavorare sempre per la condivisione dei saperi, per l’accesso demo-cratico ad informazioni e documenti, per il piacere di scoprire sem-pre cose nuove.

Un lavoro di gruppoLa realizzazione di questa prima postazione multimediale interattiva è il frutto di un lavoro di gruppo che ha riunito le intelligenze e le risorse di Agea Informatica e di Qube che hanno curato la parte tec-nica, di Bludocks che ha realizzato le immagini del sistema e della ditta Salato che si è occupata della parte hardware. Questo gruppo si è ampliato con la presenza dei CeMeA, ente di ricerca educativa, esperto in didattica e formazione con una lunga tradizione in Italia ed in Piemonte. Il progetto è stato presentato a Torino il 5 giugno presso l’Ospedale Regina Margherita e il Comune di Fiano (To) con la presenza dell’Assessore regionale all’Istruzione, Gianna Pentenero. Ora pare che anche il Ministero della Funzione Pubblica (il ministro Brunetta in persona), si stia interessando al caso, anche perché il Cnr pare fosse sulle tracce di un prodotto analogo ma che non ha le stes-se caratteristiche, qui molto più avanzate pur realizzate con mezzi e spesa inferiore. Speriamo che la Onlus non perda la rotta e che questa esperienza possa allargarsi senza perdere la sua identità: di essere il prodotto di un uso intelligente della tecnologia. Ovvero il frutto di un progetto che “parte dal basso” e resta proprietà degli utilizzatori (ed inventori). Intanto per ottenere la postazione HHA (gratuitamente) occorre scrivere a [email protected] o inviare un fax a 011.352507.

INfOLetteralmente femministaQuella femminista è stata, in Occidente, la più gran-de rivoluzione nonviolenta del secolo scorso, e oggi in molti paesi emergenti nel mondo il femminismo si sta ripresentando come il movimento che può cambia-re le condizioni di vita di milioni di donne e uomini. Letteralmente femminista. Perché è ancora necessario il movimento delle donne – l’ultimo libro pubblicato (per le edizioni Puntorosso, www.puntorosso.it) da Monica Lanfranco (www.monicalanfranco.it), direttora del tri-mestrale di cultura di genere Marea e collaboratrice di

école – è un saggio teorico, ma anche una riflessione personale sul per-corso umano e politico di una attivista per i diritti umani delle donne.

Comunicazione educativaLa terza edizione del Premio Alberto Manzi per la co-municazione educativa (scadenza 18 settembre 2009) prevede quattro sezioni: editoria scolastica e divulgati-va; Siti web; Produzione cinematografica e audiovisiva; Programmi radio-televisivi.Per informazioni: 051.5275639, [email protected],www.centroalbertomanzi.it.

Raccontare l’AidsNell’Africa Sub Sahariana 26 milioni di persone (più del 60% di tutta la popolazione e più dei tre quarti delle donne) sono vittime dell’Aids. Le cause principali della diffusione dell’HIV nel continente africano riguardano il difficile accesso alle informazioni, le misere condizio-ni di vita, le difficoltà economiche e la malnutrizione. Raccontano l’Aids, attraverso un métissage espressi-vo lo spettacolo teatrale, Slum (dagli “slum”, non-luo-

ghi dove la vita scorre in un fragile equilibrio tra violenza, degrado e povertà, parte Myrna, migrante in fuga verso un domani migliore) e la docu-fiction Matu (di Luca Mariani e Cactus) che narra, a ritmo di rap, dell’incontro di un dodicenne africano, la cui vita è stata minacciata

dal virus dell’Aids, con Davide, un italiano giunto in Africa per affari (http://www.myspace.com/matuthe-movie). entrambi sono prodotti dal COSV nell’ambi-to di Muranga, un progetto di solidarietà finanzia-to dal Ministero degli Affari esteri e dalla Regione Lombardia. Il primo appuntamento – organizzato da COSV-Solidarietà Italiana nel Mondo, con il contri-buto di Regione Lombardia, in collaborazione con CoLomba - COoperazione LOmbardia e con l’Osser-vatorio Italiano sull’azione globale contro l’AIDS – ONG italiane – è a Milano il 29 settembre 2009, pres-so la “Sala Giorgio Gaber”della Regione Lombardia, Grattacielo Pirelli, piazza Duca d’Aosta).Per informazioni: 02.2822852, [email protected].

Medi@tandoLa quarta convention nazionale di educazione e media (www.zaffiria.it) si svolgerà dal 20 al 24 ottobre 2009 a Rimini (Palazzo dei congressi, via Lungo fiume uso, Bellaria Igea Marina).Informazioni: 0541.341642, 320.9242927, [email protected], www.zaffiria.it.

Editoria allo staccioCon l’incontro “Se la detective arriva dall’Africa. Libri e lettori nella so-cietà multiculturale”, Vinicio Ongini aprirà, il 27 ottobre, la quinta edi-zione di editoria allo staccio, l’iniziativa rivolta dal dal Centro regio-nale di servizi per le biblioteche per ragazzi a bibliotecari, insegnanti, educatori e a chi opera nel campo dei libri per bambini e ragazzi e af-fronta temi della letteratura e della divulgazione con particolare rife-rimento alle novità e alle tendenze emergenti dal panorama delle of-ferte editoriali.Per informazioni sugli incontri, che si terranno presso la Biblioteca di Villa Montalvo a Campi Bisenzio (FI), tel. 055.8944307, fax 055.8953344, e-mail [email protected].

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Rete e INteRCULtURaLItàNon è la cultura che definisce un soggetto, ma è l’attività vitale dell’individuo in relazione a essere determinante per il processo di formazione della cultura. Ogni cultura è di per sé, nella sua intima essenza, interculturale. Cioè costituita dal tessuto delle proprie relazioni interne ed esterne al proprio contesto di vita. La rete come luogo di incontro delle cultureEDOARDO CHIANURA

Innanzitutto, il concetto sociologi-co di multiculturalismo non ci piace! Perché non ci piace l’idea che la diver-sità delle culture sia colta come sempli-ce presenza, priva di relazioni interne

e concepita in forma di separazione: “io di qua, tu di là”. Intercultura invece ci piace! Perché evidenzia come ogni formazione culturale, soggettiva e collettiva, sia in real-tà un processo dipendente dalla relazione con l’altro. Ogni cultura, consciamente oppure no, è costituita dal tessuto delle proprie relazioni interne ed esterne al proprio con-testo di vita. ed è qui che si aggancia la nostra metafora sulla rete. Rete quale luogo possibile per l’interpretazione, la connes-sione e l’incontro delle culture. In cui ogni cultura è con-nessa alle altre, in cui ogni soggetto che vive e interpreta la propria cultura è nodo stesso di queste connessioni. Attraverso l’interfaccia di Internet, è possibile avere una pratica dei reali vissuti, degli incontri, delle emozioni di chi concretamente

vive l’interculturalità di tutti i giorni al di là di concetti come quel-lo attualmente dibattuto sulle “seconde generazioni”, e frazioni di esse (1,75, piuttosto che 1,5 o 1,25). Pensando di categorizzare gli individui in rigide griglie su cui applicare altrettanto rigidi “inter-venti di qualità”, senza rendersi conto che i digital natives sono già capaci di porsi come soggetto vitale di trasformazione del nostro vissuto identitario, formativo e professionale. un esempio? La “Rete G2 - Seconde Generazioni” (www.seconde-generazioni.it), un’organizzazione nazionale fondata da figli di im-

migrati e rifugiati nati e/o cresciuti in Italia. Dove “G2” non sta “per seconde generazioni di immigrati” ma per “seconde generazioni dell’immigrazione”, in-tendendo l’immigrazione come un processo che tra-sforma l’Italia, di generazione in generazione. Quindi “cittadini del mondo”, originari di Asia, Africa, europa e America Latina, che lavorano insieme su due punti fondamentali: i diritti negati alle seconde generazioni senza cittadinanza italiana e l’identità come incontro di più culture.Altro esempio di network nato all’interno di un “in-contro” di donne native e migranti in seguito ad un corso di formazione è quello dell’associazione “Trama di terre” (www.tramaditerre.org) che si pone quale luogo di elaborazione culturale per la valorizzazione, il riconoscimento e la diffusione delle culture prodot-te da donne di diverse provenienze nazionali nell’ot-tica di affrontare due tipi di ostacoli: alle discrimina-zioni basate sul genere e a quelle fondate sull’origine nazionale o sull’appartenenza religiosa. La Casa delle Culture (www.racine.ra.it/casadelleculture) è uno dei tanti centri d’informazione e documentazione inter-culturale della Regione emilia Romagna che realizza sia percorsi didattici formativi interculturali rivolti alle scuole ed agli insegnanti, che collaborazioni con le associazioni di immigrati per la realizzazione di iniziative finalizzate a favorire l’incontro tra culture nella città di Ravenna. e chiudendo questo piccolo squarcio di una realtà ben più vasta ecco il Centro Interculturale della Città di Torino (www.comune.to-rino.it/intercultura/lh.asp?p1=HOMe&p2=Pagina%20iniziale&temp=_home) che perseguendo l’obietti-vo di offrire a tutti i cittadini, sia nativi sia migran-ti, un’opportunità di formazione interculturale, oltre

che occasioni di incontro, dialogo e confronto su temi e questioni di interesse comune, promuove la prospettiva di cambiamenti negli atteggiamenti e nei comportamenti delle persone.

navi

go er

go su

m

Completiamo il vocabolario che, attraverso alcuni concetti chiave, ci ha fatto ripercorrere la strada che nel secolo appena passato hanno tracciato i femminismi, qui e altrove

VAGINAMisteriosa parte del corpo femminile, che però ha qualche riscontro in più rispetto alla clitoride (vedi Linus di marzo 2002) che di re-cente si è vista, finalmente, nominare senza i sinonimi stucchevoli o dispregiativi perché una scrittrice le ha dedicato un libro, divenu-to in tutto il mondo non solo un best seller, ma anche un’occasione, da parte di molte attrici, per tributare a questa parte della sessuali-tà femminile un omaggio intenso e toccante. Da leggere ripensando a quanto poco donne e uomini sanno e tengono in conto del luogo

fisico dal quale tutte e tutti provengono, ma soprattutto al suo va-lore simbolico come luogo dell’origine.

Eve Ensler, I monologhi della vagina, Tropea.

VIOLENZAIl lato oscuro, terribile, delle relazioni umane tra i generi: può pas-sare inosservato per un poco, possiamo rimuovere temporaneamen-te gli occhi e le orecchie da stampa e tv, ma il mostro resta lì, im-mutabile. Nel mondo gli uomini usano violenza alle donne, è un fatto; nonostante il progresso, l’evolvere del costume, delle leggi, delle società, delle tecnologie. Di fatto, di fronte alla denuncia per violenza, le donne devono dimostrare ciò che dicono, e i mecca-nismi di sospetto e di distanza nei loro confronti sono parte del-l’ancestrale diffidenza verso il femminile, indifeso ma provocante, portatore di vita ma da controllare e possedere. Negli anni ’70 le femministe dicevano che lo stupro era solo la punta estrema e vi-sibile della violenza sul genere femminile da parte di una società patriarcale e misogina, perchè le donne venivano fatte oggetto di violenza in mille altri modi quotidiani: nella cancellazione del loro

Un vocabolario tutto per noi MONICA LANFRANCO *

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Un vocabolario tutto per noi

cognome, nell’uso del loro corpo a scopo commerciale, nel disprez-zo che pervade il linguaggio, nell’indifferenza verso tutto ciò che si associa con il femminile. Siamo sicure che tutto questo, trent’anni dopo, sia definitivamente terminato?

Karima Guinivet, Stupri di guerra, Sossella Editore.Giuliana Dal Pozzo, Così fragile così violento. Le donne raccon-tano la violenza maschile, Editori Riuniti.Autorità, potere, violenza. Le donne si interrogano, Ed. Scientifiche Italiane.Taslima Nasreen, Vergogna, Rizzoli.Anna Banti, Artemisia, Rizzoli.A cura di Monica Lanfranco e Maria Grazia Di Rienzo, Donne di-sarmanti - storie e testimonianze su nonviolenza e femminismi, Intramoenia editore.

Siti contro la violenza dove sono attivi anche uomini:www.menstoppingviolence.org/;Nation organization for men against sexism www.nomas.org;uomini contro la violenza alle donne www.comune.bologna.it/bolo-gna/zerotolerance/menu/menu_associazione.htm.

ZITELLA«L’uomo che vive solo per sua scelta non sorprende oltre misura, può essere perfino un uomo di successo; la donna che vive sola sarà a lungo considerata come un’esistenza mancata, “zitella”, cioè una donna che non è riuscita a farsi volere». Parola di Rossana Rossanda. Di fatto la zitella è un archetipo che incombe su tutte noi come una spada di Damocle, appena superata la soglia dei trent’an-ni: il sospetto che ci sia qualcosa che non vada in una giovane don-na non accompagnata è trasversale alle culture, classi sociali, emi-sferi. e allora? Allora tuffiamoci nei libri, e impariamo le tecniche per arricchire il proprio coraggioso percorso di zitelle per arrivare a essere orgogliose: orgoglio zitellesco, avanti!

Edith Wharton, La zitella, Tartaruga.Pagan Kennedy, Zitelle, Marsilio.Gilda Rossi, Da ieri a oggi: le memorie d’una vecchia zitella, Cappelli.Rossana Rossanda, Anche per me, Feltrinelli.

* Direttora di Marea, trimestrale dei saperi delle donne (www.monicalanfran-co.it, www.mareaonline.it).

PeRChé LeGGeRe e sCRIveRe fIaBe IN CLasseIl motivo principale per cui è utile far scrivere fiabe in classe, anche alle medie e alle superiori – magari con l’accortezza di chiamarle “racconti

fantasy”, perché ragazzi e ragazze non si sentano trattati da bambini – è che la fiaba mette in scena costantemente un unico essenziale evento psichico: il processo per giungere al SéMARIA LETIZIA GROSSI

C’erano una volta mamme e nonne che racconta-vano fiabe ai bambini, specialmente nel metterli a letto. In verità si può presumere che la buona abitudine non sia del tutto estinta, anche se tempi frettolosi, televisione e computer remano contro. A scuola, alle elementari, ci sono maestre e maestri che leggono fiabe ai piccoli allievi, forse più di frequente quelle di autori contemporanei che scrivono per bambi-ni, spesso splendidamente, rispetto alle fiabe classiche. Proporre agli alunni di scriverne è senz’altro più problematico, perché quasi a tutti i ragazzini di oggi, per i motivi di cui si diceva, mancano proprio i materiali cui attingere, le fiabe tradizionali. È quindi necessario pre-liminarmente tutto un lavoro di lettura, meglio ancora di narrazione da parte dell’insegnante per fornire elementi del genere, strutture, personaggi. ed è anche importante un’analisi critica in grado di far distinguere ai giovani ascoltatori ciò che nelle fiabe c’è di durevole e di utilizzabile in ogni secolo e società, da ciò che è necessariamen-te connesso con tradizioni, comportamenti e strutture delle società antiche e soprattutto medievali in cui le fiabe sono nate. Tra questi depositi storici ci sono naturalmente atteggiamenti maschilisti e di sostegno ad un potere assolutistico e patriarcale. Ma le fiabe hanno in sé una potenza psicologica e rivoluzionaria, una capacità di aprire

a conoscenze fini e profonde addirittura terapeu-tica1. Le fiabe – scrive Cristina Campo – sono in realtà «esperienze sapienziali, che accostano per la prima volta un essere umano al potere dei sim-boli»2. e, attraverso l’immaginazione e l’intuizio-ne, che dispongono di tutti i poteri possibili, com-presi naturalmente quelli magici, sono in grado di far uscire chi legge e ascolta dagli schemi mentali usuali e indicano la via per superare la legge di ne-cessità. L’eroe e l’eroina della fiaba (sì, nelle fia-be ci sono, a differenza che nelle opere letterarie coeve, molte protagoniste femminili, attive e for-ti) sono il ragazzo considerato lo scemo del villag-gio, la ragazza orfana maltrattata dalla matrigna e dalle sorellastre, il povero che supera le prove e sposa la principessa, la bella caduta in miseria e disprezzata dalle altezzose sorelle che s’innamora della bestia e salva sé stessa e il principe trasfor-mato. Nella fiaba la saggezza e la speranza popo-lare riescono a immaginare un ordine delle cose sovversivo rispetto a quello esistente, attuando una funzione catartica, aprendo a storie altre. Ma il motivo principale per cui ritengo utile far scrive-re fiabe in classe, anche alle medie e alle superio-ri – magari con l’accortezza di chiamarle racconti fantasy, perché ragazzi e ragazze non si sentano trattati da bambini – è che la fiaba mette in sce-na costantemente un unico essenziale evento psi-chico: il processo per giungere al Sé, cioè alla to-talità psichica di ciascuno, attraverso elementi e

personaggi che attingono agli archetipi dell’inconscio collettivo3. Percorso importantissimo a tutte le età, difficile ma fondamentale nell’infanzia e nell’adolescenza. Nelle fiabe tutti i personaggi rappre-sentano una parte della psiche del/della protagonista. Scrivere una fiaba o un racconto fantastico per ragazzi e ragazze significa scrivere simbolicamente la propria vita o immaginare e tracciare le linee del proprio cammino di formazione. Il gioco narrativo, il c’era una volta, serve a mettere una distanza, attraverso il simbolo, dal nudo dato autobiografico, spesso difficile e “scorticante” da esprimere in modo troppo diretto. Inoltre la fiaba ha una suprema capacità di sintesi, davvero in una pagina può raccontare una vita e prospettare un per-corso di cambiamento e crescita.

NOTE1. Paola Santagostino, Guarire con una fiaba, Feltrinelli 2006.2. Cristina Campo, Gli Imperdonabili, Adelphi, 1987 – 2004, p. 15.3. Marie Louise Von Franz, Le fiabe interpretate, Bollati Boringhieri 1990.

scri

pt

ARO 09

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L’eDUCaZIONe smaRRItaeducazione è una delle parole più importanti della nostra vita. eppure qui ci si chiede se essa sia ancora attuale. Tirata a destra ed a manca, usata ed abusata in ogni campo ed in ogni occasione, parola passe-partout che appare sfinita dinnanzi al dilagare di una visione economicista della società che le ritaglia

un ruolo invocandone il ritorno al passato, alle regole, alla disciplina autoritaria

STEFANO VITALE

Duccio Demetrio, L’educazione non è finita. Idee per difenderla, Raffaello Cortina Editore, Milano 2009, pp. 155, euro 11

Dove si è nascosta l’educazione? Si chiede Duccio Demetrio. Non ci si illuda di ritrovarla esclusivamente a scuola. essa è solo una del-le “case” dell’educare e pensare che il processo educativo sia ricon-ducibile ad un passaggio d’informazioni, abilità, capacità è riduttivo. La posizione di Demetrio è chiara: educazione è “imparare a lavorare su di sé”, è un processo continuo di ricerca ed è legato alle esperien-ze di vita che attraversano e segnano la nostra vita. un processo che “non finisce mai” e che la scuola, appunto, non esaurisce. Ma passa inevitabilmente anche attraverso la scuola. e qui la sua posizione è altrettanto chiara: la descolarizzazione strisciante (dietro ai tagli fi-nanziari, dietro le pseudo riforme) non è altro che uno degli aspetti della svolta autoritaria, selettiva, restrittiva delle politiche scolasti-che. In Demetrio la critica della pretesa di chiudere l’educazione nel-la rassicurante gabbia dell’istruzione non dà spazio ad una pericolo-sa semplificazione in chiave autoritaria. L’educazione è imprevedibile ed ha a che fare con le storie individuali, col divenire dell’esistenza, col disordine fecondo dell’autonomia, della partecipazione, del libero pensiero. L’educazione è più dell’imparare, più dell’addestramento, più

hum

usLIBRISergio Manghi, Il soggetto ecologico di Edgar Morin. Verso una società-mondo, Erickson, Trento 2009, pp. 168, euro 16

sergio Manghi è docente di sociologia dei processi cul-turali e comunicativi all’università di Parma. Studioso di Bateson e dell’ecologia della mente ha allargato i suoi inte-ressi applicando le teorie della relazione e del costruttivismo a fenomeni specifici arrivando ad occuparsi della famosa “te-stata di Zidane” ai Mondiali di calcio. Con questo libro torna ad un livello più teorico dedicandosi a Morin. In primo luogo, ci mette a disposizione una sintesi molto articolata dell’opera e del pensiero di Morin che è al tempo stesso agile ed utile

anche per i non specialisti, i curio-si che avvertono «l’urgenza di inter-rogarsi sulle profonde inquietudini» del nostro tempo. L’approccio è teo-retico: sette capitoli in cui Manghi partendo dalla svolta epistemologi-ca che ripensa il soggetto in chiave post-ontologica, passa poi a spiega-re le nozioni basilari di ordine/ di-sordine/ organizzazione del sistema vivente, l’idea della relazione tra autonomia e di-pendenza, aprendendo importanti riferimenti al pensiero sociale di Marx e ai classici della socio-logia. Per arrivare al concetto di “uomo penin-sulare” ovvero connesso alla natura restituendo

alla noosfera (al mondo delle idee ed della cultura) un ruolo fondamentale nella costruzione del mondo caratterizzato, secondo i dettami del “pen-siero della complessità”, da radicali incertezze ed aperture al possibile. La visione che di Morin emerge da questo libro è quella di un pensatore del nostro tempo, capace di bloccare, descrivendolo, lo scorrere dinamico del divenire ed al tempo stesso di riconsegnare nelle mani degli uomini la responsabilità del proprio destino. Il taglio di Manghi è interessante: l’uomo è oramai svincolato da ogni certezza (trascendenza inclusa) e deve scommettere sull’incerto, l’improbabile, l’inatteso, oltre il “pensiero uni-co”. La conoscenza deve essere disciplinata ed interdisciplinare, ampia e profonda, collettiva, solidale. Siamo “semplici esseri” ma inseriti in una “comunità di destino” ecologicamente condizionata. Ma il problema resta aperto: il metodo è già molto, ma non è tutto, e non si deve correre il ri-schio di un pensiero addomesticato, buono per le formazioni aziendali dei manager. Fare i conti con la “certezza della nostra imperfezione” che è se-gno della nostra laica unicità è indispensabile, ma può “stancare”. Morin, intanto, si conferma grazie a Manghi, come uno degli interpreti più chiari della nostra “erranza” sociale, cognitiva, esistenziale.

STeFANO VITALe

LIBRIAndrea Bocconi, Claudio Visentin, In viaggio con l’asino, Guanda, 2009

Due professori − uno ex − due figli ragazzini e una coppia di asi-ni sono i protagonisti del viaggio li-bero, povero, stravagante racconta-to in prima persona dai due autori, i due prof.«Meglio un asino vivo che un pro-fessore morto» è la dedica che ci in-troduce in questo racconto-diario di bordo, coinvolgente e autoironico, a volte troppo dotto (come l’appen-dice dedicata a Stevenson in viag-gio con l’asinella Modestine nelle Cévennes nel 1878), sottile e spesso tenero negli sguardi che confondono animali e umani.un viaggio per viaggiatori, non per turisti, alla scoperta di iti-nerari impervi di un’Italia quasi sconosciuta ma anche e soprat-tutto dei compagni di viaggio – gli asini anzitutto, «[…] ogni tanto devo ripercorrere le pagine per ricordare chi è l’asino e chi

è la persona […]» – e i propri figli, in una dimensione del tutto nuova e imprevedibile «[…] a casa sono diversi, qui hanno la stessa responsa-bilità dei grandi…», «[…] coraggio nella tempesta con noi, disagio da sola nella stanza. I dieci anni sono così».È lo spiazzamento dell’andare, senza guida, anzi con la guida di Nino e eva, i due asinelli che conoscerebbero il percorso se volessero seguirlo, con una mappa improbabile e per due giorni sotto una tempesta, per sentieri, boschi, rifugi improbabili… Momenti di grande scoramento de-gli adulti, ma non dei ragazzini, incontri inattesi e salvifici, fino a rag-giungere verso la fine del viaggio una strada asfaltata e quasi trafficata da percorrere ai bordi con paura e diffidenza: «[…] nei posti sperduti eravamo al sicuro, qui in mezzo al nostro mondo siamo in pericolo».un viaggio-ricerca che riscopre la lentezza, dell’andare del guardare e dell’ascoltare, che propone altri punti di vista nelle relazioni con l’am-biente – magari quello dell’asino che si concede pause infinite per an-nusare un’erba profumata - che invita a mettersi in gioco fuori dai ruoli tradizionali – l’adulto che insegna, il bambino che impara, l’animale che ubbidisce – per sperimentarne altri forse più interessanti.Claudio Visentin, uno degli autori, è anche il fondatore della Scuola del viaggio, dove si riflette su caratteristiche e praticabilità di un turismo diverso, il cosiddetto turismo responsabile-sostenibile-etico, quello fuo-ri dai circuiti dei tour operator tradizionali, e si re-impara a essere viag-giatori prima che turisti; ma è anche il papà che si è portato Martina, 10 anni − «[…] non abbiamo parlato molto, eppure ci conosciamo di più e

il lib

ro

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Il Cd contiene la registrazione dal vivo dello spettacolo realizzato da Accademia Perduta/ Romagna Teatri (con il contributo e la col-laborazione dell’Associazione Parenti delle Vittime della Strage di ustica) al Teatro Manzoni di Bologna il 27 giugno 2007, in occa-sione dell’inaugurazione del museo. La vicenda giudiziaria non si è ancora conclusa, le vittime giac-ciono insepolte sul fondo del mare, ma l’aereo resta a testimonia-re quanto è successo, a chiedere verità e giustizia: «perché è per amore, e solo per quello, che mi hanno ricomposto in un mosaico di dolore e di passione».

MARIATeReSA LIeTTI

teatRO RaGaZZIMario Bianchi, Atlante del teatro ragazzi in Italia, Titivullus, Corazzano (Pi) 2009, pp. 292, euro 24

“atlante” sta, evidentemente, per “strumento di orien-tamento” in un mondo complesso e stratificato come quello della produzione teatrale per le giovani generazioni, argomento fino a questo momento ancora poco frequentato dagli studi teatrali, sto-rici e filologici. Quindi, prima di procedere alla redazione di una vera e propria “storia” di questo genere teatrale (ma “genere” è termine quant’altri mai inadeguato, visto che il teatro ragazzi ha attraversato con suprema leggerezza ogni stile e modello, dai bu-rattini all’astrazione, dal teatro di narrazione a quello di figura, dalla più sincera tradizione alla più destrutturata avanguardia...), è bene cominciare a costruire elenchi, biografie, genealogie, map-pe appunto. Mettere in fila tanti spettacoli e compagnie, raccon-tarli e restituirli alla memoria è operazione meritoria: fosse anche tutto qui (ben 67 schede dedicate a compagnie più o meno stabili e a gruppi più o meno variegati, che corrispondono a oltre il dop-pio di spettacoli recensiti) il volume sarebbe di per sé utile. Ma c’è di più: la prima sezione dedicata alle interviste ai “padri” (ma c’è anche una “madre”) del teatro ragazzi, le sezioni finali sul futuro, sui diversi approcci stilistici, sulle organizzazioni, sui festival e sui premi, nonché la ricca bibliografia, offrono in realtà già strumenti di sintesi e di approfondimento.e poi il volume, grazie anche al ricco corredo iconografico, riesce ad essere non solo registrazione, ma anche narrazione: chi ha avu-to la ventura in questi ultimi quarant’anni (il volume si occupa della produzione teatrale a partire dal 1970) di venire a contatto

− anche solo episodicamente − con il teatro ragazzi, avrà modo di ricor-darsi di straordinarie messe in scene e anche, a tratti, di rammaricarsi di averne inopinatamente sottovalutate altre.Per tutti, la fatica di Mario Bianchi è un invito a continuare l’impegno: sia quello di chi studia, sia quello di chi produce, sia quello di chi si gode lo spettacolo.

FABIO CANI

dell’imitazione. Ridurre l’educazione ad un quiz, misurarla, quantifi-carla è lontana da questa prospettiva. Ma è altrettanto lontana l’idea che essa sia priva di disciplina. Il rispetto delle regole, la consape-volezza degli sforzi necessari per raggiungere uno scopo, il riconosci-mento formale per un percorso positivo, l’autodisciplina come rigore esistenziale interiore: questi i “valori” dell’educazione dentro ed oltre l’istruzione scolastica.

Overdose di attenzioneL’altro polo della critica è la “trappola della cura”: anch’essa non esau-risce l’educazione. Le cure sono un diritto universale, ma non c’è au-tomatica derivazione di riuscita educativa. Qui Demetrio ha in mente l’overdose di attenzioni di padri e madri frustrati e frustranti, porta-tori di sensi di colpa, invischiati nelle fragilità dei figli, incapaci di assumere un ruolo educativo, pronti a fare gli avvocati dei figli, a pro-teggerli oltre misura. Viene qui in mente il libro di Pietropolli Charmet Fragili e spavaldi (Laterza, 2008) che metteva in rilievo le difficoltà dell’educazione dinnanzi al narcisismo degli adolescenti, narcisismo anche positivo, ma garantito dal lassismo degli adulti ormai “sfiniti”. Demetrio ci dice che tanto la visione competitiva, economicista del-l’educazione quanto quella affettivista, relazional-fusionale familisti-ca, sono le facce della stessa medaglia che potrebbe liquidare l’edu-cazione oggi.Il tono del libro è spesso “moralistico”, nel senso alto del termine: ci invita a cambiare prospettiva, a riflettere sui nostri stereotipi ritro-

vando un senso nuovo per l’agire educativo. e lo fa cercando di saldare due aspetti fondamentali: da una parte l’idea che l’educazione possa rigenerarsi ricollegandosi alle «conquiste più alte della democrazia, dei diritti universali, della storia del riscatto e della emancipazio-ne»; dall’altra parte la prospettiva di un’educazione interiore, carica dei suoi presupposti filosofici (e non tanto psicologici o peggio neu-ro-psicologici) ed esistenziali (Demetrio è tra i maggiori sostenitori e propulsori della pedagogia della memoria, dell’autobiografia come processo autoformativo). Insomma, la soggettività dovrebbe potersi collegare ad un orizzonte democratico costruendo una barriera contro la paura della diversità, contro l’educazione delle “cittadelle monoe-ducative”. Ciò che gli sta a cuore è evitare «lo slittamento dell’edu-cazione in una direzione acritica, fideista» quale che essa sia. e si fa provocatoriamente promulgatore di una “educazione liberale”: autodi-sciplina che non tollera gli oltraggi del potere, che supera la dottrina dell’ex-ducere (che in fondo rimanda alla necessità di un maestro, di un tutore, di un padrino), che guarda all’interiorirtà non come ad uno spazio di fuga, ma come orizzonte di ricerca infinita e responsabile. un’educazione che si apre al possibile, che prende sul serio il motto illuminista del sapere aude, sperimentando in prima persona, che va-lorizza l’unicità e l’irripetibilità della nostra vita, emancipandosi per-sino dal giogo del gruppo e della gruppalità. L’educazione interiore è l’apice di questo processo di emancipazione radicale. L’educazione non è finita: ma siamo noi maturi per oltrepassare i confini di cui ci parla Demetrio? Hic rhodus, hic salta!

hum

ussiamo più vicini di prima.» − e che ha promesso a Tommaso, 6 anni, «come indennizzo per l’esclusione da questo viaggio […] tre giorni in tenda senza mai lavarsi».Alcune delle 10 cose che gli autori hanno imparato viag-giando con un asino: «obbedisci, ma solo se gli ordini sono sensati»; «se non sei convinto, non farlo»; «se ti legano, slegati»; «se gli altri stanno facendo qualcosa di interessan-te, mettici il naso»; «niente sorprese, e soprattutto niente movimenti strani dietro le spalle, se no tiro calci».

BIANCA DACOMO ANNONI

mUsICa CIvILePippo Pollina, Ultimo volo. Orazione civile per Ustica, voce narrante Manlio Sgalambro, con Palermo Acoustic Quartet, Archi della Filarmonica Arturo Toscanini, Storie di note 2007

I resti del Dc 9 Itavia, esploso e precipitato in mare il 27 giugno del 1980 insieme alle 81 persone che erano a bordo, si trovano ora al Museo della Memoria di Bologna. Ci sono voluti 26 anni per ripescare pezzo a pezzo l’aereo da più di 3.500 metri di profondità e ricostruirlo con tenacia e pazien-za. Quasi una metafora del lavoro di ricostru-zione dei fatti che invece non ha ancora dato risposte esaustive a quella che viene ricorda-ta come la strage di ustica.L’aereo è stato ricomposto inizialmente in un hangar a Pratica di Mare e trasportato a Bologna a fine giugno del 2006 per essere collocato all’interno del museo. Per l’occa-sione del trasporto è stata composta l’ope-ra di teatro musicale ultimo volo all’interno della quale Pippo Pollina, autore della mu-sica e dei testi, alterna monologhi recita-ti e canzoni dando la parola proprio all’ae-reo. Altri lavori musicali sono stati scritti sull’argomento, si pensi alla colonna so-nora di Francesco De Gregori per il film Il muro di gomma di Dino Risi, all’opera lirica Unreported inbound Palermo di Alessandro Melchiorre su testo di Daniele Del Giudice o alla Cantata del secolo breve di Giovanna Marini per lo spettacolo teatra-le I TIGI - Canto per Ustica di Marco Paolini. Molto era quindi già stato detto, ma l’originalità di Pollina sta proprio nel cambiare il punto di vi-sta, assumendo quello, insolito, del velivolo. Idea che, come dichiara il musicista, gli è venuta proprio visitando l’hangar a Pratica di Mare per-ché l’aereo «esprimeva una dignità che mi sembrava potesse quasi par-lare e raccontare a noi quello che aveva involontariamente vissuto».

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teXtmentre mi accingevo a scrivere questa prolusione ho ricevuto l’ultimo numero della ri-vista americana Dialogue, che contiene un articolo di Richard Rorty, il più noto fra i filosofi americani contemporanei, molto tradotto anche in Italia.Lo scritto è intitolato Education Without Dogma e viene presentato con questa didascalia: «Le scuole dovrebbero creare cittadini colti e liberi pensatori che sappiano distinguere il torto e la ragione da se stessi».Rorty è un allievo di John Dewey, che era allora il maggior filosofo americano, noto in tutto il mondo, e ne continua sotto certi aspetti la tradizione di pensiero e l’interesse particolare per i problemi dell’educazione.Tra le opere più note di Dewey, tradotte in italiano subito dopo la guerra ce n’è una intitolata Democrazia ed educazione, scritta nel 1915, che non ho bisogno di presentare ad un pubblico prevalentemente di insegnanti.uno degli insegnamenti del filosofo è la necessità di tenere conto del rapporto tra educazione e società, anche per il solo fatto che non esiste il problema dell’educazione in generale, per-ché ogni società, corrispondentemente ai suoi bisogni, ai suoi interessi, ed ai suoi valori, ha una sua forma specifica di educazione. L’educazione di cui ha bisogno la società aristocratica non è la stessa di cui ha bisogno la società democratica. L’educazione in una società chiusa è diversa da quella di una società aperta, e così via.Se in una società vi sono più strati o classi, – si pensi alla società della repubblica platonica –, ad ogni classe o strato corrisponderà una diversa forma di educazione.Nell’età dei principati fiorivano i trattati sull’educazione del principe: vorrei ricordare almeno la celeberrima opera di erasmo Institutio Principis Christiani scritto su per giù negli stessi anni del Principe di Machiavelli.Nell’età della Rivoluzione francese ebbero grande diffusione i manuali o catechismi di educa-zione popolare, in concomitanza con lo sviluppo della democrazia come forma di governo con-trapposta a tutte le forme di governi autocratici precedenti.Lo sviluppo della democrazia coincide con l’allargamento del suffragio, vale a dire dei diritti politici, dei cosiddetti “diritti di cittadinanza attiva”. Si ricordi quanto grande fu la resistenza delle classi letterate in tutti i paesi europei, compresa l’Italia, a concedere il diritto di voto agli analfabeti. Alla base di questa resistenza c’era l’idea, o se volete il pregiudizio, che l’istru-zione popolare fosse una condizione sine qua non dello sviluppo democratico.Scrisse Dewey: «La devozione della democrazia all’educazione è un fatto ben noto». Non tanto perché un governo che dipenda dal suffragio popolare non possa prosperare se gli eletti non sono ben informati (oggi fra l’altro con i mezzi audiovisivi anche un analfabeta può essere ben

Democrazia e educazioneNORBERTO BOBBIO

In occasione del centenario della nascita di Norberto Bobbio (18 ottobre 1909) ricordiamo questo grande maestro dell’”Italia civile” con la riproposta di un suo testo poco noto diretto agli insegnan-ti. La relazione che segue fu infatti pronunciata in occasione dell’inaugurazione a Torino del Centro per l’Educazione il 17 maggio 1990 e fu pubblicata sul numero del dicembre 1992 dei Quaderni del Centro, NEWSeducazione, oltre che, quasi contemporaneamente, sulla rivista Insegnare. Ringraziamo gli aventi diritto per il permesso di riprodurla. Per le iniziative del centenario rimandiamo i lettori al sito: http://www. centenariobobbio.it/

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informato), ma perché «è evidente che una società alla quale sarebbe fatale la stratificazione in classi separate deve provvedere a che le oppor tunità intellettuali siano accessibili a tutti e a condizioni eque e facili. una società distinta in classi deve prestare attenzione soltanto all’edu cazione dei suoi dirigenti. una società mobile, ricca di canali distributivi dei cambia-menti ovunque essi si verifichino, deve provvedere a che i suoi membri siano educati all’inizia-tiva personale e all’adattabilità» (p. 110). In altre parole: «una società democratica deve ave-re un tipo di educazione che interessi personalmente gli individui alle relazioni e al controllo sociale, e sappia formare la mente in modo che possano introdursi cambiamenti sociali senza provocare disordini» (p. 126).e ora possiamo leggere l’articolo di Rorty tenendo presenti queste osservazioni del suo mae-stro. egli prende posizione contro due libri usciti recentemente negli Stati uniti, che hanno fatto tanto chiasso: Allan Bloom, The Closing of American Mind; e e.D. Hirsch, Cultural Literacy. What Every American Needs to Know.Il primo combatte il relativismo etico che si va diffondendo nelle università americane, il se-condo condanna la scuola americana perché trascura di insegnare un nucleo comune di fatti e di concetti. Tutti e due ritengono che i difetti della scuola americana, empirismo, pragma-tismo, relativismo, derivino dall’insegnamento di Dewey. Ma Rorty ne prende le difese distin-guendo due indirizzi di pensiero: le destre che antepongono la verità alla libertà, sostenendo che «... solo il possesso della verità1 li farà liberi» e le sinistre che antepongono la libertà alla verità perché la verità si può svelare soltanto attraverso il libero dibattito. Rorty è favorevole a quest’ultima posizione. Per difenderla si rifà proprio al pensiero del maestro, secondo cui se vi prendete cura della libertà, la verità avrà cura di voi: «egli ci insegnò a chiamare vere tutte quelle credenze che risultano da un incontro libero ed aperto di opinioni, senza chie dersi se questo risultato corrisponda a qualcosa che precede l’incontro».A chi volesse saperne di più segnalo che nel volume Filosofia ‘86 a cura di Vattimo (Laterza 1987) c’è un saggio dello stesso Rorty significativamente intitolato La priorità della democra-zia sulla filosofia.Rifacendosi a Rawls e alla sua teoria della giustizia, sostiene che essere d’accordo sulla demo-crazia politica non implica affatto essere anche d’accordo su una determinata concezione filo-sofica o su una determinata concezione della natura umana, come già gli illuministi avevano sostenuto rispetto alle credenze religiose. Per Rawls le questioni relative alla natura e ai fini dell’uomo devono essere staccate dalla politica e relegate nell’ambito privato. La verità, intesa in senso platonico, non è rilevante per la democrazia politica. La tesi centrale è espressa con queste parole: «Quando diverse verità vengono in conflitto, la democrazia ha la precedenza sulla filosofia» (p. 44). Se la convinzione di una verità, che è poi la mia verità, conduce all’in-tolleranza delle altre verità, l’affermazione di questa verità è un prezzo troppo alto da paga-re per l’instaurazione e la preservazione di una pacifica e libera convi venza civile. In sostan-za dire che la democrazia viene prima della filosofia vuoi dire la stessa cosa che aveva detto Dewey, che la libertà viene prima della verità.

Cittadini e democraziaun discorso su democrazia e educazione presuppone che ci si intenda prima di tutto sul si-gnificato di democrazia. La definizione più semplice, più chiara ed anche meno controversa, è quella per cui si intende per democrazia la forma di governo in cui le decisioni collettive, vale a dire le decisioni che, una volta prese, e da chiunque siano prese, diventano vincolan-ti per tutta la collettività, sono prese con la partecipazione o diretta o indiretta, vale a dire con rappresentanti o senza rappresentanti, da parte del maggior numero di coloro cui queste decisioni sono destinate.Da questo punto di vista la democrazia può essere definita come espressione dell’autonomia della volontà generale in contrapposto a tutte le forme autocratiche di governo, in cui il rap-porto tra colui che prende le decisioni e coloro che ne sono i destinatari è un rapporto di ete-ronomia.Il soggetto della democrazia, possiamo dire il protagonista, è il cittadino. Sotto questo aspet-to la democrazia può anche essere definita come governo dei cittadini, quando il governo spet-ta, in via immediata o mediata, a tutti i cittadini. Preferisco dire dei “cittadini” piuttosto che del “popolo”. Il popolo è un ente collettivo che può essere variamente composto e costituito: per “popolo” si è sempre intesa la parte attiva di una determinata società, anche se poi que-sto “popolo” è composto di una parte minoritaria degli individui che la compongono. Si può intendere per “popolo”, anche tutti gli abitanti di un territorio, indipendentemente dal fatto che abbiano o non abbiano i diritti politici.Ciò che sta alla base di uno stato democratico non è il popolo. Sono i singoli cittadini, pre-si uno per volta, uti singuli. Ciò che costituisce la volontà collettiva in una democrazia è l’in-sieme delle volontà di ognuno di noi, singolarmente considerati e contati. Nelle elezioni, che sono l’istituzione fondamentale di ogni governo de mocratico, ognuno conta per uno e conta per sé. Quando gettiamo la scheda nell’urna non siamo una parte del popolo, il frammento di una totalità, ma siamo quisque e populo. Infatti, se ciascuno non contasse per uno singolar-mente preso, sarebbe irrazionale il principio di maggioranza, in base al quale diventano de-cisioni collettive vincolanti quelle prese da una parte numericamente calcolata degli elettori. Partendo dal concetto di popolo, ente collettivo, non si arriverebbe mai a distinguere una mi-noranza da una maggioranza. Il principio di maggioranza si giustifica soltanto se si parte dal singolo cittadino e dalla somma dei singoli cittadini. Si tratta di avere bene in mente la dif-ferenza tra il “tutto” e i “tutti”. Alla base della democrazia c’è la sovranità di tutti e non del te

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tutto. Aldo Capitini aveva coniato l’espressione, che non ha avuto fortuna, ma che corrisponde esattamente a quello che sto dicendo, di “onnicrazia”. Che lo stato sia fatto dai cittadini non è poi un’idea nuova. Chiunque abbia letto la Politica di Aristotele sa che il libro terzo si apre con un’interessante e sempre attuale discussione sul citta dino, partendo dalla definizione del-la città come l’insieme dei cittadini.

L’educazione alla cittadinanza democraticaMa subito si legge che il concetto di cittadino è controverso perché che cosa si intenda con questa parola in una democrazia è diverso da quello che si intende in una oligarchia. In realtà, per Aristotele il cittadino nel senso proprio della parola è quello democratico, in quanto per essere cittadini occorre partecipare alle funzioni direttive ed essere eleggibili alle magistra-ture. La differenza fra noi e gli antichi è che nella polis, intesa come l’insieme dei cittadini, non tutti necessariamente sono cittadini. Per democrazia invece oggi noi intendiamo l’insie-me dei cittadini in una società in cui tutti sono cittadini. Non soltanto la cittadinanza, ma la cittadinanza universale.Ho insistito sul concetto di cittadino come essenziale alla definizione di democrazia per spie-gare la ragione per cui fa parte essenziale dell’educazione democratica quella che è stata chia-mata dalla scienza politica, in specie dalla scienza politica americana che ha influenzato quel-la italiana in questi ultimi decenni, “educazione alla cittadinanza”. L’educazione democratica si distingue da ogni altra forma di educazione, perché è prima di tutto educazione alla citta-dinanza. educazione alla cittadinanza è quella che mira a fare del suddito degli stati non de-mocratici un cittadino che non è più oggetto del dominio ma è egli stesso soggetto del potere politico. In quanto soggetto ha attorno a sé uno spazio di libertà, come dice Salvatore Veca in un libro recente intitolato: Cittadinanza. Riflessioni filosofiche sull’idea di emancipazione. Questo spazio di libertà viene definito come «uno spazio morale circondato da diritti inviola-bili», che fa di lui il protagonista e l’attore artefice del proprio destino, simile al Coriolano di Shakespeare.Nel dibattito politico dell’ultimo secolo era tema comune che l’educazione alla cittadinanza avvenisse nella stessa pratica politica, cioè nell’esercizio di fatto di quei diritti che fanno di un suddito un cittadino. Si diceva: secondo il modello giacobino prima viene la dittatura rivo-luzionaria e poi solo in un secondo tempo il regno della virtù. Per il modello democratico, in-vece, la democrazia vive e si perfeziona solo attraverso la virtù dei cittadini. La democrazia è il regno della virtù secondo la nota definizione di Montesquieu. L’educazione alla cittadinanza democratica è educazione alla virtù intesa come partecipazione attiva, consapevole, alla vita della propria città. Di qua deriva anche la tradizionale identificazione della virtù repubblica-na con l’amor di patria, intesa come l’amore della propria comunità volto alla preservazione di essa dai mali che la possono far degenerare e scomparire.Col linguaggio più moderno, meno antiquato, meno influenzato da fonti classiche, John Stuart Mill, nelle Considerazioni sul governo rappresentativo, distingueva i cittadini in attivi e pas-sivi, e diceva che i governanti preferiscono i secondi ai primi, perché è tanto più facile tenere in pugno sudditi docili e mansueti. Aggiungeva però che la democrazia ha bisogno dei primi. I governanti farebbero ben volentieri dei loro sudditi – sono sempre parole di Mill – un gregge di pecore volte unicamente a pascolare l’erba una accanto all’altra (e a non lamentarsi, ma que-sto lo aggiungo io, anche quando l’erba è scarsa). Tale ragionamento lo induceva ad allargare il suffragio, oltre che alle donne, alle classi popolari, perché uno dei rimedi alla tirannia dei pochi è proprio la parteci pazione dei più. La partecipazione ha già di per se stessa un grande valore educativo perché attraverso la discussione sulle cose della politica, che la partecipazio-ne esige, l’elettore si educa politicamente.

La democrazia attivaMolti sono i cittadini passivi anche in una democrazia compiuta, cioè in una democrazia dove esiste il suffragio universale maschile e femminile. Questi sono di due specie. La prima è quel-la di coloro che non votano (e stanno aumentando anche nel nostro paese), e sono percen-tuali talora altissime come negli Stati uniti e, sorprendentemente, anche nei paesi di nuova democrazia dell’est europeo. Non vale affermare che l’apatia politica è segno di accettazione, giacché coloro che non votano sono di solito gli emarginati. L’altra specie è quella di coloro che votano ma il loro voto è sempre meno un voto di opinione, sempre più un voto manipola-to dalla propaganda. Oggi si verifica questo paradosso, che anche i cittadini attivi sono solo attivi in apparenza, e sono spesso così passivi di fronte alla manipolazione dei partiti, che i cittadini passivi in realtà ritengono di essere loro più attivi di quelli attivi solo apparentemen-te, perché con la loro astensione mirano a denunciare l’allontanamento della pratica demo-cratica dagli ideali della democrazia. Si è persino tentati di dire che il voto di opinione si va rifugiando nel non voto, giacché di fronte ai vizi del sistema partitico il non voto può essere considerato l’espressione non di indifferenza ma di protesta. Non vi è nulla che caratterizzi di più il cittadino attivo che la protesta.Forse si potrebbe porre il problema anche in termini di responsabilità e di irresponsabilità. La democrazia quindi sarebbe da definire come quella forma di governo che fa di ogni membro della società, in forma maggiore o minore, un individuo responsabile della possibile conviven-za di ognuno con tutti gli altri, e quindi della permanenza e persistenza di una libera e paci-fica società. Nel gregge il solo responsabile è il pastore. Così, secondo l’antica immagine del governante come timoniere, il solo responsabile della rotta è lui, e la ciurma è chiamata solo ad obbedire ai suoi ordini.te

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Perché nascesse l’idea dell’individuo responsabile era necessario che fossero abbandonate a poco a poco le metafore tradizionali con le quali veniva raffigurata la società nel suo comples-so, quella meccanicistica e quella organicistica. era necessario che si rovesciasse il rapporto tra società ed individui: non la società prima degli individui, ma gli individui prima della so-cietà; e si assumesse di fronte ad ogni forma di società quell’atteggiamento che ora si chiama “individualismo metodologico”. Non è il caso di sottolineare qui che l’individualismo metodo-logico presuppone un individualismo ontologico ed esige un individualismo etico.Cittadino attivo è quello che consente e dis sente in base al giudizio che egli si fa liberamen-te di ciò che è giusto o ingiusto, conveniente o non conveniente, in breve di ciò che è bene e di ciò che è male. Di qua l’importanza dell’educazione, di quella che ho chiamato l’educazione alla cittadinanza, intesa come educazione a che ogni perso na riesca autonomamente a farsi un giudizio personale in base al quale esprimere il proprio consenso o il proprio dissenso.In che cosa consista l’educazione alla cittadinanza democratica non è cosa che si possa dire in poche parole. Bisogna partire da una definizione generale e comprensiva di cittadino demo-cratico. Cittadino democratico è colui che si occupa dell’interesse generale dell’intera collet-tività, e godendo del vantaggio di vivere in una società libera, deve essere capace di far buon uso di questa libertà.Appartengo ad una generazione che era stata educata durante il fascismo e non aveva nessu-na delle libertà di cui godono i cittadini democratici. Siamo nati alla coscienza della libertà rimprove rando i più vecchi, mi riferisco in particolare alla classe media, borghesi e piccolo-borghesi, che avevano abdicato ai loro diritti di cittadini. Non avevano avuto una buona edu-cazione alla cittadinanza. Se il fascismo era giunto al potere e aveva dominato per tanti anni la colpa non era soltanto dei violenti, degli intolleranti, dei faziosi che erano una minoranza, ma era anche della maggioranza che aveva sopportato e si era adattata al potere dei pochi.

Libertà, eguaglianza e non-violenzaAbbiamo capito da allora che accanto all’educazione genericamente morale e naturalmente a quella intellettuale, appartiene ai compiti della scuola in una società democratica anche quel-la politica, non nel senso di indottrinamento ma nel senso di educazione alla vita collettiva, che in una società democratica deve ispirarsi ai valori fondamentali della libertà, della egua-glianza e della non violenza. La prima cosa da dire ad un alunno quale che sia la sua età è: «Tu non sei solo. Sei la parte di una totalità che parte dalla famiglia, passa attraverso la scuola, giunge alla nazione, arriva fino a comprendere tutta l’umanità». Il cittadino democratico non può non essere al limite anche un cittadino del mondo. «Qualunque cosa tu faccia o pensi non riguarda solo te ma riguarda tutti gli altri, i vicini e i lontani, i lontanissimi, quelli che non vedi, anche coloro che non sono ancora, il cui destino dipenderà anche dal mondo che noi gli avremo lasciato». La politica ecologica, per fare un esempio, implica un’assunzione di respon-sabilità anche verso i posteri, come se i posteri, che non esistono ancora, avessero dei diritti verso di noi. «Non illuderti di poterti rinchiudere nel privato. Solo nel privato nessuno potreb-be sopravvivere. Non appena varchi la soglia di casa, entri in uno spazio pubblico dove la tua libertà deve essere compatibile con quella di tutti gli altri e dove le cose che tocchi e usi non sono tue e non puoi farne quello che vuoi».L’educazione del buon cittadino invita a riflettere su un tema che di solito viene poco discus-so: la discussione fra il privato ed il pubblico. L’appartenenza all’una o all’altra sfera implica un diverso comportamento. Quello che puoi dire in privato non puoi dirlo in pubblico. Di qui nasce, ad esempio, la protezione della privatezza, del segreto epistolare, del diritto di poter conversare al telefono senza essere ascoltati. Come ti vesti in privato non ti vesti in pubblico. Dovunque ti trovi in luogo pubblico, in tram, per strada, in un cinema, in uno stadio, sei sot-toposto a regole che non valgono nella tua vita privata. Quando tu vieni a far parte di quel che si chiama il pubblico, nella fila di uno sportello, all’entrata e all’uscita di uno spettacolo, in una manifestazione o in un corteo, scattano certe regole, il cui scopo è essenzialmente quello di limitare la tua libertà in corrispondenza dell’uguale libertà degli altri.una delle caratteristiche della società democratica, rispetto a tutte le altre, è l’enorme esten-sione della sfera pubblica, di quel che si può fare, a differenza degli altri regimi, in pubblico. La libertà di stampa ha per conseguenza la possibilità di rendere pubbliche le nostre opinioni. La libertà di riunione implica il diritto di manifestare in pubblico una protesta, una richiesta, una rivendicazione. e così via.Il momento decisivo della vita di una democrazia sono le elezioni. Le elezioni ti costringono ad uscire di casa, a entrare in un luogo aperto al pubblico, a prendere una decisione personale che riguarda non la tua persona, ma il pubblico. Si pensi alla distinzione tradizionale tra la piazza e il palazzo: la democrazia è l’estensione della piazza aperta al pubblico rispetto al palazzo chiu-so, al gabinetto segreto del principe. L’agorà, il foro, la grande piazza dei comuni medievali, sono sempre stati il simbolo della partecipazione popolare alla vita della comunità.L’educazione del cittadino democratico è, in poche parole, l’educazione della vita pubblica, senza la quale, al di fuori della quale, vita democratica non esiste.In base a questa distinzione tra pubblico e privato l’educazione democratica si distingue dalla educazione morale in genere. Non che sia diversa o contrapposta, ma ne è una parte speci fica, alla cui formazione è particolarmente adatta la scuola, che è il primo luogo pubblico, oltre la chiesa, in cui il bambino entra a far parte. L’educazione democratica riguarda non la morale dell’uomo in generale, ma la morale del cittadino, ovvero la morale dell’uomo in quanto mem-bro della città. Il votare o non votare, il pagare le tasse, il fare il servizio militare, riguarda i doveri dell’uomo in quanto cittadino. te

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Regole e valori della democraziaGià di per se stessa l’educazione democratica, in quanto contribuisce a formare il buon cittadi-no, è caratterizzata da una particolare apertura al pubblico, da una assunzione di responsabi-lità pubblica. Ma un’ulteriore caratteristica dell’edu cazione democratica deriva dalla compren-sione e dalla consapevolezza dei valori propri della democrazia. Se l’educazione è orientata verso certi valori, e non può non esserlo, è evidente che il tema di fondo dell’educazione de-mocratica deve riguardare il rapporto fra un certo sistema educativo e questi valori, nel senso che il sistema educativo democratico deve essere orientato alla comprensione e alla espansio-ne di questi valori.Si ritiene di solito che, per parlare dei valori della democrazia, si debba distinguere la demo-crazia formale, come insieme di regole e di procedure, dalla democrazia sostanziale e che la democrazia possa dirsi un sistema di valori soltanto rispetto alla seconda. Niente di più falso. È vero che la democrazia è prima di tutto un insieme di regole di comportamento per prende-re delle decisioni collettive, regole che non esistono nelle forme di governo autocratiche. Ma l’affermare che la democrazia è un insieme di regole e di procedure non comporta affatto la diminuzione della dignità del governo democratico. I valori della democrazia sono impliciti, sono intrinseci a queste regole.Prima osservazione: affinché si possa parlare di democrazia occorre che siano ammessi a vota-re tutti i componenti adulti di quel particolare gruppo sociale. Di qua segue che la scelta della regola secondo cui non vi sono differenze tra i cittadini rispetto al diritto del voto è confor-me al principio di eguaglianza ed è una scelta di valore. e quale valore! Quante lotte, anche cruente, ha richiesto l’adozione di questo principio. In altre parole, democrazia implica il voto, ma il voto di per se stesso non costituisce la democrazia. Ciò che distingue la democrazia da qualsiasi altra forma di governo non è il voto, ma l’eguaglianza di voto. L’eguaglianza di voto cancella di un sol colpo tutte le altre diseguaglianze che esistono di fatto tra gli uomini, ri-spetto alla forza, alla ricchezza, al merito, al sesso e così via. Da un punto di vista strettamen-te razionale può persino sembrare un’assurdità che uomini diversi tra loro sotto tanti aspet-ti siano eguali, vale a dire contino ciascuno allo stesso modo in un governo demo cratico. Ma proprio per questa sua apparente assurdità l’eguaglianza di voto diventa un valore specifico della democrazia che nessuno oserebbe più mettere in discussione. Il voto plurimo, che fu da alcuni proposto nel secolo scorso, sarebbe oggi considerato una follia. L’eguaglianza di voto mette la democrazia sotto il segno di questo valore fondamentale in [rapporto a] qualsiasi altra forma di governo. La storia del processo di democratizzazione del secolo scorso, dal suf-fragio ristretto al suffragio universale maschile e femminile, è stato un processo di uguaglia-mento dei diritti diseguali.In secondo luogo, anche là dove il diritto di voto è esteso a tutti, il voto non è democratico se non è libero. Il voto è per definizione un atto di scelta. un atto imposto non è una scelta. Che il voto sia libero implica che chi ha il diritto di votare sia: a) libero di scegliere e di non scegliere; b) di scegliere tra diverse alternative. Che la libertà di voto sia continuamente mi-nacciata anche in una società democratica, il buon cittadino lo sa benissimo, ma è un buon cittadino colui che viene educato a scegliere in base a una propria idea delle parti in gioco, a distinguere da sé l’oggetto della propria scelta.Possiamo definire la società democratica come quella in cui la gamma delle scelte di fronte a cui si trova il cittadino è molto maggiore che in qualsiasi altra società, e pertanto in ogni momen to della sua giornata si trova in condizioni di fare delle scelte: quale film andare a ve-dere, quale vestito comperare, quale viaggio fare, ma prima di tutto c’è quella che si potrebbe chiamare la scelta delle scelte che tutte le altre compendia, quale governo vuoi o non vuoi. Scelta delle scelte, perché da questa derivano tutte le altre. Altro è scegliere questo o quello. Altro è scegliere se vuoi continuare a essere libero, cioè a essere sempre in condizione di fare la scelta fondamentale da cui tutte le altre dipendono.

Il cittadino “bene” educatoSappiamo benissimo che questa libertà spesso è fittizia. Ma il cittadino bene educato è quello che si rende conto anche dei condizionamenti che subisce la libertà di scelta. In fin dei con-ti, la pubblicità o la propaganda danno informazioni, consigli, avvertimenti. Non obbligano. Il cittadino bene educato è quello che ha tanto spirito critico da distinguere il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto, il conveniente dal non conveniente. L’educazione a scegliere implica an-che l’educazione a distinguere. Comunque è sempre il punto di partenza per decidere da sé, esaminati il pro e il contro.Libertà ed uguaglianza, come si vede, sono sommi valori che fanno parte essenziale delle re-gole del gioco democratico, che senza uguaglianza di voto sarebbe il solito governo di pochi, senza libertà sarebbe un gioco d’azzardo, come accade nel gioco in cui vince chi alza la carta più alta, che è una scelta al buio, una scelta che rimette il risultato a un evento indipenden-te dalla mia volontà.Ma non basta. È curioso come quasi sempre si dimentichi un terzo valore essenziale alla demo-crazia, su cui mi accade spesso di insistere perché lo vedo di solito messo poco in evidenza, mentre io lo considero quello in cui la democrazia si distingue essenzialmente da tutte le altre forme di governo: la non violenza. Per democrazia si può intendere quella forma di governo in cui vi sono regole generali che permettono di prendere le decisioni collettive senza che vi sia bisogno di ricorrere all’uso della violenza reciproca. Fanno parte costitutiva di ogni governo democratico la contrattazione fra le parti e la regola di maggio ranza, entrambe strategie per la soluzione paci fica dei conflitti, fondate cioè sulla discussione prima, e sull’accordo poi.

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Non a caso viene sempre più a far parte del-l’educazione democratica alla pace. Non a caso, dico, perché la democrazia è con le sue regole costitutive la forma di governo che meglio di ogni altra garantisce la pace interna, intesa come l’esclusione della vio-lenza per la soluzione dei conflitti sociali.Non c’è bisogno di aggiungere quanto siano connesse all’idea della pace sia l’idea del-l’uguaglianza, giacché la guerra presuppone il diverso, anzi la figura estrema del diver-so, il nemico, sia l’idea di libertà, intesa nel duplice senso di libertà di scelta e di auto-nomia. educazione alla pace, alla libertà, al-l’uguaglianza, sono tre momenti indissolubi-li dell’educazione democratica.Il discorso non sarebbe finito se non si tor-nasse al principio, vale a dire alla connes-sione necessaria fra democrazia e stato lai-co. Lo stato democratico non può non essere uno stato laico. Per stato laico si intende non confessionale, nel senso che non ha una sua religione privilegiata né una sua ideolo-gia. Ciò che caratterizza lo stato democrati-co non è una dottrina ma un metodo, vale a dire il metodo che permette la coesisten-za delle varie dottrine. Questo metodo è la tolleranza. In quanto metodo, è un presup-posto. In quanto presupposto deve diventa-re oggetto fondamentale dell’educazione de-mocratica.Della tolleranza abbiamo bisogno più che mai in un mondo in cui avviene in misu-ra sempre maggiore la compenetrazione di gente diversa. Mi domando se la famiglia italiana sia preparata moralmente ad inse-gnare il rispetto del diverso. Ad ogni modo l’educazione alla tolleranza tocca primamente alla scuola, alla scuola pubblica, alla scuola per tutti. La scuola pubblica ha avuto sempre un’enor-me funzione di eguagliamento del disuguale: il ricco col povero, il maschio con la femmina, il cristiano con l’ebreo, il bambino del nord con quello del sud, oggi anche il bambino handicap-pato con il bambino normale. Ora si apre una nuova stagione, quella più difficile: il bambi no bianco con quello di colore, l’europeo con il non europeo. In questo campo la funzione degli insegnanti è enorme. La soluzione del problema che nasce dai fenomeni sempre più numerosi di immigrazione, dipenderà anche da quello che saprà fare la scuola per combattere radicati pregiudizi.

Il “nemico” è cambiatoHo detto più volte che la democrazia sarà compiuta quando ci sentiremo tutti cittadini del mondo. Questi cittadini del mondo nasceranno dalla scuola o non nasceranno. Il che non vuol dire diminuire o addirittura eliminare il senso della nostra identità nazionale, che tra l’altro, bisogna pur dirlo, in Italia non è molto alto. Ma dovrebbe essere una ragione di orgoglio far parte di una nazione tanto civile da contribuire ad avanzare nel cammino verso l’uguaglianza di tutti gli uomini, che è il presupposto della democrazia universale. Ma bisogna pur rendersi conto che il nemico è cambiato. Con questa osservazione termina il mio discorso. Il nemico contro cui ha combattuto le sue battaglie la democrazia è stato il potere autocratico, il potere di oligarchie chiuse che perpetuano se stesse. La democrazia rappre senta il potere che sale dal basso contro il potere che scende dall’alto. Oggi ho l’impressione che il vero nemico della de-mocrazia, cioè il governo di cittadini responsabili, è proprio il contrario. Non è l’uomo di élite ma è l’uomo-massa. Il nemico non è l’uomo di eccezione che si erge prepotentemente sugli al-tri, o per lo meno non è solo questo, ma è l’uomo qualunque, il conformista, “l’uomo del greg-ge” per usare la celebre espressione di Nietzsche. Noi siamo stati abituati a vedere nell’uomo democratico l’opposto dell’uomo aristocratico. Oggi è tra noi un altro nemico della democrazia: l’uomo massificato, costruito, come in uno stampo, dall’influenza pervasiva, insistente, osses-siva, delle comunicazioni di massa. Non il Signore, ma al contrario il servo contento, contento perché non sa di essere un servo.La constatazione che il nemico è cambiato non è una ragione per desistere. È semmai soltan-to una ragione per insistere, rendendosi conto di quali sono le nuove trincee su cui dobbiamo assestarci per una nuova e lunga battaglia, che è appena cominciata.

NOTA1. Nell’originale: libertà, che interpretiamo come un refuso. Non segnaliamo invece alcune piccole corre-zioni dove era evidente un errore di trascrizione. te

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