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1 1/169 Introduzione al Web 2.0 Chiara Ferrigno Roma, dicembre 2008 http://en.wikipedia.org/wiki/Image:Web_2.0_Map.svg On September 30, 2005, Tim òReilly wrote a piece summarizing his view of Web 2.0. The mind map pictured above (constructed by Markus Angermeier on November 11, 2005) sums up some of themes of Web 2.0, with example-sites and services attached. 2/169 Introduzione al Web 2.0 Chiara Ferrigno Roma, dicembre 2008 [email protected] Introduzione al Web 2.0 Prima parte: di cosa stiamo parlando Una (nuova) tecnologia o un (nuovo) paradigma comunicativo? Le possibili definizioni Un glossario per non perdersi I servizi chiave Seconda parte: come lo potremmo usare La comunicazione verso l’esterno Focus sui blog La comunicazione interna Focus sui wiki Conclusioni Dove sono le care vecchie community? Oltre il Web 2.0
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1/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

http://en.wikipedia.org/wiki/Image:Web_2.0_Map.svg

On September 30, 2005, Tim òReilly wrote a piece summarizing his view of Web 2.0. The mind map pictured above (constructed by Markus Angermeier on November 11, 2005) sums up some of themes of Web 2.0, with example-sites and services attached.

2/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

[email protected]

Introduzione al Web 2.0

Prima parte: di cosa stiamo parlandoUna (nuova) tecnologia o un (nuovo) paradigma comunicativo?Le possibili definizioniUn glossario per non perdersiI servizi chiave

Seconda parte: come lo potremmo usareLa comunicazione verso l’esternoFocus sui blogLa comunicazione internaFocus sui wiki

ConclusioniDove sono le care vecchie community?Oltre il Web 2.0

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RELAZIONE

CONDIVISIONE

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Connessioni tra le persone

Di cosa stiamo parlando

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Una possibile definizione del Web 2.0

“è una piattaforma che abbraccia tutti i dispositivi collegati, distribuendo software costantemente aggiornato, rimescolando le informazioni provenienti da diverse fonti e creando nuovi contenuti che vengono rimescolati da altri, in una architettura della partecipazione”

Tim O’ Reilly, 2004

Di cosa stiamo parlando

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Niente di nuovo?

“[Il Web dovrebbe essere] uno spazio informativo mediante il quale le persone possono comunicare, ma in un modo speciale: comunicare condividendo le proprie conoscenze in uno spazio comune. L’idea non era di farne un grande strumento di comunicazione in cui sfogliare informazioni. L’idea era che ciascuno vi avrebbe messo le proprie idee, o le avrebbe tolte”

“Immagino un caldo e amichevole ambiente fatto delle cose chenoi e i nostri amici abbiamo visto, sentito, creduto o immaginato. Mi piacerebbe che rendesse più vicini i nostri amici e colleghi sìche lavorando insieme su questa conoscenza, possiamo ricavareuna migliore comprensione”.

Tim Berners-Lee

Di cosa stiamo parlando

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Da Wikipedia

“Il Web 2.0 è un locuzione utilizzata per indicare genericamente uno stato di evoluzione di Internet (e in particolare del World Wide Web), rispetto alla condizione precedente. Si tende ad indicare come Web 2.0 l'insieme di tutte quelle applicazioni online che permettono uno spiccato livello di interazione sito-utente (blog, forum, chat, sistemi quali Wikipedia, Youtube, Facebook, Myspace, Gmail, ecc.).La locuzione pone l'accento sulle differenze rispetto al cosiddetto Web 1.0, diffuso fino agli anni '90, e composto prevalentemente da siti web statici, senza alcuna possibilità di interazione con l'utente eccetto la normale navigazione tra le pagine, l'uso delle email e l'uso dei motori di ricerca.Per le applicazioni web 2.0, spesso vengono usate tecnologie di programmazione particolari, come AJAX (Gmail usa largamente questa tecnica per essere semplice e veloce) o Adobe Flex.Un esempio potrebbe essere il social commerce, l'evoluzione dell'E-Commerce in senso interattivo, che consente una maggiore partecipazione dei clienti, attraverso blog, forum, sistemi di feedback ecc.Gli scettici replicano che il termine Web 2.0 non ha un vero e proprio significato, in quanto questo dipende esclusivamente da ciò che i propositori decidono che debba significare per cercare di convincere i media e gli investitori che stanno creando qualcosa di nuovo e migliore, invece di continuare a sviluppare le tecnologie esistenti”.

Di cosa stiamo parlando

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Una possibile mappa

Di cosa stiamo parlando

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Web 1.0 vs Web 2.0

syndication-->stickiness

tagging (folksonomy)-->directories (taxonomy)

wikis-->content management systems

participation-->publishing

cost per click-->page views

search engine optimization-->domain name speculation

peer to peer-->top down

blogging-->personal websites

Wikipedia-->Britannica Online

Napster-->mp3.com

Flickr-->Ofoto

Google AdSense-->DoubleClick

piattaforma sociale-->vetrina

Web 2.0Web 1.0

Di cosa stiamo parlando

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Roma, dicembre 2008

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Le prime avvisaglie

Dal Cluetrain Manifesto, 19991) I mercati sono conversazioni. 2) I mercati sono fatti di esseri umani, non di segmenti demografici. 3) Le conversazioni tra esseri umani suonano umane. E si svolgono con voce umana. 6) Internet permette delle conversazioni tra esseri umani che erano semplicemente impossibili nell’era dei mass media. 7) Gli iperlink sovvertono la gerarchia. 9) Queste conversazioni in rete stanno facendo nascere nuove forme di organizzazione sociale e un nuovo scambio della conoscenza. 12) Non ci sono segreti. Il mercato online conosce i prodotti meglio delle aziende che li fanno. E se una cosa è buona o cattiva, comunque lo dicono a tutti. 45) Le intranet emanano noia. Le migliori sono quelle costruite dal basso da singole persone che si impegnano per dare vita a qualcosa di molto piùvalido: una conversazione aziendale in rete.

http://www.cluetrain.com/

Di cosa stiamo parlando

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Roma, dicembre 2008

Essere in “rete”

“Quando proposi il Web nel 1989, la forza portante che avevo in mente era la comunicazione del sapere, e il mercato portante era la collaborazione tra varie persone, sul posto di lavoro o a casa propria”

Tim Berners-Lee

Internet e il Web sono nati avendo come fondamento il principio della condivisione del sapere e delle conoscenze: forse ora il web sta solo tornando alle sue origini.

Di cosa stiamo parlando

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Roma, dicembre 2008

E fu subito community

Sulla neonata Internet fiorirono quasi subito messaggi personali di posta elettronica, liste di distribuzione, bacheche elettroniche di annunci, alimentati dai ricercatori che parteciparono al progetto. Contemporaneamente, grazie al lavoro di programmatori e hobbistidel computer, nacque il sistema delle Bbs (Bullettin Board System): nel 1979 viene lanciato nel sistema telefonico di Chicago il primo sistema aperto al pubblico di bacheche, e tutti gli utenti che dispongono del software di collegamento possono sia leggere i messaggi lasciati da altri sia scrivere i propri.

Di cosa stiamo parlando

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Roma, dicembre 2008

Da medium a luogo sociale

I primi nuclei di comunità virtuali sono state le conferenze Science Fiction-Lovers e Human-Net, nate già su Arpanet alle fine degli anni Settanta: si trattava di un elenco di ricercatori coinvolti nel progetto, che promuovevano dibattiti sui temi della fantascienza e discutevano dei loro interessi e dei loro problemi.Dall’altra parte, sulla scorta dell’esperienza delle Bbs, nascevano aggregazioni virtuali “antagoniste”, come CommuniTree e FidoNet.Quasi immediatamente, la rete delle reti si trasforma in un luogo virtuale (o un “non luogo”, come viene definito da alcuni sociologi) di incontro, in una agorà telematica in cui si agisce socialmente.

Di cosa stiamo parlando

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Roma, dicembre 2008

La teoria delle reti

Di cosa stiamo parlando

16/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Reti casuali

Di cosa stiamo parlando

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17/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Reti con cluster

Di cosa stiamo parlando

18/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Reti con hub

Di cosa stiamo parlando

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Roma, dicembre 2008

Mappatura di pagine visitate

Mappe del web

Di cosa stiamo parlando

20/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Corpo centraleContinente Out

Continente In

TubiTentacoli

Isole

I continenti del web

Di cosa stiamo parlando

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21/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

In informatica, e più propriamente nel gergo di Internet, un blog è un diario in rete. Il termine blog è la contrazione di web-log, ovvero "traccia su rete". Il fenomeno ha iniziato a prendere piede nel 1997 in America; il 18 luglio 1997, è stato scelto come data di nascita simbolica del blog, riferendosi allo sviluppo, da parte dello statunitense Dave Winer del software che ne permette la pubblicazione (si parla di proto-blog), mentre il primo blog è stato effettivamente pubblicato il 23 dicembre dello stesso anno, grazie a Jorn Barger, un commerciante americano appassionato di caccia, che decise di aprire una propria pagina personale per condividere i risultati delle sue ricerche sul web riguardo al suo hobby. Nel 2001 è divenuto di moda anche in Italia, con la nascita dei primi servizi gratuiti dedicati alla gestione di blog.

http://it.wikipedia.org/wiki/Blog

Parole chiave / Blog

Di cosa stiamo parlando

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Roma, dicembre 2008

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Roma, dicembre 2008

Un wiki è un sito web (o comunque una collezione di documenti ipertestuali) che può essere modificato dai suoi utilizzatori e i cui contenuti sono sviluppati in collaborazione da tutti coloro che ne hanno accesso, come in un forum. La modifica dei contenuti èaperta e libera, ma viene registrata in una cronologia permettendo in caso di necessità di riportare la parte interessata alla versione precedente; lo scopo è quello di condividere, scambiare, immagazzinare e ottimizzare la conoscenza in modo collaborativo. Il termine wiki indica anche il software collaborativo utilizzato per creare il sito web. Wiki - in base alla sua etimologia - è anche un modo di essere.

http://it.wikipedia.org/wiki/Wiki

Parole chiave / Wiki

Di cosa stiamo parlando

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25/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

L'attività di tagging consiste nell'attribuzione di una o più parole chiave, dette tag, che individuano l'argomento di cui si sta trattando, a documenti o, più in generale, file su internet. È un'attività sempre piùdiffusa su tutti i siti per catalogarli meglio e proporre altre informazioni correlate agli utenti. […] Molti software per gestire blog supportano gli standard che si sono sviluppati attorno ai tags, in modo che gestendo contenuti si memorizzino subito le parole chiave.

Folksonomia è un neologismo derivato dal termine di lingua inglese folksonomy che descrive una categorizzazione collaborativa di informazioni mediante l'utilizzo di parole chiave (o tag) scelte liberamente. Il termine è formato dall’unione di due parole, folk e tassonomia; una folksonomia è, pertanto, una tassonomia creata da chi la usa. In maniera più semplice e concreta, questo termine si riferisce alla metodologia utilizzata da gruppi di persone che collaboranospontaneamente per organizzare in categorie le informazioni disponibili attraverso internet (vedi web 2.0). Questo fenomeno, in contrasto con i metodi di classificazione formale (in particolare con la tassonomia classica), cresce soprattutto in comunità non gerarchiche legate ad applicazioni web, attraverso le quali vengono diffusi contenuti testuali e/o multimediali. Considerato che gli organizzatori dell'informazione sono di solito gli utenti finali, la folksonomia produce risultati che riflettono in maniera più definita l'informazione secondo il modello concettuale della popolazione in cui il progetto viene realizzato.

http://it.wikipedia.org/wiki/Tagginghttp://it.wikipedia.org/wiki/Folksonomia

Parole chiave / Tagging & folksonomy

Di cosa stiamo parlando

26/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

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27/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

RSS (acronimo di RDF Site Summary ed anche di Really SimpleSyndication) è uno dei più popolari formati per la distribuzione di contenuti Web; è basato su XML, da cui ha ereditato la semplicità, l'estensibilità e la flessibilità.RSS definisce una struttura adatta a contenere un insieme di notizie, ciascuna delle quali sarà composta da vari campi (nome autore, titolo, testo, riassunto, ...). Quando si pubblicano delle notizie in formato RSS, la struttura viene aggiornata con i nuovi dati; visto che il formato è predefinito, un qualunque lettore RSS potrà presentare in una maniera omogenea notizie provenienti dalle fonti più diverse.

http://it.wikipedia.org/wiki/Really_simple_syndication

Parole chiave / Rss

Di cosa stiamo parlando

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Roma, dicembre 2008

</rss>

</channel>

</item>

<description>L'Italia si conferma il paese europeo con la maggior presenza di telefonini. Tutt'altra storia, invece, per la banda larga.</description>

<link>http://webnews.html.it/news/1066.htm</link>

<title>Italiani: senza fili e senza banda</title>

<item>

<description>Le News di HTML.it sul mondo Hi-Tech</description>

<link>http://webnews.html.it/</link>

<title>HTML.it News</title>

<channel>

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Il podcasting è un sistema che permette di scaricare in modo automatico documenti (generalmente audio o video) chiamati podcast, utilizzando un programma ("client") generalmente gratuito chiamato aggregatore o feed reader. Un podcast è perciò un file (generalmente audio o video), messo a disposizione su Internet per chiunque si abboni ad una trasmissione periodica e scaricabile automaticamente da un apposito programma, chiamato aggregatore, e si basa sui feedRSS.

http://it.wikipedia.org/wiki/Podcasting

Parole chiave / Podcasting

Di cosa stiamo parlando

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Il termine mash-up o mashup (da mash it up) deriva dal creolo giamaicano, e significa distruggere. Impiegato originariamente in ambito musicale per indicare un evento o una performance di altolivello, è stato allargato a tutti gli ambiti musicali, nonché a quello dei videoclip ed a quello informatico, seppure con una diversa accezione.* Mash-up (musica) Un tipo di brano musicale composto interamente da parti di altri brani* Mash-up (video) Un filmato costruito o editato in audio o video con parti di altri filmati* Mash-up (informatica) Un sito o un'applicazione web di tipo ibrido, cioè tale da includere dinamicamente informazioni o contenuti provenienti da più fonti. Un esempio potrebbe essere un programma che acquisendo da un sito web la lista di appartamenti li mostra utilizzando Google Maps per evidenziare dove gli stessi appartamenti sono localizzati.

http://it.wikipedia.org/wiki/Mash-up

Parole chiave / Mashup

Di cosa stiamo parlando

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La dizione contenuto generato dagli utenti (User-GeneratedContent o UGC in inglese) è nata nel 2005 negli ambienti del web publishing e dei new media per indicare il materiale disponibile sul web prodotto da utenti invece che da società specializzate. Essa è un sintomo della democratizzazione della produzione di contenuti multimediali reso possibile dalla diffusione di soluzioni hardware e software semplici ed a basso costo.

http://it.wikipedia.org/wiki/Contenuto_generato_dagli_utenti

Parole chiave / UGC

Di cosa stiamo parlando

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Una rete sociale è uno strumento condiviso che abilita e facilita relazioni; si distingue in questo dalle “comunità”, che tendono invece ad aggregare le persone intorno ad un interesse: il focusdelle comunità è sull’individuo, quello delle reti sociali è sulla relazione. In questo senso le community sono 1.0, i social network sono 2.0.

“Web 2.0”, il Sole24ore

Parole chiave / Social network

Di cosa stiamo parlando

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Roma, dicembre 2008

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37/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

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L'espressione coda lunga, in inglese The Long Tail, è stata coniata da Chris Anderson in un articolo dell'ottobre 2004 su Wired Magazine per descrivere alcuni modelli economici e commerciali, come ad esempio Amazon.com o Netflix. Il termine è anche utilizzato comunemente nelle scienze statistiche per definire modelli di distribuzione della ricchezza e di usi lessicali.In queste distribuzioni una popolazione ad alta frequenza (o ampiezza) èseguita da una popolazione a bassa frequenza (o ampiezza), che diminuisce gradatamente (tail off).In molti casi, gli eventi poco frequenti o di bassa ampiezza – la coda lunga, appunto – possono cumulativamente superare in numero o in importanza la porzione iniziale della curva, di modo che presi tutti insieme rappresentano la maggioranza.Anderson sostiene che i prodotti a bassa richiesta o con ridotti volumi di vendita possono collettivamente occupare una quota di mercato equivalente o superiore a quella dei pochi bestseller o blockbuster, se il punto vendita o il canale di distribuzione sono abbastanza grandi.

http://it.wikipedia.org/wiki/Coda_lunga

Parole chiave / Long tail

Di cosa stiamo parlando

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39/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

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In informatica, open source (ovvero sorgente aperto) indica un software rilasciato con un tipo di licenza per la quale il codice sorgente è lasciato alla disponibilità di eventuali sviluppatori, in modo che con la collaborazione (in genere libera e spontanea) ilprodotto finale possa raggiungere una complessità maggiore di quanto potrebbe ottenere un singolo gruppo di programmazione. L'open source ha ovviamente tratto grande beneficio da Internet.Alla filosofia del movimento Open Source si ispira il movimento Open content: in questo caso ad essere liberamente disponibile non è il codice sorgente di un programma ma contenuti editoriali quali testi, immagini, video e musica.

http://it.wikipedia.org/wiki/Open_source

Parole chiave / Open source

Di cosa stiamo parlando

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Roma, dicembre 2008

L'espressione inglese copyleft, gioco di parole su copyright, individua un modello alternativo di gestione dei diritti d'autore basato su un sistema di licenze attraverso le quali l'autore (in quanto detentore originario dei diritti sull'opera) indica ai fruitori dell'opera che essa può essere utilizzata, diffusa e spesso anche modificata liberamente, pur nel rispetto di alcune condizioni essenziali. Nella versione pura e originaria del copyleft (cioèquella riferita all'ambito informatico) la condizione principale obbliga i fruitori dell'opera a rilasciare eventuali modifiche apportate all'opera a loro volta sotto lo stesso regime giuridico (e generalmente sotto la stessa licenza). In questo modo, il regime di copyleft e tutto l'insieme di libertà da esso derivanti sono sempre garantiti.

L'espressione copyleft, in un senso non strettamente tecnico-giuridico, può anche indicare generalmente il movimento culturale che si è sviluppato sull'onda di questa nuova prassi in risposta all'irrigidirsi del modello tradizionale di copyright. Esempi di licenze copyleft per il software sono la GNU GPL e la GNU LGPL, per altri ambiti le licenze Creative Commons (piùpropriamente con la clausola share alike) oppure la stessa licenza GNU FDL usata per Wikipedia.

http://it.wikipedia.org/wiki/Copyleft

Parole chiave / Copyleft

Di cosa stiamo parlando

42/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

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Roma, dicembre 2008

“La versione beta è una versione di prova di un software non definitivo, già testato dagli esperti, che viene messo a disposizione anche dei meno esperti, confidando proprio nelle loro azioni imprevedibili che potrebbero portare alla luce nuovi bug o incompatibilità del software stesso.Più precisamente il beta testing (o beta-verifica) è una fase di prova e collaudo di un software non ancora pubblicato, con lo scopo di trovare eventuali errori (bug). Questa operazione può essere svolta da professionisti pagati, oppure, molto spesso, dasemplici amatori”.

(http://it.wikipedia.org/wiki/Versione_beta)

“Qualunque prodotto, progetto o servizio è costantemente in una versione beta, ovvero uno stato di continua revisione e continuoperfezionamento, a mano a mano che i dipendenti, i partner e i fornitori mettono in comune le loro conoscenze e capacità per soddisfare le necessità in continua evoluzione dei clienti ”.

“Wikinomics”, Rizzoli

Parole chiave / Beta

Di cosa stiamo parlando

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Roma, dicembre 2008

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BarCamp è una rete internazionale di non conferenze aperte i cui contenuti sono proposti dai partecipanti stessi.Gli eventi si occupano soprattutto di temi legati alle innovazioni sull'uso del World Wide Web, del software libero e delle reti sociali.Il nome di BarCamp si rifà al termine foobar già utilizzato dagli hacker: i BarCamp, infatti, sono nati in risposta ai Foo Camp, una "non-conferenza" annuale, su invito, ospitata dall'editore di testi sul software libero Tim òReilly.BarCamp è una nonconferenza, così come solitamente intendiamo per conferenza, che nasce dal desiderio delle persone di condividere e apprendere in un ambiente aperto e libero. Il BarCamp è una non-conferenza collaborativa, dove chiunque può “salire in cattedra”, proporre un argomento e parlarne agli altri, con lo scopo di favorire il libero pensiero, la curiosità, la divulgazione e la diffusione dei temi legati al Web. Una non conferenza (unconference) quindi una riunione il cui tema di discussione è deciso dai partecipanti piuttosto che prestabilito in anticipo dagli organizzatori, una riunione aperta i cui contenuti vengono proposti dai partecipanti stessi.

http://it.wikipedia.org/wiki/BarCamp

Parole chiave / Barcamp

Di cosa stiamo parlando

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Second Life è un mondo virtuale tridimensionale multi-utente online inventato nel 2003 dalla società americana Linden Lab. Il sistema fornisce ai suoi utenti (definiti "residenti") gli strumenti per aggiungere e creare nel "mondo virtuale" di Second Life nuovi contenuti grafici: oggetti, fondali, fisionomie dei personaggi, contenuti audiovisivi, ecc. La peculiarità del mondo di Second Life è quella di lasciare agli utenti la libertà di usufruire dei diritti d'autore sugli oggetti che essi creano, che possono essere venduti e scambiati tra i "residenti" utilizzando una moneta virtuale (il Linden Dollar) che può essere convertito in veri dollari americani e anche in Euro.

http://it.wikipedia.org/wiki/Second_Life

Parole chiave / Second life?

Di cosa stiamo parlando

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Roma, dicembre 2008

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Roma, dicembre 2008

Diventiamo “webbisti” 2.0

Disegniamo un possibile percorso per diventare “web 2.0”:- aprire un account Gmail (la web mail di Google, in perenne

versione beta, che dà direttamente o per partnership l’accesso a un gran numero di altri servizi: ad esempio Google Docs per la condivisione online dei documenti, che siano testi, fogli di calcolo o presentazioni)

- scaricare e installare Firefox, inserendovi anche alcune “estensioni” in stile Web 2.0 (ad esempio Delicious Bookmark per “taggare” direttamente le vostre url preferite, Operator per leggere i microformati, e cosi’ via)

- scaricare e installare Flock (un browser che integra totalmente strumenti 2.0 come la possibilità di farsi home page personalizzate con i feed preferiti o quella di postare direttamente nel proprio blog)

- provare ad aprire un blog (ad esempio con Blogger) o un wiki (suGoogle siti oppure su Wikispaces)

- essere curiosi e aperti…

Di cosa stiamo parlando

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Roma, dicembre 2008

SERENDIPITY

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Usare il Web.20: per cosa?

Come ogni strumento, anche il Web 2.0 ha i suoi lati oscuri: ma solo conoscendolo lo si potrà utilizzare con consapevolezza e maturità.

Uno dei possibili “lati oscuri” è proprio relativo a una delle sue maggiori potenzialità: il moltiplicarsi quasi a dismisura delle fonti informative, grazie alla quali posso cercare, conoscere, imparare.

Ma come distinguere ciò che realmente è valido dalla massa inutile di informazioni, da quella sorta di “narcisismo” che porta ad esempio al proliferare di blog? Ad esempio con il confronto delle fonti, o usando – in stile 2.0 le “raccomandazioni” di persone di cui ci fidiamo.

Come lo potremmo usare

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Roma, dicembre 2008

Nella babele informativa

Ma se per distinguere tra contenuti validi e inutile obesitàinformativa servono (se non altro ancora per un po') gli esseri umani, una volta individuate le fonti che ci interessano è sempre il Web 2.0 a venire in nostro aiuto: strumenti come i feed – o altri che stanno emergendo come i microformati – possono ridurre in maniera drastica il tempo necessario a navigare ciò che ci interessa.

Insomma il Web 2.0 può essere insieme causa e soluzione dell’information overload.

Come lo potremmo usare

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Spunti per un nuovo approccio educativo

Per gli educatori il Web 2.0 rappresenta una grandissima occasione: può rendere realmente l’insegnamento qualcosa di vivo e interattivo, modellandosi sulle esigenze di apprendimento molto più di quanto abbia mai potuto fare il web tradizionale.Gli strumenti collaborativi – come ad esempio i wiki, le cui caratteristiche poi approfondiremo – possono disegnare un ambiente cognitivo ricco di stimoli, sollecitando la comunicazione e i feedback tra studenti e insegnanti e anche all’interno della stessa comunità di studenti. Anche in questo caso è un po' come tornare ai primordi del web, alle grandi potenzialitàeducative che erano state intraviste negli ipertesti.Ma certo questi strumenti rendono i docenti e i formatori responsabili di un intero “ambiente cognitivo”: e liberare l’intelligenza collettiva è un forte volano alla creatività ma anche una opportunità da maneggiare con attenzione (il Web 2.0 ha al suo interno anche grandi elementi “persuasivi”ancora più forti perché appaiono del tutto umani, come il passaparola)

Come lo potremmo usare

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Roma, dicembre 2008

Fare business con il Web 2.0?

Si può, si può. Le tecnologie del Web 2.0 possono essere usate dalle aziende per ottenere un vantaggio competitivo, che si concretizza in migliori servizi per i clienti, impiego più rapido e flessibile della conoscenza, strumenti che migliorano la produttività: inoltre sia dentro che fuori l’azienda queste tecnologie alimentano un più forte senso di comunità. Alcuni studi poi evidenziano anche la possibilità di ottenerne dei profitti: ad esempio per il contenimento dei costi dovuto alla migliore collaborazione tra i settori interni, o per il ricorso a piattaforme collaborative per la ricerca e lo sviluppo (piattaforme come InnoCentive).Per applicarle nel modo migliore però è necessario un cambiamento di paradigma e di mentalità, non sempre facile (anzi nella gran parte delle aziende piuttosto difficile).

Come lo potremmo usare

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Enterprise 2.0

Alle aziende i benefici più ampi possono venire soprattutto nel campo della condivisione, organizzazione e capitalizzazione della conoscenza, dove sembra aver fallito il tradizionale modello di knowledge management (abuso di email, intranet poco funzionali eccetera). L'Enterprise 2.0 porta dentro le aziende tre tendenze nate in ambito consumer:- piattaforme di pubblicazione semplici e gratuite (blog, wiki, photo e video sharing, social bookmarking)- strutture emergenti (approccio bottom up)- esplosione di contenuti dovuta alla semplicità e disponibilitàdegli strumenti, gestibile grazie a feed e tag

Come lo potremmo usare

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Roma, dicembre 2008

Tre possibili concetti base

L'Enterprise 2.0 può essere racchiusa in tre concetti:- la socialità (tutti gli strumenti sono pensati per abilitare e facilitare la creazione di comunità e la collaborazione tra persone)- le piattaforme (la collaborazione avviene in ambienti digitali)- l'emergenza (struttura, processi, pattern non vengono decisi a priori ma diventano visibili grazie all'interazione tra persone ripetuta nel tempo).Le tecnologie 2.0 possono rendere una intranet più simile a quello che il web oggi è già: una piattaforma online con una struttura in continua evoluzione determinata, in modo distribuito e indipendente, dalle azioni degli utenti. Una piattaforma di questo tipo utilizza e rimescola meccanismi di ricerca, presenza di link, possibilità di contribuire alla creazione/editing dei contenuti, tag, meccanismi automatici di suggerimento, notifiche degli aggiornamenti: in essa più è alta la partecipazione più lo strumento diventa intelligente e accurato nel consegnare ad ognidipendente i documenti per lui più utili.

Come lo potremmo usare

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I possibili strumenti da integrare

• enterprise blog (che può costituire le fondamenta di un ambiente di innovazione emergente, diffusa e continua, forse unico reale fattore di differenziazione in un mercato globale e fortemente competitivo). Possono esserci bio blog (personali), engagement blog (sul progetto), client blog (sul cliente), product blog (sul prodotto), expert page blog (su un'area di competenza), con piattaforme come MovableType

• enterprise wiki, che rappresentano un modo alternativo per consentire a team, gruppi o intere comunità di elaborare, modificare e pubblicare collettivamente contenuti web e documenti in modo semplicissimo.Implicano però per molte realtà un vero salto culturale, perchépresuppongono un alto livello di trasparenza e fiducia nei proprio colleghi oltre a un fortissimo spirito di collaborazione all'interno dell'azienda. Possibili campi di azione sono la gestione informale della conoscenza, la creazione collaborativa di agende, verbali di riunioni, documenti, il supporto alla vendita, l'analisi di mercato, il brainstorming, il raffinamento di idee per il lancio di nuovi prodotti

• sistemi di tagging che fanno leva sull'intelligenza collettiva ad esempio nel marketing per scoprire cosa stanno facendo i competitor, nelle vendite per condividere dati utili sui nuovi clienti, nella ricerca e sviluppo per raffinare idee o migliorare i prodotti esistenti

• mashup, possibile soluzione ottimale per l'automazione a basso costo di una quantità di compiti ripetitivi o troppo complessi da eseguire manualmente

E poi sistemi di project management, di web conferencing…

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La semplicità e le persone al centro

Grazie alla semplicità di utilizzo, tutti questi sistemi potrebbero venire usati dai dipendenti anche senza training e visto che sono piattaforme web eliminano anche i costi di installazioni e aggiornamenti software. Ma la cosa principale è che mettono le persone nel cuore del sistema, abbattendo le barriere di utilizzo e invitandole a collaborare. Si tratta di un continuum che partedal telefono, dalle mail e dagli IM per arrivare ai social software: ognuno di questi strumenti risponde a diverse esigenze. L’Enterprise 2.0 può contribuire all'innovazione continua, ma certo il cammino è ancora lungo: molte aziende non ne comprendono le potenzialità, hanno dubbi sui temi della sicurezza, dell'integrità dei dati, della mancanza di comprovati ritorni degli investimenti. Inoltre la tecnologia da sola non può produrre un cambiamento culturale e organizzativo tale da assicurare l'adozione dei nuovi strumenti, che riducono la capacità di controllo del middle management e possono sollevare questioni legali.

Come lo potremmo usare

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Da dove iniziare?

Per coltivare nuove pratiche collaborative è necessario partire da una comunità forte e da una cultura aziendale aperta. è poi opportuno iniziare in modo graduale, tramite progetti pilota, su piccoli gruppi, da coinvolgere nel miglioramento dello strumento e nella creazione di contenuti di valore. Inoltre si deve limitare al minimo il numero di regole e policy facendo leva sulle norme già diffuse nell'azienda e identificare dei champion, ovvero degli individui dotati di carisma e visibilità che possano dare direttive e aiutare i nuovi arrivati a fare pratica(come nelle vecchie community).

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I social network: quali modelli di business?

Molto dipende da quanto sia intensa la “funzione di appartenenza” (ovvero quanto intensamente un membro possa essere considerato parte di un social network digitale): a funzione di appartenenza meno intense (frequenza occasionale, fruizione breve e passiva, indirizzi di destinazione e di provenienza erratici) corrispondono solitamente modelli di ricavi basati sulla pubblicità (Friendster, MySpace), eventualmente integrati da una modalità di abbonamento per il gruppo di membri con funzione di appartenenza più elevata (siti di dating, di musica, professionali come LinkedIn, mondi virtuali). Per premiare i membri con intensità di appartenenza più elevata sono stati sperimentati modelli di shared advertising (ovvero retrocessioni di ricavi pubblicitari ai contributori di contenuti che generano maggior traffico o che vengono acquistati da altri fruitori). I social network caratterizzati da forte appartenenza e forte ideologia collaborativa (comunità di sviluppatori, piattaforme di IM o come Skype) sono solitamente associati a modelli free tu use – pay for related service (versioni base gratuite, funzioni aggiuntive a pagamento: ad esempio l’assistenza per i sistemi Linux).

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La paura del nuovo che avanza

Dal punto di vista delle aziende, i social network sono una potenziale minaccia visto che sottendono forme di trasferimento del potere contrattuale e di riduzione di asimmetria informativa a favore del consumatore, e perché lasciano emergere tendenze –a volte illegali – a erodere le tradizionali rendite economiche basate sui diritti di proprietà intellettuale: ma sono una importante fonte di efficienza e di riduzione dei costi, occasioni di mobilitazione di preziose risorse intellettuali e di sistematicaeducazione della domanda. Insomma sono motore di uno sviluppo di tipo inclusivo e partecipativo, e quindi di ricchezza collettiva.

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La vera sfida

Per un'azienda che vuole diventare 2.0 nelle sue relazioni verso l’esterno, la sfida è quella di riuscire a gestire l'entusiasmo dei clienti e il loro bisogno di protagonismo, o le loro lamentele e polemiche senza esserne sopraffatti. è ovvio che non si può essere in loro balia: ma con i mezzi e i metodi giusti si può instaurare un dialogo trasparente, onesto e diretto. Ecco alcune regole essenziali per riuscirci:- ascolto (ascoltate cosa dicono gli utenti su tutta la rete: ci vuole tempo ma si tratta di una grande occasione di conoscenza)- identificazione degli strumenti e dei contenuti (fate un piano editoriale)- identificazione delle competenze disponibili (sia tecnologiche – picchi di traffico ad esempio – sia editoriali, con magari editor e copy che possano supportare e mettere a punto ciò che viene pubblicato)- definizione delle regole (se decidete per pubblicare un blog non moderato, tale deve restare: gli utenti si aspettano un comportamento corretto, e quindi di non venire censurati)- misurazione della performance (traffico, tasso di conversione da lettori a commentatori, temi di maggior interesse e maggior interazione eccetera).

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La pubblicità online

Il mondo della pubblicità web continua ad avere un segno positivo. Nell’ultimo IAB Forum si è parlato di una crescita dell'advertising online prevista per il 2008 pari al 23 per cento sull'anno precedente, a quota 850 milioni di euro. Si tratta, inaltre parole, di una cifra pari al 7,5 per cento della spesa complessiva della pubblicità in Italia, uno "share", quello dell'online, che anno dopo anno continua a crescere, erodendo lequote dei media meno innovativi. Secondo alcune stime tra due anni, nel 2010, si può prevedere che questa quota sull'advertising complessivo tocchi il 10 per cento (nel Regno Unito è già al 18 per cento). Nel 2009, d'altro canto, si prevede una crescita della spesa in Italia del 20 per cento.Ma in questo mondo il Web 2.0 è destinato a determinare una vera rivoluzione: nel modo di fare la pubblicità e anche in quello di misurare le performance.

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Reinventare la pubblicità

Il valore aggiunto da misurare – cosa non facile – è quello della socialità: le page view o i click-trough (che erano le unità di misura statiche del Web 1.0) diventano solo dei pre requisiti.Il Web 1.0 era commercio; il Web 2.0 sono persone. Se il medium è il messaggio, le persone ora sono il contenuto. Internet e le nuove tecnologie stanno ribaltando le regole del marketing e della comunicazione: paradigmi, linguaggi, modelli di business, processi aziendali, catena del valore. è un cambiamento che stravolge la classica relazione tra azienda e consumatore, tra editore e ascoltatore o lettore, tra chi produce le informazioni e chi le riceve: un “sesto potere”, derivato dalla moltiplicazione dei canali di comunicazione e dallo spostamento del controllo delle relazioni e dell'informazione verso i consumatori (la nascita dei prosumer). La pubblicità deve quindi reinventarsi per continuare a svolgere il proprio ruolo nella vendita di prodotti e servizi.

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Non più “consigli per gli acquisti”

Quale approccio è necessario per poter provare a “ingaggiare”questi consumatori che stanno cambiando le regole del gioco, chenon sono più disposti a seguire pedissequamente i “consigli per gli acquisti” e a subire l'informazione ma che la vogliono governare?La rivoluzione della pubblicità arriva dal basso, dall'intelligenza collettiva ed emotiva che i consumatori hanno maturato in tempi molto rapidi, dal potere che hanno acquisito con il Web 2.0 e che consente loro molto velocemente di determinare il successo o l'insuccesso di un marca, prodotto o servizio, se non persino diinfluire su reputazione e immagine di azienda.

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Un approccio differente

E’ necessario un approccio differente tra azienda e consumatore: da regole di pianificazione classiche (target audience, frequenza di ripetizione del messaggio) bisogna passare a nuovi concetti relativi all'impatto del messaggio sul target di riferimento ma soprattutto alla capacità di “engagement”, ovvero di coinvolgimento personale che deve generare. Dal concetto di “esposizione” al messaggio si va a quello di “esperienza e partecipazione”. Non serve più l’idea pubblicitaria ma una strategia di pianificazione multimediale e integrata, affinché il consumatore possa essere avvolto e coinvolto dalla marca in ognimomento della sua giornata indipendentemente dal mezzo/deviceche sta usando in quel momento.

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Roma, dicembre 2008

…e parametri differenti

Non sono più sufficienti indagini quantitative che identificano il profilo dei consumatori su basi socio-demografiche: ciò che oggi conta maggiormente è l'atteggiamento socio-psicologico che spinge gli individui a riconoscersi in micro-nicchie di utenti e a privilegiare ambienti di comunicazione dove creare comunitàlegate alla condivisione di gusti e bisogni personali (tribù). I media digitali permettono di creare percorsi di utilizzo e fruizione multimediale completamente personalizzati, palinsesti individuali e on demand nei quali i vincoli spazio-temporali si annullano lasciando posto alla scelta e al controllo che i nuovidevice consentono. Quindi le aziende devono porsi in una situazione di ascolto delle esigenze e dei sogni dei consumatori, creando o modificando prodotti e servizi in funzione delle loro indicazioni e comunicando con loro in un rapporto di parità e secondo un patto di trasparenza che considera i consumatori come i veri testimonial della marca.

Come lo potremmo usare

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Abbracciare il nuovo

Spesso ciò che si potrebbe fare nell'advertising con il Web 2.0 non ha nulla a che vedere con le forme di pubblicità tradizionali, e porta a intervenire profondamente nelle politiche aziendali, in una visione olistica della comunicazione. Seguendo questo principio un'azienda che desideri migliorare la propria visibilità online e fare politiche di branding può attivare molteplici canali (utilizzando le piattaforme offerte dal Web 2.0) che tutti insieme, a parità di costo, porteranno quasi sicuramente più visitatori e contatti di quanto possa fare un singolo portale aziendale o un'operazione pubblicitaria tradizionale: la strategia vincente èquella di “colpire” molti network diversi nello stesso tempo, sfruttando i “legami deboli” che li collegano, per aumentare la probabilità di far confluire visitatori sulle pagine volute.

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Roma, dicembre 2008

Un possibile scenario

Una ragazza passeggia per una via commerciale, guarda le vetrine (page views), entra in un negozio (click-trough), sbircia cosa c'è negli scaffali più aggrediti dalle altre clienti (digg) mentre la sua amica le consiglia le cose più belle che vede in giro nel negozio (folksonomy). La ragazza porta in camerino dei vestiti (deep linking), li indossa e si consulta con la sua amica (social networking), mette da parte quelli che le piacciono (tagging), poi sceglie cosa comprare. Nel Web 1.0 bastavano le page views e i click-trough; oggi si deve saper dirigere le altre clienti sugli scaffali e suggerire all'amica i consigli giusti.

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Advertising 2.0: un possibile decalogo

• distribuite gratis servizi utili• puntate sui nuovi formati online (ad esempio sponsorizzate i podcast)• regalate contenuti premium (scattano meccanismi di identificazione)• interagite (ma sul serio, ad esempio andando nei social network

frequentati dagli utenti)• viralizzatevi (distribuite informazioni anche in canali che non potete

controllare, e non frenate la creatività degli utenti)• guardate in due direzione, local e global • cross-medializzatevi (progettate ogni componente della comunicazione:

ogni canale deve dare il massimo in relazione al suo specifico mediale)• puntate sui rich media (ormai la banda c'è)• fidelizzate (dovete costruire una conversazione, non un urlo nel vento)• sorprendete, sempre (come in un corteggiamento, per coinvolgere al

massimo l'utente... proprio “misurare” questo coinvolgimento diventa difficile: è un territorio ancora da esplorare)

(by Vito Di Bari)

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Un imperativo categorico

Deve essere comunque sempre chiaro che alla base di qualunque strategia pubblicitaria Web 2.0 oriented devono esserci:

• qualità• correttezza• rispetto dei propri interlocutori.

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Divertimento Web 2.0 oriented

Probabilmente una delle novità più significative del Web 2.0 nel campo dell’intrattenimento è l’esplosione degli UGC.

Per ora, la percentuale di popolazione in grado di realizzare contenuti per la fruizione altrui è ancora minuscola: chi commenta o ripubblica ciò che gli piace è in numero maggiore, ma comunque si tratta sempre di quote basse. La gran parte dei contenuti non professionali è di valore limitato, anche se spesso il pubblico li apprezza con entusiasmo. Ma in ogni caso il Web 2.0 ha avuto un impatto notevole sui modelli di business dell'industria dell'intrattenimento. E ricordiamo che tutti i professionisti in realtà hanno cominciato come dilettanti: generato dall'utente significa in realtà “non commissionato”, amatoriale nel senso di non pagato ma non necessariamente dilettantesco.

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Nuove forme di fruizione

Verosimilmente, in futuro vi sarà un consumo superiore di prodotti mediatici (soprattutto film e video, e il genere che più si presta agli UGC sembra essere la commedia) ma in contesti maggiormente individualizzati e con una maggiore personalizzazione dei tempi di fruizione. La Tv 2.0 è destinata a smantellare le forme di distribuzione oggi dominanti. Grazie al web oggi non si è più schiavi – ad esempio – di notiziari in cui le news sono poco più di un pretesto per inchiodare i telespettatori davanti a una sequenza di spot pubblicitari: si può invece avereun resoconto diretto di un'idea e di un evento, senza la mediazione di mezzibusti, conduttori o programmisti. Questo terremoto nell'economia mediatica e nella tecnologia aprirà le porte a esperienze e pubblici totalmente nuovi, creando anche nuovi modelli economici e inedite opportunità. Certo in giro c'èmolta spazzatura, ma filtri via via più intelligenti permetteranno di scavare nella montagna di proposte per portare alla luce le gemme nascoste.

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Tv modello 2.0

Stiamo assistendo al passaggio dalla tv generalista alla tv personalizzata. Dopo la televisione che portava un programma a milioni di persone, con la diffusione della banda larga si puòfare il contrario: portare un milione di programmi ad una persona. Oltretutto c'è una ragione economica: offrire lo stesso prodotto a milioni di persone nello stesso momento è molto costoso e inutile quando si può disporre di una rete distributiva ottimizzata per comunicazioni punto a punto. Questa prospettiva è destinata a sconvolgere i media e l'intrattenimento tradizionale: il mercato di nicchia (la coda lunga) non sostituirà quello di massa ma sta entrando in scena da co-protagonista incidendo significativamente nell'economia dell'intrattenimento nell'epoca digitale.

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Ad ognuno la tv che vuole

Le parole d'ordine di questa nuova tv sono interactive, sharing, participation. Le offerte Tv 2.0 (che sono prevalentemente on demand) fanno evolvere il palinsesto dall'oligarchia delle reti alla “democrazia rappresentativa” dei programmi. La progressiva tematizzazione dell'offerta costituisce un filone di lavoro di fondamentale importanza per l'evoluzione del palinsesto VOD, che riconosce nello spettatore non più l'utente passivo ma l'ispiratore principale del nuovo modo di fare televisione, che non è più generalista, nétematica, né targettizzata ma è specifica, personale, unica.

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I contenuti al centro

Il problema centrale dell'evoluzione dei new media resta comunque quello dei contenuti: l'editore televisivo è passato dal ruolo di produttore e organizzatore di palinsesti a produttore, ricercatore, aggregatore di contenuti e costruttore di libraryaccessibili in modalità VOD.Lo spettatore è attivo, naviga per cercare il suo contenuto. Nel modello a rete il palinsesto diventa una playlist: sia in modalità passiva (si adatta ai gusti personali) sia in modalitàattiva permette la navigazione tra i contenuti che vengono aggregati da fonti diverse senza selezione autoriale, ma rimanendo all'interno di una logica di flusso o di syndication. Il patrimonio dei sistemi 2.0 come Youtube o Flickr non sta tanto nell'enorme quantità di materiale video, immagini o link scambiata quanto nel capitale sociale costituito dalla conoscenza degli utenti che visionano, votano, suggeriscono, classificano, organizzano.

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SOCIALIZZARE

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Per uno e per molti

Da quanto visto finora, possiamo già intuire in quante e quali opportunità si possa dispiegare l’utilizzo degli strumenti Web 2.0 oriented.

Un singolo potrà utilizzarli essenzialmente come canale di socializzazione / divertimento, di approfondimento professionale, di aggiornamento: ma ora cerchiamo di approfondire in quali modi ne possono trarre beneficio delle “collettività”, come aziende o organizzazioni. In particolare:

• nelle comunicazioni verso l’esterno (in particolare con i blog)• nelle comunicazioni interne (in particolare con i wiki)

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Da soli e insieme

“Che cosa è l’intelligenza collettiva? è una intelligenza distribuita ovunque, continuamente valorizzata, coordinata in tempo reale, che porta a una mobilitazione effettiva delle competenze. Aggiungiamo alla nostra definizione questa precisazione indispensabile: il fondamento e il fine dell’intelligenza collettiva sono il riconoscimento e l’arricchimento reciproco delle persone, e non il culto di comunità feticizzate e ipostatizzate. Un’intelligenza distribuita ovunque: questo è il nostro assioma di partenza. Nessuno sa tutto, ognuno sa qualcosa, la totalità del sapere risiede nell’umanità. Non esiste alcuna riserva di conoscenza trascendente e il sapere non è niente di diverso da quello che sa la gente”

Pierre Levy, L’intelligenza collettiva

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81/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Aziende ed approccio partecipativo

Il Web 2.0 è una piattaforma partecipativa che trasforma il web da una estensione del sistema dei mass media (basato sul broadcasting dei contenuti) a uno spazio basato sul contributo esul ruolo dell’utente: un fenomeno che è insieme tecnologico e sociale.Il Web 2.0 è utilizzato come uno strumento per rappresentare il proprio mondo personale e ampliare la propria rete sociale, con una facilità e una immediatezza che non hanno paragoni al di fuori del mondo digitale. Nel mondo del business, oggi gli strumenti del Web 2.0 possono venire usati dalle aziende per avere quei confini “aperti e porosi” che permettono loro di uscire dalle proprie quattro mura per sfruttare le conoscenze, le risorse e le capacità esterne.

Come lo potremmo usare

82/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Aspetti da mettere in gioco

Nel momento in cui entra nel pacchetto comunicativo delle aziende, il Web 2.0 è destinato a mettere in gioco:

• il ruolo dell’utente (non c’è più una separazione tra chi ha dei contenuti da trasmettere e chi li consuma; allo stesso modo il cliente non entra in gioco solo per un processo di consumo ma è sempre più all’interno di processi di creazione di valore rilevanti come quelli di innovazione, configurazione del prodotto, di acquisto, di produzione del servizio…)

• la struttura del mercato (sempre più caratterizzato da community di utenti, da persone che si parlano e si riconoscono, e dall’emergere di aziende che fanno proprio il business della coda lunga)

• la struttura organizzativa (modelli chiusi, monolitici, focalizzati sulla gerarchia e sul controllo vengono superati da modelli aperti, basati sulle interconnessioni, caratterizzati da confini mobili e porosi)

• il passaggio dal discorso (in cui prevale ad esempio la forza del segnale e la sua capacità di raggiungere il maggior numero di destinatari) alla conversazione (in cui prevale la capacità di relazionarsi, di costruirsi nel tempo una reputazione, di essere contestuali rispetto ai temi e ai bisogni degli utenti).

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83/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

I mercati diventano conversazioni

Tutte le esperienze di comunicazione verso l’esterno in stile 2.0 da parte delle aziende hanno la caratteristica di stabilire conversazioni, relazioni a due vie personali e umane che pongono delle sfide ai modelli organizzativi e manageriali tradizionali. Ma proprio per questo si deve tenere presente che in una comunicazione aziendale via corporate blogging valutare solo il “traffico” generato dal blog non è più una metrica adatta, o comunque non può essere l’unica. Si deve ricostruire come il blog si è propagato nella rete, suscitando citazioni, richiami e commenti all’interno di altri blog o social network: in questo modo ricaviamo una fotografia diversa, che sostituisce alla visibilità il tema della reputazione.

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84/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Le parole chiave del business blog

Per “lanciarsi” in una comunicazione verso l’esterno mediata da quello che è diventato uno degli strumenti di maggior diffusione del Web 2.0, ovvero un blog (o per meglio dire un business blog), servono innanzitutto poche e semplici regole:

• Apertura mentale• Onestà• Freschezza

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85/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Parlare con voce umana

I blog non sono prodotti editoriali, sono forme di espressione personale. I blogger si aspettano dai blog una voce umana (ricordate il Cluetrain manifesto?), con pregi e difetti (compresi – anche se senza esagerare - errori e refusi che sono appunto molto umani), ma senza toni falsi e commerciali: l’aziendalese parlato dal marketing tradizionale è da aborrire. Un’azienda può bloggare se accetta queste “regole”, se davvero ha qualcosa da dire con voce umana: si tratta di un salto culturale non facile da fare.

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86/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

La capacità di ascolto

Naturalmente, aprire un blog aziendale non è un obbligo. Ma tenersi del tutto alla larga dai network sociali potrebbe impedire di ascoltare quello che il pubblico sta elaborando. E ascoltare e parlare con voce umana può dare la possibilità alle aziende di coltivare strategie innovative che vadano nella direzione delle persone.è molto difficile che in questo momento nella blogosfera nessuno stia parlando della “vostra” azienda od organizzazione. Se ancora non succede succederà presto: e sarebbe meglio partecipare a queste conversazioni, per ringraziare chi parla bene e per correggere – con calma e chiarezza – chi dice cose inesatte. Condividendo le opinioni dei vostri “clienti” potrete sviluppare prodotti e servizi migliori.

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87/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Gli esempi illustri

Incredibile ma vero: Microsoft blogga (ed Apple invece no… o quantomeno i dipendenti di Apple che bloggano lo fanno su temi personali senza in sostanza parlare mai di Apple).Anche dietro i firewall aziendali fioriscono i blog: secondo il PewResearch Center, almeno la metà dei blog sarebbero riservati. Ad esempio, nella sola Ibm ce ne sarebbero circa tremila.Si tratta di una rivoluzione silenziosa delle comunicazioni, che si trasformano dal rigido modello unidirezionale al modello interattivo e decentralizzato: e le aziende hanno la necessità di partecipare alle conversazioni perchè è attraverso di esse che matura la fiducia.

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88/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Basta interruzioni non volute

Negli anni il modello del “marketing dell’interruzione”(interruption marketing, secondo la definizione di Seth Godin) ha stancato le persone: annunci pubblicitari non desiderati, impersonali, urlati a un pubblico che non ha scelto di ascoltarli. I I clienti sono diventati sordi e ciechi a queste tecniche, usano gli antispam o strumenti come TiVo. Il blogging e la conversazione fanno un piccolo miracolo: è lo stesso cliente che parla bene dei prodotti, che ne diventa un “evangelist”. E i nostri amici – la nostra “rete di fiducia” – hanno su di noi un’influenza molto maggiore di qualsiasi campagna pubblicitaria.

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89/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Un’attitudine antica… il passaparola

Il primo passatempo delle persone è conversare (e il secondo raccontare storie…): non a caso alcune delle più significative storie recenti di successi aziendali derivano da un uso di tecniche virali di passaparola (ICQ, Firefox, Skype, lo stesso Gmail)Da alcune ricerche relative ai meccanismi di comportamento ed alle aree cerebrali che vengono da essi attivate, pare che gli esseri umani (e soprattutto le donne) siano in un certo senso “costretti” a collaborare; l’altruismo stimolerebbe la razza umana più del fare soldi.E del resto, non è forse vero che anche la Bibbia e la diffusione del Cristianesimo possono venire considerati una sorta di “passaparola”?! :-)

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90/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Consigli per business blog di successo

La forma tradizionale di marketing segue il principio “commandand control”; con un blog invece il paradigma è “connect and collaborate” (oppure anche “listen and partecipate”).Ecco alcuni consigli per le aziende che scelgono la strada del “marketing conversazionale”:

• parlare, non vendere (i blogger vi accuserebbero di abusare del canale di comunicazione del blog)

• postare spesso e cercare di essere interessanti• scrivere di cose che si conoscono e che interessano• il blogging fa risparmiare denaro ma costa tempo• ascoltare quello che la gente ha da dire rende più in gamba (ed

oggi una delle ragioni più forti del diffuso atteggiamento antiaziendale è l’evidente riluttanza delle grandi aziende ad ascoltare quello che ha da dire la gente comune)

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91/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Taci e ascolta

La cosa più difficile da fare – e non solo per le aziende… - è il “Taci e ascolta”. Per le aziende e per molti di noi è difficile ascoltare, e lo è a maggior ragione per i comunicatori classici del command-and-control. Invece, ascoltare è essenziale.Ecco alcune tendenze positive introdotte dal blogging:

• stanno rendendo i media più democratici• stanno inducendo le aziende ad essere più trasparenti• stanno mettendo in crisi l’attività dei PR (se non altro di quelli che

non riescono a rimettersi in gioco)

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92/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

“Blogga con intelligenza”

E’ questa l‘unica policy che un’azienda come Microsoft suggerisce ai propri dipendenti blogger: ma non sempre è sufficiente suggerire ai dipendenti di usare il buon senso (soprattutto quando tra i dirigenti magari ci sono punti di vista differenti in proposito). Le paure aziendali più diffuse sul blogging sono:- i commenti negativi - lo svelare informazioni confidenziali - nessun ROI misurabile - la perdita del controllo sulla comunicazione - i possibili svantaggi competitivi - troppo tempo e poche risorse - la possibilità che blogghino cattivi impiegati

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93/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Non farsi licenziare…

Finora sono piuttosto rari i casi di persone licenziate per avere pubblicato qualcosa di “sbagliato” nel loro blog. Per evitarlo, è necessario conoscere la politica della propria azienda e cosa questa consenta o non consenta di fare. Ecco alcune aree di possibile rischio:

• non confrontarsi con l’immagine ufficiale• non far trapelare informazioni finanziarie o comunque confidenziali• non compromettere l’ambiente di lavoro insultando colleghi o capi• non fornire notizie in anteprima che causano lavoro inaspettato per l’ufficio

PR• non esporre i panni sporchi• non creare problemi legali• non danneggiare le relazioni dell’azienda con partner, concorrenti o altre

entità che hanno influenza sulla sua posizione

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94/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

DITE LA

VERITA’

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95/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Comunicazione interna: come?

In un’azienda o organizzazione, la comunicazione interna può svolgere molte funzioni ed essere molte cose diverse:

• processo di divulgazione e semplificazione• processo di packaging (impacchettare contenuti in veste

gradevole)• processo persuasivo• trasmissione di informazioni• condivisione manageriale (ad esempio le convention)• ascolto e partecipazione• epifenomeno (voci di corridoio, chiacchiere al bar eccetera)• sistema organizzativo (l’insieme delle nuove modalità operative

delle aziende del terziario avanzato, come intranet e CRM, una sorta di infrastruttura immateriale dell’azienda)

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96/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Un cambio di paradigma

Spostarsi dalla “comunicazione” alla conversazione è possibile anche all’interno di un’azienda: anzi forse è proprio internamente che è più facile attuare questo “cambio di paradigma” che dal modello comunicativo a “pacchetto postale” (emittente –messaggio – destinatario) fa passare ad un modello cosiddetto inferenziale, in cui non ci sono più messaggi che transitano ma “attori” che cercano di interpretare i discorsi dei loro interlocutori.Un po' come se tutti fossimo dei detective a caccia di indizi.

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97/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

I vantaggi del modello inferenziale

Secondo questo modello quando comunichiamo siamo impegnati in un continuo dialogare / interpretare a partire dalla nostra esperienza. I vantaggi di questo modello sono:

• porre in primo piano i soggetti• dare spazio alla diversità dei codici• considerare la comunicazione come un processo che si attiva a

partire dal destinatario• depotenziare il ruolo del messaggio letterale (cosa molto più

rispettosa dei reali processi comunicativi interni ad una azienda)• richiedere un processo continuo di feedback• tenere conto dei rischi di incomprensione e fraintendimento• tenere conto sia del contenuto sia della relazione• considerare come fondanti gli aspetti conversativi

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98/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Le massime di Paul Grice

Massima di quantitàFornisci l'informazione necessaria, né di più, né di meno: il contributo alla conversazione deve essere informativo quanto richiesto, non ci si aspetta che un parlante dia un'informazione sovrabbondante, o che dica troppo poco.

Massima di qualitàSii sincero, fornisci informazione veritiera, secondo quanto sai: in genere non si dovrebbe dire ciò che si ritiene falso, o ciò di cui non si hanno prove sufficienti, o lo scopo della comunicazione fallirebbe.

Massima di relazione Sii pertinente: il contributo informativo di un enunciato dovrebbe essere pertinente con la conversazione.

Massima di modalitàSii chiaro: l'enunciato dovrebbe essere chiaro, poco ambiguo, breve e ordinato. Infatti questa massima, contrariamente alle altre tre, non si riferisce a quanto detto bensì al modo, alla maniera, in cui questo viene esposto.

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99/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Comunicazione interna 2.0

La comunicazione come conversazione permanente – permessa dal modello inferenziale - è assolutamente in stile 2.0. In questo senso, il Web 2.0 può far nascere una nuova comunicazione interna. Fa cambiare il “tono” della conversazione: perchè non èvero che la spersonalizzazione dei messaggi ne garantisce autorevolezza, anzi è vero il contrario. Le aziende sono piene di messaggi “anonimi” (oppure in cui i soggetti sono come congelati nel loro ruolo o non identificabili perchè ridotti a sigle, acronimi eccetera): ma questo invece di dare autorevolezza suscita diffidenza e incredulità Invece, più un’azienda valorizza i talenti individuali meno ha bisogno di una comunicazione interna istituzionale; più gli stili sono lasciati liberi di prosperare più si lascia aperta la porta all’innovazione e alla creatività. Se vogliamo capire l’efficacia della comunicazione, non serve leggere e rileggere il nostro testo: dobbiamo guardare i visi dei nostri ascoltatori.

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100/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Da comunicare a conversare

In un modello inferenziale di comunicazione interna, la comunicazione èl’atto di cooperare con qualcuno (ovvero le persone che lavorano nell’organizzazione, con le loro credenze e intenzioni) che ha una vita autonoma rispetto all’organizzazione stessa: non ci sono più “dipendenti”da educare e riempire di contenuti. Nella prospettiva di questa comunicazione interna come conversazione, alcuni strumenti tradizionali sono da dimenticare:

• house organ (periodico, unidirezionale, top down, evoca realtà non riconoscibile… come casi di successo, buone notizie e buoni valori…)

• carta valori (i suoi aspetti problematici sono il linguaggio astratto, l’uniformità che fa riferimento a un’azienda che nella realtà non esiste, l’assenza di soggetti visto che non ha un mittente definito, l’immagine falsa di stabilità)

• convention (prevedibili, centrate su numeri e cifre, powerpoint centriche, parlano solo i manager, i soggetti si eclissano, gli argomenti sono definiti a monte, i discorsi sono poco centrati sulle esigenze della platea che è vista come un tutto unico, ci sono ruoli molto netti, sono spesso dominate dalla paura perchè ci si deve attenere al proprio ruolo, tutti i messaggi non sonointerpretabili perchè già semanticamente saturi)

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101/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Le trasformazioni interne

In un flusso di comunicazione come quello descritto nelle fotocopie lette in apertura stamattina, dal punto di vista della comunicazione interna succede che:

• collassano produttori e consumatori di comunicazione (chi partecipa alla intranet è un prosumer o screttore ovvero lettore-scrittore)

• il terminale della comunicazione non è passivo ma attivo• la comunicazioni si attiva a partire da soggetti riconoscibili (prima vengono

i soggetti poi i messaggi)• la comunicazione non ha un centro definito ma è invece decentrata• la comunicazione non inizia e non finisce in alcun punto (ogni attività di

comunicazione è solo un turno all’interno di una più generale conversazione che avviene qui e ora nell’organizzazione)

• disintermediazione • personalizzazione• processi inferenziali• nella comunicazione non c’è più un alto e basso ma un pertinente e non

pertinente• le informazioni sono mediatrici di relazioni

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102/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Una “coda lunga” nelle intranet

Uno degli ulteriori effetti della cosiddetta “coda lunga” è la nascita e il proliferare (anzi piuttosto l’emergere) delle “micro conversazioni” anche nelle intranet: non abbiamo più pochi prodotti informativi che devono arrivare a tutti, ma moltissimi prodotti che arriveranno a pochi. News, info tecniche, manualistica, consigli scambiati nei forum, i blog, i gruppi di lavoro virtuali eccetera si attivano all’interno di piccoli cluster che si formano dentro la rete sulla base di interessi, appartenenze professionali, progetti seguiti (con sottocommunityche possono attivarsi, auto selezionate sulla base dei propri bisogni).

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103/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

La nascita del network interno

Il nuovo ruolo di questa comunicazione interna in stile 2.0 diventa strategico nell’animare lo spazio, nel fornire un clima di fiducia, nel saper entrare in un’ottica di servizio verso le diverse comunità.Ecco alcune condizioni per la buona riuscita del network:

• il network si arricchisce della partecipazione (che va incentivata)• nel network vige un principio paritario e degerarchizzato (le

gerarchie diventano evanescenti in rete e per il successo della comunicazione conta la conoscenza e la capacità di collaborare

• nel network le regole si formano strada facendo (anche sulla base dei concreti utilizzi degli strumenti da parte delle persone)

• il network va lasciato libero di prosperare (la direzione va governata a posteriori, non stabilita a priori)

• il network va animato (fornire servizi, lanciare temi, rilanciare argomenti già rivelatisi produttivi…)

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104/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Organizzazioni-piattaforma

La diffusione di strumenti 2.0 all’interno delle aziende sta facendo evolvere convinzioni di lunga durata:

• il dipendente diventa attore principale del knowledgemanagement aziendale

• la rottura della gestione della conoscenza basata su tassonomie e l’apertura alle folkosonomy

• dalla formazione strutturata (chiusa, lineare, separata) all’apprendimento informale (aperto, reticolare, localizzato)

• da una logica push a una logica pull• verso tecnologie sempre più partecipate

Le organizzazione se sposano questa linea diventano una piattaforma che permette alle comunità di operare: il modello a rete infatti garantisce, rispetto a modelli procedurali e gerarchici, solidità e riconfigurabilità oggi indispensabili.

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105/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

I paradossi del knowledge management

Il compito del Knowledge management dovrebbe essere quello di riuscire a governare il flusso spontaneo di conoscenze interno all’azienda, ma spesso i sistemi aziendali soffrono di alcuni paradossi:

• crediamo nelle persone ma ci affidiamo alle tecnologie (a volte sostituire i post-it con un sofisticato CRM può essere devastante… se è attraverso i post-it che la conoscenza circola nell’organizzazione)

• vogliamo l’autonomia ma dobbiamo controllarla (i progetti di Km esigono soggetti autonomi e responsabili ma le organizzazioni tendono a definire i ruoli in modo troppo rigido)

• vogliamo le conoscenze “dal basso” ma dobbiamo certificarle “dall’alto”• vogliamo l’innovazione ma dobbiamo rispettare la tradizione (se il progetto

di Km urta le procedure tradizionali spesso si blocca)• vogliamo la conoscenza tacita ma dobbiamo codificarla (i progetti di Km

nascono per catturare la conoscenza informale ma poi pretendono di trasformarla in conoscenza esplicita e procedurale)

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106/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Knowledge management 2.0

In processi di Km gestititi attraverso strumenti 2.0, alcune nozioni andrebbero “riqualificate”:

• riqualificare la nozione di informazione certificata (non appena è in rete la “verità” è continuamente sottoposta a revisione, è una costruzione condivisa: questo è uno degli aspetti più interessanti del Km in rete)

• riqualificare l’organizzazione (autorevolezza che viene da conoscenza e non da ruolo può destrutturare l’immagine classica dell’organizzazione, che però di ruoli gerarchici ha bisogno per funzionare: ergo i due livelli devono convivere)

• passare dal controllo al governo (in un sistema “ecologico” di informazioni non si possono controllare i singoli scambi: si possono stabilire delle regole generali, adottare una policy che ad esempio premino la collaborazione nello scambio di conoscenze tra colleghi)

• riqualificare il ruolo delle tecnologie (possono creare illusioni e delusioni… nei loro confronti si deve creare un clima recettivo e accattivante)

• riqualificare il potere e la leadership (in un sistema di Km i processi si democratizzano e ognuno si esprime secondo le proprie capacità. Far si’ che le relazioni non strutturate abbiano voce, che le conversazioni abbiano un loro spazio pubblico riconosciuto, che le conoscenze possano esprimersi e circolare alla luce del sole può costare fatica e mettere in discussione i comportamenti e i modelli tradizionali di leadership).

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107/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Le Comunità di pratica

Le Cdp interne ad una organizzazione o azienda hanno il fine di presidiare dei mestieri rilevanti, di costruire meccanismi di apprendimento organizzativo, di sperimentare modalità di lavoro collaborativo attraverso l’utilizzo di nuove tecnologie. “Le Cdp sono gruppi di persone che condividono una passione su qualcosa che fanno e che interagiscono regolarmente per imparare a farlo meglio” (Etienne Wenger). In concreto sono:

• reti collaborative tra pari• condotte dalla partecipazione volontaria dei membri• focalizzare sull’apprendimento e sulla costruzione di capacità• impegnate nella condivisione della conoscenza, nello sviluppo di

esperienze, nella soluzione di problemi

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108/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Conoscenza cooperativa

Nelle comunità di apprendimento e di pratica si incarna una visione negoziale e cooperativa della costruzione di conoscenza:la conoscenza è un processo reticolare, di esplorazione e costruzione attiva di aree di senso; maggiore centralità viene data alle connessioni e possibili diramazioni del processo, al contesto, alle dissonanze più che alle concordanze, a inventare piuttosto che pianificare. A livello di apprendimento collaborativo e di problem solving, proprio dell’apprendimento di rete, vi è la possibilità di avvalersi delle competenze acquisite dagli stessi partecipanti, giocando sul valore aggiunto che può derivare dalla dimensione cooperativa. E per le persone di oggi, la capacità di vedere connessioni, riconoscere modelli, e creare significati tra campi diversi, idee, concetti è la competenza principale.

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109/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Piccole wikipedia da coltivare

In queste comunità, i meccanismi di costruzione della conoscenza non possono che essere dal basso e di tipo sociale, sul modello di Wikipedia (come una Wikipedia interna utilizzata per creare e aggiornare un archivio di competenze, conoscenze, capacità, comportamenti mobilitati per garantire i risultati aziendali; intorno agli elementi di competenza possono venire attivati forum tra pari); le modalità di classificazione della conoscenza devono focalizzarsi su folksonomie, cioè su criteri che hanno significato per chi li utilizza.Si deve comunque partire da community informali, da aggregazioni sociali spontanee, legate alla passione e all’interesse dei singoli, basate su legami deboli (fiducia, credibilità, autorevolezza). I manager non le possono dirigere: ma possono mettere insieme le persone giuste, supportandole con una infrastruttura che permetta loro di prosperare e valutandone i risultati in modi non convenzionali. Una CdP non si progetta, ma si coltiva.

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110/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Le “storie” aziendali

In questo nuovo approccio alla comunicazione interna mediato dagli strumenti del Web 2.0, il cosiddetto “paradigma narrativo”diventa importante: è una corrente di studi centrata sulle narrazioni che ha progressivamente attratto i ricercatori (anchegli studi organizzativi hanno cominciato ad interessarsi a questo approccio). La comunicazione aziendale si nutre di storie: perchè ècontinuamente attraversata da una sorta di flusso aneddotico (conversazioni informali, chiacchiere da bar, storie raccontate,pettegolezzi, voci di corridoio, vicende autobiografiche, racconti di vittorie e sconfitte, storie che si tramandano…). Le storie sono verità con la v minuscola, punti di vista soggettivi che però acquisiscono in profondità quello che perdono in ampiezza: la loro dimensione locale, il loro ancorarsi al concreto dell’esperienza le rende più vive e reali dei piani strategici.

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111/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Storytelling organizzativo

Esiste un affermato campo di studi che riguarda lo storytellingorganizzativo e le interviste narrative nelle organizzazioni: spesso ascoltare racconti di esperienze professionali da chi le ha vissute in prima persona consente di acquisire in modo più efficace quegli elementi chiave che, se ben riadattati e ricontestualizzati, possono fornire soluzioni migliorative al proprio ambiente di lavoro. Gli stessi leader non dovrebbero più spiegare ma “narrare”; idem per la comunicazione interna che quando parla al personale dovrebbe far emergere storie ed episodi autobiografici che permettano l’identificazione, esplicitino i soggetti, diano un senso alle azioni.

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112/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Apprendimento come caccia al tesoro

è un po' come se, nella comunicazione interna web 2.0 oriented, si passasse dal modello della comunicazione come pacco postale a quello della caccia al tesoro: con indizi da interpretare e con una serie di pratiche che proprio nella contaminazione, nella cooperazione e nella deriva producono ricchezza. Pensiamo all’apprendimento degli stagisti o dei neoassunti, che non imparano nozioni ma partecipano in maniera periferica ad una pratica e cosi’ non imparano solo a fare delle cose ma anche a muoversi in maniera appropriata all’interno di un ambiente, acquistando un orizzonte di senso. Questo significa anche abbandonare l’idea che esista un’unica interpretazione dei fatti, una voce divina che detiene la verità; le riflessioni sulle reti, sulle CdP e sulle narrazioni mostrano una pluralità di voci che popola continuamente la comunicazione interna. La produzione e la creazione di valore comunicativo viene affidata all’intera comunità professionale in quanto partecipante a una conversazione collettiva permanente nella quale mai nulla è definito una volta per tutte.

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113/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Aziende come tessuto di link

Una delle conseguenze di un tipo di comunicazione interna che abbia questo approccio è che non ci sono più “dipendenti” ma “persone-che-lavorano”: è la fine della “comunicazione di massa” ed è il segnale del passaggio dalla passività all’attività.Non servono o meglio non bastano comunicati aziendali, house organ, convention perchè la comunicazione si genera nella ricerca reciproca. La comunicazione dell’azienda si configura come uno spunto, come occasione di un percorso di progressiva partecipazione delle persone. Al posto delle convention avremo sessioni interattive come i barcamp, al posto degli house organ dei forum online, e al posto di piani a cascata per la diffusione della mission sessioni di brainstorming. Deve cambiare anche il linguaggio, che sarà più naturale e semplice, una sorta di ritorno alle origini. Infine le aziende fatte di persone-che-lavoranoe non di dipendenti sono fatte anche di link (e non solo di piramidi gerarchiche; peraltro destinare a perdere di peso in queste organizzazioni che sono un tessuto di connessioni).

Come lo potremmo usare

114/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Comunicatore interno 2.0

Cosa dovrebbe fare dunque un “nuovo” comunicatore per seguire questi input?:

• ripartire dalle persone (e non dalle strutture aziendali)• fare l’etnologo, raccogliere storie (intercettando piccole e grandi

narrazioni per far emergere le modeste verità che nel loro insieme costituiscono la cultura aziendale)

• lavorare con le comunità professionali (quelle già esistenti e reali)• farsi da parte (deve lavorare per eliminazione e non per aggiunta)• i significati emergono alla fine (non ci sono significati da

trasmettere a priori)• convivere con l’incertezza

Come lo potremmo usare

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115/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Apprende Insegna

Si fa da parte Aggiunge

Libera Incanala

Traduce Divulga

Amplifica Trasmette

Governa Controlla

FacilitaInterviene

AscoltaParla

EditaScrive

OggiIeri

Fa circolare la conoscenza Veicola decisioni

Cerca il confronto Cerca il consenso

Lavora sulle diversitàLavora sul senso di appartenenza

Fornisce nuove metafore Spiega i cambiamenti

Incide sull’organizzazione Indifferente all’organizzazione

Fa emergere l’innovazione Diffonde le direttive

Raccoglie le storie locali Uniforma le credenze

Esplicita le micro culture Trasmette valori

OggiIeriIl ruolo del comunicatore

Gli obiettivi della comunicazione

116/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Perchè non un wiki?!

“Utilizzati in modo appropriato, i wiki possono incrementare la collaborazione tra i dipendenti e il loro coinvolgimento. Se usati in modo inappropriato, non sono nè meglio nè peggio di qualsiasi altra tecnologia per la collaborazione”

Espen Andersen, in “Using wikies in a corporate context”

Come lo potremmo usare

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117/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Wiki: uno strumento da conoscere meglio

Pochi sanno, nonostante la visibilità mediatica di Wikipedia (che èpiù di una enciclopedia: è una risorsa che raccoglie e trasmette l’intelligenza collettiva dei suoi contributori), cosa sia il software che c’è dietro, e che è adatto allo sviluppo di risorse per gruppi sia piccoli che numerosi, in campi sia pubblici che privati (piccole comunità che condividono informazioni e collaborano a progetti specifici in campi d’interesse).In Italia sono meno diffusi che in altri paesi, ma dal 2006 il loro numero ha cominciato a crescere: la maggior parte di quelli pubblici è utilizzata come risorsa da gruppi d’interesse nel campo dell’informatica, o come risorsa per la scuola e la didattica.

Come lo potremmo usare

118/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Un autentico “social software”

Per “social software” si intende un software che facilita l’interazione sociale, la collaborazione e lo scambio di informazioni, e che può promuovere la crescita di comunitàbasate sull’attività di gruppi di utenti.Sono “social software” i tag, i blog, anche la copia conoscenza dei client email. Ma i wiki sono quelli che consentono le interazioni sociali più attive: sono pensati – contrariamente ai blog – come strumenti per più autori (comunicazione da molti a molti) e sono strutturati non cronologicamente come i blog ma per contenuto (potendo inoltre anche integrare le folksonomy).Spesso quando si parla di “wiki” si intende un insieme di elementi: gli autori, il software che permette alle persone di leggere, scrivere, modificare il contenuto, il sito che ne deriva. Tutto il processo , inclusa la pubblicazione, è semplice e velocissimo: non a caso le parole “wiki wiki” in lingua hawaiana significano appunto “veloce”.

Come lo potremmo usare

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119/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Le caratteristiche base

Le caratteristiche comuni di questi software sono:• sono costituiti da pagine alle quali si accede con un browser• le pagine possono essere scritte con facilità• aggiungere collegamenti è facile (come nella creazione di ipertesti “puri”: i

nodi ancora non esistenti vengono compilati successivamente)• le pagine possono essere aggiornate in tempo reale (a meno di

impostazioni che prevedono una autorizzazione preventiva)• sono redatti collettivamente (e i singoli rinunciano ai diritti di proprietà sul

testo)• mantengono una cronologia delle modifiche• si possono visualizzare le modifiche recenti (e se necessario ripristinare le

versioni precedenti)• si possono avvisare gli utenti delle modifiche (via mail o rss)• hanno una struttura semplice dei permessi (read – edit – administrator,

per pagine, gruppi o per tutto il wiki)• offrono un supporto alla ricerca e alla navigazione nelle pagine

Come lo potremmo usare

120/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

La filosofia wiki: la “soft security”

In un luogo “aperto” per sua natura alla scrittura di tutti è facile immaginare all’opera meccanismi di hard security per mettersi al riparo da attacchi di spammer o di vandali. Invece a prevalere èun approccio del tutto diverso, definito “soft security”:

• supporre la buona fede• attivare la revisione da parte di pari (peer review - utilizzata

anche nelle ricerche scientifiche - piuttosto che effettuata dal software o dall’amministratore)

• perdonare e dimenticare (i danni non devono essere permanenti)• limitare i danni (se si fanno errori)• processo leale (essere trasparenti e dare la parola a tutti)

Come lo potremmo usare

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121/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Spazi informativi “sociali”

La sicurezza codificata e programmata (hard security) è incapace di distinguere gli attacchi dagli errori, non ammette discussione e non è responsabile. Invece la soft security, visto che si affida interamente alle forze sociali per mantenere l’ordine, è adattabile alle nuove minacce e tollerante nelle sue reazioni. I wiki per queste loro caratteristiche sono più che un social software: sono spazi che permettono di condividere informazioni e idee in modo collaborativo, sono quindi anche spazi per la costruzione sociale della conoscenza. Sono quindi una “filosofia”, una concezione secondo la quale la saggezza di molti saràsempre superiore ai pensieri di un solo individuo. I lettori e i collaboratori di un wiki sono spesso considerati una comunità che definisce ed è definita dagli argomenti del wiki stesso: sono spazi informativi sociali.

Come lo potremmo usare

122/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Una micro storia dei wiki

Il primo wiki risale al 1995 (era il Portland Pattern Repository) e venne realizzato per supportare una comunità di sviluppatori di software: esiste ancora oggi e si chiama WikiWikiWeb. I wiki restarono dominio delle comunità tecniche fino all’inizio del ventunesimo secolo; nel 2001 Jimmy Wales e Larry Salger, dopo avere sperimentato un’enciclopedia sul web chiamata Nupedia, lanciarono Wikipedia, che nel dicembre 2005 aveva già 45mila collaboratori attivi. E Wikipedia è stata traino per tutti gli altri wiki e per i loro software (come Mediawiki, alla base di Wikipedia); poi ne sono stati realizzati anche spin off commerciali e non più open source, come Conference, Socialtext e JotSpot (acquistato da Google nel 2006).

Come lo potremmo usare

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123/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Molte critiche…

Il wiki più noto in assoluto, Wikipedia, è stato spesso criticato per una presunta mancanza di “autorità” e di controllo sulle voci inserite (nonostante esista un meccanismo di revisione). Un confronto alla cieca tra voci di Wikipedia e di Encicplopedia britannica online (effettuato dalla rivista Nature nel dicembre 2005) ha rilevato che esistevano pochissime differenze nel numero di errori alle voci scientifiche (ma quelle di Wikipedia sono state ritenute strutturate peggio, una probabile conseguenza del processo di scrittura collettiva). Il fatto che altri possano modificare il nostro testo è un’opportunità per arricchire, migliorare ed ampliare la conoscenza: ma certo questa èun’attitudine che va costruita “fuori” e prima del wiki. Un possibile problema è anche lo stato di “provvisorietà: a meno che il wiki non venga bloccato, è sempre in uno stato di perenne cambiamento. Spinosa è pure la questione della proprietà intellettuale, che è collettiva e in genere adotta licenze open: ma cosa accade se i contenuti inseriti sono protetti? In genere i wiki “seri” pubblicano in merito precise policy (che ad esempio prevedono la cancellazione di ciò che non è legalmente pubblicabile).

Come lo potremmo usare

124/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Quando usarli?

I wiki si possono utilizzare al posto di forum, blog ed email per permettere di raccogliere in un solo posto informazioni e conoscenze, senza limiti di ordine temporale; al posto di intranet statiche per ospitare documenti come procedure, manuali, informazioni tecniche che cambiano rapidamente o devono venire aggiornati. Possono insomma essere usati da qualsiasi gruppo che abbia l’esigenza o il desiderio di collaborare o “costruire socialmente”della conoscenza (persino le bozze di un libro a più mani…).

Come lo potremmo usare

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125/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Le possibili applicazioni

• materiale di consultazione (come Wikipedia)• siti per comunità di professionisti, hobbisti e gruppi di interesse

(anche i fan site, ad esempio di Star trek)• documentazione tecnica e standard (ad esempio Mozilla)• elenchi e liste (ad esempio dei software wiki)• condivisione di risorse• notizie e resoconti• conferenze ed eventi (ad esempio sono spesso usati per

organizzare Barcamp, o per commenti in itinere nei convegni)• collaborazione a progetti e in commissioni • sondaggi (in unione con altri strumenti possono venire usati per

raccogliere commenti e opinioni a fini statistici)• altri progetti in collaborazione (libri: ad esempio Lawrence Lessig

per raccogliere le indicazioni dei lettori sul suo ultimo volume)• sviluppo di siti web• wiki personali (per facilità di scrittura; ma si tratta di un

ossimoro… un wiki non dovrebbe essere personale!)

Come lo potremmo usare

126/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Fidarsi di un wiki come fonte?

Le tre potenziali qualità delle risorse create in modo collaborativo sono precisione, portata e profondità. Quando molti occhi leggono ed esaminano lo stesso materiale, possono trovare e correggere più errori che un solo autore. Insieme un gruppo di autori ha maggiori competenze, e può entrare maggiormente in profondità. Anche l’aggiornamento rapidissimo può diventare fondamentale, ad esempio in caso di grandi catastrofi; ed è un vantaggio anche la possibilità di rintracciare le revisioni fatte nel tempo.

Come lo potremmo usare

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127/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Le criticità

E’ necessaria una buona amministrazione per capire quando un argomento è concluso, apporre una data e bloccare una pagina. I contenuti sono in continua evoluzione e questo può essere frustrante (per questo quando si cita un wiki si dovrebbe sempre indicare anche ora e data di accesso: per Wikipedia c’e un link apposito sulla sinistra e anche un link permanente che “ferma” la vostra citazione nel tempo). I motori di ricerca si riferiscono ai loro indici, quindi non sempre cercano nelle pagine aggiornate: per i wiki questo ritardo di indicizzazione può risultare più evidente.Il problema dello spam è aggirabile con una richiesta di registrazione che però per alcuni puristi è un tradimento dello spirito del wiki. Anche la possibilità di ripristinare una precedente versione di pagina può creare difficoltà (le “edit wars” o guerre di revisione che si possono scatenare tra autori con differenti punti di vista). Ci sono talvolta wiki non esattamente progettati per facilitare la navigazione, e anche l’impatto visivo può non essere dei migliori.

Come lo potremmo usare

128/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

I criteri per valutare un wiki informativo

• scopo (è opportuno conoscere per quali motivi il wiki è stato creato)

• portata e copertura (ad esempio fornisce solo riassunti o inveceanalisi approfondite?)

• autorevolezza (degli autori, dell’organizzazione, del fondatore…ad esempio quale organizzazione lo pubblica o sponsorizza? è da valutare anche l’inserimento in directory affidabili, l’esistenza di sistemi di revisione o consulenza editoriale, la possibilità di risalire alle modifiche e a chi le ha fatte grazie alla registrazione)

• accuratezza (comparandone il contenuto con altre fonti, verificando la qualità di prosa, l’assenza di refusi ed errori grammaticali, verificando che siano segnalate le fonti)

• aggiornamento (una buona fonte di notizie deve essere sempre aggiornata. Anche l’affidabilità dipende dalla frequenza di aggiornamento, che deve essere adeguata allo scopo del sito)

Come lo potremmo usare

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129/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

I wiki in azienda

Sono usati soprattutto con tre modelli: come strumento per progetti e collaborazione di gruppo, come database di conoscenzee come mezzo per raccogliere e diffondere internamente nuove informazioni. Ma vediamo in cosa sono diversi dalle classiche intranet:

• struttura flessibile (che incoraggia la creatività)• supporto alle comunicazioni informali (anche annotazioni e

commenti personali)• semplicità (imparare ad usare un wiki è molto facile)• prevale il contenuto• importanza dei link (quindi possibilità di sfruttare davvero tutte le

potenzialità che gli ipertesti offrono per organizzare le informazioni)

• gerarchia aperta e semplice (in genere la struttura dei permessi èappunto molto semplice)

Come lo potremmo usare

130/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Wiki come knowledge base

“Un wiki porta in sè l’impulso nascosto alla creazione di un glossario interno che ci migliorerà la vita, in modo che, se qualcuno non conosce qualcosa, possa consultarlo e trovarvi una definizione tratta non da un dizionario ma dall’esperienza di una persona che sta svolgendo un lavoro simile”

J.P. Rangaswami, direttore generale del Dipartimento di Informatica, Dresdner Kleinwort Wasserstein

Come lo potremmo usare

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131/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Le conoscenze risiedono nelle persone

Il lavoro oggi si basa sempre di più sull’utilizzo intensivo delle conoscenze, e gran parte di queste conoscenze risiedono nel cervello dei dipendenti (cosa che può rappresentare un problema nelle imprese grandi con molti dipendenti che non si conoscono tra loro). Anche le intranet sono uno spazio per condividere conoscenze ma hanno mostrato difficoltà sia nella fase di realizzazione che di aggiornamento: invece i wiki pongono pochissimi ostacoli alla partecipazione. Le “wikipedia” aziendali sono utili anche perchè non utilizzano modelli prestabiliti consentendo quindi l’introduzione di informazioni non strutturate, altrimenti lasciate al passaparola o simili. Altro vantaggio del wiki come knowledge base è che l’aggiornamento immediato permette di correggere errori o sostituire rapidamente informazioni datate: inoltre l’estrema semplicità permette l’inserimento di contenuti meno rifiniti ma più autentici e per questo più autorevoli (i contenuti sono inseriti non dalle “alta sfere” ma da chi sa di cosa sta parlando: anche qui vediamo all’opera la forza della “conversazione con voce umana” e riconoscibile).

Come lo potremmo usare

132/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Le funzionalità base / 1

• supporto per le lingue (se contesto internazionale)• supporto per elementi multimediali e per allegare file (alcuni engine

permettono anche di commentare allegati e di cercare nei loro testi)• supporto per simboli matematici• gestione dei conflitti (quando più persone lavorano contemporaneamente

su stessa pagina: avvisi, blocco temporaneo…)• gestione dello spam (ad esempio con captcha, anche non visivi; o tecniche

automatiche)• uso di aggregatori di notizie (non solo per esportare contenuti ma anche

per importarli)• fogli di stile (con possibilità di personalizzare i template)• integrazione delle email (per inoltro avvisi e spedizione pagine, o anche per

immissione contenuti nel wiki, come accade per i blog)• integrazione con altri strumenti di social software (ad esempio alcuni

engine permettono l’uso di tag)• plug in ed estensioni (alcuni engine offrono soluzione aggiuntive open

source, persino quando sono commerciali)

Come lo potremmo usare

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133/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

• possibilità di creare più wiki (non tutti gli engine o i servizi di hosting lo permettono)

• esportazione e backup (in pdf o xml ad esempio; pochi permettono backup autonomo da server su cui sono ospitati)

• sicurezza (opzioni molto diverse, gli engine più sofisticati permettono di identificare utenti o gruppi di utenti)

• sintassi in inserimento contenuto (alcuni usano markup – sempre molto basic - , altri hanno editor in stile Word con conseguenti possibili anomalie; altri ancora permettono la scelta tra l’uno e l’altro)

• modifica sezioni di pagina (alcuni engine la permettono)• aggiunta link (con CamelCase o no)• notifiche di variazione (via email o rss)• ricerca (funzionalità davvero fondamentale; alcuni engine cercano solo nei

titoli, altri anche nei testi; alcuni ordinano risultati alfabeticamente altri per pertinenza…)

• memorizzazione dei contenuti (quasi tutti con versioni precedenti; alcuni memorizzano le pagine sotto forma di file, altri utilizzano database)

• licenze (la maggior parte di engine sono open source, con magari supporti a pagamento; i costi in questo caso sono indiretti e valutabili soprattutto in termini di tempo)

Le funzionalità base / 2

Come lo potremmo usare

134/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

La gestione di un wiki

Il wiki avrà successo solo se gestito in modo tale da rappresentare uno strumento utile per le persone che lo utilizzeranno. La gestione di un wiki implica la gestione dello strumento tecnologico, l’amministrazione dei contenuti e la gestione dei contributori, mediante regole e norme di comportamento; e questo durante tutto il suo ciclo vitale. Oltre a pianificare il wiki, definendone lo scopo e identificando le risorse economiche, tecnologiche e conoscitive necessarie (tra cui è fondamentale la gestione del wiki dal punto di vista sociale, quindi la creazione e l’assistenza alla comunità), un elemento da tenere in considerazione è il tempo: da dedicare ad organizzare l’architettura dell’informazione (ad esempio utilizzando categorie ed etichette/tag ), a creare o scegliere il suo design, a produrre i primi contenuti, a farlo conoscere, a creare i documenti guida, a incoraggiare le persone a contribuire.

Come lo potremmo usare

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135/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Passo per passo

Nel gestire un wiki sarà necessario:• assegnare ruoli agli utenti e organizzare il sistema degli accessi (se il tutto

si fa troppo complesso può essere un ostacolo alla partecipazione. I ruoli base sono amministratore, contributore/autore e lettore)

• creare documenti e regole (certo semplici all’inizio. Poi possono crescere in complessità, ma attenzione a che non siano troppo dettagliati perchè i nuovi arrivati se ne sentirebbero oppressi; sono piuttosto gli utenti senior che possono poi adeguare i nuovi contributi alle regole stilistiche con il loro gardening). Tra quanto si deve definire c’è l’ambito del wiki, la sua mission e i principi chiave (molti progetti satellite di Wikipedia sono nati proprio per raccogliere contributi non in linea con voci da enciclopedia, e una delle norme più citate di Wikipedia è proprio “What Wikipedia is not”, una pagina che spiega quali contenuti non sono adatti al sito), la proprietà del wiki e la proprietà intellettuale.

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136/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

La spinosa questione del copyright

E’ importante soprattutto specificare una politica in materia di utilizzo del materiale proveniente da altre fonti, permettendo solo quello che non violi il copyright dell’autore. Tutte le fonti devono venire citate in modo adeguato. Attenzione: alcune licenze Creative Commons non permettono modifiche del contenuto, che invece è prassi tipica di un wiki. Anche il non commercial può essere problematico, ad esempio per tutti i progetti legali a Wikimedia Foundation. Dovete definire la policy di copyright per i contenuti del wiki e comunicarla a utenti e autori; dovete esporre le regole per il riutilizzo dei materiali e le modalità di citazione della proprietàintellettuale. Si tratta di un’area giurisprudenziale ancora molto giovane; ad esempio su Creative Commons ci sono delle linee guida, e anche le pagine di Wikipedia in proposito possono essere d’aiuto.

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137/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Ma ancora non basta…

Creare un wiki vuol dire occuparsi anche di:• aspetto del wiki (anche se il focus è sui contenuti, il design deve

comunque suscitare una risposta emotiva negli utenti e mettere icontenuti stessi in risalto)

• contenuti iniziali (sono fondamentali una dichiarazione con le finalità del wiki, informazioni sul fondatore o fondatori, la documentazione sulla proprietà intellettuale, una guida con le regole di stile o una pagina tipo, una guida alle categorie o tagse adottate, una guida all’uso corredata da un’area pratica di prova o sandbox. Dovrà inoltre essere presente una “navigazione” il più chiara possibile, con ad esempio i link a tutte le pagine guida e di chiarimento sull’uso. Ovviamente servono poi anche i primi contenuti veri e propri, con link a pagine da costruite che sollecitino la contribuzione)

Come lo potremmo usare

138/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Dopo l’avvio

• testate il wiki (collaudandolo nelle sue varie parti e funzioni e realizzando se possibile anche test di usabilità con utenti reali)

• fatelo conoscere (ad esempio con mailing list, o contatti diretti per coinvolgere gli utenti. Questo è valido anche per i wiki privati, nei quali in ogni caso si dovrà fare promozione per incoraggiare visite e contributi)

• addestrate gli utenti (bastano una/due ore. Se non tutti gli utenti possono partecipare, inserite nel wiki i materiali usati nella sessione di addestramento)

• avviate la comunità (il successo di un wiki dipende dai suoi utenti. Se invitate i primi contributori a ricoprire ruoli importanti nella comunità – ad esempio invitandoli a scrivere dei contenuti specifici o a diventare amministratori – li incoraggiate indirettamente a partecipare al progetto)

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139/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Un wiki è… vivo, fatto di persone

La creazione della comunità di utenti deve essere pianificata con grande attenzione ai dettagli: una comunità forte incoraggerà a sua volta la creazione di contenuti, si occuperà della manutenzione e fornirà idee per gestire il wiki. Le persone sono più propense a contribuire a wiki che abbiano uno scopo chiaro e rispondente ai propri interessi, che accolgano favorevolmente i nuovi contributori e ne incoraggino la partecipazione con strumenti e regole, formali e informali, semplici e veloci da apprendere. Si possono ideare incentivi per incoraggiare la partecipazione, con ricompense non tangibili ma simboliche: ad esempio alcuni wiki ricompensano gli autori con “stelline” assegnate loro dagli utenti (attenzione però a far premiare la qualità piuttosto che quantità). Si possono adottare anche dei pattern o modelli di comportamento, alcuni dei quali documentati sul sito di Confluence. C’è il champion pattern (un fanatico del wiki incoraggia i compagni ad aggiungere, visitare e migliorare i contenuti), il trellis pattern (i contenuti noiosi invogliano le persone a modificarli; ad esempio su Wikitravel “la mia città è più interessante di come viene descritta”) e anche gli anti-pattern come il gate pattern (le procedure per aggiungere contenuti sono troppo complicate). Bisogna monitorare le varie sezioni, ma non deve esserci neppure un eccesso di gestione, che tradirebbe lo spirito del wiki (ad esempio non occupandosi dei singoli dettagli ma definendo un argomento e lasciando poi che altri lo sviluppino).

Come lo potremmo usare

140/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Il gardening dei contenuti

Per quanto riguarda la gestione dei contenuti, gli aggregatori avvertono gli utenti se la pagina che hanno sottoscritto viene modificata oppure èinattiva, e nei wiki più grandi come Wikipedia dei volontari controllano i cambiamenti per controllare errori, spam, atti di vandalismo, edaggiornano a loro volta quando è necessario. Lo stesso sistema può valere per i wiki privati: si può assegnare a una persona specifica la responsabilità di valutare la qualità dei contenuti di una particolare pagina. In quasi tutti i wiki capita di dover cancellare dei contenuti (oppure contrassegnare alcune pagine come “storiche”bloccandole, o magari escludendole dal sistema di ricerca). La cancellazione può essere fatta solo dagli amministratori, ed è rapida se contravviene alle regole (ad esempio se è spam). Ci sono però pagine magari con informazioni non verificabili o che violano il copyright; in questi casi Wikipedia le segnala per alcuni giorni, durante i quali gli utenti possono dare la loro opinione sull’opportunità di cancellarla; la pagina viene eliminata solo se questa scelta raggiunge un ampio consenso; a volte poi le pagine cancellate vengono rimesse in discussione e modificate.

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141/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Gestire gli utenti problematici

Anche nei wiki c’è chi fa atti di vandalismo o trolling (aggiungendo materiali provocatori), chi pubblica contenuti diffamatori o non in linea con il copyright, chi non rispetta le regole della comunità.Esistono engine con funzioni automatiche (la registrazione, il blocco di Ip o dello specifico utente) ma un approccio da soft security è sempre da preferire. Si fa notare all’interessato che ha violato regole, oppure si ripristinano le precedenti versioni di pagine attaccate da spam e atti di vandalismo: a volte questo basta a fare comprendere all’utente che il suo comportamento non è accettato dalla comunità.Se questo non serve, il wiki manager deve intervenire (ad esempio limitando il numero di contributi quotidiani pubblicabili da un singolo utente in un giorno). Applicare una politica che impedisca le violazioni del copyright e chiedere agli autori di citare le fonti soprattutto su argomenti controversi, possono essere misure valide per ridurre la probabilità di andare incontro a problemi legali. Per combattere lo spam è utile impedire ad agenti automatici l’accesso al wiki (però questo diventa un problema per gli spider dei motori).

Come lo potremmo usare

142/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Valutare, valutare, valutare

Un wiki, come già detto, è qualcosa di vivo: quindi la sua “vita”va in qualche modo monitorata, valutandone l’evoluzione e i cambiamenti. Ad esempio ecco alcune domande che vale la pena di farsi:

• Il wiki risponde agli scopi per cui è stato creato? • La sua natura è cambiata? • Ha esaurito sua funzione? • Si è sviluppato come sperato? • Le norme vengono rispettate?

Sono molto utili per la valutazione le inchieste tra gli utenti e la valutazione delle statistiche, prodotte automaticamente da alcuni software per wiki sul numero di utenti, sul numero di modifiche e numero di pagine, sulle pagine più modificate o le pagine verso le quali sono stati creati più link eccetera.

Come lo potremmo usare

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143/169Introduzione al Web 2.0Chiara Ferrigno

Roma, dicembre 2008

Care, vecchie community

Un chiarimento utile. Un online social network non è una web community. è una tipologia particolare di comunità, profondamente diversa da quelle Web 1.0 (che mettono il focus sull’ambiente che delimitano e sugli individui che la compongono):

• non si tratta di un insieme di individui ma di un insieme di relazioni tra individui

• non è un sistema chiuso (prima o poi, tutti i social network attuali si interconnetteranno… già ora esistono utility per creare “flussi”provenienti da vari network, come Friendfeed)

Community come Geocities e Tripod hanno il merito di aver messo alla portata di tutti “l’essere nel web”, ma i social network di oggi sono invece in grado di sviluppare reti di persone.

Conclusioni

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Imparare dal passato

Ci sono però elementi di costruzione delle vecchie community chesono ancora molto funzionali per la progettazione, la gestione e la crescita degli attuali social network: si tratta soprattutto di quelle competenze che hanno poco o nulla a che fare con le tecnologie ma che sono piuttosto competenze “sociali”.

Tornando a quando abbiamo visto a proposito della comunicazione interna, nel passaggio dalle community 1.0 ai social network 2.0 assistiamo di nuovo al passaggio dal “discorso”alla “conversazione”, dalla comunicazione broadcast a quella peerto peer, in cui oltre al “dire” e al dirsi / raccontarsi diventa di fondamentale importanza anche la posizione e l’attitudine all’ascolto.

Conclusioni

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Principi evergreen per community

• Progettare per la crescita e il cambiamento• Creare e mantenere attivi i circuiti di feedback• Offrire maggiori opportunità agli utenti con il

passare del tempo

Conclusioni

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Partire dall’indispensabile

Anche nelle comunità virtuali, è bene prima “risolvere” i bisogni basilari (accesso al sistema e alla comunità con riconoscimento della propria identità; protezione da attacchi personali e di hacker, sensazione di muoversi in ambito egalitario;) per poi via via integrare i successivi (appartenenza alla comunità nel suo insieme e ai suoi sottogruppi; capacità di contribuire alla crescita della comunità e di essere apprezzati sulla base di tali contributi; capacità di assumere un ruolo trainante nella comunità, che possa magari sfociare in nuove opportunità).

Del resto abbiamo sempre a che fare con “persone” prima che con apparati tecnologici, e per questo può essere utile fare riferimento, nel progettare una community, alla cosiddetta Piramide di Maslow

Conclusioni

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Conclusioni

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La netiquette non muore mai

Ecco alcuni spunti per la netiquette di un wiki, di una CdP o di una intranet 2.0 oriented:

• La buona educazione innanzitutto (niente attacchi personali a presenti e assenti)

• Fatti capire (linguaggio chiaro e sintetico, senza errori)• Il tono è importante (soprattutto quando si scherza… per questo sono nate

le emoticon)• Attieniti al tema (non divagare e se il tema è professionale non pubblicare

futilità)• No ai grafomani (se vuoi essere letto rispetta temi e spazi degli altri)• Non urlare (ovvero non scrivere in maiuscolo, che si legge anche male)• Niente polemiche (quelle sterili e prolungate annoiano)• Rispetta la privacy altrui (non riportare fatti che riguardano altri senza

averne il permesso)• Rispetta la riservatezza aziendale (ovviamente…)• Nel dubbio… se non sai come comportarti attieniti alle regole che useresti

di persona

Conclusioni

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Poche regole, ma da ricordare

Per costruire un social network efficace:• create degli strumenti semplici per gli utenti• definite con chiarezza lo scopo• può essere utile attingere a una comunità già esistente• in questo modo le persone arrivano spinte da interessi comuni• date alla community un’interfaccia aperta e interattiva• date un’interfaccia facilmente integrabile con altre applicazioni e

siti (rss eccetera)• fate in modo che sia adattabile alle esigenze degli utenti• che sia personalizzabile• create un certo “coinvolgimento”

Conclusioni

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Roma, dicembre 2008

Ed infine…

Siate sempre pronti a rispondere alle domande degli utenti, adottate il tono di voce giusto e rispettate la privacy.

Ecco anche alcune cose da non fare mai:• generare spam nella community• diffondere programmi che possono controllare l’attività degli

utenti• usare contenuti degli utenti senza il permesso dell’autore

Conclusioni

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Verso il Web del futuro

Ipotesi sul web che verrà ne sono state fatte e ne vengono fatte quotidianamente moltissime.Tra le suggestioni più interessati (e verosimili) ci sono quelle di Vito Di Bari (curatore di uno dei testi utilizzati in queste slide e citati nella bibliografia finale).E’ lui stesso a collocarle in una prospettiva temporale medio e medio-lunga:

• The Longer Tail (entro il 2015)• The Longest Tail (entro il 2020)

Conclusioni

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The Longer Tail

L'approccio 2.0 genererà una crescente frammentazione, ogniutente avrà a disposizione applicazioni che gli consentiranno ognivolta di costruire il proprio Digital Self, andando a prendere dallapiattaforma web ciò che gli aggrada: la rete del futuro si evolveràin un grande insieme di micro-web che serviranno micro-comunità e i loro linguaggi. Insomma, il web del futuro sarà glocal, ovvero un po' globale e un po' locale. E avrà due anime linguistiche: una destinata allacomunicazione globale (e quindi inglese) l'altra destinata allenuove comunità linguistiche che diventeranno preponderantiinsieme alle relative culture. Entro il 2015 si verificherà una democratizzazione della base degliutenti e l'affermazione di gruppi linguistici emergenti: sarà un web popolare e prevalentemente in lingua locale (soprattutto in lingua cinese e in lingua ispanica).

Conclusioni

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Regole per il Web Glocal

Tre potrebbero essere le regole di questo web:

• parla la lingua del tuo pubblico• accogli e comprendi la cultura locale del tuo pubblico• usa i diversi stilemi visivi del tuo pubblico

Conclusioni

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The Longest Tail

E’ molto probabile che entro il 2020 cambi in modo radicale il nostroconcetto di “connetterci”: probabilmente sarò connesso con il mio gatto, la sua lettiera e la sua ciotola, senza “accendere” nessuno oggetto. Saranno“things that think”, cose che pensano. Nel futuro l'interazione uomo-macchina sarà sempre più seamless (senza cuciture): una mediazioneinvisibile, che farà a meno di tutto ciò cui oggi siamo abituati, come aprireun collegamento in un dispositivo. Le tecnologie abiliteranno un mix totale di on-line e off-line, senza piùpercezione di cosa sia on e cosa off. Reale e virtuale coesisteranno in un unico mondo connesso, nel quale la Rete sarà ovunque, impercettibile e ovvia come l'aria che respiriamo. Vivremo in ambienti che interagirannocon noi in base ai nostri desideri e alle nostre logiche. Entro il 2020 avremo una grande diffusione di oggetti intelligenti didimensione nanoscopica, e una connettività permanente ad altissimavelocità: il web del futuro sarà un web delle cose e delle persone. I mercati ne saranno profondamente scossi. La Longest Tail è la connessionepermanente del tutto: sarà costituita da centinaia di miliardi di oggetti, luoghi, piante, animali, persone.

Conclusioni

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I pilastri del Nuovo Web

Questi potrebbero essere i pilastri del web di cose e di persone:• connettività permanente (always on)• centralità della collaborazione (collaborative space) • spostamento in rete della maggior parte della nostra vita (digital

self)• socialità delle transazioni economiche (social economy)• scomparsa di dispositivi che mediano tra noi e gli elaboratori

(natural interaction)• evoluzione degli ambienti domestici in ambienti connessi (smart

home techs)• maggiore velocità di connessione (broader connection)• mobilità totale (mobile web)

Conclusioni

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MylifeBits Project

Conclusioni

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Mobile computing?

Conclusioni

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A – RFID – i…

Conclusioni

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…e Spime

Conclusioni

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Ma cosa ci aspetta prima?

Ci sono “piccoli passi” che verosimilmente vivremo prima di trovarci connessi con qualsiasi cosa e qualsiasi persona.Ad esempio – per restare in zone di maggiore concretezza – èmolto probabile che nasceranno nuove generazioni di browser, in grado di trasformare la navigazione nel web in una esperienza inqualche modo più “concreta”.Non sono pochi infatti a valutare come credibile una evoluzione “in 3D” dei browser: la stessa Second Life ne potrebbe essere una sorta di anticipazione. E un progetto sperimentale di AdaptivePath insieme ai Mozilla Labs, Aurora, va in una direzione in qualche modo simile.

Conclusioni

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Web semantico

“…è una estensione del web attuale in cui le informazioni sono strutturate con un senso compiuto, migliorando il lavoro tra le persone e i computer”.

“…una ragnatela di dati che possano essere elaborati dalle macchine direttamente o indirettamente”

Tim Berners-Lee

Etichettare i dati con informazioni sulla loro natura, qualità e relazioni con altri dati, in modo da renderli non più solo machine-readable, ma machine-understandable.

Conclusioni

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Cloud computing

Conclusioni

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Piccoli passi… un Google sociale

Conclusioni

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Piccoli passi… mashup facili facili

Conclusioni

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Forse il futuro è già qui

L’inizio del Digital Self?!

Conclusioni

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L’internet di cose e persone

Conclusioni

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Qualche testo per approfondire

• Intelligenza emotiva, Daniel Goleman, Rizzoli 1999• Community Management, Emanuele Scotti e Rosario Sica,

Apogeo 2007• Wikinomics, Don Tapscott e Anthony D. Williams, Rizzoli 2007• La coda lunga, Chris Anderson, Codice Edizioni 2007• Business blog, Robert Scoble e Shel Israel, Il Sole24ore 2007• Web 2.0, a cura di Vito di Bari, Sole24ore 2007• La nuova comunicazione interna, Paolo Artuso e Giacomo

Mason, Franco Angeli 2008• Oltre Wikipedia, Jane Klobas, Sperling & Kupfer 2007

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“Mi sembra evidente che il futuro del design stia nello sviluppo di dispositivi intelligenti che guidano l’auto per noi, cucinano per noi, tengono sotto controllo il nostro stato di salute, puliscono i pavimenti e ci dicono cosa mangiare e quando fare un po' di esercizio. Nonostante le enormi differenze tra macchine e persone, se siamo in grado di specificare bene un compito, se le condizioni ambientali possono essere tenute ragionevolmente sotto controllo e se macchine e persone possono limitare le loro interazioni al minimo indispensabile, allora i sistemi intelligenti autonomi ci saranno d’aiuto. La sfida sta nell’arricchire le nostre vite di dispositivi intelligenti capaci di accompagnarci nelle nostre attività, dotati di capacitàcomplementari alle nostre, capaci di farci avere più risultati, più benessere, piùscelte, ma non più stress.”


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