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in abbonamento postale - 70% - DCB Roma · serie storiche appare in forte declino: il costo...

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GLOBALIZZAZIONE: GRANDE OCCASIONE O MALE INCURABILE? 80 Periodico trimestrale del Consorzio Obbligatorio degli Oli Usati - Regis74 78 - febbraio 2014 - Poste Italiane SPA - Spedizione in abbonamento postale - 70% - DCB Roma
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GLOBALIZZAZIONE:GRANDE OCCASIONEO MALE INCURABILE?

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Periodico trimestrale del Consorzio Obbligatorio degli Oli Usati

Registrazione Tribunale di Roma n. 374/89 del 21/06/1989

Direttore Responsabile:Paolo Tomasi

Segreteria di redazione:Domenico Zaccaria

Anno XXVNumero 80Febbraio 2014

Direzione, redazione, amministrazione: Consorzio Obbligatorio degli Oli Usati Via Virgilio Maroso, 50 - 00142 Roma

Progetto grafico e realizzazione:eprcomunicazione Via Arenula, 29 - 00186 Roma

Stampa: Piramide ComunicationRoma

Stampato nel mese di marzo 2014

EDITORIALE 3I vantaggi e gli svantaggi di un fenomeno planetario

PRIMA PAGINA 4Notiziario Scienza e AmbienteI costi della globalizzazioneper “l’ambientalista scettico”

INTERVENTI 10Minori distanze e più sicurezza:globalizzare significa crescereÈ la modernizzazione ecologicala via per un mondo sostenibile

ATTUALITÀ 12Dal commercio ai mass media:i mille volti della globalizzazione

DALL’ESTERO 14“Entro il 2035 nel nostro Pianetanon ci saranno più Paesi poveri”

LIBRI 16EquiLibri

COOU 18L’educazione ambientale è un giocograzie alla Green League del COOU

INDICE

A volte basta poco per inquinare tanto: un cambio d’olio dell’auto gettato in un tombino o in un prato. Un gesto insensato che rischia di inquinare unasuperficie enorme di 5.000 metri quadri. Invece, se raccolto correttamente l’olio usato è una preziosa risorsa perché con il riciclo diventa nuovo lubrificante. Così si risparmia sull’importazione del petrolio e anche l’ambienteci guadagna. Aiutaci a raccoglierlo, non mandare a fondo il nostro futuro: numero verde 800.863.048.

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La definizione che Wikipedia da del termine “globa-lizzazione” è la seguente: “La globalizzazione è unprocesso di interdipendenze economiche, sociali,culturali, politiche e tecnologiche i cui effetti positi-vi e negativi hanno una rilevanza planetaria”. E’ unadefinizione che cade a proposito rispetto all’intentocon cui abbiamo voluto dedicare questo numero diEquilibri al fenomeno così chiamato. Si parla infat-ti - con il tono neutrale tipico di Wikipedia - di effet-ti positivi e negativi della globalizzazione. La discussione è infatti aperta in tutto il mondo se iprimi prevalgano o meno sui secondi e se nel lungotermine il risultato per il pianeta sarà desiderabileo meno. Ed è una discussione destinata a durare alungo. E’ vero infatti, che specie nei paesi di vec-chia industrializzazione, gli effetti della globalizza-

zione - l’apertura a nuovi mercati e a nuova con-correnza, l’abbattimento delle frontiere protezioni-stiche, l’affacciarsi di nuove tecnologie, la rapiditàdi spostamento di capitali immensi - possono pro-durre effetti negativi sensibili sulle vite delle perso-ne e delle aziende. E spesso l’esperienza personaleo quella comunque più prossima condiziona i nostrigiudizi.Per queste ragioni ci è parso inutile entrare tropponel vivo della valutazione sugli effetti finali della glo-balizzazione. Eppure la sensazione che il giudiziocomplessivo sul fenomeno sia molto condizionato daciò che ci accade intorno, merita la considerazione dielementi di più lunga gittata sia temporale che geo-grafica. Non perché dati e tabelle meritino comunquel’ultima parola, ma perché ci possono permettere di“relativizzare” e lo nostre percezioni. Pensate solo

allo slogan tipico di movimenti anti-globalizzazionecome “Occupy Wall Street”: “We are the 99 %”. Il cuisenso era “noi siamo quel 99 per cento che si oppo-ne a quell’1 per cento la cui ricchezza pesa quanto lanostra messa insieme”.Era il frutto evidente di un’iperbole che però è entra-ta nel senso comune come tante leggende sulla glo-balizzazione. In realtà uno studio recente sulle grandiricchezze condotto da Credit Suisse mostra che laquota di ricchezza nazionale degli Usa (dove la con-centrazione è massima) posseduta dal più ricco 1 percento arriva al 20 per cento. In Italia questo rapportosi ferma attorno al 10.Ma una prospettiva forse più equanime sul fenome-no della globalizzazione la si guadagna se si guardanon solo all’oggi o al futuro, ma prendendo in consi-derazione epoche più remote. La Banca Mondiale cidice ad esempio che la “povertà estrema” nel mondoè crollata negli ultimi trent’anni. Nel 1981 la metàdegli abitanti dei paesi in via di sviluppo viveva conmeno di 1,25 dollari al giorno: nel 2010 questa per-centuale si è ridotta al 21 per cento: ancora troppicerto, ma la tendenza è incoraggiante. Il costo globa-le delle cattive condizioni di salute nel mondo allafine del 20° secolo ammontava al 32 per cento delprodotto lordo mondiale, oggi è sceso all’11 percento e si dimezzerà ancora entro il 2050. Prendetel’educazione: oggi l’analfabetismo riguarda il 23.6per cento della popolazione, nel 1900 toccava il 70per cento.Persino l’inquinamento dell’aria, che da molti è con-siderato uno dei frutti avvelenati della globalizzazionee della turbo-industrializzazione, se si guardano leserie storiche appare in forte declino: il costo dell’in-quinamento nel 1900 ammontava al 23 per cento delprodotto lordo mondiale, oggi è caduto al 6 percento, questo perchè la maggior fonte di inquina-mento dell’aria era quello casalingo, dovuto a com-bustibili “sporchi”, il cui uso si è molto ridotto.Questo non vuol dire che tutti i miglioramenti del pia-neta vengano dalla globalizzazione, ma neppure nederivano tutti i mali. Quello che conta è disporre diuna prospettiva più lunga e di una minore ideologiz-zazione del fenomeno, che è quello che abbiamo, persommi capi, provato a fare in questo numero diEquilibri.

Paolo Tomasi

I vantaggi e gli svantaggi di un fenomeno planetario

ATTUALITÀ DALL’ESTEROEDITORIALE LIBRI COOUINTERVENTIPRIMA PAGINA

A prevalere sono i pro o i contro?Il dibattito a livello globale resta apertoma è inevitabilmente condizionato daeventi e movimenti che poco hanno ache fare con un evento tanto complessocome la globalizzazione

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SCIENZA E AMBIENTE: NOTIZIE

FOTOVOLTAICO, ARRIVA IL SORPASSODEGLI STATI UNITI SULLA GERMANIA

La corsa degli Stati Uniti all’installazione delfotovoltaico ha portato alla fine dello scorsoanno a un risultato storico: il sorpasso sullaGermania, leader mondiale negli ultimi 15anni. L’accelerata decisiva è stata effettuatanel terzo trimestre del 2013, quando sonostati installati 930 megawatt di energia foto-voltaica, con una crescita del 20% rispetto altrimestre precedente.

CLIMA INVERTITO ALL’INIZIO DEL 2014LA SIBERIA È PIÙ CALDA DI NEW YORK

Più caldo in Siberia e in Groenlandia che aNew York: come dimostrano le elaborazionisu scala planetaria dell’Università americanadel Maine, nei primi giorni del 2014 il clima siè praticamente “invertito”. Colpa del vorticeanticiclonico che per alcuni giorni ha ruotatosull’artico: la Grande Mela ha registrato tem-perature di 15 gradi sotto la media, mentre aNuuk si è arrivati a +20.

INTERVENTI ATTUALITÀEDITORIALE DALL’ESTERO LIBRIINTERVISTEPRIMA PAGINA

USA, 2013 ANNO D’ORO DEL PETROLIO:1 MLN DI BARILI AL GIORNO IN PIÙ

Il 2013 è stato un anno di prezzi relativamen-te bassi per il petrolio nel mondo e il merito èsoprattutto degli USA, che hanno registrato unboom nella produzione di idrocarburi degno dipassare alla storia, calmierando così i prezzi intutto il mondo. L’aumento della produzione èstato di circa un milione di barili al giorno, edè il più grande mai registrato nella storia delPaese.

DALL’ITALIA E DAL MONDO

IN GROENLANDIA UNA FALDA ACQUIFERA NEL SOTTOSUOLO

Sotto i ghiacci della Groenlandia Meridionale èstata scoperta una falda acquifera permanen-te che si estende per 70.000 chilometri qua-drati, ovvero quanto la superfice dell’Irlanda.L’acqua riesce a mantenersi allo stato liquidoperché è racchiusa fra gli strati di ghiaccio chenon si sciolgono in estate, e il suo studiopotrebbe modificare le conoscenze sull’innal-zamento dei mari.

GLI OCEANI SONO SEMPRE PIÙ ACIDIE NE RISENTE L’AZIONE DEL FITOPLANCTON

Un gruppo di ricercatori del Max PlanckInstitut di Amburgo ha scoperto che l’azionedel fitoplancton, elemento essenziale nellaformazione delle nuvole e quindi nel contra-sto al fenomeno del surriscaldamento globale,sarebbe a forte rischio. Il motivo risiede nellivello sempre più alto di acidità dell’acquadegli Oceani, dovuto al crescente aumento diCO2 nell’atmosfera.

EMISSIONI DI ANIDRIDE CARBONICALA RIFORMA UE SLITTA AL 2021

Bruxelles ha deciso di rinviare al 2021 la rifor-ma strutturale dell’Emissions Trading Scheme,ovvero il mercato delle quote di emissioni dianidride carbonica. La questione è controver-sa: per ridurre le emissioni bisogna limitare alproduzione industriale e i consumi dei cittadi-ni; di conseguenza, è necessario alzare i costidell’energia che sono già oggi altissimi.

INTERVENTI ATTUALITÀEDITORIALE DALL’ESTERO LIBRIINTERVISTEPRIMA PAGINA

LA MATEMATICA CONTRO L’ESTINZIONEDEGLI ANIMALI: MA È POLEMICA

Un gruppo di scienziati australiani ha elabora-to un’equazione matematica basata su fattorieconomici, che consente di stabilire quali spe-cie animali vanno salvate e quali possono inve-ce essere abbandonate al proprio destino. Nonmancano però le polemiche dei gruppi anima-listi, secondo i quali gli sforzi di conservazionenon possono essere stabiliti solo in base aparametri economici.

I COSTI DELLA GLOBALIZZAZIONE PER “L’AMBIENTALISTA SCETTICO”

IL MONDO VIVE UNA FASE FORTEMENTE INFLUENZATA DA QUESTO FENOMENO,MA HA VERAMENTE EFFETTI CATASTROFICI E COSTI INSOSTENIBILI?BJORN LOMBORG SE LO DOMANDA NEL SUO ULTIMO LIBRO

ATTUALITÀ DALL’ESTEROEDITORIALE LIBRI COOUINTERVENTIPRIMA PAGINA

jørn Lomborg è conoscuto in tutto il mondo per“L’ambientalista scettico”,pubblicazione del 2001 che

critica le previsioni catastrofichedivulgate dalla comunità scientificamondiale sul destino del nostro pia-neta. Dal 1992 infatti, con laConferenza delle Nazioni Unite sul-l’ambiente e lo sviluppo di Rio, i pro-blemi ambientali cominciano adessere affrontati come una priorità,e una visione sistemica e olistica delpianeta porta a prevedere cambia-menti sostanziali con effetti cata-strofici per la sopravvivenza umana.Il “principio di precauzione” viene uti-lizzato per sedare gli scettici: nel dub-bio, data la posta in gioco, meglio cre-

derci e prendere le necessarie contro-misure. Che richiedono grandi sacrifi-ci, dato che si tratta di intervenire sullecause dei cambiamenti, prevalente-mente il riscaldamento globale, il glo-bal warming, causato dall’uomo e daisuoi modelli di sviluppo.Lomborg, economista, affronta il pro-blema sostenendo il primato dell’ap-proccio economico e concludendoche “il global warming esiste, è cau-sato dall’uomo ma non è la fine delmondo”. Nonostante causi lo sdegnodi buona parte della comunità scienti-fica, continua per la sua strada efonda il Copenhagen ConsensusCenter, con il compito di monitorare evalutare i cambiamenti in atto sul pia-

neta: far quantificare ad economistiesperti nei vari settori, il livello mon-diale di benessere, tenendo conto deldanno causato dai principali problemiglobali, dall’inizio del 1900 ad oggi econ previsioni fino al 2050. Il tutto uti-lizzando valutazioni quantitativeespresse in termini di Pil mondiale. Come resoconto finale del progettoesce nelle librerie “How Much haveGlobal Problems Cost the World?”,in cui Lomborg coordina una sele-zione a suo dire dei migliori econo-misti del mondo che affrontano i 10più grandi problemi dell’uomo e illoro sviluppo. Una delle tesi più rile-vanti sostiene che quanto l’uomo faper contenere l’emissione dei gasserra, principale causa dei cambia-

menti climatici, è più dannoso perl’economia dei cambiamenti stessi,gli accordi internazionali in proposi-to hanno costi in termini di Pil nongiustificabili. Ma a ben vedere tutte le questioneaffrontate hanno costi rispetto al Pilmondiale che in percentuale risulta-no visibilmente decrescenti (tab. 1),con previsioni positive che continua-no fino al 2050. Le cose quindi nonvanno poi male, anzi, i conti torna-no. Vediamo come il libro affronta le10 questioni:

Inquinamento atmosfericoViene riportato come il maggior pro-blema ambientale del mondo, seb-

bene in calo. Ma sorprendentemen-te la forma di inquinamento piùpericolosa è quella domestica, dovu-ta all’utilizzo di combustibili “spor-chi” per cucinare e scaldare nelTerzo Mondo, causando 4 volte piùmorti che l’inquinamento atmosferi-co all’aria aperta. Risolvibile solo conl’uso di combustibili puliti, tra cuisono considerati anche quelli fossili,se usati in modo corretto.

Conflitti armatiÈ vero che i conflitti armati hanno unforte costo economico e umano, manon dobbiamo farci suggestionareda un’idea di un conflitto perma-nente, che non corrisponde allarealtà. E soprattutto facendo unconfronto con grandi conflitti mon-diali del secolo scorso, i costi sono invisibile diminuzione: in media i mili-tari del 20° secolo sono costati circail 5% del Pil all'anno, con picchi dal20 al 50% durante I e II GuerraMondiale, mentre attualmente siattestano intorno all’1,8%.

Cambiamenti climaticiNon è né l’urgenza più grande, néquella più drammatica e le politicheodierne per combattere i cambia-menti climatici costano molto di piùrispetto ai benefici. Anzi il cambia-mento climatico nel periodo 1900 -2025 è stato per lo più un benefi-cio, aumentando mediamente il Pilmondiale di circa l’1,5% annuo(tab. 2). Perché? Perché il riscalda-mento globale ha effetti variabili eper un riscaldamento moderato ibenefici prevalgono. L'aumento dellivello di CO2 ha favorito l'agricol-tura perché funziona come fertiliz-zante e costituisce il maggioreimpatto positivo con lo 0,8% delPil. Inoltre il riscaldamento modera-to evita morti da freddo rispetto amorti imputabili all’aumento delletemperature. Si riduce anche ladomanda di riscaldamento, pari acirca lo 0,4% del Pil. D'altra parte ilriscaldamento aumenta la carenzad’acqua con un effetto di circa lo0,2% e 'impatto delle aumentatetempeste incide per un altro 0,2%circa, ma nel complesso il bilancio èpositivo.

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ATTUALITÀ DALL’ESTEROEDITORIALE LIBRI COOUINTERVENTIPRIMA PAGINA

I costi relativi a salute, educazione e inquinamento rispetto all’andamento del PIL

Ecosistemi e biodiversitàLa perdita di biodiversità mette arischio i servizi ecosistemici fornitidai biomi della terra, in particolare leforeste tropicali, quali prodotti fore-stali, legnosi e non, o principi attivicon proprietà curative. Sebbene laperdita di specie comporti un peg-gioramento di tali servizi e quindirappresenti una perdita anche in ter-mini di Pil, la conversione degli eco-sistemi naturali in zone agricoleribalta il bilancio, che diviene cosìpositivo, dato che la produzioneagricola è una voce attiva del Pil.

EducazioneNel 1900 l’analfabetismo era al70% e i suoi costi rappresentavanoil 12,3% del Pil. Oggi quel numero èvicino al 23%, per un 7% circa delPil. Entro il 2050 sarà ridotto a soloil 3,8% del Pil, con un progressivocalo dell’analfabetismo che si stimariguarderà solo il 12% della popola-zione. Viene riconosciuto il legametra alto livello di istruzione e mag-giore sviluppo economico, la spesaper l'istruzione come un investimen-to per lo sviluppo economico.

Disuguaglianza di genereSi sostiene che attualmente i salaripiù bassi delle donne e l'esclusionedal lavoro, costano all'economiamondiale fino al 15 % del Pil. La

forza lavoro globale femminile retri-buita è intorno al 40%, con retribu-zioni del 60% rispetto a quellemaschili, e le donne hanno minorpartecipazione alle cariche dirigen-ziali sia aziendali che politiche. Lesocietà insomma non investonosulle donne, soprattutto nella loroformazione, non dandogli la possibi-lità di essere produttive per il loropaese, a cui quindi causano undanno economico. Ma anche qui siva a migliorare, con un costo rispet-to al Pil del 17% nel 1900, che scen-derà progressivamente a circa il 4%nel 2050.

Salute umanaL’aspettativa di vita media è miglio-rata sensibilmente: 32 anni nel1900, 69 ora e 76 nel 2050, il checorrisponde ad una riduzione deicosti della cattiva salute da un 32%del Pil mondiale, passando per l’at-tuale l'11%, ad un 6% circa nel2050. Questo soprattutto per la dra-stica riduzione della mortalità infan-tile, dovuta prevalentemente all’usodei vaccini e al progredire dellemedicine in generale. Forti minacceper la salute umana rimangonoinvece per gli adulti, quali uso deltabacco e diffusione dell’HIV. La pos-sibilità di mantenersi in salute sem-bra poi legata non tanto alle condi-zioni economiche, ma piuttosto pro-

prio al progredire delle cure, semprepiù a basso costo e accessibili a tutti.Si consiglia di investire, da parte deigoverni, sempre di più nella ricerca.

MalnutrizioneUtilizza come indicatore della mal-nutrizione infantile l’altezza media:nel 1900, la media per un maschioadulto in un paese ricco era di 169centimetri e 164 centimetri nelmondo povero, mentre ora rispetti-vamente 177 centimetri e 168 cen-timetri. Quell’aumento di 4 centi-metri corrisponde alla quasi totaleeliminazione della malnutrizioneinfantile nei paesi in via di sviluppo.In termini economici il costo è quasidimezzato: dall’11% del Pil nel1900 al 6% di oggi, e dovrebbescendere al 5% nel 2050. In gene-rale il miglioramento della qualitàalimentare è attribuito all’aumenta-re del livello di reddito, che allo stes-so tempo permette agli individui diessere più produttivi, innescando uncircolo virtuoso.

Barriere commercialiLe restrizioni commerciali sono rite-nute in assoluto un limite per lo svi-luppo economico. Osservando il loroandamento si è partiti da un 1900 direlativo libero scambio, con un costototale per l’umanità di appena il 3 –4% del Pil mondiale. Ma con ladepressione degli anni Trenta le bar-riere si solo alzate, comportando uncosto intorno al 10%.Successivamente alla 2° GuerraMondiale le barriere hanno ricomin-ciato a diradarsi, più rapidamenteper i paesi ricchi che per quelli in viadi sviluppo, con costi attuali scesirispettivamente al 2 e 4% del Pil. Lepolitiche commerciali dei paesi in viadi sviluppo sono indicate come unlimite al loro stesso sviluppo econo-mico, tanto che li si invita a elimina-re politiche protezionistiche ancheunilateralmente, così da raccoglierealmeno la metà dei potenziali benefi-ci. In generale le prospettive sono diuna potenziale diminuzione dei costi, se l’operato dell’Organizzazione mondiale del com-

ATTUALITÀ DALL’ESTEROEDITORIALE LIBRI COOUINTERVENTIPRIMA PAGINA

Il rapporto tra l’energia prodotta a livello globale e il cambiamento climatico

ATTUALITÀ DALL’ESTEROEDITORIALE LIBRI COOUINTERVENTIPRIMA PAGINA

Nato nel 1965, Bjørn Lomborg è professore aggiuntoalla Copenhagen Business School dal 2005. Schieratooriginariamente su posizioni fortemente ambientaliste,deve la sua popolarità alla pubblicazione di “The Skeptical Environmentalist (2001), tradotto l’annosuccessivo in italiano per Mondadori col titolo“L’ambientalista scettico. Non è vero che la terra è in pericolo”. Il corposo volume– che è stato interpretato come un forte attacco al movi-mento ecologista tradizionale – nasce nel 1998, quandoLomborg, allora professore associato di statistica scriveall’Università di Århus (Danimarca) quattro lunghi artico-li per confutare il luogo comune secondo cui, dal puntodi vista ambientale, “tutto va peggio”. Il libro prende lemosse dalle teorie di Julian Simon (1932-1998), econo-mista americano autore nel 1981 di “The UltimateResource”, nel quale l’autore sostiene che, in senso eco-nomico, le risorse sono infinite enon c’è limite teorico, nel lungotermine, allo sviluppo umano.Lomborg, intenzionato inizialmen-te a smentire Simon, trovò nonsolo che il suo approccio teoricoera solido, ma soprattutto che erasostenuto dall’evidenza empirica.La pubblicazione di “The SkepticalEnvironmentalist” ebbe un effettodevastante. In patria, Lomborgvenne accusato di disonestà scien-tifica. La prestigiosa rivista“Scientific American” ospitò, pochimesi dopo l’uscita del libro, gliinterventi di quattro “mostri sacri”dell’ambientalismo americano – ilbiologo Stephen Schneider, il fisicoJohn Holdren, il demografo JohnBongaarts e il biologo ThomasLovejoy – con l’aperto endorsementdel direttore, John Rennie. Tra i“fan” invece, Lomborg potè conta-

re sul settimanale britannico “The Economist” che, inrelazione all’operazione di “Scientific American”, parlò di“thought control”. Il sentiero, a questo punto, fu indiscesa. Sul piano dei riconoscimenti pubblici, la famadello studioso danese fu definitivamente consacrata: nel2002 “Business Week” lo considerò una delle “50 stelled’Europa”; nel 2004 fu una delle 100 persone piùinfluenti del pianeta per “Times”; nel 2005 il WorldEconomic Forum lo nominò “Young Global Leader”; nel2008 fu, per il “Guardian”, uno dei “50 uomini che pos-sono salvare il pianeta”. Lomborg, approfittò della noto-rietà per creare il “Copenhagen Consensus Center”: ungruppo di intellettuali che si riunisce periodicamente pervalutare quali siano le priorità globali. Ai lavori del Copenhagen Consensus nel 2008 hannopartecipato una cinquantina di esperti tra cui 5 premiNobel, dal cui lavoro è stato prodotto un corposo rap-

porto: “Global Crises, GlobalSolution” (uscito in prima edizionenel2004 e poi in versione aggiorna-ta nel 2009). Le tesi “sviluppiste” diLomborg sul riscaldamento globalehanno trovato approfondimentoanche nel pamphlet “Cool It”,disponibile anche in italiano col tito-lo “Stiamo freschi”. In sostanza,Lomborg ritiene che, se messo nellaprospettiva delle altre priorità globa-li, il cambiamento del clima non è nél’urgenza più grande, né quella piùdrammatica. Lomborg sostiene chela politica di tagli vincolanti alleemissioni sia fallimentare e ineffi-ciente dal punto di vista del rappor-to costi-benefici. Al contrario, ritieneche sostenere la ricerca di nuove tec-nologie potrebbe portare, nel futu-ro, a disporre degli strumenti perridurre le emissioni in modo econo-micamente efficiente.

mercio riuscirà a proseguire nell’eli-minazione delle barriere commerciali.

Acqua e servizi igieniciIl mancato accesso all’acqua e ai ser-vizi igienici è attualmente la causadel 7% dei decessi nei paesi in via disviluppo. Questo numero è sensibil-mente calato dall’inizio del secolo

scorso e probabilmente calerà anco-ra, non solo grazie a grandi progettiinfrastrutturali, ma anche a miglio-ramenti semplici come la clorazioneo il lavaggio delle mani, che riduco-no la mortalità. Ma la perdita di Pilnon è dovuta solo alla malattia ealla mortalità, ma anche nella perdi-ta di tempo, e di produttività, dovu-

ta al procurarsi e purificare l’acqua.Complessivamente si è già scesi acirca il 2% del Pil nel 1950 fino adarrivare ad un attuale 0,13%. Conprevisioni di riduzioni fino allo0,02% per la meta del secolo

Luca ScarnatiNatalie Nicora

Chi è Bjorn Lomborg

ATTUALITÀ DALL’ESTEROEDITORIALE LIBRI COOUINTERVENTIPRIMA PAGINA

Minori distanze e più ricchezza:globalizzare significa crescereDAL PIL MEDIO ALL’ASPETTATIVA DI VITA, NELL’ULTIMO SECOLO TUTTI I DATI SONO IN AUMENTO. E NON È VERO CHE TUTTO CIÒ SIA STATO REALIZZATO A SCAPITO DELL’AMBIENTE

a globalizzazione ci ha resipiù ricchi, ci ha regalato unavita più lunga e migliore, e ciha donato un mondo più

pulito. Contrariamente a quantomolti pensano, l'espansione deicommerci a livello globale ha resociascun paese interdipendente daglialtri. In tal modo, ha consentito unamaggiore specializzazione del lavo-ro, che a sua volta si è tradotta in untasso di innovazione tecnologica e dicreazione di ricchezza come mai nonsi era mai vista prima. Questo straor-dinario progresso è stato reso possi-bile dalla interazione feconda tra ilsistema economico capitalistico,basato sulla proprietà privata e loscambio, e un progresso tecnologicoche ha accorciato le distanze fisichee ridotto i tempi di comunicazione.Di questo processo hanno beneficia-to maggiormente i paesi che nesono stati protagonisti; e non nehanno potuto trarre vantaggio quel-le realtà che, per varie ragioni, poli-tiche o militari perlopiù, sono rima-ste ai margini della globalizzazione.Nell'ultimo secolo, anzitutto, èesploso il reddito medio pro capite,che è passato da 467 “dollari inter-nazionali del 1990” (un'ipoteticavaluta costruita in modo tale da

avere lo stesso potere d'acquisto diun dollaro nel 1990) a 7.614. Unadinamica che non si è arrestata nep-pure di fronte a quell'autenticoschiacciasassi che è stata la crisi eco-nomica globale degli ultimi anni. IlPil medio globale pro capite era, nel2001, pari a circa 6.500 dollari: intermini reali, nel 2011 aveva rag-giunto i 7.625 dollari (+17% alnetto dell'inflazione). Sarebbe sba-gliato interpretare questi dati comeuna “media di Trilussa”. Infatti, laglobalizzazione non ha portato soloa una concentrazione di ricchezzanelle mani dei ricchi: ha soprattuttosottratto moltissimi poveri alla mise-ria. A dispetto del significativoaumento della popolazione mondia-le il numero di coloro che vivonosotto la soglia di povertà è andatacalando costantemente.L'aspettativa di vita alla nascita, alivello medio globale, è cresciuta da68,8 anni nel 2004 a 70,5 nel 2011.Questo risultato deriva dalla sommageometrica tra due componenti.Una è il calo della mortalità infanti-le: nel 1900 inferiore al 10% in unsolo paese al mondo, oggi al contra-rio soltanto 19 nazioni si collocava-no al di sopra di tale soglia. L'altra èla riduzione delle persone che sof-

frono la fame,calate, in valoreassoluto, da circa1 miliardo nel1990 a 842 milio-ni oggi. Tuttoquesto è avvenu-to a spese del-l'ambiente? E'vero, semmai, ilcontrario. La qua-lità dell'ambientesegue tipicamen-te un andamento

“a campana”, rispetto al reddito.Prima cresce al crescere del redditomedio pro capite: popolazioni moltopovere hanno, come primo proble-ma, quello di risolvere la fame, lamancanza di un riparo per la notte ealtre esigenze basilari. Non possonoandarci per il sottile e sarebbe irre-sponsabile, da parte nostra, scanda-lizzarci per questo o pretendere altri-menti. Quando però il reddito rag-giunge un certo livello, le cose cam-biano: vuoi perché nel frattempol'inquinamento ha raggiunto livellitali da diventare esso stesso un pro-blema, vuoi perché un reddito suffi-cientemente elevato consente diprestare attenzione anche a questio-ne diverse dalle necessità minimedell'esistenza. Inoltre un reddito piùalto si sposa con lo sviluppo tecno-logico e mette nella condizione diutilizzare tecnologie più sofisticate econ un minore impatto ambientale.Lo vediamo bene osservando l'in-tensità carbonica, cioè il rapportotra le emissioni di CO2 e il Pil: i paesicaratterizzati da una maggiore effi-cienza nell'utilizzo dell'energia sono,tendenzialmente, anche quelli conun più elevato reddito pro capite. Inbreve, la globalizzazione ha consen-tito non solo un aumento della ric-chezza, ma anche della qualità dellavita e dell'ambiente. E non è un casose la stessa correlazione appenadescritta è riscontrabile anche inriferimento alla felicità: i paesi piùricchi, puliti e gradevoli sono anche,non sorprendentemente, quelli piùfelici. Come si dice, del resto, se isoldi non comprano la felicità, mafiguriamoci la loro assenza.

Carlo StagnaroGiornalista

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PIL pro capite [1.000 euro / abitante] vs. intensità carbonica [ton CO2 / 1.000dollari] nel 2011 negli Stati membri dell'Unione europea

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ATTUALITÀ DALL’ESTEROEDITORIALE LIBRI COOUINTERVENTIPRIMA PAGINA

ondra, capitale della rivoluzio-ne industriale e che, ai primidel 900’, era la più grandecittà del mondo, è stata a

lungo anche la capitale mondialedell’inquinamento. Ci vorranno circa30 anni per arrivare, negli anni ’80, aripulire l’aria, con una legislazioneanti-inquinamento sempre più rigo-rosa. La stessa strada fu seguitaanche dalle altre importanti città edaree industriali del Pianeta come ildistretto industriale della Ruhr inGermania o quello di Hanshin inGiappone. Qui il problema fu affron-tato tardi, ma con decisione: nel1955 il carbone costituiva la metàdelle fonti energetiche primarie, nel1975 era ridotto ad un sesto. Inestrema sintesi, la questioneambientale fu affrontata con risulta-ti positivi dai Paesi industrializzaticome questione locale nella partefinale, più matura, del processo diindustrializzazione. Si può parlare dimodernizzazione ecologica dei siste-mi di produzione perché i consistentimiglioramenti ambientali furono rea-lizzati con innovazioni organizzative,di gestione, e come fattori costitutividi un più avanzato livello di sviluppo.Non che le politiche ambientali diquegli anni non avessero oppositori:gli oppositori c’erano ed erano ancheconsistenti, ma non prevalsero. Leloro previsioni sulla perdita di compe-titività e sui costi eccessivi causatidalla nuova legislazione ambientale sirivelarono infondate. Nonostante i miglioramenti introdot-ti il bilancio sulle condizioni ambien-tali del Pianeta, ufficializzato alWorld Summit delle Nazioni Unite diJohannesburg, è pesantementenegativo. Dal 1980 al 2000 le emis-sioni di carbonio in atmosfera, infat-ti, sono aumentate da 4,6 a 6,1

miliardi di tonnellate. Dal 1990 al2000 la Terra ha perso un totalenetto di 94 milioni di ettari di fore-ste. Più di 11.000 specie sono stateincluse negli elenchi di quelle minac-ciate di estinzione. L’elenco potrebbecontinuare, ma la conclusione èchiara: l’inquinamento produceormai danni globali e le risorse natu-rali sono sempre più intaccate. Senzadimenticare il fatto che una parteconsistente della popolazione mon-diale continua ad essere esclusa daogni forma di benessere. Siamo,quindi, in presenza di un doppio pro-blema globale dell’attuale tipo di svi-luppo: una insostenibilità ecologicaed una sua non estendibilità a moltaparte delle popolazioni del Pianeta.La più importante novità di

Johannesburg è proprio la rilevanzaattribuita al cambiamento deimodelli di produzione e di consumoinsostenibili.Il World Summit fornisce una chiavedi lettura delle politiche ambientaliglobali, all’inizio di questo nuovoSecolo, consentendo alcuni confron-ti con quelle attuate nei Pesi piùindustrializzati negli ultimi decenni diquello passato. Le politiche ambien-tali degli ultimi decenni del secoloscorso erano essenzialmente locali,attuate per affrontare problematicheanche gravi, ma con impatti sostan-

zialmente circoscritti. Nelle politicheambientali del nuovo Secolo ha inve-ce grande peso la tutela dei “globalcommons”, dei beni globali di inte-resse comune, come l’atmosfera, ilclima, la biodiversità. La globalizza-zione dei mercati, dei nostri modellidi produzione e di consumo, hacompiuto enormi passi avanti inpochi decenni. L’insostenibilità deinostri modelli di produzione e diconsumo, ad elevato spreco di risor-se, basati su energia fossile e conelevato inquinamento, è diventataormai globale.Il Summit di Johannesburg proponeuna modernizzazione ecologica deimodelli di produzione e di consumonon più riferita solo agli impatti loca-li, ma come costitutiva della stessaqualità dello sviluppo. Questa impo-stazione è stata anticipata dall’UE ein questo modo la modernizzazioneecologica, mettendo in sinergiasostenibilità e competitività, puòdiventare un fattore decisivo per losviluppo di economie più avanzate. Ilproblema di questa prospettiva è“l’atterraggio morbido” necessarioper avere quel consenso che, neisistemi democratici, è indispensabileper attuare politiche rilevanti. Allafine del Secolo scorso, per un insie-me di fattori, la modernizzazioneecologica ha trovato nei Paesi piùindustrializzati la via per un atterrag-gio morbido. Oggi, nel contesto diuna più estesa globalizzazione, talevia, che richiede maggiori e più radi-cali innovazioni e più complessiapprocci multilaterali, risulta più dif-ficile da tracciare e da percorrere.

Edo RonchiFondazione Sviluppo Sostenibile

È la modernizzazione ecologicala via per un mondo sostenibileLE POLITICHE AMBIENTALI DEL NUOVO SECOLO DEVONO FAR FRONTEA PROBLEMI GLOBALI E ALL’INSOSTENIBILITÀ DEI NOSTRI MODELLI DI PRODUZIONE E DI CONSUMO

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Diversamente da quantoavvenuto nel Secolo scor-so, oggi è molto più diffi-cile ipotizzare un “atter-raggio morbido” per talerivoluzione culturale

a storia e l'analisi del feno-meno della globalizzazione èprobabilmente uno degli

aspetti più controversi e complessiche la storia recente abbia potutoaffrontare. La galassia dei movimentie delle correnti che sono pro o con-tro e il panorama pressoché su scalaplanetaria rendono difficile persino ladefinizione stessa di “globalizzazio-ne”. Possiamo osare nel definirlacome un complesso procedimento dicollegamenti e interdipendenze chespaziano dalla economia, alla politicafinanche al costume e alle lingue cheinveste, in modo diretto o indiretto,l'individuo in quanto “cittadino” delvillaggio globale in tutti gli aspetti delproprio corso di vita.Nell’antichità le prime trecce dellaglobalizzazione, tranne rare ed effi-mere eccezioni, rimasero circoscrittenel vecchio continente. Si pensi almondo Romano che sopravvissequasi mille anni in un'area in ebolli-zione come il Mediterraneo propriograzie alla presenza capillare di stra-de, la più antica “via” di globalizza-zione e comunicazione. Tanto primauna lingua, un uso, un ordine rag-giungeva un determinato luogotanto dopo esso avrebbe avuto piùpossibilità di rimanere, ripetuto neltempo, come se fosse sempre esisti-to. Fu così che il latino si imposecome non riuscì a fare il greco o ilpersiano e fu così che, millenni dopo,la tecnologia cibernetica avrebbepermesso alla globalizzazione di pro-durre pressoché immediatamente isuoi effetti. Se, come abbiamo visto, la primafase della globalizzazione è rimastalegata a doppio filo col mondo delcommercio e dell'economia in gene-rale oggi, paradossalmente, siamo difronte all'espandersi del fenomeno inchiave comunicativa: prima le rotte

commerciali, oggi la struttura stermi-nata e in continua evoluzione come imass media. Un recente episodio nel quale la glo-balizzazione intesa in chiave comuni-cativa ha avuto una chiara ripercus-sione sulla situazione politica e socia-

le è il fenomeno della primaveraaraba. Un effetto domino devastanteche ha investito tre Paesi chiave del-l'area mediterranea e che ha provo-cato nel giro di neanche due anni lacaduta di quarantennali regimi iquali, proprio dopo aver velatamenteconcesso finalmente uno spaziolegale (seppur controllato) alle nuove

tecnologie comunicative, ne hannoprovocato la rapida caduta. Un mec-canismo questo che comunque, spe-cie in occidente, già aveva trovato unsuo percorso. Già dopo la caduta delmuro di Berlino gran partedell'Europa dell'Est visse una fasemolto simile che permise, addirittura,non solo la nascita di nuove forme digoverno ma anche il cambiamentorepentino delle strutture economichee sociali in favore di modelli che permoltissimi anni erano stati inveceritenuti totalmente inadeguati perquel tipo di economia pianificata. Ilperiodo che paesi come la GermaniaEst (emblematico è il film GoodbyeLenin, che narra questo fenomeno inmodo calzante) passarono in queglianni, grazie alla globalizzazione,mutò in modo stupefacente il DNAdelle società investite da questoimprovviso mutamento dello statusquo. Ecco che il processo di globaliz-zazione trovò definitivamente le pro-prie colonne portanti non più solonel commercio ma anche nell'uso deimass media (che moltiplicarono in

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Dal commercio ai mass media:i mille volti della globalizzazioneDAGLI ANTICHI ROMANI FINO ALLA PRIMAVERA ARABA, LA STORIADI UN FENOMENO CHE FONDE L’INIQUITÀ AL PROGRESSO, ANCHEIN MANCANZA DI PIATTAFORME PROGRAMMATICHE ALTERNATIVE

La Cina degli ultimi ventianni, più di ogni altroPaese, dimostra come glo-balizzazione e capitalismopossano diventare la fac-cia della stessa medaglia

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L’impero Romano dominò sul Mediterraneo grazie a una rete di strade, antica ‘via’ di globalizzazione

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modo esponenziale) e, giocoforza,l'intero fenomeno divenne, nei suc-cessivi anni, l'emblema del nuovocapitalismo. In molti, ancora oggi,ritengono capitalismo e globalizza-zione la faccia della stessa medaglia.Ma è davvero così?Probabilmente qualcosa di vero,guardando al contingente, c'è. Ma sitratta di visioni miopi e, per l'appun-to, parziali. Non c'è dubbio che ilfenomeno della globalizzazioneabbia portato numerosi vantaggi ai

sistemi capitalistici che, proprio neglianni '90, hanno visto una espansioneanche in economie a lungo ritenutelontanissime. La Cina dell'ultimodecennio del ventesimo secolo èsenza dubbio un esempio di come laglobalizzazione e il capitalismo siano(o meglio, possano essere) la facciadella stessa medaglia: una medagliache però differisce notevolmente daquella che i movimenti no-globalsono soliti contestare. Se si guardaall'ultimo secolo è evidente che ci sipossa trovare concordi nelle criticheche a questi fenomeni vengonomosse. Ma se si guarda al passato,ancor prima di quella prima forma diglobalizzazione tutta economicafavorita dai commerci dell'ottocento,si scorgono facilmente e in modostupefacente diverse forme di globa-lizzazione, che col capitalismo non

hanno nulla a che vedere. Si pensi,per esempio, all'espansione dellegrandi religioni come il cristianesimoo l'islamismo, senz'altro scevre,almeno all'inizio, da elementi econo-mico-commerciali. Oppure alle gran-di migrazioni di decine di millenni fa:si pensi alla “colonizzazione” dellaspecie umana sapiens ai danni diquella neanderthalensis e così via. Dicerto, e lo riconosciamo, sono esem-pi molto lontani nel tempo ma chedimostrano senza dubbio che vie di

globalizzazione efficaci possano esi-stere ed affermarsi anche senza quel-la struttura capitalistica che ormai neha dato una connotazione prevalen-te. Ma chi è che si oppone a questotipo di “sistema”? Va detto, prima ditutto, che l'espressione “no-global”è tipicamente italiana e, col contribu-to di alcuni mass media, è divenutadi uso comune per indicare qualsiasitipo di contestazione al “sistema”finendo così per collocare all'internodi questi movimenti, per esempio,rivendicazioni di natura politica o sin-dacale che di globalizzato non hannonulla. In realtà il variegato panoramadi movimenti no-global si propongo-no di combattere lo strapotere dellemultinazionali del mondo occidenta-le (ma ormai non più solodell'Occidente) che sarebbero la prin-cipale causa dell'enorme dislivello tra

Nord e Sud del mondo: un divarioche, stando ai recenti studi, è tutt'al-tro che in via di risoluzione. Dalla loroprima apparizione a Seattle nel 1999,questo variegato ed eterogeneomovimento non è riuscito tuttavia adottenere significativi risultati. Leragioni sono varie: anzitutto il coordi-namento di forze che operano incontesti ed economie diverse risulte-rebbe assai difficile anche al più cari-smatico dei capi politici. In secondoluogo bisogna sottolineare la diver-sità dei soggetti coinvolti: no-globalsi definiscono rappresentanze sinda-cali, partiti politici di estrema destra edi estrema sinistra, associazioni reli-giose (spaziando dalla Teologia dellaliberazione a vetero-cattolici), centrisociali, raggruppamenti ecologistiche si dividono a loro volta in corren-ti ridenominate “new-global” (accet-tando così determinati aspetti dellaglobalizzazione) e correnti estreme,organizzate finanche per attività dimera protesta e contestazione vio-lenta. Un vasto schieramento che,tuttavia, non ha saputo presentareconcrete piattaforme programmati-che di alternativa. Molto spesso alcu-ni governi (per esempio quello delVenezuela o del Brasile) hanno orga-nizzato forum o tavole rotonde peravviare progetti e proposte di colla-borazione ma i risultati si sono rivela-ti inconcludenti, soprattutto percolpa delle diverse anime di questimovimenti che sono finite per conte-starsi reciprocamente.Ciò che è certo è che il processo diglobalizzazione va avanti spedito edè in continua evoluzione. La futuraaffermazione del mercato sino-asiati-co ne cambierà probabilmente i con-notati novecenteschi e occidentalima difficilmente, anche in un futuroremoto, si potrà fare a meno di que-sto fenomeno che, i più pragmatici,stanno imparando a conoscere eregolamentare più che a contestare.La nuova vera sfida, sia per il merca-to che per i cittadini di questo villag-gio globale, sarà quindi quella di ten-tare di massimizzare gli effetti positi-vi di un sistema certamente ancheiniquo ma che, paradossalmente, dàpossibilità di progresso e conoscenzacome mai prima nella storia.

Simone Santucci

La Primavera araba è stata fortemente influenzata da un flusso di comunicazione sempre più globale

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ntro il 2035 non ci sarannoquasi più Paesi poveri. E’un’affermazione forte e unpo’ provocatoria quella fatta

da Bill Gates – che per inciso è unodegli uomini più ricchi del mondo -nella lettera annuale della sua omo-nima fondazione benefica. Secondoil fondatore di Microsoft, nessunadelle 35 nazioni che al momentosono all’ultimo posto nella graduato-ria stilata dalla Banca Mondialequanto a Prodotto Interno Lordo, fra20 anni sarà più così povera.

La letteraNella lettera della Bill & MelindaGates Foundation, si legge tra l’altroche ci sono ancora tre “miti” chebloccano i progressi nella lotta allapovertà: il primo è che i Paesi poverisiano in qualche modo condannati arimanere tali; il secondo è che gli aiutiinternazionali siano nient’altro cheuno spreco di denaro; l’ultimo è chesalvare vite umane contribuisca allasovrappopolazione del Pianeta.Secondo Bill Gates, in sostanza, “laconvinzione che il mondo stia peg-giorando e che non sia possibile risol-vere la povertà estrema e le malattie,non è solo sbagliata: è dannosa”. Equesto perché “secondo quasi qual-siasi dato il mondo è migliore diquanto sia mai stato e, tra due decen-ni, sarà ancora migliore”. In quest’ot-tica gli aiuti esteri sono un “investi-mento fenomenale” che sta trasfor-mando il mondo: "Non solo salvanovite ma gettano le fondamenta perprogressi economici e duraturi”.

Il primo falso mitoIl primo mito da sfatare è quello chei paesi poveri sono condannati arestare poveri. “Non lo sono. Redditi

e altri parametri che misurano ilbenessere sono in aumento quasiovunque, inclusa l'Africa”, afferma-no Bill e Melinda Gates, sottolinean-do che la fotografia globale dellapovertà è stata completamente ridi-segnata e la “nostra previsione è cheentro il 2035 non ci saranno quasipiù Paesi poveri nel Mondo. Sì cisaranno alcuni Paesi ostacolati dallaguerra, dalla realtà politica o dallageografia. Ma ogni paese in Sud

America, Asia, America Centrale e ingran parte dei Paesi africani che siaffacciano sul mare diventerà di red-dito medio, con più dell'80% deiPaesi che avrà un reddito pro-capitepiù alto di quello della Cina oggi. Nel1960, la quasi totalità dell’economiaglobale era in Occidente. Il redditopro capite negli stati uniti era di15.000 dollari/anno. In Asia, Africa eAmerica Latina il reddito pro capiteera molto più basso: Brasile 1982,Cina 928, Botswana 383 e via discor-rendo. Anni dopo, avrei visto questadisparità con i miei occhi. Io eMelinda visitammo Città del Messiconel 1987 e ci stupimmo della povertàessendone testimoni. Non c’eraacqua corrente nella maggior partedelle case, così abbiamo visto perso-

ne percorrere grandi distanze, a piedio in bici, per riempire secchi d’acqua.Oggi, la città è profondamente diver-sa. La sua aria è più pulita che a LosAngeles (che non è il massimo masicuramente migliore del 1987). Cisono grattacieli, nuove strade e pontimoderni. Ci sono ancora Slum ezone povere, ma nel complessoquanto sono tornato ho pensato: ‘Lamaggior parte delle persone rientranella classe media…che miracolo’. Ilreddito pro capite in Turchia e Cile ècome quello degli Stati Uniti nel1960. In Malesia è praticamenteuguale e anche in Gabon. Dal 1960,il reddito pro capite in Cina è cresciu-to di otto volte, quello indiano è qua-druplicato, quello brasiliano è prati-camente quintuplicato e quello delpiccolo stato del Botswana, grazie adun accorto impiego delle sue risorseminerali, è cresciuto di 30 volte.Quindi il modo più facile per rispon-dere al mito “i paesi poveri sonocostretti a rimanere poveri” è fissareun punto: non sono poveri. Molti deipaesi che chiamiamo poveri – pernon dire tutti – hanno oggi una flori-da economia e la percentuale di per-sone realmente povere è quasidimezzata dal 1990. Con questoconcetto ben chiaro in testa, torno aparlare della versione più specifica edannosa di questo mito: ‘Le Tigriasiatiche stanno procedendo bene,ma la vita in Africa non potrà maimigliorare’. Per prima cosa non fatevidire da nessuno che l’Africa è in unacondizione peggiore di quanto fossecinquant’anni fa: il reddito pro-capiteinfatti è cresciuto nell’Africa Sub-Sahariana e in altri paesi. Dopo il tra-collo dovuto dalla crisi degli anniottanta, dal 1998 il reddito pro-capi-te è cresciuto di 2/3 passando da

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“Entro il 2035 nel nostro Pianetanon ci saranno più Paesi poveri”NE È CONVINTO BILL GATES, UNO DEGLI UOMINI PIÙ RICCHI AL MONDO, CHE HA SPIEGATO I MOTIVI NELLA LETTERA ANNUALE ALLA FONDAZIONEBENEFICA CHE HA CREATO INSIEME ALLA MOGLIE MELINDA

Il “guru” di Microsoftsostiene che ci sonoancora tre false creden-ze che bloccano i pro-gressi nella lotta allafame nel mondo: unavolta superate la stradasarà in discesa

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1300 a 2.200 dollari. Oggi, sette delledieci economie in più rapida crescitadegli ultimi cinque anni sono africa-ne. Ergo, sono abbastanza ottimista atal punto da fare una previsione:entro il 2035 non ci saranno più paesipoveri nel mondo. La maggior partedegli stati avranno come abbiamodefinito in precedenza un redditomedio alto o alto. I paesi impareran-no dagli stati vicini e beneficeranno diinnovazioni quali nuovi vaccini, nuovesementi e sviluppo tecnologico”.

Il secondo falso mitoIl secondo falso mito è quello degliaiuti stranieri, che molti ritengonoessere una parte importante dei bud-get dei paesi ricchi. E questo - metto-no in evidenza - non è vero: gli StatiUniti spendono in aiuti esteri menodell'1% e la Norvegia, il paese piùgeneroso, meno del 3%. “Una dellemaggiori lamentele sugli aiuti esteri èche vanno sprecati con la corruzione,ma si tratta di una lamentela cherisale più ai tempi in cui gli aiutierano mirati a conquistare alleati perla Guerra Fredda più che a migliorarele vite. Il problema oggi è molto piùlimitato: possiamo cercare di ridurloancora ma non possiamo eliminarlo,così come non possiamo eliminare glisprechi di ogni programma governa-tivo. Sui giornali spesso si leggonoarticoli in cui vengono generalizzati irisultati degli aiuti umanitari attraver-so pochi esempi, e ciò porta l’opinio-ne pubblica ad avere l’impressioneche gli aiuti non funzionino. Questoaspetto è preoccupante, perchépotrebbe dare ai leader politici unascusa per tagliare i fondi destinatiagli aiuti, comportando un minornumero di vite salvate e dilatando iltempo necessario all’emancipazionedegli Stati bisognosi. Certamenteoffrire aiuti è solo uno dei modi percombattere la povertà e il degrado. IPaesi ricchi devono modificare le loropolitiche, come aprirsi a nuovi merca-ti e diminuire lo sfruttamento agrico-lo, quelli poveri invece devono inve-stire nella Sanità e nello sviluppo deiloro cittadini. Molte persone credonoche gli aiuti umanitari rappresentinouna grande fetta del budget del pro-prio paese. Quando un sondaggista

chiese agli americani quale fosse perloro la percentuale destinata agliaiuti, la maggior parte rispose ‘attor-no al 25%’. La realtà è ben diversa:la Norvegia, la più generosa dellenazioni, destina meno del 3%, men-tre gli Stati Uniti meno dell’1%”.

Il terzo falso mitoIl terzo falso mito è che salvare vite sitraduce in sovrappopolazione. "Èvero l'opposto. Dar vita a societàdove la gente possa godere di unasanità di base, di uguaglianza e diaccesso ai contraccettivi è l'unica

strada verso un mondo sostenibi-le”,aaffermano Bill e Melinda Gates.“Lasciar morire bambini perché nonmuoiano di fame più avanti è senzacuore. E non funziona”. Ma alloraperché aiutare oggi qualcuno che

domani sarà condannato a morire difame? A questa obiezione, più diffusadi quanto si pensi, i coniugi Gatesrispondono che l'alto tasso di natalitànel cosiddetto terzo mondo è unaconseguenza diretta dell'altissimotasso di mortalità infantile. Una mag-giore sopravvivenza tra i bambini chevengono messi al mondo conduceinfatti i genitori ad avere famiglie piùpiccole. I Gates citano come esempioil caso della Thailandia: negli anniSessanta, ogni donna aveva in media6 figli; successivamente, come conse-guenza di politiche di aiuto e tuteladelle famiglia, il tasso di mortalitàinfantile è notevolmente sceso e, allostesso modo, è notevolmente calato ilnumero di figli per donna, attestando-si su una media di 1,6. Un trend ana-logo si è osservato anche in Brasile, adimostrazione del fatto che, quando ibambini sono opportunamente nutri-ti, curati e vaccinati, e i genitori pos-sono fare scelte, previsioni e program-mi partendo dal presupposto che nonli perderanno, il numero di nascite siriduce. Gli aiuti, insomma, devonoandare avanti: attenzione e cura del-l'infanzia e scolarizzazione ed educa-zione delle donne sono le due risorseche salveranno il mondo dalla sovrap-popolazione.

Lo skyline di Nairobi, capitale del Kenia, città che negli ultimi anni si è profondamente modernizzata

In pochi anni le Nazioniche ora vengono consi-derate in via di sviluppopotrenno contare su unreddito medio di buonlivello, superiore a quellodella Cina di oggi

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Economia dell’abbastanza

GESTIRE L’ECONOMIA COME SE DEL FUTURO CI IMPORTASSE QUALCOSA

di Diane Coyle

are sacrifici, ma per ottenere cosa? Gli scenari chesi vanno configurando per l’Italia, come per granparte del mondo che fino a oggi abbiamo definito“ricco”, sono caratterizzati da politiche di rigore

fiscale e austerità nelle spese e nei consumi. Ma più spes-so si parla di sacrifici da “lacrime e sangue”. Come è pos-sibile dare un senso a queste prospettive? Il cambiamen-to più urgente e importante, sostiene l’autrice, è iniziare

a pensare al futuro. Seper le crisi in atto (eco-nomica, finanziaria,ambientale) si volessecercare un tratto d’ori-gine in comune, lo sipotrebbe con certezzaidentificare nell’incre-dibile disprezzo per ildomani, che emergein modo clamorososoprattutto se si guar-da a come viene gesti-ta l’economia.Crearne una sostenibi-le, in cui tutti abbianoil necessario senzacompromettere ilfuturo, non sarà facile.In “Economia dell’ab-

bastanza”, Diane Coyle avvia una profonda riflessione sucome si possa dare inizio a questo cambiamento e suquali siano i primi passi da fare. Prima di formulare dellerisposte, Economia dell’abbastanza ci propone di com-prendere a fondo i nodi, i meccanismi e le contraddizioninel modo in cui fino a oggi è stata gestita l’economia. Ele risposte che arrivano sono chiare e radicali come pochealtre.

È ancora possibile la sostenibilità?

STATE OF THE WORLD 2013

Worldwatch Institute

ancora possibile la sostenibilità?” è questo il titolodel rapporto “State of the World 2013” del presti-gioso Worldwatch Institute. Il rapporto rappresen-ta un volume fortemente consolidato nel panora-

ma della letteratura internazionale sui temi interdiscipli-nari della sostenibilità (ambiente, sviluppo, società, ecolo-gia, economia, tecnologia, ecc.) che viene pubblicato dalnotissimo think tank di Washington, dal 1984. Il titolo delrapporto 2013 è molto significativo e quanto mai attualee tempestivo. Lo stato della relazione tra esseri umani esistemi naturali costituisce infatti la base della nostra

sopravvivenza, delnostro benessere,delle nostre econo-mie e dovrebbecostituire anche ilprimo punto daaffrontare conurgenza nell’agen-da politico econo-mica internaziona-le. L’intreccio tra ilmetabolismo deisistemi naturali equello dei sistemisociali si trova oggiin condizioni diffici-li. Le capacità digestione che siamoo saremo capaci dimettere in campo

per affrontare i gravissimi problemi derivanti dal nostrocrescente e dominante impatto sulle complesse dinami-che e sull’evoluzione dei sistemi naturali ci consentirannoo meno di far sì che la nostra specie possa continuare adesistere sulla crosta di questo straordinario pianeta.

F È

EQUILIBRI

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RAPPORTO AL CLUB DI ROMA - SCENARI GLOBALIPER I PROSSIMI QUARANT’ANNI

di Jorgen Randers

972: su incarico del Club di Roma, un gruppo distudiosi dell’mit pubblica "I Limiti dello svilup-po". Il libro, basato su simulazioni effettuate coni primi elaboratori elettronici, delinea gli effetti

della crescita della popolazione, dei consumi e dell’in-quinamento su un pianeta fisicamente limitato.Dopo decenni di dibattiti sul tema, ormai si ammetteche le conclusioni di quello studio erano corrette. 2012:Jorgen Randers, uno dei coautori de "I limiti dello svi-luppo", fa il punto su quanto è successo e, servendosi diuna quantità impressionante di dati e dei contributi diuna quarantina di esperti di vari settori, prova a delinea-re il futuro globale da qui al 2052.Andamenti demografici ed economici, fonti di energia ecambiamenti climatici, cibo e impatti sulla biodiversità,geopolitica e riserve di minerali: nessun settore è esclu-so, e dall’analisi emergono notizie buone e cattive.Vivremo sempre più nelle città, saremo più connessi ecreativi, e dovremo trovare nuovi modi per gestire le ten-

sioni dovutealle disegua-glianze semprecrescenti.Probabilmentela popolazionenon cresceràquanto previ-sto, con unariduzione degliimpatti sullabiosfera, ma lerinnovabili nonriusciranno ar i m p i a z z a r ecompletamentei combustibilifossili.

Prosperità senza crescita

ECONOMIA PER IL PIANETA REALE

di Tim Jackson

a risposta, quasi unanime, alla crisi economica efinanziaria che negli ultimi tre anni ha investitole economie occidentali è sintetizzabile in dueparole: più crescita. Ma la crescita è sempre la

soluzione?È davvero in grado di produrre benessere e prosperità?Se nessuno nega che lo sviluppo economico sia essen-ziale per le nazioni più povere, una quantità crescente distudi e ricerche dimostra che nei paesi sviluppati la cre-scita a ogni costo porta a una maggiore infelicità e alivelli pericolosi di disuguaglianza. E come se non bastas-se, è sempre più chiaro che gli ecosistemi che consento-

no alle nostre eco-nomie di funziona-re stanno collas-sando sotto il pesodell’“iper consumi-smo”. Prosperitàsenza crescita deli-nea una propostaconcreta di econo-mia sostenibile,l’unica che consen-tirebbe alle societàumane di svilup-parsi nel rispettodei limiti ecologicidel pianeta su cuiviviamo. “Un cam-bio di paradigma,anche economico– spiega nella pre-

fazione il presidente di Slow Food Carlo Petrini - cheperò non ci chiama a stare peggio: ci chiama a staremeglio. Non si tratta di fare grandi sacrifici rinunciandoalla crescita: stiamo pensando a come vivere bene, acome recuperare dai danni compiuti a causa della nostraottusa stupidità”.

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Su Garble creare combinazioni giuste di rifiuti fa guadagnare punteggio ai giocatori

L’educazione ambientale è un giocograzie alla Green League del COOUDOPO IL SUCCESSO DI SCUOLA WEB AMBIENTE IL CONSORZIOLANCIA UN NUOVO PROGETTO DESTINATO AGLI UTENTI DEL WEBCON L’OBIETTIVO DI SENSIBILIZZARE AL RISPETTO DELL’ECOSISTEMA

nire lo svago all’apprendi-mento, collegando in mododiretto le azioni richieste dalgioco al messaggio educati-

vo da trasferire. E’ questo l’obbiettivodi “Green League”, il nuovo progettodel Consorzio Obbligatorio degli OliUsati che prevede un sistema di gio-

chi online finalizzati all’educazioneambientale. Dopo il successo dell’ini-ziativa “Scuola Web Ambiente”, chein tanti anni ha favorito la nascita diuna vera e propria comunità virtualedi giovani che si confrontavano suquesti temi, da quest’anno il COOUpunta a creare un contatto diretto

con adolescenti, teenagers e nonsolo, coinvolgendoli in un gioco onli-ne in grado di parlare il loro stesso lin-guaggio e, nel contempo, di trasmet-tere contenuti formativi e sensibiliz-zare ai temi ambientali.Una volta iscritti singolarmente trami-te il sito www.greenleague.it, i parte-

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ATTUALITÀ DALL’ESTEROEDITORIALE LIBRI COOUINTERVENTIPRIMA PAGINA

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cipanti saranno gradualmenteincentivati ad aggregarsi in grup-pi, metafora di piccole comunitàche per esistere consumano risor-se. Scopo del gioco è contrastarequesta tendenza, rigenerando ediminuendo le risorse utilizzate. Ipunteggi conseguiti nelle proveindividuali e collettive, affrontatelungo tutto l’arco temporale del-l’iniziativa che si concluderà nelmese di maggio, saranno regi-strati in due classifiche, una pergli individui e l'altra per i gruppi,con un sistema premiante checonsentirà di guadagnare statustra i partecipanti alla competizio-ne. Durante il gioco, i ragazziriceveranno suggerimenti, pilloleinformative, quesiti e curiosità riguar-do ai comportamenti corretti nellagestione dei rifiuti. Durante la mani-festazione “Ecomondo” di Rimini, loscorso mese di novembre, “GreenLeague” è stato presentato al mini-stro dell’Ambiente Andrea Orlando,che è diventato il primo giocatore diun progetto che nei primi mesi di vitaha già conquistato migliaia di appas-sionati.

“Garble”“Green League” prevede un sistemadi otto giochi che saranno gradual-mente messi online nel corso dell’an-no. “Garble” è stato il primo giocoche ha messo alla prova gli utenti conl’obiettivo di sensibilizzarli e informar-li sul tema della raccolta differenziata.Partita dopo partita, infatti, diventasempre più evidente che creare lecombinazioni giuste di rifiuti fa gua-dagnare punti. L'obiettivo di“Garble” è contribuire a consolidarenei giocatori la consapevolezza del-l’importanza di una corretta raccoltadifferenziata, che è uno dei temi cen-trali nella difesa dell'ambiente e neldibattito pubblico collegato. Per lasua realizzazione ci si è ispirati a gio-chi di grande successo come“Bejuweled” e “Candy Crush”: ledinamiche altamente coinvolgenti diquesti grandi classici assicuranoanche a “Garble” una giocabilità pra-ticamente infinita unita alla possibilitàconcreta di trasferire il messaggioeducativo alla base del progetto

Green League. Lo scopo del gioco èspostare i rifiuti sulla griglia per crea-re combinazioni di almeno 3 elemen-ti uguali. Quando ciò avviene, i rifiutiche sono stati spostati scompaiono egli altri si ridispongono per occuparegli spazi rimasti liberi sulla griglia.Ogni giocatore ha a disposizione 8oggetti che appartengono a 3 diversetipologie di rifiuti: imballaggi (carto-ne, lattine, plastica, vetro), indifferen-ziato (torsolo di mela) o rifiuti specia-li (batterie auto, fusto di olio motore,apparecchiature elettroniche).Creando sequenze di combinazioniche appartengono alla stessa catego-ria si ottengono dei bonus di punteg-gio, ma si possono conquistare bonuse moltiplicatori anche giocando piùvelocemente, o creando elementistella, combinazioni da 4 (Fireball) oda 5 (Hypercube) che daranno poterispeciali.

"Garbage Man"Anche “Garbage Man", il secondogioco caricato online, punta a sensi-bilizzare i giocatori al concetto dellaraccolta differenziata. L'ispirazionestavolta proviene dal famoso "PaperToss", il gioco in cui si devono lancia-re palline di carta in un cestino.L'adattamento del gioco al tema prin-cipale di “Green League” prevede piùcontenitori e diverse tipologie di rifiu-ti da smaltire. Ancora una volta vieneproposto attraverso un gioco diver-tente e coinvolgente un messaggio digrande importanza per l'ambiente.L'obiettivo del gioco è lanciare il mag-gior numero possibile di rifiuti dentro

i contenitori corretti entro limitedi tempo disponibile. Ogni lancionel contenitore giusto consentedi accumulare punti, mentresequenze di lanci andati a buonfine consentono di ottenere deibonus (moltiplicatori che vengo-no applicati al punteggio base) edi sbloccare i livelli superiori(medio e difficile). Tutti inizieran-no a giocare dal livello più facilema per passare ai livelli successivisarà necessario registrarsi. I livellimedio e difficile si differenzianotra loro e da quello facile per ladistanza dei contenitori.

“Lampman”A differenza dei primi due giochi,“Lampman” – appena lanciato inRete - vuole sensibilizzare gli utenti alrisparmio energetico. Il gioco si rifà aquello che probabilmente è uno deivideogame più famosi di tutti i tempi:Pacman. In “Lampman” il giocatorecontrolla una creatura che deve muo-versi in un labirinto mangiando (spe-gnendo) delle lampadine accesementre alcuni perfidi fantasmini gira-no nel labirinto riaccendendole.Quando Lampman riesce a mangiare(spegnere) delle apparecchiature piùgrandi che consumano più delle lam-padine, i fantasmini per alcuni secon-di diventano alleati e anche lorospengono le lampadine. Ma una voltafinito l’effetto dimenticano il compor-tamento “virtuoso” e ricomincianoad andare in giro lasciando le lampa-dine accese. Lo scopo del gioco èspegnere il maggior numero di lam-padine possibili senza farsi mai tocca-re da un fantasmino. Anche in questocaso ci sono diversi livelli che si sbloc-cano facendo un certo numero dipunti al livello più basso e solo quan-do si gioca da registrati. I livelli piùdifficili si differenziano da quello faci-le per il numero di fantasmini e per ipunteggi attribuiti ogni volta che sispegne una lampadina. Alla fine diogni partita, come di consueto, vieneproposta una domanda che consentedi incrementare del 10% il punteggioconseguito e che, se il giocatore èregistrato, determina l’attribuzione dipunti green da aggiungere nella clas-sifica generale.

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