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La Cina Che verrà - TopLegal Cina che verra.pdf · la Cina è stato nel complesso positivo: il PIL...

Date post: 09-Aug-2020
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LA CINA CHE VERRà Analisi del 12° Piano Quinquennale (2011-2015) per orientare gli investimenti esteri oltre la Grande Muraglia a cura di Giampaolo Naronte Partner Shanghai Office - Studio Legale Zunarelli e Associati in collaborazione con
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La Cina Che verrà

analisi del 12° Piano Quinquennale (2011-2015) per orientare gli investimenti esteri oltre la Grande Muraglia

a cura diGiampaolo naronte

Partner Shanghai Office - Studio Legale Zunarelli e Associati

in collaborazione con

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A cura di Studio Legale Zunarelli e Associati

TopLegaLII

abstraCt

Mentre le democrazie Occidentali faticano ad arginare la prima crisi economica provocata dalla globalizzazione, la Cina ne ha contenuto l’impatto e ha addirittura sfruttato la contra-zione della domanda estera per avviare importanti riforme sociali ed economiche.

Il 2011, archiviato dalla maggior parte dei Paesi Occidentali come annus horribilis, per la Cina è stato nel complesso positivo: il PIL è cresciuto del 9,5% e gli investimenti diretti esteri (ora IDE) hanno mantenuto un moderato incremento (10%).

Non sono mancati elementi negativi tra cui spiccano la crescita dell’inflazione (6,5%) e la riduzione della produzione interna (conseguenza dall’incremento del prezzo delle materie prime che hanno reso i prodotti made in China meno competitivi rispetto al passato), pro-vocati più dalla difficoltà del contesto generale che da debolezze interne del Paese.

L’impasse in cui si trovano gli Stati Uniti ha fatto lievitare le azioni della Cina chiamata a dimostrare di possedere sia i numeri ma soprattutto le qualità per rivestire la posizione di Paese leader non solo dell’area Asiatica ma del contesto globale.

Questo ambizioso obiettivo è il fil rouge che lega le Riforme sociali, giuridiche ed econo-miche realizzate dal Legislatore Cinese negli ultimi lustri; sebbene la Cina ci abbia abituato a cambiamenti repentini (talvolta anche violenti), le più recenti Riforme hanno accelerato il mutamento dello scenario Cinese rendendo indispensabile individuare i key factors che costituiranno il driver della crescita del Paese.

Un utile strumento per conoscere la “Cina che verrà” è il Piano Quinquennale (di seguito il “Piano”), documento ufficiale nel quale periodicamente il Governo di Pechino indica i propri obiettivi politici ed economici a livello statale e regionale.

L’ultimo Piano relativo al periodo 2011-2015 si distingue dai precedenti per la ferma vo-lontà della classe politica Cinese di privilegiare la qualità dello sviluppo rispetto alla quan-tità della crescita. La sostenibilità, fulcro dell’intero Documento, rappresenta un elemento di discontinuità rispetto al passato e declinandosi nella sostenibilità ambientale, sociale, economica e politica, costituisce il trait d’union che unisce gli obiettivi politici a quelli economici indicati dal Governo di Pechino.

Emerge con chiarezza che la leadership Cinese, abbandonati i proclami demagogici privi di reale significato, voglia attraverso il Piano bilanciare i rapporti tra i principali elementi della domanda aggregata (consumi, investimenti ed esportazioni) fattore di impulso per la crescita del Paese.

La Cina del futuro inizia da qui.

indiCe

Introduzione ..................................................................................................................................... III1. Il Catalogo per gli Investimenti Esteri ................................................................................... IV 1.1. Le modifiche al Catalogo .................................................................................................... V2. Il 12° Piano Quinquennale: gli obiettivi “politici”. ...............................................................VI3. Gli obiettivi “economici” ..........................................................................................................VI4. Considerazioni conclusive .........................................................................................................XI

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TopLegaL III

introduzione

Nei prossimi anni la crescita dell’economia cinese non dovrebbe subire flessioni, anche se la rivaluta-zione dello yuan e l’aumento dei costi rappresenteranno un elemento di sfida per la redditività delle aziende straniere.

La Cina si sta affrancando dal ruolo di “world’s factory”, proponendosi come mercato di sbocco per beni e servizi ad alto valore aggiunto: sta progressivamente sbiadendo l’immagine del Paese sporco di carbone e di ruggine che produce, esporta e lascia le briciole alla concorrenza Occidentale, crean-dosi un alibi (di tutto rispetto) di fronte alle accuse di dumping sociale ed economico che le piovono addosso da tutto il Mondo. Infatti secondo i dati emersi da un’indagine commissionata dalla Asian Development Bank tra il 2002 ed il 2009 il ruolo di “padrona del vapore” della Cina aveva migliorato le condizioni socio-economiche dell’intera area del sud-est asiatico, contribuendo a ridurre drastica-mente il numero delle persone che vivono al di sotto della soglia minima di sopravvivenza.

Eppure la stessa Cina poco più di un quarto di secolo fa era considerata un Paese in via di sviluppo: il sistema economico era pianificato secondo il modello sovietico, la maggior parte delle imprese cinesi era controllata dallo Stato o collettivizzata; i rapporti con gli Stati stranieri erano inesistenti.

Alla fine degli anni ’70 il governo cinese cambiò rotta: per dare impulso ad un sistema caratte-rizzato da gravi inefficienze economiche furono adottate politiche che miravano a promuovere la localizzazione delle imprese ad alta tecnologia. Il PIL cinese è cresciuto in media del 5% tra il 1960 ed il 1978 ed è aumentato di quasi il doppio (cioè il 9%) nel ventennio successivo all’inizio del periodo delle grandi riforme (1979-1999).

La crescita del sistema cinese presentava preoccupanti coni d’ombra: l’economista Wang Hui scrisse che «oltre il 60% della popolazione vive ancora nelle campagne ed ha beneficiato solo in mini-ma parte dello sviluppo della Cina; si sono invece accentuate le differenze tra i poveri ed i ricchi, tra città e campagne. L’idea secondo cui tutti avrebbero tratto vantaggio dalle riforme, ha perso credibi-lità e si sta diffondendo un senso di insicurezza a livello sociale» che provoca la nascita di movimenti di protesta sociale.

Rispetto a quanto accadde nel 1989, oggi la protesta si concentra sui problemi della vita quotidia-na: i contadini cinesi lamentano di essere costretti ad abbandonare le loro case per lasciare spazio alla costruzione di dighe; le condizioni degli operai sono peggiorate e la disoccupazione è aumentata per effetto della progressiva dismissione delle industrie di Stato.

Rispetto al passato, oggi l’accesso al mercato cinese non è agevole neppure per i grandi marchi stra-nieri a causa dell’elevato livello di competitività del tessuto imprenditoriale Cinese che, sostenuto dalle politiche governative ad hoc e protetto dalle barriere non tariffarie, negli ultimi anni è cresciuto ed ha conquistato mercati in passato esclusivo appannaggio delle multinazionali giapponesi e coreane.

La principale sfida che la Cina dovrà superare consiste nel porre rimedio agli errori commessi in passato, come ha dichiarato senza mezzi termini il Premier Wen Jiabao nel discorso di chiusura dei lavori dell’Assemblea Nazionale del Popolo nel corso dei quali è stato approvato l’ultimo Piano Quinquennale:

“the lowering of the GDO target (to 7%) not only demonstrates the government’s determination but also indicates a major move to transform the country’s economic growth pattern. We should make full use of this opportunity to adjust the economic growth pattern and address the unbalanced, uncoordi-nated and unsustainable factors that have existed in China’s economy for a long time”.

Il Piano individua sette specifici settori che definisce “emergenti”, cioè strategici per assicurare una crescita armoniosa e sostenibile del Paese: protezione ambientale, information technology, bio-tecnologie, prodotti high-end, macchinari con energie alternative, modernizzazione dell’agricoltura, sistema dei trasporti ed economia del mare).

I suddetti settori corrispondono ad altrettante macro-aree sulle quali dovrebbe concentrarsi l’at-tenzione delle nostre imprese, dal momento che rappresentano segmenti produttivi che il Governo Cinese sosterrà con politiche preferenziali e soprattutto con agevolazioni di natura fiscale.

A conferma della volontà della classe politica Cinese di “indirizzare” preferibilmente gli IDE verso i settori “emergenti” sopra indicati pochi mesi pochi mesi dopo l’approvazione del Piano il Consiglio di Stato Cinese ha modificato la composizione delle categorie in cui e’ suddiviso il Catalogo degli In-vestimenti Esteri (ora il Catalogo) allo scopo di assecondare il suddetto Documento con gli obiettivi politici ed economici indicati nel Piano.

L’analisi del Piano non può prescindere dalla disamina del Catalogo, che ne rappresenta l’ideale complemento.

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TopLegaLIV

i. iL CataLoGo Per GLi investiMenti esteri

La Legge Cinese ha storicamente limitato (o condiziona-to) l’accesso degli investitori esteri al mercato locale: an-cora oggi, a trent’anni dall’inizio della Politica della Porta Aperta, in alcuni settori gli stranieri possono investire solo costituendo una joint venture con un partner locale. La ragione di queste limitazioni va ricercata nel Catalogo per gli Investimenti Esteri, documento redatto dal Consiglio di Stato Cinese che detiene il Potere Esecutivo.

Il Catalogo distingue gli IDE, secondo i settori e attività, in tre categorie: incoraggiati, limitati e vietati (la quarta ca-

tegoria - investimenti permessi - non è esplicitamente indi-cata ma si ricava per esclusione).

La medesima macro area può rientrare in categorie di-verse dal momento che la suddivisione effettuata nel Cata-logo non si riferisce al segmento produttivo in quanto tale ma ai singoli settori e/o attività che lo compongono: per questa ragione l’industria leggera compare, ad esempio, sia nella categoria degli investimenti “vietati” (in cui si riferi-sce alle attività come l’incisione dell’avorio o la produzione di articoli in porcellana) sia tra gli investimenti “ristretti” (in cui comprende la produzione di lavatrici e compressori per impianti ad aria condizionata).

INCORAGGIATI VIETATI RISTRETTI

Agricoltura, foreste pesca Industria leggera1 Industria leggera2

Industria leggera Strutture pubbliche urbane Industria tessile3

Industria tessile Agricoltura, foreste, pesca Petrolchimica4

Comunicazione, poste Estrazione rifinitura ed industria mineraria Industria trasporti

Industria elettrica Contrattazioni di borsa Metalli non ferrosi

Siderurgia Radiotrasmissioni Materiale per edilizia

Industria metallic Industria cinematografica Industria navale

Petrolio e chimica Giornalismo Commercio interno

Costruzioni meccaniche Armamenti militari Commercio estero

Industria elettronica Varie Industria finanziaria

Materiali per edilizia Varie

Industria farmaceutica

Attrezzature mediche

Aerospaziale

Nuove industrie

1. Sono vietati i settori dell’industria leggera dell’incisione dell’avorio, lavorazione di ossa di tigre, tappeti fatti a mano, articoli prodotti utilizzando perle o gemme o altri prodotti simili, articoli in porcellana blu e bianca.

2. La categoria dell’industria leggera “ristretta” comprende la produzione di lavatrici, frigoriferi, compressori per impianti di aria condizionata

3. Comprende il filo di cascame e la fibra adesiva

4. Rientrano nella categoria la produzione di materiale fotosensibile, la benzidina, soda caustica, materiali grezzi con fibre sintetiche

Catalogo per gli Investimenti Esteri (aggiornato al 24 dicembre 2011)

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TopLegaL V

Il periodico aggiornamento del Catalogo è principalmente finalizzato l’adeguamento agli obiettivi posti dai vari Piani Quinquennali. Nondimeno il Catalogo si è rivelato un utile strumento per consentire al Governo Cinese di raggiungere ulteriori obiettivi:

a. modificando opportunamente la categoria degli investimenti “vietati” si è precluso ai concorrenti stranieri di accedere a taluni segmenti di mercato, consentendo solo all’imprenditoria locale di cresce-re e svilupparsi;

b. assecondare la Go West Policy qualificando come “incoraggiati” gli IDE realizzati nelle zone sottosvi-luppate dell’entroterra.

1.1 Le modifiche al Catalogo del 24 dicembre 2011Tra il 2007 e il 2010 la Cina ha emanato molti regolamenti e normative per sostenere lo sviluppo di società, marchi e tecnologie made in China e renderli competitivi a livello in-ternazionale.

Nello stesso tempo si è registrato un incremento del nazio-nalismo e del protezionismo: sebbene nel 2007 la Cina avesse ultimato il processo di implementazione degli impegni presi nei confronti dell’Organizzazione Mondiale del Commercio per uniformare il Paese agli standard imposti dalla comunità internazionale (riduzione dei dazi, aumento della trasparen-za, uniformità giuridico-economica....) l’accesso a specifici settori industriali (ad es. automotive, agricoltura, petrolchi-mica) resta ancora oggi ostacolato dalle barriere non tarif-farie mantenute allo scopo di proteggere e avvantaggiare le aziende cinesi rispetto a quelle straniere.

L’accesso agli IDE sul mercato Cinese si è progressivamen-te ristretto per effetto di un irrigidimento delle normative di settore e per l’introduzione di sistemi di certificazione della qualità in settori, come il food&beverage e l’abbigliamento, che rappresentano due storici settori di punta delle esporta-zioni italiane.

La scelta di “selezionare” gli IDE rappresenta un’inversio-ne di tendenza rispetto alle linee guida su cui ruotava la Poli-tica della Porta Aperta (efficacemente sintetizzata nel famo-so aforisma “non importa il colore del gatto, purché prenda i topi”), frutto della convinzione sempre più diffusa in Cina che gli IDE abbiano esaurito il loro ruolo di catalizzatori del-lo sviluppo e si debba ridurre la dipendenza cinese dagli in-vestimenti e dalla tecnologia straniera.

La tendenza ad attrarre solo IDE di elevata qualità è con-fermata dalle modifiche del 24 dicembre 2011 al Catalogo (in vigore dal 30 gennaio 2012) di seguito sintetizzate:

1. le piantagioni di caffè sono incoraggiate, mentre sono ristrette quelle di cotone e sono proibite le coltivazio-ni di OGM;

2. nel settore minerario sono incoraggiate l’estrazione di ferro e manganese e sono proibite le attività estrat-tive di diamanti, litio, pirite o di minerali non ferrosi;

3. nel settore manifatturiero sono incoraggiati gli IDE per componentistica auto e aerospaziale, ricerca di carburanti alternativi e tecnologie per la protezione

ambientale; 4. nell’ottica dello sviluppo del mercato Made in China

sono declassati dalla categoria “incoraggiati” a quella “permessi” gli investimenti esteri relativi alla produ-zione di autoveicoli completi;

5. alcuni settori del terziario collegati alla protezione ambientale sono considerati incoraggiati (es. costru-zione di stazioni per la ricarica di veicoli elettrici, produzione di pellicole per pannelli solari, costruzio-ne di impianti per il trattamento delle acque, servizi di consulenza logistica, servizi a tutela degli IPR e servizi di formazione professionale);

6. le società finanziarie come le banche, le società mo-biliari e quelle fiduciarie restano confinate tra gli in-vestimenti ristretti;

7. per scongiurare il pericolo di una bolla immobilia-re, gli investimenti per la costruzione di ville di lus-so sono retrocessi nella categoria degli investimenti proibiti.

Le recenti modifiche, oltre a ribadire la volontà Gover-nativa di affrancare il Paese dalle attività labour intensive, conferma l’importanza centrale attribuita alla “salubrità” dell’ambiente e il ruolo di primo piano che rivestono le atti-vità ed i servizi in grado di assicurare questo risultato (ad es. tecniche di produzione a basso impatto ambientale, ricerca di fonti alternative di energia…), in cui il nostro Paese espri-me vere e proprie eccellenze.

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ii. iL 12° Piano QuinQuennaLe (2011-2015). GLi obiettivi “PoLitiCi”

Gli obiettivi indicati nel Piano Quinquennale si distinguo-no in due categorie: politici e socio-economici.

Il prioritario obiettivo politico consiste nel riparare il grave danno sociale e ambientale provocato da un venten-nio di crescita incontrollata e indirizzare la Cina verso un modello sostenibile senza che ciò rallenti lo sviluppo del Paese.

La ricchezza prodotta in Cina dall’impetuoso sviluppo dell’ultimo quarto di secolo non si è distribuita in modo omogeneo nel Paese poiché gli IDE si sono quasi totalmen-te concentrati sulla fascia costiera, tradizionalmente più ricca, acuendo – anziché ridurre – le differenze di qualità della vita tra le campagne e le città.

L’impoverimento delle campagne, le migrazioni dei la-voratori verso le città e la crescente urbanizzazione sono fenomeni tipici della “rivoluzione industriale”. Mentre in Europa questa trasformazione ha impiegato circa 140 anni, in Cina si è realizzata in poco più un quarto di secolo ge-nerando un profondo disagio sociale che Pechino deve af-frontare e risolvere.

La Politica della Porta Aperta voluta da Deng Xiao Ping alla fine degli anni Settanta, basata sul massiccio afflusso di IDE verso le zone costiere (attratti dalle esenzioni fiscali che il Governo Cinese assicurava agli stranieri che inve-stivano all’interno delle ZES, Zone Economiche Speciali e dalle) rappresentava una scelta obbligata per condurre il Paese al di fuori della gravissima crisi socio-economica provocata dalla dominazione maoista.

I principali danni provocati dalla crescita incontrollata del sistema economico e produttivo cinese si possono com-pendiare nei seguenti punti:

a) aumento delle tensioni sociali tra i contadini e la popolazione urbana;

b) progressivo abbandono delle zone rurali (secondo le stime rese note dal Governo Cinese ogni anno 30 milioni di contadini lasciano le campagne e si dirigono verso le città della fascia costiera alla ri-cerca di un lavoro) con negative ricadute sulla pro-

duzione di beni di consumo che la Cina è costretta ad acquistare dall’estero;

c) ampliamento delle aree urbane che “riduce” i terre-ni coltivabili e pone seri problemi di governance di strutture urbane sempre più ampie.

Le principali Riforme attuate in Cina negli ultimi anni, pur cercando di favorire una crescita “bilanciata” del Pae-se, non hanno colto nel segno: la Riforma Fiscale del 2007 (che abolisce il sistema fiscale dualistico, sottoponendo le società estere e quelle cinesi al medesimi trattamento fisca-le) mirava ad attrarre gli IDE verso l’entroterra mediante agevolazioni dette “territoriali” (perché garantivano sgra-vi fiscali solo agli investimenti realizzati nelle zone rurali) ignorando che l’azienda straniera preferiva rinunziare al benefit fiscale piuttosto che sopportare il maggior costo correlato all’arretratezza di infrastrutture e personale delle zone rurali.

Anche la Riforma del Diritto del Lavoro (2008) pur aven-do di fatto abolito il sistema “hukou” e lo sfruttamento dei migrant workers che ne conseguiva, non è riuscita ad ap-pianare le differenze di status tra lavoratori “rurali” e quelli “urbani”.

Il 12° Piano Quinquennale intende quindi raggiungere obiettivi finora rimasti semplici desiderata: lo scopo prio-ritario è indirizzare il Paese verso un “modello sostenibile”.

In un’ampia visione dell’Ambiente la “salubrità del luogo di lavoro” non rappresenta solo la conditio sine qua non per accedere ai mercati esteri ma induce a rimeditare la gover-nance societaria ispirandosi ai principi della Corporate So-cial Responsibility (ora “CSR”).

iii. GLi obiettivi “eConoMiCi”

La crescita armoniosa della Cina passa anche attraverso il raggiungimento di obiettivi economici, tra cui rivestono un ruolo strategico:

a) l’aumento della domanda interna e il coevo affranca-mento della produzione locale dagli IDE; b) la soft landing del settore immobiliare Cinese; c) la protezione dell’am-biente; d) il rafforzamento del ruolo dello yuan negli scam-bi internazionali.

a) aumento della domanda interna Per ridurre la dipendenza dell’economia cinese dalle espor-tazioni negli ultimi anni il Governo di Pechino ha adottato una serie di misure destinate ad incrementare i salari ed incentivare la spesa privata.

Secondo il Piano i consumi interni rappresentano un driver essenziale per la crescita economica sostenibile; nel Settembre 2011 è entrata in vigore una Legge che aumenta la soglia minima del reddito personale tassabile da 2.000 RMB (circa 200 USD) a 3.500 RMB (circa 350 USD) al mese: il Ministero delle Imposte Cinese prevede che i con-©

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TopLegaL VII

tribuenti utilizzeranno le somme non versate allo Stato per acquistare beni di consumo.

Il minor gettito per le casse dell’Erario Cinese sarà bi-lanciato dalla maggior pressione fiscale sulle SOE (le State Owned Enterprises, società a capitale interamente detenu-to dallo Stato Cinese).

Nell’approcciare il mercato cinese, le società straniere devono preventivamente valutare l’adeguatezza delle loro strategie ad un contesto diverso rispetto a quello Occiden-tale; un ulteriore elemento che deve essere attentamente ponderato è dato dalla crescente livello di competitività espresso dai produttori locali che emergono soprattutto settori degli alimenti confezionati, bevande a base di the, energy drinks, prodotti per l’infanzia, cura della persona, elettronica, abbigliamento e calzature.

I produttori stranieri dovranno orientarsi in un comples-so scenario compreso tra una soglia minima presidiata dai prodotti made in China (di buona qualità e basso prezzo) ed una massima rappresentata dalla sempre più “raffinata” do-manda dei consumatori Cinesi verso beni di importazione di fascia medio-alta.

L’attuale dinamica del mercato cinese ha permesso alle società cinesi (sia private che statali) di diventare più com-petitive anche grazie ad uno stile di management flessibile in netto contrasto rispetto ai lenti processi decisionali che spesso caratterizzano le realtà straniere presenti in Cina.

Non certo secondario è il vantaggio che le società do-mestiche traggono dall’azione di Governo che si articola in trattamenti preferenziali, sussidi diretti ed indiretti, bar-riere non tariffarie volte a limitare o bloccare l’accesso dei competitors stranieri più forti in determinati segmenti di mercato.

Nell’attuale contesto globale, caratterizzato da incer-tezze politiche e gravi difficoltà economiche, la Cina rap-presenta per le aziende straniere un “porto sicuro” dal mo-mento che la costante crescita economica si coniuga con le certezze di stabilità che promanano da un sistema politico monolitico.

Sebbene nei settori considerati strategici dal Piano il no-stro Paese esprima vere e proprie eccellenze, la concreta possibilità di consolidare il ruolo dell’Italia oltre la Grande Muraglia dipenderà dalla capacità delle nostre aziende di adottare politiche di marketing innovative, dotarsi di un management che abbia alle spalle un’esperienza significa-tiva del mercato locale e sappia assecondare (o ancor me-glio anticipare) le scelte del consumer Cinese facendo leva sull’indiscusso appeal di cui gode il Made in Italy.

Alla luce degli obiettivi indicati nel Piano, le maggiori opportunità che le imprese nostrane possono trarre dal new deal Cinese sono essenzialmente due:

a. la prima consiste nel porsi in concorrenza con i pro-duttori locali; questa scelta richiede la capacità di dotarsi di un sistema distributivo a basso costo e implica una delocalizzazione verso le città di secon-da e terza fascia;

b. la seconda implica un distacco dal mercato “di mas-

sa” concentrando l’attenzione sul segmento high-end (cioè di fascia alta) rivolto alla fascia di consu-matori cinesi di reddito medio (superiore a 12.000 USD annui) che nei prossimi 10 anni passerà dagli attuali 10 milioni a 100 milioni di persone. Anche se il settore high-end rientra tra quelli “emergenti” secondo il Piano, posizionarsi in questo segmento è difficile dal momento che il consumatore cinese è ancora attratto dalla “notorietà” del marchio più che dalla qualità intrinseca del prodotto. Sebbene il settore high-end riguardi quasi esclusivamente pro-dotti di importazione che non risentono della con-correnza cinese (concentrata quasi esclusivamente sui beni “di massa” indicati nella precedente lettera) per avere successo occorre un’accurata strategia che garantisca un buon rapporto qualità/prezzo e un’ef-ficace attività di marketing.

b) La soft landing del settore immobiliareDa molti anni si parla in Cina di una “bolla immobiliare” che rischia di scoppiare da un momento all’altro. L’opale-scenza del mercato immobiliare e l’approssimazione della disciplina giuridica ha favorito una situazione in cui mi-gliaia di appartamenti sono venduti e rivenduti sempre sul-la carta. La gente comune vende la casa ed utilizza il rica-vato per l’acquisto a leva, indebitandosi con un mutuo, di altri appartamenti. Alla fine del 2008 a Shanghai tre quarti dei prestiti erogati erano destinati al settore immobiliare, la quota di progetti immobiliari finanziata dalle banche era l’80% dei valori presunti di vendita ed i mutui rappresenta-vano il 48% dei crediti a medio e lungo termine.

Per scongiurare il pericolo che si ripetesse ciò che era avvenuto in Giappone alla fine degli anni Novanta, il Go-verno Cinese ha esercitato forti pressioni sulle banche af-finché restringessero i finanziamenti concessi alle società di costruzione.

Dal 2009 ad oggi Pechino ha approvato diversi pacchetti di misure restrittive (tra cui spicca la property tax applicata in via sperimentale dalla seconda metà del 2011 agli acqui-sti immobiliari realizzati nelle municipalità di Shanghai e Chongqing) che non hanno però sortito il risultato sperato.

Per raffreddare il settore del real estate non basta infatti introdurre limiti o divieti alle vendite ma occorre imporre una soluzione “a monte” che, con specifico riferimento al mercato cinese, è rappresentata da strumenti di investi-mento del risparmio privato alternativi all’acquisto di un immobile.

In vista di questo obiettivo vanno lette la Riforma Banca-ria del 2009 e soprattutto la Social Insurance Law (ora SIL) del 2011 che per la prima volta disciplina in modo strut-turato il sistema previdenziale cinese gettando le basi per introdurre strumenti di investimento come le polizze di risparmio forzoso che si porranno come valide alternative all’acquisto immobiliare per far rendere il denaro.

La SIL non riguarda solo il campo del Diritto del Lavoro ma in termini più ampi rispecchia la volontà della classe

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TopLegaLVIII

politica Cinese di introdurre strumenti previdenziali desti-nati a soddisfare le esigenze della persona nel periodo in cui essa non sarà più in grado di svolgere un’attività lavorativa retribuita.

L’esigenza di dotarsi di un strumenti previdenziali strut-turati richiederà un intervento delle principali realtà stra-niere nel campo assicurativo (Generali e Azimut) e banca-rio (Intesa San Paolo) a cui sarà richiesto di prestare attività di consulenza e affiancare il personale locale consentendo-gli di raggiungere un livello di professionalità che permetta di soddisfare una domanda sempre più strutturata.

A cavallo tra il potenziamento della domanda interna e il raffreddamento del real estate si pone la scelta politica di favorire la crescita e l’afflusso di IDE nelle città di se-conda e di terza fascia che rappresenta uno degli obiettivi del Piano.

c) La tutela dell’ambiente naturale Lo straordinario sviluppo economico sperimentato dalla Cina nel corso degli ultimi 30 anni fu alimentato dall’af-fannosa ricerca del profitto supportata dalla convinzione (rivelatasi ex posto parzialmente erronea) che la ricchezza cosi’ prodotta si sarebbe distribuita in modo omogeneo nel Paese.

Nell’attuale fase di profonda revisione (anche critica) del passato la Cina si e’ resa conto che la crescita econo-mica incontrollata o governata da regole opalescenti non ha solo provocato ingenti danni economici ma ha acuito le differenze di qualità della vita tra le zone rurali e la fascia costiera, contribuendo ad alimentare lo sviluppo di un dif-fuso disagio sociale che rappresenta una pericolosa fonte di instabilità.

Non bisogna dimenticare che le ZES (Zone Economiche Speciali) e le agevolazioni fiscali concesse dal Governo Ci-nese contribuirono ad attrarre gli IDE nella Cina post ma-oista, ma una vis attractiva altrettanto forte fu esercitata sugli investitori stranieri dai seguenti fattori:

1. Il basso costo della manodopera locale (in gran par-te ottenuto grazie alla mancanza di adeguate forme di minima tutela dei diritti del lavoratore);

2. L’atteggiamento accondiscendente delle Autorità Cinesi (non di rado disposte a chiudere un occhio anche sulle pratiche illegali per non scoraggiare gli IDE);

3. La scarsa attenzione riposta sulle conseguenze ne-gative provocate sul tessuto sociale da una produ-zione industriale ad elevato impatto ambientale.

Per alcuni aspetti si potrebbe affermare che la Cina attua-le non sia così diversa rispetto a quella pre-industriale del periodo maoista: ora come allora l’environmental pollution rappresenta un grave problema, i contadini continuano ad abbandonare le campagne e le zone rurali sottosviluppate per cercare un lavoro nelle città della fascia costiera, il Pae-se (a causa della migrazione dei contadini e del conseguen-te ampliamento dei centri urbani che “consumano” ogni anno terreni coltivabili) assiste inerme all’aggravamento

del problema delle risorse alimentari inadeguate a soddi-sfare la domanda di una popolazione in costante crescita.

La principale differenza tra le realtà sopra descritte è rappresentata dalla circolazione delle informazioni e noti-zie che caratterizza solo la Cina contemporanea: ai tempi di Mao i mass media ed i pochi mezzi di comunicazione erano esclusivo appannaggio del potere politico che li utilizzava per plagiare le menti delle masse e consolidare l’immagine “sovrannaturale” del Grande Timoniere.

Oggi la rete e i moderni strumenti di comunicazione age-volano la circolazione delle notizie (dall’ecatombe di mina-tori costretti a lavorare nelle miniere illegali fino al costo sociale occorrente per fronteggiare le malattie provocate dall’insalubrità dell’ambiente) obbligando la classe politica a fornire alla popolazione risposte precise e chiare.

La circolazione delle informazioni (che il Governo riesce a frenare e/o contenere solo in parte) favorisce il confron-to sociale, portando alla luce del sole le contraddizioni e le criticità del Paese.

Il Governo di Pechino è consapevole di non poter gesti-re un’altra Tien An Men, dal momento che oggi un evento analogo provocherebbe un crollo verticale dell’immagine e della credibilità che la Cina, con molta fatica, sta cercando di conquistarsi a livello internazionale.

Se in passato le autorità Cinesi chiudevano un occhio sugli abusi commessi dalle imprese per non scoraggiare l’attività industriale che veicolava ricchezza all’interno del Paese oggi la situazione è profondamente cambiata: un ter-zo degli obiettivi socio-economici del Piano è caratterizza-to da una stretta relazione tra risorse naturali e questioni ambientali.

L’uso ripetuto dei termini “ambientale”, “rinnovabile” e “verde” ha contribuito a diffondere la convinzione che il 12° Piano sia il Documento più “eco-friendly” della storia Cinese.

Nel 2009 il Consiglio di Stato Cinese ha promulgato le Implementing Rules alla PRC Environmental Protection Law che per la prima volta coinvolgono la popolazione ci-nese nelle questioni ambientali, mediante uno strumento (la “segnalazione”) con cui ogni cittadino può denunziare alle autorità le società cinesi o straniere operanti nei settori produttivi ad elevato impatto ambientale (ad es. le conce-rie) nel caso in cui le suddette attività superino i livelli mas-simi di inquinamento stabiliti dalla Legge.

Il 12° Piano Quinquennale conferma la linea verde e pone l’accento sugli impegni di lungo periodo che la Cina si è as-sunta nella Conferenza sul clima delle Nazioni Unite svol-tasi a Copenaghen nel 2009. In Cina si realizza la maggior parte di progetti CDM (clean development mechanism) previsti dal Protocollo di Kyoto e il prezzo dei CERs (credit emission reduction, cioè tons/equivalente di CO2 non im-messa nell’atmosfera per effetto del progetto CDM) è deter-minato dalla domanda/offerta che si formano sul mercato Cinese.

Un cambiamento epocale apportato dal Piano è costitui-to dalla ristrutturazione del sistema produttivo Cinese non

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funzionale all’incremento dei volumi (come accadeva in passato) ma alla riduzione dell’impatto ambientale conse-guente al contenimento sia dell’intensità energetica (-16%) che delle emissioni di CO2 (-17%) nei prossimi cinque anni.

Gli investimenti nelle attività eco-friendly sono sostenuti da importanti incentivi di natura fiscale:

a. i profitti derivanti da progetti per la conservazione dell’energia, dell’acqua così come i progetti CDM sono esentati dalla tassazione per 3 anni e sono soggetti ad un’aliquota ridotta del 50% per i 3 anni successivi.

b. le aziende che acquistano ed utilizzano dispositi-vi correlati alla protezione ambientale beneficiano della riduzione del 10% sulle imposte da pagare al Fisco Cinese. Nel caso in cui le tasse dovute siano inferiori al credito d’imposta, la parte eccedente può essere traslata nei successivi 5 anni fiscali.

c. le aziende impegnate in attività di sviluppo soste-nibile sono considerate high tech enterprises e per-tanto beneficiano di un abbattimento dell’aliquota dell’imposta sul reddito di impresa.

d. le imprese high tech registrate dopo il 01 Genna-io 2008 ed ubicate in specifiche ZES (Shenzhen, Zhuhai, Shantou, Xiamen e Hainan) o nel distret-to di Pudong sono esentate dalle tasse per i primi 2 anni e sono sottoposte ad un’aliquota del 12,5% per i 3 anni successivi. Per beneficiare delle suddette age-volazioni fiscali le aziende high tech devono posse-dere i seguenti requisiti: 1) dimostrare che almeno il 60% del reddito d’impresa è destinato a spese di R&S; 2) possedere i diritti di proprietà intellettuale indipendenti dalle tecnologie utilizzate; 3) realizza-re costanti attività di R&S “mediante uso creativo delle nuove conoscenze scientifiche e tecnologiche”.

Un sicuro plus del Piano consiste nell’intendere la “sa-lubrità dell’ambiente” in senso ampio, comprendendo qua-lunque contesto in cui si sviluppa l’individuo, in primis l’ambiente di lavoro.

Il quadro gius-lavoristico Cinese, rafforzato dagli stru-menti che la Labor Contract Law del 2008 prevede a tutela delle fasce più deboli (come donne e bambini) si arricchi-sce di un ulteriore tassello di sicuro interesse per le aziende straniere che operano oltre la Grande Muraglia: la Corpo-rate Social Responsibility che nelle intenzioni del Legisla-tore Cinese dovrebbe esprimere un orientamento virtuoso del processo di internazionalizzazione delle società (intese come persone giuridiche).

Gli ambiti della CSR più significativi per le nostre società presenti o interessate alla Cina sono costituiti dalle poli-tiche verso i dipendenti, dal rapporto con i fornitori fino a coinvolgere gli aspetti di governance e di dialogo con gli stakeholders.

La maggior responsabilizzazione del management nella gestione dei problemi collegati alla CSR è strumentale alla promozione dell’immagine aziendale e all’accrescimento del grado di soddisfazione dei dipendenti e dei consumers

dell’azienda. La CSR è destinata a diventare una priorità nelle strategie

di business delle aziende italiane (e straniere) in Cina: nei prossimi anni il rafforzamento della reputazione e dell’im-magine aziendale costituiranno un fattore competitivo che attribuirà alle aziende dotate di un’efficace CSR un impor-tante vantaggio competitivo rispetto alle altre.

Strettamente correlata alla CSR è la tematica delle ri-sorse umane, le cui criticità sul mercato Cinese si possono compendiare nei seguenti punti:

a. relativa scarsità di personale qualificato; b. elevato turn over (a qualunque livello) e difficoltà a

fidelizzare il personale cinese al brand straniero; c. aumento dei salari e dei costi previdenziali per gli

expatriats. Da tempo i media Cinesi denunziano la difficoltà in-

contrate dalle aziende locali a trovare manager capaci di assicurare un’efficace gestione della compagine societaria. L’importante ruolo che il Piano attribuisce alla CSR è la na-turale conseguenza della consapevolezza che il mercato Ci-nese si avvia verso una nuova fase di maturazione, in cui la maggior complessità dello scenario di riferimento esige la capacità di gestire la società secondo un modello dinamico e flessibile senza che ciò comporti il sacrificio dei rapporti personali interni ed esterni, come accadeva in passato.

d) il riconoscimento dello yuan come moneta di scam-bio internazionaleLa Storia insegna che un Paese può affermarsi nel contesto internazionale utilizzando diversi mezzi: in tempi remoti si faceva quasi esclusivamente ricorso all’uso della forza militare ma con il passare del tempo la leadership si è af-francata dalla potenza bellica ed è dipesa sempre più dal potere economico e dal prestigio di cui godeva un Paese nello scacchiere internazionale: per esempio lo splendore e la grandeur dell’Impero Britannico per decenni si basò sulla prosperità economica prodotta dagli intensi scambi commerciali che la Gran Bretagna intratteneva con le co-lonie d’oltre mare.

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sa situazione venutasi a creare nell’area medio-orientale, la leadership è correlata al “peso economico” di un Paese nel contesto internazionale (in termini di PIL prodotto e di interscambio commerciale con altri Paesi) e prescinde quasi totalmente dall’uso effettivo o potenziale della forza militare.

La globalizzazione del mercato ha ulteriormente modi-ficato il quadro sopra descritto: il ruolo di “locomotiva” dell’economia non basta più per assegnare ad un Paese un ruolo di primo piano: la consacrazione si ottiene quando la divisa di uno Stato viene utilizzata come moneta di scam-bio per regolamentare i commerci internazionali.

Per queste ragioni da alcuni anni Pechino persegue l’am-bizioso obiettivo di ottenere il riconoscimento dello yuan (insieme o in sostituzione del dollaro americano) come moneta di scambio nelle transazioni commerciali sovrana-zionali.

L’uso dello yuan come divisa per gli scambi internazio-nali non giova solo alla Cina ma determina conseguenze positive anche per gli investitori (privati o istituzionali) esteri in quanto:

a. propone la Cina come un mercato finanziario alter-nativo alle tradizionali piazze europee;

b. offre all’investitore straniero la possibilità di ope-rare in yuan diversificando i rischi e incertezze che attualmente connotano l’area euro, facendo affida-mento sulla moneta di un Paese che per i prossimi decenni garantisce stabilità politica e costante cre-scita economica;

c. l’uso dello yuan come divisa di scambio internazio-nale presuppone un humus bancario e finanziario Cinese adeguatamente strutturato, capace di offrire ai propri clienti servizi e prodotti finanziari simili alle banche di affari europee e americane.

d. la possibilità di far circolare liberamente lo yuan ol-tre i confini nazionali cinesi implica uno snellimen-to (e un conseguente incremento) dei traffici com-merciali sovra-nazionali, attualmente frenati dalle procedure burocratiche imposte dalla Legge Cinese per ottenere l’autorizzazione ad eseguire pagamenti all’estero utilizzando una moneta diversa rispetto allo yuan.

Dallo scenario sopra descritto le realtà istituzionali e pri-vate straniere traggono due vantaggi:

1. il primo è costituito dalla possibilità per le banche estere di consolidare la loro presenza sul territorio Cinese, giovandosi delle novità introdotte dalla Ri-forma Bancaria del 2009 che ha abolito le limitazio-ni che caratterizzavano la precedente disciplina del settore bancario cinese rispetto agli IDE. Una ca-pillare presenza delle banche estere in Cina rappre-senta un indubbio vantaggio per gli investitori pri-vati, le cui strategie di investimento oltre la Grande Muraglia non possono prescindere dall’assistenza creditizia in loco;

2. il secondo vantaggio è rappresentato dall’attività di

consulenza di cui avranno bisogno le istituzioni/banche Cinesi per introdurre i nuovi prodotti finan-ziari e per offrire al Cliente servizi ed assistenza di elevato standard qualitativo.

Un passo decisivo compiuto verso il riconoscimento del-lo yuan come divisa di scambio internazionale è stato com-piuto mediante l’approvazione delle Measures for the Ad-ministration of pilot RMB Settlement in cross-border trade e dalle Implementing Measures (che dettano la disciplina di dettaglio) approvate nel Marzo 2009 e applicate in via sperimentale alle città di Shanghai, Guangzhou, Shenzhen, Zuhai e Dongguan. In base alle Measures le società “pilota” appartenenti alle città sopra indicate possono concludere accordi commerciali cross-border con Hong Kong, Macao ed i Paesi aderenti all’ASEAN (1) utilizzando lo yuan come moneta di scambio.

I principali requisiti per assumere la qualifica di “società pilota” sono la mancanza di pendenze con le autorità ban-carie e fiscali Cinesi e l’avere integralmente versato il capi-tale sociale. La nomina a “società pilota” spetta al Governo provinciale della città in cui la società dovrà operare e deve essere avallata da sei autorità, tra cui la People’s Bank of China.

In base alle Measures un accordo che preveda attività di import/export pagate con moneta cinese tra una società pi-lota ad una straniera (overseas enterprise) può essere gesti-to anche da una “clearing bank” di Hong Kong o di Macao.

La locuzione clearing bank indica un istituto bancario di Hong Kong o Macao che riceva l’approvazione della Peo-ple’s Bank of China e dell’Autorità Monetaria di Hong Kong (o di Macao) e sia membro del Large Value Payment System istituito presso la Bank of China.

Gli istituti bancari ammessi a realizzare operazioni di cross-border RMB clearing sono altresì autorizzati a con-cedere prestiti: il rapporto tra i prestiti offerti e quelli ot-tenuti non deve superare l’8% del valore totale dei depositi

1. L’Association of South East Asian Nations (ASEAN, fondata a Bangkok nel 1967 da Indonesia, Malaysia, Thailandia, Filippine e Singapore a cui si è aggiunto, nel 1984, il Brunei e, successivamente, nel 1995, Vietnam, Laos, Cambogia e Myanmar). Lo stock di capitali cinesi immobilizzati nelle attività produttive negli Stati che appartengono all’ASEAN ha raggiunto recentemente la ragguardevole cifra di 1.037 miliardi di dollari, cifra superiore agli investimenti viceversa complessivamente eseguiti in Cina dai dieci paesi aderenti all’ASEAN (pari a circa 34 miliardi di dollari, che pure costituisce una delle principali fonti di finanziamento estero per le attività produttive cinesi). La situazione è destinata a crescere ulteriormente, per effetto della decisione del Governo cinese di creare una zona di libero scambio (Free Trade Area, FTA) tra le Nazioni facenti parte dell’ASEAN analogamente a quanto accade nell’Unione Europea consolidando, in tal modo, il ruolo dell’Asia Orientale come terzo blocco economico mondiale (dopo gli Stati Uniti e l’Unione Europea). Nel Sud Est asiatico la Cina sta quindi giocando la sua partita più importante, essendo il primo Paese extra-ASEAN ad essersi interessato del processo di implementazione della Free Trade Area.

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ricevuti dalla banca l’anno precedente e in ogni caso la du-rata del prestito non può eccedere i tre (3) mesi.

Le Implementing Measures stabiliscono che l’attività di cross-border RMB clearing possa anche essere realizzata da una banca cinese (domestic agent bank) che operi come agente di una banca straniera sulla base di un accordo scrit-to che specifichi in modo puntuale i reciproci diritti e do-veri dei due istituti.

Gli istituti bancari e le organizzazioni cinesi che nomina-no le società pilota e concedono le autorizzazioni alle ban-che locali ad operare come agenti di una banca straniera sono gravati da specifici doveri di vigilanza sull’operato dei soggetti ai quali hanno rilasciato l’autorizzazione a realiz-zare operazioni cross-border.

In particolare le Measures prevedono che la People’s Bank of China verifichi che il pagamento con moneta cine-se sia riferibile ad un’operazione lecita, non contraria alle Leggi e Regolamenti cinesi.

La banca cinese che stipula l’accordo con la banca stra-niera è tenuta ad eseguire le ragionevoli verifiche sull’ope-razione realizzata con l’intervento dell’istituto bancario estero. La banca cinese deve rispettare le disposizioni con-tro il riciclaggio del denaro sporco ed è pertanto obbligata a chiedere al proprio cliente di fornire precise informazioni sulla natura del denaro e dell’operazione cross border che intende realizzare. L’istituto bancario cinese deve tenere un libro in cui annota tutte le operazioni cross border che rea-lizza e le generalità delle persone fisiche coinvolte.

Infine la People’s Bank of China è autorizzata ad utiliz-zare il Cross Border RMB Payment Information System per eseguire le opportune verifiche e controllare le operazioni cross-border realizzate utilizzando moneta cinese.

L’ultimo Piano Quinquennale conferma la fermezza con cui la classe politica Cinese intende proseguire sulla strada tracciata nel 2009, come testimonia l’Accordo siglato a Di-cembre 2011 ma entrato in vigore il 05 Giugno 2012 in base al quale lo yen e lo yuan sono liberamente scambiabili (in sostituzione del dollaro americano) nei rapporti commer-

ciali tra Giappone e Cina. L’Accordo, formalmente conclu-so per aiutare il Giappone a superare le grave situazione di recessione economica in cui versa da alcuni anni da un lato consolida il rapporto economico tra i due più importanti Paesi del Far East e dall’altro, esautorando il dollaro ame-ricano dal ruolo di divisa di scambio, crea una barriera che indebolisce il ruolo americano in Giappone, storica finestra del Nord America sullo scenario asiatico.

iv. Considerazioni ConCLusive

Nello scenario sopra appena descritto, quali ambizioni col-tiva l’Italia?

L’approccio iniziale del nostro Paese alla realtà cinese (risalente ai primi anni ’90) fu approssimativo: i primi av-venturosi imprenditori italiani (quasi sempre aziende che volevano delocalizzare in Cina le linee produttive ormai obsolete) vedevano nella Cina solo una base produttiva a buon mercato.

Con il passare del tempo la maggior sofisticatezza dei ci-nesi ha costretto gli italiani ad elevare il profilo della pro-pria presenza, gli imprenditori ed i negoziatori locali sono diventati sempre più esigenti e selettivi nel modo di porsi nei confronti dello straniero: hanno piantato dei paletti e li hanno tenuti ben fissi.

L’apertura del mercato cinese non solo ha incrementa-to lo share di esportazioni verso l’Asia ma ha preteso una riqualificazione delle imprese dell’Unione Europea: con-cluso un primo momento quasi esplorativo, agli operatori commerciali europei si sono dischiuse aspettative concrete anche se l’elevata concorrenza internazionale ha richiesto un impegno non indifferente per offrire standard di rendi-mento analoghi a quelli garantiti dalle imprese straniere. Si deve quindi partire dalla constatazione che negli ultimi anni la Cina ha espresso verso l’estero una domanda ag-giuntiva, con contenuti nuovi e che di fronte alla media industria ha dimostrato una buona capacità di cogliere le opportunità che le sono state offerte, manifestatesi – quasi esclusivamente – a favore delle nuove tecnologie, destinate a qualificare le strutture produttive dell’industria.

La definitiva trasformazione della Cina da crisalide a far-falla passerà attraverso la concreta capacità di Pechino di sviluppare i settori (high-end, ambiente, tecnologia, well-ness…) che il Piano definisce “emergenti” in cui il Made in Italy esprime vere e proprie eccellenze.

Il New Deal oggetto dell’ultimo Piano Quinquennale po-trebbe quindi rappresentare un’occasione non solo per la Cina ma anche per il nostro Paese, chiamato finalmente a ricoprire un ruolo di primo piano adeguato all’appeal che i nostri prodotti e servizi da sempre riscuotono a livello in-ternazionale.

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La sede bolognese di Zunarelli ed Associati, la prima in ordine di tempo ad essere stata fondata dal Prof. Avv. Stefano Zunarelli, con più di venticinque professionisti che attualmente vi prestano attività, è da sempre il cuore nevral-gico della Law Firm. Presso la sede di Bologna la Clientela si vede offrire un’as-sistenza full service sia stragiudiziale che giudiziale pressoché in tutti gli am-biti del diritto. Tra i settori di maggior specializzazione si possono annoverare quelli concernenti il diritto dei trasporti e della navigazione, il diritto civile, il diritto amministrativo, il diritto societario, il diritto del commercio interno ed internazionale, il diritto delle assicurazioni, il diritto del turismo, il diritto del diporto nautico, il diritto del lavoro, il diritto fallimentare, la disciplina anti-trust, l’assistenza in Nord-Africa-Medio Oriente e in Africa centro orientale. La sede bolognese gode di una posizione privilegiata nel settore del diritto dei trasporti e della navigazione in quanto, in ragione dell’insegnamento univer-sitario, alcuni partner hanno concorso attivamente allo sviluppo delle riforme normative che di recente hanno interessato la materia, avendo partecipato a comitati ministeriali e, in qualità di rappresentanti del Governo italiano, ai lavori per la redazione di alcune Convenzioni internazionali. I professionisti dello Studio possono dialogare in inglese, francese, tedesco e arabo.

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L’Asian Desk costituito all’interno dello Studio Legale Zunarelli e Associati è gestito dall’Avv. Giampaolo Naronte, Partner della sede di Shanghai.

Lo Studio, avvalendosi di un motivato team di avvocati italiani e cinesi, as-siste la propria clientela fin dalla programmazione dell’investimento sul mer-cato asiatico avvalendosi dell’ausilio in loco di sedi proprie (Shanghai, Cina) o best friendship con primari studi legali locali (Corea del Sud, Singapore, Hong Kong e Giappone).

L’Asian Desk presta consulenza ed assistenza legale sul mercato asiatico alle aziende associate a numerose Confindustrie del Centro e del Nord Italia ed è membro della Camera di Commercio di Tokyo e della Camera di Com-mercio Italo-Cinese.

I principali settori di attività curati dal team italo-cinese sono: Diritto Com-merciale, Diritto Societario, Architettura e Design (tecnico ed industriale), Fashion e Moda, Agro-Alimentare, Green Technology ed Economie Rinnovabili.

I membri dell’Asian Desk collaborano stabilmente con le principali realtà associative (AICE, Fondazione Italia-Cina), pubblicano articoli sulle riviste di diritto internazionale e partecipano nella qualità di main speaker a convegni nazionali ed internazionali.

Dal mese di Maggio 2012 la Sede di Shanghai è consulente legale del Di-stretto Conciario della città di Haining, in cui ha aperto una sede secondaria.

Il personale della sede di Shanghai parla correntemente inglese, spagnolo e cinese mandarino.

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La sede di Milano dello Studio Zunarelli e Associati si occupa principalmente di Diritto delle Assicurazioni e dei Trasporti. Le esperienze maturate in tali ambiti sono dedicate a favore di primarie compagnie di assicurazioni – na-zionali e internazionali – intermediari assicurativi, imprese di trasporto e di spedizioni. L’ufficio, attraverso l’opera del Responsabile della Sede Avv. Mi-chele Borlasca, tiene corsi di formazione e partecipa attivamente a comitati di lavoro presso associazioni e federazioni di categoria.

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Lo Studio di Trieste, fondato nel 1995 dal Prof. Avv. Stefano Zunarelli con gli Avv.ti Prof. Massimo Campailla e Alberto Pasino incentra la propria attività sull’assistenza giudiziale e stragiudiziale alle imprese, tra cui spiccano società nazionali ed estere, imprese di assicurazione ed istituti bancari, istituzioni operanti nel settore marittimo, portuale e dei trasporti e porti turistici. I pre-valenti settori di attività della sede triestina sono il diritto dei trasporti e della navigazione, il diritto delle assicurazioni, il diritto commerciale, societario e fiscale, il diritto fallimentare, il diritto del diporto nautico nonché il conten-zioso giudiziale ed arbitrale, nazionale ed estero. L’assistenza alle aziende si estende anche alla difesa penale per i reati commessi nell’esercizio dell’atti-vità di impresa. La sede rappresenta il Friuli Venezia Giulia nell’Associazione Studi Legali Associati.

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La sede romana, gestita dalla Partner Avv. Alessandra Giordano, rappresenta un’eccellenza nel settore del Diritto del Lavoro Nautico; assistendo imprese armatoriali anche di livello mondiale, il team di Roma ha esplorato i peculiari istituti del rapporto di lavoro nautico: a titolo esemplificativo, licenziamenti per giusta causa, licenziamenti per inidoneità permanente alla navigazione e obbligo di repechage; nozione di equipaggio e plurime forme di rapporto di lavoro nautico; riposi; orario di lavoro; straordinario; riconoscimento di qualifica superiore; adibizione a mansioni inferiori e demansionamento; emo-lumenti a vario titolo vantati di estrazione contrattuale collettiva Lo Studio partecipa a gruppi di studio volti alla ideazione di riforme nel “mondo marit-timo”, nell’ambito dei tavoli tecnici all’uopo costituiti in seno alle Istituzioni Pubbliche, Enti, Associazioni di Categoria Nazionali.

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Lo Studio Legale Zunarelli e Associati, con numerose sedi in Italia ed all’estero, è specializzato nel Diritto dei Trasporti, Diritto Commerciale e Societario. Fondato dal Prof. Avv. Stefano Zunarelli, esperto di fama inter-nazionale nel settore del diritto Marittimo e dei Tra-sporti si avvale di un motivato team di professionisti di riconosciuta esperienza, provenienti da prestigiosi Studi Legali internazionali in cui hanno rivestito ruoli di primaria rilevanza.Lo Studio rivolge la propria attenzione al mondo dell’imprenditoria e delle istituzioni nonché all’asso-ciazionismo industriale, personalizzando la consulenza e l’assistenza legale sulle singole esigenze e qualità degli assistiti.


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