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L'abito popolare in Italia -...

Date post: 15-Feb-2019
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L'abito popolare in Italia Author(s): Elisabetta Silvestrini Reviewed work(s): Source: La Ricerca Folklorica, No. 14, L'abbigliamento popolare italiano (Oct., 1986), pp. 5-44 Published by: Grafo s.p.a. Stable URL: http://www.jstor.org/stable/1479218 . Accessed: 08/11/2012 07:40 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Grafo s.p.a. is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to La Ricerca Folklorica. http://www.jstor.org
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L'abito popolare in ItaliaAuthor(s): Elisabetta SilvestriniReviewed work(s):Source: La Ricerca Folklorica, No. 14, L'abbigliamento popolare italiano (Oct., 1986), pp. 5-44Published by: Grafo s.p.a.Stable URL: http://www.jstor.org/stable/1479218 .Accessed: 08/11/2012 07:40

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

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L'abito popolare in Italia Elisabetta Silvestrini

Premessa Questo saggio era stato scritto, in una prima stesura, nel 1981, co- me presentazione alla progettata edizione italiana del saggio di Petr Bogatyrev Le funzioni del costume nella Slovacchia Morava (edizione originale in lingua slovacca, Funkcie kroja na Morav- skom Slovensku, 1937)'. II testo che qui viene pubblicato, corri- sponde sostanzialmente a quello del 1981, cui sono state aggiunte note di aggiornamento e di chiarimento. Queste ultime tuttavia non hanno scalfito l'impostazione generale del saggio, che conti- nua ad essere, in parte, un tentativo di applicare all'abito popola- re italiano le categorie ed i temi introdotti da Bogatyrev; in parte, una analisi degli scarsi dati di carattere antropologico estratti dalla documentazione bibliografica, che e prevalentemente descrittiva; in parte, laformulazione di alcune ipotesi sul simbolismo croma- tico e sulla psicologia dell'abbigliamento.

Cosi come nel testo di Bogatyrev, in questo lavoro e stata esclusa una analisi sistematica dell'uso e del significato dell'abito nei ri- tuali di Carnevale, anche se talvolta si e operato qualche confronto tra abiti di Carnevale ed abitifestivi o quotidiani; allo stesso mo- do, sono state escluse dalla presente indagine le analisi relative al- l'uso e alla simbologia del corpo2, alla cosmesi, agli amuleti e al- I'oreficeria, molto importanti per integrare qualsiasi discorso sul- l'abito, ma tali da richiedere - allo stato attuale degli studi - una trattazione separata.

1.1. Gli studi sul costume e le fonti iconografiche Le radici degli studi sull'abito popolare italiano sono il-

lustri e profonde, nonostante che la maggior parte degli scritti recenti presenti un panorama deludente, costituito da brevi testi monografici, nei quali sono dati ricorrenti, tra gli altri, lo sterile descrittivismo, l'assenza di una dimen- sione storica e di riferimenti alle stratificazioni economico- sociali, la confusione tra abito e costume propriamente detto.

La storia degli studi sull'abito popolare coincide con le vicende generali della storia dell'etnologia in Europa, rap- presentandone per cosi dire ii versante pi i divulgativo e me- no intellettuale ed elitario: l'abito e infatti, insieme con il linguaggio a cui viene spesso assimilato, una delle prime e piui evidenti connotazioni della <<diversita>> oggetto delle

scienze etnologiche; ma proprio per le molteplici suggestio- ni, in primo luogo di carattere visivo, da esso offerte, l'in- teresse per i costumi e spesso collegato con pi i larghe ten- denze, non strettamente etnologiche, della cultura europea.

Cosi, nei secoli XVI e XVII, alle origini dell'etnologia moderna, le nuove condizioni economiche e sociali, l'evol- versi delle scienze fisiche e matematiche, i viaggi e le sco- perte geografiche, aprono nuovi interessi, anche culturali, ad alcune fasce sociali dell'Europa occidentale, nei confronti delle aree appena scoperte e invase; con gli interessi, si ma- nifesta il rimorso, che accompagna ambiguamente le origi- ni e le vicende delle scienze etnologiche. In questo periodo si intensificano i libri di viaggi e le descrizioni di terre lon- tane, e le raccolte di costumi di tutto il mondo allora cono- sciuto, costituite di pitture o piiA spesso di incisioni.

Nel Cinquecento queste raccolte sono particolarmente nu- merose: le pifi note tra quelle interessanti l'area italiana so- no opera degli incisori Enea Vico, Ferdinando Bertelli, Jost Amman ed Hans Weigel, Abraham de Bruyn, Boissard, Pie- tro Bertelli, Cesare Vecellio3. Le incisioni, che rappresen- tano personaggi di varie citt" europee ed extraeuropee, non sono del tutto prive di connotazioni sociali, anche se pre- valgono le connotazioni territoriali, e viene ritratto per la maggior parte l'abbigliamento delle classi nobili e del cle- ro. Si discute sulla funzione di queste raccolte, che poteva- no essere usate come modello di abiti esotici per le classi nobili (e in questo senso sono considerate all'origine delle incisioni di moda)4, ma che erano anche acquistate come souvenir dai viaggiatori stranieri5; sembrano implicite in questo uso connotazioni in un certo senso etnologiche.

Dal secolo XVI in poi si diffondono le incisioni relative alle arti e mestieri, nelle quali, se l'interesse sembra preva- lentemente rivolto nei confronti degli ambienti e della cul- tura materiale che definiscono il mestiere, sono descritti an- che gli abiti.

Dalla fine del secolo XVIII, negli anni vicini alla Rivo- luzione francese, si intensificano le raccolte di incisioni de- dicate ai costumi regionali, le quali avranno un lungo se- guito, pressoch6 inalterato, per tutto il secolo successivo. In coincidenza quindi con una nuova fase della scienza etno- logica, le incisioni di costumi regionali si saldano certamente agli eventi della Rivoluzione francese e dell'eta napoleoni- ca, alle teorie romantiche, all'avviarsi della rivoluzione in- dustriale che determinava, come era avvenuto nel secolo XVI nei confronti dei popoli invasi dai conquistatori, l'in- teresse per il mondo rurale, che si andava definendo come opposto alla civiltt" industriale e da essa destinato ad esse-

Questo lavoro e dedicato alla memoria di mio padre, Furio Ca- millo Silvestrini, che mi ha aiutato per alcune notizie relative al- l'area abruzzese, e sempre incoraggiato nello studio e nella ricer- ca. Ringrazio Stefania Ciaraldi, Pasquale De Antonis, Carla Gen- tili, Olga Manieri Sturiale, Novella Nardecchia, Pietro Palumbo, Daniela Romani, Glauco Sanga, Elisabetta Simeoni, Edward E Tuttle, per avermifornito dati e notizie, immagini, indicazioni bi- bliografiche.

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Silvestrini

re invaso. Alla fine del Settecento e nella prima met" del- l'Ottocento, gli abiti popolari rurali sono descritti nelle re- lazioni dei viaggiatori stranieri in Italia, nelle inchieste na- poleoniche, pontificie, borboniche. Il costume popolare, con i suoi colori vivaci, sembra acquistare una particolare di- versit "

rispetto alla scelta che si andava maturando in quel periodo rispetto all'abito maschile, che si trasforma per il gusto neoclassico in un costante monocromatismo da gri- gio a nero, secondo quella che J.C. Fliigel definisce la <<Grande Rinuncia>> dell'uomo occidentale nei confronti del- la variet " dei colori, rinuncia per alcuni versi praticata fino ad oggi6. Le stampe sui costumi popolari del secolo XIX costituiscono documenti preziosi, nonostante rappresenti- no una realtor artificiosamente abbellita e piegata alle scel- te estetiche degli incisori; non mancano tuttavia le imma- gini che raffigurano l'indigenza e la mendicit 7.

Le serie di incisioni sui mestieri continuano ad essere pro- dotte in edizioni simili a quelle dei costumi, cui talvolta si mescolano. I costumi ed i mestieri di piazza costituiscono infatti alcuni degli aspetti piiA emergenti della cultura po- polare (rurale per i costumi, urbana per i mestieri); l'inte- resse degli incisori e del pubblico cui queste immagini era- no destinate non poteva, evidentemente, spingersi a fatti piiA nascosti della cultura popolare, cui si avvicina almeno in parte la scienza etnologica ufficiale, che nel sec. XIX privi- legia nettamente la tradizione orale.

Alla fine del secolo XIX la scienza etnologica italiana, sotto l'influenza delle teorie positivistiche, <<scopre>> la cul- tura materiale e con essa il costume; le ricerche si fanno sistematiche ed attendibili8; si riversa nelle scienze etnolo- giche l'eredit" culturale ottocentesca sul costume popolare, che era caratterizzata dalla prevalente attenzione al costu- me festivo rispetto all'abito, e dalla assenza di considera- zione delle stratificazioni economico-sociali.

Durante il ventennio fascista il costume popolare, insie- me alle <<arti femminili>>, viene utilizzato come l'emblema della cultura popolare, che viene dal fascismo deformata e mistificata a fini nazionalistici e di un regionalismo dete- riore. I balli dopolavoristici, le parate in costume nelle ce- rimonie ufficiali, le mostre dei costumi e dell'artigianato femminile furono uno dei mezzi di propaganda utilizzati dal fascismo per conquistarsi il consenso nelle campagne e nella provincia; non a caso infatti i costumi erano indos- sati da esponenti di quelle classi sociali (ad esempio la pic- cola borghesia della provincia) che appoggiavano il fasci- smo. Tra queste parate una delle piiA importanti e quella del 1929, in cui convennero a Roma, in occasione delle nozze di Umberto II di Savoia, gruppi in costume di tutte le zone d'Italia. Si spiega cosi il rifiuto, da parte dell'antropologia italiana del dopoguerra, di occuparsi di costume e di abito popolare: era necessario distanziarsi e dissociarsi da un fe- nomeno cosi degradato dal fascismo, al punto che non sem- brava pii possibile delimitarne i contorni ed individuare quegli elementi che appartengono alla cultura popolare e quelli che sfumano in altre direzioni (ad esempio l'utilizza- zione piccolo-borghese del costume come segno di identit municipale)9.

In tempi recenti si riattualizzano i temi del costume e del- l'abito popolare, come estensione di un rinnovato interesse per l'abito nella civilt " occidentale, interesse che assume me- todologie esplicitamente storiche'0, a volte sociologiche e semiologiche", a volte collegate alla storiografia delle ar- ti minori. Cosi, sul versante della cultura popolare, si riat- tualizza il discorso sul costume e sull'abito popolare'2; si utilizzano materiali di archivio come i dati derivanti dalle inchieste napoleoniche'3, gli inventari dotali'4, ed altri va- ri documenti di archivio'5; in secondo piano, per il mo- mento, la metodologia della ricerca sul campo, sempre fon- damentale negli studi antropologici.

Le fonti iconografiche sul costume costituiscono, come si e visto, un materiale particolarmente ricco, ma spesso an- che deformato e inattendibile, perch6 costruito sulle nor- me estetiche colte, o perch6 tendente a presentare un mon- do popolare di maniera, ingentilito e reso accettabile per il pubblico destinatario delle incisioni. La serie di incisio- ni, i disegni, gli acquarelli, si saldano e coincidono, in al- cuni casi, con le serie dei mestieri, mentre in altri casi le due diverse serie rimangono rigidamente separate. Costu- mi e mestieri di piazza confluiscono, dalla seconda met" del secolo XIX agli inizi del secolo XX, nella fotografia: tra le altre, le pi i note sono le serie Alinari di venditori, <<personaggi>> e mestieri di piazza; sono interessati al co- stume in questi anni anche Moscioni, autore di una serie di fotografie, in studio, di costumi del Lazio'6, e indiret- tamente tutti quei fotografi (ad esempio Armoni di Orvie- to, ma anche Alinari) che ritraevano paesaggi o particolari strutture urbanistiche introducendovi, strumentali all'im- magine, persone in costume. Altre utilizzazioni della foto- grafia degli inizi del secolo sono invece apertamente orien- tate verso interessi etnografici, come la serie dei costumi per I'Esposizione Industriale di Milano del 188117, o come quella che ne fa l'anonimo fotografo autore della serie dei costumi di Parre'8, che la usa come base per disegni ad ac- querello, o come il lavoro effettuato da molti raccoglitori- fotografi per la Mostra di Etnografia Italiana del 1911.

U Archivio Fotografico Storico per questa mostra costi- tuito (oggi conservato presso il Museo Nazionale delle Ar- ti e Tradizioni Popolari) raccoglie, oltre al materiale di pro- venienza eterogenea ed alle fotografie scattate all'inizio del secolo da quei raccoglitori, che erano anche fotografi di- lettanti (come Alessandro Roccavilla di Biella, e Athos Mai- nardi di Livorno), alcune serie di fotografie di gruppi fa- miliari in costume, per le quali e stata formulata l'ipotesi che si tratti, almeno in parte, di fotografie fatte per essere inviate agli emigrati: si tratta, per la maggior parte, di gruppi costituiti da donne con bambini, eventualmente con i geni- tori o i suoceri anziani mentre mancano gli uomini giova- ni; spesso i bambini maschi molto piccoli hanno il sesso in evidenza, o rappresentato simbolicamente dalla camicia che fuoriesce dai pantaloni: si intendeva dimostrare al ma- rito lontano l'effettiva virilitt del bambino'9. II costume, indossato in queste immagini in tutta la sua

solennit., in-

sieme ai gioielli portati addosso tutti contemporaneamen- te, costituiva certamente il migliore abbigliamento in rap-

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L' abbigliamento popolare italiano

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1. E Villamena (Assisi 1566 - Roma 1624), Mendicante cieco callista, calcografia della seconda metd del sec. XX su lastra del sec. XVII, Gabinetto delle Stampe del Museo A.TR di Roma. 2. Bracciante in <<guazzerone>>, Circondario di Mondolfo, Dipartimento del Metauro (Ancona), 1811, acquarello, riprod. da G. Tassoni, Arti e Tradizioni Popolari. Le inchieste napoleoniche sui costumi e le tradizioni nel regno italico, Bellinzona, La Vesconta, 1973, p. 409. 3. Due donne, Antronapiana (NO), 1903 c., stampa bianco

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e.:I e nero (cartolina postale), colorazione al- I'anilina, Archivio Fotografico Storico del Museo A.TR di Roma. 4. Gruppo fami- liare, Campertogno (VC), 1900 c., stampa bn, carta al citrato, AFS del Museo A.TP di Roma.

5. Gruppo familiare, Baranello (CB), 1907 c., stampa bn, carta all'albumina, colora- zione all'anilina, AFS del Museo

A.T.P dt

Roma. 6. Gruppo familiare, Cercemag- giore (CB), 1910 c., stampa bn, carta all'al- bumina; fotografo Alfredo Trombetta, AFS del Museo A.TR di Roma. 7. Grup- po familiare, Civitella dl4gliano (VT), stampa bn, 1930 c., proprietd privata.

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L' abbigliamento popolare italiano

porto alla solennita della fotografia, ma pub rappresentare anche un modo di riassumere, da parte della donna rima- sta in paese, tutta la realta (familiare, sociale, territoriale) che l'emigrato e stato costretto ad abbandonare. Anche in alcune fotografie-ricordo di nozze, scattate in studio e ri- conoscibili come tali per il gesto delle mani che unisce i due sposi, il costume femminile assume particolare rilievo; e an- che possibile che per il ritratto fotografico i costumi fosse- ro presi a prestito da altre donne, almeno da quello che si deduce dalla condizione rivelatrice delle scarpe.

Le studio delle immagini fotografiche per cosi dire diret- tamente commesse dalla cultura popolare si rivela estrema- mente fecondo anche per i tempi piui recenti. Si veda ad esempio un ritratto fotografico di sette persone, eseguito nel viterbese nel 1930 circa: il fotografo ambulante, di ori- gine napoletana, in parte ha ritratto i contadini cosi come si trovavano nei campi, e stampato le immagini montando le teste su abiti da festa; in parte ha utilizzato fotografie, preesistenti, di contadini in divisa militare, per i quali ha effettuato il medesimo procedimento di isolare le teste e ri- vestirle di abiti festivi (vedi foto n. 7).

Le serie sui costumi, a stampa o fotografiche, continua- no ad essere prodotte, anche dopo la prima guerra mon- diale, assumendo perb forme sempre piiA degradate, fino alle serie delle cartoline regionali, degli anni '50 e '60.

Oggi una ripresa dello studio del costume e dell'abito po- polare pub avvalersi delle nuove metodologie, sia storiche, sia antropologiche, e pub utilmente seguire le linee di ricer- ca tracciate da Petr Bogatyrdv.

1.2. Leggi suntuarie Un aspetto poco esplorato del costume popolare e la di-

pendenza o meno dalle leggi suntuarie, totalmente ignora- te da Bogatyrev. II silenzio dell'autore su questo punto po- trebbe essere giustificato, oltre che dall'impostazione me- todologica del suo lavoro, dal fatto che le leggi suntuarie non investivano pienamente il mondo popolare, specialmen- te quello contadino, abitante nelle zone piui isolate e distanti dalle citta; almeno in Italia e in altri Paesi dell'Europa oc- cidentale, queste leggi avevano la funzione economica di proteggere ed incrementare alcune attivita artigianali e com- merciali, e la funzione sociale di mantenere i privilegi delle classi aristocratiche e pifi abbienti, e contenere, anche at- traverso la regolamentazione dell'abito e degli ornamenti, l'avanzata delle classi inferiori (ad esempio borghesia mer- cantile, artigiani, ecc.), che tendevano a vestirsi come i no- bili per identificarsi con essi. A questa dinamica il mondo popolare, particolarmente quello contadino, rimase sostan- zialmente estraneo, anche perch6 privo dei mezzi economi- ci per partecipare a questo tipo di gara; le classi popolari urbane vengono invece investite dalle leggi suntuarie, par- ticolarmente, si ritiene, per quelle categorie pifi a contatto con le classi aristocratiche (ad esempio, i domestici, il cui abbigliamento veniva assoggettato a regolamentazione)20. Le leggi suntuarie tendevano inoltre ad individuare e ad iso- lare alcune categorie di emarginati: ai musulmani ed agli ebrei, nel Portogallo del secolo XIV, era prescritto di por-

tare emblemi particolari, i primi mezzelune in panno colo- rato, i secondi stelle rosse a sei punte, sul petto, e piui tardi cappelli gialli21; alle prostitute era prescritto, sempre nel Portogallo del secolo XIV, di portare come segni distintivi veli giallo zafferano22. Nel secolo XV agli ebrei siciliani venne imposto di indossare come segno di riconoscimento una rotella di panno rosso, che gli uomini avrebbero dovu- to portare cucita sulla parte destra del torace, le donne sul torace e sul mantello; nel secolo XVI in Italia gli ebrei in- dossavano segni distintivi prevalentemente gialli; a Milano nel 1515 le prostitute indossavano fuori casa, come segni di riconoscimento, un fazzoletto bianco sul capo ed una cin- tura rossa in vita, in altre citta un mantello corto nero, o, nel secolo XV a Venezia, calze gialle. Le prostitute di Peru- gia e dell'Umbria del secolo XVII erano invece obbligate ad indossare, per legge, un velo turchino23. Una traccia della specificita dell'abito di gruppi emarginati, anche nel- la cultura popolare dell'inizio del nostro secolo, si trova in alcuni appunti di Raffaele Corso: nell'abito di pacchiana di Cittanova (RC) le maniche erano staccate dal giubbone e legate ad esso con nastri colorati, di forma differente a seconda della condizione di nubile o di maritata; le donne di malavita indossavano come segni distintivi nastri rossi e gialli24

Il giallo era usato come colore infamante anche nei con- fronti dei debitori insolventi25, indicava il pericolo di pe- ste sulle navi sospette nel XVI secolo a Venezia26, era in- dossato dai detenuti a Napoli nel secolo XIX27.

2.1. L'origine del costume Lo studio dell'abito popolare non pub prescindere, come

ogni altro aspetto della cultura popolare, dalla dimensione storica.

E vero infatti che il <<costume>> popolare ottocentesco e ormai quasi scomparso in Italia; e vero anche, tuttavia, che l'abbigliamento popolare, anche urbano, conserva una spe- cificitA e diversita rispetto alle varie stratificazioni dell'ab- bigliamento piccolo, medio e alto-borghese. Si pub traccia- re agevolmente, ad esempio, una storia dell'abito femmini- le contadino dal primo dopoguerra ad oggi, individuando modelli quasi tutti, probabilmente, di origine urbana, ma inseriti, organicamente o meno, nella cultura contadina. La trasformazione decisiva riguarda invece, piuttosto che la spe- cificita popolare dell'abito, la contrapposizione territoria- le, cioe l'opposizione citta-campagna che costituisce pro- babilmente uno dei fattori piui significativi nella costituzione del <<costume> popolare. Questo infatti sembra essere in maggiore misura espressione della municipalita e del terri- torio, piuttosto che del <<popolare>> contrapposto all'egemo- ne. La storia dell'abbigliamento in Italia dimostra infatti quanto tardiva sia stata l'unificazione dell'abbigliamento e della moda presso le classi aristocratiche28; fino al secolo XVIII aristocratici e borghesia, nei borghi e nelle

citt, pic-

cole (cio6 nella provincia), indossavano abiti specificamente legati al territorio, veri e propri <costumi?>, e con essi si fa- cevano ritrarre29

Le origini del costume popolare si fanno risalire, da P.

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Silvestrini

Bogatyr&v, alle differenziazioni dei poderi e delle parroc- chie, cui i proprietari terrieri avrebbero fatto corrispondere uno specifico abbigliamento per i propri contadini:

<<Studiando i costumi locali dal punto di vista storico, ci si pub rendere conto che, nella distinzione fra un costume e l'altro, un ruolo importante toccava all'appartenenza alle vecchie parrocchie dei secoli XVII e XVIII. Nel costume di tutti i giorni, che, come si e

gia. detto, e molto semplice, le differenze dell'abbigliamento,

soprattutto maschile, non balzano agli occhi. Ma nei giorni di fe- sta le differenze e le pecurialit

, risultano tanto piai evidenti. E poi-

ch6 la diversitY,

di abbigliamento di persone riunite nella stessa chie- sa avrebbe potuto fornire alla nostra focosa popolazione il prete- sto per burle tali da suscitare offesa, si spiega benissimo perch6 in passato in ogni parrocchia si indossasse lo stesso costume; tan- to piPf che ogni parrocchia era legata ad un potere laico che, al- meno nella parte orientale della Slovacchia, mirava a differenzia- re i propri uomini, ad esempio, per mezzo dei risvolti delle giac- che, i cui colori corrispondevano alle regioni (cosi si possono di- stinguere le giacche, che fanno parte del costume di Nivnia, e an- che quelle di Borsik, Hrozenkov, Vel'ki, Lhot, Brezovai, e di altre localit)>>30.

L'ipotesi di Bogatyr6v, che instaura apertamente un lega- me tra costume e feudalitA, e tutta da verificare per quello che riguarda l'area italiana. Conferme indirette possono es- sere fornite, ad esempio, dall'uso del simbolismo araldico, cioe dei colori del feudatario o del suo casato, da parte dei cavalieri e dei vassalli nei combattimenti cortesi ed anche in guerra, uso esteso ai soldati dell'uno o dell'altro condot- tiero o capo di stato, che faceva confezionare i loro abiti con i suoi colori araldici; da questo uso derivano, secondo R. Levi-Pisetzky, le differenze di colori nelle divise milita- ri31. Usi analoghi riguardano l'abitudine di donare abiti con i propri colori ai membri della propria famiglia, i co- lori fissi delle livree dei servitori presso le famiglie aristo- cratiche, I'abitudine di alcune famiglie borghesi di adottare colori fissi per il proprio abbigliamento abituale32.

L'adozione di colori araldici si manifestava anche come omaggio nei confronti di un conquistatore vittorioso o che entrava solennemente nella citth; usi analoghi sono consi- derati l'abitudine di vestirsi in speciali occasioni dei colori del proprio comune (ad esempio a Milano nel XVII seco- lo), e l'adozione dei colori della donna amata nell'amore cortese e nei tornei33.

Usi pifi recenti del cromatismo araldico possono riscon- trarsi negli abiti dei partecipanti ai palii e quintane delle citta dell'Italia centrosettentrionale; questi abiti recano cia- scuno i colori araldici della contrada, o del quartiere che gareggia nella manifestazione; anche i colori degli abiti dei calciatori, corrispondenti a quelli delle squadre di calcio, sarebbero espressione di una

identit., municipale o di quar-

tiere. Nella cultura popolare le tracce della

feudalit, si ritrova-

no, oltre che negli scambi economici che risalgono ad ef- fettivi obblighi feudali (come ad esempio le parti della ren- dita agricola dovute dal colono al proprietario, o le ?rega- lie>> periodiche dovute dal mezzadro al padrone), anche in fatti che non appartengono strettamente all'ambito econo-

mico, ma piuttosto a quello ideologico, o della <<cultura con- tadina>> intesa in senso antropologico34. Testimonianze di ideologia feudale possono trovarsi in alcuni repertori di in- tagli su legno o materie affini, nei quali gli artisti contadi- ni o pastori hanno inciso non le proprie iniziali, ma quelle del padrone, eventualmente insieme allo stemma del casa- to; potrebbero interpretarsi allo stesso modo le iscrizioni, gli stemmi, i simboli raffiguranti la nazionalita, le immagi- ni dell'Italia e dei reali, come espressioni di una <<apparte- nenza>> piil larga, cioe nazionale35. Alla stessa origine si pub attribuire la consuetudine, propria di alcuni contadini e pastori calabresi, di offrire oggetti intagliati in dono alla moglie del padrone36

Se e vero che su alcuni versanti della cultura contadina (in questo caso I'arte popolare) si possono rintracciare le- gami sia pur labili con la feudalita, nulla vieta di muoversi nella stessa direzione per quello che riguarda il costume; questo tuttavia sembra contenere piuttosto due tendenze di- verse e opposte, l'una feudale, e l'altra comunale, costituita dal gia nominato rapporto con la municipalita.

2.2. Abito e identita Uno degli aspetti piiA importanti nello studio dell'abito

e la questione dell'identita: l'abito conferisce a chi lo indossa una identita, consueta o nuova a seconda dei casi, e rap- presenta l'espressione, visibile a tutti, di una realta altrimenti non cosi evidente; I'abito quindi rivela, o nasconde, senti- menti, ruoli sociali o professionali, una identita etnica o confessionale, I'affermarsi e l'esercizio di un potere e l'ac- cettazione, o il rifiuto, di esso. L'abito costituisce una espres- sione del <codice di abbigliamento>> in uso in una data so- ciet", secondo l'espressione di Jacques Le Goff nell'analisi dei codici di abbigliamento e alimentari nel poema Erec et Enide di Chr6tien de Troyes; nell'opera letteraria analizza- ta emergono con molta chiarezza elementi che investono la sfera del sociale e del magico: la differenza tra la poverta e la ricchezza, I'abito come segno della regalita, i doni di abiti che compaiono nei riti di passaggio, e le valenze ma- giche dell'abito regale, espressione di una investitura di ma- gia che precede o accompagna l'investitura cristiana del sovrano3. Ne II popolo dell'abisso, di Jack London, il protagoni- sta, agiato ed elegante americano in viaggio a Londra, ac- quista presso una bottega di abiti usati un abbigliamento completo da esponente della classe lavoratrice, e immedia- tamente si trasforma; I'atteggiamento della gente, in stra- da, nei suoi confronti muta radicalmente:

<Avevo fatto appena qualche passo per Ja strada, quando fui im- pressionato dal completo cambiamento prodotto dai miei nuovi vestiti sulla mia situazione sociale. Ogni vano servilismo scompa- riva, davanti a me, nell'atteggiamento della gente del popolo, con cui venivo direttamente a contatto. In un lampo ero diventato uno di loro. La mia giacca logora, strappata ai gomiti, proclamava che il mio stato sociale era anche il loro. Eravamo ormai della stessa specie, e l'adulazione di cui, fino allora, ero stato oggetto, si mu- tava in

familiarit, da compagni.

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L' abbigliamento popolare italiano

L'uomo poveramente vestito di fustagno, dal fazzoletto unto al col- lo, non mi prodigava piui del sir o del governor. Mi dava, passan- do, del compagno. Parola dolce e piena di cordialita, il cui suono ha un calore, una intimita senza pari. (...) Il cambiamento sopraggiunto nel mio stato sociale, per il fatto di avere mutato abito, aveva altre ripercussioni, di cui fu necessario tener conto. Cosi imparai che era necessario quando attraversavo la via nei punti pifi ingombri di vetture, decuplicare la mia agilita per non essere travolto. Rimasi colpito di quanto, in proporzione diretta dell'aspetto dei miei vestiti, la mia vita era diminuita di va- lore. (...) Ma per tutto cib c'era un compenso. Per la prima volta, entravo in contatto con le classi popolari inglesi e imparavo a conoscerle dal vero. Quando, agli angoli della strada o nei pub, discorrevo con dei vagabondi o con degli operai, mi parlavano da uomo a uomo, con naturalezza e senza secondi fini. E quando, finalmente, penetrai nell'East End, fui ben felice di con- statare che quella paura della folla, gia da me provata, non mi preoccupava piui. Ero diventato parte di essa. II vasto e maleodorante oceano, in cui ero entrato, si era richiuso sopra di me. E la sola sensazione sgradevole che provavo, era la maglia da fochista che continuava a rasparmi la pelle>>a8.

Nella storia universale dell'abbigliamento una delle piui importanti linee di demarcazione 6, infatti, tra ricchi e po- veri, tra benestanti e miserabili. Questa primaria suddivi- sione si riproduce anche nel costume popolare; ad esempio nella cultura tradizionale della Sardegna esisteva una netta distinzione tra il costume dei benestanti e quello dei poveri:

<<I1 costume del ricco aveva pifi nastri, aveva la roba pifi buona, il broccato, il grazia a pelo, come si diceva. C'era chi lo poteva comprare, mentre i poveri ne facevano a meno. Allora si metteva- no le gonne di seta, e i poveri si mettevano il panno. C'era molta distinzione da ricco a povero, e guai, veniva criticato chi faceva questo sforzo di farsi a pari del ricco e domani doveva andare a comprarsi pane, pasta o zucchero in un negozio e lo lasciava sen- za pagare. Veniva criticato e molte volte veniva anche negata la spesa a chi faceva queste cose>>39.

Particolarmente significativa e l'identit" di potere che pub essere fornita dall'abito, la quale spesso si oppone o si so- vrappone all'identith etnica o nazionale. In Costume and Identity, studio dell'abito presso le popolazioni Swazi del- l'Africa sudorientale, Hilda Kuper propone una distinzio- ne dei termini che indicano l'abbigliamento, nel modo se- guente: clothing, come termine pi i generale, che indica l'ab- bigliamento; dress, per l'abito indossato nelle occasioni quo- tidiane; uniform, per l'abbigliamento prescritto per i ceri- moniali laici; costume, per l'abbigliamento rituale, cioe ne- cessario all'efficacia dei rituali di carattere religioso40.

Nel testo di Kuper sono anche individuate alcune delle pii importanti tipologie di abbigliamento della cultura Swa- zi, tra le quali si citano gli abiti da caccia o da ricerca del- l'avorio, gli abiti per gli interventi terapeutici, gli abiti per la caccia reale, gli abiti del fabbro, e particolarmente gli abiti da divinazione, che esprimono un gusto molto individuali- stico, con inserti di elementi di abbigliamento appartenen- ti ad altri ambiti d'uso. Interessante rispetto al nostro di- scorso 6 perb soprattutto l'analisi dell'uso degli abiti tradi-

zionali nelle cerimonie e nelle riunioni dei movimenti poli- tici per l'indipendenza dal dominio coloniale, e successiva- mente, da parte dei membri della famiglia reale e dei digni- tari, nelle cerimonie che accompagnavano le varie fasi del- la conquista dell'indipendenza, e nelle odierne cerimonie anche internazionali; si pub analizzare agevolmente, in que- sto caso, il passaggio del costume dall'uso tradizionale ad una funzione di identith nazionale41.

Nella storia della cultura europea, come in molte altre culture, l'abito dei popoli conquistatori o invasori viene im- posto ai popoli dominati42; cosi e attraverso l'abito stesso che si pub manifestare una reazione alla cultura dominan- te: nel secolo XVI alcuni nobili fiamminghi indossarono abiti di colore berrettino (celeste-grigio) per protesta con- tro il nero prevalente negli abiti dei conquistatori spagnoli:

<<Chi seguita il berrettino, per significar d'esser gabbati, il qual colore 6 da Greci Dorici chiamato Cilone, perch6 i Dori, come scri- ve Giulio Poluce, cosi chiamano l'Asino: e fu presso a gli Egittij tenuto questo colore infausto, onde l'Asino fu odiato, e dispregia- to da loro sopra ogni animale, trattandolo da animale demonia- co, e impuro. Per questo i Signori Fiammenghi nel principio delle moderne divisioni di Fiandra, come il Prencipe d'Orange, e il conte d'Agamonte con molti altri presero il vestito berrettino, signifi- cando occultamente d'esser gabbati, e dispregiati dal governo de' Spagnuoli>>43

Non soltanto l'abito nel suo insieme, ma anche solo al- cuni elementi di esso, come il colore, o un copricapo, pos- sono essere assunti come segni di una identita, di una na- zione, o piu semplicemente di un gruppo all'interno di una comunit", come testimonia questa nota, che descrive l'uso - segnico, simbolico, magico-rituale - di un berretto ros- so posto in cima ad un albero gigantesco, a Biassa di La Spezia:

<A proposito del matrimonio, e molto radicata in Biassa una leg- genda secondo la quale, in epoca molto remota, nel piazzale, do- ve poi doveva sorgere la chiesa, era allevato con molta cura un albero gigantesco. Sul ramo piiu alto di questo albero era stato posto un berretto rosso (il berretto stesso indossato dai biassei). Questo berretto aveva caratteri sacri avvenendo alla sua ombra le sanzio- ni matrimoniali ed i passanti dovevano inchinarlo - pena in ca- so contrario la morte. Ualbero aveva, naturalmente, la sua guar- dia d'onore permanente e bene armata. Un membro oggi rappre- sentante forse la famiglia piiu cospicua del paese, mi raccontava che un suo parente d'allora avendo un giorno tirata una fucilata al berretto rosso (probabilmente per odio di parte) fu arrestato e condannato a morte. Si salv6 solo perch6 il sommo sacerdote di quello strano rito testimonib all'ultim'ora di aver ricevuto in confessione dal Rossi che la pallottola perforatrice del berretto sacro gli era sfuggita inavvertitamente dal fucile e solo per una strana combinazione aveva seguita quella direzione. Ma per la cro- nistoria dell'albero vi ha di pii. L'epoca doveva essere satura di discordie intestine, perch6 la leggenda dice che ai piedi dell'albero si agitava una fazione. Questa fazione affrontava i passanti al gri- do di "Chi viva?". Se il passante rispondeva "Viva Gesit Cristo e la Madonna" era subito fucilato - se invece gridava "Viva la libertA" (le parole dovevano essere sacramentali) lo si trattava da amico ed all'occasione lo si festeggiava>>44.

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Il testo e troppo breve e totalmente separato dal suo con- testo sociale e rituale perch6 si possa tentare una plausibile interpretazione, anche considerando che a detta dell'autore gli eventi vengono desunti dal repertorio leggendario della comunith; il berretto rosso sembra avere assolto molteplici funzioni, come segno della sacralith dell'albero, come og- getto divenuto sacro esso stesso, e come simbolo di uno o pifi gruppi (<<fazioni>> come dice l'autore) all'interno della comunita.

2.3. Ii <<nostro costume>> Per tentare di comprendere e definire una ideologia del

costume, e necessario riprendere il testo di Bogatyrev e ci- tare la sua definizione di <nostro costume>> come insieme delle singole funzioni del costume e funzione essa stessa:

<La struttura generale delle funzioni si presenta come qualcosa di unitario, dotato di una particolare funzione, diversa da quelle che, come elementi singoli, compongono l'insieme della struttu- ra. Questa funzione viene talora designata dal popolo come "il nostro costume"; ci0 non indica solo la funzione, dell'appartenenza regionale, ma rinvia a una particolare funzione, non deducibile da tutte le altre che compongono tutta la struttura nel suo com- plesso. Vediamone l'analogia con la lingua: la lingua materna, come ii "nostro costume", possiede la funzione di struttura delle fun- zioni. Noi la preferiamo a tutte le altre lingue non solo perch6 dal punto di vista pratico la consideriamo la piui comoda per espri- mere i nostri pensieri, non solo perch6 ci sembra la pifi bella (ben- ch6 la nostra lingua materna, come il nostro abbigliamento, non siano sempre per noi i pii` belli, anzi: una lingua e un abito a noi estranei, in quanto pifi esotici, possono essere considerati pifi bel- li; n6 la lingua materna, n6 il costume nazionale possono essere sempre considerati i pifi pratici: la lingua pub risultare inadegua- ta ad esprimere i pensieri in questo o quel paese, il costume na- zionale pub risultare scomodo per lavorare). La lingua materna, come anche il "nostro costume", sono preferiti perch6 piui vicini a noi, e proprio in questo si percepisce e si manifesta la funzione della struttura di funzioni. (...) Analizzando il concetto di "nostro costume", possiamo vedere co- me vi si mescoli un'evidente sfumatura emotiva. Cerchiamo di ca- pire di che cosa si tratti. L'osservazione della vita nei cosiddetti "popoli primitivi" dimostra che per costoro il costume e stretta- mente e intimamente collegato con chi lo indossa. Qualcosa di simile si osserva presso i popoli europei in tutta una serie di atti magici. Per impadronirsi di qualcuno, si compiono atti magici sui capelli della persona, sulle impronte dei suoi piedi e sui suoi abi- ti. Cosi presso i popoli eukopei ci si imbatte nella credenza che l'abito sia quasi organicamente legato con chi lo indossa. E, in base a questa convinzione della vicinanza fra la persona e il suo abito, si determina anche l'atteggiamento di tutta la collettivita verso il "nostro costume": esso e vicino ad ogni singolo membro della collettivita, cosi come gli e vicina la collettivita stessa. E il rapporto reciproco fra il singolo membro e la collettivit. intera del villaggio si manifesta in alcune

localit, in modo molto netto.

Quando vi sono scontri e contese fra rappresentanti di diverse col- lettivitA, se 6 necessario mettere in ridicolo od offendere un grup- po estraneo, pub essere sufficiente mostrare un atteggiamento di scherno verso i suoi segni; l'abito, la lingua, ecc., della propria col- lettivitA>>45.

Queste definizioni possono costituire ovviamente un sem-

plice punto di partenza, specialmente se si considera la par- ticolare vicenda italiana, in cui la tardiva unificazione na- zionale non pub non avere avuto i suoi riflessi anche nella morfologia del costume popolare e nella sua eventuale ideo- logia. E possibile tentare di analizzare, in situazioni ben de- limitate nello spazio e nel tempo, se esiste una vera ideolo- gia popolare del costume, o se piuttosto questa non appar- tenga almeno in parte alla cultura urbana. Il costume ha nella cultura popolare il segno di identith etnica: elementi di abito potevano essere assunti a segno di una comunita, come il caregon dei contadini sloveni di Trieste, ferocemente deriso dai contadini di.lingua italiana46; oggi le comunith alloglotte indossano in certe occasioni comunitarie il co- stume, come gli esponenti della comunith Walser di Rima (VC), che emigrati in varie citt" italiane indossano nel pae- se natale, per la festa del 15 agosto, alcuni elementi, rifatti, dell'antico costume popolare. Rima e infatti un paese in gran parte disabitato d'inverno. D'estate, per la festa del 15 ago- sto, i gruppi Walser ritornano nel paese, e indossano per questa occasione un costume per cosi dire parziale; duran- te la festa alcune parti del costume vengono vendute all'incanto47. C'e da chiedersi tuttavia se questi significati cosi ampi non siano un fenomeno recente, derivante in par- ticolare dalla scomparsa del costume, mentre in preceden- za, quando il costume era ancora in uso, prevalevano nella cultura popolare altri significati come il rituale ed il quoti- diano, le funzioni magico-protettiva, votiva, devozionale, la comunicazione della propria condizione nella comunit" (nubile o scapolo, o coniugati).

L'ideologia del costume e stata invece abbondantemente praticata nella cultura borghese, come si e accennato in pre- cedenza. In primo luogo il costume e stato erroneamente identificato con le classi popolari; per le quali invece il co- stume festivo, almeno nelle sue versioni pifi sfarzose, era spesso inaccessibile perch6 molto costoso.

Il costume popolare e stato inoltre usato come souvenir: ai primi del Novecento a Miazzina, sul lago Maggiore, le turiste si facevano confezionare costumi del luogo48; 10 stesso accadeva in Valsesia, negli stessi anni, dove le signo- re italiane e inglesi in villeggiatura acquistavano il costume locale, per riportarselo indietro nei paesi d'origine49. A Mi- lano, sempre nei primi anni del secolo, era diffusa l'abitu- dine di vestire le balie e le domestiche in costume brianzolos0; in provincia di Caserta, e segnalato l'uso dei borghesi del luogo di scambiarsi visite, durante il carneva- le, in costume popolare.51

2.4. Comunita alloglotte o praticanti altre confessioni reli- giose, comparazioni areali

Sull'origine feudale e territoriale del costume si incrocia- no orizzontalmente eventi storici come le immigrazioni, nel- l'area italiana, di comuniti alloglotte o praticanti confes- sioni religiose non cattoliche.

In una linea di indagine storica, possono analizzarsi le lente trasformazioni e gli elementi pifi stabili nell'abbiglia- mento di queste comunitd, trasformazioni avvenute attra- verso la lunga consuetudine con le comunith italiane. In que-

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8. Pittore locarnese, La moglie di France- sco Rima, particolare da un Ritratto dei co- niugi Rima, sec. XIX, riproduzione da V Gilardoni, Vita e costumi popolari nell'arte delle valli e delle terre ticinesi, Bellinzona, Casagrande, 1969, tav. XXXII. 9. Festa Walser: donna e bambina, Rima (VC), 1975

c., Kodachrome, proprietd privata (fotogra- fia di Glauco Sanga). 10 Donna valdese, Piemonte, 1903 c., stampa bn (cp), AFS del Museo A.TR di Roma. 11. Donna in abi- to festivo, Vena di Maida (CZ), 1908 c., stampa bn, carta al citrato, AFS del Mu- seo A.TR di Roma.

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sto senso, esemplare il caso delle comunit" albanesi, che hanno conservato una specificit" di abbigliamento, rispet- to a quello dei gruppi italiani, ma certamente molto tra- sformato e <<occidentalizzato>> rispetto all'abito del paese originario. Ma anche i gruppi Walser di Rima e Rimella (VC), o di Macugnaga (NO), gli sloveni di Trieste, gi" cita- ti, le comunit" greche di Calabria, gli stessi albanesi di San Paolo Albanese (PZ), di Castrovillari (CS), di Piana degli Albanesi (PA), di Villabadessa di Rosciano (PE), i valdesi della Valle Pellice, indossavano abiti abbastanza differen- ziati da quelli delle comunit" di lingua italiana o di confes- sione cattolica; cosi Caterina Pigorini Beri, parlando delle donne greche della costa catanzarese, descrive con effetti teatrali il loro suggestivo abbigliamento:

<Mancavano le greche le quali sono le ultime ad arrivare ai ba- gni: le greche dall'ampia e doppia gonna sulla lunga camicia bianca e dalla berretta quadrata ricamata d'oro, una specia di chesa sulle chiome nascoste e avviluppate; ii giubbino trapunto a trine di co- lote coi lunghi maniconi ricadenti fin sulle ginocchia e il grem- biule rialzato; aggiungete ora la scimitarra turca e avrete una spe- cie di sultana armata>>52

Altra linea di indagine potrebbe essere quella delle com- parazioni areali, linea in realt" pochissimo praticata fino ad ora per quello che riguarda il costume"5. Per quanto questo tipo di analisi non sia dei pihI aggiornati, pub essere utile anche in queste indagini tenere presenti le aree di dif- fusione di alcuni elementi del costume, come, ad esempio, l'area meridionale del fazzoletto <<tovaglia>> e del grembiu- le quadrato, o l'area settentrionale del fazzoletto bianco usa- to per il lutto.

3. L'abito professionale e l'abito urbano Nelle multiformi stratificazioni di cui e costituita la cul-

tura popolare e possibile individuare alcuni gruppi che, al- meno fino all'inizio del nostro secolo, indossavano abiti spe- cifici e correlati alla propria attivit" lavorativa. Piii che della sottile indagine di Bogatyrev (sull'uso del costume antico, o di determinati colori, da parte di alcuni gruppi profes- sionali, come ad esempio i mugnai), si intende qui fare uso di distinzioni piiu grossolane, data la scarsita di studi sul- l'argomento per quel che riguarda l'area italiana. Il colle- gamento tra abito e mestiere e infatti duplice: da un lato si parla di elementi di abito direttamente funzionali allo svolgimento dell'attivit" lavorativa, ed eventualmente indos- sati solo o prevalentemente durante il lavoro; dall'altro pos- sono costituirsi complessi di abbigliamento non direttamen- te funzionali, o non pi i tali, ma volti a costruire anche at- traverso l'abito una identit" specificamente collegata al me- stiere. Tra l'uno e l'altro fatto esistono ovviamente situazioni intermedie, soprattutto per quello che riguarda quegli ele- menti di abito in origine funzionali al mestiere ed in segui- to indossati esclusivamente come segno di identith profes- sionale. Particolarmente interessante quindi, in questa li- nea di indagine, pub essere l'abbigliamento di quei gruppi che si trovano in una condizione strutturalmente diversa da quella contadina, come ad esempio gli artigiani, o dei gruppi

mobili, che, pur appartenendo alla cultura popolare di et- nia italiana, si collocano in una condizione di opposizione rispetto ai gruppi stanziali agricoli, secondo l'antica oppo- sizione tra mobilit" e stanzialita54

Alcune indicazioni nella letteratura sull'abbigliamento po- polare italiano forniscono notizie sull'abito degli artigiani, segno della relativa agiatezza degli artigiani professionali e della particolare posizione da essi occupata all'interno del- la cultura popolare. Gid nelle classi agiate coloro che rap- presentavano cariche pubbliche o esercitavano alcune pro- fessioni liberali indossavano abiti di particolari colori, co- me i medici dei secoli XIV-XV-XVI, a Firenze, vestiti pre- valentemente di nero o di rosso, o i lettori dell'universith di Bologna nel Rinascimento, che si distinguevano per fa- colt" attraverso i colori dei loro abiti, nero, viola o porpo- ra; nel secolo XVII, in Umbria, i medici erano vestiti con mantelli di colore paonazzo (un colore intermedio tra il viola e il blu); nel XVIII secolo professori d'universita, medici e avvocati cominciarono ad usare questi colori solo duran- te l'esercizio della loro attivita55. Cosi nella cultura popo- lare, sin dal secolo XII, possono individuarsi alcune carat- teristiche dell'abbigliamento degli artigiani, come quello de- gli arrotini nel secolo XII; dei falegnami e muratori nel se- colo XIII; dei mugnai nel secolo XV56.

Diversa indagine richiedono gli abiti o gli elementi del- l'abito direttamente funzionali al lavoro artigiano e solo per esso indossati: i bianchi vestiti di mugnai e panettieri; i ca- miciotti dei fabbri; i grembiuli di cuoio dei calzolai, le uni- formi azzurre dei ferrovieri, i grembiuli di alona dei barilai messinesi, i camiciotti bianchi degli imbianchini genovesi57. Accanto alla funzionalit pratica di questi abiti, ovviamente primaria, si possono leggere elementi simbolici di identifi- cazione con il proprio lavoro e con la materia lavorata e trasformata attraverso di esso (il colore bianco in rapporto alla farina ed alla pasta, il cuoio in rapporto con il cuoio da lavorare, eccetera), come se al mimetismo utilitario si ag- giungesse un mimetismo simbolico; estremo esempio di mi- metismo con la materia e il caso dei rematori veneziani del secolo XVIII, che nelle battute di pesca per i signori vene- ziani indossavano abiti verdeazzurri allo scopo di non spa- ventare la preda58. Nell'area settentrionale il blu e l'azzur- ro erano usati in abiti di lavoro: i pantaloni di velluto blu, usati largamente oltre confine, erano stati importati dalla Savoia nel Piemonte dagli operai frontalieri59; i facchini genovesi della dogana e porto franco usavano un corto gon- nellino di cotone blu60; il grembiule blu e ancora usato dai contadini nell'area atesina; azzurre erano le antiche divise dei ferrovieri, ecc.61

Anche i contadini sardi avevano, insieme all'abito usato quotidianamente per il lavoro, abiti direttamente funzionali ad alcuni tipi di lavori agricoli: i peddis o pannus de andn- ti, grembiuli di cuoio o di panno, venivano usati in nume- rose occasioni di lavoro, mentre mezze maniche (mangit- tus) venivano usate particolarmente per la mietitura, insie- me a ditali di cuoio o canna, per proteggere le mani e le braccia dal logorio e da eventuali colpi di falce62

Tra i pii conosciuti abiti professionali & da considerarsi

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12. A. Pittaluga, Maestro Muratore imbiancando. Costume di Genova, sec. XIX, acquarello, Gabinet- to delle Stampe del Museo A.TR di Roma. 13. E Pieraccini, Guardiana di pecore della montagna di Pistoia, sec. XIX, cromolitografia, da Id., Collec- tion de Costumes des diverses Provinces Du Grand Duch6 de Toscane, Paris, Marino Editeur, Lith. de Ducarme. Gabinetto delle Stampe del Museo A.TR di Roma. 14. Cosiddetto <<Brigante della Sila>>, Ca- labria, 1900 c., stampa bn, carta all'albumina, AFS del Museo A.TR di Roma. 15. Spazzacamini, Val- le d'4osta, 1907 c., stampa bn, carta al citrato, AFS del Museo A.TR di Roma.

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16. Venditrici ambulanti, lago Maggiore, 1908 c., stampa bn, co- 19 lorazione tipografica (cp), AFS del Museo

A.TP. di Roma. 17.

Venditrici di rame, Fondi (LT), 1909 c., stampa bn (cp), AFS del Museo A.T.P. di Roma. 18. Intagliatori, Morbegno (SO), 1909 c., stampa bn, carta al bromuro d'argento, AFS del Museo A.TPI di Roma. 19. Cerroni, Canto storia al Molo (Cantastorie al Molo di Napoli), sec. XIX, cromolitografia, lith. A. Ledoux, Gabinet- to delle Stampe del Museo A.TP di Roma. 20. Interno di una fonderia con operai, Emilia Romagna, 1906 c., stampa bn, carta all'albumina, AFS del Museo A.TP di Roma.

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l'abbigliamento dei pastori, che nella versione usata per il lavoro era molto simile in tutta l'area continentale italiana, con le eccezioni significative della Sardegna e dell'arco al- pino. Questo abbigliamento era caratterizzato dalla effetti- va e persistente funzionalitA dei suoi elementi, e da una stret- ta correlazione con l'attivita esercitata. I pastori, di ovini o di bovini, facevano uso di abiti di pelle di animale (giac- che, guardamacchia, fasce per gambe) o di stoffa (mantel- li) per proteggersi rispettivamente dal freddo o dal vento durante la transumanza e le ore passate all'aperto; si usava il materiale pifi immediatamente disponibile, cioe la pelle degli animali allevati. L'abito costituito per la maggior par- te di pelle animale rappresenta una scelta che investe la sfe- ra tecnologica ed economica, e insieme un elemento sim- bolico di identificazione con quegli animali che sono la prin- cipale cura e fonte di sussistenza63. I pastori coperti di pelli si vestivano , per cosi dire, da bestie, e non in funzione au- todenigratoria, ma con la fierezza della propria condizione che e tipica delle societa pastorali. A Capracotta (IS) il pa- store Giacomo Venditti ha descritto l'abito che indossava da pastore, nella sua giovinezza, come un abito decorato e portato con orgoglio: la giacca di pelle di pecora (pellic- ci6ne) era tutta ornata di bottoni di vari colori e di pezzi di pelle marocchino, policroma64.

L'abbigliamento in cuoio conserva infatti ancora oggi un suo carattere di aggressivit", legato com'era, in origine, alle culture degli allevatori e soprattutto dei cacciatori; I'abbi- gliamento in cuoio ha contraddistinto alcune categorie di <<duri>> o presunti tali, tassisti, camionisti, motociclisti, punk, blousons noir degli anni '50, figure legate in qual- che modo alla strada e ad un reale o preteso nomadismo. Nelle sue versioni pii <<nere>>, l'abbigliamento in cuoio di- viene l'emblema dei bracci armati delle dittature (nazisti, fascisti), o dei riti e comportamenti sessuali della compo- nente sadomasochista.

Altri gruppi professionali legati alla cura e allevamento di animali, come i massari, o i guardiani delle grandi aziende agricole in Calabria, vestivano abiti di foggia brigantesca, e indossavano cappelli decorati con spilli dalle capocchie lucenti65; questo modo di apporre abbondantemente spil- li, o bottoni policromi, o spille con segni vari, documenta- to presso gli antichi guardiani delle aziende calabresi, pres- so i pastori del Molise descritti piiA sopra, e oggi negli abiti dei giovani mafiosi calabresi, in occasioni cerimoniali co- me pellegrinaggi a santuari, si ricollega almeno in appa- renza alla distribuzione dei gradi e delle medaglie nelle di- vise militari, ed e certamente segno di una fierezza e di una <<valentia>>, pacifica o no, individuale o di gruppo.

La specificith dell'abito pastorale sembra mantenersi an- che nell'evolversi di alcuni elementi dell'abito; sempre a Ca- pracotta, nel corso dei primi decenni del secolo XX era usato dai pastori un particolare tipo di pantaloni, con la cinta al- ta, tutti foderati di lana, non assimilati agli altri abiti. L'a- bito dei pastori di Capracotta nel secolo XX era indossato dai carbonai; questi costituiscono infatti un altro gruppo mobile rispetto alla comunit~ contadina stanziale66.

Per gli abiti dei pastori di altre regioni possono citarsi

gli abiti di tipo greco di alcuni gruppi di pastori calabre- si67; gli abiti dei bergamini, pastori di bovini transumanti dell'area bergamasca, che usavano mantelli funzionali al ri- paro dal freddo notturno, e simili a quelli dei pastori del- l'Italia centromeridionale, e che indossavano un abito par- ticolare con pantaloni corti al ginocchio, ghette, cappello rotondo scuro68; gli abiti dei pastori della campagna romana69; gli abiti dei pastori siciliani70

I gruppi mobili si distinguono all'interno del mondo po- polare anche attraverso il vestiario. Cosi i carrettieri ed i mediatori, nella Val Leogra, portavano come segno distin- tivo un fazzoletto al collo71; i carrettieri canavesani indos- savano un berrettone a sacco di maglia rosa e nera72. Si di- stinguevano, anche attraverso l'abito, i Kramari (merciai am- bulanti) della Carnia73, e gli spazzacamini valdostani74. Gli abiti dei venditori e lavoratori ambulanti aprono prospetti- ve alla problematica dell'abito urbano, per via dei numero- si contatti con la cultura popolare urbana, e gli elementi culturali assorbiti attraverso i continui spostamenti75.

L'abito popolare urbano presenta, infatti, numerosi e co- spicui motivi di interesse, anche se e stato finora poco stu- diato. Solo alcuni abiti indossati nell'ambito delle classi po- polari sono abbastanza conosciuti, in genere a causa di al- cune caratteristiche particolari, e in qualche modo assimi- lati al costume delle campagne: si vedano ad esempio per il secolo XIX l'abito delle donne genovesi, caratterizzato dal noto mezaro, l'abito delle donne veneziane, con scialle trian- golare, o l'abito delle minenti romane76. Un'altra tipologia di abito urbano e costituita dall'abbigliamento dei vendito- ri ambulanti delle citt"; i loro abiti tuttavia possono essere studiati solo indirettamente, attraverso le immagini fotogra- fiche, gli acquerelli, le tempere, le stampe del secolo XIX. Le descrizioni relative all'attivit" dei venditori ambulanti non prestano sempre la dovuta attenzione all'abito, ma piut- tosto al tipo di commercio esercitato, o alle grida. Tra le classiche descrizioni possono citarsi quelle del Pitr6, che in molti casi si dimostra attento all'abito di venditrici di uo- va, di mestolaie, di venditori di scope, di venditori di terra- cotte, di acconcia-tegami, di venditrici di cesti e ventagli; questi abiti non si distinguono da quelli usati comunemen- te nelle classi popolari urbane, tranne nel caso dei vendito- ri di verdure, e di pesce, che presentano un abbigliamento diversificato perch6 si tratta, rispettivamente, di contadini e pescatori77. Alcuni abiti di venditori ambulanti sono di- rettamente funzionali al tipo di attivith esercitata, come i camiciotti o grembiuli dei sorbettieri di Napoli78, o il lun- go pastrano dei caffettieri ambulanti di Napoli o siciliani, che ricordano in un certo modo le divise di lavoro usate dagli operai nelle fabbriche79

Altri abiti urbani, desunti dal giA citato repertorio di stampe e di descrizioni ottocentesche, che indulgono sovente al pittoresco, sembrano costituire una rielaborazione popo- lare di modelli di abbigliamento propri di altri ambiti o gruppi sociali; oltre al caffettiere ambulante, che come si 6 gid detto veste un abito di tipo operaio, possono citarsi l'abito delle guide (dette <<Ciceroni>>) alle solfatare di Poz- zuoli, che appare simile ad una divisa civiles80, e l'abito del

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cantastorie, che particolarmente nell'area di Napoli ha avuto importanti ed accurate descrizioni. I contastorie napoleta- ni declamavano ad alta voce, leggendole, storie epico- cavalleresche, incentrate soprattutto sul ciclo carolingio; essi erano infatti chiamati Rinaldi dal nome del pifi famoso ed amato dei paladini cristiani, e lavoravano soprattutto sul molo del porto, dinanzi ad un pubblico costituito prevalen- temente di pescatori; dalle descrizioni di Pio Rajna, del 1878, I'abbigliamento dei contastorie appare assimilato ad un abito borghese di tipo elegante ma in disuso, prevalen- temente nero, con giacca, panciotto, pantaloni, cappello di paglia o berretto nero, e in un caso orecchini ad anello alle orecchies'. Nelle stampe ottocentesche e nel volume di De Bourcard, del 1853, documenti pifi antichi del testo di Raj- na ma come si e detto in maggiore misura volti al pittore- sco, I'abbigliamento del contastorie napoletano appare vi- sibilmente di tipo antiquato: cappello, frac a lunghe code, occhiali, due fazzoletti, uno bianco e l'altro colorato, pan- taloni, scarpe, panciotto, cravatta fuori moda; da questo ab- bigliamento viene distinto quello dei cantastorie che nar- ravano cantando (e non leggendo) storie di miracoli o sto- rie lacrimevoli; questi lavoravano in varie piazze della cit- ta, o davanti all'edificio della dogana, e indossavano una giacca lunga, talvolta bianca come quella dei cuochi82. L'a- bito del contastorie riflette ed amplifica lo status sociale di questo artista nella cultura popolare urbana, particolar- mente di Napoli; nel suo abito nero, e particolarmente nel frac a code, il contastorie ha dell'attore (si pensi all'utiliz- zazione dello stesso genere di abito un secolo pifi tardi, da parte di Tot6 e di Charlot, forse attraverso la mediazione dell'abbigliamento del clown circense Leale)83, e dell'intel- lettuale, magari definito nella cultura popolare il <<profes- sore>>; I'unione di teatralitt" e intellettualit" richiama imme- diatamente un altro protagonista degli spettacoli di piazza, il ciarlatano, il cui abbigliamento nei secoli pifi recenti sem- bra presentare alcune analogie con quello qui descritto del contastorie84.

Non possono evitarsi, in questa sede, anche alcuni accenni all'abito degli operai. Nella fine analisi di Aris Accornero, viene individuato un passaggio dalla dicotomia abito da la- voro / abito della festa, nella quale era implicito che non esistevano differenze tra l'abito usato durante lo svolgersi di un lavoro e l'abito per recarsi al lavoro; in seguito, con l'introduzione nelle fabbriche degli abiti da lavoro e poi delle tute blu, cambiano lentamente anche le caratteristiche del- l'abito per recarsi al lavoro, e quelle dell'abito da festa, in via di sparizione. In una prima fase quindi l'introduzione dell'abito da lavoro nelle fabbriche sembra essere una pre- rogativa delle categorie di operai pifi qualificate, tant'b ve- ro che gli operai meno qualificati, muratori, cavatori, scal- pellini, allo stesso modo dei braccianti, scrive Accornero, non indossano specifici abiti da lavoro; la divisa di lavoro 6 un segno positivo di status all'interno della cultura popo- lare; in seguito, invece, la progressiva attuale tendenza alla sparizione delle divise da lavoro sembra qualificarle nega- tivamente. Nel testo di Accornero vengono analizzate le di- verse funzioni degli abiti da lavoro in fabbrica, con le dif-

ferenze che sottolineano le diverse gerarchie di operai al- l'interno dell'azienda, e che definiscono la tuta o la divisa di lavoro segno dei lavori piiA umili, con i quali ci si insozza maggiormente; la tuta diviene poi un emblema della con- dizione proletaria, e viene indossata con fierezza nelle ma- nifestazioni di piazza dagli anni '60- '7085.

Un abito che indicava una condizione professionale, sia nelle citta che nelle campagne, e, infine, quello delle nutri- ci; si e gi" citato l'esempio delle balie e delle domestiche originarie della Brianza, che lavoravano a Milano e che in- dossayano il costume brianzolo (si veda la nota 50); nell'a- rea siciliana le balie vestivano di nero, o invece, nell'uscire fuori dalle case dove prestavano servizio, indossavano un costume ben curato e piacevole a vedersi:

<<La nutrice fuori di casa e come un oggetto di lusso per la fami- glia che la tiene: e perci6 va vestita con un certo costume non or- dinario per altre donne della sua condizione, un costume at- traente>>86

E possibile forse riflettere sul duplice significato di que- sto tipo di abito delle nutrici; da un lato, c'e il riconosci- mento di una identit" e di una origine diverse da quella dei signori di citta che le danno lavoro; identita ed origine che vanno rispettate, anche perch6 sono la garanzia della qua- lit" del servizio prestato (nell'implicita equazione campagna- salute-buona qualit" del latte); dall'altro, la diversit" espressa nel costume viene in qualche modo asservita, attraverso la cura della confezione e l'eleganza, alle esigenze di prestigio delle classi borghesi e aristocratiche urbane; e forse anche da considerare che le balie avevano una condizione ed un ruolo privilegiati nei confronti delle comuni domestiche87

4. Quotidiano. Festivo. Rituale La classificazione di Bogatyrev relativamente all'abito,

suddiviso in quotidiano, festivo, solenne, rituale, va proba- bilmente rivista, soprattutto perch6 scompone in piui parti la categoria del rituale; si pub invece verificare positivamente la sua ipotesi sulla prevalenza di passaggi dell'abito dal quo- tidiano al rituale, piuttosto che il contrario, anche se non mancano dati in questo senso n6 nell'analisi di Bogatyrev stesso88, n6 in alcuni dati relativi all'area italiana89.

Resta perb prevalente, negli esempi citati da Bogatyrdv, il passaggio quotidiano --+ festivo --+ solenne --+ rituale.

Bogatyrev privilegia (giustamente) l'abito quotidiano, co- me elemento maggiormente dinamico (cioe quello in cui si sono verificate con maggiore consistenza le trasformazio- ni, ad esempio l'influenza del gusto urbano, degli abiti di eventuali invasori o di altri popoli con i quali si e venuti a contatto, ecc.). L'abito rituale consiste invece in molti casi dell'abito quotidiano in disuso; cib conferma il valore del- I'elemento dell<antico>> nell'ideologia del costume. Del re- sto, cib avviene anche al di fuori della cultura popolare: il tight usato dallo sposo nelle nozze dell'alta e media bor- ghesia, fino a pochi anni fa e talvolta anche oggi, non 6 altro che un abito quotidiano ottocentesco, con giacca a due code e cappello a cilindro.

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21. Mondatura del riso, Vercelli, 1909 c., stampa bn (cp), AFS del Museo A.T.P. di Roma. 22. Famiglia di pastori, Sicilia, 1900 c., stampa bn, AFS del Museo A.TP di Roma. 23. Contadina alla fiera di bestiame, Abruzzo, fine sec. XIX, stampa bn, Gabinetto Fotografico Naz, dell'Istituto Centr. per il Catalogo e la Documentazione di Roma (foto Francesco P Michetti). 24. Gruppo di devote alla festa del Divino Amore, Roma, fine sec. XIX, stampa bn, AFS del Museo A.TR di Roma (foto Arrigo Ravaioli).

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25. Gruppo di contadini alla festa della Madonna del Buon Consiglio, Genazzano (RM), fine sec. XIX, stampa bn, GFN dell'ICCD di Roma (foto Ignazio Cugnoni). 26. Gruppo di contadini alla festa della Madonna del Buon Consiglio, Genazzano (RM), fine sec., XIX, stampa bn, GFNdell'ICCD di Roma (foto Ignazio Cugnoni). 27. Festa della Triniti. Ingresso delle <<zitelle>> e della croce nel santuario, Vallepietra (RM), 1937, stampa bn, GFN dell'ICCD di Roma (foto Luciano Morpurgo).

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Per la cultura contadina dell'area italiana, il passaggio da quotidiano a rituale si riscontra ad esempio nella Car- nia, relativamente all'uso del quadri, antico fazzoletto di uso quotidiano, usato invece negli anni '60 del nostro seco- lo come segno di lutto, cioe come elemento rituale9?; ci60 avviene anche per il vel, elemento del costume femminile dell'area carnica91. Altri dati indicano il passaggio dal quo- tidiano al festivo o al ?costume>> propriamente detto per il collettu sardo92, e per altri elementi parziali dell'abito93. Tra i Walser di Rimella (VC) il costume femminile tradizio- nale, detto pattu, non viene pifi usato da circa cinquant'an- ni nei giorni feriali, evidentemente sostituito da un abbi- gliamento pifi vicino alla moda attuale, ma viene ancora usato in molti casi nei giorni festivi94.

Quanto all'abito quotidiano, e necessario distinguere tra l'abito indossato dai contadini per lavorare, e l'abito indos- sato per occasioni come la fiera ed il mercato, probabilmente diverso dal primo e pifi vicino all'abito festivo95.

A proposito del passaggio di capi di abbigliamento da una cultura all'altra, e da una funzione all'altra all'interno di una stessa comunit", e utile forse notare la presenza mas- siccia di abiti militari, o di stili, desunti da abiti militari, nell'abbigliamento popolare; contadini piemontesi, nel se- colo XVIII, usavano divise militari per alcuni lavori agri- coli, come l'aratura96; molti costumi, soprattutto festivi, dell'Italia settentrionale presentano numerosi elementi di tipo militare (come giacche, decorazioni alle maniche, aso- le e bottoni). Generalmente gli influssi militareschi nel co- stume vengono attribuiti alle numerose guerre, ed alle con- tinue invasioni straniere che si sono succedute nei secoli nel- l'area italiana; in modo pifi sottile tuttavia pub essere con- siderato anche, per i secoli XVIII e XIX, I'influsso del pro- gressivo diffondersi, tra i sovrani, i personaggi di corte, gli alti funzionari e gli alti gradi militari, dell'uniforme e della divisa civile97; elementi culturali arrivati, quindi, alle clas- si popolari non solo attraverso la guerra e le invasioni, ma anche come modelli di prestigio e di agiatezza, da imitare.

Altri elementi dell'abbigliamento sembrano invece desunti da altri generi di oggetti: nel Seicento in Umbria le donne portavano sul capo uno sciuccatore (asciugamano), in lino se erano contadine, in tessuti pregiati se erano molto abbienti98; immediato sembra in questo caso il richiamo alla tovaglia, copricapo diffuso nell'Italia centromeridio- nale, che in alcuni casi assume la forma di una pezzuola di piccole dimensioni, ma in altri, come ad esempio nell'a- rea calabrese, e del tutto simile nella forma ad un classico asciugamano. Probabilmente la tovaglia, al pari di altri ele- menti interni dell'abito, come le camicie, presenta una inin- terrotta continuit" con gli elementi che costituiscono la bian- cheria della casa, frutto le une e gli altri del lavoro dome- stico femminile.

5. Abito festivo e processionale La distinzione di Bogatyrev tra abito della festa ed abito

solenne (abito festivo e abito cerimoniale o processionale) sembra essere inadeguata per quello che riguarda la situa- zione italiana. In realth, se si possono individuare alcune

differenziazioni tra gli abiti usati nelle feste pifi comuni ed abiti indossati per le feste pifi importanti, il problema deve essere posto diversamente. Senza scindere l'abito dall'ana- lisi dell'intero rituale in tutte le sue implicazioni.

Dalla ricerca fotografica effettuata, alla fine del secolo XIX e nei primi decenni del secolo XX, da Ignazio Cugno- ni, Arrigo Ravaioli, Francesco Michetti, Luciano Morpur- go99, sembra evidente che l'abito che i contadini indossa- vano per i pellegrinaggi non si differenziava molto da quello quotidiano, e ne costituiva soltanto una versione pif pre- sentabile e decorosa (indumenti pifi puliti e pifi nuovi). Gli elementi rituali dell'abifo erano costituiti da elementi ag- giunti, di basso costo, ed estranei ad esso: ad esempio i fio- ri sui cappelli degli uomini nei pellegrinaggi di Vallepietra (RM)100 e Genazzano (RM)1O', fiori tra i capelli per le don- ne a Vallepietra'02, oggetti portati in mano, ecc. Sono que- sti elementi rituali, talvolta dichiaratamente effimeri (co- me i mazzi di fiori di carta) a trasformare un abito quoti- diano in un abito festivo; tale ?<rivestimento>> effimero si estende spesso anche ai mezzi di trasporto usati per recarsi alla festa (carrozze, carri, autobus). i inoltre utile confron- tare questi ornamenti con quelli usati per gli abiti di carne- vale; anche questi ultimi, costituiti da abiti normali di un tempo, oggi in disuso, presentano numerosi elementi di ri- vestimento effimero (nastri, fiocchi, fiori, ecc.).

Solo presso i contadini agiati era possibile riscontrare l'u- so di abiti diversi in diverse occasioni cerimoniali; nella pia- na di Palmi (RC) le contadine benestanti indossavano di- versi tipi di abiti: abito per la messa; abito per le cerimonie speciali o per visite di convenienza; abito di seta nera per le visite di condoglianza'03.

Altro e invece l'abito indossato per la parte ufficiale e spettacolare delle processioni, che e un abito speciale; si ve- dano, come esempio tra i numerosissimi casi, l'abito per la processione del Venerdi Santo a Varallo (VC)'"1, gli abiti degli esponenti delle confraternite addette alle processioni, gli abiti delle Zitelle nel pellegrinaggio di Vallepietra (RM)Io5, gli abiti delle Verginelle di Rapino (CH) e delle bambine biancovestite alla Festa del Perdono di Orsogna (CH) '06

A proposito di questi abiti occorre notare che essi alme- no in parte, proprio per il loro carattere di ufficialit" e spet- tacolarit", sono indossati da persone appartenenti a grup- pi sociali pifi privilegiati (ad esempio artigiani, nel caso delle confraternite), o comunque pifi legati alla Chiesa o ai gruppi organizzatori delle feste, mentre i contadini rimangono spes- so, probabilmente, fuori da questo circuito; si pensi inoltre al costo di simili abiti, anche se e possibile che essi non fos- sero sempre di propriet] di coloro che li indossavano. La condizione culturale non contadina 6 particolarmente evi- dente nel ricco abito di Varallo, che 6 simile a quello delle statue della Madonna Addolorata; evidentemente le parte- cipanti alla processione dovevano, attraverso l'abito, rappre- sentare questa immagine e con essa identificarsi. Allo stes- so modo, non sono certo contadine alcune delle zitelle di Vallepietra, che sono vestite in abiti di colore bianco ma ta- gliati alla moda. E possibile inoltre che tali abiti siano abiti

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28. Festa della TrinitA. <<Zitelle>, Vallepietra (RM), inizio sec. XX, stampa bn, GFN dell'ICCD di Roma (foto Luciano Morpurgo). 29. Gruppo di <verginelle>>, Rapino (CH), 1893, stampa bn, GFN dell'ICCD di Roma (foto Francesco P Michetti). 30. Processione del Venerdi Santo. Donna in abito processionale, Varallo (VC), 1907 c., stampa bn, carta al citrato, AFS del Museo A.TR di Roma. 31. Festa del Perdono. <<Verginelle>> e ragazze biancovestite, Orsogna (CH), 1890-1900 c., stampa bn, GFN dell'ICCD di Roma (foto ER Michetti). 32. Festa delle <Verginelle>>. Bambina vestita da angelo, Rapino (CH), fine sec. XIX, stampa bn, GFN dell'ICCD di Roma (foto EP.R Michetti). 33. Gruppo di <<madonnare>>, Albano Laziale (RM), 1950 c., stampa bn, propr. priv.

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da sposa, cosi come nelle attuali processioni delle Verginel- le le bambine indossano gli abiti della prima comunione.

Alcuni di questi abiti processionali hanno probabilmen- te funzione votiva, come si pub ipotizzare, in particolare, per le bambine vestite in abito monacale nella processione di Francavilla al Mare (CH)107, e per la bambina vestita da angelo nella festa delle Verginelle a Rapino (CH)'08. Ma piu che la funzione votiva, sembra emergere, insieme ai si- gnificati connessi al rituale in generale, un atteggiamento mimetico nei confronti della divinita.

Legato probabilmente ad una funzione votiva, o espres- sione di un atteggiamento penitenziale, e l'uso di donare gli abiti alla divinith nei santuari, uso riscontrato in tutta l'area italiana e particolarmente nell'area centro-meridio- nale; nelle descrizioni di Giuseppe Pitre compaiono nume- rosi i bambini che venivano spogliati davanti all'immagine della divinitY, e lasciati nudi, o rivestiti di un abito votivo simile a quello del santo al quale la grazia veniva chiesta o dal quale era stata ottenuta; gli abiti donati venivano poi distribuiti ai poveri. Quest'uso viene descritto dal Pitre so- prattutto per la festa di San Calogero in Agrigento e per le feste di San Rocco in Butera (CL) e in Realmonte (AG) e di San Sebastiano in Melilli (SR)'"9.

La nudith come atteggiamento penitenziale non era del resto limitata ai bambini; proprio nell'area siciliana e riscon- trabile, in vari luoghi, I'uso di partecipare alle processioni o alle feste seminudi, cioe vestiti solo di un panno che co- priva la vita ed i fianchi; questi gruppi di penitenti, detti i nudi, e che indossavano anche, talvolta, altri indumenti rituali, come vesti da confraternite, fazzoletti, nastri, par- tecipavano alle feste dell'Ecce Homo in Canicattini Bagni (SR), di San Sebastiano in Melilli (SR), di Sant'Alfio Fila- delfo e Cirino in Trecastagni (CT), di Sant'Agata a Cata- nia"o

La nudith, totale o parziale, ha certamente in questi ca- si, come si e gid detto, un carattere di privazione e di peni- tenza; il corpo viene scoperto senza difese davanti agli oc- chi di tutti ed esposto, come nel caso dei battenti di Guar- dia Sanframondi (BN), agli atti aggressivi rivolti contro s6 stessi (autoflagellazioni), le cui conseguenze (ferite e san- gue) sono piu spettacolari e a tutti visibili se avvengono nella nudita; e necessario tuttavia notare che i nudi della festa di San Sebastiano a Melilli usavano procedere in alcuni tratti del percorso rituale con un braccio alzato e l'altro dietro la schiena, ad imitazione dell'iconografia corrente del san- to martirizzato, cosi come i nudi dell'Ecce Homo di Cani- cattini Bagni indossavano mantello rosso e corona di spi- ne, e con una canna in mano rappresentavano anch'essi una iconografia corrente, appunto quella dell'Ecce Homo; ac- canto all'elemento penitenziale si rileva, quindi, che l'abito o la nuditA assumono in questi due casi funzione di mime- si nei confronti della divinitA.

Un tipo molto particolare di abito festivo, certamente molto vicino al mascheramento, 6 quello delle madonnare romane alla festa della Madonna del Divino Amore a Roma"'. Le madonnare costituiscono anche oggi associa- zioni rionali, esclusivamente femminili; durante l'anno le

aderenti versano contributi settimanali alla presidentessa dell'associazione (quella che Zanazzo chiamava la cassard- la): i soldi accumulati in cassa servono per organizzare il pellegrinaggio alla Madonna del Divino Amore, le ottobrate (feste nelle domeniche di ottobre), ed in tempi pifi recenti le gite di Carnevale ed estive"2. 11 pellegrinaggio al Divi- no Amore, effettuato il lunedi di Pentecoste, era seguito da un raduno sulla piazza di Albano, ove avveniva la gara tra i pullman (in precedenza i carri), sia relativamente agli ad- dobbi di fiori e di nastri del mezzo di trasporto, sia relati- vamente alle gare di canto e di ballo, sia soprattutto per il costume indossato. Ciaseuna associazione infatti presenta- va, insieme al mezzo di trasporto addobbato e decorato, le sue aderenti vestite tutte del medesimo abito: alla marina- ra, o a modo della canzone Come pioveva, ecc. in tempi recenti; a modo del Trovatore, della Tosca o della Traviata e di altre opere, ai primi del secolo. Dopo la gara le ma- donnare giravano per i paesi dei Castelli romani, frequen- tando osterie e continuando a bere ed a mangiare; in que- sti giri alcune donne - quelle che non erano accompagna- te da uomini - facevano a gara a provocare scherzosamente i maschi che incontravano, ?prendendo di petto gli uomi- ni?, secondo l'espressione della madonnara Ines. In questa festa l'abito costituiva una specie di divisa di lusso dell'as- sociazione rionale; dopo la festa tuttavia l'abito veniva usato normalmente. Anche nelle ottobrate si unificavano alcuni elementi dell'abito, ad esempio relativamente al colore; gli abiti indossati per le gite di Carnevale costituivano invece un mascheramento individuale.

Affini in un certo senso alle madonnare romane, e certa- mente vicine anch'esse alla tematica del mascheramento, era- no probabilmente le 'ntuppate o attuppateddi di Catania, donne appartenenti alle classi medie o medio-alte della so- cieth catanese, che nel giorno della festa di Sant'Agata (5 febbraio) giravano per le vie della citti con un mantello di seta nera, che copriva interamente il capo, la schiena, il volto, ad eccezione di una fessura per l'occhio destro, perch6 chi indossava il mantello potesse veder fuori e muoversi libera- mente in strada. In questo abito-mascheramento, in cui com- pariva il domino di seta nera, che per molti versi richiama la faldetta, abito nazionale maltese, e i mantelli spagnoli, le 'ntuppate potevano, esclusivamente per il periodo della festa, uscire liberamente da sole, o insieme ad altre 'ntup- pate vestite allo stesso modo, e violare alcune norme di com- portamento normalmente imposte alle donne, come entra- re nei caff?, prendere sottobraccio amici e conoscenti e con- durli presso i banchi dei venditori ambulanti a farsi offrire dolciumi o piccoli doni. Almeno a quello che si deduce dalle descrizioni del Pitre e di Emilio Del Cerro, le 'ntuppate do- vevano rendersi assolutamente irriconoscibili; nella condi- zione del mascheramento, che d'altro canto avveniva in oc- casione di una festa invernale assai vicina al Carnevale, al- le donne era quindi eccezionalmente consentito assumere in prima persona un atteggiamento, sia pure scherzoso, di provocazione sessuale"3. E possibile valutare, nell'ambito di questa eccezionale e annuale licenza di iniziativa e di in- vito sessuale, quanto fosse importante la mediazione del-

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l'abito: si ricordino le gia citate madonnare romane, che si divertivano a <<prender di petto gli uomini>>, o, fatte le de- bite differenze di status e di rispettivi ruoli nella societa, i mascheramenti delle cortigiane veneziane, che usavano tal- volta girare per la citta vestite da uomo, o con abiti vedovi- li, o da donna sposata114. La tematica del mascheramento, o dell'abito-uniforme, direttamente legati alla provocazio- ne sessuale, richiamarebbe qui la tematica del Carnevale, che tuttavia, per la sua ampiezza, non e stata volutamente inserita in questo discorsol5.

Sempre relativamente alla festa di Sant'Agata in Catania, " descritto nel secolo XVII l'uso, da parte delle donne con- tadine provenienti dalla campagna, di recarsi alla festa por- tando gli occhiali, cioe un telo bianco ricadente dal capo fino a coprire tutto il volto, tranne due tagli all'altezza de- gli occhi per poter vedere e camminare; dalla descrizione dello storico seicentesco Pietro Carrera, citato dal Pitre, que- sto uso sembra avere avuto la funzione di nascondere agli occhi indiscreti e proteggere le donne che si recavano alla festa, soprattutto nei tratti isolati in campagna, e probabil- mente anche di esprimere un atteggiamento penitenziale"6.

6. Abiti votivi Nel paragrafo precedente si e parlato di abiti votivi in-

dossati nei pellegrinaggi, spesso nella parte spettacolare e pubblica della processione. Una modalita piiu intensa di abi- to votivo e invece l'uso di indossare, come ex voto, abiti par- ticolari tutti i giorni. L'uso nel nostro secolo e documenta- to prevalentemente per i bambini, il che farebbe pensare ad un uso tra gli adulti nei secoli precedenti, secondo l'ipotesi del passaggio all'infanzia di usanze diffuse in precedenza tra gli adulti (ad esempio giochi, giocattoli).

I bambini erano vestiti con l'abito del santo cui si chiede la grazia, non solo nel giorno della festa, ma anche nei giorni feriali. In questo caso il comportamento votivo investe am- biti pi i larghi, e soprattutto il quotidiano. Quest'uso, e non a caso, esiste relativamente a santi monaci come S. Anto- nio Abate, S. Antonio di Padova, S. Gabriele"7. Anche tra gli adulti, soprattutto nel secolo XIX, si riscontrano forme di abiti votivi. Tra gli altri possibili, si cita il seguente esem- pio:

<<Giuseppina Cacciola, nata a Sciglio di Roccalumera (ME) e de- ceduta nel 1963, fece nel 1906-8, quando abitava a Roccalumera, un voto alla Madonna del Carmine, oggetto di culto nel Santua- rio di Santa Teresa. Oggetto della formulazione del voto era la guarigione del figlio Carmelino, ammalato (in precedenza le era gi

" morto un bambino). Giuseppina fece voto di vestire per tutta la vita di colore marrone (colore collegato alla Madonna del Car- mine), e cosi fece, continuando a vestire di marrone anche dopo la morte del marito. Gli abiti di Giuseppina erano quasi dei co- stumi ammodernati, costituiti ciod di gonna, grembiule, camicia, fazzoletto, ma sempre interamente di colore marrone>>"8. ?A Bellante (TE) Domenica Leli, nata nel 1938, ammalata all'eta di due anni per un colpo di sole, fu vestita sette anni dopo, per testimonianza della grazia ricevuta, di un abito simile a quello della Madonna Addolorata, per un anno intero. La sorella Maria Leli, nata nel 1931, fece voto a S. Gabriele nel 1959, quando il marito

parti per la Germania, e vesti per un anno intero ininterrottamen- te l'abito di S. Gabriele (abito nero dei Padri Passionisti); il voto era stato formulato per chiedere il ritorno del marito>>119

A Vazzano (CZ), durante la festa di San Francesco di Pao- la (fine agosto)120, alla processione della domenica matti- na erano presenti molti bambini che indossavano l'abito del santo. Da una breve ricerca sono emerse le diverse motiva- zioni che hanno dato origine alla confezione dell'abito, e all'uso da parte dei bambini: non in tutti i casi le motiva- zioni avevano un esplicito carattere votivo. In un caso, per una bambina di circa 10-12 anni, si era trattato di un inci- dente: la bambina aveva invocato il santo; in un altro caso, per una bambina di circa 4-5 anni, si e trattato di un so- gno: la madre della bambina stessa ha sognato il santo, che le ha ordinato di vestire la figlia con il suo abito. Altri eventi sono all'origine dell'abito votivo: un incidente ai genitori di due gemelli di circa 4-5 anni; o il desiderio di porre il bambino (di circa 3 anni) sotto la protezione del santo, di votarlo ad esso, e insieme una valutazione estetica, il pia- cere di vedere il bambino vestito in tal modo. Dalla ricerca e emerso che tutti i bambini che indossavano l'abito votivo lo avrebbero tenuto per due o tre giorni; ma si tratta di un uso recente: in precedenza gli abiti venivano indossati fino alla consunzione. All'interno delle chiese venivano venduti i <<cordoni benedetti di San Francesco>>, cinture di lana ne- ra, destinate a completare gli abiti votivi dei bambini, con- fezionati in casa, o per altri probabili usi di carattere magico- devozionale.

Abiti votivi indossati da bambini erano in uso, anche per il secolo scorso, in tutta l'area italiana centromeridionale; per l'area siciliana, e utile ricorrere ancora una volta alle descrizioni del Pitre, tra le quali si rinvengono dati su abiti votivi di San Francesco di Paola a Palermo, di San Caloge- ro in Agrigento, dei Santi Cosma e Damiano, di San Gio- vanni Battista, di Santa Rosalia a Palermo, di San Paolo a Palazzolo e a Solarino (SR); gli abiti votivi, particolar- mente quelli di tipo fratesco o monacale, avrebbero acqui- stato un carattere pii' intensamente penitenziale quando ve- nivano confezionati con lana pesante (questo per le feste estive); tra gli adulti si rilevava ancora, nel secolo scorso, l'uso di indossare abiti votivi verdi di Santa Lucia, turchini e neri per l'Addolorata, azzurri e bianchi per l'Immacola- ta, marroni e bianchi per la Madonna del Carmine, neri e turchini per Santa Rosalia21.

Ancora in questi anni, durante il pellegrinaggio e la so- sta al santuario della Madonna dei Polsi (RC) e possibile incontrare bambini e adulti che indossano abiti votivi. Da alcune notizie relative alla festa della Madonna dei Polsi del 1 settembre 1981, 6 confermato l'uso di abiti votivi an- che da parte di adulti; nella fotografia n. 37 6 ritratta una contadina che si era recata al santuario vestita di un abito marrone di tipo fratesco, abito che indossava permanente- mente da quando era rimasta vedova, come ex-voto a San- t'Antonio perch6 tutti i figli potessero sposarsi; la donna indossava per l'ultima volta questo abito, perch6 l'ultimo figlio era ormai prossimo al matrimoniol22

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Anche nell'area italiana centrosettentrionale l'abito voti- vo era in uso; a Chioggia nel secolo scorso si descrivono abiti votivi di San Domenico o di San Vincenzo, indossati da bambini, o abiti neri con cintura nera detta <<dell'Addo- lorata>>, indossati da ragazze orfane o donne adulte nella festa della Madonna Addoloratal23.

A questo stesso ordine di fenomeni si rifanno probabil- mente i miti che spiegano l'origine di alcuni costumi popo- lari.

A Parre (BG) i miti sull'origine votiva del costume sono due, e relativamente simili:

<Nel 1630, per ottenere dalla Madonna la grazia di essere preser- vati dalla peste imperante nel territorio, le donne promisero di ve- stirsi alla stregua di una popolana in preghiera davanti alla Vergi- ne, raffigurata su un antico stendardo della congregazione delle <Figlie di Maria>>; (...) nel 1700 fecero un voto analogo per otte- nere la salvezza delle greggi da una moria terribile che le aveva colpite>> 124

Al costume veniva attribuita, nel secolo XIX, origine vo- tiva anche nei paesi delle Tre Pievi superiori del lago di Co- mo (Dongo, Gravedona e Sorico):

<Verso la meta del secolo decimo quarto mentre la pestilenza nel- la Sicilia, come in molte altre parti dell'Europa, grandissime stra- gi faceva, accadde che in una spelonca non molto distante dalla cittA di Palermo si ritrovasse il corpo della Vergine Santa Rosalia, alla quale avendo con fervidi voti i Siciliani ricorso ottennero che fosse quell'Isola da si terribile morbo liberata. Avendo molti abi- tanti delle Tre Pievi superiori del lago di Como, che nella Sicilia per bisogno di traffico portavansi, ai loro cittadini dalla peste tra- vagliati la fama di tale miracolo recata, essi pure le loro preci ri- volsero alla miracolosa Rosalia e feste in di lei onore instituendo fecero voto da indi in poi di vestire ad imitazione della Vergine, il che costantemente osservarono ed anche a' di nostro osservano. Consiste questo vestimento nelle donne in una tunica di panno di color di castagna colle maniche di scarlatto o d'altro colore vi- stoso, tagliata dinanzi sul seno, orlata nei lembi d'una striscia di scarlatto, ed annodata sui fianchi con un cintolo di pelle. Di die- tro sotto al collo esce in cima alla tunica una pezzuola di lino bian- co detto il collare, ed hanno avanti un piccolo grembiale della co- si detta indiana ricamato nei lembi a giallo od a rosso. Coprono la testa, entrando nelle chiese, di un pezzo di lino a guisa di velo. Annodano i capelli di dietro, quindi divisi in due treccie li avvol- gono intorno al capo a mo' di corona. (...) Nei paesi perb di Staz- zona e Traversa come i piiA vicini ai borghi di Dongo e Gravedona alcuni incominciano a cangiare di vesti. Gli altri paesi perb osser- vano tuttora scrupolosamente il loro voto>>125

Nel 1845 P. Monti scrive, a proposito dello stesso co- stume:

?Tonaca di panno bigio stretta ai lombi con correggia e fibbia. E per voto fatto pii secoli sono a S. Rosalia pel ritorno in patria degli uomini di quei Comuni che erano in Sicilia a negoziare, do- ve infieriva la peste. Diconsi Moncecche dal loro monte France- sca, Mondonghe perch6 abitano i monti di Dongo, e Frate per ch6 la loro tonica somiglia quella dei frati di S. Francesco>>126.

II costume di Gallo (CE):

<<E uno dei costumi pifi caratteristici dell'Italia. La ragione per cui la stoffa predominante di questo costume e una specie di pan- no da frati sta, secondo la leggenda, nel fatto seguente: In tempi passati si sarebbe aperta in mezzo al paese una voragine che mi- nacciava di inghiottirlo; e donne e uomini avrebbero fatto voto di vestirsi con lo stesso panno dei frati. Avendo poi trasgredito a tal voto, la voragine si sarebbe aperta di nuovo, richiudendosi solo quando gli abitanti tornarono all'antica consuetudine>>127

Come si vede, gli abiti indossati a scopo votivo e i costu- mi sopra citati hanno prevalentemente in comune il colore marrone e la severita del taglio. Questo colore e collegato probabilmente all'abito dei monaci, e dei pellegrini, di ca- rattere penitenziale, e di <<chiusura al mondo>. Non e ca- suale, infatti, che l'abito fratesco sia strettamente collegato alla morte, come testimonia il suo uso presso le classi ari- stocratiche: nel secolo XVI le vedove nobili indossavano abi- ti da lutto di foggia strettamente monacale'28; nei testa- menti dei nobili napoletani dei secoli XVI e XVII compare spesso la richiesta di essere sepolti in abito fratesco. Ci0 te- stimonia certamente della diffusione del culto di San Fran- cesco e del ruolo assunto dall'ordine francescano nelle pra- tiche di pieta nella societa meridionale~'29, ma anche della circolarita di funzioni e di ambiti assunta simbolicamente dall'abito fratesco, voto e mimesi del santo, ma anche pri- vazione e penitenza, <<chiusura al mondo>>, morte (si veda anche il ? 7).

Simili all'abito fratesco, o comunque di tipo monacale, sono gli abiti dei pellegrini, documentati ampiamente nelle stampe ottocentesche, e gli abiti dei devoti, che assumeva- no lo status di religiosi laici, spesso conosciuto anche nella cultura popolare: si citano, tra questi, la monaca di casa e gli eremiti o romiti.

Le monache di casa erano donne laiche che si votavano ad un santo, e che assumevano abiti e comportamenti di tipo monacale, dai quali traevano una certa posizione pri- vilegiata in famiglia e probabilmente anche nella comuni- ta. Si trascrive qui la descrizione, molto critica, di Caterina Pigorini Beri a proposito di una monaca di casa di Tiriolo (CZ): ?<E fu un'altra specialita per me entrare in una casipola dove potei vedere e conoscere da vicino il tipo monaca di casa di cui la bassa Italia e anche Napoli abbonda, e che e un misto di sacro e di pro- fano, il ceppo da cui dirama la pinzocheria spigolistra gretta e pet- tegola che in altre parti d'Italia e personificata dalla donna che si chiama la beata. La monaca di casa e una donna che si vota ad una santa e si affiglia a un ordine monastico di cui esegue, di- ce, tutte le discipline. Si veste da monaca con molte licenze su quello dell'ordine a cui e platonicamente ascritta, ma in un modo che comunque non lascia alcun dubbio sul suo carattere semisacro. Vive in famiglia conservando una specie di posizione privilegia- ta, e ciancia, passeggia, mormora, e va in chiesa a picchiarsi il petto, coperta da un lungo vancale nero che le

d. l'aspetto d'un

fantasma. Di queste monache di casa ne ho trovate dappertutto in Calabria; e sono oggetto d'un cerimoniale che si confonde tra il compati- mento e la venerazione; a parlare colle plebi pif semplici e incolte di queste monache, non si sa bene cosa ne pensino: infine si di- rebbe che

l'esteriorit, del loro culto, quell'uniforme nero e tetro

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L' abbigliamento popolare italiano

34I 1361

37 ,

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34. C Allori, Francesco e Caterina de' Me- dici, olio su tela circa 1596. Riproduzione da I principi bambini. Abbigliamento e in- fanzia nel Seicento, Firenze, Centro Di, 1985, p. 58. 35. Bambine in abito mona- cale, Francavilla (CH), 1897 c, stampa bn, GFN dell'ICCD di Roma (fotografia di Francesco Paolo Michetti). 36. Bambino in abito fratesco, Escalaplano (NU), 1934, Archivio ALI dell'Universitd di Torino e della Societd Filologica Friulana (fotogra- fia di Ugo Pellis). 37. Festa della Madon- na di Polsi. Donna in abito fratesco, San- tuario della Madonna di Polsi (RC), 1980, colore, proprietd privata (fotogrqfia di Pie- tro Palumbo).

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38. E Villamena (Assisi 1566 - Roma 1624), Mendicante con due bambini, calcografia della seconda metr del sec. XX su lastra del sec. XVII, Gabinet- to delle Stampe del Museo

A.TP. di Roma. 39. C. Vecel-

lio, Donne di Venetia attempate et dismesse, da Id., Habiti an- tichi et moderni di tutto il mondo, Parigi, Didot, 1859 (ed. orig. 1590), vol. I, tav. 111. 40. C Vecellio, Habito de' po-

veri vergognosi che cercano ele- mosine ecc., da Id., Habiti an- tichi et moderni, cit., vol. I, tav. 145. 41. R Pinelli, Particola- re da Famiglia indigente, da Id., Raccolta di cinquanta costumi pittoreschi incisi all'acqua for- te da Bartolomeo Pinelli Ro- mano, Roma, Lorenzo Lazzari alle Convertite, 1809. Gabinet- to delle Stampe del Museo A.TP. di Roma.

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L' abbigliamento popolare italiano

in quel folgorio di colori dei loro abiti, nel caldo immaginare di quelle menti svegliate, nelle armonie dei loro canti soavissimi, sia per essi una cosa ripugnante, ma che la ripugnanza sia temperata da quel carattere reso sacro dalla chiesa. Non so peraltro quanto ci guadagni il culto in queste forme anfi- bie di monachismo: e difatti non si sa comprendere cosa possa aggiungere alla santita e illibatezza del costume una celletta pie- na di santini e di crocifissi, con un inginocchiatoio da una parte, dove entrano tutte le vicine a malignare sul prossimo e a fare un mercato di pettegolezzi, qualche volta di ingiurie e di per- cosse30.

Analogo, ma caratterizzato da una condizione di estre- ma poverta e privazione, e lo status degli eremiti. In Moli- se, fino ai primi decenni del nostro secolo, laici coniugati, e senza figli, nullatenenti, venivano impiegati dalla ammi- nistrazione di alcune chiese come custodi di alcune chie- sette rurali, e che si cibavano di erbe, e vivevano di elemo- sine; talvolta gli eremiti si proponevano come i custodi del culto, oltre che i custodi materiali della chiesa, e fungeva- no da narratori per cosi dire <<ufficiali>> dei miracoli effet- tuati dal santo preposto alla chiesa'31.

A questo particolare status nella comuniti, caratterizza- to soprattutto da emarginazione ma anche da un certo alo- ne sacro dovuto alla vicinanza con la divinit", si aggiunge- va in alcuni casi la facolta di conoscere il futuro o, piiu sem- plicemente, i numeri del lotto, come nel caso dei rimiti sici- liani, detti polacchi, cioe cabalisti'32.

La figura dell'eremita aveva, presumibilmente, una certa risonanza nella comunit", se a Tagliacozzo (AQ) nel secolo XIX si effettuava, nel giorno del giovedi grasso, la masche- rata dei romiti, giovani e adulti vestiti in abito fratesco, con barbe, bastoni forcuti, gobbe'33. Una possibile interpreta- zione del significato di questo mascheramento richiedereb- be certamente una ricerca sul luogo ed il confronto con ana- loghi rituali di Carnevale; ad una prima e superficiale ana- lisi, sembra di poter individuare, ancora una volta, nell'a- bito fratesco gli elementi della privazione e della rinuncia, da inserire probabilmente nell'ambito delle consuete con- trapposizioni tra Carnevale e Quaresima, cioe tra spreco e rinuncia, abbondanza e astinenza, chiasso e silenzio, e cosi via. Nel carnevale di Satriano di Lucania (PZ) e presente il personaggio questuante del romita, adolescente (un tem- po uomo adulto) interamente ricoperto di edera, del tutto irriconoscibile e muoventesi nel pi i totale silenzio. Il romi- ta, probabile raffigurazione dell'uomo selvatico secondo I'interpretazione di Enzo Spera, conserva tuttavia, soltan- to nel nome, un legame con la figura dell'eremita in abito fratesco, e ne rappresenta forse la dimensione estrema, la vita <<selvatica>> condotta separatamente dal mondo degli uomini 134

7. Nozze, abiti dei morti, lutto Altre problematiche connesse al costume riguardano le

trasformazioni dell'abbigliamento durante il corso della vita. Per quello che riguarda gli abiti indossati durante l'in-

fanzia nelle classi popolari, non possono dirsi molto nu- merosi gli studi al riguardo; 6 infatti piuttosto recente l'in-

teresse degli specialisti di storia del costume relativamente all'abito infantile nelle classi aristocratiche'35, interesse che sembra appunto costituire il versante specialistico di una piui generale attenzione degli storici nei confronti dell'in- fanzia. Dalle immagini, fotografiche o a stampa, e dalle rare testimonianze scritte si pub dedurre che, in generale, i bam- bini, superato il periodo in cui venivano strettamente fa- sciati, indossavano abiti lunghi o camiciole uguali per i bam- bini come per le bambine, cosi come presso i nobili italia- ni, nel secolo XVIII, i bambini indossavano indipendente- mente dal sesso, nella prima infanzia, una veste lunga det- ta ungherina'36. A Galliano (CZ), alla fine del secolo scor- so, la camicia veniva indossata dai bambini fino al compi- mento dei sei anni37.

Particolarmente importanti sono inoltre le fasi di passag- gio relative alla sessualita: alcuni cambiamenti nell'abito av- venivano nell'eta puberale (inizio della fecondit

.) e soprat-

tutto nel periodo del fidanzamento, e nel periodo matri- moniale e post-matrimoniale. Nella cultura popolare italiana si individuano situazioni di questo tipo: a Parre (BG) verso i 18-20 anni venivano sostituite alcune parti dell'abbiglia- mento'38; a Casteldelfino (CU) alcuni accessori facevano la loro comparsa durante il fidanzamento 139; a Casalvieri (FR) le ragazze cominciavano ad usare dal giorno del fi- danzamento un panno rosso140; a Castrovillari (CS) l'abi- to segnava il passaggio dallo stato virginale a quello mari- tale, con gli stadi intermedi, e si effettuava ilrito dell'acqui- sizione del nuovo abitol41; a Tiriolo (CZ) il passaggio dal- l'abito infantile a quello di pacchiana era segnato da una cerimonia, eseguita in occasione della festa di San Giuseppe'42; nel Trentino erano in uso le calze rosse di la- na, prima portate dalla novizza, in seguito distintivo della donna maritata, il panciotto rosso, prima del novizzo e poi dell'uomo ammogliato, la pettorina rossa per la donna spo- sata divenuta madre e per la ragazza richiesta in sposa, e infine differenti acconciature per nubili e maritate43.

Significativo e anche lo scambio dei doni che avveniva nelle varie fasi dei riti di fidanzamento e di matrimonio; i doni erano, in molti casi, costituiti da indumenti; I'abito e parti di esso entravano in misura massiccia nel comples- so dei rituali di nozze, e venivano caricati di una serie di valori, economici, sociali e cerimoniali. In Sicilia nel seco- lo scorso le spose palermitane ricambiavano i doni ricevu- ti, costituiti da gioielli, con indumenti (camicie bianche o colorate, fazzoletti), le spose di Modica (RG) con mutan- de, calze, panciotto'44. Anche in Sardegna lo scambio dei doni avveniva per il tramite dei gioielli e degli indumenti, costituiti da fazzoletti da testa, scialli, camicia ricamata per l'uomo, da indossare per le nozze'45

Alcune fasi salienti del rituale delle nozze sembrano im- perniate su elementi di abbigliamento. Antonio De Nino, ad esempio, riporta, per l'area abruzzese, I'uso di accoglie- re, da parte di un uomo e una donna, mascherati, rispetti- vamente, da donna e da uomo, il gruppo dei suonatori del- le serenate notturne che seguono il matrimonio'46; sembra possibile inserire questo episodio nell'ambito degli scherzi e dei mascheramenti delle serenate successive al matrimo-

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nio, e che accompagnavano, e, forse, magicamente favori- vano, la vita sessuale dei novelli sposi, serenate che aveva- no il loro opposto e complementare nel rito dello charivari.

A questo complesso di atteggiamenti scherzosi e propi- ziatori della sessualita pu6 riferirsi anche un uso, che si pub attualmente riscontrare in molti matrimoni dell'Italia cen- tromeridionale: alla fine del pranzo di nozze, due uomini, amici o parenti degli sposi, girano per i tavoli facendo una questua con una cravatta da cerimonia, che dicono essere la cravatta dello sposo; in cambio di una piccola offerta (qualche migliaio di lire) offrono una striscetta della cra- vatta, tagliata con una grossa forbice; la richiesta di dena- ro, rivolta quasi esclusivamente ad altri uomini, o a coppie sposate, viene motivata come dono per gli sposi perch6 pas- sino qualche notte in pifi in albergo durante il viaggio di nozze. Anche in questo caso non e possibile addentrarsi nel singolo rituale e coglierne pifi profondamente gli aspetti, che attingono alla cultura tradizionale, ma che sono anche espressione della societ" contemporanea; sembra tuttavia che da questo uso emerga piuttosto chiaramente un simbo- lismo fallico della cravatta, concordemente con le ipotesi di Fliigel 47: il rito avviene quasi esclusivamente tra uomi- ni; il compenso per il denaro versato e un pezzo della cra- vatta dello sposo, cioe probabilmente un acquisto di potenza sessuale; lo sposo a sua volta, nella logica positiva e accre- scitiva dello scambio e del dono, cede e distribuisce la sua cravatta, ma acquista in cambio del denaro che servirai ad esercitare e rinnovare la sua potenza sessuale simbolicamente donata.

Per quanto riguarda l'abito nuziale femminile, nella cul- tura popolare dei primi del Novecento il costume cade in disuso, e viene adottato l'abito bianco, mutuato dalle classi egemoni.

Il costume maschile per le nozze sembra essere stato ab- bandonato in precedenza, almeno da quello che si desume dalle fotografie antiche e dalle notizie, abbastanza rare, re- lative agli abiti nuziali popolari. Ci6 contraddice, almeno in questa fase, la teoria di Bogatyrev sul passaggio quoti- diano -+ festivo -+ rituale: in questo caso gli abiti quotidia- ni restano quelli tradizionali, mentre l'abito rituale e mu- tuato dalle classi egemoni, rispetto alle quali potrebbe pe- rb costituire un ritardo.

L'abito nuziale bianco, diffuso nelle classi egemoni a par- tire dal secolo XIX'48, costituisce probabilmente un riferi- mento al passaggio di status (da ragazza a donna sposata) e al periodo iniziatico che accompagna questo passaggio; il bianco e colore della morte e dell'invisibilita; il viaggio di nozze, diffuso nel nostro secolo, rappresenta la fase di isolamento iniziatico; un altro elemento iniziatico e costi- tuito dal divieto fatto alla sposa di far vedere l'abito bian- co nuziale al fidanzato prima del giorno delle nozze'49.

Nella cultura contadina invece, almeno fino alle trasfor- mazioni dell'inizio del secolo XX, I'abito da sposa era un costume. L'abito da sposa, cosi come rilevato anche da Bo- gatyr~v, costituisce un momento culminante dei passaggi dall'abito dell'eth puberale, fino al fidanzamento e matri- monio. Per quanto riguarda l'abito nuziale il riferimento

principale e al colore rosso, segno dell'eros e quindi della sessualita e vitalith. Cosi possiamo rintracciare una serie in- numerevole di esempi: il panno rosso usato per il fidanza- mento e le nozze a Casalattico (FR)S10; la gonna di panno rosso scarlatto della sposa di Loreto (AN)"5'; la gonna ros- sa della sposa di Scanno (AQ)'52; il rosso sangue come co- lore simbolico matrimoniale nel Trentino'53; l'abito nuzia- le rosso e bianco in Sicilia'54; calze rosse di lana e pettori- na femminili, panciotto rosso maschile, relativamente alla condizione di coniugati, o di genitori'55. Gli elementi pre- posti a segnalare lo stato coniugale sembrano essere stati quasi tutti particolari o-accessori dell'abbigliamento, come nastri, elementi di copricapi, balze della gonna, eccetera; da alcuni dati bibliografici prevale l'uso del rosso per la don- na nubile e verde per la maritata nell'area settentrionale, e la tendenza opposta nell'area meridionale 56 (si veda pii` avanti il ? 9).

Anche gli abiti dei partecipanti alle nozze potevano as- sumere un carattere di abiti nuziali; le donne sposate, nel- l'area siciliana secondo le descrizioni del Pitre, ma anche in area piemontese, si recavano ai matrimoni con il proprio abito di nozze'57. Presso i Walser di Rimella (VC) la ma- dre della sposa indossava per le nozze un abito da lutto"58, il che coincide curiosamente con l'uso, tradizionale in Abruzzo presso le classi elevate, secondo il quale la madre della sposa doveva indossare durante la cerimonia nuziale un abito di pizzo viola a nero; e possibile forse riferire que- sto lutto alla condizione di omorte temporanea> vissuta dal- la sposa,.o, pifi semplicemente, al dolore per il suo distacco dalla famiglia di origine (cosi come, nella cultura popola- re, questo dolore veniva canalizzato nella esecuzione dei can- ti della spartenza).

Gli abiti nuziali venivano e vengono tuttora lungamente conservati (sia nella cultura contadina, sia nelle classi bor- ghesi), e talvolta non indossati mai pif per il resto della vi- ta; e cosi accadeva anche per altri abiti, oggetto di dono o di scambio (questo nella cultura contadiria) al momento delle nozze, e successivamente conservati e lasciati in ere- dita ai figli159. L'abito nuziale si collega inoltre all'abito in- dossato dopo la morte; spesso si tratta dello stesso abito nuziale, mai pifi indossato e conservato per i propri fune- rali. Cosi in Sardegna le vedove indossavano il costume da sposa nella bara'60; in Calabria la camicia da sposa era conservata per l'ora della morte'61; in Sicilia l'abito nuzia- le veniva usato allo stesso modol62. In Calabria, ai primi del Novecento, Giovanni De Giacomo descrive l'attaccamen- to nei confronti del costume: <A Guardia Piemontese non volli far cucire il costume; feci tanto per averlo da persona che l'aveva usato nel giorno delle sue nozze e in feste nuziali, e doveva, poi, seguirla nel sepolcro>>163. <<Ieri, a Sant'Agata d'Esero, un paese disperso tra i monti lussu- reggianti di castagni, feci acquisto di un costume bello assai; pe- rb, a sera, la donna che me lo aveva ceduto, venne a pregarmi, piangendo, perch6 glielo ridessi: non poteva vivere senza quel ca- ro ricordo nella sua cassa>>'64 ?Non poteva vivere senza quell'abito col quale, cinquant'anni fa, sposb ii suo primo marito. Quella veste doveva scendere con lei nel sepolcro!>>

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L' abbigliamento popolare italiano

Ad una interpretazione molto generale e generica, si pub riferire questo collegamento tra nozze e funerale ad una con- cezione che vede, come si e gi" detto, le nozze come rituale iniziatico e come <<morte>> provvisoria che anticipa la mor- te definitiva.

Gli abiti fatti indossare ai morti, per l'esposizione e per la sepoltura, hanno subito nel corso dei secoli numerose tra- sformazioni. All'uso, documentato per molti secoli, di sep- pellire i morti coperti di un semplice lenzuolo, o di abiti lunghi bianchi, si sono sostituiti successivamente vari altri tipi di abbigliamento. Nei gi" citati testamenti della nobil- th napoletana dal XVI al XVIII secolo, compare, per il Cin- quecento o il Seicento, la richiesta di venire sepolti con l'a- bito dei frati francescani, o con un semplice abito bianco'66

Nella cultura popolare, allo stesso modo che nelle classi medie e in quelle elevate, era in uso, come si e gia detto, seppellire i morti nell'abito delle nozze, o in un abito che in qualche modo le nozze richiamava. Nel 1977 veniva se- polto a Mosciano Sant'Angelo (TE) un giovane poliziotto, ucciso durante gli scontri studenteschi all'Universith di Ro- ma nell'aprile dello stesso anno'67. 11 giovane, che era pros- simo alle nozze, venne sepolto con indosso un impermea- bile bianco, dono della fidanzata; questo particolare ha pro- babilmente dato luogo alla diceria, corsa nel paese e nelle zone circostanti, che nella bara fosse stato chiuso anche l'a- bito bianco da sposa, che era pronto per il matrimonio im- minente, e che fossero stati lanciati confetti al passaggio del funerale. La diceria, pur priva di riscontro con la realth, ri- vela una ideologia magica che collega nozze e funerali; I'a- bito bianco della sposa sepolto insieme al corpo dell'uomo rappresenta la rinuncia alle nozze, e forse anche un matri- monio simbolico con il morto, con l'abito (sostituzione della sposa vivente) che segue lo sposo nella tomba. Analogie con questo episodio possono trovarsi in alcuni riti diffusi fino ad alcuni decenni fa nella cultura popolare romena. Men- tre i morti vecchi venivano sepolti con abiti nuovi, che ve- nivano preparati durante la vita, i morti giovani non spo- sati venivano sepolti con abiti delle nozze, le ragazze con l'abito da sposa, i ragazzi con gli abiti e il fiore dello sposo; il rito funebre poteva assumere alcuni elementi del rito nu- ziale: il fidanzato/a della defunta/o, o una persona scelta tra gli amici se non c'erano fidanzati, seguiva il corteo ve- stito da sposo/a; durante i funerali poteva effettuarsi an- che il rito dell'abete, rito tipicamente nuziale, con danze'68. A Napoli, nel secolo XIX, era in uso lanciare confetti du- rante il rito funebre di una ragazza morta'69.

In Sicilia, a Modica (RG) i morti venivano inumati con abiti chiari, e calze bianche senza scarpel70; in Sardegna a Mores (SS), nella prima mett del secolo XIX, i morti veni- vano coperti da una veste bianca, guarnita di tulle e di na- stri azzurri, e calzati di calze bianche e lunghe di cotone dette calzas de mortu; le ragazze nubili venivano sepolte con fiori sul capo e tra le mani, e con lunghi nastri di seta fissa- ti agli abiti'71.

Particolare cura era dedicata agli abiti dei bambini, se- polti in Sicilia con abiti bianchi e cinture e nastri a croce

rossil72, nell'area bolognese con abiti bianchi, fiori sul ca- po, e una sottile croce di cera"7. A Carpi (MO) l'abito bianco per i neonati o i bambini di pochi mesi, ornato di un grembiulino coperto di fiori, veniva tagliato e confezio- nato senza cuciture, n6 lacci, n6 nodi; nell'analisi di Lucia- na Nora questo abito, oltre che richiamare usi cerimoniali dei sommi sacerdoti, o la veste del Cristo prima della cro- cifissione, viene considerato una rappresentazione della pla- centa; cosi l'abito senza nodi e cuciture avrebbe favorito, secondo una ideologia magico-religiosa, il passaggio nel- l'altro mondo, ma avrebbe rappresentato anche, nel suo sim- bolismo di sacco fetale, lo strumento di una nuova rinascita 74

Altro indumento collegato all'abito dei morti e la cami- cia, particolarmente studiata da Bogatyrev per le sue uti- lizzazioni magiche'75; la camicia riveste infatti, per la cul- tura occidentale europea, un vasto e profondo significa- to'76. Cosi a Bertinoro (FO), nel secolo XIX, i bambini morti erano vestiti con la camicia77.

Gli abiti da lutto possono essere considerati opposti e quindi complementari agli abiti dei morti. Nel lutto sono usati il nero, ed altri colori scuri, come in opposizione al bianco degli abiti dei morti, anche se non mancano elementi di abito di colore bianco, anch'esso usato per il lutto'78.

II lutto nelle classi nobili e medie era contrassegnato, ol- tre che dal nero, anche dal verde, dal blu scuro, dal morello (misto rosso e nero), che era soprattutto un colore di vedovanza'79

L'abito da lutto si manifesta sempre con i caratteri della chiusura, tanto che gli indumenti coprono e chiudono il pifi possibile il corpo, anche quelle parti che in tempi normali restano scoperte; nelle classi nobili e medie il lutto si mani- festa, dal secolo XII al XVI e oltre, con il taglio dei capelli180, o con abiti simili a quelli dei religiosi, che sot- tolineano ancora di pifi il carattere di mortificazione e penitenza'81. Dai repertori di abbigliamento forniti dalle incisioni cinquecentesche risulta molto chiaramente che nel secolo XVI le vedove in Italia indossavano abiti monacali, in forme piu o meno attenuate a seconda delle zone, ma sostanzialmente similil82. Alla luce del rapporto tra abito monacale e lutto possono essere riconsiderati anche i co- stumi di tipo monacale esaminati nel precedente ? 6, quelli delle Tre Pievi del lago di Como, o il costume di color mo- rello di Premana (CO)'83; la foggia dell'abito o il colore sembrano indicare una vedovanza (dovuta all'emigrazione dei mariti) e insieme una chiusura a nuovi incontri (impo- sta dai mariti lontani).

Nella cultura popolare l'elemento di identificazione (ma anche il deterrente per nuove unioni) P dato ad esempio dal divieto di cambiare la camicia: documentato ad esempio in Sardegna, nei secoli XVIII e XIX'84, e a Venafro (IS), per la vedova'85. A Parre (BG) le vedove si tagliavano i capelli e toglievano i merletti dalla camicia'86. II lutto come ele- mento di chiusura viene espresso, per l'abito maschile, so- prattutto dal mantello, che avvolge e rinserra la persona: cosi nell'inchiesta napoleonica del 1811, a Jesi (AN), l'uo- mo in lutto 6 raffigurato tutto avvolto in un mantello187;

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42. C. Vecellio, Spose non sposate a' tempi nostri, da Id., Habiti antichi et mo- derni, cit., vol. I, tav. 102. 43. Corteo nuziale, S. Paolo Albanese (PZ), 1910 c., stampa bn (cp), AFS del Museo A.TR di Roma. 44. Matrimonio, Rochemolles, inizi sec. XX, stampa bn (cp), AFS del Museo A.T.P. di Roma. 45. Sposa di fa- miglia agiata, Spalato (Jugoslavia), stampa bn, 1900 c., GFN dell'ICCD di Roma (fotografia di Luciano Morpurgo).

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46. Donna con bambina morta, Ruoti (PZ), 1908, c., stampa bn, carta al citrato, AFS del Museo A.T.P. di Roma. 47. Bam- bino morto in abito votivo, Pescara, 1940 c., stampa bn, proprietd privata (fotogra- fia di Pasquale De Antonis). 48. J1 Am- man - H. Weigel, Vidua lugens in Italia, da Id., Habitus praecipuorum populorum tam virorum quam foeminarum singulari arte depicti, Ulm, 1969 (ed. orig. Norim- berga, 1577), tav. CXXVIII. 49. J Am- man - H. Weigel, Mulier nobilis misnensis

in veste lugubri, da id., Habitus praecipuo- rum populorum, cit. tav. XXXIV 50. Uo- mo vestito a lutto delle colline di S. Maria Nuova, Circondario di Jesi, Dipartimento del Metauro (Ancona), 1811, acquarello, ri- prod. da G. Tassoni, Arti e Tradizioni Po- polari, cit., p. 376. 51. Uomo in lutto, Par- re (BG), inizi sec. XX, stampa bn, AFS del Museo A.TR di Roma (pubblicato anche in A. Carissoni-M. Anesa-M. Rondi, Cul- tura di un paese. Ricerca a Parre, Milano, Silvana, 1978).

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L' abbigliamento popolare italiano

cosi a Parre (BG) gli uomini indossavano un ampio palan- drano color castagnolo, detto capa'88; cosi a San Damia- no Macra (CN) ai primi del Novecento i parenti di un de- funto che partecipavano al corteo funebre indossavano un mantello anche in piena estate'89; l'uso del mantello per il lutto o per le cerimonie funebri, accompagnato, nel caso del lutto, dal farsi crescere la barba incolta, e documentato anche in Abruzzo e in Sardegna'"9. Le donne in lutto, nell'area settentrionale e ai primi del Novecento, indossavano un fazzoletto bianco che tendeva a coprire il capo e il volto il pifi possibile: in Carnia, l'uso del quadri (fazzoletto bianco) si manteneva negli anni '60 in alcuni paesi di montagna come segno di luttol91; nel Friuli un rettangolo di seta bianca era buttato sul capo a nascondere il volto chinato192; nel bellunese, a Cortina d'Ampezzo, durante il lutto le donne usavano coprirsi il ca- po con un pezzo di tela di lino, bianca, quadrata, e posta sulla testa senza piegature'93; a Grosio (SO) il fazzoletto bianco da lutto era il pane't di ruseti, ricamato a rosette'94. Nell'area friulana le vedove erano vestite interamente di nero e con il capo coperto da un fazzoletto legato sotto il mento e calato sugli occhi; in chiesa, per un anno, veniva indossa- to un fazzoletto quadrato bianco195. A Parre (BG), secon- do la testimonianza di Alessandro Roccavilla, le donne in lutto indossavano la polaca (mentre in tempi normali le braccia erano coperte dalla sola camicia), la tre-ersa di co- lore nero, calze di color rosso e bianco ed ampio pannoli- no (pane't)'96. Nel Canton Ticino donne parenti o vicine di casa del defunto usavano coprirsi il capo con un grande faz- zoletto scuro; l'uso sembra una riduzione della pifi antica usanza di coprirsi completamente, per qualche tempo, il vol- to e la nuca, come segno di totale <<chiusura>> al mondo'97. In Umbria, nel secolo XVII, le vedove benestanti indossa- vano un turbante bianco'98; le vedove di Scanno (AQ) an- cora all'inizio del nostro secolo indossavano, per tre anni, un fazzoletto nero intorno al viso199. Presso alcune comu- nit" greche in Calabria & documentato l'uso secondo il quale le vedove indossavano, fino alla completa consunzione, la giacca del marito200. In Sardegna, infine, il lutto assume- va, nelle sue forme tradizionali, modalit" piuttosto artico- late, a seconda dei paesi, del grado di parentela rispetto al defunto, del tempo trascorso dalla morte: le vedove vesti- vano di nero, ma in alcuni paesi si indossava in segno di lutto un elemento - fazzoletto, o benda per l'area nuorese - di colore giallo; la benda nera, o gialla, o color caffM a seconda degli usi, avvolgeva il capo in una foggia mona- cale e veniva talvolta accompagnata da un velo nero, che copriva la testa e il volto; segno di lutto era anche l'uso di indossare corsetto e giubbetto rovesciati, dalla parte del co- lore scarlatto, o posti sopra la camicia in successione scam- biata (cio& il corsetto indossato sopra il giubbetto, in una modalith detta a pala a supra)201.

Tutti gli abiti e i segni di lutto citati, e tutti gli altri nu- merosi esempi che potrebbero citarsi, riconfermano, anco- ra una volta, che l'abbigliamento del lutto esprime una chiu- sura ed un distacco dalla vita normale e quotidiana, fun- zionali ad un periodo, pii o meno lungo, successivo alla

perdita della persona cara. Utilizzando il metodo interpre- tativo di Van Gennep, gli abiti da lutto, che chiudono, co- prono il volto ed il corpo, rappresentano una fase di tem- poranea aggregazione al mondo dei morti e separazione dal mondo dei vivi; la giacca del marito indossata dalle vedove delle comunit" greche della Calabria sembra anche rappre- sentare una forma di completa identificazione con il defun- to202. Anche nei tabfi relativi al lavarsi, al cambiarsi la ca- micia (indumento indossato a contatto con la pelle, quindi considerato tutt'uno con la persona o una estensione di es- sa), al radersi la barba e tagliarsi i capelli, pub individuarsi una separazione dal mondo dei vivi ed una adesione al di- sordine ed alla realtr per cosi dire <<sospesa>> prodotti dalla morte di un membro della comunit"; la barba, i capelli, la camicia, la pelle, parti integranti o estensioni della persona203, forniscono, se temporaneamente inalterati, una protezione psicologica per il superamento della crisi esistenziale24.

Alcuni accenni possono essere forniti, infine, sull'abbi- gliamento processionale usato durante i cortei funebri. Pres- so le classi popolari di Napoli nell'Ottocento i funerali dei bambini potevano essere accompagnati da un corteo di bam- bini vestiti da angeli, con cimieri ed ali posticce205; sembra in questo caso chiaramente individuabile una funzione di mimesi con il piccolo defunto, dopo la morte trasformato in angelo, secondo le opinioni diffuse presso le classi po- polari di tutta l'area italiana; ma l'uso di far accompagna- re i cortei funebri da gruppi di orfani, diseredati, o emargi- nati, ha radici molto antiche. Gi" dal secolo XIII, infatti, i cortei funebri dei defunti nobili erano costituiti da orfani e trovatelli che indossavano vesti di lutto con cappuccio sul viso, o vesti monacali; le vesti erano donate per disposizio- ne testamentaria del defunto; l'uso continua nei secoli suc- cessivi, fino al secolo XVII, ma nel Settecento gradualmente al dono delle vesti da lutto si sostituisce quello di vesti sem- plici, distribuite ai poveri; alla funzione di apparato spet- tacolare del rito funebre e di espressione <<estesa>> del duo- lo si sovrappone una forma di elemosina206

8. Usi magici dell'abito Come si e visto nei paragrafi precedenti, in diversi ambi-

ti e occasioni d'uso dell'abbigliamento pub affiorare una funzionalita magica dell'abito o di parti di esso; del resto anche Bogatyrev ha dedicato ampio spazio al rapporto tra abito e magia, individuando, ad esempio, il valore magico della camicia, e le sue virtfi terapeutiche nei confronti degli animali allevati207. Per l'area italiana, l'assenza di dati si- stematici a questo riguardo, soprattutto nei testi in cui si parla di abito popolare e di costume, avrebbe comportato una ricerca lunga e sistematica in repertori dei rituali magico-protettivi italiani; si 6 ritenuto pertanto esporre, in questa sede, soltanto alcune brevi note di carattere orienta- tivo.

Certamente, anche per l'area italiana, indumenti a diret- to contatto del corpo, come la camicia, potevano essere uti- lizzati per le azioni di carattere magico, allo stesso modo di parti del corpo, come unghie e capelli; camicie e capelli

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come estensioni e simboli del corpo nella sua totalit" sono stati infatti impiegati, in misura considerevole, anche nella composizione dei doni votivi (trecce, camicie, abiti), e in alcuni usi legati alla morte (si vedano i divieti relativi al cam- bio della camicia, le camicie come abiti dei morti, i divieti o le prescrizioni sul taglio dei capelli, i medaglioni-ricordo con le ciocche di capelli dei defunti).

In alcuni casi particolarmente delicato era considerato il momento in cui gli abiti venivano appesi all'aperto, per gli influssi positivi o negativi di cui gli abiti stessi - e con- seguentemente la persona - sarebbero stati caricati: a Tra- pani nel secolo scorso si usava stendere all'aperto ed espor- re gli abiti nella notte precedente all'Ascensione, per attira- re su di essi l'influsso positivo della benedizione divina; a Ferrara gli abiti dell'inverno venivano invece esposti nella notte di San Giovanni208; a Bellante (TE) era invece in uso il divieto di appendere le fasce e gli abiti dei bambini pic- coli a rovescio, perch6 gli abiti a rovescio farebbero rivolta- re il bambino contro la madre209.

Gli abiti a rovescio, nell'antropologia dell'abbigliamento della cultura popolare italiana si ritrovano in ambiti diver- si, e non rivestono un significato univoco. Come si & gia visto, gli abiti a rovescio o indossati in successione rovesciata erano un segno di lutto in Sardegna; abiti vecchi o in disu- so rovesciati sono ancora oggi parte integrante dei masche- ramenti di Carnevale; gli abiti indossati a rovescio liberano inoltre anche una potenza magica: oltre al divieto di sten- dere al sole abiti rovesciati dei bambini piccoli, si possono ricordare gli usi magici dei minatori, che per favorire una protezione magica su di un lavoro ad altissimo rischio, usa- vano lavorare nelle miniere con abiti a rovescio; in tempi recenti l'uso e stato riscontrato presso i minatori di galleria di Roviano (RM): secondo alcune testimonianze, nei mo- menti del lavoro pifi rischiosi si indossavano a rovescio al- cuni elementi di biancheria, come le mutande e le calze210.

Anche nell'area italiana e possibile rintracciare, infine, un potere magico attribuito ad elementi di vestiario, potere ma- gico simile a quello descritto da Bogatyr6v: a Bellante (TE) si usa legare una ciabatta molto vecchia al collo delle peco- re malate di raffreddore; si ritiene che la ciabatta della pa- trona abbia il potere di guarire il raffreddore delle pe- core211

9. Simbolismo cromatico e significativita del particolare Imprescindibile dall'abito e certamente il colore, e l'uso

culturale che ne viene fatto, come si & visto, ad esempio, pifi sopra per alcuni abiti (l'abito nuziale bianco, il rosso come colore simbolico matrimoniale, il giallo infamante, ecc.). In termini molto generali si pub osservare che i colori chiari sono indossati nella giovinezza, e si fanno piii scuri progressivamente,

nell'et, matura e nella vecchiaia. Cib sem-

bra rivelare il diffuso simbolismo della vita umana, che assimilata al corso del sole in una giornata212. Il progres- sivo incupirsi dei colori nel corso della vita umana & rileva- to nel Veneto213, o nel Seicento in Umbria, dove alle arti- giane veniva imposto di indossare il bigio o il nero dopo 5 anni dal matrimonio214.

Nei secoli passati alcuni colori avevano un uso specifica- mente culturale: ad esempio, nei secoli XVI e XV, in Italia, il rosso ed il verde erano i colori usati dalla nobilt" e quin- di considerati appartenenti ad essa215. Anche nella cultura popolare, probabilmente, il colore ha ed ha avuto usi speci- fici. L'argomento e tutto da studiare: oltre al simbolismo cromatico di tipo psicologico, o rituale, si pub registrare l'u- so del colore per quanto riguarda la connotazione sociale. Secondo Giorgio Morelli, i colori delle gonne a Scanno (AQ) segnalavano la condizione socioeconomica della persona che le indossava: la gonna era verde per le grandi proprietarie, rossa per le medie proprietarie, gialla per le artigiane, blu e turchina per le mogli o figlie di pastori216.

Dalla bibliografia sul costume popolare italiano emerge uniformemente il fatto che il compito di segnalare, attra- verso il colore, lo stato civile della persona che indossa l'a- bito, o come vedremo il riferimento all'anno liturgico per gli abiti festivi, e affidato sempre ad alcuni elementi parti- colari dell'abbigliamento, come la pettorina, la balza della gonna, il fazzoletto, il grembiule, una cintura, nastri, ecc. Gli elementi particolari dell'abbigliamento, proprio per la loro caratteristica di non essere parti strutturali, possono essere agevolmente sostituiti a seconda delle occasioni, e possono essere posseduti in pifi esemplari. A proposito della sostituzione di questi elementi, che e di fatto una sostitu- zione di colori, dato ricorrente sembra essere il riferimento ai colori dell'anno liturgico e dei paramenti ecclesiastici; vie- ne cosi confermata l'ipotesi di Bogatyr6v sul rapporto tra costume e chiesa217. Alessandro Roccavilla cosi documen- ta il cambio di cuffie in Val di Susa secondo i colori della pianeta del prete celebrante:

tIn ognuno dei paeselli della Valle di Susa si pub dire che vi e una cuffia diversa: or e piui alta, or piui bassa, ed io intendo ac- quistarne una di ogni specie, in modo che i Valsusini sostino me- ravigliati nel vedere che nulla abbiamo trascurato. Oltre a ci6 si nota una variet " infinita di colori nelle cuffiette da lavoro, varie- ta dovuta al fatto che - come scriverb nelle memorie mie o scri-

ver. mia cugina, le donne cambiano il colore della cuffietta e del

fazzoletto col mutar di colore della pianeta del prete celebrante. La guardaroba di una contadina di Rochemolles, per citar un esem- pio, e curiosissima per questa varieti di Cuffiette>>218.

A Scanno (AQ), nel secolo scorso, i lacci che avvolgeva- no le trecce femminili, legate intorno al capo, avevano co- lore celeste, azzurro o verde durante la Settimana Santa, ros- so per la Pasqua; il medesimo colore dei lacci si usava per le fasce dei cappelli, e, se possibile, per le pietre degli orec- chini, medaglie, anelli219.

Questo uso, che sembra fosse operante soprattutto in Ita- lia settentrionale, si collega certamente con l'anno liturgi- co, ma forse - in maniera pifi larga - anche con l'anno solare, cui l'anno liturgico & almeno in parte legato.

Il collegamento ai colori liturgici & stato rilevato anche per le pettorine di Premana (CO), in una apposita indagi- ne220. Le pettorine, collocate sotto il busto dell'abito tradi- zionale premanese e seminascoste dal cordone che stringe il bustino, erano indossate in occasioni diverse, secondo il

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L' abbigliamento popolare italiano

colore richiesto dal rituale specifico o dalla disponibilit "

psicologica individuale. Cosi le pettorine a fondo bianco venivano indossate nei giorni delle feste della Madonna; nel- la Quaresima era usato il colore morello, o il pezzal del list, costituito di 6 strisce nere su fondo rosso; altre occasioni di feste solenni (Pasqua, Corpus Domini, la festa di S. Lui- gi Gonzaga) potevano richiedere il fondo bianco, o rosso, o azzurro. Le pettorine da lutto erano invece interamente nere; quelle dell'abito da sposa non avevano un colore de- finito, ma variavano secondo il colore dell'intero abito; e infatti da tenere presente che la scelta del colore delle pet- torine doveva accordarsi con i colori dell'abito nel suo in- sieme. Anche per le pettorine premanesi sembra diffusa la tendenza ad usare i colori chiari nella giovinezza, e quelli pifi scuri per la maturit" e la vecchiaia. Gli ornamenti me- tallici e l'eventuale aumento delle dimensioni del fiore rica- mato, rispetto al fondo, non possono interpretarsi secondo un codice prefissato: i simboli metallici (stelle, falci di lu- na), oltre che simulare ricchezza mediante l'imitazione dei metalli pifi nobili, potevano probabilmente rappresentare an- che elementi simbolici (tutti da interpretare); gli uccelli ri- camati, che appartengono al repertorio decorativo popola- re dell'intera area italiana, possono collegarsi agevolmente alla sessualit" ed al matrimonio, allo stesso modo del fiore ricamato; tuttavia non avrebbe fondamento l'interpretazione univoca e a tutti i costi di questi elementi, specialmente nello studio di una realt", come quella del costume, non pifi at- tuale ed operante.

In generale non sembra quindi che i colori fossero pre- scritti obbligatoriamente nella comunit"; si individuano piuttosto alcune tendenze, rispetto alle quali emerge un largo margine di libert" individuale. Le intervistate insistono in- fatti sulla scelta della pettorina come scelta individuale volta ad esprimere, talvolta, istanze psicologiche, il che del resto e un fatto comune al modo di indossare l'abito in tutte le civilta umane.

10. Femminile e maschile Particolarmente significativa per un'analisi antropologi-

ca e la divisione sessuale a proposito dell'abito e del costu- me. Alcune note di Leopold Schmidt definiscono a grandi linee la divisione sessuale nel costume popolare austriaco: gli uomini indossavano abiti di origine animale, le donne abiti di origine vegetale; cib corrisponde all'antica divisio- ne del lavoro, che vede gli uomini impegnati con gli anima- li, e le donne impegnate nei lavori agricoli. Le pelli ed il cuoio sono usati prevalentemente per i maschi; le tele deri- vano da piante coltivate e raccolte dalle donne, che lavora- vano e trasformavano a domicilio le fibre (Schmidt sottoli- nea giustamente l'importanza culturale della lavorazione del- le fibre). Un rovesciamento di questa situazione avveniva per la biancheria, fatta dalla donna per l'uomo, e per le so- pravvesti invernali, che l'uomo forniva alla donna221.

Nell'area italiana & da notarsi, prima di tutto, la divisio- ne sessuale relativamente all'uso e al disuso dell'abito tra- dizionale. Gli uomini hanno smesso di indossare il costu- me gid nella seconda meth dell'Ottocento; ai primi del No- vecento, Alessandro Roccavilla aveva fotografato un cor-

teo di battesimo a Fobello (VC) nel quale gli uomini non indossavano il costume222; in una cartolina degli stessi an- ni, raffigurante un matrimonio a Rochemolles di Bardonec- chia (TO), si vede chiaramente che gli uomini non indossa- no il costume (si veda la fotografia n. 44).

11. Psicologia dell'abito e sua immagine complessiva Nell'analisi di alcuni dei larghi ambiti culturali collegati

al complesso fenomeno dell'abbigliamento223, Si e finora trascurato quello relativo alla psicologia dell'abito ed alle varianti individuali causate da fattori psicologici; anche se, particolarmente nella cultura popolare, I'abito sembra es- sere soggetto alle norme collettive, resta comunque un lar- go spazio per le interpretazioni individuali di queste nor- me: ci6 si nota chiaramente nelle fotografie ottocentesche del Molise: le donne indossano lo stesso costume nello stesso paese ma con sensibili varianti individuali (si vedano le fo- tografie n. 5 e 6).

L'abito, secondo J. Fliigel224, ha soprattutto tre orienta- menti di funzionalita: decorazione, pudore, e protezione. Quest'ultima funzione si esplica, secondo l'autore, soprat- tutto nei confronti degli elementi naturali (protezione ter- mica e idraulica); ma per protezione si intende anche quel- la magica, contro elementi ostili sia naturali sia culturali, protezione che si esplica attraverso l'uso di alcuni colori e di amuleti; l'abito rappresenta anche una protezione psico- logica, ad esempio contro l'ostilit" degli altri uomini, la mancanza d'amore, ecc., attraverso gli abiti molto/chiusi e molto coperti, che difendono il corpo come una corazza. A proposito del pudore, Fliigel osserva che l'abito serve a nascondere le parti del corpo che di volta in volta si ritiene di dover coprire (e proteggere); d'altra parte, proprio in vir- tfi di questa operazione di copertura, alcuni elementi del- l'abito rappresentano simbolicamente le parti del corpo na- scoste, in primo luogo gli organi sessuali. Secondo l'auto- re, I'abito ha anche la funzione di esibire trofei, incutere pau- ra e rispetto agli eventuali nemici, come nel caso delle divi- se dei soldati Ussari nel secolo XIX, che attraverso gli ala- mari applicati alla giacca rappresentavano l'immagine del- lo scheletro umano, allo scopo di incutere terrore al nemi- co225; l'abito esibisce simboli di gerarchie, professioni, lo- calit" e nazionalit", di ricchezza, e rappresenta inoltre una estensione dell'io corporeo226. Uscendo dall'ambito stretta- mente psicologico, Fliugel individua tre tipi fondamentali di abbigliamento: l'abito primitivo, costituito dalla cintu- ra, perizoma e qualsiasi altro indumento che si allaccia at- torno alla vita (del quale il grembiule femminile rappresen- ta una forma pifi evoluta); l'abito tropicale, che si sviluppa dalle spalle in gifu (tutti i tipi di tuniche e vesti, che scendo- no dalle spalle); l'abito artico, stretto intorno al corpo e ca- ratterizzato dall'uso dei pantaloni, delle giacche strette, ec- cetera. Nel testo di Fluigel sono contenute inoltre alcune sti- molanti osservazioni di carattere generale, come quella re- lativa ai nuovi indumenti che entrano nell'uso, indossati so- pra i vecchi, in una serie di strati sovrapposti, o quella rela- tiva alla <<Grande Rinuncia?: nei primi decenni del secolo XIX l'uomo europeo occidentale rinuncia, per tutto il se- colo e fino al tempo in cui scrive Fliigel, alla vivacit~ del

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Silvestrini

colore e si veste esclusivamente di nero, grigio, bianco e co- lori affini.

Altre osservazioni che possono essere utilmente adattate allo studio dell'abito popolare riguardano la considerazio- ne del costume nella sua interezza: l'atteggiamento descrit- tivo ed enumerativo della maggior parte degli studi sull'ar- gomento tende a far perdere di vista

l'unit, dell'insieme e

l'immagine complessiva dell'abito. Questa infatti pub esse- re studiata anche per l'abito popolare, cosi come tentato ef- ficacemente da Maria Teresa Binaghi per l'abito colto, in uno studio sul rapporto tra pizzi e abbigliamento227: ad esempio, I'abito civile maschile del secolo XVI e considera- to come una trasposizione in tessuti piii morbidi del coevo abito militare; l'abito femminile nello stesso secolo e invece costruito ad immagine di idolo; l'abbigliamento di Luigi XVI di Francia, nel secolo XVII, si pone come l'immagine del potere assoluto, ecc.

Cosi l'abito popolare nella sua immagine complessiva pub0 essere considerato nella prevalente funzione di strumento di mimesi e di espressione di una identit", che si esplica, come si & visto lungo tutto ii presente lavoro, in vari ambi- ti: identit" maschile o femminile, nell'uso di diverse mate- rie per gli abiti e nell'adesione ideologica ad esse (il cuoio <<maschile>> e il tessuto <<femminile>>); il lavoro, nell'uso di abiti professionali che assolvono a determinate funzioni (ri- paro, protezione, igiene, ecc.), ma che esprimono anche una mimesi con l'oggetto del proprio lavoro (mimesi con le be- stie per i pastori, con la farina per i fornai, con la calce per gli imbianchini, con il cuoio delle scarpe per i calzolai, e cosi via); il voto ed il comportamento penitenziale, negli abi- ti votivi, che esprimono una mimesi con la divinita o con gli ordini monastici228; gli abiti da lutto esprimono anch'es- si una

identit., una sorta di mimesi del defunto, una ag-

gregazione al mondo dei morti che ha tuttavia una durata limitata nel tempo e sancita dalle regole non scritte ma egualmente solide di una societY. Gli abiti etnici delle co-

munita, alloglotte o praticanti altre confessioni religiose

esprimono probabilmente una mimesi di se stessi, o meglio del proprio gruppo etnico nel paese di origine; le fogge di abito si perpetuano al di fuori di un rapporto reale con la terra di origine, in una continuazione astorica che riprodu- ce sempre s6 stessa, mentre si vive da minoranze in una ter- ra non sempre accogliente, e il paese di origine e mitizzato e lontano.

Le immagini pubblicate alle pagine precedenti sono state scelte da un repertorio di circa 250, risultato di una ricerca iconografi- ca effettuata da Elisabetta Silvestrini e Stefania Ciaraldi. Le di- dascalie alle immaginifotografiche (fotografie e cartoline) sono state compilate da Stefania Ciaraldi, le altre da Elisabetta Silve- strini. Le riproduzioni dallbrchivio Fotografico Storico e dal Ga- binetto delle Stampe del Museo A.TP di Roma, e da libri, sono state eseguite da Dario Antonetti e da Umberto Tattoli; per le altre I'autore della fotografia & indicato tra parentesi. Si ringra- ziano il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari e 17- stituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione di Roma per avere permesso la pubblicazione delle immagini di loro pro- priettd.

Note

1 I1 saggio di Bogatyriv compare in questo fascicolo nella tra- duzione di Maria di Salvo (cfr pagg. 93-120).

2 Si veda G.R. Cardona, Laforesta dipiume. Manuale di etno- scienza, Roma-Bari, Laterza, 1985.

3 R. Levi Pisetzky, Storia del costume in Italia, 5 voll., Milano, Fondazione Giovanni Treccani degli Alfieri, Istituto Editoriale Ita- liano, 1964-1969, vol. III, pp. 19-27. Si citano le pifi importanti e note raccolte di incisioni relative all'abito, opera di incisori del secolo XVr: Enea Vico, Diversarum gentium nostrae aetatis ha- bitus, Venezia, 1558; Anonimo, Recueil de la diversitd des habits, Parigi, 1562; Ferdinando Bertelli, Omnium fere gentium nostrae aetatis habitus, Venezia, 1563; J. Amman - H. Weigel, Habitus praecipuorum populorum tam virorum quam foeminarum singu- lari arte depicti, Norimberga, 1577; Boissard, Habitus Variarum Orbis Gentium, 1581; A. De Bruyn, Omnium pene Europae, Asiae, Aphricae atque Americae gentium habitus, 1581; P. Bertelli, Di- versarum nationum habitus, Padova, 1589; C. Vecellio, Habiti an- tichi et moderni di tutto il mondo, Venezia, 1598 (prima edizione 1590). Una schedatura di alcuni dei testi sopra citati e in A. Mot- tola Molfino - M.T. Binaghi Olivari (ed.), Ipizzi: moda e simbo- lo, Milano, Electa, 1977, pp. 59-60, 66-67. Una bibliografia com- pleta sulla storia dell'abbigliamento, aggiornata fino agli anni '30 del nostro secolo, e contenuta in R. Colas, Bibliographie gindrale du costume et de la mode, 2 voll., Parigi, Colas, 1933.

4 R. Levi Pisetzky, Storia del costume, cit., vol. II, p. 25; J.L. Nevinson, L'origine de la gravure de modes, in Actes du ler Con- grks International d'Histoire du Costume, Venezia, Centro Inter- nazionale delle Arti e del Costume, 1955, pp. 202-212.

5 R. Levi Pisetzky, Storia del costume, cit., vol. II, pp. 25-27. 6 R. Levi Pisetzky, Storia del costume, cit., vol. V, pp. 82-102;

J.C. Fliigel, Psicologia dell'abbigliamento, Milano, Angeli, 1978. 7 Le raccolte di stampe dell'Ottocento che raffiguravano serie di

abiti delle varie classi sociali e in particolare di quelle rurali o po- polari urbane erano diffuse in tutta Europa; per l'area inglese si veda, ad esempio, W. Johnston White, Working Class Costume (1818), ripubblicato in P. Clabburn (ed.), Working Class Costume from Sketches of Characters by William Johnston White, Lon- dra, Victoria and Albert Museum, Daedalus, 1977. Tra i testi che utilizzano le incisioni ottocentesche per lo studio del costume ita- liano si vedano E Alziator, Verso una storia dell'abbigliamento popolare in Sardegna, in Mostra della raccolta Piloni Bogliolo dal- lArmi, Cagliari, 1964; B. Cappelli - N. Zerbi Bosurgi (ed.), II co- stume popolare calabrese dal XVI al XIX secolo nei disegni e nelle stampe della collezione Zerbi Bosurgi, Museo Nazionale di Reg- gio Calabria, 1975; I.M. Malecore, Contributo allo studio del co- stume popolare salentino, in Atti del Congresso Internazionale di Linguistica e Tradizioni Popolari, Gorizia - Udine - Tolmezzo, So- ciet" Filologica Friulana, 1969, pp. 251-262; M. Paone, II costu- me popolare salentino, Galatina, Congedo, 1976 (quest'ultimo pub- blica ampie parti degli archivi relativi all'inchiesta borbonica del 1782-1797, ed utilizza le fonti iconografiche e letterarie sull'argo- mento); II costume popolare abruzzese tra '700 e '800, Pinacote- - ca <<C. Barbella>>, Chieti, Solfanelli, 1985.

8 Si possono citare gli esempi piti noti, come la Mostra Etno- grafica Siciliana del 1891-1892, allestita a Palermo da Giuseppe Pitrb, e le raccolte sistematiche effettuate nell'intera area italiana, per la costituzione della Mostra di Etnografia Italiana, nel 1906-1911 (circa 900 costumi). Per i costumi esposti all'Esposizio-

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L' abbigliamento popolare italiano

ne Industriale di Milano del 1881 si veda G. Butazzi, In margine all'Esposizione Industriale, Milano 1891. Un gruppo di costumi e indumenti popolari presso le Civiche Raccolte di Arte Applica- ta, <<Rassegna di Studi e di Notizie>>, (Castello Sforzesco di Mila- no), vol IX, a. VIII, (1981).

9 Fanno eccezione A.M. Cirese, Fogge di abiti nel Molise, ?La Lapa)) III, 1-2 (marzo-giugno 1955), pp. 38-40; A.M. Cirese, L'in- chiesta murattiana del 1811. Documenti inediti sullefogge di abiti nel Molise, <Capitolium>> XXVIII, n. 3-4 (luglio-dicembre 1953), pp. 1-35: M. Roussel, Questionario per lo studio delle fogge di abiti, <<La Lapa)) III, 3-4 (settembre-dicembre 1955), pp. 107-109; in seguito L. D'Orlandi - G. Perusini, Il costume popolare carni- co, <<Ce fastu?)) a. XL, n. 1-6, 1964, pp. 42-127; G. Perusini, II costume popolare udinese dal secolo XIV al secolo XIX, Udine, Doretti, 1966. Tra le mostre organizzate durante il ventennio fa- scista, si veda, ad esempio, La mostra del costume. Marzo 1927, numero speciale di <<Capitolium? (1927). 10 Si vedano R. Levi Pisetzky, Storia del Costume, cit.; F. Brau- del, Capitalismo e civiltd materiale (secoli XV-XVIII), Torino, Ei- naudi, 1977, parte terza del IV capitolo, <<Gli abiti e la moda>>; A. Mottola Molfino - M.T. Binaghi Olivari (edd.), Ipizzi, cit.; R. Levi Pisetzky, Il costume e la moda nella societd italiana, Torino, Einaudi, 1978; 0. Burgelin, Abbigliamento, in Enciclopedia, To- rino, Einaudi, vol. 1, pp. 79-104; Lusso e devozione. Tessuti serici a Messina nella prima metd del '700, Messina, Regione Sicilia, 1984; capitolo <<Capi di vestiario>> in F. Aosta, Aspetti di vita ma- teriale a Piacenza tra Due e Trecento, <<Bollettino Storico Piacen- tino>> (luglio-dicembre 1985). Nel breve testo citato di Braudel si dichiara come primaria la distinzione tra lusso e povert "; i muta- menti della moda sono espressioni di societa mobili, con classi sociali emergenti, cosi come le societ" stabili dell'area islamica ed orientale erano caratterizzate da una notevole fissita delle fogge di vestire; nella cultura popolare l'abito viene considerato come notevolmente stabile. Si veda anche il bel testo di Ernesta Cerulli, Vestirsi spogliarsi travestirsi, Palermo, Sellerio, 1981, sulla funzione e sul significato dell'abito nelle societ" di interesse etnologico.

1 Si vedano R. Barthes, Sistema della moda, Torino, Einaudi, 1970; F. Alberoni, Psicologia del vestire, Milano, Bompiani, 1972. 12 G. Bronzini, Folklore regionale e antropologia del costume, in Id. Cultura popolare. Dialettica e contestualitd, Bari, Dedalo, 1980; E. Delitala, Come fare ricerca sul campo, Cagliari, Edes, 1978; G. Sebesta, Costumifestivi trentini, <<Regione Trentino-Alto Adi- ge>> 3 (marzo 1977); U. Raffaelli, Costumi e vestiario nelle valli trentine nel secolo XIX, <<Economia trentina>) 2-3 (1979), pp. 145-170; M. Paone, II costume popolare salentino, cit.; G. Carta Mantiglia, Vestiario popolare della Sardegna, Quaderni Demolo- gici, Universit " di Sassari, 1979; E. Delitala, Prefazione a C. Sa- mugheo, Costumi di Sardegna, Firenze, Vallecchi, 1981; E. Deli- tata, Note sull'abbigliamento tradizionale in Sardegna, Cagliari, CUEC, 1981 (dispense); G. Perusini - G.P. Gri, Costumi tradizio- nali e popolari in Valsesia, Borgosesia, Societ" Valsesiana di Cul- tura, 1982.

13 G. Tassoni, Arti e tradizioni popolari. Le inchieste napoleoni- che sui costumi e le tradizioni nel regno italico, Bellinzona, La Vesconta, 1973; A.M. Cirese, L'inchiesta murattiana, cit.; G. Ni- codemi, Costumi popolari italiani del primo Ottocento, Milano, Istituto Ortopedico ?Gaetano Pini>>, 1958. 14 F. Zucchi, Del vestire alla marchigiana, Firenze, Olschki, 1964; I. Melli, Gli archivi di una cultura orale, in AA.VV., Premana. Ri- cerca su una comunitd artigiana, Milano, Silvana, 1979.

15 G. Sebesta, Costumi festivi trentini, cit.; U. Raffaelli, Costu- mi e vestiario, cit; G. Perusini, Il costume popolare udinese, cit.; F. Zucchi, Del vestire alla marchigiana, cit. 16 I negativi delle fotografie di Moscioni sono conservati presso I'Archivio Vaticano di Roma.

17 C. Bertelli - G. Bollati, L'immaginefotografica 1845-1945, Sto- ria d'Italia, Annali 2, Torino, Einaudi, 1979, vol. I, figg. 105-107.

18 A. Carissoni - M. Anesa - M. Rondi, Cultura di un paese. Ri- cerca a Parre, Milano, Silvana, 1978. 19 Fotografie di questo tipo sono diffuse in tutta l'area italiana; particolarmente interessanti i gruppi familiari del Molise, opera del fotografo Antonio Trombetta di Campobasso, databili intor- no al 1860 (si vedano le fotografie n. 5 e n. 6). Alcune note sul- I'Archivio Fotografico Storico del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari sono contenute in A. Rossi, Le sorprese di un album difamiglia, .Rivista dell'ENI>> (settembre 1971), pp. 43-50, e in S. Ciaraldi - E. Silvestrini, L'archivio fotografico del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, <<La ricerca folklori- ca?) 3, (aprile 1981). Tra i numerosi esempi pi i recenti di reporta- ge fotografico, tra ricerca etnografica e guida turistica, possono citarsi le immagini fotografiche di Clifton Adams in G. Costa, The Island of Sardinia and Its People, <The National Geographic Ma- gazine>> XLIII, 1 (gennaio 1923), pp. 1-75. Per una riflessione sulla ricerca fotografica di August Sander, relativamente all'abbiglia- mento, si veda J. Berger, The Suit and the Photograph, in Id., About Looking, New York, Pantheon Books, 1980. 20 Si veda R. Levi Pisetzky, Storia del costume, cit., che tratta diffusamente delle leggi suntuarie italiane. Si veda anche L. Fu- mi, Le vesti, in Id., Usi e costumi lucchesi, Palermo, Edikronos, 1981 (ristampa anastatica dell'ed., Lucca 1904). 21 G. De Matos Siqueira, Le costume defendu, in Actes du ler Congres International d'Histoire du Costume, cit., p.64. Cappelli ricoperti di giallo erano ancora indossati dagli ebrei di Venezia nel 1760; si veda G. Marchesi, Un viaggio da Bergamo a Roma nel 1760, <<Archivio per lo studio delle tradizioni popolari,> XIX, 1 (gennaio-marzo 1900). 22 G. De Matos Siqueira, Le costume defendu, cit., p. 64. 23 I. La Lumia, Gli ebrei siciliani, Palermo, Sellerio, 1984 (ed. orig. del sec. XIX); R. Levi Pisetzky, La couleur dans I'habille- ment italien, in Actes du ler Congrbs International d'Histoire du Costume, cit., p. 162; R. Casagrande di Villaviera, Le cortigiane veneziane nel Cinquecento, Milano, Longanesi, 1968, p. 39. Le note sulle prostitute umbre del secolo XVII derivano dalla mostra Co- stume Umbro del Seicento, aperta a Foligno dal settembre al no- vembre 1985, e curata da Lucia Portoghesi; poich6 il catalogo e attualmente in corso di pubblicazione, tutte le indicazioni relative all'abito umbro del secolo XVII mi sono state cortesemente for- nite da Lucia Portoghesi. 24 L. Lombardi Satriani - A. Rossi, Calabria 1908-1910. La ricer- ca etnografica di Raffaele Corso, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, Roma, De Luca, 1973, p. 58.

25 R. Levi Pisetzky, La couleur dans I'habillement italien, cit., p. 162. 26 Da un testo di Tamassia Mazzarotto, citato nella tesi di lau- rea di Anna Zecchino sull'uso culturale dei colori nelle tradizioni popolari italiane, Istituto di Storia delle Tradizioni Popolari del-

l'Universit, di Roma (dattiloscritto), p. 150.

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27 R. Levi Pisetzky, Storia del Costume, cit., vol. V, p. 510. 28 Si veda R. Levi Pisetzky, Storia del Costume, cit. 29 G. Perusini, II costume popolare udinese, cit., p. 59. I ritratti delle coppie o famiglie di borghesi, di artigiani e commercianti, di contadini proprietari in costume sono riprodotti in G. Perusi- ni, II costume popolare udinese, cit. fig. 12; L. D'Orlandi - G. Pe- rusini, II costume popolare carnico, cit., dalla fig. 9 alla fig. 37; V. Gilardoni, Vita e costumi popolari nell'arte delle valli e delle terre ticinesi, Bellinzona, Casagrande, 1969, Tavv. XXI, XXXII. 30 P. Bogatyr&v, op. cit, ? 9.

31 R. Levi Pisetzky, La couleur dans I'habillement italien, cit., p. 159. 32 Ibidem, p. 159.. 33 Ibidem, p. 160. 34 La cultura contadina e le sue ideologie sono analizzate in W. Kula - J. Kochanowicz, Contadini, in Enciclopedia, 3, Torino, Ei- naudi, 1978.

35 Queste immagini si trovano pifi frequentemente negli intagli su legno, corno, zucca, ecc., su oggetti per la preparazione ed il consumo del cibo, attrezzi per lavori agricoli o di allevamento, per lavori femminili, ed altri, nel secolo XIX e nel Novecento. Non si tratta dunque di un sentimento patriottico, estraneo, del resto, alla cultura contadina, ma dell'estensione della antica appartenenza a questo o a quel padrone (feudatario). 36 A. Rossi, I musei di folklore, in AA.VV., Monti d'Italia. LAp-

pennino meridionale, Roma, ENI, s.d.; L. Lombardi Satriani - A. Rossi, Calabria 1908-1910, cit., pp. 97, 106.

37 J. Le Goff, Osservazioni sui codici di abbigliamento e alimen- tari nellk<Erec et Enideo, in Id., II meraviglioso e il quotidiano nel- I'Occidente medioevale, Bari, Laterza, 1983, pp. 84-100.

38 J. London, II popolo dell'abisso, Milano, Sonzogno, 1974, pp. 14-19. 39 C. Gallini, Intervista a Maria, Palermo, Sellerio, 1981, p. 60.

40 H. Kuper, Costume and Identity, <<Comparative Studies of So- cial History?) 15, (1973), pp. 348-367. 41 H. Kuper, Costume and Identity, cit. pp. 358-362. 42 F. Braudel, Capitalismo e civiltd materiale, cit., pp. 238-239.

43 T. Garzoni, La piazza universale di tutte le professioni del mondo, Venezia, 1586.

44 G. Sittoni, I viticoltori di Tramonti e della costa tra il Monte- negro ed il Mesco, <Archivio per la Etnografia e la Psicologia della Lunigiana>> I, 2, (1911), pp. 72-73. 45 P. Bogatyr&v, op. cit., ? 19. 46 R. Levi Pisetzky, Storia del Costume, cit., vol. IV, p. 372.

47 Queste notizie sono state fornite da Glauco Sanga, che ha ef- fettuato un sopralluogo a Rima ed ha eseguito le riprese fotogra- fiche (si veda la fotografia n. 9). 48 A. Roccavilla, carteggio Loria-Roccavilla, Archivio Storico del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. Il carteggio Loria-Roccavilla 6 stato da me consultato direttamente sugli ori- ginali manoscritti, prima che venisse effettuato da Sabina Fiorenzi

il lungo ed utile lavoro di trascrizione dell'intero carteggio, per la sua tesi di laurea presso l'Istituto di Storia delle Tradizioni Popo- lari dell'Universith di Roma.

49 A. Roccavilla, carteggio Loria-Roccavilla, Archivio Storico del Museo A.T.P. Luso del costume locale come souvenir per i viag- giatori non e nuovo, come si e visto per le incisioni cinquecente- sche; anche le incisioni ottocentesche, ad esempio quelle di Bar- tolomeo Pinelli, erano destinate all'uso di souvenir per i viaggia- tori stranieri (M. Paone, Il costume popolare salentino, cit., p. 10).

50 A. Roccavilla, carteggio Loria-Roccavilla, Archivio Storico del Museo A.T.P. 51 Graziani, carteggio Loria-Graziani, Archivio Storico del Mu- seo A.T.P.

52 C. Pigorini Beri, In Calabria, Torino, Casanova, 1892, p. 152.

53 A. Bernardy, Unitd fondamentale del costume nella cerchia al- pina, in Atti del III Congresso nazionale di arti e tradizioni po- polari, Trento, 1934; A. Bernardy, Tracce bizantine nel costume popolare italiano, <<Lares>>, VII (1936); J. Ribaric, II <<facol raka- manio nel costume popolare femminile istriano come elemento culturale mediterraneo, <<Lares>> XXII (1956), pp. 164-168.

54 Per quanto riguarda il rapporto tra le societh pastorali e gli animali allevati, si veda P. Bonte, Les societis des pasteurs noma- des, in AA.VV., Etre nomade aujourd'hui, Neuchitel, Mus6e d'eth- nographie de la Ville, 1979.

55 Dalla mostra Il Costume Umbro del Seicento (si veda la nota n. 23); R. Levi Pisetzky, La couleur dans I'habillement italien, cit., p. 160.

56 R. Levi Pisetzky, Storia del Costume, cit., vol. II, p. 484. Sul- la particolare condizione dei mugnai nella cultura popolare, si veda C. Ginzburg, Ilformaggio e i vermi, Torino, Einaudi, 1976; an- che Bogatyrev insiste, come si e visto, sul particolare abbigliamento dei mugnai.

57 R. Levi Pisetzky, Storia del Costume, op. cit., vol. V, p. 513; G. Pitre, La famiglia, la casa, la vita del popolo siciliano, Paler- mo, Reber, 1913, pp. 261-263; si veda la fotografia n. 12. 58 Da un testo di Tamassia Mazzarotto, citato nella tesi di Anna Zecchino (vedi nota 26), vol. II, p. 212. 59 A. Bernardy, Piemonte, Bologna, Zanichelli, 1926, p. 36.

60 Da un testo di Emma Calderini, citato da Anna Zecchino (vedi nota 26), vol. II, p. 60. 61 11 colore azzurro chiaro era indossato, relativamente ai panta- loni, dai mugnai nella Slovacchia Morava (cfr. Bogatyr&v, op. cit., ? 6). 62 G. Angioni, Sa laurera. II lavoro contadino in Sardegna, Ca- gliari, Edes, 1976, p. 209. 63 Si veda la nota 54. 64 La ricerca sui pastori transumanti nel Molise 6 stata effettua- ta da Carla Gentili ed Elisabetta Silvestrini nel luglio-settembre 1979, per la Soprintendenza Archeologica del Molise. 65 C. Pigorini Beri, In Calabria, cit., p. 89. 66 Dall'intervista al sarto Giovanni Borrelli, a Capracotta (IS) il 5-8-1979 (si veda la nota 64). 67 C. Pigorini Beri, In Calabria, cit., pp. 201-202.

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L' abbigliamento popolare italiano

68 G. Volpi, Usi costumi e tradizioni bergamasche, Bergamo, Giopi, 1937, pp. 86-89. 69 R. Trinchieri, Vita di pastori nella campagna romana, Roma, Palombi, 1953, pp. 58-60.

70 Antonino Uccello aveva studiato l'abbigliamento dei pastori curdttuli (addetti alla preparazione della ricotta) dalle incisioni su di un collare da bovini; si veda A. Uccello, Bovari, pecorai, cur'd- tuli. Cultura casearia in Sicilia, Associazione Amici della Casa Mu- seo di Palazzolo Acreide, Palermo, Stass, 1980, p. 78.

71 Civiltd rurale di una valle veneta. La Val Leogra, Vicenza, Ac- cademia Olimpica, 1976, p. 381. 72 A. Bernardy, Piemonte, cit., p. 36.

73 L. D'Orlandi - G. Perusini, II costume popolare carnico, cit., p. 84. Gli ambulanti vestivano fogge di abiti tipiche dei paesi in cui si recavano per vendere le loro merci.

74 Catalogo della Mostra di Etnografia Italiana in Piazza dAr- mi, Bergamo, Istituto Italiano di Arti Grafiche, 1911, pp. 92-93.

75 Si veda anche l'abito dei banditori del porto di Genova, de- scritto nel Catalogo della Mostra di Etnografia Italiana in Piazza d'4rmi, cit., p. 90. 76 Per l'abito delle donne veneziane si vedano R. Levi Pisetzky, Storia del Costume, cit., e J.V. Foscarini, Canti del popolo vene- ziano, Venezia, Gaspari, 1844, pp. 33-36; per l'abito delle minenti romane possono consultarsi le numerose stampe ottocentesche sul- I'argomento, o il manichino esposto alla Esposizione Industriale di Milano del 1881.

77 G. Pitre, Costumi di venditori ambulanti di Palermo, <Gior- nale di Sicilia>> (1894), pp. 8-24.

78 E De Bourcard, Usi e costumi di Napoli e contorni, Napoli, Nobile, 1853, vol. I, pp. 232-233.

79 E De Bourcard, Usi e costumi di Napoli, cit., vol. II, 1858, pp. 150-151; G. Pitre, La famiglia, la casa, la vita, cit., p. 230.

80 E De Bourcard, Usi e costumi di Napoli, cit., vol. II, 1858, pp. 157-172. 81 P. Rajna, I <Rinaldio o i cantastorie di Napoli, <<Nuova An- tologia di Scienze, Lettere ed Arti? a. XIII, seconda serie, vol. XII, fasc. XXIV, (15 dicembre 1878), pp. 563-564, 575. 82 C.T. Dalbono, II cantastoria, in E De Bourcard, Usi e costu- mi di Napoli, cit., pp. 52,55. 83 Del gruppo dei tre clowns della tradizione circense, il terzo, il Leale, indossa talvolta frac a code e cappello a cilindro, con la funzione di supervisore e regolatore dei comportamenti degli al- tri due clowns, il Bianco e l'Augusto. 84 Si veda E Mastropasqua, II teatro delle meraviglie, in E De Lucis (ed.), Lafiera delle meraviglie. Lo spettacolo popolare a Reg- gio Emilia nell'Ottocento, Comune di Reggio Emilia, Biblioteca Municipale <<A. Panizzi?, 1981, pp. 7-30.

85 A. Accornero, II lavorare quotidiano, in A. Accornero - U. Lu- cas - G. Sapelli, Storiafotografica del lavoro in Italia 1900-1980, Bari, De Donato, 1981. 86 G. Pitrb, Usi e costumi credenze e pregiudizi del popolo sici- liano, Palermo, Pedone Lauriel, 1889, II, pp. 197-198.

87 D. Perco (ed.), Balie da latte, Feltre, Comunit& Montana Fel-

trina, 1984.

88 P. Bogatyrev, op. cit., ? 5 e 6. 89 L. D'Orlandi - G. Perusini, II costume popolare carnico, cit., p. 78. 90 M. Gortani, L'arte popolare in Carnia. II Museo Carnico del- le Arti e Tradizioni Popolari, Udine, Societ

" Filologica Friulana,

1965, p. 57. 91 L. D'Orlandi-G. Perusini, II costume popolare carnico, cit., pp. 70, 80.

92 R. Carta Raspi, Costumi sardi, Cagliari, Fondazione <<I1 Nu- raghe>), s.d., pp. 30-34. 93 R. Carta Raspi, Costumi sardi, cit., p. 42.

94 P. Sibilla, Una comunithd Walser delle Alpi, Firenze, Olschki, 1980, pp. 136-137. 95 Si veda la fotografia n. 23. 96 R. Levi Pisetzky, Storia del costume, cit., vol. IV, p. 369.

97 P. Mansel, L'abito da societd, <<Prometeo>> 8 (dicembre 1984), pp. 26-37. 98 Si veda la nota 23.

99 Si vedano le fotografie dal n. 24 al n. 27.

100 Si vedano le fotografie n. 25 e n. 27.

o10 Si veda la fotografia n. 26. 102 Si vedano le fotografie n. 25 e n. 27, e A.M. Di Nola-O. Gros- si, Memoria di una festa. Vallepietra nelle fotografie di Luciano Morpurgo, Roma, Quasar, 1980, fotografia n. 104 a p. 119. 103 M. Morabito, II costume tradizionale contadino nella provin- cia di Reggio Calabria, in <Folklore della Calabria>> I, 2-3 (aprile- settembre 1956), pp. 55-57. 104 Si veda la fotografia n. 30.

105 Si veda la fotografia n. 28.

106 Si vedano le fotografie n. 29 e n. 31. Questo uso e diffuso in molte zone dell'Italia centro-meridionale; per la Sicilia si veda ad esempio la descrizione del Pitre per la festa dei santi Cosma e Da- miano a Palermo; si veda G. Pitre, Spettacoli efeste, Palermo, Pe- done Lauriel, 1881, p. 381. 107 Si veda la fotografia n. 35. 108 Si veda la fotografia n. 32. 109 G. Pitre, Feste patronali in Sicilia, Torino - Palermo, Clausen, 1900, pp. 290, 370, 544. Si veda anche I. De Luca, Voti e feste a San Calogero in Girgenti, <Rivista delle Tradizioni popolari ita- liane)) I, X (1894), p. 790. 110 G. Pitre, Feste patronali, cit., XLVI - XLVII, pp. 225-226, 237-238, 287-288, 364; G. Pitrb, Spettacoli e feste, cit. ni Per alcune notizie sulle madonnare al Divino Amore e sulle fe- ste dette ottobrate si veda G. Zanazzo, Tradizionipopolari roma- ne. Usi, costumi epregiudizi delpopolo di Roma, Bologna, Forni Editore, 1967 (ristampa anastatica dell'edizione del 1907-10), pp. 230-232, e G. D'Arrigo, Colore romano di Roma, Roma, <<I1 nuo- vo Cracas>, 1966, pp. 31-34; si veda anche la fotografia n. 33, che devo alla cortesia di Daniela Romani. L'uso di indossare abiti sgar- gianti, come divise di gruppi detti brigate, era gi& conosciuto a

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Silvestrini

Pisa e a Firenze alla fine dell'et" medioevale; si veda J. Heers, Fe- tes, Jeux et Jouets dans les socie'ts d'Occident d la fin du Moyen Age, Parigi, Vrin, 1971, pp. 13-16. 112 Le notizie particolareggiate sulle madonnare di oggi sono de- sunte dall'intervista effettuata il 29-10-1980 a Roma, alla signora Ines, aderente all'associazione <<Societh di Trastevere>>. 113 G. Pitre, Spettacoli e feste, op. cit., pp. 191-192; G. Pitr&, Fe- ste patronali, cit., pp. 226-228; E. Del Cervo, Le 'ntuppate a Ca- tania, <<Rivista delle Tradizioni popolari italiane>) I, III (1894), pp. 233-235. 114 Per il'secolo XVI, si veda T. Garzoni, La piazza universale, cit., p. 658, e R. Casagrande di Villaviera, Le cortigiane venezia- ne, cit., p. 38; per il secolo XVII, si veda R. Levi Pisetzky, Storia del costume, cit., vol. III, p. 425.

115 Si veda A. Rossi - R. De Simone, Carnevale si chiamava Vin- cenzo, Roma, De Luca; 1977, I. Sordi (ed.), Interpretazioni del Car- nevale, <<La ricerca folklorica>>, 6 (ottobre 1982). 116 P. Carrera, Delle memorie historiche della cittd di Catania, vol. II e III, Catania, 1641, pp. 514-515, citato in G. Pitre, Feste patro- nali, cit., p. 226.

117 Civilth rurale di una valle veneta, cit., p. 387; L. Lombardi Sa- triani-A. Rossi, Calabria 1908-1910, cit., p. 89. 118 Informazioni ricevute dalla nuora Olga Manieri Sturiale di Ro- ma, nell'ottobre 1980. 119 Informazioni ricevute dalle stesse Domenica e Maria Leli a Bellante (TE) nel novembre 1980. 120 Ricerca effettuata da chi scrive il 25 e 26 agosto 1984. 121 G. Pitre, Spettacoli efeste, cit., pp. 381, 425-426; G. Pitre, Fe- ste patronali, cit., pp. 57, 361, 370; I. De Luca, Voti e feste, cit., p. 790. 122 Notizie ricevute dalla cortesia di Pietro Palumbo. 123 F. Panaiotti, Credenze ed usanze chioggiotte, <<Rivista delle Tradizioni popolari italiane>> I, IV (1894), pp. 307-308. 124 A. Carissoni, Cultura di un paese, cit., p. 56. 125 G. Tassoni, Arti e tradizioni popolari, cit., pp. 130-131. 126 P. Monti, Vocabolario dei dialetti della cittd e della diocesi di Como, Milano 1845, p. 145, citato da M. Zecchinelli, Arte efol- clore siciliani sui monti dellAlto Lario, <<Rivista archeologica del- l'antica provincia e diocesi di Como>> 131-132 (1950-1951), p. 65. Si veda anche M. Belloni Zecchinelli, L'emigrazione popolare dalle terre dellAlto Lario attraverso documenti, arte e folclore, <<Ar- chivio storico lombardo>>, LXXXVIII (1961), pp. 7-9. Il voto fat- to dalle donne dei comuni delle Tre Pievi era duplice, perch6 rela- tivo sia al ritorno degli uomini emigrati in Sicilia, sia allo scam- pare alla peste che si diffondeva nel comasco. Nel secolo XVIII il pannolano usato per il costume era confezionato dalle mona- che Umiliate del convento di Gravedona e di altri conventi limi- trofi (M. Zecchinelli, Arte e folclore, cit., p. 70). 127 Catalogo della Mostra di Etnografia Italiana, cit., p. 64. 128 Si veda la fotografia n. 48. 129 M.A. Visceglia, Corpo e sepoltura nei testamenti della nobil- td napoletana (XVI-XVIII secolo), <<Quaderni Storici>> 50 (ago- sto 1982), p. 590-591. 130 C. Pigorini Beri, In Calabria, cit., pp. 168-169.

131 Informazioni avute da Nicola Persichillo, Molise (CB), nelle interviste effettuate da Carla Gentili ed Elisabetta Silvestrini, nel settembre 1979, e il 13-12-1980. 132 G. Pitre, Costumi di venditori ambulanti, cit., pp. 24-25. 133 A. De Nino, Usi abruzzesi, Firenze, Barbera, 1879, pp. 53-54. 134 Per il romita nel carnevale di Satriano di Lucania si veda E. Spera, Il romita, l'orso e la vedova bianca nel carnevale di Satria- no in Lucania, Napoli, La scena territoriale, 1982. I personaggi del monaco e dell'incappucciato nei riti di carnevale in Campa- nia sono stati studiati da Annabella Rossi in A. Rossi - R. De Si- mone, Carnevale si chiamava Vincenzo, cit., figg. n. 188, 192, 195, 196; per la figura del monaco come regolatore dell'entita opposta e selvaggia si veda G. Sanga, Personata libido, in I. Sordi, Inter- pretazioni del carnevale, cit., p. 5.

135 Possono citarsi, tra le altre pubblicazioni, il bel catalogo del- la omonima mostra fiorentina Iprincipi bambini. Abbigliamen- to e infanzia nel Seicento, Firenze, Centro Di, 1985, e il catalogo G. Butazzi - A. Mottola Molfino, Dalla culla alla corte, Milano, Castello del Lago, 1984. Recente studio sull'abbigliamento della borghesia, con particolare riferimento all'uso della biancheria, e

Ph. Perrot, II sopra e il sotto della borghesia, Milano, Longanesi, 1982. 136 Si veda I principi bambini, cit. 137 C. Pigorini Beri, In Calabria, cit., p. 173. 138 A. Carissoni, Cultura di un paese, cit., p. 65. 139 Catalogo della Mostra di Etnografia Italiana, cit., p. 146. 140 Ibidem, p. 62. 141 Ibidem, pp. 71-72. 142 Ibidem, p. 86. 143 U. Raffaelli, Costumi e vestiario, cit., pp. 150, 158; G. Sebe- sta, Costumi festivi trentini, cit., fig. n. 10. 144 G. Pitre, Usi e costumi, credenze e pregiudizi, cit., p. 40. 145 G. Delitala, Prefazione, cit. p. 22. 146 A. De Nino, Usi e costumi, cit., vol. II, p. 9. 147 J.C. Fliigel, Dress Symbolism and Clothes Ambivalence, <<In- ternational Journal of Psycho-analysis>>, X (1929). 148 R. Levi Pisetzky, La couleur dans I'habillement italien, cit., p. 162. 149 V.J. Propp, Le radici storiche dei racconti di fate, Torino, Bo- ringhieri, 1972, p. 118; R. De Simone-A. Rossi, Carnevale si chia- mava Vincenzo, Roma, De Luca, 1977, p. 183. 150 Catalogo della Mostra di Etnografia Italiana, cit., p. 88.

'151 F. Zucchi, Del vestire alla marchigiana, cit., p. 76. 152 G. Morelli, II costume di Scanno, Pescara, <<Attraverso l'Abruz- zo>>, 1960, p. 15.

153 G. Sebesta, Costumifestivi trentini, cit., p. 11. 154 S. Salomone - Marino, Costumi ed usanze dei contadini di Si- cilia, Palermo, Sandron, 1879, p. 264. '55 U. Raffaelli, Costumi e vestiario, cit., pp. 150, 157. 156 Dal testo di A. Zecchino, op. cit., (si veda la nota n. 26), p.

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L' abbigliamento popolare italiano

158; C. Pigorini Beri, In Calabria, cit., p. 187.

157 G. Pitre, Usi e costumi, credenze e pregiudizi, cit., pp. 45-63.

158 P. Sibilla, Una comunitl Walser, cit. 159 U. Raffaelli, Costumi e vestiario, cit., p. 154; I. Melli, Gli ar- chivi, cit., p. 141. L'abito nuziale non veniva piti indossato nel corso della vita, come, ad esempio, la pettorina nuziale di Acceglio (CN) (lettera di A. Roccavilla, Archivio Storico del Museo A.T.P., n. 9 e n. 15, Fasc. 965), o l'abito nuziale delle burgise, tramandato in eredita di madre in figlia (S. Salomone - Marino, Costumi ed usanze, cit., p. 263). L'abito nuziale bianco e eventualmente offer- to come ex voto nei santuari.

160 G. Cabiddu, Usi costumi riti tradizioni popolari della Trexen- ta, Cagliari, Fossataro, 1965, p. 224. 161 L. Lombardi Satriani-A. Rossi, Calabria 1908-1910, cit., p. 103.

162 G. Pitr&, Usi e costumi, credenze e pregiudizi, cit., vol. II, pp. 63-64, 209. 163 Lettera di G. De Giacomo a L. Loria, del 12-4-1910 da Rossa- no (CS), n. 29, Fasc. 263 dell'Archivio Storico del Museo A.T.P. 164 Lettera di G. De Giacomo a L. Loria, del 14-8-1910 da Cetra- ro (CS), n. 9, Fasc. 264. 165 Lettera di G. De Giacomo a L. Loria, del 14-8-1910 da Cetra- ro (CS), n. 9, Fasc. 264. 166 M.A. Visceglia, Corpo e sepoltura, cit., pp. 590-591. 167 Il1 giovane, allievo sottoufficiale della scuola di P.S. di Nettu- no (RM), si chiamava Settimio Passamonti; i suoi funerali si so- no svolti il 21-4-1977. 168 Notizie avute da una conferenza di Sanda Lazionescu, L'ana- lisi del contenuto verbale dei ritifunebri, tenuta al Museo A.T.P. il 23-1-1985. 169 C.T. Dalbono, Le esequie e i poveri di San Gennaro, in F. De Bourcard, Usi e costumi di Napoli, cit., p. 330. 170 G. Pitr&, Usi e costumi, credenze e pregiudizi, cit., p. 209.

171 G. Calvia, Usi funebri di Mores (Logudoro), <<Rivista delle Tradizioni popolari italiane>> I, fasc. XII (1894), pp. 950-951. 172 G. Pitr&, Usi e costumi, credenze e pregiudizi, cit., p. 240. 173 G. Coronedi Berti, Usi e credenze funebri nel bolognese, <<Ri- vista delle Tradizioni popolari italiane? I, VI (1894), p. 463. 174 L. Nora, La presenza della morte, in M. Turci (ed.) La culla, il talamo, la tomba, Modena, Panini, 1983, pp. 82-84. 175 P. Bogatyriv, op. cit., ? 8. 176 M. de Fontanes, Un element du costume propre a l'Europe: la chemise, in M. de Fontanes - Y. Delaporte (edd.), Vetement et Socie'dts /1, Actes desjournees de rencontre des 2 et 3 mars 1979, Paris, Mus6e de l'Homme, 1981, pp. 123-131.

177 L'abito bianco fatto indossare ai bambini morti, con l'eventuale aggiunta di elementi come fiori, nastri, confetti, ecc.; gli abiti bian- chi da sposa; le bianche vesti funebri di bambini e ragazze vergi- ni; le bianche vesti indossate nella fase spettacolare delle proces- sioni; gli abiti della prima comunione, ecc.; appartengono, in una intepretazione molto larga, ad uno stesso ambito, ed esprimono in un modo o nell'altro un rapporto con la morte e l'invisibilitA; molti di questi abiti sono offerti come ex voto; se ci si sposta ad

altri ambiti, come specifici abiti rituali o come il mascheramento (fujenti di Napoli, Pulcinella, ecc., si veda R. De Simone-A. Ros- si, Carnevale, cit.), si nota che l'abito bianco e sempre in qualche modo collegato con la morte. Non viene trattato in questa sede, per I'ampiezza delle tematiche e per il suto carattere di documento esemplare della ricerca antropologica - tale da richiedere un di- scorso piui approfondito e separato - I'abito bianco dei rituali di tarantismo (si veda E. De Martino, La terra del rimorso, Mila- no, II Saggiatore, 1961). "78 Sulla lotta incessante tra il bianco ed il nero si veda J.E. Cir- lot, Diccionario de Simbols Tradicionales, Barcellona, Miracle, 1958; sull'origine dell'uso del nero quale segno di lutto verso il secolo XIV, presso le classi nobili, si veda Ph. Aries, L'uomo e la morte dal Medioevo ad oggi, Bari, Laterza, 1980, p. 187. 179 R. Levi Pisetzky, La couleur dans l'habillement italien, cit., p. 162.

180 R. Levi Pisetzky, Storia del costume, cit., vol. I, p. 210; vol. II p. 188.

181 Si vedano la fotografia n. 48 e l'immagine n. 191 del vol. V di R. Levi Pisetzky, Storia del costume, cit. 182 Si veda la fotografia n. 48. 183 AA.VV., Premana, cit. 184 F. Braudel, Capitalismo e civiltd materiale, cit., p. 235; G. De- ledda, Tradizioni popolari di Nuoro, <<Rivista delle Tradizioni po- polari italiane? II, VI (1895), p. 429. 185 Informazione raccolta da chi scrive nel maggio 1975 a Vena- fro (IS). 186 Lettera di A. Roccavilla, n. 10, n. 15, Fasc. 965 del carteggio Roccavilla - Loria, Archivio Storico del Museo A.T.P.

187 Si veda la fotografia n. 50.

188 Lettera di A. Roccavilla, n. 10, n. 15, Fasc. 965 del carteggio Roccavilla - Loria, Archivio Storico del Museo A.T.P. Si veda an- che la fotografia n. 51. 189 Lettera di A. Roccavilla, n. 8, n. 15, Fasc. 965 del carteggio Roccavilla - Loria, Archivio Storico del Museo A.T.P.

190 A. De Nino, Usi abruzzesi, cit., pp. 67-68; A. De Nino, Usi e costumi, cit., p. 242; G. Calvia, Usifunebri, cit., p. 951; G. De- ledda, Tradizioni popolari, cit., p. 430; E. Delitala, Prefazione, cit., p. 16. 191 M. Gortani, L'arte popolare, cit., p. 57.

192 G. Perusini, II costume popolare d'4sio, <<Bollettino Bibliogra- fico e Musei civici di Udine)), 1 (1962), pp. 44-51, citato da M. Gortani, L'arte popolare, cit., p. 57. 193 G. Perusini, II costume popolare ampezzano, <Lares? XIV, 1 (febbraio 1943), p. 17. Per gli abiti o elementi di abito indossati senza piegature si vedano il gi" citato abito dei neonati morti di Carpi (MO), confezionato senza cuciture, e la veste del Cristo. 194 Il fazzoletto pandt di rusiti, bianco con rosette ricamate, com- pare in una relazione di Omero Franceschi, del 1911, come ele- mento del vestito da nozze e da festa grande; si veda G. Berandi (ed.), Costumi valtellinesi, Sondrio, Bonazzi, 1978, p. 14. Paul Scheuermeier (II lavoro dei contadini, Milano, Longanesi, 1980, vol. II, fig. 490), che rileva sempre a Grosio il pandt di ruseti nel 1920, lo considera un elemento dell'abito da lutto; ci6 viene con-

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fermato da una ricerca in corso sul costume di Grosio, effettuata da Elisabetta Simeoni. (Per Grosio si veda in questo fascicolo il saggio di E Caltagirone). A meno che l'indicazione di Omero Fran- ceschi sia da considerare errata, sarebbe avvenuto, negli anni tra il 1911 ed il 1920, il passaggio del pandt di ruseti dalle nozze al lutto, concordemente con l'ipotesi di Bogatyriv, op. cit., ? 5, rela- tivamente al passaggio quotidiano -- festivo -- rituale.

195 D. Graziussi Crozzoli, II costume femminile friulano di Tra- monti, Roma, Perasti, s.d., p. 9. 196 Lettera di A. Roccavilla, carteggio Roccavilla - Loria, n. 10, n. 15, Fasc. 965, Archivio Storico del Museo A.T.P. In A. Caris- soni, Cultura di un paese, cit.,

" riportata una Memoria su Parre

di Antonio Tiraboschi, del 1864, che contiene alcune notizie sugli abiti da lutto, e che forse Roccavilla potrebbe aver letto, per la somiglianza tra le sue note sul costume e quelle di Tiraboschi. Si veda anche il testo di Antonio Tiraboschi, I costumi di Parre (dat- tiloscritto), inviato per l'illustrazione delle fotografie e degli ac- quarelli con i costumi di Parre inviati alla Esposizione Industria- le di Milano del 1881. 197 L. Vere de V"re, Usifunebri dellA4lta Lombardia, <<Rivista del- le Tradizioni popolari italiane>>, I, XII (1894), p. 965. 198 Si veda la nota 23. 199 E. Canziani, Through the Apennines and the Lands of the Abruzzi, Cambridge, Heffer, 1928, p. 228.

200 C. Pigorini Beri, In Calabria, cit., pp. 154-155. 201 G. Deledda, Tradizioni popolari, cit., pp. 428-430; E. Delita- la, Prefazione, cit., pp. 23-24. 202 A. Van Gennep, I riti di passaggio, Torino, Boringhieri, 1981. 203 J.G. Frazer, Il ramo d'oro, Torino, Boringhieri, 1973, pp. 361-363. 204 Si veda E. De Martino, Morte e pianto rituale, cit. 205 C.T. Dalbono, Le esequie, cit., p. 238. 206 Ph. Aries, L'uomo e la morte, cit., pp. 188, 190, 215, 377. 207 Si veda Bogatyr&v, op. cit., ? 8. 208 G. Pitre, Spettacoli e feste, cit., p. 261; P. Barbieri, Credenze e superstizioniferraresi, <<Rivista delle Tradizioni popolari italia- ne? I, I (dicembre 1893). 209 Notizia raccolta da chi scrive a Chiareto di Bellante (TE) il 12-8-1984. 210 Notizia registrata da chi scrive presso i minatori di galleria di Roviano (RM), nell'autunno 1979. 211 Notizia registrata da chi scrive, il 12-8-1984, a Chiareto di Bel- lante (TE). 212 Questo tema e ovviamente universale, e si ritrova in tutte le ci- viltA umane. 213 Civiltd rurale di una valle veneta, cit., p. 378. 214 Si veda la nota 23. 215 R. Levi Pisetzky, La couleur dans l'habillement italien, cit., p. 158. 216 G. Morelli, II costume di Scanno, cit., p. 26. 217 P. Bogatyrev, op. cit., ? 3.

218 Lettera di A. Roccavilla, carteggio Roccavilla - Loria, n. 37, Fasc. 967 dell'Archivio Storico del Museo A.T.P. 219 A. De Nino, Usi abruzzesi, cit., p. 31. 220 Indagine condotta da Elisabetta Silvestrini nel luglio 1976, per il Servizio Cultura del Mondo Popolare dell'Assessorato alla Cul- tura della Regione Lombardia, per la mostra fotografica Dai campi e dalle officine. L'indagine e costituita di alcune interviste sul co- stume e sull'uso delle pettorine nelle varie occasioni, festive e fe- riali. Dalle interviste e risultato che le pettorine (pezzdi) erano con- fezionate, per la maggior parte, dalle stesse donne che le avrebbe- ro indossate; per il ricamo, tuttavia, si ricorreva alle ricamatrici professionali, che lavoravano nel paese. Di queste una era una suo- ra, ritornata allo stato laicale perch6 ammalata; un'altra era una vedova, che lavorava ai

pezzdli per arrotondare i suoi guadagni; sembra cosi confermata l'ipotesi del legame esistente tra arte del ricamo e conventi anche nella cultura contadina. Secondo una delle intervistate, Rosa Fazzini, alcune pettorine venivano confeziona- te e ricamate in un convento di suore a Venezia; le applicazioni metalliche e parte delle stoffe impiegate avevano la stessa origine. La pettorina del costume da sposa di Maria Vittori e stata rica- mata, nel 1937, da una sua coscritta, residente a Venezia, per il prezzo di 3.500 lire. Per il costume di Premana si veda I. Melli, Gli archivi, cit. 221 L. Schmidt, Costumes populaires en Autriche, in Actes di I.er Congres International d'Histoire du Costume, cit., pp. 269-287. 222 E infatti Roccavilla, nella preparazione del gruppo del batte- simo di Fobello (VC) per la mostra romana del 1911, raccomanda agli organizzatori di vestire gli uomini in costume, per rendere <piil autentico? il corteo. 223 Nella presente indagine non e stata presa in considerazione la tecnologia della confezione del costume, cioe le manifatture di fi- latura, tessitura, tintura delle stoffe, confezioni delle parti del co- stume, sistemi di fissaggio delle pieghe della gonna, eccetera. Gli aspetti tecnologici sono ovviamente, in questa come in altre espres- sioni di cultura materiale, fondamentali; Scheuermeier individua la causa della scomparsa del costume in Italia nel progressivo de- cadere delle manifatture domestiche di filatura e tessitura. (P. Scheuermeier, II lavoro dei contadini, cit., vol. II, p. 290). Gli aspet- ti tecnologici non sono stati presi in considerazione, in questa se- de, non tanto per la scarsezza delle fonti bibliografiche, quanto perch& vanno riferite a specifiche ricerche di territorio. Un esem- pio di ricerca storica tecnologica sulla lavorazione delle fibre, che comprende anche il discorso sul costume, e AA.VV., Canapa e la- na. Tecniche tradizionali diproduzione e lavorazione nelfeltrino, Feltre, Comunit" montana feltrina e Centro di documentazione della cultura popolare, 1981. (Per gli aspetti tecnologici del costu- me si veda in questo fascicolo il saggio di E Caltagirone). 224 J.C. Fltigel, Psicologia dell'abbigliamento, cit. Uautore, che af- fronta lo studio dell'abbigliamento tenendo in considerazione so- prattutto l'abito europeo occidentale, elenca in Dress Symbolism, cit., p. 205, gli elementi simbolici dell'abbigliamento. Per i valori simbolici dell'abbigliamento si veda, inoltre, B. L6nnqvist, Sym- bolic Values in Clothing, <Ethnologia Scandinavica> (1979). 225 J.C. Fliigel, Psicologia dell'abbigliamento, cit. 226 J.C. Fliigel, Psicologia dell'abbigliamento, cit. 227 M.T. Binaghi Olivari, Ipizzi nell'abbigliamento, in Ipizzi, cit. 228 Gli abiti votivi appaiono contrapposti a quelli secolari, in una opposizione tra santith e peccato, vita religiosa e vita secolare, di- vinitA e laiciti, tipica della religione cristiana.

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