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UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI SALERNO
LAUREA MAGISTRALE IN INGEGNERIA CIVILE E PER L’AMBIENTE
ED IL TERRITORIO
CORSO DI FRANE A.A. 2013/2014
Analisi di un caso studio descritto in un articolo
scientifico in lingua inglese
Field investigations and monitoring as tools for modelling the Rossena castle landslide (Northern Appennines, Italy)
Alessandro Chelli, Giuseppe Mandrone, Giovanni Truffelli
Docente:
Prof. Ing. Michele Calvello
Studente
Leone Chirico 0622500127
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Indice
1. Caso studio……………………………………………………………………. 3
1.1 Inquadramento territoriale………………………………………………...3
2. Caratterizzazione geologica e geomorfologica dell’area di studio…………...4
3. La frana di “Rossena” ………………………………………………………..5
4. Caratterizzazione del sottosuolo ………………………………………………7
5. Monitoraggio…………………………………………………………………10
6. Conclusioni…………………………………………………………………..12
7. Bibliografia…………………………………………………………………..13
Indice delle figure
Figura 1: Localizzazione area di studio………………………………………3
Figura 2: Caratterizzazione geologica e geomorfologia area di studio………4
Figura 3: Posizione dei fori delle indagini geofisiche e del sistema di
monitoraggio……………………………………..……………………...6
Figura 4: Sezione geologica e geomorfologica della frana..............................6
Figura 5: Classifica di Varnes…………………………………………….......7
Figura 6: Sezione trasversale ottenuta mediante indagine sismica………….9
Figura 7: Risultati inclinometro I3………………………………………….11
Figura 8: Esempio correlazione spostamenti-precipitazioni……………….11
Indice delle Tabelle
Tabella 1: Fori di sondaggio: caratteristiche tecniche e risultati…………….8
Tabella 2: Sistema di monitoraggio della frana operante dal 2004: note
tecniche e risultati……………………………………………………...10
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1. Caso Studio
L’obiettivo del seguente elaborato è l’analisi dell’articolo “Field investigations and monitoring as
tools for modelling the Rossena castle landslide (Northern Appennines, Italy)”, pubblicato nel
2006 sulla rivista scientifica Landslides, Volume 3, dagli autori A. Chelli et al. Lo scopo degli autori è
di elaborare un modello di analisi dei fenomeni che hanno interessato l’area di studio, al fine di
definire un piano di intervento adeguato. Per perseguire tale obiettivo, è stato realizzato vasto un
sistema di monitoraggio volto ad ottenere informazioni in merito alle caratteristiche del fenomeno
franoso.
1.1. Inquadramento territoriale
Il territorio della Regione Emilia Romagna è affetto da un numero elevato di frane di differente
tipologia e dimensioni, derivanti soprattutto dalle caratteristiche geologiche del substrato
roccioso. La sera del 28 febbraio 2004, il borgo di Rossena, (Canossa, Emilia Romagna, Figura 1), è
stato interessato da un movimento franoso, innescato da intense precipitazioni atmosferiche, che
ha danneggiato strade, abitazioni e terreni agricoli. Questa zona è stata già colpita in passato da
fenomeni simili. Infatti, è stato trovato, grazie ad una datazione del radiocarbonio eseguita su un
deposito organico rinvenuto in un pozzo a circa 15 m di profondità, un corpo di frana più di 9000
anni fa. Informazioni storiche, inoltre, hanno evidenziato come la frana di Rossena sia stata
attivata il 13 marzo 1832 da un terremoto di grado 7-8 MCS, con epicentro a circa 20 km di
distanza (Colla 1832). Questo terremoto ha indotto la rottura della falesia provocando frane e
crepe nel terreno.
Figura 1: Localizzazione area di studio
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2. Caratterizzazione geologica e geomorfologica dell’area di studio
Nell'area di Rossena (Figura 2) affiorano due principali unità di roccia (Papani et al. 2002): una
formazione di argilla e scisti e una sequenza più o meno alterata e fratturata di ofioliti.
Figura 2: Caratterizzazione geologica e geomorfologia area di studio
Il complesso di argilla è costituito da tre diversi tipi di roccia con comportamento geotecnico
similare: una sequenza di blocchi di roccia in una matrice pelitica (calcare in scisti), una formazione
di argille scagliose varicolori e un miscuglio di argilla e frammenti di rocce di diversa natura
(blocchi di basalto, calcare o flysch di dimensioni variabili da pochi centimetri a molti metri).
Le masse di ofioliti sono presenti all’interno del complesso caotico come organismi alloctoni. Nella
zona sono presenti molte masse di questo tipo, con dimensioni variabili da pochi a diverse
centinaia di metri. E' molto comune trovare grandi affioramenti di brecce, più o meno cementati
da calcite.
La morfologia della zona è caratterizzata da masse ofiolitiche che spiccano sul terreno come
residuo eroso perché i processi erosivi hanno rimosso le circostanti rocce fragili pelitiche. Il più
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importante corpo è costituito dalla falesia in cui si trova il castello di Rossena. Lo circonda un
pendio detritico, costituito principalmente da clasti di dimensione dei centimetri immersi in una
matrice rossastra limosa-argillosa sovrapposta ad antichi depositi di frana e al complesso caotico
argilloso del substrato roccioso. Inoltre, la pendenza mostra un profilo irregolare caratterizzato da
zone concave e scarpate, sottolineando come la morfologia sia caratterizzata principalmente dai
processi di instabilità. E’ presente, inoltre, in piccolo deposito alluvionale tra l’unghia della frana e
il torrente.
3. La frana di “Rossena”
La frana oggetto di studio si estende su una superficie di circa 300.000 m2, con un volume stimato
di 7.000.000 m3. Ha lunghezza totale di circa 1.000 m con 220 m di dislivello. La sua larghezza
media è di circa 250 m, mentre la sua profondità si estende tra 20 e 30 m (solo in alcuni punti si
raggiunge una profondità di 40 m).
Ritengo opportuno, note le dimensioni della frana e, in particolare, il volume, una valutazione
dell’intensità del fenomeno mediante la correlazione proposta da Fell nel 1994, nella quale
l’intensità è espressa in funzione delle dimensioni del movimento franoso.
Scala di intensità delle frane basata sul volume della massa spostata (Fell, 1994)
La correlazione proposta ci permette di affermare che si tratta di un fenomeno estremamente
grande, cui viene associato un valore di magnitudo pari a 7, il massimo previsto.
Un dettagliato sondaggio geomorfologico e geologico ha permesso di distinguere le diverse frane
che hanno colpito il pendio Nord-Est della zona di Rossena. Per mappare in dettaglio i confini dei
corpi di frana e per individuare gli indicatori morfologici dei diversi movimenti è stato utilizzato il
dispositivo GPS. Per studiare le caratteristiche del sottosuolo della frana Rossena e per migliorare
la conoscenza al fine di ottenere dati utili per la modellazione, invece, sono stati usati metodi di
indagine diretti e indiretti (Figura 3).
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Figura 3: Posizione dei fori delle indagini geofisiche e del sistema di monitoraggio:
limiti della frana Rossena; B sondaggi (usati come inclinometri I¸ piezometri P, estensimetri E)
S sondaggi sismici ; Ei indagine elettrica ; C clinometro; W estensimetro a filo; J fessurimetro.
Le indagini sono state condotte sulla parte superiore del versante, vicino la strada, il castello e il
paese ed hanno permesso di identificare differenti tipologie di frane, riguardanti le diverse parti
del versante (Figura 4).
Figura 4: Sezione geologica e geomorfologica della frana:
1) basalto e breccia basaltica 2) complesso di argilla caotica, 3) complesso di argilla caotica coinvolto nella
frana, 4) complesso di argilla caotica coinvolto nella deformazione della roccia, 5) depositi di versante, 6)
superficie di scorrimento, 7) antichi depositi di frana con strati organici, 8) fori di sondaggio. Le lettere
“a,b,c,d” presenti nella parte alta dell’immagine mostrano le 4 zone morfologiche in cui la frana può essere
suddivisa.
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Si tratta di una frana complessa (Varnes, 1978, Figura 5), nella quale il movimento principale è
quello che si sviluppa all’interno della zona “b”, interessata da uno scorrimento in cui la superficie
di rottura presenta una scarpata ripida che si va poi ad appiattire con la profondità, raggiungendo
quasi i 40 m di profondità. L'ultima parte della frana, con flussi superficiali (massimo spessore di 10
m), è un fenomeno minore la cui presenza è suggerita dalla zona pianeggiante alla quota di circa
360 m.
Questa seconda sezione (zona “c”) è caratterizzata da uno scorrimento che ha colpito anche parte
del substrato roccioso. Questo fatto è suggerito dallo stato di conservazione delle rocce affioranti
nella zona più ripida, sul lato destro della frana, che appaiono peggiori rispetto a quelle presenti ai
piedi del pendio.
L'instabilità principale nelle zone “b” – “c” ha determinato i movimenti di massa sia nella parte alta
che in quella bassa del pendio. Gli enormi blocchi (zona “a”) in cui è articolata la parte esterna
della falesia di Rossena, mostrano spostamenti verticali e, localmente ribaltamenti.
Probabilmente, questi movimenti sono legati a una frana di rotazione, che colpisce sia la falesia
che il complesso caotico argilloso e sono la causa della maggior parte dei danni al paese.
L'instabilità della parte centrale del pendio ha anche determinato lo sviluppo di piccole frane
superficiali ai piedi del pendio (zona “d”). Si tratta di un movimento lento che ha coinvolto alcune
decine di metri di roccia, considerato come un flusso di roccia. In corrispondenza del piede del
pendio, ad un'altitudine di circa 300 m, è presente un affioramento della formazione delle argille
varicolori, molto esteso e ben stratificato che sembra contrastare lo sviluppo della frana.
Si tratta, quindi, secondo la classificazione dei fenomeni franosi proposta da Varnes nel 1978, di un
fenomeno complesso, ossia di un fenomeno in cui il movimento risulta dalla combinazione di due o
più dei cinque tipi di movimento principali individuati da Varnes.
Figura 5: Classifica di Varnes (1978)
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4. Caratterizzazione del sottosuolo
Il programma di indagine in sito per la caratterizzazione del sottosuolo prevede:
- 9 fori di sondaggio, con profondità variabile tra 25 e 40m, per identificare i materiali stabili e
quelli instabili e i dati relativi alla falda (inclinometri, estensimetri, piezometri);
- 7 indagini sismiche (tomografia), per determinare, utilizzando metodi di rifrazione, la geometria
del sottosuolo della frana e le zone circostanti;
- 4 sondaggi elettrici
I fori di sondaggio sono stati perforati nella parte intorno alla falesia e nella parte discendente del
paese. Le loro posizioni sono mostrate in Figura 3 e lungo la sezione trasversale di Figura 4, mentre
in Tabella 1 sono riassunte le più importanti caratteristiche tecniche ottenute con le misurazioni.
Tabella 1: Fori di sondaggio: caratteristiche tecniche e risultati (posizioni mostrate in Figura 3)
La perforazione sub-orizzontale B5 mostra che la parte esterna della massa rocciosa è fratturata e
le fessure possono essere molto aperte (fino ai decimetri) e, quindi, è probabile che conducano
una grande quantità di acqua alla base del pendio.
Nella zona “b”, la superficie di scorrimento raggiunge la profondità massima, come dimostrato da
B3 e B4. In particolare, B4 evidenzia che diversi depositi della frana più antica sono stati coinvolti
nel recente collasso, a volte separati da strati organici (uno è stato trovato a circa 15 metri di
profondità). I fori nella parte più antica del paese (B6 e B7) hanno rilevato che, anche in questa
zona, la superficie di scorrimento è abbastanza profonda (20 - 30 m).
Sono state effettuate, inoltre, misurazioni sismiche per determinare le strutture del sottosuolo e
per correlare questi dati con quelli ottenuti dai fori di sondaggio. Sette tomografie sismiche (S)
hanno permesso di determinare la geometria del sottosuolo della frana e le zone circostanti
(Figura 3). Lo spessore medio della frana è tra 20 e 30 m, ma localmente le superfici di scorrimento
possono raggiungere più di 40 m. In dettaglio, alla superficie di scorrimento corrisponde
probabilmente una velocità di propagazione delle onde sismiche di circa 2,2 km/s (Figura 6),
mentre sopra questa superficie è stata registrata una velocità più bassa. Tale indagine ha mostrato
che più unità di frana unite tra loro sia in direzione trasversale (rilievi sismici S5 e S6) che
longitudinale (S1, S2, S3, S4 e S7)
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Figura 6: Sezione trasversale ottenuta mediante indagine sismica:
- le linee rosse individuano le superfici di scorrimento;
- B3,B4 fori di sondaggio
Talvolta, all'interno del corpo di frana ci sono alcune porzioni ad alte velocità, come in S1. Si tratta,
probabilmente, di alcuni grandi blocchi caduti o rovesciatisi dalla falesia ofiolitica, che poi hanno
coperto la frana.
Con quattro sondaggi elettrici verticali, si è investigata la parte centrale della frana ma, purtroppo,
non hanno mostrato grandi contrasti in termini di resistenza, quindi è difficile definire dei confini
netti dei corpi di frana.
A mio parere, va rilevata l’attenzione che gli autori hanno posto sulla caratterizzazione del
sottosuolo, che ha permesso di definire quali sono le aree stabili e quelle instabili e ha consentito di
ottenere importanti informazioni in merito alla profondità della superficie di scorrimento e dei
volumi interessati dal movimento. Infatti, la progettazione di opere di ripristino necessarie per
stabilizzare il pendio e ridurre al minimo il rischio per il paese e il castello non può prescindere da
una conoscenza approfondita di tali elementi.
Ritengo, inoltre, che il programma di indagini in sito per la caratterizzazione del sottosuolo sia
stato progettato e realizzato in maniera corretta, in quanto permette di definire un quadro
conoscitivo globale del territorio e del fenomeno franoso, consentendo di individuare le diverse
tipologie di frane che interessano l’area di studio. Ritengo, tuttavia, che i risultati dell’analisi
sismica, nonostante permettano di valutare la presenza di più unità di frana unite tra loro sia in
direzione trasversale che longitudinale, siano incompleti, in quanto la velocità delle onde sismiche
dovrebbe essere correlata alla struttura del sottosuolo.
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5. Monitoraggio
Per quanto attiene il monitoraggio, subito dopo l'evento franoso del 28 febbraio 2004 è stato
istituito un semplice sistema costituito da tre estensimetri a filo e da un inclinometro per valutare
approssimativamente i tassi degli spostamenti e la profondità delle masse della frana, in modo tale
da prevedere l’utilizzo di una strumentazione appropriata nelle fasi seguenti.
Nei mesi successivi, tale sistema è stato progressivamente sostituito da un sistema più complesso
(Figura 3) costituito da due clinometri, due fessurimetri, quattro inclinometri, due estensimetri
incrementali e due piezometri. I risultati ottenuti sono riassunti nella Tabella 2., nella quale si
evidenzia che l’entità dello spostamento massimo è dell’ordine di 15-20mm.
Ritengo corretta la scelta di investigare soprattutto la parte superiore del versante (Figura 3),
vicino la strada, il castello e il paese perché la maggior parte dei danni deriva dal distacco di
blocchi di grandi dimensioni dalla rupe su cui sorge il castello. La scelta di investigare anche la
“zona b” (si veda a tal proposito la Figura 4) risulta, secondo me, corretta, poiché questa zona può
essere considerata, come mostrato dalle indagini in sito (e questo conferma l’importanza di una
corretta caratterizzazione geologica e geotecnica dell’area di studio), il motore dell’intero quadro
d’instabilità. Appare corretta, inoltre, la scelta della strumentazione utilizzata per il monitoraggio,
in quanto consente di investigare sia spostamenti superficiali che profondi.
Tuttavia, a mio parere, nella tabella riassuntiva dei risultati ottenuti (tabella 2), dovrebbe essere
specificato in maniera più corretta il periodo di osservazione al fine di poter valutare in maniera
compiuta l’entità delle misurazioni ottenute.
Tabella 2: Sistema di monitoraggio della frana operante dal 2004: note tecniche e risultati;
Δ = spostamento massimo
I risultati dell’inclinometro I3 sono mostrati in Figura 7 e permettono di individuare una superficie
di scorrimento a circa 22 m di profondità e, probabilmente, una superficie secondaria a circa 8 m.
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Figura 7: risultati inclinometro I3
Nella figura 8, inoltre, è mostrata la correlazione tra gli spostamenti misurati e le precipitazioni per
un periodo di tempo di circa due mesi.
Figura 8: esempio correlazione spostamenti-precipitazioni
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Nella figura precedente è possibile osservare dei picchi di movimento in corrispondenza degli
eventi del 25 marzo, 9 aprile, 19 aprile e il 4 maggio.
Tale aspetto risulta, secondo me, molto importate ai fini di un corretto monitoraggio, in quanto, la
causa innescante del fenomeno franoso è da ricercarsi nelle intense precipitazioni che hanno
interessato l’area di studio in quel periodo. La rilevazioni di dati pluviometrici e la correlazione tra
spostamenti e precipitazioni, mostra, infatti, che si hanno movimenti significativi in corrispondenza
di eventi meteo-climatici intensi o prolungati oppure in seguito a rapidi scioglimenti della copertura
nevosa (che sono le condizioni verificatesi prima della riattivazione della frana del 28 febbraio).
I piezometri elettrici mostrano che, nel corpo frana, il livello dell'acqua è abbastanza regolare, a
causa della bassa conduttività idraulica di questi terreni.
6. Conclusioni
L’articolo analizza l’evento franoso che la sera del 28 febbraio 2004 ha investito il comune di
Canossa e, in particolare, il borgo antico di Rossena. Si tratta, cosi come mostrato da una
datazione al radiocarbonio e da informazioni storiche, della riattivazione di una frana già esistente
che ha danneggiato strade comunali, abitazioni civili e terreni agricoli, determinando il distacco di
alcuni massi dalla parete rocciosa della rupe. Poiché l’obiettivo degli autori è di elaborare un
modello di analisi dei fenomeni che hanno interessato l’area di studio per definire un piano di
intervento adeguato, è possibile valutare l’operato tenendo conto di tutti quei parametri che
intervengono nella caratterizzazione di un fenomeno franoso e che risultano indispensabili per la
corretta definizione degli interventi da mettere in atto.
Come già evidenziato, gli autori hanno posto, a mio parere, molta attenzione alla caratterizzazione
del sottosuolo e del fenomeno franoso, riuscendo ad ottenere un quadro conoscitivo globale che ha
permesso di definire in maniera corretta anche la strumentazione di analisi e l’area da monitorare.
Ritengo, quindi, che l’approccio utilizzato dagli autori sia condivisibile poiché è auspicabile che
interventi di questo tipo siano supportati da conoscenze ampie ed affidabili del fenomeno.
Tuttavia, gli autori non fanno riferimento alle opere di ripristino da utilizzare, sulla base dei risultati
ottenuti, per stabilizzare il pendio e ridurre al minimo il rischio per il paese e il castello. Dall’analisi
dell’articolo, secondo me può essere opportuno:
- installare di misure di protezione, quali reti o strutture paramassi, in modo da ridurre la
probabilità che il paese sia interessato dalla caduta di blocchi dalla falesia su cui sorge il castello;
- consolidare l’intero versante, ad esempio, mediante l’impiego di pali;
- realizzare un sistema di drenaggio delle acque meteoriche per evitare che l’infiltrazione nelle
fessure del terreno possa provocare fenomeni analoghi a quello del 28 febbraio 2004;
- mettere a punto di sistemi di allarme.
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