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LRCW3 Late Roman Coarse Wares, Cooking Wares and … · 2017-05-16 · I materiali ceramici oggetto...

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LRCW3 Late Roman Coarse Wares, Cooking Wares and Amphorae in the Mediterranean Archaeology and archaeometry Comparison between western and eastern Mediterranean Edited by Simonetta Menchelli, Sara Santoro, Marinella Pasquinucci and Gabriella Guiducci Volume I BAR International Series 2185 (I) 2010
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LRCW3 Late Roman Coarse Wares,

Cooking Wares and Amphorae in the Mediterranean

Archaeology and archaeometry

Comparison between western and eastern Mediterranean

Edited by

Simonetta Menchelli, Sara Santoro, Marinella Pasquinucci and Gabriella Guiducci

Volume I

BAR International Series 2185 (I) 2010

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Published by Archaeopress Publishers of British Archaeological Reports Gordon House 276 Banbury Road Oxford OX2 7ED England [email protected] www.archaeopress.com BAR S2185 (I) LRCW3 Late Roman Coarse Wares, Cooking Wares and Amphorae in the Mediterranean: Archaeology and archaeometry. Comparison between western and eastern Mediterranean. Volume I. © Archaeopress and the individual authors 2010 Cover illustration : Eratosthenes map (drawing by Giulia Picchi, Pisa, after G. Dragoni, Eratostene e l'apogeo della scienza greca, Bologna 1979, p.110). Papers editing: Giulia Picchi, Pisa ISBN 978 1 4073 0736 7 (complete set of two volumes) 978 1 4073 0734 3 (this volume) 978 1 4073 0735 0 (volume II) Printed in England by Blenheim Colour Ltd All BAR titles are available from: Hadrian Books Ltd 122 Banbury Road Oxford OX2 7BP England www.hadrianbooks.co.uk The current BAR catalogue with details of all titles in print, prices and means of payment is available free from Hadrian Books or may be downloaded from www.archaeopress.com

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UN CARICO DI CERAMICHE AFRICANE DAL RELITTO DELLO “SCOGLIO DELLA SIRENA”

(CROTONE)

SALVATORE MEDAGLIA,1 DEBORA ROSSI2

1Via Saffo, 17, 88900 Crotone (KR) ([email protected]) 2Dottorato di ricerca in Topografia antica, Dipartimento di Scienze del Mondo Antico, Università degli Studi della Tuscia, Largo

dell’Università, snc, 01100 Viterbo ([email protected])

This paper will take into consideration characteristics and dating of the pottery from the Scoglio della Sirena’s wreck. The wreck was discovered in 1990 off the coast of Crotone (Italy), 4,5 meters deep. The cargo, datable to the mid-IIIrd century AD, contained ARS and ACW.

KEYWORDS: IONIAN SEA, CROTONE, SHIPWRECK, MARITIME COMMERCE, AFRICAN COOKING WARE, AFRICAN RED SLIP WARE.

1. IL RELITTO I materiali ceramici oggetto di questo studio provengono da un giacimento sommerso localizzato nei pressi di Capo Donato, poco a sud di Crotone, ad alcune centinaia di metri dalla costa e alla profondità di 4,5 metri (Fig. 1). Nel 1990 la cooperativa Aquarius, sotto la direzione della dottoressa A. Freschi, vi condusse un breve sopralluogo su incarico della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria. Nel corso di quell’intervento si procedette alla documentazione di massima del relitto e alla raccolta di alcuni materiali (Aquarius 1988-1990), parte dei quali sono attualmente esposti nella sezione sottomarina del Museo Archeologico di Capo Colonna (Medaglia 2009); di recente è stata proposta una datazione del carico al II-III sec. d.C. (Spadea 2006, 74). L’area nella quale insiste il giacimento si pone nel golfo delimitato a nord dal promontorio di Crotone e a sud-est da quello di Capo Colonna (l’antico Lacinium promontorium ove aveva sede il santuario dedicato ad Hera). Questo tratto marino, toccato dalle rotte che si snodavano lungo l’arco ionico della penisola, doveva risultare, soprattutto nella porzione sud-orientale, assai pericoloso per la navigazione: i venti spiranti nella bella stagione prevalentemente dal I e II quadrante potevano spingere i natanti a ridosso della costa rocciosa dove, tra l’altro, vi sono insidiosi banchi di scogli. Ne è prova la presenza di svariati relitti di navi che sin dall’età antica hanno concluso la loro navigazione proprio in tale braccio di mare (Medaglia 2008). La triste fama di quest’ultimo ha probabilmente ispirato Petronio che nel Satyricon vi ambienta il naufragio dell’imbarcazione di Lica (Satyr., CXIV). È assai probabile che la nave colò a picco in seguito ad una collisione con uno scoglio semi-affiorante, localmente noto come “Scoglio della Sirena”, ubicato a un centinaio di metri dall’area archeologica sommersa. Il giacimento si estende per circa 40 mq e si adagia su un fondale roccioso che ha impedito la conservazione dello scafo. La microfauna marina ha attecchito sulla superficie dei manufatti creando delle spesse concrezioni e finendo col saldare tenacemente le ceramiche al fondale. Questo processo di cementificazione ha conglobato il vasellame che talora si presenta ancora impilato nella posizione che probabilmente aveva nella stiva. Altri materiali, sfuggiti a questo processo, a causa dell’idrodinamismo del moto ondoso sono stati

frammentati e si sono ammucchiati in piccoli bacini all’interno di anfratti rocciosi. Se, per un verso, le concrezioni marine hanno consentito la conservazione delle ceramiche impedendone la traslocazione per effetto dell’idrodinamismo (che è molto elevato a bassa profondità), le stesse concrezioni, per altro verso, limitano fortemente la lettura delle superfici compromettendone la diagnosi ai fini archeologici.

Le ceramiche che qui si presentano dopo essere state individuate nel corso di un sopralluogo e documentate in superficie a bordo di un natante, sono state nuovamente ricollocate nell’esatta posizione di giacitura (anche se secondaria) in modo da non compromettere future ricerche. I risultati di questo studio hanno pertanto l’intento di definire, in via del tutto preliminare, le caratteristiche crono-tipologiche delle suppellettili spettanti al carico, nella speranza che in futuro si compiano apposite indagini di scavo tramite le quali sarà possibile avviarne un esaustivo esame critico. Alla luce di quest’ultime considerazioni non va taciuto che il campione di manufatti vagliato ha validità statistica limitata: non si possono, infatti, desumere dati di tipo quantitativo relativi al carico commerciale, né si può escludere che all’interno di quest’ultimo vi fossero ulteriori tipi vascolari.

2. IL CARICO

Il campione in esame consente di identificare, quale nucleo principale del carico commerciale, un consistente gruppo di ceramiche da cucina di produzione africana rappresentato da piatti-coperchio Hayes 196 e Hayes 195 (Atlante I, CV, 3-4), da scodelle Hayes 181, da casseruole tipo Hayes 193, 197, 23B/Lamboglia 10A e da tegami tipo Hayes 23A/Lamboglia 10B. Vi era anche un più ristretto quantitativo di vasellame fine da mensa prodotto in sigillata tipo A2 e comprendente sia coppette Hayes 14 e 14/17 sia piatti-scodelle Hayes 31. Erano forse destinati al commercio, o più semplicemente inzeppati per conferire una maggiore stabilità al carico, alcuni tubuli a siringa in terracotta (Fig. 3, 32-33). Alla dotazione di bordo vanno probabilmente assegnati alcuni esemplari di “anfore cilindriche” un tempo segnalati nell’area e di cui attualmente rimangono sul fondale marino solo pochi frammenti di pareti a mala pena riconoscibili.

[S.M.]

3. FORME E PRODUZIONI

3.1 Ceramiche africane da cucina

Tra le ceramiche da cucina presenti nel relitto vi sono le varietà

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riconducibili alle produzioni a patina cenerognola e ad orlo annerito (African Black Top Ware) e quelle con politura a strisce o a bande. Della prima sono rappresentativi i cosiddetti piatti-coperchio a profilo emisferico con orlo indifferenziato o ingrossato tipo Hayes 196 (Ostia I, fig. 261; Ostia III, fig. 332; Atlante I, CIV, 9), le casseruole con orlo a mandorla più o meno svasato tipo Hayes 197/Ostia III, fig. 267, i coperchi Hayes 195 (Atlante I, CV, 3-4), i coperchi Fulford L14, alcune casseruole Hayes 23B/Lamboglia 10A e le casseruole Hayes 193 con orlo indistinto e parete convessa. La ceramica polita a bande o a strisce può presentare un ingobbio interno (Lamboglia 9A/Hayes 181) o un leggero rivestimento con vernice tipo A2 (Hayes 23A/Lamboglia 10B, Hayes 23B/Lamboglia 10A). Hayes 196 (Fig. 2, 1-17) Il piatto-coperchio Hayes 196 è tra le forme maggiormente attestate all’interno del giacimento. I frammenti di orli e di pareti esaminati rappresentano la selezione di un più ampio numero di esemplari che, pur con alcune differenze, sono confrontabili con Ostia III, fig. 332, Ostia I, fig. 261 ed Atlante I, CIV, 9. Ai fini del riconoscimento dell’uno o dell’altro tipo vi sono non poche difficoltà dovute alla mancanza di criteri distintivi univoci e universalmente condivisi (cfr., ad es., Aguarod Otal 1991, 241, 250). Com’è noto i citati esemplari riflettono la linea evolutiva della forma che, ampiamente diffusa nel Mediterraneo occidentale a partire dalla prima metà del II sec. d.C., mostra un progressivo ingrossamento dell’orlo (Ostia III, 419; Saguì 1980, 520; Gandolfi 2005, 227). La fabbricazione sembra protrarsi sino al V sec. d.C. (Ikäheimo 2003, 36; Aguarod Otal 1991, 247-248). Al tipo Ostia III, fig. 332 sono riconducibili i frammenti nn. 1-6, 10, 11, 13-16 (diam. compresi tra 18 e 28 cm); al tipo Ostia I, fig. 261 i nn. 7-9, 12 (diam. compresi tra 16 e 26 cm). Ad una variante tarda del piatto-coperchio Hayes 196 rimanda il frammento n. 17 che trova confronti con il tipo Atlante I, CIV, 9. È caratterizzato da un orlo (diam. cm 26) a mandorla molto ingrossato e pendente; striature da tornio sono visibili sulla superficie esterna della vasca vicino al labbro. Esemplari simili sono attestati in contesti ostiensi della fine del IV/inizi del V secolo d.C. (Ostia IV, 103-104; Atlante I, 212); a Cartagine si rinvengono in depositi di IV secolo (anche se pochi frammenti compaiono già in contesti di fine II/inizi III sec. d.C. presso il porto: Fulford 1994, 64). L’orlo annerito è evidente negli esemplari nn. 1, 2, 5-7, 9, 13, 15, 17; la patina cenerognola è presente negli esemplari 3, 4, 10, 16; l’orlo annerito è associato a tracce di politura a bande nel frammento n. 9. Nel complesso le argille in frattura (Munsell 5 YR 6-7/8; 7.5 YR 6/8; 2.5 YR 6/4) sono mediamente tenere, ben depurate e con frequenti inclusi nerastri di piccolissime dimensioni. Confronti. 1, 5: Gibbins 1991, 230, fig. 4, n. 2; Bost et al. 1992, 189, fig. 47 n. 14; Fulford 1994, 65, fig. 4.8, n. 10.3, 66, fig. 4.9, n. 14.4; Luni II, tav. 120, n. 3. 2: Giannotta 1992, 58, fig. 3:4, n. 262; Marchesi 2000, 983, fig. 8, n. 31; Aguarod Otal 1991, 310, fig. 50, n. 4; Bonifay 2004a, 226, fig. 221, n. 7. 3, 4, 11: Gibbins 1991, 230, fig. 4, n. 3; Villaverde Vega 2001, 473, tav. XXI, n. 148; Bonifay 2004a, 226, fig. 121, n. 5; Bonifay 2004b, 45, fig. 18, n. 66; Pontacolone e Incitti 1991, 564, fig. 2, nn. 1 e 4; Luni II, tav. 258, n. 6; Poggesi e Rendini 1998, 116, fig. 33; Uscatescu e García Jiménez 2005, 99, fig. 2, n. 27. 10: Aguarod Otal 1991, 307, fig. 47, n. 3; Atlante I, CIV, 3. 6, 13-16: Dyson 1976, fig. 49, n. 22II-76; Peña 1999, 133, fig. 37, n. 173 e 136, fig. 38, n. 179; Bonifay 2004a, 226, fig. 121, n. 8; Aguarod Otal 1991, 311, fig. 51, nn. 4 e 6; Pontacolone e Incitti 1991, 564, fig. 2, n. 1. 7-9: Atlante I, CIV, 5-7; Bost et al. 1992, 189, fig. 47, n. 16; Dell’Amico e Pallarés 2006, 107,

fig. 62, n. 2; Pontacolone e Incitti 1991, 564, fig. 2, nn. 2-3; Marchesi 2000, 983, fig. 8, n. 36. 12: Aguarod Otal 1991, 427, fig. 103, n. 6; Biondani 2005b, 204, fig. 128, n. 4; Uscatescu e García Jiménez 2005, 100, fig. 3, n. 33. 17: Ostia IV, fig. 61; Fulford 1994, 66, fig. 4.9, nn. 12.5, 12.6; Giannotta 1992, 58, fig. 3:4, n. 267; Villedieu 1984, 303, n. 84. Atlante I, CV, 3-4/Hayes 195 (Fig. 3, 18-25) Questo piatto-coperchio è presente in numerosi frammenti caratterizzati da orli più o meno pendenti e ripiegati all’esterno. Nel campionario esaminato si distinguono alcuni esemplari con orlo molto ingrossato ed espanso, profilo arrotondato e vasca profonda (nn. 18, 19, 23, 25), da altri con pareti meno svasate, profilo della vasca tendenzialmente basso e linea d’appoggio spesso coincidente con quella del bordo (nn. 20-22, 24). La parete esterna degli esemplari nn. 23-25 presenta due scanalature concentriche a metà della vasca. Con sicurezza sono documentati sia piatti-coperchio ad orlo annerito (nn. 18, 19, 22, 25) sia a patina cenerognola e ad orlo annerito assieme (n. 23). Il diametro è compreso tra 15 e 32 centimetri. Le paste, variabili dall’arancio (Munsell 7.5 YR 6/8) al bruno chiaro (Munsell 7.5 YR 5/6), si presentano abbastanza depurate con frequenti inclusioni di piccolissime dimensioni (quarzo?) frammischiate a più rari degrassanti biancastri. La forma, molto comune, è documentata a partire dall’età antonina sino alla fine del IV/inizi del V sec. d.C. (Atlante I, 213; Ikäheimo 2003, 39). Confronti. 18, 19, 23, 25: Luni II, tav. 120, n. 5; Aguarod Otal 1991, 313, fig. 53, n. 5; Dell’Amico et al. 2001-2002, 69, 70, figg. 66, a-b; Uscatescu e García Jiménez 2005, 99, fig. 2, n. 25 (variante tarda). 20-22, 24: Atlante I, CV, 3; Ostia III, fig. 170; Aguarod Otal 1991, 312, fig. 52, n. 7; Luni II, tavv. 258, n. 9, 259, n. 1; Saguì 1980, 544, fig. 137; Ikäheimo 2003, pl. 4, n. 8; Fulford 1994, fig. 4.8, n. 12.1; Biondani 2005b, 204, fig. 128, n. 6; Dell’Amico et al. 2001-2002, 70, fig. 66, c. Fulford 1994, L14 (Fig. 3, 26) Si tratta di un coperchio prodotto in ceramica africana da cucina ad orlo annerito che conserva l’orlo (diam. cm 27) e parte della parete. La vasca ha un profilo tronco-conico e presenta alcune profonde scanalature da tornio. L’argilla (Munsell 5 YR 6/8) è scarsamente depurata, granulosa e tende a scagliarsi in frattura; si nota un’alta frequenza di degrassanti biancastri di piccole dimensioni. La peculiarità della forma consiste nella diagonalità del labbro che si presenta lievemente ingrossato e molto rientrante. Questo potrebbe essere il risultato di un cattivo taglio dell’argilla di orli appartenenti alle forme Hayes 182 o Hayes 195 (Ikäheimo 2003, 46). Confronti. 26: Fulford 1994, 84, fig. 5.3, n. L14; Ikäheimo 2003, pl. 6, n. 22; Uscatescu e García Jiménez 2005, 100, fig. 3, n. 34 (con datazione alla prima metà del V sec. d.C.). Hayes 197 (Fig. 3, 27-30) Tra i recipienti destinati alla cottura vi sono alcuni frammenti di orli e pareti di pentole riconducibili alla forma Hayes 197/Ostia III, fig. 267. L’orlo ha un profilo a mandorla leggermente triangolare, si presenta ingrossato ed è sottolineato esternamente da una lieve solcatura; le pareti appaiono verticali (nn. 27 e 28) o poco svasate (nn. 29 e 30). La parte superiore del labbro è caratterizzata da una leggera profilatura a rilievo, più o meno ampia, sulla quale trovava alloggio il coperchio. Il fondo convesso può essere striato (n. 28) o lisciato (n. 30). Scanalature orizzontali caratterizzano parte delle pareti ventrali dei frammenti nn. 27-29. Le paste, abbastanza depurate, dure e porose al tatto, in frattura assumono un colore variabile dall’arancio (Munsell 7.5 YR 6/8) al marrone (Munsell 7.5 YR 5/6). La patina cenerognola (Munsell 5 Y 6/1) che caratterizza di consueto questa tipologia di casseruola è attestata con sicurezza nell’esemplare n. 28; negli altri casi le incrostazioni rendono impossibile la lettura delle superfici. Tuttavia, i frammenti nn. 29 e 30 evidenziano un consistente

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S. MEDAGLIA, D. ROSSI: UN CARICO DI CERAMICHE AFRICANE DAL RELITTO “CAPO DONATO A”

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annerimento del bordo. Il diametro delle casseruole è compreso tra 16 e 24 centimetri. Questa forma è attestata a partire dalla prima metà del II sec. d.C. e perdura sino alla fine del IV/inizi del V sec. d.C. (Atlante I, 219). Confronti. 27: Luni II, tav. 260, n. 1; Dell’Amico 1997, 108, figg. 36, a-b; Dyson 1976, fig. 54, n. LS7; Pontacolone e Incitti 1991, 565, fig. 3, n. 5; Ikäheimo 2003, pl. 12, n. 62; Aquilué Abadías 1987, 198, fig. 55, n. 3. 28: Dell’Amico e Pallarés 2006, 107, fig. 62, n. 1; Pontacolone e Incitti 1991, 565, fig. 3, nn. 6-7; Ostia I, fig. 265 I a; Aguarod Otal 1991, 339, fig. 79, n. 3. 29-30: Ostia I, fig. 266 I b; Aguarod Otal 1991, 341, fig. 81, n. 3. Hayes 193 (Fig. 3, 31) Nel novero della ceramica africana da cucina a patina cenerognola vi è una casseruola profonda (diam. cm 16) che presenta un orlo indifferenziato e arrotondato, un’alta parete convessa ed il fondo concavo. L’argilla (Munsell 10 YR 5/6), depurata e tenera al tatto, mostra in sezione degrassanti biancastri medio-piccoli poco frequenti. La superficie esterna è interamente rivestita da una sottile patina tipo Munsell 10 YR 4/2; quella interna è invece di difficile lettura a causa delle concrezioni. La nostra casseruola è riconducibile alla forma Hayes 193 prodotta nel corso del III sec. d.C. e poco esportata nel Mediterraneo occidentale (Ostia III, 416; Atlante I, 222; Saguì 1980, 544, fig. 144). La produzione sembra cessare agli inizi del IV sec. d.C. (Ikäheimo 2003, p. 58); ad Oudhna, tuttavia, viene segnalata una variante tarda della fine del IV sec. d.C. (Bonifay 2004a, 211). Confronti. 31: Bost et al. 1992, 188, fig. 46 nn. 9-10; Luni II, tav. 124, n. 10; Ostia I, fig. 273; Aguarod Otal 1991, 345, fig. 85, nn. 1-2; Ikäheimo 2003, pl. 10, n. 48; Peña 1999, 133, fig. 37, n. 172. Hayes 23B/Lamboglia 10A (Fig. 4, 34-42) Un cospicuo numero di frammenti ceramici relativi al carico è stato ricondotto alla casseruola Hayes 23B/Lamboglia 10A caratterizzata da un orlo internamente rilevato e da una parete svasata che si salda al fondo bombato mediante un gradino abbastanza pronunciato. All’interno, in corrispondenza di quest’ultimo, è presente una scanalatura ben marcata; alcune solcature concentriche, in numero variabile da 4 a 9, interessano, esternamente, la parte alta del fondo carenato. Tra gli esemplari selezionati ve ne sono alcuni di taglia ridotta con diametro dell’orlo compreso tra 16 e 17 centimetri (nn. 36-37); i restanti hanno diametri compresi tra 22 e 32 centimetri. L’altezza delle pareti, tra l’orlo e il gradino che precede il fondo, varia tra 4,4 e 5,4 centimetri; nel frammento n. 34, caratterizzato da pareti più sottili e svasate nonché da un orlo più schiacciato, raggiunge invece cm 6,2. Le paste, generalmente compatte e dure al tatto, si presentano ben depurate; in frattura il colore varia a seconda degli esemplari: Munsell 7.5 YR 5/8 (n. 35), Munsell 2.5 YR 6/6 (n. 42), Munsell 5 YR 7/8 (nn. 36-41) e Munsell 5 YR 6/8 (n. 34). La maggior parte delle casseruole conserva un rivestimento a patina cenerognola limitatamente ad una fascia intorno alla parete esterna del bordo e una politura a bande sul resto della superficie (nn. 34, 35, 37, 39). I frammenti nn. 36 e 41 presentano all’esterno solo la politura a bande mentre il n. 40 ha la patina cenerognola. All’interno della vasca a volte (nn. 35, 41, 42) si nota una vernice tipo A2, forse destinata a conferire antiaderenza e/o maggiore impermeabilità alla superficie (Aguarod Otal 1991, 267). Anche in questo caso si tratta di una forma ampiamente diffusa nel Mediterraneo occidentale e lungo la costa atlantica (Atlante I, 217); è attestata dalla prima metà del II sec. d.C. sino alla fine del IV-inizi del V sec. d.C. (Atlante I, 217). Confronti. 34: Giannotta 1992, 54, fig. 3:3, n. 257; Annese 2000, 328, tav. XXIII, n. 9. 35, 39: Aguarod Otal 1991, 323,

fig. 63, n. 2; Luni II, tav. 249, n. 8; Dyson 1976, fig. 57, n. LS35; Aquilué Abadías 1987, 52, fig. 15, n. 13. 36-38, 40-42: Atlante I, CVI, 10; Hayes 1972, 46, fig. 7, form 23, n. 24; Michelucci 1985, 137, tav. XIII, n. 758; Dyson 1976, fig. 57, n. LS34; Dell’Amico e Pallarés 2006, 108, fig. 63, n. 3; Aguarod Otal 1991, 322, fig. 62, nn. 3-4; Ikäheimo 2003, pl. 8, n. 40; Pontacolone e Incitti 1991, 566, fig. 4, nn. 11-12; Bonifay 2004a, 212, fig. 112, type 1, n. 2; Gibbins 1991, 232, fig. 6, n. 1; Milanese 1993, 97, fig. 41, n. 15. Hayes 23A/Lamboglia 10B (Fig. 4, 43-44) Sono riconducibili a questa forma alcuni frammenti di bassi tegami con pareti svasate, orlo indistinto leggermente arcuato verso l’interno e fondo convesso solcato da striature concentriche. La congiunzione tra parete e fondo è sottolineata esternamente da un gradino arrotondato a cui corrisponde, internamente, una solcatura. Negli esemplari esaminati si conserva solo l’attacco del fondo che oltrepassa sempre il livello del gradino. Le argille presentano in frattura variazioni di colore comprese tra Munsell 7.5 YR 4/6 (n. 43) e Munsell 5 YR 5/8 (n. 44); in quest’ultimo frammento la pasta risulta ben depurata e compatta con inclusioni medio-piccole di quarzi alternati a degrassanti biancastri. Porosa, dura e meno depurata è la pasta dell’esemplare n. 43. Solo per il n. 44, privo di concrezioni, è stato possibile verificare la presenza, all’interno del vaso, di tracce di vernice rossastra tipo A2 ed esternamente una striscia brunita subito al di sotto dell’orlo. L’esemplare n. 43 (diam. cm 20) rispecchia il tipo standard della forma (Hayes 1972, 46, fig. 7, form 23A) la cui produzione nella Tarraconense sembra essere iniziata già in età claudia (Aguarod Otal 1991, 269; Ikäheimo 2003, 52). Questo tegame è stato abbondantemente prodotto sino alla prima metà del III sec. d.C. e meno frequentemente dopo (Atlante I, 217; Settefinestre 1985, 116; Aguarod Otal 1991, 269). Nei contesti ostiensi e cartaginesi di fine IV/inizi V sec. d.C. la forma Hayes 23A assai probabilmente va considerata residuale (Ikäheimo 2003, 52). Il frammento n. 44 (diam. cm 20), caratterizzato da pareti sottili, profilo molto aperto e orlo distinto all’interno da un rigonfiamento appena percettibile, potrebbe forse rappresentare la fase intermedia, o di transizione, con la forma Hayes 23B/Lamboglia 10A. Confronti. 43: Aguarod Otal 1991, 326, fig. 66, n. 2 e 327, fig. 67, n. 4; Ikäheimo 2003, pl. 8, n. 37; Bonifay 2004a, 212, fig. 112, type 1, n. 1; Biondani 2005b, 204, fig. 128, n. 7. 44: Giannotta 1992, 54, fig. 3.3, n. 254. Lamboglia 9A/Hayes 181 (Fig. 4, 45-46) La forma è attestata in due varianti: l’una (n. 46) di piccole dimensioni, con pareti più o meno verticali, fondo piano e labbro arrotondato (diam. cm 16); l’altra (n. 45), di dimensioni maggiori (diam. cm 24), con profilo più aperto ed orlo che tende ad assottigliarsi. I frammenti presentano una pasta ben cotta, abbastanza depurata e compatta. In frattura varia dal marrone chiaro (Munsell 7.5 YR 5/8) all’arancione (Munsell 7.5 YR6/8); all’interno sono visibili minute inclusioni biancastre a frequenza media. Le vasche mostrano labili tracce di ingobbio; la superficie esterna è rivestita da una patina cenerognola uniformemente stesa (n. 46) o distribuita a strisce molto ampie (n. 45). Questa forma è attestata dalla fine del II sec. d.C. sino alla fine del IV/inizi del V sec. d.C. (Atlante I, 215). Confronti. 45: Atlante I, CVI, 4; Michelucci 1985, 136, tav. XII, n. 763; Bonifay 2004b, 43, fig. 17, n. 59; Aguarod Otal 1991, 317, fig. 57, n. 4; Ikäheimo 2003, pl. 7, n. 34; Racheli 1989, 152, n. 18; Peña 1999, 133, fig. 37, n. 169. 46: Gibbins 1991, p. 230, fig. 4, n. 1; Aguarod Otal 1991, 316, fig. 56, n. 6; Bonifay 2004a, 215, fig. 114, n. 13; Milanese 1993, 97, fig. 41, nn. 6-7.

[D.R.]

3.2 Sigillate Al repertorio morfologico dell’African Red Slip Ware sono da

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attribuire alcune coppette tipo Hayes 14 e Hayes 14/17 nonché le scodelle tipo Hayes 31. Tutte queste forme sono prodotte in sigillata chiara tipo A2. Hayes 31 (Fig. 4, 47-48) Al piatto-scodella Hayes 31 in sigillata africana A2 sono riconducibili gli esemplari nn. 47 e 48. Del primo, vicino al tipo Hayes 31, n. 2/Ostia I, fig. 87 (diam. cm 24), si conserva la parete leggermente inclinata verso l’esterno e parte del fondo piano sul quale si imposta un piccolo piede ad anello. L’orlo appare lievemente assottigliato; la vasca si presenta profonda e unita alla base per mezzo di una carena abbastanza accentuata, così da rendere ben evidente lo stacco con la parete. Alla variante Hayes 31/Ostia I, fig. 86 è avvicinabile il frammento n. 48 (diam. cm 19): si differenzia dal primo per il profilo più aperto della vasca carenata e per le pareti che sono più basse. Inoltre il piede, parzialmente apprezzabile sul fondo convesso, si presenta maggiormente atrofizzato e smussato. Ambedue i frammenti sono caratterizzati da argille (Munsell 5 YR 6/8) piuttosto ruvide con frequenti degrassanti neri di minute dimensioni associati a quarzi e a più rare inclusioni biancastre. Tracce di vernice poco aderente e sottile (Munsell 5 YR 5/6 e 5 YR 4/4) sono visibili sulle superfici esterne. L’interno delle vasche appare fortemente concrezionato. Questo piatto-scodella si data nell’ambito della prima metà del III sec. d.C. (Hayes 1972, 53; Atlante I, 35-36; Ostia I, 54-55). Confronti. 47: Atlante I, XVIII, 1; Hayes 1972, 54, fig. 9, form 31, n. 2; Ostia I, fig. 87; Michelucci 1985, 133, tav. X, n. 752. 48: Ostia I, fig. 86; Atlante I, XVII, 18; Michelucci 1985, 133, tav. IX, n. 277. Hayes 14 (Fig. 4, 50, 52, 54) Tra le produzioni in sigillata chiara tipo A2 vi sono alcune coppette dal profilo carenato riconducibili alla forma Hayes 14. In questi esemplari, generalmente molto aperti e bassi, l’altezza delle pareti non supera mai le dimensioni della circonferenza della carena. Alla variante Hayes 14A, n. 1/Lamboglia 3a, è riconducibile il frammento di coppa carenata n. 54 (diam. non ricostruibile) mancante di buona parte del fondo. Tracce di vernice leggera tipo Munsell 5 YR 5/8 distribuita a pennello sono apprezzabili all’interno della vasca. Al tipo Hayes 14B, n. 11 (Atlante I, XVII, 2) è avvicinabile la coppetta n. 52, mancante del bordo e di buona parte del piede ad anello. Il diametro ricostruito dell’orlo è di cm 13,5. Alla variante Hayes 14 C/Lamboglia 3b2 va attribuita la coppa n. 50, meno profonda delle precedenti e conservata per metà. Il diametro dell’orlo, che si presenta indistinto dalla parete e terminante con un taglio smussato, misura cm 12. La vasca ha una carenatura accentuata e si congiunge al fondo provvisto di piede ad anello. Per quest’ultime varianti non è stato possibile effettuare la lettura delle superfici a causa dello spesso strato di concrezioni di rivestimento. Le argille, ben depurate, in frattura presentano variazioni di colore comprese tra il rosso-bruno (Munsell 5 YR 5/6) e l’arancio (Munsell 5 YR 6/8 e 6/6). La forma si data comunemente tra la metà/fine del II e la prima metà del III sec. d.C. (Hayes 1972, 41; Atlante I, 32-33; Saguì 1980, 483). Bonifay fa risalire la Hayes 14B al III sec. d.C. (forse la prima metà) e data la 14C nell’ambito del III sec. d.C.; mentre la variante 14A, più antica, è collocata tra la fine del II e gli inizi del III sec. d.C. (Bonifay 2004a, 159). La Hayes 14A prodotta in A compare nel relitto Femina Morta datato tra la fine del III e gli inizi del IV sec. d.C. (Tortorella 1981, 364-365, 374). A Pupput un esemplare di Hayes 14B non sembra essere anteriore al III sec. d.C. (Bonifay 2004b, 38). In alcuni contesti tardo-antichi e altomedievali la coppa sembra persistere sotto forma di imitazioni locali (Volpe et al. 2007, 366, tav. 3, nn. 1, 3).

Confronti. 50: Atlante I, XVII, 3-4; Biondani 2005a, 200, fig. 126, n. 1; Bonifay 2004a, 158, type 9, n. 15; Aquilué Abadías 1987, 145, fig. 41, n. 1. 52: Atlante I, XVII, 2; Hayes 1972, 40, fig. 6, form 14, n. 11; Bonifay 2004a, 159, fig. 85, type 7, n. 6; Bonifay 2004b, 38, fig. 15, n. 45. 54: Atlante I, XVI, 8; Hayes 1972, 40, fig. 6, form 14, n. 1; Bonifay 2004a, 158, fig. 85, type 5, nn. 3-4. Hayes 14/17 (Fig. 4, 49, 51, 53) Sono riconducibili a questa forma alcuni frammenti di coppe con vasca a profilo emisferico ed orlo indifferenziato dalla parete. Il fondo, quando conservato, presenta generalmente un basso piede ad anello. Tra i frammenti esaminati sono contemplate le varianti Hayes 14/17, Hayes 17A e Hayes 17B. Alla prima tipologia, che imita la forma Lamboglia 3a (Atlante I, 34), va ricondotto l’esemplare n. 53 (diam. cm 10) con carena arrotondata e alte pareti; l’orlo presenta un profilo smussato e lievemente ingrossato. L’argilla è di color arancio (Munsell 7.5 YR 6/8) con rare inclusioni biancastre di minute dimensioni. Trova un raffronto con la variante Hayes 17A, n. 5/Lamboglia 8 e 8 bis la coppa n. 51 (diam. cm 13) che conserva le pareti arcuate, l’orlo arrotondato e parte del basso piede ad anello. La vasca mostra un profilo emisferico. Tracce di vernice rosso-bruna opaca, sottile e molto diluita, sono parzialmente visibili sulla superficie esterna del frammento. L’argilla, di color rosso-bruno (Munsell 5 YR 5/6), si presenta abbastanza depurata e molto dura, con inclusioni biancastre a frequenza medio-bassa. Alla coppa Hayes 17B/Ostia I, 57 si accosta il n. 49 (diam. cm 12) del quale si conserva parte del piede e una buona porzione della parete. Il profilo della vasca, molto bassa e schiacciata, presenta un andamento emisferico. L’orlo è indifferenziato; le pareti sono arcuate. Sulla superficie esterna si apprezza un rivestimento sottile color rosso-bruno (Munsell 5 YR 5/8). L’argilla in frattura risulta leggermente più chiara e depurata (Munsell 5 YR 6/8). La diffusione di questa coppa e delle sue varianti, comuni nel Mediterraneo occidentale, pare essere documentata in contesti datati a partire dalla metà/seconda metà del II sec. d.C. (Hayes 1972, 42-43; Atlante I, 34; Ostia IV, 70, 331) sino al 250 d.C. circa (Saguì 1980, 483). A Turris Libisonis la presenza di alcuni esemplari nei depositi di IV sec. d.C. è stata considerata residuale (Villedieu 1984, 112). Confronti. 49: Atlante I, XVII, 8; Milanese 1993, 285, fig. 92, 19; Ostia I, fig. 57. 51: Atlante I, XVII, 7; Luni II, tav. 113, n.1; Hayes 1972, 40, fig. 6, form 17A, n. 5; Fulford e Timby 1994, 19, fig. 1.8, n. 36; Bost et al. 1992, 187, fig. 45, n. 5; Peña 1999, 117, fig. 30, n. 116. 53: Atlante I, XVII, 5; Hayes 1972, 40, fig. 6, form 14/17, n. 1.

3.3 Tubuli fittili (Fig. 3, 32-33)

Nel corso delle ricognizioni sono stati individuati anche due tubuli a siringa in terracotta. Le pareti si presentano costolate sia esternamente che internamente. L’esemplare n. 32, conservato quasi integralmente, è alto cm 13. Il beccuccio è lungo cm 3,7; le pareti hanno uno spessore di cm 0,5 e il diametro della base misura cm 4,4. L’argilla è scarsamente depurata, presenta un colore marroncino (Munsell 7.5 YR 5/6-8) e frequenti inclusioni biancastre.

[S.M.]

4. LE AREE MANIFATTURIERE

In assenza di appositi esami chimico-fisici effettuati sulle paste, l’identificazione dei centri manifatturieri dove furono realizzati i materiali spettanti al carico rimane al momento generica. Sulla base di quanto noto a proposito della localizzazione delle officine adibite alla produzione tanto dell’African Cooking Ware tanto delle sigillate tipo A, possiamo suggerire per il nostro vasellame una provenienza tunisina. Per le ceramiche ad orlo annerito e a patina cenerognola è assai probabile che gli ateliers siano quelli impiantati nella Tunisia settentrionale, ed in particolare nelle aree

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S. MEDAGLIA, D. ROSSI: UN CARICO DI CERAMICHE AFRICANE DAL RELITTO “CAPO DONATO A”

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gravitanti principalmente intorno al sito costiero di Cartagine (Gandolfi 2005; Pavolini e Tortorella 1997; Reynolds 1995). La stessa provenienza va ipotizzata sia per le ceramiche polite a strisce o a bande con vernice tipo A2 all’interno (Gandolfi 2005, 227), sia per le sigillate prodotte in A2 (Gandolfi 2005, 198).

[D.R.]

5. CERAMICHE E RELITTI Per valutare meglio i dati offerti dai materiali del carico si passeranno brevemente in rassegna i principali relitti in cui sono attestate forme ceramiche più o meno vicine alle nostre, sia che facessero parte di mercanzie stivate per essere commerciate, sia che appartenessero al corredo di bordo. Si noterà, tuttavia, che l’attestazione del vasellame da cucina africano all’interno dei relitti sinora noti è nella gran parte dei casi da ricondursi alle dotazioni di bordo. Pochi sono infatti i mercantili in cui tali manufatti erano una componente integrante del carico commerciale. È chiaro che se gli oggetti di bordo sono di norma importanti per conoscere le abitudini alimentari, il numero e la provenienza dell’equipaggio, il loro contributo ai fini della datazione dei manufatti pertinenti al carico va attentamente vagliato, potendo intercorrere tra gli uni e gli altri un lasso cronologico significativo. Nel relitto di Procchio, datato tra il 150 ed il 200 d.C., facevano parte delle dotazioni dei marinai la pentola a patina cenerognola Hayes 197, la casseruola Hayes 23B/Lamboglia 10A polita a strisce e il piatto-coperchio ad orlo annerito Hayes 196 (Lippi e Baldeschi 1982, 70). Simili associazioni di forme sono note anche per i relitti individuati presso le Baleari: il Cales Coves (Tortorella 1981, 373) ed il Porto Cristo (Tortorella 1981, 377), datati tra la seconda metà del II e la fine del IV/inizi V sec. d.C. Nel Cabrera III, assegnato al 257 d.C., sono annoverate le coppette Hayes 14/17 prodotte in A2, la Hayes 23B, la Hayes 196 e la rara casseruola Hayes 193 a patina cenerognola attestata in tre varianti (Bost et al. 1992). La Hayes 14A in sigillata A compare nel relitto di Femina Morta (Ragusa) datato tra la fine del III e gli inizi del IV sec. d.C. (Parker 1975; Parker 1976-1977; Tortorella 1981, 364-365, 374; Parker 1992). Tra le forme di ceramica africana da cucina presenti nel servizio di bordo del relitto Plemmirio B, datato al 200 d.C. circa, vi sono la scodella Lamboglia 9A/Hayes 181, la casseruola Hayes 23B e i piatti-coperchio Hayes 195 e 196 (Gibbins 1991). Il relitto Porto Azzurro A, collocato nella seconda metà del III sec. d.C. (Parker 1992, 334) trasportava in associazione ad anfore tipo Africana II D e a sigillate africane, forme ceramiche da cucina nord-africana che ricorrono tutte nel relitto crotonese: Hayes 196/ Ostia I, fig. 261 ed Hayes 196/Ostia III, fig. 332 ad orlo annerito, Hayes 197/Ostia III, fig. 267 a patina cenerognola, Hayes 195/Ostia I, fig. 262 ad orlo annerito ed Hayes 181 (Tortorella 1981, 361 e 377). Tra le dotazioni di bordo del relitto di Grado (117-150 d.C. circa) compaiono la casseruola Hayes 197 a patina cenerognola e i coperchi Hayes 196 ad orlo annerito (Dell’Amico 1997, 108-109). Sia le ceramiche fini sia quelle da cucina rinvenute nel relitto A di Punta Ala, ascritto al 250 d.C. o poco dopo, sono state ricondotte alle dotazioni di bordo: tra le forme che ricorrono anche presso lo Scoglio della Sirena ricordiamo le casseruole Hayes 23 B/ Lamboglia 10A, le produzioni ad orlo annerito Hayes 196 ed un esemplare di casseruola Hayes 197 (Dell’Amico e Pallarés 2006, 106 ss.). Nel relitto B della Cala del Barbiere (Castiglione della Pescaia), inquadrato nella prima metà del II sec. d.C., sono documentate le forme tipo Hayes 196/Ostia III, fig. 332 e tipo Hayes 197/Ostia III, fig. 267, entrambe a patina cenerognola (Poggesi e Rendini 1998, 116). Sia quest’ultima pentola, sia alcuni orli di

coperchi tipo Ostia I, fig. 261 figurano tra la dotazione del relitto di Giglio Porto datato agli inizi del III sec. d.C. (Rendini 1991, 158). Hayes 195/Ostia I, fig. 262 ad orlo annerito e Hayes 197/Ostia III, fig. 267 a patina cenerognola, assieme ad anfore tipo Africana I e II A, facevano parte del carico del relitto A di Camarina datato alla fine del II sec. d.C. (Parker 1975; Parker 1976; Tortorella 1981, 362 e 373). Sempre nelle acque siciliane, Hayes 23B/Lamboglia 10A ed Hayes 197 sono associate ad anfore (tra cui Kapitän 1 e 2, Dressel 20, Africana I, Africana II D e forse Almagro 51 A e B) nel relitto Ognina A inquadrabile tra il 210 ed il 230 d.C. (Kapitän 1972; Tortorella 1981, 374; Parker 1992, 292; Dell’Amico e Pallarés 2006, 159). La casseruola Hayes 23B è pure attestata nei relitti di Les Laurons II della fine del II sec. d.C. (Tortorella 1981, 375; Gassend et al. 1984) ed Héliopolis I; in quest’ultimo, datato al IV sec. d.C., tale forma si trovava, tra la ceramica di bordo, associata al piatto-coperchio Hayes 196 (Joncheray 1997). Una variante della Hayes 31 (Atlante I, XXVIII, 9) in sigillata A/C ricorre nel relitto del primo decennio del IV sec. d.C. di Fontanamare (Dell’Amico et al. 2001-2002). Infine, nel relitto delle Trincere (Tarquinia), datato tra la fine del II e la prima metà del III sec. d.C., costituiva parte integrante del carico commerciale una partita di ceramiche africane da cucina con esemplari di Hayes 23 B/Lamboglia 10A a patina cenerognola e politura a bande, Hayes 196/Ostia I, fig. 261 ad orlo annerito e Hayes 197/Ostia III, fig. 267 a patina cenerognola (Pontacolone e Incitti 1991). Un discorso a parte meritano i tubuli. Si tratta di elementi fittili del tipo sovente utilizzati nell’edilizia per l’alleggerimento delle volte ed ampiamente attestati nei relitti (Punta del Fenaio, Lavezzi F, Fontanamare, Plemmirio B, Punta Ala A, Giglio Porto, Dramont E, Los Escolettes II, Levanzo, Cabrera III, Capo Graziano A, Femina Morta). La loro presenza a bordo di navi mercantili è tuttora controversa anche perché, nella maggior parte dei casi, si tratta del rinvenimento di poche unità. Senza entrare nel merito della vexata quaestio ci si limiterà a elencare le ipotesi più o meno probabili: oggetti da commerciare; rimanenze nella stiva di carichi precedenti; spessori del carico (anfore, ceramiche); elementi impiegati per alcune installazioni di bordo (sostegni per ripiani, sostegni per tenere sollevato il piano del focolare, elementi di ipocausto per il focolare di bordo) (cfr. Gibbins 1989; Bound 1987; Santamaria 1995; Beltrame 2002; Dell’Amico et al. 2001-2002; Dell’Amico e Pallares 2006). L’unico relitto, sinora noto, in cui i tubuli erano senza dubbio destinati al commercio è stato individuato presso l’isola di Levanzo (Egadi) nel 2005 e datato al IV sec. d.C. (Royal 2008).

[S.M.]

6. CONCLUSIONI

Il relitto dello Scoglio della Sirena, presso Capo Donato, rappresenta un documento di indubbio interesse per l’analisi del fenomeno legato alla produzione e alla commercializzazione del vasellame africano nel corso della media età imperiale. Per quanto è attualmente possibile stabilire si tratta di un relitto navale nel quale il carico principale era costituito da ceramiche. È assai probabile che i frammenti di “anfore cilindriche con anse bifide” (non vidimus) documentati nel corso del sopralluogo del 1990 costituissero parte delle dotazioni di bordo. Se il dato venisse confermato ci troveremmo di fronte a un caso, per il momento, isolato: nei relitti A di Camarina e delle Trincere, ad esempio, le ceramiche erano associate ad un carico che comprendeva anche contenitori da trasporto. Inoltre, da quanto è stato possibile notare durante le ricognizioni subacquee effettuate a Capo Donato il vasellame da cucina sembrerebbe prevalente rispetto alle sigillate; a questo si deve aggiungere che le une e le altre classi paiono riferirsi esclusivamente a forme aperte. Va precisato che alla comprensione e valutazione dei dati storico-archeologici riferibili

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al naufragio della nave nuocciono le depredazioni dei materiali avvenute in passato. La posizione del giacimento lungo le coste orientali dei Bruttii costituisce un ulteriore dato d’interesse visto che la grande massa delle informazioni disponibili in letteratura a proposito di relitti con attestazioni di ceramiche africane sembra concentrarsi quasi esclusivamente nella porzione più occidentale del bacino mediterraneo. Non sappiamo dove era diretto il cargo: è possibile che fosse destinato ad uno dei centri costieri dei Bruttii (magari al vicino porto di Crotone) o che andasse a rifornire i mercati dell’Apulia o dell’Adriatico. Ipotesi più attendibili possono congetturarsi sulla rotta seguita dalla nave che, avendo stivato il suo carico lungo le coste tunisine e dovendo dirigersi verso nord-est, dovette seguire un percorso con poche alternative possibili. Raggiunto Capo Bon (Mercurii promontorium) - vero e proprio trampolino per le traversate del Canale di Sicilia - la via consigliabile era quella che costeggiava Pantelleria (Cossyra); da qui o si raggiungeva Capo Pachino direttamente o si incrociavano prima le isole di Malta (Melita) e Gozzo (Caudos). A questo punto la rotta risaliva lungo l’asse ionico seguendo i promontori più in vista, quali quelli di Leucopetra (Capo dell’Armi), Cocinto (Punta Stilo) e Lacinium (Capo Colonna). Tenendo conto del cattivo stato di conservazione del materiale e soprattutto della natura non sistematica delle prospezioni subacquee, la determinazione della cronologia del relitto non può dirsi definitiva. Le coppette Hayes 14A n. 1/Lamboglia 3a, Hayes 14B n. 11 e Hayes 14C/Lamboglia 3b2 si datano tra la metà/fine del II e la prima metà del III sec. d.C. Di quest’ultime due varianti ad Ostia vi sono attestazioni nella prima metà del III sec. d.C. (Atlante I, 33). Tra la metà del II e la prima metà del III sec. d.C. (Atlante I, 34) furono prodotte anche le coppe Hayes 14/17. Va sottolineato che nel relitto Cabrera III, datato al 257 d.C., sono presenti sia la coppa Hayes 17A/Lamboglia 8, sia la Hayes 14B (nella variante Lamboglia 3b1 non attestata a Capo Donato) (Bost et al. 1992, 187). Il piatto-scodella Hayes 31 in A2 non compare prima degli inizi del III sec. d.C. essendo comunemente datato nell’ambito della prima metà di quest’ultimo (Hayes 1972, 53; Atlante I, 35-36). Per quanto riguarda le ceramiche da cucina, dobbiamo registrare la presenza, all’interno del carico, delle casseruole profonde Hayes 193 che, poco esportate nel Mediterraneo occidentale, sono state prodotte a partire dalla fine del II/inizi del III sec. d.C. (Ikäheimo 2003, 58). Ad Ostia questa forma è attestata dal primo venticinquennio del III sec. d.C. (Ostia III, 416); similitudini con l’esemplare dello Scoglio della Sirena possono intessersi con due casseruole del Cabrera III (Bost et al. 1992, 188). In genere la produzione è fissata nel corso del III sec. d.C. (Atlante I, 222; Bonifay 2004a, 211). La scodella Lamboglia 9A/Hayes 181 è attestata solo a partire dalla fine del II/inizi del III sec. d.C. Il tegame Hayes 23A/Lamboglia 10B, prodotto già a partire dal I sec. d.C., è testimoniato ancora abbondantemente in contesti della prima metà del III sec. d.C. e dopo questa data diviene meno frequente sicché il terminus ante quem riferibile alla sua produzione sembra potersi collocare nel tardo III sec. d.C. (Ikäheimo 2003, 52). Non pochi sono poi i confronti tra alcuni materiali riferibili alle forme Hayes 196, 197 e 23B rinvenuti presso lo Scoglio della Sirena e quelli similari presenti nel carico del relitto delle Trincere, il cui termine iniziale è stato fissato tra la fine del II/inizi del III sec. d.C. e quello finale intorno alla metà di quest’ultimo (Pontacolone e Incitti 1991). In ogni modo ai fini della datazione appaiono piuttosto significative varie comparazioni con alcuni tipi ceramici attestati nei relitti Cabrera III, Porto Azzurro A e Punta Ala A.

Preliminarmente, e in attesa che si compiano ulteriori indagini, si propone una datazione del relitto dello Scoglio della Sirena intorno alla metà del III sec. d.C.

[S. M.; D. R.]

Aut. alla pubbl. su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Soprintendenza per i beni Archeologici della Calabria - n. 07 del 9-06-2010. Rivolgiamo un vivo ringraziamento al dott. Domenico Marino, Direttore del Museo Nazionale Archeologico di Crotone, per aver preliminarmente visionato il presente lavoro. Esprimiamo riconoscenza anche al prof. P. A. Gianfrotta e alla dott.ssa P. Rendini per la cortese disponibilità e gli utili suggerimenti.

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Fig. 1. La penisola crotonese con il luogo del naufragio.

Fig. 2.

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S. MEDAGLIA, D. ROSSI: UN CARICO DI CERAMICHE AFRICANE DAL RELITTO “CAPO DONATO A”

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Fig. 3.

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Fig. 4.


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