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MARKETING E RETAIL MANAGEMENT

Date post: 08-Aug-2015
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1 MARKETING E RETAIL MANAGEMENT Prof. Castaldo e prof.ssa Premazzi Riassunti Libro e Slides ANTONIO RUSCIANO made it! CAPITOLO 1 – L’EVOLUZIONE DEL SETTORE COMMERCIALE IN ITALIA 1.1 Il settore commerciale Il settore commerciale è dato dall’insieme delle imprese commerciali (o distributive) e rappresenta un comparto fondamentale dell’economia. L’importanza delle imprese commerciali emerge chiaramente se si osserva il fatturato che esse sono in grado di sviluppare, spesso maggiore di quello di molte fra le principali aziende di produzione. Nel nostro Paese il comparto distributivo impiega circa 4milioni di addetti in quasi 1 milione di punti vendita. L’impresa commerciale svolge come attività prevalente la compravendita di beni. Il <<prodotto>> realizzato dalle imprese distributive è il punto vendita in cui il cliente può trovare un insieme di più merci, realizzate da numerose imprese industriali e di servizi. Le imprese distributive hanno un ruolo molto importante perché rappresentano l’anello di congiunzione fra i produttori industriali e i consumatori finali riducendo la distanza spazio-temporale che tradizionalmente li divide. 1.2 La struttura del settore commerciale Il settore commerciale è articolato e complesso. Al suo interno sono presenti punti vendita anche molto differenti tra loro che possono essere classificati seguendo vari criteri. 1.2.1 La classificazione delle imprese commerciali Innanzitutto è possibile distinguere tra i c.d. punti vendita fissi, gli esercizi ambulanti e le forme speciali di vendita (per corrispondenza, a domicilio e distributori automatici). I punti di vendita fissi, a loro volta, possono essere distinti: - Secondo la dimensione - La tipologia di prodotti venduti
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MARKETING E RETAIL MANAGEMENT

Prof. Castaldo e prof.ssa Premazzi

Riassunti Libro e Slides ANTONIO RUSCIANO made it!

CAPITOLO 1 – L’EVOLUZIONE DEL SETTORE COMMERCIALE IN ITALIA

1.1 Il settore commerciale

Il settore commerciale è dato dall’insieme delle imprese commerciali (o distributive) e rappresenta un comparto fondamentale dell’economia. L’importanza delle imprese commerciali emerge chiaramente se si osserva il fatturato che esse sono in grado di sviluppare, spesso maggiore di quello di molte fra le principali aziende di produzione. Nel nostro Paese il comparto distributivo impiega circa 4milioni di addetti in quasi 1 milione di punti vendita.

L’impresa commerciale svolge come attività prevalente la compravendita di beni. Il <<prodotto>> realizzato dalle imprese distributive è il punto vendita in cui il cliente può trovare un insieme di più merci, realizzate da numerose imprese industriali e di servizi.

Le imprese distributive hanno un ruolo molto importante perché rappresentano l’anello di congiunzione fra i produttori industriali e i consumatori finali riducendo la distanza spazio-temporale che tradizionalmente li divide.

1.2 La struttura del settore commerciale

Il settore commerciale è articolato e complesso. Al suo interno sono presenti punti vendita anche molto differenti tra loro che possono essere classificati seguendo vari criteri.

1.2.1 La classificazione delle imprese commerciali

Innanzitutto è possibile distinguere tra i c.d. punti vendita fissi, gli esercizi ambulanti e le forme speciali di vendita (per corrispondenza, a domicilio e distributori automatici).

I punti di vendita fissi, a loro volta, possono essere distinti:

- Secondo la dimensione - La tipologia di prodotti venduti- La clientela cui si rivolgono- La modalità di vendita- E la modernità della formula

La prima caratteristica secondo cui è possibile distinguere i punti vendita è la loro dimensione.

La stessa normativa prevede classi dimensionali differenti, per le quali variano le modalità secondo cui sono assegnati i permessi per le nuove aperture.

Prendendo in considerazione la tipologia di prodotti commercializzati all’interno dei punti vendita si è soliti distinguere il settore commerciale in due grandi comparti:

- Quello alimentare, che si riferisce a tutti i prodotti alimentari e di largo consumo

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- E quello non alimentare (quest’ultimo non facilmente definibile perché comprende una pluralità di settori tra i quali risulta difficile identificare un minimo comune denominatore).

Facendo riferimento alla clientela cui i distributori si rivologono è possibile distinguere tra i punti di vendita al dettaglio, diretti alla clientela privata, e quelli all’ingrosso, indirizzati ad un pubblico professionale, cui possono effettuare acquisri solo i soggetti dotati di partita IVA.

Un’ulteriore distinzione è quella che contrappone i punti vendita self service , in cui il cliente effettua in modo autonomo i propri acquisti prima di recarsi alla cassa , e i negozi a vendita assistita , in cui la clientela è seguita e consigliata dal personale addetto alla vendita.

I negozi sono infine ripartiti in punti vendita tradizionali e moderni.

Con l’espressione <<punti vendita moderni>> si è soliti indicare quei negozi che sono emersi in tempi recenti e che si discostano per una serie di caratteristiche dai piccoli negozi dei centri cittadini (i c.d. negozi tradizionali). Questi ultimi sono solitamente esercizi a vendita assistita, il cui personale è composto dal proprietario-imprenditore e dal suo nucleo familiare. Si tratta solitamente di punti di vendita di ridotte dimensioni e molto eterogenei tra loro, poiché la loro organizzazione e strutturazione è riconducibile essenzialmente ai gusti personali del proprietario.

I punti di vendita moderni si sono invece sviluppati seguendo <<regole>> che permettono di distinguere delle classi omogenee di negozi, dette formati o format. Tali formati sono dati da un mix di delle caratteristiche principali suddette (dimensione, alimentare/non alimentare, al dettaglio/all’ingrosso, ecc.) e di altri elementi quali: la localizzazione, l’organizzazione interna, la presenza di un parcheggio, ecc.

1.2.2 I format distributivi

I principali format distributivi sono:

- Il supermercato- L’ipermercato- Il punto vendita a libero servizio- Il superstore- Il discount- Il convenience store- Il cash and carry- Il grande magazzino- La grande superficie specializzata- Il centro commerciale- Il factory outlet center.

IL SUPERMERCATO

È un punto vendita al dettaglio operante nel campo alimentare, organizzato a self-service e con pagamento all’uscita, che dispone di una superficie di vendita compresa tra 400 e 2499 mq. I supermercati presentano un vasto assortimento di prodotti alimentari di largo consumo, in massima parte preconfezionati, e di articoli non alimentari di uso domestico corrente. Questi punti vendita sono localizzati tendenzialmente nelle aree urbane delle città.

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L’IPERMERCATO (leader europeo Carrefour)

Si definisce ipermercato un esercizio di vendita al dettaglio operante nel campo alimentare, organizzato prevalentemente a self-service e con pagamento all’uscita, che dispone di una superficie di vendita maggiore o uguale a 2500 mq.

L’offerta degli ipermercati è spesso sintetizzata con la dizione <<tutto sotto un tetto>>. Una delle peculiarità di questo format è la presenza, insieme ai prodotti alimentari, di un ampio assortimento di beni appartenenti al comparto non alimentare. L’ipermercato è in fatti tradizionalmente diviso in due macro-reparti ben distinti (alimentare e non alimentare) che si collocano ai due lati dell’ingresso e presentano,rispettivamente, le caratteristiche del supermercato e quelle del grande magazzino.

Gli ipermercati si caratterizzano inoltre:

- Dislocazione extraurbana- Ampio parcheggio- Numero elevato di casse- Orar di apertura più estesi- presenza di laboratori interni per la preparazione di cibi- la presenza di banchi per i prodotti freschi a vendita assistitia cui è dedicata un’attenzionw

crescente- grande quantità e vareità di prodotti di marca- prezzi competitivi e elevato utilizzo delle promozioni di prezzo.

IL PUNTO VENDITA A LIBERO SERVIZIO. (esempio DESPAR)

Si considera punto vendita a libero servizio un esercizio di vendita al dettaglio operante nel campo alimentare, organizzato a self-service e con pagamento all’uscita, che dispone di una superficie di vendita compresa tra 100 e399 mq.

All’interno di questo format è possibile distinguere due tipologie di negozi: la superette e i minimarket, che rappresentano in sostanza dei supermercati di dimensioni ridotte e hanno avuto origine con la trasformazione a libero servizio dei punti di vendita tradizionali.

Si definisce superette un esercizio di vendita al dettaglio operante nell’alimentare e organizzato a self-service con una superficie di vendita compresa tra i 200 e i 399 mq.

Il minimarket è invece un negozio al dettaglio operante nell’alimentare e organizzato a libero servizio, con una dimensione compresa tra i 120 e i 199 mq.

Questi punti vendita sono tendenzialment di proprietà di piccoli imprenditori indipendenti che, a volte, si appoggiano a imprese distributive operanti in franchising,

Essi sono ubicati in quartieri residenziali all’interno dei centri abitaati. Per questo motivo la struttura dei negozi deve adattarsi alle caratteristiche dell’edificio in cui si inserisce. Ne emergono pertanto corsie strette e banchi alti che permettono di sfruttare al meglio lo spazio disponibile, uin’esposizione dei prodotti essenziale e l’assenza di un parcheggio dedicato.

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Tali negozi attraggono tendenzialmente lepersone che abitano nelle immediate vicinanze, che considerano la comodità uno degli elementi prioritari per la scelta del punto vendita e che si recano per acquistare i prodotti di cui hanno un bisogno immediato o che si sono dimenticati di comprare altrove.

IL SUPERSTORE. (tesco e esselunga)

Il superstore è un formato emerso in tempi recenti che identifica punti vendita al dettaglio,organizzati a self-service che trattano merceologie alimentari e non e che sono molto più grandi di un normale supermercato ma non tanto da poter essere considerati ipermercati. La loro superficie è superiore ai 2000 mq e in genere non supera i 3000 mq.

Solitamente essi sono localizzati in zone periferiche ma non così extraurbane come quelle in cui si trovano gli ipermercati e sono facilmente raggiungibili anche con imezzi pubblici. Si tratta in prevalenza di negozi autonomi dotati di propri parcheggi , ma possono anche trovare sede in centri commerciali di medie dimensioni. Gli orari di apertura sono simili a quelli dei supermercati , ma sono previste numerose estensioni nei giorni festivi. L’assortimento riprende quello dl supermercato, con l’approfondimento della gamma di alcune categorie, soprattutto nel non alimentare. I servizi aggiuntivi come il bar o il corner per lo sviluppo delle foto sono assenti o limitati.

IL DISCOUNT. – ALDI – LIDL – LD MARKET - EUROSPIN

Il discount è un punto vendita al dettaglio, a libero servizio, operante nel comparto alimentare con le seguenti caratteristiche:

- un assortimento composto prevalentemente da prodotti non di marca- un allestimento spartano: i prodotti non sono posizionati sugli scaffali ma lasciati nei cartoni di

imballagffio e , avolte , direttamente sui pallet- un minor numero di referenze, cio’ di varianti per singola classe di prodotto, rispetto agli altri

negozi.

Il discount può essere considerato una specializzazione del supermercato secondo un orientamento alla convenienza, grazie all’offerta di prodotti, alimentari e non, di media qualità e al prezzo più basso possibile. La convenienza dell’offerta è il risultato di una logica snella, della presenza dei soli servizi essenziali e dell’inserimento di poche varianti di prodotti, tutte non di marca. Tali strategie permettono la realizzazione di utili nonostante i bassi margini garantiti dalle politiche di prezzo aggressive.

Il discount nasce i Germani negli anni 60 su iniziativa dell’insegna Aldi. L aformula originale tedesca èquella che viene denominata ard discount, con punti di vendita di medie dimensioni, localizzati in aree periferiche, che offrivano un ridotto assortimento di prodotti di prima necessità a marchio proprio ed esclusivo. L’allestimento di tali negozi è particolarmente spartano, con grandi pile di prodotti lasciati nei loro imballi originali, segnalati con un semplice cartello che ne indica il prezzo.in Italia è divenuto soft discount caratterizzato da un allestimento un po’ più curato e un’offerta più ricca per quanto riguarda i prodotti freschi.

IL CONVENIENCE STORE.

Il convenience store, o negozio di prossimità è un punto vendita di ridotte dimensioni – poche decine di mq – che offre un assortimento di prodotti alimentari e non che soddisfano le esigenze quotidiane. Si tratta di

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negozi posizionati in zone a elevato passaggio come le aree residenziali, i centri di impiego, le stazioni ferroviarie e le stazioni diservizil. Essi si distinguono agli occhi della clientela per la comodità, dovuta alla vicinanza e agli orari di apertura estesi. La clientela è per lo più di passaggio e gli acquisti sono d’impulso o di <<emergenza>>. Alcuni punti vendita sono attrezzati per offrire la prima colazione e preparano piatti pronti che possono essere consumati sul posto o a casa. Nel nostro Paese i negozi di prossimità sono riconducibili essenzialmente a quelli presenti a lato delle stazioni di carburante , tra cui possono essere inseriti, per esempio, alcunte tipologie di Autogrill.

IL CASH AND CARRY. /leader mondiale METRO /

Il cash and carry, che letteralmente significa <<paga e porta via>> rappresenta l’applicazione del libero servizio a un magazzino all’ingrosso. Si tratta quindi di negozi no accessibili a clienti privati ma destinati a utenti professionali come esercenti e rivenditori. Solitamenti i punti vendita sono di grandi dimensioni e sono sviluppati come strutture autonome dotate di ampio parcheggio. Il pagamento è solitamente in contanti, contro emissione immediata della fattura, e i clienti provvedono autonomamente al trasposto della merce presso i propri esercizi.

IL GRANDE MAGAZZINO. /leader Gruppo Coin e Gruppo Rinascente/

Si definisce grande magazzino un esercizio per il commercio al dettaglio, operante nel campo non alimentare che dispone di una superficie di venidta superiore a 400mq e di almeno 5 reparti distinti , ciascuno dei quali destinato alla vendita di articoli appartenenti a settori merceologici diversi e in massima parte di largo consumo. La vendita è solitamente assistita.

L’abbigliamento è il reparto portante e rappresenta la parte più consistente dell’offerta di questi negozi. L’assortimento è completato dall’inserimento di categorie di prodotti semidurevoli per la casa e il tempo libero. I prodotti offerti sono sempre di qualità medio-alta.

I grandi magazzini sono solitamente localizzati nelle aree di maggior pregio commerciale delle grandi città, all’interno di edifici importanti, per lo più sprovvisti di un parcheggio proprio. Solitamente il piano terra è riservato alla profumeria e agli accessori per l’abbigliamento, i primi piani sono dedicati all’abbigliamento, il sottopiano è dedicato ai casalinghi e agli eventuali prodotti alimentari, mentre gli altri piani sono dedicati al tempo libero, allo sport, ai giochi, all’arredamento, ecc.

All’interno di questi negozi si trovano anche spazi dedicati alla ristorazione, localizzati ai livelli estremi del negozio, il piano superiore e il sotterraneo.

LA GRANDE SUPERFICIE SPECIALIZZATA GSS.

Si definisce gss un esercizio commerciale operante nel campo non alimentare che fa capo a un’impresa che gestisce almeno 10 punti vendita e/o che ha una superficie di vendita superiore a 250 mq.

L’aspetto dominante di questo format è la forte specializzazione su una determinata categoria , con un’offerta assortimentale molto dettagliata ed a prezzi contenuti.

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La vendita è tendenzialmente a libero servizio, anche se il cliente può essere assistito dal personale con un elevato livello di competenza rispetto a quello presente all’interno di negozi generalisti. I punti vendita appartenenti a questo formato presentano molteplici categorie di prodotti tra cui:

- l’elettronica di consumo- mediaworld- gli articoli sportivi - decathlon- abbigliamento - zara- mobili - ikea- bricolage- bricocenter- libri - mondadori

questo format presenta quindi punti vendita con caratteristiche spesso anche molto differenti tra loro, in relazione alla categoria di prodotti che costituisce il focus dell’offerta . tendenzialmente si tratta di negozi di grandi dimensioni , che superano anche i 10.000mq e possono essere localizzati sia nei centri sia in perfieria o all’interno dei centri commerciali.

Spesso l’offerta è arricchita dalla realizzazione di iniziative che volgiono coinvolgere il cliente durante la visita, come la presentazione di libri da parte degli autori nelle librerie, l’apparizione di cantanti nei negozi di musica, ecc. talvolta nei negozi di maggiore dimensioni sono offerti altri servizi come il baby sitting , aree di ristoro, e di relax.

I CENTRI COMMERCIALI. / west Edmonton mall/

Il centro commerciale al dettaglio è un complesso che presenta le seguenti caratteristiche:

- è concepito c, promosso, realizzato, e gestito con criteri unitari da una società che concede a terzi a titolo di godimento non gratuito, l’utilizzo di parte degli spazi per esercitare l’attività di vendita;

- al suo interno sono presenti almeno 10 negozi al dettaglio;- dispone di infrastrutture , servizi comuni e ampio archeggio;- il 40 % della sua superficie complessiva di vendita è destinata a esercizi tradizionali e specializzati;- l’offerta è integrata con attività paracommerciali e , eventualmente , extracommerciali (tatri,

cinema, ecc)

si tratta quindi di una struttura distributiva che racchiude al suo interno più attività commerciali al dettaglio, che operano godendo di una serie di vantaggi in comune. Ogni centro è sempre gestito da un organismo, che solitamente fa capo alla proprietà, che ne coordina le attività generali e quelle di marketing tese promuovere il centro stesso.

I centri commerciali possono avere le caratteristiche più svariate. Essi possono trovare ubicazione nei centri cittadini, nelle aree suburbane o in zone più periferiche. La loro superficie può variare dai1000 fino a oltre i 100.000 mq. All’interno dei centri convivono punti vendita al dettaglio, gss, e ipermercati.

FACTORY OUTLET CENTER.

Sono strutture simili ai centri commerciali, al cui interno sono presenti punti vendita che fanno capo a imprese produttrici operanti per lo più nel campo dell’abbigliamento e degli accessori. Questi centri sono tradizionalmente fondati da società immobiliari di grandi dimensioni e sono localizzati in zona extraurbane strategiche per la loro capacità di attrarre un elevato numero di clienti. Essi coprono una superificie molto

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vasta , in genere superiore ai 10.000 mq , la cui architettura richiama quella dei piccoli borghi con strade , piazze fontane, ecc.

La particolarità che distingue i FOC dai centri commerciali è che i negozi in essi presenti sono tutti spacci aziendali , allineati uno accanto all’altro come i tradizionali punti vendita al dettaglio cittadini che, offrono numerosi marchi e prodotti . Il factory outlet rappresenta pertanto un’evoluzione degli spacci aziendali, in quanto propone a prezzi scontati una selezione di prodotti della casa produttrice , generalmente articoli di fine serie o appartenenti a collezioni di anni precedenti, esposti però all’interno di punti vendita esteticamente migliori degli spacci e non localizzati in prossimità della fabbrica.

L’aspetto che rende questi centri particolarmente allettanti per la clientela è la presenza delle griffe di alta moda e di imprese che godono di un’immagine di elevata qualità. L’offerta si caratterizza quindi per la presenza di prodotti di alto livello a prezzi accessibili . il concetto offre alle aziende l’opportunità di vendere le rimanenze direttamente al pubblico attraverso negozi propri, salvaguardandone così l’immagine e incrementando la quota di mercato e la notorietà.

Questi centri si propongono sempre più spesso come un luogo in cui trascorrere il tempo libero e stanno arricchendo la loro offerta con la realizzazione di servizi ricreativi ed eventi ludici. Per questo motivo gli orari di apertura tendono a coincidere con quelli dedicati dalla clientela al tempo libero.

Lo sviluppo dei foc in Italia è un fenomeno recente e la loro diffusione è ancora limitata, anche se si accrescerà notevolmente nei prossimi anni. L’esmpio più significativo nel nostro Paese è rappresentato dal f.a. di Serravalle Scrivia, in provincia di Alessandria, gestito dalla società McArthurGlen.

1.3 I CAMBIAMENTI DEL SETTORE COMMERCIALE

Negli ultimi decenni il settore commerciali ha vissuto un periodo di cambiamento intenso, comunemente identificato con il termine di rivoluzione commerciale , che ha determinato una radicale trasformazione degli equilibri competitivi , dell’organizzazione delle aziende e delle formule distributivr prevalenti.

La modernizzazione della distribuzione è iniziata negli USA , dove già durante la prima metà del secolo scorso si è diffusa la formula del supermercato.

Durante gli anni Sessanta e Settanta questo processo ha interessao il Regno Unito in cui, sulla base del modello americano, si è principalmente sviluppata la formula distributiva del supermercato, che poi è evoluta , in tempi più recenti, in quella del superstore. Gli anni 70 e 80 hanno segnato lo sviluppo della distribuzione moderna in Francia., dove proprio durante questo periodo si sono diffusi in modo massiccio l’ipermercato e le gss. La Francia può quindi essere considerata, nel vecchio continente, la <<culla>> delle grandi superfici. La Germania presenta un mercato assai particolare , che vede lo sviluppo di superfici medio grandi accanto alla formula discount che si è diffusa in modo significativo fin dall’inizio degli anni 60.

L’Italia è stata investita dalla rivoluzione commerciale in tempi più recenti rispetto agli altri paesi industrializzati: nel nostro Paese è necessario infatti attendere gli anni 90 per poter parlare di modernizzazione vera e propria. Tale processo si è fondato soprattutto sulla diffusione della formula del supermercato, che siè sviluppata rapidamente durante quegli anni. Seppur con una netta prevalenza dei

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supermercati , l’Italia si caratterizza per la coesistenza di questi ultimi con gli ipermercati e i discount, insime a una quota ancora significativa di piccole superfici tradizionali.

Di pari passo con la modernizzazione è cresciuto anche il livello di concentrazione del settore dovuto all’aumento del potere di un ristretto numero di imprese che hanno acquisito dimensioni sempre maggiori. Nel 2004 le prime cinque catene distributive in termini dimensionali movimentavano circa il 40% del fatturato complessivo del settore commerciale. L’aumento dimensionale delle imprese più importantin ha determinato la scomparsa di alcuni attori di minori dimensioni che, non potendo contare dello stesso potere dei colossi distributivi nella contrattazione dei prezzi di acquisto con le imprese industriali, non potevano essere competitivi agli occhi dei clienti e, contemporaneamente , mantenere i margini necessari a sopravvivere sul mercato.

La crescente attenzione posta dagli acquirenti sui prezzi di vendita ha fatto sì che i distributori abbiano cercato di ottenere condizioni sempre migliori dai fornitori industriali. Molte imprese, per accrescere ulteriormente il loro potere d’acquisto nei confronti delle imprese di produzione, si sono untie in Supercentrali d’acquisto , ovvero aggregazioni che rappresentano in modo unitario più imprese per la definizione dei contratti con le imprese industriali. In altri termini, si tratta di un’alleanza fra imprese concorrenti al fine di ottenere migliori condizioni economiche dalle imprese a monte del canale. Le prime sei centrali d’acquisto – nell’ordine Centrale Italiana, Conad-Interdis-Rewe, ESD Italia, Intermedia 90, Centrale Carrefour, SISA – riforniscono oramai quasi l’80% dei punti vendita a libero servizio.

Modernizzazione e concentrazione rappresentano due effetti indotti dal processo di liberalizzazione e di internazionalizzazione del nostro comparto distributivo.

La liberalizzazione del mercsto distributivo italianop risale al 1998 con la riforma del commercio (il decreto Bersani) , che ha sostituito una normativa obsoleta che rappresentava la cuasa principale dell’arretratezza del nostro comparto commerciale rispetto a quello degli altri paesi . fino a quel momento il sistema distributivo italiano era caratterizzato dalla presenza di numerosi punti vendita di ridottissime dimensioni che godevano di assetti competitivi stabili, e quindi ponevano poca attenzione alla professionalità. La nuova normativa, abolendo l’istituto della licenza, ha di fatto reso più facile l’apertura di nuovi punti vendita . ciò ha aperto la strada all’ingresso dei colossi distributivi stranieri che da tempo guardavano al nostro Paese come ad un mercato in cui espandersi.

Pertanto è necessario sottolineare che l’internazionalizzazione è stata un fenomeno subito più che attivato dalle nostrw imprese nazionali, essendosi manifestata una crescente presenza di imprese straniere nel nostro mercato, più che una presenza di imprese italiane all’estero . ciò è riconducibile alla già menzionata arretratezza dei nostri distributori.

1.4 L’EVOLUZIONE STRUTTURALE DEL SETTORE COMMERCIALE IN ITALIA.

-Comparto alimentare-

- riduzione numero pdv sia al dettaglio che all’ingrosso

- sviluppo di ipermercati e supermercati

- riduzione numero pdv a libero servizio

- forte sviluppo del discount dal 1995

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- stabile la GDO, in cui prevale la DO.

-Comparto Non alimentare-

- sviluppo della distribuzione moderna dei comparti: elettrodomestici, abbigliamento e calzature

- legata soprattutto allo sviluppo della gss e allo sviluppo nel comparto non alimentare delle grandi superfici alimentari

- aumento degli investimenti pubblicitari in alcuni settori

- crescente rilevanza dell’e-commerce

1.5 IL MARKETING DELLE IMPRESE COMMERCIALI

L’aumento dimensionale oltre ad avere impattato sulle posizioni di potere in ambito contrattuale, ha favorito anche lo sviluppo del marketing distributivo:

- Marketing d’insegna condizionamento delle preferenze della domanda- La nascita della marca commerciale concorrenza orizzontale con l’industria- Sviluppo dei loyalty programs : carte fedeltà e micro marketing- Orientamento all’innovazione.

CAPITOLO 2

SERVIZI COMMERCIALI, COINVOLGIMENTO DELL’ACQUIRENTE E AMBIENTE DI VENDITA.

2.1 Introduzione

L’impresa commerciale è per definizione impresa di servizi. Nonostante ciò, l’eccezionale dinamicità nella gestione dei servizi al cliente, recentemente mostrata dai retailer a livello internazionale ha stimolao anche nel nostro paese una riflessione più approfondita sul tema dei servizi commerciali.

Attraverso i servizi, le imprese commerciali riescono non solo a rendere più astratti gli attributi della propria offerta – promuovendo così strategie commerciali fondate sulle relazioni valoriali tra impresa e cliente – ma anche a gestire l’ambiente del punto vendita (store environment) in modo da influenzare positivamente la struttura affettiva e il comportamento dell’acquirente. I servizi possono infatti essere interpretati come strumenti di facilitazione della relazione individuo-ambiente, in quanto consentono agli individui di instaurare un rapporto interattivo con gli elementi costitutivi del punto vendita.

2.2 Servizi e servizi commerciali

2.2.1 I servizi

Il marketing dei servizi si connota come filone di studi autonomo caratterizzato dalla peculiare natura dell’oggetto di indagine. I servizi, infatti, si distinguono dai beni per alcune caratteristiche fondamentali del

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loro sistema di produzione, che trova nell’interazione tra soggetto erogante e soggetto destinatario il suo tratto più significativo.

L’interazione immateriale tra offerta e domanda, infatti, determina la non reperibilità del servizio per via delle numerose variabili, personali e ambientali, che concorrono di volta in volta alla sua definizione.

L’impossibilità di ripetere esattamente le caratteristiche dell’interazione costituisce, di conseguenza, la causa dell’eterogeneità e della deperibilità dei servizi.

Secondi Shostack vi è un’assenza di distinzione fra beni e servizi: esiste piuttosto un continuum definito in base al grado di immaterialità dei prodotti , ai poli del quale si trovano i beni e i servizi <<puri>>. Tale grado di immaterialità dipende dal livello di astrattezza sia del servizio centrale sia di quelli periferici, necessari o accessori.

I servizi centrali sono quelli che soddisfano direttamente il bisogno per cui viene richiesto il servizio; mentre i servizi periferici fungono da supporto all’attività principale , permettendo l’accesso al servizio stesso (s.p. necessari) o rendendone più confortevole la fruizione (s.p.accessori).

I servizi periferici, e in particolar modo quelli accessori, sono importanti nel marketing perché permettono alle imprese concorrenti di differenziare la propria offerta.

2.2.2 I servizi commerciali

Il “servizio commerciale” viene definito da Pellegrini come “ un mix di attributi o servizi elementari combinati in proporzioni diverse” e rappresenta il presupposto fondamentale per gli studi sul retailing.

Fra questi “servizi elementari” esiste il “CORE SERVICE” svolto dalle imprese commerciali ,è un servizio logistico di prossimità, stoccaggio e assortimento, e considera le rimanenti attività in una categoria residuale.

Fra i “servizi residuali” ritroviamo la ristorazione, l’informazione sui prodotti la pubblicità e il credito di fornitura.

Secondo Pellegrini i servizi che connotano un’impresa commerciali si collocano fra gli elementari e i residuali, quindi per lui sono “logistici, informatici e <<altri>>”.

I “servizi logistici” comprendono la prossimità, lo stoccaggio, l’estensione degli orari di apertura e dell’assortimento.

Tra i “servizi informativi” ci sono la preselezione, la profondità dell’assortimento e l’informazione diretta.

Tra quelli “altri” ci sono il postvendita, la velocità di servizio e il confort.

Per Tordjiman i servizi vanno divisi in base alla connessione che essi hanno con la vendita del prodotto, in “servizi endogeni”, (ovvero direttamente funzionali alla commercializzazione del prodotto), e quelli “esogeni” (che invece determinano utilità aggiuntive al cliente.

Quindi, possiamo dividere i servizi in:

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- Interni direttamente collegati all’assortimento comprendenti sia i servizi tradizionali sia alcuni servizi informativi e “altri”

- Esterni vengono erogati in modo maggiormente autonomo rispetto all’assortimento e sono generalmente riconducibili ai servizi informativi e “altri”.

La classificazione dei servizi in interni ed esterni permette anche di comprendere meglio le tendenze più innovative nel retailing, ovvero l’estensione del core service e la ricerca di una dimensione emozionale nello shopping.

L’estensione del core service infatti ha determinato investimenti sempre maggiori in attività tradizionalmente non svolte dal retailer. L’attenzione verso lo shopping emozionale ha invece implicato la gradualte trasformazione dei punti di vendita in luoghi dove vivere emozioni, cosicchè assortimento, merchandising e servizi ricreativi sono sempre più utilizzati dai retailer come mezzi per rendere piacevole e coinvolgente la permanenza e il browsing nei negozi.

2.3 L’importanza strategica dei servizi nell’impresa commerciale

La competizione tra imprese commerciali si sta spostando sempre più dal piano dell’assortimento e dei servizi interni a quello dei servizi esterni. L’aumento del numero e della varietà dei servizi esterni, che, è riconducibile soprattutto ai fenomeni dell’espansione intersettoriale e dello shopping emozionale, comporta la necessità di individuare nuovi criteri per la definizione dei format. Il criterio di definizione tradizionale identifica il format come <<l’insieme dei punti di vendita che adottano la medesima tecnica di vendita, che offrono quindi lo stesso servizio>>.

In realtà, il concetto di format nel retailing moderno è più complesso, in quanto ogni format può includere punti vendita molto differenti dal punto di vista delle tipologie di servizi offerti.

La tendenza delle imprese commerciali a investire nello sviluppo dei servizi esterni può essere quindi il risultato di una strategia volta a generare ambienti di vendita per un target specifico in modo da influenzarne i comportamenti di acquisto.

Secondo la psicologia ambientale di Donovan e Rossiter, l’atteggiamento positivo – approach – o negativo – avoidance – nei confronti di un punto vendita è determinato dal modo in cui gli stimoli ambientali agiscono sulla sfera affettia del potenziale acquirente. L’ambiente nel quale il comportamento si manifesta non rappresenta un mero sfondo delle azioni degli acquirenti ma un elemento attivo che concorre a definire tali azioni.

Data la loro natura interattiva, i servizi divengono quindi fondamentali nell’assicurare e veicolare la relazione tra l’ambiente e l’individuo.

In altre parole, l’investimento nei servizi da parte dei retailer offre agli acquirenti l’opportunità di costruire il proprio ambiente di vendita e di aumentare il controllo sui comportamenti di acquisto.

2.4 Il ruolo dei servizi nella relazione tra individuo e ambiente

La relazione tra individuo e ambiente, è di tipo interattivo e si basa sul reciproco determinismo (dove l’ambiente corrisponde a tutto ciò che è al di fuori della persona nella relazione ambiente-persona) mentre l’individuo – me – si caratterizza per l’unione di una componente interna di tipo cognitivo e una esterna conativa.

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Quindi l’ambiente influenza le risposte dell’individuo, il quale risulta così attivato nel momento in cui si muove all’interno di uno spazio ed è esposto a determinati stimoli ambientali. Allo stesso tempo, tale spazio, è soggettivo ed è a sua volta determinato dall’investimento in risorse cognitive e affettive che ciascun soggetto intende allocare nell’interazione.

Tra tutti gli ambienti possibili, quindi, solo quelli in cui l’individuo è coinvolto interattivamente sono dotati di senso. Questo concetto può essere ricondotto alla c.d. self-production dell’ambiente: quest’ultimo non esiste come entità oggettiva ma viene definito dall’aggregazione soggettiva degli stimoli ambientali rilevanti per il singolo e dalle caratteristiche del processo di interazione.

L’analisi delle diverse tipologie di interazione è stata utilizzata da Everett e Pieters, come chiave di lettura per lo svilppo di una tassonomia degli ambienti e delle variabili ambientali.

Le interazioni sono state classificate utilizzando due dimensioni di analisi:

I. La direzione prevalente dell’interazione. (nel caso in cui sia l’individuo ad attivare l’ambiente si parla di interazione attiva, nel caso contrario di i. passiva)

II. E la tipologia di risposta dell’individuo all’interazione stessa, che gli autori suddividono tra cognitiva e comportamentale.

Quindi realizzando la “matrice delle interazioni tra ambienti ed inviduo” otteniamo quattro possibili interazioni:

1. Interaz. Attiva e risposta cognitiva = INTERAZIONE INTERPRETATIVA (l’individuo è attivo nei confronti dell’ambiente circostante , di cui costituisce una propria rappresentazione cognitiva in base ai suoi obiettivi e alle sue esperienze).

2. Interaz. Passiva e risposta cognitiva = INTERZIONE VALUTATIVA (considera l’impatto dell’ambiente sulla sfera cognitiva, e quindi le modalità attraverso le quali esso influenza i processi di costruzione del siginificato)

3. Interaz. Passiva e risposta Comportamentale = INTERAZIONE DI RISPOSTA (si riferisce all’influenza dell’ambiente sul comportamento in termini di facilitazione o inibizione dell’interazione stessa)

4. Interaz, Attiva e risposta Comportamentale = INTERAZIONE OPERATIVA (il ruolo dell’individuo èattio ma ha una valenza essenzialmente conativa).

I servizi commerciali possono essere ricondotti alla categoria dell’interazione di risposta essi infatti costituiscono l’elemento connettivo tra individuo e ambiente, che consente e facilita l’interazione attraverso cui l’ambiente assume significato per l’individuo.

I servizi commerciali, più precisamente, rappresentano il momento in cui si verifica l’interazione tra acquirente e punto vendita. Quindi facilitano proprio l’interazione dei potenziali acquirenti con l’ambiente del punto vendita.

Le modalità con cui tale facilitazione si svolge sono essenzialmente due:

- Attraverso l’offerta di una maggiore informazione- E attraverso l’offerta di servizi di tipo ricreativo volti a rendere più piacevole l’esperienza di

acquisto.II.5 L’interazione individuo-ambiente come modalità di classificazione dei servizi commerciali

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I servizi considerati come stimoli ambientali facilitatoti dell’interaizione tra individuo e e ambiente, possono essere classificati secondo una matrice a due dimensioni.

Esse sono la vicinanza al core service e la natura del servizio.

La vicinanza al core service indica il grado di autonomia del servizio rispetto all’assortimento, e tale vicinanza dipende dal modo in cui vengono tracciati i confini dell’assortimento originale.

La natura dei servizi è informativa o edonistica.

(i servizi informativi sono quelli che forniscono una ricompensa esterna di tipo funzionale e quindi consentono all’acquirente di soddisfare bisogni strumentali; quelli edonistici, invece, sono fini a loro stessi: la loro funzione garantisce ricompense interne riconducibili ai concetti di soddisfazione interiore,divertimento e rilassamento)

Matrice NATURA DEI SERVIZI / TIPOLOGIA DI RISPOSTA o VICINANZA AL CORE SERVICE.

I. Risposta interna + serv. Informativi = SERV.INTERNI INF.TIVI(rappresentano servizi che offron’o ricompense esterne e che non sono indipendenti dal core service, come quie servizi che facilitano l’accesso fisico o cognitivo dell’assortimento)es. self-scanning

II. Risposta interna + serv. Edonistici =SERV. EDONI. INTERNI(esempi sono: le serate culturali ospitate da Fnac che prevedono la presentazione di libri, dischi e prodotti tecnologicamente innovativi)

III. Risp. Esterna + serv. Edonistici = SERVIZI EDONISTICI ESTERNI(soddisfano bisogni di tipo edonistico non direttamente collegati al core service.esempio: la frequente presenza di bar e caffetteri in punti vendita appartenenti a categorie diverse come supermercati e department store)

IV. Risp. Esterna + serv. Informativi = SERVIZI INFORMATIVI ESTERNI(servizi che offonro una ricompensa esterna funzionale con riferimento ad attività che non rientrano in quelle tradizionalmente svolte dai retailer, e quindi non direttamente collegate al servizio principale. Ad esempio el agenzie di viaggi a marchio proprio con orari di apertura prolungati presenti negli ipermercati Carrefour).

II.6 Servizi ambiente e coinvolgimento dell’acquirente

L’elemento centrale della relazione ambiente-individuo, necessario a comprendere le modalità con cui l’ambiente influenza i comportamenti di acquisto, è costituito dal coinvolgimento dell’individuo in tale relazione.

Il modo in cui gli acquirenti scelgono di essere coinvolti nell’interazione determina il grado di attivazione dell’ambiente, la recettività degli stimoli ambientali e quindi le risposte comportamentali.

Il tipo e il livello di coinvolgimento, a sua volta, dipendono dalle caratteristiche dei servizi dei quali l’acquirente decide di fruire.

CONCETTO DI COINVOLGIMENTO

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Mittal e Lee identificano il coinvolgimento con il valore percepito di un determinato <<oggetto-obiettivo>> /goal object/. Tale valore si manifesta nell’interesse che l’oggetto-obiettivo suscita nell’individuoi perché in grado di soddisfare bisogni utilitaristici, simbolici o edonistici. Un primo limite di questa definizione è costituita dalla natura dell’oggetto-obiettivo che può consistere in un prodotto /product-involvment/ o una decisione di acquisto /brand-decision involvment/ ma non in un processo di acquisto e di consumo.

Secondo Evrard e Aurier la relazione tra consumatore e il bene o il servizio si definisce proprio attraverso la cumulazione nel tempo delle esperienze di consumo, e non semplicemente attraverso una serie di transazioni indipendenti.

I contributi relativi allo studio dell’esperienza di consumo identificano una tipologia di coinvolgimento ulteriore, rispetto a quelle individuate da Mittal e Lee, che può essere definita <<coinvolgimento dell’esperienza>>.

Secondo questa prospettiva, il coinvolgimento non va inteso solo con riferimento al prodotto ma anche all’esperienza di consumo e di acquisto. (se si accetta il presupposto teorico che l’esperienza di acquisto è esperienza di consumo di servizi commerciali, il coinvolgimento nell’esperienza di acquisto è rappresentato dal valore che l’acquirente attribuisce a tale attività e all’interesse che essa riveste in quanto in grado di soddisfare i suoi bisogni funzionali, simbolici o emozionali).

Inoltre il coinvolgimento può essere sia razionale sia emozionale.

Il c. razionale riguarda l’importanza assegnata dall’acquirente alle conseguenze esterne , funzionali o simboliche dell’esperienza di acquisto (cons. funzionale primaria è l’approvvigionamento dei beni di cui l’acquirente ha necessità; cons. simboliche sono costituite dal valore sociale che un’esperienza di acquisto può rivestire)

Il c. emozionale è invece relativo a conseguenze più private e personali, quali l’autogratificazione, la soddisfazione interiore, il piacere e il divertimento derivanti dall’esperienza d’acquisto.

Il mix di servizi informativi e edonistici offerto dal retailer , facilita rispettivamente un coinvolgimento di tipo razionale o emozionale.

Per i retailer investire nei servizi significa offrire agli acquirenti l’opportunità di scegliere a quale livello essere coinvolti nell’esperienza di acquisto. Una conseguenza fondamentale di tale scelta manageriale sta nello spostamento verso il cliente del potere di definire le caratteristiche dell’interazione tra domanda e offerta: scegliere di quali e di quanti servizi usufruire comporta, da parte dell’acquirente, anche la scelta del livello di coinvolgimento nella costruzione della relazione con l’ambiente (self-production).

In altri termini, i servizi rendono più discrezionale la modalità di fruizione dell’offerta nel suo complesso fanno sì che il cliente sia personalmente responsabile dell’ambiente di vendita nel quale decide di svolgere la sua esperienza di acquisto. Le modalità di interazione con l’ambiente influenzano, a loro volta, il comportamento dei clienti in termini positivi (approach) o negativi (avoidance). Quanto più l’atteggiamento è del tipo approach, tanto è più possibile ipotizzare un elevato livello di coinvolgimento da parte del potenziale acquirente.

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In ultima analisi, la relazione tra servizi, coinvolgimento e ambiente determina ciò che Foxall chiama <<ambiente aperto>>.

Gli ambienti aperti sono infatti caratterizzati da numerose alternative di scelta, sulle quali i sogggetti produttori possono esercitare un controllo piuttosto basso. I criteri utili per individuare il grado di apertura di un ambiente consstono quindi nella disponibilità e nell’accesso alle alternative di acquisto e e nel controllo esterno della situazione in cui si trova l’acquirente. Queste alternative di acquisto devono essere intese come alternative di esperienze di acquisto definite da diversi mix di servizi interni, esterni, informativi ed edonistici,

la decisione delle imprese commerciali di investire nei servizi quindi, implica non solo superiori opportunità di differenziazione dell’offerta, ma anche la possibilità di influenzare il comportamento degli acquirenti attraverso un ambiente di vendita più aperto, all’interno del quale essi sono maggiormente in grado di auto-determinare il proprio comportamento di acquisto.

Le conseguenze di tale scelta strategica sono funzionali (riduzione dei costi), simboliche (rilevanza sociale) ed emozionali (esperienza d’acquisto).

CAPITOLO 4

IL MARKETING DELL’IMPRESA COMMERCIALE

4.1 La nascita del self-service e l’affermazione del marketing distributivo

Una delle più importanti innovazioni introdotte nel commercio è stata il self-service.

La tecnica del libero servizio ha dato inizio alla modernizzazione , all’industrializzazione della distribuzione e al marketing del retail. Le imprese di distribuzione , in altri termini, hanno iniziato a svolgere attività di marketing autonomamente rispetto ai produttori.

Il self-service consente di industrializzare il processo di erogazione dei servizi commerciali: la variabilità, la difficoltà di standardizzazione, la ridotta produttività del servizio personale vengono sostituite dall’efficienza del libero servizio, che segue un trend di crescita in tutti i paesi industrializzati. Inoltre esso prevede la sostituzione di servizi erogati tradizionalmente dal personale dipendente, e quindi costosi per l’organizzazione che li commercializza, con servizi che di fatto sono auto-prodotti dal consumatore/acquirente e che quindi non gravano sulla struttura dei costi dell’impresa di distribuzione.

La modernizzazione del terziario commerciale dovuto al self-service permette invece la riduzione e l’eliminazione dei servizi che i consumatori non considerano più rilevanti.

Cause dello sviluppo del self-service

Una delle cause dell’affermazione del self-service, infatti, si deve anche alle politiche di marketing delle imprese di produzione. Le politiche di marca industriale consentono ai distributori dotati di punti vendita a libero servizio di vendere prodotti senza l’assistenza del personale di vendita.

In altri termini, il marketing dei prodotti di marca e i mezzi di comunicazione rendono obsoleti i servizi offerti dai negozi tradizionali.

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Quindi le politiche di brand delle imprese industriali riducono l’importanza delle modalità informative tipiche della distribuzione industriale.

Una conseguenza importante è che nella prima fase di affermazione della marca industriale la Grande Distribuzione è indotta a concentrarsi prevalentemente sui processi logistici.

I punti vendita a libero servizio si diffondono anche per fattori di domanda, per l’innalzamento del livello d’istruzione, per la comunicazione di massa che migliora il bagaglio informativo e l’autonomia decisionale del consumatore. Il cliente inoltre nei punti vendita, preferisce essere attivo anziché restare passivamente in attesa di un servizio.

La nascita del marketing distributivo

Dopo l’affermarsi dei punti di vendita a libero servizio la competizione si attiva all’interno della distribuzione moderna.

L’aumento della pressione competitiva nel commercio costringe le imprese di distribuzione ad adottare un approccio di marketing. Nel frattempo i <<valori>> della marca sono passati da valori funzionali tangibili, materiali a valori immateriali, fattori eterei che sono appropriabili anche dai distributori.

Inoltre l’industria di marca sviluppa un numero cos’ elevato di nuvoi prodotti da riuscire a mettere in difficoltà il consumatore. L’eccesso i varietà disorienta segmenti sempre più ampi di consumatori, che delgano ai distributori di <<marca>> il compito di preselezione dei prodotti. Quindi la distribuzione si riappropria del ruolo informatica, di garanzia e di marketing svolto dall’industria e arriva anche a proporre marchi propri.

In altri termini, la distribuzione assume un autononomo ruolo di marketing e di comunicazione.

Alcuni retailer riescono a costruire brand equity indipendentemente dal marketing dell’idnustria. L’aumento dimensionale delle unità di vendita, la concentrazione della distribuzione,l’innovazione dei formar e lo sviluppo dcl franchising hanno amplificato le possibilità comunicative dei distributori. Inoltre, l’in-store marketing riesce a sfruttare le sinergie derivanti dalla coincidenza della fase d’acquisto con il momento comunicativo e determina un’ulteriore amplificazione dell’efficacia comunicativa e di marketing delle unità di vendita.

Il punto vendita essendo il luogo in cui il cliente entra in contatto fisicio con il prodotto e con le marche, diventa uno degli elementi nodali di un nuvo marketing.

Nella fase più recente di modernizzazione della distribuzione si sta accentuando ulteriormente il rilevo comunicativo dei punti vendita,. L’impiego del negozio come mezzo di comunicazione apre al marketing nuovi percorsi e opportunità. Per sfruttare le nuove possibilità e l’efficacia dell’in-store marketing una parte dell’industria di marca si integra a valle, mediante l’apertura di negozi monomarca, di flag ship store e di reti in franchsing.

Recentemente si sta affermando anche una nuova traiettoria di sviluppo della distribuzione, che prevede l’utilizzo dei servizi accessori come variabile di differenziazione.

Ancora più recentemente si sovrappone, alle precedenti, un’ulteriore tendenza: i principali della Grande Distribuzione stanno investendo nell’area dell’innovazione dei servizi, sfruttando le possibilità offerte dalle

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nuove tecnologie. Nell’ambito del marketing strategico le imprese della Grande Distribuzione hanno lavorato infatti sul miglioramento della qualità del servizio e sulla soddisfazione del cliente, che stanno diventano nuovi fattori di differenziazione difficilmente imitabili.

4.2 la segmentazione

Generalmente, la segmentazione viene definita come “una suddivisione del mercato in insiemi distinti di segmenti di domanda, che presentano caratteristiche di omogeneità interna ed eterogeneità tra i segmenti, in termine di reazione a specifiche politiche di marketing”. Tuttavia, se si accetta l’ipotesi che la domanda sia eterogenea, la segmentazione deve essere considerata come una scelta di suddivisione del mercato.

La tendenza della domanda alla frammentazione, all’individualizzazione e alla personalizzazione ha reso prioritaria la riceca di variabili con capacità di aggregazione al fine di identificare gruppi di clienti con modelli di consumo e d’acquisto affini.

Un numero sempre maggiore di imprese della distribzuzione moderna si caratterizza er una chiara focalizzazione su specifici e ben delimitati segmenti di domanda. Ikea, per esempio si indirizza alle giovani coppie con figli, ma riesce ad attrarre clienti anche al di fuori del segmento originario. Al contrario, format distributivi non mirati su uno specifico segmento di domanda hanno minori probabilità di successo. L’esigenza di servire diversi segmenti di clientela nello stesso puntoi vendita comporta in genere uno scadimento della qualità del servizio percepita e, quindi, della soddisfazione dei clienti.

4.2.2 I criteri di segmentazione della clientela

Le variabili che hanno la capacità di aggregare segmenti di domanda utilizzabili in chiave di marketing sono riconducibili a quattro categorie principali:

1. V. geografiche: dimensione del centro urbano, tipo di quartiere di residenza, regione di appartenenza;

2. V. socio-demografiche: età, sesso, livello di istruzione, tipo di occupazione, livello di reddito;3. V. comportamentali: io criteri comportamentali riflettono la storia del comportamento dei

clienti(Bagozzi) come ad es. la fedeltà al punto vendita, la frequenza di visita ecc-4. V. Psicografiche: come lo stile di vita, la sensibilità ai fenomeni di moda, valori e beneifici ricercati.

4.2.3 La segmentazione in base ai vantaggi ricercati (benefit segmentation)

La benefit segmentation può essere considerata come una forma avanzata di segmentazione comportamentale. Essa pone l’attenzione sui vantaggi-benefici che l’acquirente cerca di ottenere acquistando un prodotto-servizio; i segmenti così individuati consistono in insiemi di clienti che ricercano li stessi benefici. Più precisamente, la segmentazione per vantaggi è un metodo d’aggregazione dei clienti in base all’omogeneità dei vantaggi ricercati, che possono essere sia tangibili sia intangibili.

L’approccio si articola in due fasi:

I. Nella prima si individuano i segmenti in base a una convergenza di vantaggi ricercatiII. Nella seconda si descrivono i segmenti impiegando prevalentemente le variabili socio-

demografiche e psico-grafiche

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Si procede quindi alla descrizione dellle caratteristiche dei segmenti accomunati dalla ricerca degli stessi benefici.

La benefit segmentation presenta il pregio di stabilire un collegamento tra segmentazione e modelli di comportamento d’acquisto. I vantaggi desiderati infatti, costituiscono i crtieri di scelta e coincidono con le variabili che il consumatore impiega nel valutare l’offferta. La benefit segmentation inltre contribuisce a individuare un legame tra i criteri adottari per la determinazione dei segmenti e l’esistenza di differenze nel comportamento d’acquisto tra i consumatori appartenenti a diversi segmenti.

Infine con la benefit segmentation i messaggi comunicativi enfatizzano i vantaggi ricercati e aumentano le probabilità di attirare l’attenzione dei consumatori.

4.2.4 La segmentazione a priori e quella a posteriori (o basata su cluster)

Nella segmentazione a priori chi decide di segmentare parte di solito da alcune ipotesi intuitive, frutto dell’esperienza oppure basate sulle variabili di segmentazione. In genere si utilizzano criteri socio-demografici. I marketing manager effettuano verifiche e test basati su fonti informative secondarie, su confronti all’interno del’organizzazione oppure con l’ausilio di focus group.

L’approccio di segmentazione definita a posteriori o basato su cluster si fonda su tecniche statistiche di analisi multivatriata che consentono di individuare gruppi di clienti con caratteristiche omogenee in termini di risposta a specifiche combinazioni di marketing mix. Il metodo consente di individuare modalità innovative di segmentazione, senza alcun condizionamento derivante da chi decide le politiche di marketing. I fautori di quest approccio ipotizzano che i segmenti si formino in relazione a un’omogeneità di preferenze rispetto a un certo <<prodotto-servizio>> perché questo viene a occupare una posizione particolare nel sistema percettivo del consumatore.

Una strategia di differenziazione efficace richiede una scelta equilibrata tra i due estremi: il marketing di massa indifferenziato e il marketing personalizzato one to one. Le scelte di segmentazione delle imprese commerciali sono vincolate dalla scelta ubicativa dei punti vendita e dalla gestione di un numero di articoli – referenze – decisamente superiore alle imprese di produzione.

4.3 il retailing mix

Con l’espressione Retailing Mix 6si fa riferimento all‘insieme di variabili di marketing utilizzabili dalle aziende dettaglianti per realizzare la propria azione commerciale.Esse sono:-il negozio;-le merci;-i servizi;-il personale di vendita;-la comunicazione;-il prezzo

La teoria tradizionale del marketing mix è stata ideata in funzione di condizioni di contesto che hanno gradualmente perso rilievo: come la produzione di massa standardizzata, la massificazione dei consumatori, ecc. Lo sviluppo della Grande Distribuzione, il consumerismo e Internet hanno modificato i rapporti di forza verticali nei canali distributivi.

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Quindi ad oggi, le variabili più importanti del retailing mix sono :

- l’assortimento- l’in-store marketing e merchandising (questa variabile influsice sul processo d’acquisto del

consumatore nel momento finale della fase di scelta e ciò ne amplifica ulteriormente l’efficacia; un altro aspetto che caratterizza questa variabile è la spiccata flessibilità che consente di segmentare geograficamente le iniziative in un’ottica di micro marketing)

- e il retail communication mix

4.3.1 L’assortimento

La selezione, la formazione e la proposta espositiva dell’assortimento sono uno dei servizi centrali offerti dall’impresa commerciale. Il continuo aumento di nuovi prodotti rende sempre più complesse le politche di acquisto e di assortimento. Per semplificare la gestione dell’assortimento, che può raggiungere anche i 50.000 articoli in un grande magazzino, questo è suddiviso in settori-reparti , famiglie e linee.

L’assortimento è misurabile in termini di profondità ed ampiezza.

L’ampiezza fa riferimento al numero di categorie merceologiche (settori-reparti) trattate; mentre la profondità riguarda il numero delle marche e degli articoli per categoria, ed è molto alta tipicamente nei negozi specializzati. Ampiezza e profondità sono la prima leva di differenziazione dei servizi commerciali (Pellegrini, 2005).

Il sistema di classificazione dell’assortimento è complesso perché nei punti vendita a libero servizio lo si deve tradurre in criteri espositivi coerenti. Si tratta di individuare criteri di aggregazione espositiva dei prodotti conformi con le logiche di <<lettura>> dell’assortimento del consumatore.

Nelle imprese della grande distribuzione si suole classificare l’offerta merceologica per funzione-occasione di consumo o, nelle forme più innovative, per stile di vita.

Anche il ruolo dei “buyer” è cambiato. La figura tradizionale del compratore è stata infatti sostituita da quella del “category manager”, che diventa gestore di categorie e il cui sistema premiante non è più basato sugli incentivi che riesce ad ottenere dai fornitori. Il sistema di incentivazione ora si fonda sulla redditività delle categorie assegnate.

Quindi con il “category management” un produttore e un distributore interessati all’affermazione di una certa categoria decidono di collaborare.

Solitament, costituiscono un gruppo di lavoro comune per sviluppare in modo coordinato le migliori soluzioni espositive di merchandising di un’intera categoria di prodotti. Quindi il category management è un processo finalizzato a gestire le categorie di prodotti come unità di business; e può prevede inoltre che un’impresa della G.D. decida di delegare a un unico produttore la gestione di una categoria di prodotti. Se, dopo un periodo di sperimentazione, i risultati sono inadeguati, il distributore decide di cambiare fornitore-partner.

4.3.2 In-store marketing e merchandising

Nei negozi a libero servizio, sono i criteri e le modalità espositive, insieme agli strumenti comunicativi in-store, a condizionare le scelte dei clienti.

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“Il merchandising sostituisce a una presentazione passiva del prodotto, una presentazione attiva , facendo appello a tutto ciò che può renderlo più attraente”.

Quindi una definizione piuttosto antiquata di merchandising è: “insieme di studi e tecniche di applicazione, messi in atto separatamente o congiuntamente dai distributori o dai produttori per accrescere la redditività del punto vendita e lo smercio di prodotti attraverso l’adattamento costante ai bisogni del mercato e con un’appropriata presentazione”.

Pellegrini più recentemente ha dato una definizione più ampia del concetto di merchandising, considerato stavolta come l’insime delle attività di marketing che hanno luogo presso i punti vendita a self-service: “il merchandising quindi può essere sinteticamente definito come marketing del e nel punto vendita”.

Il merchandising rappresenta un insieme di attività articolate gerarchicamente in 5 aree principali:

1/ la classificazione/segmentazione dell’assortimento coerentemente con lescelte di segmentazione e posizionamento;2/ il layout delle attrezzature: l’assetto complessivo del p unto vendita, la scleta e la disposizionr delle attrezzature espositive e la conseguente organizzazione del flusso di traffico della clientela;3/ il layout merceologico; le modalità e l’organizzazione espositiva dei prodotti e degli spazi di vendita finalizzate allo stimolo dell’acquisto;4/ il display : le modalità di attribuzione della superficie espositiva ai singoli prodotti;5/ l’attività di animazione e promozione del punto vendita.

4.3.3 Il retail communication mix

Nelle organizzazioni distributive ogni sottosistema aziendale è coinvolto nella gestione della comunicazione e dell’immagine. La comunicazione interna assume un valore strategico anche come leva di governo dell’impresa e non solo come variabile del retailing mix. La comunicazione presenta una stretta interrelazione con la cultura aziendale e quindi con un insieme di atteggiamenti e di valori profondamente condivisi dall’organizzazione.

Il percorso evolutivo della comunicazione delle imprese della Grande Distribuzione in Italia presenta 2 approcci: nel primo la comunicazione si focalizza sul prezzo e sull’assortimento, nel secondo si concentra sui servizi accessori offerti in modo segmentato e sulla costruzione dell’immagine di marca-insegna del distributore.

Nelle prime fasi di industrializzazione della distribuzione mediante la diffusione della tecnica del self-service,il contenuto della pubblicità del distributore si concentra sui prezzi e sulle marche leader offerte in assortimento. Nell’affermare nuove forme distributive e n el tentativo di modificare abitudini e stili d’acquisto consolidati la convenienza è evidenziata dall’informazione sui prezzi.

Il secondo approccio (la comunicazione segmentata e differenziata d’insegna) prevede la ricerca della massima differenziazione del servizio. Questa politica viene perseguita mediante la differenziazione degli assortimenti, l’utilizzo di prodotto con il marchio proprio e la ricerca di elemneti distintivi delle insefne che si qualifichino come marche,

Marketing interattivo.

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Le nuove tecnologie possono favorire il passaggio da una pubblicità generica a una comunicazione mirata in grado di indirizzare le risorse unicamente verso i potenziali clienti.

Il marketing interattivo consente di effettuare test su campioni ristretti che consentono di verificare e eventualmente aggiustare l’iniziativa, prima di adottarla su larga scala. La facilità di verifica pertnanto costituisce un ulteriore pregio di queste tipologie.

4.4 L’attività promozionale

L’attività promozionale differente dall’attività in-store marketing e di merchandising, è definibile come: “un elemento di marketing mix, che con proprie tecniche, utilizzando un beneficio aggiunto a un bene o a un servizio,muove all’azione consumatori, distributori e personale di vendita, in relazione a quel bene o servizio per un periodo predeterminato di tempo.

Rispetto alle altre variabili del communication mix, la concretezza e la misurabilità dei vantaggi rappresentano i principali elementi distintivi dell’attività promozionale stessa.

4.4.1 promozione e pubblicità

Le decisioni sulle promozioni sono prese in modo che le tecniche contribuiscano a rafforzare l’immagine e il posizionamento costruito mediante l’impiego della pubblicità e degli altri strumenti di comunicazione. La promozione quindi <<concretizza>>, con attenzione crescente alla coerenza, il messaggio comunicativo della pubblicità e induce inoltre al vero e proprio acquisto.

4.4.2 Promozione e differenziazione

Lo sviluppo di attività promozionale da parte della Grande Distribuzione è finalizzato al raggiungimento di obiettivi diversi:

- Differenziare l’insegna- Fidelizzare i clienti- Evitare una esasperata price competition

Per raggiungere tali obiettivi la Grande Distribuzione sta investenendo ingenti risorse di marketing , sia con azioni sulla struttura architettonica dei punti vendita, sia attraverso lo sviluppo della marca commerciale.

Ma dato che non riesce a ottenere prodotti di marca industriale leader in esclusiva, la Grande Distribuzione Organizzata tenta almeno di avere l’esclusiva di specifiche iniziative promozionali. In questo modo il prodotto, integrato con la promozione, diventa esclusivo.

4.4.3 promozione e fedeltà

Alle promozioni della distribuzione viene sempre più frequentemente affidato il compito di aumentare il livello di fidelizzazione della clientela, ovvero di incrementare la store loyalty mediante azioni continuative nel tempo – collezioni, concorsi -.

L’obiettivo principale non è più quello di conquistare nuovi consumatori ma di stabilizzare le quote di mercato mediante la fidelizzazione.

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Tra le tendenze più recenti , infatti, v segnalato l’aumento delle promozioni dei fidelizzazione: per esempio raccolte-punti sempre più brevi e con vantaggi sempre più concreti. Invece i concorsi legati alla sorte e finalizzati a <<spostare>> la competizione dalla semplice convenienza hanno registrato una contrazione: il consumatore appare alla ricerca di vantaggi tangibili,immediati e soprattutto certi. Un ulteriore esigenza emersa dal lato della domanda è un accorciamento dei tempi di ottenimento del beneficio offerto, unitamente a meccanismi promozionali non eccessivamente complessi.

4.4.4 promozione comunicazione

Di solito si ritiene che la promozione non abbia valenze comunicative e influisca sul comportamento d’acquisto solo nel breve termine. Questa concezione tradizionale è stata superata da nuove tecniche e da nuove soluzioni promozionali. Elemento importante per il successo delle iniziative promozionali sta nella facilità di partecipazione del cliente.

Dall’intreccio fra azioni promozionali e nuove forme di marketing interattivo o diretto ha permesso la realizzazione di nuove soluzioni di micro marketing: fra cui ricordiamo le promozioni continuative elettroniche che si sviluppano attraverso la frequent shop card o con le smart card, i cui vantaggi principali consistono proprio nella possibilità di realizzare customer database.

4.5 Il prezzo

Il prezzo, tra le variabili del retailing mix, è quello che ha l’influenza più diretta suil risultato economico e che richiede il minore investimento di risorse finanziarie. Le politiche di èprezzo dell’impresa di distribuzione attengono essenzialmente al prezzo del servizio, che solo per ragioni di opportunità viene trasferito <<per quota>> sui prezzi dei singoli beni offerti in assortimento.

Le imprese commerciali tradizionali adottano un semplice metodo, che consiste nel’’aggiungere un margine di ricarico /espresso in %/ al costo d’acquisto dei prodotti.

Le imprese della Grande Distribuzione, invece adottano una metodologia più complessa :

partendo da un’analisi dei costi, si definisce il margine da applicare a livello di assortimento complessivo, e poi si procede via via al livello inferiore, categoria-settore-reparto, e successivamente famiglia e/o linea, per giungere poi al singolo prodotto/articolo/referenza. Infine i prezzi dei singoli articoli/referenze si differenziano secondo una scala di prezzo: ai valori più elevati sono collocate le marche industriali per le quali i clienti sono disposti anche a pagare un prezzo più alto /m. premium price/; in posizione intermedia ci sono le marche commerciali e in ultima posizione i prodotti meno pubblicizzati / <<primi prezzi>>/ .

Inoltre le imprese della Grande Distribuzione monitorano i prezzi della concorrenza attraverso un’analisi su di un numero ristretto di prodotti individuato a sua volta in base alle curve di contrazione -curva ABC-.

4.5.1 Fissazione del margine

Per quanto concerne la procedura di fissazione del livello di margine del singolo prodotto si sono riscontrate alcune regole empiriche:

- I margini di ricarico variano inversamente alla rotazione e al costo uniatrio- Nel caso dei prodotti di marca leader: i margini sono estremamente contenuti e i prezzi sono

allineati a quelli dei concorrenti

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- I prodotti di marca commerciale essendo difficilmente confrontabili possiedono un livello di margini più elevato

- Di solito il livello di margini dei singoli punti vendita delle imprese commerciali viene discrimanto in relazione all’intensità della competizione nelle diverse aree geografiche. C’è quindi discriminazione geografica delle politiche di prezzo.

- Infine, le aziende sono indotte a discriminare il prezzo con lo scopo di diluire le punte di domanda visto che il flusso di domanda stesssa non si distribuisce in modo omogeneo nel tempo.

Conclusione

Le grandi dimensioni del punto vendita, l’ampiezza dell’assortimento,le campagne promozionali sono interpretate come variabili proxy di prezzi contenuti,

CAPITOLO 5

CHANNEL DESIGN

5.2 La definizione di canale distributivo

Un canale distributivo è tradizionalmente definito come il percorso seguito da un bene per passare alla sfera di disponibilità del produttore a quella del cliente finale.

Per svolgere tale percorso è fondamentale il contributo di più attori distributivi che svolgono determinate funzioni distributive con efficacia ed efficienza a costi contenuti.

Quindi è fondamentale identificare nei canali gli attori che vi operano, le funzioni che essi svolgono, il valore che sono in grado di produrre per il cliente e i costi che fanno emergere.

Per l’American Marketing Association il canale di distribuzione è considerato come una sequenza di intermediari organizzati in sistema (canne system) attraverso cui fluiscono merci e informazioni.

Per poter individuare gli attori presenti nel canale distributivo è necessario stabilire un criterio per l’identificazione dei confini del canale stesso. A tal proposito bisognerà definire la dimensione verticale del canale (ovvero decidere se includervi il produttore e il consumatore o se considerare esclusivamente gli intermediari commerciali), e quella orizzontale (ovvero identificare gli stessi intermediari commerciali).

Per quanto riguarda la dimensione verticale, secondo Bucklin propone in linea di principio di considerare nell’ambito del canale tutti i soggetti che svolgono funzioni distributive, e dunque anche i produttori e i consumatori. Solitamente , però, si è soliti distinguere il canale definito in senso ampio – channel of distribution – da quello che include solo produttori e intermediari – commercial channel - .

Analizzare la dimensione orizzontale, ovvero identificare gli intermediari commerciali, è possibile mediante l’adozione di un criterio,lo scambio, che sancisce il passaggio di proprietà del bene materiale. Quindi tutte le imprese che assumono la proprietà del bene sono incluse nel canale distributivo.

5.2.1 Gli attori che operano nel canale

Gli attori distributivi possono essere classificati in base:

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- Ai rischi che assumono- Al livello in cui sono collocati nel canale distributivo- Alle forme aziendali che utilizzano- E alle funzioni che svolgono.

Per quanto riguarda i rischi assunti, al fine di individuare gli attori coinvolti, è necessario definire il concetto di “rischio commerciale”. Tale rischio è generalmente associato al passaggio di proprietà del prodotto. Quindi un’impresa commerciale, è fondamentalmente un’impresa che svolge attività di buying and selling, assumendo su di sé il rischio commerciale relativo al prodotto, cioè il rischio legato alle perdite dvoute alla mancata vendita. Pertanto un operatore logistico è di solito considerato mero service provider nell’ambito del canale, poiché pur fornendo un fondamentale servizio non assume alcun rischio commerciale con riferimento al prodotto e pertanto non è assimilabile a un’azienda distributiva.

Considerando invece la classificazione basata sui livelli del canale in cui si allocano i diversi attori, possiamo distinguere 2 livelli:

- Quello più vicino almondo del consumo (il dettaglio)- E quello più vicino al mondo della produzione (l’ingrosso).

I grossisti e i dettaglianti possono a loro volta essere classificati in base alle formule distributive e ai servizi commerciali che offrono. (il dettaglio di beni di consumo ad alta rotazione si classifica generalmente in base alla dimensione della superficie espositiva e alla tipologia dei servizi forniti; mentre le imprese all’ingrosso sono classificate in ingrosso tradizionale, cash and carry, e full service wholesaler).

A loro volta le singole imprese commerciali possono essere classificate in base alla forma aziendale di cui si sono dotate in:

- Catene integrate- Grande distribuzione- Gruppi d’acquisto e unioni volontarie – distribuzione organizzata –- Cooperative- E imprese indipendenti

Con lo stesso criterio, le imprese all’ingrosso si distinguono in:

- Trading company - Filiali nazionali di una multinazionale- Il grossista nazionale o locale.

5.2.2 Le funzioni distributive

Bucklin definisce la “funzione distributiva” come un’entità che non può prescindere dall’istituzione che la svolge.

Strettamente collegato al concetto di funzione distributiva è quello di “sorting” definito da Anderson come quell’insieme di attività finalizzate a colmare la <<distanza tecnologica >> tra offerta e consumo: infatti l’assortimento offerto da una singola impresa industriale non è in grado di soddisfare le richieste della domanda finale, che è caratterizzata da una varietà dimodelli di consumo. Questa discrepanza tra offerta dell’impresa industriale ed esigenze del consumo giustifica l’esistenza degli intermediari e, allo stesso

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tempo, definisce la loro principale funzione: quella appunto del matching tra domanda ed offerta.L’impresa commerciale,proponendo nell’ambito del proprio assortimento l’offerta di numerose imprese industriali, intende appunto soddisfare la varietà dei bisogni espressi dalla domanda.

L’attività di sorting si compone normalmente di quattro sub-attività:

1. Sorting out (la classficazione dell’offerta eterogenea di un’impresa in insiemi omogenei)2. Accumulation (o cocnentration, cioè l’aggregazione di vari lotti di prodotti omogenei in modo da

conseguire economie logistiche )3. Al location (consiste nel suddividere un’offerta omogenea in lotti di più piccole dimensioni,in modo

da incontrare i bisogni, in termini di quantità acquistabili, dei clienti intermedi o finali)4. E l’assorting, che coincide con la formazione di un assortimento di prodotti differenti, che va a

costituire il nucleo dell’offerta dell’impresa commerciale.

In base ai principi del sorting viene stabilito che la funzione della distribuzione è soprattutto quella di far incontrare domanda e offera, costituendo un marketing bridge tra i due fronti. Per conseguire questo obiettivo, che può essere considerato la mission delle imprese commerciali nell’ambito del sistema-canale, è necessario che esse svolgano una serie di attività, che sono comunemente definite come “funzioni distributive”.

Bucklin, distingue le funzioni svolte nell’ambito del canale in:

- comunicazione, ovvero tutte quelle attività mediante le quali si trasmettono o ricevono informazioni relative a offerte di vendita e d’acquisto.

- Possesso, che identifica tutte le operazioni connesse con il mantenimento el titolo di proprietà- Immagazzinaggio, comprende le attività relative al controllo fisico delle merci in una data

localizzazione- Trasporto, ovvero le operazioni necessarie alla realizzazione del flusso logistico- E la produzione

5.2.3 I valori e i costi delle funzioni distributive

Per poter disegnare i canali distributivi , dopo aver identificato attori e funzioni, è necessario comprendere:

- Il valore creato per il cliente da tali attori mediante lo svolgimento delle funzioni distributive- E i costi di ciascuna funzione e ilmix di funzioni necessario per ottenere un certo livello di servizio

commerciale

Il valore creato per il cliente. Tale valore dipende dall’utilità tratta dal cliente del servizio commerciale che la singola funzione contribuisce a creare. Per esempio un particolare segmento di clienti può apprezzare in modo significativo il servizio di prossimità.Pertanto per conseguire tale obiettivo sarà necessario svolgere funzioni e stoccaggio delle merci molto più capillari disponendo al contempo di una rete dipunti vendita assai distribuita sul territorio.

Una volta individuato il valore generato per il cliente dai vari servizi commerciali , sarà opportuno misurare l’utilità creata da ciascuna funzione distributiva, e, se possibile, tradurla in valore monetario. Una metodologia molto utile per conseguire questo obiettivo è rappresentata dalla “conjoint analysis”(tecnica

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statistica multivariata che consente di disaggregare il giudizio globale espresso dai clienti su un insime di profili di offerta alternativi, determinando l’importanza attribuita dal cliente aio singoli attributi dell’offerta)

I costi delle funzioni distributive. Tali costi vanno quantificati considerando la produzione interna delle funzioni distributive o l’eventuale cessazione a terzi (outsouricing). Infatti un’impresa può decidere di svolgere una funzione specifica in maniera autonoma, oppure di delegarla all’esterno.(scelte di make or buy)

Le funzioni più propriamente commerciali possono essere delegate esclusivamente a imprese commerciali all’ingrosso o al dettaglio, oppure un’azienda industriale può decidere di integrarle scegliendo di adottare così un canale diretto. Ed inoltre non si potrà non tenere conto della diversa natura, fissa o variabile, di tali costi.

5.3 Le scelte distributive (4 numerosità di stadi,canali,sbocco,per ciascuno sbocco)

Le diverse tipologie di canale sono identificate dal diverso numero di stadi – passaggi di proprietà – Pertanto è possibile avere un canale diretto con un solo passaggio di proprietà e nessuno stadio di intermediazione, che si distingue dal canale indiretto che ha uno o più stadi di intermediazione ed almeno due passaggi di proprietà.

I canali diretti a loro volta possono essere classificati in brevi e lunghi in base al numero degli stadi di intermediazione/passaggi di proprietà. Il canale breve presenta uno stadio di intermediazione e due passaggi di proprietà, mentre si parla di canale lungo quando presenta tre o più passaggi di proprietà.

Differenze canale diretto con canale lungo

Il canale diretto è quello che presenta una maggiore presenza di costi fisi e quindi un maggiore rischio economico-finanziario , però consente un controllo diretto sul cliente finale.

Al contrario il canale lungo è caratterizzato costi fissi inferiori,ma anche da margini minori, ma non consente un diretto controllo del mercato in quanto il contatto diretto con la clientela finale è “schermato” da due o più livelli di intermediazione.

La definizione del canale distributivo basata sul numero degli stadi rappresenta la prima scelta che un’impresa industriale deve effettuare con riferimento all’architettura di canale attraverso cui veicolare i propri prodotti.

Una seconda decisione che bisogna assumere fa riferimento al numero dei canali.

A tale riguardo è possibile adottare soluzioni di monocanalità (scegliendo un canale breve) o di multicanalità (scegliendo una soluzione che coniugs un canale diretto con un canale lungo). Talvolta, è possibile optare per soluzioni multicanale differenziando i canali in base alle zone geografiche ed evitando pertnanto che ci sia una coesistenza di due tipologie di canale nell’ambito dello stesso mercato geografico di riferimento. In questo caso l’impresa, pur adottando un approccio multicanale, è in realtà monocanale con riferimento ai singoli mercati.

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Una volta decisa la struttura dei canali a livello general, è necessario selezionare all’inerno di ciascun canale gli sbocchi adottati.

Per sbocco intendiamo la tipologia di intermediario commerciale cui l’impresa industriale si rivolge.

Esistono due tipologie di sbocchi: tipologia monosbocco (quando l’impresa decide di commercializzae il proprio prodotto attraverso una sola formula distributiva), o una tipologia multi sbocco (quando l’impresa decide di utilizzare diverse formule distributive).

L’ultima decisione da assumere si riferisce alla numerosità degli intermediari per ciascuno sbocco.

A tale riguardo si può optare per un estremo di esclusività distributiva selezionando un unico intermediario per ciascun mercato per ogni singolo sbocco. Oppure si può decidere di distribuire il prodotto in modo capillare commercializzandolo tramite tutti gli intermediari che in una determinata zona appartengono a un certo sbocco. In questo caso la distribuzione si configura come assai intensiva. Naturalmente possono verificarsi situazioni intermedie selezionando, con criteri più o meno espliciti, un certo numeo di intermediari del prodotto e le politiche di marketing a esso associato.

5.4 il channel design: come progettare l’articolazione dei canali

Le politiche per il disegno dei canali definiscono l’architettura degli stessi decidendo la combinazione tra le scelte relative a: gli stadi, il numero dei canali, gli sbocchi,il numero di sbocchi per ciascun canale e il numero di intermediari.

La diversa combinazione dei precedenti elementi dipende da:

- Il livello di servizio commercialie che si intende offrire a i clienti- La tipologia di prodotto che si distribuisce- L’entità dei costi che le funzioni distributive assorbono- E il livello di controllo che si desidera ottenere sui mercati finali.

Una volta stabilito il livello di servizio che si intende offrire al cliente, che è condizionato non poco dalla tipologia del prodotto commercializzato, il mix del canale ottimale potrà essere definito sulla base dei costi associati alle funzioni distributive e sulla base del livello di controllo strategico che si intende ottenere sui mercati finali. Poiché sappiamo che tra il livello dei costi e il grado di controllo esiste un trade off non è raro che si opti per situazioni di multicanalità specializzata. In questi casi, nei mercati con potenziali di vendita più elevati si preferiscono canali diretti o brevi, in modo da massimizzare il controllo dei clienti finali e, avendo l’opportunità di assorbire i costi fissi tramite le maggiori quantità garantite dalle dimensioni del mercato. Nei mercati residuali e più lontani dall’impresa indisutriale si preferiscono invece canali lunghi, che consentono di rendere variabili i costi distributivi tramite margini commerciali più ridotti e rinunciando a un controlo diretto del mercato finale, visto il minore numero dei clienti e il più contenuto livello di potenziale.

5.5 La gestione dei canali

In seguito allo sviluppo del settore commerciale che ha avuto luogo negli ultimi anni le imprese industriali hanno avuto la necessità di considerare con attenzione la relazione con la distribuzione che, oltre ad aver subito una crescita dimensionale, ha conseguito una propria autonomia di marketing, sviluppando la capacità di incidere sulle percezioni e le preferenze della domanda. Con la fine del “monopolio della

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marca” , il marketing inizia ad avvertire l’esigenza di considerare il ruolo giocato dalle aziende commerciali e allarga uk proprio orizzonte di studio alla triade produzione-distribuzione-consumo. Nasce così una nuova funzione aziendale “il trade marketing” che si propone di gestire la relazione delle imprese industriali con i lor distributori.

Questi ultimi, infatti, sono oggi in grado di intervenire in modo sempre più attivo nella gestione del marketing industriale e nella definizione delle preferenze dei consumatori. In definitiva, il commercio ha ridotto la capacità di controllo dell’industria su tutti gli elementi del marketing mix.la stessa pubblicità,unico strumento di marketing capace di arrivare direttamente al consumatore non èin grado di far acquistare allo stesso consumatore il prodotto, se questo no gode di una soddisfacente distribuzione e di un’adeguata assistenza sul punto vendita.

Le attività di trade marketing, si configurano come quella strategia distributiva che, basata sul concetto di prodott-cliente-canale, punta a conoscere, pianificare, organizzare e gestire il processo distributivo in modo da ottenere , da un lto, un efficace impiego delle risorse di marketing e, dall’altro, duraturi vantaggi nella competizione orizzontale.

Il trade marketing rappresenta perciò una strategia commerciale volta a contribuire all’efficacia dell’azione di marketing dell’azienda attraverso il soddisfacimento delle specifiche esigenze dei propri clienti commerciali, rappresentando un’innovazione radicale nella cultura dell’impresa industriale.

Più recentemente il trade marketing è evolto verso una dimensione di tipo più collaborativo, che ha permesso di sviluppare il category management. Esso viene definito come una nuova filosofia di gestione che consente di integrare i processi di produzione di valore delle imprese commerciali, accentrando presso il category manager le responsabilità relative agli acquisti, al marketing e alle vendite.

CAPITOLO 6

LA GESTIONE DELLA MULTICANALITA’

6.1 Introduzione

Viviamo in un’economia interconnessa,ove si moltiplicano i canali distributivi e le possibilità per il cliente di entrare in contatto con le merci e i servizi. Questa cresce ubiquità distributiva, questa proliferazione di punti di contatto e di esperienza rappresenta un importante elemento dell’economia attuale (Vicari).

Essa, per questo motivo, va prima di tutto compresa in tutte le sue sfaccettature e poi opportunamente gestita e valorizzata dalle imprese.

La multicanalità moltiplica infatti le occasioni di contatto con la domanda accrescendo le opportunità di vendita, la capillarità distributiva, l’awareness dell’azienda e la sua intimacy con il cliente, generando una serie di implicazioni positive nel processo di creazione del valore.

D’altra parte, però, la multicanalità è caratterizzata da un suo dark side. Infatti, quando non è adeguatamente gestita, può creare conflitti orizzontali e verticali nei canali distribtuivi, una riduzione delle performance competitive dell’imrpesa e un depauperamento delle relazioni con il trade e del suo patrimonio di fiducia

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I vettori che attualmente determinano un deciso accrescimento del fenomeno della multicanalità sono riconducibili :

- alla revisione della normativa sui canali distributivi, che rende sempre meno vincolante l’esclusività di alcuni canali;

- ai comportamenti delle imprese industriali, che in un periodi di contrazione dei consumi sono alla ricerca di nuovi mercati e sbocchi distributivi;

- alla vivacità del retail, che innova nei formati e nei canali distributivi, introducendo nuovi format commerciali;

- alla crescente varietà di esigenze espresse dalla domanda- e alla diffusione di tecnologie informatiche e telematiche che dischiudono nuovi mercati e nuovi

canali distributivi.

6.2 Il conflitto derivante dalla multicanalità

Il conflitto rappresenta uno tra gli aspetti maggiormente approfonditi dalle ricerche dedicate all’analisi dei canali distributivi. Il motivo alla base dell’attenzione rivolta a tale costrutto è riconducibile alla convinzione che esso costituisca uno tra i principali elementi in grado di incidere negativamente sulla performance di canale. È stato infatti verificato mediante numerosi studi empirici che quanto maggiore si presenta la conflittualità tra i soggetti che compongono un sistema distributivo, tanto minore è la loro soddisfazione e, di conseguenza, il risultato conseguito dai soggetti che vi partecipano.

Nelle situazioni in cui si manifestano un elevato livello di conflitto è prima di tutto necessario, al fine di migliorare la performance, accrescere l’accordo tra le parti, in modo da evitare l’insorgere dell’insoddisfazione e, dunque, l’innescarsi di comportamenti <<devianti>> rispetto agli obiettivi delle parti.

La relazione tra conflitto e performance è stata dalla maggior parte degli studiosi rappresentata in forma lineare. Alcuni studi empirici hanno invece evidenziato l’opportunità di considerare un livello-soglia , postulando una relazione positiva tra conflitto e performance fino a un certo punto, superato il quale il segno della correlazione si inverte. Si è così giunti alla determinazione di qualificare il conflitto come funzionale o disfunzionale in base alle conseguenze che esso è in grado di generare sulle performance di canale (come affermava Robert Robicheaux) e di valutare comunque in termini positivi un livello di conflitto contenuto nell’ambito di limiti fisiologici. Emerge così l’esigenza di gestire in modo opportuno il livello di conflitto all’interno dei canali distributivi, senza mirare ad annullarlo completamente, proprio perché un certo livello di <<sana dialettica competitiva>> fra le parti costituisce indubbiamente un elemento utile alle performance di canale.

L’assenza completa di conflitto, che caratterizza la relazione con distributori in situazioni di monopolio spaziale con riferimento a una certa offerta, può determinare invece comportamenti inerziali e scarsa propensione all’innovazione, che non rappresentano di certo i presupposti per lo sviluppo di canali competitivi. Quindi, l’obiettivo del management è quello di contenere il livello di conflitto nell’ambito della sua dimensione funzionale.

La natura del conflitto. Al fine di gestire correttamente il conflitto all’interno dei canali distributivi è opportuno comprenderne la natura.

Esso rappresenta quello stato derivante da una situazione in cui un componente del canale percepisce che il comportamento di un altro soggetto è tale da impedirgli di conseguire i propri obiettivi, o comunque, di

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svolgere in maniera efficiente il proprio ruolo nell’ambito del sistema distributivo. Dunque il conflitto nei canali si manifesta quando, nell’ambito di una relazione, una delle parti viene percepita come un chiaro ostacolo o addirittura come una minaccia al conseguimento dei propri obiettivi.

Una volta definiti i confini del concetto è opportuno, al fine di impostare adeguatamente le politche di gestione del conflitto, comprendere le cause alla base del conflitto.

Le cause del conflitto. Sono:

- la divergenza di obiettivi- la divergenza nelle aspettative di ruolo- la divergenza di percezioni

6.3 Le tipologie di multicanalità

Con il termine multicanalità si individua generalmente un ampio spettro di architetture distributive, caratterizzate da peculiarità e connotazioni diverse tra loro. La multicanalità può essere determinata dalla presenza su uno stesso mercato di una pluralità di canali distributivi (diretto, breve, lungo)e/o dalla necessità di attivare più sbocchi distributivi.

I tre elementi alla base della multicanalità sono i mercati, i canali e gli sbocchi.

I mercati. Un’impresa potrebbe decidere di distribuire i suoi prodotti attivando canali e/o sbocchi diversi per differenti mercati,ove a ciascun segmento di domanda corrisponde un canale e/o sbocco distinto, senza che ci sia una loro compresenza sul medesimo mercato. Nel caso in cui fra i diversi mercati risulti difficile trasferire beni o servizi, e questi vengano serviti con canali differenziati, il problema della multicanalità e i rischi di conflitto vengono risolti alla radice. Pertanto quando a diversi mercati (lontani fra loro e non permeabili) corrispondono diversi canali, il problema della multicanalità non assume sotto il profilo manageriale altrettanta rilevanza rispetto al caso in cui si manifesti una compresenza di canali sullo stesso mercato.

I canali. Il secondo elemento che permette di definire ciò che è comunemente definito come multicanalità, ovvero la presenza di più canali distributivi su un unico mercato, genera indubbiamente problemi molto più complessi da gestire, soprattutto ove fra i canali attivati vi sia una presenza significativa del canale lungo, che genera un gap di controllo. Questo solitamente non permette un’immediata verifica degli sbocchi distributivi sui mercati finali e delle loro politiche commerciali,

pertanto la presenza di una lunga catena di distributori può far emerger problemi connessi all’impossibilità o alla difficoltà di gestire l politiche commerciali a valle, non consentendo all’impresa a monte, soprattutto quando questa è ubicata all’estero, di controllare il flusso seguito dal prodotto per raggiungere i mercati finali.

Ciò potrebbe determinare conseguenze non positive sul posizionamento del prodotto , sulle sue poltiche di pricing e sulle modalità con cui viene proposto al cliente finale. Inoltre,le imprese di intermediazione all’ingrosso potrebbero avviare politiche commerciali non coerenti con quelle attuate dall’impresa industriale sul canale breve, determinare l’emergere di un conflitto fra canali.

Gli sbocchi. La multicanalità,può essere riconducibile anche all’esistenza di differenti sbocchi distributivi, nell’ambito di un medesimo canale. Per esempio, nel caso di un canale breve potrebbe verificarsi la

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presenza dipiù sbocchi distributivi (profumerie, farmacie, ecc.) In questo caso bisogna evidenziare che i diversi sbocchi, e talvolta anche i singoli intermediari, offrono una differente intensità e combinazione di servizi commerciali. Pertnatnto i differenziali nelle condizioni economiche praticate dai diversi format commerciali possono essere supportati, sui mercati a valle, medianteun’opportuna differenziazione del servizio commerciale e del profilo complessivo del binomio merce-servizio. Ove, invece, a parità di servizio commerciale offerto da due sbocchi si manifestino palesi differenziali nei prezzi praticati sui mercati finali, il problema potrebbe generare conseguenze più difficilmente gestibili, e andrebbe perciò governato ex ante, con un’opportuna pianificazione delle condizioni economiche praticate al trade.

Pertanto, a parità di mercato, la diversa combinazione di una multicanalità generara dalla compresenza di diversi canali o di diversi sbocchi suscita profili di rischio differenti che vanno gestiti con modalità differenziate.

In prima approssimazione,:

- la m. determinata dalla presenza di più canali sul medesimo mercato richiede un’attenta gestione del canale lungo e della relazione con l’intermediazione all’ingrosso

- una m. dovuta alla presenza di più sbocchi distributivi richiede invece una gestione fondata sulla oculata differenziazione del servizio commerciale.

Per cogliere le opportunità generate dalla multicanalità e dall’ubiquità distributiva può essere necessario attivare più canali e o sbocchi , predisponendo le dovute precauzioni volte a:

- evitare che emergano situazioni conflittuali (strategie preventive)- gestire in modo appropriato le conseguenze negative (azioni di recupero della redazione )

Fra le strategie preventive, oltre ai tentativi volti a ridurre la permeabilità dei mercati, connotando il prodotto e rendendo pertanto difficoltoso il trasferimento da un mercato all’altro,le strategie più comuni, utilizzabili anche all’evenienza, sono riconducibili a:

- differenziazione del prodotto- e differenziazione dei servizi commerciali

6.4 Le politiche di differenziazione per il governo della multicanalità

Uno dei problemi connessi alla presenza di più canali distributivi è quello relativo al free-riding.

In particolare tale fenomeno penalizza le forme distributive di piccole dimensioni e di tipo specializzato, che tipicamente, seppur a fronte di costi di gestione più elevati, forniscono informazioni sul prodotto industriale al cliente finale.

Il free-riding si può manifestare quando lo stesso prodotto è presente in sbocchi specializzati, che forniscono informazioni,e in formule distributive despecializzate, che praticano prezzi più convenienti offrendo al contempo un livello inferiore di servizio informativo e di asistenza alla vendita.

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In questo caso l’acquirente può essere indotto a massimizzare lapropria utilità recandosi presso il punto vendita specializzato a raccogliere gratuitamente informazioni sul prodotto e consigli da parte del negoziante e del suo personale di vendita (free ride).

Una volta completato il processo di raccolta informazioni, si reca poi presso i punti di vendita despecializzati per acquistare il bene a prezzi vantaggiosi. In questo modo il punto specializzato, che non è in grado di sostenere l’aggressività delle politiche di prezzo dei negozi despecializzati, potrebbe con il tempo rifiutarsi di offrire il proprio supporto informativo sul prodotto determinandone una banalizzazione o discriminandolo negativamente rispetto ad altri prodotti.

6.4.1. La differenziazione di prodotto

Per evitare eccessivi fenomeni di free-riding a favore delle formule commerciali despecializzate e guerre di prezzo che possono danneggiare l’immagine del prodotto, la strategia più frequentemente adottata è rappresentata dalla differenziazione del prodotto.

In questo modo si riduce l’opportunità di un confronto intraband fra prodotti identici commercializzati da sbocchi e canali diversi.

Tale differenziazione può essere sviluppata a diversi livelli, e per ciascuno di essi, può essere praticata, con intensità differenziate. È naturale che quanto maggiore è l’intensità della differenziazione che si produce, tanto minore sarà il rischio che si creino conflitti derivanti dalla sovrapposizione dei canali.

Alcune tra le possibili aree di differenziazione sono le seguenti:

- differenze nel brand del prodotto, introducendo per esempio fighting brand o marchi fantasia dedicati ai singoli canali e o sbocchi distributivi

- distinzione nei modelli e nella profondità assortimentale offerta ai diversi sbocchi- differenziazione collegata a differenze nei componenti, nelle tecnologie, nei materiali e negli

ingredienti che compongono il prodotto- differenziazione limitata agli aspetti esteriori del prodotto come la confezione, il packaging o il

formato - talvolta le differenze possono riguardare non solo le caratteristiche materiali del prodotto bensì

anche il livello di servizio – non commerciale – ad esso connesso.

In conclusione è opportuno affermare che la differenziazione del prodotto non raramente potrebbe far emergere diseconomie non imputabili alla varietà e all’impossibilità di cogliere sinergie commerciali. Ciò accade ,per esempio, quando la differenziazione è fondata sul brand e pertanto non è possibile sfruttare appieno l’effetto degli investimenti in comunicazione. Per questi motivi la differenziazione di prodotto non è sempre facilmente praticabile. Per questo può essere utile valutare, in alternativa, ma anche congiuntamente alla differenziazione sul prodotto, quella relativa ai servizi commerciali.

6.4.2 La differenziazione del servizio commerciale

Il presupposto da cui bisogna muovere per comprendere la possibilità di gestione della multicanalità mediante i servizi commerciali è rappresentato dall’assunto che i diversi sbocchi distributivi producono specifici servizi per la domanda. Ciascuna formula distributiva produce servizi di tipo logistico, informativo e

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accessorio. I servizi commerciali prodotti dai diversi format commerciali e dai diversi sbocchi distributivi possono essere molto diversi,proponendosi pertanto di soddisfare diversi bisogni dei consumatori.

Quindi ciascuna, formula distributiva produce servizi differenziati:

- le piccole superfici despecializzate, offrono soprattuttoun servizio di prossimità, proponendosi alla clientela come <<negozi di vicinato>>

- le piccole superfici specializzate, invece, offrono pre-selezione, consigli e servizi informativi fondati sulla relazione personale instaurata con il cliente.

- Le grandi superfici despecializzate puntano, oltre che sulla convenienza dell’offerta , anche sull’ampiezza dell’assortimento che permette di rendere più efficiente il processo d’acquisto mediante forme di one stop shopping

- Le grandi superfici specializzate si distinguno invece per la profondità dell’assortimento, favorendo un’attività di confrono in shop fra alternative, e per la numerosità di servizi accessori che sono in grado di offrire.

- L’ecommerce invece è caratterizzato da enormi potenzialità sul piano dei servizi commerciali, potendo offrire servizi logistici e informativi al massimo livello. Tali potenzialità, però, non sempre sono state sfruttate dalle imprese.

Dato questo assunto, anche se il prodotto è lo stesso, il valore generato dalla componente del servizio commerciale , può rappresentare un’importante fonte di differenziazione dell’offerta. La formula distributiva e i relativi servizi commerciali divengono pertanto – a parità di prodotto – un elemento di differenziazione dell’offerta.

Tale affermazione può stimolare l’interesse di molti product managere assillati dalla costante ricerca di nuovi elementi di differenziazione della propria offerta.

In questo caso, il contenuto innovativo dell’offerta è da ricondurre non tanto al prodotto quanto al servizio commerciale a esso associato, che può assumere per il cliente un’utilità e una rilevanza non trascurabili.

Una volta accertata l’entità del valore dei servizi commerciali per il cliente, gli sbocchi distributivi possono assumere il ruolo di importanti fattori innovativi di differenziazione dell’offerta e di segmentazione dell’intera strategia di marketing aziendale.

6.5 La gestione della multicanalità: dal conflitto alla coopetition

La multicanalità spesso non viene sfruttata dalle imprese per il timore di cannibalizzazione fra canali e di possibili conflitti con gli intermediari tradizionali, che si vedono in questo modo traditi dall’impresa. Quindi si è tradizionalmente interpretata la multicanalità in una visione essenzialmente competitiva e conflittuale.

Nella prospettiva delle imprese industriali, la creazione di nuovo valore per il cliente passa invece attraverso un’interpretazione della multicanalità da competitiva a coopetitiva.

Operativamente, questo implica studiare strategie di accrescimento dell’ubiquità della marca (multi-point strategy), in una prospettiva di differenziazione dell’offerta.

In questo modo si rende possibile il passaggio da un approccio alla multicanalità di tipo esclusivamente competitivo a una prospettiva che permette una sorta di collaborazione implicita fra canali apparentemente concorrenti (coopetition).

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L’impresa industriale che intende implementare strategie multicanali , incrementando la propria presenza in diversi formati distributivi per sfruttarne l’effetto differenziante e accrescere le possibilitàdi contatto con il consumatore, ha 3 vie principali per gestire tale attività senza impattare negativamente sul suo patrimonio distributivio (channel equity) e sulla sua brand equity:

- Selezionare nuovi sbocchi nettamente differenziati sul piano dei servizi commerciali rispetto a quelli già esistenti;

- Differenziare i brand o i formati di prodotto ove si verifichi una sovrapposizione nel servizio commerciale prodotto dai nuovi canali rispetto a quelli tradizionali

- E garantire comunque nell’ambito dei nuovi canali le medesime condizioni di contesto che hanno determinato la brand equità esistente, evitando così che questa venga depauperata in seguito alla commercializzazione in canali non coerenti con la brand image.

Nei casi in cui per vari motivi (riconducibili ad esempio ad una politica di differenziazione non adeguata), dovessero presentarsi problemi connessi a una gestione non ottimale della multicanalità, questi vanno comunque gestiti ex post. Infatti, la mancata reazione da parte dell’impresa può risultare ancora più dannosa.

Le azioni di recovery più frequenti sono:

- Chiara comunicazione verso il mercato dei distributori- La condivisione del problema con i soggetti danneggiati- Il ritiro del prodotto o la sospensione delle forniture e la discriminazione negativa- E la minaccia di rifiuto del rinnovo dei contratti.

CAPITOLO 10 – LA MARCA COMMERCIALE

10.1 Concetto e tipologie di <<marca commerciale>> o private label

10.1.1 il concetto di marca

Per marca si intende “un nome, termine, simbolo, segno, disegno,o combinazione di questi, che mira a identificare i beni o i servizi di un venditore o gruppo di venditori e a differenziarli da quelli dei concorrenti” (A.M.A. 1960).

La marca riveste da oltre un secolo un ruolo centrale nei mercati al consumo, svolgendo alcune funzioni che si traducono in valori o benefici per i consumatori.

Le principali funzioni che una marca assolve sono:

- identificazione (consente ai consumatori la riconoscibilità dei prodotti, nel tempo e nello spazio). Il beneificio per il consumatore è una riduzione dei costi di ricerca del prodotto.

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- orientamento (il consumatore può raccogliere e organizzare informazioni relative a un prodotto, agevolando così le possibilità di confronto con altre alternative) beneficio come sopra

- garanzia (gli investimenti che i produttori sostengono per sviluppare e pubblicizzare i prodotti contraddistinti da una marca comportano dei costi fissi che hanno ragione di essere sostenuti soprattutto se il prodotto è effettivamente valido dal punto di vista qualitativo. Beneficio = rassicurazione e riduzione dell’incertezza associata all’acquisto del prodotto.

- Personalizzazione (a ciascuna marca vengono solitamente associati dei significati simbolici e una capacità di aderenza a precise esigenze del consumatore)

10.1.2 il concetto di marca commerciale

Si definiscono marche commerciali o private label tutti quei prodotti che, anziché con il nome o con il marchio del fabbricante, vengono proposti al consumatore con un marchio o nome di proprietà di un distributore commerciale che ne garantisce direttamente il livello qualitativo (Carmignano 1993).

10.1.3 le tipologie di marca commerciale

Sul mercato esistono diverse tipologie di marca commerciale, ciascuna caratterizzata da elementi peculiari che riflettono una diversa strategia e politica seguita dal distributore.

Kumar e Steenkam propongono una classificazione in base alla consumer proposition utilizzata nella competizione con altri brand – industriali e commerciali – :

si distinguono:

- generic private label e copycat label che competono sul prezzo;- premium store brand, che competono sulla qualità;- value innovators own label, che competono sulla razionalità proponendo un diverso livello di

business. Generic private label = si riferisce a un’alternativa indifferenziata con un packaging poco curato e spesso un brand name generico o identificata come primo prezzo . viene proposta al cliente come la più economica / conveniente

Copycat brand si riferisce a imitazioni (mee-too, spesso derivanti da processi di revrse-engineering) di prodotti proposti con altri brand di cui mantengono il livello qualitativo, offerti ad un prezzo conveniente.

I premium store brand sono stati introdotti, in tempi relativamente più recenti, nel tentativo di conseguire una certa differenziazione rispetto ad altri brand industriali e commerciali. Si distinguono in:

1. premium-lite store brand che rispondono alla consumer proposition <<migliore e più conveniente>>

2. premium-price store brand, che rispondono alla consumer proposition <<il meglio che puoi acquistare>> essendo al tempo stesso superiori nel prezzo e nella qualità, rispetto ai brand industriali di riferimento.

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I VALUE INNOVATOR si propongono di offrire il miglior rapporto performance-prezzo. Hanno solitamente una qualità allineata ai brand leader ma vengono rimosse le caratteristiche di prodotto che non aggiungono valore, conseguendo così risparmi di costi che consentono di proporli alla clientela a un prezzo decisamente competitivo.

In Italia vi è una classificazione di marche commerciali più articolata, che distingue queste ultime in:

1. Generici; sono prodotti senza marchio e spesso con il solo nome generico del prodotto, utilizzati dal distributore che intende proporre un’alternativa di acquisto ai consumatori che ricercano esclusivamente un vantaggio di prezzo.

2. Generici garantiti o prodotti bandiera simili ai “generici” ma caratterizzati da un rapporto qualità/rezzo superiore (si tratta dell’antimarca ideata dal rettile Carrefour nel 1976)

3. marchi di fantasia che non identificano il produttore (nomi o simboli utilizzati per singoli prodotti o categorie di prodotto che non consentono l’identificazione del distributore. Vengono solitamente apposti su prodotti con un livello qualitativo paragonabile alle marche industriali ma proposti a prezzi inferiori)

4. marchi di fantasia che identificano il produttore (marchi specializzati per tipologia merceologica che consentono l’identificazione del distributore. Ciò permette a quest’ultimo di limitare eventuali effetti negativi dovuti all’insuccesso di un marchio, che non si ripercuotono così sugli altri marchi con cui è presente in altri comparti)

5. marca insegna comune a tutte le referenze ( caratterizzati dall’identificazione del prodotto venduto con l’insegna del distributore. La coincidenza della marca commerciale con l’insegna rivela l’impegno del distributore ad assumere piena responsabilità nei confronti dei consumatori)

6. marca insegna per tipo di segmento merceologico o marchio ombrello (sono tipicamente lo stadio successivo di sviluppo dei marchi insegna. Il distributore volendosi contrapporree all’offerta industriale, ne adotta pienamente le logiche di innovazione e differenziazione del prodotto. Segmenta così i mercati finali e definisce per ciascuno una precisa politica di posizionamento e collocazione per fascia di prezzo, adottando marchi specifici e diversi in aggiunta al logo dell’insegna che funge da marchio “ombrello”.

10.2 L’origine e percorsi tipici di sviluppo della marca commerciale

In generale, la marca commerciale fa la sua comparsa parallelamente allo sviluppo della c.d. distribuzione moderna e all’intensificarsi della competizione tra diverse insegne e si propone come elemento di rottura nei rapporti nel canale distributivo tra le imprese industriali e le imprese commerciali.

10.2.2 motivi che spingono il distributore a introdurre prodotti a marca commerciale

Diversi sono i motivi che possono indurre oggi un distributore a ricorrere alla marca commerciale

1. “obiettivi di recupero dei margini”(si tratta di realizzare margini unitari relativamente elevati rispetto alla media di categoria)

2. “obiettvi di riduzione del potere dell’industria” (le m.c. rappresentano una minaccia per le vendite delle imprese industriali, specie per quelle che non riescono a proporre prodotti innovativi, unici e distintivi. Ciò tende a ridurre il potere dell’industria)

3. “obiettivi di razionalizzazione dell’assortimento”

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(consistono nell’offrire alternative di prodotto e di prezzo rispetto alle marche industriali che compongono l’assortimento di categoria)

4. “obiettivi di riduzione della trasparenza prezzi” (si tratta di differenziare l’assortimento rispetto alle imprese commerciali concorrenti, introducendo prodotti “unici” e di ridurre la trasparenza verso queste , consentendo di rompere l’uniformità negli assortimenti dei negozi )

5. “obiettivi di differenziazione dell’insegna e di fidelizzazione del consumatore all’insegna” (si utilizzano i prodotti a marca commerciale, acquistabili unicamente presso una data insegna e caratterizzati da un certoprofilo in termini di qualità, innovazione e prezzo, come veicolo per comunicare i valori aziendali)

10.2.3 le fasi tipici del ciclo di vita di una marca commerciale

È possibile individuare 4 fasi tipiche nel ciclo di vita della marca commerciale, note anche come “generazioni” di marca commerciale.

Prima Generazione. Caratterizzata da m.c. del tipo generici o fantasia apposte su prodotti che sono semplici imitazioni degli analoghi prodotti di marca industriale, speci se appartenenti alle merceologie a maggior rotazione, che vengono vendute a prezzi molto inferiori.

Seconda Generazione.

Nella seconda fase la m.c. viene apposta su prodotti con giusto compromesso fra qualità e prezzo (detti value-for-money). La competitività delle private label in questa fase non è fondata esclusivamente sui prezzi convenienti come nella prima fase.

Terza Generazione.

La terza fase è quella della marca insegna, in cui i distributori acquistano nei confronti dell’industria una maggiore autonomia di marketing. Gli standard qualitativi dei prodotti a m.c. sono ancora più elevatio rispetto a quelli della fase precdente e, in alcuni casi, anticipano alcune tendenze di mercato.

Quarta Generazione.

Nella quarta fase è presente una m.c. di tipo premium, i cui prodotti sono a elevato contenuto di inoovazione. Il distributore interviene pesantemente nella definizione delle caratteristiche dei prodotti che continuano a essere realizzati da fornitori o per i quali talvolta si integra persino a fase di produzione.

Queste 4 fasi non si escludono fra loro nel senso che è possibile ritrovare nei punti vendita prodotti appartenenti alle diverse generazioni di marca commerciale.

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- stadi di progettazione m.c. –- prima del lancio vengono condotte analisi di fattibilità mentre la gestione del prodotto a m.c.

richiede la scelta della categoria in cui proporre una certa tipologia di private label , la definizione degli standard di prodotto e la stesura del capitolato, la selezione del/i fornitore/i e la gestione del rapporto di fornitura, il controllo sistematico e la gestione nel punto vendita.


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