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ordinanza 25 maggio 2004; Pres. Frallicciardi, Rel. Perrino; P.m. c. Leone (Avv. Ruggiero)

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ordinanza 25 maggio 2004; Pres. Frallicciardi, Rel. Perrino; P.m. c. Leone (Avv. Ruggiero) Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 12 (DICEMBRE 2004), pp. 3523/3524-3527/3528 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23200167 . Accessed: 28/06/2014 08:24 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 141.101.201.167 on Sat, 28 Jun 2014 08:24:00 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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ordinanza 25 maggio 2004; Pres. Frallicciardi, Rel. Perrino; P.m. c. Leone (Avv. Ruggiero)Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 12 (DICEMBRE 2004), pp. 3523/3524-3527/3528Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200167 .

Accessed: 28/06/2014 08:24

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3523 PARTE PRIMA 3524

Come si potranno costringere i coniugi ad adempiere gii ob

blighi reciproci previsti dall'art. 143 c.c. («alla fedeltà, all'assi

stenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse

della famiglia e alla coabitazione»)?

Eppure nessun dubbio vi è sulla ragionevolezza e sulla legit timità costituzionale delle norme che quegli obblighi affermano

e disciplinano. Per di più, proprio gli odierni ricorrenti chiedono in questo

procedimento l'adozione di un ordine al convenuto che, ove

adottato, sarebbe comunque materialmente incoercibile.

Nella materia di cui qui si discute, peraltro, si può confidare

nella correttezza che i medici — sensibili come l'odierno con

venuto ai propri doveri deontologici (nella comparsa di costitu

zione e risposta vengono espressamente citati proprio i doveri

deontologici del medico) — metteranno nel doveroso rispetto della legge e nella non complicità in condotte di fraudolenta

elusione della stessa.

14. - Ancora, nel ricorso si osserva che «nella legge inoltre

non è prevista alcuna deroga all'obbligo di impianto se non

quella di forza maggiore di natura temporanea. Tale carenza as

sume i crismi della illogicità ove si consideri che alcune gravi malformazioni dell'embrione e alcune patologie come quelle citate non consentirebbero all'embrione di vivere o di nascere

vivo o addirittura comportano il rischio di generare delle pato

logie ostetriche gravissime, quali la 'mola vescicolare' (ad

esempio, i casi, per altro non infrequenti, in cui gli embrioni

presentano un numero doppio o alterato di cromosomi 'aneu

ploidie'). Sicché non prevedere in assoluto la possibilità di non

procedere all'impianto creerebbe un sicuro danno per la salute

della donna, senza per contro alcuna utilità di protezione del

l'embrione (in violazione dello stesso art. 1 della legge)». Si tratta di affermazioni incoerenti con il dato normativo e,

con evidenza, pretestuose. Infatti, se il trasferimento nell'utero degli embrioni potesse

causare alla donna il rischio di gravi malattie, ciò costituirebbe

certamente, ai sensi del 3° comma dell'art. 14 1. 40/04, «grave e

documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute

della donna» che legittimerebbe la crioconservazione degli em

brioni e, ai sensi del 1° comma dello stesso art. 14 (se interpre tabile nei termini sopra ipotizzati), il ricorso alle pratiche della 1.

194/78. 15. - In quest'ottica appare logico che il 5° comma dell'art.

14 preveda che gli aspiranti genitori debbano essere informati, «su loro richiesta, sullo stato di salute degli embrioni prodotti e

da trasferire nell'utero» e illogiche sono le considerazioni svolte

dai procuratori dei ricorrenti in ordine a una asserita «inutilità»

di quella disposizione normativa.

16. - Infine, nel ricorso si lamenta il fatto che la legge con

consenta agli aspiranti genitori di selezionare gli embrioni e si

denuncia l'incostituzionalità di essa perché «la mancata inclu

sione di tali situazioni nella normativa della 1. n. 40 del 2004 se

interpretata come una netta e definitiva esclusione viene a con

figurare non solo una scelta del legislatore non opportuna o

'crudele' (per le conseguenze dolorose che verrebbero a deter

minarsi), ma anche un palese contrasto con i principi di ugua

glianza, di tutela della persona e di tutela della salute intesa co me integrità psicofisica (art. 3, 2 e 32)».

E difficile, francamente, capire in che senso non soddisfare la

pretesa di una coppia di produrre un numero indeterminato di

embrioni da selezionare, conservando o eliminando quelli ma

lati e impiantando quelli sani, violerebbe i principi di ugua glianza (?) e di tutela della persona e il diritto alla «salute intesa

come integrità psicofisica». Con riferimento a questi ultimi due

beni vale la pena di sottolineare come non faccia parte dei diritti della persona né della sua integrità psicofisica la possibilità di

selezionare eugeneticamente i suoi figli. Le questioni di costituzionalità prospettate dai procuratori dei

ricorrenti sono, quindi, tutte manifestamente infondate.

17. - Il ricorso va rigettato.

Il Foro Italiano — 2004.

TRIBUNALE DI NAPOLI; ordinanza 25 maggio 2004; Pres. Frallicciardi, Rei. Perrino; P.m. c. Leone (Avv. Ruggiero).

TRIBUNALE DI NAPOLI;

Società — Società a responsabilità limitata — Revoca giudi ziale del liquidatore dimissionario — Ammissibilità — Limiti (Cod. civ., art. 2487).

Società — Società a responsabilità limitata — Revoca giudi ziale del liquidatore — Giusta causa — Fattispecie (Cod.

civ., art. 2487).

Può essere disposta dal tribunale la revoca per giusta causa del

liquidatore di società di capitali (nella specie, di società a re

sponsabilità limitata) anche qualora si sia dimesso dalla ca

rica, fin quando non si sia provveduto alla nomina del suc

cessore. (1) Costituisce giusta causa di revoca del liquidatore di società di

capitali (nella specie, di società a responsabilità limitata), in

quanto fa venir meno il rapporto di fiducia che lo lega alla

società, la circostanza che egli abbia venduto immobili so

ciali ad amici e conoscenti, ad un prezzo notevolmente infe riore a quello indicato dall'ufficio catastale, senza preventiva

adeguata pubblicità, nonostante le riserve manifestate dal cu

stode giudiziario della quota di maggioranza e dopo aver re

vocato la convocazione dell 'assemblea, in un primo tempo da

lui stesso disposta proprio per farsi autorizzare a quella ven

dita. (2)

(1-2) Sulla possibilità di procedere alla revoca giudiziale per giusta causa del liquidatore dimissionario non constano precedenti.

Sulla c.d. prorogatici, ovvero la permanenza in carica del liquidatore dimissionario sino alla sua regolare sostituzione, la pronuncia in epigra fe cita Trib. Verona 20 maggio 1980, Foro it.. Rep. 1981, voce Società, n. 339, e Giur. merito, 1980, 1036, cui adde Cass. 18 novembre 1961, n. 2698, Foro it., 1962,1, 479, e App. Napoli 4 agosto 1951, id., 1952, I, 233; in dottrina, cfr. Alessi, I liquidatori di società per azioni, Tori

no, 1994, 103. Circa la «giusta causa» di revoca del liquidatore, presupposto obiet

tivo affinché la revoca possa essere pronunziata giudizialmente, si regi strano numerosi precedenti.

Talvolta la giurisprudenza ha individuato specifici comportamenti del liquidatore che integrano la giusta causa di revoca: ad esempio, la sua persistente inerzia (Trib. Milano 20 novembre 2000, Foro it., Rep. 2001, voce cit., n. 928, e Società, 2001, 473, con nota di Fregonara, La revoca del liquidatore per giusta causa; Trib. Torino 26 maggio 1986, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 651, e Giur. piemontese, 1986, 605); il mancato deposito del bilancio (Trib. Milano 7 luglio 1995, Foro it.,

Rep. 1996, voce cit., n. 842, e Giur. it., 1996,1, 2, 114); la mancata se

gnalazione ai soci delle irregolarità commesse dai precedenti ammini stratori ed il non essersi attivato per eliminarne gli effetti dannosi (App. Salerno 12 febbraio 1993, Foro it.. Rep. 1994. voce cit., n. 690, e Giur.

it., 1994, I, 2, 780, con nota di Spagnuolo, Questioni in tema di con trollo giudiziario sulle società di capitali). Trib. Roma 9 aprile 1986

(Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 650, e Società, 1986, 1208, con nota di Morano, Responsabilità per le omissioni del liquidatore di società di fatto) ha invece negato la sussistenza di una giusta causa di revoca del liquidatore che ha omesso le proprie attività non per negligenza, ma

per la mancanza di mezzi finanziari che avrebbero dovuto essere anti

cipati da un socio. Più spesso nella casistica giurisprudenziale si rinvengono riferimenti

a criteri ampi ed elastici per l'individuazione della giusta causa di re voca, quali la contrarietà dell'operato del liquidatore alla legge o al l'atto costitutivo della società (Trib. Vicenza 10 novembre 1983, Foro

it., Rep. 1984, voce cit., n. 808, e Dir. fallim., 1984, II, 198), alla dili

genza del buon padre di famiglia (Trib. Napoli 16 aprile 1984, Foro it., 1984,1, 2877), ovvero, come nella pronuncia in epigrafe, alla diligenza «qualificata» ex art. 1176, 2° comma, c.c. laddove tale contrarietà inci da sul rapporto di fiducia intercorrente tra liquidatore e società (cfr., nello stesso senso, Caiafa, Società: scioglimento e liquidazione, Pado

va, 1987, 224 s.). In dottrina, per un'efficace rassegna, v. Niccolini, Scioglimento, li

quidazione ed estinzione della società per azioni, in Trattato delle so cietà per azioni diretto da Colombo e Portale, Torino, 1997, 7, III, 582-584; Alessi, op. cit., passim.

Prima della riforma del diritto societario, la fonte dell'obbligo di di

ligenza incombente sul liquidatore di società di capitali si rinveniva nel rinvio che il previgente art. 2452, 1° comma, c.c. operava all'art. 2276 c.c. (in punto di obblighi e responsabilità dei liquidatori di società di

persone) ed all'ulteriore rimando contenuto in quest'ultima norma al l'art. 2393 c.c. (sulla responsabilità degli amministratori). La riforma ha introdotto, all'art. 2489, 2° comma, c.c., la disposizione secondo cui «i liquidatori debbono adempiere i loro doveri con la professionalità e

diligenza richieste dalla natura dell'incarico», rinviando alle norme

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

In fatto. — Con ricorso depositato il 16 febbraio 2004, reite

rato con precisazioni ed integrazioni il successivo 29 marzo, il

pubblico ministero ha riferito che, a seguito del sequestro con

servativo adottato dal giudice penale ed avente ad oggetto le

quote di S.i.p.c. - Società immobiliare Porto Cervo a r.l., appar

tenenti ad alcuni imputati di reato di bancarotta fraudolenta, il

tribunale ha revocato l'organo amministrativo della società, so

stituendolo con un amministratore giudiziario, al quale è stato

affidato il compito di rimuovere le irregolarità della gestione societaria. Verificatasi una causa automatica di scioglimento, l'amministratore giudiziario è stato sostituito da un liquidatore, nominato dal presidente del tribunale in base all'art. 2450, 3°

comma, c.c. (nel testo antecedente alla riforma). L'odierno ricorso è volto ad ottenere la revoca del liquidato

re. La giusta causa della revoca è ravvisata nelle sue seguenti condotte:

1) nell'alienazione, avvenuta nel maggio 2003, ad amici e

conoscenti del liquidatore, senza alcuna forma di pubblicità, di

tre appartamenti di S.i.p.c. s.r.l. siti in Rivisondoli, ad un prezzo di molto inferiore a quello indicato dall'Ute de L'Aquila, nono

stante le vibrate proteste del custode giudiziario delle quote og

getto di sequestro e sebbene non emergesse una situazione de

bitoria gravosa alla quale far fronte con le vendite;

2) nella valutazione, pari ad euro 371.000, dell'ultimo im

mobile della società, sito in Massalubrense, compiuta dal liqui datore, a fronte di quella, pari ad euro 700.000 operata, su im

pulso del custode giudiziario, da un'agenzia specializzata del

settore;

3) nell'inottemperanza del liquidatore all'invito del custode

giudiziario di comunicare la reale situazione patrimoniale non

ché i pagamenti ricevuti e compiuti nel corso della liquidazione.

Disposta la comparizione delle parti, è comparso il liquidato re, assistito da difensore, il quale ha contestato le censure mos

se, producendo note difensive, alle quali ha allegato documenta

zione.

Sono stati concessi, su richiesta delle parti, termini per il de

posito di note.

All'esito, il procedimento è stato riservato in decisione.

In diritto. — In via preliminare di merito, il liquidatore ha de

dettate in tema di responsabilità degli amministratori per quanto con cerne «i danni derivanti dall'inosservanza di tali doveri». Sul punto, il tribunale appare seguire l'interpretazione più ampia del nuovo art. 218

disp. att. c.c. — che dispone, al 1° comma, che «le società in liquida zione alla data del 1° gennaio 2004, sono liquidate secondo le leggi anteriori» —, accordando rilevanza anche a previgenti norme (quale quella sull'obbligo di diligenza) di carattere non strettamente procedi mentale (v., per la tesi alternativa, Parrella, in La riforma delle so cietà a cura di Sandulli e Santoro, Torino, 2003, 3, sub art. 2487 c.c.,

262). Sulla questione (sebbene non affrontata direttamente dalla pronuncia

in epigrafe) del carattere — camerale o, secondo l'orientamento preva lente nel regime previgente, contenzioso — del procedimento di revoca del liquidatore di società di capitali, si rimanda ai richiami effettuati

nella nota a Trib. Piacenza, decr. 22 aprile 2004, in questo fascicolo, I, 3528. In base all'art. 33 d.leg. 17 gennaio 2003 n. 5, sul nuovo processo societario, il procedimento deve ora celebrarsi secondo il rito camerale

(cfr. Trib. Udine 6 aprile 2004, Società, 2004, 1002, con nota di Disetti e Bergamaschi, La revoca del liquidatore ex art. 2275 c.c. e il nuovo

procedimento camerale-, Arieta-De Santis. Diritto processuale socie

tario, Padova, 2004, 560 ss.), salva l'eventuale prosecuzione della

controversia con il rito ordinario: v. art. 25-27 e 30-32 d.leg. 5/03 (così Niccolini, Sub art. 2395 c.c., estratto dal Commentario delle società di

capitali a cura di Niccolini e Stagno D'Alcontres, Napoli, 2004,

1749; cons, anche AA.VV., I procedimenti, in La riforma del diritto

societario a cura di Lo Cascio, Milano, 2003, 2, 340 ss.). Il 4° comma dell'art. 2487 c.c. introdotto dal d.leg. 17 gennaio 2003

n. 6, di riforma del diritto societario, riproduce pressoché integralmente il 4° comma del previgente art. 2450 c.c., salvo l'inciso sulle maggio ranze necessarie per una revoca assembleare dei liquidatori. Sulle im

plicazioni sistematiche derivanti dalla conservazione della legittima zione attiva in capo al pubblico ministero, in relazione all'eliminazione

di tale legittimazione (per ciò che concerne le società azionarie c.d.

«chiuse») a proporre il ricorso ex art. 2409 c.c., v. Niccolini, op. ult.

cit., 1748 s. Per ulteriori aspetti discendenti dal coordinamento della di

sciplina ex art. 2409 c.c. con quella della liquidazione, cons. Mainetti, in II nuovo diritto societario. Commentario diretto da Cottino, Bon

fante, Cagnasso e Montalenti, Bologna, 2004, sub art. 2409 c.c., 932

936. [M. Silvetti]

Il Foro Italiano — 2004.

dotto di aver proposto le proprie dimissioni dalla carica; ha pro dotto l'atto di convocazione dell'assemblea dei soci di S.i.p.c. s.r.l., fissata per il 26 maggio 2004 e finalizzata alla nomina di

un nuovo liquidatore. Le intervenute dimissioni non esimono il collegio dalla deci

sione.

Secondo l'elaborazione (pervero scarsa) della giurisprudenza, il liquidatore, cessato dall'ufficio per rinunzia o dimissioni, ri

mane in carica sino alla nomina del successore (v., con specifico

riguardo ai liquidatori, Trib. Verona 20 maggio 1980, Foro it., Rep. 1981, voce Società, n. 339). È stata reputata valida la deli

bera adottata dal consiglio d'amministrazione dopo la rinunzia

della maggioranza dei suoi componenti (Cass. 9 marzo 1976, n.

798, id., 1976,1, 1881; 24 gennaio 1975, n. 281, id., Rep. 1975, voce cit., n. 210); correlativamente, si è ritenuto che l'ammini

stratore dimissionario abbia diritto al compenso sino al mo

mento della sua effettiva sostituzione (App. Bologna 19 maggio 1979, id., Rep. 1980, voce cit., n. 220) e che gli amministratori

delegati abbiano diritto alla remunerazione ex art. 2389 sino alla

ricostituzione del consiglio (Trib. Milano 14 luglio 1969, id., Rep. 1970, voce cit., n. 201).

Passando al merito, la delibazione circa la sussistenza di una

giusta causa di revoca postula il giudizio sulla diligenza espli cata dal liquidatore nello svolgimento della sua attività, pur non

esaurendosi con esso.

L'art. 2276 c.c. richiama, a disciplina degli obblighi e delle responsabilità dei liquidatori, le disposizioni stabilite per gli amministratori. Trova quindi applicazione l'art. 2393 c.c., che

richiede all'amministratore la diligenza del mandatario; è in

dubbio, al riguardo, il richiamo alla diligenza contemplata dal

l'art. 1176, 2° comma, c.c., ossia alla diligenza «qualificata»,

esigibile da parte di chi abbia assunto il compito di gestire

un'impresa. Alla diligenza si associano, secondo i principi generali, pru

denza e perizia. La prima comporta il dovere di non compiere

operazioni arrischiate, che nessun avveduto imprenditore realiz

zerebbe; la seconda evoca la capacità di gestire, a fini liquidato ri, un'impresa, tenuto conto delle sue dimensioni e del suo og

getto nonché il possesso delle relative nozioni tecniche necessa

rie per decidere senza errori le operazioni liquidatorie. Prudenza e perizia avrebbero dovuto suggerire al liquidatore

di diffondere al massimo la notizia della messa in vendita di

immobili siti in zone turisticamente interessanti, al fine di

spuntare il miglior prezzo possibile. E senz'altro non risponde a

quest'esigenza la modalità, davvero minimale, di pubblicità adottata dal liquidatore, che si è limitato, secondo le sue stesse

dichiarazioni, ad affiggere «una locandina sul territorio», senza

precisare quando, dove e per quanto tempo sarebbe avvenuta

l'affissione. Strumento, questo dell'affissione, idoneo e neanche

in maniera efficace, a consentire la propagazione della notizia in

un ambito strettamente locale e per di più estremamente circo

scritto.

Ed infatti, entrambi gli acquirenti rientrano nella cerchia di

conoscenze del liquidatore: uno, De Matteo Augusto, ha dichia

rato di avere appreso della messa in vendita dei due apparta menti che ha acquistato direttamente dal liquidatore, del quale si

è professato «vecchia conoscenza»; lo stesso De Matteo ha rife

rito di conoscere da tempo l'acquirente del terzo appartamento, Busiello Daniela, «in quanto frequentavo la sorella maggiore Sabrina». Busiello Daniela, pur riferendo di aver appreso della

vendita «attraverso un annuncio posto nei pressi dell'edificio»,

ha dichiarato di conoscere, sia pure «di vista», il liquidatore. Tanto più prudenza e perizia avrebbero dovuto indurre il li

quidatore a diffondere al massimo la notizia della messa in ven

dita degli immobili, giacché egli disponeva delle valutazioni Ute del 7 ottobre 2003, provenienti da ufficio pubblico terzo ed

imparziale, che fornivano una stima sensibilmente più elevata di

quella risultante dalle consulenze da lui commissionate durante

il periodo di amministrazione giudiziaria, quando ancora non

era impellente la necessità di liquidare i beni. Alle stime dell'Ute, rileva il collegio, la giurisprudenza ascri

ve piena attendibilità, anche a fini probatori (al fine, ad esem

pio, di accertare la sussistenza dell'infedele fatturazione ed an

notazione di registri contabili — Cass. 5 marzo 1996, Manfredi,

id., Rep. 1997, voce Tributi in genere, n. 1958 — ovvero, per l'ufficio tributario, ai fini della determinazione dei ricavi).

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3527 PARTE PRIMA 3528

I due appartamenti venduti a De Matteo per euro 40.000 ed

euro 42.000, sono stati acquistati nel 1993 per il prezzo rispetti vamente di lire 70.000.000 e di lire 66.000.000, sono stati valu

tati dalFUte euro 110.000 ed euro 115.000 e dal perito euro

38.986 ed euro 41.410; l'appartamento venduto a Busiello Da

niela per la somma di euro 30.000, era stato acquistato per lire

41.250.000 ed è stato valutato dall'Ute euro 63.000 e dal con

sulente euro 29.620.

II liquidatore ha prospettato carenze nel procedimento valuta

tivo dell'Ute; l'Ute, dal canto suo, ha rilevato numerose incon

gruenze nei metodi di stima adottati dal consulente. E incisiva,

peraltro, la circostanza evidenziata dall'Ute che i valori immo

biliari a metro quadro nella zona, ad alta densità turistica, sono

nettamente superiori a quelli assunti dal consulente.

E invece irrilevante la circostanza dedotta dal difensore del

liquidatore, secondo cui un immobile in Pescasseroli, di superfi cie pari ai due appartamenti di Rivisondoli ceduti a De Matteo, è stato trasferito mediante aggiudicazione al prezzo di euro

13.737,76: anzitutto, si tratta di immobile sito in comune diver

so da quello di Rivisondoli; inoltre, è massima di comune espe rienza che la vendita forzata risenta, di norma, di condizioni più sfavorevoli rispetto a quelle che connotano la vendita conclusa

in libera contrattazione. Parimenti irrilevante è la valutazione

pari ad euro 30.790 della quota di cinque settimi di un immobile

sito in Roccaraso, valutazione anch'essa funzionale ad un pub blico incanto di una quota di un immobile sito in Roccaraso che

senz'altro ha risentito della circostanza che si trattasse appunto di una quota e non dell'intero immobile.

Questi dati sono irrilevanti ai fini del decidere soprattutto

perché una condotta diligente avrebbe dovuto ricercare il prezzo

migliore, non già attenersi ed accontentarsi di un prezzo repu tato equo da una consulenza, per di più contrastante con altra

valutazione.

Le modalità con le quali queste vendite si sono concluse evi

denziano la conclamata violazione dell'obbligo di diligenza in

combente sul liquidatore.

Questa conclamata violazione si è riverberata sulla lesione

del pactum fiduciae che avvince il liquidatore, sia pure di nomi

na giudiziaria, alla società, sostanziando la giusta causa di revo

ca (Cass. 21 novembre 1998, n. 11801, id., Rep. 1999, voce So

cietà, n. 835; Trib. Napoli 10 maggio 2001, id., Rep. 2002, voce cit., n. 696; Trib. Milano 15 novembre 1999, id., Rep. 2000, vo

ce cit., n. 686; Pret. Venezia 20 marzo 1991, id., Rep. 1991, vo

ce cit., n. 368). La nomina del tribunale si riduce alla designa zione; il rapporto fiduciario intercorre pur sempre con la socie

tà.

Esemplare, al riguardo, è la condotta incoerente e contrad

dittoria che il liquidatore ha tenuto in relazione alla convocazio

ne dell'assemblea e con riguardo alle vendite degli immobili. In

un primo momento, egli ha disposto la convocazione dell'as

semblea ponendo all'ordine del giorno «autorizzazioni vendita immobili società, approvazione bilancio al 31 dicembre 2002; determinazione del compenso del liquidatore». Nel corso del

l'assemblea il custode giudiziario del sessanta per cento delle

quote della società ha dato conto dei rilievi mossi dal curatore del fallimento di Italgest relativi anche alle vendite. Pur dispo sto il rinvio dell'assemblea al 29 aprile, in quella data l'assem blea non si è tenuta; compulsato dal custode giudiziario, il li

quidatore ha seccamente comunicato che «l'assemblea ordinaria del 29 aprile non si terrà né in quella data né in quella sede».

L'assemblea si è tenuta soltanto in data 26 giugno 2003 con, all'ordine del giorno, unicamente l'approvazione del bilancio. Nelle more, il 9 maggio 2003, il liquidatore aveva proceduto alla vendita degli immobili di Rivisondoli.

Ora, è indubbio che il liquidatore, in mancanza di espliciti criteri contenuti nella sua designazione ed in mancanza di indi cazioni dello statuto, possa procedere alla vendita dei beni so ciali senza necessità di delibere assembleari: l'attività di liqui dazione dei beni consiste giustappunto nella loro alienazione e riduzione a denaro. Ma la condotta del liquidatore, che ha rite nuto in un primo momento di coinvolgere l'assemblea, per poi mutare avviso a fronte delle difficoltà mossegli, ed ha proceduto senz'altro alle vendite, è condotta non lineare, che incrina il

rapporto fiduciario; secondo parte della giurisprudenza, essa vi ola anche l'obbligo di diligenza, ostacolando l'esercizio del controllo sulla gestione spettante ai soci (Pret. Venezia 20 mar zo 1991, cit.).

Il Foro Italiano — 2004.

In breve: alla violazione dell'obbligo di diligenza, che con

cerne l'omissione, da parte del liquidatore, delle cautele, delle

verifiche e delle informazioni preventive normalmente richieste

per scelte come quelle adottate si è saldata la condotta incoe

rente ed autoritaria tenuta dal liquidatore nei confronti dell'as

semblea e del custode delle quote di maggioranza (v., per un'accurata descrizione della giusta causa di revoca dell'ammi

nistratore, la motivazione di Cass. 28 aprile 1997, n. 3652, id.,

1998,1, 3247). Questi dati assorbono le ulteriori doglianze proposte dal pub

blico ministero ed integrano irrefutabilmente la giusta causa di

revoca.

TRIBUNALE DI PIACENZA; decreto 22 aprile 2004; Pres. D'Onofrio, Rei. Andretta; ric. Bosi.

TRIBUNALE DI PIACENZA;

Società — Società di persone — Liquidatori — Revoca giu diziale per giusta causa — Litisconsorzio nei confronti di tutti i soci (Cod. civ., art. 2275). t

Società — Società di persone — Liquidatori — Revoca giu

diziale per giusta causa — Domanda proposta con ricorso

nelle forme del rito camerale — Inammissibilità (Cod. civ., art. 2275; cod. proc. civ., art. 737).

L'azione di revoca per giusta causa di un liquidatore di una so

cietà di persone nominato dal presidente del tribunale, inci

dendo con effetto modificativo su di un rapporto plurisogget tivo a carattere unitario, dà luogo ad un litisconsorzio neces

sario nei confronti di tutti i soci. ( 1 ) Posto che il procedimento di revoca giudiziale dei liquidatori

per giusta causa ha natura contenziosa, è inammissibile la

domanda proposta ai sensi dell'art. 2275, 2° comma, c.c., con rito camerale anziché con un ordinario processo di co

gnizione. (2)

(1-2) In ordine alla prima affermazione, costante nel tempo, cfr., an cora di recente, Trib. Milano 26 ottobre 2002, Foro it., Rep. 2003, voce Società, n. 1090, e Giur. it., 2003, 508, e, in precedenza, Cass. 10 gen naio 1991, n. 173, Foro it., 1991,1, 451.

Assai dibattuta è invece la natura giuridica del procedimento di revo ca giudiziale dei liquidatori, per giusta causa, ai sensi dell'art. 2275, 2° comma, c.c.

La giurisprudenza di gran lunga maggioritaria è da sempre orientata nel senso che il giudizio di revoca abbia natura contenziosa e debba

quindi, di conseguenza, essere introdotto nelle forme del rito ordinario: v. Trib. Milano 26 ottobre 2002, cit.; 12 gennaio 1990, id.. Rep. 1990, voce cit., n. 872, e Riv. dir. comm., 1990, II, 243; Trib. Lecce 17 mag gio 1984, Foro it., Rep. 1985, voce cit., n. 708, e Società, 1985, 55; nel senso di ritenere applicabile il procedimento d'urgenza ex art. 700

c.p.c., v., da ultimo, Trib. Genova 4 maggio 2004, id., 2004, 1135. Le ragioni poste a fondamento dell'orientamento dominante sono le

gate — lo ricordano anche i giudici del Tribunale di Piacenza nel prov vedimento in rassegna — alla natura speciale del procedimento came rale, che non sarebbe estensibile al di là dei casi espressamente previsti dal legislatore; e all'idoneità del provvedimento di revoca a ledere l'interesse di un terzo, il liquidatore, così da determinare, almeno in astratto, un conflitto di interessi tra il diritto di controllo dei soci e l'interesse del liquidatore al mantenimento dell'incarico (potendo il se condo, per ipotesi, invocare il diritto al risarcimento dei danni ove sia accertato il difetto della giusta causa), contrasto che andrebbe risolto necessariamente nelle forme del giudizio di cognizione ordinaria.

L'opinione sin qui minoritaria, secondo cui il procedimento di revo ca è invece ascrivibile alla volontaria giurisdizione, potendo essere in trodotto nelle forme del rito camerale per essere deciso con decreto ai sensi degli art. 737 ss. c.p.c., è stata accolta, in passato, da alcuni giudi ci di merito, come Trib. Venezia 19 luglio 1990, Foro it.. Rep. 1992,

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