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ProVa maxi enDuro - dem.moto.itdem.moto.it/magazine/motoit-magazine-n-145.pdf · d’union tra le...

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All’Interno NEWS: M. Clarke I materiali compositi / Seconda parte | USA Parola d’ordine, Kansas City | MOTOGP: Rossi Il segreto è la passione, divertirsi | Yamaha ecco la livrea ufficiale MotoGP | MX USA: Stewart vince a Toronto Villopoto in difesa Numero 145 25 Marzo 2014 77 Pagine Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione motociclistica Scarica l’APP del Magazine | PROVA MAXI ENDURO | SUZUKI V-STROM 1000 da Pag. 2 a Pag. 13 Nico Cereghini Piloti, fumatori e coscienza del rischio Novità Rinnovate le Suzuki C800B e C1500BT MotoGP Qatar Marquez vince uno straordinario duello con Rossi Articoli e commenti
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All’Interno NEWS: M. Clarke I materiali compositi / Seconda parte | USA Parola d’ordine, Kansas City | MOTOGP: Rossi Il segreto è la passione, divertirsi | Yamaha ecco la livrea ufficiale MotoGP | MX USA: Stewart vince a Toronto Villopoto in difesa

Numero 14525 Marzo 2014

77 Pagine

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| prova maxi enduro |

SuzukI V-StRoM 1000

da Pag. 2 a Pag. 13

Nico CereghiniPiloti, fumatori e coscienza del rischio

NovitàRinnovate le Suzuki C800B e C1500BT

MotoGP QatarMarquez vinceuno straordinario duello con Rossi Articoli e commenti

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Suzuki V-Strom 1000

LA V-STROMDAL MiO

PuNTO Di ViSTADell’attesa nuova Suzuki

V-Strom 1000 vi abbiamo già parlato. Stavolta l’ho avuta io per le mani una giornata,

sulle piacevoli strade liguri, e voglio raccontarvi che cosa mi è piaciuto e cosa no

di Maurizio tanca

ProVa maxi enDuro

Prezzo 12.490 €

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L o scorso dicembre Moto.it ha pubblicato il test in anteprima della nuova Suzuki V-Strom 1000, provata dal nostro Andrea Perfetti durante il lancio alla stampa internazionale tenutosi

in Spagna, nella zona di Almeria. Le impressioni di Andrea sull’attesa Sport Enduro Tourer - così è catalogata ufficialmente la V-Strom made in Hamamatsu - al suo rientro dopo un’assenza di oltre 6 anni hanno catturato l’attenzione di tan-tissimi lettori e generato parecchi commenti (siamo a quota 200, al momento). Nell’ormai gremito quanto variegato segmento delle cosid-dette “maxi-enduro stradali”, la nuova 1000 di

Suzuki – l’avremo già letto, detto e ripetuto chis-sà quante volte fin prima che dal concept bike si trasformasse in prodotto finito – funge da trait d’union tra le omologhe “800” di BMW e Trium-ph e la nuova generazione di 1200 a due, tre cilin-dri e quattro cilindri, condividendo la cilindrata solo con la quadricilindrica Kawasaki Versys, moto tanto efficace su strada quanto estetica-mente discussa, perlomeno in Italia. Una filoso-fia, quella di Suzuki di non andare a inserirsi tra le più potenti (anche tanto di più) 1200, condivisa da moltissimi dei nostri lettori, ma anche da noi di Moto.it, convintissimi che un’ottima coppia e un’erogazione piacevole, abbinate a un peso tut-to sommato più che accettabile e a una ciclistica

facile e molto efficace, possano non far affatto rimpiangere i 150 cavalli di moto come Ducati Multistrada e KTM Adventure. Giorni fa, Suzuki Italia ha organizzato per la nuova V-Strom un press meeting in Liguria - nella fattispecie a San Lorenzo a Mare, vicino a Imperia - organizzato per i numerosi giornalisti italiani che per forza di cose non hanno potuto partecipare all’antepri-ma di Almeria. E ha nuovamente invitato Moto.it, nella fattispecie il sottoscritto, curioso e felice di saggiare le doti della nuova arrivata dopo aver più volte piacevolmente provato, a suo tempo, la progenitrice nata nel 2002, come del resto la ge-mella Kawasaki KLV prodotta nel 2004 e 2005 in seguito ad accordo di partnership tra i due

costruttori giapponesi, durato abbastanza poco. Del resto, un bel giro in moto non si rifiuta mai! Vien da sé che questa volta non starò ad elencar-vi per filo e per segno tutte le informazioni tecni-che e filosofiche già riportate in questo articolo. Mi limiterò quindi a raccontarvi le mie sensazioni in sella alla V-Strom 1000 durante un giro di qua-si 200 km organizzato da Suzuki sulle Alpi Liguri, lungo un percorso molto tortuoso e con alcuni tratti umidi o bagnati, e talvolta dissestati, senza però aver potuto saggiare la moto in autostrada. Cosa che però faremo certamente nel corso del-la comparativa che stiamo preparando, visto che la V-Strom 1000 l’abbiamo già in redazione. Nel corso dell’evento ho anche intervistato alcuni

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colleghi, per riportarvi anche i loro giudizi sulla nuova Suzuki: a loro ho chiesto una breve valuta-zione globale sulla moto, e una votazione media, da 0 a 10; e alla fine ho detto anche la mia, scor-dandomi però il voto, che per quanto mi riguarda è un buon 8½. Esteticamente la nuova V-Strom mi piacerebbe di più se avesse uno scarico più filante e meglio raccordato col collettore, e se il parafango anteriore fosse più corto nella parte posteriore: va bene la protezione in caso di piog-gia, ma, come sulla 650, in caso di bisogno si può sempre aggiungere un bel paraspruzzi da tenere sotto la sella. Per quanto mi riguarda, inoltre, monterei immediatamente i paramani e, soprat-tutto, il paramotore, dando la preferenza (esteti-ca) a quello di plastica: quel povero filtro dell’olio così esposto è decisamente brutto, oltre che in balia di sassi ed altro. Quanto alla posizione di guida, sono alto 1,76, sulla V-Strom mi son trova-to subito come a casa già da fermo. Ma vorrei poter posizionare la leva del freno anteriore più vicina alla manopola di quanto sia previsto dall’apposita rotellina di regolazione. Il serbato-io, ben raccordato con la sella, anteriormente

non mi sembra più imponente rispetto quello della sorellina 650. E la sella stessa mi è parsa sufficientemente confortevole, sebbene non come quella della progenitrice, perlomeno a me-moria. Piacevole la voce del V2 Suzuki, ovattato e di tono greve, senza noiosi sferragliamenti e rumori da attrito. Morbido il gas, e piacevolmen-te dolce la frizione; idem il cambio, che solo inse-rendo la prima da fermi è moderatamente rumo-roso, ma una volta in movimento si rivelerà notevole: col piede si avverte leggermente l’inne-sto della marcia, l’azione è comunque molto flui-da, mentre chi si diverte a guidare in scioltezza “appoggiando” le marce senza usare la frizione andrà ancor più sul velluto. Il bicilindrico Suzuki sfoggia un carattere assolutamente diverso dal progenitore della vecchia DL1000 (che peraltro era una versione addolcita di quello della sporti-va TL), rispetto al quale il nuovo differisce al 90%, tra interventi interni e di materiali. Niente più strappi a bassa velocità, ma una sorprenden-te fluidità di erogazione (un comportamento davvero rimarchevole per un V2 con pistoni da 100 mm), tanto che già da 1.800 giri, in sesta, si

può riprendere tranquillamente. Osservando le curve di potenza e coppia fornite da Suzuki (nelle quali peraltro non sono riportate le rispettive scale), è evidente la linearità di erogazione della potenza, ma anche il picco di coppia massima che si manifesta prestissimo: sono ben 10,5 kgm (103 Nm), quasi come sul vecchio motore (101 Nm), ma a soli 4.000 giri anziché 6.400, quindi c’è una bella differenza, perché ci si può muove-re velocemente tra le curve con una spinta note-vole fin da subito senza andar troppo su di giri, e usando meno il cambio: nella fattispecie viag-giando prevalentemente in terzo e quarta mar-cia, su percorsi abbastanza tortuosi. Sui tornanti molto stretti, invece, ci si trova dubbiosi sull’im-piegare la prima, un po’ “impiccata”, piuttosto che la seconda, in questo caso giocando ovvia-mente con la frizione. La spinta, comunque è

notevole, e continua con una verve ben più che soddisfacente anche tirando le marce fino alla zona rossa (9.000 giri) ed oltre. Tutto ciò ac-compagnati da vibrazioni davvero poco impor-tanti, spesso praticamente nulle. Bel motore, a mio avviso, specie per chi non abbia fregole da 150 cv, e se ne freghi delle mappature. Ma anche chi adora l’avantreno che punta al cielo anche senza dover usare la frizione avrà modo di go-dersela, a patto di escludere del tutto il controllo di trazione, ovviamente, altrimenti ci si pianta subito. Nel corso della nostra scorribanda tra curve e tornanti, il TC peraltro si è fatto sentire ben poco. Così come lo stesso Abs, in particolare davanti, dove l’impianto frenante è oltretutto molto pronto e potente, mentre dietro abusando del freno, qualche volta si è fatto sentire modu-lando un pochino la decelerazione, specie in

media

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discesa, com’è logico. Di questa Suzuki ho ap-prezzato davvero molto la neutralità di guida, peraltro per nulla stancante: l’approccio con lei si rivela subito confidenziale, l’avantreno è piutto-sto preciso, sincero e rassicurante anche quan-do si piomba su tratti sporchi o umidi, se non proprio molto bagnati, come su quelle belle stra-de liguri da giorni battute dal maltempo. E ho ap-prezzato molto anche le sospensioni, specie la forcella, molto migliore della vecchia: le tarature standard scelte da Suzuki sono più toniche che morbidone, e vanno bene un po’ per tutto. Co-munque sia, è tutto abbondantemente regolabi-le, quindi ci si può lavorare bene. Non abbiamo avuto modo di spingere oltre i 130 se non su un breve tratto, dove ho potuto anche verificare che la protezione dall’aria è più che sufficiente, spe-cie col plexiglass spostato al massimo in avanti. Un po’ d’aria si avverte sempre, ma a me piace così: voglio la visuale libera, non sopporto di

Bel motore, a mio avviso, specie per chi non aBBia fregole da 150 cv, e se

ne freghi delle mappature. ma anche per chi adora l’avantreno

che punta al cielo

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guardare attraverso un pezzo di plastica, e un minimo di aria attorno alla testa la devo sentire, a patto che non mi causi sbattimenti del capo. Par-lando di consumi, sono andato a curiosare sui computer di bordo di quattro moto facenti parte del test di gruppo, rilevando consumi medi varia-bili tra I 16 ed i 19,2 km/l, evidentemente conse-guenti a differenti modi di guidare, pur sullo stes-so percorso: la media calcolata è stata di 17,6 km/l. In conclusione, la nuova V-Strom è esatta-mente come me l’aspettavo dopo aver letto e ascoltato tutto su di essa, dai primi bozzetti in poi.

Casco: Caberg Duke HivizionGiacca: REV’IT! Legacy GTXGuanti: Klan K-GRI-i-0030Jeans tecnici: PROmo JeansStivali: Alpinestars Gran Torino Gore-Tex

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Suzuki V-Strom 1000 ABS € 12.490Tempi: 4Cilindri: 2Cilindrata: 1037 ccDisposizione cilindri: V-Twin 90°Raffreddamento: a liquidoAvviamento: EPotenza: 100 cv (73.53 kW) / 8000 giriCoppia: 10.5 kgm (103 Nm) / 4000 giriMarce: 6Freni: DD-D Misure freni: 310-260 mmMisure cerchi (ant./post.): 19’’ / 17’’Normativa antinquinamento: Euro 3Peso: 208 kgLunghezza: 2285 mmLarghezza: 865 mmAltezza sella: 850 mmCapacità serbatoio: 20 lSegmento: Enduro Stradale

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Nuove colorazioNi PeR Le Suzuki C800B e C1500BTLe versioni 2014 della serie Custom Suzuki si arricchiscono di nuove colorazioni per i modelli C800B, C1500BT e M1800RB

L a versione d’accesso alla gamma Su-zuki Intruder, il modello C800B, è di-sponibile nella versione in nero, una colorazione total black che coinvolge il

serbatoio, il codino, i cerchi ruote, le marmitte, i carter motore e via via tutti i dettagli e le so-vrastrutture. Il prezzo è di 8.750 euro. Il motore bicilindrico e la ciclistica sono in comune con il modello M800T, disponibile a 8.820 euro con le borse laterali: questa versione Intruder unisce i tratti classici delle custom a accenti stilistici moderni e accattivanti, della ciclistica e delle sovrastrutture, sulla quale risaltano gli scarichi cromati. Entrambe le versioni Intruder 800 sono depotenziabili a 35 kW, a beneficio dei motocicli-sti dotati di patente A2. Il bicilindrico a V da 1.462 cc raffreddato a li-quido e l’allestimento da GranTurismo sono gli elementi distintivi della Intruder C1500BT.

Contraddistinta dalle borse laterali integrate nel codino e dal plexiglass protettivo, la monocro-mia nera proposta per il 2014 coinvolge ogni ele-mento della Cruiser Suzuki, dalle sovrastrutture all’impianto di scarico, ed è studiata per esalta-re ulteriormente l’aspetto elegante e ricercato. Confermato il prezzo di 13.750 euro. 125 cv di po-tenza e l’esclusività del motore V-Twin da 1.783 cc sono due predominanti che rendono unica la M1800RB. L’esuberante Cruiser Suzuki, in ven-dita a 16.390 euro, unisce un design tradizionale con numerosi dettagli dallo stile moderno, dalla forcella a steli rovesciati al cockpit digitale, fino alla luce posteriore che sfrutta la tecnologia a LED. Le forme muscolose della M1800RB sono ulteriormente risaltate dalla colorazione bicolo-re, con il nero che predomina la parte meccanica e la fascia gialla longitudinale che esalta la sua aggressività.

News

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Nuova cliNica MobileDAL DOTTOR COSTA A MiCheLe zASAdi Edoardo Licciardello | Una toccante cerimonia ha segnato il passaggio del testimone da Claudio Costa, l’impareggiabile “dottorCosta”, al suo giovane erede Michele Zasa. Inizia un nuovo capitolo per la Clinica Mobile e per la riabilitazione dei piloti

C’ era tutta la Parma che conta, motociclisticamente parlando, al Centro Diagnostico Europeo – Poliambulatorio Della Rosa-

Prati. C’era Michele Rinaldi, primo italiano iridato nel cross nell’ormai lontano 1984, e c’era la sua erede spirituale Chiara Fontanesi, due volte

campionessa mondiale; c’erano i due Guareschi – Vittoriano e Gianfranco – che da piloti prima e tecnici poi masticano pane e moto da una vita, e c’era anche l’ingegner Gianpaolo Dallara, i cui te-lai sono stati l’anima di tante vetture da corsa in tutto il mondo. E c’erano altri grandi dello sport in trasferta, come Andrea Iannone ma

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soprattutto quella leggenda di Alessandro Za-nardi, che aveva un motivo particolare per esse-re lì. C’era anche tutto il giornalismo motociclisti-co sportivo, quello che vive in simbiosi con i paddock dei Mondiali velocità, perché c’era da essere testimoni di un evento storico. Lunedì 17 marzo, dopo 37 anni, Claudio Marcello Costa – il dottorcosta, tutt’attaccato come lo chiamano i piloti da tempo ormai immemorabile – ha passa-to il testimone a Michele Zasa e a Guido Della Rosa-Prati, che in vesti diverse ne raccolgono l’eredità. Michele sarà il vero erede del dottor Costa, Guido curerà l’infrastruttura e cercherà di fare si che, magari, tutte le esperienze maturate in un ambiente tanto estremo abbiano una rica-duta sul benessere di tutti noi, motociclisti e per-sone “normali”. La storia di Claudio Costa è ini-ziata su quell’autodromo di Imola creato da suo padre Checco. Nel 1957, in occasione della Cop-pa Shell, a soli sedici anni Claudio si gettò in pista per soccorrere Geoff Duke, caduto alle acque minerali. Lo trascinò fuori dalla pista e portò la sua moto fuori traiettoria, incorrendo nelle ire

del padre ma capendo di aver trovato la sua stra-da. Laureatosi in medicina nel 1967, cinque anni dopo si offrì assieme ad altri appassionati per fornire assistenza sanitaria ai piloti della 200 Mi-glia di Imola organizzata dal padre. L’iniziativa ebbe un grande successo, tanto che i piloti con-vinsero Costa a seguirli sulle piste del Mondiale; da lì alla nascita della prima Clinica Mobile, nel 1976 il passo è stato breve grazie soprattutto a Gino Amisano, l’indimenticato patron di AGV, che ha finanziato il sogno di Claudio. Poter di-sporre di un automezzo appositamente attrez-zato per interventi di primo soccorso anche complessi, adatti per fronteggiare le crisi post-traumatiche iniziali e consentire un più sicuro trasporto in ospedale. Quella prima clinica mobi-le, sostituita poi da una seconda più moderna nel 1988, ha salvato fior di piloti da infortuni deva-stanti quando non peggio – da Franco Uncini a Graziano Rossi, da Michael Doohan a Carlos Checa e Alberto Puig, per citare solo i più famosi – ma ha faticato spesso all’inizio a farsi accettare dai centri medici dei vari circuiti in cui si correva,

Attualità

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che si vedevano esautorati dai medici dello staff di Costa come avvenne nel 1989 a Hockenheim, quando la scellerata decisione di non consentire alla Clinica Mobile di intervenire prontamente ha tolto al compianto Ivan Palazzese qualche arma in più in una lotta contro la morte che forse avrebbe potuto vincere. Un bellissimo video, che ripercorre le tappe salienti della carriera di Co-sta, suscita commozione in tutti i presenti e nel Dottore per primo. Che, ricompostosi, spiega con la consueta saggezza le motivazioni della sua scelta. «Quando un maestro diventa vecchio ha tre possibilità: o non lascia nessun erede e la sua storia finisce con lui, oppure continua fino a quando anche i suoi allievi sono diventati troppo vecchi per continuare. Una terza possibilità è che si trovi un erede che abbia la sua stessa età quando ha iniziato. Ho scelto Michele Zasa, oltre che per le sue indubbie qualità di medico, perché

ha, mese più mese meno, 34 anni, la stessa età di quando ho iniziato» Zasa sorride, dicendo che in realtà di anni ne ha 35, ma Costa scherzosamen-te gli parla sopra con un perentorio «No, trenta-quattro». D’altra parte l’amore del dottorcosta per le leggende e le simbologie, del passato e del presente, è ben noto a chiunque abbia avuto modo di ascoltare i suoi spesso commossi elogi ai piloti che in lui hanno trovato un dottore tanto per il fisico quanto per l’anima. «Qui a Parma, poi, Zasa – ha concluso Costa – potrà contare sul supporto della struttura sanitaria di Guido Dalla Rosa Prati che è un centro all’avanguardia che saprà accompagnare il cammino della Clini-ca Mobile» La parola passa dunque a Zasa. Par-mense, l’erede di Costa è cresciuto in giro per i circuiti del Motomondiale. E’ stato lui, la scorsa stagione, a soccorrere Jorge Lorenzo dopo il suo terribile incidente di Assen e ad accompagnarlo

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in Spagna per l’operazione che gli ha consentito di correre quel capolavoro di gara che si è rivela-ta poi il Gran Premio d’Olanda. «Sono emoziona-to – ha dichiarato Zasa – e mi sento pieno di re-sponsabilità. Per portare avanti una storia come questa ci sarà bisogno di tanto lavoro e tanto impegno. Quando ho iniziato a collaborare con lui, nel 2009 all’autodromo di Imola, per me il dottor Costa era un mito: in questi anni mi ha in-segnato tanto, soprattutto l’amore incondiziona-to per i piloti e il valore della medicina per guarire l’anima» «Non sono il nuovo dottor Costa – si schermisce giustamente, ma con la sicurezza di chi conosce le proprie capacità, Zasa – ma cer-cherò di portare avanti al meglio questa sua cre-atura. Sui circuiti europei la Clinica Mobile potrà contare su 6 fisioterapisti e su 2 medici, un riani-matore ed un ortopedico. Abbiamo avuto la for-tuna di incontrare Guido Dalla Rosa Prati che è

un sognatore come noi e per far durare un sogno come quello della Clinica Mobile è la persona giu-sta» Guido Dalla Rosa-Prati è infatti un altro dei fattori che determineranno il successo dell’ope-razione. «È stato il dottor Costa a sceglierci per portare avanti la sua Clinica Mobile» spiega il pa-tron del Centro Diagnostico Europeo, che ospite-rà da oggi in avanti la Clinica Mobile. «Prima mi ha presentato il suo successore Michele Zasa e poi mi ha guardato negli occhi e mi ha chiesto se me la sentivo di portare avanti la sua creatura. La sanità è la mia passione, in famiglia siamo da sempre tutti medici. Ma sono anche uno sportivo appassionato delle due ruote, anche se a me le ruote piacciono quando si staccano da terra: mi piace volare (è pilota di alianti, NdR) e da oggi ho la possibilità di coniugare queste mie due passio-ni. La Clinica Mobile potrà contare sulle tecnolo-gie d’avanguardia e sugli specialisti del nostro

Attualità

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centro diagnostico che, senza falsa modestia, ha ben pochi eguali. Una nuova eccellenza per Par-ma che esporteremo in tutto il mondo» Non po-teva mancare infine Alessandro Zanardi, il pilota che assieme a Michael Doohan ha incarnato più di ogni altro quel trionfo della volontà umana sul-le difficoltà capace di infiammare l’anima di Co-sta, e probabilmente di offrirgli il miglior premio per la sua attività. Zanardi ha infatti recuperato la possibilità di camminare e di correre in auto (ma anche in moto – a suo tempo è stato prota-gonista di qualche giro della pista di Monza) gra-zie alle protesi sviluppate assieme al Dottor

Costa, che da allora è anche amico fraterno del pilota bolognese. «Anche se è vero che tutti sia-mo importanti ma che nessuno è indispensabile, questo per il dottor Costa non vale» tributa Za-nardi al dottorcosta. »Michele Zasa raccoglie un testimone non facile ma se Claudio, che è un uomo intelligente, ha scelto lui e Guido Dalla Rosa Prati vuol dire che si sente tranquillo» La presenza di Gianpaolo Dallara offre l’occasione per un simpatico siparietto fra Zanardi e Costa. Dovete sapere infatti che le hand-bike con cui Alessandro ha vinto diverse gare (nonché meda-glie alle paralimpiadi) vengono realizzate dai

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tecnici Dallara come progetti collaterali, al che Zanardi racconta un episodio che coinvolge tutti e tre. «Dovete sapere che sulla prima hand-bike realizzata avevamo un po’ esagerato con la leg-gerezza. Risultato: alla maratona di Padova, dopo pochi chilometri, un componente cede e io volo fuori, in un fosso, conciandomi piuttosto male. Il dottor Costa, che mi seguiva in moto, mi soccorre subito e mi dice “tranquillo, sta arrivan-do l’ambulanza”. Già osservando la sua espres-sione mi ero reso conto di non essere un bello spettacolo, ma capite bene che se Costa – il Dot-tor Costa – mi dice di lasciar stare, vuol dire che

sono poco meno che in fin di vita. Però non mi sentivo così male, anche se ero una maschera di sangue – mi sono fatto medicare, dare una ripu-lita, abbiamo sistemato la bici e sono ripartito. Ho spiegato a Costa che c’era mio figlio che mi aspettava all’arrivo in piazza, e per niente al mondo lo avrei potuto deludere. Insomma, è fini-ta che io sono ripartito e ho tagliato il traguardo, Costa ha avuto bisogno lui di cure mediche per-ché è svenuto dalla commozione…» Chiedete a qualunque pilota e di episodi del genere ne senti-rete raccontare a bizzeffe come confermano Ian-none e Rinaldi, entrambi aiutati dal Dottor Costa in epoche e modi diversi. Per questo, e non solo per le sue capacità tecniche, Costa lascia un’ere-dità pesantissima che Zasa ha una gran voglia di raccogliere. I Motorhome Renault (ce n’è diversi, per seguire al meglio i due Mondiali SBK e Mo-toGP) sono ospedali viaggianti , che da ora sa-ranno gestiti dai due eredi di Costa. «Sono emo-zionato e commosso, la Clinica Mobile è passione, vita e un dono che consegno ai miei eredi Zasa e il dottor Guido Dalla Rosa» ha chiuso Costa. «Spero che Dorna, che già sta facendo molto per migliorare la sicurezza dei piloti sotto tutti gli aspetti, mantenga la promessa di proteg-gere questa struttura. Io? Non vado in pensione, ma faccio un passo indietro. Mi vedrete ancora sulle piste e verrò al Mugello per salutare tutti i piloti. Molti li ho curati, alcuni anche salvati. Sa-ranno sempre nel mio cuore insieme ad Alex Za-nardi e ai miei tanti preziosi collaboratori».

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carabiNieri MotociclistiTuTTO SuLLe LORO MOTO e SuLLA LORO fORMAziONedi Andrea Perfetti | A Roma abbiamo incontrato Gianluca Sanzò, vice comandante dei Carabinieri motociclisti, che ci ha raccontato come si preparano e i segreti delle moto in dotazione

A Roma abbiamo incontrato il Sottote-nente dei Carabinieri Gianluca Sanzò (vice comandante della Terza Sezio-ne Motociclisti di Roma, inquadrati

nel Nucleo Radiomobile dei Carabinieri), che ci ha raccontato come si preparano gli operatori

dell’Arma e ci ha svelato i segreti delle loro moto in dotazione. Le moto nei Carabinieri hanno una storia che parte da lontano. L’accenno alla presenza di una motocicletta marca Frera nel parco motoristico del 1° Battaglione della Legio-ne Carabinieri di Roma porta a credere che nel

Attualità

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processo di motorizzazione dell’Arma dei Cara-binieri la motocicletta ebbe larga utilizzazione a partire dall’inizio del secolo scorso. Venne as-segnata in dotazione al Regio Esercito, e quin-di all’Arma, agli inizi del 1900. Nel febbraio del 1912 il Ministero della Guerra autorizzò gli uffi-ciali a guidare la moto per esigenze di servizio, subordinatamente alla loro capacità di guida. Qualcosa del genere era accaduto una ventina di anni prima con le prime biciclette. Inizialmente le motociclette venivano importate dall’estero (Excelsior e Indian). Prime motociclette italiane furono la Frera, col modello 2 1/2 HP del 1922, e la Borgo che importava le robuste motocarroz-zette americane Reading Standard, commercia-lizzandole in Italia col suo marchio applicato sul carrozzino. Fra le case italiane, subito dopo la Prima Guerra Mondiale, si affermarono in cam-po militare la Bianchi, che aveva ottenuto una

prima importante affermazione già nel 1913 col modello C75A 500, la Moto Guzzi e la Gilera. Pre-sto la moto divenne uno strumento essenziale all’espletamento delle funzionei dell’Arma, tan-to che il Comando Generale ritenne di emanare una circolare con la quale si davano disposizioni ai Comandi territoriali per la corretta manuten-zione e lubrificazione dei motocicli di nuova as-segnazione, nella circolare si chiedeva anche di avere la massima cura dei mezzi, perché, essen-do in gran parte importati dall’estero, erano mol-to costosi. Negli anni fra il 1928-1936 l’Arma di-sponeva di motociclette e di motocarrozzette in numero sufficiente a svolgere su tutto il territorio nazionale il servizio d’Istituto tradizionalmente assegnato ai reparti a cavallo. A partire dal se-condo dopo guerra la moto è diventata uno stru-mento di lavoro ordinario per i Carabinieri, che negli anni hanno utilizzato diversi modelli di Moto

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Guzzi (la scorta dei Carabinieri Corazzieri del Presidente della Repubblica impiega le California 1100), mentre oggi la marca più rappresentata è la tedesca BMW (scelta per altro dalla maggior parte delle Forze dell’Ordine di molti Paesi este-ri). Roma ospita un reparto di Carabinieri unico in Italia, è infatti il solo a disporre esclusivamente di mezzi motorizzati a due ruote e vi lavorano ol-tre 100 uomini.

Tenente Sanzò, ci spieghi la presenza dei Ca-rabinieri a roma, alla fiera motodays. È un evento dedicato ai giovani, perché l’arma ci tiene ogni anno a esserci?«La nostra è l’unica sezione in Italia che lavo-ra esclusivamente con le moto. Motodays è un’occasione per incontrare i cittadini, in parti-colare i giovani. Da qualche anno partecipiamo,

mostrando i veicoli che dalla fondazione dell’Ar-ma a oggi accompagnano il nostro servizio. Si parte dalla Moto Guzzi Alce del 1940 per arrivare alla BMW R1200RT di oggi».

Di cosa vi occupate e quante persone lavorano nel vostro reparto?«Siamo 100 carabinieri circa solo su Roma. Ci occupiamo di pronto intervento puro in primo luogo e di viabilità. Poi siamo responsabili della scorta di tutte le personalità nazionali e interna-zionali che transitano su Roma. Siamo inquadra-ti sia come pronto intervento che come scorta e viabilità quindi».

Che formazione ricevete?«Innanzitutto bisogna avere la patente A e pos-sedere una naturale attitudine a guidare la moto

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perché non basta il solo titolo di guida. Le nostre moto sono pesanti e ulteriormente appesantite per il servizio istituzionale. Quindi è necessario avere una attitudine che non tutti hanno, delle abilità innate. Il carabiniere che vuole fare par-te della sezione motociclisti deve fare doman-da, segue poi un periodo di prova. Se supera il periodo di prova, può rimanere nella sezione motociclisti. Sono ovviamente previsti corsi di aggiornamento professionale, perché nel tempo anche le procedure inerenti le scorte e le tecni-che operative di intervento cambiano e vengono perfezionate».

Le vostre moto sono elaborate o è il carabinie-re motociclista a fare la differenza?«Le moto sono identiche a quelle civili, la diffe-renza la fa l’abilità del carabiniere motociclista.

Considerate che il nostro operatore vive minimo minimo 6 ore sulla sella e con qualsiasi condi-zione meteo ogni giorno. È il servizio stesso che ti dà esperienza e preparazione. Il carabiniere motociclista passa tanto tempo in moto quoti-dianamente, va tenuto presente anche questo fattore».

Sfatiamo il luogo comune duro a morire che le moto dell’arma sono in qualche modo prepa-rate.«Le nostre moto sono identiche a quelle civili. Hanno una manutenzione ordinaria scrupolosa a cui si aggiunge una preparazione meticolosa del nostro personale. Sfatiamo questo luogo comune: non abbiamo mezzi particolari, siamo alla pari degli altri mo-tociclisti».

Attualità

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usaPAROLA D’ORDiNe, kANSAS CiTydi Pietro Ambrosioni | Da St. Louis siamo andati a visitare il parco del Gateway Arch e dopo aver capito che non “era aria” ci siamo diretti verso Kansas City. Sosta obbligatoria nella città fantasma Sweet Springs prima di raggiungere Kansas City

D opo aver saggiamente deciso di non girovagare troppo per St. Louis la sera prima (la città del Missouri è purtroppo tra le più pericolose in

America) la mattina successiva siamo andati a visitare il parco del Gateway Arch. La costruzio-ne, adagiata sulla sponda ovest del fiume Mis-sissippi, è il simbolo della città e rappresenta il punto di congiunzione tra l’Est degli USA ed il grande Ovest, il West. Il grande arco fu concepi-to nel 1933, disegnato e progettato nel 1947 ma costruito solo tra il 1963 ed il 1965, come tributo

all’espansione ad Ovest. È in acciaio inossidabile e rappresenta il monumento più alto degli USA e l’arco più alto del mondo (192 mt). Pretty im-pressive. Dopo aver scattato qualche foto all’ar-co, ci siamo avventurati per una paio di miglia lungo la zona industriale del vecchio porto fluvia-le. Ci siamo giusto fermati un attimo per fare due foto ad effetto, dopodiché è bastato uno sguardo attorno per capire che non “era aria” e ci siamo rimessi in autostrada. Parola d’ordine: Kansas City, 450 Km ad ovest, tutti dritti, dico DRITTI, con un caldo umido da abbattere un elefante

On the road

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indiano. E il peggio doveva ancora arrivare, solo che per fortuna non lo sapevamo... Vi risparmio la descrizione della noiosa tappa di trasferimen-to, salvo la breve sosta per mostrare a Sandro la ridente Sweet Springs, Missouri. Questo picco-lo villaggio ha lasciato in me un segno indelebile nel 2012 quando il BMW MOA Rally si è tenuto a poche miglia qui. Ricordo che un pomeriggio cer-cavamo un posto dove bere qualcosa e salvarci dalla canicola pomeridiana e siamo usciti proprio all’uscita di Sweet Springs sulla Interstate 40. Non c’era in giro nessuno, e l’unico locale aperto era di proprietà di una coppia di mezza età, che aveva deciso di aprire un bar dietro suggerimen-to dei loro pochi amici e conoscenti, in modo da avere almeno un punto di ritrovo. Mi ricorderò per sempre che la signora mi disse, quasi scher-zando: “Se consideri che ormai qui vivono meno di 200 persone e che nel cimitero ci sono 217 tombe, a Sweet Springs ci sono più morti che vivi”. Questo piccolo paesello è una città fanta-sma, svuotata dall’avvento delle enormi mieti-trebbie computerizzate, che hanno eliminato la necessita di manodopera nel business del grano, unica risorsa locale. In poche parole non fatevi illudere dal cartello “Welcome to Sweet Springs, MO - population 19.000”... ormai anche la locar sala da biliardo è crollata ed è una discarica in piena Main Street. Dopo aver rabbrividito al pen-siero di quello che Sweet Springs rappresenta, ci siamo rimessi in sella e abbiamo raggiunto

Kansas City. La città, a dispetto del nome, si trova ancora in Missouri, proprio sul confine del Kansas. In realtà ci sono due Kansas City (confu-si? Lo eravamo anche noi!), una in Missouri e una in Kansas. Quest’ultima, situata al di la dal fiume Missouri - che fa da confine - è un po’ tutta sgar-ruppata e abitata prevalentemente da ispanici. Quella in Missouri, invece, è quella “giusta”, dove ha mosso i primi passi musicali Charlie Parker, il re del Be Bop Jazz, e dove sono nati personaggi come Walt Disney, il presidente Harry Truman, i musicisti Count Basie, Pat Metheney, Pete John-son e Big Joe Turner, le attici Joan Crawford, Ginger Rogers e Jean Harlow, l’aviatrice Ame-lia Earhart e lo scrittore Ernest Hemingway. In centro, tra locali di musica e ristoranti etnici, ci sono anche una serie di murales che tributano un omaggio ai figli famosi di KC. Purtroppo noi ci siamo passati un lunedì sera per cui non è che ce la siamo potuta godere molto, dato che era quasi tutto chiuso. Di sicuro ci siamo però goduti la stanza dell’al-bergo/casinò affacciata sul fiume, dove abbia-mo strappato una tariffa da ostello della gioven-tù grazie al fatto che dopo i weekend di bagordi questi posti sono quasi sempre deserti. Visto che non possono chiudere, danno via le stanze a prezzi stracciati e ti regalano anche un credito di $25 (se non ricordo male) per attirarti alla roulet-te o ai tavoli del blackjack. No, thanks!

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MassiMo clarke“i MATeRiALi COMPOSiTi” SeCONDA PARTeSulle caratteristiche delle fibre spesso si hanno informazioni discordanti, a seconda delle fonti che si consultano. Nella loro applicazione strutturale le troviamo nei telaio, nelle ruote, nei caschi, eccetera

Tecnica

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S ulle caratteristiche delle fibre spesso si hanno informazioni discordanti, a seconda delle fonti che si consul-tano. La cosa si spiega in più modi.

Tanto per cominciare, non è corretto confronta-re le proprietà di un materiale in fibre con quelle di un materiale “massiccio”, cioè utilizzato sotto forma di barra, lastra, eccetera. Non di rado si sente parlare delle caratteristiche straordinarie di certe fibre “più robuste dell’acciaio”. In gene-re questa affermazione non è esatta. Se l’accia-io fosse esso pure sotto forma di fibre, avrebbe una resistenza a trazione eccezionale. In certi fili di acciaio di piccolo diametro (“piano wire”) si superano i 3000 MPa, e non si tratta ancora di fibre! Prima di procedere, è opportuno ricorda-re che la resistenza a trazione si misura in MPa (megapascal) e che 0,1 MPa corrispondono a 1 bar, ovvero, nelle vecchie unità di misura, a circa 1 kg/cm². Dunque, 3000 MPa corrispondono a circa 300 kg/mm². Per quanto riguarda il dia-metro delle fibre, questo è dell’ordine di alcuni micron; a rigore si dovrebbe parlare di microme-tri, ma in genere si usa il termine micron perché il micrometro è uno strumento di misura e si

preferisce evitare di chiamare due cose diverse con lo stesso nome. A ogni modo, un micron è un millesimo di millimetro. Fondamentali sono state le ricerche e le esperienze compiute a suo tempo dall’inglese Griffith, uno dei padri della scienza delle fibre e della meccanica della frattura. In un celebre esperimento questo ricercatore misurò la resistenza a trazione di una barra di vetro di piccole dimensioni (lo spessore era dell’ordine del millimetro) ottenendo un valore di 170 MPa. Subito dopo la portò a elevata temperatura e da essa riuscì a ricavare fibre del diametro di 2,5 micron (millesimi di millimetro), la cui resistenza a trazione risultò di circa 3500 MPa! Nell’ambi-to dei fili e delle fibre, poi, si constatò che mano a mano che diminuiva il diametro la resistenza cresceva. Quella di una fibra di carbonio che con un diametro di 12 micron è di 1500 MPa, passa a 2700 MPa se si porta il diametro stesso a 7 mi-cron. In questo caso una diminuzione del diame-tro del 42% ha determinato un aumento della re-sistenza dell’ordine dell’80%! Ci sono esempi di aumenti notevolmente maggiori, al diminuire del diametro. Le caratteristiche meccaniche delle fi-bre riportate dalle svariate fonti che si possono

Renard

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consultare possono essere anche notevolmente diverse. Questo si spiega principalmente proprio alla luce del fatto che sono state rilevate per fibre dello stesso materiale ma con diametri differenti. Inoltre, in qualche caso non è del tutto escluso che si sia fatto riferimento non alla fibra singo-la ma a uno strand (fascetto). Nel caso delle fi-bre di carbonio, poi, le caratteristiche cambiano sensibilmente, nell’ambito di uno stesso tipo, a seconda del materiale dal quale le fibre stesse sono state ricavate, cioè del “precursore”. Per quanto riguarda la resistenza a trazione, facen-do una media dei valori riportati in letteratura, si hanno 4500 MPa per la fibra di vetro S, 3600 MPa per il Kevlar 49 e 3500 MPa per la fibra di

vetro E. In quanto alle fibre di carbonio, i valori sono dell’ordine di 2700-3100 MPa per quelle ad alta resistenza (contraddistinte dalla sigla HT o HS) e di 1900-2400 MPa per quelle ad alto modulo (HM). Già passando a fascetti (strands) impregnati di matrice la resistenza scende note-volmente: siamo dalle parti di 1900-2500 MPa per le fibre di vetro E, e attorno a 2900 MPa per il Kevlar 49 (fibra aramidica prodotta dalla Du-Pont, con nome registrato). I materiali compositi sono costituiti da una matrice, che il più delle vol-te (almeno per quanto riguarda il nostro settore) è una resina epossidica, e dagli elementi di rin-forzo, ovvero dai fili (in genere si tratta di yarns, cioè di strands avvolti). Questi ultimi possono

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essere paralleli, e allora formano un composito unidirezionale, oppure possono essere intrec-ciati a formare un vero tessuto “bidirezionale”, con tanto di trama e di ordito. Le caratteristiche meccaniche dei compositi sono legate a quelle degli elementi resistenti e dalla matrice e sono fortemente influenzate dalla disposizione dei pri-mi e dal loro numero, ovvero dal rapporto fibre/matrice. In ogni caso, la resistenza a trazione di questi materiali è nettamente inferiore rispetto a quella delle fibre singole. Questo è dovuto al fat-to che solo una parte del materiale è costituito da fibre (in genere siamo dalle parti del 55-65%), mentre la rimanente è formata dalla matrice. La resistenza a trazione di una resina epossidi-

ca è di gran lunga inferiore a quella delle fibre, e questo ha ovviamente una notevole importan-za. Inoltre nel composito si ha una diminuzione della resistenza, indicativamente dell’ordine del 25-60% rispetto al valore teorico, anche in se-guito al procedimento produttivo (trasferimento e piegatura delle fibre) e al fatto che in genere non proprio il 100% delle fibre viene bagnato dalla matrice. I compositi unidirezionali sono fortemente anisotropi; la loro resistenza a tra-zione nel senso longitudinale (cioè parallelo ai fili) è molto elevata, anche se come visto è net-tamente inferiore a quella teorica, ma quella in senso trasversale è ridicola. In certi casi questo è OK, ma in altri assolutamente non lo è. Si può

Tecnica

Telaio carbonio da MTB Calotta casco fibra di vetro prima del taglio

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ovviare, almeno in una certa misura, impiegando più strati sovrapposti e con differenti orienta-menti, ma si tratta di una soluzione che spesso non è conveniente o pratica. In linea indicativa, un composito unidirezionale costituito dal 60% di fibre di carbonio ad alta resistenza e con una matrice di resina epossidica può anche arrivare ad avere una resistenza a trazione in senso longi-tudinale dell’ordine di 1700 MPa (quella in senso trasversale è solo di circa 65 MPa!); se le fibre sono di carbonio ad alto modulo, si scende dalle parti di 1000 MPa. I tessuti bidirezionali disposti in più strati sovrapposti e diversamente orientati consentono di ottenere materiali quasi isotropi,

per quanto riguarda le caratteristiche meccani-che. La resistenza a trazione dei compositi così ottenuti risulta sensibilmente minore, rispetto a quella dei compositi unidirezionali. Un materiale costituito per il 55% da tessuto di fibra di carbo-nio con armatura tipo satin e per il 45% da resina epossidica può avere una resistenza a trazione dell’ordine di 300-350 MPa; uno con il 65% di tessuto di kevlar 49, con stesso tipo di resina, è dalle parti di 520 MPa. Siamo dunque su va-lori analoghi a quelli di alcune leghe di alluminio da lavorazione plastica, e assai al di sotto di di quelli della maggior parte degli acciai impiegati in campo meccanico. Il grande punto di forza dei

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compositi è costituito dal loro eccellente rappor-to tra le caratteristiche meccaniche e la densi-tà. Nel caso specifico, consentono di realizzare componenti che a parità di resistenza sono mol-to più leggeri di quelli in lega di alluminio o in ac-ciaio. La densità dei compositi con matrice in resina epossidica e con il 60% di fibre è dell’ordine di 2,0 kg/dm³ nel caso delle fibre di vetro, di 1,55 kg/dm³ per quelle di carbonio ad alta resistenza e può scendere addirittura attorno a 1,4 per quel-le di kevlar. A titolo di confronto, le leghe di allu-minio hanno una densità di 2,7 kg/dm³, quelle di titanio di circa 4,5 kg/dm³ e gli acciai sono dalle

parti di 7,7 kg/dm³. I compositi a base di fibre di carbonio risultano particolarmente vantaggiosi in termini di modulo specifico, ovvero di rappor-to tra modulo elastico e densità. I valori in gioco sono in genere più che quadrupli, rispetto a quelli degli acciai, delle leghe di alluminio e di quelle di titanio, rispetto ai quali un composito a base di fibre di kevlar ha un modulo specifico comunque doppio. Questo significa che i materiali composi-ti consentono di realizzare parti assai più rigide di quelle metalliche, a parità di peso. Ovvero che, viceversa, permettono la fabbricazione di com-ponenti che a parità di rigidezza, sono molto più leggeri.

I valorI in gioco sono in genere pIù che quadruplI, rispetto a quelli degli acciai, delle leghe di alluminio e di quelle di titanio, rispetto ai quali un composIto a base di fibre dI kevlar ha un modulo specIfIco comunque doppIo

Tecnica

Cerchio in fibra di carbonio

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i raccoNti di Moto.it“Le DuCATi Di X, y e z”di Antonio Privitera | All’ora convenuta di un ventoso sabato pomeriggio mi feci trovare davanti alle saracinesche abbassate della concessionaria di moto americane, un luogo che quando è chiuso ha l’atmosfera di un saloon...

A ll’ora convenuta di un ventoso sa-bato pomeriggio mi feci trovare davanti alle saracinesche abbas-sate della concessionaria di moto

americane, un luogo che quando è chiuso ha l’atmosfera di un saloon e le Harley in vetrina sembrano minacciare di uscire di lì da sole per prenderti per il bavero e chiederti cosa c’hai da guardare. Inoltre l’inglese, la mia nuova compa-gna a tre cilindri, sembrava chiedermi cosa ci facessimo piazzati al margine di una statale con

le macchine che sfrecciano a pochi metri. Io di-cevo: “aspettiamo”.Il mio aggancio fu di parola e soprattutto puntuale. Tradito dall’eccitazione ero arrivato con un indecoroso anticipo e l’attesa servì solo a stimolare la mia immotivata ansia di essere stato bidonato o, peggio, illuso e attirato in un luogo poco frequentato dove avrei avuto il giusto premio per la mia sfrontata curiosità: un pestaggio, furto della moto e dei beni materiali e, per soprammercato, qualche foto umiliante pub-blicata su internet, anche perché X arrivò su di un

La lettura

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pick up e temetti che volesse veramente caricare la mia moto sul cassone e lasciarmi a piedi.Invece mi fece un cenno: potrei sbagliarmi, ma lo vidi sorridere.Tampinai il pick up per una ventina di chilometri lungo strade che conoscevo e che talvolta avevo percorso stupidamente col ginocchio per terra ma stavolta dovetti resistere alla tentazione e tenni un’andatura civile per non dare nell’occhio: profilo basso e niente rumori fino a giungere in una via anonima dopo giri vorticosi per farmi perdere l’orientamento, che in verità furono inutili perché ancora adesso ho la testa che mi scoppia e le memorie scosse da quello che vidi quel pomeriggio, poi parcheggiai la moto. X Mi portò al bar e insistette per offrirmi un caffè, e qui credo si consumò il punto chiave della storia. Certamente X era in combutta con il barista e mi fu sicuramente servito un caffè additivato con

qualcosa che mi indusse le allucinazioni di cui sto per parlarvi. X attese che finissi il caffè, poi mi disse “ora sei pronto” e mi trascinò di fronte al bar, in una scivola alla cui fine si apriva una sa-racinesca qualunque.Un passo indietro: avevo saputo da fonti sicure che nella provincia di Catania si trova una colle-zione di motociclette Ducati che gli stessi duca-tisti reputano una delle migliori di tutta Italia per qualità dei pezzi, rarità e ampiezza del periodo abbracciato. La cosa mi indusse ad indagare fino a trovare l’aggancio giusto in X, che dopo preghiere e promesse di mantenere il riserbo su tutto mi disse che il proprietario acconsentiva alla visita ma solo se fossi stato in grado di as-sicurare il riserbo assoluto. A volte mi stupisco di come certi collezionisti adorino con passione i loro mezzi d’epoca fino a volere loro garantire una vita ed una personalità propria, ponendo in

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risalto solo le motociclette con tutto ciò che rappresentano in termini storici e passionali piuttosto che pavoneggiarsi nel piacere di pos-sedere tutte quelle bellezze pregiatissime. E’ esattamente il caso di Y e di Z, che mi attende-vano oltre la saracinesca. A dire la verità io per-cepii soltanto la loro presenza, almeno all’inizio, perché il benvenuto me lo diede un Ducati Su-permono, dal quale distolsi lo sguardo solo per posarlo sull’incredibile infilata di lucidissime 851-888-916-749-999 in varie versioni strada/corsa che mi stordirono fino a giungere al ko fi-nale con le 900 Mike Hailwood replica, Darmah, SS 900 e 750 (queste anche in versione endu-rance con il serbatoio più ampio e dotato di fine-stra trasparente). Tutto questo senza nemmeno avanzare di un metro, solo girando la testa da destra a sinistra. Era evidente che il caffè era corretto all’LSD, non reputo tutt’ora possibile che tanto ben di Dio sia racchiuso da quattro mura in un anonimo, per quanto dignitosissimo e curato, cantinato nella provincia catanese. Ero

onestamente impreparato a godere di tanta bel-lezza e la mia felicità fu enorme. Allineate di fron-te a me c’erano motociclette che metà sarebbe-ro bastate a riempire il cuore di giubilo e molte di queste avevano storie alle spalle che avrebbero avuto bisogno di un libro intero per essere rac-contate. Sempre senza avanzare di un millimetro guardai le 750 SS e F1, curatissime come se fos-sero uscite ieri dalla NCR e provai timidamente a fare qualche passo. Fu un errore, perché le 888 di Dani Amatriain e quella di Stefano Caracchi protagoniste del mondiale SBK degli anni ’90 mi aggredirono e ciò non fece altro che aumentare la confusione nella mia testa, come quando si vede di presenza quella persona che avevi sem-pre desiderato incontrare ma che avevi conside-rato irraggiungibile. Non sai cosa dire, le parole ti impastano la bocca e il massimo che riesci a mostrare sono banali frasi di circostanza e la tua inadeguatezza a reggere tanta emozione.Y e Z mi scrutarono e si diedero da fare per far-mi sentire a mio agio. Y mi mostrò quello Ducati

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aveva prodotto, ma senza ruote: Cinepresa con amplificatore (nuova, mai usata), calcolatrice meccanica, microfoni, telefoni anteguerra, ra-dio: oggetti talmente scintillanti che soltanto le parole cortesi di Y mi convinsero che fossero autentici. Y è un uomo di una bonaria e signorile eleganza, distinto nell’aspetto e nell’eloquio, lo ringrazio ancora una volta per la sua gentilezza, se mai avesse modo di leggere queste righe.Z invece stava leggermente più distante, parlava a bassa voce con X e guardava soddisfatto la mia meraviglia. Penso che per un collezionista aman-te del bello non ci sia soddisfazione migliore di vedere qualcuno che gode delle opere d’arte da lui possedute.Iniziai a vagare con i piedi ad un metro da terra e la macchina fotografica spenta perché non avevo ancora voglia di vedere le cose attraverso

un obbiettivo, volevo toccarle, vedere con i miei occhi come erano fatte e se possibile sentirne gli odori. Fu così che vidi e apprezzai la collezione completa delle Scrambler, le varie Elite ed SS, la MHR e i motocarri Ducati dei quali sconoscevo l’esistenza: la storia della Ducati è quasi total-mente rappresentata e credo che forse nemme-no Borgo Panigale vanti un campione così rap-presentativo della loro produzione stradale.Io non reggo tanto bene né le emozioni, né gli stupefacenti: cominciavo a stare male. Z appro-fittò di un mio attimo di lucidità presunta per mo-strarmi una Bimota HB3, ultimo esemplare esi-stente, e una stupenda MV F4 CC nuova. Esatto, nuova: mai accesa ma immatricolata per even-tuali future evoluzioni… “l’unica moto di quelle presenti sulle quali né io ne Y abbiamo mai fatto un giretto”, aggiunse Z. La collezione comprende

La lettura

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anche pezzi di grandissimo pregio ed interesse di marche diverse da Ducati come Demm, FB, Harley-Davidson AMF, Gilera, Cagiva, una Vespa primo modello del 1946, Fantic, Gori, Guazzoni. E’ in queste circostanze che capisci quanto poco hai fatto in campo motociclistico nella vita…X su una di queste moto ci ha corso pure nel mondiale, una TT F1 che guardava ancora con orgoglio dato che quella esposta era proprio la sua ex motocicletta, ne approfittai per fargli una foto e strappargli la concessione di poterlo citare e ringraziare (vi svelo subito l’identità di X: è Ga-etano Prudente, ex pilota e attuale proprietario della concessionaria Harley-Davidson Catania) e a quel punto si aprirono gli argini di Y e Z che d’intesa mi dicono che c’è di più. In che senso “di più” chiesi con una faccia che deve essere parsa da miscredente.Devo avere fatto loro l’impressione giusta, o devo essere sembrato totalmente assoggetta-to dal caffè corretto, scegliete voi, ma Y e Z mi invitarono a seguirli per portarmi in altri luoghi segreti a poca distanza da lì dove giacevano i

mezzi in attesa di restauro come un kart moto-rizzato ducati 750, una Ducati da dirt track con l’inconfondibile bicilindrico a “L” e le ruote chio-date, tante altre motociclette “new old stock”, una BSA Royal Star in versione “007”e pure un vecchio e magnifico scooter Ducati Cruiser con i coperchi laterali dipinti a mano per le pubblici-tà dell’epoca. Non contai le automobili d’epoca che non riesco a valutare appieno perché non ne sono appassionato. E’ un patrimonio culturale inestimabile, mi viene da pensare ancora adesso a mente serena e non allucinata. Se nel cantina-to-museo ci saranno state 150 moto in condizio-ni da vetrina, bisogna aggiungerne sicuramente almeno altre 50 in attesa di restauro o di piena valorizzazione: non avevo mai visto tante moto-ciclette importanti, storicamente e culturalmen-te, tutte nelle stesso giorno.X andò via salutandomi con lo sguardo di chi la sa lunga e conscio di avermi introdotto ad un’e-sperienza quasi metafisica, sarà stato il caffè corretto all’LSD. Rimasi in compagnia di Y e Z, la cui passione e competenza continuava a

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lasciarmi senza fiato: sempre puntuali su ogni motocicletta, sempre misurati nel tesserne le lodi o mostrarne le caratteristiche e mi forzai a congedarmi dalla loro gentilezza molto a malin-cuore per il solo desiderio di non essere troppo invadente. Tornai a casa sbagliando strada e non me ne curai affatto, l’inglese aveva bisogno di un certo rodaggio e io dovevo smaltire l’emozione di ave-re respirato la stessa aria di quel coro di glorie a due ruote. Smaltii tutto, emozioni e caffè additi-vato; so però come ritrovare al strada per il bar, conto di tornarci: e a quel paese l’assuefazione. Y e Z, rimangono anonimi ma possiamo svelare che hanno base in provincia di Catania; la loro collezione è in predicato di poter essere fruibile a tutti gli appassionati in tempi brevi. Chi volesse maggiori informazioni su questo vero e proprio museo privato può rivolgersi al numero di telefo-no +39 347 652 4491. Non accettate caffè.

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Nico cereghiNiPiLOTi, fuMATORi e COSCieNzA DeL RiSChiOFino agli anni Settanta mancava completamente una cultura della sicurezza. Piste pericolose, caschetti leggeri, tute di carta velina: quasi tutti i piloti non si rendevano conto del rischio e nemmeno immaginavano di cambiare

salito con la sigaretta in bocca, e Matitaccia, il vignettista della moto, ancora dieci anni fa mi di-segnava con due sigarette tra le labbra e altre due tra le dita del-la mano destra. Noi tutti sape-vamo che fumare faceva male, ma non fino a che punto. Anche in Formula Uno non sono man-cati i fumatori, da Fangio che amava il sigaro a Jochen Rindt, Patrick Depailler e naturalmen-te James Hunt che è passato alla storia come un ribelle. E del resto la sigaretta era grande protagonista nel cinema, tutti i grandi attori fumavano, e re-centemente è addirittura emer-so che divi come Gary Cooper, Spencer Tracy, Clark Gable e Bette Davis venivano lauta-mente foraggiati dalle multina-zionali del tabacco per farsi ri-prendere sul grande schermo con l’immancabile sigaretta tra le labbra. Chi conosceva i guasti provocati dal fumo, a quel tem-po taceva. In compenso, e no-nostante le sollecitazioni, non sono mai mancati i nemici del fumo: Giacomo Agostini è tra i tanti che non hanno mai toc-cato una sigaretta in vita loro, e mi viene in mente che John Kocinski – duro ma giusto- non concedeva l’intervista al gior-nalista che stava fumando o che aveva appena finito. Oggi la coscienza del rischio c’è, non manca l’informazione corretta e, anche se resta ancora mol-to da fare, c’è una vera cultura della sicurezza in tutti i campi. E allora chiudo questa breve

C iao a tutti! Il 20 mar-zo faran-no dieci anni esatti da che ho

smesso di fumare. E chissene-frega, direte voi, però sappiate che vi comunico la celebrazio-ne soltanto per sottolineare quanto sono cambiate le cose nel motociclismo, dalle siga-rette alle piste alle tute di pelle e tutto quanto. Una volta non c’era la coscienza del rischio che conosciamo oggi e man-cava del tutto la cultura della sicurezza. Fino agli anni Set-tanta le piste erano micidiali e gli organizzatori delle gare

resistevano ad ogni evoluzio-ne con una caparbietà che a guardarla oggi pare incredibile; le tute degli anni Cinquanta-Sessanta erano di carta velina, pesavano 700-800 grammi e i piloti se ne vantavano pure. E, appunto, i grandi fumatori erano tanti. Renzo Pasolini spe-gneva la sigaretta giusto sulla linea di partenza, e adesso pen-so che forse non passò al casco integrale proprio perché il jet gli consentiva una sigaretta in più. Marco Lucchinelli si era fatto aprire un foro nella mentoniera del casco per metterci la “sva-pora”, come si diceva allora, e forse era soltanto scena perché è sempre stato un provocatore,

ma di sicuro si fumava venti o trenta sigarette al giorno. Del resto Barry Sheene veleggiava sui due pacchetti, era famoso per la richiesta perenne di una sigaretta, e non disdegnava nemmeno le puzzolenti Nazio-nali semplici senza filtro che fumavo allora; e Luca Cadalora, che bruciava meno sigarette di Sheene, ha sempre fumato soprattutto le mie. Personal-mente non fumavo sulla linea di partenza, ma appena finita la gara il primo gesto che facevo era quello, sigaretta e accendi-no, e avevo pacchetti semivuoti di “enne bleu” dappertutto, nel box, nel furgone, in officina. Sui pochi podi della mia vita ci sono

personalmente non fumavo sulla lInea dI partenza, ma appena finita la gara Il prImo gesto che facevo era quello, sigaretta e accendino

sortita sulla sigaretta e altri pericoli, aggiungendo una nota personale per quei pochi che ancora fumano. Voglio sempli-cemente sottolineare che ades-so sto molto meglio di dieci anni fa e soprattutto che smettere è stato facile.

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SPeCiaLe moTogP

gp DeL qAtAR

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Marquez viNce il gP del qatarVALeNTiNO ROSSi è SeCONDO!di Giovanni Zamagni | Trionfo di Marc Marquez, davanti a un fantastico Valentino Rossi, con Dani Pedrosa terzo, in una gara di altissimo livello. Fuori gara Jorge Lorenzo, caduto al primo giro

t rionfo di Marc Marquez, davanti a un fantastico Valentino Rossi, con Dani Pedrosa terzo, in una gara di altissi-mo livello. Fuori gara Jorge Lorenzo,

caduto al primo giro, a terra anche Alvaro Bau-tista a un paio di giri dal termine mentre stava lottando per la vittoria. Quinto Andrea Dovizio-so, prima Ducati al traguardo alle spalle di Aleix Espargaro, prima Open. Il bambino prodigio con-tro il fenomeno più vincente dell’era moderna, Marc Marquez contro Valentino Rossi, due gene-razioni a confronto. Ed è stata una sfida da pelle d’oca, da brividi, da ricordare a lungo: basti dire che nel 21esimo giro, ovvero nel penultimo, i due si sono superati quattro volte, in uno scambio di posizioni e di staccate da campionissimi.

SFIDA A CINQUEMa non è stata una sfida a due, perché fino a sei giri dalla fine, c’erano cinque piloti – Marquez, Rossi, Pedrosa, Bautista e Smith racchiusi in sette decimi. Poi è caduto il britannico del team Tech3 – comunque da applausi la sua gara -, poi Bautista e Pedrosa hanno perso contatto e negli ultimi due giri sono rimasti il “vecchio” e il “bambino” a giocarsi i 25 punti. Nel passaggio conclusivo, il campione del mondo non ha la-sciato spazio al rivale, confermandosi campione straordinario: non ancora al meglio fisicamente,

dopo aver saltato 2 dei 3 test invernali è arrivato in Qatar e ha pettinato tutti. ROSSI IMMENSOCome era successo nel 2013, Rossi è stato pro-tagonista di una gara fenomenale, in rimonta dalla quarta fila. A differenza dell’anno scorso, però, Valentino questa volta ha lottato per la vit-toria, rispondendo colpo su colpo al più forte pi-lota del momento. Dopo le qualifiche, sembrava il più in crisi tra gli “ufficiali” , ma in gara Rossi sa ancora fare la differenza. Quella che ha pro-vato a fare anche Jorge Lorenzo, scattato come una furia dalla seconda fila e già al comando alla prima curva. La tattica utilizzata da Jorge è sta-ta la stessa degli ultimi GP del 2013: subito una pressione enorme, un ritmo da paura, che però questa volta si è conclusa non con una vittoria, ma con una caduta. «Ho fatto un errore da prin-cipiante, non ho tenuto in considerazione che le gomme non erano ancora perfettamente in tem-peratura» ha commentato il pilota spagnolo.

TANTE CADUTESono purtroppo caduti in tanti: oltre a Lorenzo, anche Stefan Bradl al nono giro mentre era al co-mando, Andrea Iannone al secondo giro (poi de-cimo) Alvaro Bautista nel finale mentre era terzo e aveva il podio a portata di mano.

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DUCATI PASSO IN AVANTIQuinto Andrea Dovizioso, che ha conquistato una posizione buona anche grazie alle cadu-te altrui, ma il dato positivo è che ha chiuso ha 12”159 dalla vetta, che significa poco più di mez-zo secondo al giro: un bel passo in avanti rispetto all’anno scorso quando ne prendeva mediamen-te 1”5.

I PRIMI COMMENTImarquez: «Dopo tutto quello che è successo in inverno, non mi aspettavo questo risultato. Anche nel 2013 avevo lottato con Rossi e lui mi aveva battuto… Quest’anno, però, Valentino era più veloce, ho spinto tanto per cercare di stargli davanti: è stata una gara bellissima».

rossi: «Non è stata una brutta gara… Grazie a tutti, alla Yamaha, a Galbusera (il suo capotec-nico, NDA) ai tifosi: ho fatto una grande rimonta, ho rischiato un po’ ma sono riuscito a prendere Marquez. Volevo provarci nell’ultimo giro, ma era un po’ lontano e non ho potuto attaccarlo: è stata comunque una grande gara».

Pedrosa: «La pista era in condizioni differenti rispetto agli altri giorni: ho visto tanti cadere, so-prattutto per la perdita dell’anteriore, e così sono stato un po’ prudente. Poi ho preso maggiore si-curezza e ho spinto più forte, ma i primi due an-davano troppo forte e faccio loro i complimenti. Un terzo posto su una pista che non mi piace per niente è un buon inizio di mondiale».

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valeNtiNo rossi“iL SeGReTO è LA PASSiONe, DiVeRTiRSi”di Giovanni Zamagni | Le basi sembrano più solide e, soprattutto, Rossi è convinto di aver svoltato tecnicamente. E’ tutto un altro Valentino Rossi rispetto al 2013

E’ tutto un altro Valentino Ros-si rispetto al 2013. D’accordo, anche l’anno scorso, dopo il GP del Qatar ci si esaltava per il secondo posto di Valentino, ma fu un illusione: questa vol-ta, le basi sembrano più solide e, soprattutto, Rossi è convinto di aver svoltato tecnicamente. E, come, al solito, non le man-da a dire. «E’ bastato un GP per risolvere tutti i problemi in frenata che avevo nel 2013». E ancora: «Quando ho scel-to Galbusera sembrava fosse un azzardo, perché non aveva mai lavorato in MotoGP: invece dentro al box si opera meglio e più di prima». Insomma, per Valentino è chiaro cosa non ha funzionato nella passata stagione e questa ennesima impresa gli dà, al debutto del-la 19esima stagione iridata, una carica enorme. «Grazie a tutti, alla Yamaha, a Galbuse-ra – sono le prime parole dette

a caldo e, come si è visto, non è casuale che Valentino elo-gi subito il suo capotecnico -. E’ stata una grande gara, con una rimonta anche rischiosa, soprattutto all’inizio. Quando mi sono trovato con Marquez, avevo il potenziale per combat-tere e ho anche avuto la possi-bilità per vincere, ma lui è stato più bravo di me. Adesso, però, bisogna continuare così: Au-stin e l’Argentina saranno fon-damentali per capire se sarò competitivo per tutto l’anno. Secondo me posso esserlo, bi-sogna vedere quanto». e’ questa la chiave fonda-mentale: il secondo posto del Qatar non deve rimanere un caso isolato. Lo sa bene an-che rossi.«Sento di guidare meglio. L’an-no scorso sono sempre stato in grande difficoltà in frenata, senza mai riuscire a trovare

CLASSIFICA

2°PUNTI

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le gomme che scivolano un po’ di più all’inizio, poi con la ben-zina devono tutti stare un po’ più attenti, ci sono tante moto in principio che vanno forte e poi rallentano, ma fanno un po’ di “confusione”. Insomma, è bello: mi sono divertito moltis-simo come non mi succedeva da anni, i primi giri sono stati veramente fighi».

anche gli ultimi, per la verità, con una sfida stellare tra ros-si e marquez, il “vecchio” e il “bambino” della motogP.«E’ bello combattere con lui. Avevo la possibilità di vincere; forse ho fatto un piccolo errore quando mi sono rifatto passa-re, però lui era un po’ più velo-

ce di me: quindi se l’è meritata. C’erano 2-3 curve nelle quali in accelerazione mi dava un po’ troppo, io recuperavo in altre; nell’ultimo giro sono arrivato vicino, ma mi è mancato quel pelo per provarci».

Si è parlato tanto di nuove regole, ma alla fine, davanti, ci sono sempre i soliti: ecco il pensiero di rossi.«Sinceramente, prima di par-tire non sapevo come sarebbe andata a finire. Tanti da casa mi dicevano che alla fine saremmo stati sempre noi a giocrcela, ma non ero così convinto, inve-ce è andata così. Bisogna dire che chi ha fatto le regole ha su-perato alla grande il primo test

sul campo, ci ha preso su tutto: oggi, se ero a casa, la guardavo sicuro…».

Sarà un caso, ma i boati in tri-buna erano tutti per te.«E’ sempre bello avere così tanti tifosi in giro per il mondo: direi che me li sono meritati!».

avevi delle motivazioni parti-colari?«Stamattina mi sono svegliato molto bene, completamente diverso da sabato: ero pronto, sono riuscito a concentrarmi moltissimo per la gara, avevo solo quello nella testa. Ma non so perché: se si riuscisse a capire il segreto, sarebbe faci-le…».

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una buona messa punto, men-tre nel 2014, già nei test ab-biamo risolto tanti problemi e adesso mi sento forte in ingres-so curva. Non sarà facile conti-nuare così, perché comunque fino alle qualifiche ero decimo, ma nel box c’è un bel linguag-gio, riusciamo turno dopo tur-no a migliorare la moto».

insomma, è soprattutto una questione tecnica.«L’anno scorso ero già talmen-te contento di guidare la Yama-ha che andava bene qualsiasi cosa, adesso ho affilato meglio le armi».

Questo gli ha permesso, a 35 anni, di combattere ad armi pari con un fenomeno di 21.«Ma il nostro sport non è così fisico come potrebbe essere, che so, l’atletica. Già nel cal-cio ci sono tantissimi giocatori fortissimi che sono più vecchi di me. Il segreto è la passione, divertirsi: a me piace fare il mio “lavoro”, lo dico tra virgolette. Insomma, non credo sia così penalizzante la mia età, anche se, naturalmente, il sabato po-meriggio, nel giro alla “morte”, forse sono un po’ vecchio, mi danno sempre quei 2-3 decimi del cazzo e mi tocca partire

dietro, però poi in gara sono ancora veloce. E’ stato un gran GP, mi sono divertito: bisogna-va partire un po’ più avanti, ma se le gare saranno tutte così saranno meravigliose. E’ stato bellissimo, tutti attaccati, non so perché, in realtà, però sia-mo stati tutti lì. E’ bello vederli davanti, un giro perdi, un altro guadagni, fai un errore, poi alla curva dopo lo fa un altro».

Difficile spiegare perché: i nuovi regolamenti non sem-brano centrare sullo spetta-colo visto in Qatar.«Non so bene: forse contano

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sPuNti, coNsiderazioNi, doMaNde DOPO iL GP DeL QATARdi Giovanni Zamagni | Qual è stata la chiave della vittoria di Marc Marquez? Perché Jorge Lorenzo è caduto al primo giro? Cosa avrebbe potuto fare Iannone? Cosa è successo nell’ultimo giro a Cal Crutchlow?

q ual è stata la chiave della vittoria di marc marquez?Risponde Marquez: «Credo che sia stato fondamentale rimanere tran-

quilli nei primi giri, quando ero dietro a Bradl. Sapevo che avrei potuto tenere un ritmo supe-riore, ma le condizioni della pista erano differenti rispetto alle prove: così sono stato calmo, ho te-nuto un passo costante, senza esagerare. Se lo avessi fatto, sarei caduto».

Quando marquez ha deciso di montare la gomma più dura al posteriore?Risponde Marquez: «Cinque minuti prima di en-trare in pista, ho detto ai miei meccanici di mon-tare la dura. Mi hanno guardato un po’ strano, ma ho detto loro che avrei voluto verificarne il comportamento del giro di allineamento. Quan-do sono arrivato sulla griglia di partenza, erano pronti a cambiarla, ma ho chiesto di tenerla, per-ché mi dava buone sensazioni».

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Perché Jorge Lorenzo è caduto al primo giro?Risponde Lorenzo: «E’ stato un errore mio, da principiante: non ho tenuto conto che le condi-zioni della pista erano cambiate rispetto alle pro-ve e le gomme non erano ancora perfettamente in temperatura. Così, quando sono arrivato in una curva sinistra dopo tante a destra, ho per-so il controllo della mia Yamaha. Era tanto che non sbagliavo in gara: sono umano anch’io… Purtroppo, sul podio sono andati i miei diretti avversari e questo è un male per il campionato: speravo vincesse Rossi, perché è in sella a una Yamaha, ma Marquez è stato fenomenale e ha lottato come un leone».

Se non fosse caduto, cosa avrebbe potuto fare iannone?Andrea è scivolato al secondo giro, mentre era quinto dopo aver appena superato Dovizioso. Sicuramente è stata un’occasione sprecata, per-ché Iannone, partito benissimo dalla quarta fila

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(era in quella posizione perché in qualifica ave-va rotto il motore), aveva un gran passo, tanto che aveva chiuso il warm up davanti a tutti con il tempo di 1’55”657. Dopo la scivolata, Andrea è ripartito ultimo e ha rimontato fino alla decima posizione facendo segnare il suo miglior crono all’ottavo giro in 1’56”285, nono tempo asso-luto, 5 millesimi migliore di quello di Dovizioso. Insomma, il quarto, quinto posto erano alla sua portata.

La bella prestazione di Bradley Smith, caduto a quattro giri dal termine mentre era salda-mente al quinto posto, a meno di due secondi dal podio, è un caso isolato?

Sicuramente il pilota britannico del team Tech3 ha beneficiato dei tre giorni di test fatti due set-timane fa, ma la sua crescita rispetto all’anno scorso è evidente: anche nei test di Sepang era stato più vicino ai migliori. Probabilmente non sarà facile vederlo nuovamente tanto avanti e così protagonista, ma il passo in avanti rispetto all’anno scorso c’è stato sicuramente.

Cosa è successo nell’ultimo giro a Cal Crutch-low, che ha tagliato il traguardo con la moto che “singhiozzava”?Il trasponder non funzionava regolarmente e questo ha mandato in tilt il sistema elettronico della Ducati.

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il quinto posto di andrea Dovizioso a 12”159 da marquez deve essere considerato come “delu-dente”?No, tutt’altro, perché come Andrea aveva più volte ripetuto alla vigilia, la Ducati è sì migliora-ta dall’anno scorso, ma finché fatica a girare (a «tornare» per dirla con le sue parole) non potrà essere competitiva sulla distanza. Certo, senza le tante cadute, la posizione sarebbe stata di-versa, ma il passo in avanti è evidente, perché il distacco è stato dimezzato rispetto alla passata stagione.

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le Pagelle DeL GP DeL QATAR di Giovanni Zamagni | Dieci a Marquez e 9 a Rossi, protagonisti della gara di Losail. Solo 6 a Pedrosa, ha fatto il compitino; 6,5 a Dovizioso, risultato positivo. Appena 6 ad Aleix Espargaro, schiacciato dalla pressione. 4 a Lorenzo, nervoso

10 marC marQueZ Cosa può fare di più uno che ha parte-

cipato a un solo test in tutto l’inverno, che il 20 di febbraio si è rotto il perone della gamba destra, che è arrivato in Qatar zoppicando? Niente! Pole position e vittoria, al termine di una sfida di altis-simo livello: il bambino prodigio fa paura e que-sta volta, per vincere, oltre alla forza, al talento, al controllo pazzesco della sua moto – qualità già ampiamente note – ha usato anche la tattica e l’intelligenza. Come dire che è completo in tutto e per tutto. Battere uno così sarà difficilissimo.

9 VaLenTino roSSiPeccato per le qualifiche, per il resto è stato

un Rossi stellare. «Ha lo spirito di un ventenne» si è complimentato Marquez: sembra una cosa normale, invece è la chiave dello spirito e del successo di un campione straordinario, uno che quando c’è da fare staccate e sorpassi al limite è sempre al massimo livello mondiale. E’ stato battuto da un pilota fenomenale, ma lui è lon-tano appena 259 millesimi. Eppure, c’è ancora qualcuno che continua a metterlo in discussione. Bah…

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6 Dani PeDroSaHa fatto benino il suo compito, senza però

entusiasmare, anche se ha chiuso a soli 3”370 da due campionissimi. Considerando la sua av-versione per la pista di Losail, il terzo posto è un buon risultato, ma non ci si può dimenticare che è arrivato soprattutto per le disgrazie altrui.

6 aLeix eSPargaroFino a sabato sera ha entusiasmato, poi, la

troppa pressione, l’ha schiacciato in qualifica, dove è caduto due volte in 15 minuti. Lì si è gio-cato la gara, non solo perché è stato costretto a partire dalla nona posizione, quando avrebbe po-tuto essere in pole, ma anche perché il suo rendi-mento è stato inevitabilmente condizionato. Poi ha fatto una discreta rimonta, ma la sensazione è quella di una occasionissima persa.

6,5 anDrea DoViZioSoRispondo già alle critiche: perché

mezzo punto in più di Espargaro? Perché, se-condo me, la Ducati è inferiore alla Yamaha dello spagnolo. In prova Andrea è andato molto bene, in gara non ha entusiasmato nel tempo sul giro, ma il risultato assoluto è certamente positivo.

5,5 CaL CruTCHLoWLa sua gara è stata condizionata an-

che da un problema elettrico del transponder, ma due cadute (una nel warm up) nel fine setti-mana sono troppe ed è sempre stato dietro non solo a Dovizioso, ma anche a Iannone.

7 SCoTT reDDingHa vinto la sfida dei piloti con la Honda

“Open”: sembra in crescita.

5 niCKY HaYDenSe fatto fregare da Redding negli ultimi due

giri.

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5 anDrea iannoneSi conferma pilota di gran talento e velocissi-

mo, ma, purtroppo, ancora poco costante.

6 aLVaro BauTiSTaChe peccato quell’errore a meno di due giri

dalla fine, quando ormai il terzo posto era nelle sue mani. E’ stato l’unico sbaglio di un fine set-timana sempre da protagonista e anche in gara il pilota del team Gresini ha guidato alla grande, con sorpassi da applausi. Purtroppo non è arri-vato al traguardo, ma è stato grande protagoni-sta: merita la sufficienza.

7 BraDLeY SmiTHE’ stata la più grande sorpresa del fine setti-

mana: sempre davanti, in prima fila (una novità per lui) in qualifica, sempre attaccato ai fenome-ni della MotoGP per tre quarti di gara. Poi, a quat-tro giri dalla fine, ha perso il controllo della sua

Yamaha, ma la bella prestazione rimane: è stato di gran lunga il GP più convincente in MotoGP.

5 PoL eSPargaroE’ stato costretto al ritiro al 17esimo giro

mentre era ottavo per la rottura del cambio, ma non si è mai visto troppo in tutto il fine settimana.

5 STeFan BraDLOtto giri da leone, davanti a tutti a dettare il

ritmo, poi la caduta: peccato. Ma si è fatto vede-re.

4 Jorge LorenZoDopo un fine settimana di grande nervosi-

smo, nel warm up aveva ritrovato il sorriso, tanto che era convinto di potersi giocare la vittoria. Un errore ci sta, per carità, ma è dall’inizio dell’anno che il campione spagnolo sembra più nervoso del dovuto.

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Pos. Pilota Punti

1 Marc MARQUEZ 25

2 Valentino ROSSI 20

3 Dani PEDROSA 16

4 Aleix ESPARGARO 13

5 Andrea DOVIZIOSO 11

6 Cal CRUTCHLOW 10

7 Scott REDDING 9

8 Nicky HAYDEN 8

9 Colin EDWARDS 7

10 Andrea IANNONE 6

Classifica GP

Pos. Pilota Punti

1 Marc MARQUEZ 25

2 Valentino ROSSI 20

3 Dani PEDROSA 16

4 Aleix ESPARGARO 13

5 Andrea DOVIZIOSO 11

6 Cal CRUTCHLOW 10

7 Scott REDDING 9

8 Nicky HAYDEN 8

9 Colin EDWARDS 7

10 Andrea IANNONE 6

Classifica Generale

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corse e ricorsiiL GP DeL QATARdi Giovanni Zamagni | Il GP del Qatar nei ricordi di Giovanni Zamagni: curiosità, stranezze, aneddoti e coincidenze. Non un almanacco di statistiche, ma quello che di più interessante è successo fino ad oggi a Losail

L a storia del GP del Qatar è relativa-mente breve – primo appuntamento nel 2004 -, ma ricca di episodi inte-ressanti. Costruita dal nulla in mez-

zo al deserto, la pista di Losail è bella, ma non particolarmente eccitante, con un buon asfalto, ma tanta, tantissima polvere, che infastidisce soprattutto nei primi turni di prove, con la situa-zione che migliora velocemente fino a diventare quasi ottimale il giorno della gara.

ROSSI E BIAGGI PENALIZZATIProprio la polvere è “protagonista” dell’episo-dio più eclatante della storia del GP del Qatar: nel 2004, Valentino Rossi e Max Biaggi, rispet-tivamente ottavo e 12esimo dopo le qualifiche, vengono penalizzati di sei secondi e retrocessi in 23esima e 24esima posizione, perché i loro team avevano tentato di pulire la casella e lo spazio li-mitrofo usando ogni mezzo: scope, scooter per gommare il pezzo di asfalto. Allora si correva di

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giorno e l’operazione venne fatta al buio e un po’ di “nascosto”, quando gli altri team avevano già abbandonato il circuito. Ricordo che eravamo a cena quando cominciarono a girare le prime voci di una possibile penalizzazione di Rossi (di Biaggi si seppe solo in un secondo tempo): come spes-so succede in questi frangenti, le notizie vere si mescolano a quelle finte, o comunque esagerate, e si dovette aspettare qualche ora prima di avere l’ufficializzazione della penalizzazione a Valenti-no e, successivamente, a Max. Una penalizzazio-ne arrivata dopo le proteste più o meno ufficiali – purtroppo, nella MotoGP, non c’è quasi mai nulla di ufficiale – del team Gresini spinto dal suo pilota Sete Gibernau. Quell’anno, il GP del Qatar era il 13esimo della stagione, con Rossi, al suo primo anno in Yamaha, in testa al mondiale per quella che poi sarebbe diventata un’impresa sto-rica dopo i tre titoli conquistati con la Honda. Ho un ricordo nitido di quella domenica ricca di ten-sioni, con continue scambi di accuse tra il team di Rossi e quello di Gibernau, con Valentino che

scatta al via con il sangue negli occhi: alla fine del primo giro è ottavo, alla fine del quarto è quarto, ma al sesto giro, tradito dalla troppa foga, perde il controllo della M1 e cade, ferendosi a un dito di una mano. La gara è vinta da Gibernau, che però deve subire gli “anatemi” di Rossi: «Quello non vincerà mai più una gara» gliela giura Valentino. In effetti, quella è stata l’ultima vittoria del pilota spagnolo…

2004: DUE PILOTI APPAIATI AL TRAGUARDOMa il GP del Qatar del 2004 è da ricordare anche perché in 125 due piloti – Jorge Lorenzo e An-drea Dovizioso – tagliano il traguardo perfetta-mente appaiati. Si aspetta il fotofinish, che però conferma la perfetta parità dei due piloti (mai accaduto prima, perlomeno nell’era moderna): il successo viene assegnato allo spagnolo perché autore del giro veloce in gara. Una beffa per An-drea, comunque autore di un GP strepitoso.

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2009: PISTA IMPRATICABLE, GARA RINVIATANon è l’unico “primato” del GP del Qatar. Nel 2008, la gara viene disputata per la prima volta in notturna: un evento storico, molto affasci-nante, ma anche, per quanto mi riguarda, discu-tibile per lo spreco di energia e di denaro in un momento non esattamente felice per l’econo-mia mondiale. Nel 2009, però, un acquazzone imprevisto costringe dapprima a ridurre la 125 e la 250, poi ad annullare la gara della MotoGP (per regolamento non si può correre in Qatar con l’acqua, troppo pericolosa con la luce artifi-ciale). La scelta è inevitabile, ma è seguita da di-scussioni e polemiche se e quando recuperare la gara: alla fine si decide per correre il GP il giorno dopo, lunedì, sempre in notturna, in un ambiente

surreale, paragonabile a quello di una partita di calcio a “porte chiuse”, perché gran parte de-gli addetti ai lavori sono partiti con gli aerei del mattino. Vince Casey Stoner con la Ducati, al suo terzo successo consecutivo in mezzo al deserto.

2013: ROSSI ILLUDEIl ricordo, naturalmente, va anche alla passata stagione, quando Valentino Rossi, dopo qualifi-che deludenti (settimo) e una partenza incerta, conquista un secondo posto inaspettato al ter-mine di una rimonta entusiasmante e di una bella sfida con il debuttante Marc Marquez, poi terzo al traguardo, e Jorge Lorenzo trionfatore in so-litario. Una prestazione davvero esaltante quella di Valentino che illude: si pensa che Rossi potrà lottare per il titolo. Ma non sarà così.

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Il team Movistar Yamaha MotoGP ha svelato in Qatar i colori 2014 delle Yamaha YZR -M1

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I piloti Jorge Lorenzo e Valentino Rossi, sul-la griglia di partenza del circuito di Losail insieme a Kouichi Tsuji, General Manager della divisione Motorsports Yamaha, a Lin

Jarvis e al direttore media di Telefónica Espagna, Luis Velo, hanno presentato la livrea definitiva della Yamaha M1. Sulla fiancata spicca ora an-che Movistar come main sponsor, proprio sopra a Monster Energy.

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alex salviNi risPoNde su Moto.it“Mi ALLeNO COSì”Il campione del mondo di enduro risponde insieme al suo preparatore atletico ai lettori di Moto.it che chiedono come si allena per affrontare le difficoltà delle tante gare della stagione 2014

A lex Salvini risponde nel video di se-guito alle prime domande poste dai nostri lettori, che hanno spaziato su diversi temi (dalle passioni moto-

ciclistiche di Alex al setting della moto, e molto altro ancora). Oggi il campione del Team Honda Zanardo ci svela come si allena, rispondendo così agli interrogativi posti dai lettori nella prece-dente puntata di Alex Salvini Risponde :

Francesco:Ciao Alex, innanzitutto complimenti per la sta-gione scorsa, sei stato FENOMENALE!!! Volevo

chiederti come strutturi la tua preparazione fi-sica nella settimana e se dai più importanza agli esercizi in palestra o agli esercizi aerobici. Gra-zie in anticipo! In bocca al lupo per il 2014! FULL GASSSS

marco nardi:Ciao redazione, volevo chiedere ad Alex quali consigli può dare a noi appassionati/amatori non professionisti lato preparazione atletica. Quali esercizi fondamentali fare per essere più in forma sulla moto? Può condividere con noi la sua scheda allenamento?GRAZIE!

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Enduro

Stefano Campi:Ciao Alex, per prima cosa volevo farti un grande in bocca al lupo per la stagione che sta per ini-ziare. Volevo poi chiederti se puoi dare qualche indicazione sulla preparazione fisica da seguire; magari se puoi indicare uno schema di allena-mento tipo da seguire. Grazie mille in anticipo

Bane3085:Ciao Alex. Quali sono le maggiori difficoltà che si incontrano nel tuo sport? Che tipo di preparazio-ne serve. Quando hai capito che potevi diventare un protagonista assoluto del mondiale?

alex Salvini risponde ai lettori di moto.itIl campione del mondo di enduro ogni mese ri-sponderà ai lettori di Moto.it e racconterà gli

aneddoti più curiosi della sua avventura sportiva. Forza con le domande, Alex è pronto e voi? Potete mandare tutti i vostri quesiti sulla sta-gione sportiva di Alex Salvini, su come prepara la sua Honda del Team Jolly Racing Zanardo, su come si allena direttamente a [email protected] o inserendoli nei commenti alla fine di questo articolo. In questo spazio potrete allacciare un dialogo diretto col campione del mondo, che sarà felice di darvi anche consigli di guida e dritte su come affrontare nel miglior modo possibile le tante dif-ficoltà di questo fantastico sport. Scriveteci o mandateci le vostre domande anche in formato video (un gioco da ragazzi con ogni smartphone), saranno pubblicati insieme alla risposta di Alex.

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suPercross, toroNtoSTewART ViNCe, ViLLOPOTO iN DifeSAQuarta vittoria stagionale per il pilota Suzuki, Villopoto in difficoltà per un’intossicazione alimentare. 250SX a Bogle, Cianciarulo fuori per in-fortunio

u na giornata strana, quella di Toron-to, con entrambi i leader di classi-fica in difficoltà per problemi fisici. La 450 è stata spettacolare come

al solito: l’holeshot di Ken Roczen davanti a Vil-lopoto e Barcia ha poi dato vita ad uno scontro fra il pilota KTM e quello Honda che si sono in-volati lasciando Villopoto in coda. Stewart, par-tito a metà gruppo, ha chiuso nono il primo giro prima di iniziare una micidiale rimonta. Barcia ha

preso un certo margine su Roczen, che ha inizia-to a subire il recupero del compagno di squadra Dungey e da Stewart che al dodicesimo giro ha conquistato il secondo posto, andando subito a pressare Barcia. Al quattordicesimo giro Stewart ha preso la testa della gara, mentre Dungey ha scavalcato Roczen in terza posizione. Stewart ha allungato nel finale, andando a conquistare la sua seconda vittoria consecutiva e diventando il pilota più vincente della stagione; con le sue 49

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vittorie in carriera “Bubba” ha affiancato Ricky Carmichael in seconda posizione assoluta per numero di vittorie nella classe regina del super-cross, dietro al recordman Jeremy McGrath a quota 72. Barcia ha colto il suo miglior risultato dell’anno difendendosi da un agguerrito Dungey. «E’ stata probabilmente una delle mie migliori gare di sempre» ha detto Stewart. «E arrivare al record di Carmichael è qualcosa di speciale, non me ne sono ancora davvero reso conto. I tifosi mi hanno aiutato a trovare la motivazione, stasera - potevo sentirli ad ogni sorpasso, è stato davvero grande!» L’attuale leader della classifica, Ryan Villopoto, ha vissuto la giornata più dura della stagione chiudendo sesto. Villopoto non ha gira-to nelle prove del pomeriggio essendo finito all’o-spedale a causa di un’intossicazione alimentare, potendo contare sulla sua posizione in classifica (entro i primi 10) per garantirsi l’accesso provvi-sorio alle prove serali, riuscendo poi a qualificarsi per la finale. Dopo essere partito secondo, Villo-poto è sceso fino all’ottava posizione, riuscendo però a rimontare fino al sesto posto e limitan-do i danni in campionato: l’attuale leader della classifica ha ceduto solo cinque punti a Dungey,

mantenendo un vantaggio di 25 lunghezze a cin-que gare dal termine.

250, Bogle su Davalos La 250SX è stata dominata dall’inizio alla fine da Justin Bogle, scattato in testa con Cianciaru-lo nella scia. Il leader della classifica si era però infortunato durante le prove del pomeriggio, subendo una slogatura della spalla mentre af-frontava le whoops; il problema si è ripresentato al terzo giro mentre teneva la scia di Bogle, co-stringendolo al ritiro dopo un generoso tentativo di tornare in gara. Davalos ha sfruttato al meglio la situazione, passando al secondo posto dopo essere partito quinto. Nemmeno una caduta al nono giro, che lo ha relegato provvisoriamente dietro a Lemoine, lo ha fermato: Martin ha ricon-quistato la posizione il giro successivo lasciando l’avversario a vedersela con Baggett. Alla fine Baggett ha avuto la peggio, cadendo nel tenta-tivo di passare Lemoine. Davalos ha quindi re-cuperato i suoi 17 punti di svantaggio, lasciando Toronto con quattro lunghezze su Cianciarulo a tre gare dalla fine della 250 Costa Est. Guarda tutte le classifiche

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