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ReactiveOxygenSpeciesproductioninducedby … Sommario Il cancro è una patologia estremamente...

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Università degli Studi di Torino Facoltà di Scienze M.F.N Corso di Laurea Magistrale in Fisica Reactive Oxygen Species production induced by Gold Nanoparticles in radiotherapy treatment Luca Bocchini Relatore: prof. Cristiana Peroni Correlatore: dott. Piergiorgio Cerello Controrelatore: dott. Vincenzo Monaco Anno accademico 2014 - 2015
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Università degli Studi di Torino

Facoltà di Scienze M.F.N

Corso di Laurea Magistrale in Fisica

Reactive Oxygen Species production induced byGold Nanoparticles in radiotherapy treatment

Luca Bocchini

Relatore: prof. Cristiana PeroniCorrelatore: dott. Piergiorgio CerelloControrelatore: dott. Vincenzo Monaco

Anno accademico 2014 - 2015

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Ai miei genitori, a mia sorella, ai miei nonni e a Sara

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Sommario

Il cancro è una patologia estremamente diffusa: solamente nel 2015 negliStati Uniti, sono previsti circa 1 658 370 nuovi casi di cancro. Le terapie perla cura delle patologie oncologiche sono molteplici e il più delle volte nonesclusive tra loro. Tra queste particolarmente utilizzata in ambito clinico èla radioterapia, che sfrutta le radiazioni ionizzanti per distruggere le celluletumorali, cercando di causare il minor danno possibile ai tessuti sani circo-stanti. Clinicamente è di interesse fondamentale trovare delle metodologieche permettano di incrementare l’efficacia biologica della radioterapia: au-mentando il deposito di dose unicamente all’interno dei target tumorali.A tale fine, sono estremamente numerosi gli studi sul possibile utilizzo dimateriali radiosensibilizzanti e tumore-specifici: tra questi particolarmentepromettenti sembrano essere le nanoparticelle di oro (GNP). Numerosi stu-di sia in vitro che in vivo, inoltre, hanno mostrato come le GNP svolganoun’azione radiosensibilizzante, sia con sorgenti dell’ordine del kilovolt chedel megavolt. Tale caratteristica, unita alle proprietà fisico-chimiche, comel’ottima biocompatibilità, e alla facilità del processo di sintesi, rende le na-noparticelle molto interessanti per applicazione biomediche.Per una futura applicazione clinica delle GNP, è di fondamentale importanzachiarire univocamente, quali siano i processi che stanno alla base della loroazione radiosensibilizzante. Differenti evidenze sperimentali hanno mostra-to come, oltre ai processi di interazione fisica tra GNP e radiazione, possaesservi una forte componente chimica-biologica nel fenomeno di aumentodi efficacia delle radioterapia in presenza di GNP. L’aumento di produzio-ne di specie radicaliche dell’ossigeno (ROS), in condizioni di irraggiamentocon GNP, potrebbe essere un buon candidato per spiegare tale componentechimico-biologica.Questo lavoro di tesi si propone di studiare proprio la produzione di ROS,in particolare dello ione ossidrile e dell’anione superossido, in campioni incondizioni fisiologiche contenenti nanoparticelle di oro, sottoposti ad ir-raggiamento radioterapico, con fasci di fotoni da 6, 15 MV ed elettronida 6, 12, 15 MeV . I risultati ottenuti con GNP dal diametro medio di(20 ± 2) nm sembrano suggerire una sostanziale indipendenza nella pro-duzione di radicale ossidrile, dalla concentrazione di GNP, alle energie eradiazioni utilizzate nello standard radioterapico. Ciò potrebbe indicare chel’effetto radiosensibilizzante delle GNP (fino a 10 µmol) sia imputabile alladifferente distribuzione di densità di ionizzazione: molto più elevata in pre-senza di nanoparticelle di oro.Sono state infine effettuate alcune misure preliminari con nanoparticelle d’o-ro dal diametro medio di (5 ± 2) nm, irraggiate con fasci di fotoni da 6 e15 MV . I risultati ottenuti evidenziano in questo caso un aumento rile-vante (20 ÷ 40 %) di produzione di radicale ossidrile in presenza di talinanoparticelle d’oro.

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Abstract

Cancer is an extremely common pathology: in 2015 alone, 1 658 370 newcases of cancer are expected to be diagnosed in the United States. One ofthe most common clinical cancer treatment is radiotherapy, which makesuse of ionizing radiation to kill cancer cells while trying to cause the leastpossible damage to the surrounding healthy tissue. Clinically, it is of par-ticular interest to find methods that increase the biological effectiveness ofradiotherapy: increasing the dose deposition selectively within the tumoraltargets.In this regard, a large number of studies have emerged on the possible use ofradiosensitizers and tumor-specific materials. Among these, gold nanopar-ticles (GNP) may be particularly promising tools. In fact, many "in vivo"and "in vitro" studies demonstrated a dose enhancement effect induced byGNP, at megavoltage and kilovoltage energies. The radiosensitizing effectof GNP, combined with their unique physico-chemical proprieties (such asgood biocompatibility, and simple synthesis process), make GNP extremelyinteresting in biomedical research.Although GNP offer much promise as radiosensitizing agents, for futureclinical application it is very important to clearly understand the radiosen-sitizing process. Experimental evidence suggests that, beyond the physicalinteractions between gold nanoparticles and ionizing radiations there maybe a strong chemico-biological component in the GNP radiosensitizing ef-fect. An increase of Reactive Oxygen Species (ROS) production resultingfrom the presence of gold nanoparticles during irradiation may be a goodcandidate to explain this chemico-biological component.This thesis aims at studying ROS production, with focus on superoxide andhydroxyl radicals, induced by GNP in physiological samples, in radiother-apy treatment, using 6, 15 MV photons and 6, 12, 15 MeV electrons. Theresults, using GNP of (20± 2) nm diameter, suggest that the hydroxyl pro-duction is quantitatively independent of gold nanoparticles concentration,and of the type and energy of the Radiation utilized. This could indicatethat the gold nanoparticles (up to 10 µmol) radiosensitizing effect is due tothe different ionization density distribution; likely much higher in the pres-ence of gold nanoparticles.Preliminary measures were also done with (5± 2) nm nanoparticles irradi-ated with 6, 15 MV photons. The results suggest an increment (20÷ 40%)of hydroxyl production in samples containing GNP.

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Indice

Introduzione 1

1 Interazione tra radiazione e materia e basi biologiche dellaradioterapia 31.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31.2 Interazione della radiazione ionizzante con la materia . . . . . 5

1.2.1 Interazione radiazioni elettromagnetiche . . . . . . . . 61.2.2 Interazione di particelle cariche . . . . . . . . . . . . . 14

1.3 Basi biologiche della radioterapia . . . . . . . . . . . . . . . . 191.3.1 Danno da radiazioni ionizzanti . . . . . . . . . . . . . 22

2 Nanomateriali in biomedina 312.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 312.2 Nanoparticelle nelle applicazioni biomediche . . . . . . . . . . 34

2.2.1 Nanoparticelle in imaging medico . . . . . . . . . . . . 342.2.2 Utilizzo terapico delle nanoparticelle . . . . . . . . . . 36

2.3 nano-Amplified Targeted Therapy . . . . . . . . . . . . . . . 412.3.1 Nanoparticelle di oro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 432.3.2 La radiosensibilizzazione indotta dalle GNP . . . . . . 49

3 Studio della produzione di ROS in presenza di GNP 633.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 633.2 Preparazione dei campioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 653.3 Irraggiamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67

3.3.1 Irraggiamento con fotoni . . . . . . . . . . . . . . . . . 693.3.2 Irraggiamento con elettroni . . . . . . . . . . . . . . . 70

3.4 Analisi dei campioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 723.4.1 Fenomeno della fluorescenza . . . . . . . . . . . . . . . 723.4.2 Probe fluorescenti utilizzati . . . . . . . . . . . . . . . 753.4.3 Tecniche spettroscopiche e strumentazione utilizzata . 773.4.4 Tempistiche di analisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85

iii

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4 Misure effettuate con il TPA 934.1 Caratteristiche del sodio tereftalato . . . . . . . . . . . . . . . 934.2 Misure effettuate con GNPs dal diametro

medio di 20 nm . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 964.2.1 Determinazione della concentrazione ottimale . . . . . 964.2.2 Una misura preliminare: GNP e fotoni da 6 MV . . . 1014.2.3 Determinazione dei fattori di correzione . . . . . . . . 1034.2.4 Misure corrette . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113

4.3 Risultati GNP da 20 nm . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1134.3.1 Intensità massima di fluorescenza HTPA in funzione

della dose . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1154.3.2 Rapporti del segnale di fluorescenza HTPA in funzione

della dose . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1174.3.3 Intensità massima di fluorescenza in funzione dell’e-

nergia media del fascio . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1214.4 Alcune misure con nanoparticelle di oro di dimensioni inferiori 124

4.4.1 Irraggiamento con fotoni da 6 MV . . . . . . . . . . . 1254.4.2 Irraggiamento con fotoni da 15 MV . . . . . . . . . . . 130

4.5 Confronto tra GNP di dimensioni differenti . . . . . . . . . . 1334.5.1 Fotoni da 6 MV . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1334.5.2 Fotoni da 15 MV . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 136

5 Misure effettuate con il DHE 1435.1 Caratteristiche del diidroetidio . . . . . . . . . . . . . . . . . 1435.2 Studi preliminari effettuati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145

5.2.1 Spettri di fluorescenza di campioni contenenti diffe-renti concentrazioni di DHE . . . . . . . . . . . . . . . 145

5.2.2 Verifica della fotosensibilità del DHE . . . . . . . . . . 1475.2.3 Studio della stabilità temporale . . . . . . . . . . . . . 1475.2.4 Determinazione del tempo necessario alla stabilizza-

zione dei campioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1535.3 Studio della concentrazione ottimale . . . . . . . . . . . . . . 157

5.3.1 Una prima misura non definitiva . . . . . . . . . . . . 1575.3.2 Determinazione della concentrazione di utilizzo . . . . 159

Conclusioni 165

Ringraziamenti 167

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Elenco delle figure

1.1 Primi generatori di raggi X ad uso medico in Vojvodina . . . 31.2 Veduta del complesso CNAO di Pavia . . . . . . . . . . . . . 41.3 Importanza relativa dei tre processi fondamentali di intera-

zione dei fotoni. Le linee continue mostrano i valori di Z e diEγ per cui i due tipi di effetti sono uguali . . . . . . . . . . . 7

1.4 Schema dell’effetto fotoelettrico da [Att08] . . . . . . . . . . . 71.5 Sezione d’urto effetto fotoelettrico totale e parziale dell’argento 81.6 Schema dell’effetto Compton da [Att08] . . . . . . . . . . . . 91.7 Diagramma polare della Sezione d’urto differenziale di Klein-

Nishina per l’effetto Compton [Hir00] . . . . . . . . . . . . . . 101.8 Schema del processo di produzione di coppie nel campo del

nucleo da [Att08] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111.9 Probabilità di creazione di coppie positrone-elettrone per vari

materiali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121.10 Coefficiente di attenuazione massico dei fotoni . . . . . . . . . 131.11 Sezione d’urto totale dei fotoni nell’interazione con carbonio

e con piombo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131.12 Perdita di energia di un mesone µ+ in Rame (Cu) [BAB+12] 161.13 Perdite di energia di particelle di carica unitaria in differenti

materiali [BAB+12] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161.14 Picco di Bragg per particelle alfa in aria . . . . . . . . . . . . 171.15 Evoluzione della dose relativa in funzione della penetrazione

in acqua per differenti particelle [Cus11] . . . . . . . . . . . . 171.16 Simulazione Monte Carlo delle traiettorie di 100 elettroni in

un mezzo con densità pari a 1 gcm−3 . . . . . . . . . . . . . . 181.17 Rappresentazione schematica del danno diretto ed indiretto

delle radiazioni ionizzanti. Figura originale da [HG06] . . . . 221.18 Principali tipi di danni possibili al DNA . . . . . . . . . . . . 241.19 Principali tipi di ROS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25

2.1 Dimensione di alcuni nanomateriali . . . . . . . . . . . . . . . 312.2 Immagini al SEM di nanomateriali. . . . . . . . . . . . . . . . 332.3 Immagine SEM di quantum dots . . . . . . . . . . . . . . . . 35

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2.4 Esempio dell’aumento di contrasto dovuto alle SPIO in im-magine MRI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36

2.5 Tipi di nanoparticelle polimeriche per il trasporto di farmaci 372.6 Virus dell’HIV in gemmazione da una cellula . . . . . . . . . 382.7 Differenze morfologiche tra l’endotelio dei tessuti sani e di

quelli dei tumori solidi [Dud12] . . . . . . . . . . . . . . . . . 392.8 Nanoparticelle nella terapia farmacologica dei tumori [TG13]. 402.9 Andamento del volume medio tumorale EMT-6 di una cavia

in funzione del tempo a seguito del trattamento con GNP edirraggiamento con tubo radiogeno [HSS04] . . . . . . . . . . . 42

2.10 Andamento del volume medio tumorale dopo il trattamentocon nanoparticelle metalliche e irraggiamento con fascio diprotoni [KSK+12] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43

2.11 Schema della versatilità delle nanoparticelle di oro per laterapia anti-cancro [DSJ+13] . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44

2.12 Processo di sintesi delle GNP. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 452.13 Spettri di assorbanza di GNPs di differenti dimensioni . . . . 462.14 Caratterizzazione GNP. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 472.15 Biomarker utilizzati in nATT per la funzionalizzazione delle

GNP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 482.16 Plot del coefficiente di attenuazione massico di raggi X per

tessuti molli, ossa e oro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 492.17 Simulazione dell’energia media depositata nelle vicinanze di

una GNP dopo un singolo evento di ionizzazione da parte diun fotone da 40 KeV [MHM+11] . . . . . . . . . . . . . . . . 50

2.18 Correlazione fra aumento di dose predetto e osservato speri-mentalmente in presenza di nanoparticelle di oro [BMCP12] . 51

3.1 Campioni contenenti PBS, probe fluorescente e GNP a diffe-renti concentrazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66

3.2 LINAC presenti nel reparto di radioterapia dell’ospedale Mau-riziano. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67

3.3 Set up di irraggiamento dei campioni. . . . . . . . . . . . . . 683.4 Set up di irraggiamento con fascio di fotoni . . . . . . . . . . 693.5 LINAC Multileaf Collimator . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 703.6 Setup di irraggiamento con fascio di elettroni. . . . . . . . . . 713.7 Diagramma di Jablonski di un fluoroforo [Lak13] . . . . . . . 733.8 Specie reattive dell’ossigeno misurate . . . . . . . . . . . . . . 753.9 Strutture chimiche dei probes fluorescenti utilizzati. . . . . . 763.10 Transizioni elettroniche e spettro di assorbimento UV-visibile

di una molecola [Pri] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 783.11 Schema dei componenti principali di uno spettrofotometro

UV-visibile a doppio raggio [OCB] . . . . . . . . . . . . . . . 813.12 Shimadzu UV-1700 Spectrophotometer . . . . . . . . . . . . . 81

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3.13 Cuvetta di quarzo utilizzata nell’analisi dei campioni . . . . . 823.14 Diagramma delle componenti principali di un fluorimetro . . 843.15 PerkinElmer LS 55 Luminescence Spectrometer . . . . . . . . 85

4.1 Reazione di quencing del TPA . . . . . . . . . . . . . . . . . . 934.2 Determinazione della concentrazione ottimale di TPA, una

prima misura: spettri di fluorescenza a 1.8 Gy di irraggiamento 974.3 Determinazione della concentrazione ottimale di TPA, una

prima misura: spettri di fluorescenza a 2.4 Gy di irraggiamento 974.4 Determinazione della concentrazione ottimale di TPA, una

prima misura: intensità massima di fluorescenza HTPA infunzione della concentrazione di TPA, per campioni sottopo-sti a 1.8 Gy di irraggiamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98

4.5 Determinazione della concentrazione ottimale di TPA, unaprima misura: intensità massima di fluorescenza in funzionedella concentrazione di TPA, per campioni sottoposti a 2.4 Gydi irraggiamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99

4.6 Concentrazione ottimale di TPA: andamento dell’intensitàmassima di fluorescenza in funzione della dose . . . . . . . . . 100

4.7 Misura preliminare con GNP e fotoni da 6 MV : intensitàmassima di fluorescenza in funzione della dose . . . . . . . . . 102

4.8 Misura preliminare con GNP e fotoni da 6 MV : diminu-zione percentuale del segnale di fluorescenza dei campionicontenenti GNP rispetto a quelli privi . . . . . . . . . . . . . 104

4.9 Spettro di assorbanza di campioni contenenti PBS e differenticoncentrazioni di GNP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105

4.10 Valori corretti per assorbimento delle GNP, dell’intensità difluorescenza del HTPA in funzione della dose per fascio difotoni da 6 MV . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106

4.11 Determinazione fattore di correzione adsorbimento HTPA-citrato. Intensità di fluorescenza HTPA vs Dose . . . . . . . . 107

4.12 Determinazione fattore di correzione adsorbimento HTPA-citrato. intensità di fluorescenza HTPA vs ConcentrazioneTPA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 108

4.13 Studio della sensibilità dello spettrofluorimetro: intensità mas-sima di fluorescenza campioni non contenenti GNP . . . . . . 110

4.14 Studio della sensibilità dello spettrofluorimetro: intensità mas-sima di fluorescenza campioni contenenti 5 µM GNP . . . . . 110

4.15 Studio della sensibilità dello spettrofluorimetro: intensità mas-sima di fluorescenza campioni contenenti 10 µM GNP . . . . 111

4.16 Studio della sensibilità dello spettrofluorimetro: intensità me-dia di fluorescenza in funzione dell’apertura delle slit di emis-sione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112

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4.17 Risultati corretti misura preliminare 4.2.2: intensità massimadi fluorescenza in funzione della dose . . . . . . . . . . . . . . 114

4.18 Risultati GNP da 20 nm: Intensità massima di fluorescenzaHTPA in funzione della dose, GNP a 0 µM . . . . . . . . . . 116

4.19 Risultati GNP da 20 nm:: Intensità massima di fluorescenzaHTPA in funzione della dose, GNP a 5 µM . . . . . . . . . . 116

4.20 Risultati GNPs da 20 nm: Intensità massima di fluorescenzaHTPA in funzione della dose, GNP a 10 µM . . . . . . . . . . 117

4.21 Risultati GNP da 20 nm: rapporti di intensità di fluorescenzain funzione della dose, fotoni 6 MV . . . . . . . . . . . . . . . 118

4.22 Risultati GNP da 20 nm:rapporti di intensità di fluorescenzain funzione della dose, fotoni 15 MV . . . . . . . . . . . . . . 118

4.23 Risultati GNP da 20 nm: rapporti di intensità di fluorescenzain funzione della dose, elettroni 6 MeV . . . . . . . . . . . . . 119

4.24 Risultati GNP da 20 nm: rapporti di intensità di fluorescenzain funzione della dose, elettroni 12 MeV . . . . . . . . . . . . 119

4.25 Risultati GNP da 20 nm: rapporti di intensità di fluorescenzain funzione della dose, elettroni 15 MeV . . . . . . . . . . . . 120

4.26 Risultati GNP da 20 nm: intensità massima di fluorescenzain funzione dell’energia media del fascio, GNP a 0 µM . . . . 122

4.27 Risultati GNP da 20 nm: intensità massima di fluorescenzain funzione dell’energia media del fascio, GNP a 5 µM . . . . 123

4.28 Risultati GNP da 20 nm: intensità massima di fluorescenzain funzione dell’energia media del fascio, GNP a 10 µM . . . 123

4.29 Irraggiamento con fotoni da 6 MV : intensità massima difluorescenza in funzione della dose, GNP da 5 nm . . . . . . . 126

4.30 Irraggiamento con fotoni da 6 MV : intensità massima di fluo-rescenza HTPA in funzione della concentrazione di nanopar-ticelle, GNP da 5 nm . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 126

4.31 Fattore di correzione apertura delle EM slits per GNP daldiametro medio di 5 nm: intensità massima di fluorescenzain funzione dell’apertura delle slits di emissione . . . . . . . . 127

4.32 Irraggiamento con fotoni da 6 MV , misure corrette: intensitàmassima di fluorescenza in funzione delle dose, GNP da 5 nm 129

4.33 Irraggiamento con fotoni da 6 MV , misure corrette: rapportidi intensità di fluorescenza in funzione della dose, GNP da 5nm . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 129

4.34 Irraggiamento con fotoni da 15 MV : intensità massima difluorescenza in funzione delle dose, GNP da 5 nm . . . . . . . 131

4.35 Irraggiamento con fotoni da 15 MV : rapporti di intensità difluorescenza in funzione della dose, GNP da 5 nm . . . . . . . 132

4.36 Confronto GNP di dimensioni differenti, fotoni da 6 MV :intensità massima di fluorescenza in funzione della dose, GNPalla concentrazione di 0 µM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 134

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4.37 Confronto GNP di dimensioni differenti, fotoni da 6 MV :intensità massima di fluorescenza in funzione della dose, GNPalla concentrazione di 5 µM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135

4.38 Confronto GNP di dimensioni differenti, fotoni da 6 MV :intensità massima di fluorescenza in funzione della dose, GNPalla concentrazione di 10 µM . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135

4.39 Confronto GNP di dimensioni differenti, fotoni da 6 MV :rapporti di intensità di fluorescenza in funzione della dose . . 136

4.40 Confronto GNP di dimensioni differenti, fotoni da 15 MV :intensità massima di fluorescenza in funzione della dose, GNPalla concentrazione di 0 µM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137

4.41 Confronto GNP di dimensioni differenti, fotoni da 15 MV :intensità massima di fluorescenza in funzione della dose, GNPalla concentrazione di 5 µM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138

4.42 Confronto GNP di dimensioni differenti, fotoni da 15 MV :intensità massima di fluorescenza in funzione della dose, GNPalla concentrazione di 10 µM . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138

4.43 Confronto GNP di dimensioni differenti, fotoni da 15 MV :rapporti di intensità di fluorescenza in funzione della dose . . 139

5.1 Struttura chimica dell’etidio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1435.2 Spettri di fluorescenza di campioni contenenti differenti con-

centrazioni di DHE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1465.3 Verifica della fotosensibilità del DHE: spettri di fluorescenza

misurati prima e dopo l’esposizione del campione alla luce solare1485.4 Studio della stabilità temporale DHE, campioni senza GNP:

intensità massima di fluorescenza in funzione del tempo . . . 1495.5 Misure ripetute ad intervalli di tempo costanti: intensità mas-

sima di fluorescenza in funzione del tempo . . . . . . . . . . . 1515.6 Misure ad intervalli di tempo casuali: intensità massima di

fluorescenza in funzione del tempo . . . . . . . . . . . . . . . 1525.7 Campioni analizzati immediatamente dopo la preparazione:

intensità massima di fluorescenza in funzione del tempo . . . 1555.8 Campioni analizzati tre ore dopo la preparazione: intensità

massima di fluorescenza in funzione del tempo . . . . . . . . . 1565.9 Studio della concentrazione ottimale di DHE, una prima mi-

sura: intensità massima di fluorescenza in funzione della dose 1585.10 Determinazione della concentrazione ottimale di DHE: plot

dell’intensità massima di fluorescenza in funzione della dose. . 160

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Elenco delle tabelle

1.1 Principali tipi di radiazioni ionizzanti . . . . . . . . . . . . . . 51.2 Fattori di qualità di differenti tipi di radiazioni . . . . . . . . 211.3 LET di differenti radiazioni ionizzanti . . . . . . . . . . . . . 221.4 G-value di alcuni prodotti primari della radiolisi dell’acqua a

pH neutro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25

2.1 Classificazione dimensionale dei nanomateriali . . . . . . . . . 322.2 Caratterizzazione GNP con spettrofotometro UV . . . . . . . 46

3.1 Caratteristiche del PBS usato nei campioni . . . . . . . . . . 653.2 Caratteristiche delle GNP utilizzate . . . . . . . . . . . . . . 663.3 Radiazioni ed energie utilizzate . . . . . . . . . . . . . . . . . 673.4 Acceleratori usati nell’irraggiamento dei campioni con fasci di

fotoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 693.5 Software utilizzati per calcolo delle dosi erogate con fasci di

fotoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 703.6 Acceleratore usato nell’irraggiamento dei campioni con fasci

di elettroni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 713.7 Caratteristiche dei probes utilizzati [GFL05] . . . . . . . . . . 773.8 Caratteristiche dello spettro luce UV-visibile . . . . . . . . . 78

4.1 Studio effettuato da Eva Hideg e colleghi, dell’intensità mas-sima di fluorescenza del HTPA in PBS di differenti pH [ŠH07] 95

4.2 Caratteristiche di fluorescenza del TPA utilizzato . . . . . . . 954.3 Determinazione della concentrazione ottimale di TPA, una

prima misura: composizione dei campioni . . . . . . . . . . . 964.4 Concentrazione ottimale di TPA: composizione dei campioni . 1004.5 Parametri del fit lineare dell’intensità di fluorescenza in fun-

zione della dose, per la determinazione della concentrazioneottimale di TPA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101

4.6 Misura preliminare con GNP e fotoni da 6 MV : composizionedei campioni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102

4.7 Misura preliminare con GNP e fotoni da 6 MV : impostazionidello spettrofluorimetro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102

xi

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4.8 Misura preliminare con GNP e fotoni da 6 MV : parametridel fit lineare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103

4.9 Assorbimento delle GNP: composizione dei campioni . . . . . 1044.10 Composizione campioni per la determinazione del fattore di

correzione di adsorbimento citrato-HTPA . . . . . . . . . . . 1074.11 Determinazione fattore di correzione adsorbimento HTPA-

citrato: parametri fit lineare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1084.12 Studio della sensibilità dello spettrofluorimetro: composizio-

ne dei campioni analizzati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1094.13 Studio della sensibilità dello spettrofluorimetro: impostazioni

dello strumento utilizzato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1094.14 Studio della sensibilità dello spettrofluorimetro: parametri fit

parabolico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1124.15 Risultati GNP da 20 nm: composizione dei campioni . . . . . 1144.16 Risultati GNP da 20 nm: energie dei fasci utilizzati . . . . . . 1144.17 Risultati GNP da 20 nm: impostazioni del fluorimetro utiliz-

zate nell’analisi delle misure effettuate . . . . . . . . . . . . . 1154.18 Risultati GNP da 20 nm: valori di apertura delle EM slits

dello spettrofluorimetro utilizzati nelle misure . . . . . . . . . 1154.19 Risultati GNP da 20 nm: test normale per verifica della co-

stanza degli andamenti dei rapporti di intensità massima difluorescenza nella diverse misure . . . . . . . . . . . . . . . . 120

4.20 Risultati GNP da 20 nm: test normale per la verifica del-l’indipendenza dei rapporti R5 e R10 dalla concentrazione diGNP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121

4.21 Risultati GNP da 20 nm: test normale per la verifica della co-stanza dell’andamento dell’intensità massima di fluorescenzain funzione dell’energia media del fascio . . . . . . . . . . . . 124

4.22 Irraggiamento con fotoni da 6 MV : composizione dei cam-pioni, GNP da 5 nm . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125

4.23 Irraggiamento con fotoni da 6 MV : impostazioni dello spet-trofluorimetro, GNP da 5 nm . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125

4.24 Fattore di correzione apertura delle EM slits per GNP daldiametro medio di 5 nm: composizione dei campioni . . . . . 127

4.25 Fattore di correzione apertura delle EM slits per GNP daldiametro medio di 5 nm: parametri fit parabolico . . . . . . . 128

4.26 Irraggiamento con fotoni da 6 MV , misure corrette: test nor-male per la costanza degli andamenti dei rapporti (4.11) e(4.12) in funzione della dose, GNP da 5 nm . . . . . . . . . . 130

4.27 Irraggiamento con fotoni da 15 MV : composizione dei cam-pioni, GNP da 5 nm . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 130

4.28 Irraggiamento con fotoni da 15 MV : impostazioni dello spet-trofluorimetro, GNP da 5 nm . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131

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4.29 Irraggiamento con fotoni da 15 MV , misure corrette: te-st normale per la costanza degli andamenti di plateau deirapporti (4.11) e (4.12) in funzione della dose, GNP da 5 nm 133

4.30 Confronto GNP di dimensioni differenti, fotoni da 6 MV :apertura delle EM slits dello spettrofluorimetro . . . . . . . . 133

5.1 Caratteristiche di fluorescenza del DHE utilizzato . . . . . . . 1445.2 Spettri di fluorescenza di campioni contenenti differenti con-

centrazioni di DHE: composizione campioni . . . . . . . . . . 1465.3 Spettri di fluorescenza di campioni contenenti differenti con-

centrazioni di DHE: impostazioni spettrofluorimetro . . . . . 1465.4 Studio della stabilità temporale DHE, campioni senza GNP:

impostazioni dello spettrofluorimetro . . . . . . . . . . . . . . 1485.5 Composizione campioni per lo studio della stabilità temporale

del DHE in presenza di GNP . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1505.6 Misure ripetute ad intervalli di tempo costanti: impostazioni

dello spettrofluorimetro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1505.7 Misure ripetute ad intervalli di tempo costanti: parametri del

fit lineare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1515.8 Misure ad intervalli di tempo casuali: parametri del fit lineare 1535.9 Determinazione del tempo necessario alla stabilizzazione dei

campioni: composizione dei campioni . . . . . . . . . . . . . . 1545.10 Determinazione del tempo necessario alla stabilizzazione dei

campioni: impostazioni dello spettrofluorimetro . . . . . . . . 1545.11 Campioni analizzati immediatamente dopo la preparazione:

parametri del fit lineare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1555.12 Campioni analizzati tre ore dopo la preparazione: parametri

di fit lineare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1565.13 Studio della concentrazione ottimale di DHE, una prima mi-

sura: composizione campioni e caratteristiche irraggiamento . 1575.14 Studio della concentrazione ottimale di DHE, una prima mi-

sura: impostazioni dello spettrofluorimetro . . . . . . . . . . . 1575.15 Studio della concentrazione ottimale di DHE, una prima mi-

sura: parametri del fit lineare . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1595.16 Determinazione della concentrazione ottimale di DHE: com-

posizione campione e caratteristiche irraggiamento . . . . . . 1595.17 Determinazione della concentrazione ottimale di DHE: impo-

stazioni spettrofluorimetro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1605.18 Determinazione della concentrazione ottimale di DHE: para-

metri fit lineare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 160

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Introduzione

Il cancro è una patologia estremamente diffusa in tutto il mondo. Leterapie per la cura delle patologie oncologiche sono molteplici e il più dellevolte non esclusive tra loro. Tra queste particolarmente utilizzata in ambitoclinico è la radioterapia, che sfrutta le radiazioni ionizzanti per distruggerele cellule tumorali, cercando di causare il minor danno possibile ai tessu-ti sani circostanti. Clinicamente è di interesse fondamentale trovare dellemetodologie che permettano di incrementare l’effetto della radioterapia, au-mentando il deposito di dose e/o l’efficacia biologica unicamente all’internodei target tumorali.Particolarmente promettenti sono le nanoparticelle d’oro (GNP): numerosistudi "in vivo" ed "in vitro" hanno infatti dimostrato la loro efficacia, sia consorgenti dell’ordine del Kilovolt che del Megavolt. Inoltre le GNP possiedonocaratteristiche fisico-chimiche che le rendono particolarmente adatte all’u-tilizzo biomedico: prime fra tutte l’elevata biocompatibilità e la facilità disintesi e di funzionalizzazione.Per un possibile futuro utilizzo clinico delle GNP è però di essenziale impor-tanza individuare i processi responsabili della loro azione radiosensibilizzan-te. Differenti evidenze sperimentali hanno mostrato come, oltre ai processi diinterazione fisica tra GNP e radiazione, possa esservi una forte componentechimica-biologica nel fenomeno di aumento di efficacia delle radioterapia inpresenza di nanoparticelle d’oro. L’aumento di produzione di specie radicali-che dell’ossigeno (ROS), in condizioni di irraggiamento con GNPs, potrebbeessere un buon candidato per spiegare tale componente chimico-biologica.Il compito che questo lavoro di tesi si prefigge è proprio quello di misurarese, in campioni contenenti differenti concentrazioni di GNP sottoposti ad ir-raggiamento radioterapico, si riscontra un aumento di produzione di specieradicaliche dell’ossigeno. Nello specifico, lo studio svolto è incentrato sullamisura di due ROS in particolare: l’anione superossido ed il radicale ossi-drile. Tale scelta è stata effettuata sulla base dell’importante ruolo svoltoda queste due specie radicaliche nel danno indiretto indotto dall’interazionetra radiazione ionizzante e materia biologica. Per quantificare la produzionedi tali ROS, sono stati utilizzati dei probe fluorescenti: il sodio tereftalato(TPA), per la misura del radicale ossidrile, ed il diidroetidio (DHE), perquella dell’anione superossido.

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Nella prima parte del capitolo 1, sono presentati i principali meccanismi diinterazione tra le radiazioni ionizzanti e la materia; mentre nella secondaparte sono riassunti brevemente i principi fondamentali della radiobiologia.Nel secondo capitolo invece sono trattate le applicazioni mediche dei na-nomateriali e nello specifico delle nanoparticelle, con particolare attenzionealle GNP. Nella seconda parte del capitolo è invece presentato il progetto diricerca dell’INFN nano-Amplified Targeted Therapy (nATT) di cui fa partequesto lavoro di tesi.Nel capitolo 3 è discusso lo studio effettuato sulla produzione di ROS inpresenza di GNP: vengono descritte le metodologie di analisi effettuate, iset-up di irraggiamento ed i campioni utilizzati.Nel quarto capitolo sono invece presentate le caratteristiche del TPA, tuttele misure del radicale ossidrile effettuate ed i risultati ottenuti con tale pro-be.Infine nel quinto ed ultimo capitolo, vengono descritti il DHE, utilizzato perl’individuazione dell’anione superossido, e gli studi preliminari svolti contale molecola.

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Capitolo 1

Interazione tra radiazione emateria e basi biologichedella radioterapia

1.1 IntroduzioneIl cancro è una patologia estremamente comune in tutto il mondo: sol-

tanto nel 2012 ci sono stati 14 milioni di nuovi casi di cancro e 8.2 milioni dimorti per patologie tumorali [TBS+15]. Solamente negli Stati Uniti per il2015, sono attesi circa 1 658 370 nuovi casi di cancro, di cui 848 200 uominie 810 170 donne, mentre il numero totale di decessi in patologie oncologicheatteso è di 589 430 [SMJ15]. Le terapie anticancro sono molteplici, in con-tinua evoluzione tecnologica e interessano settori di studio interdisciplinari.In tale ambito un perfetto esempio è costituito dalla radioterapia (RT), unatecnica medica che prevede l’utilizzo di radiazioni ionizzanti per la cura dipatologie, principalmente oncologiche. La radioterapia, e in generale la fisicamedica, vide la luce durante il diciannovesimo secolo, grazie a tre scopertefondamentali che portarono ad altrettanti premi Nobel. La prima di tali sco-

Figura 1.1: Primi generatori di raggi X ad uso medico in Vojvodina

perte avvenne nel dicembre del 1895, quando Röntgen scoprì i raggi X; dopomeno di un anno, nel giugno del 1896, Becquerel scoprì la radioattività ed

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infine nel 1898 i coniugi Curie scoprirono il Radio. Nel 1896, un anno dopo lascoperta dei raggi X, Leopold Freund, dermatologo e professore di radiologiadell’università di Vienna, fu il primo ad utilizzare con successo delle radia-zioni ionizzanti a scopi terapeutici [VB10]. Al giorno d’oggi i trattamentiradioterapici più diffusi in ambito ospedaliero, prevedono l’utilizzo di fascidi fotoni o di elettroni generati per mezzo di acceleratori lineari (LINAC).Molto meno numerosi, a causa degli alti costi delle tecnologie coinvolte, sonoinvece i centri che trattano patologie tumorali, con particelle cariche pesanti(adroni). Tale branca della radioterapia prende il nome di adroterapia. Trai centri di adroterapia presenti nel mondo, citiamo il nostrano Centro Nazio-nale di Adroterapia Oncologico (CNAO) di Pavia, inaugurato il 15 Febbraio2010, a cui sono seguiti due anni di sperimentazione con fasci di protoni eioni carbonio e conclusasi tale fase, è inizato il trattamento dei pazienti, al18 febbraio 2014, in totale 205 [Ros11].

Figura 1.2: Veduta del complesso CNAO di Pavia

Le basi tecnologiche dell’adroterapia e della radioterapia, si fondano sugliesperimenti di fisica elementare. Il primo ciclotrone (da 160 MeV) utilizzatoper irraggiare pazienti con adroni carichi fu costruito nel 1954 da RobertRathbun ’Bob’ Wilson ad Harward; tale acceleratore dopo, essere stato uti-lizzato per molti anni in esperimenti di fisica nucleare, venne convertito adutilizzo medico solamente nel 1961 [Ama08]. Oltre le sopracitate radiotera-pia e adroterapia, esistono anche altre tecniche utilizzate per la cura dellepatologie tumorali, tra cui citiamo: la chemioterapia, terapie ormonali, l’im-munoterapia e quando è possibile la chirurgia. Nella maggior parte dei trat-tamenti, tutte queste possibili tecniche vengono utilizzate in maniera nonesclusiva, in modo da poter ottimizzare la terapia alla patologia oncologicaspecifica del paziente.

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1.2 Interazione della radiazione ionizzante con lamateria

Le basi fisiche della radioterapia e dell’adroterapia si fondano sui pro-cessi di interazione tra la radiazione ionizzante 1 e la materia. Ogni tipo diradiazione, attraversando un materiale e quindi interagendo con esso, cededell’energia alla struttura atomica o molecolare del mezzo stesso; se talequantità di energia è sufficiente a produrre la ionizzazione o l’eccitazione delmezzo, si parla allora di radiazione ionizzante. Siccome mediamente l’ener-gia necessaria a scalzare un elettrone di valenza da un atomo è dell’ordinedi 4-25 eV [Att08], l’energia della radiazione incidente, affinché questa possaessere considerata ionizzante, deve essere maggiore, o al limite comparabile,con tali valori. Le radiazioni ionizzanti vengono comunemente suddivise in[BMPR95]

• Radiazioni direttamente ionizzanti: quando la ionizzazione degliatomi o delle molecole del mezzo attraversato avviene tramite l’inte-razione diretta e continua con la radiazione incidente; questo è il casodelle particelle cariche.

• Radiazioni indirettamente ionizzanti: quando la ionizzazione de-gli atomi, o delle molecole del mezzo attraversato, avviene tramitel’interazione con le particelle cariche secondarie prodotte a seguito dalpassaggio della radiazione primaria; questo è il caso dei fotoni e delleparticelle neutre.

Radiazioni ionizzantiParticella Carica elettrica (e) Massa a riposo (MeV/c2)

Radiazioni direttamente ionizzantiParticella α +2 3728Elettrone -1 0.511Positrone +1 0.511Protone +1 938.28

Radiazioni indirettamente ionizzantiRaggi γ 0 0Raggi X 0 0Neutrone 0 939.57

Tabella 1.1: Principali tipi di radiazioni ionizzanti

I processi di interazione con la materia differiscono allora a seconda deltipo di radiazione che si considera. Per avere un’idea dei processi di intera-zione con la materia delle particelle comunemente utilizzate in radioterapia

1Con il termine radiazione si fa riferimento a fasci di particelle

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e adroterapia, consideriamo separatamente le radiazioni elettromagnetichee le particelle cariche.

1.2.1 Interazione radiazioni elettromagnetiche

Le radiazioni elettromagnetiche principalmente utilizzate in ambito bio-medico, sono i raggi X e raggi γ, che vengono distinti in base alla loroorigine. I raggi X sono fotoni emessi dalle shell elettroniche che circonda-no gli atomi, oppure per radiazione di frenamento (Bremsstrahlung), di cuiparleremo nel seguito, mentre con il termine raggi γ, ci si riferisce solita-mente ai fotoni emessi dai nuclei atomici o dall’annichilazione di particelle[fRoC12]. I principali processi di interazione di tali fotoni con la materiasono cinque e dipendono fortemente dall’energia del fotone incidente, oltreche dalle proprietà del mezzo attraversato:

• L’effetto fotoelettrico

• L’effetto Compton

• La produzione di coppie

• Lo Scattering Rayleigh

• L’interazione fotonucleare

Lo scattering Rayleigh è spesso denominato anche scattering coerente, poi-ché il processo di interazione del fotone incidente coinvolge l’azione combi-nata dell’intero atomo. Si tratta di un processo di scattering elastico: ilfotone non perde essenzialmente energia a seguito dell’urto ma viene unica-mente deviato di un angolo limitato [Att08]. Tale processo di interazioneavviene per energie del fotone incidente inferiori all’energia di ionizzazionedell’atomo coinvolto.

L’interazione fotonucleare, invece, è un processo di tra i raggi γ ed ilnucleo atomico, che porta all’emissione o di un protone o di un neutrone.Per energie del fotone incidente inferiori 10 MeV, la sezione d’urto di taleeffetto è decisamente ridotta; ciò nonostante tale processo di interazioneè il responsabile, nei generatori clinici di raggi X (come i LINAC), dellacontaminazione neutronica del fascio, in misura dipendente dall’energia edal design della macchina acceleratrice [Tav10]. Ad esempio con un fasciodi raggi X a 25 MV presenta circa un ordine di grandezza di contaminazionemaggiore di neutroni rispetto ad un fascio a 10 MV [Att08]. Nella figura1.3, è mostrata l’importanza relativa dei restanti tre processi di interazione,ovvero l’effetto fotoelettrico, l’effetto Compton e la creazione di coppie, infunzione dell’energia dei fotoni e del numero atomico del mezzo attraversato.Nel proseguo, tali processi di interazione, data la loro importanza, verrannodiscussi nel dettaglio: sono infatti i principali responsabili del trasferimentodi energia agli elettroni atomici del mezzo.

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Figura 1.3: Importanza relativa dei tre processi fondamentali di interazionedei fotoni. Le linee continue mostrano i valori di Z e di Eγ per cui i due tipidi effetti sono uguali

Effetto fotoelettrico

L’effetto fotoelettrico è l’interazione con la materia più importante perfotoni ionizzanti a bassa energia, come mostrato in figura 1.3. La cinematicadi tale processo è schematizzata in figura 1.4: un fotone di energiaEγ = hν interagisce con un elettrone atomico, avente un energia di legamepari ad Eb. Nel caso in cui

Eγ ≥ Eb (1.1)

allora il fotone incidente è in grado di scalzare dalla propria orbita l’elet-trone atomico; l’effetto fotoelettrico è dunque un processo a soglia [EN55,BAB+12]. La differenza tra l’energia del fotone incidente e l’energia di

Figura 1.4: Schema dell’effetto fotoelettrico da [Att08]

legame dell’elettrone, viene totalmente convertita in energia cinetica di que-st’utimo (T ), dato che l’energia ceduta all’atomo (Ta) può infatti essere

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considerata nulla (Ta/T = m0/M0 dove M0 = massa a riposo dell’atomomentre m0 = massa a riposo dell’elettrone).

T = hν − Eb − Ta ' hν − Eb (1.2)

La quantità di moto (pa) dell’atomo però, non sarà anch’essa nulla, l’atomoinfatti verrà deviato nell’interazione di un angolo φ necessario alla conser-vazione della quantità di moto totale.L’andamento della sezione d’urto fotoelettrica in funzione dell’energia delfotone incidente è mostrato in figura 1.5, nel caso dell’argento (Z=47 ).

Figura 1.5: Sezione d’urto effetto fotoelettrico totale e parziale dell’argento

Nell’andamento della sezione d’urto, si delineano i tipici "denti di sega" ,che corrispondono a valori di energia del fotone incidente esattamente ugualeall’energia delle shell elettronica corrispondente. L’andamento qualitativodella sezione d’urto fotoelettrica è descritto dall’equazione [Hir00]:

σpe

{∼ Z4/(hν)3 low photon energy∼ Z5/(hν) high photon energy

(1.3)

Particolarmente interessanti sono i processi di rilassamento che avvengo-no a seguito dell’effetto fotoelettrico: affinché il sistema atomico ritorni inuna condizione di stabilità, la lacuna lasciata nella shell interna viene occu-pata da un secondo elettrone proveniente da una shell più esterna, con con-seguente emissione di energia [Hub99]. I processi di rilassamento principalisono [Hir00]:

• Emissione di raggi X di fluorescenza. L’energia del fotone emesso èuguale alla differenza tra il livello energetico della lacuna e il livelloenergetico della shell esterna da cui proviene l’elettrone che la colma.

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• Emissione di un elettrone Auger. In tale processo, se il fotone emessoper fluorescenza ha energia sufficiente, può dare origine ad effetto fo-toelettrico con un elettrone di una shell più esterna, con la conseguenteemissione di un elettrone, detto elettrone Auger.

Effetto Compton

L’effetto Compton è processo di scattering elastico tra un fotone edun elettrone, durante il quale la radiazione incidente perde parte della suaenergia e viene deflessa rispetto alla direzione di incidenza iniziale.

Figura 1.6: Schema dell’effetto Compton da [Att08]

Nel proseguo della trattazione dell’effetto Compton farò riferimento allavoro effettuato da Klein-Nishina [KN29], nel quale si approssima l’elettroneatomico come libero e stazionario al momento dell’interazione [Bie05]. Loschema qualitativo della cinematica dell’effetto Compton è mostrato nellafigura 1.6: un fotone con energia Eγ = hν e impulso hν/c, collide contro unelettrone stazionario. A seguito della collisione l’elettrone presenta un angolodi scattering θ,un’energia cinetica T ed una quantità di moto p, mentreil fotone sarà caratterizzato da un angolo di deflessione φ, da un’energiaE′γ = hν ′ < Eγ e da una quantità di moto hν ′/c [Att08, Hir00]. Applicandola conservazione dell’energia e dell’impulso al fotone incidente e all’elettronedi rinculo si ottengono le equazioni della cinematica del processo [Att08].

T = hν − hν ′ (1.4)

hν = hν ′

1 +(hν

moc2

)(1− cosφ)

(1.5)

cotθ =(

1 + hν

moc2

)tan

2

)(1.6)

dove m0c2 = 511 KeV è la massa a riposo dell’elettrone. Per fotoni

non polarizzati, la distribuzione angolare per unità di angolo solido (ω) di

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Klein-Nishina, è data da

dσKNc (θ)dω

= 12r

20

(k′

k

)2(k′k

+ k

k′− sin2θ

)(1.7)

k = hν

m0c2 k′ = hν ′

m0c2 r0 = raggio classico dell’elettrone

Nella figura 1.7 è riportata la distribuzione angolare della sezione d’urtodifferenziale di Klein-Nishina, per differenti energie del fotone incidente.

Figura 1.7: Diagramma polare della Sezione d’urto differenziale di Klein-Nishina per l’effetto Compton [Hir00]

La sezione d’urto totale si ricava integrando la 1.7 su tutti i possibiliangoli [Hir00]

σKNC = 2πr20

{1 + k

k2

[2(1 + k)1 + 2k −

ln(1 + 2k)k

]+ ln(1 + 2k)

2k − 1 + 3k(1 + 2k)2

}(1.8)

Come già detto in precedenza, tale sezione d’urto è stata ricavata da Kleine Nishina senza considerare l’energia di legame dell’elettrone atomico, ap-prossimazione valida nel caso di fotoni con energie superiori al MeV e permateriale a basso numero atomico. Innumerevoli lavori sono stati svolti perdeterminare dei fattori di correzione da apportare alla sezione d’urto 1.8,che tenessero conto dell’energia di legame dell’elettrone atomico; tra questila trattazione in approssimazione di impulso di Waller-Hatree [WH29].

Produzione di coppie

Il processo di produzione di coppie venne osservato per la prima voltada Patrick Blackett’s nel 1933 e tale scoperta gli valse il premio Nobel per

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la fisica del 1948 [Bla49]. Nel processo di produzione di coppie, un fotoneinteragisce con un campo coulombiano, dando vita ad una coppia di leptoni,nello specifico ad un elettrone e ad un positrone. La produzione di coppieavviene con maggiore probabilità a seguito dell’interazione tra il fotone e ilcampo coulombiano del nucleo atomico, ma può anche avvenire con minoreprobabilità nell’interazione con il campo di un elettrone [Mor67]. Per brevi-tà, nella trattazione successiva, considerò unicamente il caso maggiormenteprobabile.La cinematica del processo di produzione di coppie nel campo del nucleo, èschematizzata nella figura 1.8.

Figura 1.8: Schema del processo di produzione di coppie nel campo delnucleo da [Att08]

Nel processo di interazione, l’energia del fotone viene completamenteceduta alla coppia leptonica, trascurando l’estremamente ridotta energiacinetica che viene fornita al nucleo atomico [Att08]. L’elettrone sarà carat-terizzato da un’energia cinetica T− e da un angolo di scattering θ−, mentreil positrone avrà energia cinetica T+ ad angolo di scattering θ+. Applicandola conservazione dell’energia si ottiene

hν = 2m0c2 + T− + T+ = 1.022 MeV + T− + T+ (1.9)

Appare chiaro da tale equazione, come il processo di produzione di coppie,sia un processo a soglia: la minima energia che il fotone incidente devepossedere è quella corrispondente alla massa a riposo della coppia elettrone-positrone [Att08]

E minγ = 1.022 MeV (1.10)

Da quanto appena detto, si capisce quindi come il processo di produzionedi coppie sia dominante, rispetto all’effetto fotoelettrico e Compton, ad alteenergie dei fotoni incidenti. Nella figura 1.9 è mostrato l’andamento delleprobabilità della produzione di coppie, in funzione dell’energia del fotoneincidente, per differenti materiali. La sezione d’urto della creazione di coppie

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Figura 1.9: Probabilità di creazione di coppie positrone-elettrone per varimateriali

elettrone-positrone nel campo del nucleo è stata calcolata da Bethe e Heitler[BM54]

d(aK) = σ0Z2P

hν − 2m0c2dT

+ (cm2/atom) (1.11)

dove P è un parametro che dipende dall’energia del fotone incidente e dallaZ del materiale attraversato, mentre σ0 = r2

0/137, dove r0 è sempre il raggioclassico dell’elettrone. La sezione d’urto totale si trova integrando la 1.11su tutti i possibili valori dell’energia cinetica del positrone (T+). Si ricavaquindi una dipendenza della sezione d’urto totale del tipo:

σpp ∝ σ0Z2 (1.12)

Coefficiente di attenuazione lineare e massico

Nell’attraversare uno spessore di materiale, l’intensità di un fascio difotoni viene attenuata secondo una legge esponenziale [Hub99]

I(x) = I0e−µx (1.13)

Il coefficiente µ è chiamato coefficiente di attenuazione lineare e che rappre-senta di fatto la probabilità di interazione dei fotoni per unità di percorsonel mezzo [McP10]. Tale coefficiente di attenuazione sarà allora propor-zionale alle sezioni d’urto dei processi di interazione che avvengono tra ifotoni e il materiale, di conseguenza risulta fortemente dipendente dall’ener-gia del fotone, oltre che dal tipo di mezzo attraversato. Solitamente nellapratica, si utilizza il coefficiente di attenuazione massico (µ̃),che nel caso incui si considerino i tre processi di interazione più importanti, ovvero effetto

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fotoelettrico, effetto Compton e produzione di coppie, è dato da [McP10]

µ̃ = µ

ρ= NA

Aσtot '

NA

A(σfotoelettrica + σCompton + σprod.coppia) (1.14)

doveNA = numero di Avogadro, A = numero di massa del mezzo attraversato.

Figura 1.10: Coefficiente di attenuazione massico dei fotoni

Nella figura 1.10 è mostrato l’andamento del coefficiente di attenuazionemassico in funzione dell’energia dei fotoni incidenti per differenti materiali: sipuò notare come alle basse energie si ritrovino i caratteristici "denti di sega"della sezione d’urto dell’effetto fotoelettrico, che sottolineano la dominanzadi tale processo di interazione nel range energetico considerato.

Figura 1.11: Sezione d’urto totale dei fotoni nell’interazione con carbonio econ piombo

Nella figura 1.11, invece, è riportato l’andamento della sezione d’urtototale dell’interazione dei fotoni nell’attraversare un materiale composto da

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carbonio (Z = 6) nella figura di sinistra, e di piombo (Z = 86), in quelladi destra. Si può notare come la sezione d’urto Compton diminuisca all’au-mentare del numero atomico del materiale attraversato, mentre la sezioned’urto fotoelettrica cresca notevolmente, con una maggiore dei caratteristi-ci "denti di sega" a causa dell’aumento di shell elettroniche al crescere delnumero atomico del materiale [GKY+04, Pod10].

1.2.2 Interazione di particelle cariche

Nello studio dei processi di interazione delle particelle cariche con la ma-teria, bisogna considerare in primis le forze di interazione coulombiane trala radiazione incidente e il nucleo atomico o gli elettroni orbitali [EN55]. Iprincipali processi di perdita di energia delle particelle incidenti, che scatu-riscono da tali forze di interazione includono: la ionizzazione, lo scatteringe le perdite di energia radiative [Pod10]. Nella maggior parte dei casi il tra-sferimento di energia tra la particella carica e il mezzo attraversato in unasingola interazione atomica è estremamente ridotto, sopratutto se l’interazio-ne avviene con gli elettroni atomici [EN55]. Poiché i loro processi di perditadi energia nell’attraversare un materiale differiscono, solitamente le parti-celle cariche vengono suddivise in due gruppi: le particelle cariche pesanti(protoni,mesoni,alfa,..) e le particelle cariche leggere (elettroni,positroni)[BMPR95].

Interazione di particelle cariche pesanti

Le particelle cariche pesanti interagiscono con la materia principalmenteper mezzo delle forze coulombiane che intercorrono tra la loro carica elettri-ca e la carica negativa degli elettroni atomici [Kno10]. Appena la particellacarica entra nel materiale assorbente, interagisce simultaneamente con moltielettroni: a seconda della distanza di interazione e dell’impulso scambiatocon ogni singolo elettrone, si può verificare, l’eccitazione dell’elettrone atomi-co oppure la ionizzazione dell’atomo interessato [EN55]. L’energia trasferitaagli elettroni in tali processi viene sottratta alla particelle carica incidente,di conseguenza la sua velocità decrescerà progressivamente all’aumentare delnumero di interazioni. Il massimo trasferimento di energia possibile, tra unparticella carica con energia cinetica E e massa m ed un elettrone di massam0, in una singola collisione, è dell’ordine di 4Em0/m, ovvero circa 1/500dell’energia cinetica per nucleone della particella incidente [Kno10]. La fra-zione di energia ceduta per singola interazione è quindi molto ridotta, percui sono necessarie innumerevoli interazioni affinché la radiazione incidentetrasferisca tutta la sua energia al materiale. Il parametro che si utilizza perquantificare la perdita di energia delle particelle cariche che penetrano in unmezzo assorbente è il linear stopping power [EN55], definito come l’energia

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persa dalla particelle nell’unità di materiale attraversato

Slin = −dEdx

[MeV/cm]

Il linear stopping power dipende ovviamente da molteplici fattori, sia ca-ratteristici della particella, come la massa, la carica, la velocità e l’energia,sia caratteristici del materiale attraversato, come ad esempio la densità e ilnumero atomico [Pod10, LHJ+11].L’equazione fondamentale che descrive la perdita di energia media per par-ticelle cariche pesanti è rappresentata dalla formula di Bethe-Block [BA53]

−dEdx

= 4πNAr2emec

2ρZ

A

z2

β2

[12 ln

(2mec2β2γ2TmaxI2

)− β2 − δ

2

](1.15)

NA : costante di Avogadroρ : densità del materialere : raggio classico dell’elettroneβ : v/c della particellame : massa a riposo dell’elettroneγ : fattore di Lorentz della particellaI : potenziale di eccitazione medio del materialeσ : correzione di alta energia per la densitàZ : numero atomico del materialeTmax : massima energia trasferibile a un elettronez : carica dalla particella incidente in unità e in un urto singoloA : massa atomica del materiale

L’equazione 1.15 è stata ricavata sotto opportune ipotesi semplificative[BMPR95]:

• che la velocità della particella carica incidente sia molto maggiore dellavelocità orbitale degli elettroni atomici, in modo da poter considera-re quest’ultimi stazionari durante l’interazione. Tale approssimazionerende l’equazione di Bethe-Block non applicabile alla fine del percor-so della particella carica nel mezzo (βγparticella < 0.007) poiché, aseguito delle numerose interazioni, le sopracitate velocità diventanoconfrontabili;

• che la massa della particella incidente sia molto maggiore della massadell’elettrone (come si verifica nel caso appunto delle particelle carichepesanti), in modo da poter considerare il moto della particella incidenteimperturbato dall’interazione.

Nella pratica solitamente si utilizza, invece del linear stopping power, lostopping power, definito come [AW53]

S = Slinρ

= −1ρ

dE

dx[MeV cm2/g] ρ = densità del mezzo

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Figura 1.12: Perdita di energia di un mesone µ+ in Rame (Cu) [BAB+12]

Nella figura 1.12 è mostrato l’andamento dello stopping power per unmesone µ+, nell’attraversamento di un materiale assorbente di rame; comesi può osservare la curva raggiunge un minimo per βγ ∼ 3.5. Nella figura 1.13si può osservare come tale minimo, nel caso di particelle di carica unitaria,non vari in maniera significativa al variare del tipo di materiale attraversato,ad eccezione dell’idrogeno [BAB+12].

Figura 1.13: Perdite di energia di particelle di carica unitaria in differentimateriali [BAB+12]

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Figura 1.14: Picco di Bragg per particelle alfa in aria

Molto interessante è l’andamento della perdita di energia delle particellecariche in funzione dello spessore di materiale attraversato. Nella figura 1.14è riportato l’andamento della perdita di energia di particelle alfa in aria, infunzione del percorso. In corrispondenza della parte finale del range delle

Figura 1.15: Evoluzione della dose relativa in funzione della penetrazione inacqua per differenti particelle [Cus11]

particelle, si delinea un’aumento considerevole nella perdita di energia: talefenomeno è denominato picco di Bragg ed è dovuto al termine 1/β2 nell’e-quazione 1.15 [LTB+64]. Sul picco di Bragg si fondano anche i vantaggidell’adroterapia rispetto alla radioterapia convenzionale. Nella radioterapiaconvenzionale i fotoni perdono la loro energia con una distribuzione quasiesponenziale all’interno dei tessuti. Nel caso invece delle particelle cariche,grazie al picco di Bragg, la maggior parte dell’energia viene rilasciata allafine del loro percorso [LTB+64]. Le differenze appena descritte sono raffigu-rate nella figura 1.15. Nell’adroterapia, grazie al picco di Bragg, è possibile

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irraggiare una ben definita porzione di tessuto canceroso in profondità al-l’interno del corpo, con conseguente diminuzione del danno causato dallaradiazione ionizzante ai tessuti sani circostanti [Ama08, Cus11]

Interazione particelle cariche leggere

Il principale meccanismo di perdita di energia delle particelle caricheleggere (elettroni e positroni) è rappresentato dallo scattering anelastico congli elettroni atomici [Kno10]. Nel caso delle particelle cariche leggere, cadel’ipotesi di traiettoria imperturbata su cui è stata ricavata la 1.15, poiché laparticella incidente presenta la medesima massa degli elettroni atomici, coni quali avviene l’interazione. Di conseguenza, oltre a comparire deflessionisignificative nelle traiettorie delle particelle incidenti, nella singola interazio-ne viene scambiata una maggiore frazione di energia rispetto al caso delleparticelle pesanti [BMPR95]. Gli elettroni e i positroni si trovano pratica-mente sempre in regime relativistico (βγ ∼ 1), le traiettorie che descrivononel attraversare il materiale sono particolarmente tortuose, come si può no-tare nella figura 1.16, e nel complesso presentano una minore perdita dienergia rispetto alle particelle cariche [Kno10]. Possono anche avvenire in-

Figura 1.16: Simulazione Monte Carlo delle traiettorie di 100 elettroni in unmezzo con densità pari a 1 gcm−3

terazioni con il nucleo atomico, che causano anch’esse un cambio repentinodi traiettoria dell’elettrone incidente [Kno10]. Lo stopping power di elettro-ni con energia cinetica T , si ricava modificando l’equazione 1.15, in manierada tenere conto che il processo di collisione avviene tra particelle identiche,ottenendo

−dEdx

∣∣∣∣c

= 2πr2emec

2

β2 NZ

[lnmec

2β2Tγ2

2I2 − ln2(2γ− 1γ2

)+ 1γ2 + 1

8

(1− 1

γ

)2](1.16)

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Oltre alle perdite di energia "collisionali", appena descritte, le particelle ca-riche leggere possono perdere la loro energia in processi radiativi, nello spe-cifico in un processo chiamato bremsstrahlung o radiazione di frenamento[BMPR95]. Tale processo è fondamentalmente causato dalla decelerazionesubita dalla particella carica leggera, nell’interazione con il campo coulom-biano del nucleo. La perdita di energia radiativa, per un elettrone di energiacinetica E, è descritta dall’equazione [Kno10]

−dEdx

∣∣∣∣rad

= NEZ(Z + 1)e4

137m2oc

4

(4ln 2E

m0c2 −43

)(1.17)

L’equazione 1.17 mostra come il fenomeno di bremsstrahlung sia importanteper elettroni di alta energia ed per materiali assorbenti di elevato numeroatomico [Kno10, Pod10]. Tale processo di interazione inoltre viene sfruttatonei LINAC ad uso medico, per produrre fasci di fotoni per utilizzo terapico,facendo incidere elettroni ad alta energia su bersagli di materiali compositiad alto numero atomico [GZCS]Lo stopping power lineare totale per gli elettroni sarà dunque dato dallasomma di due termini (1.16) e (1.17)

dE

dx= dE

dx

∣∣∣∣c

+dE

dx

∣∣∣∣rad

(dE/dx)rad(dE/dx)c

' EZ

700 (1.18)

1.3 Basi biologiche della radioterapiaGli organismi viventi sono continuamente esposti alle radiazioni ioniz-

zanti che compongono il fondo di radiazione naturale; ad esse si aggiungel’esposizione causata dall’attività umana e dalle pratiche mediche. Circa il90 % dell’esposizione a radiazioni dell’uomo è comunque dovuta a sorgentinaturali, come i raggi cosmici e i radionuclidi presenti nella crosta terrestre,nell’atmosfera, nei cibi e nell’acqua [KH12]. La protezione dalle radiazioniionizzanti fu ampiamente studiata, a partire dal 1942, con la costruzione delprimo reattore nucleare a Chicago [Sha90]. Con l’evolversi delle tecnologiee l’ampia diffusione e utilizzo delle radiazioni ionizzanti, si svilupparono ladosimetria e la radiobiologia, per descrivere e studiare i fenomeni e i processidi interazione tra le radiazioni ionizzanti e la materia biologica. E’ proprionel ambito di tale interazioni che si pongono le basi della radioterapia e dellamedicina nucleare. Nella prima parte di questa sezione verrà riportata unabreve descrizione delle principali grandezze rilevanti ai fini dell’interazionetra la radiazione ionizzante e la materia biologica.

Principali grandezze dosimetriche e radiobiologiche

La dosimetria si occupa principalmente della misura della dose assorbitaa seguito dell’interazione tra radiazione ionizzante e non, con la materia

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[Att08]. La dose assorbita è definita come la quantità di energia mediaimpartita dalla radiazione per unità di massa del mezzo con cui avvienel’interazione

D = dEmdm

[Gy] = [J Kg−1] (1.19)

Mentre l’energia media impartita è definita come [Att08]

Em = Ein − Eout +∑

Q (1.20)

Ein : rappresenta la somma di tutte le energie (escluse quelle di quiete)di tutte le particelle che entrano nel volume considerato

Eout : rappresenta la somma di tutte le energie (escluse quelle di quiete)di tutte le particelle che escono dal volume considerato∑

Q : rappresenta l’energia spesa per aumentare la massa del sistema,ovvero la somma di tutte le energie liberate diminuita della somma ditutte le energie consumante in trasformazioni di nuclei e particelle

La dose ovviamente non è l’unico parametro che influenza l’effetto biolo-gico della radiazione: ad esempio, la distribuzione delle ionizzazioni seconda-rie prodotte dalla radiazione primaria ricopre un ruolo importante nell’effet-to biologico. Lo spazio che intercorre tra ionizzazioni successive del mezzo,dipende infatti dal tipo di radiazione incidente. Ad esempio le particellealfa, a parità di energia, causano più ionizzazioni per unità di lunghezza ri-spetto agli elettroni o a raggi X [Sha90]. Queste differenze sono solitamenteespresse mediante la grandezza RBE (Relative Biological Effectiveness) didue radiazioni [MM13], definito come

RBE = Dx

DR(1.21)

dove DX è la dose assorbita di una radiazione di riferimento X, solitamenteraggi gamma emessi dal decadimento 60Co, mentre DR è la dose assorbitadella radiazione in esame per ottenere il medesimo danno biologico causatoda DX [Alp97]. Tale grandezza viene particolarmente utilizzata negli studiradiobiologici, in particolare nelle curve di sopravvivenza cellulare, in cui,a seguito dell’irraggiamento con radiazioni ionizzanti, si misura il tasso dimortalità cellulare.Un’altra grandezza radioprotezionistica di fondamentale importanza è ladose equivalente, definita dalla Internation Commissionon on RadiologicalProtection (ICRP) nel 1991 [oRP91] come

HT,R = wRDT,R (1.22)

dove DT,R è la dose assorbita nel tessuto T da una radiazione di tipo R,mentre wR è un fattore di qualità caratteristico della radiazione di tipo R;

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Radiation Energy range WR

Photons, electrons All energies 1Neutrons < 10 KeV 5

10-100 KeV 10100 KeV - 2 MeV 20

2-20 MeV 10> 20 MeV 5

Protons < 20 MeV 5Alpha particles, fissionfragments, heavy nuclei 20

Tabella 1.2: Fattori di qualità di differenti tipi di radiazioni

per i valori tipici si faccia riferimento alla tabella 1.2. L’unità di misuradella dose equivalente è il Sievert (Sv), 1 Sv = 1 Gy wR

Il fattore di qualità della radiazione esprime il fatto che le medesimedosi di due radiazioni differenti, non producono necessariamente lo stessotipo di effetto biologico: esiste infatti una dipendenza dal tipo di radiazioneincidente. La densità di deposito di energia delle particelle cariche in unmateriale, come ad esempio un tessuto, è chiamato LET (Linear EnergyTransfer) ed è definito come [KH12]

LET = dE∆dx

[keV/µm] (1.23)

dove dE∆ è l’energia persa attraverso i processi di interazione con gli elettro-ni atomici dalle particelle cariche durante il percorso dx, da cui però vengonoesclusi tutti gli elettroni secondari con energia cinetica maggiore di ∆. Nelcaso limite di ∆ → ∞, il LET coincide con lo stopping power [ICR70]. IlLET permette di differenziare i vari tipi di radiazioni ionizzanti, in funzionedel loro danno biologico: numerosi studi hanno infatti investigato le possibilicorrelazioni tra RBE e LET [Bar94, FtCK+11, AHM79]. In base al LET leradiazioni ionizzanti si possono suddividere in [KH12]:

• Radiazioni a basso LET. Sono solitamente le radiazioni elettromagneti-che (raggi X e γ) che a seguito dell’interazione con il mezzo, produconoprincipalmente elettroni veloci, i quali a causa della loro ridotta massae carica elettrica, danno vita ad interazioni spazialmente lontane traloro.

• Radiazioni ad alto LET. Sono solitamente tutte le particelle cariche eneutre massive che, a seguito dell’interazione con il mezzo attraversato,producono una notevole densità di ionizzazioni lungo la traccia.

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Radiation LET [KeV/µm]Co-60 γ rays 0.2250 kV p X rays 2.010 MeV protons 4.7150 MeV protons 0.514 MeV neutrons 122.5 MeV α particles 1662 GeV Fe ions 1000

Tabella 1.3: LET di differenti radiazioni ionizzanti

1.3.1 Danno da radiazioni ionizzanti

Le basi biologiche della radioterapia si fondano sul danno che le radiazio-ni ionizzanti producono a seguito delle interazioni con la materia biologicaed in particolare con le cellule. I processi chimici, fisici e biologici, che avven-gono a seguito dell’interazione tra le radiazioni ionizzanti e le cellule, sonoestremamente complessi e differenziati. Tali processi infatti variano, oltreche in dipendenza dalle caratteristiche della radiazione e della dose di irrag-giamento, anche ad esempio, in funzione del tipo cellulare e della fase delciclo cellulare in cui la singola cellula irraggiata si trova [HB13]. Una tratta-zione molto schematica e semplificata dei danni causati dall’interazione traradiazioni ionizzanti e le cellule, porta a distinguere due tipi fondamentalidi danni: il danno diretto e il danno indiretto [HG06].

Figura 1.17: Rappresentazione schematica del danno diretto ed indirettodelle radiazioni ionizzanti. Figura originale da [HG06]

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Danno diretto

Le radiazioni ionizzanti possono interagire con le molecole biologiche pre-senti all’interno della cellula, provocandone la ionizzazione o l’eccitazione[KH12]. Tali processi possono quindi portare alla rottura di legami chimici,con conseguente possibile perdita di funzionalità biologica della molecola in-teressata. Il target più sensibile a qualsiasi tipo di modificazione, all’internodelle cellule, è ovviamente la molecola che raccoglie l’informazione geneticae su cui si basa la sintesi proteica: il DNA [HG06]. Le modificazioni di talemolecola, nel caso in cui non vengano riparate nella maniera adeguata daappositi meccanismi cellulari, possono causare molteplici cambiamenti nellefunzionalità cellulari, o addirittura portare all’apoptosi cellulare 2 [HM03].La radiazione può indurre nel DNA molteplici tipi di danni (figura 1.18)[KH12]:

1. Danni alle basi. Consiste essenzialmente nelle ionizzazione, o in ge-nerale nella modificazione chimica, delle basi azotate che compongonociascun filamento di DNA.

2. Single-strand breaks (SSBs). Si tratta della modificazione, o della rot-tura, di una certa porzione di uno dei due filamenti di DNA. Tale tipodi danno ha una rilevanza biologica abbastanza ridotta poiché vieneriparato da meccanismi cellulari relativamente veloci.

3. Double-srand breaks (DSB). Consiste nella rottura di entrambi i fi-lamenti opposti del DNA e rappresenta il maggior tipo di danno neicromosomi a seguito dell’interazione con la radiazione ionizzante. Taletipo di danno è particolarmente difficile da riparare, soprattutto nel ca-so in cui siano presenti anche altri danni alla sequenza nucleotidica. Diconseguenza il DBS può portare all’apoptosi cellulare, a mutazioni del-la sequenza genetica o alla carcinogenesi, ovvero ai processi biochimicidi trasformazione delle cellule sane in cellule cancerose) [Lie10]

Per avere un idea dell’ordine di grandezza dei danni al DNA causatidalle radiazioni ionizzanti, riportiamo un esempio tratto da [HG06]. Nelcaso di cellule di mammifero, irraggiate con una dose di raggi X compresatra 1−2 Gy, immediatamente dopo l’irraggiamento si ha (per singola cellula)

• Danno alle basi > 1000

• SSBs ' 1000

• DSBs ' 402Meccanismo di morte cellulare controllata e programmata da innumerevoli processi

cellulari, che può avvenire in risposta a modificazioni biochimiche delle macromolecolebiologicamente importanti, come nel caso di danni non riparabili al DNA causati dalleradiazioni ionizzanti [Wat99]

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Figura 1.18: Principali tipi di danni possibili al DNA

Danno indiretto

La radiazione ionizzante può interagire anche con altre molecole presentiall’interno delle cellule. La molecola numericamente più importante in talecontesto è l’acqua, poiché costituisce circa l’80 % del peso molecolare dellecellule umane [KH12]. Di conseguenza, una parte consistente degli eventidi ionizzazione ed eccitazione primari avviene con tale molecola. A seguitodell’interazione con un fotone (raggi X o γ) o con una particella carica, puòavvenire la ionizzazione di una molecola d’acqua, espressa dalla reazione

H2O → H2O+ + e− (1.24)

La molecola H2O+ creatasi è sia uno ione che un radicale: con tale termine

si indicano le molecole che presentano elettroni spaiati nelle shell più esterne.Tali elettroni spaiati conferiscono un’alta reattività chimica alle specie ra-dicaliche [KH12]. La molecola H2O

+ presenta una vita media molto breve,circa 10−10 s, e può reagire con un’altra molecola d’acqua per formare unaspecie reattiva dell’ossigeno ancora più reattiva: il radicale ossidrile (OH· )[KH12, Alp97]

H2O+ + H2O → H3O

+ + ·OH (1.25)I processi di interazione che avvengono tra le molecole d’acqua ionizzate,sono nella realtà maggiormente vari e più complessi di quello sopracitato eportano alla formazione di differenti specie radicaliche, denominate ReactiveOxygen Species (ROS), ovvero specie reattive dell’ossigeno. Le principa-li specie reattive dell’ossigeno, oltre al già citato radicale ossidrile, sonomostrate con la loro struttura elettronica nella figura 1.19.

La quantità di ROS che si producono a seguito della ionizzazione dell’ac-qua dipende principalmente dal pH e dal LET della radiazione [Alp97]. Laconcentrazione di radicali prodotta a seguito della radiolisi, viene solitamen-te espressa in termini di G-value, definito come il numero di molecole radi-caliche prodotte a seguito dell’assorbimento di 100 eV di energia nel mezzoda parte degli elettroni secondari [Alp97]. Nella tabella 1.4 sono mostrati iG-value di alcuni prodotti della radiolisi dell’acqua a pH neutro (pH = 7).I ROS sono delle molecole altamente reattive, di conseguenza la regolazione

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Figura 1.19: Principali tipi di ROS

della loro concentrazione all’interno delle cellule è di fondamentale impor-tanza. Recenti studi hanno mostrato come i ROS svolgano importanti ruoliin meccanismi di segnalazione per il mantenimento dell’omeostasi cellulare[MVS+11, EGMG03, LYY+03]. Ciò nonostante, se presenti in concentrazio-ni superiori al necessario, le specie reattive dell’ossigeno inducono vari effettideleteri, come disfunzioni cellulari, apoptosi, o carcinogenesi [MNN09]. Tra

Products G valueOH· 2.6H2· 0.45H2O2 0.75

Tabella 1.4: G-value di alcuni prodotti primari della radiolisi dell’acqua apH neutro

i radicali principali in 1.19, particolarmente importante dal punto di vistabiologico è il radicale ossidrile (· OH). Tale specie è particolarmente reat-tiva, di conseguenza è in grado di percorrere distanze estremamente ridotteall’interno della cellula. Ciò rende praticamente impossibile lo smaltimentodi tale specie reattiva dell’ossigeno nelle reazioni enzimatiche: il tempo didiffusione medio affinché il radicale OH arrivi al sito attivo dell’enzima depu-tato al suo smaltimento, è solitamente maggiore della sua vita media (circa10−9 s). E’ stato inoltre stimato [HG06] che circa due terzi dei danni causatidall’interazione tra raggi X e le cellule dei mammiferi, siano causati dallamodificazione funzionali delle macromolecole biologicamente fondamentali,causate dal radicale ossidrile .Per concludere quindi, possiamo riassumere la catena di eventi che portanoal danno biologico finale osservato, nel caso dei raggi X, con la sequenzatemporale:

1. Interazione raggi X con la materia

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2. Produzione di elettroni veloci

3. Formazione di ioni all’interno del mezzo

4. Formazione di radicali liberi a seguito dell’interazione con le molecoledi acqua

5. Modificazioni chimiche delle macromolecole biologicamente importanti

6. Manifestazione degli effetti biologici

I processi elencati sono molto differenti temporalmente: il processo fisicodella ionizzazione avviene nell’ordine del 10−15 s, il radicale ossidrile comeabbiamo detto ha una vita media di circa 10−9 s, mentre l’intervallo ditempo che intercorre tra le modificazione delle macromolecole fondamentalie la manifestazione dei danni biologici, varia su una scala molto ampia, daigiorni, agli anni, alle generazioni, in dipendenza dalla modificazioni create.

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Capitolo 2

Nanomateriali in biomedina

2.1 Introduzione

La Nanotecnologia è una disciplina in continua evoluzione che si prefiggecome intento quello di creare, manipolare e applicare strutture di dimensioniinferiori al centinaio di nanometri, comunemente denominati nanomateriali.Per avere un’idea di quanto sia ridotta la dimensione di tali materiali, essavaria dalle dimensione tipiche degli anticorpi a quelle della maggior partedei virus, ed è all’incirca un ordine di grandezza superiore alle dimensioni dimolecole come il glucosio.

Figura 2.1: Dimensione di alcuni nanomateriali

La nanotecnologia rappresenta un’area di studio altamente interdiscipli-nare, spazia infatti dalla chimica, alla fisica, alla biologia, alla scienza deimateriali, all’informatica e all’ingegneria [AD14].La definizione ufficiale di nanomateriale, redatta dalla commissione Europeanel 2011, è basata unicamente sulle dimensioni di tali materiali:

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Un nanomateriale è un materiale naturale, accessorio o ar-tificiale contenente particelle, in stato libero o sotto forma diaggregato o di agglomerato e nel quale, almeno il 50% di ta-li particelle nella classe di distribuzione numerica, possiede unao più dimensioni esterne nella classe di grandezza 1 − 100 nm[C+11].

Tale definizione, espressa in termini più semplificati, permette di caratte-rizzare i nanomateriali come agglomerati atomici o molecolari di dimensionidell’ordine dei 1 − 100 nm. La classificazione più semplice dei nanomate-riali, sia artificiali che naturali, è basata unicamente sulle loro dimensioni epermette di distinguere quattro categorie [Gho07]: nanomateriali adimen-sionali, monodimensionali, bidimensionali e tridimensionali. Alcuni esempidi nanomateriali appartenenti alle categorie appena elencate, sono riportatinella tabella 2.1, mentre nella figura 2.2 sono mostrate le loro immagini almicroscopio elettronico a scansione (SEM).

Classificazione nanomateriale esempiadimensionali 0-D nanoparticelle

monodimensionali 1-D nanotubibidimensionali 2-D layertridimensionali 3-D nanocristalli

Tabella 2.1: Classificazione dimensionale dei nanomateriali

Le proprietà chimiche e fisiche delle nanostrutture sono fondamental-mente differenti rispetto a quelle dei singoli atomi o molecole, ed interessanola struttura spaziale, la forma, i cambiamenti di fase ed energetici, la strut-tura elettronica ed infine la reattività chimica [Gog06].L’utilizzo di nanomateriali e nanotecnologie in abito medico prende il nomedi nanomedicina. Tale disciplina è stata caratterizzata, negli ultimi decenni,da una continua evoluzione tecnologica, che ha portato ad ottimi risultati edad un crescente interesse nell’ambito della ricerca e dello sviluppo [Sal04].La caratteristica fondamentale che rende estremamente utili i nanomaterialiin ambito biomedico, è la loro dimensione. Basti pensare che le cellule han-no dimensioni tipicamente dell’ordine dei 1 − 10 µm, ovvero 2-3 ordini digrandezza superiori rispetto alle dimensioni tipiche dei nanomateriali. Allo-ra appare chiaro come l’utilizzo dei nanomateriali permetta di investigare edintervenire a livello cellulare senza perturbare in maniera pesante il sistemabiologico. Oltre all’appena citata dimensione, nell’ambito biomedico, sonoparticolarmente interessanti anche altre proprietà dei nanomateriali comead esempio: la forma, la composizione chimica, la struttura superficiale ela carica, la solubilità e le proprietà magnetiche. Tutte le caratteristicheappena elencate infatti, influiscono in maniera importante sull’interazione

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(a) Nanoparticelle di gallio. (b) Layer singolo di grafene.

(c) Nanotubi di biossido di titanio. (d) Nanocristalli di ossido di molib-deno.

Figura 2.2: Immagini al SEM di nanomateriali.

nanomateriale-biomolecole e di conseguenza sull’interazione tra nanomate-riale e le cellule nel loro complesso [BHL08]. Nel seguito sono elencate alcuneapplicazioni biomediche di nanomateriali [Sal04]:

• label fluorescenti, ad esempio nanocristalli di semiconduttori utilizzaticome sonde fluorescenti in tecniche diagnostiche [BMG+98]

• Trasporto di geni e farmaci. Sono stati per esempio utilizzati dei nano-tubi di carbonio, delle dimensioni comparabili a quelle delle molecoledi DNA, per trasportare in maniera efficiente geni all’interno di cellule[RPCC+13]

• Agenti di contrasto per MRI. Consiste essenzialmente nell’utilizzo dinanoparticelle superferromagnetiche 1 come agenti di contrasto, permigliorare l’imaging, soprattutto in volumi tumorali, della risonanzamagnetica nucleare (MRI) [BvVT13]

1Il comportamento di un materiale superparamagnetico, immerso un campo magne-tico esterno, è simile a quello di uno paramagnetico, ma l’effetto è circa 100-1000 voltesuperiore.

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• Agenti radiosensibilizzanti. Utilizzo di nanomateriali per aumentarel’efficacia della radioterapia su target tumorali. Tale utilizzo biome-dico dei nanomateriali verrà ampiamente discusso nella trattazionesuccessiva.

2.2 Nanoparticelle nelle applicazioni biomediche

Nelle applicazioni biomediche dei nanomateriali, hanno riscosso un no-tevole successo le nanoparticelle (NPs): negli ultimi anni infatti tali mate-riali, sono emersi come importanti protagonisti in applicazioni che spazia-no dall’imaging, al trasporto di geni o farmaci nelle cellule. Le proprietàfondamentali che rendono le nanoparticelle particolarmente interessanti perapplicazioni nanomediche sono fondamentalmente dovute alla loro ridottadimensione e reattività chimica, alla grande mobilità che presentano all’in-terno dei sistemi biologici e, nel caso di NP metalliche, alla loro capacità ditrasferimento di energia, quando sottoposte ad irraggiamento radioterapico[Mur07]. Nella trattazione successiva sarà presentata una panoramica delleprincipali applicazione biomediche delle nanoparticelle.

2.2.1 Nanoparticelle in imaging medico

L’utilizzo di nanoparticelle è in grado di portare a significativi miglio-ramenti nelle tecniche tradizionali di imaging, sia cellulare che tissutale,attraverso l’utilizzo della microscopia ottica a fuorescenza, o dell’imaging arisonanza magnetica nucleare (MRI).

Microscopia ottica a fluorescenza

Convenzionalmente l’imaging delle cellule o di sezioni di tessuti, vieneeffettuato mediante microscopia ottica con l’immissione all’interno dei cam-pioni analizzati di sostanze fluorescenti, detti fluorofori: si parla allora dimicroscopia ottica a fluorescenza [VBS12]. In tale tecnica di imaging ri-corrono spesso però due tipi di problemi [Mur07]: intensità di fluorescenzainsufficiente e photobleaching, ovvero la diminuzione del segnale di fluore-scenza causata dalla degradazione fotochimica del fluoroforo. I QuantumDots (QD) (vedi figura 2.3) sono il tipo di nanoparticelle fluorescenti piùcomunemente utilizzate in tale ambito. I QD sono di fatto composti da mo-lecole di semiconduttori inorganici, quindi insolubili in acqua; di conseguen-za nelle applicazioni biologiche vengono ricoperti, o meglio funzionalizzati 2,con un sottile strato di materiale solubile in acqua [MUGM05]. Solitamen-te, in un secondo momento, si esegue un’ulteriore funzionalizzazione, con lo

2La funzionalizzazione è di fatto la ricopertura della superficie del nanomateriale condelle molecole, conferenti una particolare proprietà e specificità desiderata, a secondadell’utilizzo dello nanomateriale stesso

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Figura 2.3: Immagine SEM di quantum dots

scopo di depositare sulla superficie dei quantum dots delle molecole in gradodi interagire in maniera specifica con la particolare biomolecola che si vuoleevidenziare all’interno del tessuto o della cellula studiata [RGGCJ+08]. Gra-zie alla natura a bande dei materiali semiconduttori, i QD possono emettereluce, a seguito di eccitazione, con maggiore intensità e stabilità rispetto aifluorofori organici, risolvendo il problema del photobleaching .

Risonanza magnetica

La MRI è una tecnica diagnostica non invasiva che utilizza il fenomenodella risonanza magnetica nucleare (NMR), per fornire immagini di altaqualità dei tessuti molli del corpo. La NMR consiste nell’assorbimento dienergia e nella sua successiva cessione, da parte dei sistemi nucleari dotatidi spin, qualora sottoposti a campi elettromagnetici di frequenza pari allafrequenza di Larmor :

ω0 = γB0 γ = rapporto giromagnetico B0 = campo magnetico statico(2.1)

Utilizzando degli impulsi a radiofrequenza con frequenze pari a quella diLarmor è possibile perturbare il moto di precessione degli spin nucleari,attorno alla direzione di un campo magnetico statico B0, di un angolo ar-bitrario denominato flip angle. A seguito dell’applicazione di un impulso aradiofrequenza, il sistema tornerà nella condizione di equilibrio, inducendo,in apposite bobine, un segnale elettromagnetico detto Free Induction De-cay, che costituisce di fatto il segnale misurato [BS11]. Tale segnale dipendefondamentalmente da due tempi di rilassamento caratteristici [Han09]:

1. spin-lattice relaxation time (T1), che misura l’efficienza con cui gli spinnucleari, eccitati dalla radiofrequenza, scambiano l’energia assorbitacon il reticolo molecolare;

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2. spin-spin relaxation time (T2), che invece misura l’efficienza con cui glispin perdono la coerenza di fase indotta nei loro moti di precessionedall’impulso a radiofrequenza in risonanza .

I diversi tipi di tessuti possono essere distinti sulla base delle differenze deitempi di rilassamento T1 e T2 che caratterizzano la forma d’onda del segnalemisurato. In svariate applicazioni cliniche, come ad esempio lo studio dipatologie neoplastiche e infiammatorie però, la differenza tra questi tempicaratteristici è estremamente ridotta è quindi necessario utilizzare dei mezzidi contrasto, ovvero delle sostanze paramegnetiche che alterino le proprietàmagnetiche e quindi i tempi di rilassamento nei tessuti in cui sono iniet-tati [Mur07]. Un esempio di tali mezzi di contrasto, attualmente utilizzaticlinicamente, sono i composti del gadolinio, principalmente utilizzato perevidenziare i vasi sanguigni nell’angiografia in risonanza magnetica.E’ già stato verificato come le nanoparticelle superparamagnetiche, nellospecifico nanoparticelle di ossido di ferro (SPIO), siano dei buoni agenti dicontrasto per l’utilizzo in MRI, e presentino tempi di rilassamento decisa-mente maggiori rispetto ad agenti di contrasto tradizionali, come i compostidel gadolino [MSvzM+07, NSH09]. Nell’immagine 2.4 è mostrato l’incre-

Figura 2.4: Esempio dell’aumento di contrasto dovuto alle SPIO inimmagine MRI

mento di contrasto nel tempo di rilassamento T1 dovuto all’immissione diSPIO: nell’immagine di sinistra, con la freccia è indicata la presenza, assaipoco individuabile, di una necrosi del tronco cerebrale; la seconda imma-gine mostra lo stesso risultato a 48 ore dalla somministrazione delle SPIO[TCCT06].

2.2.2 Utilizzo terapico delle nanoparticelle

L’utilizzo di nanoparticelle, ed in generale delle nanotecnologie, con ilmaggiore potenziale è legato al loro utilizzo in ambito terapeutico. Allo sta-to attuale, l’utilizzo in terapia di nanomateriali è già clinicamente fiorente:da alcuni decenni, ad esempio, sono stati riconosciuti e messi in commerciodiversi trattamenti che utilizzano nanomateriali per la cura dei tumori, del

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dolore e delle infezioni [HLLP14]. Un ambito di estremo interesse, riguardail trasporto di farmaci mediante nanomateriali: si utilizzano principalmentenanoparticelle polimeriche, costituite cioè da polimeri biodegradabili natu-rali o sintetici [HLLP14]. Tali nanoparticelle generalmente variano dimen-sionalmente dai 10 ai 1000 nm e possono essere distinte in : nanosfere, in cuiil farmaco è fisicamente e uniformemente disperso all’interno della matricepolimerica, oppure nanocapsule, in cui invece è confinato all’interno di unamembrana polimerica [SAKR01].

Figura 2.5: Tipi di nanoparticelle polimeriche per il trasporto di farmaci

I farmaci sono chimicamente legati alle nanoparticelle oppure adsorbiti3 direttamente alla componente polimerica delle NP. L’enorme potenzialitàdelle nanoparticelle, consiste nella possibilità di funzionalizzarle con mole-cole specifiche per determinati tipi di tessuti o di organi, in grado di donarealle terapia mediante NP una fondamentale specificità [Sal04, RG+05]. Nelseguito della trattazione analizzeremo alcune possibili applicazioni medichedelle nanoparticelle, soprattutto come trasportatori di farmaci.

Malattie neurodegenerative

Una delle possibili applicazioni delle nanoparticelle polimeriche è lega-ta alle malattie neurodegenerative. Il trasporto di farmaci all’interno delsistema nervoso centrale è infatti fortemente limitato dalla barriera ema-toencefalica (BEE), che protegge l’encefalo da sostanze nocive ed esogene[Mur07]. Alcuni studi, tra cui quello di Kreuter e colleghi [KRP+03], hannodimostrato come le nanoparticelle facilitino il passaggio di farmaci attraversola BEE delle cavie. Le NP in grado di oltrepassare tale barriera potrebberoessere utilizzate nella terapia delle malattie neurodegenerative, impiegando-le sia per la terapia farmacologica che genica [SSN12].Da citare in tale ambito è il progetto di ricerca europeo NAD che si prefig-ge l’obiettivo di sviluppare nanoparticelle per la diagnosi e la terapia della

3L’adsorbimento è definito come l’adesione di una specie chimica sulla superficie di unsolido o di un liquido

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malattia di Alzheimer. Le NP studiate in tale progetto di ricerca, oltread essere in grado di superare la barriera ematoencefalica, devono esserefunzionalizzate con molecole specifiche per riconoscere i depositi di protei-na amiloide 4 (diagnosi) e contenere i farmaci in grado di distruggere talidepositi (terapia) [Mog11].

HIV e AIDS

Numerosi sono gli studi volti ad individuare dei farmaci e delle metodo-logie, in grado di combattere il virus dell’HIV; tale operazione è tutt’altroche semplice, poiché nel processo di replicazione del virus avvengono nume-rose mutazioni, in grado di renderlo resistente ai differenti farmaci antivirali[Fra11]. Recenti studi hanno mostrato come le nanoparticelle di argento(AgNP), possano essere una terapia complementare per l’AIDS. L’argen-to possiede infatti delle spiccate proprietà antimicrobiche, grazie alle qualisembra essere in grado di uccidere rapidamente organismi unicellulari, co-me batteri, virus, funghi e altri patogeni; lasciando i tessuti sani intatti[KKY+07].

Figura 2.6: Virus dell’HIV in gemmazione da una cellula

Uno studio del 2010 [LANITRP10] ha mostrato come le nanoparticelledi argento esercitino un attività anti-HIV, soprattutto nella fase iniziale direplicazione virale, probabilmente inibendo la fusione del virus con le cellule,impedendone l’infezione. Altri studi sono stati svolti utilizzando nanoparti-celle polimeriche, da citare lo studio di Jeaghere e colleghi nel quale vengonoutilizzate delle NP sensibili al pH per inibire la HIV-1 proteasi, enzima chesvolge un ruolo fondamentale nel ciclo vitale del virus HIV [DJAK+00]. L’i-nibizione di tale enzima è in grado di bloccare la maturazione del virus, lasua replicazione e di conseguenza l’infettività virale: rappresenta dunque untarget perfetto per farmaci specifici di una terapia antivirale [LITW07].

4Sono diffuse distribuzioni della proteina beta-amiloide, responsabile di una diffusadistruzione dei neuroni tipica della malattia di Alzheimer

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Patologie oncologiche

NP per trasporto di farmaci anticancerosi Negli ultimi decenni sonostati fatti enormi progressi nella comprensione della composizione e dellastruttura del tessuto tumorale. In maniera molto semplificata, il tessutotumorale è composto da una parte non cellulare, come i vasi sanguigni e gliinterstizi, e da una parte cellulare che presenta sostanziali differenze rispettoai tessuti sani [TG13]. Nella prossimità dei vasi sanguigni il tessuto tumo-rale riceve una grande quantità di alimenti e di ossigeno, volti a supplireall’elevato metabolismo associato alla rapida crescita tumorale. Al contra-rio invece le regioni cancerose che non si trovano in prossimità dei vasi, sonocaratterizzate da un basso tasso di ossigenazione e dalla conseguente necrosi[TG13]. Il processo di vascolarizzazione all’interno dei tumori è un processofondamentale dell’evoluzione tumorale: i nuovi vasi sanguigni vengono sin-tetizzati attraverso un processo denominato angiogenesi tumorale, che portaalla formazione di vasi morfologicamente anomali [Dud12]. Ad esempio èstato verificato come i vasi sanguigni all’interno dei tumori solidi delle cavie,formino dei network molto caotici ed estremamente più tortuosi rispetto aiquelli presenti nei tessuti sani [KMK+99]. Inoltre, come mostrato nella fi-gura 2.7, i vasi all’interno dei tumori solidi presentano sostanziali differenzemorfologiche rispetto a quelli dei tessuti sani: gap tra le cellule endoteliali 5

(∼ 1 µm) e carenza di muscolatura liscia [Mae01, Dud12]

Figura 2.7: Differenze morfologiche tra l’endotelio dei tessuti sani e di quellidei tumori solidi [Dud12]

Grazie alle discontinuità nell’endotelio tumorale, le macromolecole pos-sano facilmente uscire dai vasi sanguigni e accumularsi in maniera selettivaall’interno del tessuto canceroso: tale fenomeno prende il nome di effettoEPR (Enhanced Permeability and Retention). I nanofarmaci presentano ledimensioni adatte per sfruttare l’effetto EPR ed accumularsi all’interno deltarget tumorale [Mae01]; diventa allora naturale pensare di utilizzare, adesempio, le nanoparticelle come trasportatori di farmaci antitumorali o che-mioterapici. Le NP inoltre, permettono di combinare la diffusione passiva

5Il tessuto endoteliale è simile a quello epiteliale e forma il rivestimento interno dei vasisanguigni e linfatici [LBZ+00]

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all’interno del tessuto tumorale, grazie alle loro ridotte dimensioni e all’effet-to EPR, con il targeting specifico indotto dalla possibilità di funzionalizzarela loro superficie [TG13]. I principi fondamentali sui cui si fonda tale utilizzodella nanoparticelle sono raffigurati nell’immagine 2.8.

Figura 2.8: Nanoparticelle nella terapia farmacologica dei tumori [TG13].

NP per aumentare l’effetto della radioterapia Un’applicazione par-ticolarmente promettente ed interessante delle nanoparticelle nella terapiatumorale è legata al loro utilizzo nei trattamenti radioterapici.Approssimativamente circa la metà dei pazienti affetti da patologie tumoraliriceve trattamenti radioterapici, come componente fondamentale della tera-pia proposta [CJJ+10]; tale tipo di trattamento presenta però alcuni limiti[HDSS08].

• In linea teorica, una dose sufficientemente elevata è in grado di di-struggere ogni cellula tumorale, tale dose però è fortemente limitatadalla potenziale tossicità indotta nei tessuti sani presenti in prossimitàdel target di irraggiamento. Per tale motivo, tumori in profondità eparticolarmente vicini ad organi radiologicamente sensibili, come adesempio i tumori al collo, i tumori del sistema nervoso e all’intestino,sono particolarmente difficili da trattare.

• L’ipossia, che contraddistingue porzioni anche del 20 % delle cellule tu-morali [HV01], rende alcune zone del volume tumorale radioresistentia causa del già citato effetto ossigeno (capitolo 1).

• Inoltre il danno causato dall’interazione tra le radiazioni ionizzanti ele cellule è cumulativo: un danno causato da un primo deposito di do-

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se potrebbe non uccidere una cellula sana, mentre un’ulteriore danno,dovuto ad un secondo deposito di dose dopo un breve intervallo di tem-po, potrebbe causare la morte cellulare. Di conseguenza è necessarioevitare depositi di dose importanti in intervalli di tempo ravvicinati,permettendo così alle cellule sane, ove possibile, di riparare i danni.In tale intervallo di tempo però, sebbene siano meno in grado di recu-perare i danni rispetto alle cellule sane, si dà la possibilità anche allecellule tumorali di riparare i danni causati dalla radiazione.

L’obiettivo fondamentale che si delinea risulta quindi quello di trovaredei protocolli utili alla minimizzazione dei limiti intrinsechi alla radiotera-pia, aumentandone l’efficacia biologica e migliorando il deposito di dose neltarget tumorale, risparmiando in maniera più accurata possibile i tessutisani circostanti [BG14a]. Per perseguire tale obiettivo, si possono utilizzaresostanze che siano sia radiosensibilizzanti che tumore-specifiche, ovvero ingrado di aumentare l’efficacia della radioterapia in maniera più selettiva pos-sibile alle cellule tumorali. Negli ultimi anni l’applicazione di nanoparticellecome agenti radiosensibilizzanti ha riscosso notevole successo. Sono infattinumerosi gli studi che utilizzano nanoparticelle metalliche, come ad esem-pio nanoparticelle di oro (GNP), di argento (AgNP) [SLWG14], di platino[PLR+10] e di bismuto [HS12], oppure di altri materiali come il Germanio[LHY+09], come agenti radiosensibilizzanti. Per aumentare l’efficacia dellaradioterapia, bisogna fare in modo che le nanoparticelle si accumulino pre-ferenzialmente all’interno dei tessuti tumorali; anche in questo caso, comegià visto per il trasporto di farmaci anticancro, si sfrutta l’azione congiuntadell’effetto EPR e della funzionalizzazione delle NP con biomarker specifici6.

2.3 nano-Amplified Targeted Therapy

Il progetto di ricerca di cui fa parte questo lavoro di tesi è denominatonano-Amplified Targeted Therapy (nATT) e si propone proprio di studiarel’utilizzo di nanoparticelle di oro come agenti radiosensibilizzanti per unpossibile utilizzo clinico futuro. Tale progetto di ricerca è il frutto di unacollaborazione tra diverse strutture: l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare(INFN), il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), le Università di Torinoe Pisa e l’azienda ospedaliera Ordine del Mauriziano di Torino. In manieramolto schematica possiamo suddividere il programma scientifico del progettonATT in diversi punti:

6Con il termine biomarker si intende una molecola in grado di individuare ed interagirein maniera specifica con determinate macromolecole

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• Contribuire alla comprensione dei meccanismi fondamentali della ra-diosensibilizzazione indotta in presenza di GNP, compito svolto dallasede dell’INFN di Torino.

• Produzione, funzionalizzazione e successiva caratterizzazione delle na-noparticelle di oro, ad opera del Dipartimento di Biotecnologie Mole-colari e Scienze per la Salute dell’Università di Torino.

• Studio in silico: ovvero l’utilizzo di simulazioni Monte Carlo per stu-diare e parametrizzare il processo di radiosensibilizzazione indottadalle GNP; svolto nella sezione dell’INFN di Torino.

• Studio in vivo: studio dell’uptake 7 delle GNP funzionalizzate e dellacinetica di tale processo nelle cellule tumorali, tramite l’utilizzo dicavie e di una micro-PET/CT, presso il CNR di Pisa, con il contributodell’INFN di Torino e il Dipartimento di fisica dell’Università di Pisa.

Il progetto nATT è stato avviato sulla base dei risultati di diversi studi, chemostravano come la presenza di nanoparticelle di oro aumentasse l’effettobiologico delle radiazioni ionizzanti, sia in vivo [KSK+12, HSS04, AMS+13]che in vitro [MH00, NKK+13, BG14b].

Figura 2.9: Andamento del volume medio tumorale EMT-6 di una cavia infunzione del tempo a seguito del trattamento con GNP ed irraggiamentocon tubo radiogeno [HSS04]

Ad esempio, nella figura 2.9 sono riportati alcuni risultati ottenuti daHanfeld e colleghi [HSS04]. Si può notare come l’andamento temporale delvolume tumorale di una cavia rimanga sostanzialmente costante in funzionedel tempo, a seguito dell’iniezione endovenosa di 1.35 g Au/Kg di GNP(1.9 nm di diametro) e del successivo irraggiamento dell’animale con 30 Gy

7Con il termine uptake ci si riferisce al processo biochimico che concentra le GNP nellecellule tumorali

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con un tubo radiogeno a 250 kV p. Invece, sia nel caso in cui non vengasomministrato alcun trattamento che nel caso in cui vengano unicamenteiniettate le GNP o trattata la cavia con il solo irraggiamento, il volumetumorale cresce in maniera sostanziale al trascorrere del tempo. Risultati

Figura 2.10: Andamento del volume medio tumorale dopo il trattamento connanoparticelle metalliche e irraggiamento con fascio di protoni [KSK+12]

simili si ottengono anche nel caso di studi in vivo con irraggiamento adro-terapico. Ad esempio nella figura 2.10, sono mostrati i risultati dello studiodi Kim JK e colleghi [KSK+12], nel quale è stato investigato l’andamentomedio del volume tumorale di una cavia, a seguito del trattamento con diffe-renti tipi di nanoparticelle metalliche ed irraggiamento con fascio di protoni.Anche in questo caso è stato riscontrato un abbassamento drastico del ratedi crescita tumorale, nel caso in cui la cavia venga trattata con nanoparti-celle e protocollo adroterapico, rispetto al caso in cui non venga effettuatoalcun trattamento o unicamente l’iniezione endovenosa di NP.

2.3.1 Nanoparticelle di oro

Le GNP si sono dimostrate di grande interesse in ambito scientifico etecnologico, grazie alla loro facilità di sintesi, alla buona stabilità chimicauna volta preparate e per le loro proprietà ottiche [AM10].

Perché si è scelto di utilizzare le GNP? Nell’ambito del progettonATT si è scelto di utilizzare proprio nanoparticelle di oro poiché, oltre allagià citata azione radiosensibilizzante, presentano proprietà particolarmenteutili in ambito biomedico, schematizzate nella figura 2.11:

• Differenti studi hanno mostrato come le GNP (pur non essendo com-pletamente inerti chimicamente, possono infatti causare produzione di

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Figura 2.11: Schema della versatilità delle nanoparticelle di oro per la terapiaanti-cancro [DSJ+13]

ROS, citotossicità e apoptosi [PLR+09, KMES10]), presentano unabuona biocompatibilità [FHLY09, MHS+10, KD11, CMG+05].

• I processi di sintesi e di funzionalizzazione delle nanoparticelle d’oro,di differenti dimensioni, sono abbastanza semplici [DSJ+13] ed inoltre,una volta preparate, le GNP risultano stabili temporalmente.

• Grazie all’elevato numero atomico dell’oro (ZAu = 79), le GNP sonoin grado di aumentare sensibilmente il coefficiente di assorbimento deitessuti in cui sono presenti e ciò le rende utilizzabili anche come mezzodi contrasto nell’imaging a raggi X [HSFS14].

Nella trattazione successiva verranno presentati in maniera abbastan-za concisa i processi di sintesi, caratterizzazione e funzionalizzazione del-le nanoparticelle di oro, utilizzati nel progetto nano-Amplified TargetedTherapy.

Sintesi

La produzione di nanoparticelle di oro e la successiva caratterizzazio-ne vengono effettuate presso il Dipartimento di Biotecnologie Molecolari eScienze della Salute dell’Università di Torino. I vari metodi di sintesi diGNP per l’utilizzo biomedico sono concettualmente simili tra loro e preve-dono fondamentalmente due fasi. Nella prima fase si fanno interagire traloro gli ioni metallici, in modo tale che formino delle strutture più comples-se, come agglomerati di atomi. Nella fase successiva invece, tali strutturevengono gradualmente consumate da meccanismi fisico-chimici, fino al rag-giungimento delle dimensioni delle nanoparticelle desiderate. Lo stato più

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comune in cui vengono sintetizzate le nanoparticelle di oro, soprattutto nelleapplicazioni biomediche, è la soluzione colloidale 8 in un liquido [Vol13].

(a) Soluzione colloidale di GNP adifferenti concentrazioni.

(b) Momento della sinte-si di GNP con metodo diTurkevich.

(c) Soluzione colloidale diGNP ottenute con metodo diTurkevich.

Figura 2.12: Processo di sintesi delle GNP.

Tale tipo di sintesi, oltre che poter essere utilizzato per la produzionedi un gran numero di nanoparticelle, permette anche un maggiore controllodella composizione superficiale delle NP, determinando così maggiore bio-compatibilità e stabilità del prodotto [Vol13].Nello specifico, il metodo di sintesi utilizzato nel progetto nATT è denomina-to metodo di Turkevich ed è basato sulla riduzione dell’acido tetracloroaurico(HAuCl4), prodotto per ossidazione dell’oro tramite l’acido cloridrico abbi-nato ad acido nitrico o acqua ossigenata, con il citrato di sodio, in acqua a90− 100°C [KMO+06, Vol13].Il citrato di sodio ha fondamentalmente due funzioni nel processo di sintesi:

• si comporta come agente riducente, causando la corrosione delle strut-ture complesse formate dagli ioni metallici e regolando così la dimen-sione delle GNP

8Con soluzione colloidale delle GNP si intende una soluzione eterogenea nella quale lenanoparticelle rappresentano dei corpi solidi microscopici in sospensione in un liquido.

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• si comporta come agente stabilizzante, adsorbendosi sulla superficiedelle GNP, impedendo così l’aggregazione tra loro delle particelle insospensione.

La soluzione colloidale che si ottiene è caratterizzata da un colore rossorubino: l’intensità della colorazione della soluzione è direttamente correlataalla dimensione delle nanoparticelle di oro ottenute, come mostrato nella2.12(a).

Caratterizzazione

La caratterizzazione della dimensione delle nanoparticelle sintetizzateviene eseguita utilizzando la spettroscopia UV-visibile, grazie alla quale si èin grado di misurare lo spettro di assorbanza (anche chiamata densità ottica)delle GNPs in soluzione colloidale [AMG12, HTAF07, TAN]. Nella figura2.13 sono mostrati gli spettri di assorbanza di GNP di differenti dimensioni:si nota come la lunghezza d’onda del picco di assorbanza, diminuisca aldiminuire del diametro delle nanoparticelle.

Figura 2.13: Spettri di assorbanza di GNPs di differenti dimensioni

λmax (nm) dmedio (nm) ±σdmedio(nm)

520 14 1.3522 15 1.5524 21 2.7526 23 3.3530 34 4.1

Tabella 2.2: Caratterizzazione GNP con spettrofotometro UV

La spettroscopia UV-visibile, che verrà presentata in dettaglio nel capi-tolo 3, è in grado quindi di correlare la lunghezza d’onda del picco di assor-

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bimento della soluzione colloidale contenente GNP (λmax) con il diametromedio delle nanoparticelle che la compongono (dmedio), come mostrato nellatabella 2.2.Infine vengono anche utilizzati i microscopi elettroni a trasmissione (TEM)e a scansione (SEM), per l’osservazione morfologica delle GNP sintetizzate.Due esempi di tali tecniche di caratterizzazione, applicate presso il diparti-mento di Biotecnologie Molecolari e di Scienze della Salute dell’Universitàdi Torino, sono mostrati nella figura 2.14

(a) Immagine TEM di GNP. (b) Immagine SEM di GNP.

Figura 2.14: Caratterizzazione GNP.

Funzionalizzazione

Per un eventuale futuro utilizzo delle GNP come agenti radiosensibi-lizzanti in protocolli radioterapici, è di interesse cruciale fare in modo chele nanoparticelle di oro si concentrino all’interno del target tumorale, inmaniera selettiva a livello delle singole cellule. In questo modo, l’azioneradiosensibilizzante delle GNP viene limitata unicamente ai tessuti cancero-si, evitando l’amplificazione dei danni nei tessuti sani circostanti [KPS+13].Per far in modo che le nanoparticelle si concentrino nel volume tumorale,vengono funzionalizzate con bio-marker selettivi.Nello studio in vivo del progetto nATT, per aumentare la biocompatibilitàdelle nanoparticelle di oro, si è scelto di funzionalizzarle con uno strato di gli-cole polietilenico (PEG), un polimero atossico che presenta una conformazio-ne abbastanza dinamica: si parla allora in questo caso di PEGylated-GNP.Le nanoparticelle, quando vengono immesse nella circolazione sanguigna,vengono rapidamente catturate dai macrofagi del sistema reticoloendotelia-le (RES) ed espulse dalla circolazione tramite il fegato, i reni o il midolloosseo [JLZG11]. L’aggiunta del PEG alle GNP diminuisce drasticamente ilrate di cattura da parte del RES e di conseguenza, restando più a lungonella circolazione, aumenta le probabilità che le GNP raggiungano il target

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specifico. Alle PEGylated-GNP viene poi donata specificità con un’ulterio-re funzionalizzazione con biomarker specifici: in nATT sono due, mostratinella figura 2.15.

Figura 2.15: Biomarker utilizzati in nATT per la funzionalizzazione delleGNP

• Il Fluorodesossiglucosio (FDG) è una molecola captata dalle zone adaltro metabolismo di glucosio, essendo chimicamente analoga. All’in-terno del corpo le zone ad alta captazione di FDG, sono principalmenteil cervello, i reni e le cellule tumorali [San03]. Il fluorodesossiglucosioè una molecola molto utilizzata in ambito clinico, con l’aggiunta di unatomo radioattivo di fluoro 18 infatti, viene utilizzata come radiotrac-ciante (18F−FDG) nell’imaging PET. Nel progetto nATT, 18F−FDGviene utilizzato per seguire la cinetica del processo di uptake delle GNPnelle cavie, con l’utilizzo della micro-PET/CT del CNR di Pisa 9.

• L’RGD, ovvero una classe di peptidi che presentano come target speci-fico la sequenza amminoacidica Arginina-Glicina-Acido aspartico, cheè comunemente espressa in numerose glicoproteine di membrana extra-cellulare. Le proteine aventi tale sequenza vengono riconosciute dalleintegrine, una classe di proteine di adesione cellulare che connettonoil citoscheletro con la matrice extracellulare oppure con altre cellule[DBP12]. Nello specifico i peptidi RGD si legano in maniera preferen-ziale con un tipo di integrina denominata ανβ3 che svolge differentiruoli in distinti processi, come il riassorbimento osseo degli osteocla-sti, l’angiogenesi tumorale e la formazione di metastasi [LWC08]. Nelprocesso di angiogenesi tumorale la ανβ3 è particolarmente espressanelle cellule endoteliali attivate dei nuovi vasi sanguigni, mentre nonè presente nelle cellule endoteliali sane o in cellule in condizioni nor-mali. Ciò rende questo tipo di integrina, il target preferenziale per lenanoparticelle di oro funzionalizzate con sequenze RGD, permetten-done l’accumulo all’interno del target tumorale. Anche in questo caso,

9Una micro-PET/CT è un macchinario utilizzato negli studi in vivo con piccoli animali,progettato per ottenere immagini PET ad alta risoluzione spaziale, unite ad immagini TCper l’adeguata localizzazione anatomica [LYY+07]

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per seguire l’uptake delle GNP funzionalizzate all’interno delle cavie,si lega al peptide RGD il radioisotopo 18F .

La particolarità della funzionalizzazione utilizzata nel progetto nATT, èrappresentata dall’utilizzo di biomarker aspecifici. L’intento è infatti quellodi utilizzare delle molecole che permettano l’accumulo delle nanoparticelledi oro all’interno di un target tumorale generico e non solamente in unasua tipologia o porzione, come è più probabile che accada nel caso in cui siutilizzino delle funzionalizzazioni troppo specifiche.

2.3.2 La radiosensibilizzazione indotta dalle GNP

Come già accennato in precedenza, numerosi studi hanno mostrato l’ef-fetto radiosensibilizzante delle nanoparticelle d’oro. Tuttavia i fenomeni chegovernano l’aumento dell’effetto delle radiazioni ionizzanti, in presenza diGNP, non sono ancora del tutto chiari e dipendono ovviamente dal tipo edall’energia dell’irraggiamento utilizzato [DSJ+13]. Nella maggior parte deitrattamenti radioterapici in ambito clinico vengono utilizzati fasci di fotoni.Per questo motivo nella trattazione successiva ci si concentrerà su alcuniaspetti della radiosensibilizzazione indotta dalle GNP a seguito dell’intera-zione con tale tipo di radiazione. Il principale processo fisico responsabiledell’aumento di deposito di dose in presenza di nanoparticelle di oro, è impu-tabile, come si può osservare nella figura 2.16, alla differenza nel coefficientemassico di attenuazione rispetto ai tessuti in cui l’oro non è presente [Mes10].Come già discusso nel capitolo 1, per energie dei fotoni incidenti dell’ordi-

Figura 2.16: Plot del coefficiente di attenuazione massico di raggi X pertessuti molli, ossa e oro

ne dei KeV, domina l’effetto fotoelettrico, grazie all’elevato numero atomico

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dell’oro; ciò produce un drastico aumento del coefficiente di assorbimento(σph ∝ Z4) nei tessuti in cui sono presenti le GNP, mentre in quelli pri-vi l’effetto fotoelettrico è decisamente più ridotto [BMCP12]. La rilevanzaclinica di tale effetto è assai ridotta, a causa dello scarso potere penetra-tivo (circa 1 cm) dei fotoni alle energie dell’ordine del keV. Nella maggiorparte degli scenari clinici vengono infatti utilizzati fasci di fotoni con ener-gia variabile approssimativamente nel range 1 − 15 MeV . A tali energieil coefficiente di assorbimento sia dei tessuti privi che di quelli che presen-tano GNP, è dominato dall’effetto Compton, che presenta una dipendenzadella sezione d’urto decisamente più ridotta rispetto all’effetto fotoelettri-co. Di conseguenza l’aumento del deposito di dose in presenza di GNP siriduce notevolmente rispetto al caso precedente con fotoni meno energetici[BMTP13]. Ciò nonostante differenti studi in vitro, tra cui citiamo i lavoridi Geng e colleghi [GSX+11], Jain e colleghi [MMJC08] e di Butterworthe colleghi [JCH+11], hanno mostrato come l’effetto radiosensibilizzante in-dotto dalle GNP sia sostanzialmente presente, sebbene inferiore rispetto alcaso di energie dell’ordine dei KeV , anche nel caso di sorgenti dell’ordinedei MeV .Nello studio dell’azione radiosensibilizzante, bisogna comunque tenere contoche la presenza di GNP influisce sulla distribuzione spaziale del depositodi dose, a seguito delle ionizzazioni della radiazione primaria. Infatti a se-guito della ionizzazione di una nanoparticella di oro, vengono prodotti unagrande quantità di elettroni secondari, che includono i fotoelettroni e glielettroni Auger [MHM+11]. Gli elettroni Auger sono caratterizzati da ener-

Figura 2.17: Simulazione dell’energia media depositata nelle vicinanze diuna GNP dopo un singolo evento di ionizzazione da parte di un fotone da40 KeV [MHM+11]

gie relativamente basse: la maggior parte presenta un’energia inferiore a

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1 KeV mentre la totalità degli elettroni Auger prodotti ha energia inferioreai 10 KeV . Dalla descrizione presentata nel capitolo 1, appare chiaro co-me lo spettro energetico degli elettroni Auger non dipenda sostanzialmentedall’energia della particella incidente che provoca l’evento di ionizzazione,ma unicamente dall’energia delle shell atomica dalla quale il fotoelettrone,o l’elettrone Compton, è stato emesso. La ridotta energia degli elettroniAuger, si traduce in un range di interazione ristretto e ciò li rende, i maggio-ri responsabili del deposito di dose nelle vicinanze delle nanoparticelle. Adesempio nella figura 2.17 è mostrato il profilo radiale della distribuzione dienergia media nelle vicinanze di una GNP di 20 nm di diametro a seguitodi un singolo evento di ionizzazione causato dall’interazione con un fotoneda 40 keV [MHM+11].Diversi studi teorici [Cho05, Rob06, RRM02, MMJC08] si sono prefissi l’o-biettivo di calcolare l’aumento di deposito di dose, sulla base unicamentedella concentrazione di oro e dei processi di interazione con la radiazioneincidente. Nella figura 2.18 è mostrata la correlazione tra l’aumento di dosepredetto da tali studi e la radiosensibilizzazione sperimentalmente misuratain presenza di nanoparticelle di oro. Il grado di accordo che emerge dai datiè decisamente basso, con un coefficiente di correlazione pari a R2 = 0.08[BMCP12]. La disparità dei dati, sia con sorgenti del ordine del kV che del-

Figura 2.18: Correlazione fra aumento di dose predetto e osservatosperimentalmente in presenza di nanoparticelle di oro [BMCP12]

l’ordine del MV , suggerisce la presenza di una forte componente biologicanel meccanismo di radiosensibilizzazione indotto dalla presenza delle GNP[BMTP13]. Un possibile candidato, per spiegare tale componente biologica,potrebbe essere un aumento nella produzione di specie reattive dell’ossigenoa seguito di irraggiamento in presenza di GNP. E’ noto che le nanoparticel-

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le metalliche anche in assenza di irraggiamento producono ROS [ZWS+12],anche se in questo caso il meccanismo preciso che causa tale fenomeno èancora da determinare. Potrebbe infatti essere legato ad esempio all’inte-razione chimica tra le NP e delle molecole cellulari, come il glutatione 10,oppure a processi biologici causati dallo stress del reticolo endoplasmaticoa seguito dell’uptake delle nanoparticelle [BMTP13]. In combinazione conl’irraggiamento, il livello di produzione di ROS nelle cellule contenenti GNP,potrebbe essere ancora più importante, causando un aumento del danno in-diretto della radiazione. In un lavoro del 2011, Geng e colleghi [GSX+11],hanno mostrato un alto livello intercellulare di ROS nelle cellule cancerosealle ovaie (SK-OV-3) trattate con nanoparticelle di oro di 14 nm di diametroe irraggiate con fotoni da 90 kVp e 6 MV. Inoltre, elevati livelli di produzio-ne di ROS causati da irraggiamento in presenza di GNP, sono stati ancheosservati in studi non cellulari, come ad esempio il report di Masaki Misawa[MT11]. Da quanto appena detto appare chiaro come la produzione di ROSpossa essere un ottimo candidato per spiegare la componente biologica dellaradiosensibilizzazione indotta dalle GNP.

10Il glutatione è una proteine fortemente antiossidante che regola la concentrazione diradicali liberi all’interno delle cellule

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Capitolo 3

Studio della produzione diROS in presenza di GNP

3.1 Introduzione

Per un possibile impiego futuro delle nanoparticelle d’oro per aumenta-re l’efficacia della radioterapia, è di fondamentale importanza chiarire qualisiano i principali processi che ne causano l’azione radiosensibilizzante. Diconseguenza è essenziale comprendere il ruolo svolto dai radicali liberi del-l’ossigeno, verificando se effettivamente l’aumento di tali specie chimiche,rappresenti una componente chimico-biologica nella radiosensibilizzazioneindotta dalla GNP.Il presente lavoro di tesi, sviluppato nell’ambito del progetto INFN nATT,intende proprio studiare la produzione di ROS, in presenza di GNP e incondizioni di irraggiamento radioterapico standard in ambito ospedaliero.La misura dei ROS però è tutt’altro che agevole: l’elevata reattività chimicadi tali specie chimiche, si traduce infatti in una vita media estremamentebreve. Inoltre, esistono in natura una grande varietà di agenti antiossidantiin grado di interagire con i ROS ed impedirne così la misura; tale problemasi verifica particolarmente negli studi in vivo [GFL05]. Quanto appena det-to comunque non rende impraticabile la quantificazione delle specie reattivedell’ossigeno: sono infatti possibili differenti approcci analitici per misuraretali molecole. Nel trattazione successiva verranno presentati i metodi piùutilizzati.

• La risonanza paramagnetica elettronica (EPR), anche nota come riso-nanza di spin elettronico (ESR), è una tecnica spettroscopica similealla risonanza magnetica, solamente che in questo caso vengono eccita-ti gli spin elettronici, a discapito di quelli nucleari come avviene invecenel caso della NMR. La EPR può essere utilizzata per individuare edidentificare i radicali liberi, con la possibilità di ottenere informazio-

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ni, oltre che sulla geometria della specie reattiva dell’ossigeno, anchesull’orbita del proprio elettrone spaiato [GH94, MSGM+14]

• La chemioluminescenza, ovvero l’emissione di radiazione elettroma-gnetica a seguito di una reazione chimica che avviene a temperaturaambiente e senza emissione di calore [KGGM+01]. Ad esempio vieneutilizzata la lucigenica, un composto aromatico, che in seguito all’in-terazione con l’anione superossido (O−2 ), emette radiazione luminosa[TWS+99].

• La riduzione del citocromo c da parte dell’anione superossido è unmetodo accurato per misurare grandi quantità di anione superossido,rilasciate ad esempio dalle cellule nello spazio extracellulare, oppurein generale prodotte da reazioni chimiche [DH14]. Il citocromo c èuna piccola ematoproteina che si trova nello spazio intramembrana deimitocondri ed interagendo con l’anione superossido si riduce, ovveroacquista degli elettroni. La formazione del prodotto di riduzione puòessere individuata grazie al fatto che lo spettro di assorbimento dellamolecola si modifica rispetto al caso in cui la riduzione non è avvenuta[Hel12].

• L’utilizzo di probes fluorescenti, ovvero di molecole che interagendocon una determinata specie reattiva dell’ossigeno, modifichino le pro-prietà di fluorescenza. Tale metodologia di misura è frequentementeutilizzata, nei sistemi biologici, per l’individuazione e la quantificazio-ne dell’anione superossido, del radicale ossidrile ed del perossido diidrogeno [KDUD+12].

Nel progetto di ricerca nano Amplified Targeted Therapy, tra le metodo-logie presentate, si è scelto di utilizzare i probes fluorescenti per la misura deiROS prodotti in assenza e in presenza di GNP. I probes fluorescenti rappre-sentano, infatti, una metodologia di misura relativamente semplice, dotatadi elevata sensibilità e di alta risoluzione spaziale, qualora utilizzata in tec-niche di imaging microscopico [TMU+01]. Tali caratteristiche fanno sì chetale metodologia di misura sia largamente utilizzata per la quantificazionedelle specie reattive dell’ossigeno, soprattutto nei sistemi biologici. I probesfluorescenti sono specifici per una particolare specie reattiva dell’ossigeno:un particolare probe è in grado di interagire con elevata probabilità con unsolo tipo di ROS.

La misura delle specie reattive dell’ossigeno, a seguito di irraggiamentoradioterapico in presenza di GNP, è il principale intento del presente lavorodi tesi. Lo studio effettuato può essere schematicamente suddiviso in tre fasiprincipali.

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1. La preparazione dei campioni contenenti le nanoparticelle di oro ei probes fluorescenti; effettuata presso il Dipartimento di Chimicadell’Università di Torino.

2. L’irraggiamento dei campioni, effettuato presso il reparto di radiote-rapia dell’azienda ospedaliera A. O. Ordine Mauriziano di Torino

3. L’analisi dei campioni per determinare la quantità di ROS prodotti aseguito dell’irraggiamento; effettuata anch’essa presso il Dipartimentodi Chimica dell’Università di Torino.

Le fasi elencate devono essere effettuate nell’intento di determinare un pro-toccollo di misura efficace, per lo studio della produzione di ROS in presenzadi nanoparticelle d’oro.Nella trattazione successiva di questo capitolo, verranno presentate nei par-ticolari le metodologie utilizzate in ciascuna delle tre fasi.

3.2 Preparazione dei campioniLo studio della produzione dei ROS in presenza di nanoparticelle di oro,

viene effettuato in condizioni fisiologiche. I campioni sottoposti ad irrag-giamento consistono quindi essenzialmente in soluzioni di tampone fosfatosalino (PBS) a pH fisiologico compreso tra 7.35 e 7.45, intervallo corrispon-dente a valori di pH del sangue e del citosol cellulare. Il PBS è una soluzionetampone, in grado cioè di opporsi a variazioni del pH [MH15], estremamenteutilizzata negli studi biologici. Il tipo di tampone fosfato salino maggior-mente utilizzato, chiamato di Gomori, consiste in una soluzione acquosa didue sali (un acido e una base): il diidrogeno monobasico fosfato (KH2PO4)e il fosfato monoidrogeno bibasico (K2HPO4) [SB89, Gue75]. Variando laconcentrazione di tali sali e mantenendo costante il volume della soluzione,si modifica il pH del tampone.Il PBS utilizzato nello studio svolto è del tipo di Gomori, ed è stato pre-parato a pH fisiologico di 7.35, utilizzando i sali mostrati nella tabella 3.1,disciolti in acqua ultrapura.

Sale concentrazione (mM) ProduttoreKH2PO4 0.56± 0.01 Alfa Aesar (Massachusetts, USA)K2HPO4 1.40± 0.03 Alfa Aesar (Massachusetts, USA)

Tabella 3.1: Caratteristiche del PBS usato nei campioni

Per quanto riguarda invece le nanoparticelle di oro, sono state utilizzateGNP sintetizzate secondo il processo descritto nel capitolo 2, e funzionaliz-zate unicamente con uno strato di citrato per stabilizzarle e controllarne ladimensione. I campioni, contenenti GNP e probe fluorescente in PBS, sono

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Figura 3.1: Campioni contenenti PBS, probe fluorescente e GNP a differenticoncentrazioni

stati preparati all’interno di vials di plastica dal volume di 1.8 ml. Nella fi-gura 3.1 sono mostrati tre vials di plastica utilizzati, contenenti tre differenticoncentrazioni di nanoparticelle di oro. La scelta del tipo di vials utilizzatinon è casuale: sono infatti composti da materiale plastico (polipropilene),che presenta una densità simile all’acqua, in modo tale che durante l’irrag-giamento, in cui i campioni vengono inseriti in un fantoccio ad acqua, lapresenza dei vials non perturbi in maniera significativa il deposito di dose.Per studiare l’influenza della concentrazione di nanoparticelle sulla pro-duzione di ROS, in ogni misura effettuata sono stati preparati e sottopo-sti ad irraggiamento campioni contenenti GNP a differenti concentrazioni:0 µM, (5.00 ± 0.03) µM, (10.00 ± 0.07) µM . La concentrazione molareo molarità (M), esprime la concentrazione di un soluto all’interno di unasoluzione [BR50]:

Molarità = Moli di soluto

V olume della soluzione(3.1)

Moli di soluto = Massa di soluto

Massa molare del soluto(3.2)

Le caratteristiche principali delle GNP utilizzate nel corso dello studiosvolto, sono riportate nella tabella 3.2. Per quanto riguarda infine, i ti-

Metodo di sintesi TurkevichFunzionalizzazione strato di citrato

Diametro (5± 2) nm(20± 2) nm

Concentrazioni 0 µM(5.00± 0.03) µM(10.00± 0.07) µM

Tabella 3.2: Caratteristiche delle GNP utilizzate

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pi di probe fluorescenti utilizzati all’interno dei campioni, si rimanda allatrattazione svolta nella sezione 3.4 di questo capitolo.

3.3 Irraggiamento

Per studiare la produzione di ROS in presenza di GNP, in condizionidi trattamento radioterapico, si sottopongono i campioni ad irraggiamentopresso l’azienda ospedaliera A. O. Ordine Mauriziano di Torino. Nella figura3.2 si possono osservare i due acceleratori lineari presenti nel reparto diradioterapia, utilizzati per l’irraggiamento dei campioni.

(a) Varian DBX. (b) Elekta Synergy.

Figura 3.2: LINAC presenti nel reparto di radioterapia dell’ospedaleMauriziano.

Per studiare la dipendenza nella produzione di ROS, in presenza di GNP,dal tipo di radiazione utilizzata, i campioni sono stati irraggiati con le ra-diazioni fornite da un LINAC medico, ovvero elettroni e fotoni. Le energiedei fasci utilizzati sono riassunte nella tabella 3.3.

Tipo di radiazione Energiefotoni 12, 15 MV

elettroni 6, 12, 15 MeV

Tabella 3.3: Radiazioni ed energie utilizzate

Dalla tabella 3.3 si può inoltre notare che le energie del fascio di fotonivengono espresse inMegavolt (MV) e non inMeV , come invece nel caso deglielettroni. Tale differenza è causata dalla non monocromaticità del fascio difotoni prodotti da un LINAC medico. Il fascio fotonico viene infatti prodottoper bremsstrahlung, facendo incidere una fascio monoenergetico di elettronicontro un target ad elevato numero atomico, determinando così l’eteroge-neità in energia dei fotoni emessi [Pod10]. L’energia dei fotoni espressi nella

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tabella 3.3, corrispondono alle energie del fascio monocromatico di elettroniespressa in MV [P+05]. Infine, l’energia media del fascio di fotoni prodottidall’acceleratore è approssimativamente data da:

< Efotoni > '13 Eelettroni (3.3)

Nella figura 3.3 è mostrato il set up di irraggiamento utilizzato: i campio-ni sono stati inseriti in un fantoccio di acqua solida formato da un insieme dislabs, di spessore variabile, composte da materiale solido acqua-equivalente.Per minimizzare le variazioni di densità nel set-up sperimentale ed ottenere

(a) Fantoccio ad acqua solida.

(b) Fantoccio utilizzato e campioni.

Figura 3.3: Set up di irraggiamento dei campioni.

così una maggiore accuratezza nel calcolo della dose irraggiata, il fantocciocon i campioni è stato inserito in una vasca in plexiglas (figura 3.3b) riem-pita con acqua in modo tale che il livello del liquido coincidesse con il limitesuperiore del fantoccio.

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3.3.1 Irraggiamento con fotoni

Gli acceleratori utilizzati per l’irraggiamento dei campioni con fasci difotoni sono elencati nella tabella 3.4.

Energia fotoni Acceleratore usato6 MV Varian DPB (Palo Alto, Ca, USA)15 MV Elekta Synergy (Stoccolma, Svezia)

Tabella 3.4: Acceleratori usati nell’irraggiamento dei campioni con fasci difotoni

Il setup sperimentale è il medesimo per entrambe le energie del fasciodi fotoni: i vials sono stati inseriti all’interno del fantoccio ad acqua solida,in modo tale che il centro dei campioni si trovasse approssimativamentea 10 cm di profondità rispetto all’estremità superiore del fantoccio. Laconfigurazione delle slabs utilizzate nell’irraggiamento con fotoni, è mostratanello schema 3.4

Figura 3.4: Set up di irraggiamento con fascio di fotoni

Il fantoccio è stato quindi sottoposto ad irraggiamento, utilizzando uncampo relativamente grande (20 × 20 cm2), tale da non richiedere parti-colari caratteristiche del Multileaf Collimator (MLC). Il MLC è un sistemacomposto da singole "lamelle" mobili di materiale ad alto numero atomi-co, in grado di bloccare parte della radiazione generata dal LINAC [Gal99].L’utilizzo di tale collimatore permette di modellare il campo di radiazionegenerato dall’acceleratore, in modo che si adatti al target tumorale da trat-tare. Un esempio di un multileaf collimator di un LINAC medico è mostratonella figura 3.5.

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Figura 3.5: LINAC Multileaf Collimator

Il fantoccio con i vials è stato posto al di sotto del gantry dell’accelerato-re in modo tale che i campioni fossero posizionati in prossimità dell’isocentro1. Durante l’irraggiamento la Skin to Source Distance (SSD), distanza tra iltarget ad elevato numero atomico con cui vengono prodotti i fotoni e la pelledel paziente [KLHC14], o nel nostro caso, l’estremità superiore del fantoccio,era pari a 90 cm.Il calcolo delle dosi erogate, è stato svolto dai fisici medici del ospedale Mau-rizano, eseguendo una TC al fantoccio e utilizzando i Treatment PlanningSystem (TPS), riportati in tabella 3.5

Energia fotoni TPS Versione Algoritmo usato6 MV Eclipse (Varian) 8.6 Pencil Beam15 MV RayStation (RaySearch) 4.5 Collapsed Cone

Tabella 3.5: Software utilizzati per calcolo delle dosi erogate con fasci difotoni

3.3.2 Irraggiamento con elettroni

Per quanto riguarda l’irraggiamento dei campioni contenenti le GNP confasci di elettroni, è stata utilizzata un’unica macchina acceleratrice, comeriportato nella tabella 3.6. Si è utilizzato un setup sperimentale analogo aquello già presentato nel caso di irraggiamento con fotoni, con la differenzache i vials sono stati posizionati alla profondità di massima deposizionedi dose, a seconda dell’energia del fascio di elettroni. Le configurazioniutilizzate sono mostrate nella figura 3.6. Nel caso del fascio di elettroni da6MeV i vials sono stati posti al di sotto di una slabs da 1 cm di acqua

1L’isocentro è il punto di intersezione tra l’asse di rotazione orizzontale del gantry el’asse centrale del fascio

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Energia elettroni Acceleratore usato6, 12, 15 MeV Elekta Synergy (Stoccolma, Svezia)

Tabella 3.6: Acceleratore usato nell’irraggiamento dei campioni con fasci dielettroni

solida. Nel caso invece dei fasci da 12 MeV e 15 MeV i campioni sono statiposizionati al di sotto di tre slabs del fantoccio, per un totale di 2.2 cm diacqua solida.

(a) Eelettroni = 6 MeV .

(b) Eelettroni = 12, 15 MeV .

Figura 3.6: Setup di irraggiamento con fascio di elettroni.

Anche in questo caso si è utilizzato un campo di 20 × 20 cm2, definitoattraverso un applicatore esterno, composto da materiale a basso numeroatomico in modo da limitare la produzione di raggi X. Durante l’irraggia-mento il setup sperimentale descritto, è stato posto sull’asse del fascio aduna SSD pari a 95 cm.Il calcolo della dose è stato eseguito dai fisici medici dell’ospedale Mauri-

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ziano, senza alcun supporto software, ma unicamente utilizzando gli OutputFactor (OF) rispetto alle condizioni di calibrazione. In particolare l’outputfactor Se, per un campo di elettroni di grandezza ra a SSDra , è defini-to come il rapporto tra la dose per monitor unit (MU) (D/U(Gy/MU))2 sull’asse centrale del fascio alla profondità di massimo deposito di doseper il particolare campo (dmax(ra)) e la dose per monitor unit in condizionidi calibrazione[GAD+09]. Il campo di calibrazione è caratterizzato da: di-mensione r0, SSDr0 e profondità di massimo deposito di dose di dmax(r0).

Se(dmax(ra), ra, SSDra) = D/U(dmax(ra), ra, SSDra)D/U(dmax(r0), r0, SSDr0) (3.4)

3.4 Analisi dei campioni

Come già descritto all’inizio di questo capitolo, la metodologia sceltaper individuare le specie reattive, prevede l’utilizzo di probe fluorescenti.Tali molecole permettono di individuare i ROS principalmente in due modi[GFL05]:

• dall’interazione tra la specie reattiva dell’ossigeno e il probe, si formacome prodotto una molecola fluorescenze

• il probe è già fluorescente e, a seguito dell’interazione con la speciereattiva dell’ossigeno, tale fluorescenza subisce delle modificazioni.

Per una migliore comprensione delle misure e delle metodologie effettua-te, nella trattazione successiva verrà introdotta in maniera semplificata ilfenomeno della fluorescenza ed i principi cardini della spettroscopia in fluo-rescenza.

3.4.1 Fenomeno della fluorescenza

Il fenomeno della fluorescenza consiste nell’emissione di fotoni, che si ve-rifica durante il processo di rilassamento molecolare che coinvolge transizionitra gli stati elettronici e vibrazionali delle molecole fluorescenti poliatomiche[SD02]. Tali molecole, spesso chiamate fluorofori, sono in grado di assorbireenergia elettromagnetica ad un determinata lunghezza d’onda (processo dieccitazione molecolare) e, in un intervallo temporale dell’ordine dei nanose-condi, di riemettere radiazione elettromagnetica a lunghezza d’onda diffe-rente da quella di assorbimento [SHE11].

2Corrisponde alla dose misurata dalla camere a ionizzazione dell’acceleratore. Ad esem-pio una camera a ionizzazione misura 100 MU quando viene depositata una dose di 1 Gyin un punto corrispondente alla massima profondità di deposito di dose in un fantoccioacqua-equivalente posto all’isocentro della macchina con una superficie di campo pari a10× 10 cm2

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Gli stati elettronici eccitati di una molecola poliatomica possono essere clas-sificati in base alla loro molteplicità: per il principio di esclusione di Paulie per l’indistinguibilità degli elettroni, le funzioni d’onda devono essere ca-ratterizzate da uno stato di spin simmetrico o antisimmetrico. Lo statosimmetrico è anche chiamato stato di tripletto ed è caratterizzato da treforme e quindi molteplicità pari a tre, mentre invece quello antisimmetri-co viene chiamato stato di singoletto, è caratterizzato da un’unica forma emolteplicità pari a uno [SD02]. Al primo ordine le transizioni ottiche avven-gono tra stati aventi la medesima molteplicità. Poiché lo stato elettronicofondamentale S0 è di singoletto, lo stato eccitato del fluoroforo, raggiunto aseguito dell’assorbimento di radiazione elettromagnetica, sarà anch’esso disingoletto, ad esempio S1, S2 [SD02].

Figura 3.7: Diagramma di Jablonski di un fluoroforo [Lak13]

I processi che avvengono tra l’assorbimento della radiazione elettroma-gnetica e la successiva emissione possono essere rappresentati da un diagram-ma di Jablonski 3 di un fluoroforo. Un esempio di tale tipo di diagrammaè mostrato nella figura 3.7: si può notare inoltre dal diagramma, come ognilivello elettronico sia diviso in diversi sottolivelli, corrispondenti a vari modivibrazionali della molecola [SD02]. Il gap energetico presente tra lo statofondamentale S0 e il primo livello eccitato S1 è troppo elevato perché vengasuperato con la sola energia di agitazione termica. Le molecole quindi sitrovano nello stato fondamentale, ed è necessario, per indurre la fluorescen-za, l’assorbimento di radiazione elettromagnetica [SHE11]. A seguito delprocesso di assorbimento luminoso, il fluoroforo viene solitamente eccitatoad un livello vibrazionale degli stati S1 o S2, dopodiché avviene un proces-so denominato conversione interna. Tale processo consiste nel rilassamentodel fluoroforo, senza emissioni radiative, al livello vibrazionale ad energiainferiore dello stato S1; il tempo caratteristico del processo di conversioneinterna è dell’ordine dei 10−12s [Lak13]. Infine avviene l’emissione di fluore-

3Il diagramma di Jablonski è una rappresentazione schematica dei processi ditransizione, radiativi e non, che avvengono tra i livelli energetici di una molecola

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scenza tra lo stato elettronico di singoletto eccitato e lo stato fondamentale.Oltre alle fluorescenza, esiste però anche un altro fenomeno di diseccitazionedenominato fosforescenza, in cui dallo stato eccitato S1 si verifica un proces-so di conversione di spin dallo stato di singoletto allo stato di tripletto T1,chiamato Intersystem Crossing. La transizione tra lo stato di tripletto T1 elo stato elettronico fondamentale S0 è però proibita al primo ordine, di con-seguenza il rate di emissione fosforescente risulta essere ordini di grandezzainferiore rispetto a quello di fluorescenza [Lak13, SHE11]. Inoltre, a causadel processo di Intersystem Crossing, l’intervallo di tempo che intercorre traeccitazione ed emissione fosforescente risulta maggiore (> 10−3s) rispetto alcaso della fluorescenza (10−9 10−4 s) [Pri49].

Alcune caratteristiche del fenomeno della fluorescenza

• L’energia della radiazione elettromagnetica emessa in fluorescenza èminore dell’energia assorbita, tale fenomeno è chiamato lo spostamentodi Stokes, che per primo lo osservò nel 1852 [Lak13]. Tale differenza ècausata dal processo di conversione interna, che dissipa in maniera nonradiativa parte dell’energia assorbita: di conseguenza i fotoni emessiper fluorescenza presentano una lunghezza d’onda maggiore rispetto aquelli assorbiti nell’eccitazione del fluoroforo [SD02].

• Si osserva in generale un’indipendenza dello spettro di emissione difluorescenza dalla lunghezza d’onda di eccitazione, purché lo spettroutilizzato per eccitare il probe contenga anche la lunghezza d’ondadi assorbimento tipica del fluoroforo. Tale fenomeno è dovuto allaregola di selezione di Kasha [Kas50] che stabilisce che l’emissione difluorescenza avviene sempre dal livello vibrazionale ad energia inferio-re di uno stato eccitato avente la medesima molteplicità dello statofondamentale [SHE11].

• All’aumentare della temperatura, in accordo con la distribuzione diBoltzmann, vengono popolati i livelli vibrazionali dello stato fonda-mentale ad energia maggiore. Di conseguenza avvengono maggioritransizioni tra i livelli dello stato fondamentale ed i livelli vibrazionalia maggiore energia del primo stato eccitato, con il risultato che lo spet-tro di assorbimento diventa più ampio (al crescere della temperatura)[SHE11].

• L’intensità di fluorescenza di un fluoroforo può essere diminuita da ungran numero di processi, chiamati processi di quenching. Tra questicitiamo:

1. Quenching collisionale. La collisione tra un fluoroforo nello statoeccitato ed un’altra molecola, può causare, senza alcuna alterazio-

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ne delle strutture chimiche delle molecole coinvolte, il rilassamen-to della molecola fluorescente senza che vi sia alcuna emissioneluminosa [Lak13].

2. Quenching statico. L’interazione tra il fluoroforo ed un’altraspecie chimica può dar vita alla formazione di complessi nonfluorescenti, limitando così l’azione del fluoroforo [Lak13].

3.4.2 Probe fluorescenti utilizzati

La caratteristica principale che devono possedere i probe fluorescenti, èun certo grado di specificità rispetto alla specie reattiva dell’ossigeno chesi sceglie di misurare. Per quanto riguarda lo studio svolto si è scelto diutilizzare unicamente probes per l’individuazione del radicale ossidrile e dell’anione superossido.

Figura 3.8: Specie reattive dell’ossigeno misurate

Tale scelta è giustificata dal fatto che queste due specie presentano mag-gior importanza biologica, soprattutto nel danno legato alle radiazioni io-nizzanti. Nel caso in cui tali specie reattive siano presenti in concentrazionemaggiori rispetto all’omeostasi cellulare, come si verifica ad esempio a se-guito dell’irraggiamento, le reazioni enzimatiche antiossidanti deputate alloro smaltimento risultano inefficienti [MNN09]. Nel caso poi del radicaleossidrile, come già detto nel capitolo 1, l’inefficienza di tale smaltimentoè particolarmente elevata. Il radicale OH presenta infatti una vita mediatalmente breve da risultare minore del tempo di diffusione medio necessarioa raggiungere il sito attivo degli enzimi in grado di metabolizzarlo [Alp97].Dunque le cellule sono in grado di smaltire il radicale ossidrile in eccessosolamente quando viene prodotto nelle vicinanze degli enzimi antiossidan-ti specifici. Oltre a quanto appena detto, ricordiamo anche che il radicaleossidrile, a causa dell’alta reattività chimica, è il maggior responsabile deidanni causati alla molecole di DNA.

I probes utilizzati nel progetto nano-Amplified Targeted Therapy perla misura dell’anione superossido e del radicale ossidrile, sono riportatinell’elenco sottostante.

• Il 1,3-difenilisobenzofurano (DPBF), la cui struttura chimica è riporta-ta nella figura 3.9(a), è una molecola fluorescente caratterizzata dalla

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lunghezza d’onda di eccitazione ed emissione pari a [ONK99]

λexcitation = 401 nm λemission = 455 o 477 nm (3.5)

L’interazione tra il DPBF e l’anione superossido porta alla formazionedi un complesso fluorescente caratterizzato dalle medesime lunghezzed’onda di eccitazione e di emissione del DPBF, ma avente una minoreintensità di fluorescenza.Il DPBF presenta una notevole sensibilità, oltre che per l’individua-zione dell’anione superossido, anche per la detezione dell’ossigeno sin-goletto (1O2) [WTB+91]. Tale sensibilità del probe a due differentispecie radicaliche può però causare fenomeni di quenching in grado didisturbare la misura dell’anione superossido [GFL05].

(a) DPBF. (b) TPA. (c) DHE.

Figura 3.9: Strutture chimiche dei probes fluorescenti utilizzati.

• Il sodio tereftalato (TPA), la cui struttura chimica è mostrata nellafigura 3.9(b), è una molecola non fluorescente, che a seguito dell’inte-razione con il radicale ossidrile forma un composto fluorescente [ŠH07].La sensibilità del TPA come probe fluorescente per la misura del radi-cale ossidrile in differenti sistemi chimici e fisici, è stata verificata in nu-merosi lavori, tra cui citiamo quelli di: Amstrong e colleghi [AFGH63],Matthews e colleghi [BSS+94] e di Fang e colleghi [FMvS96]. Allo sta-to attuale, non sono molti gli studi presenti in letteratura in cui il TPAviene utilizzato per la misura del radicale ossidrile formatosi a seguitodella radiolisi dell’acqua, in presenza di nanoparticelle di oro.I dettagli della reazione di interazione tra TPA e radicale OH e lecaratteristiche di tale probe verranno discussi nel capitolo 4.

• Il diidroetidio (DHE), la cui struttura chimica è mostrata nella figu-ra 3.9(c), è una molecola non fluorescente che permette di misurarel’anione superossido, poiché a seguito dell’interazione con tale specieradicalica forma un composto fluorescente [PDS07]. Il DHE è parti-colarmente utilizzato per misurare l’anione superossido presente nelcitosol, grazie al fatto che presenta una buona diffusione passiva nelle

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cellule [GFL05, DH14]. Il diidoetidio oltre che con l’anione superos-sido, può interagire, dando origine a composti fluorescenti, con il ra-dicale ossidrile e il perossidonitrico (ONOO−) 4 [WBM+14]. Anchein questo caso i dettagli delle reazioni di interazione tra DHE e anio-ne superossido, oltre che maggiori caratteristiche del probe, sarannopresentate nella trattazione successiva, nel capitolo 5.

Nella tabella 3.7 sono riportati, oltre che i processi di fluorescenza carat-teristici dei tre probe appena descritti, anche la loro solubilità e la speciereattiva dell’ossigeno misurata. La solubilità in tamponi acquosi è ottimale

Probe ROS misurato Solubilità Reazione di identificazioneDPBF ·O−2 solventi organici Diminuzione di fluorescenzaTPA ·OH tamponi acquosi Composto fluorescenteDHE ·O−2 solventi organici Composto fluorescente

Tabella 3.7: Caratteristiche dei probes utilizzati [GFL05]

per l’applicazione di un particolare probe in uno studio "in vivo" o in condi-zioni fisiologiche.Durante lo studio svolto sulla produzione di ROS in campioni contenentinanoparticelle di oro, sottoposti ad irraggiamento radioterapico, sono statitutilizzati unicamente i probes TPA e DHE.

3.4.3 Tecniche spettroscopiche e strumentazione utilizzata

Nel corso dello studio della produzione di ROS in presenza di GNP, sonostati utilizzati per l’analisi dei campioni principalmente due tecniche spettro-scopiche: la spettrofotometria UV-visibile e la spettrofluorimetria. La primaconsiste nella caratterizzazione dello spettro di assorbimento dei campioniche vengono sottoposti all’analisi. Tale tecnica spettroscopica viene utiliz-zata, oltre che per la caratterizzazione delle nanoparticelle, come discussobrevemente nel capitolo 2, anche per la misura quantitativa dei probes chea seguito dell’interazione con i ROS presentano una diminuzione della loropreesistente fluorescenza, come nel caso del DPBF [ONK99].La spettrofluorimetria è invece una tecnica di analisi spettroscopica di fluore-scenza, volta alla determinazione della quantità di una sostanza fluorescentepresente all’interno di un campione [SBD81]. Tale tecnica spettroscopica èstata utilizzata per la misurazione del segnale di fluorescenza generato a se-guito dell’interazione tra anione superossido-DHE e radicale ossidrile-TPA.

4Il perossidonitrico è un agente ossidante dalla vita media molto corta, quindi estre-mamente reattivo, prodotto dall’interazione tra il monossido di azoto (NO) e l’anionesuperossido. Grazie alla sua elevata reattività, il perossido nitrico è in grado di provocareuna grande quantità di effetti biologici, con effetti aversi su molteplici funzioni cellulari[SIR07]

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Nel corso della trattazione successiva, oltre ad una descrizione qualitativadella strumentazione utilizzata, verranno presentati i processi fisici alla basedelle tecniche spettroscopiche appena presentate.

Spettrofotometria UV-visibile

La spettroscopia UV-visibile è una tecnica spettroscopica utilizzata permisurare spettri di assorbanza di composti in soluzione oppure di solidi[OCB]. L’energia di una molecola può essere modellizzata come la sommadi tre componenti distinte

Emolecola = Eelettronica + Evibrazionale + Erotazionale (3.6)

Eelettronica > Evibrazionale > Erotazionale (3.7)

In molte molecole, la radiazione elettromagnetica UV-visbile possiede suffi-ciente energia per causare, a seguito dell’assorbimento del fotone incidente,transizioni tra i differenti livelli elettronici [Pri].

Radiazione λrange (nm) νrange(Hz) Eper fotone (eV )ultravioleta 380 − 100 789 1012 − 30 1015 3.26 − 12.4visibile 750 − 380 400 1012 − 789 1012 1.65 − 3.26

Tabella 3.8: Caratteristiche dello spettro luce UV-visibile

Poiché ogni livello elettronico è caratterizzato da differenti stati vibra-zionali e rotazionali, possono avvenire molteplici transizioni, a seconda delleenergie del fotone assorbito [Pri]. L’insieme delle transizioni possibili deter-mina quindi lo spettro di assorbimento della molecola, come mostrato nellafigura 3.10.

Figura 3.10: Transizioni elettroniche e spettro di assorbimento UV-visibiledi una molecola [Pri]

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Quando si sottopone un campione all’analisi con lo spettrofotometro UV-visibile, questo viene investito da radiazione elettromagnetica nel range dilunghezze d’onda riportate nella tabella 3.8. Parte della luce incidente verràquindi assorbita nei processi di transizione tra gli stati energetici delle mo-lecole presenti nel campione, mentre la restante porzione di radiazione verràinvece trasmessa.Per esprimere la quantità di radiazione elettromagnetica, ad una data lun-ghezza d’onda, che viene trasmessa attraverso il campione, si utilizza latrasmittanza [Pri], definita come il rapporto tra la la luce trasmessa ITattraverso la soluzione esaminata, e la luce incidente I0 [Har10].

T = ITI0

(3.8)

La capacità della soluzione in esame di assorbire, una determinata lunghez-za d’onda della radiazione elettromagnetica incidente, viene invece espressadall’assorbanza, definita, a meno di un segno meno, come il logaritmo inbase dieci della trasmittanza [Alb08].

A = − log T = − log(ITI0

)(3.9)

Sia la trasmittanza che l’assorbanza sono delle grandezze adimensionali, so-litamente vengono espresse secondo valori percentuali.Il principio che sta alla base della spettroscopia UV-visibile è la legge diLambert-Beer, che esprime una relazione lineare tra l’assorbanza e la con-centrazione (c) della soluzione analizzata [Swi62].

A = εbc (3.10)

ε rappresenta il coefficiente di estinzione molare, espresso in M−1cm−1 edipende dalla lunghezza d’onda della radiazione incidente, mentre b è ilcammino percorso dalla luce all’interno del mezzo assorbente. L’equazione3.10 corrisponde in realtà al caso in cui nel campione in esame sia presenteun’unica molecola, nel caso reale di una soluzione, la legge di Lambert-Berrpuò essere generalizzata come il contributo di n componenti indipendenti[Har10].

Asoluzione =n∑i=1

Ai =n∑i=1

εi b Ci (3.11)

Validità delle legge di Lambert-Berr La legge di Lambert-Berr è vali-da unicamente per concentrazioni delle componenti della soluzione in esame,non troppo elevate (< 10 mM) [Meh12]. Tale limitazione è fondamental-mente causata da due fenomeni distinti [Har10]:

1. Ad alte concentrazioni delle componenti della soluzione, possono veri-ficarsi fenomeni di interazione tra le specie chimiche presenti, in gradodi alterare lo spettro di assorbimento.

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2. Il coefficiente di rifrazione varia con la concentrazione della soluzio-ne, di conseguenza variano anche A ed ε. Per concentrazioni suffi-cientemente basse, l’indice di rifrazione può essere invece consideratocostante.

Spettrofotometro UV-visibile Lo strumento che si utilizza nella spet-trofotometria UV-visibile è denominato spettrofotometro UV-visibile e neesistono di diversi tipi [OCB]:

• a singolo raggio

• a doppio raggio

• simultaneo

Tutti e tre questi strumenti contengono al loro interno, come componen-ti fondamentali, una sorgente luminosa (nella maggior parte dei casi unalampada al deuterio o al tungsteno), un alloggiamento per il campione daanalizzare, un rivelatore per la misura dello spettro di assorbanza ed infinesolitamente un monocromatore in modo tale da selezionare una lunghezzad’onda alla volta [OCB]. Lo spettrometro simultaneo non presenta il mo-nocromatore, ma un rivelatore formato da un array di diodi che permettedi misurare contemporaneamente differenti lunghezze d’onda [Pri]. In tuttigli strumenti, la misura dello spettro di assorbanza viene effettuata tramiteuna misura comparativa, ovvero confrontando la misura della luce incidentesul detector nel caso in cui non sia presente il campione (tale misura vienedefinita il bianco) e la misura della luce trasmessa con il campione [OCB].Verrà descritto nel dettaglio unicamente lo strumento utilizzato, ovvero lospettrofotometro UV-visibile a doppio raggio.

Spettrofotometro a doppio raggio In un spettrofotometro a singo-lo raggio il campione e il bianco devono essere misurati in tempi successivi,mentre con l’utilizzo invece dello spettrofotometro a doppio raggio si pos-sono misurare contemporaneamente sia il bianco che il campione [Alb08].Tale misura è possile grazie al fatto che lo spettrofotometro a doppio raggiopresenta, come si può osservare nella figura 3.11, uno splitter (chopper) chedivide il fascio luminoso in uscita dal monocromatore, dopodiché due distin-ti sistemi ottici permettono di guidare i due raggi luminosi rispettivamenteverso il campione da analizzare e verso quello di riferimento. Il chopper è undisco in rotazione che, nella sua configurazione più semplice, è formato dadue superfici riflettenti e due trasparenti di uguale dimensione, alternate traloro. La rotazione del chopper permette quindi di alternare il fascio lumi-noso in uscita dal monocromatore, tra il campione di riferimento e il bianco[Har10]. La velocità di rotazione del choper è tale che la misura alternatadel bianco e del campione avviene diverse volte per secondo, rendendo così

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Figura 3.11: Schema dei componenti principali di uno spettrofotometro UV-visibile a doppio raggio [OCB]

meno influenti, ad esempio, fluttuazioni nell’intensità della luce emessa dallalampada [Har10].Lo strumento utilizzato nel corso dello studio svolto è lo UV-1700 Spectro-photometer (Shimadzu, Kyoto, Japan), mostrato nella figura 3.12

Figura 3.12: Shimadzu UV-1700 Spectrophotometer

Tale strumento sfrutta due differenti sorgenti luminose:

• una lampada alogena per la radiazione luminosa nel range di lunghezzed’onda del visibile e del vicino ultravioletto

• una lampada allo xenon per le lunghezze d’onda nel range dell’ultra-violetto.

Lo switch tra le due sorgenti luminose viene eseguito automaticamente dallostrumento, tramite uno specchio mobile, in risposta alla lunghezza d’ondarichiesta. Non è presente un monocromatore per la selezione della lunghezza

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Figura 3.13: Cuvetta di quarzo utilizzata nell’analisi dei campioni

d’onda, bensì un reticolo di diffrazione. L’analisi dello spettro di assorbanzadel campione e del bianco viene effettuata mediante due fotodiodi indipen-denti.La soluzione da analizzare viene posta all’interno di cuvette di quarzo, poi-ché a differenza del vetro, tale materiale non presenta assorbimento allelunghezze d’onda degli ultravioletti [KPJ07]. Le cuvette di quarzo utilizzatesono da 1 ml e sono mostrate nella figure 3.13.

Spettrofluorimetria

La spettrofluorimetria è una tecnica di analisi spettroscopica di fluo-rescenza, volta alla determinazione delle quantità di sostanza fluorescentipresenti all’interno di un campione [SBD81]. Il fenomeno fisico su cui sibase tale tecnica di analisi chimica è la fluorescenza, ampiamente descrittanella sezione 3.4.1 di questo capitolo.La spettrofluorimetria, rispetto ad altre tecniche spettroscopiche (come adesempio la spettrofotometria), presenta alcune caratteristiche importanti[SBD81, Gui90, Lak13]:

• Sensibilità Si possono infatti eseguire misure di spettri di fluorescenzamolto accurate. Inoltre, grazie alla presenza delle molecole fluore-scenti che assorbono radiazione luminosa e la riemettono, la precisio-ne della misura è decisamente meno dipendente dalla concentrazio-ne della soluzione analizzata, rispetto al caso della spettroscopia inassorbimento.

• Specificità e semplicità. Il fatto che le molecole fluorescenti presentinodue spettri distinti, uno di assorbimento e uno di emissione, rende piùfacilmente distinguibili i composti fluorescenti presenti nel campioneanalizzato. Inoltre se due sostanze fluorescenti distinte presentanospettri di eccitazione molto simili, difficilmente presenteranno anchesimili spettri di fluorescenza. Nella spettrofotometria invece si possonoverificare problemi di interferenza, poiché tutte le sostanze presenti nelcampione assorbono la luce, rendendo quindi complicato in alcuni casi

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distinguere l’assorbimento della specie chimica di interesse. Infine,un’ulteriore specificità della spettrofluorimetria è legata all’utilizzo diprobe fluorescenti specifici, come già discusso in precedenza (paragrafo3.4.2).

• Linearità. L’intensità di fluorescenza misurata è una funzione linearedella concentrazione di probe fluorescenti. Tale linearità si conser-va inoltre in un range di concentrazione molto più elevato rispettoal caso della spettrofotometria. Nel caso di una concentrazione nontroppo elevata e radiazione incidente monocromatica, vale l’equazio-ne 3.12, che permette di correlare l’intensità di fluorescenza (IF ) conla concentrazione (c) di molecole fluorescenti presenti all’interno delcampione analizzato.

IF = 2.3 I0 ελ l c Φ (3.12)

Nell’equazione 3.12, I0 è l’intensità della luce incidente, ελ è il coef-ficiente di estinzione molare che assorbe alla lunghezza d’onda λ, l èil cammino ottico ed infine Φ è l’efficienza quantica della sostanza inesame 5. La misura fluorimetrica dipende dalla scala di lettura impo-stata nell’apparato sperimentale utilizzato, quindi viene comunementeespressa in Arbitrary unit (a.u.).

Lo spettrofluorimetro Lo spettrofluorimetro è il principale strumentoche si utilizza in fluorimetria e permette di misurare sia lo spettro di ec-citazione che di emissione fluorescente [Gui90]. Lo spettro di eccitazione èdefinito come l’intensità di fluorescenza misurata in funzione della lunghezzad’onda di eccitazione, a λemission fissata. Lo spettro di emissione è invecela misura dell’intensità di fluorescenza in funzione della lunghezza d’onda diemissione, a λexcitation fissata [SD02].

Un tipico spettrofluorimetro, come schematizzato nella figura 3.14, con-tiene una sorgente luminosa, uno scomparto in cui inserire i campioni, diffe-renti configurazioni di filtri ottici, grazie ai quali vengono fornite specifichelunghezze d’onda di eccitazione ed emissione ed infine un detector ad altasensibilità [Lak13, SD02]. Le sorgenti luminose più comunemente utilizzatenegli spettrofluorimetri sono le lampade allo xenon. Tali sorgenti sono infattiin grado di emettere luce, con intensità relativamente costante, in un ampiospettro di lunghezze d’onda: dagli ultravioletti al vicino infrarosso[SD02].Nello schema presentato in figura 3.14, sono presenti due monocromatori,uno di eccitazione ed uno di emissione, entrambi meccanizzati in modo taleda permettere uno scan automatico delle lunghezze d’onda [Lak13]. Inol-tre solitamente all’uscita dai due monocromatori sono presenti le slits di

5L’efficienza quantica è il rapporto tra i fotoni di fluoresceza emessa e i fotoni incidentiassorbiti. Tale grandezza dipende, oltre che dal tipo di fuoroforo, anche pH della soluzioneanalizzata che dalla sua temperatura

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Figura 3.14: Diagramma delle componenti principali di un fluorimetro

emissione (EM slits) e le slits di eccitazione (EX slits), che permettono diregolare rispettivamente: l’intensità della luce di fluorescenza che incide suldetector e quella di eccitazione incidente sul campione [KMD65]. Il siste-ma ottico per la lettura dell’intensità di fluorescenza emessa dal campioneè posto ortogonalmente rispetto alla direzione di provenienza del fascio dieccitazione. In questo modo viene minimizzata la possibilità che la lucedi eccitazione incidente sul campione possa interferire con la lettura dellospettro di fluorescenza [SD02]. Nella maggior parte degli spettrofluorimetrisono presenti due rivelatori: uno per l’analisi della fluorescenza del campione(sample detector) ed un secondo per la misura dello spettro di eccitazione(reference detector) [Lak13]. I rivelatori più comunemente utilizzati sonofotomoltiplicatori o fotodiodi, collegati ad un’opportuna elettronica di am-plificazione e digitalizzazione del segnale.Lo strumento utilizzato nell’analisi della fluorescenza dei campioni contenen-ti i probes TPA e DHE, è il LS 55 Luminescence Spectrometer (PerkinElmer,Waltham, USA), mostrato in figura 3.15.

Le principali caratteristiche dello strumento utilizzato sono:

• Sorgente: lampada a scarica allo Xenon

• Sample detector: fotomoltiplicatore, in grado di operare fino alla lun-ghezza d’onda di 650 nm, dotato di circuto di gating in grado dilimitarne il guadagno

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Figura 3.15: PerkinElmer LS 55 Luminescence Spectrometer

• Reference detector: fotodiodo in grado di operare fino alla lunghezzad’onda 900 nm.

• Monocromatore: del tipo Monk-Gillieson in grado di coprire i seguentiintervalli di lunghezze d’onda

– eccitazione: 200 − 800 nm– emissione: 200 − 650 nm

• Slits: possono essere variate con incrementi di 0.1 nm nei range:

– EM slit: 2.5 − 20.0 nm– EX slit: 2.5 − 15.0 nm

3.4.4 Tempistiche di analisi

Nello studio svolto si vuole verificare se la presenza di GNP, in condizionidi irraggiamento radioterapico, possa portare ad un aumento di produzio-ne di anione superossido e di radicale ossidrile. E’ di cruciale importanza,essere in grado di confrontare la quantità di specie reattive, prodotte nellemedesime condizioni di irraggiamento, nei campioni contenenti GNP, probefluorescente e PBS, rispetto ai campioni non contenenti nanoparticelle dioro. Essendo i ROS specie altamente reattive,una volta prodotte, la loroconcentrazione all’interno dei campioni può variare molto velocemente inte-ragendo con le altre molecole presenti in soluzione. Da quanto appena detto,si capisce come l’intervallo temporale che intercorre tra l’irraggiamento deicampioni e la successiva analisi, gioca un ruolo cruciale nella confrontabilitàdelle diverse misure. E’ quindi necessario cercare di mantenere tale inter-vallo di tempo pressoché invariato per tutte le misure effettuate.In tutte le misure, i campioni sono stati preparati presso il Dipartimentodi Chimica dell’Università di Torino, alcune ore prima dell’irraggiamento,in modo tale che la soluzione con PBS, probe e GNP avesse modo di sta-bilizzarsi. L’irraggiamento dei campioni è stato invece effettuato presso il

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reparto di radioterapia dell’Ospedale Mauriziano. L’irraggiamento è avve-nuto sempre nel primo pomeriggio intorno alle 15 − 15 : 30, orario in cui gliacceleratori non sono impiegati per il trattamento dei pazienti. Infine l’ana-lisi dei campioni è eseguita presso il dipartimento di chimica dell’Universitàdi Torino, all’incirca 20 minuti dopo aver terminato l’irraggiamento.

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Capitolo 4

Misure effettuate con il TPA

4.1 Caratteristiche del sodio tereftalato

Il sodio tereftalato è un probe fluorescente utilizzato spesso per misu-rare il radicale ossidrile in molteplici sistemi chimici, fisici e biologici. Lesue applicazioni infatti spaziano dagli studi in vitro [BSS+94], agli studi le-gati a patologie umane (come ad esempio la schizofrenia) [KMD+11], allaproduzione di ROS con gli ultrasuoni [MTL+98] e ovviamente alla misuradel radicale ossidrile prodotto dall’interazione delle radiazioni ionizzanti conmateriali biologici [AFGH63]. In letteratura non sono presenti però studiin cui il TPA viene utilizzato per misurare la produzione di radicale OH, aseguito di irraggiamento radioterapico in presenza di nanoparticelle di oro:ciò costituisce un aspetto innovativo nelle misure svolte all’interno del pre-sente lavoro di tesi.L’individuazione del radicale OH si basa sulla conversione del TPA nel com-posto fortemente fluorescente sodio diidrossi-tereftalato (HTPA), a seguitodell’interazione con il radicale ossidrile [ŠH07]. La reazione di formazionedel HTPA, anche chiamata reazione di quencing del TPA, è mostrata nellafigura 4.1.

Figura 4.1: Reazione di quencing del TPA

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Il sodio diidrossi-tereftalato è un composto aromatico caratterizzato dauna forte fluorescenza alle lunghezze d’onda [GFL05]

λexcitation ≈ 310 nm λemission ≈ 430 nm (4.1)

Tali lunghezze d’onda variano leggermente a seconda dello specifico TPAutilizzato.La fluorescenza del HTPA viene misurata con uno spettrofluorimetro e per-mette la determinazione quantitativa dei radicali ossidrili presenti nella so-luzione analizzata. Infatti, la concentrazione dei radicali OH presenti nelcampione è proporzionale all’intensità massima di fluorescenza, misurataalla lunghezza d’onda di emissione del probe. Differenti studi hanno dimo-strato la sensibilità del TPA nella misura fluorimetrica del radicale ossidrile,tra questi citiamo i lavori di Eva Hideg e colleghi [ŠH07] e di Fang e colleghi[FMvS96].Di seguito sono elencate alcune caratteristiche del TPA e del HTPA

• Il TPA è particolarmente stabile nel tempo quando si trova in so-luzione, grazie al fatto che il suo processo di ossidazione da partedell’ossigeno è decisamente ridotto nel tempo [LAN+04]. Anche l’HT-PA in soluzione risulta essere particolarmente stabile: l’intensità difluorescenza non varia per più del 5 %, se tenuto ad una temperatu-ra di −70°C per più di tre mesi, oppure se tenuto per diverse ore atemperatura ambiente [LAN+04, YUCM+05].

• Sia il sodio tereftalato che il sodio diidrossi-tereftalato non risultanofotosensibili, sia nel range di lunghezze d’onda della luce visibile che inquella ultravioletta [QKB00]. Dunque durante l’analisi dei campionicon lo spettrofluorimetro, l’esposizione alla luce di eccitazione dellostrumento non perturba la determinazione del radicale OH prodottodurante l’irraggiamento radioterapico.

• Nel lavoro svolto da Eva Hideg e colleghi [ŠH07], è stata studiata lafluorescenza del HTPA in campioni in soluzione di PBS a differentivalori di pH. In tale studio la produzione di radicali ossidrili, è sta-ta effettuata mediante una reazione di Fenton 1. I risultati ottenutidelineato una sostanziale indipendenza dell’intensità massima di fluo-rescenza del HTPA, in funzione del pH del tampone fosfato salinoutilizzato, come mostrato nella tabella 4.1.

1La reazione di Fenton è una soluzione di perossido di idrogeno (acqua ossigenata) eioni ferro. A seconda della quantità di reagenti utilizzati nella reazione, si è in grado distabilire la quantità di radicali ossidrili che vengono prodotti [CF09]

F e2+ + H2O2 → F e3+ + ·OH + OH−

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pH λmax (± 0.5) nm Imax(±1.5) %4.0 436.0 94.45.0 428.5 99.16.0 425.5 99.27.2 424.5 100.08.0 424.0 101.79.0 424.0 102.810.0 424.0 102.9

Tabella 4.1: Studio effettuato da Eva Hideg e colleghi, dell’intensità massimadi fluorescenza del HTPA in PBS di differenti pH [ŠH07]

• Infine il TPA è altamente solubile in tamponi acquosi e ciò è partico-larmente utile negli studi biologici [ER66, BSS+94].

Per quanto riguarda le misure effettuate, è stato utilizzato il sodio terefta-lato fornito dalla Alfa Aesar (Postfach, Germmany), le cui caratteristichedi fluorescenza sono riportate nella tabella 4.2. La misura quantitativa deiradicali OH, prodotti a seguito dell’irraggiamento dei campioni contenentile GNPs e TPA, è effettuata a temperatura ambiente utilizzando lo spet-trofluorimetro LS 55 Luminescence Spectrometer (PerkinElmer), descrittonel capitolo 3. Grazie alla buona solubilità del TPA nei tamponi acquosi,

Produttore Alfa AesarFormula C8H6O4

Peso molare (g mol−1) 210.10λexcitation (nm) 310λemission (nm) 412

Tabella 4.2: Caratteristiche di fluorescenza del TPA utilizzato

si è proceduto sempre alla preparazione iniziale di una soluzione madre diTPA alla concentrazione di (10.0±0.1) mM , inserendo poi nei vari campionila quantità necessaria di soluzione madre, per ottenerne la concentrazionedesiderata di TPA.Per quanto riguarda le caratteristiche dell’irraggiamento dei campioni e lasuccessiva analisi di tutte le misure che verranno presentate nella trattazionesuccessiva, si faccia riferimento a quanto descritto nel capitolo 3.

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4.2 Misure effettuate con GNPs dal diametromedio di 20 nm

4.2.1 Determinazione della concentrazione ottimale

Il primo studio effettuato con il TPA era volto alla determinazione del-la concentrazione ottimale di probe da utilizzare all’interno dei campionida sottoporre all’irraggiamento. La concentrazione di sodio tereftalato al-l’interno dei campioni deve essere infatti tale da permettere di misuraretutti i radicali OH prodotti nell’irraggiamento. Nel caso in cui sia presenteTPA in quantità non sufficienti a reagire con tutti i radicali ossidrili prodot-ti, si riscontrerebbe un fenomeno di saturazione del segnale di fluorescenzamisurato, al crescere della dose di irraggiamento.

Una prima misura

Come misura preliminare sono stati preparati, all’interno dei vials diplastica da 1.8 ml due set di campioni: il primo contenente unicamente PBSe TPA a differenti concentrazioni, mentre il secondo conteneva anche na-noparticelle d’oro. Le composizioni dei due set di campioni preparati sonomostrate nella tabella 4.3. Entrambi i set di campioni sono stati sottoposti

Primo set Secondo setPBS pH = 7.35 pH = 7.35

Diametro GNPs (20± 2) nmConcentrazione GNPs (10.00± 0.07) µMConcentrazione TPA (1.000± 0.006) mM (1.000± 0.006) mM

(5.00± 0.02) mM (5.00± 0.02) mM(10.00± 0.05) mM (10.00± 0.05) mM(15.00± 0.07) mM (15.00± 0.07) mM(20.00± 0.09) mM (20.00± 0.09) mM

Tabella 4.3: Determinazione della concentrazione ottimale di TPA, unaprima misura: composizione dei campioni

ad irraggiamento, utilizzando un fascio di fotoni da 6 MV , prodotto dalLINAC Varian DPB, a dosi di 1.8 Gy e 2.4 Gy. Gli spettri di fluorescen-za ottenuti dall’analisi allo spettrofluorimetro, dei campioni irraggiati, sonomostrati nelle immagini 4.2 e 4.3. Il primo grafico 4.2 è relativo al caso in cuii campioni sono stati irraggiati con una dose di 1.8 Gy, mentre il secondografico 4.3 si riferisce al caso di irraggiamento con 2.4 Gy. In entrambi igrafici sono riportati in linea continua gli spettri del primo set di campioni,mentre quelli del secondo set, che contenevano anche le GNPs, sono ripor-tati in linea tratteggiata. Come ci si può aspettare, si nota dagli spettri

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360 380 400 420 440 460Lunghezza d'onda (nm)

0

200

400

600

800

1000

Inte

nsi

tà d

i fluore

scenza

del H

TPA

(a.u

.)

Dose = 1.8 Gy

TPA 1 mM

TPA 5 mM

TPA 10 mM

TPA 15 mM

TPA 20 mM

TPA 1 mM e GNP 10 uM

TPA 5 mM e GNP 10 uM

TPA 10 mM e GNP 10 uM

TPA 15 mM e GNP 10 uM

TPA 20 mM e GNP 10 uM

Figura 4.2: Determinazione della concentrazione ottimale di TPA, una primamisura: spettri di fluorescenza a 1.8 Gy di irraggiamento

360 380 400 420 440 460Lunghezza d'onda (nm)

0

200

400

600

800

1000

Inte

nsi

tà d

i fluore

scenza

del H

TPA

(a.u

.)

Dose = 2.4 Gy

TPA 1 mM

TPA 5 mM

TPA 10 mM

TPA 15 mM

TPA 20 mM

TPA 1 mM e GNP 10 uM

TPA 5 mM e GNP 10 uM

TPA 10 mM e GNP 10 uM

TPA 15 mM e GNP 10 uM

TPA 20 mM e GNP 10 uM

Figura 4.3: Determinazione della concentrazione ottimale di TPA, una primamisura: spettri di fluorescenza a 2.4 Gy di irraggiamento

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misurati, che il segnale di fluorescenza, a parità di dose, aumenta al cresce-re della concentrazione di probe presente nel campione. Si delinea inoltreuna generale diminuzione del segnale di fluorescenza nei campioni contenen-ti nanoparticelle di oro, rispetto a quelli sprovvisti. Quanto detto si notameglio, nelle figure 4.4 e 4.5, dove è stato riportata la distribuzione dell’in-tensità massima di fluorescenza del HTPA in funzione della concentrazionedi TPA presente nei campioni, per le due dosi di irraggiamento utilizzate.L’intensità massima di fluorescenza è stata calcolata alla lunghezza d’ondadi emissione corrispondente al massimo del segnale negli spettri.

λmax = 425 nm (4.2)

In tutte la misure successive, quando si farà riferimento all’intensità massimadi fluorescenza del HTPA, si intenderà proprio l’intensità di fluorescenzamisurata con spettrofluorimetro, alla lunghezza d’onda (4.2).

0 5 10 15 20Concentrazione TPA (mM))

0

200

400

600

800

1000

Inte

nsi

tà m

ass

ima d

i fluore

scenza

del H

TPA

(a.u

.)

Dose = 1.8 Gy

TPATPA + GNPs (10.00 ± 0.07) µM

Figura 4.4: Determinazione della concentrazione ottimale di TPA, unaprima misura: intensità massima di fluorescenza HTPA in funzione dellaconcentrazione di TPA, per campioni sottoposti a 1.8 Gy di irraggiamento

Sono stati calcolati sia gli errori sull’intensità massima di fluorescenzache sulla concentrazione di TPA presente all’interno dei campioni 2. Talierrori non sono direttamente visibili nei grafici 4.4 e 4.5, poiché contenuti

2L’errore sull’intensità massima di fluorescenza è stato calcolato come semidispersionemassima del segnale di fluorescenza in un intervallo di ampiezza di 3 nm. Mentre l’erroresulle concentrazioni è calcolato propagando l’errore sulla preparazione dei campioni

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0 5 10 15 20Concentrazione TPA (mM))

0

200

400

600

800

1000

Inte

nsi

tà m

ass

ima d

i fluore

scenza

del H

TPA

(a.u

.)

Dose = 2.4 Gy

TPATPA + GNPs (10.00 ± 0.07) µM

Figura 4.5: Determinazione della concentrazione ottimale di TPA, una primamisura: intensità massima di fluorescenza in funzione della concentrazionedi TPA, per campioni sottoposti a 2.4 Gy di irraggiamento

all’interno dei marker che individua i punti sperimentali. Appare eviden-te l’andamento di diminuzione dell’intensità massima di fluorescenza neicampioni contenenti le nanoparticelle di oro dal diametro medio di 20 nm,rispetto al caso dei campioni in cui le GNPs non sono presenti. Dagli stu-di in letteratura e dagli aspetti fisici della radiosensibilizzazione di GNPsci si attende che le nanoparticelle di oro contribuiscano ad una maggioreproduzione di ROS, o al massimo che non producano sostanziali incrementidi specie reattive. La decrescita del segnale di fluorescenza, ovvero del-la concentrazione di radicali OH presenti nei campioni, all’aumentare dellaconcentrazione di GNPs, risulta quindi del tutto inaspettata e come tale,verrà ampiamente studiata in misure successive.

Concentrazione ottimale di utilizzo del TPA

La determinazione della concentrazione ottimale di utilizzo del sodiotereftalato è stata effettuata eseguendo una seconda misura con campionicontenenti TPA e in assenza di GNPs, dato che la presenza di nanoparticelleabbassa il segnale di fluorescenza. Sono stati allora preparati dei campionicontenenti differenti concentrazioni di TPA, da sottoporre ad irraggiamento,anche in questo caso con fotoni da 6 MV ed un più ampio intervallo di dosirispetto alla misura preliminare presentata in precedenza.

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Le concentrazioni dei campioni e le dosi a cui vengono sottoposti, sono ri-portate nella tabella 4.4. I risultati ottenuti sono invece mostrati nella figura

Fascio fotoni 6 MVDosi (Gy) 0, 0.6, 1.2, 1.8, 2.4

Concentrazione GNP (µM) 0Concentrazione TPA (1.000± 0.006) mM

(5.00± 0.02) mM(10.00± 0.05) mM(15.00± 0.07) mM(20.00± 0.09) mM(25.00± 0.12) mM

Tabella 4.4: Concentrazione ottimale di TPA: composizione dei campioni

4.6, in cui è stato rappresentato l’andamento dell’intensità massima di fluo-rescenza del HTPA in funzione della dose di irraggiamento dei campioni.Anche in questo caso l’errore sull’intensità massima di fluorescenza è conte-nuto all’interno dei marker sperimentali; invece gli errori sulla concentrazio-ne di TPA, contenuto all’interno dei campioni, sono riportati nella tabella4.5. Oltre all’andamento crescente del segnale di fluorescenza all’aumenta-

0.0 0.5 1.0 1.5 2.0Dose (Gy)

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

Inte

nsi

tà m

ass

ima d

i fluore

scenza

HTPA

(a.u

.)

TPA (1.000 ± 0.006) mMTPA (5.00 ± 0.02) mMTPA (10.00 ± 0.05) mMTPA (15.00 ± 0.07) mMTPA (20.00 ± 0.09) mMTPA (25.00 ± 0.12) mM

Figura 4.6: Concentrazione ottimale di TPA: andamento dell’intensitàmassima di fluorescenza in funzione della dose

re della concentrazione di probe, si riscontra anche un’ottima linearità in

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funzione della dose di irraggiamento. La concentrazione ottimale di utilizzodel TPA è stata determinata sfruttando proprio la linearità del segnale difluorescenza in funzione della dose. Tale concentrazione infatti è stata de-terminata interpolando linearmente l’andamento del segnale di fluorescenzain funzione della dose, per le differenti concentrazioni di TPA; i parametridei fit così ottenuti sono riportati nella tabella 4.5.

y = a x+ b

Conc TPA (mM) b (a.u.) a (a.u. nm−1) χ2 d.f

1.000± 0.006 58± 2 186± 1 3.15 35.00± 0.02 220± 2 171± 2 0.71 310.00± 0.05 371± 9 150± 7 5.79 315.00± 0.07 494± 4 134± 3 0.42 320.00± 0.09 594± 2 122± 2 0.09 325.00± 0.12 688± 6 106± 4 0.65 3

Tabella 4.5: Parametri del fit lineare dell’intensità di fluorescenza in funzionedella dose, per la determinazione della concentrazione ottimale di TPA

La concentrazione ottimale di utilizzo del TPA è quella del campione chepresenta il valore maggiore del coefficiente angolare del fit lineare:

Concentrazione ottimale TPA = (1.00± 0.01) mM (4.3)

Il campione che presenta il maggior coefficiente angolare infatti possiedeanche la maggiore sensibilità nella misura nella variazione di fluorescenzaall’aumentare della dose. In tutte le misure svolte con il TPA verrà allorautilizzata la concentrazione (4.3), appena determinata.

4.2.2 Una misura preliminare: GNP e fotoni da 6 MV

E’ stata quindi effettuata una misura preliminare con campioni conte-nenti differenti concentrazioni di GNP, sottoposti ad irraggiamento con unfascio di fotoni da 6 MV . Le composizioni dei campioni utilizzati sonoriassunte nella tabella 4.6.

Si è scelto di utilizzare concentrazioni di GNP non troppo elevate, permantenere le condizioni di uno studio fisiologico. Infatti a basse concentra-zioni le nanoparticelle non danno origine a particolari problemi di citotossi-cità, come evidenziato da differenti studi "in vitro" [FHLY09, MHS+10].L’analisi dei campioni è stata effettuata dopo circa venti minuti dalla fi-ne dell’irraggiamento avvenuto all’ospedale Mauriziano. La misura dellafluorescenza del sodio diidrossi-tereftalato è stata eseguita con lo spettro-fluorimetro, con la configurazione riportata nella tabella 4.7

101

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PBS pH = 7.35Concentrazione TPA (1.00± 0.01) mMConcentrazione GNP 0 µM, (5.00± 0.05) µM , (10.00± 0.07)µM

Diametro GNP (20± 2) nm

Tabella 4.6: Misura preliminare con GNP e fotoni da 6 MV : composizionedei campioni.

Scan speed (nm/min) 50λexcitation (nm) 304EX Slit (nm) 5.0EM Slit (nm) 6.4

Spettro di fluorescenza (nm) 360 − 460

Tabella 4.7: Misura preliminare con GNP e fotoni da 6 MV : impostazionidello spettrofluorimetro

Nella figura 4.7 è mostrato l’andamento dell’intensità massima di fluore-scenza del HTPA in funzione della dose, per le tre differenti concentrazionidi nanoparticelle di oro presenti nel campioni. Si riscontra anche in questo

0.0 0.6 1.2 1.8 2.4 3.0 3.6 4.2 4.8Dose (Gy)

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

Inte

nsi

tà m

ass

ima d

i fluore

scenza

HTPA

(a.u

.)

GNPs 0 µMGNPs (5.00 ± 0.03) µMGNPs (10.00 ± 0.07) µM

Figura 4.7: Misura preliminare con GNP e fotoni da 6 MV : intensitàmassima di fluorescenza in funzione della dose

102

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caso una buona linearità del segnale in funzione della dose. I parametri delfit lineare sono riportati nella tabella 4.8. Inoltre non si delineano fenomenidi saturazione del segnale, dunque la concentrazione di probe all’interno deicampioni è sufficiente a reagire con tutti i radicali OH prodotti a seguitodell’irraggiamento.

y = a x+ b

Conc GNP (µM) b (a.u.) a (a.u. nm−1)0 11.5± 0.5 236.3± 0.6

5.00± 0.03 9.1± 0.3 190.1± 0.2710.00± 0.07 11.7± 0.3 182.9± 0.3

Tabella 4.8: Misura preliminare con GNP e fotoni da 6 MV : parametri delfit lineare

Appare anche in questo caso il fenomeno di diminuzione del segnale difluorescenza del HTPA all’aumentare della concentrazione di GNP presen-ti nei campioni. Tale andamento si può individuare immediatamente nellafigura 4.8, in cui è riportato il calo percentuale dei segnali di fluorescen-za dei due campioni contenenti nanoparticelle d’oro, rispetto a quelli privi.L’apparente diminuzione di produzione di radicali ossidrili al crescere delnumero di nanoparticelle presenti all’interno del campione è un risultato,come già detto, del tutto inaspettato. Si è quindi cercato di studiare se vifossero fenomeni nella preparazione dei campioni e nella loro successiva ana-lisi, che fossero in grado di giustificare l’andamento misurato. Nel caso poiin cui vengano effettivamente riscontrati dei processi in grado di giustifica-re tale trend decrescente del segnale, all’aumentare della concentrazione diGNP, si procederà alla determinazione di fattori di correzione da applicarealle misure.

4.2.3 Determinazione dei fattori di correzione

Assorbimento delle GNP

Il primo fenomeno che è stato preso in considerazione, in grado di giu-stificare la diminuzione del segnale di fluorescenza in presenza GNP, è statoil possibile assorbimento del segnale luminoso causato dalle nanoparticelled’oro stesse. Le GNP sono infatti dei corpi solidi in soluzione colloidale ecome tali, potrebbero assorbire parte della radiazione di fluorescenza emessadal HTPA, causando così una diminuzione del segnale misurato dallo spet-trofluorimetro. Ci si aspetta inoltre che tale fenomeno di assorbimento siaproporzionale al numero di nanoparticelle presenti nei campioni analizzati,in piena consistenza con la diminuzione del segnale di fluorescenza misuratain funzione della concentrazione di GNP.

103

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0.0 0.6 1.2 1.8 2.4 3.0 3.6 4.2 4.8Dose (Gy)

0.35

0.30

0.25

0.20

0.15

0.10

0.05

0.00

Dim

inuzi

one p

erc

entu

ale

del se

gnale

di fluore

scenza GNPs (5.00 ± 0.03) µM

GNPs (10.00 ± 0.07) µM

Figura 4.8: Misura preliminare con GNP e fotoni da 6 MV : diminuzionepercentuale del segnale di fluorescenza dei campioni contenenti GNP rispettoa quelli privi

PBS pH = 7.35Concentrazione GNP 0 µM, (5.00± 0.03) µM , (10.00± 0.07)µM

Diametro GNP (20± 2) nm

Tabella 4.9: Assorbimento delle GNP: composizione dei campioni

Per verificare se tale fenomeno di assorbimento fosse effettivamente pre-sente, sono stati misurati, con lo spettrofotometro Shimadzu UV-1700, glispettri di assorbanza di tre campioni contenti contenenti unicamente PBS eGNP alle concentrazioni utilizzate nelle misure effettuate. Come campionedi riferimento, nella misura di assorbanza, è stato utilizzato utilizzata unacuvetta di quarzo vuota: il bianco corrisponde dunque all’assorbimento del-l’aria. La composizione dei campioni analizzati sono mostrate nella tabella4.9. Dagli spettri di assorbanza trovati, riportati nella figura 4.9, si notain maniera chiara l’effettiva presenza di un fenomeno di assorbimento neicampioni contenenti nanoparticelle di oro. Inoltre, come ci si aspettava, ilcampione da (10.00± 0.07)µM di GNP presenta un assorbimento maggiorerispetto al campione a concentrazione inferiore.Dagli spettri di assorbanza misurati, si può notare inoltre il picco di assor-banza tipico delle GNP dal diametro medio di (20±2) nm, in corrispondenza

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300 325 350 375 400 425 450 475 500 525 550Lunghezza d'onda (nm)

0.00

0.02

0.04

0.06

0.08

0.10

0.12

Ass

orb

anza

GNP 0 µM

GNP (5.00 ± 0.03) µM

GNP (10.00 ± 0.07) µM

Figura 4.9: Spettro di assorbanza di campioni contenenti PBS e differenticoncentrazioni di GNP

della lunghezza d’onda pari a 524 nm.Si è dunque proceduto a calcolare il fattore di correzione da applicare allamisura preliminare 4.2.2, per tenere conto dell’assorbimento del segnale difluorescenza dovuto alla presenza delle nanoparticelle di oro. Tale fattorecorrettivo, che chiameremo Kabs, altro non è che l’assorbanza misurata allalunghezza d’onda massima di emissione di fluorescenza del HTPA, riportatanell’equazione (4.2). I fattori correttivi per le due concentrazioni di GNPtrovati sono:

Kabs 5 µM = (0.024± 0.001) per le GNP a (5.00± 0.03) µM (4.4)

Kabs 10 µM = (0.054± 0.001) per le GNP a (10.00± 0.07)µM (4.5)

Si è quindi proceduto alla correzione dei risultati della misura prelimina-re 4.2.2 effettuata con il fascio i fotoni da 6 MV , applicando i fattori dicorrezione determinati. I risultati ottenuti sono mostrati nel grafico 4.10,nel quale gli andamenti in linea continua sono relativi ai valori di intensi-tà di fluorescenza corretti per l’assorbimento delle GNP, mentre quelli inlinea tratteggiata ai valori misurati non corretti. Si nota immediatamentecome, nonostante la correzione dovuta all’assorbimento delle GNP, sia an-cora presente (sebbene con trend inferiore) una diminuzione dell’intensitàdi fluorescenza all’aumentare della concentrazione di GNP. Possiamo allo-ra concludere che il solo assorbimento della luce di fluorescenza emessa dal

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0.0 0.6 1.2 1.8 2.4 3.0 3.6 4.2 4.8Dose (Gy)

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

Inte

nsi

tà m

ass

ima d

i fluore

scenza

HTPA

(a.u

.)GNPs 0 µMGNPs (5.00 ± 0.03) µMGNPs (10.00 ± 0.07) µMGNPs (5.00 ± 0.03) µM non corretteGNPs (10.00 ± 0.07) µM non corrette

Figura 4.10: Valori corretti per assorbimento delle GNP, dell’intensità difluorescenza del HTPA in funzione della dose per fascio di fotoni da 6 MV

HTPA causato dalla presenza delle nanoparticelle di oro, non è sufficientea correggere la diminuzione del segnale all’aumentare del numero di GNPpresenti nel campione.

Adsorbimento tra HTPA e citrato

Un altro possibile fenomeno in grado di causare una diminuzione del-l’intensità di fluorescenza, all’aumentare della concentrazione di GNP, è unprocesso di adsorbimento tra il citrato, con cui sono ricoperte le nanoparti-celle di oro, e il sodio diidrossi-tereftalato. L’adsorbimento è un fenomenodi adesione che coinvolge atomi, molecole, liquidi, gas ed una superficie. Leforze di legame che si instaurano possono essere sia di natura elettrostaticadebole (forze di van der Waals), oppure dei veri e propri legami chimici,con condivisione quindi di elettroni orbitali [Web03]. L’anione citrato chericopre le nanoparticelle di oro conserva una parziale carica negativa, graziealla quale potrebbe interagire con l’HTPA e dare origine ad un processodi quencing statico, come discusso nel capitolo 3. All’aumentare della con-centrazione di GNP nei campioni, aumenterebbe anche la probabilità cheavvenga tale interazione.Per verificare se effettivamente avviene un fenomeno di adsorbimento tra ci-trato e HTPA, si sono irraggiati campioni contenenti unicamente citrato di

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sodio e TPA, come riassunto nella tabella 4.10. Le concentrazioni di citra-to utilizzate sono nettamente superiori a quelle presenti nei campioni dellamisura preliminare 4.2.2 contenenti le GNP, in cui il citrato è presente uni-camente sulla loro superficie. In questo modo, se effettivamente è presenteun fenomeno di adsorbimento, non si rischia di sottostimarlo.

PBS pH = 7.35Concentrazione TPA (1.00± 0.01) mMConcentrazione citrato 0 µM, (5.00± 0.04) µM , (10.00± 0.09) µM

Tabella 4.10: Composizione campioni per la determinazione del fattore dicorrezione di adsorbimento citrato-HTPA

I campioni così preparati sono stati sottoposti ad irraggiamento con unfascio di fotoni da 6 MV , alle medesime dosi della misura preliminare 4.2.2.Nel grafico 4.11 è mostrato l’andamento dell’intensità di fluorescenza in fun-zione della dose, per le tre differenti concentrazione di citrato presenti neicampioni. Gli errori di misura, anche in questo caso, sono interamente con-tenuti all’interno dei marker utilizzati per individuare i punti sperimentali.

0.0 0.6 1.2 1.8 2.4 3.0 3.6 4.2 4.8Dose (Gy)

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

Inte

nsi

tà m

ass

ima d

i fluore

scenza

HTPA

(a.u

.)

citrato 0 µMcitrato (5.00 ± 0.04) µMcitrato (10.00 ± 0.09) µM

Figura 4.11: Determinazione fattore di correzione adsorbimento HTPA-citrato. Intensità di fluorescenza HTPA vs Dose

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0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10Concentrazione citrato (µM)

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

Inte

nsi

tà m

ass

ima d

i fluore

scenza

HTPA

(a.u

.)

Dose 0 Gy

Dose 0.6 Gy

Dose 1.2 Gy

Dose 1.8 Gy

Dose 2.4 Gy

Dose 3.6 Gy

Dose 4.8 Gy

Figura 4.12: Determinazione fattore di correzione adsorbimento HTPA-citrato. intensità di fluorescenza HTPA vs Concentrazione TPA

I punti sperimentali sono stati interpolati con un fit lineare, ricavando iparametri riassunti nella tabella 4.11.

y = a x+ b

Conc citrato (µM) b (a.u.) a (a.u. nm−1)0 49± 1 227± 2

5.00± 0.04 60± 2 234.7± 0.610.00± 0.09 63± 2 234.3± 0.4

Tabella 4.11: Determinazione fattore di correzione adsorbimento HTPA-citrato: parametri fit lineare

Nella figura 4.12, invece è mostrato l’andamento del segnale di fluore-scenza in funzione della concentrazione di citrato presente nei campioni, alledifferenti dosi di irraggiamento. Si nota chiaramente, in entrambi i grafici,come non si delinei una dipendenza significativa dell’intensità di fluorescen-za in funzione della concentrazione di anione citrato presente all’interno deicampioni. Possiamo dunque concludere che non è stato verificato alcun tipodi fenomeno di adsorbimento tra HTPA e citrato.

108

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Studio della sensibilità dello spettrofluorimetro

Si è proceduto, infine, alla determinazione della sensibilità dello spet-trofluorimetro utilizzato nelle misure, al variare dell’apertura delle slits diemissione (EM slits). Le EM slits, come già discusso nel capitolo 3, deter-minano l’intensità di fluorescenza che incide sul detector dello strumento,influenzandone la sensibilità. Lo spettrofluorimetro utilizzato presenta unfondo scala di 1000 a.u.. Per avere maggiore sensibilità nella misura deidiversi campioni, si cerca di fare in modo, variando l’apertura delle slits diemissione, che il segnale del campione con la maggiore fluorescenza coinci-da con il fondo scala dello strumento. Ad esempio, nel caso della misurapreliminare 4.2.2, il campione che presentava la maggiore intensità di fluore-scenza era quello privo di nanoparticelle di oro ed irraggiato con il massimodi dose (4.8 Gy). L’apertura delle slits di emissione è stata quindi impostatain modo che il picco di fluorescenza di tale campione fosse al limite del fondoscala dello strumento.Per studiare la dipendenza del segnale misurato dall’apertura delle EM slits,sono stati analizzati campioni contenenti TPA e differenti concentrazioni diGNP, senza sottoporli però ad irraggiamento. La composizione dei campionianalizzati è illustrata nella tabella 4.12.

PBS pH = 7.35Concentrazione TPA (1.00± 0.01) mMConcentrazione GNP 0 µM, (5.00± 0.03) µM , (10.00± 0.07)µM

Diametro GNP (20± 2) nm

Tabella 4.12: Studio della sensibilità dello spettrofluorimetro: composizionedei campioni analizzati

Le impostazioni dello spettrofluorimetro, utilizzate per eseguire tale mi-sura sono riportate, invece nella tabella 4.13.

Scan speed (nm/min) 75λexcitation (nm) 304EX Slit (nm) 5.0 costanteEM Slit (nm) (5, 5.5, 6.2, 6.4, 7, 8.5, 10)

Spettro di fluorescenza (nm) 360 − 460

Tabella 4.13: Studio della sensibilità dello spettrofluorimetro: impostazionidello strumento utilizzato

Per avere più statistica, sono stati preparati cinque set di campioni iden-tici per ogni concentrazione di GNP.

109

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5.0 5.5 6.0 6.5 7.0 7.5 8.0 8.5 9.0 9.5 10.0Slit EM (nm)

0

50

100

150

200

Inte

nsi

tà m

ass

ima d

i fluore

scenza

HTPA

(a.u

.)

Concentrazione di GNP: 0 µM

Campione 1

Campione 2

Campione 3

Campione 4

Campione 5

Figura 4.13: Studio della sensibilità dello spettrofluorimetro: intensitàmassima di fluorescenza campioni non contenenti GNP

5.0 5.5 6.0 6.5 7.0 7.5 8.0 8.5 9.0 9.5 10.0Slit EM (nm)

0

50

100

150

200

Inte

nsi

tà m

ass

ima d

i fluore

scenza

HTPA

(a.u

.)

Concentrazione di GNPs: (5.00 ± 0.03) µM

Campione 1

Campione 2

Campione 3

Campione 4

Campione 5

Figura 4.14: Studio della sensibilità dello spettrofluorimetro: intensitàmassima di fluorescenza campioni contenenti 5 µM GNP

110

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5.0 5.5 6.0 6.5 7.0 7.5 8.0 8.5 9.0 9.5 10.0Slit EM (nm)

0

50

100

150

200

Inte

nsi

tà m

ass

ima d

i fluore

scenza

HTPA

(a.u

.)

Concentrazione di GNPs: (10.00 ± 0.07) µM

Campione 1

Campione 2

Campione 3

Campione 4

Campione 5

Figura 4.15: Studio della sensibilità dello spettrofluorimetro: intensitàmassima di fluorescenza campioni contenenti 10 µM GNP

Si è poi proceduto all’analisi allo spettrofluorimetro di un campione allavolta, variando l’apertura delle slits di emissione. I risultati ottenuti sonomostrati nel grafico 4.13, per quanto riguarda i campioni privi nanoparti-celle di oro, e nei grafici 4.14 e 4.15, per i campioni contenenti GNP allaconcentrazione rispettivamente di (5.00 ± 0.03) µM e (10.00 ± 0.07)µM .Per ridurre l’errore, si è effettuata la media dell’intensità massima di fluo-rescenza sui sets di cinque campioni aventi le medesime concentrazioni dinanoparticelle di oro. L’andamento dell’intensità media di fluorescenza ot-tenuto, è mostrato nel grafico 4.16. Gli errori sull’intensità massima mediadi fluorescenza (∆Imax media) riportati nel plot 4.16 corrispondo agli errorisulla media, ovvero:

∆Imax media = σImax media√N − 1

(4.6)

Dove σImax mediaè la deviazione standard delle misure su cui è effettuata

la media, mentre√N è la radice quadrata del numero di misure su cui

la media è stata calcolata, nel nostro caso N = 5 . Il segnale medio difluorescenza, in funzione dell’apertura delle EM slits, mostra un andamentodi tipo parabolico per tutte e tre le concentrazioni di nanoparticelle di oro. Iparametri del fit quadratico trovato interpolando i dati, sono riportati nellatabella 4.14.

111

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5.0 5.5 6.0 6.5 7.0 7.5 8.0 8.5 9.0 9.5 10.0Slit EM (nm)

0

50

100

150

200

Inte

nsi

tà m

ass

ima d

i fluore

scenza

HTPA

(a.u

.)

GNPs 0 µM

GNPs (5.00 ± 0.03) µM

GNPs (10.00 ± 0.07) µM

Figura 4.16: Studio della sensibilità dello spettrofluorimetro: intensitàmedia di fluorescenza in funzione dell’apertura delle slit di emissione

y = a x2 + b x+ c

C GNP (µM) a (a.u. nm−2) b (a.u. nm−1) c (a.u.) χ2 d.f

0 1.1± 0.2 6± 2 −29± 8 0.91 45.00± 0.04 1.0± 0.2 6± 2 −22± 9 0.67 410.00± 0.07 0.9± 0.2 5± 2 −21± 9 0.98 4

Tabella 4.14: Studio della sensibilità dello spettrofluorimetro: parametri fitparabolico

L’andamento medio dell’intensità massima di fluorescenza in funzionedell’apertura delle EM slits, permette di ricavare un fattore correttivo daapplicare alle misure. I campioni analizzati non sono stati sottoposti ad ir-raggiamento quindi, in linea teorica, dovrebbero presentare il medesimo se-gnale di fluorescenza, indipendentemente dalla concentrazione di nanoparti-celle. Si delinea però chiaramente una diminuzione del segnale all’aumentaredella concentrazione di GNP, che dobbiamo essere in grado di correggere. Aparità di apertura delle EM slits dello spettrofluorimetro, possiamo pensareche tale diminuzione del segnale di fluorescenza, sia imputabile a moltepliciprocessi: alcuni di natura nota, come l’assorbimento del segnale da partedelle GNP, altri invece di natura non nota. E’ possibile allora calcolare un

112

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fattore correttivo integrato 3, in funzione dell’apertura delle slits di emissione:

C5 µM (EM slits) = |I0 µM (EM slits)− I5 µM (EM slits)|I5 µM (EM slits) (4.7)

C10 µM (EM slits) = |I0 µM (EM slits)− I10 µM (EM slits)|I10 µM (EM slits) (4.8)

Dove I0 µM (EM slits), I5 µM (EM slits), I10 µM (EM slits) rappresentanorispettivamente l’intensità massima di fluorescenza misurata con aperturadelle slits di emissione pari a slit EM , per le concentrazione di GNP di0, 5, 10 µM . Ad esempio per apertura delle slits di emissione utilizzate nellamisura preliminare 4.2.2 (EM slits = 6.4 nm), i fattori correttivi integratisono pari a:

C5 µM (6.4 nm) = 0.10± 0.04 (4.9)

C10 µM (6.4 nm) = 0.16± 0.05 (4.10)

4.2.4 Misure corrette

I fattori di correzione (4.9) e (4.10), sono stati quindi applicati alla mi-sura preliminare (4.2.2). Nel grafico 4.17 sono mostrati sia i risultati a cuisono stati applicati i fattori correttivi integrati. Si nota immediatamentecome risultati corretti mostrino un andamento dell’intensità di fluorescenzain funzione della dose, maggiormente compatibile tra le differenti concen-trazioni di nanoparticelle di oro. L’errore sull’intensità di fluorescenza peri risultati corretti, è stato infine calcolato mediante la propagazione deglierrori.

4.3 Risultati GNP da 20 nm

Nella trattazione successiva verranno presentati i risultati ottenuti, nellostudio della produzione di radicale ossidrile in presenza di GNP, in differentiscenari di irraggiamento radioterapico. I campioni sottoposti ad irraggia-mento erano composti da GNP e TPA in soluzione di PBS, alle concen-trazioni mostrate nella tabella 4.15. I tipi di radiazioni a cui sono statisottoposti i campioni, corrispondono a quelli ottenibili con un LINAC aduso medico, ovvero fotoni ed elettroni. Nello specifico le energie dei fasciutilizzati sono riassunte nella tabella 4.16.L’analisi della fluorescenza dei campioni è stata eseguita con lo spettro

fluorimetro. Le impostazione dello strumento nella presa dati di tutti gliirraggiamenti sono state pressoché le medesime, si faccia riferimento allatabella 4.17. L’unico parametro delle impostazioni dello spettrofluorimetro

3Il termine integrato si riferisce la fatto che tale correzione è presumibilmente il risultatodi differenti processi, i tra cui l’assorbimento delle GNP

113

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0.0 0.6 1.2 1.8 2.4 3.0 3.6 4.2 4.8Dose (Gy)

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

Inte

nsi

tà m

ass

ima d

i fluore

scenza

(a.u

.)

Fotoni 6 MV

GNPs 0 µMGNPs (5.00 ± 0.03) µMGNPs (10.00 ± 0.07) µM

Figura 4.17: Risultati corretti misura preliminare 4.2.2: intensità massimadi fluorescenza in funzione della dose

PBS pH = 7.35Concetrazione TPA (1.00± 0.01) mMConcentrazione GNP 0 µM, (5.00± 0.03) µM , (10.00± 0.07)µM

Diametro GNP (20± 2) nm

Tabella 4.15: Risultati GNP da 20 nm: composizione dei campioni

Tipo di radiazione utilizzata Energiafotoni 6, 15 MV

elettroni 6, 12, 15 MeV

Tabella 4.16: Risultati GNP da 20 nm: energie dei fasci utilizzati

che è variato, unicamente nel caso di una misura, è stata l’apertura delleslits di emissione. Siccome tale parametro influenza la sensibilità della mi-sura, i valori delle EM slits utilizzati nelle analisi delle varie misure, sonoriportate nella tabella 4.18. Nel confronto tra i risultati delle diverse misure,bisognerà considerare che i segnali di fluorescenza della misura con fotonia 15 MV , saranno leggermente sottostimati rispetto a quelli delle restantimisure.

114

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Scan speed (nm/min) 100λexcitation (nm) 304EX Slit (nm) 5.0

Spettro di fluorescenza (nm) 360 − 460

Tabella 4.17: Risultati GNP da 20 nm: impostazioni del fluorimetroutilizzate nell’analisi delle misure effettuate

Misura Slit EM (nm)fotoni 6 MV 6.4fotoni 15 MV 6.2elettroni 6 MeV 6.4elettroni 12 MeV 6.4elettroni 15 MeV 6.4

Tabella 4.18: Risultati GNP da 20 nm: valori di apertura delle EM slitsdello spettrofluorimetro utilizzati nelle misure

Infine, si è cercato il più possibile di mantenere costante l’intervallo tem-porale di 20 minuti che intercorre tra la fine dell’irraggiamento e l’iniziodell’analisi dei campioni. Durante questo intervallo di tempo i campioni so-no stati tenuti lontano dalla luce, in modo da minimizzare possibili processidi deterioramento che potessero influire sulla successiva analisi.Infine, tutti i risultati delle misure che verranno presentati, sono stati correttiapplicando i fattori di correzione (4.7) e (4.8), precedentemente determinati.

4.3.1 Intensità massima di fluorescenza HTPA in funzionedella dose

I risultati dell’intensità di massima di fluorescenza del HTPA in funzionedella dose, sono mostrati nei grafici: (4.18) per i campioni non contenentinanoparticelle, (4.19) per i campioni a (5.00 ± 0.03) µM di GNP ed (4.20)per quelli a (10.00 ± 0.07) µM . In tutti e tre i grafici, gli istogrammi rap-presentati in scala di grigio sono relativi alle misure effettuate irraggiando icampioni con fascio di elettroni. A parità di concentrazione di nanoparticellepresenti nel campione e alla dose di irraggiamento, dai risultati presentatisi delinea una buona compatibilità dell’intensità massima di fluorescenza alvariare del tipo di radiazione utilizzata e dell’energia del fascio.

115

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Dose 0 Gy

Dose 0.6 Gy

Dose 1.2 Gy

Dose 1.8 Gy

Dose 2.4 Gy

Dose 3.6 Gy

Dose 4.8 Gy0

200

400

600

800

1000

Inte

nsi

tà m

ass

ima d

i fluore

scenza

HTPA

(a.u

.)

Concentrazione di GNPs: 0 µM

fotoni 6 MVfotoni 15 MVelettroni 6 MeVelettroni 12 MeVelettroni 15 MeV

Figura 4.18: Risultati GNP da 20 nm: Intensità massima di fluorescenzaHTPA in funzione della dose, GNP a 0 µM

Dose 0 Gy

Dose 0.6 Gy

Dose 1.2 Gy

Dose 1.8 Gy

Dose 2.4 Gy

Dose 3.6 Gy

Dose 4.8 Gy0

200

400

600

800

1000

Inte

nsi

tà m

ass

ima d

i fluore

scenza

HTPA

(a.u

.)

Concentrazione di GNPs: (5.00 ± 0.03) µM

fotoni 6 MVfotoni 15 MVelettroni 6 MeVelettroni 12 MeVelettroni 15 MeV

Figura 4.19: Risultati GNP da 20 nm:: Intensità massima di fluorescenzaHTPA in funzione della dose, GNP a 5 µM

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Dose 0 Gy

Dose 0.6 Gy

Dose 1.2 Gy

Dose 1.8 Gy

Dose 2.4 Gy

Dose 3.6 Gy

Dose 4.8 Gy0

200

400

600

800

1000

Inte

nsi

tà m

ass

ima d

i fluore

scenza

HTPA

(a.u

.)

Concentrazione di GNPs: (10.00 ± 0.07) µM

fotoni 6 MVfotoni 15 MVelettroni 6 MeVelettroni 12 MeVelettroni 15 MeV

Figura 4.20: Risultati GNPs da 20 nm: Intensità massima di fluorescenzaHTPA in funzione della dose, GNP a 10 µM

4.3.2 Rapporti del segnale di fluorescenza HTPA in funzionedella dose

Per studiare l’effetto della concentrazione delle GNP sulla produzionedi radicale ossidrile è utile calcolare i rapporti, tra l’intensità massima difluorescenza del HTPA dei campioni contenenti nanoparticelle di oro e chene sono privi. In questo maniera si può avere una comprensione immediatadella produzione relativa di radicale OH in presenza di GNP, in funzionedella concentrazione di nanoparticelle e della dose di irraggiamento. Talirapporti sono definiti dalle equazioni (4.11) e (4.12).

R5(dose) = Imax 5 µM (dose)Imax 0 µM (dose) (4.11)

R10(dose) = Imax 10 µM (dose)Imax 0 µM (dose) (4.12)

dove Imax i µM (dose) è l’intensità massima di fluorescenza ad una determina-ta dose, del campione contenente GNP alla concentrazione i µM . I graficidei rapporti (4.11) e (4.12), in funzione della dose per i differenti tipi diradiazioni utilizzate, sono mostrati nelle figure 4.21, 4.22, 4.23, 4.24, 4.25.

Dai risultati ottenuti, si nota come i rapporti (4.11) e (4.12) siano sempresostanzialmente prossimi all’unità: non vi è allora un effettivo aumento diproduzione di radicale OH al crescere della concentrazione di GNP presenti

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0.0 0.6 1.2 1.8 2.4 3.0 3.6 4.2 4.8Dose (Gy)

0.0

0.2

0.4

0.6

0.8

1.0

1.2

1.4

Fotoni 6 MV

Int max GNPs 5 µM / Int max GNPs 0 µMInt max GNPs 10 µM / Int max GNPs 0 µM

Figura 4.21: Risultati GNP da 20 nm: rapporti di intensità di fluorescenzain funzione della dose, fotoni 6 MV

0.0 0.5 1.0 1.5 2.0 2.5 3.0 3.5 4.0 4.5 5.0Dose (Gy)

0.0

0.2

0.4

0.6

0.8

1.0

1.2

1.4

Fotoni 15 MV

Int max GNPs 5 µM / Int max GNPs 0 µMInt max GNPs 10 µM / Int max GNPs 0 µM

Figura 4.22: Risultati GNP da 20 nm:rapporti di intensità di fluorescenzain funzione della dose, fotoni 15 MV

118

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0.0 0.5 1.0 1.5 2.0 2.5 3.0 3.5 4.0 4.5 5.0Dose (Gy)

0.0

0.2

0.4

0.6

0.8

1.0

1.2

1.4

Elettroni 6 MeV

Int max GNPs 5 µM / Int max GNPs 0 µMInt max GNPs 10 µM / Int max GNPs 0 µM

Figura 4.23: Risultati GNP da 20 nm: rapporti di intensità di fluorescenzain funzione della dose, elettroni 6 MeV

0.0 0.5 1.0 1.5 2.0 2.5 3.0 3.5 4.0 4.5 5.0Dose (Gy)

0.0

0.2

0.4

0.6

0.8

1.0

1.2

1.4

Elettroni 12 MeV

Int max GNPs 5 µM / Int max GNPs 0 µMInt max GNPs 10 µM / Int max GNPs 0 µM

Figura 4.24: Risultati GNP da 20 nm: rapporti di intensità di fluorescenzain funzione della dose, elettroni 12 MeV

119

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0.0 0.5 1.0 1.5 2.0 2.5 3.0 3.5 4.0 4.5 5.0Dose (Gy)

0.0

0.2

0.4

0.6

0.8

1.0

1.2

1.4

Elettroni 15 MeV

Int max GNPs 5 µM / Int max GNPs 0 µMInt max GNPs 10 µM / Int max GNPs 0 µM

Figura 4.25: Risultati GNP da 20 nm: rapporti di intensità di fluorescenzain funzione della dose, elettroni 15 MeV

nei campioni. Inoltre emerge anche una sostanziale costanza dei rapporti in

Misura zfotoni 6 MV R5 0.07

R10 1.67fotoni 15 MV R5 0.8

R10 0.8elettroni 6 MeV R5 0.9

R10 0.3elettroni 12 MeV R5 0.1

R10 0.2elettroni 15 MeV R5 0.3

R10 0.4

Tabella 4.19: Risultati GNP da 20 nm: test normale per verifica dellacostanza degli andamenti dei rapporti di intensità massima di fluorescenzanella diverse misure

funzione dalla dose di irraggiamento. Nei grafici mostrati, i punti sperimen-tali sono stati interpolati con un andamento lineare, in modo da verificarnela costanza dei rapporti (4.11) e (4.12) in funzione della dose di irraggiamen-

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to, mediante un test normale. La significatività del test è stata fissata al 5% (z(α = 5%) = 1.96), ed i risultati sono mostrati nella tabella 4.19. Infi-ne è stata verificata la confrontabilità tra l’andamento dei rapporti (4.11) e(4.12), eseguendo un test normale tra i parametri del fit lineare che interpolai dati. I risultati del test, sempre con significatività al 5 % sono mostratinella tabella 4.20.

Misura y = a x+ b

fotoni 6 MV za 0.05zb 1.2

fotoni 15 MV za 0.7zb 0.1

elettroni 6 MeV za 0.6zb 0.7

elettroni 12 MeV za 0.3zb 0.2

elettroni 15 MeV za 0.3zb 0.5

Tabella 4.20: Risultati GNP da 20 nm: test normale per la verificadell’indipendenza dei rapporti R5 e R10 dalla concentrazione di GNP

Possiamo allora affermare che i rapporti R5 e R10 risultano tra loroconfrontabili e, per ogni misura effettuata, indipendenti dalla concentrazionedi nanoparticelle d’oro presente all’interno dei campioni.

4.3.3 Intensità massima di fluorescenza in funzione dell’e-nergia media del fascio

E’ stato infine studiato l’andamento dell’intensità di fluorescenza in fun-zione dell’energia media del fascio utilizzato nell’irraggiamento dei campioni.Per fare ciò i dati sono stati analizzati nel loro insieme, non ponendo distin-zioni sul tipo di radiazione utilizzata, ma unicamente sulla sua energia.Si parla di energia media, a causa del fatto che il fascio di fotoni prodot-to dal LINAC non è monocromatico, a differenza invece di quello elet-tronico. L’energia media del fascio di fotoni è in buona approssimazioneespressa dalla formula (3.3). Le energie medie dei fasci di fotoni utilizzatinell’irraggiamento del campioni sono:

Efotoni = 6 MV → Emedia fascio = 13 Efotoni = 2 MeV (4.13)

Efotoni = 15 MV → Emedia fascio = 13 Efotoni = 5 MeV (4.14)

121

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mentre, nel caso dell’irraggiamento con elettroni, l’energia media coincidecon l’energia del fasci stessa, essendo quest’ultimo monocromatico.I risultati ottenuti, in funzione delle differenti concentrazioni di nanoparti-celle presenti nei campioni (0, 5, 10 µM), sono mostrati rispettivamente neigrafici 4.26, 4.27, 4.28. In tali grafici, i punti corrispondenti ad energia

2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 Energia media del fascio (MeV)

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

Inte

nsi

tà m

ass

ima d

i fluore

scenza

HTPA

(a.u

.)

Concentrazione di GNPs: 0 µM

dose 0 Gy

dose 0.6 Gy

dose 1.2 Gy

dose 1.8 Gy

dose 2.4 Gy

dose 3.6 Gy

dose 4.8 Gy

Figura 4.26: Risultati GNP da 20 nm: intensità massima di fluorescenza infunzione dell’energia media del fascio, GNP a 0 µM

media del fascio pari a 2, 5 MeV sono quindi relativi all’irraggiamento deicampioni con fascio di fotoni; invece le restanti energie si riferiscono all’ir-raggiamento con i fasci monocromatici di elettroni.I dati corrispondenti alle medesime dosi sono stati interpolati con anda-

menti lineari. La costanza degli andamenti trovati, è stata quindi verificataeffettuando un test normale, sempre con significatività al 5 %. I valori ot-tenuti da tale test sono mostrati nella tabella 4.21. Dai risultati ottenutisi osserva che in realtà non tutti gli andamenti, a parità di dose, possonoessere considerati costanti in funzione dell’energia media del fascio (come adesempio nel caso a 0 Gy per le GNP a 0, 10 µM). Ciò nonostante, nel com-plesso si può affermare che l’intensità di fluorescenza misurata (dunque laquantità di radicale ossidrile prodotto), può essere considerata grossomodoindipendente dall’energia media del fascio e dal tipo di radiazione utilizzata.

122

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2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 Energia media del fascio (MeV)

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

Inte

nsi

tà m

ass

ima d

i fluore

scenza

HTPA

(a.u

.)

Concentrazione di GNPs: (5.00 ± 0.03) µM

dose 0 Gy

dose 0.6 Gy

dose 1.2 Gy

dose 1.8 Gy

dose 2.4 Gy

dose 3.6 Gy

dose 4.8 Gy

Figura 4.27: Risultati GNP da 20 nm: intensità massima di fluorescenza infunzione dell’energia media del fascio, GNP a 5 µM

2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 Energia media del fascio (MeV)

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

Inte

nsi

tà m

ass

ima d

i fluore

scenza

HTPA

(a.u

.)

Concentrazione di GNPs: (10.00 ± 0.07) µM

dose 0 Gy

dose 0.6 Gy

dose 1.2 Gy

dose 1.8 Gy

dose 2.4 Gy

dose 3.6 Gy

dose 4.8 Gy

Figura 4.28: Risultati GNP da 20 nm: intensità massima di fluorescenza infunzione dell’energia media del fascio, GNP a 10 µM

123

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Dose (Gy) z GNP 0 µM z GNP 5 µM z GNP 10 µM0 2.49 3.02 2.890.6 0.92 1.94 1.411.2 0.31 1.34 1.651.8 0.32 1.16 1.492.4 0.57 0.45 1.323.6 0.29 0.83 1.984.8 1.18 2.39 1.91

Tabella 4.21: Risultati GNP da 20 nm: test normale per la verifica dellacostanza dell’andamento dell’intensità massima di fluorescenza in funzionedell’energia media del fascio

Risultati ottenuti Possiamo allora riassumere i risultati ottenuti utiliz-zando GNP dal diametro medio di (20± 2) nm:

• Sostanziale indipendenza dell’intensità massima di fluorescenza, infunzione della concentrazione di GNP: verificata con la compatibilitàdei rapporti (4.11) e (4.12), nelle singole misure.

• Sostanziale costanza dell’intensità massima di fluorescenza, in funzionedella dose di irraggiamento: verificata con la costanza dei rapporti(4.11) e (4.12), in funzione della dose.

• Buona indipendenza dell’intensità massima di fluorescenza, in funzionesia dell’energia media del fascio utilizzato nell’irraggiamento, che daltipo di radiazione utilizzata.

Poiché il segnale di fluorescenza dell’HTPA, risulta proporzionale alla con-centrazione di radicali ossidrili presenti nei campioni, nelle misure effettuateè stato allora riscontrata una sostanziale indipendenza nella produzione diradicale OH in funzione: della concentrazione di GNP, della radiazione uti-lizzata, della sua energia. Tale tipo di risultato suggerisce che, nel caso dallenanoparticelle di oro dal diametro di (20 ± 2) nm, non si riscontra un au-mento di produzione di ROS. L’effetto radiosensibilizzante delle GNP stessepotrebbe allora essere imputabile alla differente distribuzione di densità diionizzazione: molto più elevata per eventi indotti da nanoparticelle di oro.

4.4 Alcune misure con nanoparticelle di oro di di-mensioni inferiori

Per osservare la dipendenza della produzione del radicale OH dalla di-mensione delle GNP, sono state effettuate delle misure preliminari con na-

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noparticelle dal diametro medio di (5±2) nm. Tali GNP sono state caratte-rizzate, dopo il processo di sintesi, utilizzando lo spettrometro UV visibile,ottenendo un picco di assorbanza alla lunghezza d’onda di 509 nm. Talevalore è consistente con le dimensioni più ridotte delle nanoparticelle, nelcaso infatti di GNP dal diametro di (20 ± 2) nm la lunghezza d’onda diassorbimento era circa 522 nm.

4.4.1 Irraggiamento con fotoni da 6 MV

La prima misura svolta con nanoparticelle di oro da (5± 2) nm è stataeffettuata irraggiando i campioni con un fascio di fotoni da 6 MV . I campio-ni sottoposti ad irraggiamento contenevano le medesime concentrazioni dioro e di TPA delle misure svolte con le GNP di dimensione superiore. Nellospecifico, la composizione dei campioni utilizzati è riportata nella tabella4.22. L’analisi della fluorescenza dei campioni, è stata svolta dopo venti

PBS pH = 7.35Concentrazione TPA (1.00± 0.01) mMDimensione GNP (5± 2) nm

Concentrazione GNP 0 µM, (5.00± 0.03) µM , (10.00± 0.07)µM

Tabella 4.22: Irraggiamento con fotoni da 6 MV : composizione deicampioni, GNP da 5 nm

minuti dalla fine dell’irraggiamento, utilizzando lo spettrofluorimetro con ilsettaggio mostrato nella tabella 4.23. I valori del segnale di fluorescenza

Scan speed (nm/min) 100λexcitation (nm) 304EX Slit (nm) 5.0EM SLit (nm) 6.2

Spettro di fluorescenza (nm) 360 − 460

Tabella 4.23: Irraggiamento con fotoni da 6 MV : impostazioni dellospettrofluorimetro, GNP da 5 nm

ottenuti, in funzione della dose di irraggiamento sono mostrati nel grafico4.29. Si riscontra un’ottima linearità del segnale di fluorescenza del HTPAin funzione della dose di irraggiamento, per tutte le concentrazioni di nano-particelle utilizzate.

Come nel caso delle nanoparticelle di dimensioni maggiori, anche con leGNP da (5± 2) nm si riscontra una diminuzione del segnale di fluorescenza

125

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0.0 0.6 1.2 1.8 2.4 3.0 3.6 4.2 4.8Dose (Gy)

0

200

400

600

800

1000

Inte

nsi

tà m

ass

ima d

i fluore

scenza

HTPA

(a.u

.)

GNPs 0 µM

GNPs (5.00 ± 0.03) µM

GNPs (10.00 ± 0.07) µM

Figura 4.29: Irraggiamento con fotoni da 6 MV : intensità massima difluorescenza in funzione della dose, GNP da 5 nm

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10Concentrazione GNP (uM)

0

200

400

600

800

1000

Inte

nsi

tà m

ass

ima d

i fluore

scenza

HTPA

(a.u

.)

Dose 0 Gy

Dose 0.6 Gy

Dose 1.2 Gy

Dose 1.8 Gy

Dose 2.4 Gy

Dose 3.6 Gy

Dose 4.8 Gy

Figura 4.30: Irraggiamento con fotoni da 6 MV : intensità massima di fluo-rescenza HTPA in funzione della concentrazione di nanoparticelle, GNP da5 nm

al crescere delle concentrazione di nanoparticelle presenti nei campioni. Taleandamento è mostrato chiaramente nel grafico 4.30 e diventa più marcato

126

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all’aumentare della dose di irraggiamento dei campioni. Analogamente aquanto fatto nel caso delle GNP dal diametro di (20±2) nm, si è procedutoquindi alla determinazione del fattore correttivo integrato da applicare airisultati della misura.

Fattore di correzione apertura delle EM slits per GNP daldiametro medio di 5 nm

E’ stato effettuato anche in questo caso lo studio della sensibilità dellospettrofluorimetro al variare dell’apertura delle slit di emissione. In ma-

PBS pH = 7.35Concentrazione TPA (1.00± 0.01) mMConcentrazione GNP 0 µM, (5.00± 0.03) µM , (10.00± 0.07)µM

Diametro GNPs (5± 2) nm

Tabella 4.24: Fattore di correzione apertura delle EM slits per GNP daldiametro medio di 5 nm: composizione dei campioni

5.0 5.5 6.0 6.5 7.0 7.5 8.0 8.5 9.0 9.5 10.0Slit EM (nm)

0

50

100

150

200

Inte

nsi

tà m

ass

ima d

i fluore

scenza

HTPA

(a.u

.)

GNP dal diametro medio di 5 nm

GNP 0 uM

GNP 5 uM

GNP 10 uM

Figura 4.31: Fattore di correzione apertura delle EM slits per GNP daldiametro medio di 5 nm: intensità massima di fluorescenza in funzionedell’apertura delle slits di emissione

niera del tutto analoga a quanto già descritto nel caso delle nanoparticelle

127

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di dimensioni maggiori, sono stati preparati cinque set di campioni per ogniconcentrazione di GNP, come riassunto nella tabella 4.24. I campioni nonsono stati sottoposti ad alcun irraggiamento. Anche in questo caso per mini-mizzare l’errore sul fattore correttivo, è stata eseguita la media dell’intensitàmassima di fluorescenza a parità di apertura delle EM slits, su ogni set dicampioni. L’andamento dell’intensità massima di fluorescenza del HTPA, infunzione dell’apertura delle slits di emissione dello spettrofluorimetro, sonomostrati nel grafico 4.31. Gli errori sulla media del segnale di fluorescenza

y = a x2 + b x+ c

C GNP (µM) a (a.u. nm−2) b (a.u. nm−1) c (a.u.) χ2 d.f

0 1.21± 0.01 −6± 1 −15± 4 0.89 45.00± 0.04 1.7± 0.1 −4.1± 1.7 6± 2 9.72 410.00± 0.07 1.31± 0.03 −5.2± 0.4 −12± 1 0.21 4

Tabella 4.25: Fattore di correzione apertura delle EM slits per GNP daldiametro medio di 5 nm: parametri fit parabolico

(calcolati secondo la formula (4.6)), sono decisamente più contenuti rispettoal caso delle GNP da 20 nm. Ciò è dovuto alla minore dispersione dellemisure ripetute sui cinque campioni per singola concentrazione. Il fattore dicorrezione integrato, da applicare alle misure con GNP dal diametro mediodi (5 ± 2) nm, è definito dalle formule (4.7) e (4.8), in maniera analoga alcaso delle nanoparticelle di dimensioni maggiori.Infine si nota dal grafico 4.31 come, anche nel caso delle GNP da 5 nm,l’andamento dell’intensità massima di fluorescenza in funzione dell’apertu-ra delle EM slits alle differenti concentrazioni di nanoparticelle, mostri unacorrelazione quadratica.

Misure corrette

I fattori di correzioni integrati (4.7) e (4.8), sono stati applicati ai risul-tati della misura preliminare 4.4.1 con fotoni da 6 MV . Nel grafico 4.32,è mostrato l’andamento dell’intensità massima di fluorescenza del HTPA infunzione della dose, sia nel caso dei dati a cui è stato applicato il fattore dicorrezione (mostrati in linea continua), che nel caso dei dati non corretti (inlinea tratteggiata). Si nota immediatamente dai risultati corretti, come isegnali di fluorescenza dei campioni contenenti GNP si discostino in manieranetta, all’aumentare della dose, dal campione privo di nanoparticelle. Inoltreil segnale del campione contenente GNP a (10.00±0.07) µM risulta maggio-re, a parità di dose di irraggiamento, rispetto a quello a (5.00± 0.03) µM .L’influenza della concentrazione delle GNP, è stata studiata valutando infunzione della dose i rapporti di intensità massima di fluorescenza, definiti

128

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0.0 0.6 1.2 1.8 2.4 3.0 3.6 4.2 4.8Dose (Gy)

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

Inte

nsi

tà m

ass

ima d

i fluore

scenza

(a.u

.)

GNPs 0 µMGNPs (5.00 ± 0.03) µM correttiGNPs (10.00 ± 0.07) µM correttiGNPs (5.00 ± 0.03) µM non correttiGNPs (10.00 ± 0.07) µM non corretti

Figura 4.32: Irraggiamento con fotoni da 6 MV , misure corrette: intensitàmassima di fluorescenza in funzione delle dose, GNP da 5 nm

0.0 0.6 1.2 1.8 2.4 3.0 3.6 4.2 4.8Dose (Gy)

0.0

0.2

0.4

0.6

0.8

1.0

1.2

1.4

1.6

1.8Fotoni 6 MV, GNP d=5 nm

Int max GNPs 5 µM / Int max GNPs 0 µMInt max GNPs 10 µM / Int max GNPs 0 µM

Figura 4.33: Irraggiamento con fotoni da 6 MV , misure corrette: rapportidi intensità di fluorescenza in funzione della dose, GNP da 5 nm

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dalle equazioni (4.11) e (4.12), in maniera del tutto analoga a quanto giàfatto nel caso delle nanoparticelle di dimensioni maggiori. Gli andamentiottenuti di tali rapporti, sono mostrati nel grafico 4.33.Appare dal grafico 4.33, come entrambi i rapporti R5 e R10 siano maggioridell’unità, per tutte le dosi di irraggiamento dei campioni. Si riscontra an-che una divergenza degli andamenti dei rapporti di intensità di fluorescenzaal crescere della dose: tutto ciò sembrerebbe indicare quindi un effettivoaumento di produzione di radicale OH in presenza di GNP.Per verificare la costanza o meno, dei rapporti (4.11) e (4.12) in funzione

zR5 0.27R10 2.66

Tabella 4.26: Irraggiamento con fotoni da 6 MV , misure corrette: test nor-male per la costanza degli andamenti dei rapporti (4.11) e (4.12) in funzionedella dose, GNP da 5 nm

della dose di irraggiamento, è stato eseguito un test normale con significati-vità al 5 % (zα= 0.05 = 1.96). I risultati del test sono riportati nella tabella4.26. Alla data significatività del test, possiamo affermare che il rapportoR10 presenta effettivamente un andamento crescente in funzione della dosedi irraggiamento.

4.4.2 Irraggiamento con fotoni da 15 MV

E’ stata eseguita anche una seconda misura con GNP dal diametro mediodi (5±2) nm, irraggiate però in questo caso con un fascio di fotoni da 15 MV .La composizione dei campioni sottoposti ad irraggiamento è riportata nellatabella 4.27.

PBS pH = 7.4Concentrazione TPA (1.00± 0.01) mMDimensione GNP (5± 2) nm

Concentrazione GNP 0 µM, (5.00± 0.03) µM , (10.00± 0.07)µM

Tabella 4.27: Irraggiamento con fotoni da 15 MV : composizione deicampioni, GNP da 5 nm

E’ stato utilizzato in questo caso del PBS a pH = 7.4, a differenza ditutte le misure precedentemente svolte in cui il pH era 7.35. Si può supporreche tale differenza, estremamente ridotta, non influenzi il confronto tra lemisure effettuate, vista la buona indipendenza della fluorescenza del HTPA

130

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dal pH della soluzione tampone (come discusso in 4.1).I campioni irraggiati sono quindi stati analizzati allo spettrofluorimetro conle impostazioni riassunte nella tabella 4.28, esattamente identiche a quelleutilizzate per la medesima misura con GNP da (20± 2) nm.

Scan speed (nm/min) 100λexcitation (nm) 304EX Slits (nm) 5.0EM Slits (nm) 6.2

Spettro di fluorescenza (nm) 360 − 460

Tabella 4.28: Irraggiamento con fotoni da 15 MV : impostazioni dellospettrofluorimetro, GNP da 5 nm

Gli andamenti dell’intensità massima di fluorescenza in funzione delladose di irraggiamento sono mostrati nel grafico 4.34. In tale grafico, i ri-sultati corretti con i fattori integrati (4.7) e (4.8) sono mostrati in lineacontinua, mentre quelli non corretti in linea tratteggiata. Si riscontra an-

0.0 0.6 1.2 1.8 2.4 3.0 3.6 4.2 4.8Dose (Gy)

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

Inte

nsi

tà m

ass

ima d

i fluore

scenza

(a.u

.)

GNPs 0 µMGNPs (5.00 ± 0.03) µM correttiGNPs (10.00 ± 0.07) µM correttiGNPs (5.00 ± 0.03) µM non correttiGNPs (10.00 ± 0.07) µM non corretti

Figura 4.34: Irraggiamento con fotoni da 15 MV : intensità massima difluorescenza in funzione delle dose, GNP da 5 nm

che in questo caso, nei risultati corretti, un sostanziale aumento del segnaledi fluorescenza nel caso dei campioni contenenti nanoparticelle d’oro, rispet-to al campione privo. Inoltre il campione a concentrazione maggiore di GNP

131

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0.0 0.6 1.2 1.8 2.4 3.0 3.6 4.2 4.8Dose (Gy)

0.0

0.2

0.4

0.6

0.8

1.0

1.2

1.4

1.6

1.8

Int max GNPs 5 µM / Int max GNPs 0 µMInt max GNPs 10 µM / Int max GNPs 0 µM

Figura 4.35: Irraggiamento con fotoni da 15 MV : rapporti di intensità difluorescenza in funzione della dose, GNP da 5 nm

si discosta in maniera abbastanza netta rispetto al quello con (5±0.03) µMdi nanoparticelle.Anche in questo caso per studiare l’influenza della concentrazione di GNPpresenti nei campioni, si è ricorso ai rapporti di intensità massima di fluore-scenza (4.11) e (4.12). Nella figura 4.35, è mostrato proprio l’andamento ditali rapporti in funzione della dose di irraggiamento dei campioni. Si notadal grafico 4.35, un andamento di crescita iniziale dei rapporti R5 e R10 nelleprime dosi di irraggiamento, dopodiché i rapporti di intensità di fluorescenzasi stabilizzano ad un valore costante, al crescere della dose. Per evidenziaretale andamento, sono stati eseguiti due differenti fit per ogni rapporto. Unfit sulle prime tre dosi, per evidenziare la crescita iniziale dei rapporti R5 eR10, ed un secondo fit, sulle restanti dosi di irraggiamento per sottolinearel’andamento a plateau. La costanza del segnale di fluorescenza nel plateau èstata verificata eseguendo un test normale. I risultati del test sono mostratinella tabella 4.29: si può affermare che l’andamento dei rapporti R5 e R10,sul plateau, risultano effettivamente costanti.

I rapporti del segnale di fluorescenza risultano, nel caso della zona di pla-teau, comunque superiori all’unità, indicando quindi un aumento del segnaledi fluorescenza nel caso dei campioni alle due concentrazioni di GNP, rispet-to a quello privo di nanoparticelle. Inoltre anche in questo caso, in accordocon quanto già discusso nella misura 4.4.1, il campione contenente la mag-giore concentrazione di nanoparticelle d’oro presenta segnali di fluorescenza,

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zR5 0.51R10 0.64

Tabella 4.29: Irraggiamento con fotoni da 15 MV , misure corrette: testnormale per la costanza degli andamenti di plateau dei rapporti (4.11) e(4.12) in funzione della dose, GNP da 5 nm

dunque produzione di radicale ossidrile, maggiori rispetto al campione con(5.00± 0.03) µM .

4.5 Confronto tra GNP di dimensioni differentiCome studio preliminare è stato infine eseguito un confronto fra i risultati

ottenuti per GNP delle due differenti dimensioni, diametro medio (d) di(5± 2) nm e (20± 2) nm, nel caso di irraggiamento con fasci di fotoni. Leconcentrazioni di nanoparticelle nei campioni analizzati erano le medesime,ovvero 0 µM, (5.00± 0.03) µM, (10.00± 0.07) µM .

4.5.1 Fotoni da 6 MV

Per quanto riguarda le misure effettuate con fascio di fotoni da 6 MV ,i campioni sono stati analizzati allo spettrofluorimetro con apertura delleslits di emissione, riportate nella tabella 4.30.

Diametro medio GNP (nm) EM slit (nm)5± 2 6.420± 2 6.2

Tabella 4.30: Confronto GNP di dimensioni differenti, fotoni da 6 MV :apertura delle EM slits dello spettrofluorimetro

L’apertura delle EM slits utilizzate nelle due misure erano dunque leg-germente differenti; ciò nonostante, vista l’esigua differenza, si è procedutoal confronto dei risultati ottenuti, tenendo conto però che nel caso delle GNPda (5± 2) nm, il segnale di fluorescenza risulterà leggermente sottostimato.Nel grafico 4.36 sono mostrati gli andamenti dell’intensità massima di fluo-rescenza in funzione della dose, nel caso in cui i campioni non contenganoGNP.

133

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0.0 0.5 1.0 1.5 2.0 2.5 3.0 3.5 4.0 4.5 5.0Dose (Gy)

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

Inte

nsi

tà m

ass

ima d

i fluore

scenza

(a.u

.)

Concentrazione GNP: 0 µM

GNPs d=(5 ± 2) nmGNPs d=(20 ± 2) nm

Figura 4.36: Confronto GNP di dimensioni differenti, fotoni da 6 MV : inten-sità massima di fluorescenza in funzione della dose, GNP alla concentrazionedi 0 µM

Nei grafici 4.37 e 4.38, sono invece mostrati gli andamenti del segnaledi fluorescenza in funzione della dose, nel caso dei campioni contenenti ri-spettivamente concentrazioni di (5.00 ± 0.03) µM e (10.00 ± 0.07) µM diGNP delle due dimensioni studiate. Dai risultati ottenuti per i campionicontenenti nanoparticelle, si evidenzia un sostanziale aumento dell’intesntiàmassima di fluorescenza nel caso delle GNP del diametro di 5 nm, rispetto aquelle da 20 nm. Inoltre, nel caso dei campioni contenenti la concentrazionemaggiore di GNP, la divergenza tra gli andamenti del segnale di fluorescenzaper le due differenti dimensioni, aumenta in maniera consistente. Tale di-vergenza è perfino sottostimata, a causa della differenza nell’apertura delleEM slits nell’analisi delle due misure, leggermente inferiore nel caso dellenanoparticelle di dimensione minore.Infine nel grafico 4.39, è riportato l’andamento dei rapporti R5 e R10 (definitirispettivamente dalle equazioni (4.11) e (4.12)) in funzione della dose, per icampioni contenenti GNP delle due differenti dimensioni. Nel pltot 4.39, inlinea continua sono riportati i rapporti per le nanoparticelle da (5± 2) nm,mentre in linea tratteggiata quelli dal diametro medio di (20 ± 2) nm. Sinota subito come, nel caso delle GNP di dimensioni inferiori, i rapporti sianosuperiori all’unità nel caso di tutte le dosi di irraggiamento. Nel caso inve-ce delle nanoparticelle da 20 nm, i rapporti si attestano intorno all’unità erisultano tra loro decisamente confrontabili. Si evidenzia dunque, nel casodi irraggiamento dei campioni con fascio di fotoni da 6 MV , una maggiore

134

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0.0 0.5 1.0 1.5 2.0 2.5 3.0 3.5 4.0 4.5 5.0Dose (Gy)

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

Inte

nsi

tà m

ass

ima d

i fluore

scenza

(a.u

.)Concentrazione GNP: (5.00 ± 0.03) µM

GNPs d=(5 ± 2) nmGNPs d=(20 ± 2) nm

Figura 4.37: Confronto GNP di dimensioni differenti, fotoni da 6 MV : inten-sità massima di fluorescenza in funzione della dose, GNP alla concentrazionedi 5 µM

0.0 0.5 1.0 1.5 2.0 2.5 3.0 3.5 4.0 4.5 5.0Dose (Gy)

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

Inte

nsi

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(a.u

.)

Concentrazione GNP: (10.00 ± 0.07) µM

GNPs d=(5 ± 2) nmGNPs d=(20 ± 2) nm

Figura 4.38: Confronto GNP di dimensioni differenti, fotoni da 6 MV : inten-sità massima di fluorescenza in funzione della dose, GNP alla concentrazionedi 10 µM

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0.0 0.5 1.0 1.5 2.0 2.5 3.0 3.5 4.0 4.5 5.0Dose (Gy)

0.0

0.2

0.4

0.6

0.8

1.0

1.2

1.4

1.6Fotoni 6 MV

R5 d=(5 ± 2) nmR10 d=(5 ± 2) nmR5 d=(20 ± 2) nmR10 d=(20 ± 2) nm

Figura 4.39: Confronto GNP di dimensioni differenti, fotoni da 6 MV :rapporti di intensità di fluorescenza in funzione della dose

produzione di radicale OH nel caso dei campioni contenenti nanoparticelledal diametro medio di (5± 2) nm rispetto a quella da (20± 2) nm.

4.5.2 Fotoni da 15 MV

In maniera del tutto analoga a quanto appena presentato nel caso diirraggiamento con fascio di fotoni da 6 MV , sono stati confrontati anche irisultati ottenuti con le GNP delle due dimensioni, irraggiate con fotoni da15 MV . L’apertura delle slits di emissione dello spettrofluorimetro, utilizza-te durante l’analisi dati delle due misure, erano le medesime, come mostratonelle tabelle 4.18 e 4.28.

Nel grafico 4.40 sono riportati gli andamenti dell’intensità massima difluorescenza in funzione della dose, per i campioni non contenenti GNP.Anche in questo caso gli andamenti del segnale di fluorescenza sono statiinterpolati eseguendo dei fit lineari. I fit dovrebbero, in linea teorica, coin-cidere, poiché i campioni analizzati non contenevano nanoparticelle e sonostati sottoposti al medesimo irraggiamento. Tuttavia nel caso della misuracon GNP di dimensioni maggiori (in blu), si sono registrati valori di intensi-tà massima di fluorescenza, maggiori rispetto a quella con nanoparticelle da5 nm (in rosso), probabilmente causati dalla presenza di errori sistematicinon noti. Ciò nonostante si è proceduto ugualmente al confronto dei risul-tati ottenuti, nel caso dei campioni contenenti le nanoparticelle.Nel grafico 4.41, relativo al confronto dei campioni alla concentrazione di

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0.0 0.6 1.2 1.8 2.4 3.0 3.6 4.2 4.8Dose (Gy)

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.)Concentrazione GNPs: 0 µM

GNPs d=(5 ± 2) nmGNPs d=(20 ± 2) nm

Figura 4.40: Confronto GNP di dimensioni differenti, fotoni da 15 MV :intensità massima di fluorescenza in funzione della dose, GNP allaconcentrazione di 0 µM

GNP (5.00 ± 0.03) µM , si nota un incremento significativo del segnale difluorescenza nel caso delle nanoparticelle da 5 nm rispetto a quelle di di-mensioni maggiori. Le divergenza dell’intensità massima di fluorescenzatra i campioni con GNP di dimensioni diverse, cresce nel caso della concen-trazione di nanoparticelle di (10.00 ± 0.007) µM , come si nota osservandoil grafico 4.42. Dunque anche nel caso di campioni irraggiati con fascio difotoni da 15 MV si riscontra un aumento del segnale di fluorescenza al di-minuire delle dimensione delle nanoparticelle d’oro, come già verificato nelcaso dei fotoni da 6 MV .Infine per evidenziare la dipendenza dalla concentrazione delle GNP presentiall’interno dei campioni, è stato studiato l’andamento dei rapporti R5 e R10in funzione della dose, per le due differenti dimensioni delle nanoparticelle.I risultati ottenuti sono mostrati nel grafico 4.43. I rapporti R5 e R10 nelcaso delle nanoparticelle di dimensioni maggiori, sono costanti in funzionedella dose e pari all’incirca all’unità. Nel caso invece delle GNP da 5 nm,dopo un crescita iniziale corrispondente alle prime tre dosi di irraggiamento,tali rapporti si attestano su valori di plateau nettamente superiori all’unità.Inoltre nel caso delle GNP dal dimetro medio di (5 ± 2) nm l’andamentodi plateau di R10 è superiore rispetto a quello di R5, evidenziando così unamaggiore produzione di radicale OH all’aumentare della concentrazione dinanoparticelle di oro.

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0.0 0.6 1.2 1.8 2.4 3.0 3.6 4.2 4.8Dose (Gy)

0

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.)

Concentrazione GNPs: (5.00 ± 0.03) µM

GNPs d=(5 ± 2) nmGNPs d=(20 ± 2) nm

Figura 4.41: Confronto GNP di dimensioni differenti, fotoni da 15 MV :intensità massima di fluorescenza in funzione della dose, GNP allaconcentrazione di 5 µM

0.0 0.6 1.2 1.8 2.4 3.0 3.6 4.2 4.8Dose (Gy)

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(a.u

.)

Concentrazione GNPs: (10.00 ± 0.07) µM

GNPs d=(5 ± 2) nmGNPs d=(20 ± 2) nm

Figura 4.42: Confronto GNP di dimensioni differenti, fotoni da 15 MV :intensità massima di fluorescenza in funzione della dose, GNP allaconcentrazione di 10 µM

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0.0 0.6 1.2 1.8 2.4 3.0 3.6 4.2 4.8Dose (Gy)

0.0

0.2

0.4

0.6

0.8

1.0

1.2

1.4

1.6Fotoni 15 MV

R5 d=(5 ± 2) nmR10 d=(5 ± 2) nmR5 d=(20 ± 2) nmR10 d=(20 ± 2) nm

Figura 4.43: Confronto GNP di dimensioni differenti, fotoni da 15 MV :rapporti di intensità di fluorescenza in funzione della dose

Risultati preliminari Alla luce di tali risultati preliminari ottenuti, sem-bra esservi una maggiore produzione di radicale ossidrile, nel caso di GNPdal diametro medio di (5 ± 2) nm, rispetto a quelle da (20 ± 2) nm. Lacrescita di produzione di tale specie reattiva sembra aumentare al cresceredelle concentrazione di GNP da 5 nm, in maniera più netta nel caso di ir-raggiamento con fotoni da 15 MV . L’aumento di produzione di radicali OH,potrebbe essere imputabile ad aumento degli elettroni secondari, soprattuttoAuger, prodotti nel caso delle nanoparticelle di oro di dimensioni inferiori.Al diminuire della dimensione delle GNP, aumenta infatti la probabilità chei secondari prodotti a seguito dell’interazione tra la radiazione primaria egli atomi d’oro, riescano ad essere espulsi al di fuori della struttura dellenanoparticelle stessa. A parità di concentrazione di atomi di oro, sembradelinearsi une effetto dipendente dal rapporto tra superficie e volume dellenanoparticelle (∼ 1/R). Per verificare tale andamento saranno necessarieulteriori misure con GNPs di dimensioni differenti, ad esempio dal diame-tro medio di 3 e 10 nm. Lo studio svolto, nel caso delle nanoparticelle dioro di dimensioni inferiori è però preliminare e in alcun modo conclusivo:ciononostante decisamente promettente.

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Capitolo 5

Misure effettuate con il DHE

5.1 Caratteristiche del diidroetidio

Da oltre vent’anni il DHE è utilizzato per misurare la produzione di anio-ne superossido in una grande varietà di sistemi biologici [ZK10]. Ad esempio,grazie all’alta capacità del diidroetidio di diffondersi all’interno delle cellu-le, unita alla sua alta reattività, il DHE viene comunemente utilizzato perindividuare il superossido nel citosol cellulare [WBM+14].Il DHE viene ossidato dal radicale O−2 , dando origine al composto fluorescen-te etidio (E+), la cui struttura chimica è rappresentata nella figura 5.1. Tale

Figura 5.1: Struttura chimica dell’etidio

composto fluorescente è caratterizzato dalle lunghezze d’onda di emissioneed eccitazione pari a [GFL05]:

λexcitation ∈ [465, 495] nm (5.1)

λemission ∈ [585, 620] nm (5.2)

Uno studio del 2003 condotto da Zhao e colleghi [ZKZ+03], ha mostra-to come l’ossidazione del DHE da parte dall’anione superossido può nondare come prodotto l’etidio, ma un un altro tipo di composto a sua volta

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fluorescente. Rispetto all’etidio tale composto è caratterizzato infatti da undifferente peso molecolare e da una diversa lunghezza d’onda massima diemissione (λemission = 567 nm). Il medesimo team di ricerca, in un lavorosuccessivo [ZJF+05], ha identificato tale composto come la molecola fluore-scente 2-idrossietidio (2−OH − E+).Il fatto che si possano produrre allora due differenti composti fluorescentia seguito dell’interazione tra il DHE e l’anione superossido, rende, soprat-tutto negli studi cellulari in vivo, non troppo adatto l’utilizzo del DHE perla misura quantitativa dell’anione superossido. Inoltre, sempre negli studicellulari, il diidroetidio può venire ossidato da processi che coinvolgano ilcitocromo c 1 [RJP+06]. Tale citocromo viene rilasciato nel citosol cellula-re durante il processo di apoptosi: in tale situazione allora è assai difficiledistinguere se la fluorescenza misurata dell’etidio sia dovuta all’interazionetra DHE e l’anione superossido oppure all’interazione tra il probe ed il cito-cromo c [GFL05].Nelle condizioni simil-fisiologiche in cui è stato svolto lo studio dell’aumentodi ROS in presenza di GNP, i problemi appena presentati, caratteristici de-gli studi cellulari, non dovrebbero tuttavia influenzare le misure effettuate.E’ stato utilizzato, nello studio svolto, il DHE fornito dalla Sigma-Aldrich(Saint Louis, USA), le cui caratteristiche di fluorescenza sono riportate nellatabella 5.1.

Produttore Alfa AesarFormula C21H21N3

Peso molare (g mol−1) 315.4λexcitation (nm) 465λemission (nm) 610

Tabella 5.1: Caratteristiche di fluorescenza del DHE utilizzato

Il DHE è particolarmente sensibile sia all’aria che alla luce e quandonon viene utilizzato deve essere mantenuto ad una temperatura di −20°Caffinché non si ossidi. Inoltre il diidroetidio è solubile in solventi organici,ma non in quelli acquosi: ciò può influire sulla fisiologicità dello studio ef-fettuato, nel caso in cui la concentrazione di DHE presente nei campioni siaelevata. Nello studio svolto il diidroetidio è stato solubilizzato in dimetil-solfossido (DMSO) [(CH3)2SO], una molecola caratterizzata da un dominioaltamente polare, quindi idrofilo, e da due gruppi apolari, idrofobi. Grazie aqueste caratteristiche chimico-fisiche il dimetisolfossido è un solvente moltoefficiente per i composti non solubili in tamponi acquosi ed è estremamen-te utilizzato negli studi biologici e nel trasporto di farmaci [SFCMSS03].E’ stata quindi preparata una soluzione madre di diidroetidio alla concen-

1Il citocromo c è una ematoproteina che si trova nello spazio intramembrana deimitocondri.

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trazione di (1.585 ± 0.004) mM , che è stata utilizzata per la preparazionedei campioni da sottoporre ad irraggiamento. Al termine di ogni utilizzole soluzione madre di DHE è stata riposta in freezer a −20°C. Inoltre lafalcon 2 contenente tale soluzione è stata rivestita con uno strato di fogliodi alluminio, in modo tale da evitarne il più possibile l’esposizione alla luce.Le misure di fluorescenza dell’etidio sono state effettuate, a temperaturaambiente, mediante lo spettrofluorimetro LS 55 Luminescence Spectrometer(PerkinElmer), descritto nel capitolo 3. Le misure svolte con il DHE sono dicarattere preliminare, volte a testare l’utilizzo di tale probe nelle condizionidello studio sviluppato. Sono infatti estremamente ridotti in letteratura, ilavori in cui il diidroetidio viene utilizzato per misurare la produzione diROS in campioni fisiologici contenenti GNP. Tra questi possiamo citare adesempio il lavoro di Misawa e colleghi [MT11], in cui viene studiata la pro-duzione di anione superossido in campioni contenenti GNP, sottoposti adirraggiamento con radiazione ultravioletta e raggi X prodotti da una sor-gente diagnostica. Non si conoscono lavori in cui viene svolto il medesimostudio con il DHE, in cui l’irraggiamento venga effettuato in condizioni ditrattamento radioterapico standard.La preliminarietà delle misure svolte con il diidroetidio è anche dovuta alfatto che si è scelto di concentrare lo studio della produzione di ROS inpresenza di GNP, sul radicale ossidrile, essendo la specie chimica che causail maggior danno biologico [Lip11].

5.2 Studi preliminari effettuati

5.2.1 Spettri di fluorescenza di campioni contenenti differen-ti concentrazioni di DHE

La prima misura effettuata è stata la determinazione degli spettri difluorescenza di campioni contenenti differenti concentrazioni di DHE, nonsottoposti ad irraggiamento. I campioni sono stati preparati nei vial diplastica da 1.8 ml di volume, prelevando il DHE dalla soluzione madre inmisura utile ad ottenere la concentrazione desiderata. La composizione deicampioni analizzati è riportata nella tabella 5.2. Le impostazioni dello spet-trofluorimetro utilizzate durante la presa dati degli spettri di fluorescenzadei vari campioni, sono invece riportate nella tabella 5.3.

Gli spettri di fluorescenza del etidio misurati, sono mostrati nel gra-fico 5.2; si nota immediatamente come, nonostante i campioni non sianostati sottoposti ad irraggiamento, i segnali di fluorescenza misurati sianoabbastanza elevati. Tali valori di fluorescenza sono presumibilmente dovutiall’ossidazione del DHE a seguito dell’operazione di misura e di preparazione

2Le falcon sono delle provette di plastica, solitamente polipropilene, a fondo conico contappo a vite. Il polipropilene assicura una bassa reattività chimica con il contenuto dellafalcon.

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PBS pH = 7.35Concentrazione DHE (12.3± 0.2) µM

(50.0± 0.6) µM(250± 3) µM(500± 6) µM

Tabella 5.2: Spettri di fluorescenza di campioni contenenti differenticoncentrazioni di DHE: composizione campioni

Scan speed (nm/min) 100λexcitation (nm) 465EX Slit (nm) 5.0EM Slit (nm) 6.0

Spettro di fluorescenza (nm) 500 − 700

Tabella 5.3: Spettri di fluorescenza di campioni contenenti differenticoncentrazioni di DHE: impostazioni spettrofluorimetro

500 520 540 560 580 600 620 640 660 680 700Lunghezza d'onda (nm)

0

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DHE (12.3 ± 0.2) µM

DHE (50.0 ± 0.6) µM

DHE (250 ± 3) µM

DHE (500 ± 6) µM

Figura 5.2: Spettri di fluorescenza di campioni contenenti differenticoncentrazioni di DHE

dei campioni. Infatti, nonostante tutte le precauzioni prese, i campioni ven-gono comunque in brevi momenti esposti alla luce presente nel laboratorio.

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La lunghezza d’onda di emissione misurata, corrispondente al massimo diintensità degli spettri, è riportata nella formula 5.3 ed è in accordo con ivalori presenti in letteratura.

λemission ' 610− 620 nm (5.3)

Una volta svuotati i vial di plastica sono stati osservati attentamenteper verificare che non presentassero alcun tipo di colorazione. I campio-ni contenenti DHE, già alle concentrazione utilizzate, presentano infatti unacolorazione rossa, che aumenta di intensità all’aumentare della concentrazio-ne di probe. Tale colorazione è dovuta all’emissione fluorescente dell’etidiopresente in soluzione anche nel caso in cui i campioni non vengano sottopostiad irraggiamento. Una leggera colorazione rossiccia dei vial usati indiche-rebbe un’interazione tra il probe e le pareti del vial stesso: tale fenomenonon è stato però osservato.

5.2.2 Verifica della fotosensibilità del DHE

Per studiare la fotosensibilità della soluzione di DHE in PBS è stata ese-guita una misura preliminare per verificare se effettivamente si riscontrasseuna differenza nel segnale di fluorescenza, a seguito dell’esposizione dellasoluzione alla luce solare. E’ stato quindi preparato un campione contenen-te diiodroetidio alla concentrazione di (500 ± 5) µM in PBS (pH = 7.35).Dopodiché si è proceduto a misurare gli spettri di fluorescenza del campionein due momenti distinti:

• immediatamente dopo la sua preparazione

• dopo l’esposizione alla luce solare per circa 50 secondi

Le impostazioni dello spettrofluorimetro utilizzate durante l’analisi dei cam-pioni, sono riportate nella tabella 5.3. I risultati della misura effettuata sonomostrati nel grafico 5.3. I risultati confermano la fotosensibilità del probeutilizzato: appare infatti evidente un aumento del segnale di fluorescenza aseguito della sola esposizione del campione alla luce solare. Bisogna alloraprendere in considerazione che la stessa operazione di misura con lo spet-trofluorimetro, in cui il campione viene eccitato con una sorgente luminosa,può essere in grado di influenzare il segnale di fluorescenza misurato.

5.2.3 Studio della stabilità temporale

Campioni senza GNP

Sono state effettuate diverse misure per studiare la stabilità temporale dicampioni contenente unicamente DHE, alla concentrazione di (500±5) µM ,e PBS. I campioni studiati non sono stati sottoposti ad alcun tipo di irrag-giamento, si è proceduto unicamente alla misura degli spettri di fluorescenza

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500 520 540 560 580 600 620 640 660 680Lunghezza d'onda (nm)

0

100

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700

800

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.)

Concentrazione di DHE nel campione: (500 ± 6) µM

prima dell'eposizione alla luce

dopo l'eposizione alla luce

Figura 5.3: Verifica della fotosensibilità del DHE: spettri di fluorescenzamisurati prima e dopo l’esposizione del campione alla luce solare

ad intervalli di tempo regolari. Lo spettrofluorimetro utilizzato, ha infatti lapossibilità di misurare il segnale di fluorescenza di un medesimo campione,in un certo numero di misure successive, ritardate tra loro di un intervallotemporale selezionabile. Le impostazioni dello strumento utilizzate in talemodalità operativa, sono riportate nella tabella 5.4.

Mode Kinetic ScanNumber of scans 10

Delay (s) 100Scan speed (nm/min) 100

λexcitation (nm) 465EX Slit (nm) 5.0EM Slit (nm) 6.0

Spettro di fluorescenza (nm) 500 − 700

Tabella 5.4: Studio della stabilità temporale DHE, campioni senza GNP:impostazioni dello spettrofluorimetro

Gli spettri di fluorescenza misurati evidenziano un aumento di intensi-tà di fluorescenza al susseguirsi temporale delle misure. Tale aumento delsegnale in funzione del tempo è mostrato nel grafico 5.4, in cui è stata analiz-

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zata l’intensità massima di fluorescenza dell’etidio in funzione del tempo cheintercorre tra la prima misura e quelle successive. Il massimo del segnale difluorescenza dell’etidio, è stato calcolato alla lunghezza d’onda di emissionepari a

λInt Max = 615 nm (5.4)

0 100 200 300 400 500 600 700 800 900Tempo (s)

0

200

400

600

800

1000

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ass

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E+

(a.u

.)

Concentrazione di DHE nel campione: (500 ± 6) µM

Figura 5.4: Studio della stabilità temporale DHE, campioni senza GNP:intensità massima di fluorescenza in funzione del tempo

Si riscontra nel grafico 5.4, una buona linearità del segnale di fluorescen-za in funzione del tempo, come mostrato dal fit lineare che interpola i dati.L’andamento trovato sembra dunque suggerire una perturbazione del cam-pione a seguito di misure successive tra loro, con conseguente aumento delsegnale di fluorescenza misurato. La ripetizione consecutiva dell’eccitazionedel campione che avviene nella misura porta presumibilmente all’aggiuntadi offset al segnale di fluorescenza, determinandone così la crescita linearein funzione del tempo.

Studio della stabilità in presenza di GNP

Misure ripetute ad intervalli di tempo costanti E’ stato effettuatoinoltre lo studio della stabilità di campioni di DHE, in presenza anche dinanoparticelle di oro. Sono stati allora preparati dei campioni contenentidiidroetidio e nanoparticelle di oro, in soluzione di PBS. Le composizioni deicampioni analizzati sono mostrate nella tabella 5.5. Per verificare l’influen-

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PBS pH = 7.35Concentrazione DHE (50± 0.6) µMConcentrazione GNP 0 µM, (10.00± 0.07) µM

Diametro GNP (20± 2) nm

Tabella 5.5: Composizione campioni per lo studio della stabilità temporaledel DHE in presenza di GNP

za dell’operazione di misura, sono state eseguite delle misure successive sulmedesimo campione, distanziante tra loro da intervalli di tempo costanti didieci minuti. Si è scelto di aumentare l’intervallo temporale, rispetto al casoprecedente 5.2.3, in modo tale che il campione avesse maggiore tempo pertornare in una eventuale situazione di equilibrio, a seguito della perturba-zione indotta dalla misura stessa. Le impostazione dello spettrofluorimetroutilizzate durante l’analisi dei campioni sono riportate nella tabella 5.6.

Mode Kinetic ScanNumber of scans 5

Delay (s) 600Scan speed (nm/min) 100

λexcitation (nm) 465EX Slit (nm) 5.0EM Slit (nm) 8.0

Spettro di fluorescenza (nm) 500 − 700

Tabella 5.6: Misure ripetute ad intervalli di tempo costanti: impostazionidello spettrofluorimetro

Nel grafico 5.5, sono mostrati gli andamenti dell’intensità massima difluorescenza (calcolate alla lunghezza d’onda 5.4), in funzione del tempo cheintercorre tra le misura iniziale e le successive, per i campioni contenentinanoparticelle d’oro (in blu) e quelli privi (in rosso). Gli errori sull’intensi-tà massima di fluorescenza non sono visibili poiché contenuti all’interno delmarker. Anche in questo caso si riscontra una buona linearità del segnaledi fluorescenza in funzione del tempo. I dati sperimentali sono stati inter-polati con un fit lineare, in modo da quantificare l’aumento del segnale difluorescenza al susseguirsi delle misure sul singolo campione. I parametri difit ottenuti sono riportati in tabella 5.7I rapporti di crescita del segnale di fluorescenza nel tempo, per il campionecontenente GNP e quello privo, risultano tra loro comparabili. Per confron-tare i coefficienti angolari dei fit trovati è stato infatti eseguito uno z test(test di ipotesi normale), fissando la significatività del test al 5 %. Il risul-

150

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0 240 480 720 960 1200 1440 1680 1920 2160 2400Tempo (s)

0

50

100

150

200

Inte

nsi

tà m

ass

ima d

i fluore

scenza

E+

(a.u

)

Concentrazione di DHE nel campione: (50.0 ± 0.6) µM

GNPs 0 µM

GNPs (10.00 ± 0.07) µM

Figura 5.5: Misure ripetute ad intervalli di tempo costanti: intensitàmassima di fluorescenza in funzione del tempo

y = a x+ b

Conc GNP (µM) b (a.u.) a (a.u. s−1) χ2 d.f

0 82.2± 0.6 0.025± 0.005 4.1 310.00± 0.07 132.8± 0.4 0.021± 0.004 20.9 3

Tabella 5.7: Misure ripetute ad intervalli di tempo costanti: parametri delfit lineare

tato del test è mostrato nell’equazione 5.5 e dimostra la confrontabilità deirates ottenuti.

z = 0.62 (5.5)

Nel grafico 5.5, l’intensità massima di fluorescenza risulta maggiore peril campione contenente nanoparticelle d’oro, rispetto a quello privo. Tale ri-sultato è in contrasto con l’assorbimento del segnale di fluorescenza da partedelle GNP, verificato nelle misure svolte con il TPA. Poiché le nanoparticel-le assorbono parte della luce di fluorescenza, il segnale di fluorescenza delcampione contenente le GNP, dovrebbe essere inferiore rispetto al caso delcampione a 0 µM . Tale incoerenza potrebbe, ad esempio, essere dovutaad un’instabilità dei campioni immediatamente dopo la loro preparazione,oppure a processi di ossidazione del DHE in presenza di nanoparticelle d’oro.

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Misure ad intervalli di tempo casuali Per studiare la stabilità tem-porale di campioni contenenti GNP e DHE, in condizioni di misure non ri-petute, sono stati preparati differenti campioni ed analizzati una sola voltaad intervalli di tempo causali. La composizione dei campioni è la medesimadella misura 5.2.3, descritta nella tabella 5.5.Per ogni concentrazione di GNP, sono stati allora preparati quattro cam-pioni differenti e si è proceduto a misurare l’intensità di fluorescenza di ognisingolo campione ad intervalli di tempo casuali, successivi alla preparazio-ne. Le impostazioni dello spettrofluorimetro utilizzate durante la presa daticoincidono con quelle riassunte nella tabella 5.6. Per evitare il più possibileche i campioni vengano esposti alla luce durante il tempo che intercorre tramisure successive, i vials in plastica sono stati ricoperti da nastro isolantespesso di colore scuro. Tuttavia i campioni vengono inevitabilmente espostibrevemente alla luce, quando la soluzione da analizzare viene trasferita dalvial alla cuvetta in quarzo, da inserire all’interno dello spettrofluorimetro.Nel grafico 5.6 sono mostrati gli andamenti dell’intensità massima di fluore-scenza in funzione del tempo intercorso tra le misure dei singoli campioni.Come nella misura precedente, gli errori sull’intensità massima di fluorescen-

0 250 500 750 1000 1250 1500 1750 2000 2250Tempo (s)

0

50

100

150

200

Inte

nsi

tà m

ass

ima d

i fluore

scenza

E+

(a.u

)

Concentrazione di DHE nel campione: (50.0 ± 0.6) µM

GNPs 0 µM

GNPs (10.00 ± 0.07) µM

Figura 5.6: Misure ad intervalli di tempo casuali: intensità massima difluorescenza in funzione del tempo

za (calcolata alla lunghezza d’onda 5.4) non sono visibili, poiché contenutiall’interno dei marker che individuano i punti sperimentali. Anche in que-sto caso si è proceduto ad interpolare i dati con una relazione lineare: iparametri di fit ottenuti sono mostrati nella tabella 5.8.

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y = a x+ b

Conc GNP (µM) b (a.u.) a (a.u. s−1) χ2 d.f.

0 114± 2 0.013± 0.009 1.63 210.00± 0.07 136± 2 0.009± 0.006 1.35 2

Tabella 5.8: Misure ad intervalli di tempo casuali: parametri del fit lineare

Eseguendo un test normale (α = 0.005) per la compatibilità dei coeffi-cienti angolari riportati in tabelle 5.8, si ottiene

z = 0.37 zc (α = 0.005) = 1.96 (5.6)

Anche in tal caso allora possiamo affermare che non si sono riscontrate so-stanziali differenze negli andamenti di crescita dell’intensità di fluorescenzamisurata al trascorrere del tempo tra i campioni in presenza ed in assenzadi nanoparticelle.L’andamento di crescita del segnale in funzione del tempo risulta però legger-mente inferiore rispetto al caso delle misure ripetute sullo stesso campione.Tale risultato sembrerebbe suggerire come ci si aspetta, che nel caso di mi-sure ripetute vi siano l’azione congiunta di una certa instabilità temporaledei campioni e dell’aumento della produzione di etidio causata dalla foto-sensibilità del campione.Si nota infine come i campioni contenenti nanoparticelle di oro, presentanoanche in questo caso segnali di fluorescenza maggiori rispetto ai campioninon contenenti GNP. Tale processo di ossidazione del probe, potrebbe essereimputabile ad una instabilità chimica del campione contenente sia il DHEche le nanoparticelle d’oro.

5.2.4 Determinazione del tempo necessario alla stabilizzazio-ne dei campioni

Infine si è proceduto a studiare con maggiore dettaglio la stabilità tem-porale dei campioni, aumentando i tempi di analisi in modo da dare lapossibilità alla soluzione di GNP e DHE di stabilizzarsi chimicamente. Sonostati allora preparati due set di campioni, composti secondo quanto mo-strato nella tabella 5.9. Entrambi i set di campioni sono stati preparati lamattina ed esposti il meno possibile alla luce nel corso di tutta l’operazionedi misura, in modo da minimizzare gli errori introdotti dalla fotosensibilitàdel DHE.Il primo set di campioni è stato analizzato immediatamente dopo la prepa-razione, mentre il secondo set è stato lasciato riposare al buio per tre oreed analizzato successivamente. Anche in questo caso nessuno dei campioniè stato sottoposto ad alcun irraggiamento.

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PBS pH = 7.35Concentrazione DHE (50.0± 0.6) µMConcentrazione GNP 0 µM, (10.00± 0.07) µM

Diametro GNP (20± 2) nm

Tabella 5.9: Determinazione del tempo necessario alla stabilizzazione deicampioni: composizione dei campioni

Le impostazioni dello spettrofluorimetro utilizzate sono riportate nella ta-bella 5.10 e sono state mantenute invariate, sia per il primo set di campioni,che per il secondo, in modo tale da poter confrontare agevolmente i risultati.

Scan speed (nm/min) 100λexcitation (nm) 465EX Slit (nm) 5.0EM Slit (nm) 8.0

Spettro di fluorescenza (nm) 500 − 700

Tabella 5.10: Determinazione del tempo necessario alla stabilizzazione deicampioni: impostazioni dello spettrofluorimetro

Campioni analizzati immediatamente dopo la preparazione I ri-sultati dell’analisi del primo set di campioni sono mostrati nel grafico 5.7,in cui è stato plottato l’andamento dell’intensità massima di fluorescenza infunzione del tempo che intercorre tra il primo spettro analizzato ed i succes-sivi. Si delinea, anche in questo caso, un andamento crescente del segnale difluorescenza misurato al trascorrere del tempo, coerentemente con le misu-re precedentemente presentate. Inoltre l’intensità di fluorescenza misuratarisulta minore nei campioni non contenenti nanoparticelle di oro, rispetto aquelli con (10.00± 0.07) µM di GNP. Tale andamento rimane inoltre inva-riato in funzione del tempo.Il trend di incremento del segnale è stato infine quantificato, eseguendo unfit lineare dei dati, i cui parametri sono mostrati nella tabella 5.11. Possiamoallora concludere che nel caso in cui i campioni contenenti GNP e DHE ven-gano analizzati immediatamente dopo la preparazione, risultano instabilitemporalmente e di conseguenza non utilizzabili per studiare la produzionedi anione superossido a seguito di irraggiamento radioterapico in presenzadi nanoparticelle.

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0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220Tempo (minuti)

0

20

40

60

80

100

120

140

160

Inte

nsi

tà m

ass

ima d

i fluore

scenza

E+

(a.u

.)

Campioni analizzati dopo la preparazione

GNPs 0 µM

GNPs (10.00 ± 0.07) µM

Figura 5.7: Campioni analizzati immediatamente dopo la preparazione:intensità massima di fluorescenza in funzione del tempo

y = a x+ b

Conc GNP (µM) b (a.u.) a (a.u. s−1) χ2 d.f.

0 61.7± 0.4 0.340± 0.004 147 1110.00± 0.07 72.7± 0.5 0.318± 0.007 12 9

Tabella 5.11: Campioni analizzati immediatamente dopo la preparazione:parametri del fit lineare

Campioni analizzati tre ore dopo la preparazione Il secondo set dicampioni è stato preparato alle 11 : 30 e l’analisi è iniziata alle 14 : 22,dunque circa tre ore dopo la preparazione. Durante tale lasso di tempo, icampioni sono stati lasciati riposare al buio e a temperatura ambiente. Si èquindi proceduto alla misura degli spettri di fluorescenza dei campioni.Nel grafico 5.8, è mostrato l’andamento dell’intensità massima di fluore-scenza misurata in funzione del tempo che intercorre tra la preparazione el’analisi dei campioni. Anche in questo caso i dati sperimentali sono statiinterpolati con una relazione lineare, ricavando i parametri di fit riportatinella tabella 5.12.Si delinea nei risultati trovati una maggiore stabilità temporale in confrontoai campioni analizzati immediatamente dopo la preparazione. Tale stabilità

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180 190 200 210 220 230 240 250 260 270Tempo (minuti)

0

50

100

150

200

250

300

Inte

nsi

tà m

ass

ima d

i fluore

scenza

E+

(a.u

.)

Campioni analizzati dopo circa tre ore dalla preparazione

GNPs 0 µM

GNPs (10.00 ± 0.07) µM

Figura 5.8: Campioni analizzati tre ore dopo la preparazione: intensitàmassima di fluorescenza in funzione del tempo

y = a x+ b

Conc GNP (µM) b (a.u.) a (a.u. s−1) χ2 d.f.

0 173± 2 −0.021± 0.022 155 610.00± 0.07 136.6± 0.6 0.28± 0.02 4.66 6

Tabella 5.12: Campioni analizzati tre ore dopo la preparazione: parametridi fit lineare

è evidenziata da valori inferiori di rate di crescita del segnale di fluorescen-za in funzione del tempo, rispetto al caso della misura precedente. Inoltre,a differenza di tutte le misure precedentemente effettuate, i campioni con-tenenti le nanoparticelle d’oro, presentano segnali di fluorescenza inferioririspetto ai campioni privi. Questo risultato è consistente con il fenomeno diassorbimento dell’intensità di fluorescenza da parte delle GNP.Possiamo dunque affermare in conclusione, che lasciando riposare i cam-pioni con il DHE e le GNP per almeno tre ore dopo la loro preparazione,essi raggiungono una buona stabilità chimica. Quindi nelle misure succes-sive, i campioni verranno preparati la mattina, lasciati riposare al buio, edutilizzati per le misure, almeno tre ore dopo la loro preparazione.

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5.3 Studio della concentrazione ottimale

5.3.1 Una prima misura non definitiva

Si è proceduto alla determinazione della concentrazione ottimale di DHEda inserire all’interno dei campioni. La concentrazione di probe nei campionideve essere infatti tale da permettere di misurare tutto l’anione superossido,creatosi a seguito dell’irraggiamento radioterapico dei campioni. Tale studioè stato svolto in maniera del tutto analoga a quanto presentato nel caso delTPA: sono stati quindi irraggiati campioni contenenti differenti concentra-zioni di diidroetidio, in assenza di GNP, con fascio di fotoni da 6 MV . I det-tagli della composizione dei campioni e le caratteristiche dell’irraggiamentoutilizzate sono mostrati nella tabella 5.13.

Fascio fotoni 6 MVDosi (Gy) 0, 0.6, 1.2, 2.4, 4.8

Concentrazione GNP (µM) 0Concentrazione TPA (12.3± 0.2) µM

(25.0± 0.4) µM(50.0± 0.6) µM(250± 3) µM(400± 5) µM

Tabella 5.13: Studio della concentrazione ottimale di DHE, una primamisura: composizione campioni e caratteristiche irraggiamento

Le concentrazioni di DHE mostrate nella tabella 5.13 sono inferiori ri-spetto al caso del TPA, poiché il tasso di produzione dell’anione superossidonel processo di radiolisi dell’acqua è decisamente più ridotto rispetto a quellodel radicale ossidrile [Alp97].I campioni sono stati preparati la mattina e dopo aver riposato per circa treore al buio, sono stati sottoposti all’irraggiamento. Infine le impostazionidello spettrofluorimetro utilizzate durante la presa dati sono riportate nellatabella 5.14.

Scan speed (nm/min) 100λexcitation (nm) 465EX Slit (nm) 5.0EM Slit (nm) 8.2

Spettro di fluorescenza (nm) 500 − 700

Tabella 5.14: Studio della concentrazione ottimale di DHE, una primamisura: impostazioni dello spettrofluorimetro

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I risultati ottenuti sono mostrati nel grafico 5.9, in cui è stato studiatol’andamento dell’intensità massima di fluorescenza in funzione della dose diirraggiamento a cui sono stati sottoposti i campioni. Si delinea dai risultati

0.0 0.4 0.8 1.2 1.6 2.0 2.4 2.8 3.2 3.6 4.0 4.4 4.8Dose (Gy)

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

Inte

nsi

tà m

ass

ima d

i fluore

scenza

E+

(a.u

.)

DHE (12.3 ± 0.2) µMDHE (25.0 ± 0.4) µMDHE (50.0 ± 0.4) µMDHE (250 ± 3) µMDHE (400 ± 5) µM

Figura 5.9: Studio della concentrazione ottimale di DHE, una prima misura:intensità massima di fluorescenza in funzione della dose

una buona linearità dei segnali di fluorescenza al crescere della dose som-ministrata ai singoli campioni. Come ci si aspettava inoltre, l’intensità difluorescenza massima misurata cresce all’aumentare della concentrazione diprobe presente nei campioni. Nei dai del campione con concentrazione diDHE pari a (400 ± 5) µM (in viola nel grafico 5.9) il punto sperimentalecorrispondente alla dose di irraggiamento pari a 2 Gy, si discosta in manie-ra significativa rispetto ai restanti punti sperimentali: possiamo presumereche tale misura sia dovuta ad un’errata preparazione del campione. I da-ti sperimentali sono stati infine interpolati con un fit lineare, escludendo ilsopracitato campione errato; i parametri dei fit ricavati sono riportati nellatabella 5.18.

I rapporti di crescita del segnale in funzione della dose di irraggiamentodei campioni risultano all’incirca un ordine di grandezza inferiori rispetto alcaso del TPA, in conformità con la minor produzione di anione superossidorispetto al radicale ossidrile nel processo di radiolosi dell’acqua.La misura presentata non può essere però considerata definitiva per la deter-minazione della concentrazione ottimale di DHE da inserire all’interno deicampioni. E’ necessario infatti effettuare una seconda misura, con maggioresensibilità dello spettrofluorimetro, in modo da distinguere più nettamente

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y = a x+ b

Conc DHE (µM) b (a.u.) a (a.u. nm−1) χ2 d.f.

12.3± 0.2 85± 1 10.9± 0.6 9.15 325.0± 0.4 137± 2 9.2± 0.9 4.03 350.0± 0.6 185± 2 15± 1 2.08 3250± 3 477± 2 13.6± 0.7 44.77 3400± 5 881± 4 12± 2 51.95 2

Tabella 5.15: Studio della concentrazione ottimale di DHE, una primamisura: parametri del fit lineare

gli andamenti di crescita del segnale. Tale misura verrà effettuata sulle con-centrazioni inferiori di DHE, in modo tale da avere una quantità di probeall’interno dei campioni sufficiente alla determinazione di anione superossido,minimizzandone al contempo la quantità utilizzata.

5.3.2 Determinazione della concentrazione di utilizzo

E’ stata quindi eseguita una seconda misura per la determinazione del-la concentrazione ottimale di utilizzo del DHE, studiando unicamente trecampioni con concentrazioni inferiori a (250 ± 3) µM . La composizionedei campioni e le caratteristiche dell’irraggiamento utilizzato, sono riportatenella tabella 5.16

Fascio fotoni 6 MVDosi (Gy) 0, 0.6, 1.2, 2.4, 4.8

Concentrazione GNP (µM) 0Concentrazione TPA (25.0± 0.4) µM

(50.0± 0.6) µM(100± 2) µM

Tabella 5.16: Determinazione della concentrazione ottimale di DHE:composizione campione e caratteristiche irraggiamento

I campioni, dopo essere stati lasciati a riposare al buio per circa treore, sono stati sottoposti all’irraggiamento. L’analisi allo spettrofluorime-tro è stata effettuata aumentando la sensibilità dello strumento rispetto allamisura precedente, come mostrato nella tabella 5.17. La sensibilità del-lo spettrofluorimetro è stata aumentata ampliando l’apertura delle slit diemissione rispetto a quella della misura precedente riportata in tabella 5.6.Gli andamenti dell’intensità massima di fluorescenza in funzione della dose,per le differenti concentrazioni di DHE, sono mostrati nel grafico 5.10.

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Scan speed (nm/min) 100λexcitation (nm) 465EX Slit (nm) 5.0EM Slit (nm) 13.0

Spettro di fluorescenza (nm) 500 − 700

Tabella 5.17: Determinazione della concentrazione ottimale di DHE:impostazioni spettrofluorimetro

0.0 0.6 1.2 1.8 2.4 3.0 3.6 4.2 4.8Dose (Gy)

0

200

400

600

800

1000

Inte

nsi

tà m

ass

ima d

i fluore

scenza

E+

(a.u

.)

DHE (25.0 ± 0.4) µMDHE (50.0 ± 0.6) µMDHE (100 ± 2) µM

Figura 5.10: Determinazione della concentrazione ottimale di DHE: plotdell’intensità massima di fluorescenza in funzione della dose.

y = a x+ b

Conc DHE (µM) b (a.u.) a (a.u. nm−1) χ2 d.f.

25.0± 0.4 246± 6 24± 4 10.24 350.0± 0.6 534± 17 47± 13 106.17 3100± 2 795± 27 36± 15 129.2 3

Tabella 5.18: Determinazione della concentrazione ottimale di DHE:parametri fit lineare

I risultati ottenuti sono stati infine interpolati linearmente, in modo de-terminare quale campione avesse la concentrazione di probe più adatta. I

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parametri del fit lineare effettuato sono riportati nella tabella 5.18. I valoridel χ2 trovati nel caso delle concentrazioni di DHE pari a (50 ± 0.6) µMe (100 ± 2) µM risultano particolarmente elevati, evidenziando una nonperfetta linearità del segnale di fluorescenza misurato, complice anche l’e-stremamente ridotta incertezza sull’intensità massima di fluorescenza. Cio-nonostante possiamo stimare la concentrazione ottimale di utilizzo del DHEessere pari al campione caratterizzato dal maggior coefficiente angolare di fit:indice di una maggiore sensibilità nell’incremento del segnale di fluorescen-za al variare della dose di irraggiamento del campione. La concentrazioneottimale di utilizzo del DHE stimata risulta dunque pari a

Concentrazione ottimale DHE = (50.0± 0.6) µM (5.7)

Risultati e considerazioni Nel corso delle misure di carattere prelimina-re, effettuata con il DHE, è stata verificata l’instabilità e la fotosensibilità ditale tipo di probe. Se rapportato al sodio tereftalato, l’utilizzo del diidroeti-dio risultata decisamente meno agevole nella misura delle specie radicalicheprodotte a seguito dell’irraggiamento dei campioni contenenti GNP. Ciono-nostante, dalla misure effettuate, emerge che campioni contenenti sia DHEche GNP raggiungano la stabilità chimica dopo circa tre ore dalla loro prepa-razione: l’irraggiamento dei campioni allora deve essere effettuato trascorsotale intervallo temporale. Infine è stata individuata la concentrazione otti-male di utilizzo del probe: (50.0± 0.6) µM .I risultati ottenuti dimostrano la possibilità di utilizzare il DHE per misurarel’anione superossido che si forma a seguito dell’irraggiamento radioterapi-co in presenza di nanoparticelle di oro, ponendo estrema attenzione peròall’esposizione dei campioni alla luce.

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[ZKZ+03] Hongtao Zhao, Shasi Kalivendi, Hao Zhang, Joy Joseph, Ka-sem Nithipatikom, Jeannette Vásquez-Vivar, and B Kalya-naraman. Superoxide reacts with hydroethidine but formsa fluorescent product that is distinctly different from ethi-dium: potential implications in intracellular fluorescence de-tection of superoxide. Free Radical Biology and Medicine,34(11):1359–1368, 2003.

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Conclusioni

Il cancro è una patologia estremamente diffusa: nel 2012 i nuovi casiin tutto il mondo sono stati più di 14 milioni. Tra le terapie oncologiche,varie e il più delle volte non esclusive tra loro, è particolarmente diffusa laradioterapia. Clinicamente è quindi di interesse fondamentale trovare dellesostanze in grado di aumentarne l’efficacia della radioterapia: incrementan-do il deposito di dose e l’efficacia biologica prevalentemente all’interno deltarget tumorale.Particolarmente promettenti in tale ambito sembrano essere le nanoparti-celle d’oro (GNPs): numerosi studi "in vivo" ed "in vitro" hanno infattidimostrato la loro azione radiosensibilizzante, sia con sorgenti dell’ordinedel Kilovolt che del Megavolt. Affinché possano essere però effettivamen-te utilizzate in futuro, è necessario comprendere chiaramente quali siano iprocessi alla base della loro azione radiosensibilizzante. Differenti eviden-ze sperimentali hanno mostrato come possa esservi una forte componentechimico-biologica nell’aumento di efficacia della radioterapia in presenza diGNP. L’incremento di produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS), incondizioni di irraggiamento con nanoparticelle d’oro, potrebbe essere unbuon candidato per spiegare tale componente chimico-biologica.L’obbiettivo del lavoro svolto è stato quello di misurare se, in campioni con-tenenti GNP sottoposti ad irraggiamento radioterapico, si riscontrasse unaumento di ROS. Le misure effettuate si sono concentrate su due tipi di spe-cie radicaliche dell’ossigeno: l’anione superossido e il radicale ossidrile. Talescelta è giustificata dell’importanza che queste due specie chimiche ricopro-no nel danno indiretto causato dall’interazione tra radiazione ionizzante emateria biologica.Buona parte delle misure svolte sono state effettuate sul radicale ossidrile,principale responsabile dei danni subiti dalle macromolecole biologicamentefondamentali (prime fra tutte il DNA), a seguito dell’irraggiamento. Talespecie reattiva dell’ossigeno è stata misurata utilizzando un probe fluore-scente: il sodio tereftalato (TPA). Non esistevano in letteratura lavori in cuitale tipo di probe venisse utilizzato per misurare la produzione di radicaleossidrile, in condizioni di irraggiamento con GNP: è stato dunque necessariodeterminare un protocollo di misura. Nelle misure effettuate è stata prin-cipalmente studiata l’incidenza della concentrazione di nanoparticelle d’oro

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(0, 5, 10 µM) sulla produzione di ROS a seguito dell’irraggiamento con fascidi fotoni da 6, 15 MV ed elettroni da 6, 12, 15 MeV .I risultati ottenuti con l’utilizzo di GNP dal diametro medio di (20± 2) nmindicano una sostanziale indipendenza nella produzione di radicale ossidriledalle concentrazione di GNP alle energie e radiazioni utilizzate. Ciò po-trebbe indicare che l’effetto radiosensibilizzante di tali GNP sia imputabilealla differente distribuzione di densità di ionizzazione, molto più elevata inpresenza di nanoparticelle di oro.Sono state anche effettuate alcune misure preliminari con nanoparticelle d’o-ro dal diametro medio di (5 ± 2) nm, irraggiate con fasci di fotoni da 6 e15 MV . I risultati ottenuti evidenziano in questo caso un aumento rilevante(20÷ 40 %) di produzione di radicale ossidrile in presenza di nanoparticelled’oro. Al diminuire della dimensione delle GNP infatti, aumenta la proba-bilità che gli elettroni secondari, prodotti nell’interazione tra la radiazioneincidente e gli atomi d’oro, riescano ad uscire dalla GNP e a ionizzare lemolecole d’acqua circostanti. Le misure effettuate con tali nanoparticellesono però di carattere preliminare e necessiteranno ulteriori studi, per potertrarre conclusioni più nette: tuttavia risultano comunque promettenti.Per quanto riguarda invece la misura dell’anione superossido, anch’essa èstata effettuata con un probe fluorescente: il diidroetidio (DHE). Tuttaviaalcune caratteristiche del DHE, come l’elevata fotosensibilità, l’instabilitàtemporale e l’insolubilità in tamponi acquosi, rendono il suo utilizzo menoagevole se confrontato con il TPA.Lo studio preliminare effettuato con il DHE è stato incentrato quindi sul-l’individuazione della composizione ottimale dei campioni e di un protocolloefficiente e ripetibile di misura. Sono state quindi studiate le caratteristichedel probe, con l’intento di determinare il tempo necessario affinché i cam-pioni da sottoporre ad irraggiamento si stabilizzassero chimicamente. Taleintervallo temporale è stato stimato essere pari a circa tre ore dopo la prepa-razione dei campioni. Infine è stata individuata la concentrazione ottimaledi utilizzo del DHE da inserire all’interno dei campioni da irraggiare.

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Ringraziamenti

Ringrazio in particolare il mio correlatore, dott. Piergiorgio Cerello, peravermi guidato durante tutto il lavoro di tesi, con estrema pazienza e dispo-nibilitàRingrazio, la mia relatrice, prof. Cristiana Peroni, per la costante disponibi-lità dimostrata, ed il controrelatore dott. Vincenzo Monaco, per le correzionie le utili osservazioni proposte durante il lavoro di revisione del presente ela-borato.Ringrazio la prof. Sonia Visentin e tutti i tecnici, i ricercatori e i tesisti dellaboratorio di chimica dell’Università di Torino, in cui ho svolto la prepara-zione e l’analisi dei campioni.Ringrazio i fisici medici dell’ospedale Mauriziano di Torino, dott. ClaudiaCutaia e dott. Lorenzo Radici, per la professionalità e la disponibilità di-mostrata.Ringrazio Andrea Gobbato per avermi trasmesso buona parte delle cono-scenze acquisite e per i sempre utili consigli.Ringrazio i ragazzi dell’ufficio più luminoso di tutto il dipartimento di fisi-ca dell’Università di Torino, per il tutto il tempo trascorso assieme e per isempre preziosi suggerimenti dati.Ringrazio gli amici più recenti e quelli di sempre per il supporto ed i neces-sari momenti di svago che hanno accompagnato il mio percorso universitarioe non solo.Ringrazio la mia famiglia, in particolare i miei genitori e mia sorella, peravermi sempre sostenuto e per aver letto tutta la tesi, suggerendomi nume-rose correzioni da apportare.Ringrazio infine Sara, per la forza che mi ha trasmesso in una quantità inim-maginabile di momenti, grazie.

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