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Testi di supporto al laboratorio "Conoscenza e tecnologie appropriate per la sostenibilità...

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a cura di Luca Marescotti DOI: 10.13140/RG.2.1.2676.7126 Licenza Creative Commons Conoscenza e tecnologie appropriate per la sostenibilità e la resilienza in urbanistica Knowledge and Appropriate Technologies for Sustainability and Resilience in Planning diLisa Astolfi, Funda Atun, Maria Pia Boni, Annapaola Canevari, Massimo Compagnoni, Luca Marescotti, Maria Mascione, Ouejdane Mejri, Scira Menoni, Pierluigi Paolillo, Floriana Pergalani, Mauro Salvemini è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale. Based on a work at https://www.researchgate.net/profile/Luca_Marescotti. Permessi ulteriori rispetto alle finalità della presente licenza possono essere disponibili presso https://polimi.academia.edu/LucaMarescotti.
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a cura di Luca MarescottiDOI: 10.13140/RG.2.1.2676.7126

Licenza Creative CommonsConoscenza e tecnologie appropriate per la sostenibilità e la resilienza in urbanistica

Knowledge and Appropriate Technologies for Sustainability and Resilience in Planning diLisa Astolfi, Funda Atun, Maria Pia Boni, Annapaola Canevari, Massimo

Compagnoni, Luca Marescotti, Maria Mascione, Ouejdane Mejri, Scira Menoni, Pierluigi Paolillo, Floriana Pergalani, Mauro Salvemini è distribuito con Licenza

Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale.Based on a work at https://www.researchgate.net/profile/Luca_Marescotti. Permessi ulteriori rispetto alle finalità della presente licenza possono essere disponibili presso

https://polimi.academia.edu/LucaMarescotti.

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Conoscenza e tecnologie appropriate per la sostenibilità urbanistica - Knowledge and Appropriate Technologies for Sustainability in Planning - 29 febbraio - 04 marzo 2016 - Modulo 00

Modulo 00Introduzione e riduzionismo urbanistico - Luca Marescotti.

Riduzionismo urbanistico: lo iato tra piano e opere pubbliche

Con il laboratorio “Conoscenza e tecnologie appropriate per la sostenibilità urbanistica” ci si prefigge uno scopo di mostrare la complessità dei compiti dell'urbanistica e la necessità di un lavoro interdisciplinare che deve essere promosso all'interno dello Stato e delle pubbliche amministrazioni.Il piano urbanistico e la gestione urbanistiche deve potersi svolgere con una mentalità transdisciplinare.Il primo passo è la consapevolezza che la disciplina si trova spiazzata rispetto alle criticità attuali, a causa di un processo che si è mosso su più fronti, non solo in Italia, e che dura da molto tempo. L'approccio riduzionistico («Riduzionismo» 2009) della disciplina inizia da quattro fasi, anche se non strettamente conseguenziali, di decontestualizzazione:

(a) l’assenza della programmazione economica.Nel celare nelle leggi qualsiasi legame tra pianificazione del territorio e programmazione economica, aspetto dl tutto condiviso nella prassi urbanistica, si afferma una posizione privilegiata dell'operatore che decide quando vuole l'attuazione della parte di piano che gli interessa. i. la vanificazione della programmazione delle fasi attuative del piano.

Nella Legge 28 gennaio 1977, n. 10 “Norme per la edificabilità dei suoli” all'articolo 13furono istituiti i Programmi pluriennali di Attuazione, ma con il tempo e con le leggi(legge del 25 marzo 1982 n. 94, art. 6) per i comuni con meno di 10000 abitanti sonoresi facoltativi, ma nel complesso sono ormai poco utilizzati.

ii. La vanificazione il piano tramite la separazione del piano urbanistico dallaprogrammazione economica.Si separano piani urbanistici dalla programmazione delle opere pubbliche e dei lavoripubblici. La legge sui lavori pubblici del 1994 prevede una programmazione triennale incontinuo aggiornamento. Quasi contemporaneamente il Codice della strada del 1994istituisce i piani del traffico (urbano e provinciale) che avrebbero dovuto essere biennalie in continuo aggiornamento, slegati dal processo delle opere pubbliche e dellapianificazione urbanistica.

(b) la vanificazione del piano.Si passa dal piano vincolistico senza scadenze temporali al piano come processo. In una prima istanza si ritiene che il piano debba essere capace di ri-orientarsi in funzione degli effetti e dell'efficacia delle azioni rispetto agli obiettivi, ma nei fatti troppo spesso si preferisce interpretarlo come una continua trasformazioni attraverso varianti particolari e generali. Il piano in alcune regioni pare essere più una “persuasione morale (moral suasion)” che uno strumento capace di fornire strategie di area vasta a medio e lungo termine.i. L'urbanistica diventa addirittura “materia residuale” nella riforma del titolo V:

Legge Costituzionale 3/2001.Mentre lo Stato abbandona il controllo dei piani (l'approvazione ministeriale dei piani

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regolatori passa alle regioni), si perde sempre più il ruolo dell'ente locale /territoriale. Da una parte la costruzione di un ufficio del piano diviene, quando è possibile, una condizione momentanea durante la redazione dello strumento. Nella frammentazione della pubblica amministrazione locale, i comuni medio piccoli non hanno le risorse per fare né l'ufficio tecnico né l'ufficio del piano.

ii. L'arretramento dello stato e lo svuotamento della pubblica amministrazione.L'ondata liberistica mondiale avviata negli anni '80 del secolo scorso si consolida in una generale riduzione dei compiti degli stati, avviando anche in Italia una lenta chiusura del riformismo e in un'ampia accettazione, anche nella “sinistra” delle logiche del mercato. L’importanza e l'essenzialità del pianificare e della progettazione delle opere pubbliche, momenti centrali delle amministrazioni locali, pur essendo caratterizzate dalla loro funzione territoriale, si declassa in un compito affidato a consulenti: esternalizzazione del piano e della progettazione.

(c) Urbanistica fuori controllo, mera tecnica di governo.La rinuncia del controllo ministeriale, la frammentazione della legislazione urbanistica tra le regione, la variabilità del controllo regionale, dei piani territoriali e paesaggistici regionali, dei piani provinciali di coordinamento territoriale, la frammentazione della prassi negli 8003 enti locali, l'elasticità della VAS senza protocolli unificati e obiettivi strategici unitari rende privi di significato parole e azioni come consumo di suolo, standard urbanistici e relativi fabbisogni pregressi e futuri, fabbisogno residenziale, capacità insediativa e così via.

i. Nessuno è responsabile della sua attuazione.ii. Nessuna verifica possibile di efficienza e di efficacia.iii. Nessun livello scientifico di costruzione teorica.iv. Gli oneri urbanistici servono non come tassa di scopo, ma come fonte per la

sopravvivenza degli uffici.(d) Ridurre l'urbanistica alla progettazione urbana e all'architettura.

Il Piano Rinascita è la prima testimonianza di una volontà politica avversa all'urbanistica in senso assoluto (Propaganda Due (P2) 1982):

Provvedimenti economico sociali,b1) Nuova legislazione antiurbanesimo subordinando il diritto di residenza alla dimostrazione di possedere un posto di lavoro ed un reddito sufficiente (per evitare che saltino le finanze dei grandi Comuni);b2) nuova legislazione urbanistica favorendo le città satelliti e trasformando la scienza urbanistica da edilizia in scienza dei trasporti veloci suburbani.

Questo non è da confondersi né con Aldo Rossi (Rossi 1966), che si può condividere o non condividere, né con il tentativo dei piani degli anni '80 del secolo scorso (per esempio, a Bologna il Prg 1985) di promuovere l'attuazione del piano inserendo contestualmente progetti urbani di riqualificazione. Più ragionevole sarebbe trovare una qualche parentela con quanto è avvenuto in molte regioni italiane e università: semplici coincidenze o troppe coincidenze? Il fatto è che all'urbanistica pian piano si sostituiscono le politiche, i progetti urbani, la progettazione urbanistica (urban design, landscape design). Spesso si usa il termine “disegno” urbano, pessima traduzione di un “falso amico”, che però lentamente disorienta e fa vacillare il significato nella lingua madre.La riduzione dell'urbanistica all'architettura, alla forma degli edifici, delle strade e delle piazze, alla progettazione del paesaggio urbano o degli spazi urbani è una forma di riduzionismo, le cui conseguenze riguardano tutta la popolazione.

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Il fatto è che l'urbanistica non è un problema di architettura!

Suggerimenti per prepararsi al laboratorioDocumentari per un'introduzione transdisciplinare due documentari e un corto:

1. Home, Yann Arthus-Bertrand, producers: Denis Carot and Luc Besson, with PPR Group; coproducers Elzevir Films, Europa Corp, France 2, sponsored by UNEP, 2010.

2. Welcome to the Anthropocene, Planet Under Pressure conference, London 26-29 March, Copyright: Globaia. Planet Under Pressure, SEI, SRC, CSIRO, 2012.

3. planet RE:think, Eskil Hardt, producer Ace & Ace with EEA, UNEP, Eskil Hardt, 2012.Libri di fotografie:(Arthus-Bertrand 2014); (Salgado e Salgado 2013).

BibliografiaArthus-Bertrand, Yann. 2014. La terra vista dal cielo. Catalogo. Cinisello Balsamo: Silvana

Editoriale.Propaganda Due (P2). 1982. «Piano di rinascita democratica».«Riduzionismo». 2009. In Dizionario di filosofia. Treccani.

http://www.treccani.it/enciclopedia/riduzionismo_(Dizionario-di-filosofia)/.Rossi, Aldo. 1966. L’architettura della città. Padova: Marsilio.Salgado, Sebastiao, e Lelia Wanick Salgado. 2013. Genesi. Koln: Taschen.

Allegato: Dizionario di filosofia (2009) riduzionismo Der. di riduzione, sul modello dell’ingl. reductionism.

“Ogni concezione epistemologica che tenda a formulare concetti e linguaggio di una teoria scientifica nei termini di un’altra teoria considerata più fondamentale. Anche, la tesi secondo cui ogni asserto scientifico potrebbe venir tradotto in termini e predicati osservativi. Il r. fa il suo ingresso nel pensiero scientifico nei secc. 17° e 18° con il largo impiego del modello meccanicistico, basato sull’ipotesi che tutta la realtà fisica possa essere in definitiva ‘ridotta’ (e spiegata) in termini di particelle materiali e dei loro movimenti. Il modello meccanicistico è esteso già con Descartes (ma più ancora, nel Settecento, con La Mettrie) alle forme viventi, concepite come macchine complesse. Un’analoga prospettiva riduzionistica fu applicata, sempre nel 18° sec., ai fenomeni vitali, ricondotti a fenomeni fisico-chimici; a questa forma di r. si contrapposero le concezioni biologiche e vitalistiche. Un’altra forma di r., risalente anch’essa al 18° sec., ma sviluppata e discussa soprattutto nella filosofia della scienza contemporanea, è quella che sostiene la possibilità di ridurre i fenomeni psicologici e mentali a fenomeni di tipo neurofisiologico, a cui sarebbero in realtà identici. Nell’epistemologia contemporanea si parla talvolta di r. anche a

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proposito del cosiddetto individualismo metodologico, dottrina che propugna la necessità e la possibilità di spiegare gli eventi storico-sociali unicamente nei termini di azioni e preferenze di individui. Nel 20° sec. particolare attenzione al r. è stata rivolta dalla filosofia della scienza di orientamento neopositivistico, che, entro il quadro del progetto di unità delle scienze, lo ha concepito nella forma di una riduzione di una teoria a un’altra considerata più fondamentale e più comprensiva. Secondo la classica analisi di Nagel, volta a definire le condizioni empiriche e formali della riduzione interteorica, una teoria scientifica può essere ridotta a un’altra alle seguenti condizioni: (1) che i termini base della teoria vengano correlati ai termini base (e alle entità) della teoria riducente; (2) che gli assiomi e le leggi della teoria ridotta siano logicamente derivabili da quella riducente. L’esempio classico di Nagel è la riduzione della termodinamica alla meccanica statistica, verificatasi nella seconda metà del sec. 19°. A partire dai primi anni Sessanta del Novecento, tuttavia, è stata sempre più messa in evidenza, da parte degli approcci epistemologici storicamente orientati (in partic. di Kuhn e di Feyerabend), la implausibilità del progetto riduzionistico, soprattutto a causa delle caratteristiche peculiari di ogni teoria scientifica, ciascuna istitutiva di un proprio dominio di entità e di propri procedimenti esplicativi che le renderebbero «incommensurabili», anziché riducibili, l’una rispetto all’altra. Di r. si parla anche in riferimento a quelle concezioni che hanno cercato di ridurre tutte le asserzioni delle teorie scientifiche alla loro base osservativa, sia che venga intesa in termini di dati sensoriali (per es., in Mach e Russell) o in termini di definizioni operazionali (per es., in Bridgman). Tale programma ha soprattutto caratterizzato il neopositivismo originario, passato da una primitiva fase fenomenistica (riduzione delle asserzioni e dei termini teorici ad asserzioni su dati di senso) a una fase fisicalistica (riduzione a un ‘linguaggio cosale’). La realizzabilità di questo programma, che ha visto impegnato in modo particolare Carnap, sarebbe stata tuttavia messa in discussione da Hempel e soprattutto da Quine, per i quali le teorie scientifiche sono sistemi altamente integrati e interconnessi, correlati all’esperienza soltanto attraverso la mediazione di ipotesi e definizioni e, pertanto, non riducibili a un linguaggio puramente osservativo. A Popper, Hanson e Lakatos si deve d’altra parte l’influente tesi radicalmente antiriduzionistica del carattere intrinsecamente teorico della stessa osservazione”.

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RIFERIMENTI GENERALI1

1. IPCC, 2013: Climate Change 2013: The Physical Science Basis; Climate Change 2014.Impacts, Adaptation, and Vulnerability Part A: Global and Sectoral AspectsPart B: Regional Aspects, Cambridge University Press, Cambridge, UK/New York USA.

2. FAO, Land and Water Division, John Latham, Renato Cumani, Ilaria Rosati, Mario Bloise, Global Land Cover (GLC-SHARE) Beta-Release 1.0 Database, 2014

3. Abaza, Hussein. 2004. Environmental Impact Assessment and Strategic Environmental Assessment: Towards an Integrated Approach. 1st ed. Geneva, Switzerland: Economics and Trade Branch, Division of Technology, Industry, and Economics, United Nations Environment Programme.

4. Beatley, Timothy. 2000. Green Urbanism: Learning from European Cities. Washington, DC: Island Press.

5. Beatley, Timothy, Michaela Brüel, Wulf Daseking, Maria Jaakkola, Lucie Laurian, Rebeca Dios Lema, Dale Medearis, Marta Moretti, Luis Andrés Orive, and Camilla Ween. 2012. Green Cities of Europe Global Lessons on Green Urbanism. Edited by Timothy Beatley. Washington, DC: Island Press. http://search.ebscohost.com/login.aspx?direct=true&scope=site&db=nlebk&db=nlabk&AN=452761.

6. EEA. 2012. Urban Adaptation to Climate Change in Europe. Challenges and Opportunities for Cities Together with Supportive National and European Policies. EEA Report 2/2012. Copenhagen: EEA European Environment Agency.

7. Foley, Jonathan. 2010. “Boundaries for a Healthy Planet.” Scientific American 302 (4): 54–57. doi:10.1038/scientificamerican0410-54.

8. Hyett, David. 2010. “Environmental Risk Assessment in Environmental Impact Assessment – Optional or Mandatory?” In 30th Annual Meeting of the International Association for Impact Assessment. , International Conference Centre, Geneva - Switzerland: IAIA10 Conference Proceedings. www.iaia. org.

9. Millennium Ecosystem Assessment (Program). 2005. Ecosystems and Human Well-Being: Wetlands and Water Synthesis: A Report of the Millennium Ecosystem Assessment. Washington, DC: World Resources Institute.

10. Nellemann, C, Emily Corcoran, and United Nations Environment Programme. 2010. Dead Planet, Living Planet: Biodiversity and Ecosystem Restoration for Sustainable Development : A Rapid Response Assessment. Nairobi, Kenya: United Nations Environment Programme. http://www.grida.no/publications/rr/dead-planet/.

11. Pianka, Eric R. 1994. Evolutionary Ecology. 5th ed. New York: HarperCollins.12. Pianka, Erik R. n.d. “Population Growth and Regulation.” School of Biological Sciences,

University of Texas, Austin. http://www.zo.utexas.edu/courses/Thoc/PopGrowth.html.13. Randall, Alan. 2011. Risk and Precaution. Cambridge, UK ; New York: Cambridge

University Press.14. Schaffer, Daniel, and Derek Vollmer, eds. 2010. Pathways to Urban Sustainability: Research

and Development on Urban Systems: Summary of a Workshop. Washington, D.C: National Academies Press.

15. Solgaard, A., I. Rucevska, C. Neumann, C. Cavaliere, S. Lutz, M. Fernagut, and M. Julseth. 2012. Vital Graphics on Payment for Ecosystem Services: Realising Nature’s Value. GRID-Arendal. http://www.grida.no/publications/vg/pes/.

1 Questi riferimenti erano allegati al primo modulo didattico del laboratorio nel 2015.

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DOI: 10.13140/RG.2.1.2676.7126

16. Steffen, W., W. Broadgate, L. Deutsch, O. Gaffney, and C. Ludwig. 2015. “The Trajectory of the Anthropocene: The Great Acceleration.” The Anthropocene Review, January. doi:10.1177/2053019614564785.

17. Steffen, Will, Åsa Persson, Lisa Deutsch, Jan Zalasiewicz, Mark Williams, Katherine Richardson, Carole Crumley, et al. 2011. “The Anthropocene: From Global Change to Planetary Stewardship.” Ambio 40 (7): 739–61. doi:10.1007/s13280-011-0185-x.

18. United Nations Development Programme, and Bureau for Crisis Prevention and Recovery. 2004. Reducing Disaster Risk: A Challenge for Development. New York: United Nations Development Programme, Bureau for Crisis Prevention and Recovery.

19. United Nations Environment Programme. 2011. Towards a Green Economy: Pathways to Sustainable Development and Poverty Eradication. Nairobi, Kenya: UNEP.

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Modulo 01a50/9 & 100/+2: le responsabilità della disciplina e della

politica a fronte di cambiamenti globali - Luca Marescotti.

L’urbanistica è vista troppo spesso come una pratica negativa, un elemento di appesantimento burocratico, un laccio alla libera iniziativa, anche perché in Italia, ma non solo in Italia, mischiata a una politica di basso livello, a corruzione, a arbitrio.In contraccambio, altrettanto spesso è presentata come laboratorio di idee per la città del futuro, capace di dare un senso al progetto di nuovi spazi, di essere strumento efficiente per la trasformazione dei luoghi, per la riqualificazione di aree degradate.Raramente, troppo raramente, il presupposto è trattare l'urbanistica come una scienza normale.Gli urbanisti dal canto loro, implicitamente, preferiscono redigere piani, essere consulenti piuttosto che irrobustire la struttura conoscitiva e impostare teorie da sottoporre alla comunità scientifica, mentre invece si confonde la documentata storia della prassi italiana come fondamenti disciplinari (Salzano 2003). Pochi vogliono inquadrarla in un contesto più ampio.In fin dei conti, la copertura del suolo artificiale (città e infrastrutture) è solo lo 0.6% delle terre emerse (Latham et al. 2014), anche se così ci si dimentica del fatto che le città sono i fattori (driver) trainanti dei cambiamenti globali. Le città sono anche state il motore trainante nel nostro antico passato della rivoluzione sociale con la rivoluzione urbana. Se l'Olocene aveva favorito la crescita umana e la rivoluzione agricola di 10-12 mila anni fa, fu solo dopo alcune migliaia di anni che avvenne la rivoluzione urbana nella Mezzaluna Fertile con cui si diedero nuovi impulsi agli esseri umani, non più come fratrie, ma come società rette da un re-divino.Sono passati 5.500 anni circa e alla rilettura degli archeologi, Vere Gordon Childe primo fra tanti e proprio nella prestigiosa The Town Planning Review (Childe 1950), si riconosce l'importanza del fenomeno urbano non solo nei suoi aspetti fisici, ma in un miscuglio di fenomeni fisici e sociali. Lewis Mumford parla di megamacchine (Mumford 2011, prima edizione 1967), cioè di strutture sociali che producono sempre di più e più in fretta, che guidano la grande accelerazione tecnologica iniziata negli anni ’50, che ha fatto esplodere le tecnologie a livelli incredibili: ma è questa città, che peraltro disegnarono Hilberseimer (Hilberseimer 1967) e Le Corbusier (Le Corbusier 1966) la città reale e la città che noi vogliamo?Antropocene è anche ecumenopoli (Doxiadis 1968): un sistema di sistemi urbani abitato da quasi 3,5 miliardi di persone.Il problema è questo, quindi: noi pensiamo e conosciamo come mai fummo in grado di pensare e di conoscere, ma fatichiamo a adeguare quello che abbiamo imparato e che anche insegniamo non solo alle nostre scoperte (quanta strada manca ancora a fare propria, del proprio modo di pensare, la relatività e la meccanica quantistica?), ma anche nell'interpretare il mondo che cambia.A volte parliamo, con un cinismo particolare, di mercato e non della realtà: l’Europa negli anni tra il 1968 e il 1972 aveva stilato le tre carte dell'ambiente fisico -Carta dell’aria, Carta dell’acqua e Carta del suolo- sottoscrivendo che bisognava insegnare tutto questo in tutte le scuole di ogni ordine e grado, ma non è stato così. Diciamo che erano solo chiacchiere, vane parole, senza obbligazioni.Non le insegniamo nelle scuole dell'obbligo, solo marginalmente in qualche università; non fanno parte di una strategia condivisa della formazione. Anzi l'ottica del mercato, il liberismo scettico, le rende materie eretiche, si diventa -nel mia campo- urbanisti eretici. Non si fa scienza, non si costruiscono teorie: questo secondo me è un problema, anzi il problema.

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Senza scienza e senza teorie non cerchiamo gli impatti, ma nemmeno potremmo capire quali impatti le città provocano nella biosfera. Ci consoliamo dicendo. “È solo lo 0,6 % delle terre emerse”.Dunque, che ruolo abbiamo noi che insegniamo l’urbanistica, che responsabilità ha quella politica che lascia i sindaci da soli, fornendogli in serie una molteplicità di servitori utili a produrre città sempre più in fretta e sempre più grandi, senza proteggere il territorio? Senza l'ecologia, senza grandezza ben definite, senza misurazioni e protocolli adeguati di misurazione, come sarà mai possibile valutare impatti, orientare i piani, costruire città a difesa dell'ambiente?Il mondo è complesso e noi viviamo in complessi sistemi socio-ecologici; non siamo megamacchine, ma sistemi in cui e da cui emergono proprietà nuove e diverse.Una mega-macchina si governa dall'alto, un sistema socio ecologico richiede che tutti i suoi componenti partecipino pro-attivamente al governo: la differenza non è marginale.Siamo allo stesso tempo soggetti in quanto motori del cambiamento e oggetti in quanto colpiti colpiti dal cambiamento.Ecco, questo è il punto:“Come possiamo far emergere proprietà capaci di prolungare le favorevoli condizioni dell'Olocene nell'Antropocene? Possiamo farlo senza ridiscutere l'urbanistica?”La questione grave attuale e globale è implicita nel legame tra diseguaglianze sociali, crescita demografica esponenziale, consumo di risorse e fattori critici del pianeta, cambiamenti globali.Stiamo raggiungendo alcuni limiti che riguardano l'intero pianeta (Rockström et al. 2009), (Reid et al. 2010), (Steffen et al. 2015) e abbiamo la consapevolezza che i fattori limitanti non sono solo il cibo o il petrolio (Meadows et al. 1972), (Meadows, Randers, e Meadows 2004), (Ehrlich 1968)(Ehrlich e Ehrlich 2009). Se sul finire degli anni '60 del Novecento Colin Clark sosteneva che la Terra era in grado di sfamare 47 miliardi di persone ((Clark 1968, p.153, citato in Peters 2001), Albert Allen Bartlet negli stessi anni faceva conferenze sulla crescita esponenziale citando la metafora dei batteri che si raddoppiano ogni minuto (Bartlett, s.d.). Confinati nello spazio ristretto di una bottiglia, solo due minuti prima di saturarla, avevano ancora uno spazio immenso per tre quarti vuoto: se ne rendevano conto? Come potevano rendersene conto?E noi, mentre stiamo riempiendo la Terra e stiamo avviando la transizione nell'Antropocene, ci rendiamo conto delle incognite che pesano sul futuro o dobbiamo cantare in coro le “magnifiche sorti e progressive” delle tecnologie? Speriamo che il tasso di fertilità decresca per scelta individuale e che le tecnologie industriali, in base ai profitti che generano, ridurranno impattiambientali e povertà? Abbiamo le risorse necessarie? Quant’è la capacità di carico? Masdar e le altre meraviglie costruite nei deserti ci salveranno o saranno la nostra condanna oppure solo inutili giocattoli costosi, capaci di distrarci dai problemi reali?Non conosciamo quale sarà l'impatto di città per 5 o 6 miliardi di persone sulla biosfera, ma forse dovremmo pensare a come sottrarre l'urbanistica dall'arbitrio e dall'incoscienza per farne una scienza consapevole e responsabile, una scienza tra le scienze, che si occupa dell'uso dei suoli, delle regioni urbane alla Richard T.T. Forman assieme alle altre scienze della terra, per governare azioni di lunga durata (Forman 2008). Ma tutto questo non può avvenire solo con l'impegno personale o con la libertà dell'insegnamento di singoli insegnanti, che è la stessa cosa, ma attraverso obiettivi e impegni comuni, attraverso una strategia condivisa.Con ben oltre sette miliardi1 di persone nel mondo e con una forte probabilità di raggiungere nel 2050 una popolazione di 9 miliardi, abbiamo occupato tutto il pianeta, ovunque imprimendo la nostra impronta, con molte diseguaglianze. Questo dà nuovi significati alle parole, alla conservazione della natura e della biodiversità, alla valorizzazione delle risorse, alla pianificazione dell'uso del suolo.

1 Quella soglia era stata raggiunta già nel 2011.

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Ora che siamo nell'Antropocene, dobbiamo credere a ciò che sappiamo, dobbiamo cambiare, dobbiamo riprogrammare il nostro modo di pensare. Dobbiamo interpretare insieme la grande trasformazione del pianeta. Per la prima volta nella storia umana disponiamo di una conoscenza diffusa e di osservazioni scientifiche che ci fanno vedere globalmente la natura della biosfera.La biosfera ora è il nostro paesaggio culturale, non più soltanto un parco, per quanto sia grande, o un giardino, per quanto sia artistico: è il guscio sottile entro cui possiamo vivere.Per questo la biosfera (l'ambiente) è un bene comune, anzi il bene comune per eccellenza.Dobbiamo saperlo amministrarlo in un'ampia governance, a cui concorrono tutte le discipline, tutti i livelli di governo, tutti i rappresentanti degli interessi sociali.Dobbiamo aprire ogni i diversi campi delle scienze, perché abbiamo bisogno di insegnare e di lavorare muovendoci attraverso i saperi, senza penalizzare le interfacce culturali. Per quanto questo possa sembrare un appello strettamente italiano, questo non è per nulla legato solo ai nostri settori scientifici e disciplinari. Questo significa che non dobbiamo temere di innovare le scuole a ogni livello di istruzione, di innovare percorsi formativi, di investire nell'istruzione. Nel mondo non abbiamo mai avuto una diffusione così vasta di istruzione di base: ma dobbiamo andare ancora più in là. I problemi globali pongono nuove sfide, per questo abbiamo bisogno di tutte le risorse intellettuali possibili su tutti i temi critici del pianeta e di questa nostra biosfera.Siamo soliti pensare che l'urbanistica sia un compito delle amministrazioni territoriali e che non sia una disciplina scientifica. Ma non è così: l'evidenza delle trasformazione globali mostra che è urgente riprogrammare il nostro modo di pensare. Per comprenderne il senso dobbiamo ribaltare l'approccio e chiederci perché gli urbanisti non si preoccupano di questi temi.La questione dell'uso del suolo è controversa e riguarda temi come: chi sono i proprietari della terra, e io intendo nella doppia accezione “la Terra” e “le terre”? Io intendo dire che se la biosfera e è un bene comune, anche la terra non dovrebbe essere un bene comune? Quali leggi vogliamo? Per esempio, il proprietario di un pezzo di foresta a Manaus o nel Borneo ha il pieno diritto di bruciarlo per trasformarlo in suolo agricolo o per allevare bestiame? L'ossigeno che produce non è forse lo stesso che tutti noi respiriamo? E l'anidride carbonica assorbita non è prodotta dai nostri cicli industriali? Il proprietario di un lotto vicino a una qualsiasi città europea ha il pieno diritto di costruirlo o di abbandonarlo qualsiasi fosse il suo uso? Qualsiasi porzione di terra in Europa, in Cina o in India deve o non deve essere soggetta a regole specifiche dei beni comuni?Ora, dobbiamo discutere delle responsabilità dell'urbanistica, nel suo senso originale come nella legge urbanistica nazionale (1150/1942 e successive modificazioni e integrazioni) di pianificazione urbana e pianificazione territoriale, riassumendo così i termini: a livello locale i piani non assumono responsabilità, poiché riguardano l'uso del territorio (per quanto estesa a tutto il territorio) da loro amministrato, con lo scopo principale di trasformare il terreno agricolo in terreno edificabile, così coniugando profitti pubblici e profitti privati. Questa è una tremenda complicazione. Il livello locale pare incapace di comprendere per definizione la dimensione globale.Anche lo strumento di valutazione più diffuso nel mondo2, la VAS, ha due o tre grandi limiti:

• quasi nessun paese traduce gli obiettivi globali (o i limiti planetari) in obiettivi locali utili a guidare le diverse VAS;• non ci sono protocolli per guidare l'implementazione della VAS, cosicché nulla può essereconfrontato e questi strumenti in molti casi sono del tutto inefficaci, tanto da rappresentaresolo oneri in più per il piano;• il governo dell'uso del suolo è troppo frammentato. In Italia, che rappresenta solo il 7% della popolazione mondiale con 60 milioni di abitanti, abbiamo più di 8000 comuni. I

2 Si vedano per esempio (Organisation for Economic Co-operation and Development 2006) (Partidário 1996) (Ahmed, Mercier, e Verheem 2005)

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comuni sono troppi per poter essere coinvolti in una politica globale di sostenibilità. Veramente troppi! I soli sindaci non potranno salvare il mondo; il potere degli enti locali può solo diventare una pressione per spingere a nuovi accordi i governi nazionali, nonostante alcuni superbi proclami (Barber 2013a), (Barber 2013b).

Se l'urbanistica -scienza tra le scienze della Terra e le scienze sociali- fosse capace di affrontare questi temi, forse sarebbe possibile studiare e capire quali impatti inducono le decisioni sull'uso del suolo. Se ponessimo l'insieme delle tre forze -i limiti delle risorse naturali, gli squilibri sociali e i limiti planetari- e i conseguenti enormi vincoli al nostro sopravvivere nell'Antropocene, forse sarebbe possibile trovare regole comuni per elaborare strategie e politiche.Il fatto è che lo studio del governo dell'uso del suolo non appartiene ancora a una scienza capace di intrecciare ecologia, scienze sociali e scienze fisiche, ma resta confinata nelle tecniche amministrative a fronteggiare da sole un diritto di proprietà sempre più inattaccabile.Si ripete da molte parti un inspiegabile ottimismo: abbiamo cibo sicuro per 9 miliardi di persone, con un traguardo temporale fissato al 2050. Questo significa “50/9”. A Parigi l'accordo di dicembre 2015 punta a non superare i 2 gradi centigradi nel 2100, ma le tensioni sociali misurate da anomali guerriglie salgono. 50/9 & 100/+2: che succederà nessuno può saperlo con certezza.Non è facile fare previsioni su lunghi termini, eppure per cambiare il tempo a disposizione potrebbe essere meno di dieci anni, ma alla politica normale già questo pare un orizzonte lontanissimo.Le tre forze che stanno combinandosi non dovrebbero allarmare? Come potremo entro questo orizzonte vicino, cambiare l'attuale modo di pensare per costruire strategie proattive?Queste domande portano altre domande, tutte intrecciate: come si potrà fermare la bulimia delle nazioni più ricche, come si potrà rallentare l'incessante crescita della popolazione mondiale?Sono corretti questi limiti della ricchezza personale: il limite inferiore 1,25 $ per persona / giorno, è davvero una buona misura per la povertà estrema3, e il limite superiore 75.000 $ per persona / anno che paiono essere sufficienti per garantire la ricchezza e il benessere di un individuo (seguendo le valutazioni del Nobel Angus Deaton4) può davvero essere un tetto massimo applicabile per tutti?In ogni caso che differenza tra queste cifre! E dunque: che tipo di miscela di ricchezza, povertà e guerre scenderà sui nostri nipoti prima di raggiungere un equilibrio? Che cosa accadrà più probabilmente? La politica sarà in grado di supportare un nuovo stile di vita in tutti i paesi?Possiamo ripetere ancora una volta, in assenza di migliori segnali: "Sono pessimista con l'intelligenza, ma ottimista per la volontà" (Gramsci 1929).Se questa volontà non la immettiamo nell'istruzione di ogni ordine e grado, come potremo maipensare di aver risposto alla domanda di responsabilità verso il futuro?

Bibliografia

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———. 2013b. «Why mayors should rule the world. (Perché i sindaci dovrebbero governare il mondo. Filmed Jun 2013; Posted Sep 2013)». In . TEDGlobal 2013. https://www.ted.com/speakers/benjamin_barber.

Bartlett, Albert Allen. s.d. «English transcript of Arithmetic, Population and Energy - a talk by Al Bartlett».

3 Si rimanda ai lavori della World Bank (World Bank 2007), (World Bank 2008) e al rapporto “The developing world is poorer than we thought but no less successful in the fight against poverty”, in cui si rivede la stima di povertà estrema come definita dal 1981, rilevando che al 2008 1 persona ogni 4 persone vive al di sotto di US$1.25 al giorno, mentre nel 1981 erano 1 su 2 (Chen e Ravallion 2008).

4 Il riferimento alla sua opera di analisi del rapporto tra benessere e reddito è (Deaton 2013).

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Chen, Shaohua, e Martin Ravallion. 2008. «The Developing World Is Poorer than We Thought but No Less Successful in the Fight against Poverty». A cura di World Bank. World Bank, Washington, D.C. 20433, USA. http://siteresources.worldbank.org/JAPANINJAPANESEEXT/Resources/515497-1201490097949/080827.

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Rockström, Johan, Will Steffen, Kevin Noone, Åsa Persson, F. Stuart Chapin, Eric F. Lambin, Timothy M. Lenton, et al. 2009. «A safe operating space for humanity». Nature 461 (7263): 472–75. doi:10.1038/461472a.

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Modulo 01bL'urbanistica per il piccolo pianeta - Luca Marescotti.

Il primo argomento che affronto è la complessità, facendo riferimento a un premio Nobel, un chimico e fisico russo, naturalizzato belga: Ilya Prigogine (Nicolis e Prigogine 1989), che indaga la complessità dei sistemi biologici, ma anche la nostra dimensione di sistema socio-ecologico e la necessità che abbiamo di partecipare tutti alla costruzione del futuro.Nelle città si mostrano mille temi in una gran confusione: questa è la complessità, che si palesa attraverso problemi, la cui soluzione, almeno provvisoria, richiede sia strategie condivise, sia capacità di coinvolgere attori pubblici e privati, imprese e sistemi educativi. L'urbanistica si proietta in tempi lunghi, si articola in molte aree, richiede di essere finanziata con risorse adeguate, di mantenere stretti controlli durante l'attuazione, in un contesto che è in continuo cambiamento e che ora assume i connotati di un cambiamento globale.I temi che ci interessa sottolineare riguardano la possibilità e il dovere a partecipare nella costruzione del futuro.I cambiamenti globali, la commistione delle culture ci obbligano anche a rivedere la nostra formazione, a rileggere i passi fondamentali per confrontare il contesto in cui furono formulati con il contesto attuale, per vedere come ripensare la nostra formazione e la nostra disciplina “urbanistica”.Ecco quindi che si inizia dalla politica, da Abraham Lincoln e dal suo saluto al monumento di Gettysburg, per superare il determinismo di Pierre-Simon Laplace e Auguste Comte, e proiettarsi con la partecipazione verso le sorti della Terra. Vediamo le due proposizioni contrapposte:

1. Comte: Savoir pour prévoir, afin de pouvoir (Sapere per prevedere, prevedere per esercitare il potere) (Comte 1936).

2. Lincoln: the great task remaining before us -- that this nation, under God, shall have a new birth of freedom -- and that government of the people, by the people, for the people, shall not perish from the earth (il nostro grande compito – che questa nazione, nella protezione di Dio, avrà una rinascita nella libertà e che il governare il popolo, del popolo, per il popolo non sparirà dalla terra (Lincoln 1863).

Poi, William Morris (Morris 1882), Patrick Geddes (Geddes 1915), Martin Heidegger (Heidegger 2000, originale 1951), sono altri passaggi, la cui fama li rende esemplari nella formazione della nostra cultura comune. Ecco, questo è il senso che dovrebbero avere la scuola e la università nella nostra formazione!Morris fornisce lo spunto per traslare la definizione di architettura nell'urbanistica e di superare l'estetica con l'etica e la responsabilità. Geddes ci spinge verso l'osservazione e l'importanza del contesto regionale (i discorsi sul rapporto locale-globale hanno inizio in queste sue pagine). Heidegger, con tutte le complicazioni della sua storia politica e del rapporto con il nazismo dilata la dimensione dell'abitare alla fratellanza, alla cura della terra, all'interezza dell'ambiente.

• Nel nostro contesto il loro pensiero ci porta a discutere su come prenderci cura della terra, sul ruolo dell'urbanistica e sui limiti che possiamo incontrare: limiti dello sviluppo, limiti agli impatti sul sistema della biosfera. Il punto è quindi di che genere di limiti stiamo trattando?

• La terra a disposizione degli esseri umani è sempre meno; l'intero pianeta sembra farsi sempre più piccolo rispetto alle nostre esigenze (UNEP/GRID-Arendal Maps and Graphics

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Library 2009). • Le Nazioni Unite hanno avviato un programma di valutazione delle risorse, che mette al

centro dello sviluppo umano il capitale naturale (Millennium Ecosystem Assessment (Program) 2005)

• Lo Stockholm Resilience Center (Centro sulla Resilienza di Stoccolma) ha posto l'accento sulle condizioni “misurabili” che possono alterare l'attuale equilibrio dinamico della biosfera, che da 10.000 anni mantiene le oscillazioni medie annuali globali entro ±1 grado centigrado: questi costituiscono i limiti planetari (Planetary Boundaries). Rispetto alla prima pubblicazione del 2009 (Rockström et al. 2009)i settori critici sono 10, la soglia di attenzione è stata rivista definendo una fascia di attenzione (zona di incertezza) compresa tra un limite di criticità e un punto di non ritorno e i settori in cui il punto di non ritorno è stato superato sono due (Steffen et al. 2015).

Tuttavia, dal punto di vista disciplinare oltre al riduzionismo, i cambiamenti socio economici sono stati accompagnati da una trasformazione radicale che vede la potenza delle tecnologie come leva di trasformazione dell'architettura e come strumento dell'urbicidio (Coward 2009). Il legame tra le due azioni di costruzione e di distruzione, sta nella nuova rappresentazione del potere e dell'immagine della città entrambe dominate dalla tecnologia e dalla rinuncia a perseguire strade di cooperazione.Il dominio si esercita anche attraverso la manipolazione della conoscenza, l'ignoranza e la disinformazione.Dobbiamo riprogrammare la nostra mente:

1. La città non è un problema di architettura.2. I paesaggi non sono problemi estetici.

Nella consapevolezza della limitatezza della Terra, della complessità della biosfera prodotta dall'interazione profonda tra sistemi fisici e sistemi biologici, dobbiamo riscrivere il saluto di Gettysburg per indirizzarlo a tutte le genti che ci hanno preceduto e a tutte le generazioni future:

that this PLANET shall have a new birth of freedom, and that this government of the people, by the people, and for the people shall

not perish from this Earth.

BibliografiaComte, Auguste. 1936. Cours de philosophie positive 1re et 2e leçons (1830-1842). Classiques

Larousse. Paris: Librairie Larouss. http://classiques.uqac.ca/classiques/Comte_auguste/cours_philo_positive/cours_philo_pos_1_2.pdf.

Coward, Martin. 2009. Urbicide: the politics of urban destruction. Routledge advances in international relations and global politics 66. London ; New York: Routledge.

Geddes, Patrick. 1915. Cities in Evolution. An Introduction to the Town Planning Movement and to the Study of Civics. London: Williams & Norgate.

Heidegger, Martin. 2000. «Bauen Wohnen Denken». In Vorträge Und Aufsätze. Vol. Band 7. Gesamtausgabe I. Abteilung: Veröffentlichte Schriften 1910-1976. Frankfurt am Main: Vittorio Klostermann GmbH.

Lincoln, Abraham. 1863. «The Gettysburg Address». novembre 18. http://www.abrahamlincolnonline.org/lincoln/speeches/gettysburg.htm.

Millennium Ecosystem Assessment (Program). 2005. Ecosystems and human well-being: wetlands

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and water synthesis: a report of the Millennium Ecosystem Assessment. Washington, DC: World Resources Institute.

Morris, William. 1882. Hopes and Fears for Art: Five Lectures Delivered in Birmingham, London, and Nottingham 1878-1881 (1882). London: Ellis & White.

Nicolis, Grégoire, e Ilya Prigogine. 1989. Exploring Complexity: An Introduction. Mir.Rockström, Johan, Will Steffen, Kevin Noone, Åsa Persson, F. Stuart Chapin, Eric F. Lambin,

Timothy M. Lenton, et al. 2009. «A safe operating space for humanity». Nature 461 (7263): 472–75. doi:10.1038/461472a.

Steffen, W., K. Richardson, J. Rockström, S. E. Cornell, I. Fetzer, E. M. Bennett, R. Biggs, et al. 2015. «Planetary Boundaries: Guiding Human Development on a Changing Planet». Science 347 (6223): 1259855–1259855. doi:10.1126/science.1259855.

UNEP/GRID-Arendal Maps and Graphics Library. 2009. «Our Shrinking Earth». <http://maps.grida.no/go/graphic/our-shrinking-earth>.

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Modulo 02Urbanistica e protezione ambientale per la sostenibilità delle trasformazioni territoriali – Annapaola Canevari.

Sostenibilità e sviluppo sostenibile: sono due termini che oramai sembrano acquisiti ed entrati a fare parte del lessico comune. Ma lo sono altrettanto i comportamenti e i provvedimenti che l’applicazione di questi concetti presuppone?

In realtà, i nostri stili di vita nonché le scelte strategiche di sviluppo di chi ha la responsabilità di guidare le trasformazioni del nostro territorio (infrastrutture e mobilità, modalità di insediamento, ..) molto spesso vanno in direzione diametralmente opposta.

Se è vero che una significativa attenzione viene posta ai fondamentali aspetti relativi al risparmio energetico e alla sostenibilità dell’edificio, non altrettanta cura si rileva nelle scelte di carattere urbanistico e di pianificazione del territorio e in quelle relative alla protezione ambientale che, troppo spesso non tengono conto delle caratteristiche (geologiche, idrologiche, ambientali) e della capacità di carico degli ecosistemi interessati.

L’Italia è un paese fragile, in cui la ricchezza dei paesaggi naturale e agrari, dei centri storici, delle acque e delle foreste è aggredita da una serie di minacce che provocano l’aumento costante del rischio idrogeologico, il proliferare di opere incompiute, abbandonate o sottoutilizzate e un consumo di suolo che, malgrado si continui a parlare di sostenibilità, sta erodendo il nostro territorio ad un ritmo forsennato. Basti pensare che solo le nuove opere infrastrutturali della Regione Lombardia (Brebemi, Teem e Pedemontana) “rubano” al territorio agricolo 1.600 ettari di terreno: una superficie pari a quindici volte l’area destinata a Expo 2015 o a 2.285 campi di calcio. (L. Corvi, Il record delle nuove autostrade, Corriere della sera.it, 5 dicembre 2013)

In questo quadro è evidente come il ruolo e la responsabilità dell’urbanistica nei confronti del nostro territorio e del suo (e nostro) futuro siano assai rilevanti, se non addirittura determinanti.

Dal 1977 il compito dell’urbanistica consiste nella previsione di tutte le operazioni di salvaguardia e trasformazione del suolo nonché di protezione dell’ambiente (d.p.r. n. 616 24 luglio 1977 - Delega dei poteri alle Regioni - Titolo V - Assetto ed utilizzazione del territorio); e in Regione Lombardia del 2005 l’urbanistica assume l’accezione più ampia e complessa di “governo del territorio” (Legge regionale 11 marzo 2005 n. 12, Legge per il governo del territorio).

Gli strumenti di pianificazione a disposizione per la previsione e il governo delle trasformazioni e la tutela del territorio sono numerosi e articolati e sono in grado di offrire risposte ai diversi livelli e scale territoriali e nei confronti dei diversi aspetti settoriali.

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Naturalmente si tratta di saperli usare correttamente e, soprattutto, di avere quella visione lungimirante cui si accennava all’inizio.

Purtroppo i recenti provvedimenti a scala nazionale e regionale non sembrano andare nella direzione auspicata: anzi in molti casi sembrano riproporre in chiave attuale vecchie logiche di uso e appropriazione del territorio a scapito dell’ambiente, del paesaggio e, in poche parole, del benessere e della sicurezza di tutti.

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Modulo 04Grandezze e misurazioni - Quantities and Measurements -

Conoscere per pianificare - Luca Marescotti.

La possibilità di monitorare il territorio, l'ambiente (qualità dell'aria, del suolo, dell'acqua), lo stato della pianificazione sono rese possibili da un articolato complesso di tecnologie, ma molto spesso sono progettate e gestite attraverso settori e strumenti separati, magari utilizzati in analisi estemporanee e poi abbandonate.Gli strumenti di pianificazione -Piano Strutturale, Piano Operativo, Regolamento Urbanistico- sono declinati in diverse versioni: in Regione Lombardia sono il PGT Piano di Governo del Territorio composto da DP Documento di Piano, il PS Piano dei Servizi e il PR Piano delle Regole, e per l'attuazione gli AT Ambiti di Trasformazione, che ogni comune può declinare come crede (urbana, periurbana, di riqualificazione, ambientale, ...); in Regione Emilia Romagna il PSC Piano Strutturale Comunale per le scelte strategiche di assetto e sviluppo del territorio, il RUE Regolamento Urbanistico Edilizio e il POC Piano Operativo Comunale, mentre per l'attuazione si danno i PUA/PPC Piani Urbanistici Attuativi / Progetti Planivolumetrici Convenzionati e i PRU Programmi di Riqualificazione Urbana; in Regione Campania si ha il PUC Piano Urbanistico Comunale, composto da PSC Piano Strategico Comunale e POC Piano Operativo Comunale e per l'attuazione il PUA Piano urbanistici attuativi, il PRIA Piani di recupero degli insediamenti abusivi e il RUE Regolamento urbanistico edilizio comunale; e così via. Senza dimenticare la rappresentazione dei contenuti dei diversi strumenti urbanistici è affatto priva di omogeneità così come le stesse norme rendendo molto complicata, se non impossibile, la costruzione di un quadro omogeneo dello stato delle previsioni urbanistiche regionali e nazionali.La questione non dipende solo da tutti gli altri nomi diffusi tra le regioni italiane, quanto la diversità delle legende e delle norme tecniche, che nell'insieme costituiscono un bel groviglio di dati, aggravato dalla difformità dei portali regionali, provinciali e comunali, che si moltiplicano in un labirinto incapace di fornire le necessarie informazioni sullo stato della pianificazione. D'altra parte sembra questo non essere l'obiettivo prioritario: si veda il caso della Regione Lombardia, tanto ben fatto, quanto poco utile alla partecipazione e al governo del territorio (Regione Lombardia 2016), (Regione Lombardia 2016).Ovviamente la questione non è solo italiana: nei confronti internazionali, ovviamente, la difficoltà raggiunge insormontabili complicazioni derivate dalle diversità delle leggi e delle istituzioni. Ma c'è un altro elemento che complica ulteriormente la questione: non esistono accordi sulle definizioni, sui riferimenti amministrativi e sulle quantificazioni, noostante il fatto che la produzione agricolo, la dimensione delle città e le previsioni di uso del suolo siano elementi non marginali delle politiche. Il tema è stato trattato in un testo del 1988 da Deborah Stone, un testo che dovrebbe costituire uno dei fondamenti disciplinari (Stone 1988), dove un intero capitolo tratta la parte che le analisi quantitative (i numeri) hanno nella formazione delle politiche e di come spesso siano visti non come rappresentazione oggettiva su cui lavorare, da manipolare nella continua ricerca del consenso. Forse questo è il limite e la spiegazione della loro inconfrontabilità, come si legge chiaramente anche nella frammentazione dei sistemi cartografici italiani con l'istituzione delle regioni (Canevari e Marescotti 1985).Lo strumento fondamentale di una gestione amministrativa è sempre stato il registro delle proprietà

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nelle sue diverse forme, dalla tavoletta d'argilla sumerica al catasto digitale (DOCFA 4.00.2 - DOcumenti Catasto Fabbricati versione 4.00.2) e al sistema informativo geografico digitale del piano è il sistema informativo geografico GIS geographical Information System.La difficoltà di costruire sistemi informativi ambientali (integrando quindi ambiente e territorio) non è senz'altro tecnica, ma richiede diverse professionalità per impostare correttamente il sistema: progettazione concettuale, progettazione logica, progettazione fisica (Alberti et al. 1995).L'impedimento a muoversi correttamente pare nascere dall'oblio di alcune tecniche tipiche dell'amministrazione, favorite da diversi fattori: l'arretramento degli stati, il liberismo, la scarsa consapevolezza scientifica della disciplina e il rafforzamento dei confini disciplinari, attraverso i cosiddetti boundary-works (“scienza contro fede” versus “specializzazione, autoreferenzialità”) (Gieryn 1983), (Turner, Gardner, e O’Neill 2001).Lo scontro diviene uno scontro tra chiusura e apertura, tra disciplina, interdisciplinarità e transdisciplinarità.

Quattro gli elementi su cui poggia il mio discorso su “Grandezze e misurazioni - Quantities and Measurements - Conoscere per pianificare”:

1. la gestione amministrativa delle risorse e le funzioni delle informazioni.La storia inizia da lontano, con la rivoluzione urbana di 5.500 anni fa, e ha come inizio un archivio che usa un hardware di argilla e un software fatto di campi e di simboli. Poi il sistema si è sviluppato attraverso l'agrimensura romana, i cabrei e i catasti cartacei fondiari e urbani archiviati in mappali e in registri delle proprietà.

2. l'astrazione nelle rappresentazioni del mondo per governarlo e trasformarlo.La storia non è così semplice: implica processi di astrazione, condivisione di linguaggi e termini, di dati e definizioni, di processi di misurazione e di aggiornamento, di trasferibilità tra sistemi. Il processo di astrazione permette di passare dall'empirismo alla progettazione e alla pianificazione. Alla base del funzionamento dei sistemi informativi geografici, talvolta chiamati in Italia sistemi informativi territoriali, sta un processo fondamentale che lega il mondo delle entità di informazione

3. importanza del dato e della misura.Quali sono le misure che definiscono un oggetto comune di arredamento come un tavolo: le dimensioni, il materiale, la robustezza, la qualità. La misurazione è alla base dei processi di pianificazione, programmazione, progettazione, costruzione, così come è alla base di criteri operativi, di processi di controllo, di certificazioni di qualità. Questo in generale, senza un riferimento specifico a architettura ingegneria o urbanistica, introduce altri argomenti, tutti delicati: la raccolta e l'uso di dati significativi, aggiornati e certificati. Infine, tutto quanto è a sua volta collegato alle certificazioni dei dati -dati ufficiali da fonti istituzionali (authoritative data), dati certificato (definizione del dato e del protocollo di misurazione- e alle certificazione di qualità.Tuttavia, se prima non fossero state definite le grandezze di cui si vuole trattare e se non fossero state individuate le misure significative per descriverle, nessuno dei processi appena nominati, potrebbe essere svolto.

4. fasi concettuali: misurazione, registrazione, archiviazione e rappresentazione.In realtà ciascuna fase è legata alle altre, per quanto nel mondo digitale questo non paia subito evidente: all'apparenza basterebbe applicare una funzione di zoom per ingrandire, ma la questione è l'esistenza di coordinate sufficientemente fitte per permettere di dare senso all'ingrandimento. La scala di rappresentazione è legata agli aspetti operativi. Nella progettazione delle opere pubbliche (ma non solo) sono: progetto preliminare, progetto definitivo e progetto esecutivo

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(art. 16, Legge 109/1994). Nella pianificazione sono, per esempio: piano regionale, piano provinciale, piano comunale, piano operativo, piano particolareggiato, piano di lottizzazione. Dettaglio scala e regole di funzionamento e trasformazione di un sistema sono ambiti fortemente interrelati, e questo è splendidamente esposto in un libro classico e in filmato prodotto da una celebre coppia di progettisti: Charles Eames e Ray Eames (Morrison et al. 1986), (Eames e Eames 2013).Questo dovrebbe farci comprendere non solo il legame tra livello di pianificazione e livello di analisi, livello di intervento, ma anche l'esistenza di relazioni non banali tra macro e micro fenomeni urbanistici, un aspetto che richiama l'importanza della governance, come condivisione di strategie e tattiche tra i diversi livelli di governo territoriale.Concetti applicabili? Certamente, sono già stati applicati e lo accenneremo con due esempi, uno nazionale, il Catasto Svizzero, e uno comunale, Reggio Emilia. Gli esempi ormai sono molti e in tutto il mondo, a dimostrazione che la nostra è un'arretratezza tutta politica e non tecnologica.

A questo punto si aprono altre prospettive da cui guardare al piano attraverso due tipi di relazioni:1. “locale-globale” 2. “urbanistica-ecologia”.

I servizi ecologici e gli indicatori ecologici servono a completare le informazioni che il consumo di suolo e la permeabilità del suolo ci forniscono.Le grandezze chiave per l'urbanistica sono molteplici. Dobbiamo senz'altro non dimenticare quelle classiche dei piani, magari uniformandole a livello nazionale (perché non internazionale?), ma dovremmo includere gli indicatori usati dalla UE con la EEA Agenzia Europea per l'Ambiente [European Green Capital, European Green Leaf, Access City Award, European Soundscape Award, Emas III], a cui aggiungere la permeabilità dei suoli, il consumo dei suoli, il metabolismo urbano, l'impronta ecologica, senza smettere di indagare le frontiere aperte dalle ricerche sugli indicatori ecologici, alla ricerca di protocolli condivisibili per le misurazioni da applicare nei piani e nelle valutazioni ambientali strategiche.

RiferimentiAlberti, Marina, Lorenzo Bagini, Luca Marescotti, e Marta Puppo. 1995. I sistemi informativi

ambientali per l’urbanistica. A cura di Lorenzo Bagini e Luca Marescotti. Milano: Il Rostro.Canevari, Anna Paola, e Luca Marescotti, a c. di. 1985. La cartografia per l’urbanistica e

l’architettura. Milano: Clup.Eames, Charles, e Ray Eames. 1977. «POWERS OF TEN AND THE RELATIVE SIZE OF

THINGS IN THE UNIVERSE». Eames Office. http://www.eamesoffice.com/the-work/powers-of-ten/.

Gieryn, Thomas. 1983. «Boundary-work and the demarcation of science from non-science: Strains and interests in professional ideologies of scientists». American Sociological Review 48 (6): 781–95.

Morrison, Philip, Phylis Morrison, Charles Eames, e Ray Eames. 1986. Potenze di dieci: le dimensioni delle cose nell’universo ovvero. Bologna: Zanichelli.

Regione Lombardia. 2016. «Home - Geoportale della Lombardia». http://www.geoportale.regione.lombardia.it/home.

———. 2016. «Home Page Mosaico». Consultato febbraio 18. http://www.cartografia.regione.lombardia.it/mosaico20/Home_Mosaico.jsp.

Stone, Deborah A. 1988. Policy Paradox and Political Reason. Glenview, Ill.: Scott, Foresman.

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Turner, Monica G., Robert H. Gardner, e Robert V. O’Neill. 2001. Landscape Ecology in Theory and Practice: Pattern and Process. New York: Springer.

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Modulo 5-6-7-8-10Costruzione del territorio, condizioni ambientali e rischi

naturali/La conoscenza del rischio [1]: vulnerabilità degli edifici e dei versanti. - Maria Pia Boni, Massimo Compagnoni, Floriana

Pergalani

Uno dei fenomeni naturali più impattanti sul territorio è senza dubbio il terremoto: infatti, nel corso della storia gli eventi sismici hanno determinato distruzioni e vittime con conseguenti mutamenti degli assetti urbanistici (abbandoni, delocalizzazioni, modifiche della struttura urbanistica delle città, ecc.).E’ necessario, quindi, che gli effetti di questo fenomeno siano presi in carico nelle politiche di gestione del territorio, per operarne una politica di riduzione.Il primo passo per effettuare una mitigazione del rischio sismico è la sua conoscenza. Il rischio è dato dalla combinazione della pericolosità di base, della pericolosità locale, della vulnerabilità e dell’esposizione.Per pericolosità di base [Gruppo di lavoro 2004 INGV (Massimiliano Stucchi coordinatore) 2004] si intende la misura dell’entità dello scuotimento atteso in un sito considerando un determinato periodo di ritorno, può essere espresso in termini di accelerazione massima al suolo. E’ una misura probabilistica e si ricava da analisi statistiche degli eventi passati.Per pericolosità locale (Dipartimento della Protezione Civile e Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome 2008) (Colombi, Compagnoni, e Pergalani 2011) (Regione Lombardia 2008) si intende la valutazione delle variazioni alla pericolosità di base dovute alla presenza di particolari condizioni geologiche e geomorfologiche. In particolare vengono calcolate le amplificazioni del moto del suolo e i fenomeni di instabilità (frane, liquefazioni, cedimenti).Per vulnerabilità fisica di edifici e sistemi antropici (Corsanego e Petrini 1994) (Calvi et al. 2006) si intende la propensione di un “oggetto” a subire danneggiamenti a seguito di un terremoto. Si valuta quindi la relazione tra l’azione sismica e il danno atteso all’oggetto considerato.Per esposizione si intende l’entità dei beni presenti nel sito colpito dall’evento o oggetto di studio.Nel corso del tempo si sono affinate metodologie per giungere ad una conoscenza sempre più approfondita dei vari aspetti del rischio e quindi per poter adottare azioni finalizzate alla mitigazione dello stesso. Non disponendo ad oggi di tecniche adeguate per la riduzione della pericolosità di base, è necessario agire a livello progettuale per salvaguardare le strutture dal un loro danneggiamento. Nel caso della pericolosità locale, è necessario considerare tali effetti, sia in ambito di pianificazione, sia in ambito di progettazione. La vulnerabilità è il fattore su cui maggiormente si può agire: la sua riduzione può essere indotta sia a livello di nuovi progetti, sia con interventi sull’esistente. Ne consegue, che per poter mettere in atto sistematicamente le azioni suddette una oculata normativa, sia urbanistica (Legge Regione Lombardia 2005), sia tecnica per le costruzioni (Decreto Ministeriale 14 gennaio 2008 2008), risulta essere fondamentale. La formazione di chi, a vario titolo, è professionalmente chiamato in causa per la mitigazione del rischio, è un ulteriore aspetto che deve essere particolarmente curato sia a livello universitario, sia professionale.

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RiferimentiCalvi, G.M., R. Pinho, G. Magenes, J. J. Bommer, L. F. Restrepo-Vélez, e H. Crowley. 2006.

«Development of seismic vulnerability assessment methodologies over the past 30 years. Paper No. 472». ISET Journal of Earthquake Technology 43 (3): 75–104.

Colombi, A., Massimo Compagnoni, e Floriana Pergalani. 2011. «Risposta sismica locale: la MS come strumento discriminante per l’utilizzo di approcci semplificati o di specifiche analisi». Ingegneria Sismica (Supplemento) XXVIII (2): 65–68.

Corsanego, Alfredo, e Vincenzo Petrini. 1994. «Criteri di valutazione della vulnerabilità sismica del patrimonio edilizio esistente sul territorio nazionale». Ingegneria Sismica I: 16–24.

Decreto Ministeriale 14 gennaio 2008. 2008. NTC Norme Tecniche per le Costruzioni. , Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma. www.cslp.it.

Dipartimento della Protezione Civile, e Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome. 2008. ICMS - Indirizzi e Criteri per la Microzonazione Sismica. Dipartimento della Protezione Civile e Conferenza delle Regioni e Province autonome. 3 + CD vol. Roma: Dipartimento della Protezione Civile. http://www.protezionecivile.gov.it/resources/cms/documents/aggiornamento_indirizzi_microzonazione_sismica.pdf.

Gruppo di lavoro 2004 INGV (Massimiliano Stucchi coordinatore). 2004. «Redazione della mappa di pericolosità sismica prevista dall’Ordinanza PCM 3274 del 20 marzo 2003. Rapporto conclusivo per il Dipartimento di Protezione Civile». INGV Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. http://zonesismiche.mi.ingv.it/documenti/rapporto_conclusivo.pdf.

Legge Regione Lombardia. 2005. Legge per il governo del territorio.Regione Lombardia. 2008. Criteri ed indirizzi per la definizione della componente geologica,

idrogeologica e sismica del PGT, in attuazione dell’art. 57 della L.R. 11 marzo 2005, n. 12. ALLEGATO 5 DGR VIII/7374 (28-05-2008).

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Modulo 09Scienze e tendenze: la diffusione del concetto di resilienza -

Luca Marescotti.

La parola resilienza dovrebbe entrare a tutta forza nel campo delle parole importanti, tuttavia contro il suo uso corretto sta l'abuso “tutti dicono My city is resilient”, resilienza è diventata una parola d'ordine (buzzword1), così smorzandone significatività e potenzialità di strumento operativo. Quando usiamo una parola, in effetti, dovremmo sempre chiederci che cosa significa quella parola per noi e per gli altri, che cosa vogliamo dire, perché l'abbiamo scelta al posto di altre parole. La connessione urbanistica-resilienza propone alla discussione il contesto -urbanistica come scienza; il significato di resilienza nell'urbanistica- e l'utilità strumentale. Per proseguire i temi affrontati nel modulo “Grandezze e misurazioni - Quantities and Measurements - Conoscere per pianificare” dovremmo spostarci dalla letteratura strettamente urbanistica (potremmo prender come riferimento proprio la rivista “Urbanistica”) a quella ecologica, alle indagini sugli impatti umani sull'ambiente (la biosfera), sui servizi ecologici, sulle condizioni generali che reggono la biosfera e quindi sui limiti globali insuperabili (cioè che superandoli si avvia un'uscita non lineare dall'Olocene).Mi pongo quindi due domande: quali vantaggi ottengo dall'introduzione della resilienza nell'urbanistica? quanto può orientare le scelte meglio di altri indicatori?

Il contesto: urbanistica come scienza

Nelle premesse agli studi sulla struttura delle rivoluzioni scientifiche, Thomas Kuhn introduce in forma chiara, non ambigua e con validità generale una definizione di scienza, anzi di «scienza normale»:

«In questo saggio, ‘scienza normale’ significa una ricerca stabilmente fondata su uno o su più risultati raggiunti dalla scienza del passato, ai quali una particolare comunità scientifica, per un certo periodo di tempo, riconosce la capacità di costituire il fondamento della sua prassi ulteriore. Oggi tali punti fermi sono elencati, seppure raramente nella loro forma originale, dai manuali scientifici sia elementari che superiori.(…)» «La Fisica di Aristotele, (…) e molte altre opere servirono per un certo periodo di tempo a definire implicitamente i problemi e i metodi legittimi in un determinato campo di ricerca per numerose generazioni di scienziati. Esse furono in grado di fare ciò perché possedevano in comune due caratteristiche: i risultati che presentavano erano sufficientemente nuovi per attrarre uno stabile gruppo di seguaci, distogliendoli da forme di attività scientifica contrastanti con essi; e nello stesso tempo, erano sufficientemente aperti da lasciare al gruppo di scienziati costituitisi su queste basi la possibilità di risolvere problemi d’ogni genere. D’ora in avanti, per indicare i risultati che hanno in comune queste due caratteristiche, userò il termine ‘paradigmi’, che ha una precisa relazione col termine ‘scienza normale’. Con la scelta di questo termine ho voluto fare presente che alcuni esempi di effettiva prassi scientifica riconosciuti come validi – esempi che comprendono globalmente leggi, teorie, applicazioni e strumenti – forniscono modelli che danno origine a particolari tradizioni di ricerca scientifica con una loro coerenza.Queste sono le tradizioni che lo storico descrive con etichette quali ‘astronomia tolemaica’ (o

1 WHY: Resilient Cities has become a buzzword since „resilience‟ seems to be the catch-all term finding its application into social, physical, economical and social-ecological science. Urban systems are now more than ever the hot spots responsible for threatened planetary ecological boundaries. Climate change impacts and the global environmental change are challenging factors to be adapted to city development and management. During the last International Resilience Conference (Arizona University, March 2011) a group of young researchers from different countries started to build up a network of people involved in Urban Resilience projects and researches. This first workshop on Urban Resilience is the first international workshop leaded by this group who aim to reframe resilience perspectives applied to urban systems. (Chelleri 2011)

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‘copernicana’), ‘dinamica aristotelica’ (o ‘newtoniana’), ‘ottica corpuscolare’ (o ‘ottica ondulatoria’). Lo studio dei paradigmi (…) è ciò che principalmente prepara lo studente a diventare membro della particolare comunità scientifica con la quale più tardi dovrà collaborare.» (Kuhn 1969, pp. 29-30).

Durante una rivoluzione scientifica, come quelle operate da Copernico nella cosmologia, da Lavoisier nella chimica operata, da Franklin nell'elettrostatica, da Darwin nella biologia o da Einstein nella fisica, si assiste alla sostituzione dei paradigmi di riferimento: in quel frangente ci si trova di fronte a una “scienza straordinaria”, caratterizzata dalla capacità di guardare in modo nuovo e di offrire nuove teorie.Nell'urbanistica siamo di fronte a una situazione di forte contrasto: da una parte una forte pressione dovuta alle consuetudini e al diffuso riduzionismo, dall'altra parte, una spinta all'espansione sostenuta dalla necessità di una fase straordinaria, capace di rivoluzionare la disciplina, fornendo finalmente statuti e paradigmi. Una impedisce l'altra.

L'approccio della Rockfeller Foundation

Per ultimo, ma avrebbe forse dovuto essere il primo passo, accennerò a uno dei più forti promotori della resilienza in campo urbano con il programma CRF City Resilient Framekework e cioè la Rockfeller Foundation. In un qualche modo possiamo attribuire a un documento del 2011 l'avvio della disseminazione, anche se in realtà è dello stesso anno di Carpenter e di poco anticipa Alexander (Martin-Breen e Anderies 2011). Il progetto prende avvio all'interno di un programma privato di “beneficenza” e si avvale della collaborazione della società inglese di ingegneria ARUP:

“The City Resilience Framework is a unique framework developed by Arup with support from the Rockefeller Foundation, based on extensive research in cities. It provides a lens to understand the complexity of cities and the drivers that contribute to their resilience. Looking at these drivers can help cities to assess the extent of their resilience, to identify critical areas of weakness, and to identify actions and programs to improve the city’s resilience.” (Rockfeller Foundation e ARUP 2015 p.2)

Le parole d'ordine sono: Reflectiveness, Resourcefulness, Robustness, Redundancy, Flexibility, Inclusiveness, Integration, cioè: Riflessività, Intraprendenza, Robustezza, Ridondanza, Flessibilità, Inclusione, Integrazione. Come non essere d'accordo?Le risorse a disposizione spingono la ricerca, che però si trova ancora agli inizi, almeno da quanto traspare da un documento del 2015, che dovrebbe quanto meno indurre qualche cautela nell'uso del termine, dove si dichiara a proposito dello stato di avanzamento:

“The City Resilience Framework is the first step. It provides the foundation for the Index, defining its structure; the categories, the indicators and sub-indicators.” (Silva e Morera 2014, p.21)

Dunque l'elaborazione per fornire nel concreto strumenti di analisi e di progetto è ancora in fase di costruzione, con chiari obiettivi, che toccano almeno parzialmente l'urbanistica, sia citando all'inizio Jane Jacobs per il suo lavoro sulle città (Jacobs 1961), sia richiamando più volte nel corso del testo il ruolo dell'urbanistica per promuovere condizioni “resilienti”.Anche se gli obiettivi possono divergere di codesta beneficenza liberistica rispetto alla visione da noi espressa di un ruolo attivo dello stato e della politica, si può affermare che almeno tecnicamente le ipotesi della Rockfeller Foundation appaiano ben impostate.

Urbanistica vs resilienza

In questa visione -non molto condivisa come già osservato- di una scienza urbanistica e di un ruolo attivo dello stato e della politica, ci si interroga su quale debba essere il suo rapporto con la

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resilienza, citando solo, per subito trascurarli, coloro che ritengono che la resilienza debba essere una scienza (il che non vuol die che non debba essere trattata scientificamente).Per l'occasione inizierò da due fonti: La prima UR-net Urban Resilience network e la seconda ResilienceLAB con alcuni loro documenti: (Chelleri, Breton, e Olazabal 2011), (Chelleri et al. 2012), (Colucci e Cottino 2015).Il testo del 2012 fa da base all'associazione tra giovani ricercatori UR-net Urban Resilience research network (http://urbanresiliencenetwork.blogspot.it/). Il testo inizia discutendo il senso della resilienza per l'urbanistica e ne dà un'interpretazione che vuol catturare tutti gli aspetti “positivi” con cui la resilienza è declinata in diversi campi scientifici. Lo sviluppo de discorso si articola nella disamina di alcuni casi studio, in cui la resilienza è data come una qualità (attributo nominale), di cui per definizione se ne riconosce l'esistenza. Il testo, quanto ricco di citazioni, apre senz'altro un campo di ricerca, ma con scarsi mezzi a supporto capaci di dimostrarne quantitativamente l'utilità.Nelle conclusioni si afferma qualcosa su non si può essere in disaccordo, ma lascia un campo ancora tutto da dissodare per gli urbanisti, abituati a concetti analogie narrazioni e metafore, forse utili ma evanescenti (non trasformabili in grandezze misurabili):

“The lesson which emerges from this discussion is that, independent of the background discipline or terminology used, the purpose of our interventions (what – and / or who - should be resilient to what) in the urban system must be analysed and assessed along with its multiple, long-term, cascading effects.” (Chelleri et al. 2012, p. 70).

Il testo milanese non modifica la situazione di molto, include i positivi significati di resilienza coniugandola con la sostenibilità, con l'adattamento alle trasformazioni, ai rischi territoriali. Si presenta però come un'apertura metodologica, valutando alcuni esempi (il “QuartiereVasto” a Napoli, il coinvolgimento di comunità a Bergamo, gli orti urbani, il progetto LIFE+BLUE di Bologna), mai indagando indicatori, misurazioni e valutazioni, mai addentrandosi nella questione “urbanistica”.David E. Alexander2 geografo offre una erudita ricerca sul termine, sulle sue origini e uso e sulle potenzialità, ma il discorso non è affatto privo di utilità (Alexander 2013). La disamina delle origini non si limita al consueto percorso delle “riviste scientifiche”, ma va ben oltre e indaga i diversi significati che la resilienza assume di volta in volta nelle diverse discipline. Come non è possibile giungere a una definizione comune, così non è possibile ottenere una sovrapposizione di utilità, senza per questo negarne una dimensione specifica, che purtuttavia richiede in prima istanza di chiarire il senso con cui la si usa.

“I have purposefully condensed the overview of the modern uses of the term resilience (i.e. the last 60 yr) in

order to deal with them in more detail in the next section. Meanwhile, the essential message of this section is that resilience (resiliency, resile) has a long history of multiple, interconnected meanings in art, literature, law,

science and engineering. Some of the uses invoked a positive outcome or state of being, while others invoked a negative one. In synthesis, before the 20th century, the core meaning was “to bounce back”. Mechanics, aided

by politics, had already started to change that: in both the literal and the figurative sense, under the aegis of the resilience concept, ductility had been added to elasticity. Now let us consider how the idea was extended to

ecology.” (Alexander 2013, p.2710)

La difficoltà del percorso spinge come al solito verso scorciatoie insulse, trasformando la parola molto semplicemente in un toccasana totalizzante, non dimostrato né dimostrabile.In un articolo di Steve Carpenter3 del 2001 (Carpenter et al. 2001) centra il discorso sulla resilienza

2 Institute for Risk and Disaster Reduction, University College London, membro della Commissione Nazionale sulle Calamità Naturali della Gran Bretagna e del Consiglio Scientifico del CESPRO dell'Università di Firenze, dove ha contribuito alla fondazione dell'International Institute of Crisis and Security Studies.

3 direttore del Center for Limnology a Madison Wisconsin e collaboratore, tra le altre collaborazioni, dello Stockholm Resilience Center.

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sul passaggio da metafora a strumento, applicabile ai servizi ecologici. Dunque, se questo deve essere l'approccio, prima di di tutta si definisce il significato (persistenza-resistenza), si valuta come sia possibile descrivere il fenomeno e come misurarlo per concludere sul significato da attribuire correttamente alla resilienza.Il testo, citato anche da Chelleri, pone la questione metodologica molto chiaramente: questa è la strada per passare dalla metafora, non difendibile dal punto di vista di una utilità strumentale, alla misurazione, necessaria per qualsiasi valutazione quanto meno intersoggettiva.D'altra parte, l'ultimo riferimento non potrebbe che essere allo Stockholm Resilience Center , la più solida istituzione dedicata a questo tema, e ai famosi limiti planetari, che non solo mettono in luce l'ambiguo ruolo della resilienza (positivo o negativo), ma anche la necessità di trovare indicatori misurabili per mettere in atto politiche locali in grado di contrastare i cambiamenti globali.Il motto potrebbe essere “Restiamo nell'Olocene!” come l'abbiamo conosciuta da 12÷10.000 anni, che ha permesso le prime grandi rivoluzioni umane: quella agricola e quella urbana. La strada da intraprendere è convertire le tecnologie, abbandonando la strada intrapresa con “la grande accelerazione (the great acceleration)”, il cui inizio simbolico è il 16 luglio 1945, giorno del Trinity Test ovvero l'esplosione della prima bomba atomica.

La città è la sua gente

La città è senz'altro -su questo tutti sono d'accordo- un sistema socio-ecologico complesso, con molte diversità fisiche (ogni città ha caratteristiche fisico territoriali uniche), con diversi rapporti di permeabilità del suolo, di verde urbano e parchi, ma soprattutto con una composizione sociale fortemente diseguale, dove le componenti più deboli economicamente sono le più fragili e le più esposte, come si vide nel caso del terremoto di Haiti o degli impatti di Katrina su New Orleans. Di Napoli e del Vesuvio converrà tacere, attendendo.Resilienza di chi e a che cosa? La domanda di Carpenter ci perseguita, ma “che cosa è la città, se non la sua gente?” (Shakespeare 1607).Alla fine, sento il bisogno di formulare due ulteriori domande, di cui temo le risposte:

1. come mai reti e centri sulla resilienza non parlano di urbanistica e di governo dell'uso del suolo?

2. non sarà mai che gli urbanisti abbiano paura delle misure?In fondo, tutta questa gran confusione di leggi legende concetti contaminazioni disciplinari pare rispondere solo a una doppia necessità della politica, responsabile di entrambe le risposte, che vive sul breve tempo: non far capire i propri intendimenti e nascondere le proprie responsabilità oppure in altre parole “mascherare e mascherarsi”.

RiferimentiAlexander, David E. 2013. «Resilience and disaster risk reduction: an etymological journey».

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Chelleri, Lorenzo, a c. di. 2011. «International Workshop on URBAN RESILIENCE. How to Apply Resilience Thinking to Urban Environments».

Chelleri, Lorenzo, Françoise Breton, e Marta Olazabal. 2011. «Some starters for the translation of resilience theory into city planning practices». presentato al Resilience 2011. resilience, Innovation, and Sustainability, Tempe, Arizona.

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Chelleri, Lorenzo, Anna Kunath, Guido Minucci, Marta Olazabal, James J. Waters, e Lilia Yumalogava. 2012. Multidisciplinary perspectives on Urban Resilience. A cura di Lorenzo Chelleri e Marta Olazabal. Bilbao: BC3, Basque Centre for Climate Change.

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