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Ticino7

Date post: 15-Feb-2016
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Numero 3 - Settimanale della Svizzera italiana
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Agorà Alzheimer: la vicinanza che scompare DI GAIA GRIMANI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4Luoghi Una Cattedrale vegetale DI ALESSANDRO TABACCHI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6Letture L’uomo è ciò che “fa” DI GIANCARLO FORNASIER . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7Vitae Edo Bertoglio DI STEFANIA BRICCOLA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8Reportage Il Goetheanum DI ELISABETTA LOLLI; FOTOGRAFIE DI MATTEO AROLDI . . . . . . . . . . . . . . . . 33Giochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39

Noi e le “cose”: per una cultura del fare

Realizzare un oggetto con le proprie mani nonha eguali. Se eseguito con i dovuti criteri fun-zionali ed estetici – insomma, “bello anche daguardare” oltre che confacente al suo compito –,la sua stessa costruzione è un’esperienza irripe-tibile. Prima ancora della sua “messa in opera”vi è la progettazione, a volte solo mentale.Nessun disegno, nessunamisura: l’oggetto è giàfra i nostri pensieri è lì prende vita. Ma l’attocreativo porta sempre in sé il seme dell’errore,che cresce con la complessità di quello stiamofacendo. L’imprevisto: una somma di casualità,inesperienza o semplice incapacità. Non tuttiinsomma possiamo (e dobbiamo) saper faretutto. Anche in ambiti apparentemente menocomplessi come la cucina, la certezza del risul-tato è spesso solo unmiraggio: la preparazionedi un piatto e “l’esecuzione” di una ricetta por-terà a un risultato “sempre uguale”? No, forsesimile ma non identico. La stessa provenienzadell’acqua utilizzata per la preparazione di uninnocuo piatto di pasta al burro ha un’impor-tanza tale da modificare tempi di cottura esapore del povero bucatino. E l’aggiunta delburro (con tutte le sue variabili qualitative)

moltiplica ulteriormente il ventaglio dei risul-tati finali. La nostra realtà è complessa e sfug-gente, banale solo agli occhi di chi non vuoleo non ha gli strumenti per osservarla. L’uomo,le sue capacità, la civiltà e le sue conoscenzeacquisite (e spesso perdute) sono in grado diraccontare non una ma milioni di storie. Tuttesimili ma in fondo tutte molto diverse: perchéalle loro spalle vi sono ingredienti non identici.La ricchezza e la meraviglia di quello che cicirconda in fondo sta tutta qua: non potremomai avere ciò che credevamo di ottenere percerto. In questo senso, il “fare” non può cheaiutarci ameglio comprendere i nostri limiti: noistessi. Esperienze culturali e sociali come quelleespresse e legate alla figura di Rudolf Steiner –che affrontiamo nel nostro Reportage e la cuifigura è al centro di un profondo dibattito oltreGottardo –, mostrano come al nostro innatobisogno di esprimerci sia necessario proporreidee e soluzioni. Esse possono essere conside-rate per alcuni errate e controproducenti. Mal’immobilismo politico e sociale certo nonrappresenta una risposta accettabile.

Buona lettura, la Redazione

Ticinosette n° 321 gennaio 2011

Tiratura controllata72’011 copie

Chiusura redazionaleVenerdì 14 gennaio

EditoreTeleradio 7 SA, Muzzano

Direttore editorialePeter Keller

Redattore responsabileFabio Martini

CoredattoreGiancarlo Fornasier

Photo editorReza Khatir

Amministrazionevia Industria6933 Muzzanotel. 091 960 33 83fax 091 960 31 55

Direzione, redazione,composizione e stampa

Centro Stampa Ticino SAvia Industria6933 Muzzanotel. 091 960 33 83fax 091 968 27 [email protected]

Stampa (carta patinata)Salvioni arti grafiche SABellinzonaTBS, La Buona Stampa SAPregassona

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In copertinaIllustrazione di Antoine Deprez

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Agorà

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L’Alzheimer,definita anche “epide-miasilente”,è inaumentoprogressi-vointuttoilmondo.Èprobabilmentelamalattia che inassolutocoinvolgepiù di ogni altra chi si prende curadel malato. A questo numero scon-finato di persone, impegnate nellacura dei loro cari, rivolgiamo lanostra attenzione e la nostra inda-gine per suggerire possibli rimediallo sconforto che spesso le investe

Solo in Svizzera 250.000 persone sonotoccate direttamente dalla malattia

di Alzheimer. Non si tratta dei malati –circa 90.000 in tutta la Svizzera e 3.000nel solo Canton Ticino – ma dei lorofamiliari, che si trovano accanto allepersone sofferenti della forma più diffusadi demenza. E la situazione è destinata apeggiorare, considerando il progressivoinvecchiamento della popolazione.La malattia di Alzheimer rappresenta unenorme problema per migliaia di fami-glie, completamente spiazzate di frontea una diagnosi che si presenta comeuna vera e propria condanna. Non c’èforse un’altra malattia che coinvol-ga così profondamente la vita di unnucleo familiare, aggiungendo alla sof-ferenza del malato quella delle personecare che gli sono accanto. Per approfon-dire l’argomento abbiamo parlato a lungocon Rita Pezzati, psicoterapeuta e docen-te SUPSI, che da oltre 20 anni si occupaspecificamente di questi problemi.

Signora Pezzali, quando si può ragio-nevolmente sostenere che una personaè affetta da Alzheimer?“Una persona ha l’Alzheimer quando siriscontrano una serie di comportamenticome dimenticanze ripetute, che sussistonoanche in condizione di attenzione, incapa-cità di gestire alcune operazioni quotidianeo problemi di linguaggio. Vale allora lapena recarsi da un medico ed esaminare lasituazione. La malattia di Alzheimer è unadelle tante modalità in cui si esprime unademenza, solitamente senile. La diagnosirischia di far precipitare paziente e famiglie

nella disperazione poiché si tratta di un di-sturbo degenerativo che non lascia purtroppoadito alla speranza di guarigione”.

Che differenza c’è per chi assiste ilproprio parente nelle varie fasi dellamalattia?“Nella fase iniziale abbiamo un paziente cheè ancora autonomo e riesce a svolgere tuttele attività di prima, anche se la memoriapresenta dei buchi e si manifestano altera-zioni nel linguaggio. Nella fase intermedia,invece, non può più stare da solo: si perde

negli spazi ampi e va assistito in tutto.Il proprio caro, a poco a poco, scompare.In realtà scompare/appare con finestredi lucidità che possono durare anche

pochi secondi in cui sembra riaffiorare unbarlume dell’antica persona. Queste finestredi lucidità sono da una parte una boccata diossigeno, dall’altra una disperazione perchés’intravede di nuovo per un momento lapersona a noi cara, che amiamo, la qualeviene subito «riportata» via per sempre. Inquesta fase chi si prende cura del malato èsottoposto a un carico di lavoro spaventoso;la giornata diventa veramente di 36 ore...L’impegno richiede una grande forza fisicae psichica e genera un enorme sconforto inun’altalena di sentimenti contrastanti chepossono condurre all’esaurimento”.

Come fare in questi casi?“A questo punto l’ideale sarebbe che i fa-miliari partecipassero ai gruppi di sostegnoemozionale che Pro Senectute e l’Associazio-ne Alzheimer organizzano. Sono gruppi dipersone che s’incontrano tutti i mesi, e in cuic’è da una parte uno scambio di informazio-

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diGaia

Grimani

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ni concrete con un animatore professionistae, dall’altra, uno scambio di esperienze congli altri partecipanti. È molto confortanteincontrare persone che hanno maturatoesperienze con malati, magari molto piùgravi del nostro familiare e ce l’hanno fatta.Consola e infonde coraggio”.

Come cambia ciò che sente il familia-re in relazione al rapporto di paren-tela che ha con l’ammalato?“Cambia completamente. Se, per esempio,il malato è il proprio compagno o il propriopadre, il sentimento di sconforto può essereenorme e più forte il coinvolgimento nellaprogressiva perdita di contatto, in quantoil compagno è uno specchio identitario nelquale continuamente ci «co-costruiamo»e il padre è uno specchio in cui ci siamocostruiti un tempo. Entrambi questi specchiè come se ci venissero rubati dalla malat-tia; quando invece il malato è una zia, unsuocero o un’altra persona più lontana èsempre drammatico, ma in maniera moltopiù sfumata...”.

Ci sono in questa malattia anche icosiddetti malati “giovani”: chi sonoquesti pazienti e quali problemi par-ticolari presentano?

“Per «giovani» s’intendono malati al disotto dell’età di pensionamento. I problemiqui sono ancora più importanti di quellidati dalle persone anziane: innanzi tuttola perdita del lavoro con le difficoltà finan-ziarie che ne derivano. Inoltre, quando un«giovane» nella fase intermedia della ma-lattia si trasforma in un «vecchio» che nonsa più lavarsi, non sa più vestirsi e magariin casa sono presenti dei bambini, ecco chetutto diventa più drammatico”.

Che cosa succede nell’ultima fase?“Nella fase finale la situazione è disperanteperché il malato è totalmente dipendente echi se ne occupa spesso non ce la fa più”.

A che cosa può giovare a questo puntoinserire il proprio congiunto in unastruttura medicalizzata?“In un certo momento, fortunatamente, cisi rende conto che per il bene del malato eper il proprio è meglio che ci sia qualcunoche di tanto in tanto possa dare un cambio.Si accolgono allora altre persone in casa e siricorre agli aiuti domiciliari, ai volontari eai Centri diurni. Gli amici, intanto, pianopiano sono spariti; diventa difficile uscirein situazioni sociali, come a teatro, al ci-nema... anche recarsi al ristorante diventa

problematico. Chi cura il malato, quindi, sitrova molto solo, spesso con discussioni infamiglia con chi s’intromette con giudizi osuggerimenti. Tutto il tempo è occupato e ladimensione personale svanisce. Ci può, poi,essere un momento in cui nonostante gliaiuti a casa non è più possibile continuaread assistere una persona così deteriorata esi è costretti ad affidarla a una struttura.Questo provoca un senso di fallimento tota-le, ma anche la speranza di star meglio; cosache non succede, perché si entra nello stressdi controllare che in quella struttura faccia-no le cose «come si deve». Per sopravviverea questa condizione è necessario concedersi,pur sporadicamente, dei momenti di riposo,togliendosi dalla pericolosa situazione dicredersi indispensabile...”.

Ma tutto ciò è sufficiente?“Alcuni familiari particolarmente toccatichiedono a volte una psicoterapia singolaper riuscire a trasformare la terribile sof-ferenza in un momento di crescita. Non èimpresa lieve trovare il senso in una cosache sembra totalmente insensata e soprat-tutto superare il dolore per la perdita diuna persona che, pur viva, non c’è più. Ciè stata sottratta senza alcuna speranza direstituzione”.

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Permettetemi di iniziare con una nota personale. Negli annidegli slanci ideali dell’adolescenza, fu lo studio dell’arte diCaspar David Friedrich e di Giovanni Segantini (quest’ultimo inmostra sino alla fine di aprile presso la Fondazione Beyeler a Basilea,ndr.) a portarmi a una “concezione mistica” del nostro paesag-giomontano. Un sentimento esaltante nato sui libri e nei museie rafforzato in concreto dalla pratica dell’escursionismo. E ancoroggi non vi è cima alpina, anelata o salita, o vallata, percorsao vista dall’alto, che nonmiriporti sempre alla mente lasconfinata bellezza del me-raviglioso Trittico della vitasegantiniano. Nelle altezzee nella solitudine dei monticerco il senso profondo delsacro, avvicinandomi allemontagne come se fosserovere cattedrali della natura.Era necessario per me fa-re questa introduzione perpoter descrivere lo stuporee la gioia autentica che hoprovato quando, alcune set-timane fa, mi sono imbattu-to, quasi per caso, nell’operad’arte ambientale che stoper descrivere. Uno stuporee una gioia di cui vorrei po-tessero godere in molti.Stavo ritornando da unaescursione autunnale sulPizzo Arera, nelle vicine Prealpi Orobie, quando mi sono tro-vato, all’inizio di un breve sentierino ai lati della strada in loca-lità Plassa, davanti a un cartellone che recitava “Cattedrale vege-tale del Monte Arera”. La curiosità fu immediata. Sono bastatidue minuti a piedi e subito sono arrivato al pianoro, panora-mico e circondato da splendidi boschi, sul quale è stata eleva-ta la Cattedrale. Si tratta di una struttura a cinque navate, unasorta di scheletro vegetale di una cattedrale gotica, costruitautilizzando l’antica arte dei roccoli, tipica dell’area prealpina.Le dimensioni sono imponenti – il lato lungo raggiunge qua-si i 30 metri, l’altezza della navata centrale arriva ai 15 metri– e s’impone con la forza subitanea di un’apparizione misti-ca. Camminando nelle navate di questo tempio alla Natura siscopre che le 42 gigantesche colonne cave all’interno costitui-scono anche l’architettura di sostegno ad altrettanti giovanis-simi esemplari di faggio piantati al loro interno. Con gli annigli alberi cresceranno, smonteranno e lentamente sfalderannola struttura a roccolo che li avvolge, sostituendosi all’architet-tura ideata dall’uomo con la loro benefica e silenziosa presen-za. La Cattedrale scomparirà e lascerà il posto a unmeraviglioso

bosco di faggi che manterrà l’ordine architettonico dell’attualemanufatto, ma sarà semplicemente “bosco”. Veramente impres-sionante è il dialogo fra l’esile architettura di legno delle arcategotiche e le masse portentose dei monti che fanno da contor-no, fra la natura fragile dei rami intrecciati del roccolo e l’impo-nenza pietrificata delle fiancate scoscese dei pizzi Arera, Alben,Grem e Menna che fanno da contorno, come altrettante sen-tinelle poste ai quattro punti cardinali rispetto alla Cattedrale.

Anche se l’iconografia delmonumento rimanda allegrandi costruzioni cristia-ne gotiche, questo selvag-gio connubio fra elementi,evocato dai rami contorti edalle poderose colonne con-ficcate nel suolo calcareo,riconduce a una religiositàarcaica, pagana: quelle for-ze primordiali che gli anti-chi Orobi veneravano sullevette dei monti pare abbia-no trovato una modernarappresentazione...Nel visitare la Cattedralevegetale si prova qualcosa disimile alla contemplazionedi una tela di Friedrich: ilsenso del sacro che proma-na dagli elementi natura-li. Oltre a queste forti sen-sazioni arcane, quest’opera

trasmette una grande lezione di rispetto per la vita e per l’am-biente, in cui la ricerca di una bellezza estetica di origine roman-tica si unisce alle più recenti riflessioni sull’ecosostenibilità esull’impatto ambientale. Essa è l’ultima opera ideata in vitada Giuliano Mauri (1938–2009), personaggio schivo e artistamolto stimato, uno dei protagonisti più vitali della Land arteuropea degli ultimi tre decenni. Progettata ed eretta nel cor-so degli ultimi tre anni, è stata inaugurata nel settembre 2010.Quest’opera, inserita nel più ampio progetto di ristrutturazio-ne ambientale dell’area del Pizzo Arera – progetto sostenuto dalParco delle Orobie Bergamasche e da alcune volenterose giuntecomunali per maggiori informazioni si veda www.parcorobie.it–, costituisce una possibile via da seguire per uno sfruttamentoconsapevole del patrimonio ambientale e turistico rappresenta-to dalle Alpi. Sin troppo spesso le nostre montagne sono statedepredate e irrimediabilmente corrotte da un’industria turisti-co-edilizia attenta solo al profitto oppure lasciate a se stesse aseguito dell’abbandono di vaste aree da parte di intere comu-nità spinte verso “valle”. Quando è l’arte a indicare la via peril futuro, è quasi un dovere cercare di sostenerla.

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Sensazioni arcane e una grande lezione dirispetto per la vita e per l’ambiente natu-rale. La ricerca di una bellezza romanticain una prospettiva di ecosostenibilità

La Cattedrale vegetale»

La traduzione italiana di questo volume apparso nel corso del2009 negli Stati Uniti – culla della tecnologia “usa-getta” e del-la moderna produzione seriale (la catena di montaggio fordia-na) – è con ogni probabilità fra le miglioricose che l’editoria di lingua italiana potes-se proporre. Perché? Per alcune ragioni: per-ché questo libro è profondamente arcaico eassolutamente contemporaneo; perché è unsaggio dedicato all’universo della manualitàscritto da un filosofo-meccanico (e docente),ma è anche l’autobiografia dell’autore; perchéquesto volume mostra come il “fai da te” e il“pensiero alto” – un cervello “attivo e anali-tico” e le mani “sporche di grasso”– possonoe devono convivere; perché Lo zen e la manu-tenzione della motocicletta di Robert M. Pirsiguscito nel lontanissimo 1974 ha finalmentetrovato un degno interlocutore con il qualetrascorrere le sue insonni nottate. No, nonfatevi trarre in inganno dalla copertina o dalsottotitolo (“Perché tornare a riparare le coseda sé può renderci felici”). Quanto raccontatoin queste pagine non sono le solite “verità” sul bene interioree l’autoconsapevolezza. E nemmeno il più ritrito frullato chemiscela Oriente e Occidente. No, non è neppure unmanuale per“vivere felici”: Il lavoro manuale come... racconta inmodo passio-

nale ma circostanziato la lenta sparizione delle attività tecnico-manuali nelle scuole, l’irreparabile scomparsa della conoscenzamateriale, l’incapacità ormai diffusa di riconoscere gli oggetti, di

costruirli e di ripararli. Questo saggio raccontala deumanizzazione delle stesse attività lavo-rative, la cosciente privazione che l’industria-lizzazione prima e la digitalizzazione poi han-no voluto infliggere all’uomo, eliminando lapossibilità di trarre appagamento nel “vederee toccare” il risultato del proprio lavoro. Craw-ford non scrive nulla che un sociologo nonpossa aver già affermato; sorprendono inve-ce le sue capacità di sintesi e la lucidità, per-ché egli racconta in prima persona anche dinoi, di ciò che possiamo sperimentare quoti-dianamente. In fondo questo è un appassio-nato grido di libertà e di autonomia. Scrivenel capitolo conclusivo: “Ho cercato di porta-re argomenti a favore di un certo tipo di indipen-denza: quella che ci rende padroni delle cose chepossediamo, il che richiede una conoscenza, alme-no elementare di esse, della loro provenienza, del

loro funzionamento, della loro manutenzione e riparazione: in bre-ve degli aspetti in cui un oggetto può manifestarsi a noi appieno, inmodo che possiamo esserne responsabili”. Sia questo un bottone,il sifone del lavandino, una moto... La nostra vita.

diGianca

rloFor

nasier

»

Matthew CrawfordIl lavoro manuale comemedicina dell’animaMondadori, 2010

Matthew C ford

» L’uomo è ciò che “fa”

Leggere il foglietto illustrativo.

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Vitae

8

EdoBer

toglio

»

Lugano sono nato duevolte. La prima è stata

nel 1951. A Viganello ho tra-scorso un’infanziameraviglio-sa nei boschi della Giocondache oggi solo gli anziani delposto sanno quali sono. Dabambino trascorrevo ore a gio-care agli indiani e ai cow-boys.Io stavo sempre dalla parte deiprimi, perché già allora midisturbava il fatto che sianostati decimati. Poi c’è stato ilperiodo cavalleresco, con lan-ce e scudi, influenzato dallaserie televisiva “Ivanhoe” conRoger Moore. Andavamo aViganello Alta con vista sullacasa della Gioconda, una si-gnora robusta e simpatica. Inquei boschi c’era una sorta dicaverna dove nascondevamoil “tesoro”. Un mio amico delcuore, Marco Mahler, avevaportato dal salotto di casa unapietra proveniente dall’Africae io dei soldatini...La fotografia entra nella miavita grazie a mio padre, cheera un amatore illuminato.Ancora oggi conserviamo leimmagini degli anni Cin-quanta di tutta la famiglia ei film girati all’epoca. L’altrapassione di mio padre era ilcinema. Da bambino andavocon lui a Lugano a vedere ifilm di fantascienza e i kolossalnelle sale ormai scomparsedell’Astra, dell’Odeon e delSuper. Comunque il film chemi ha cambiato la vita è sta-to Blow-Up di MichelangeloAntonioni. Nel guardare lesequenze in cui il fotografoentra in camera oscura e l’im-magine si rivela, ho capitoesattamente cosa avrei fattoda grande. Tanto è vero chequell’estate, all’età di 15 anni,andai a lavorare nel negozio diun fotografo. Nel maggio del1968 fui tra quegli ottanta stu-denti che occuparono il Liceodi Lugano e furono costrettia ripetere l’anno per via delvoto in condotta. Con il pas-sare del tempo, sentivo questacittà sempre più stretta.Poi arrivarono gli anni Set-tanta e la rivoluzione in atto.Ascoltavo i Led Zeppelin cheavevo visto a Montreux e miinteressavo d’arte seguendo

pittori di rottura come Breu-gel, El Greco, Bosch, Dalì, ela Pop Art con Andy Warhol.Dopo la maturità federale fre-quentai per un anno i corsidi Economia all’università diLosanna con la prospettiva dientrare nell’azienda di fami-glia. Mi resi conto che nonera la mia strada e manifestaiai miei genitori il desideriodi andare a Parigi a studiarecinema. Miamammamimisealle strette dicendomi: “Scegli:o Parigi o la moto”. Rinunciaialla mia grande passione eandai a studiare nella capitalefrancese dove mi si aprì tuttoun mondo. A Parigi con mec’era il designer Mattia Bonet-ti e conobbi una ragazza digrande gusto, Adeline Andrè,che divenne la mia fidanzata.Poi con loro e l’artista PierrePoretti andammo a vivere inun posto idilliaco nel cuoredi Pigalle. Si usciva in bandatutte le sere. Io mi vestivocome un playboy della finedegli anni Cinquanta... Ai ver-nissage nelle gallerie facevoreportage e ritratti. L’amoreper i volti mi segue da sempre.Confesso di essere “face ad-dict”, dipendente dalle facce.Mi innamoro di un viso didonna ogni cinque minuti.

A Parigi andavo tutti i sabatialla libreria La Hune dovetrovavo quantità di pubblica-zioni sull’arte e la fotografia.Lì avevo scoperto “Interview”,la rivista di Warhol: sfoglian-dola sognavo a occhi aperti diincontrarlo.Fresco di laurea in cinema tra-scorro qualchemese a Londraper imparare l’inglese. Lì assi-sto agli ultimi cinque minutidel primo concerto dei SexPistols e mi rifaccio gli occhiguardando le vetrine di King’sRoad. Nel 1976 approdo aNew York dove abitava l’ami-co d’infanzia Marco Mahler.Credevo di recarmi in unacittà modernissima invece eracadente e mi sorprese per labellissima luce. Con me c’eraMaripol, la mia fidanzata diallora. Incominciai a lavorareportando il book di foto nelleredazioni. Il mio primo servi-zio fu pubblicato sulla rivista

“Quest”. Era una sequenza di scatti fatti aParigi e colorati a mano. Un bel giorno vadonella redazione di “Interview” e incontroAndy Warhol, riservatissimo e interessatoa tutto e a tutti. Le mie foto gli piacciono emi arruola. Così mi ritrovai a lavorare conGlenn O’Brien per la rivista e nell’ambitodiscografico. Conobbi il mondo intero chepassava dallo storico Studio 54 e non solo.Tra gli altri c’era Madonna, una ragazza giàmolto ambiziosa... Feci la copertina del suodisco “Like a Virgin”, con lei avvolta da unlenzuolo, che però non fu pubblicata. Poic’era Jean-Michel Basquiat, divorato dallavoglia di lavorare e di vivere: la nostra casaera intrisa dei suoi graffiti, dal frigo ai muri.La sua attività sfrenata mi aveva contagiato.Il suomodo di parlare era curioso. Chissà checosa si dicevano Jean-Michel e Andy… Unoaveva l’abitudine di non finire mai una frasee l’altro parlava a monosillabi. Lo stile di vitache conducevo nella pur affascinante scenaDowntown di New York mi aveva portato alcapolinea: la mia fortuna è stato un bigliettodi sola andata New York-Milano che mi pro-curò un’amica. Nel viaggiomi accompagnavail mio archivio di foto... ma è una storia cheho già raccontato in un film.Il 1990 segna l’anno del mio ritorno a Luga-no e l’inizio di una nuova vita. Ho ritrovatoil piacere delle passeggiate nei boschi e deiritmi lenti. Ricorderò per sempre quel giornoin cui mia madre mi ha portato alla chiesadi Castagnola, che offre una veduta unicasul Golfo di Lugano, e mi ha indicato ilpanorama dicendomi: “Guarda dove vivi...”.Lì sono nato per la seconda volta.

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Nato tra fotografia e cinema, assiste sulfinire degli anni Settanta alle grandi ri-voluzioni giovanili, culturali e musicali.Parigi, Londra, New York... e ritorno

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GOETHEANUM

L’architettura spiritualedi Rudolf Steinertesto di Elisabetta Lolli; fotografie di Matteo Aroldi

Il Goetheanum di Dornach, al di là della sua

funzione di centro di studi sull’antroposofia

e sulla figura di Rudolf Steiner, rappresenta

un esempio mirabile di architettura orga-

nica. La sua costruzione, risalente al 1924 e

conseguente alla distruzione del primo Goe-

theanum, segna infatti un passaggio netto

a soluzioni di grande originalità sia sul piano

della plasticità delle superfici sia per la com-

penetrazione totale degli elementi che lo

compongono. Un edificio dedicato all’uomo

e alla sua spiritualità…

Ilprimo aprile del 1914 sulla collina di Dornach, a pochi chilometri daBasilea, un folto gruppo di uomini e donne provenienti da ben 17 statidiversi – alcuni dei quali in procinto di scontrarsi in quella che di lì a

poco sarebbe stata la più devastante carneficina della storia umana – si riunironoper festeggiare la copertura del tetto del primo Goetheanum. Questo impo-nente edificio in legno e cemento a doppia cupola non era il semplice risultatodell’elaborazione di un architetto d’avanguardia ma la messa in atto di un pro-getto spirituale e umano, fortemente voluto da Rudolf Steiner (1861–1925), ilfondatore dell’Antroposofia e della Scienza dello spirito. Descrivere la figura diSteiner in poche righe è impresa a cui in questo luogo ci sottraiamo e non certoper disinteresse o leggerezza ma per l’estrema complessità della sua personalitàin cui si fondono mirabilmente caratteristiche e capacità poliedriche. Egli fuinfatti, oltre che architetto, scultore, pedagogo, botanico – alle sue ricerche deveessere ricondotta tutta l’esperienza della biodinamica –, saggista, drammaturgo,maestro di spiritualità e studioso delle religioni. Inizialmente legato al movi-mento teosofico, di cui più che un aderente fu un ospite – accettò infatti ditenere conferenze presso la Società Teosofica di Berlino a patto di poter trattaredi argomenti concernenti la sua personale ricerca spirituale –, successivamentese ne distaccò spinto dai suoi stessi discepoli e dall’evoluzione cristologica edesoterica del proprio pensiero.

Il primo GoetheanumLa necessità di avere a disposizione un luogo per le attività e gli studi di quelloche era ormai il movimento antroposofico trovarono una concreta prospettivaquando una famiglia di amici svizzeri di Steiner mise a disposizione una vastoterreno sulla collina di Dornach.Il luogo, che dal punto di vista paesaggistico mostra un carattere particolarmentedolce e meditativo, ben si coniugava alle intenzioni costruttive e alle necessitàspirituali del gruppo. La costruzione dell’edificio – denominato anche Johanne-sbau, “casa di Giovanni” –, procedette incessante per tutto il 1914 e fu nei fattiun’esperienza di fraternità in unmondo che stava procedendo a rapidi passi versola tragedia: “Noi salveremo il nostro edificio se custodiremo nel cuore pace, amore earmonia, se metteremo da parte ogni elemento personale” (tratto da una conferenza

sopra:l’edificio fotografatodal versante meridionale.La forma e la disposi-zione delle finestre, purriconducibili nei trattifondamentali al progettovoluto da Rudolf Steiner,non ne rispecchianoesattamente l’intento

a destra:l’ardito vano delle scalesituato nella zona ante-riore dell’edificio parerimandare, nellasua complessa articola-zione, ad alcune illustra-zioni di Escher

in apertura:la duttilità del calcestruz-zo, nel contrappuntofra linee e curve, in unparticolare della facciatarivolta a occidente

di Rudolf Steiner del 13 agosto 1914). La crisi economicae sociale che seguì alla guerra rafforzò il consenso di moltiintellettuali e persone comuni intorno a Steiner che vide cre-scere il proprio movimento grazie anche alla sua instancabileattività di conferenziere e agli sforzi pubblici per la fratellanzain Europa e nel mondo. Fu proprio questo fermo impegnodi Steiner e dei suoi collaboratori a infastidire i primi gruppinazionalisti, soprattutto in Germania, alcuni membri dei qualiattentarono in due occasioni, a Monaco e a Elberfeld, alla suaincolumità fisica. L’aggressione al movimento antroposoficoculminò con l’incendio doloso che la notte di San Silvestrodel 1922 distrusse completamente l’imponente edificio sullacollina di Dornach, al cui interno fu trovato il corpo senza vitadell’attentatore. Steiner e i suoi discepoli assistettero in silenzioe impotenti alla distruzione del Goetheanum.

Il secondo GoetheanumLa pacifica ma tenace risposta di Rudolf Steiner non si feceattendere. Nel gennaio del 1924 egli iniziò a lavorare alprogetto per un nuovo edificio in cui confluivano sia la pre-cedente esperienza progettuale sia le esigenze che dal primoGoetheanum erano emerse nel corso del passato decennio.Si poneva infatti la necessità di creare spazi adeguati per larappresentazione dei Misteri, per la Libera Scuola Superioreper la Scienza dello Spirito e locali per le attività artistichee amministrative, indispensabili all’appena fondata SocietàAntroposofica Universale. Dal punto di vista architettonicoSteiner procedette con un sistema opposto rispetto al primoedificio: mentre là erano state le caratteristiche interne, siastrutturali sia decorative – intendiamoci, si tratta di una di-stinzione di comodo e non esemplificativa della concezione

La plasticità esterna dell’edificio si trasmette all’interno nella modulazionearmonica fra forme curve e linee più spigolose. La colorazione delle paretie l’illuminazione contribuiscono a rafforzare la suggestione dei movimentiarchitettonici, espressione diretta della spiritualità umana

La Sala Grande situata al piano superiorecondensa in sé molti temi del pensiero

antroposofico di Rudolf Steiner: dall’inter-secarsi della forma rettangolare della sala

con il palco, quadrato e con orizzontecircolare, all’illuminazione ottenuta grazie

a finestre alte e strette sulle cui vetrate,nei colori verde, blu, violetto e rosa,

furono riprodotti in incisione gli schizzidi Steiner per il primo Goetheanum

architettonica steineriana in cui gli elementi tendono a fon-dersi piuttosto in un’opera “totale” – a determinare i volumi ela conformazione esterna dell’edificio fondato sulla dinamicaintersecazione delle due cupole, qui è la struttura esterna asuggerire i volumi e le dinamiche interne. L’adozione delcalcestruzzo come materiale costruttivo favorì lo svilupposul piano dinamico. Come infatti emerge dalle fotografiepresenti in queste pagine, Steiner rinunciò al dominio delleforme tondeggianti per introdurre un movimento di estremocontrappunto fra linee e curve, fra lo sporgersi e il ritrarsi,fra gli spigoli di contorno e le superfici arcuate. Per tale viala struttura, plasticamente mossa, acquisisce vita e parerespirare suggerendo quel moto metamorfico e spiritualecaro a Steiner e caratteristico dell’architettura organica dicui, appunto, il secondo Goetheanum è esempio mirabile.

L’opera venne completata nel corso dei decenni successivida architetti come Carl Kemper, Johannes Schoepfer, Albertvon Baravalle, Rex Raab e Arne Klingborg, sulla base delleindicazioni fornite da Rudolf Steiner scomparso in seguitoa una grave malattia nel marzo del 1925.Oggi il Goetheanum, oltre a svolgere pienamente la suafunzione di centro di un movimento che si è diffuso in mol-tissimi paesi del mondo, è luogo di meditazione spiritualee di studio. Esso segna, analogamente a molte opere di An-toni Gaudì (1852–1926) e di altri architetti, un momento didifferenziazione importante nello sviluppo dell’architetturaeuropea della prima metà del secolo. Un periodo che vide ildominio del Funzionalismo e di forme rigidamente razionalinon sempre in grado di parlarci dell’uomo, del suo rapportocon la natura e della sua spiritualità.

per informazioni:GoetheanumRüttiweg 45CH - 4143 Dornach 1tel. +41 (0)61 706 42 42fax +41 (0)61 706 43 [email protected]

L'edificio è visitabile giornal-mente dalle ore 8.00 alleore 21.45. Per gli orari diapertura delle altre attivitàpresenti nella struttura(biglietteria, libreria, biblio-teca, bar) e per il program-ma delle manifestazionirimandiamo al sito Internet

Lasoluzion

everràpu

bblicatasuln

umero5 Orizzontali 1. Premunirsi, pren-

dere precauzioni • 10. Lapalissiani• 11. Giaggiolo • 12. Addirittura,persino • 13. Lo è Turchina • 14.La bevanda che si filtra • 15. Golacentrale • 16. Ente Turistico Tici-nese • 17. Morbida • 19. Cavallidal pelame misto • 21. Comesopra • 22. Articolo romanesco •23. Circolano in Giappone • 25.Lo è il colore indefinito • 27. Am-miratore • 29. Danno un punto ascopa • 30. Blocca il flipper • 31.L’equipaggio della canoa • 33. Ri-sveglia Biancaneve • 34. Né mio,né tuo • 35. La regista de’ “Laconchiglia” • 36. Consonanti inTeseo • 37. Congelatore • 39. Inabbondanza • 41. Il Ticino sulletarghe • 42. Alberi fruttiferi • 43.Ruggiscono • 45. Il Secondo Gaiodetto il Vecchio • 47. Negazioneinglese • 48. Montano.

Verticali 1. Raduna giornalisti• 2. Pilota d’aereo • 3. Un ingre-diente della torta di pane • 4. Lanota Turner • 5. Allegre, gioviali• 6. Abitano nella regione delPiccolo Caucaso • 7. Colpevoli(f) • 8. Possono esserlo le risate• 9. Quarantena • 17. L’Aroldodel teatro • 18. Costruzione,

fabbricazione • 20. La glicerinache scoppia • 24. Negazione• 26. Fa parte del sesso forte• 28. La bimba nel paese dellemeraviglie • 30. Il filosofo diMileto • 32. Bertrand, filosofo ematematico • 33. Con l’asinellonel presepe • 35. Pari in adorni •37. Fanno strage nei pollai • 38.Colpevolezza • 40. Una parte delcostume da bagno • 43. Calottacentrale • 44. Nord-ovest • 46.La fine ai Aramis.

Soluzione n. 1»

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M U S T E L I D I

U S C I R E E T A

R O A N O G R O G

O L E S S O I

D E A N O R A T

E O Z A T T E R A

L C A S T S E T

D E A T E S T A

I O P E R A I O

A L T O F I T T O

V O I T U U R I

O R C A G A I E

L E O D I O R S

O N R E O E M U

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drianoCrivelli

ariete

Dal 24 gennaio, Giove il pianetadella fortuna torna dopo 12 anninel vostro segno per restarci fino al 3giugno. Impulso a una nuova espan-sione, caratterizzata da ottimismo,successi e volontà creativa.

bilancia

Dal 23 gennaio Giove in posizio-ne angolare fino all’estate. Sarannomessi sotto la lente i vostri rapportipiù intimi, dal partner al socio d’affa-ri. Se avete in corso una causa legalevalutate bene tutti gli aspetti.

vergine

Giove transiterà diversi mesi nellavostra ottava casa solare. Momentopositivo per compiere speculazionifinanziarie qualora nel resto del temanatale vi fossero valori dello stessotenore. Vita mondana in fermento.

pesci

A partire dal 23 gennaio Gioveinizierà a interessare i valori dellavostra seconda casa solare, quelladei soldi. Se avete seminato bene,è finalmente venuto per voi il mo-mento di fare “cassa”.

toro

Mentre Giove fa il suo ingresso nellavostra dodicesima casa solare – ilsettore astrologico riconducibile allaricerca del sublime –, Plutone ritornanel segno del Capricorno, accen-tuando il desiderio di cambiamenti.

scorpione

Il 23 Giove entra nella vostra sestacasa solare per restarci fino a giugno.Si apre un nuovo periodo per la vo-stra vita professionale; la coscienzaper il dovere tenderà ad assumerenuovi aspetti.

gemelli

Grazie a Giove in Ariete, nella vo-stra undicesima casa solare, potre-te realizzare tutti i vostri progetti.Opportunità che provengono dasituazioni consociative. Aiuti da partedi persone ben inserite.

sagittario

A partire dal 24 gennaio, Giove inAriete. Grazie a questo transito, chevi accompagnerà per quasi metà del2011, avrete più di una occasioneper fare baldoria e aprirvi alle viedell’Eros. Vita mondana in crescita.

cancro

Grazie al transito di Giove le ambi-zioni personali inizieranno a trovareriscontri più concreti. Con la fine digennaio inizia una fase professionaledecisiva per i nati nella prima decade.Più controllo nell’alimentazione.

capricorno

Dal 23 gennaio Giove fa il suo in-gresso nella vostra quarta casa solare,quella dei valori e della famiglia.Saranno possibili nei prossimi mesidispute familiari legate alla gestionedel patrimonio comune.

leone

Dal 24 gennaio all’inizio dell’estate,Giove si troverà nel segno amicodell’Ariete. Amplificazione dei valoriespressi dalla vostra nona casa solare,quella dei viaggi e degli studi univer-sali. Espansione delle conoscenze.

acquario

Il transito di Giove potrà spalancarvinumerose porte in settori importantidella vita sociale. Avanzamenti pro-fessionali riconducili a un vostro par-ticolare “know how”. Grazie a Martedeterminazione e impegno!

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*Volvo V60 T6 AWD Geartronic 304 CV/224 kW. Consumo in ciclo misto (secondo la norma 1999/100/UE): 9,9 l/100 km. Emissioni di CO2: 231g/km (188g/km: la media di tutti i modelli nuovi). Categoria d’efficienza energetica: F.Volvo Swiss Premium® servizio di manutenzione gratuito fino a 10 anni/150000 chilometri, garanzia di fabbrica fino a 5 anni/150000 chilometri e riparazioni legate all’usura fino a 3 anni/150000 chilometri (vale il limite raggiunto prima).