UNIVERSITA DEL SALENTO
FACOLTA DI SCIENZE MM. FF. NN.
CORSO DI LAUREA IN FISICA
TESI DI LAUREA
Studio dell’efficienza di trigger
dell’esperimento Auger
Relatore:
Prof. Paolo Bernardini
Correlatore: Laureando:
Dott. Lorenzo Perrone Marco Peccarisi
ANNO ACCADEMICO 2007 - 2008
iii
Not only does God play dice,
but he sometimes throws them
where they cannot be seen
Stephen Hawking
Indice
Introduzione 1
1 Raggi Cosmici 4
1.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
1.2 Spettro energetico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
1.3 Composizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6
1.4 Origine dei raggi cosmici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
1.5 Sorgenti di raggi cosmici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
1.5.1 Sorgenti di origine galattica . . . . . . . . . . . . . . . 10
1.5.2 Sorgenti di origine extragalattica . . . . . . . . . . . . 11
1.6 Meccanismi di accelerazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
1.6.1 Modelli Bottom-Up e Top-Down . . . . . . . . . . . . . 12
1.6.2 Meccanismo di Fermi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
1.7 Propagazione dei raggi cosmici . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17
1.7.1 Confinamento magnetico . . . . . . . . . . . . . . . . . 17
1.7.2 Perdite di energia e cut-off GZK . . . . . . . . . . . . 18
1.8 Osservazione degli UHECR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
1.9 Sciami Atmosferici Estesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
1.9.1 Sciami elettromagnetici . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
1.9.2 Sciami adronici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
1.10 Caratteristiche degli EAS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
iv
INDICE v
1.11 Parametri caratteristici di un EAS . . . . . . . . . . . . . . . 27
1.11.1 Xmax e profilo longitudinale . . . . . . . . . . . . . . . 28
1.11.2 Sviluppo trasversale e funzione NKG . . . . . . . . . . 30
2 Tecniche di rivelazione dei raggi cosmici 32
2.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32
2.2 Metodi di rivelazione ed energia . . . . . . . . . . . . . . . . . 32
2.3 Misure dirette . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
2.3.1 Satelliti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34
2.3.2 Palloni ad alta quota . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35
2.4 Misure indirette . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
2.4.1 Rivelatori di fluorescenza . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
2.4.2 Rivelatori di superficie . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46
2.4.3 Tecniche di rivelazione radio . . . . . . . . . . . . . . . 48
2.5 Esperimenti con rivelatori di fluorescenza . . . . . . . . . . . . 49
2.6 Esperimenti con rivelatori di superficie . . . . . . . . . . . . . 50
3 L’Osservatorio Pierre Auger 53
3.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53
3.2 L’Osservatorio Sud . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54
3.3 Rivelatori di superficie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56
3.3.1 Trigger SD . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57
3.3.2 Calibrazione SD . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61
3.4 Rivelatori di fluorescenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61
3.4.1 Trigger FD . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65
3.4.2 Calibrazione FD . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67
3.5 Monitoraggio atmosferico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68
4 UHECR: i risultati sperimentali 71
4.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71
INDICE vi
4.2 Spettro energetico dopo la caviglia . . . . . . . . . . . . . . . 71
4.3 Correlazioni ed anisotropie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73
4.3.1 Correlazione dei raggi cosmici di altissima energia con
oggetti extragalattici vicini . . . . . . . . . . . . . . . . 75
5 Analisi dell’efficienza di trigger 78
5.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78
5.2 Possibili sviluppi dell’esperimento Auger . . . . . . . . . . . . 79
5.3 Progetto AMIGA e Infill per l’array di superficie . . . . . . . . 79
5.4 Selezione degli eventi, tagli qualitativi e funzione LTP . . . . . 81
5.4.1 Primo livello di selezione degli eventi . . . . . . . . . . 82
5.4.2 Secondo livello di selezione degli eventi . . . . . . . . . 84
5.4.3 Tagli di analisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85
5.4.4 Funzione LTP ed efficienza di trigger . . . . . . . . . . 90
5.4.5 Parametrizzazioni della funzione LTP . . . . . . . . . . 93
5.4.6 Confronto tra LTP misurata e LTP simulata . . . . . . 94
5.5 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98
Bibliografia 101
Introduzione
I raggi cosmici (Cosmic Rays, CR) costituiscono uno degli argomenti piu
interessanti dell’astrofisica e della fisica particellare. La loro scoperta e
avvenuta durante il primo decennio del secolo scorso, quando il fisico Wulf
mise in atto un esperimento allo scopo di misurare il tasso di ionizzazione
dell’aria. Pochi anni piu tardi, fu Hess a confermare la presenza di una
radiazione proveniente da sorgenti extra terrestri. In questa tesi l’interesse e
concentrato sui CR nella zona delle alte energie. Il flusso dei raggi cosmici
ha un andamento proporzionale, in prima approssimazione, a E−γ, dove E e
l’energia del raggio cosmico primario e γ e il cosiddetto indice spettrale che,
nel range energetico di nostro interesse (1017 eV < E < 1021 eV ), assume
valori diversi. Lo studio diretto dei raggi cosmici puo avvenire soltanto per
energie minori di 1014 eV . Ad energie superiori, si vedra come, a causa
della riduzione del flusso, lo studio dei raggi cosmici primari possa essere
eseguito solo mediante lo studio dei raggi cosmici secondari, cioe i prodotti
dell’interazione dei primari con l’atmosfera terrestre. Nonostante i CR siano
oggetto di studio da quasi un secolo, ancora oggi sono molte le problematiche
e gli interrogativi irrisolti. Tra gli aspetti piu interessanti vi e sicuramente
la ricerca delle sorgenti e dei relativi meccanismi di accelerazione in grado
di fornire alle particelle cosmiche energie estremamente elevate (si pensi che
sono state rivelate particelle con energie maggiori di 1020 eV ). Tra i modelli
piu accreditati a spiegare l’accelerazione dei CR troviamo il meccanismo di
1
Introduzione 2
Fermi II, in grado di fornire alle particelle cosmiche energie fino a 1015 eV
nelle esplosioni di SuperNovae. Negli ultimi anni sono stati proposti altri
modelli di accelerazione (modelli Top-Down) secondo i quali l’accelerazione
associata alle particelle e attribuibile al decadimento di particelle esotiche
supermassive. Un punto di riferimento per la selezione di tali modelli e lo
studio combinato di eventuali anisotropie nella direzione di arrivo dei CR
di altissima energia e del Cut-Off GZK che e un meccanismo di degrado
dell’energia delle particelle cosmiche durante la propagazione nell’Universo,
responsabile di un taglio del flusso per energie superiori a circa 1020 eV e per
distanze superiori a circa 100 Mpc. L’osservazione di eventi oltre le energie
del GZK potrebbe indicare una correlazione tra la direzione di arrivo dei CR
e alcune regioni dell’Universo entro 100 Mpc.
L’Osservatorio Pierre Auger (PAO) rappresenta ad oggi lo strumento piu
potente per lo studio e la rivelazione dei raggi cosmici di altissima energia (tra
1017 e 1021 eV ). Il progetto prevede la costruzione di due osservatori ubicati
nei due emisferi (Colorado e Argentina) con una superficie di circa 3000 km2.
Quello sito in Argentina e operativo dal 2004 ed e completamente montato.
Auger e il primo esperimento ad adottare una tecnica di rivelazione ibrida
(1600 rivelatori di superficie nel campo di vista di 4 rivelatori di fluorescenza)
allo scopo di fornire misure di altissima precisione.
In questo lavoro di tesi e stata studiata per la prima volta l’efficienza di
trigger per una particolare porzione dell’array di superficie. Si tratta di un
possibile sviluppo di PAO, che e stato sottoposto a test da Settembre 2007.
In questa porzione dell’array, in cui la distanza tra le stazioni di rivelazione
passa da 1500 m (distanza standard) a 750 m, e possibile rivelare eventi ad
energie basse, vicino al limite di sensibilita dell’apparato (E ≤ 3 · 1017 eV ).
Nel primo capitolo verranno trattate le caratteristiche principali dei CR, tra
cui la composizione ed il flusso, i meccanismi di accelerazione, e la fisica degli
sciami atmosferici. Nel secondo capitolo verranno trattate le varie tecniche
Introduzione 3
di rivelazione, con particolare attenzione su quelle adottate da PAO. Il terzo
capitolo si occupera della descrizione dettagliata dell’esperimento Auger e dei
suoi obiettivi scientifici. Il quarto capitolo trattera la situazione sperimentale
dei raggi cosmici di altissima energia (Ultra High Energy Cosmic Rays,
UHECR), ed analizzera in particolare i risultati ottenuti con l’esperimento
Auger riguardo lo spettro energetico dopo la discontinuita della caviglia
(E ' 3 · 1018 eV ) e la presenza di possibili anisotropie nella direzione di
arrivo dei CR di altissima energia. Infine, nel quinto capitolo, verranno
analizzati i dati collezionati da entrambi i tipi di rivelatori nel periodo
Settembre 2007 - Giugno 2008 con la porzione dell’array di superficie con
densita maggiore di stazioni di rivelazione. Inoltre si introdurra il concetto
di Lateral Trigger Probability (LTP) e si discuteranno i criteri di selezione
e caratterizzazione degli eventi. Si calcolera infine l’efficienza di trigger per
gli eventi selezionati e si confronteranno i risultati con quelli ottenuti con
simulazioni Monte Carlo. Infine ci si soffermera sul possibile confronto (per
una statistica sufficientemente alta) tra le misure di Auger e quelle degli
esperimenti HiRes e Kascade-Grande.
Capitolo 1
Raggi Cosmici
1.1 Introduzione
In questo capitolo si studieranno in dettaglio i raggi cosmici, analizzandone in
particolare la composizione e la provenienza, i meccanismi di accelerazione
e le principali caratteristiche. Inoltre verra descritta la fisica degli sciami
atmosferici estesi (EAS), i loro parametri caratteristici e lo stato della ricerca
per i raggi cosmici di altissima energia (UHECR).
1.2 Spettro energetico
Il primo passo da effettuare per lo studio delle origini e della natura dei raggi
cosmici (CR) e quello di analizzare lo spettro energetico all particle cioe il
flusso di tutte le specie di particelle in funzione dell’energia.
Lo spettro energetico si estende su una scala di valori che varia da
poche decine di KeV (104 eV ) fino ad arrivare a qualche centinaio di
EeV (102 EeV = 1020 eV ), ben oltre quindi il valore dell’energia massima
raggiungibile attualmente dagli acceleratori di particelle (circa 1013 eV per il
protone).
4
1.2 Spettro energetico 5
Figura 1.1: Spettro differenziale dei raggi cosmici primari.
Per energie minori di 1 GeV, lo spettro energetico presenta un’attenuazione
rispetto all’andamento che si osserva ad energie piu elevate. Per energie
superiori a circa 1 GeV lo spettro energetico della radiazione cosmica segue
un andamento a legge di potenza:
dN(E)
dE∝ E−γ (1.1)
dove γ prende il nome di indice spettrale ed assume valori differenti in
base all’ordine di grandezza dell’energia considerata. Ad esempio, a basse
energie, si ha γ ' 2.6÷ 2.7. Ad energie superiori a 3 · 1015 eV , il cosiddetto
ginocchio, l’indice spettrale assume un valore ' 3. Ad energie piu elevate,
1.3 Composizione 6
dopo il secondo ginocchio (5 · 1017 eV ), l’indice spettrale assume un valore
' 3.3 [1, 2]. Infine per energie maggiori di circa 3·1018 eV , zona della caviglia,
l’indice spettrale scende a 2.7.
Come si evince dalla figura 1.1 e dall’equazione 1.1, il flusso dei CR primari
diminuisce all’aumentare dell’energia considerata. In particolare si puo
osservare che se attorno ai 100 GeV si ha un flusso di circa 1 particella per
m2 al secondo, la statistica si abbassa drasticamente per energie piu elevate
(si pensi che attorno ai 10 EeV il flusso e di 1 particella per km2 per anno).
Quindi per energie inferiori ai 1014 eV la statistica risulta relativamente alta
e rende possibili misure dirette tramite l’utilizzo di satelliti e palloni ad alta
quota. Per energie superiori si effettuano invece misure indirette utilizzando
apparati sperimentali estesi al suolo per periodi molto lunghi, per rimediare
alla forte riduzione del flusso. Lo studio dei raggi cosmici primari viene
allora effettuato tramite l’analisi di quelli secondari, ossia tramite l’analisi
della particelle prodotte durante l’interazione tra raggio cosmico primario ed
atmosfera terrestre.
1.3 Composizione
Come gia accennato nel paragrafo precedente lo studio dei raggi cosmici
di energie minori ai 1014 eV , puo essere effettuato direttamente sui primari
tramite l’utilizzo di satelliti e palloni ad alta quota.
In questo intervallo energetico la radiazione cosmica elettricamente carica e
composta [5] per circa l’ 85% da protoni, per il 12% da particelle α, per il
2% da elettroni e per circa l’ 1% da nuclei pesanti.
Durante il percorso dalla sorgente alla Terra, la composizione dei CR varia a
causa delle interazioni col mezzo interstellare. Si possono quindi distinguere
due categorie di elementi nei CR. La prima e formata dagli elementi che
1.3 Composizione 7
vengono prodotti direttamente nelle sorgenti (H, He, Fe e C). La seconda
categoria e formata invece dagli elementi (ad esempio B, K, Ti e V) prodotti
tramite processi di spallazione degli elementi pesanti nel mezzo interstellare
con i CR della prima categoria.
Il grafico in figura 1.2 mostra le abbondanze relative dei raggi cosmici e del
Sistema Solare.
Figura 1.2: Abbondanze relative dei Raggi Cosmici confrontate con le abbondanze
tipiche del Sistema Solare.
E’ immediato notare l’esistenza di una forte analogia tra le due
abbondanze. Tuttavia si nota anche una sovrabbondanza relativa di alcuni
elementi quali Li, Be, B, Sc, Ti, V, Cr e Mn maggiormente presenti nei CR
piuttosto che nel Sistema Solare. L’abbondanza del primo gruppo (Li, Be, B)
puo essere spiegata dai processi di spallazione di protoni su nuclei di carbonio
ed ossigeno. Il secondo gruppo di elementi sovrabbondanti nei CR (Sc, Ti,
V, Cr, Mn) puo essere spiegato analogamente tramite processi di spallazione
1.4 Origine dei raggi cosmici 8
di protoni su nuclei di ferro [3]. Infine esistono elementi quali H e He presenti
in quantita maggiore nel sistema solare.
1.4 Origine dei raggi cosmici
Dallo studio dello spettro energetico dei CR e dall’analisi del suo andamento
in un ampio intervallo di energia, si puo ritenere che ci sia alla base un comune
meccanismo di accelerazione che puo manifestarsi in differenti tipi di sorgenti
astrofisiche. Pertanto sono stati proposti diversi modelli di accelerazione allo
scopo di spiegare il raggiungimento di energie estremamente elevate. Tuttavia
non si e ancora ottenuta una risposta che abbia un riscontro sperimentale.
La densita di energia dei raggi cosmici puo essere ricavata andando a
considerarne il flusso differenziale. Il suo valore e stimato intorno ρE '1 eV/cm3 [5]. La potenza totale necessaria per produrre i raggi cosmici
galattici e:
P =VD · ρE
τ' 7 · 1040 erg/s (1.2)
dove τ ∼ 3 · 106 anni e il tempo medio di confinamento delle particelle
cosmiche nella galassia e VD e il volume del disco galattico ricavato secondo
la formula:
VD = π R2g dg (1.3)
dove Rg ' 15 kpc e dg ' 0.2 kpc sono rispettivamente il raggio e lo
spessore del disco galattico [5]. Questo valore e confrontabile con l’energia
cinetica rilasciata nel tempo dalle esplosioni di supernova (SN). Infatti,
ipotizzando che la massa emessa in una esplosione di SN sia dell’ordine di 10
1.5 Sorgenti di raggi cosmici 9
masse solari con una velocita di 5 · 106 m/s e che la rate delle esplosioni sia
dell’ordine di 1/30 anni−1, la potenza disponibile per i CR e
P ' 3 · 1042 erg/s (1.4)
Confrontando la potenza nella formula 1.2 con quella nella formula 1.4 ci si
accorge come una percentuale di appena il 2% della potenza totale rilasciata
nell’esplosioni di SN basti a fornire la potenza necessaria per produrre
i raggi cosmici galattici. Pertanto, l’ipotesi che l’onda d’urto prodotta
nell’esplosione di una SN possa essere responsabile dell’accelerazione della
maggior parte dei raggi cosmici galattici, risulta plausibile. In questo caso,
secondo il meccanismo di accelerazione di Fermi, le particelle cosmiche con
carica Ze arriverebbero fino ad energie massime di Z · 1015 eV .
1.5 Sorgenti di raggi cosmici
Le sorgenti dei raggi cosmici possono essere suddivise in due gruppi: quelle
galattiche (Pulsar, Supernovae) e quelle extragalattiche (AGN, Gamma
Ray Burst, Radiogalassie). Nel paragrafo 1.4 si e gia considerato che
l’accelerazione delle particelle cosmiche ad energie fino ai 1015 eV possa essere
effettuata per mezzo di esplosioni di supernova. Il grafico in figura 1.3, detto
Hillas plot, raggruppa le sorgenti ritenute possibili siti di accelerazione.
Le due grandezze caratteristiche, dimensioni (L) ed intensita del campo
magnetico (B), tramite cui e possibile risalire all’energia massima Emax alla
quale puo essere accelerata una particella in un determinato sistema, si
trovano in una relazione di proporzionalita inversa (campi magnetici intensi
si manifestano infatti in corrispondenza di oggetti astrofisici compatti e
viceversa) :
1.5.1 Sorgenti di origine galattica 10
Figura 1.3: Il diagramma di Hillas: Dimensioni ed intensita del campo magnetico
di oggetti astrofisici candidati ad essere sorgenti di particelle cosmiche .
Emax ∝ B · L (1.5)
1.5.1 Sorgenti di origine galattica
Le sorgenti di origine galattica sono le Pulsar e le Supernovae. Le Pulsar
sono delle stelle di neutroni ruotanti. La loro energia rotazionale permette
di accelerare i CR. Il periodo di rotazione varia da 1 ms a qualche decina di
secondi. Tra le caratteristiche piu importanti delle Pulsar vi e sicuramente
la presenza di campi magnetici molto intensi (si puo arrivare fino all’ordine
di 1012 Gauss). Poiche l’asse di rotazione e l’asse del campo magnetico non
sono allineati l’emissione e modulata. La nebulosa del Granchio rappresenta
1.5.2 Sorgenti di origine extragalattica 11
un esempio importante di Pulsar.
Infine, tra le sorgenti dei CR di origine galattica vi sono le SN. L’onda d’urto
prodotta nell’esplosione di una SN e in grado di fornire un’accelerazione ai
CR tale da giustificare energie dell’ordine di 1014 eV . Infine si puo arrivare a
qualche ordine di grandezza in piu (1017 ÷ 1018 eV ) se l’onda si propaga nel
vento del progenitore della supernova.
1.5.2 Sorgenti di origine extragalattica
Raggruppate sotto questa categoria troviamo le sorgenti da associare ai
Gamma Ray Burst (GRB) e i nuclei galattici attivi (AGN). I GRB sono
intensi lampi di raggi γ (fino a 108 eV ) che possono durare da pochi
millisecondi a diverse decine di minuti. Sono gli eventi piu luminosi (con
luminosita si intende l’energia radiata da un corpo per unita di tempo)
che avvengono nell’Universo dopo il Big Bang. La loro direzione nel cielo
e isotropa e la loro frequenza e relativamente alta (all’incirca 1 evento al
giorno). Secondo le teorie correnti, questi potenti flash di raggi γ potrebbero
essere generati dall’accrescimento di un Buco Nero o dalle esplosioni di Stelle
molto massive (ipernovae).
Infine gli AGN sono i candidati favoriti ad essere sorgenti di CR di altissima
energia (vedi paragrafo 4.3.1). La luminosita tipica degli AGN e dell’ordine
di 1042 ÷ 1048 erg/s. Per giustificare energie associate a tali luminosita,
si suppone che al centro di un AGN vi sia un Buco Nero supermassivo
(M ∼ 106 ÷ 1010 masse solari). La materia attratta verso il buco nero si
riscalda emettendo quindi radiazione termica e si dispone su di un disco
di accrescimento attorno al buco nero. Tipici valori del raggio (R) e
dell’intensita del campo magnetico (B) potrebbero essere R ∼ 10−1 pc e
B ∼ 5G che renderebbero possibile l’accelerazione di protoni fino all’energia
di circa 1020 eV . I problemi connessi a questo modello sono legati alla grande
1.6 Meccanismi di accelerazione 12
perdita di energia in una regione di alta densita del campo che limiterebbe
l’energia massima (Emax) raggiungibile dai protoni e impedirebbe la fuga dei
nuclei pesanti. I neutroni potrebbero eventualmente fuggire dalla regione
centrale e decadere in protoni con Emax fino a 1020 eV .
1.6 Meccanismi di accelerazione
1.6.1 Modelli Bottom-Up e Top-Down
Uno degli aspetti piu importanti nella fisica dei raggi cosmici e senz’altro lo
studio dei meccanismi di accelerazione. Questi modelli devono giustificare
non solo l’andamento a legge di potenza dello spettro energetico ma anche le
altissime energie finora osservate.
Vi sono due principali modelli di accelerazione: il modello bottom-up e
il modello top-down. Nel primo caso l’accelerazione avviene direttamente
all’interno di sorgenti astrofisiche e i meccanismi di accelerazione sono
dovuti all’azione diretta di campi elettromagnetici [6]. Nel secondo caso
l’accelerazione avviene come prodotto di decadimento e/o annichilazione di
particelle esotiche supermassive [7]. In questo scenario vengono pertanto
chiamate in causa teorie quali la Grand Unification Theory (GUT).
Quest’ultima predice che durante la prima fase di evoluzione dell’Universo
si siano venuti a creare dei difetti topologici prodotti in fasi di transizione
durante rotture di simmetria dell’Universo. Esempi rappresentativi di questi
difetti possono essere i monopoli magnetici, le stringhe, le cosmic necklaces
e i domain walls.
1.6.2 Meccanismo di Fermi
Tra i meccanismi di accelerazione Bottom-Up troviamo quello di Fermi, il
quale, nel 1949 [8], propose un modello secondo cui le particelle cariche
1.6.2 Meccanismo di Fermi 13
acquisirebbero energia attraverso una serie di interazioni con il plasma
magnetizzato in movimento. Cio che si verrebbe ad ottenere, sarebbe
un incremento dell’energia della particella per ogni ciclo di accelerazione.
Partendo quindi da una certa energia iniziale E0 e considerando ad ogni ciclo
un guadagno energetico pari a (∆E)n = ξEn−1 con ξ << 1, dopo n cicli si
avra l’energia
En = E0(1 + ξ)n (1.6)
Dalla relazione precedente si ricava
n =ln (En/E0)
ln (1 + ξ)(1.7)
Inoltre si consideri che il numero di particelle che rimangono dopo n cicli
risulta
Nn = N0Pn (1.8)
dove P e la probabilita che la particella rimanga nella regione di
accelerazione in un ciclo del processo e N0 il numero iniziale di particelle.
Isolando n si ottiene dalla 1.8
n =ln (Nn
N0)
ln (P )(1.9)
Uguagliando le due espressioni si ricava
ln (Nn
N0)
ln (P )=
ln (En
E0)
ln (1 + ξ)(1.10)
da cui
1.6.2 Meccanismo di Fermi 14
Nn = N0
(En
E0
) ln (P )ln (1+ξ)
= N0
(En
E0
)1−γ
(1.11)
Con γ = 1− ln (P )ln (1+ξ)
Lo spettro differenziale obbedira pertanto ad una legge di potenza
dNn
dEn
=dN
dE= cost · E−γ (1.12)
in accordo con l’andamento sperimentale dello spettro osservato dei CR.
Meccanismo di Fermi I
Originariamente Fermi adatto questo meccanismo al caso di accelerazioni
all’interno di nubi di gas magnetizzato (vedi figura 1.4 a sinistra).
Quando una particella di energia E1 e momento p1 incontra una
disuniformita del campo magnetico nel mezzo interstellare (ad esempio una
nube di gas magnetizzato), con un angolo θ1 rispetto alla velocita V della
nube, subisce una serie di scattering successivi tanto da far diventare il suo
moto solidale con quello della nube magnetizzata. Usando le trasformazioni
di Lorentz si ha che l’energia nel sistema a riposo della nube e
E′1 = γ∗E1(1− β cos θ1) (1.13)
dove β = V/c e γ∗ = 1√1−β2
. I processi di scattering in questo sistema
sono elastici e cio comporta che l’energia in ingresso della particella sia uguale
a quella in uscita dalla nube magnetizzata
E′1 = E
′2 (1.14)
1.6.2 Meccanismo di Fermi 15
Figura 1.4: A sinistra: schema del meccanismo di Fermi I all’interno di una nube
magnetizzata in movimento. A destra: schema del Meccanismo di Fermi II in uno
shock piano in propagazione.
Nel sistema di riferimento del laboratorio, all’uscita dalla nube di plasma
si avra
E2 = γ∗E′2(1 + β cos θ
′2) (1.15)
Pertanto il guadagno energetico ∆EE
sara
∆E
E=
E2 − E1
E1
=1− β cos θ1 + βcos θ
′2 − β2cos θ
′2 cos θ1
1− β2=
1 + 13β2
1− β2−1 ' 4
3β2
(1.16)
Nell’ottenere il risultato si sono fatte le seguenti ipotesi:
• β << 1;
1.6.2 Meccanismo di Fermi 16
• 〈cosθ1〉 = −β/3 (dove 〈cosθ1〉 e la media calcolata sull’angolo solido);
• 〈cosθ′2〉 = 0 (a causa della natura casuale dei processi di scattering).
Il limite per questa teoria e il basso guadagno energetico dovuto alla
relativamente bassa energia delle nubi (β ≤ 10−4) ed alla dipendenza dal
quadrato di β2.
Meccanismo di Fermi II
In questa seconda versione del meccanismo di Fermi il guadagno energetico e
proporzionale a β e quindi questo modello risulta essere molto piu efficiente
del precedente. Lo scenario e quello delle regioni con forti shock ossia
con fronti d’onda d’urto generati ad esempio nelle esplosioni di SN. Le
particelle vengono accelerate per mezzo di attraversamenti successivi di un
fronte d’onda (figura 1.4 a destra). Considerando un’esplosione di masse
dell’ordine di diverse masse solari a velocita Vp ∼ 104 km/s, la velocita
dello shock dipendera dalla Vp del materiale espulso. Una particella cosmica
quindi subira processi di scattering nelle irregolarita magnetiche che incontra
attraversando il fronte d’onda. Inoltre avra una probabilita non nulla di
riattraversare il fronte, portandosi nella zona non ancora investita dall’onda.
Andando a considerare il caso non relativistico, si avra come valor medio del
cosθ′2 il valore 2/3, calcolato dalla probabilita di attraversamento del fronte
dal downstream (fluido raggiunto e superato dal fronte d’onda) all’upstream
(fluido non ancora raggiunto dal fronte d’onda) (vedi figura 1.4 a destra).
Con un discorso analogo, il valor medio del cosθ1 sara uguale a -2/3 (da
upstream a downstream) e pertanto
∆E
E=
E2 − E1
E1
=1 + 4
3β + 4
9β2
1− β2− 1 ' 4
3β (1.17)
In queste ipotesi si puo dimostrare inoltre che lo spettro energetico
1.7 Propagazione dei raggi cosmici 17
ricavato segue una legge a potenza con indice spettrale γ = 2. Considerando
inoltre le perdite energetiche associate a questo modello, il valore dell’indice
γ aumenterebbe diventando ancora piu prossimo a quello sperimentale
osservato.
1.7 Propagazione dei raggi cosmici
1.7.1 Confinamento magnetico
I CR sono soggetti, durante il loro percorso, a diverse interazioni che ne
modificano sensibilmente la traiettoria. Per una particella di carica Ze in un
campo magnetico B, uguagliando la forza di Lorentz alla forza centripeta, si
ottiene l’espressione
pc = rL Z e B c (1.18)
dove p e il momento associato alla particella carica, c la velocita della
luce e rL il raggio di Larmor.
Affinche la traiettoria delle particelle cosmiche non sia deviata dal campo
magnetico della galassia deve essere soddisfatta la condizione
p c
Z e
1
B c≥ Rg (1.19)
da cui
p c ≥ Z e B cRg ' Z 1018 eV (1.20)
dove Rg e circa lo spessore del disco galattico pari a 0.3 kpc e B e il campo
magnetico della Galassia pari a circa 3 µG. Pertanto risulta che per energie
al di sopra di (Z) 1018 eV la particella cosmica da una parte non sara piu
1.7.2 Perdite di energia e cut-off GZK 18
confinata dal campo magnetico della nostra Galassia e dall’altra conservera
l’informazione direzionale della sorgente di emissione. A energie superiori a
1018 eV ha quindi senso cercare una correlazione tra una regione dell’Universo
e la direzione di arrivo dei CR. E ragionevole inoltre pensare che la transizione
tra raggi cosmici galattici ed extragalattici avvenga tra energie comprese tra
i 1018 e i 1019 eV dove e osservata la discontinuita spettrale del flusso, nota
come caviglia.
1.7.2 Perdite di energia e cut-off GZK
Nel paragrafo precedente si sono considerate le interazioni dei raggi cosmici
con i campi magnetici. Ora si analizzeranno invece le interazioni tra particelle
cosmiche primarie e la radiazione cosmica di fondo (CMB). Nel 1965 Penzias
e Wilson [9] osservarono per la prima volta una radiazione a bassa energia
nella regione delle microonde con equivalente temperatura di corpo nero
T ' 2.7 K e densita di energia ρE ' 0.2 eV cm−3. In seguito, nel 1966,
Greisen, Zatsepin e Kuz’min [10, 11] suggerirono che questa radiazione di
fondo potesse interagire con i raggi cosmici di altissima energia (UHECR).
Questa interazione dovrebbe generare il cosiddetto cut-off GZK cioe una forte
riduzione del flusso dei CR prodotti a distanze maggiori di circa 50÷100 Mpc
per energie superiori a 1020 eV . L’interazione tra UHECR e CMB comporta
infatti la fotoproduzione di pioni:
p + γCMB → ∆+ → p + π0 (1.21)
p + γCMB → ∆+ → n + π+ (1.22)
Dal calcolo della massa invariante nel sistema delle unita naturali in
regime ultrarelativistico
1.7.2 Perdite di energia e cut-off GZK 19
√s =
√(Ep + Eγ)
2 − | ~PP + ~Pγ |2 '
√m2
P + 2EP Eγ(1− cosθ) (1.23)
e dalla condizione√
s ≥ ∑i mi si ottiene che l’energia di soglia per questo
processo e
Eth ≥ mπ(mπ + 2M)
2Eγ(1− cos θ)(1.24)
dove M rappresenta la massa dei nucleoni (protone e neutrone hanno
circa la stessa massa) ed mπ rappresenta la massa di π0 e π+ (i pioni neutri
hanno circa la stessa massa dei pioni carichi). L’energia minima, nel caso di
urto frontale (θ = π), e
Emin =mπ(mπ + 2M)
4Eγ
' 1020eV (1.25)
dove Eγ ' 6 · 10−4eV .
La lunghezza di interazione per i protoni e
λP ∼ 1
σP nγ
(1.26)
dove nγ e la densita di fotoni di fondo (∼ 400 cm−3) e σP e la sezione d’urto
del processo di fotoproduzione del pione (' 2 · 10−28 cm2). Tale lunghezza
d’interazione, che risulta essere circa uguale a 5 Mpc, e associata ad una
inelasticita di circa il 20%, dove per inelasticita si intende la frazione di
energia persa in ogni singola interazione. In figura 1.5 e mostrata l’energia
del protone in funzione della distanza percorsa per valori differenti di energia
iniziale.
E facile intuire dal grafico che la rivelazione di eventi ad energie superiori
a 1020 eV e possibile solo nel caso in cui le sorgenti si trovino ad una distanza
1.8 Osservazione degli UHECR 20
Figura 1.5: Energia di un protone in funzione della distanza percorsa per diversi
valori iniziali dell’energia.
inferiore a ∼ 100 Mpc. E stato suggerito inoltre che la rivelazione di eventi
ad energie superiori a quelle previste dal cut-off GZK potesse essere dovuta a
modelli di tipo Top-Down e non ai convenzionali meccanismi di accelerazione
come gli Shock process nelle sorgenti astrofisiche.
1.8 Osservazione degli UHECR
Come gia descritto nei paragrafi precedenti, a causa di un flusso relativamente
basso di particelle cosmiche per energie superiori ai 1014 eV , le misure
possibili sono quelle indirette. Per risalire alle informazioni necessarie allo
studio delle caratteristiche dei CR si studiano pertanto gli sciami prodotti
1.9 Sciami Atmosferici Estesi 21
nelle interazioni tra le particelle cosmiche primarie e i nuclei presenti in
atmosfera terrestre. Questi sciami atmosferici estesi (EAS) vennero osservati
per la prima volta nel 1938 [12] da Pierre Auger e dai suoi collaboratori per
energie del primario di circa 1015 eV .
1.9 Sciami Atmosferici Estesi
Durante il passaggio delle particelle cosmiche nell’atmosfera terrestre si
verifica un processo di interazione con i nuclei bersaglio atmosferici. Il
risultato e una moltiplicazione delle particelle nello sciame. Un protone
primario con energia di 1019 eV , ad esempio, genera mediamente uno sciame
che arriva al suolo ad una numerosita di 1010 particelle distribuite non
uniformemente su di una superficie di circa 10 km2. Il numero di particelle
generate in atmosfera va inizialmente aumentando, raggiungendo quindi un
massimo per poi attenuarsi sempre di piu una volta che l’energia della singola
particella scende al di sotto della soglia minima di produzione di particelle
secondarie. Per uno sciame generato da un protone con energia di 1014 eV ,
si avranno all’incirca 105 particelle secondarie (per circa l’80% fotoni). La
restante parte sara composta da positroni ed elettroni (∼ 18%), muoni ed
adroni [13]. Gran parte dell’energia (∼ 90%) e trasportata dalla componente
elettromagnetica degli EAS che presenta in genere una dispersione dall’asse
dello sciame maggiore rispetto alle altre componenti (vedi figura 1.11).
In base al tipo di particella primaria che entra in atmosfera, gli EAS si
dividono principalmente in due gruppi: gli sciami elettromagnetici e gli
sciami adronici.
1.9.1 Sciami elettromagnetici
Per sciame elettromagnetico si intende uno sciame innescato da una particella
cosmica primaria quale elettrone, positrone, fotone o muone di alta energia,
1.9.1 Sciami elettromagnetici 22
per la quale tutti i processi attivati siano di natura elettromagnetica. Durante
la produzione dello sciame si verificano principalmente i seguenti fenomeni
• perdita di energia per eccitazione/ionizzazione;
• emissione di radiazione di Bremsstrahlung;
• produzione di coppie.
Di questi processi, solo la radiazione di Bremsstrahlung (emissione di
radiazione elettromagnetica da parte di una carica che accelera o che oscilla)
e la produzione di coppie (produzione di e− e+ da parte di un fotone in un
campo Coulombiano) concorrono alla moltiplicazione del numero di particelle
dello sciame. Nel 1954 Heitler elaboro un modello [4] atto a spiegare le
caratteristiche e lo sviluppo dello sciame elettromagnetico. Egli suppose
che, nel limite ultrarelativistico, il libero cammino medio per i fotoni di
Bremsstrahlung e la lunghezza di radiazione per la produzione di coppie siano
circa gli stessi (∼ 37 g/cm2 in aria). Inoltre suppose che nella produzione di
coppie l’energia associata ad un fotone sia distribuita in quantita uguale tra
elettrone e positrone e che a loro volta essi cedano meta della loro energia al
nuovo fotone di Bremsstrahlung prodotto.
Dalla figura 1.6 si vede, secondo il modello di Heitler, che dopo ogni
lunghezza di interazione il numero di particelle raddoppia. Inoltre l’energia
di una particella in uno strato n sara uguale a E0
2n (con E0 si intende l’energia
iniziale disponibile). Il processo di moltiplicazione andra avanti finche non si
verifichera la condizione
E0
2n∼ EC (1.27)
dove EC e l’energia critica al di sotto della quale il processo di
eccitazione/ionizzazione prevale sul processo di Bremsstrahlung e provoca
1.9.1 Sciami elettromagnetici 23
Figura 1.6: Sviluppo di uno sciame generato da un fotone. Secondo il modello di
Heitler il numero di particelle raddoppia ad ogni lunghezza di interazione X0.
un riassorbimento dello sciame.
Lo strato corrispondente al massimo sviluppo dello sciame sara
nmax =Xmax
X0
=ln
(E0
EC
)
ln(2)(1.28)
dove Xmax e la profondita raggiunta in corrispondenza del massimo
sviluppo e X0 la lunghezza di interazione. Il massimo numero di particelle
corrispondenti allo strato nmax sara
Nmax = 2nmax =E0
EC
(1.29)
1.9.2 Sciami adronici 24
1.9.2 Sciami adronici
Per descrivere uno sciame indotto da adroni si utilizza un modello simile al
precedente. Quando le particelle adroniche cariche entrano nell’atmosfera
terrestre, generano interazioni forti con i nuclei. Uno dei modelli piu adatti
allo studio dello sviluppo degli sciami adronici e il modello di sovrapposizione
[4] nel quale si suppone che un nucleo di energia iniziale E0 e di numero di
massa A si comporti come A nucleoni indipendenti di energia E0
Ae con λint
uguale alla lunghezza di interazione del nucleone in aria. L’energia primaria si
divide principalmente nella formazione di n pioni carichi (ma anche di kaoni
in quantita minore), di N particelle elettromagnetiche, in energia cinetica
e nella produzione di protoni e neutroni. In realta anche il modello di
sovrapposizione presenta i suoi limiti e puo esser quindi considerato valido
solo in prima approssimazione.
Figura 1.7: Sviluppo di uno sciame elettromagnetico (sinistra) e di uno adronico
(destra).
1.10 Caratteristiche degli EAS 25
1.10 Caratteristiche degli EAS
Quando una particella cosmica primaria interagisce con i nuclei bersaglio
presenti nell’atmosfera terrestre produce un elevato numero di adroni che a
loro volta possono interagire in atmosfera o decadere [5]. D’ora in avanti gli
EAS considerati saranno solo quelli adronici.
Figura 1.8: Sviluppo di uno sciame esteso: generazione delle tre componenti dello
sciame durante il suo sviluppo.
La cascata elettromagnetica verra alimentata dal decadimento dei pioni
neutri (π0 → γ + γ). Ogni interazione adronica cede inoltre il 30%
dell’energia alla componente elettromagnetica. Dal decadimento dei kaoni e
dei pioni carichi deriva invece la componente muonica che insieme ai neutrini
costituisce la componente hard degli EAS (particelle molto penetranti).
Protoni, neutroni, elettroni, positroni, fotoni e pioni definiscono invece la
componente chiamata soft [14].
La figura 1.9 [16] mostra come la componente hard cresca fino ad una certa
1.10 Caratteristiche degli EAS 26
Figura 1.9: Flusso stimato dei raggi cosmici secondari con E maggiore di 1 GeV
in funzione dello spessore atmosferico attraversato [16].
profondita per poi raggiungere la condizione di plateau (la perdita di energia e
dovuta in prima approssimazione solo ai processi di eccitazione/ionizzazione).
Lo stesso non si puo dire per le componenti adroniche ed elettromagnetiche
che si riducono al diminuire dell’altitudine.
Per quel che riguarda le differenze fenomenologiche tra gli sciami
elettromagnetici e quelli adronici si prenda in considerazione la figura 1.10
che ne mostra una simulazione.
Entrambi gli sciami in figura hanno energia pari a 1 TeV. Si nota subito
come gli sciami adronici, rispetto a quelli elettromagnetici, siano piu estesi
spazialmente. Cio e dovuto principalmente allo sviluppo contemporaneo di
rami adronici ed elettromagnetici. Inoltre gli EAS generati da fotoni UHE
raggiungono il massimo ad una profondita molto maggiore rispetto a sciami
adronici di pari energia. La profondita del massimo per sciami innescati da
1.11 Parametri caratteristici di un EAS 27
Figura 1.10: Simulazione di uno sciame elettromagnetico (sinistra) e di uno
adronico (destra) di uguale energia pari a 1 TeV [17].
fotoni aumenta ulteriormente a circa 10 EeV a causa della soppressione della
produzione di coppie Bethe-Heitler dovuta all’effetto LPM [24, 25] che non e
importante per altre particelle primarie [26].
1.11 Parametri caratteristici di un EAS
Le caratteristiche pricipali di uno sciame atmosferico esteso sono:
• Xmax, ossia la profondita atmosferica in corrispondenza della quale lo
sciame presenta il massimo sviluppo longitudinale (numero massimo di
particelle secondarie);
• il profilo longitudinale;
• lo sviluppo trasversale.
1.11.1 Xmax e profilo longitudinale 28
Figura 1.11: Sinistra: simulazione dello sviluppo di un EAS generato da un
protone di E ' 1014 eV con le varie componenti suddivise in colori. Destra:
sviluppo trasversale e longitudinale dell’EAS e numero di particelle suddivise nelle
diverse componenti in funzione della distanza dal core (punto di intersezione tra
l’asse dello sciame e il suolo).
1.11.1 Xmax e profilo longitudinale
Il profilo longitudinale di uno sciame elettromagnetico e ben descritto dalla
parametrizzazione di Gaisser - Hillas [20]
Ne(X) = NXmax
(X −X∗
Xmax −X∗
)(Xmax−X∗)/λint
exp
(Xmax −X∗
λint
)(1.30)
che stima il numero di particelle cariche Ne in funzione dello spessore X di
atmosfera attraversata. Gli altri parametri sono: Xmax, importantissimo per
risalire al tipo di primario che innesca lo sciame; X∗ che e la profondita
atmosferica del punto di prima interazione e λint che e la lunghezza di
interazione in aria per il primario (generalmente λint e fissata a circa 70
g/cm2 per i protoni e 10 g/cm2 per il ferro).
Assumendo infatti valido il principio di sovrapposizione e che la prima
interazione si abbia dopo una lunghezza di interazione λ ∝ 1σ, dove σ e
1.11.1 Xmax e profilo longitudinale 29
la sezione d’urto del nucleone, gli EAS generati da particelle primarie piu
pesanti come, ad esempio, i nuclei di ferro, raggiungeranno uno sviluppo
massimo ad una profondita atmosferica minore rispetto agli EAS generati da
protoni della stessa energia (figura 1.12).
Figura 1.12: Profilo longitudinale di sciami simulati innescati da protoni (in
rosso) e nuclei di ferro (in blu) ad energie di 1019 eV .
Una formula sperimentale che aiuta a descrivere l’andamento del valore
medio di Xmax in funzione dell’energia e
〈Xmax〉 = Dp[ln(E/E0)− 〈ln A〉] + cp (1.31)
dove A denota il numero di massa, Dp l’elongation rate [22] del protone
e cp e la profondita media di un protone con energia di riferimento E0 [23].
Sia Dp che cp dipendono dalla natura delle interazioni adroniche.
1.11.2 Sviluppo trasversale e funzione NKG 30
Figura 1.13: Andamento di 〈Xmax〉 misurato da Auger in funzione dell’energia
confrontato con le previsioni dei modelli di interazione adronica. Le curve dei
modelli sono date dai valori estremi delle masse (protoni e ferro). I punti
sperimentali sono interpolati con un fit a due costanti (elongation rate e break-
point). I numeri associati ai punti sperimentali indicano la statistica della
misura.
La figura 1.13 mostra invece 〈Xmax〉 in funzione dell’energia per diversi
modelli di interazione adronica.
1.11.2 Sviluppo trasversale e funzione NKG
Lo sviluppo trasversale [21], che da un’idea della distribuzione della densita di
particelle in funzione della distanza r dal core (punto di intersezione tra l’asse
dello sciame e il suolo), e principalmente causato dallo scattering multiplo
Coulombiano delle particelle cariche sui nuclei dell’atmosfera. La relativa
distribuzione laterale per i soli sciami elettromagnetici e ben parametrizzata
1.11.2 Sviluppo trasversale e funzione NKG 31
dalla funzione proposta da Nishimura, Kamata e Greisen che prende il nome
di funzione NKG. In seguito modificata ed adattata affinche valga per tutte
le particelle dello sciame, la funzione presenta il seguente aspetto [4]
ρ(r) = C1(s)
(r
rM
)s−2(1 +
r
rM
)s− 4.5(
1 + C2
(r
rM
)d)
(1.32)
dove
• ρ(r) e la densita delle paricelle in funzione della distanza dal core;
• s e il parametro di age definito come
s =3X
X + 2Xmax
(1.33)
associato all’ eta dello sciame quando raggiunge il rivelatore;
• rM e il raggio di Moliere (rM ' 21 MeV λ0
EC, con λ0 lunghezza di
radiazione in aria ed EC valore dell’energia per la quale i processi di
eccitazione/ionizzazione equivalgono ai processi di Bremsstrahlung);
• C2 e d sono parametri liberi.
La distribuzione laterale presenta quindi una densita di particelle
decrescente all’aumentare della distanza dal core.
Capitolo 2
Tecniche di rivelazione dei
raggi cosmici
2.1 Introduzione
In questo capitolo verrano descritti i principali metodi di rivelazione dei raggi
cosmici primari e degli sciami atmosferici estesi. Verrano inoltre brevemente
analizzati alcuni tra gli esperimenti piu importanti per ogni tecnica di
rivelazione utilizzata.
2.2 Metodi di rivelazione ed energia
I sistemi di rivelazione dei CR si differenziano tra di loro principalmente
in base all’intervallo energetico al quale sono sensibili e alle tipologie di
ricerca che affrontano. Piu volte infatti si e evidenziata la necessita di misure
indirette per particelle cosmiche primarie con energie superiori ai 1014 eV (a
causa del basso flusso osservato) e la possibilita invece di effettuare misure
dirette al di sotto di tale soglia energetica. Il flusso per energie pari a
∼ 100 TeV e
32
2.3 Misure dirette 33
Φ(E ∼ 1014 eV ) ' 10−4
m2 × s× sr(2.1)
La rate di eventi e definita come
R = ΦA (2.2)
dove A e l’accettanza del rivelatore, che cresce all’aumentare dell’angolo
solido al quale il rivelatore e sensibile. Considerando un rivelatore di raggi
cosmici in orbita, ad esempio un satellite, si ha che generalmente il valore
dell’accettanza si aggira intorno a ∼ 1 m2 sr. In questo caso, la rate di eventi
per energie di circa 100 TeV sara pertanto
R(E ∼ 1014 eV ) ' 10−4 Hz ' 9 part
giorno(2.3)
Quindi la presa dati di un anno su un rivelatore satellitare in orbita
equivale allo studio complessivo di poche migliaia di eventi. Da cio risulta
che al di sopra dei 100 TeV, poiche il flusso diminuisce, e necessario utilizzare
apparati di rivelazione a terra che studino i raggi cosmici secondari dai quali
si possa poi risalire alle caratteristiche del primario.
2.3 Misure dirette
Il vantaggio di questo tipo di misura consiste nella rivelazione diretta di
particelle cosmiche primarie prima che interagiscano nell’atmosfera terrestre
quando e possibile ricostruire direttamente l’energia, la direzione di arrivo
ed il tipo di particella primaria. Lo svantaggio consiste invece nella difficolta
di raccogliere eventi con energia elevata. Cio e dovuto principalmente
all’osservazione del flusso ridotto ad energie elevate e all’impossibilita di
2.3.1 Satelliti 34
creare apparati di rivelazione che coprano grandi superfici spaziali. Gli
apparati per misure dirette devono quindi trovarsi ad alta quota. Essi si
dividono in due gruppi: satelliti e palloni.
2.3.1 Satelliti
In un rivelatore satellitare le particelle cosmiche cariche vengono rivelate
per mezzo di sistemi complessi costituiti generalmente da spettrometri,
calorimetri elettromagnetici e rivelatori per l’identificazione delle particelle.
Figura 2.1: Rappresentazione schematica dell’apparato AMS02.
Un tipico schema dell’apparato e rappresentato in figura 2.1. L’AMS
(Alpha Magnetic Spectrometer) e uno spettrometro magnetico per la
rivelazione dei CR. Il rivelatore TRD (Transition Radiation Detector) sfrutta
2.3.2 Palloni ad alta quota 35
il fatto che quando una particella carica attraversa materiali con indice di
rifrazione differente emette radiazione elettromagnetica ad un angolo θ ∼ 1γ∗
(nel sistema delle unita naturali γ∗ e uguale a Em
, dove E e l’energia e m la
massa a riposo della particella). Poiche γ∗ e generalmente grande, θ sara
piccolo e quindi sara trasmessa radiazione elettromagnetica quasi tutta in
avanti (lungo cioe la direzione del moto della particella). Dalla figura si
nota un apparato in grado di misurare la β (nel sistema delle unita naturali
β = P/E, dove P e il momento ed E l’energia della particella) della particella
tramite il metodo del tempo di volo (Time of Flight = ToF). Questa tecnica
consiste nel misurare il tempo impiegato da una particella ad attraversare due
rivelatori posti a distanza nota per risalire poi al valore della velocita. Per
misurare la β si utilizzano inoltre i rivelatori RICH (Ring Imaging Cherenkov)
che creano, al passaggio delle particelle, delle immagini circolari di raggio
differente in base alla β associata a ciascuna particella. Da qui una stima
della stessa β.
Altri importanti apparati satellitari sono: ACE (Advance Composition
Explorer), ASCA (Advanced Satellite for Cosmology and Astrophisics) e
Proton Satellite.
2.3.2 Palloni ad alta quota
Nella rivelazione dei raggi cosmici primari si utilizzano anche i palloni d’alta
quota che generalmente arrivano a circa 40 km di altitudine (in grammage
∼ 2 gcm2 ) per sfruttare gli effetti della rarefazione dell’atmosfera terrestre.
La probabilita infatti che la particella cosmica interagisca a tale quota e
relativamente bassa. I limiti di questi apparati sono connessi alle loro
dimensioni e al loro tempo di permanenza in volo. Le limitazioni connesse
alla ridotta accettanza geometrica sono facilmente comprensibili (limitazione
del carico del pallone). I limiti inerenti al tempo di esposizione in volo
2.4 Misure indirette 36
sono invece di natura diversa. I tempi di volo dei primi palloni erano
in media di circa 20-30 ore (tempo evidentemente troppo breve per un
sufficiente immagazinamento di dati). Tuttavia oggi si riesce a tenere in volo
il pallone anche per qualche settimana. Esempi importanti di esperimenti
condotti con palloni ad alta quota sono BESS (Ballon-borne Experiment
with a superconducting Solenoid Spectrometer) che nel luglio del 1993 resto
in volo di circa 17 ore ad un’altitudine di 37 km e JACEE (Japanese-
America Collaborative Emulsion Experiment) che ha effettuato 14 voli a
quote relativamente elevate della durata di circa una settimana. Tra gli altri
esempi citiamo: ATIC, BETS, RunJob, HIREGS e TIGRE [36].
2.4 Misure indirette
Le tecniche che si analizzeranno d’ora in poi per le misure indirette faranno
riferimento principalmente all’esperimento Auger.
2.4.1 Rivelatori di fluorescenza
Le particelle cariche di uno sciame eccitano le molecole di azoto presenti
nell’atmosfera. Dal processo di diseccitazione dell’azoto viene emessa
isotropicamente luce di fluorescenza. La radiazione e principalmente emessa
nella regione UV (300÷ 400 nm). Inoltre i fotoni di fluorescenza sono emessi
isotropicamente con l’effetto complessivo di una sorgente di luce sferica
che si muove approssimativamente alla velocita della luce. La quantita
complessiva di radiazione di fluorescenza e proporzionale all’energia rilasciata
dalle particelle dello sciame in atmosfera. Da cio si puo stimare l’energia del
primario. La resa luminosa (fluorescence yield), ossia il numero di fotoni
prodotti da una particella carica per unita di cammino percorso, e di circa
4-5 fotoni per metro e dipende dall’energia della particella e dalla pressione e
temperatura atmosferica. I rivelatori di fluorescenza (Fluorescence Detector
2.4.1 Rivelatori di fluorescenza 37
= FD) osservano lo sviluppo longitudinale dello sciame tramite la misura
della dissipazione energetica in atmosfera. La misura e possibile solo nelle
notti chiare (senza nebbia e nuvole), senza luna e in siti con basso fondo
luminoso. Cio comporta un basso ciclo di lavoro (duty cycle), dell’ordine del
10%. I rivelatori FD sono di tipo calorimetrico. La tecnica di rivelazione
basata su misure dell’energia rilasciata dalla diseccitazione delle molecole di
azoto in atmosfera durante il passaggio dello sciame fu adottata per la prima
volta da Greisen e dai suoi collaboratori nel 1965.
Luce di fluorescenza
Figura 2.2: Spettro di fluorescenza dell’azoto normalizzato al valore di picco
(λ = 337.1nm).
Si e gia detto in precedenza che la luce di fluorescenza emessa durante la
diseccitazione delle molecole di azoto in atmosfera al passaggio di un EAS
e nella zona del vicino ultravioletto. Dalla figura 2.2 si puo infatti notare
che il range spettrale di emissione va in particolare dai 300 ai 400 nm. In
2.4.1 Rivelatori di fluorescenza 38
questa regione l’assorbimento atmosferico e molto limitato (la lunghezza di
attenuazione e di circa 15 km). L’emissione di luce di fluorescenza e solo
l’1% dell’energia totale dissipata. Cio nonostante grazie all’elevato numero
di fotoni prodotti e possibile effettuare misure anche a distanze superiori a
quella della lunghezza di attenuazione (oltre i 20 km). Il numero di fotoni e
inoltre proporzionale al numero di particelle cariche prodotte nello sciame.
Ricostruzione della geometria dello sciame
Un rivelatore FD raccoglie la luce di fluorescenza tramite l’utilizzo di fototubi.
Ognuno di essi viene posizionato in modo tale da coprire un ben definito
angolo solido. Per ogni evento, vengono memorizzate sia l’ampiezza del
segnale in ingresso nei fotomoltiplicatori (PMT), sia il tempo di trigger,
cioe il tempo in corrispondenza del quale il segnale ha superato una certa
soglia. Dalle analisi dei segnali registrati e dalle direzioni in cui i fototubi
guardano il cielo si risale allo Shower Detector Plane (SDP) che e il piano che
contiene sia l’asse dello sciame che il rivelatore FD. Dalle analisi degli angoli
individuati dai pixel del sistema di rivelazione e dalla sequenza temporale dei
segnali raccolti si individuano inoltre due parametri molto importanti nella
ricostruzione della geometria dello sciame. Essi sono (vedi figura 2.3):
• RP : la distanza minima tra l’asse dello sciame e il rivelatore FD;
• Ψ: l’angolo di incidenza dell’asse dello sciame.
Il passaggio successivo consiste nell’individuazione dell’asse dello sciame.
Il problema non si pone nel caso in cui un evento sia osservato
contemporaneamente da 2 rivelatori di fluorescenza (occhi). In questo
caso l’evento si chiama stereo e l’intersezione tra gli SDP individuati dai
rispettivi occhi individuera la traiettoria dell’asse dello sciame. Nel caso
di evento mono, ossia un evento osservato da un solo occhio, e ancora
possibile ricostruire l’asse tramite la sequenza temporale dei segnali raccolti
2.4.1 Rivelatori di fluorescenza 39
Figura 2.3: Ricostruzione della geometria di un evento. RP e il parametro di
impatto, Ψ e l’angolo fra l’asse dello sciame e l’intersezione fra SDP e terra.
dai fotomoltiplicatori. Per ogni pixel i-esimo puo essere misurato, tramite
tracce FADC (Flash Analog to Digital Converter), il tempo medio (ti,meas)
corrispondente all’arrivo della luce nel campo di vista (FOV, Field Of View)
del pixel considerato. I parametri dell’asse dello sciame nello SDP sono
relazionati al tempo atteso (ti,exp) di arrivo della luce sul pixel i-esimo dalla
seguente espressione
ti,exp = t0 +RP
ctan
(χ0 − χi
2
)(2.4)
dove χi e la direzione dell’i-esimo pixel proiettato sullo SDP, χ0 e il
supplementare dell’angolo Ψ, RP e la distanza minima tra l’asse dello sciame
e il rivelatore, t0 e il tempo in corrispondenza del quale il fronte dello sciame
2.4.1 Rivelatori di fluorescenza 40
raggiunge la posizione piu vicina al rivelatore e c e la velocita della luce (si
veda la figura 2.4).
Figura 2.4: Schema della geometria di uno sciame e parametri caratteristici.
Il miglior fit ai tre parametri RP , χ0 e t0 e ottenuto minimizzando la
somma χ2 =∑
i wi (ti,exp − ti,meas)2, dove wi e un peso proporzionale al
segnale del pixel. In questa procedura, la precisione del fit dei parametri
dipende dalla geometria dello sciame. Un esempio di fit temporale per uno
sciame che atterra a 19 km dal rivelatore FD con angolo di zenit di 49◦ [35]
e mostrato in figura 2.5.
Ricostruzione del profilo longitudinale e dell’energia
Il passo successivo e ricostruire il profilo longitudinale dal quale si puo
risalire all’energia del primario. Inoltre e possibile risalire a Xmax, un
parametro gia evidenziato piu volte per la sua importanza quale indicatore
della composizione dei primari.
In figura 2.6 [35] e rappresentato il profilo della luce raccolta dal rivelatore
in funzione del tempo. Le fluttuazioni sono in parte dovute alle fluttazioni
2.4.1 Rivelatori di fluorescenza 41
Figura 2.5: Esempio di ricostruzione dello sciame. Si osserva, per l’i-esimo pixel,
il tempo misurato ti in funzione di χi. Il punti rappresentano i dati sperimentali
mentre la linea continua rappresenta il risultato del fit.
statistiche fotoelettriche e in parte a leggere disuniformita nella raccolta della
luce da parte del rivelatore. Lo sciame in questione ha un angolo di zenit
ricostruito di 56◦ con il core posizionato a 13 km davanti al rivelatore FD.
La procedura di ricostruzione prende come input le tracce dell’ADC (Analog
to Digital Converter) calibrato in tutti i pixel, la geometria ricostruita
dell’asse dello sciame e un modello di diffusione degli areosol in atmosfera.
La radiazione luminosa emessa dalle molecole di azoto al passaggio dello
sciame si propaga attraverso l’atmosfera subendo processi di diffusione ed
assorbimento. Quando lo scattering e dovuto alle molecole in aria i cui centri
diffusori sono di dimensioni minori rispetto alla lunghezza d’onda della luce
entrante (λ) si parla di scattering Rayleigh. In questo caso la sezione d’urto
e inversamente proporzionale a λ4. Se i centri diffusori sono di dimensioni
comparabili a λ si parla invece di scattering Mie. In questo caso i centri
diffusori sono i cosiddetti areosol che hanno le dimensioni dell’ordine del µm.
2.4.1 Rivelatori di fluorescenza 42
Figura 2.6: Profilo della luce ricevuta in funzione del tempo. Il contributo della
luce Cherenkov diretta e trascurabile per quest’evento. Sono mostrati inoltre i
contributi dovuti agli scattering Rayleigh e Mie della luce Cherenkov.
La sezione d’urto associata in questo caso e inversamente proporzionale a
λ. La differenza sostanziale tra questi due tipi di scattering sta nel fatto
che mentre la diffusione Rayleigh e causata da molecole in atmosfera la cui
concentrazione e pressoche costante al variare del tempo, la diffusione Mie
e invece causata da areosol la cui concentrazione varia in continuazione. Da
qui la necessita di un continuo monitoraggio atmosferico. Il fascio subira
pertanto un’attenuazione
I = I0e(− r
re) (2.5)
dove r e la distanza dal punto di produzione ed re = 1ne σs
e la lunghezza
di estinzione (ne e la densita volumetrica dei centri diffusori e σs la sezione
d’urto totale di diffusione).
Il primo passo e fare la migliore stima della luce che arriva sul rivelatore in
2.4.1 Rivelatori di fluorescenza 43
funzione del tempo. In seguito si usano la geometria dello sciame e il modello
di scattering atmosferico per trasformare la luce raccolta dal rivelatore in
luce emessa dallo sciame in funzione della slant depth (in g cm−2). La luce
rivelata dai telescopi FD e in realta la somma di piu contributi: la luce di
fluorescenza e la luce Cherenkov diretta e diffusa. Quando una particella
raggiunge in un mezzo una velocita maggiore di quella della luce all’interno
dello stesso mezzo, emette luce Cherenkov in un cono di apertura angolare
θc tale che
cos θc =1
nβ, β >
1
n(2.6)
dove n e l’indice di rifrazione del mezzo considerato e β = vc
(v e c sono
rispettivamente la velocita della particella e la velocita della luce nel vuoto).
Poiche l’indice di rifrazione dell’aria e circa uguale a 1 e β e generalmente
prossimo a 1, la luce Cherenkov e fondamentalmente emessa in avanti, lungo
la direzione di propagazione della particella.
In figura 2.7 si nota il confronto tra i contributi di luce Cherenkov e di
luce di fluorescenza in funzione dell’angolo dall’asse dello sciame per EAS
innescati da nuclei di ferro di energia pari a 1019 eV e con angolo di zenit
pari a 0◦. Il grafico tiene conto dei fotoni prodotti a tre diverse profondita
atmosferiche. Si noti la mancanza di correlazione tra luce di fluorescenza e
angolo dall’asse dello sciame. Viceversa e presente una correlazione tra luce
Cherenkov e angolo dall’asse dello sciame. Il contributo della luce Cherenkov
dipende dalla geometria dell’evento e risulta dominante per angoli ≤ 20◦
dall’asse dello sciame. Per angoli di circa 30◦ tale contributo e dell’ordine del
10% (come si vedra nel paragrafo 5.4.3, per la selezione degli eventi per questo
lavoro di tesi, si richiedera che il minimum viewing angle, ossia l’angolo tra
la direzione associata al pixel FD e l’asse dello sciame debba avere valore
minimo maggiore di 20◦ affinche il contributo di luce Cherenkov del segnale
2.4.1 Rivelatori di fluorescenza 44
Figura 2.7: Confronto tra i contributi di luce Cherenkov e luce di fluorescenza in
funzione dell’angolo dall’asse dello sciame.
sia minore del 50%).
Per un primo approccio nella ricostruzione dell’energia, si sviluppa una
procedura iterativa partendo dall’ipotesi che tutta la luce emessa sia luce
di fluorescenza. In seguito, considerazioni sullo spettro dei fotoni di
fluorescenza, sull’efficienza quantica dei fotomoltiplicatori del rivelatore,
sull’attenuazione atmosferica e sulla resa luminosa [38] sono introdotte per
risalire dalla luce emessa dalla traccia ad una prima stima del profilo
longitudinale (il numero di particelle cariche in funzione della slant depth).
Tramite lo studio della geometria ricostruita, questo profilo assicura una
stima dell’intensita di luce Cherenkov presente e da qui si puo calcolare
quanta di questa luce sia diffusa e rivelata dai telescopi. Tutto cio fornisce
un’ulteriore stima della sola luce di fluorescenza che arriva al rivelatore.
Questa procedura viene ripetuta piu volte e tipicamente converge ad un
profilo longitudinale stabile dello sciame in meno di 4 interazioni. Il
profilo cosı ottenuto viene in seguito interpolato con una funzione di tipo
2.4.1 Rivelatori di fluorescenza 45
Gaisser-Hillas. Per risalire infine all’energia del primario si integra il profilo
longitudinale stimato
E = α
∫ X
0
Ne(X) dX (2.7)
dove α e un parametro che dipende dall’energia critica alla quale la
perdita di energia per eccitazione e ionizzazione uguaglia la radiazione di
Bremsstrahlung e dalla lunghezza di radiazione in aria ed Ne(X) e il numero
di particelle cariche in funzione dello spessore di atmosfera attraversata.
Tuttavia, poiche la luce di fluorescenza e proporzionale al rilascio di energia
e piu appropiato risalire all’energia del primario secondo la formula
E =
∫ X
0
dE
dXdX (2.8)
dove dEdX
e la perdita di energia durante il percorso in atmosfera. E
necessario tuttavia applicare al risultato della 2.8 una correzione che tenga
conto della missing energy, cioe dell’energia trasportata dalle particelle molto
penetranti come i neutrini e i muoni e non rivelata. Questa correzione
dipende dall’energia e dal tipo di primario (∼ 10% (15%) a 1018 eV per
protoni (nuclei di ferro) [18, 19]). Al crescere dell’energia, la missing energy
decresce a causa degli effetti relativistici: i pioni carichi prodotti negli sciami
piu energetici hanno una probabilita di interazione maggiore rispetto a quella
di decadimento, pertanto l’energia trasportata dalla componente hard di
questi EAS sara minore. Inoltre, la dipendenza della missing energy dal
tipo di primario si spiega dal modello di sovrapposizione per sciami adronici
(il numero dei muoni e dei neutrini prodotti negli EAS innescati da nuclei di
ferro e maggiore rispetto a quello degli sciami innescati da protoni e pertanto
la correzione sulla missing energy risulta minore per quest’ultimi).
2.4.2 Rivelatori di superficie 46
2.4.2 Rivelatori di superficie
Un’altra importante tecnica per la rivelazione e lo studio degli EAS e il
campionamento del fronte dello sciame per mezzo di array di rivelatori di
superficie (in genere rivelatori Cherenkov ad acqua e scintillatori plastici).
Poiche il flusso dei CR per energie superiori al ginocchio e relativamente
basso, per ottenere delle misure adeguate, bisognerebbe coprire aree spaziali
molto estese. Ma per i costi elevati e l’impossibilita pratica risulta difficile
ricoprire per intero vaste superfici. Il sistema solitamente adottato consiste
nell’utilizzo di una griglia di rivelatori di superficie poco estesi (superficie
di qualche m2) e distanziati tra di loro di poche centinaia di metri disposti
generalmente secondo un reticolo regolare. Come si vedra piu avanti, la
separazione spaziale tra i rivelatori dell’array definira il range energetico di
operativita dell’apparato. Per rivelare eventi di energia estrema, la griglia
dei rivelatori di superficie (Su rface Detector = SD) copre un’estensione
di migliaia di km2. Poiche i rivelatori SD non osservano lo sviluppo dello
sciame in atmosfera e necessario che essi siano ubicati in zone adatte ad
ottimizzarne le misure. La condizione ideale e quella in cui la rivelazione
avviene in prossimita del massimo sviluppo dello sciame. I rivelatori SD
infatti campionano il numero di particelle prodotte da un raggio cosmico
primario in un EAS. Il duty cycle di tali apparati e prossimo al 100%.
Rivelazione e ricostruzione
Le diverse stazioni SD (tank) contigue hanno un trigger quando ricevono un
segnale oltre una soglia di energia prestabilita ed entro una certa finestra
temporale che dipende dalla geometria dell’array e dal massimo angolo di
zenit dello sciame che si vuole accettare. In prima approssimazione si assume
che lo sciame abbia un fronte piano e che le particelle si muovano alla velocita
della luce (c). In queste ipotesi e possibile risalire alla direzione di arrivo
2.4.2 Rivelatori di superficie 47
dell’asse dello sciame dall’analisi dei ritardi temporali di almeno 3 tank con
trigger.
Figura 2.8: Schematizzazione bidimensionale dell’arrivo su un array di superficie
del fronte di uno sciame, considerato piano e che si muove alla velocita della luce.
Limitandoci al caso bidimensionale (si veda la figura 2.8) e dette dij
la distanza tra l’i-esima e la j-esima tank e tij l’intervallo temporale che
intercorre tra l’arrivo del segnale nelle rispettive stazioni, l’angolo di zenit θ
che l’asse del fronte dello sciame forma con la verticale risulta
θ = arcsin
(dij
tij c
)(2.9)
La risoluzione angolare dipendera da quella temporale dei rivelatori e dal
numero di particelle rivelate.
La posizione del core e determinata usando una funzione di distribuzione
laterale (LDF) che descrive la variazione del segnale al variare della distanza,
con l’andamento tipico di una legge di potenza. Ricavata la direzione dell’asse
dello sciame si fa il fit della funzione di distribuzione laterale, corretta per gli
2.4.3 Tecniche di rivelazione radio 48
effetti dell’angolo di zenit. Per angoli di zenit molto elevati e necessaria
un’analisi degli effetti dovuti al campo geomagnetico ed una semplice
descrizione a legge di potenza della diminuzione della densita di particelle
con la distanza e inadeguata. L’accuratezza nella ricostruzione dello sciame
dipende dalle fluttuazioni intrinseche dello sviluppo dello sciame. Dallo
studio condotto sulla geometria del detector di superficie, sulla geometria
dello sciame e sulle rispettive funzioni LDF si e arrivati alla conclusione che
le fluttuazioni del segnale dello sciame, nel range energetico di interesse per
l’esperimento Auger, hanno un minimo intorno a 1000 m di distanza dal
core. Di conseguenza, un parametro importante per la stima dell’energia del
primario e S(1000), la densita di particelle a 1000 metri dall’asse dello sciame.
Inoltre, per quanto riguarda lo studio della composizione chimica, bisogna
considerare che i primari piu pesanti producono piu muoni rispetto a quelli
piu leggeri. Stimando pertanto la percentuale di muoni di uno sciame si
possono ricavare informazioni sulla massa del primario. La misura di energia
con rivelatori di superficie dipende dai modelli di interazione adronica ed
e quindi affetta da una significativa incertezza sistematica. Per i rivelatori
di fluorescenza, invece, la dipendenza dai modelli e limitata al calcolo della
missing energy e quindi la misura di energia e solo debolmente dipendente
dalle assunzioni teoriche.
2.4.3 Tecniche di rivelazione radio
Oltre alle tecniche di rivelazione finora trattate e possibile adoperare un
sistema di rivelazione che sfrutti gli impulsi RF (Radio Frequency) generati
dagli sciami atmosferici. I CR inducono infatti impulsi radio attraverso
diversi meccanismi. Quello dominante e l’emissione di radiazione di
sincrotrone da parte delle coppie e+ e− che si propagano nel campo magnetico
terrestre. Recentemente e stato proposto un array a basse frequenze (Low-
2.5 Esperimenti con rivelatori di fluorescenza 49
Frequency Array = LOFAR) [39] che sara presto il piu grande radio telescopio
mai costruito (tuttora in fase di costruzione). Una volta terminato, LOFAR
sara costituito da 15000 piccole antenne distribuite lungo 77 stazioni nel
Nord Est dei Paesi Bassi. L’array operera a frequenze tra i 10 e i 240
MHz. In accordo con le previsioni, LOFAR sarebbe in grado di osservare
eventi con energia fino ai 1020 eV con una rate di circa 1 evento all’anno.
Il vantaggio dell’utilizzo di questa tecnica di rivelazione radio rispetto alle
altre tecniche finora considerate, consiste nel fatto che i segnali, durante la
loro propagazione, non sono ne assorbiti ne deflessi. L’ampiezza del segnale
e proporzionale all’energia primaria della particella entrante. Inoltre il duty
cycle e prossimo al 100%.
2.5 Esperimenti con rivelatori di fluorescenza
L’esperimento Fly’s Eye e stato il primo ad adottare apparati di fluorescenza
come tecnica di rivelazione dei raggi cosmici. Operativo dal 1981 al 1992 e
ubicato nello Utah, il sistema di rivelazione era composto da due telescopi
(Fly’s Eye I e II) distanziati di 3.4 km.
Il nome, Fly’s Eye, deriva dalla sua struttura e dalla sua forma: 67 specchi
equipaggiati con 880 fotomoltiplicatori posti su una calotta semisferica (vedi
figura 2.9). Con questa struttura l’esperimento consentiva di osservare
l’intera volta celeste sopra l’orizzonte. L’apparato era inoltre fornito di un
sistema di monitoraggio atmosferico basato su tecniche LIDAR [40] (vedi
paragrafo 3.5) costituito da 30 laser verticali.
Un altro esperimento importante che conduceva misure tramite tecniche di
rivelazione FD e stato HiRes (High Resolution Fly’s Eye). Operativo dal 1997
al 2006 e ubicato nello Utah, era costituito da 2 rivelatori di fluorescenza e 64
specchi dell’area di 5 m2. Ogni specchio era associato ad una matrice di 256
2.6 Esperimenti con rivelatori di superficie 50
Figura 2.9: Diagramma del rivelatore di fluorescenza Fly’s Eye. Sono evidenziati
i pixel corrispondenti ai fototubi con segnale relativo alla luce emessa da un EAS,
tramite ai quali e possibile determinare il piano dello sciame.
fotomoltiplicatori. I risultati ottenuti da HiRes relativamente allo spettro dei
CR sono in accordo con la presenza del cut-off GZK.
2.6 Esperimenti con rivelatori di superficie
Haverah Park, ubicato nel North Yorkshire Moors in Gran Bretagna, e stato
un sito di ricerca gestito dai fisici dell’Universita di Leeds. Per 20 anni
e stato uno dei piu estesi array di superficie per la rivelazione degli EAS.
L’array era costituito da 200 rivelatori Cherenkov ad acqua accoppiati a
fotomoltiplicatori raggruppati in 48 stazioni poste su una griglia regolare
di 12 km2. Durante il periodo in cui e stato operativo, molte migliaia di
EAS sono stati registrati, inclusi 4 eventi eccezionali, di grandezza tale che i
primari dovevano avere energia maggiore di 1020 eV .
SUGAR (Sydney University Giant-Air Shower Recorder) [41] e stato
operativo vicino alla citta di Narrabri, nel Nord del New South Wales in
2.6 Esperimenti con rivelatori di superficie 51
Australia, per piu di un decennio (tra il 1968 e il 1979). L’array era costituito
da 54 stazioni composte da coppie di grandi scintillatori liquidi distanziati di
50 m, coprendo una superficie totale di 100 km2. Ogni stazione ha operato
in modo autonomo con unita alimentate da pannelli solari. Un’importante
caratteristica di questo array rispetto ad altri esperimenti e stata quella che
ogni scintillatore e stato posto a qualche metro di profondita nel terreno,
riducendo quindi la componente soft (elettromagnetica) degli EAS in modo
da essere piu sensibile alla componente hard (muoni).
AGASA (Akeno Giant Air Shower Array) e ubicato ad Akeno, in Giappone.
Copre un’area di circa 100 km2 ed e composto da 111 rivelatori di superficie e
27 rivelatori di muoni. AGASA, nel periodo in cui e stato operativo (dal 1990
al 2004) ha rivelato 8 eventi con energia maggiore di 1020 eV . A differenza
di HiRes, AGASA non riporta per tali eventi nessuna evidenza del cut-off
GZK.
Kascade (KArlsruhe Shower Core and Array DEtector) e un esperimento per
lo studio dei raggi cosmici con range energetico compreso tra 1014 e 1017 eV .
L’array di superficie e composto da 252 rivelatori all’interno di un’area di
200×200 m2. I rivelatori di superficie sono disposti su una griglia rettangolare
con separazione di 13 m. Le osservabili misurate sono gli elettroni, i fotoni e
i muoni entro un raggio di 200 m dal core dello sciame. Lo spettro misurato
e stato ottenuto utilizzando i modelli di interazione adronica QGSJet [31]
e SIBYLL[32] (vedi fig. 2.10). Un’evoluzione dell’esperimento Kascade e
costituito da Kascade-Grande che estendera le misure dell’energia per lo
spettro da 1014 eV a 1018 eV [33] (range energetico col quale ci andremo
a confrontare in questo lavoro di tesi).
2.6 Esperimenti con rivelatori di superficie 52
Figura 2.10: Spettro all primaries misurato da Kascade. Le misure di flusso non
sono dirette ma dipendono dalla simulazione dello sviluppo dello sciame e quindi
dai modelli di interazione adronica (in questo caso QGSJet e SIBYLL).
Capitolo 3
L’Osservatorio Pierre Auger
3.1 Introduzione
L’Osservatorio Pierre Auger (Pierre Auger Observatory = PAO), il cui
nome deriva dal fisico francese che per primo, nel 1938, osservo gli
sciami atmosferici estesi, e un esperimento internazionale che studia i raggi
cosmici di altissima energia. In particolare, gli obiettivi prefissati sono: lo
studio dello spettro energetico nella regione del cut-off GZK, l’analisi della
composizione chimica dei primari e la misura della direzione di arrivo per
raggi cosmici con energie da 1018 eV fino a energie maggiori di 1020 eV . E
di estrema importanza quindi poter disporre di sistemi di rivelazione che
coprano l’intera volta celeste. Per questo motivo, il progetto Pierre Auger
prevede la costruzione di due osservatori ubicati nei due emisferi terrestri.
Mentre il sito Nord (in Colorado) e ancora in fase di progettazione, il sito
Sud (in Argentina) e gia operativo dal 2004 e praticamente completato.
L’esperimento e unico nel suo genere perche utilizza un sistema di rivelazione
ibrido, basato cioe su due differenti tecniche. La prima consiste nella
rivelazione della luce di fluorescenza ultravioletta emessa dalle molecole di
azoto in atmosfera eccitate dalle particelle cariche dello sciame. Questa
53
3.2 L’Osservatorio Sud 54
tecnica di rivelazione alla quale, nel capitolo precedente, abbiamo associato la
sigla FD, consente quindi di studiare il profilo longitudinale dello sciame allo
scopo di stimare l’energia del primario. La seconda tecnica consiste invece
in un array di rivelatori di superficie a luce Cherenkov che campionano il
fronte dello sciame a terra. A questa tecnica e associata la sigla SD. Lo
studio combinato degli EAS grazie a queste due tecniche consente misure
con statistiche e precisione senza precedenti.
Ben 70 istituzioni da 17 Paesi collaborano per questo progetto con un totale
di 300 scienziati e un centinaio di tecnici.
3.2 L’Osservatorio Sud
L’Osservatorio Sud del progetto Auger e ubicato vicino a Malargue in
Argentina, nella provincia di Mendoza. Il sito e stato scelto in base a
studi effettuati sulla lunghezza di attenuazione della luce di fluorescenza
(relativamente alta nella zona della Pampa Amarilla), sulla trasparenza
dell’atmosfera, sulla concentrazione degli areosol e anche sull’inquinamento
luminoso causato dall’uomo. La sua costruzione e iniziata nel 2000 tramite
la progettazione di un Engineering Array (EA) costituito da 40 tank e
da due rivelatori FD con vista sull’array. Lo scopo di EA era quello di
condurre le prime analisi e le prime misure inerenti al progetto e verificare
quindi le prestazioni dell’apparato prima della sua completa costruzione. Le
prime misure di PAO Sud sono invece iniziate nel 2004 (relative alla parte
del progetto fino ad allora realizzato). Lo scopo principale di PAO e la
rivelazione di eventi di energie estremamente elevate. Poiche il flusso dei CR
dopo la caviglia e relativamente basso (1 particella km−2 sr−1 secolo−1 per
E ' 1020 eV ) e importante che l’area coperta dal rivelatore di superficie sia
molto estesa. Per questo motivo l’Osservatorio Sud si estende per 3000 km2,
fra 35.0◦ e 35.3◦ S di latitudine e fra 68.9◦ e 69.4◦ W di longitudine. Inoltre
3.2 L’Osservatorio Sud 55
il sito si trova nel bacino di un antico lago a circa 1400 m s.l.m. e con una
pendenza media inferiore allo 0.5%.
Figura 3.1: Rappresentazione del sito Sud dell’esperimento Auger: una griglia
di 1600 rivelatori Cherenkov ad acqua distribuiti su una superficie di 3000 km2.
Lungo il perimetro sono visibili i 4 rivelatori di fluorescenza.
La figura 3.1 mostra una mappa del sito Sud dell’esperimento Auger. Le
stazioni Cherenkov sono distribuite su una griglia triangolare di lato 1.5 km.
Lungo il perimetro sono visibili i 4 rivelatori di fluorescenza, ognuno dei quali
alloggia 6 telescopi Schmidt. Il tracciato inoltre e tale da far sı che ogni evento
osservato da un rivelatore FD, per energie comprese nel range energetico
studiato dall’esperimento Auger, sia quasi sempre ibrido (vedi figura) e
che quindi siano disponibili ulteriori informazioni dai dati provenienti dalle
tank. Mentre il duty cycle dell’array di superficie e prossimo al 100% i
rivelatori di fluorescenza hanno un duty cycle del 10% (i rivelatori FD possono
3.3 Rivelatori di superficie 56
infatti operare soltanto nelle notti limpide e a basso fondo luminoso). Nelle
vicinanze di ogni rivelatore di fluorescenza sono presenti stazioni per lo studio
e il monitoraggio della condizioni atmosferiche (LIDAR). E importantissimo
infatti tenere conto, durante la presa dati, dell’attenuazione della luce di
fluorescenza dovuta a fattori ambientali (temperatura, pressione, condizioni
atmosferiche etc.). Il campus dell’Osservatorio e presso la citta di Malargue.
Ad oggi, il sito Sud opera con 4 rivelatori FD e circa 1600 tank.
3.3 Rivelatori di superficie
Figura 3.2: Rappresentazione schematica di una tank dell’array di superficie.
In figura 3.2 e rappresentata una tank dell’array di superficie. La
geometria del rivelatore e cilindrica, con un diametro di 3.6 m e un’altezza
di 1.55 m. All’interno vi e un serbatoio Tyvek (riflettivita prossima al
3.3.1 Trigger SD 57
100%) per la riflessione uniforme della luce Cherenkov, riempito da 12000
l di acqua purissima (filtrata, deionizzata e purificata dai batteri tramite
raggi UV) con una superficie di circa 10 m2 e profondita 1.2 m. La purezza
dell’acqua e necessaria per ottenere la massima lunghezza di attenuazione
possibile per la luce Cherenkov. L’involucro ha uno spessore di 13 mm.
Tra le sue funzioni vi e quella di prevenire la contaminazione dell’acqua e
proteggere il sistema dalla luce esterna. Nella parte superiore della tank
sono alloggiati 3 fotomoltiplicatori (PMT) che, rivolti verso il basso, rivelano
la luce Cherenkov prodotta nell’acqua al passaggio delle particelle cariche
ultrarelativistiche. I PMT (Photonis XP1805) hanno un diametro di 9 pollici
e sono protetti dalla luce esterna. Poiche i PMT sono sensibili alla qualita
dell’acqua, e necessario che essa sia periodicamente controllata. Come si
vedra nel paragrafo 3.3.2, i segnali in uscita dai PMT saranno calibrati per
stimare il fattore di conversione tra la misura e l’energia rilasciata dalle
particelle. L’unita di misura utilizzata per il segnale dal PMT e il VEM
(Vertical equivalent Muon) che corrisponde al segnale prodotto in media da
un muone che attraversa verticalmente, dall’alto verso il basso, una tank
producendo luce Cherenkov in acqua. La rate di muoni verticali e di circa
250 m−2 s−1. All’esterno della tank vi sono due pannelli solari che, accoppiati
a batterie da 12 V, forniscono una potenza di 10 W. Le batterie servono ad
alimentare il sistema di comunicazione (antenna GPS per la sincronizzazione
e antenna per la trasmissione dei dati al computer centrale dell’Osservatorio).
Ogni tank forma un’unita autonoma, che registra segnali indipendentemente
dagli altri rivelatori di superficie.
3.3.1 Trigger SD
Il trigger SD e composto da diversi sottoinsiemi di trigger con una struttura
di tipo gerarchico. In generale vi sono 2 livelli di trigger di tipo locale (T1
3.3.1 Trigger SD 58
e T2) e un terzo livello di trigger di tipo centrale (T3). Inoltre ci sono altri
due livelli di trigger (T4 e T5) di tipo software.
Trigger locali
I trigger definiti localmente per ogni singola tank sono il T1 e il T2.
Nella categoria T1 troviamo due sottoinsiemi di trigger: il trigger di soglia
semplice (Simple Threshold = ST) e il trigger Time over Threshold (ToT).
ST e definito nel modo seguente: il sistema ha un trigger se vi e una
coincidenza tra i segnali provenienti dai tre PMT della tank al di sopra della
soglia di 1.75 VEM. La rate di trigger ST e di circa 100 Hz.
ToT e invece definito nel modo seguente: il sistema ha un trigger se, in almeno
2 dei 3 PMT della tank considerata, 13 bin temporali del FADC (Flash ADC)
sono al di sopra della soglia di 0.2 VEM in una finestra temporale di 3µs
corrispondente a 120 bin (FADC ha una frequenza di campionamento pari a
40MHz e quindi ogni bin corrisponde a 25 ns). La rate di trigger di ToT e
di circa 1.6 Hz.
T2 seleziona gli eventi provenienti da T1 riducendone la rate. T2 e definito
come un OR logico tra ToT visto precedentemente e ST modificato (la soglia
minima del segnale richiesto passa da 1.75 a 3.2 VEM). In questo modo, l’ST
modificato si propone di selezionare segnali grandi e veloci che corrispondono
sia ad EAS di alta energia vicini alla tank in questione o che sono indotti
dalla componente muonica degli sciami molto inclinati. La rate di trigger di
ST modificato per singola tank e di circa 20 Hz.
Trigger centrale
Quando si verificano i trigger locali, i segnali vengono inviati al CDAS
(Central Data Acquisition System) dove si effettuera un primo livello di
trigger centrale (T3) che seleziona eventi con trigger locali in coicidenza,
provenienti da piu stazioni vicine. T3 e definito come un OR logico tra [37]:
3.3.1 Trigger SD 59
• 3ToT, ossia 3 tank, in coincidenza entro una finestra temporale che
dipende dalla mutua distanza, che abbiano passato la condizione di
trigger ToT in una configurazione compatta (1 Tank entro una corona
esagonale attorno a quella col segnale piu alto e la terza tank su una
corona esagonale piu esterna);
• 4T2, ossia 4 tank, in coincidenza entro una finestra temporale che
dipende dalla mutua distanza, che abbiano passato la condizione di
trigger T2 in una specifica configurazione (2 tank entro 2 corone
esagonali attorno a quella col segnale piu alto e la piu lontana entro la
quarta corona);
• 3C1H (cosı etichettato dal CDAS) che richiede la coincidenza di 3 tank
allineate che soddisfino la condizione T2;
• una condizione esterna (etichettata come FD dal CDAS) generata dal
rivelatore di fluorescenza.
Il trigger di terzo livello riduce drasticamente la rate di eventi considerati
buoni (' 0.01 Hz).
Trigger Software
Sotto la categoria trigger di tipo software si trovano T4 e T5. Gli eventi
vengono selezionati offline richiedendo particolari configurazioni spaziali e
temporali.
T4 e definito come un OR logico tra 3ToT compatto e un trigger locale 4C1
(vedi figura 3.3).
3ToT compatto richiede la presenza di 3 tank che abbiano un trigger ToT
con una struttura triangolare (triangoli isoscele o equilateri).
4C1 richiede invece una struttura costituita da una tank centrale e 3 tank
3.3.1 Trigger SD 60
Figura 3.3: In alto: rappresentazione schematica del trigger 3ToT compatto.
In basso: rappresentazione schematica del trigger 4C1. Sono inoltre ammesse,
in entrambi i casi, tutte le possibile rotazioni e tutte le possibile simmetrie delle
configurazioni mostrate.
vicine in una griglia esagonale attorno alla prima.
In entrambi i casi si richiede inoltre che il ritardo temporale registrato dalle
tank sia compatibile con la velocita di propagazione delle particelle dello
sciame.
T5 e chiamato trigger di qualita. Il suo scopo e quello di selezionare solo
gli eventi che possano essere ricostruiti con grande accuratezza, in termini di
energia e direzione di arrivo. In particolare richiede che il core dello sciame
sia all’interno dell’array di superficie e che 5 tank con trigger siano disposte
entro una corona esagonale attorno ad un’ulteriore tank (quella che registra
il segnale piu alto). Per dare un’idea della selezione sul numero di eventi , si
consideri che degli eventi che passono T3, solo 200 eventi al giorno passano
T4, e di questi solo 3 al giorno superano il trigger di qualita T5 [15].
3.3.2 Calibrazione SD 61
3.3.2 Calibrazione SD
Per poter rendere utilizzabili i dati provenienti dai rivelatori di superficie
e necessario fare diversi tipi di calibrazione dell’apparato. L’elettronica del
rivelatore di superficie ha 2 canali, uno associato all’anodo dei PMT che
costituisce il canale a basso guadagno, e uno associato all’ultimo dinodo, che
costituisce il canale ad alto guadagno. La distinzione tra questi due canali,
che devono essere calibrati in maniera differente, deriva dalla necessita di
recuperare il segnale, dal canale a basso guadagno, nel caso in cui il canale
ad alto guadagno vada in saturazione. Il canale ad alto guadagno e calibrato
usando il segnale proveniente dal background dei muoni cosmici. Questa
calibrazione e chiamata calibrazione assoluta e serve a convertire il segnale
in VEM. La calibrazione relativa tra i due canali e invece fatta usando dei
led che illuminano i PMT. Dalla risposta dei due canali al segnale luminoso
si ottiene il guadagno relativo. Inoltre e necessario eseguire un bilanciamento
in ciascuno dei tre PMT in modo che si abbia una risposta uniforme ad un
stesso segnale. Cio viene fatto fissando dapprima un potenziale in ognuno dei
3 PMT. In seguito si varia il potenziale del primo PMT in modo che la sua
risposta sia uguale alla media delle risposte degli altri due. Questo processo
converge dopo la raccolta di poche centinaia di eventi. Infine si procede allo
stesso modo per i restanti 2 PMT.
3.4 Rivelatori di fluorescenza
Il sistema di rivelazione di luce di fluorescenza e costituito da 4 rivelatori
FD situati sul perimetro della superficie in cui sono presenti le tank (vedi
figura 3.1). Piu comunemente chiamato occhio, ciascun rivelatore FD e
costituito da 6 bays nelle quali sono alloggiati altrettanti telescopi Schmidt
(vedi figura 3.4). Ciascun occhio copre un angolo azimutale di 180◦ (30◦
3.4 Rivelatori di fluorescenza 62
Figura 3.4: Rappresentazione schematica di uno dei 4 occhi del sistema di
rivelazione FD, al cui interno si notano le 6 bays che alloggiano i telescopi Schmidt.
per ogni telescopio) e un angolo di 28.6◦ in elevazione (da 2◦ a 30.6◦). La
struttura di questo sistema di rivelazione garantisce l’individuazione di eventi
con energia superiore a 3 · 1017 eV con efficienza prossima ad 1. Per energie
di circa 1019 eV il 60% degli eventi e visto da due o piu occhi. Gli occhi
sono inoltre collocati in zone leggermente sopraelevate per ridurre i problemi
legati all’umidita e all’inquinamento luminoso umano.
In figura 3.5 e mostrata la rappresentazione schematica di un telescopio
Schmidt formato principalmente da un sistema per la raccolta della luce di
fluorescenza e da una camera su cui sono montati i PMT per la rivelazione
della luce. L’immagine della luce emessa dallo sciame viene riflessa sullo
specchio e si proietta sulla camera dei PMT. A sinistra si vede la finestra
(3m × 3.5m) la cui apertura e regolata da persiane scorrevoli. Cio serve
a proteggere il sistema ottico dalla luce solare durante il giorno e durante
le giornate molto ventose. Il sistema ottico usato e quello di Schmidt,
tramite il quale e possibile ridurre l’aberrazione sferica che, per una sorgente
all’infinito, trasforma l’immagine puntiforme in uno spot luminoso. Un
altro vantaggio risiede nell’eliminazione dell’aberrazione coma: la formazione
3.4 Rivelatori di fluorescenza 63
Figura 3.5: Rappresentazione schematica di un telescopio di fluorescenza.
dell’immagine, e praticamente indipendente dalla direzione di incidenza.
L’apertura del sistema ottico e regolata da un diaframma circolare di
diametro 1.7 m, posizionato su di un piano perpendicolare all’asse dello
specchio sferico, che determina un’area effettiva per la raccolta della luce di
circa 1.5 m2. Sull’apertura sono inoltre installati dei filtri UV per aumentare
il rapporto segnale/rumore di fondo. Essi trasmettono la luce di fluorescenza
nella banda della lunghezza d’onda di emissione dell’azoto e agiscono come
shutters proteggendo il telescopio da una parte del fondo luminoso notturno.
All’interno del filtro e posizionato un anello correttore che serve ad aumentare
l’apertura effettiva preservando tuttavia la qualita degli spot. La luce viene
focalizzata da un specchio sferico (3.5m×3.5m) su una matrice di PMT (vedi
figura 3.6).
Lo specchio sferico, il cui raggio di curvatura e di 3.4 m, e formato da
tanti piccoli specchi di forma approssimativamente quadrata che hanno una
riflettivita del 90% alla lunghezza d’onda di interesse. La matrice dei PMT
(Photonis XP3062) e formata da 440 pixel esagonali (20 × 22) sistemati in
3.4 Rivelatori di fluorescenza 64
Figura 3.6: Foto di un telescopio Schmidt. Sono visibili il diaframma, l’anello
correttore, la camera dei PMT e lo specchio sferico.
modo da adattarsi alla superficie sferica. Il field of view di ogni pixel della
camera e di circa 1.5◦. La forma esagonale del catodo dei PMT assicura
una copertura ottimale della superficie focale. Per massimizzare la raccolta
della luce, ogni fototubo e dotato di 6 strutture in plastica, ricoperte di
materiale altamente riflettente (mercedes). Ogni mercedes ha 3 bracci di
sezione triangolare disposti a 120◦ (vedi figura 3.7). L’uso di tali strutture
consente di aumentare l’efficienza di raccolta della luce al fotocatodo dal 50%
al 90%. Sempre per motivi di costruzione si verifica una sovrapposizione del
field of view dei telescopi adiacenti. I PMT hanno inoltre un guadagno
nominale pari a 5 · 1014 e un’efficenza quantica, nella banda di fluorescenza
di interesse, del 25%. L’allineamento tra lo specchio sferico e la matrice dei
PMT, condotto tramite accurate misure laser, e continuamente monitorato
tramite la ricostruzione di laser shots e dall’analisi del rumore di fondo. I
segnali dei PMT sono raccolti da un set di 20 front-end boards collocati in un
crate sotto la matrice dei fotomoltiplicatori. Ogni front-end board e associato
ai 22 pixel colonna della camera dei PMT. I segnali vengono poi digitalizzati
3.4.1 Trigger FD 65
tramite l’utilizzo di FlashADC a 12 bit con frequenza di campionamento di
10 MHz. Cio significa che i segnali sono raccolti in bin temporali di 100 ns
corrispondenti ad un cammino di circa 30 m alla velocita della luce.
Figura 3.7: Rappresentazione schematica di un pixel della matrice dei PMT. Per
migliorare la raccolta della luce sono state posizionate sei mercedes attorno al
fototubo a formare il pixel. Ogni mercedes ha 3 bracci di sezione triangolare
disposti a 120◦.
3.4.1 Trigger FD
Il trigger FD e suddiviso in tre livelli, i primi due di tipo hardware e il terzo di
tipo sofware. Il trigger di primo livello (First Level Trigger = FLT) si riferisce
al singolo pixel. Esso scatta quando il segnale del pixel considerato supera
una certa soglia. Ovviamente FLT deve tener conto del fondo luminoso e deve
quindi poter essere modificato in base alle condizioni ambientali. Quando il
segnale associato ad un pixel supera una certa soglia, il trigger viene esteso ad
3.4.1 Trigger FD 66
una finestra temporale di 20 µs durante la quale si ricercano coincidenze con
altri segnali sopra la soglia associati ad altri pixel. La rate di trigger di FLT
viene continuamente misurata e sistemata in modo da stabilizzarsi attorno
al valore di 100 Hz. In questo modo, le coincidenze casuali del trigger di
secondo livello (Second Level Trigger = SLT) restano costanti sotto condizioni
variabili della luce di background. SLT seleziona gli eventi che superano FLT
imponendo inoltre delle condizioni sulla disposizione dei pixel accesi entro
una finestra temporale. In particolare i pattern considerati devono essere
composti da 5 pixel secondo la tipologia in figura 3.8.
Figura 3.8: Configurazioni dei pixel accettate nel trigger di secondo livello dei
rivelatori di fluorescenza. Sono inolte ammesse tutte le configurazioni che derivano
da simmetrie e rotazioni dei pattern in figura.
Sono inolte ammesse tutte le configurazioni che derivano da simmetrie e
rotazioni dei pattern in figura. Per tener conto di possibili malfunzionamenti
dei PMT o dei piccoli segnali sotto la soglia di FLT la condizione di SLT si
abbassa da 5 a 4 pixel. In questo modo il numero totale delle configurazioni
e 108.
Infine l’ultimo livello di Trigger FD (Third Level Trigger = TLT) e di tipo
software e si basa su richieste di compatibilita spazio-temporali e di lunghezza
3.4.2 Calibrazione FD 67
della traccia. Esso viene implementato da un sofisticato algoritmo (T3) che
seleziona gli sciami candidati e ricostruisce la geometria dell’evento. I criteri
su cui si basa l’algoritmo sono: la selezione di tutti i pixel che superano
SLT e la ricerca del massimo della traccia ADC durante il tempo in cui
si ha un FLT in ogni pixel. Successivamente si scartano tutti gli eventi
tali da accendere la matrice dei PMT allo stesso tempo. Questi eventi
sono infatti associati al passaggio di raggi cosmici attraverso la camera dei
PMT. Vengono poi eseguiti dei fit temporali sull’angolo di elevazione e di
azimut e si rimuovono tutti i pixel che danno un grande contributo al χ2.
Tramite questa procedura vengono ritenuti buoni solo gli eventi che hanno
piu di 4 pixel. Per gli sciami selezionati da questi criteri, il segnale viene
mandato al CDAS, insieme alle informazioni sullo SDP e sul tempo di arrivo
al suolo, calcolati precedentemente tramite il fit. Questi dati sono usati per
formare il trigger ibrido. In questo caso, a livello SD, si richiede la presenza
di un trigger T2 in almeno una tank che abbia un segnale spazialmente e
temporalmente compatibile con quello FD. Infine, in questo lavoro di tesi,
verra usata un’ulteriore selezione di questi eventi, i golden hybrids, dove al
livello SD e richiesto un trigger T3.
3.4.2 Calibrazione FD
La calibrazione FD serve sostanzialmente a convertire i conteggi ADC in
flusso di luce rivelata e in numero di fotoni emessi dallo sciame. A questo
scopo, viene dapprima fatta una calibrazione assoluta. Un sistema cilindrico
chiamato drum illuminator (LED UV che emettono in una banda stretta
attorno a 375 nm) illumina uniformemente il telescopio con radiazione di
intensita nota. Si verifica cosı che il flusso dei fotoni sul telescopio viene
misurato con una precisione assoluta del 10% tenendo in considerazione tutti
gli effetti dovuti alla trasmissione della luce, alla riflettivita dello specchio,
3.5 Monitoraggio atmosferico 68
all’efficienza della raccolta della luce da parte del pixel, all’efficienza quantica,
al guadagno dei PMT e alla conversione digitale. Cio consente di ottenere
una diretta conversione dei conteggi FADC in numero di fotoni.
Oltre alla calibrazione assoluta vengono eseguite anche calibrazioni relative
per monitorare il rivelatore di fluorescenza in funzione del tempo. A questo
scopo si montano, su ogni rivelatore FD, tre sorgenti di luce note (xenon flash
light). La luce, proveniente da ogni sorgente, viene distribuita attraverso
fibre ottiche ai sei telescopi di ogni occhio, in posizioni differenti. Cio
definisce tre tipi differenti di calibrazione relativa. Nella prima (Cal A), la
sorgente, posta al centro dello specchio, illumina direttamente la camera. Da
cio il monitoraggio della stabilita dei pixel e della linearita della risposta
della camera. La Cal A viene ripetuta quotidianamente. Le altre due
calibrazioni relative, Cal B e Cal C, vengono invece eseguite settimanalmente.
Nella Cal B, la luce viene emessa sullo specchio. Dalla riflessione e dalla
raccolta della luce nella camera si ha il monitoraggio del sistema specchio-
camera, in particolare della riflettivita dello specchio e del guadagno della
camera. Infine, nella Cal C, la sorgente illumina un foglio riflettivo di
Tyvec posizionato sulla superficie interna della porta del telescopio. La luce
attraversa l’apertura e va verso lo specchio, dal quale viene riflessa sulla
camera. Il foglio quindi ha la funzione di retrodiffondere la luce nel sistema
ottico del telescopio consentendo di monitorare il sistema complessivo.
3.5 Monitoraggio atmosferico
Per procedere ad una corretta misura della luce di fluorescenza rivelata
dai detector FD, si deve tener conto dell’attenuazione della luce durante
il percorso dallo sciame al rivelatore. Pertanto e necessario un continuo
monitoraggio dell’atmosfera per studiare la trasmissione della luce. Cio
consiste principalmente nello studio della concentrazione degli areosol, delle
3.5 Monitoraggio atmosferico 69
nuvole e delle polveri sospese. Per misurare quantita quali temperatura,
umidita e pressione in funzione dell’altitudine si usano palloni riempiti di
elio equipaggiati con radiosonde e muniti di un sistema GPS. Il dispositivo
principale che permette di studiare l’atmosfera consiste di un sistema LIDAR:
la concentrazione degli areosol viene misurata inviando un fascio laser
verso l’alto e analizzando i segnali luminosi retrodiffusi. Ogni rivelatore di
fluorescenza e dotato di LIDAR, composti da un laser che emette impulsi
con un’energia di 6 mJ e della durata di 7 ns, alla lunghezza d’onda di 355
nm, e 3 specchi parabolici del diametro di 80 cm che focalizzano la luce laser
retrodiffusa sui PMT (vedi figura 3.9)
Figura 3.9: Fotografia di una stazione LIDAR nei pressi di Los Leones.
Al centro dell’array di superficie e collocato il CLF (Central Laser
Facility). Lo scopo principale di questo apparato e misurare la concentrazione
degli areosol e controllare la sincronizzazione SD-FD. Il CLF emette fasci
laser UV in una stretta banda attorno al picco della luce di fluorescenza
emessa dalle molecole di azoto, con angoli ed energie variabili in modo
da consentirne l’osservazione da parte dei rivelatori FD. L’intensita della
3.5 Monitoraggio atmosferico 70
luce diffusa in funzione della quota atmosferica viene usata per misurare
l’attenuazione dovuta ai processi di scattering con gli areosol e quindi la loro
concentrazione in funzione dell’altitudine. Per la sincronizzazione SD-FD si
utilizzano emissioni laser, tali da poter essere osservate dallo specchio 3 in Los
Leones e dallo specchio 4 in Coihueco. Contemporaneamente all’emissione del
fascio laser, una parte del segnale raggiunge, tramite fibre ottiche, una tank
chiamata Celeste e ne produce un trigger. Si misurano cosı tempi relativi di
rivelazione dei segnali per tenere sotto controllo la sincronizzazione SD-FD.
Un ulteriore monitoraggio atmosferico si effettua tramite gli HAM
(Horizontal Attenuation Monitors) che misurano l’attenuazione orizzontale
dell’atmosfera in funzione della lunghezza d’onda, e tramite gli APF (Areosol
Phase Function Monitor) che misurano la sezione d’urto differenziale nei
processi di scattering della luce sugli areosol. Le misure vengono effettuate
per mezzo di un fascio laser orizzontale e ben collimato, nel campo di vista di
un rivelatore FD. Si registra, in particolare, la luce che viene diffusa lontano
dal fascio.
Infine e necessario effettuare un monitoraggio delle nuvole che, a causa della
forma, delle dimensioni irregolari e della quota, producono effetti difficilmente
prevedibili sullo scattering e sulla trasmissione della luce. Poiche le nuvole
emettono nell’infrarosso si usano delle fotocamere a raggi infrarossi (cloud
camera), attualmente montate su 3 dei 4 rivelatori di fluorescenza, con range
spettrale tra 7 e 15 µm, che ispezionano il cielo ogni 15 minuti.
Capitolo 4
UHECR: i risultati
sperimentali
4.1 Introduzione
In questo capitolo verra trattata la situazione sperimentale dei UHECR e
si analizzeranno in particolare i risultati ottenuti con l’esperimento AUGER
sullo spettro energetico dopo la discontinuita della caviglia e la presenza di
eventuali anisotropie nella direzione di arrivo dei raggi cosmici di altissima
energia.
4.2 Spettro energetico dopo la caviglia
La figura 4.1 mostra lo spettro energetico moltiplicato per E3 ottenuto da
i dati collezionati dall’Osservatorio Pierre Auger. I triangoli pieni sono
ottenuti dalle misure con i rivelatori di superficie (SD) usando sciami con
angolo di zenit al di sotto di 60◦ mentre quelli vuoti usando sciami con angolo
di zenit oltre i 60◦ [27, 28]. I cerchi rossi rappresentano invece lo spettro
derivato dal set di dati ibridi (eventi di fluorescenza in coincidenza con almeno
una stazione SD). Si nota un buon accordo tra questi tre spettri misurati
71
4.2 Spettro energetico dopo la caviglia 72
Figura 4.1: Spettro dei raggi cosmici di altissima energia misurato
dall’esperimento Auger. Il flusso e moltiplicato per E3.
con metodi differenti , basati sulla calibrazione in energia effettuata grazie
alle misure FD. Tutti gli spettri sono affetti da un’incertezza sistematica del
22% sulla scala dell’energia [29]. Il contributo maggiore a tale incertezza
e dovuto all’incertezza sulla resa di fluorescenza assoluta (∼ 14%). Inoltre
un’incertezza di circa 7% e associata ai parametri dell’atmosfera (pressione,
temperatura, umidita, etc.). Poiche quest’incertezza sistematica totale di
circa 22% non modifica la forma dello spettro e possibile fare dei controlli
sulla sua estrapolazione a energie piu elevate. Da cio che si ottiene dai dati
in [30] si arriva alla conclusione che lo spettro energetico ad altissime energie
(E ≥ 1019.5 eV ) e fortemente soppresso, e non segue un andamento a legge
di potenza. I fit dello spettro sono stati eseguiti usando le seguenti forme
funzionali:
4.3 Correlazioni ed anisotropie 73
J(E,E < Ecaviglia) ∝ E−γ1 (4.1)
J(E, E > Ecaviglia) ∝ E−γ21
1 + exp(
log E−log Ec
Wc
) (4.2)
dove γ1 e γ2 sono gli indici spettrali rispettivamente prima e dopo la
singolarita, Ecaviglia e l’energia in corrispondenza della singolarita. Il secondo
termine nella seconda equazione e il termine di soppressione del flusso (Cut-
Off), dove Ec e l’energia alla quale il flusso e soppresso al 50% rispetto alla
pura legge a potenza e Wc determina la ripidita del cut-off.
Nella figura 4.2 sono messi a confronto le misure ed alcuni modelli [30]
[34]. Le linee blu sono ricavate ipotizzando una composizione mista alle
sorgenti. Un altro set di modelli che ipotizzano un flusso di soli protoni
e Emax = 1020 eV sono rappresentati dalle linee rosse. Tra quest’ultimi, un
modello assume una distribuzione uniforme delle sorgenti con indice spettrale
pari a 2.2 mentre l’altro assume che l’evoluzione delle sorgenti dipenda dalla
rate di formazione delle stelle (SFR) e dal red-shift con indice spettrale pari
a 2.3.
4.3 Correlazioni ed anisotropie
Nel paragrafo 1.7.1 si e gia messo in evidenza come dallo studio degli UHECR
si potrebbero osservare eventuali correlazioni tra direzioni di arrivo dei CR e
alcune regioni dell’Universo. Vari esperimenti sono stati condotti alla ricerca
di possibili anisotropie nella direzione di arrivo dei raggi cosmici di altissima
energia. Tra essi ricordiamo Haverah Park e Yakuts che non hanno trovato
nessuna anisotropia.
4.3 Correlazioni ed anisotropie 74
Figura 4.2: Spettro energetico per l’esperimento Auger moltiplicato per E3. Sono
inoltre rappresentati il fit con la funzione 4.2 (linea nera) e le previsioni di due
modelli astrofisici (linee blu e rosse). Le ipotesi dei modelli (composizione di
massa alle sorgenti, distribuzione delle sorgenti, indice spettrale e cut-off energetico
esponenziale per nucleone al sito di accelerazione) sono indicati in figura.
In figura 4.3, viene riportata la misura effettuata dall’esperimento
AGASA. Si osserva un’anisotropia nella direzione del Centro Galattico (G.C.)
con una significativita pari a 4σ per eventi con energia compresa tra 1 e
2.5 EeV . Di contro, vicino alla direzione dell’anti-G.C. si denota un certo
deficit nell’intensita dei raggi cosmici pari a circa 3.7σ.
La figura 4.4 deriva invece dallo studio condotto presso l’Osservatorio
Pierre Auger alla ricerca di un eccesso di radiazione cosmica dalla regione
del Centro Galattico per eventi di energia compresa tra 1 e 3 EeV . La misura
e compatibile con quanto atteso per le fluttazioni di un flusso isotropo.
4.3.1 Correlazione dei raggi cosmici di altissima energia conoggetti extragalattici vicini 75
Figura 4.3: La mappa del cielo secondo l’esperimento AGASA: si osserva
un’anisotropia nella direzione del G.C. con una significativita di 4σ per eventi
con energia compresa tra 1 e 2.5 EeV . Si osserva anche un deficit nel flusso dei
CR in corrispondenza dell’anti G.C.
4.3.1 Correlazione dei raggi cosmici di altissima
energia con oggetti extragalattici vicini
Dallo studio e dall’elaborazione dei dati collezionati in quest’ultimi anni, la
Collaborazione Pierre Auger ha dimostrato la presenza di un’anisotropia nella
direzione di arrivo degli UHECR per eventi con energie maggiori di 57 EeV .
Dalle analisi condotte risulta inoltre una correlazione con le posizioni delle
galassie vicine (entro 75 Mpc) che hanno al centro un Nucleo Galattico Attivo
(vedi figura 4.5). Questo risultato e compatibile con quanto previsto sulla
base della misura del Cut-Off GZK.
4.3.1 Correlazione dei raggi cosmici di altissima energia conoggetti extragalattici vicini 76
Figura 4.4: Mappa dell’eccesso di raggi cosmici nella regione del centro galattico
in finestre circolari di raggio 5◦ per misure effettuate dall’array Pierre Auger per
energie nell’intervallo 1017.9 ÷ 1018.5 eV . Il G.C. e indicato con una croce e il
Piano Galattico con una linea nera. Il cerchio grande e quello piccolo indicano
rispettivamente le regioni degli eccessi per AGASA e SUGAR.
4.3.1 Correlazione dei raggi cosmici di altissima energia conoggetti extragalattici vicini 77
Figura 4.5: La Sfera Celeste in coordinate galattiche con cerchi di raggio 3.1◦
centrati sulle le direzioni di arrivo di 27 raggi cosmici di altissima energia rivelati
dall’Osservatorio Pierre Auger. Le energie sono maggiori di 57 EeV. Le posizioni
di 472 AGN entro 75 Mpc sono indicate dagli asterischi rossi. La regione blu
indica il field of view di Auger. La linea continua indica il limite del field of
view, definito dalla scelta di utilizzare solo sciami con angolo di zenit entro i 60◦.
L’AGN piu vicino, Centaurus A, e indicato con un asterisco bianco. Due dei
27 raggi cosmici hanno direzioni di arrivo entro 3◦ da questa galassia. Il piano
supergalattico e indicato dalla linea tratteggiata. Questo piano indica una regione
in cui e concentrato un grande numero di galassie vicine, inclusi molti AGN.
Capitolo 5
Analisi dell’efficienza di trigger
5.1 Introduzione
In questo capitolo verranno analizzati i dati collezionati dai rivelatori FD
e SD nel periodo Settembre 2007 - Giugno 2008. In particolare si parlera
del progetto di accrescimento del rivelatore di superficie (infill) e dei suoi
obiettivi; si introdurra il concetto di Lateral Trigger Probability (LTP) e si
discutera dei criteri di selezione e caratterizzazione degli eventi. Si vedra
inoltre come il campione di eventi raccolti col trigger che utilizza l’infill
possa permettere di indagare sulle basse energie (log10
(EeV
) ' 17.5) dove
un confronto con altri esperimenti, come ad esempio Kascade-Grande (vedi
paragrafo 2.6) o HiRes (vedi paragrafo 2.5), potrebbe fornire una calibrazione
incrociata e una conferma di affidabilita del sistema di rivelazione ibrido. Ci
troviamo infatti in prossimita del limite inferiore della sensibilia dell’apparato
di rivelazione, dove la statistica degli eventi rivelati e relativamente bassa
nonostante l’aumento del flusso dei CR. Infine i dati reali e in particolare
l’efficienza di trigger, verranno confrontati con delle funzioni parametriche
ottenute da uno studio Monte Carlo per i protoni come primari.
78
5.2 Possibili sviluppi dell’esperimento Auger 79
5.2 Possibili sviluppi dell’esperimento Auger
Tra i vari progetti che prevedono un’evoluzione del sistema di rivelazione di
PAO (enhancements) ci sono quelli finalizzati allo studio dello spettro dei
raggi cosmici ad energie relativamente basse, al di sotto cioe di 0.3 EeV , e
quelli atti a misurare la componente muonica degli sciami atmosferici estesi
per favorire l’identificazione della massa del primario. Il progetto HEAT
(High Elevation Auger Telescope) prevede la costruzione di tre telescopi di
fluorescenza con elevazione tra 30◦ e 60◦ in grado quindi di aumentare il
FOV del rivelatore FD, e il progetto AMIGA (Auger Muons and Infill for
tha Ground Array) di cui si parlera nel paragrafo successivo.
In questo lavoro di tesi si sono utilizzati i dati provenienti dall’infill di
superficie, all’interno dell’array dei rivelatori SD, circa 6 km a Est dall’occhio
installato a Coihueco (col termine infill si intende un aumento della densita
superficiale dei rivelatori SD). La situazione attuale dell’infill consiste in un
sub-array formato da 9 tank disposte su una griglia triangolare in cui la
distanza tra due stazioni e di 750 m (invece di 1500 m, come nel resto
dell’array). Come si vedra in seguito, cio permette lo studio di eventi
caratterizzati da un’energia decisamente piu bassa rispetto a qualsiasi altra
zona dell’array e permette inoltre di confrontare alla pari il set dei dati reali
col set dei dati simulati (vedi paragrafo 5.4.6).
5.3 Progetto AMIGA e Infill per l’array di
superficie
Gli scopi principali di molti enhancements proposti sono quelli di migliorare
la risoluzione energetica in modo tale da poter studiare lo spettro dei raggi
cosmici con alta precisione e poter ricostruire la composizione di massa del
primario. Il campo di nostro interesse e interno al progetto AMIGA. Tuttora
5.3 Progetto AMIGA e Infill per l’array di superficie 80
in fase di costruzione e di sviluppo, tale progetto comprendera 85 coppie di
rivelatori di superficie a luce Cherenkov e 30 m2 di scintillatori plastici per la
rivelazione dei muoni, posti a circa 3 m di profondita nel terreno e sistemati
in corrispondenza dell’infill in griglie triangolari di 433 e 750 metri [42] (vedi
figura 5.1). Tale superficie di rivelazione sara inoltre interna al campo di
vista dei telescopi di fluorescenza e dei rivelatori FD del progetto HEAT.
Attualmente l’infill per l’array di superficie consta di 9 tank disposte su
una griglia triangolare di lato 750 m, e nel FOV del telescopio installato a
Coihueco. La disposizione geometrica di queste 9 tank e romboidale con 8
stazioni lungo il perimetro del rombo e una tank al centro (vedi figura 5.2).
Figura 5.1: Rappresentazione del progetto AMIGA: le linee bianche e nere
mostrano rispettivamente i FOV dei 6 telescopi originari e dei tre telescopi
enhanced. I punti grigi, bianchi e neri indicano le stazioni SD piu i rivelatori
di muoni, posti a distanze di 433, 750 e 1500 m rispettivamente.
5.4 Selezione degli eventi, tagli qualitativi e funzione LTP 81
Figura 5.2: Evento ricostruito dal CDAS. E visibile la mappa dell’array di
superficie nel field of view dell’occhio installato a Coihueco fornita dal CDAS.
I punti corrispondono alle stazioni SD. In figura sono visibili le 9 tank dell’infill
di superficie (si noti come la spaziatura tra questi nove punti sia minore rispetto
a quella degli altri punti). Le tank colorate di giallo corrispondono alle tank con
trigger, le tank nere (a margine figura) rappresentano le tank non funzionanti
durante l’evento e le tank crociate corrispondono invece alle stazioni scartate perche
i tempi misurati non sono compatibili coi tempi attesi. Le linee celesti tratteggiate
mostrano i FOV dei sei telescopi mentre la linea tratteggiata rossa rappresenta la
proiezione a terra dell’asse dello sciame ricostruito.
5.4 Selezione degli eventi, tagli qualitativi e
funzione LTP
Allo scopo di selezionare e caratterizzare gli eventi di nostro interesse, e stato
scritto un programma in ambiente ROOT [43] (TreeStation.C) in grado di
svolgere le seguenti operazioni, in ordine:
• selezionare e caratterizzare tutti gli eventi golden hybrids (GH) (vedi
paragrafo 3.4.1) nel field of view del rivelatore FD installato a Coihueco;
• selezionare gli eventi col core ricostruito all’interno di una particolare
5.4.1 Primo livello di selezione degli eventi 82
ellisse attorno al sub-array;
• applicare i tagli di analisi, sia di tipo fisico che di tipo geometrico;
• calcolare la distanza Tank-Asse dello sciame per tutte le tank del sub-
array e per le tank entro 3 km e contare il numero di stazioni SD presenti
fisicamente in corone circolari di raggio variabile da 200 a 2000 m, con
passo di 200 m;
• calcolare, il numero di tank con trigger (ToT) e la probabilita di trigger
in funzione della distanza dall’asse ricostruito dello sciame;
• confrontare l’efficienza di trigger ottenuta dai dati reali con quelle
ottenute da parametrizzazioni basate su uno studio Monte Carlo. Tali
parametrizzazioni, studiate e calcolate [44], descrivono le funzioni di
probabilita di trigger di una tank al variare dell’energia del primario,
della massa, dell’angolo di zenit e della distanza dall’asse dello sciame
(LTP, Lateral Trigger Probability).
5.4.1 Primo livello di selezione degli eventi
Nel capitolo 3 si e gia parlato del Central Data Acquisition System (CDAS),
posto nel campus dell’osservatorio, a Malargue. Combinando le informazioni
provenienti da entrambi i rivelatori (FD e SD) e definendo un trigger di
tipo centrale, il CDAS seleziona gli eventi considerati buoni, ossia gli eventi
riconducibili a sciami innescati da particelle cosmiche. Questi eventi sono
ricostruiti combinando piu informazioni e sono chiamati ibridi. Il CDAS
inoltre, esegue la registrazione degli eventi buoni tramite l’operazione di
Event Builder durante cui viene eseguita una ricostruzione preliminare
dell’evento. Lo strumento utilizzato per la simulazione, ricostruzione ed
analisi dati e invece il Software Offline, implementato in linguaggio C + +
e abbastanza flessibile da rendere possibili nuove e diverse applicazioni
5.4.1 Primo livello di selezione degli eventi 83
introducibili in futuro (si prevede che PAO resti operativo per 20 anni).
Oggetto di nostro interesse sono gli eventi golden hybrids (GH), ed in
particolare quelli relativi alla zona dell’infill. Ricordiamo che per definire
un evento di tipo GH, si richiede la presenza di un TLT al livello FD e un
T3 al livello SD. Quindi, per come sono definiti, i GH rappresentano eventi
buoni, sicuramente riconducibili a sciami atmosferici estesi. Il programma di
ROOT Treestation, ha come primo obiettivo quello di selezionare gli eventi
golden hybrids nella zona dell’array di superficie situata nel FOV dell’occhio
installato a Coihueco, a partire da un file contenente le informazioni relative
a tutti gli eventi GH (MyOutput.root). In questo file, ogni evento e
caratterizzato completamente e dettagliatamente, riportando i valori di tutti
i parametri ricostruiti di nostro interesse (vedi figura 5.3).
Figura 5.3: Lista delle variabili ricostruite presenti nel file MyOutput.root.
5.4.2 Secondo livello di selezione degli eventi 84
5.4.2 Secondo livello di selezione degli eventi
Il secondo criterio di selezione individua, tra tutti gli eventi nella zona di
Coihueco, quelli il cui core ricostruito cade all’interno di una particolare ellisse
a terra. Questa ellisse e la minima contenente le 9 tank dell’infill ed e disposta
in modo tale che la stazione SD centrale (ID = 1574) ne occupi il baricentro e
che l’asse maggiore (AA) e quello minore (BB) siano orientati rispettivamente
lungo la distanza massima TankCentrale-TankSubArray e la distanza minima
TankCentrale-TankSubArray, perpendicolare all’asse maggiore (vedi figura
5.4).
Figura 5.4: Rappresentazione schematica della minima ellisse contenente il
sub-array. Vengono selezionati gli eventi col core ricostruito all’interno di
quest’ellisse.
L’asse maggiore e l’asse minore sono rispettivamente di 1300 e 750 m.
Poiche per gli sciami verticali di bassa energia lo sviluppo in atmosfera
e relativamente contenuto, gran parte del numero di particelle potrebbe
cadere all’interno del triangolo equilatero di lato 1500 m formato da 3 tank
dell’array e non essere rivelato. La ridotta separazione spaziale tra le stazioni
SD dell’infill, consente pertanto di osservare eventi a energia relativamente
piu bassa rispetto a quanto avviene in qualsiasi altra zona dell’array. La
richiesta che il core ricostruito cada all’interno dell’ellisse permette quindi
5.4.3 Tagli di analisi 85
di selezionare gli eventi di nostro interesse. La condizione che seleziona gli
sciami col core ricostruito all’interno dell’ellisse e:
[(x− x) cos α + (y − y) sin α
AA
]2
+
[−(x− x) sin α + (y − y) cos α
BB
]2
≤ 1
(5.1)
dove α = 30◦ e l’angolo di rotazione dell’ellisse rispetto agli assi del
sistema di riferimento; x e y sono rispettivamente le coordinate del core
ricostruito dell’asse dello sciame; x e y sono le coordinate della tank centrale
del sub-array.
5.4.3 Tagli di analisi
Si e gia messo in evidenza come la ricostruzione ibrida sia un metodo di
ricostruzione basato principalmente sui dati provenienti dai rivelatori di
fluorescenza che utilizza anche il tempo di trigger della tank con segnale
maggiore per meglio ricostruire la direzione dell’asse dello sciame e il suo core
(HReconstruction). Per selezionare eventi con ricostruzione di alta qualita
sono stati applicati dei tagli qualitativi:
• hf : HybridF lag == 111. Questa condizione si verifica quando almeno
una tank con trigger T1 e spazialmente e temporalmente compatibile
col segnale FD (la stazione SD con segnale massimo sia a meno di 2
km dall’asse dello sciame e la differenza tra il tempo misurato SD e il
tempo stimato FD per la tank sia < 200 µs);
• zf : l’angolo di zenit dell’asse dello sciame (θ) minore di 60◦. Questa
condizione viene imposta per limitare l’analisi attuale a sciami poco
inclinati. Sciami piu inclinati richiedono studi piu complessi che si
prevede di svolgere in futuro;
5.4.3 Tagli di analisi 86
• ef : l’energia totale maggiore di zero per eliminare gli eventi per i quali
il fit non e andato a buon fine. Infatti l’energia totale nulla e una sorta
di flag che indica il fallimento del fit. Si richiede inoltre che l’incertezza
relativa stimata sull’energia totale sia minore del 20% (σ(E)E
< 20%);
• af : L’angolo tra la direzione associata al pixel FD e l’asse dello sciame
(Minimum Viewing Angle) deve avere valore minimo maggiore di 20◦.
Questa condizione si richiede affinche il contributo di luce Cherenkov
nel segnale sia minore del 50% (vedi paragrafo 2.4.1);
• gf : il fit del profilo longitudinale con la funzione Gaisser-Hillas sia
soddisfacente (χ2/Ndof < 2.5);
• df : la distanza dall’asse della tank con massimo segnale deve essere
minore di 750 m per rimuovere gli eventi monoculari con trigger casuali
su stazioni SD;
• xf : MinDepth < Xmax < MaxDepth ossia Xmax ricostruito compreso
entro la minima e la massima profondita atmosferica osservata (l’evento
e nel field of view del rivelatore FD).
L’ultimo taglio e indubbiamente il piu selettivo. Con riferimento alla
figura 5.5, il campo di vista del rivelatore di fluorescenza copre un angolo
di elevazione di circa 29◦ (il campo di vista e compreso tra α? = 2◦ e
β? = 30.6◦) e quindi per le tracce verticali le altezze per le quali il massimo
dello sciame e osservabile sono comprese tra R tan α? e R tan β? (dove R e
la distanza del core dal rivelatore FD). Il limite MinDepth non ha quindi un
valore prefissato, ma dipende della distanza dal rivelatore FD:
MinDepth = H0 −∫
0
R tan α?
ρ(h) dh (5.2)
5.4.3 Tagli di analisi 87
Figura 5.5: Rappresentazione schematica del field of view del rivelatore di
fluorescenza. Sono mostrati inoltre l’upper e il lower boundary (rispettivamente
Xub e Xlb) e le tracce per due diversi sciami. Si noti come solo una delle tracce
soddisfi la richiesta di Xmax all’interno del FOV del rivelatore FD.
dove H0 e lo spessore di atmosfera sovrastante e ρ(h) e la densita
atmosferica, funzione dell’altitudine. Pertanto, per due sciami identici (stessi
valori di E, θ, Z,etc..) a distanza diversa dal rivelatore FD, si avra che il valore
di MinDepth in grammage ( gcm2 ), calcolato a partire dall’estremo superiore
dell’atmosfera, sara maggiore per lo sciame piu vicino al telescopio e minore
per quello piu lontano. Con un discorso analogo si arriva alla conclusione
che il limite MaxDepth sia maggiore per sciami vicini all’occhio e minore per
quelli piu lontani.
In figura 5.6 e rappresentata la distribuzione in energia per gli eventi
relativi all’infill di superficie. Cut1 e Cut2 rappresentano rispettivamente:
• Cut1: hf & zf;
• Cut2: hf & zf & ef & af & gf &df &xf.
5.4.3 Tagli di analisi 88
Log10(E/eV)16 16.5 17 17.5 18 18.5 19 19.5 20
Eve
nts
1
10
210
golden hybridsCut1Cut2
Entries 643Mean 17.4085RMS 0.292583
Entries 136Mean 17.393
RMS 0.276015
Entries 672Mean 17.4105RMS 0.294962
Figura 5.6: Distribuzioni in energia per eventi sull’infill. Si evidenzia l’effetto dei
tagli qualitativi.
L’applicazione dei tagli qualitativi al campione relativo all’infill, riduce il
numero di eventi da 672 (GH iniziali) a 643 per il Cut1 e a soli 136 per il
Cut2. La distribuzione dell’energia, dopo aver applicato il Cut2, ha un valore
medio del log10
(EeV
)sensibilmente piu basso (' 17.4) rispetto al valore medio
per le distribuzioni in energia per l’array completo (∼ 18).
In figura 5.7 sono rappresentate le distribuzioni in energia per gli eventi
relativi a tutto il campo di vista del rivelatore di fluorescenza installato a
Coihueco. I tagli Cut1 e Cut2 sono equivalenti a quelli applicati per l’infill.
L’applicazione dei tagli qualitativi al campione relativo al rivelatore FD
di Coihueco, riduce il numero di eventi da 5148 (GH iniziali) a 4074 per
Cut1 e a 1989 per Cut2. E importante notare che l’energia per gli eventi
dell’infill e sempre mediamente piu bassa. Il valor medio del log10
(EeV
)
per gli eventi selezionati mediante Cut2 passa da circa 18.0 per gli eventi
5.4.3 Tagli di analisi 89
Log10(E/eV)16 16.5 17 17.5 18 18.5 19 19.5 20
Eve
nts
1
10
210
310
golden hybridsCut1Cut2
Entries 4074Mean 17.8511RMS 0.432226
Entries 5148 Mean 17.886RMS 0.453239
Entries 1989Mean 17.9661RMS 0.399144
Figura 5.7: Distribuzioni in energia per gli eventi registrati dal rivelatore FD di
Coihueco. Si evidenza l’effetto dei tagli qualitativi.
sull’array completo (figura 5.7) a circa 17.4 per gli eventi sull’infill (figura
5.6). Cio e perfettamente in accordo con le previsioni alla base del progetto
AMIGA circa la possibilita di rivelare eventi ad energia relativamente bassa
(log10
(EeV
) ∼ 17.5). In figura 5.8 sono rappresentate le efficienze dei tagli
relative ai dati sull’infill e a quelli sull’array completo. L’efficienza relativa e
stata calcolata secondo la formula:
Efficienza relativa =Numero di eventi con Cut2
Numero di eventi golden hybrid(5.3)
Il campione infill, sebbene con minore statistica, e sensibilmente piu
efficiente a basse energie. Nel range di energia 17.3 ≤ log10
(EeV
) ≤ 17.5
l’utilizzo dell’infill di superficie permette di aumentare la numerosita del
campione che soddisfa i criteri di selezione e questo rappresenta un punto
chiave nello studio dello spettro a basse energie. Ricordiamo che si tratta
5.4.4 Funzione LTP ed efficienza di trigger 90
Log10(E/eV)16.5 17 17.5 18 18.5 19 19.5 20
Rel
ativ
e E
ffic
ien
cy
0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5Efficienza relativa Infill
Efficienza relativa all
Figura 5.8: Efficienze relative dei tagli per i dati riguardanti l’infill e per l’array
completo.
di energie prossime al limite inferiore di sensibilita del rivelatore. Tuttavia,
questi valori sono di estremo interesse grazie all’andamento tipo legge di
potenza dello spettro dei CR: anche un piccolo aumento dell’efficienza di
rivelazione comporta un notevole aumento del numero degli eventi. Pertanto
con un adeguato campione si potra misurare il flusso dei raggi cosmici a
energie relativamente basse (log10
(EeV
)= 17.39 ± 0.28, dalla figura 5.6).
Come si vede dalla figura 5.9, quando la statistica sara sufficiente, il confronto
con le misure del flusso effettuate da HiRes potra essere esteso a basse energie.
Inoltre a quelle energie e possibile anche il confronto con Kascade-Grande e
cio permettera una calibrazione incrociata dei tre esperimenti.
5.4.4 Funzione LTP ed efficienza di trigger
Per Lateral Trigger Probability (LTP) si intende la probabilita che ha uno
sciame atmosferico esteso di triggerare una tank in funzione dell’energia del
5.4.4 Funzione LTP ed efficienza di trigger 91
Figura 5.9: Spettro dei raggi cosmici misurato da Auger e HiRes. Il rettangolo in
figura evidenzia l’intervallo energetico in cui l’esperimento Auger potrebbe misurare
il flusso grazie all’introduzione dell’infill.
primario, della massa, dell’angolo di zenit e della distanza dall’asse dello
sciame. Si otterra la funzione LTP per gli EAS relativi alla zona dell’infill per
valori del log10
(EeV
)compresi tra circa 17.0 e 18.5 e con valor medio ∼ 17.4 e
per angoli di zenit θ minori di 60◦ con valor medio 〈θ〉 ∼ 26.0◦. Questi valori
sono stati ottenuti dai dati raccolti a partire da meta Settembre 2007 (periodo
di attivazione dell’infill di superficie) a Giugno 2008. La configurazione di
trigger usata nel calcolo della LTP corrisponde alla richiesta di almeno una
stazione ToT (vedi paragrafo 3.3.1). La LTP e definita come:
LTP =Numero di stazioni con Trigger(r)
Numero totale di stazioni presenti(r)(5.4)
dove r rappresenta la distanza della tank dall’asse dello sciame. In questo
lavoro di tesi, si sono considerate tutte le tank attorno al sub-array la cui
distanza dall’ellisse che contiene i core ricostruiti sia inferiore a 3 km. E stata
5.4.4 Funzione LTP ed efficienza di trigger 92
calcolata, per ogni evento selezionato secondo i criteri visti precedentemente,
la distanza Tank-Asse ricostruito in funzione dei valori dei parametri iniziali:
angolo di zenit e angolo di azimut dello sciame, coordinate del core ricostruito
e delle tank considerate. Dopo aver costruito 10 corone circolari (indicizzate
da j) attorno all’asse dello sciame di raggio variabile tra 200 e 2000 m
con passo di 200 m, si sono contate le tank fisicamente presenti all’interno
di ciascuna corona (k(j) ; j = 1, 2, .., 10 ; r(j) = 200, 400, .., 2000m) e il
numero di tank con trigger ToT (h(j)). Dal rapporto h(j)k(j)
si e ottenuta
l’efficienza di trigger per l’evento nella j-esima corona. I valori medi di
efficienza di trigger sul campione degli eventi sulle diverse corone sono
rappresentati in figura 5.10. A piccole distanze dall’asse dello sciame la
funzione LTP presenta un plateau (efficienza di trigger prossima ad 1), mentre
al crescere della distanza dall’asse dello sciame, il valore tende a zero.
Distance to shower axis (m)0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600 1800 2000
Tri
gg
er P
rob
abili
ty
0
0.2
0.4
0.6
0.8
1data
Figura 5.10: La funzione LTP per i dati reali (media sugli eventi nelle 10 corone
circolari). Le barre verticali indicano la deviazione standard della media nelle
diverse corone circolari.
5.4.5 Parametrizzazioni della funzione LTP 93
5.4.5 Parametrizzazioni della funzione LTP
I dati reali sono stati confrontati con la simulazione Monte Carlo [44]
confermando un buon accordo tra l’efficienza reale di trigger e quella ottenuta
dalle simulazioni. Le parametrizzazioni per le funzioni LTP sono state
derivate usando un campione di sciami CORSIKA (3500 sciami innescati
da protoni e 1800 da nuclei di ferro) con energia compresa tra 1017 eV e
1019 eV e con angolo di zenit minore di 60◦. Ogni sciame e stato simulato 5
volte con differenti posizioni del core. Inoltre e stata fatta una simulazione
ibrida Offline − based usando il modulo Geant4 (G4FastTankSimulator)
per riprodurre la risposta del rivelatore di superficie ed una simulazione
dettagliata anche della risposta del rivelatore FD. La funzione LTP e stata
calcolata per la configurazione di trigger ToT.
Il set dei dati simulati e stato riprodotto combinando un fit di una funzione
a gradino del tipo Fermi-Dirac (vicino al core) e una funzione esponenziale
(lontano dal core). La funzione assume la seguente espressione:
LTP (r) =
1
1+e−r−R0∆R
r ≤ R0
12eA(r−R0) r > R0
(5.5)
dove R0(E, θ, Z) e un parametro dipendente dall’energia del primario,
dall’angolo di zenit dello sciame e dal tipo di primario (Z) e rappresenta
il raggio medio dell’LTP, ossia il valore in corrispondenza del quale
la probabilita di trigger e uguale a 0.5; ∆R(E, θ, Z) e un parametro
proporzionale all’altezza del gradino iniziale ed A(E, θ, Z) e un parametro
che caratterizza la pendenza per la funzione esponenziale.
La figura 5.11, ottenuta in [44], mostra chiaramente come l’efficienza
di trigger aumenti con l’energia. Poiche per sciami meno energetici la
probabilita di essere riassorbiti in atmosfera e piu alta rispetto a sciami con
energia superiore, e evidente che per essi, la probabilita di triggerare una tank
5.4.6 Confronto tra LTP misurata e LTP simulata 94
tank distance to shower axis (km)0.5 1 1.5 2 2.5 3
To
TP
0
0.2
0.4
0.6
0.8
1 Log(E/eV)=17Log(E/eV)=17.5Log(E/eV)=18Log(E/eV)=18.5Log(E/eV)=19
Figura 5.11: La funzione LTP simulata per i protoni in funzione della distanza
dall’asse dello sciame con richiesta di trigger ToT [44]. Sono rappresentati i
punti “sperimentali” simulati e la parametrizzazione ottenuta per i protoni. Si
noti l’ottimo accordo.
sia piu bassa. In figura, la linea continua e il risultato della parametrizzazione
per i protoni ottenuta grazie alla funzione 5.5. Dal confronto in figura si nota
come i dati simulati e la parametrizzazione siano in ottimo accordo.
5.4.6 Confronto tra LTP misurata e LTP simulata
Per poter essere sicuri di confrontare alla pari il set dei dati reali e quello dei
dati simulati occorre fare delle importanti considerazioni.
La figura 5.12 [45] mostra la probabilita di trigger relativa (eventi
simulati) per due differenti tipi di primario (protoni e nuclei di ferro) in
funzione dell’energia . Per probabilita di trigger relativa si intende il rapporto
tra gli eventi con trigger SD (ToT) ed eventi con trigger FD. Il campione dei
dati simulati [45] e frutto di una simulazione ibrida con sciami CORSIKA +
Geant4 e mostra che l’efficienza di trigger ibrida (un evento di fluorescenza
in coincidenza con almeno una tank) e piatta ed uguale a 1 per energie
5.4.6 Confronto tra LTP misurata e LTP simulata 95
lg(E/eV)17 17.5 18 18.5 19
Rel
ativ
e T
rig
ger
Pro
bab
ility
0
0.2
0.4
0.6
0.8
1
ironproton
Figura 5.12: Efficienza di trigger ibrida per eventi simulati per protoni e nuclei
di ferro ottenuta in [45].
maggiori di 1018 eV (vedi figura 5.12). Inoltre, dalla figura, si nota come a
basse energie (log(
EeV
) ' 17) la probabilita di trigger relativa sia maggiore
per i protoni. Dal modello di interazione adronica, sappiamo infatti che a
parita di energia, i protoni innescano lo sviluppo dello sciame a profondita
atmosferiche maggiori rispetto ai nuclei di ferro. Di conseguenza Xmax avra
un valore piu alto per i protoni. Il ridotto assorbimento in atmosfera dovuto
ad un percorso minore dal massimo sviluppo dello sciame a terra, fara crescere
la probabilita di trigger relativa. Ad energie maggiori di 1017.5 eV i nuclei di
ferro hanno abbastanza energia per fare arrivare al suolo le particelle dello
sciame e in piu, tenendo presente che dal modello di interazione adronica
i nuclei di ferro producono piu muoni (particelle penetranti e facilmente
rivelabili) rispetto alla controparte protonica, l’effetto complessivo e quello
di uguagliare l’efficienza di trigger relativa dei protoni. Ad energie maggiori
di 1018 eV la probabilita satura a 1, indifferentemente dal tipo di primario,
5.4.6 Confronto tra LTP misurata e LTP simulata 96
poiche l’energia e sufficientemente grande da garantire un trigger ibrido. Per
garantire un confronto alla pari tra il set dei dati reali e quello dei dati
simulati occorre quindi trovarsi ad energie ≥ 1018 eV . Nei dati simulati si
riesce a valutare la frazione degli eventi con trigger e quella senza trigger,
nei dati reali invece vengono rilevati solo gli eventi con trigger (ovviamente
gli eventi senza trigger sfuggono all’acquisizione dei dati). Uno studio sugli
eventi simulati per tank la cui distanza sia ridotta da 1500 a 750 m e stato
fatto in [46]. In figura 5.13 viene mostrata la probabilita di trigger relativa
per eventi simulati e per due differenti tipi di primario (protoni e nuclei di
ferro) in funzione dell’energia. Poiche la Relative Trigger Probability satura
attorno a un valore del log10
(EeV
)di circa 17.5, e possibile il confronto diretto
con i dati reali a basse energie.
lg(E/eV)17 17.5 18 18.5 19
Rel
ativ
e T
rig
ger
Pro
bab
ility
0
0.2
0.4
0.6
0.8
1
Iron Infill
Proton Infill
Figura 5.13: Efficienza di trigger ibrida per eventi simulati per protoni e nuclei di
ferro ottenuta in [46]. La distanza delle tank in questa simulazione e stata ridotta
da 1500 a 750 m, per poter assicurare un confronto alla pari con gli eventi reali
studiati per mezzo dell’infill.
5.4.6 Confronto tra LTP misurata e LTP simulata 97
Distance to shower axis (m)0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600 1800 2000
Tri
gg
er P
rob
abili
ty
0
0.2
0.4
0.6
0.8
1data
proton
Figura 5.14: Confronto tra le efficienze relative ai dati reali per l’infill e la
parametrizzazione simulata per i protoni.
In figura 5.14 si ha il confronto tra i dati reali (〈log10
(EeV
)〉 ' 17.4,
〈θ〉 ' 26.0◦) e quelli ottenuti in [44] dalla parametrizzazione dei protoni
(la parametrizzazione dei nuclei di ferro e attualmente in fase di sviluppo). I
valori di E e θ inseriti nella parametrizzazione corrispondono a quelli ottenuti
dalla ricostruzione degli eventi sull’infill durante il periodo in esame. Ci
si aspetta che l’efficienza per il ferro sia maggiore rispetto a quella per i
protoni. Cio e spiegabile sulla base del modello di sovrapposizione per sciami
adronici. Il numero di muoni prodotti da sciami innescati da nuclei di ferro e
decisamente maggiore rispetto al caso dei protoni e pertanto, poiche i muoni
sono tra le particelle piu penetranti e facilmente rivelabili, si spiega come
l’efficienza di trigger sia piu elevata per sciami generati da nuclei di ferro.
Dalla figura 5.14 risulta che l’efficienza per i dati reali e leggermente maggiore
rispetto a quella per i protoni. Cio e spiegabile considerando che i dati reali
sono relativi a sciami innescati da primari di altissima energia con Z compreso
tra 1 (protoni) e 26 (nuclei di ferro). Quindi ci si aspetta che l’efficienza per
i dati collezionati sia intermedia tra quella per i ferri e quella per i protoni.
Inoltre si ha che l’efficienza di trigger aumenti al diminuire dell’angolo di zenit
5.5 Conclusioni 98
(vedi figure 5.15 e 5.16). Gli sciami verticali, attraversando uno spessore
di atmosfera minore rispetto a quelli piu inclinati, hanno uno sviluppo
trasversale piu compatto e una dispersione dal core minore, ossia, la densita di
particelle dello sciame e relativamente alta vicino al core e cade rapidamente
a zero per distanze maggiori. Per sciami verticali la transizione avviene ad
una distanza dal core pari al raggio della circonferenza minima contenente
lo sciame. Al crescere dell’inclinazione dello sciame, la circonferenza diventa
un’ellisse dai contorni sempre meno definiti per l’effetto dell’assorbimento
in atmosfera (gli sciami inclinati attraversano infatti uno spessore maggiore
di atmosfera rispetto a quelli verticali) con l’effetto complessivo di abbassare
l’efficienza di trigger. In figura 5.15 e mostrato il plot dell’efficienza di trigger
per i dati reali sull’infill in tre diversi range del coseno di zenit (tali che
0◦ ≤ θ < 20◦, 20◦ ≤ θ < 35◦, 35◦ ≤ θ ≤ 60◦). Si noti come l’efficienza
di trigger diminuisce all’aumentare dell’inclinazione dell’asse dello sciame.
In figura 5.16 vengono riportate le funzioni LTP sull’array di superficie
ottenute in [44] per log10
(EeV
)= 18, per trigger ToT e per diversi range del
coseno di zenit e i fit ottenuti dalle parametrizzazioni. Inoltre si assumono
come primari i protoni. Si noti come per gli sciami verticali (ad esempio
0.9 < cos θ < 1) l’efficienza di trigger sia maggiore e come sia piu brusca la
caduta a zero rispetto agli sciami piu inclinati.
5.5 Conclusioni
Nel range di energia 17.3 ≤ log10
(EeV
) ≤ 17.5 il campione dati per
l’esperimento Auger e molto ridotto. Tuttavia, grazie all’utilizzo dell’infill,
sono state accresciute le potenzialita del rivelatore di superficie nella direzione
delle basse energie (prossime al limite inferiore di sensibilita del rivelatore).
L’importanza di tali valori e rafforzata dall’andamento tipo legge di potenza
5.5 Conclusioni 99
Distance to shower axis (m)0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600 1800 2000
Tri
gg
er P
rob
abili
ty
0
0.2
0.4
0.6
0.8
1 1≤ θ0.94 < cos 0.94≤ θ0.82 < cos 0.82≤ θ cos≤0.50
Figura 5.15: Plot dell’efficienza di trigger per i dati reali sull’infill in tre diversi
range del coseno dell’angolo di zenit. Si noti come l’efficienza di trigger diminuisce
all’aumentare dell’inclinazione dell’asse dello sciame.
Figura 5.16: Le funzioni LTP simulate sull’array di superficie per un valore fissato
dell’energia e per differenti range del coseno dell’angolo di zenit assumendo come
primari i protoni (con riferimento a [44]).
dello spettro dei CR: anche un piccolo aumento dell’efficienza di ricostruzione
comporta un notevole aumento del numero degli eventi selezionati in una
5.5 Conclusioni 100
regione in cui il confronto con le misure fatte da altri esperimenti, come ad
esempio Kascade-Grande, potrebbe fornire una calibrazione incrociata.
Per la prima volta e stata studiata approfonditamente l’efficienza di trigger
per gli eventi selezionati per l’infill. E stato quindi possibile confrontare il
risultato sperimentale a basse energie con quello atteso per i protoni sulla
base di studi Monte Carlo. Tale risultato e compatibile con le previsioni
e corrobora la validita delle simulazioni. Ci aspettiamo che l’inclusione
dei nuclei pesanti nella simulazione, vada nella direzione di migliorare
ulteriormente l’accordo con i dati reali. Inoltre e stato messo in evidenza
come la probabilita di trigger vari in funzione dell’angolo di zenit dell’asse
dello sciame (dati reali e simulati) e in funzione dell’energia del primario
(dati simulati).
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