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UNO STUDIO SULL’ECONOMIA DELL’ETÀ DEL BRONZO ALPINA ... · tain pasture, the importing of...

Date post: 30-Apr-2020
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UMBERTO TECCHIATI UNO STUDIO SULL’ECONOMIA DELL’ETÀ DEL BRONZO ALPINA. RIFLESSIONI A MARGINE DELLA RECENTE MONOGRAFIA SUI RESTI FAUNISTICI PROVENIENTI DAL VILLAGGIO DELL’ETÀ DEL BRONZO DI CRESTA PRESSO CAZIS NEI GRIGIONI (CH) ABSTRACT - The results of the recently published study on the fauna of the Bronze Age settlement of Cresta-Cazis in the Grisons are summarized in this paper. The data are discussed and compared with the current state of knowledge of the south Alpine fauna. Faunal remains from Cresta-Cazis, about 19,000 finds, span a very wide period of time, the equivalent of more than a thousand years, and show, in a statistically relia- ble way, the changes in the composition of the faunal assemblages at the site, particu- larly the domestic animals. Regarding the changes in numbers of domestic species at Cresta-Cazis the most obvious evidence is the constant increase in the percentage of cattle and the parallel decrease in that of domestic goat. The importance of pig is al- ways modest, despite a significant increase in the Middle Bronze Age. Wild animals only have a marginal role. This paper deals with and discusses some important ques- tions regarding the interpretation of the seasonality of the site, the use of summer moun- tain pasture, the importing of livestock and the existence of deep-rooted dietary ta- boos. KEY WORDS - Faunal remains, Alpine Bronze Age, The Grisons, Trentino-Alto Adige/ South Tyrol, North Italy, Seasonality, Summer mountain pasture, Dietary taboos. RIASSUNTO - Si riassumono in questo contributo i risultati dello studio, recentemen- te edito, sulla fauna del villaggio dell’età del Bronzo di Cresta-Cazis nei Grigioni. I dati vengono discussi e confrontati con lo stato delle conoscenze sulle faune sudalpine. I resti faunistici di Cresta-Cazis, circa 19.000 reperti, coprono un arco temporale molto ampio, pari a circa mille anni, e documentano in modo statisticamente affidabile l’evo- luzione delle composizioni faunistiche nel sito, in particolare domestiche. Nell’evolu- zione quantitativa delle specie domestiche di Cresta-Cazis il dato più evidente è la co- stante crescita percentuale del bue e la contestuale riduzione dei caprini domestici. L’importanza del maiale resta modesta sempre, nonostante una crescita significativa in Bronzo medio. Gli animali selvatici non svolgevano che un ruolo marginale. Sono af- frontate e discusse alcune importanti questioni interpretative relative alla stagionalità
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UMBERTO TECCHIATI

UNO STUDIO SULL’ECONOMIA DELL’ETÀDEL BRONZO ALPINA. RIFLESSIONI A MARGINE

DELLA RECENTE MONOGRAFIA SUI RESTIFAUNISTICI PROVENIENTI DAL VILLAGGIODELL’ETÀ DEL BRONZO DI CRESTA PRESSO

CAZIS NEI GRIGIONI (CH)

ABSTRACT - The results of the recently published study on the fauna of the BronzeAge settlement of Cresta-Cazis in the Grisons are summarized in this paper. The dataare discussed and compared with the current state of knowledge of the south Alpinefauna. Faunal remains from Cresta-Cazis, about 19,000 finds, span a very wide periodof time, the equivalent of more than a thousand years, and show, in a statistically relia-ble way, the changes in the composition of the faunal assemblages at the site, particu-larly the domestic animals. Regarding the changes in numbers of domestic species atCresta-Cazis the most obvious evidence is the constant increase in the percentage ofcattle and the parallel decrease in that of domestic goat. The importance of pig is al-ways modest, despite a significant increase in the Middle Bronze Age. Wild animalsonly have a marginal role. This paper deals with and discusses some important ques-tions regarding the interpretation of the seasonality of the site, the use of summer moun-tain pasture, the importing of livestock and the existence of deep-rooted dietary ta-boos.

KEY WORDS - Faunal remains, Alpine Bronze Age, The Grisons, Trentino-Alto Adige/South Tyrol, North Italy, Seasonality, Summer mountain pasture, Dietary taboos.

RIASSUNTO - Si riassumono in questo contributo i risultati dello studio, recentemen-te edito, sulla fauna del villaggio dell’età del Bronzo di Cresta-Cazis nei Grigioni. I dativengono discussi e confrontati con lo stato delle conoscenze sulle faune sudalpine. Iresti faunistici di Cresta-Cazis, circa 19.000 reperti, coprono un arco temporale moltoampio, pari a circa mille anni, e documentano in modo statisticamente affidabile l’evo-luzione delle composizioni faunistiche nel sito, in particolare domestiche. Nell’evolu-zione quantitativa delle specie domestiche di Cresta-Cazis il dato più evidente è la co-stante crescita percentuale del bue e la contestuale riduzione dei caprini domestici.L’importanza del maiale resta modesta sempre, nonostante una crescita significativa inBronzo medio. Gli animali selvatici non svolgevano che un ruolo marginale. Sono af-frontate e discusse alcune importanti questioni interpretative relative alla stagionalità

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del sito, all’esistenza di pratiche di alpeggio, all’importazione di bestiame, all’esistenzadi radicati tabù alimentari.

PAROLE CHIAVE - Resti faunistici, Età del Bronzo alpina, Grigioni, Trentino-AltoAdige, Italia Settentrionale, Stagionalità, Alpeggio, Tabù alimentari.

Il 2011 può essere considerato un anno favorevole per gli studi diarcheozoologia alpina. A distanza di pochi mesi, infatti, sono stati pubbli-cati due ampi studi che contribuiscono alla conoscenza del rapporto uomo-animale durante il II millennio a.C. in area alpina interna. Si tratta da unlato dello studio dei resti faunistici dell’abitato del Bronzo medio diSotciastel in Val Badia, pubblicato a cura dell’Istitut Ladin «Micurà deRü» di San Martino de Tor (1), e dall’altro dello studio sui resti faunisticidel villaggio di Cresta-Cazis nei Grigioni, di cui è autrice Petra Plüss, pub-blicato dal Museo Nazionale svizzero, oggetto di questa mia nota (2).

Essa vuole affrontare non soltanto il contenuto del libro dal puntodi vista strettamente scientifico, discutendone brevemente alcuni pro-blemi tecnici e di interesse generale, ma anche sottolineare quegli aspettidi organizzazione e finanziamento della ricerca scientifica che i colleghisvizzeri hanno dato prova di sapere brillantemente risolvere.

L’archeozoologia, come qualsiasi altro campo di ricerca, abbisognainfatti di risorse economiche, di spazi fisici e progettuali, di personale; atutto questo non si può pensare di fare fronte unicamente con il tempo el’impegno quotidianamente messi in campo dalle strutture universitariee dagli studenti cui vengono affidate delle tesi di laurea. Se entro certilimiti sembra opportuno che giovani studenti, impegnati nella redazio-ne delle proprie tesi, prestino un servizio non retribuito nell’ottica difare esperienza e di apprendere il mestiere, d’altro canto sembrerebbeovvio che, una volta terminato questo tirocinio, le giovani forze acquisi-te alla causa del progresso degli studi possano continuare a livello pro-fessionale il loro lavoro. Sarebbe necessario quindi che potessero conta-re sull’accesso a risorse finanziarie utili tra l’altro a trasformare la tesi,che ha uno stile e un taglio suo proprio ed è pensata normalmente per

(1) SALVAGNO & TECCHIATI 2011.(2) PLÜSS 2011. Nel 2012 è uscito anche un lavoro di sintesi sulla fauna del noto sito

grigionese dell’età del Bronzo di Savognin-Padnal (BOPP-ITO M. 2012). L’importantelotto faunistico (30.000 resti finora analizzati, 20.000 dei quali determinati) mostra unastruttura affine a quella di Cresta-Cazis, e uno sviluppo diacronico pressoché identico.Interessanti congetture su differenti stili alimentari all’interno del sito nel Bronzo anti-co dipendono dallo studio della distribuzione topografica dei resti faunistici.

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essere presentata di fronte a una commissione accademica, in un vero eproprio strumento di comunicazione scientifica e, ove possibile, di divul-gazione dei saperi specialistici presso un più ampio pubblico interessato.

La tesi di Petra Plüss è stata lungamente disponibile sul web, primadi divenire accessibile, sotto forma di monografia scientifica a stampa;deve essere altresì evidenziato che il lavoro dell’Autrice ha potuto esserefattivamente sostenuto da varie istituzioni pubbliche e private. Questasottolineatura vale ad affermare come la ricerca di sponsorizzazioni incampo scientifico, per quanto difficili in settori come quello dell’archeo-logia e delle discipline ad essa connesse, sia un imperativo e un obiettivopraticamente perseguibile, se solo si tengono presenti le necessità dellaricerca di base e, segnatamente, delle giovani leve che in essa si voglionocoinvolgere per dare un futuro alle nostre discipline.

Queste osservazioni sembrano tanto più vere se si considera l’ecce-zionale mole di materiali su cui l’Autrice ha lavorato. Dagli scavi com-piuti a partire dagli anni quaranta del secolo scorso (1947-1970) in unodei più significativi insediamenti dell’età del Bronzo alpina, si conserva-no presso il Museo Zoologico dell’Università di Zurigo più di 300.000reperti faunistici. Anche se il curatore del Museo ha provveduto di re-cente alla sistemazione dei materiali con il rinnovo dei cartellini di scavoe dei sacchetti che li contenevano, non tutti possono immaginare l’enor-me lavoro di preparazione necessario all’inserimento dei dati in fogli dicalcolo che verranno successivamente interrogati per lo studio scientifi-co vero e proprio. I reperti devono infatti essere siglati, pesati, contati,misurati e a molti di questi verrà richiesto di fornire informazioni sulsesso e sull’età dei rispettivi animali. Chi abbia solo una piccola espe-rienza di lavoro sui reperti archeologici sa che per ogni ora passata atavolino a redigere la relazione finale occorrono dieci o venti ore in la-boratorio alle prese con tutti quegli atti di documentazione che vannodalla classificazione di base alla rappresentazione grafica e fotografica ealla realizzazione dei database. Tale constatazione non perde nulla dellasua validità se si considera che di quei 300.000 reperti ne sono stati tenu-ti in considerazione nello studio di Petra Plüss «solamente» poco menodi 19.000. I reperti provengono dai Plana 1-15 dei settori di scavo (Fel-der) 14, 15 e 16, e si datano tra la fase più antica dell’antica età del Bron-zo e il Bronzo finale (con possibili marginali estensioni, denunciate dalrepertorio ceramico, fino alla prima età lateniana).

Poiché la consistenza dei singoli lotti faunistici distinti su base crono-logica è spesso, anche se non sempre, statisticamente significativa (Tab. 1,p. 21), lo studio dei resti faunistici ha permesso in questo caso di coglie-re, con un notevole grado di verosimiglianza, l’evoluzione o la relativa

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diversità delle composizioni faunistiche da una fase all’altra della vitadell’insediamento. Ciò consente, come si vedrà più avanti, anche di in-terferire su base archeozoologica nelle valutazioni possibili su base stret-tamente archeologica relativamente alla natura del sito e alla sua evolu-zione storica.

Se si può in generale concordare con l’Autrice quando dice che lasituazione dello studio dell’archeozoologia dell’antica e media età delBronzo a nord dello spartiacque alpino è ancora poco sviluppata rispet-to ad aree subalpine come il Trentino Alto-Adige o, aggiungo io, la pia-nura padana, è necessario dire che ben pochi dei moltissimi siti studiatiin Italia Settentrionale consentono di osservare in senso diacronico losviluppo dell’economia e, segnatamente, del rapporto uomo-animale nelII millennio a.C. Alcuni di essi forniscono quantità ingenti di materialima, a causa di scavi condotti anticamente e con criteri di non grandeaffidabilità, almeno in certi momenti, come nel caso di Ledro pubblicatoda Riedel nel 1976 (3), i resti faunistici debbono essere considerati nelloro insieme, come genericamente riferibili al Bronzo antico e medio,senza una suddivisione interna di tipo temporale che permetterebbe im-portanti osservazioni in sede paleoeconomica e paleoecologica. Altri sitiforniscono parimenti ingenti quantità di resti ma, pur essendo stati sca-vati accuratamente in tempi recenti, provengono da stratificazioni so-stanzialmente indifferenziate formatesi in un lasso di tempo relativamentebreve valutabile in tre-quattro secoli, come osservato ad esempio aSotciastel, e anche in tal caso i resti non possono essere ulteriormentedistinti per fase archeologica, benché la tipologia della ceramica permet-ta di individuare una precisa scansione in fasi nell’ambito del Bronzomedio.

Di fatto, l’unico sito pluristratificato e di lunghissima durata (essen-zialmente Bronzo antico e medio) i cui resti faunistici siano generalmen-te molto abbondanti e statisticamente affidabili in ogni fase, scavato concriteri scientifici in tempi recenti e la cui scansione cronologica sia detta-gliatamente nota soprattutto in base allo studio della ceramica, è la pala-fitta del Lavagnone di Desenzano del Garda (4). Poiché le indagini ar-cheozoologiche condotte in parte dal sottoscritto e in parte, maggiore,dal Prof. Jacopo De Grossi Mazzorin (Università degli Studi di Lecce) edal Prof. Antonio Curci (Università degli Studi di Bologna) non sono

(3) RIEDEL 1976.(4) DE MARINIS 2007. Nelle more della stampa di questo contributo, i resti faunisti-

ci del Lavagnone sono stati pubblicati. Cfr. DE GROSSI MAZZORIN, CURCI, GIACOBINI

2013. Si veda inoltre, per la parte affidata all’A., la tesi di AMATO 2013.

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ancora state pubblicate ma stanno per esserlo, mi limiterò a dire che ilcampione è di tale qualità che possono ricevere soddisfacente rispostabuona parte dei quesiti più importanti posti normalmente a una faunaprotostorica e relativi al tipo di evoluzione delle composizioni faunisti-che nel corso del tempo, all’incidenza dei selvatici, al rapporto numeri-co esistente tra pecore e capre, alla distinzione del sesso di bovini e ovi-caprini per inferirne informazioni relative all’economia (sfruttamentodel latte e dei suoi derivati, impiego della forza lavoro, ecc.), alle curve dimortalità, quali emergono dallo studio dell’usura e dell’eruzione denta-ria così come dello stato di fusione delle articolazioni, alle dimensionidegli animali (altezza al garrese) e alle loro eventuali modificazioni nelcorso del tempo, ecc.

Un altro sito che presenta caratteristiche simili è Albanbühel nellaconca di Bressanone (5). Si tratta di un lotto statisticamente molto affida-bile, caratterizzato da reperti numerosissimi e ben conservati. Molti diessi provengono da un fossato attivo per alcuni secoli e quindi il gradodi attendibilità cronologica è relativo, ma molti provengono anche dastratificazioni relative all’abitato, dove essi possono essere suddivisi inmodo alquanto fine. Bisogna sottolineare in questo caso che la ceramicadi Albanbühel non è ancora stata studiata in modo così approfonditocome richiesto da una sistemazione cronologica di dettaglio e quindianche per i resti faunistici si dispone solo di cronologie a maglie piutto-sto larghe. Detto questo, Albanbühel attende di essere pubblicato a li-vello monografico, fatica che sarà di certo ripagata dalla quantità e dallaqualità dei dati che sarà possibile raccogliere. A livello regionale deveessere citato ancora l’importante sito palafitticolo di Fiavé (6), con restiabbondantissimi e relativi a una stratificazione intatta e ben datata cheda momenti terminali del Bronzo antico arriva fino alla fine del Bronzomedio (e al Bronzo recente). Quanto di Fiavé è stato edito finora, tutta-via, è tale che non può venire utilmente confrontato con i contenuti dialtri siti coevi: un’edizione monografica, stilata secondo criteri condivisie correnti nell’area di studio, renderebbe certo molto merito e onore acolui o a coloro che vi ponessero mano.

Da ultimo, ma non per importanza, deve essere citato il lavoro diManfred Schmitzberger sul Ganglegg di Sluderno (7). I resti faunisticistudiati nel sito sono abbondanti e si riferiscono essenzialmente a quat-

(5) RIZZI 1997.(6) JARMAN 1975.(7) SCHMITZBERGER 2007.

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tro diversi momenti di vita: Bronzo medio, Bronzo finale, recente età delFerro, età romana. Vi si aggiungono i resti faunistici di un rogo votivodatato al Bronzo finale (Hahnehütterbödele) scavato nelle pertinenzetopografiche dell’abitato (8).

Come dimostra il caso di Ganglegg, trasformazioni anche significa-tive nella struttura delle composizioni faunistiche possono verificarsi dauna fase all’altra, e ciò vale ad esempio per l’abbondanza relativa delmaiale, o per la relazione tra bovini e ovicaprini, etc. Inutile dire che talitrasformazioni si colgono quasi esclusivamente lungo archi cronologicisignificativi, e che cambiamenti anche importanti si verificano gradual-mente e sono spesso pressoché insensibili se osservati su scale temporalitroppo brevi.

Il volume di Petra Plüss conta 189 pagine ed è riccamente illustrato(foto di reperti notevoli) e provvisto di innumerevoli grafici e tabelle chevisualizzano gli aspetti quantitativi del lotto studiato.

La struttura del libro comprende un’introduzione generale, in cui sirende ragione delle caratteristiche dei reperti e dei metodi impiegati peranalizzarli. Segue una parte in cui vengono discussi nel dettaglio naturae significato delle specie animali documentate nel sito. Conclude il lavo-ro la trattazione di temi che coinvolgono in generale la conoscenza dellacomunità umana stanziata a Cresta-Cazis nell’età del Bronzo. Essa cul-mina in una sintesi in cui i dati trattati dallo studio archeozoologico ven-gono confrontati con i dati di altre discipline: archeologia, ecologia, ar-cheologia mineraria e metallurgica, ecc. Un aspetto altrettanto impor-tante, come visto, è lo studio delle variazioni della struttura economicadell’abitato nel corso del tempo.

Tra i problemi di metodo affrontati dall’Autrice si trova quello rela-tivo alla determinazione delle classi di età (§ 2.2.2 Schlachtaltersanalyse,p. 21). Come noto, i due metodi essenzialmente utilizzati a tal fine, lostudio dello stato di eruzione, sostituzione e abrasione dentaria e l’anali-si dello stato di fusione (= saldatura) delle articolazioni, tendono spessoa fornire indicazioni qualitativamente alquanto diverse tra loro circa leetà di macellazione. Per quanti sforzi si facciano per confrontare util-mente tra loro i risultati ottenuti attraverso i metodi descritti, non è in-frequente il caso in cui essi rimangono sostanzialmente incompatibili.L’Autrice conclude scegliendo di utilizzare solamente il metodo relativoai denti, non rinunciando tuttavia a riferirsi allo stato della fusione dellearticolazioni quando ciò serva a fornire, sia pure ad un livello solo indi-

(8) STEINER 2007.

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cativo e grossier, sufficienti punti di riferimento. Riguardo a questa scel-ta di fondo dell’Autrice bisogna osservare che il metodo basato sull’os-servazione dello stato di eruzione e usura dentaria fornisce, specialmen-te per le classi più giovani, cioè quelle per le quali sono noti i tempi disostituzione della dentatura da latte con denti definitivi, indicazioni dinotevole dettaglio che sarebbe quasi vano richiedere all’osservazione dellostato di fusione delle articolazioni. I denti, inoltre, si conservano media-mente meglio dello scheletro post-craniale, e ciò vale in particolare per igiovani, le cui ossa lunghe sono in genere fragili e porose, deperendopiù facilmente nei depositi archeologici. Il metodo adottato dall’Autriceè certamente valido in assoluto soprattutto ove i denti siano molto ab-bondanti e possano pertanto essere reputati statisticamente affidabili,come nel caso di Cresta-Cazis. Tuttavia si può obiettare che tale metodotenderà sempre a marginalizzare il ruolo dei neonati e dei fetali, la cuiindividuazione nei lotti faunistici di estrazione archeologica dipenderàesclusivamente, o quasi, dallo scheletro post-craniale. Il criterio dei den-ti è inoltre valido solamente se il recupero dei resti faunistici è avvenutocon il massimo scrupolo, e segnatamente utilizzando il setaccio. I dentidecidui degli animali più piccoli, cioè di taglia minore, tendono infatti asfuggire alla raccolta a vista, con conseguenze immaginabili: una distor-ta sottorappresentazione dei giovani nella pecora, ad esempio, potrebbeenfatizzare indebitamente il ruolo dei prodotti secondari nel suo alleva-mento (latte, lana), mentre una corretta disponibilità di reperti di indivi-dui giovani (definizione che comprende i neonati, i giovanissimi e i gio-vani nel senso di subadulti, fino allo stato di eruzione di M3 0) permette,tra l’altro, di comprendere come e in che misura il latte materno sia statoripartito tra i nati e tra gli uomini, contribuendo con ciò a definire lelinee fondamentali dell’economia animale del sito (9).

Anche la precisa valutazione delle età di morte del maiale si presta aimportanti considerazioni. Questo animale, infatti, è essenzialmente al-levato per la carne, il sangue e il grasso, e in misura variabile, o nonprecisamente valutabile, per il contributo dato in termini di fornitura dimaterie prime (setole, ossa e denti). Incrociando i dati relativi alle curvedi mortalità con quelli relativi alla sex ratio è quasi sempre possibile infe-

(9) Con riferimento ai reperti di animali di età infantile, è stato osservato ad esem-pio a Sotciastel, nel caso del bue, che essi sono rappresentati altrettanto bene tra i dentiche tra i resti dello scheletro post-craniale e che i dati derivanti dai due metodi sono, siapure con le consuete oscillazioni dovute alla sostanziale differenza di valutazione diresti così diversi, in certa misura comparabili.

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rire indirettamente la pratica della castrazione e la sua incidenza nell’al-levamento di questo animale.

Poiché infatti le carni dei maschi sono tenere e gustose se abbattuti dagiovanissimi o giovani, in genere il maiale risulta macellato entro l’eruzio-ne di M3. Se tuttavia l’esame dello stato di fusione delle articolazioni de-nuncia, come spesso succede in economie anche «primitive» ma non ne-cessariamente «arretrate» come quelle della protostoria, una sensibile per-centuale di animali pervenuti a piena maturità, e se lo studio dei canini,unici indicatori sessuali attendibili nel caso del maiale, indica una notevo-le percentuale di maschi, o talvolta la prevalenza di essi rispetto alle fem-mine, sarà necessario pensare che una quota significativa dei maschi indi-viduati, se adulti o pienamente adulti, si riferisca a castrati. La carne deimaschi, infatti, non è gradevole se non in giovane età, quando gli ormoniancora non l’hanno resa amara e stopposa o, appunto, nel caso dei castra-ti. Tale aspetto dell’allevamento dei suini è in genere poco studiato e quasimai gli studi si spingono così in là da prenderla almeno in considerazione,ma è evidente che la castrazione ha avuto un ruolo nell’approvvigiona-mento di carne di buona qualità e in misura quantitativamente maggioredi quella fornita da animali allo stadio di giovani o di subadulti.

Con ciò siamo pervenuti al problema della determinazione del sessodei principali animali domestici e alle conseguenze che essa ha con riferi-mento alla valutazione delle altezze al garrese e di altri aspetti legati alladefinizione dell’assetto economico della comunità oggetto di studio. Nelcaso di Cresta-Cazis, l’Autrice dichiara di avere rinunciato alla valutazio-ne dell’altezza al garrese dei buoi castrati, giustificando tale scelta con ilfatto che essi sono malamente distinguibili dai maschi e rispettivamentedalle femmine a causa dei caratteri morfometrici intermedi che li contrad-distinguono. Ciò è in generale vero ma si limita a quelle ossa, tipicamentei metapodi non conservati per intero, e alle cavicchie ossee, ove frammen-tarie. Nel caso in cui i metapodi e le cavicchie ossee abbiano potuto con-servarsi per intero la distinzione è quasi sempre possibile e, almeno nelcaso dei metacarpi, esistono coefficienti in grado di fornire indicazioniabbastanza precise sul sesso (10). L’esperienza di laboratorio dimostra chel’impiego di tali coefficienti non risolve sempre in modo univoco il pro-blema, ma permette almeno un confronto diretto con un metodo più em-pirico, ma per quanto mi riguarda maggiormente attendibile, che consistenel confrontare tra di loro i metapodiali del bue provenienti da uno stessosito, valutandone non solo la morfologia ma anche la robustezza relativa e,

(10) NOBIS 1954.

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ovviamente, la lunghezza. Il limite di questo metodo risiede nella necessi-tà di disporre di un campione sufficientemente numeroso da consentireuna tripartizione sessuale attendibile. Campioni numericamente irrilevanticonsentiranno di cogliere unicamente caratteri femminili (metapodi mol-to esili, non molto lunghi, con larghezze prossimali e distali contenute)mentre la distinzione di un castrato da un toro, o talvolta perfino la distin-zione di un castrato da una femmina, risulterebbe impraticabile o quasi.La scelta di Petra Plüss è giustificata dal ridotto numero di metapodialiinteri conservati nel sito, come si evince dal ricco e accurato campionariodi misure allegato al testo (pp. 141-161). Tuttavia è presumibile che l’am-plissima disponibilità di larghezze prossimali e distali, ove graduata perintervalli predefiniti, consenta, una volta visualizzata in un grafico, di rag-gruppare in modo convincente misure pertinenti a femmine, e rispettiva-mente a castrati e a tori.

Questa operazione, ovviamente meno attendibile rispetto alla visua-lizzazione di lunghezze totali, potrebbe fornire un quadro almeno indi-cativo e di massima relativamente alla quota percentuale dei castrati edelle femmine (assumendo che i veri maschi siano sempre, in proporzio-ne, molto meno numerosi delle altre due classi), contribuendo così inmodo significativo alla definizione dell’economia del sito.

Benché i sedimenti non siano stati setacciati durante lo scavo, la fre-quenza relativamente alta di anfibi, uccelli e micromammiferi costitui-sce un indice di accurata raccolta dei resti. La notevole quota di restideterminati (67,5%) deve essere quindi interpretata come effetto di re-perti generalmente ben conservati e tali, quindi, da serbare i tratti dia-gnostici necessari alla loro precisa classificazione. La macroclasse dei«piccoli ruminanti» è ricondotta quasi per la sua totalità alla capra e allapecora, considerato che non esistono nel sito precise indicazioni sullapresenza di caprioli e camosci tra i resti determinati.

La composizione faunistica di Cresta-Cazis è dominata in tutte lefasi dagli animali domestici. Cane e cavallo compaiono solo sporadica-mente. Il cane è presente con un numero modesto di resti in tutti gliorizzonti cronologici, mentre del cavallo sono documentati pochi resticertamente riferibili, nonostante il dubbio metodico dell’Autrice, al pic-colo tipo domestico caratteristico dell’età del Bronzo.

Il bue è in tutte le fasi l’animale più abbondantemente documentatonel sito. Esso fu sempre il maggiore fornitore di carne, anche se la suaabbondanza relativa variò nel corso del tempo. Si osserva a Cresta-Cazisuna tendenza ad un incremento quantitativo da un minimo documenta-to nell’antica età del Bronzo ad un massimo attestato nel Bronzo finale.

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Il bue era numericamente altrettanto abbondante nella fase media del-l’antica età del Bronzo rispetto ai caprini domestici, ma a partire daltardo Bronzo antico i caprini domestici si attestano in seconda posizio-ne, mentre il bue vive una crescita costante.

Anche la definizione delle classi d’età del bue vede un’evoluzionedelle modalità di allevamento: nel Bronzo antico erano macellati preva-lentemente animali giovani. I vitelli dallo stadio neonatale allo stadiogiovanile compongono il 30% del campione, mentre i subadulti sono il15%. Ne consegue che il gruppo dei giovani è solo poco meno rappresen-tato del gruppo degli adulti. Nel Bronzo finale, invece, circa i 4/5 deglianimali risultano macellati da adulti. Con la media età del Bronzo il qua-dro cambia notevolmente e si osserva che i giovani compongono il 40%degli animali macellati nel sito. Buoi di più di sei anni venivano macellatinel Bronzo medio con maggiore frequenza rispetto al Bronzo antico.

Il quadro generale indica pertanto che in tutte e tre le epoche (conBronzo finale traduciamo il tedesco Spätbronzezeit che comprende sial’orizzonte Bz D, corrispondente al nostro Bronzo recente, sia l’anticaetà dei Campi d’Urne - la prima età hallstattiana, corrispondente al no-stro Bronzo finale propriamente detto) gli animali subadulti e giovani-adulti componevano all’incirca il 40% degli animali abbattuti nel sito.La percentuale degli animali allo stadio di giovanissimi-giovani e rispetti-vamente adulto-senili varia invece significativamente nel corso del tempo.Essi sono all’incirca pari nel Bronzo antico e mostrano entrambi percen-tuali prossime al 30%. La quota degli adulti cresce a partire dal Bronzomedio. Nel Bronzo finale la differenza tra i due gruppi si radicalizza, conun 50% di buoi adulto-senili rispetto a un 10% di neonati-infanti.

L’Autrice osserva, giustamente, che la variazione delle classi di etàaccompagna la variazione dell’importanza relativa del bue nel corso deltempo. In altri termini, la crescita numerica del bue si accompagna allacrescita del numero degli animali macellati in età adulto-senile. Paralle-lamente, le fasi in cui il bue si dimostra relativamente meno importantesono anche quelle in cui sono maggiormente documentati gli abbatti-menti di vitelli. Esso è posto convincentemente in relazione con fasi incui sussistesse una minore disponibilità di altri animali per l’alimenta-zione umana. Il maggiore successo nell’allevamento del bue si ebbe per-tanto tra la fine del Bronzo medio e il Bronzo finale.

Lo studio della ripartizione dei sessi non può basarsi unicamente sulnumero di resti che hanno permesso una chiara distinzione di genere. Ilrapporto tra maschi e femmine non varia sensibilmente nelle tre fasi in-sediative principali. Sono stati determinati 18 individui femminili e 21individui maschili. I castrati, come detto, non sono stati determinati pun-

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tualmente, ma la variabilità morfologica dei coxali e rispettivamente l’esi-stenza di forme di passaggio tra reperti propriamente maschili e femmi-nili, lascia chiaramente intendere che i castrati dovevano essere alquan-to numerosi a Cresta-Cazis. Le cavicchie ossee mostrano una netta diffe-renza numerica tra individui femminili e individui maschili (6 femminee 11 maschi), ma ciò non può riflettere in alcun modo la relazione esi-stente tra i due sessi nell’insediamento, dal momento che le cavicchieerano certamente selezionate per scopi artigianali e la loro presenza tra iresti di pasto non può prescindere dalla constatazione che almeno unaparte delle medesime sia appunto stata smaltita altrove.

Per quanto riguarda le dimensioni, l’Autrice parla di una sorpren-dente variabilità dimensionale dei buoi di Cresta-Cazis, già a livello ma-croscopico. Lo spettro morfologico si estende da forme «nane» a formedi notevole grandezza. In particolare i metacarpi mostrano una sensibiledifferenziazione dimensionale, nelle proporzioni e nello spessore delladiafisi. Al contrario, però, l’osteometria denuncia una certa unitarietàdimensionale della popolazione bovina del sito.

Tenuto conto del fatto che si può supporre per l’età del Bronzo unaminore omogeneità dimensionale delle mandrie rispetto agli standardodierni (ciò che però andrebbe anche dimostrato, oltre che supposto, edè più frequente il caso di mandrie omogenee anche nella pre- protosto-ria), deve essere chiamata in causa tutta una serie di fattori «ambientali»,quali la zootecnia, il foraggiamento, la castrazione e il possibile incrociocon animali selvatici, oltre che lo scambio e il commercio con comunitàdiverse che allevavano animali differenti per forma e grandezza. Se l’ideadel commercio con altre comunità presenta una sua innegabile forza, edè indirettamente sostenuta dalla documentazione archeologica propria-mente detta, che in genere lascia trasparire l’esistenza di contatti com-merciali su distanze spesso anche ragguardevoli (tipico, in generale, ilcaso della circolazione dei manufatti metallici, o di prodotti ceramici– specialmente in relazione all’orizzonte culturale Luco), meno proba-bile, anche se non impossibile almeno in linea teorica, è l’incrocio conanimali selvatici. Perché esso possa essere almeno ipotizzato, è necessa-rio che tra i resti determinati sia documentato qualche reperto di uro.Benché a nord dello spartiacque alpino la sporadica presenza di resti diuro si estenda dal Neolitico fino all’età romana, e caratterizzi numerosefaune studiate, a Cresta-Cazis è dubitativamente presente con un meta-carpo di dimensioni eccezionali (per il quale, peraltro, la Plüss non esclu-de l’attribuzione al bisonte).

In ogni caso l’estrema scarsità di resti (che resta tale anche somman-do al citato metacarpo una mandibola e un calcagno dubitativamente

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riferibili all’uro) rimane tale che una relazione con l’uomo deve essereconsiderata estremamente sporadica o, addirittura, eccezionale. Alla lucedi questa considerazione appariranno meno probabili le supposte for-me di ibridazione tra domestici e selvatici, come peraltro giustamentesottolineato anche dall’Autrice.

Un aspetto di un certo interesse riguarda l’eventualità di incroci conbestie alloctone, come detto per via di scambi e commerci. Tali incrociavrebbero in primo luogo la funzione di mantenere fresco e vitale il pa-trimonio genetico della mandria, impedendo che esso si impoverisca alungo andare per mancanza di scambio. Se tale suggestiva ipotesi potes-se essere provata sulla base dei resti ossei, ciò che non è (ma in questosenso gli studi morfologici fornirebbero importanti dati al riguardo, lacui precisione potrebbe utilmente essere accostata ai risultati delle anali-si sul DNA antico), ma che non può essere aprioristicamente escluso,dovremmo concludere che la pianificazione dell’allevamento e le sue tec-niche erano, nell’età del Bronzo, già notevolmente progredite. Ma que-sta è una conclusione alla quale possiamo pervenire anche per altra via eche dopotutto non ha bisogno di nuove dimostrazioni.

In conclusione l’Autrice suppone che la notevole variabilità dimen-sionale osservata nel sito sia riconducibile a una serie di concause in cuiun ruolo particolare deve essere stato rivestito dal fattore tempo (più dimille anni di vita dell’insediamento), dalla castrazione e dal dimorfismosessuale. I dati relativi all’altezza al garrese per i buoi di Cresta-Cazis sicollocano tra 102,5 e 123,6 cm. I bovini del sito erano alti in media 115cm, si tratta pertanto di una forma che potrebbe essere definita di tagliamedia. Bisogna, tuttavia, osservare che tale media calcolata sui metapodiè influenzata da numerosi esemplari maschili.

Un ulteriore aspetto che l’Autrice prende in considerazione è la con-vivenza di due forme o, più semplicemente di due razze bovine contem-poraneamente. Tale circostanza, tuttavia, è giudicata altamente impro-babile dalla studiosa svizzera. Si può concordare, almeno per l’età delBronzo, che l’allevamento di due razze diverse in un medesimo contestomicroterritoriale quale può essere quello degli abitati, o dei sistemi inse-diativi, del II millennio a.C., abbia poco senso dal punto di vista orga-nizzativo e anche dal punto di vista della funzione stessa dei buoi dome-stici. Mentre infatti, ad esempio, la compresenza di razze canine diversein abitati dell’età del Bronzo è provata ripetutamente e tende ad intensi-ficarsi nel corso del tempo, nell’età del Ferro e tipicamente in età roma-na, non vi sono prove certe che questo possa essere accaduto anche nelcaso dei bovini. Nel caso dei cani, inoltre, tale diversificazione fa capoanche al carattere molteplice della funzione economica, sociale, affettiva

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e simbolica da essi rivestita in ogni epoca della preistoria e della proto-storia. È tuttavia il caso di osservare che il problema della eventuale com-presenza di razze, o addirittura di specie e sottospecie bovine diverseallevate contemporaneamente e distinte sulla base dei caratteri morfo-metrici salienti, accompagna il nascere stesso della disciplina archeozo-ologica già verso la metà del XIX secolo in Svizzera (Rütimeyer) e inseguito anche in Italia (Strobel). La compresenza di razze profondamentediverse ha potuto essere provata, ad esempio, in contesti celtici e germa-nici tardo-lateniani o di età romana sul limes. Qui le piccole razze bovi-ne di origine locale convissero con tutta evidenza anche nello stesso in-sediamento con le grandi forme importate dai romani (11). Le due razzeovviamente si incrociarono e ciò che ne uscì fu una forma intermedia trale due riconoscibile sia a livello metrico che a livello morfologico. Gliaspetti morfologici sono un campo di studio che, in una fase della ricer-ca dominata dai rapidi progressi degli studi biomolecolari, può apparireobsoleto o caratterizzato da risultati incerti e opinabili. Esso abbisogna,tra l’altro, di campioni ingenti e ben conservati, ma poiché gli incroci trale razze diverse si configurano biologicamente non come una fusionedei caratteri propri ad entrambe ma come un mosaico di caratteri immo-dificabili se presi isolatamente, lo studio delle caratteristiche morfologi-che (forma e larghezza delle articolazioni, profilo delle mandibole, lun-ghezza e larghezza dei crani, ecc.) sembra in generale preferibile a qual-siasi speculazioni di tipo biometrico. O, per meglio dire, il solo studiobiometrico rischia di imboccare un vicolo cieco dal quale può esseretratto solo combinando ad esso anche lo studio morfologico. Vorrei inaltri termini avanzare un dubbio, metodico, rispetto al fatto che possaessere stata allevata a Cresta-Cazis, per dire, una sola razza bovina in cuisi sia verificata una varietà dimensionale e di robustezza così ampia.

Anche a Cresta-Cazis, come altrove in pianura padana e in area alpi-na, si può osservare una riduzione delle dimensioni dei buoi dal Bronzoantico al Bronzo finale. Tale riduzione è in generale vista come un pro-cesso progressivo e graduale, eventualmente, come suggerisce la Plüss,come «fortlaufende Folgen der Domestikation» (p. 45). Molto più pro-mettente sarebbe peraltro verificare se tale supposta gradualità e pro-gressività sia veramente esistita, o se l’impressione di gradualità non di-penda piuttosto dalla qualità della documentazione archeozoologica di-sponibile. La seconda domanda da porsi è se questa riduzione sia stataun fenomeno generalizzato e ubiquitario in area alpina e circumalpina,

(11) Cfr. ad es. PUCHER & SCHMITZBERGER 2003; PUCHER 2010.

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o se essa abbia riguardato alcune regioni invece che altre, o se il fenome-no sia iniziato in una regione e si sia poi esteso ad altre. Se la riduzionedeve essere intesa come un fattore secondario del processo di domesti-cazione, dobbiamo aprioristicamente assumere che esso abbia riguarda-to non solo le Alpi e le regioni circumalpine ma tutte quelle regioni incui il bue semplicemente veniva allevato.

In conclusione del capitolo dedicato alla trattazione del bue si trovauna dettagliata descrizione delle modificazioni patologiche osservatesull’1% delle ossa di questo erbivoro. Si tratta per lo più di formazioniosteofitiche a carico dell’autopodium, particolarmente frequenti nel casodi animali anziani e sfruttati a lungo per la forza lavoro (castrati), soprat-tutto concentrati nel Bronzo medio e recente. Non mancano peraltromodificazioni patologiche a carico dei coxali femminili, forse dovuti acarenze alimentari possibilmente collegate ad una produzione intensivadi latte, alterazioni della superficie occlusale dei denti e altri fenomenipatologici riscontrati su frammenti di cranio, in particolare localizzateperforazioni per le quali esiste un ventaglio di possibili eziologie.

Le capre e le pecore sono il gruppo di domestici più ampiamentedocumentato nel sito dopo il bue. La loro importanza numerica era al-l’inizio della storia del sito ancora piuttosto modesto, ma la situazionemutò rapidamente e nella fase centrale dell’antica età del Bronzo essasuperò nel NR lo stesso bue, che di solito è l’animale dominante. Ma giàalla fine del Bronzo antico il suo numero calò costantemente finché, nelcorso del Bronzo medio, capra e pecora non raggiunsero quantità addi-rittura minori che nel Bronzo antico (tab. 15, p. 50).

Come di consueto, il numero delle pecore supera di gran lunga ilnumero delle capre, in un rapporto circa 10:1. Rapporti che vedono lepecore in una proporzione da tre a cinque volte maggiore rispetto allecapre sono comuni in area sudalpina, e anche l’area palafitticola circum-benacense, ad esempio il Lavagnone di Desenzano, mostra talvolta rap-porti addirittura più sfavorevoli per la capra (1:7). Ma il numero dellepecore di Cresta-Cazis è certamente impressionante e denuncia sceltezootecniche molto precise in cui lo sfruttamento per la carne, evidentenel Bronzo antico, si affianca in modo chiaramente progressivo allo sfrut-tamento dei prodotti secondari, come latte e lana (graf. 17, p. 51).

Gli animali, in particolare la pecora (per motivi statistici la caprapuò essere trascurata) venivano raramente macellati prima del compi-mento del primo anno di vita. Si trattava, in quei casi, di capretti o agnel-lini di sesso maschile. Un dato assai interessante è l’assenza, nel lottostudiato, di resti riferibili a individui di età fetale o neonatale di entram-

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be le specie. L’Autrice si chiede, giustamente, in che misura tale assenzarispecchi modalità di allevamento particolarmente attente o, al contra-rio, la scomparsa totale dei resti a causa del loro consumo da parte dicarnivori. Le tracce di morsi lasciati sulle ossa dai carnivori sono abbon-dantemente documentate nel sito e le condizioni di conservazione deiresti non sono le stesse in ogni orizzonte cronologico. D’altra parte, fetie neonati di maiale sono ben documentati, situandosi cioè nella stessafascia di età in cui sarebbe lecito attendersi anche resti di capra e pecora.Evidentemente se ne deve concludere che la zootecnica dell’età del Bron-zo era a Cresta-Cazis particolarmente attenta a mantenere in vita neonatie rispettivamente a favorire, per quanto concesso dalle possibilità e co-noscenze dell’epoca, un esito fausto alle gravidanze dei caprini domesti-ci. Si può intravvedere, in questo, un sostanziale interesse per la carne erispettivamente per l’accrescimento della consistenza numerica del greggeovvero per il suo mantenimento.

I caprini domestici erano infatti macellati, per il 60%, tra lo stadiosubadulto e quello giovane-adulto. Si tratta, tipicamente, dello stadio incui esiste l’equilibrio migliore tra l’impegno zootecnico (foraggiamento,stabulazione, ecc.) e il risultato economico (carne). Il confronto coi datirelativi al sesso mostra che prevalgono in questa fascia di età gli arieti,seguiti dalle pecore (femmine) e dai caproni. La preferenza per la macella-zione dei maschi subadulti o giovani-adulti è anch’esso, secondo PetraPlüss, un segno del particolare valore come fornitori di carne attribuito aicaprini domestici degli abitanti di Cresta-Cazis. Per motivi che sono statigià illustrati a proposito della castrazione del maiale, vorremmo supporre,anche qui, che questi individui maschili siano prevalentemente castrati.

Alcune interessanti osservazioni riguardano la produzione di cuoio.Esistono importanti differenze specifiche tra il cuoio di capra, più pove-ro di grasso, sottile e resistente, rispetto a quello di pecora. Un impiegopreferenziale di pelle di capra nella confezione di abiti è provato, adesempio, dall’abbigliamento dell’Uomo venuto dal ghiaccio. Se è vero,come riporta Plüss (p. 52), che quanto migliore è il vello di pecora tantoè peggiore la sua pelle e viceversa, dovremmo concluderne che la comu-nità di Ötzi fosse provvista di magnifiche pecore da lana, ma va da sé checonclusioni di questo tipo lasciano il tempo che trovano. Rimane l’im-portanza della produzione di pelle nell’artigianato preistorico e proto-storico, aspetto sul quale in genere la maggior parte degli studiosi sorvo-la. Non c’è dubbio che gioverebbe molto allo studio e alla comprensio-ne di questo importante comparto artigianale la conoscenza, su base et-nografica o letteraria, della produzione di pelle in età preindustriale. Sipuò supporre che se ne trarrebbero interessanti informazioni anche su

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determinate classi di età e di sesso capaci di fare luce su curve talvoltaanomale nella age- e sex ratio dei caprini domestici. Si deve, peraltro,dare per scontato che in un regime sostanzialmente autarchico di sussi-stenza, le comunità dell’età del Bronzo utilizzassero tutto ciò che unanimale poteva fornire una volta abbattuto, ma che esso non fosse ma-cellato «solo» per ottenere un determinato genere di materia prima, adesempio la pelle, a prescindere dal significato alimentare della sua carne.

Come visto sopra, la quota degli animali pienamente adulti o adulto-senili cresce vistosamente dal Bronzo antico (26%) al Bronzo finale(34%). In termini puramente schematici il dato può essere letto comeeffetto di un interesse crescente per i prodotti secondari. Plüss sottolineaopportunamente come dall’animale adulto possano essere tratti numerosibenefici, anche al di là dell’idea di «prodotti secondari» tradizionalmenteintesa (latte, lana). Essi sono la riproduzione per l’accrescimento dei capidel gregge, ma anche il ruolo guida che essi possono assumere sui capi piùgiovani (nelle greggi miste in genere assunto dalle capre). Talvolta i capri-ni domestici possono essere utilizzati come animali da traino o da traspor-to, ciò che comporta notevoli spese per l’addestramento che devono esse-re ammortizzate sul periodo più lungo possibile.

Mentre il vello della capra si presta alla confezione di funi, quellodella pecora è utilizzato nella tessitura per la produzione di capi di ve-stiario. La presenza di molti individui maschili adulti conferma che aCresta-Cazis questa manifattura era conosciuta e praticata, anche se nonè chiaramente possibile affermare con certezza che il prodotto finale fosseciò che si definisce propriamente «lana». La funzione delle capre comefornitrici di latte sembra mantenersi inalterata nel corso del tempo.

La dettagliata descrizione morfologica delle cavicchie ossee di caprae pecora (pp. 52-56) è seguita da alcune osservazioni critiche relative alladeterminazione del sesso. Molte variabili ambientali, anche di tipo con-giunturale (ad esempio l’alimentazione), possono determinare la molte-plicità morfologica delle cavicchie. Tuttavia essa è principalmente e co-stantemente determinata dal dimorfismo. Questa semplice considera-zione giustifica l’impiego delle cavicchie ossee per la determinazione dellarelativa sex ratio. I dati che se ne traggono vanno tuttavia confrontaticon quelli desunti dallo studio dei coxali e di varie parti dello scheletropost-craniale, come compiuto di seguito.

Poiché sono documentate pecore prive di corna, la determinazionedel sesso deve necessariamente fondarsi sullo studio dei coxali. Il rap-porto, senza distinzione cronologica, vede un totale di 35 femmine per24 «maschi» (certamente comprendenti anche i castrati). Nel caso dellacapra la situazione è diversa: i coxali sono scarsi e di incerta determina-

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zione, mentre le cavicchie sono chiaramente distinguibili e in numeroadatto alla bisogna.

Le cavicchie ossee degli individui femminili rappresentano l’85%del totale nella capra. Nella stessa direzione vanno anche i resti delloscheletro post-craniale.

Riassumendo, le pecore femmine costituiscono il 60% del campio-ne, maschi e castrati (soprattutto castrati, al pari del bue, almeno tra icapi adulti), il 40%.

Gli individui maschili di capra dovevano rappresentare una sparutaminoranza, se non proprio un’eccezione. Giovani, non ne sono statidocumentati.

Per quanto attiene alla taglia, il materiale disponibile a Cresta-Cazisnon è sufficiente per dettagliare una linea evolutiva dei caprini domesti-ci durante l’età del Bronzo. L’Autrice sottolinea comunque che esisteancora una grande quantità di resti non studiati, eventualmente disponi-bili a tal fine (p. 58).

I caprini domestici di Cresta-Cazis non sono particolarmente gracili.Gli esemplari più grandi e robusti, non confrontabili con quelli di Cresta-Cazis, si trovano tutti nell’arco alpino nord-orientale (tab. 6, p. 57 e fig. 22,p. 58). I confronti migliori si hanno quindi con le forme del TrentinoAlto-Adige, spesso molto simili, o poco più grandi, di quelle del sito gri-gionese. Petra Plüss formula l’ipotesi secondo la quale le pecore dell’arcoalpino nord-orientale fossero più grandi di quelle occidentali e sudalpine,e che nelle aree planiziali prossime alle Alpi esistessero razze più piccole egracili che nelle vicine aree di montagna. La popolazione di Cresta-Cazisrappresenterebbe pertanto il centro (vedi fig. 22) in cui trovano una sinte-si dimensionale le varie razze ovine alpine e circumalpine.

Giustamente l’Autrice lamenta la generalizzata povertà di misure chelimita la precisazione del problema e la ricerca delle sue cause. Si puòosservare a questo proposito che avrebbe giovato tenere in considera-zione i numerosi studi sull’età del Bronzo della pianura padana, almenoper confermare l’idea di animali più piccoli che nelle vicine aree alpine.Siti caratterizzati da numerose misure sono infatti un’importante base diconfronto cui attingere per future indagini di questo tipo: il villaggio pic-colo della terramara di Santa Rosa di Poviglio (12), Tabina di Magreta (13),Muraiola (14), Canar (15), ecc.

(12) RIEDEL 2004.(13) DE GROSSI MAZZORIN 1988.(14) RIEDEL 1997.(15) RIEDEL 1998.

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Molto all’ingrosso si può comunque osservare che in area alpinadovevano prevalere razze di altezza pari o maggiore di 60 cm, mentrenelle aree limitrofe potevano essere più comuni misure all’incirca pari a55 cm o poco più. Le modeste altezze delle pecore di Sotciastel, di nor-ma ben inferiori ai 60 cm, sembrerebbero contraddire questo quadro,ma è bene osservare che una delle parti anatomiche maggiormente im-pegnate nel calcolo dell’altezza al garrese, a causa della sua notevole con-servatività, è l’astragalo. Da quest’osso duro e compatto si ricavano mi-sure utili per il calcolo all’altezza, ma non è possibile distinguere esem-plari riferibili a maschi o a esemplari femminili. Pertanto le valutazionidelle altezze al garrese di una popolazione ovina non possono prescin-dere da una attenta valutazione della relativa sex ratio. Inoltre l’astragalofornisce altezze al garrese di norma maggiori di quelle fornite da altreossa utili a tal fine.

A Cresta-Cazis le dimensioni dei caprini domestici, non distinti alivello specifico, dimostrano un incremento dimensionale dal Bronzoantico al Bronzo finale. Per quanto riguarda le pecore, questo incre-mento non può essere documentato. Per le capre invece il fenomeno sispiega con la comparsa, a partire dal Bronzo medio, di più numerosiindividui maschili, piuttosto che con una generalizzata crescita dimen-sionale della specie in sé stessa considerata.

Particolare interesse riveste l’eventualità, prospettata dall’Autrice manon ulteriormente sostenuta a livello scientifico (p. 60 e nota 31), che ireperti di maggiori dimensioni possano dipendere da occasionali accop-piamenti tra stambecchi e capre. È bene osservare, in primis, che questaconsiderazione si pone in aperta contraddizione col fatto che i resti distambecco si limitano a Cresta-Cazis al Bronzo antico, quando essi, alpari del cervo, raggiungono il 23% dei resti dei selvatici (pp. 76-77),mentre i resti di maggiori dimensioni di capra si hanno appunto tra Bron-zo medio e Bronzo finale.

Anche nel caso dei caprini domestici è dettagliatamente trattata ladifficile materia delle modificazioni di origine patologica (38 resti su 5755)ed essenzialmente a carico delle mandibole (periodontiti osservate pre-valentemente a carico della serie dei premolari).

Il maiale è il terzo animale domestico per importanza a Cresta-Cazis.Se rapportato ai bovini e ai caprovini, il maiale è scarsamente documen-tato. Nel numero di resti tocca appena il 9,5% nel Bronzo antico, il 14,2%nel Bronzo medio e il 10,0% nel Bronzo recente e finale. Percentualicosì basse si spiegherebbero, secondo Plüss, con un modesto interesseper la produzione di carne a Cresta-Cazis.

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Tale interpretazione non pare soddisfacente per varie ragioni. Inprimo luogo, vanno tenute in considerazione le caratteristiche ambien-tali del sito, certo poco adatte all’allevamento di questo animale. In se-condo luogo, è un dato di fatto che il fabbisogno di carne è garantito datutti gli animali presenti e non è necessario postulare che solo il maialedovesse farvi fronte. Eventualmente il maiale può aggiungersi come for-nitore di carne, o addirittura divenire il primo animale allevato per lacarne quando e se le precondizioni ambientali lo consentono e, special-mente, se la pressione demografica umana diventa più o meno improvvi-samente tale da richiedere una maggiore disponibilità di proteine nobiliin tempo brevi e, soprattutto, a prescindere dalla stagione.

Lo scarso interesse per la carne, se effettivamente documentabile (epersonalmente nutro qualche dubbio al proposito), potrebbe quindiessere interpretato funzionalmente come un aspetto legato ad una situa-zione demografica poco dinamica o decisamente statica. Il notevole in-cremento nel numero dei resti registrato nel Bronzo medio potrebbe,eventualmente, indicare qualcosa in tal senso.

Nel 65-80% dei casi il maiale veniva macellato tra lo stadio subadul-to e lo stadio giovane-adulto.

Petra Plüss sottolinea, giustamente, che l’asserzione, sempre presen-te negli studi, secondo la quale questo stadio costituisce il momento ot-timale di macellazione poiché vi equivalgono il minimo sforzo nell’alle-vamento con la massima rendita in termini di carne, contraddice il fattoche il maiale procaccia da sé, per lo più, il proprio sostentamento, essen-do libero di vagare nei boschi. È un fatto, comunque, che gli sforzi di unallevatore non si risolvono nell’approntamento del cibo per gli animaliallevati, ma comportano investimenti di tempo, infrastrutturali (= stabu-lazione) e di custodia (personale addetto al pascolo), nonché di cura eassistenza.

Così, fatta salva la giusta premessa dell’autrice, sarà necessario ag-giungere che questo stadio d’età permette macellazioni anche di indivi-dui maschili (subadulti) senza ricorrere alla castrazione. Si deve presu-mere infatti che le carni di questi individui siano ancora relativamentegustose e abbondanti, vista l’età e viste quindi anche le maggiori dimen-sioni rispetto a classi più giovani. La castrazioni permette taglie maggio-ri, almeno in linea teorica, e quindi rendimenti in carne migliori, mapresuppone maggiori investimenti. Al tema della castrazione maschile,nei suini, non è data in genere alcuna attenzioni negli studi di archeozo-ologia, così non può essere motivo di particolare rimprovero per l’Au-trice constatare che anche lei vi abbia rinunciato. La situazione è peggio-rata dal fatto che ricerche sugli effetti che la castrazione produce nei

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suini a livello scheletrico non ne esistono, non almeno in sede archeozo-ologica, e almeno a conoscenza dell’A. di questa nota. Così ci si deveaccontentare di desumerla dalla sex ratio (canini) e dalla consistenza delleclassi di età. Ora, è mia opinione che la castrazione dei suini sia, forseparadossalmente, più remunerativa per quelle comunità, come Cresta-Cazis o Sotciastel, in cui l’allevamento del maiale è quasi trascurabile oaffatto marginale, che non per comunità che possono contare su grandiquantità di capi. Ciò pare ovvio se si considera che una grande disponi-bilità di capi consente prelievi anche «disordinati», cioè non strettamen-te legati a determinate classi d’età e di sesso, principalmente concentratein quelle giovanili di entrambi i sessi.

Per chi invece dispone solo di pochi capi è preferibile macellare an-che animali molto cresciuti grazie alla castrazione, che renderanno eco-nomicamente più che sostenibile il protrarsi dell’impegno messo nell’al-levamento. Con ciò si dimostra che una penuria di maiali non è diretta-mente connessa a un disinteresse per la carne, ma piuttosto a forme diproduzione che tengono nel debito conto le condizioni ambientali e unapressione demografica costante e non «esplosiva».

La consistente presenza di capi ben adulti o senili, come si presentaa Cresta-Cazis nel Bronzo medio, si accompagna a una crescita percen-tuale del numero dei resti. Ciò sembra indicare una maggiore richiestadi carne da parte della comunità, forse associata alla pratica della castra-zione, che a Cresta-Cazis può essere legata contestualmente a un mag-gior risparmio dei bovini ai quali si richiede un crescente contributo intermini di prodotti secondari. La scarsità o assenza di giovani tra i maialidel Bronzo medio può essere letta nella medesima direzione. Ed è undato di fatto che, comunque si vogliano considerare i numeri, a Cresta-Cazis i maschi prevalgono sempre sulle femmine.

Anche l’osteometria fornisce dati interessanti circa l’eventuale prati-ca della castrazione. I maiali di Cresta-Cazis sono piuttosto piccoli chemedi e non superano i 70 cm di altezza. Nelle fasi più recenti dell’abitatodiviene progressivamente più difficile discernere tra individui domesticie individui selvatici, a causa della comparsa di esemplari decisamentegrandi.

Il grafico relativo alla lunghezza laterale dell’astragalo (fig. 28) mo-stra che Petra Plüss tende a collocare il passaggio tra maiale e cinghialeintorno agli 82 cm di altezza al garrese. Sono personalmente incline acollocare questa soglia intorno agli 85 cm, ma è chiaro che l’intervallodimensionale in cui trovano posto rispettivamente i più grandi maiali e ipiù piccoli cinghiali deve essere stato, nella protostoria, piuttosto ampioe localmente differenziato.

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I grandi esemplari di Cresta-Cazis potrebbero essere dovuti, secon-do l’Autrice, all’introduzione di una migliore alimentazioni anche basa-ta sul consumo di nuovi cerali e di leguminose (p. 67) presenti, probabil-mente, nel Bronzo medio e, sicuramente, nel Bronzo recente e finale inSvizzera (Panicum miliaceum, Vicia faba). Questa supposizione, che nonpuò essere esclusa ma che non può basarsi esclusivamente sul fatto chequegli alimenti fossero disponibili all’epoca, può dipendere probabil-mente, e con maggiori probabilità, dall’incrocio (intensificato?) con sel-vatici, ovvero dall’esistenza di un maggior numero di castrati. Propendoper quest’ultima ipotesi perché parto dal presupposto che gli incrocisiano più facili, se causali, in contesti naturali ancora poco modificatidall’intervento antropico (ma sappiamo che essi sono anche attivamentericercati dagli allevatori). In altri termini, sarebbe più ovvio attendersianimali più grandi, cioè incrociati, all’inizio della colonizzazione da par-te di una comunità pioniera, piuttosto che in epoche più avanzate, in cuil’antropizzazione avrebbe certamente causato una più o meno drasticariduzione degli spazi naturali.

L’analisi delle patologie mostra anomalie nella dentatura, oligodon-tia del primo premolare, e infezioni a carico della tibia. Si tratta comun-que di pochi resti.

Solo 25 frammenti sono stati riferiti al cane. Si tratta, come al solito,di presenze molto marginali, spiegabili in parte con smaltimenti diffe-renziati e rispettivamente con il fatto che il cane non doveva comparireregolarmente nella dieta degli abitanti del villaggio.

L’impiego del cane come guardia delle greggi è ritenuto più che pro-babile a Cresta-Cazis. I cani del sito sono morti nella fascia di età suba-dulto-giovane adulto. L’assenza di un più diversificato spettro di età sispiega con il ridotto numero di resti. Di un certo interesse è l’ampiasintesi condotta dall’Autrice alle pp. 70-73 sulle variazioni dimensionalidel cane in Svizzera e nelle regioni finitime durante l’età del Bronzo. Siosserva in generale una crescita dimensionale tra il Neolitico e la finedell’età del Bronzo, con forme piccole tipo Spitz (o Torfspitz, il Canisfamiliaris palustris Rütimeyer, 1862) e rispettivamente grandi, tipo Ca-nis familiaris matris optimae Jeitteles, 1872 e Canis familiaris inostran-zewi Anutschin, 1882, più tipiche queste ultime delle fasi più recentidell’età del Bronzo. Le due forme tendono, come a Sotciastel e a Cresta-Cazis, a convivere. L’Autrice ritiene che tra le possibili cause dell’au-mento percentuale delle forme grandi nella seconda metà del II millen-nio a.C. potrebbero esserci selezioni intenzionali, eventualmente ancheper il consumo. A questo proposito si deve osservare che il cavallo, l’al-

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tro domestico che condivide con il cane bassissime percentuali nel nu-mero dei resti, investito di funzioni non sistematicamente legate alla for-nitura di carne per l’alimentazione umana e di ruoli fortemente simboli-ci e sacrali, incomincia ad essere sensibilmente documentato all’incircain corrispondenza della più marcata differenziazione dimensionale dellerazze canine. Poiché ad entrambi gli animali si devono riconoscere ruolisimbolici, come detto, mi pare probabile che la selezione di forme caninegrandi potrebbe essere legato a un utilizzo del cane come animale da esibi-re, ed eventualmente da impiegare per funzioni sociali di prestigio: parate,cerimonie religiose, attività belliche o venatorie incaricate di sottolineareil prestigio sociale del padrone, ecc. Non può nemmeno essere esclusoche le due forme potessero essere legate a proprietari diversi dal punto divista del genere (esempio cani piccoli per le donne e i bambini, cani grandie maestosi per i maschi), e della posizione sociale. Tali considerazioni pos-sono valere da chiosa o da sottolineatura del fatto che lo scheletro cranialeprevale sulle parti dello scheletro post-craniale: si può supporre in altritermini una selezione artificiale del capo al momento della morte naturaleo dell’abbattimento, anche rituale, degli animali, in modo non molto di-verso da come anche certi defunti, umani, venivano trattati negli insedia-menti dell’età del Bronzo (16), e anche a Cresta-Cazis (vedi infra).

Il cavallo è presente a Cresta-Cazis con pochi reperti, come semprenegli abitati dell’età del Bronzo sia a nord, come a Faggen in Tirolo (17),sia a sud dello spartiacque alpino. Ma è proprio nell’età del Bronzo cheessi compaiono più o meno regolarmente negli assemblaggi faunistici,spesso già nel (tardo) Bronzo antico e specialmente nel medio, come alLavagnone di Desenzano del Garda o al Ganglegg di Sluderno (18).

L’Autrice tratta il tema dell’esistenza di cavalli selvatici nel Mesoliti-co e nel Neolitico dell’Europa occidentale e dell’eventualità che si sianoverificate forme di «ridomesticazione» dei selvatici a seguito dell’ingres-so di cavalli domestici dall’Europa orientale (Ucraina meridionale). Nes-sun dubbio, comunque, che i cavalli dell’età del Bronzo della regionealpina e delle regioni finitime fossero esclusivamente domestici. Il ruolodi status symbol è giustamente richiamato anche per i cavalli di Cresta-Cazis. Un loro eventuale uso come cavalcatura è ben possibile.

I selvatici sono principalmente concentrati nella prima fase di vitadell’abitato. Ciò sottolinea, a nostro avviso, la tendenza, viva nell’età del

(16) TECCHIATI 2011.(17) TECCHIATI 2010.(18) SCHMITZBERGER 2007.

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Bronzo europea, a strutture faunistiche più o meno progressivamentepovere di selvatici a partire dal Bronzo antico.

È anche presumibile che l’habitat intorno al sito fosse ancora abba-stanza intatto nelle prime fasi dell’occupazione antropica e maggiormenteprobabile l’incontro dell’uomo, anche non pianificato, con l’animale.

Del bue primigenio si è già detto. Al solito ben documentato è ilcervo, con il 31% del totale dei selvatici nel Bronzo antico. Il suo pesopercentuale cala nel Bronzo medio e non è documentato nelle fasi piùrecenti di vita dell’abitato. Tra i selvatici è importante anche lo stambec-co, a cui si aggiungono il cinghiale, l’orso, il lupo e il gatto selvatico,quest’ultimo apparentemente assai raro e presente anche a Sotciastel.

Tra gli uccelli sono documentate, con soli 7 resti, 5 diverse specie ofamiglie. Sono rappresentati solo volatili di medie dimensioni (ghiandaia,corvo, colombiformi, poiana, germano reale, starna). Micromammiferi,anfibi e malacofauna terrestre sono parimenti presenti.

All’assenza dei pesci Petra Plüss dedica alcune considerazioni chemeritano di essere riassunte e commentate perché presentano aspetti diinteresse anche teorico-metodologico e interpretativo che le rendono diutilità su uno scacchiere geografico e cronologico più ampio.

Resti di pesci mancano a Cresta-Cazis. Forse:

a) non hanno potuto conservarsi nel terreno;b) molto più probabilmente i protocolli di raccolta sono stati tali che i

resti eventualmente presenti nel terreno sono sfuggiti all’attenzionedegli scavatori.

In effetti queste considerazioni possono ben applicarsi a molti scavipreistorici e protostorici anche in Alto Adige e in Trentino. La mia per-sonale esperienza al Riparo del Santuario del Lasino (19), ad esempio, midice che il setaccio sistematico dei sedimenti dell’età del Bronzo produ-ce, sia pure «al contagocce», resti di pesci, essenzialmente vertebre. Sca-vi condotti con criteri di notevole affidabilità, come ad esempio quelli diVadena presso Bolzano, nonostante l’uso del setaccio hanno portato alrecupero di un numero davvero esiguo di reperti (20).

Alla luce di queste considerazioni si può pensare che i resti di pescinell’età del Bronzo e del Ferro alpina siano rarissimi non solo a causa diun uso meno sistematico e assiduo del setaccio di quanto sarebbe richie-sto da reperti piccoli e fragili, ma anche perché non particolarmente gra-

(19) BONARDI & TECCHIATI 2005.(20) RIEDEL 2002, p. 25.

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diti dalle comunità dell’epoca. Il sito di Salorno-Dos de la Forca (21),datato al Mesolitico antico, dimostra che, dove effettivamente la pescarivestiva un importante significato economico e concorreva alla sussi-stenza delle comunità, i resti di pesce sono abbondanti e lo sarebberoanche se la raccolta avvenisse solamente a vista e non, come sarebbegiusto, con l’uso sistematico del setaccio.

Ma già nell’età del Rame, come ben evidenziato dai resti faunisticidell’enigmatico «Brandopferplatz» del Pigloner Kopf presso Vadena (22),la pesca rivestiva un ruolo molto marginale nelle pratiche di culto e,quindi, dell’economia di quella comunità il cui territorio di prelievo ali-mentare non si limitava alle fitte boscaglie di latifoglie della sommità delMonte di Mezzo, ma si estendeva con certezza alla vicina piana acquitri-nosa dell’Adige, all’Adige stesso e al vicino Lago di Caldaro.

Le numerose faune dell’età del Bronzo del Trentino-Alto Adige stu-diate dimostrano che i pesci non erano mai importanti, nemmeno neisiti palafitticoli, dove sarebbe ovviamente lecito attendersene grandiquantità. Né Ledro né Fiavé mostrano resti di pesci in numero tale dasuggerire l’esistenza di una vera attività di pesca significativa sul pianoalimentare ed economico. Anche i pochi resti del Riparo del Santuariodovranno essere letti in tal senso, tenendo nel debito conto che néSotciastel né Albanbühel, due siti con importanti quantità di resti fauni-stici, hanno restituito pesci. Con ciò si è prevenuta l’obiezione di coloroche potrebbero invocare la generale scarsità di resti dei complessi fauni-stici protostorici come giustificazione per l’assenza di pesci.

In conclusione non resta che proporre una teoria di tipo culturalesecondo la quale il pesce non figurava sulle mense perché disdegnato daquelle comunità. Poiché però nelle stesse regioni il pesce era gradito ericercato, in qualche caso addirittura sacrificato, almeno fino alla tardaetà del Rame, è lecito chiedersi cosa abbia determinato un così repenti-no abbandono della pesca e dei suoi frutti.

Non è la sede per affrontare in modo compiuto questo tema. Milimiterò, pertanto, a supporre che da un lato il regresso o la scomparsadella pesca si accompagni alla generalizzata scomparsa, o regresso, delleattività economiche aleatorie (in sostanza la caccia, la pesca e la raccoltadi frutti spontanei) che si osserva su un grande scacchiere geograficoeuropeo a partire dall’antica età del Bronzo (ma il fenomeno si affaccia,sia pure in modo discontinuo e irregolare, già nell’età del Rame dell’Ita-

(21) WIERER & BOSCATO 2006.(22) RIEDEL & TECCHIATI 2007.

95U. TECCHIATI: Uno studio sull’economia dell’età del Bronzo alpina. Riflessioni...

lia settentrionale (23)). Dall’altro bisogna almeno prendere in considera-zione l’eventuale esistenza di un interdetto religioso, o tabù, per il qualecomunità comunque esposte all’alea delle carestie nonché delle malattiedelle piante coltivate e degli animali allevati, rinunciavano coscientementead una fonte alimentare certo abbondante e pressoché inesauribile e aportata di mano. Un discorso analogo dovrebbe essere fatto per gli uc-celli, se solo potessimo discriminare tra uccelli cacciati e uccelli finiticasualmente e per motivi naturali nel deposito archeologico. Parafra-sando una massima latina escogitata per situazioni di tutt’altro genere, sipotrebbe dire, quanto allo status di animali cacciati, che pisces sempercerti aves numquam, a meno che non vi siano evidenti tracce di tagli, dibruciature, ecc. che ne rendano certo il loro rapporto con l’uomo, alme-no in limine mortis o post mortem. Infatti la frequenza di ulne, anchecon tracce di tagli (fig. 35, p. 79), a Cresta-Cazis, soprattutto a petto delben scarso numero di reperti, non è la prova di attività di uccellagione,ma forse piuttosto della disarticolazione dell’ala di uccelli trovati mortiper trarne penne da utilizzare nell’ornamento o nell’artigianato.

Si diceva che il discorso fatto fin qui per i pesci potrebbe utilmenteessere esteso agli uccelli, in primis a quelli acquatici, che tengono tantodel cielo quanto dell’acqua e divennero oggetto, già nell’età del Bronzo,di frequenti raffigurazioni su recipienti ceramici e metallici, mediantepiccole plastiche e lavori a bulino o a sbalzo su lamine metalliche di altrotipo (vedi ad esempio i cinturoni). Il carattere «anfibio» degli uccelli,almeno di alcuni con riferimento all’acqua ma di tutti con riferimentoalla terra su cui si posano per nidificare e cercare cibo, potrebbero rap-presentare simbolicamente la compartecipazione ai caratteri sopranna-turali del cielo in quanto sede di divinità uraniche, come ben prospetta-to da Peroni (24), e contemporaneamente al carattere funebre dell’acqua,e rispettivamente al carattere non-divino della terra. Nel loro movimen-to tra terra, o acqua, e cielo gli uccelli compiono lo stesso movimentoche tocca al defunto, la cui morte lo pone in una sfera meta-fisica che hanegli inferi o nei cieli la sua rappresentazione più ovvia. Questo ragiona-mento è tanto più verosimile se si tiene in considerazione che l’età delBronzo è l’epoca in cui si diffonde e generalizza la cremazione. Attraver-so di essa il defunto è «offerto in dedizione» alla divinità che raggiungein cielo mediante la smaterializzazione prodotta dalla combustione delcorpo e dal moto ascensionale impressogli dalle fiamme e dal fumo. Spe-

(23) CASTIGLIONI, ROTTOLI & TECCHIATI 2013.(24) PERONI 1996.

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cularmente i pesci tengono della vita e della morte perché vivono in ac-qua. È l’acqua che ci contiene durante la vita prenatale ed è l’acqua cor-rente che fornisce la misura e l’idea del tempo che passa e della finitezzadella condizione umana. È l’acqua che accoglie i doni votivi tipo Gewäs-serfunde e forse, secondo l’opinione di alcuni, i defunti di cui queglioggetti erano il corredo. In ogni caso l’offerta alle acque dà luogo ad unaperdita, ad un annientamento irreparabile ed irrevocabile che con la morteha veramente tutto da spartire.

I pesci, dunque, al pari degli uccelli, sono caratterizzati, per motividiversi, da un’ambiguità, da una «con-fusione» che sono appunto i trattipiù tipici e riconoscibili del sacro (25) e questo potrebbe averne determi-nato la non commestibilità. Su un piano diverso, simbolico, forse, piùche sacro in senso stretto, anche il cane e il cavallo dovettero essere og-getto di un diffuso tabù alimentare legato alla loro antropomorfizzazio-ne, ovvero al profondo vincolo relazionale e psichico esistente tra questianimali e l’uomo. Tutti gli animali più importanti per l’uomo, sia dome-stici che selvatici, possono essere sepolti o deposti ritualmente ma nes-suno con la frequenza con cui ciò accadde per i cani e per i cavalli, depo-sti spesso nella stessa fossa che ospitava il loro padrone defunto.

Una digressione proporzionalmente lunga toccherebbe ai 17 repertischeletrici umani reperiti soprattutto nel Planum 3 (NR 3), 4 (NR 8) e 14(NR 4). Tolti i resti del Planum 4, che si riferiscono secondo l’Autricetutti al medesimo individuo adulto e si tratterebbe quindi di una sepol-tura in abitato, si osservano resti di calotte craniche di neonati posizio-nate negli «interstizi della stesura di pietre del muro che delimita la stra-da», «in die Zwischenräume der Wegmauersteinsetzung». Si tratta, piùche di resti di neonati originariamente sepolti nell’abitato, di parti signi-ficative riesumate ed impiegate in guisa di «Bauopfer» nell’erezione delmuro. Il fenomeno delle sepolture e dei resti umani sparsi in insedia-mento è sufficientemente noto, anche a livello regionale (26) ed è in gene-rale piuttosto comune soprattutto in quei siti di cui siano state studiateanche le ossa animali, tra le quali quelle umane finiscono spesso pertrovarsi mescolate.

Un interessante capitolo, il 5, è dedicato alle ossa come testimonianzadi attività umane, «Tierknochen als Zeugen menschlicher Tätigkeiten».Si affrontano (pp. 83-98) tutti gli aspetti legati alla frammentazione dei

(25) GALIMBERTI 2000.(26) TECCHIATI 2011.

97U. TECCHIATI: Uno studio sull’economia dell’età del Bronzo alpina. Riflessioni...

resti, alla distribuzione delle regioni scheletriche, alle tecniche di macella-zione e trattamento delle carcasse, alle tracce di esposizione alle fiamme eal calore, alla produzione di manufatti in materia dura animale. Riguardoall’industria su osso e su corno, che coinvolge anche la lavorazione deidenti per farne pendagli (un caso di canino di orso, fig. 52, p. 189), l’Autri-ce sottolinea la frequenza di manufatti «espedienziali», cioè di strumenti«ad hoc», utilizzati una o poche volte per lo svolgimento di un’attivitàestemporanea e non ripetuta. Dei bovini erano utilizzate soprattutto lecoste e le spine delle vertebre toraciche. La dentellatura talvolta osservatasui margini, non infrequente in Trentino-Alto Adige per esempio a Vade-na e ad Appiano- Giardineria Gamberoni o «Siechenhaus» (27) e anchealtrove in Italia settentrionale, per esempio a Treviso (28) e a Castel di Pesi-na (29) soprattutto tra il Bronzo finale e il primo Ferro, viene interpretatacome specifica per la lavorazione delle fibre del lino.

In generale, l’abbandono delle competenze nella lavorazione dell’ossoe del palco di cervo, con la conseguente formazione di industrie poveree non specializzate, si manifesta bene almeno a partire dalla media etàdel Bronzo, come mostra il caso di Sotciastel (30), ma certo già nel Bron-zo antico potrebbero esserne colte le prime avvisaglie, almeno a giudica-re dalla deludente industria su materia dura animale di Nössing (31).

Anche l’abbondante strumentario di Ledro (32) o di Fiavé (33) restacircoscritto ad un numero assai limitato di manufatti poco elaborati, adesempio le «punte mobili» di Perini. Diverso il caso dell’industria supalco di cervo che tende a conservare aspetti di notevole perizia e raffi-natezza. Esemplari in tal senso siano gli strumentari prodotti in ambitoterramaricolo e palafitticolo, cui la locale cultura dell’antica e media etàdel Bronzo pare per molti versi legata.

La disponibilità di un ricco repertorio di attrezzi e oggetti d’orna-mento in bronzo (Ledro e anche Sotciastel ma non Fiavé) potrebbe ave-re scoraggiato o marginalizzato l’artigianato del palco di cervo ma, comenel caso di Sotciastel, la povertà di manufatti di questo tipo è certo legataanche al sostanziale disinteresse per la caccia a questo grande ungulatoe al disturbo che gli viene recato dalla presenza dell’uomo. Dove però

(27) LEITNER 1988.(28) BIANCHIN CITTON (a cura di) 2004.(29) TECCHIATI 2012.(30) TECCHIATI 1998a.(31) TECCHIATI 1998b.(32) RAGETH 1974.(33) PERINI 1984.

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la caccia è una componente essenziale e caratterizzante della strutturaeconomica del sito, lì si osserva anche una più abbondante presenza dimanufatti, ad esempio a Ortisei, Hotel Adler e Regina - «Cjamp daMauritz» (34) oppure a Castel di Pesina e a Treviso.

Il volume si conclude (pp. 101-107) con un capitolo di sintesi in cuisi tratta la storia ambientale ed economica del villaggio di Cresta-Cazis.La comunità insediatasi fondava la sua sussistenza sull’allevamento esull’agricoltura. Una relazione con lo sfruttamento di giacimenti mine-rari in quota, non può essere esclusa, ma l’Autrice ritiene che ciò nonpotrebbe essersi verificato prima del Bronzo recente e finale, poiché aquesta età si riferiscono le datazioni radiometriche dei carboni intrap-polati nelle scorie di riduzione del minerale di rame scavate nelle Alpicentrali. È necessario a questo proposito sottolineare che sia nell’arcoalpino occidentale che in quello orientale l’inizio dell’estrazione del mi-nerale di rame si data almeno alla prima età del Rame (Libiola e MonteLoreto in Liguria (35)), alla piena e tarda età del Rame (Millan e Gudonin Val d’Isarco, Riparo Gaban presso Trento (36)), al Bronzo antico (va-rie località della conca di Trento (37)), Mitterberg e poi, con evidenze digrande impatto storico e ambientale, nel Bronzo recente e finale delleAlpi orientali a nord e a sud dello spartiacque alpino.

Stando così le cose può essere escluso che i giacimenti minerari delleAlpi svizzere, vista anche la prossimità dei Grigioni allo spartiacque equindi ad aree in cui si assiste a un precoce sviluppo dell’attività minera-ria e metallurgica, siano rimasti intatti e trascurati fino alla fine dell’etàdel Bronzo. Con tutto ciò resto persuaso che il principale movente delpopolamento alpino sia sempre stato in primo luogo lo sfruttamento deiterritori più adatti per scopi agro-pastorali e cioè, in definitiva, la sussi-stenza delle popolazioni insediate.

Nell’evoluzione quantitativa delle specie domestiche di Cresta-Ca-zis il dato più evidente è la costante crescita percentuale del bue e lacontestuale riduzione dei caprini domestici. L’importanza del maiale restamodesta sempre, nonostante una crescita significativa in Bronzo medio.

Petra Plüss sostiene (p. 103) che la riconfigurazione economica delsito, visualizzata dalla variazione dell’importanza relativa delle speciedomestiche principali, sia il riflesso di un cambiamento anche culturale.Si osserva infatti che mentre gli influssi nord-alpini osservabili nella ce-

(34) SALVAGNO & TECCHIATI 2011.(35) MAGGI & PEARCE 1998.(36) ANGELINI et al. 2013.(37) PERINI 1989.

99U. TECCHIATI: Uno studio sull’economia dell’età del Bronzo alpina. Riflessioni...

ramica si affievoliscono, si intensificano quelli osservabili a livello arche-ozoologico con l’est e il sud-est alpino.

Tra Bronzo medio e Bronzo recente-finale un’economia basata es-senzialmente sul bue trasmette l’idea di una notevole stabilità funziona-le e di «reddito» che potrebbe aver liberato importanti risorse economi-che e di personale per altre attività «industriali», segnatamente minera-rie e metallurgiche (p. 104).

Il rapporto esistente tra superfici arabili/pascolabili e la relativa ren-dita in termini calorici, sia per gli animali che per gli uomini, porta l’ar-cheozoologa a concludere che il solo plateau sommitale del sito avrebbepotuto sfamare meno di otto persone e cioè una popolazione sei voltemeno numerosa di quanto ipotizzabile per via strettamente archeologi-ca. È quindi ovvio che le aree sfruttate per l’agricoltura e l’allevamentodovessero trovarsi anche nelle immediate adiacenze del plateau, senzalimitarsi ad esso. L’estensione delle aree sfruttate, nonché la consistenzadi greggi e armenti, introducono il tema della stagionalità e di complesseforme di uso e gestione del territorio come l’alpeggio e la transumanza.Il tema della stagionalità è posto (§ 6.5, p. 105) in termini a dire il veroun po’ bizzarri. Petra Plüss si chiede se il villaggio fosse abitato anched’estate e se nella bella stagione la popolazione si trasferisse, armi e ba-gagli, con tutti gli animali, a quote più elevate, dove questi erano liberi dipascolare, senza impoverire i pascoli intorno all’abitato. Posto così ilproblema, esso risente di un’impostazione di taglio «modernistico» chefa capo ad un modello tipo «Sommerfrische» e che potrebbe avere pocoa che fare con le pratiche adottate dalle comunità protostoriche. Qui èpiù semplice supporre che l’abitato permanente emettesse segmenti del-la popolazione, probabilmente i più giovani, incaricati della monticazio-ne di greggi e armenti nella bella stagione, in corrispondenza delle attivi-tà legate al raccolto delle messi alle quali si dedicavano eventualmentequanti fossero rimasti nel villaggio.

L’idea di una smobilitazione stagionale confligge con le funzionipermanenti di controllo della viabilità e di compartecipazione ai trafficie alle relazioni intersocietarie e interculturali normalmente riconosciuteai villaggi protostorici alpini. Come che sia, l’Autrice conclude giusta-mente, sulla base degli indicatori archeologici (tipologie edilizie, infra-strutturazioni, cerealicoltura, complessità delle attività economiche eartigianali svolte nel sito, ecc.) che il villaggio di Cresta-Cazis avesse ca-rattere di permanente stabilità. I dati archeozoologici si orientano in ge-nerale in tal senso, ma non si basano su dati di dettaglio come quelliottenibili dall’accrescimento dello smalto nei denti, la cui interruzionesegna con relativa precisione la stagione di abbattimento. Le ricerche

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condotte in tal senso su alcuni campioni di Sotciastel hanno conferma-to, per un certo numero di essi, abbattimenti autunnali e invernali, il chevale a dimostrare che, almeno in certi momenti, e quindi forse sempre, ilsito dell’alta Val Badia fosse stabilmente insediato tra tardo Bronzo anti-co e primo Bronzo recente.

D’altra parte anche la stessa biologia ed ecologia degli animali puòfornire a questo proposito informazioni di una certa attendibilità.

Un tema di grande attualità, che occupa il § 6.6, è infine quellodella transumanza. Nel caso degli abitati alpini, caratterizzati da più omeno limitati spazi per l’agricoltura, la pressione sui medesimi deter-minata dalle necessità di pascolo e in generale di foraggiamento deglianimali domestici come buoi e caprini, poteva essere efficacemente ri-solta per mezzo dello spostamento stagionale di greggi e armenti inalta quota.

Poiché non mancavano spazi sufficienti nei dintorni dell’insediamen-to tanto per l’agricoltura quanto per l’allevamento, può essere messa indubbio l’esistenza di una monticazione stagionale, d’altra parte, comenota l’Autrice, sarebbe necessario valutare quale fosse l’impegno real-mente necessario per mettere a coltura, mediante estesi diboscamenti,superfici certamente rivestite di vegetazione. Si può osservare a questoproposito che il tempo giocava a favore della comunità insediata a Cre-sta-Cazis. Una lunghissima frequentazione avrebbe infatti portato adeccellenti risultati sul piano del diboscamento, con un piccolo investi-mento di tempo e fatica, purché fosse sistematico e svolto con regolaritàogni anno. Nel giro di pochissime generazioni, infatti, complici anche lenecessità di procacciare legname da costruzione e da riscaldamento, ol-treché da impiegare nelle attività artigianali che comportano l’uso delfuoco, importanti superfici coltivabili potevano essere ricavate e special-mente in corrispondenza delle prime fasi di vita dell’abitato. Questomodello presupponeva tuttavia una pressione demografica antropica es-senzialmente lineare e che si autoconteneva nei limiti imposti allo stessoterritorio intorno all’abitato. Stando così le cose non pare necessariopensare all’esistenza di veri e propri movimenti stagionali in quota, al-peggio più che transumanza. Tuttavia non postularli significherebbe daun lato escludere che almeno in certi momenti la pressione antropicanon sia stata tale da richiedere maggiori investimenti in ordine alla pro-duzione di cibo, dall’altro che il gruppo umano non avesse concepitomai alcun interesse nell’accrescimento delle mandrie e delle greggi, pri-vandosi di quella fonte di ricchezza che avrebbe potuto renderlo com-petitivo negli scambi di materie prime con altre comunità. Entrambi icasi mi sembrano abbastanza lontani da ciò che potrebbe esserci concre-

101U. TECCHIATI: Uno studio sull’economia dell’età del Bronzo alpina. Riflessioni...

tamente verificato nel corso dell’età del Bronzo alpina, anche se singoleeccezioni possono pur sempre essere esistite.

Il punto è, ovviamente, quello posto dall’Autrice (§ 6.6.2, p. 106):può un complesso faunistico fornire indicazioni sull’esistenza della tran-sumanza?

Le speculazioni portate dall’Autrice in ordine all’occorrere di certeclassi di età o di certe parti scheletriche, non sembrano dirimere la que-stione. Probabilmente, come suggeriscono Bartosiewicz e Greenfield (38),sarebbe necessario confrontare direttamente i resti faunistici di siti clas-sificati come permanenti con quelli provenienti da postazioni stagionaliin quota, funzionalmente confrontabili con i primi. Questa possibilità diconfronto è in genere negata anche a causa della diversa conservativitàdelle ossa in contesti di alta quota, ma l’esistenza di postazioni stagionaliin quota è archeologicamente documentata e l’assenza di resti faunisticinon impedisce di interpretarli come siti di alpeggio frequentati per ilpascolamento stagionale di greggi e armenti. Tali siti in quota sono statiriconosciuti in varie regioni dell’arco alpino, dal Trentino meridionale(Storo) (39) all’Alto Adige (40) all’altopiano di Dachstein in Austria (41), esi può supporre che la monticazione fosse più o meno strutturalmentepraticata nell’età del Bronzo alpina.

In conclusione l’Autrice non esclude forme di mobilità intermedietra l’assoluta assenza di mobilità e la permanenza in alta quota per perio-di prolungati. Sortite di poche settimane o pochi giorni, in località nontroppo lontane dall’abitato per condurre gli animali al pascolo, sonoritenute possibili per il sito di Cresta-Cazis.

Seguono i riassunti in tedesco, rumantsch, italiano e francese e ottofitte pagine di titoli bibliografici, la lista dei siti citati nel testo e 342 note,anche bibliografiche. L’appendice comprende la codificazione delle etàdegli animali, i fattori utilizzati per il calcolo dell’altezza al garrese, letabelle con la distribuzione relativa delle parti scheletriche per specieanimale e per Planum. Molto preziosa la parte di osteometria (pp. 141-161) che costituisce un importante elemento di confronto.

Seguono le tabelle con la descrizione delle patologie e l’elencazionedei manufatti in materia dura animale. Per i confronti su un ampio scac-chiere alpino, di particolare utilità, al pari delle misure, risulteranno le

(38) BARTOSIEWICZ & GREENFIELD (a cura di) 1999.(39) MARZATICO 2007.(40) SALVAGNO & TECCHIATI 2011.(41) MANDL 2007.

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composizioni faunistiche di numerosi siti contemporanei svizzeri, au-striaci e dell’Italia settentrionale, con speciale riferimento al Trentino-Alto Adige. A partire da p. 173 (Anhang II) si trovano infine i grafici chevisualizzano i principali aspetti della ricerca archeozoologica: analisi dellatipologia della frammentazione dei resti, indici di grandezza, ripartizio-ne media del peso delle ossa per la valutazione della resa in carne, tipolo-gia delle tracce di macellazione, depezzamento, scarnificazione, ecc. In-fine (Anhang III) sono presenti 53 foto a colori di reperti faunistici note-voli (pp. 181-189).

In conclusione il volume di Petra Plüss sui resti faunistici dell’abita-to dell’età del Bronzo di Cresta-Cazis può essere considerato un riuscitoesempio di trattazione di resti faunistici di età protostorica.

Per quanto su alcuni aspetti, sottolineati nel corso di questo contri-buto e segnatamente a livello di interpretazione storica e paleoeconomi-ca, le conclusioni a cui perviene l’Autrice possano essere oggetto di di-scussione, rimane il fatto che i dati provengono da un campione ricco estatisticamente molto affidabile, oltretutto ben distinto dal punto di vi-sta cronologico. Esso copre un arco di tempo di circa 1.000 anni che nefa un sicuro punto di riferimento per gli studi non solo archeozoologicisull’età del Bronzo alpina.

Chi ha curato questa nota, stilisticamente a metà strada tra la recen-sione e l’approfondimento critico, ha trovato nel volume molti motivi diriflessione e si è confermato nell’idea che il pregio di un’opera scientifi-ca non sta solo in ciò che essa trasmette in termini di informazioni e didati elaborati ma, molto di più, nei problemi che essa adombra, magarisenza risolverli, suggerendo, più o meno esplicitamente, nuovi interro-gativi e nuovi filoni di ricerca.

RINGRAZIAMENTI

Sono molto grato alla Dr.ssa Luisa Fellin per avere trasformato unfascio di fogli malamente dattiloscritti in un documento che poteva esse-re trasmesso dall’Autore, senza eccessivo imbarazzo, alla redazione de-gli Atti Accademici.

103U. TECCHIATI: Uno studio sull’economia dell’età del Bronzo alpina. Riflessioni...

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