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Vero e Falso Nelle Categorie

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  • 8/18/2019 Vero e Falso Nelle Categorie

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    STUDI SULLE CATEGORIE DI ARISTOTELE

    a cura di

    MADDALENA BONELLI E FRANCESCA GUADALUPE MASI

    Contributi di:

    Jonathan BarnesMaddalena Bonelli

    Barbara BotterLisa Bressan

    Elisabetta CattaneiWalter Cavini

    Paolo FaitFrancesca Guadalupe Masi

    Stefano MasoCarlo Natali

    Cristina RossittoRita Salis

    Cristina VianoDiego Zucca

    ADOLF M. HAKKERT – EDITORE - AMSTERDAM

    2011

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    In copertina:Destructio sive eradicatio totius arboris Porphirii : magni philosophi ac sacrae theologiaedoctoris eximii Augustini Anchonitani ordinis fratrum Heremitarum Sancti Augustini, cumquadam decretali eiusdem, Bologna, 1503.

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    Volume pubblicato con i finanziamenti del Ministero Italiano dell'Università e dellaRicerca, PRIN 2007 e con il contributo del Dipartimento di Filosofia e Beni culturalidell'Università Ca' Foscari di Venezia

    © Copyright 2011 by Adolf M. Hakkert Editore - AmsterdamISBN 978-90-256-1266-5

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    SOMMARIO

    Prefazione a cura di Maddalena Bonelli e Francesca Guadalupe Masi 11

    PRIMA PARTE : INTRODUZIONE 15

    Carlo Natali, Struttura e organizzazione del trattato aristotelico detto Categorie 17

    SECONDA PARTE : SAGGI DI ANALISI E COMMENTO 31

    Paolo Fait, Aristotele , Categorie , 1. Omonimi, sinonimi, paronimi 33 Barbara Botter, Aristotele , Categorie , 2. Individuo e individuazione 51 Barbara Botter, Aristotele , Categorie , 3. La predicazione delle differenze 77 Carlo Natali, Aristotele , Categorie , 4. La lista delle categorie 89 Francesca Guadalupe Masi, Aristotele , Categorie , 5, 2a11-3a6. Sostanza 95

    prima e sostanze seconde

    Stefano Maso, Aristotele , Categorie , 5, 3a7-4b19. Sostanza, differenza, 113

    contrari

    Elisabetta Cattanei, Aristotele , Categorie , 6, 4b20-5b10. Le quantità 135in senso proprio

    Francesca Guadalupe Masi, Aristotele , Categorie , 6, 5b11-6a35. 157 Le caratteristiche della quantità

    Maddalena Bonelli, Aristotele , Categorie , 7, 6a36-7b14. La prima 173definizione dei relativi e alcune loro proprietà

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    Diego Zucca, Aristotele , Categorie , 7, 7b15-8b24. Lo status aporetico 191dei relativi

    Cristina Viano, Aristotele , Categorie , 8, 8b25-10a10. Stati e disposizioni, 213capacità e incapacità naturali, qualità affettive e affezioni

    Stefano Maso, Aristotele , Categorie , 8, 10a11-11a39. Forma, qualità, relativi 229 Carlo Natali, Aristotele , Categorie , 9. Fare, subire e le altre categorie 245 Cristina Rossitto, Aristotele , Categorie , 10. Gli ‘opposti’ e la loro 249

    classificazione

    Cristina Rossitto, Aristotele, Categorie , 11. La contrarietà 265

    Lisa Bressan, Aristotele , Categorie , 12. I significati di ‘anteriore’ 289 Lisa Bressan, Aristotele , Categorie , 13. I significati di ‘simultaneità’ 305 Rita Salis, Aristotele , Categorie , 14. Il movimento e le sue specie 315 Rita Salis, Aristotele , Categorie , 15. La categoria dell’ ‘avere’ 327

    TERZA PARTE : SAGGI CRITICI 335

    Jonathan Barnes, Aristotelian quantities 337 Walter Cavini, Vero e falso nelle Categorie 371

    Indici 407

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    VERO E FALSO NELLECATEGORIE

    Walter Cavini

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    riazione diacronica dei valori di verità degli enunciati e delle credenze, e del me-ro cambiamentoà la Cambridge cui sono soggetti rispetto al cambiamento realecui è soggetta la sostanza. Nel § 3, infine, esamino un passo diCategorie 12 incui Aristotele enuncia sia i principi di discesa e ascesa semantiche (da essere ve-ro a essere e da essere a essere vero), sia il principio di priorità causale di essereo non essere rispetto a essere vero o falso. La tesi che intendo sostenere è chevero e falso nelleCategorie, e in generale nel pensiero aristotelico, sono da con-siderarsi non proprietà ontiche o reali, ma proprietà logiche genuine degli enun-ciati e delle credenze che essi esprimono.

    § 1. Vero o Falso

    La coppia di valori di verità vero e falso è evocata per la prima volta nelleCategorie a proposito della distinzione fra termini categorematici non-negativi eciò che risulta dal loro «intreccio» predicativo (X), cioè l’affermazione:i primi non sono né veri né falsi, la seconda è o vera o falsa. I termini ‘uomo’ e‘corre’ non sono né veri né falsi, l’affermazione ‘L’uomo corre’ è vera o falsa(Arist.Cat. 4, 2a4-10). Aristotele enuncia due tesi universali al riguardo, unanegativa:

    Nessun termine categorematico è vero o falso,

    l’altra affermativa:

    Ogni affermazione è vera o falsa.

    La tesi negativa è ripetuta a 10, 13b10-12, a proposito dei termini opposticontrari, relativi e di privazione e possesso. La tesi affermativa, cioè il Principiodi Bivalenza (PB) come valido perogni affermazione, è estesa implicitamente, a5, 4b9 e a 12, 14b21-22, all’enunciato in generale, dove per ‘enunciato’ (NO34()si intende sia l’enunciato affermativo o affermazione sia l’enunciato negativo onegazione (10, 12b6-8).

    Insieme a quest’uso disgiuntivo della coppia ‘vero’/‘falso’ nel caso di ogniaffermazione o negazione e alla sua negazione (‘né vero né falso’) riferita aitermini categorematici, troviamo un uso particolare della disgiunzione ‘vero ofalso’ a proposito non del singolo enunciato affermativo o negativo, ma dellacoppia di enunciati contraddittori, cioè non a proposito di una affermazioneo diuna negazione, ma di una affermazionee di una negazione opposte. Così inCa-tegorie 10 leggiamo:

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    T1 -Q 3M+ 14+E-, >.9 -Q µD 14+E-, , P1-4( -) .]-4K e.1)+Q1 q-/ -Q y-)+41 .]-[1 GN,RS( T U)KH4(, >.9 µD P1-4( nµ45:(s -Q µS1 3M+ 14

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    ni opposte di essere una vera e l’altra falsa, cioè la Regola delle Coppie Con-traddittorie (RCC3).

    Per il PB essere vero o falso è condizione necessaria per essere un enunciatoaffermativo o negativo. Per la RCC essere vero o falso in senso distributivo (unovero, l’altro falso) è condizione necessaria per essere un’affermazione e una ne-gazione opposte. Il PB esclude che vi siano affermazioni o negazioni né vere néfalse. La RCC esclude che vi siano affermazioni e negazioni opposte entrambevere o entrambe false o entrambe né vere né false; presuppone cioè congiunta-mente la variante semantica del Principio di Non Contraddizione (PNC) (nega-zione della coverità dei contraddittori), la variante semantica del Principio delTerzo Escluso (PTE) (negazione della cofalsità dei contraddittori) e il Principiodi Bivalenza (sono contraddittori solo gli enunciati affermativi e negativi oppo-

    sti, cioè solo gli enunciati veri o falsi) (Cf. Cavini 2007, 138 e 149).Alcuni interpreti ritengono che per Aristotele essere vero o falso detto diun’affermazione o negazione sia solo condizione sufficiente per essere un enun-ciato dichiarativo4. Infatti, secondo l’interpretazione antirealista dide Interpre-tatione 9, Aristotele sospenderebbe la validità del PB per gli enunciati afferma-tivi o negativi singolari contingenti al futuro, come per esempio ‘Domani ci sarà

    3 Cf. Whitaker 1996, 79-82. M. Mignucci (Mignucci 1997, 52 e n. 20) confonde la RCC col PBa proposito di Int . 10, 13a37-b3 (ma cf. anche Mignucci 1997, 63). Stessa confusione in Ade-mollo 2010, 98.

    4

    Cf. Gaskin 1995, 180; Crivelli 2004, 86 s.; Gourinat 2006, 51; e dubitativamente Barnes 2007,3. F. Ademollo ripropone ora con nuovi argomenti un’analoga interpretazione debole di Int . 4,17a2-3 (G84e.1-/>Q( HS 4] 8v(, GNN; 01 L -Q GN,R)I)/1 T U)IH) 01 ‡8.

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    una battaglia navale a Salamina’ o ‘Domani non ci sarà una battaglia navale aSalamina’ proferiti la sera prima della battaglia. Tale interpretazione è a mio av-viso errata per due ragioni: (i) il principio logico in gioco in Int. 9 non è quellodi Bivalenza, che non è mai menzionato da Aristotele in questo capitolo, maquello della Regola delle Coppie Contraddittorie5; (ii) tale principio risulta bensìvalido anche per le coppie di enunciati contraddittori singolari contingenti al fu-turo (e quindia fortiori risulta valido il PB), ma in un senso diverso da quellodelle altre coppie di enunciati contraddittori:

    T4 […] -4I-:1 3M+ G1E3>, µS1 RE-)+41 µO+/41 -p( G1-/eE.9 µvNN41 µS1 GN,Rp -D1 t-@+.1, 4] µ@1-4/ YH, GN,Rp T U)AHp.

    […] in questi casi infatti [ scl. riguardo alle cose che non sempre sono o non sem- pre non sono] necessariamente una delle due parti della contraddizione è vera ofalsa, ma non questa o quella in particolare, bensì come capita, e una delle due è sì più vera, ma non già vera o falsa.Arist. Int. 9, 19a36-39

    In questo testo, come già nelleCategorie, la disgiunzione ‘vero o falso’ («ne-cessariamente una delle due parti della contraddizione è vera o falsa») va presain senso distributivo: necessariamente una delle due parti della contraddizione èverae l’altra falsa. In questo modo Aristotele ribadisce, a conclusione della suaconfutazione del determinismo logico, la validità della RCC per le coppie dienunciati contraddittori singolari contingenti al futuro, ma ne qualifica il sensocontingente o indeterminato: «ma non questa o quella in particolare, bensì comecapita». Supponiamo infatti che la sera del 24 settembre del 480 a.C. Temistocle

    5 P. Crivelli e ora anche R. E. Jones (ma senza citare Crivelli) scelgono una via intermedia fra ledue interpretazioni estreme di Int . 9: il bersaglio non sarebbe né il solo PB né la sola RCC, masarebbero entrambi i principi, in quanto la negazione della RCC discenderebbe da quella delPB (Crivelli 2004, 218; Jones 2010, 58;contra Cavini 2007, 129), anche se Jones riconoscegiustamente che «Aristotle never says clearly and in so many words that the failure of PBF ex- plains the failure of RCPF» (Jones 2010, 56). Ademollo, invece, pur trovando «eccellente» ladiscussione di Crivelli di Int . 9, continua a ritenere che il bersaglio sia il solo PB («a seriouserror in traditional reconstructions», come scrive Jones 2010, 50) e che C. W. A. Whitaker nonabbia risposto al «compelling textual argument» di J. L. Ackrill, secondo cui quando Aristotelein Int . 9 usa la disgiunzione ‘vero o falso’, questa non va intesa distributivamente (‘l’uno vero,l’altro falso’) e quindi come una variante ellittica della RCC, ma disgiuntivamente come unaformulazione del PB (Ademollo 2010, 99 n. 5; cf. Ackrill 1963, 133 s.). In realtà Whitaker ri-sponde proprio all’argomento di Ackrill (Whitaker 1996, 114 n. 5) e la sua risposta è larga-mente confermata dai passi diCat . 10 (non visti da Whitaker) a proposito dell’opposizione diaffermazione e negazione, in cui l’equivalenza tra ‘vero o falso’ e ‘l’uno vero, l’altro falso’ ri-sulta del tutto evidente in quanto formulazioni (una ellittica, l’altra estesa) della stessa regola(cf. supra, 373 s., i testiT1 -T3 e Cavini 2007, 132-134). Per la confusione da parte di Ademol-

    lo della RCC col PB, vedi supra, 374 n. 3.

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    abbia predetto: ‘Domani ci sarà una battaglia navale a Salamina’ e gli altri stra-teghi greci invece abbiano predetto la contraddittoria: ‘Domani non ci sarà una battaglia navale a Salamina’: Aristotele sostiene che la sera prima della battagliauna delle due predizioni contraddittorie era vera e l’altra falsa. Infatti domani oci sarà o non ci sarà una battaglia navale a Salamina: non è possibile né che siavverino entrambi i contraddittori né che non si avveri nessuno dei due; nel pri-mo caso infatti il futuro prossimo sarebbe contraddittorio, nel secondo caso sa-rebbe irreale: in entrambi i casi non esisterebbe. Dunque la sera prima della bat-taglia una delle due predizioni era vera e l’altra falsa, ma non era determinatoquale, e questo non solo da un punto di vista epistemico, ma anche e soprattuttoda un punto di vista ontologico. Temistocle dovrà persuadere nella notte gli altristrateghi ad attaccare battaglia il giorno dopo e se la sua opera di persuasione

    avrà successo, come in effetti è stato, si avvererà la predizione affermativa; seinvece non fosse riuscito a persuaderli, si sarebbe avverata quella negativa6. Co-sì il giorno dopo si potrà affermare che ieri era vero predire che oggi ci sarebbestata una battaglia navale.

    Anche per ogni coppia di predizioni contingenti contraddittorie vale dunquela RCC: l’una è vera e l’altra è falsa nel momento in cui sono formulate, poichéin futuro le cose non potranno che andare o in un modo o nell’altro. Ma se siammette, come Aristotele ammette, la contingenza nel mondo, nel momento incui sono formulate non è ancora determinato quale delle due è vera, cioè si av-vererà, e quale no, cioè non si avvererà: sono infatti l’una vera e l’altra falsa,«ma non questa o quella in particolare, bensì come capita»7. Il futuro non rendevere o false le predizioni contraddittorie, esse sono già una vera e l’altra falsanel momento in cui sono formulate (una predizione non è una domanda o una

    6 In realtà, come ricostruisce ora nei dettagli B. Strauss (Strauss 2007, 113 ss.), il consiglio diguerra dei Greci in cui Temistocle persuase gli altri strateghi a non ritirare la flotta e a restare aSalamina, si sarebbe tenuto nella notte fra il 23 e il 24 settembre (anche se le date, precisaStrauss, sono approssimative). Cf. Hdt. VII 141-143 e Arist. Rh. I 15, 1376a1-2.

    7 È senz’altro vero, come osserva Jones 2010, 64, che «it becomes very difficult to say with anyclarity what it means for one member to be true and the other false, but neither to be determi-nately true or false» (una obiezione che già R. Gaskin rivolgeva a Whitaker in Gaskin 1995,167 n. 80). Ma ciò non toglie che questa sia chiaramente la tesi di Aristotele in Int . 9 e quelladei commentatori antichi al riguardo. Cf. Cavini 2007, 134 s. n. 4. In realtà, a mio avviso, ladifficoltà ad ammettere che una predizione contingente possa essere vera o falsa nel momentoin cui viene fatta, sembra dipendere da un’indebita ma apparentemente plausibile assimilazio-ne di ‘vero’ con ‘soddisfatto’ o ‘confermato’ e di falso con ‘non soddisfatto’ o ‘non conferma-to’. Come scrive A. R. White in White 1970, 45 (trad. it. 51), «Statements have to wait to beconfirmed just as prophecies have to wait to be fulfilled, but statements do not have to wait to be true any more that the devaluation of the pound has to wait to be a fatal mistake».Un’analoga distinzione fra condizioni di verità di un enunciato contingente al futuro e condi-

    zioni di verificabilità o accertabilità è in Bonomi-Zucchi 2001, 15.

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    preghiera): il futuro determinaquale delle due è vera equale falsa. Si tratterà divedere quanto persuasivo risulterà Temistocle la notte prima della battaglia8.

    § 2. Vero e Falso

    Insieme alla coppia disgiuntiva ‘veroo falso’ nelle sue due accezioni, di-sgiuntiva e distributiva, leCategorie presentano anche un caso di coppia con-giuntiva ‘veroe falso’ che si applica, come nella prima accezione di ‘veroo fal-so’, al singolo enunciato:

    T5 n 3M+ .]-Q( NO34( GN,RX( -) >.9 U)AHD( )J1./ H4>)a , 4w41 )h GN,RD( )*, n NO34( -Q >.Rp.9 UAF+O(, >.9 e.KN4( >.9

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    5C:

    Il problema per Aristotele è dato daldivenire ora vero ora falso10 dello stessoenunciato. Perché se così fosse, l’enunciato dichiarativo e il suo pendant menta-le, la credenza (HOg.) corrispondente, che non sono sostanze, sarebbero un con-troesempio della tesi aristotelica secondo cui è proprio ed esclusivo (*H/41) dellasostanza, in particolare della sostanza prima11, di essere capace di ricevere (intempi diversi) i contrari restando la stessa sostanza. La risposta di Aristotele aquesta possibile obiezione ()h µX -/( 015.9 -D1 HOg.1 eE:1 -[1 -4/4I-:1 )J1./ , 4a22-23) è duplice, da un lato accettando l’obiezione ()h H@ -/( >.9 -4K-4 8.+.H@F4/-4, 4a28-29, cf. 4b4-5) e ammettendo quindi che anchel’enunciato e la credenza ricevano i contrari, dall’altro invece rifiutando l’obie-zione (4]> C.-M -D1 .?-p( µ)--.r4ND1, 4b313); invece l’enunciato e la credenza ricevono i contrari senza subi-re essi stessi alcun cambiamento (.]-M µS1 G>51,-. 8E1-$ 8E1-:( H/.µ@1)/,4a35): il cambiamento avviene nell’oggetto in questione (-4K HS 8+E3µ.-4( >/14Aµ@14A, 4a35-36;-4K HS 8+E3µ.-4( >/1,R@1-4(, 4a37-b1).

    Ma Aristotele ritiene falso che l’enunciato e la credenza ricevanoessi stessi icontrari e che quindi la differenza stia solo nel modo in cui li ricevono. In realtàl’enunciato e la credenzanon ricevono nulla, nondivengono ora veri ora falsi perché ricevono i contrari, ma sono detti ora veri ora falsi perché qualcos’altrosubisce il cambiamento:

    T7 n 3M+ NO34( >.9 = HOg. 4] -_ .]-M H@F) -/>M N@3)-./, GNNM -_ 8)+9 y-)+O1 -/ -Q 8ER4( 3)3)1pQ( n-S HS µ@ N.( 3531)-./. Cf. Arist. Metaph. f 10, 1051b13-15 (per altro citato da Bodéüs in nota [Bodéüs 2001, 18a n. 3]):8)+9 µS1 4Œ1 -M 01H)FOµ)1. = .]-D 3531)-./ U)AHD( >.9 GN,RD( HOg. >.9 n NO34( n .]-O( , >.9 01H@F)-./ n-S µS1 GN,R)I)/1 n-S HS U)IH)

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    µD )J1./ , -4I-% >.9 n NO34( GN,RD( T U)AHD( )J1./ N@3)-./, 4] -_ .]-Q1 H)>-/>Q1 )J1./ -[1 01.1-5:1s {8N[( 3M+ 4]HS1 ?8; 4]H)1Q( 4o-) n NO34( >/1)a-./ 4o-) = HOg., | l1 )*, H)>-/>M -[1 01.1-5:1 µ,H)1Q( 01 .]-4a( 3/314µ@14A.

    infatti l’enunciato e la credenza si dicono capaci di ricevere i contrari non perchéessi stessi ricevano qualcosa, ma perché l’affezione ha avuto luogo in qualcos’al-tro: è infatti perché l’oggetto in questione è o non è , che anche l’e-nunciato è detto essere vero o falso, non perché esso stesso sia capace di ricevere icontrari; in effetti, in senso assoluto, né l’enunciato né la credenza subiscono alcuncambiamento da parte di nessuna cosa, di conseguenza non possono essere capacidi ricevere i contrari, dal momento che nulla ha luogo in essi.Arist.Cat. 5, 4b6-13

    Il divenire vero o falso dell’enunciato e della credenza corrispondente è inrealtà un essere detto ora vero ora falso a seconda del mutamento che qual-cos’altro subisce. Il divenire vero o falso, cioè l’essere detto ora vero ora falso,di un enunciato o di una credenza è quindi quello che con Peter Geach oggichiameremmo «amere ‘Cambridge’ change» (Geach 1969, 72; 1972, 321), cioènon un cambiamento ‘reale’ dell’enunciato o della credenza, ma il mero riflessodi un cambiamento reale in qualcos’altro che non è né un enunciato né una cre-denza. Ovviamente ogni cambiamento reale è anche un cambiamentoà la Cam- bridge, ma non vale la conversa: non ogni cambiamentoà la Cambridge è ancheun cambiamento reale; la variazione diacronica dei valori di verità di un enun-

    ciato o di una credenza è sì un cambiamentoà la Cambridge, ma non è un cam- biamento reale.

    A questo proposito, Geach richiama giustamente l’esempio delTeeteto: sevalesse il criterioà la Cambridge per dire che qualcosa è cambiato, cioè che x ècambiato se l’enunciato ‘ Px’ è vero at 1 e falso at 2 , allora «Socrates would afterall change by coming to be shorter than Theaetetus» (Geach 1969, 72, cf. anche99). Il passo delTeeteto cui Geach si riferisce è il seguente:

    T8 “ . –.K-. HX, 4*4µ./ , nµ4N43Xµ.-. -+5. µEF)-./ .]-M .?-4a( 01 -z =µ)-@+# UAFz, q-.1 -M 8)+9 -[1 GO1H) P1-. ,µX-) .]g,R@1-. µX-) -4]1.1-541 8.RO1-., 01 01/.A-_

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    5:@

    cresciuto. Sono manifestamente in seguito ciò che prima non ero, né lo sono diven-tato. Dal momento che senza divenire è impossibile essere diventato, non avendo perduto nulla delle mie dimensioni non potrei mai diventare più piccolo14.

    Pl. Tht. 155b5-c4

    I tre punti sui quali Socrate e Teeteto si sono trovati poco prima d’accordo eche ora entrano in conflitto coi casi di mero cambiamentoà la Cambridge, sonoi seguenti:

    (1) «nulla mai può diventare (3)1@% µX-) G+/Rµ_ ), fintantoché rimane uguale a sestesso (*

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    coinvolga il mutamento quantitativo e predicati relativi come ‘più grande’ o ‘più piccolo’. Due testi aristotelici sono particolarmente eloquenti al riguardo:

    T9 2.-; 4] C51,

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    Ma se la diagnosi aristotelica del paradosso del cambiamento senza divenirevale per i relativi in generale e in particolare per i relativi coinvolti nel muta-mento quantitativo, come si applica tale diagnosi al cambiamento senza divenirenel caso degli enunciati e delle credenze, che non sono sostanze individuali co-me Socrate e Teeteto, e dei predicati ‘vero’ e ‘falso’, che apparentemente nonsono predicati relativi come i comparativi ‘più alto’ e ‘più basso’? Eppure la ri-sposta finale di Aristotele all’obiezione sollevata a proposito dell’*H/41 della so-stanza sembra ricalcare quella offerta al paradosso del cambiamento senza dive-nire delTeeteto, anche se l’esempio aristotelico, ‘Un tale è seduto’, non riguardail mutamento quantitativo ma il mutamento di posizione (>)a.R; t.A-Q1 n NO34( 08/H@F)-./ -Q GN,RS( >.9 -Q U)KH4( µ,1A-/>O( 3) ~1,GNN; 4] >.-M -D1 4h>)5.1 eI.-M -Q 8+O( -/ 08/H@F)-./ -Q GN,RS( >.9 -Q U)KH4(s >.-M 3M+ -Q

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    Il suggerimento di Dexippo è stato accolto anche da vari interpreti recenti, in particolare da Paolo Crivelli, che lo ha sottoposto a un’analisi minuziosa. ScriveCrivelli al riguardo:

    Aristotle also claims that if an assertion or a belief is true at one time and false atanother, it does not follow that it undergoes a change. This is probably due to theidea that truth (being correspondence to the world) is something like a relative andtherefore, like relatives, is involved at most in a ‘mere Cambridge change’ thatdoes not count as a genuine change. Now, properties involved in a ‘mere Cam- bridge change’ are not genuine properties. It follows that truth is not a genuine property. (Crivelli 2004, 183)

    precisando che

    the view [Dexippus] attributes to Aristotle isnot that truth and falsehood are rela-tives, but that truth and falsehood are closely linked with relatives in a way thatexplains their peculiar behaviour with respect to change. ( Ivi, 188)

    Secondo Crivelli, per Aristotele vero e falso sono proprietà relative (relatio-nal properties) espresse rispettivamente dai predicati monadici ‘ x corrisponde almondo’ e ‘ x non corrisponde al mondo’. Tali proprietà (i) sono qualità, (ii) nonsono relativi, ma (iii) sono relativi secondo i loro generi, cioè secondo i relativiespressi dai predicati ‘ x corrisponde’ e ‘ x non corrisponde’, e si troverebbero pertanto nella stessa condizione di proprietà come la grammatica o la musica,che (i) sono qualità (in particolare sonoyg)/( o stati mentali stabili), (ii) non so-no relativi secondo la definizione generale di relativi (la grammatica non si dicegrammatica di qualcosa né la musica musica di qualcosa), ma (iii) sono relativisecondo il loro genere, cioè secondo la conoscenza, in quanto entrambe sonoconoscenza di qualcosa.

    Ora, ‘vero’ e ‘falso’ da un punto di vista grammaticale sono aggettivi qualifi-cativi e come tali qualificano in posizione predicativa enunciati e credenze18.Già Platone nelSofista (262e9, 263a12-13, b2-3) e nel Filebo (37b10-c2) avevausato la locuzione84aO1 -/1. , «di una certa qualità», a proposito degli enunciatie delle credenze veri o falsi; e Aristotele nelleConfutazioni Sofistiche (22,178b27-28) sostiene che «l’essere vero o falso di un enunciato o di una credenzanon significa un questo (-OH)) ma un tale (-4/O1H))», cioè una qualità (84/O1,179a1019). Inoltre, vero e falso per Aristotele non sono relativi né secondo la de-finizione originaria di relativi:

    18 Cf. Frege 1918-19, 59 (trad. it. 45).19 L.-A. Dorion, pur traducendo-4/O1H) con «une qualité», nel commento lo interpreta non come

    una qualità ma come «quelque chose d’une certaine qualité», cioè come «un état de fait» (Do-

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    T12 ˆ+O( -/ HS -M -4/.K-. N@3)-./, q

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    to di relatività debole non è meramente una funzione del suo correlato esterno»,ma «i relativi deboli, a differenza dei relativi forti, sono caratterizzati primaria-mente da una condizione intrinseca» ( Ivi, 24).

    Si potrebbe forse obiettare che i valori di verità sono relativi rispetto al gene-re corrispondenza e la corrispondenza è un relativo forte. Ma è proprio così? In particolare, è lecito attribuire senz’altro ad Aristotele una teoria della verità co-me corrispondenza, come vuole una lunga tradizione e come argomenta ora an-che Crivelli con ammirevole tenacia e acribia? (cf. Crivelli 2004, cap. 4) Credovi sia più di un motivo di dubitare al riguardo. Qui mi limito a citarne solo due.

    In primo luogo, l’uso metaforico degli aggettivi

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    In Aristotele invece l’uso metaforico di

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    5:C

    formula che non richiede alcuna relazione di corrispondenza, ma solo quella diidentità fra come stanno le cose e come tu dici che stanno. In questo modo lateoria semplice della verità salva l’ovvietà contenuta nella teoria della veritàcome corrispondenza (the Correspondence Platitude)24, senza tuttavia introdurreuna relazione come quella di corrispondenza, che, come scrive C. J. F. Williams,è «at least as problematic as the concept of truth»25.

    La conclusione che Crivelli trae dal fatto che i valori di verità come i relativi(forti) sono soggetti al mero cambiamentoà la Cambridge, è che vero e falso per Aristotele non sono proprietà genuine, dal momento che «la relazione menodi tutte le altre categorie è una certa sostanza e un certo essere» (T10 ) e i valoridi verità si comportano come relativi. Ora, se per ‘proprietà genuine’ si intende proprietàreali26, cioè proprietàontiche, allora i relativi sono per Aristotele pro-

    prietà genuine, anche se i relativi forti risultano essere ontologicamente deboli inquanto soggetti al mero cambiamentoà la Cambridge. Del resto, se è vero cheSocrate ora è più basso di Teeteto senza aver subito un cambiamento reale, tut-tavia è anche vero che Teeteto ora è più alto di Socrate perché ha subito uncambiamento reale (è cresciuto in altezza). In questo senso invece i valori di ve-rità non sono proprietà genuine in quanto non sono proprietà ontiche: sono qua-lità che non fanno parte della categoria aristotelica della qualità, cioè non fanno parte delle qualità ontiche o reali. Ma se per ‘proprietà genuine’ si intende pro- prietà che fanno comunque la differenza, ebbene in questo senso anche i valoridi verità sono proprietà genuine, perché fa differenza dire che un enunciato ouna credenza sono veri o falsi. Solo che non si tratta di proprietà ontiche, ma di proprietà logiche.

    Per precisare in che senso per Aristotele i valori di verità sono proprietà logi-che, occorre tuttavia esaminare il testo forse più importante delleCategorie suvero e falso, cioèCat. 12, 14b10-22, e insieme affrontare un problema fin quiaccuratamente celato nelle pieghe delle traduzioni, quello del significato di8+v3µ. come correlato esterno degli enunciati e delle credenze.

    24 Cf. Wright 1992, 25et passim; Künne 2003, 113 e n. 79.25 Williams 1976, 96. Per la formula veridica comparativa nel pensiero antico da Omero a Plato-

    ne, cf. Kahn 1973, 334-342. Per un’analisi della definizione aristotelica di vero e falso nei ter-mini della formula veridica congiuntiva (paratattica) corrispondente alla formula veridicacomparativa (ipotattica), vedi Williams 1976, 67 s. Per la formula veridica congiuntiva nellalogica stoica, cf. Cavini 1993.

    26 Cf. Crivelli 2004, 30 s.: «The fact that an object can have a relational property at one time andlack it at another without undergoing any change is for Aristotle a sign that relational proper-ties are hardly real, i.e. are not genuine properties (acquiring or losing them ‘does not make a

    change’)».

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    § 3. Regula Aristotelis e Principio C

    Nella risposta all’obiezione sull’*H/41 della sostanza alla fine diCategorie 5,il termine8+v3µ. come correlato esterno degli enunciati e delle credenze com- pare in due modi distinti. Nel primo modo, a 4a35-36 e 4a37-b1, come associatoai participi>/14Aµ@14A e >/1,R@1-4(, e quindi come soggetto del mutamentoreale responsabile deldivenire ora vero ora falso dell’enunciato e della credenza:

    T17 n HS NO34( >.9 = HOg. .]-M µS1 G>51,-. 8E1-$ 8E1-:( H/.µ@1)/, -4K HS 8+E3µ.-4( >/14Aµ@14A -Q 01.1-541 8)+9 .]-M 3531)-./s n µS1 3M+ NO34( H/.µ@1)/ n .]-Q( -Q >.Rp/1,R@1-4( n-S µS1 GN,RD( n-S HS U)AHD( 3531)-./s '.9 089 -p( HOg,(.

    l’enunciato e la credenza permangono in tutto e per tutto senza cambiamento,ma èquando cambia l’oggetto in questione che si genera in essi il contrario: infatti l’e-nunciato permane lo stesso, ‘Un tale è seduto’, mauna volta che l’oggetto in que- stione ha subito un cambiamento diviene ora vero ora falso; analogamente anchenel caso della credenza.Arist.Cat. 5, 4a34-b2

    Nel secondo modo, a 4b8, come soggetto delle infinitive sostantivate)J1./ T µD )J1./ che esprimono la causa dell’essere detto vero o falso dell’enunciato:

    T7 -_ 3M+ -Q 8+v3µ. )J1./ T µD )J1./ , -4I-% >.9 n NO34( GN,RD( T U)AHD( )J1./ N@3)-./.

    è infatti perché l’oggetto in questione è o non è , che anche l’enun-ciato è detto essere vero o falso.Arist.Cat. 5, 4b8-10

    In entrambi i casi le traduzioni recenti tendono a tradurre il termine8+v3µ. in modo uniforme. Le traduzioni uniformi del termine sono di due tipi: da un la-to, 8+v3µ. è reso univocamente con «oggetto» (Colli 1955, Tricot 1966, Irwin-Fine 1995, Crivelli 2004) o «cosa» (Oehler 1984, Zanatta 1989) o «cosa reale»(actual thing , Ackrill 1963); dall’altro, con «stato di cose» (Bodéüs 2001, Ilde-fonse-Lallot 2002). Fa eccezione la traduzione ‘ibrida’ di Pierre Pellegrin e Mi-chel Crubellier (Pellegrin-Crubellier 2007), che rende le due prime occorrenzedel termine (4a35-36 e 4a37-b1) con «oggetto» e l’ultima (4b8) con «il fatto dicui si parla».

    Significativo è poi anche il modo in cui viene tradotta la disgiunzione)J1./ T µD )J1./ a 4b8-9: si va dal semplice calco «è o non è» (Zanatta 1989, Irwin-Fine1995, Ildefonse-Lallot 2002, Crivelli 2004, Pellegrin-Crubellier 2007) o «essere

    o non essere» (Oehler 1984) alla sua interpretazione con un verbo di esistenza,

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    «sussiste o non sussiste» (Colli 1955) o «esiste o non esiste» (Ackrill 1963, Bo-déüs 2001), o con una formula equivalente come «la realtà o la non realtà» (Tri-cot 1966).

    Queste traduzioni tuttavia non sono di per sé eloquenti e rischiano anzi di es-sere ambigue. Colpisce soprattutto il fatto che i traduttori per lo più non sentanol’esigenza di giustificare le loro scelte o le giustifichino talvolta in modo con-traddittorio. Ackrill, per esempio, da un lato traduce la prima occorrenza di8+v3µ. con «theactual thing », limitandosi a mettere il termine in corsivo; dal-l’altro, commentando il passo (Ackrill 1963, 90), esordisce attribuendo senz’al-tro ad Aristotele la teoria della verità e falsità degli enunciati e delle credenzecome «corrispondenza e mancanza di corrispondenzaal fatto [corsivo mio]»,ma subito dopo sottolinea giustamente come per Aristotele siala sostanza indi-

    viduale a subire un cambiamento reale e a rendere in questo modo vero o falsol’enunciato o la credenza.I problemi che pone la traduzione del termine8+v3µ. in questo testo sono

    stati lucidamente riassunti da Gabriel Nuchelmans in un passo del suo libro sulleteorie della proposizione, che val la pena di citare per intero:

    There is still another relevant passage in which the word pragma occurs, namelyCat. 4 a 35. There it is said that thelogos and thedoxa that somebody is seatedremain absolutely the same; we call them now true and now false because of achange in the pragma (tou pragmatos kinoumenou or kin! thentos). It is perhaps

    just possible to take pragma as referring to the person who first sits and then getsup. But it is hard to see how this interpretation can be harmonized with the formu-la which follows a bit further on in the text: it is because the pragma is or is notthat the logos is said to be true or false. For here it is notthe existence [corsivomio] of the person in question which renders thelogos true or false but his sittingor not sitting. On the other hand, it is also difficult to tell what exactly changes ifthe pragma is not the person. Surely not the conceived state of affairs or the actualfact. The best tanslation would perhaps be: because the situation changes. But thenagain it seems difficult to fit this meaning of the word pragma into the above men-tioned formula. (Nuchelmans 1973, 34 s.)

    Ciò che Nuchelmans sostiene è che una traduzione uniforme del termine8+v3µ. nel testo in esame sembra essere impossibile. Se lo traduciamo con «co-sa» o «oggetto», intendendo con Ackrill per ‘cosa’ o ‘oggetto’ la sostanza indi-viduale, questa traduzione si accorda perfettamente con il genitivo assolutoG1.

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    za finale del termine nella formula infinitiva-_ 3M+ -Q 8+v3µ. )J1./ T µD )J1./ , perché «non è l’esistenza della persona in questione a ren-dere illogos vero o falso, ma il suo essere seduta o non essere seduta». D’altra parte, la traduzione di8+v3µ. con «stato di cose», se soddisfa la formula infini-tiva, sembra inconciliabile con le prime due occorrenze del termine: uno stato dicose, a differenza di una sostanza prima, non è soggetto a un cambiamento reale,ma o si dà o non si dà (is the case or is not the case), vale a dire o è un fatto onon è un fatto.

    La conclusione che ne trae Nuchelmans è che Aristotele usi «a very vagueword rather loosely». Quella che ne hanno tratto Pierre Pellegrin e Michel Cru- bellier è di tradurre8+v3µ. nei primi due casi con «oggetto», nell’ultimo con «ilfatto di cui si parla». A mio avviso, invece, l’uso aristotelico del termine nel te-

    sto in esame non è né vago né equivoco ed è possibile darne una traduzione uni-forme. Tra le due traduzioni in gioco, ‘oggetto’ e ‘stato di cose’, la seconda misembra senz’altro da rifiutare, perché le prime due occorrenze del termine fannochiaramente riferimento a una sostanza prima in quanto soggetto di un cambia-mento reale e come tale causa di un mero cambiamentoà la Cambridge dell’e-nunciato e della credenza. Propongo quindi di tradurre8+v3µ. con ‘oggetto’ nelsenso di oggetto tematico dell’enunciato e della credenza, vale a dire come ciòdi cui si dice o si crede qualcosa, cioè l’oggetto in questione27. Tale oggetto, inquanto suscettibile di un cambiamento reale, non può essere uno stato di cose,cioè un oggetto proposizionale designato da nominalizzazioni infinitive come‘l’essere seduto di Socrate’ o dichiarative come ‘che Socrate è seduto’, ma è unasostanza prima, perché solo una sostanza prima è soggetta a un cambiamentoreale pur conservando nel tempo la propria identità numerica.

    L’ontologia aristotelica, in particolare nelleCategorie, è un’ontologia dellasostanza e dei suoi attributi essenziali o accidentali, e non prevede oggetti pro- posizionali come gli stati di cose. A meno che per ‘stati di cose’ non si intendainformalmente modi di essere temporanei (accidentali) o permanenti (essenziali)della sostanza. Ma nell’accezione filosofica che la locuzione ha assunto nella fi-losofia contemporanea, alla fine dell’Ottocento con Franz Brentano e la sua

    27 Cf. Irwin-Fine 1995, 10: «the object ». Uno deisignificati abituali del termine8+v3µ. in greco antico è appunto quello di tema del discorso, per cui andareCg: -4K 8+E3µ.-4( è andare fuori tema. Per Platone condizione necessaria delNO34( è che siaNO34( di qualcosa, cioè che abbia un8+v3µ. : cf. Pl. Sph. 262e6-7 („O341 G1.3>.a41, q-.18)+ ’ , -/1Q( )J1./ NO341, µD HS -/1Q( GHI1.-41) e 262e13-15 („@g: -451A1

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    scuola e agli inizi del Novecento con Bertrand Russell e Ludwig Wittgenstein28,gli stati di cose non rientrano fra gli enti possibili dell’ontologia aristotelica: ilmondo per Aristotele non è, come scrive Wittgenstein all’inizio delTractatus,«tutto ciò di cui si dà il caso» o «la totalità dei fatti». Tale tesi «spettrale»29 nonha alcuna risonanza nel pensiero aristotelico: il mondo per Aristotele è la totalitàdegli enti e degli eventi e processi che li riguardano, e gli enti si dividono in so-stanze e attributi essenziali o accidentali delle sostanze30.

    Ma se per8+v3µ. dobbiamo intendere l’oggetto in questione, cioè la sostan-za prima oggetto tematico dell’enunciato e della credenza, come adattare tale in-terpretazione all’infinitiva sostantivata-_ 3M+ -Q 8+v3µ. )J1./ T µD )J1./? Ciò èimpossibile, se con Nuchelmans e alcune delle traduzioni recenti diamo al verbo‘essere’ il valore completo di verbo di esistenza. Ma tale valore non è affatto ne-

    cessario. In Aristotele il verbo ‘essere’ può avere il valore incompleto diessere28 Sul concetto di stati di cose nella filosofia contemporanea vedi ora Salice 2008 e Reicher

    2009. Sul suo pendant tardomedioevale, ilcomplexe significabile di Gregorio da Rimini, cf.Elie 1937 e Nuchelmans 1973, capp. 14-15.

    29 Cf. Heidegger 1977, 65 (trad. it. 90): «Eigentlich ein gespenstischer Satz» («Una frase che inverità ha dello spettrale»); vedi anche Mourelatos 1969, 742, e Kahn 1969, 334. Come osservagiustamente W. Künne a proposito dell’esempio scelto da Frege nelle Ricerche Logiche per il-lustrare la relazione di corrispondenza, cioè la Cattedrale di Colonia, «[f]or centuries, ‘corre-spondence’ had been wedded to ‘thing’, or ‘object’, rather than to ‘fact’. Nevertheless, in thevast amount of literature on our topic this very tenacious union is hardly so much even men-tioned» (Künne 2003, 94).

    30

    Cf. Geach 1972, 21: «Ross is quite clearly anachronistic in ascribing to Aristotle a metaphysicthat admits “facts” as entities. Of course the phrase “-M 8+E3µ.-. ” in Aristotle may often berendered by the general phrase “the facts”; but the idea of a principle of individuation for8+E3µ.-. , corresponding to modern discussions of when the fact that p is the same fact as thefact thatq, is simply not to be found in Aristotle’s works; and moreover there is no Greek con-struction in Aristotle, say “-OH) -Q 8+v3µ. , q-/...”, corresponding to the construction of thewords “the fact” with athat clause». Anche P. Simons, che pure è tra i fautori dell’attribuzionead Aristotele degli stati di cose, deve riconoscere onestamente che «Aristotle does not – incontrast to modern exponents of the concept of states of affairs – place much weight upon it.The remarks we have quoted are frequently of the nature of asides in the discussion, and theconcept appears to play little or no part in the great theoretical treatises – in particular the “An-alytics” and the “Metaphysics” – of Aristotle’s maturity» (Simons 1988, 106). Fra questi «asi-des» aristotelici in cui sarebbe evocato il concetto di stato di cose, quello in apparenza più si-gnificativo è Metaph. & 29, 1024b17-26, sul concetto di «oggetto falso» (8+v3µ. U)KH4(): quimi limito a osservare che per «oggetto falso» Aristotele intende in questo caso un oggetto ine-sistente, o perché come il tuo essere ora seduto o l’essere commensurabile della diagonale ètemporaneamente o permanentemente inesistente, o perché come nel caso della pittura illusio-nistica e dei sogni è immagine illusoria di qualcosa di inesistente. Ma, come osserva Künne,«[t]he point at issue is not whether Aristotle even refers to facts or states of affairs, but wheth-er a reference to them enters in his account of truth» (Künne 2003, 96 n. 17). In ogni caso, ifatti o stati di cose riscontrabili in Aristotele si riducono a sostanze che esemplificano attributi:così l’esser seduto di Socrate si riduce all’esemplificazione da parte di un corpo della proprietàdi esser seduto (cf. Simp.in Cat. 397.11-12 Kalbfleisch, dove gli oggetti soggiacenti all’affer-mazione ‘Socrate è seduto’ e alla negazione ‘Socrate non è seduto’ sono detti84/M

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    cui diciamo che x è un uomo;(c) e certo vale la conversa:(d) se infatti è vero l’e-nunciato con cui diciamo che x è un uomo, allora x è un uomo;(e) ma l’enunciatovero non è in alcun modo causa del fatto che l’oggetto in questione sia , è

    invece l’oggetto in questione che appare in qualche modo causa del fatto che l’e-nunciato sia vero:(f) infatti è perché l’oggetto in questione è o non è che l’enunciato si dice vero o falso.Arist.Cat. 12, 14b14-22

    Il passo è chiaramente bipartito: le clausole(a) -(b) e (c) -(d) stabiliscono con-giuntamente un nuovo principio relativo ai rapporti fra essere ed essere vero, un principio di «conversione» o implicazione reciproca che è apparentemente un principio di simmetria logica33; le clausole(e) -(f) stabiliscono invece il principiodella priorità causale di essere rispetto a essere vero malgrado la loro convertibi-

    lità reciproca, cioè un principio di asimmetria ontologica. Vediamo anzitutto ilnuovo principio.

    Il nuovo principio si articola in due clausole, di cui l’una è la conversa del-l’altra:

    (b) Se x è un uomo, allora l’enunciato ‘ x è un uomo’ è vero(d) Se l’enunciato ‘ x è un uomo’ è vero, allora x è un uomo.

    est un homme», «c’est un homme». Per il valore predicativo ellittico di)J1./ c1R+:841, cf. peresempio)J1./ N)A>O1 di Int . 9, 18b1 (cf. infra,T20 ).

    33 Come interpretare la formula usata da Aristotele al riguardo, cioè-[1 3M+ G1-/.-M -D1 -4K )J1./ G>4N4IR,.-M -D1 -4K )J1./ G>4N4IR,.-M -D1 -4K )J1./ G>4N4IR,.-M -D1 -4K )J1./ G>4N4IR,.9 RE-)+41 )J1./ 0g G1E3>,(.

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    La clausola(b) stabilisce che essere implica essere vero, la clausola(d) stabi-lisce che essere vero implica essere. Insieme stabiliscono l’equivalenza:

    L’enunciato ‘ x è un uomo’ è vero se e solo se (sse) x è un uomo.

    I filosofi medievali (G. Buridano) hanno chiamato tale equivalenza Regula Aristotelis34 e i filosofi moderni (M. Dummett) «Tesi di Equivalenza»35. Le dueclausole della tesi corrispondono rispettivamente all’«ascesa semantica» da es-sere a essere vero (la clausola(b) ) e alla «discesa semantica» da essere vero aessere (la clausola(d) ). Tale tesi è ribadita e ampliata in un passo delde Inter- pretatione:

    T20 (a) )h 3M+ GN,RS( )h8)a1 q-/ N)A>Q1 T 4] N)A>O1 0, )J1./ N)A>Q1 T 4] N)A>O1, >.9 (b) )h CQ1 T 4] N)A>O1, GN,RS( 71 eE1./ T G84eE1./s >.9 (c) )h µD ?8E+F)/, U)IH)-./ , >.9 (d) )h U)IH)-./ , 4]F ?8E+F)/ […].

    (a) Se infatti è vero dire che x è bianco o x non è bianco, allora necessariamente x è bianco o x non è bianco, e(b) se x è bianco o x non è bianco, allora era vero af-fermare o negare ; e(c) se non è così, allora sidice il falso, e(d) se si dice il falso, allora non è così […].Arist. Int . 9, 18a39-b3

    Si danno pertanto quattro casi:

    (a) Se è vero (dire) che x (non) è bianco, allora necessariamente x (non) è bianco;

    (b) Se x (non) è bianco, allora necessariamente è vero (dire) che x (non) è bianco;

    (c) Se x non è bianco, allora necessariamente è falso (dire) che x è bianco;(d) Se è falso (dire) che x è bianco, allora necessariamente x non è bianco.

    Le clausole(a) e (b) di T20 , analogamente alle clausole(b) e (d) di T19 , sta- biliscono congiuntamente la Tesi di Equivalenza fra essere ed essere vero sia perle affermazioni sia per le negazioni:

    34 G. Buridano,Sophismata, VIII 2, 45, 47, citato in Künne 2003, 151 e n. 183. In realtà Aristo-tele non enuncia mai la Tesi di Equivalenza come tale, cioè il bicondizionale ‘L’enunciato ‘ p’è vero sse p’, ma i due condizionali conversi che la compongono, la discesa e l’ascesa seman-tiche; né per Aristotele tale tesi rappresenta una condizione di adeguatezza per l’analisi delconcetto di verità. La formulazione esplicita della Tesi di Equivalenza e la sua interpretazionecome condizione di adeguatezza per l’analisi del concetto di verità sono dovute, com’è noto,ad A. Tarski.

    35 Dummett 1973, 445.

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    L’enunciato ‘ x (non) è bianco’ è vero sse x (non) è bianco.

    Le clausole(c) e (d) stabiliscono invece congiuntamente la Tesi di Equiva-lenza fra non essere ed essere falso limitatamente alle affermazioni:

    L’enunciato ‘ x è bianco’ è falso sse x non è bianco,

    banalmente estendibile alle negazioni:

    L’enunciato ‘ x è non bianco’ è falso sse x è bianco.

    Il testoT20 aggiunge inoltre un altro elemento di rilievo, cioè lanecessità

    logica (G1E3>, )J1./ N)A>Q1 T 4] N)A>O1) della Tesi di Equivalenza. In questosenso, come vedremo fra breve, si può parlare di vero e falso per Aristotele co-me di proprietà logiche degli enunciati e delle credenze.

    Ma veniamo ora brevemente al secondo principio stabilito daT19 , cioè la re-lazione asimmetrica di priorità causale di essere rispetto a essere vero (e di nonessere rispetto a essere falso36). Tale principio è introdotto qui da Aristotele per-ché l’argomento diCategorie 12 è appunto quello della relazione di priorità(8+O-)+41), e la priorità causale di essere rispetto a essere vero è uno dei cinquemodi elencati da Aristotele in cui una cosa si dice8+O-)+41 di un’altra.

    La relazione asimmetrica di priorità causale di essere rispetto a essere vero èintrodotta da Aristotele per contrasto rispetto alla relazione simmetrica di «con-versione» o implicazione reciproca: la simmetria logica non implica una simme-tria ontologica. E se il principio di simmetria logica corrisponde alla Tesi diEquivalenza, il principio di asimmetria ontologica corrisponde a quello chesempre Michael Dummett ha chiamato «Principio C» (dove ‘C’ sta per ‘Corri-spondenza’37), cioè al principio secondo cui «[i]f a statement is true, there must be somethingin virtue of which it is true». Pertanto, se al principio di ascesasemantica

    36 Sulla priorità di essere rispetto a essere vero cf. Williams 1991, 305-312.37 Per Dummett il Principio C («If a statement is true, there must be somethingin virtue of which

    it is true») è tale in quanto «underlies the philosophical attempts to explain truth as a corre-spondence between a statement and some component of reality» (Dummett 1993, 52). A mioavviso, tale principio è tutto quanto si può trovare in Aristotele di una teoria della verità comecorrispondenza, e una prova che la Regula Aristotelis di Cat . 12 non equivale alla «definizionesemantica» della verità di Metaph. 6 7 (T22 ). Per la discussione del Principio C, cf. ora in par-ticolare Künne 2003, 148-154. Dummett chiaramente distingue questo principio dalla Tesi diEquivalenza: «the correspondence theory expresses one important feature of the concept oftruth which is not expressed by the law ‘It is true that p if and only if p’ […] that a statement is

    true only if there is something in the worldin virtue of which it is true» (Dummett 1978, 14).

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    5?B

    Se x è bianco, allora l’enunciato ‘ x è bianco’ è vero,

    corrisponde il Principio C

    L’enunciato ‘ x è bianco’ è vero, perché x è bianco,

    ciò non vale per il principio di discesa semantica

    Se l’enunciato ‘ x è bianco’ è vero, allora x è bianco,

    perché è assurdo dire che x è bianco, perché l’enunciato ‘ x è bianco’ è vero.In questo modo abbiamo almeno tre formulazioni aristoteliche del Principio C:

    T7 -_ 3M+ -Q 8+v3µ. )J1./ T µD )J1./ , -4I-% >.9 n NO34( GN,RD( T U)AHD( )J1./ N@3)-./.

    è infatti perché l’oggetto in questione è o non è , che anche l’enun-ciato è detto essere vero o falso.

    T19 CER,-./ di Cat . 10, 11b23 e 12b13, come enunciati aperti, rimando al mio saggio

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    5?C

    T19 e T18 presentano la stessa struttura avversativa (µ@1-4/, GNNM), cioè con-tengono l’esclusione del caso che sia l’essere vero dell’enunciato o della cre-denza la causa dell’essere così dell’oggetto in questione39.

    In che senso dunque possiamo dire che il concetto di verità e falsità fin quidelineato da Aristotele nelleCategorie è un concetto di verità e falsità come proprietà logiche genuine degli enunciati e delle credenze che essi esprimono? Nella letteratura recente sul concetto di verità, la tesi che la verità sia una pro- prietà logica genuina è stata sostenuta in particolare da C. McGinn e da W.Künne. Ma i due autori divergono profondamente sul significato da dare a ‘pro- prietà logica’.

    Per McGinn la verità è una proprietà logica delle proposizioni espresse daglienunciati dichiarativi nel senso che è una proprietàdeduttiva: «truth is a proper-

    ty of a proposition from which one candeduce [corsivo mio] the fact stated bythe proposition», ed èla sola a essere tale (McGinn 2000, 96). L’essenza della ve-rità è la «decitazione» (disquotation), cioè la Tesi di Equivalenza:

    La proposizione ‘ p’ è vera sse p,

    in particolare la discesa semantica:

    Se la proposizione ‘ p’ è vera, allora p,

    che sola autorizza la deduzione di fatti da proposizioni, cioè la transizione dalle proposizioni al mondo, «and this transition is the whole point of the notion oftruth»40.

    Un nuovo papiro delle «Categorie»: PHarris I 2 e Arist. Cat. 10, di prossima pubblicazione(Cavini 2011). Escludo comunque che gli infiniti sostantivati-Q >.Rp.Rp)5µ)1. 8+E3µ.-. ) come quelli designati rispet-

    tivamente dal soggetto e dal predicato di un enunciato dichiarativo, cf. Arist. Int. 12, 21b27-28, e a proposito invece di-Q )J1./ '( ?84>)5µ)141, ivi, 21b29.39 Lo stesso principio è ribadito in Arist. Int. 9, 18b36-19a1:GNNM µD1 4]HS -4K-4 H/.e@+)/, )*

    -/1)( )J841 -D1 G1-5e.l1 µD n µS1 >.-.eX

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    5?:

    Per Künne, invece, l’essenza della verità non è la decitazione e la verità non èuna proprietà logica perché autorizza sempre l’inferenza dalle proposizioni aifatti. La verità è «una proprietàlato sensu logica» (a broadly logical property)41, perché «la teoria modesta» (the modest account ) della verità proposizionale pro- posta da Künne si serve di un apparato logico minimo (insieme al concetto in-tensionale di proposizione) per definire il predicato ‘vero’. È quanto già osser-vava C. J. F. Williams a proposito della teoria semplice della verità, di cui lateoria modesta di Künne è in sostanza una variante intensionale:

    ‘Things are as Percy says they are’ is itself something whose meaning can be elu-cidated with the help of quantification, identity, truth-functions and sentential var-iables. (Williams 1976, 96)

    Per Williams come per Künne l’essenza della verità enunciativa (Williams) o proposizionale (Künne) non è espressa dal principio di decitazione, ma dallaformula comparativa del linguaggio comune

    Le cose stanno così come x dice che stanno42,

    che la teoria semplice o modesta della verità ritiene equivalente alla formulacongiuntiva

    Le cose stanno così e x dice che le cose stanno così,

    per cui

    x dice in modo vero che p sse p e x dice che p.

    Ora, nelleCategorie aristoteliche troviamo chiaramente espresso per la primavolta il principio di decitazione, in particolare la discesa semantica

    Se l’enunciato ‘ x è un uomo’ è vero, allora x è un uomo,

    41 Lato sensu e non sans phrase come per McGinn, perché il concetto (moderno, cioè intensiona-le) di proposizione non è un concetto logico (Künne 2003, 338).

    42 In esergo al suo libro sul concetto di verità, Williams mette significativamente un passo del Parmenide di Platone (161e4-5), in cui compare la formula veridica comparativa del grecocomune:šF)/1 .]-Q H)a 4‹-:( '( N@34µ)1s )h 3M+ µD 4‹-:( CF)/, 4]> l1 GN,Rp N@34/µ)1; eKünne, a sua volta, cita un verso dell’ Iliade di Omero (XXIV 373), in cui tale formula compa-re in greco per la prima volta:4‹-: 8$ -EH) 3; 04( '( G34+)I)/( (Künne 2003,

    333).

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    che nel passo corrispondente delde Interpretatione (9, 18a39-b1 =T20 ) è detta«necessaria». Anche per Aristotele quindi la proprietà espressa dai predicati se-mantici ‘vero’ e ‘falso’ è una proprietà logica in quanto autorizza il passaggiodagli enunciati in menzione agli enunciati in uso, cioè l’inferenza dagli enunciati(e dalle credenze che essi esprimono) al mondo. Inoltre tale proprietà logica dei predicati semantici ‘vero’ e ‘falso’ non è presente nel pensiero antico solo inAristotele, ma compare anche, espressa in forma esplicitamente deduttiva, nellateoria stoica degliGµ)ROH:( 8)+.5141-)( NO34/, cioè degli argomenti concluden-ti non in base alle regole di inferenza dei sillogismi anapodittici crisippei. Fratali argomenti, infatti, secondo la testimonianza di Alessandro di Afrodisia, vene erano in particolare due che risultavano concludenti in base al predicato se-mantico ‘ x dice il vero (GN,R)I)/)’:

    T21 -4/4K-4/ 3E+ )h

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    D’altra parte, com’è noto, Aristotele dà anche una definizione di vero e falsodistinta dal principio di decitazione. Tale definizione è formulata in due modidiversi. Il primo riprende ed espande una formula platonica delSofista44, ed èquello celeberrimo di Metafisica 6 7:

    T22 (a) -Q µS1 3M+ N@3)/1 -Q ¤1 µD )J1./ T (b) -Q µD ¤1 )J1./ U)KH4(, (c) -Q HS -Q ¤1 )J1./ >.9 (d) -Q µD ¤1 µD )J1./ GN,R@(.

    (a) Dire infatti di ciò che è che non è o(b) di ciò che non è che è è falso;(c) invece di ciò che è che è e(d) di ciòche non è che non è è vero.Arist. Metaph. 6 7, 1011b26-2745

    in cui Aristotele dà una definizione per casi di vero e falso46

    , definendo prima(a) la negazione falsa e(b) l’affermazione falsa, poi le loro rispettive contraddit-torie, cioè(c) l’affermazione vera e(d) la negazione vera. Il secondo invece èuna variante aristotelica del primo in termini di affermazione e negazione comecomposizione (

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    e sono quindi a loro volta analizzabili nella formula congiuntiva equivalente:

    x dice il vero sse le cose stanno così e x dice che le cose stanno così.

    Sia il principio di decitazione, che Aristotele enuncia per primo, sia la sua de-finizione di vero e falso enunciativi nelle sue due formulazioni, sono dunquesenz’altro ragioni per attribuire ad Aristotele la tesi che vero e falso enunciativisono proprietà logiche genuine. Il principio di decitazione fa di vero e falso delle proprietà deduttive; e quanto alla definizione aristotelica di vero e falso enuncia-tivi, al di là della sua interpretazione nel senso della teoria semplice della veritàe dell’apparato logico soggiacente a tale teoria, che Aristotele evidentementenon poteva condividere, non si tratta di una definizione canonica per genere

    prossimo e differenza specifica, ma di una definizione per casi48

    , e si addice piuttosto a delle proprietà logiche che a delle proprietà ontiche.Ma a queste due ragioni se ne può aggiungere una terza non meno importan-

    te. Vero e falso in Aristotele sono da intendersi come proprietà logiche non solo per il principio di decitazione, cioè per la discesa semantica da essere vero a es-sere (per la transizione dagli enunciati al mondo), ma anche per la conversa, perl’ascesa semantica da essere a essere vero (per la transizione dal mondo aglienunciati49). Infatti tale principio è solidale sia col Principio C, cioè col princi- pio della priorità causale di essere rispetto a essere vero, sia con la tesi sostenutaalla fine diCategorie 5 del mero cambiamentoà la Cambridge cui sono soggettigli enunciati e le credenze veri o falsi. Come osserva giustamente McGinn, chele verità siano «supervenient on the facts» è una semplice conseguenza della Te-si di Equivalenza letta da destra a sinistra, cioè del principio di ascesa semanti-ca, per cui è sempre possibile inferire la verità dai fatti. In termini aristotelici, glienunciati e le credenze sono detti ora veri ora falsi non perché soggetti a uncambiamento reale, ma perché l’oggetto in questione, la sostanza, è soggetta aun cambiamento reale. Il mero cambiamentoà la Cambridge dei valori di veritàdegli enunciati e delle credenze «sopravviene» al cambiamento reale della so-stanza. Ma questa «sopravvenienza», lungi dal farne delle proprietà non genuineo degli attributi ontologicamente deboli degli enti, come nel caso dei relativi for-ti, ne fa invece delle proprietà logiche genuine degli enunciati e delle credenzecorrispondenti sugli enti. Fa differenza infatti ritenere vero o falso un enunciatoo una credenza, perché, per esempio, se qualcuno dice che p e io ritengo vero

    48 Vedi l’analoga definizione per casi degliC1H4g. in Top. I 1, 100b21-23 (q+4(, 101a11), percui cf. Cavini 1989, 18.

    49 Cf. Arist. Metaph. & 7, 1017a31-35:C-/ -Q )J1./ .9 -Q C GN,RS( GNNM U)KH4(, nµ45:( 089 >.-.eE.9 G84eEO(, q-/ GN,R@(s -Q H; 4]> C

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    ciò che dice, allora posso sempre inferire che p, posso cioè acquisire conoscenzadei fatti in base alla sua testimonianza (cf. McGinn 2000, 101); viceversa, se ri-tengo falso ciò che dice, ne trarrò l’inferenza che non- p. In questo senso dunque,cioè in quanto proprietà logiche genuine degli enunciati e delle credenze che es-si esprimono, il vero e il falso, come scrive Aristotele in Metafisica • 4, non so-no nelle cose (01 -4a( 8+E3µ..-.eE.9 G84eE

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