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Weekly Report N°15/2015

Date post: 22-Jul-2016
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Rassegna settimanale a cura dell'Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) // 24 maggio-5 giugno 2015
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www.bloglobal.net N°15, 24 MAGGIO 6 GIUGNO 2015 ISSN: 2284-1024
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N°15, 24 MAGGIO – 6 GIUGNO 2015

ISSN: 2284-1024

I

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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo

Milano, 7 giugno 2015 ISSN: 2284-1024 A cura di: Paolo Balmas Davide Borsani Agnese Carlini Giuseppe Dentice Danilo Giordano Antonella Roberta La Fortezza Violetta Orban Maria Serra Alessandro Tinti

Questa pubblicazione può essere scaricata da: www.bloglobal.net

Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma:

Weekly Report N°15/2015 (24 maggio – 6 giugno 2015), Osservatorio di Politica Internazionale (OPI), Milano 2015, www.bloglobal.net

Photo credits: Associated Press; IPC; The Wall Street Journal; EPA; La Stampa; AFP/Yoan Valat; AFP;

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FOCUS

CINA/COREA DEL SUD ↴

Lunedì 1° giugno 2015 è stato ufficialmente firmato a Seoul il trattato di libero

scambio tra Cina e Corea del Sud. Nonostante siano trascorsi tre anni dall’inizio

delle trattative, solo dopo un’accurata analisi del documento si è giunti alla sua firma.

Il trattato che vedeva come principali firmatari Cina, Giappone e Corea del Sud ha

subito un notevole ritardo a causa delle preoccupazioni espresse dal Giappone in

merito alle isole contese (Senkaku/Diaoyu) tra i due Paesi. Il trattato è esclusiva-

mente valido per la Cina continentale, con l’esclusione di Hong Kong che ha sti-

pulato accordi separati con la Corea del Sud, tra cui una convenzione contro la doppia

imposizione.

Nella lettera al Presidente Xi Jinping, la contro-parte coreana Park Geun-hyen ha

descritto l’accordo come «una pietra miliare tra i due Paesi nell’intento di rafforzare

quanto più possibile le relazioni strategiche e di cooperazione». Analoga-

mente il Presidente Xi ha definito il trattato come un «evento colossale» che «non

solo favorirà un notevole miglioramento nelle relazioni commerciali tra i due Paesi,

ma porterà anche vantaggi concreti alle rispettive popolazioni».

Secondo il Ministero del Commercio sudcoreano l’operazione aumenterà annual-

mente gli scambi di circa 300 miliardi di dollari, a differenza dei 215 miliardi del

2012. Inoltre, si prevede un aumento annuo del PIL sudcoreano di circa l’1% e dello

0,3% per quanto riguarda quello cinese per il prossimo decennio. In particolar modo

risentiranno della firma di questo trattato il Giappone e Taiwan, il cui volume

di scambi con la Cina diminuirà notevolmente. Gli scambi bilaterali tra Cina e Corea

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del Sud per l’anno 2014 sono ammontati all’incirca a 235,4 miliardi di dollari, ciò

significa che circa il 16% dei prodotti in entrata provengono dal partner cinese.

In base all’accordo, entrambi i Paesi hanno ridotto i dazi doganali a zero su quasi il

90% delle merci commercializzate. Il trattato promuove 637 articoli coreani, princi-

palmente prodotti industriali come acciaio e macchine, e 852 prodotti cinesi, perlopiù

agricoli. L’operazione commerciale avrà un impatto notevole su determinati settori

agricoli e dell’industria automobilistica, limitando quanto più possibile investimenti

stranieri in entrambi i Paesi. Di particolare interesse sono anche la firma dell’accordo

sui contributi previdenziali, relativo al pagamento delle prestazioni sociali per i rispet-

tivi espatriati, e quello sulle tariffe agevolate per i prodotti realizzati nel complesso

industriale di Kaesong, nella Corea del Nord.

In sintesi il trattato di libero scambio tra la Cina e la Corea del Sud ha un forte

impatto politico; scavalcando Giappone e Taiwan, Seoul potrà immettere nel mer-

cato un maggior numero di imprese nazionali creando all’incirca 53.800 nuovi posti

di lavoro nel decennio a venire. È evidente che i principali beneficiari saranno gli

agricoltori cinesi, il settore automobilistico sudcoreano e alcune joint venture stra-

niere all’interno dei suddetti settori. Pertanto non si assisterà ad un aumento de-

gli investimenti stranieri né in Cina né in Corea del Sud. Una nota positiva è

comunque l’interesse ad estendere il trattato al settore dei servizi, aumentando

quanto più possibile la liberalizzazione di questo accordo politico esclusivamente bi-

laterale.

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IRAQ/SIRIA ↴

Il 2 giugno Parigi ha ospitato un nuovo vertice della coalizione internazionale

opposta allo Stato Islamico (IS) per ridefinire le direttrici strategiche della cam-

pagna bellica. Di fronte ai recenti successi militari ottenuti a Ramadi e a Palmira dai

miliziani del Califfato e a quasi nove mesi dal lancio dell’operazione “Inherent Re-

solve”, l’incontro ha invece appurato le distanze politiche nel composito fronte alleato

che combatte per l’integrità irachena.

Del resto il summit era stato anticipato dalle taglienti dichiarazioni del Segretario

della Difesa statunitense Ashton Carter, il quale ha biasimato la cedevolezza delle

forze di sicurezza irachene schierate a Ramadi, che seppur superiori in numero

hanno abbandonato l’importante capoluogo dell’Anbar sotto l’attacco di poche centi-

naia di guerriglieri islamisti. La circostanza per cui le truppe irachene, come già un

anno addietro durante la disfatta di Mosul, abbiano lasciato sguarniti numerosi veicoli

corazzati corrisposti dall’alleato americano ha accentuato il disappunto del Penta-

gono. Malgrado la delegazione inviata a Parigi abbia annunciato che gli Stati Uniti

raddoppieranno l’impegno profuso contro l’IS, l’attrito con la leadership irachena

è parso evidente. Il Primo Ministro Haider al-Abadi ha infatti addebitato la caduta

di Ramadi all’insufficiente sostegno militare della coalizione internazionale. In parti-

colare, al-Abadi ha lamentato la modesta copertura aerea offerta dagli Stati

Uniti e criticato i ritardi nell’invio di armamenti e munizioni – questione che

rafforza la richiesta del governo iracheno dell’acquisto di armi da Iran e Federazione

Russa.

È inoltre degno di nota che tra le ventidue rappresentanze presenti a Parigi mancasse

quella del Kurdistan iracheno, nonostante la rilevanza militare dei Peshmerga curdi

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nell’arginare le colonne di Abu Bakr al-Baghdadi nel nord del Paese. L’analogo annul-

lamento di una riunione con alcuni esponenti delle tribù sunnite testimonia le ripetute

false partenze del processo di riconciliazione nazionale cui l’amministrazione Obama

aveva esplicitamente associato, in discontinuità con la gestione del predecessore Nuri

al-Maliki, l’approvazione dell’esecutivo guidato da al-Abadi. Il fallimento di una

concertazione con le minoranze etniche e confessionali aggrava pesantemente

gli equilibri nel conflitto a favore dei fondamentalisti islamici. In tal senso, la precipi-

tosa ritirata da Ramadi è anch’essa sintomo e conseguenza della dissociazione della

comunità sunnita dalle istituzioni centrali. È peraltro preoccupante riscontrare il giu-

ramento di fedeltà al Califfato islamico di alcune tribù sunnite che l’influente

sceicco Ahmed Dara al-Jumaili ha annunciato a Falluja lo scorso 3 giugno.

Il vertice di Parigi ha anche ripresentato divergenze pronunciate tra le stesse potenze

occidentali. Il Ministro degli Esteri francese Laurent Fabius ha ribadito che la sta-

bilizzazione irachena non sia perseguibile senza l’avvio della transizione po-

litica in Siria, poiché la delegittimazione di Bashar al-Assad e le frammentazioni

innescate dalla guerra civile hanno progressivamente consolidato la forte presenza

dell’IS in circa metà del territorio siriano. In tutta evidenza la posizione francese,

condivisa anche da parte britannica, sconfessa la duplice politica statunitense, che

anche in occasione del summit del 2 giugno ha attribuito centralità allo scenario ira-

cheno, mettendo in secondo piano la complessa partita politica che ruota attorno al

regime di Damasco.

Intanto, i combattimenti infuriano nel vasto deserto dell’Anbar, dove le forze

di sicurezza irachene sono impegnate in un’estesa controffensiva per la riconquista

di Ramadi. L’esercito regolare ed i gruppi paramilitari volontari avrebbero circondato

gran parte della città, tagliando le linee di rifornimento dei guerriglieri islamisti ar-

roccati nel capoluogo e ingaggiando violenti scontri a fuoco nei quartieri meridionali.

Le milizie sciite del Fronte di Mobilitazione Popolare sono pienamente coin-

volte nelle operazioni, benché abbiano opportunamente deciso di presidiare le vie

di comunicazione periferiche senza addentrarsi nei centri urbani. Tra queste, la bri-

gata Badr e Asa’ib Ahl al-Haq hanno contribuito ad assicurare una testa di ponte a

Garma, a nord di Falluja, in un’azione coperta dall’aviazione irachena e statunitense.

I bombardamenti dei caccia americani nell’area testimoniano la criticità della situa-

zione, poiché Washington aveva sinora attentamente evitato di impiegare la propria

capacità di fuoco in presenza delle milizie sciite legate agli interessi di Teheran. Pro-

prio nei combattimenti a Ramadi ha perso la vita un comandante della Guar-

dia Rivoluzionaria iraniana, Jassem Nouri. Seppur non sottoposte allo stretto

controllo dei vertici di Baghdad, i gruppi armati sciiti sono però essenziali a sostenere

l’urto dell’IS sulla capitale e a recuperare terreno nell’Anbar. Il 26 maggio l’organo

dirigente del Fronte di Mobilitazione Popolare ha dato il via all’operazione “Labayk

ya Iraq” che si prefigge l’obiettivo di ripulire la provincia di Salah ad-Din al fine di

prevenire le deviazioni dei miliziani islamisti da Ramadi e Falluja. Ciò ha dato nuovo

impulso alle manovre su Samarra, dove il 19 maggio l’esercito regolare e le milizie

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volontarie hanno dapprima ricacciato le uniformi nere dall’ex impianto di armi chimi-

che di Muthanna e poi ripristinato il possesso della rete viaria che porta a Baghdad.

SITUAZIONE SUL CAMPO IN IRAQ – FONTE: INSTITUTE FOR THE STUDY OF WAR

Ciononostante, tanto la morfologia e l’ampiezza del territorio, quanto la notevole ca-

pacità di adattamento tattico dell’IS, allargano inevitabilmente le maglie difensive

delle forze di sicurezza irachene, che subiscono gli attentati suicidi dei fondamentalisti

islamici. Mentre Baghdad comandava l’assembramento di uomini e mezzi nell’Anbar

– dove gli 800 guerriglieri tribali sunniti addestrati nella base di Habaniya sono con-

fluiti nei ranghi delle milizie volontarie e la polizia federale ha organizzato sei

battaglioni speciali cui sarà attribuito il compito di consolidare il controllo governa-

tivo nella provincia –, gli strateghi del Califfato hanno replicato con una serie di

attacchi nei pozzi petroliferi di Ajil, a nord-est di Tikrit, e di Baiji. Inoltre, i mili-

ziani islamisti hanno chiuso le dighe di Warrar, a nord di Ramadi, e di Falluja al

fine di ostacolare la controffensiva delle forze irachene. La mossa attenta alla sicu-

rezza della base di Habaniya, dove il governo di Baghdad ha installato il comando

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operativo delle Forze Armate, che nei primi giorni di giugno è stata raggiunta da

alcuni colpi di mortaio. L’interruzione delle forniture idriche aggrava ancor più la crisi

umanitaria della popolazione civile, quando da aprile oltre 180mila persone hanno

lasciato Ramadi a causa del conflitto.

In Siria, la presa di Palmira ha incoraggiato la progressione delle schiere del Ca-

liffato verso Aleppo, dove i combattenti dell’IS hanno attaccato le postazioni di

Jabhat al-Nusra e delle altre formazioni ribelli. I miliziani hanno inoltre ripreso una

postura offensiva nel nord-est del Paese, dove i Peshmerga curdi avanzano lungo il

confine turco verso Tel Abyad per muovere poi verso le roccaforti islamiste nella pro-

vincia di Raqqa.

Intanto, numerose fonti attestano lo schieramento a Damasco e nella zona co-

stiera di Latakia di migliaia (7mila-15mila uomini) di soldati iraniani e ira-

cheni al comando di Qassem Suleimani, leader della Guardia Rivoluzionaria ira-

niana. Ciò conferma il forte interesse di Teheran verso la sopravvivenza del regime

alawita di Bashar al-Assad, laddove nelle ultime settimane le forze governative ave-

vano perso Idlib e Jisr al-Shughour dietro l’avanzata dei gruppi ribelli riuniti nel Jaysh

al-Fatah. Quest’ultimo sviluppo e l’ingresso dell’IS nella battaglia di Aleppo assestano

una nuova scossa negli equilibri delle molteplici linee di conflitto che disgregano il

territorio siriano. Peraltro, le incursioni dell’IS nell’area di Aleppo e l’intensità cre-

scente dei raid indiscriminati dell’aviazione siriana insidiano la sostenibilità della po-

sizione statunitense nella guerra civile, dal momento che alcuni comandanti ribelli

hanno messo in dubbio la partecipazione al programma di addestramento concepito

da Washington in ragione della mancata copertura aerea della coalizione internazio-

nale contro l’espansione del Califfato nel nord-ovest del Paese.

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UCRAINA ↴

All’indomani del fallimento di un nuovo round di trattative a Minsk tra i membri del

Gruppo di Contatto (2 giugno), i separatisti filo-russi hanno lanciato una nuova

offensiva – la più ampia dopo la conquista del centro strategico di Debaltseve lo

scorso 18 febbraio – nelle regioni orientali dell’Ucraina, rompendo definitivamente

l’accordo di cessate il fuoco che, nonostante alcune schermaglie, sembrava aver con-

tenuto l’escalation. L’operazione, i cui preparativi erano iniziati nel mese di aprile con

il riposizionamento di alcune armi pesanti lungo la linea di controllo (movimenti con-

fermati anche dagli osservatori internazionali dell’OCSE) e con i successivi attacchi

contro le prime linee dell’esercito ucraino a nord di Donetsk e ad est di Mariupol, si

è concentrata intorno alle località di Marinka e di Krasnohorivka, sobborghi

orientali della stessa Donetsk ancora controllati da Kiev. Le autorità ucraine hanno

denunciato l’accerchiamento degli uomini dell’Operazione Anti-Terrorismo (ATO) in

almeno due grandi ondate di attacchi (che avrebbero provocato la morte di almeno

3 soldati ucraini e di 3 civili), nonché massicci bombardamenti da parte delle

forze ribelli attraverso l’utilizzo combinato di artiglieria e armi pesanti come i lan-

ciarazzi multipli MLRS (Multiple Launch Rocket System).

La strategia dei separatisti, che già tra la fine di maggio e l’inizio di giugno avevano

lanciato bombardamenti localizzati lungo la buffer zone istituita dagli accordi di Minsk-

2, risponderebbe al duplice obiettivo di ottenere dal governo concessioni politi-

che (in particolare l’autonomia delle regioni in questione, come discusso nuovamente

in Bielorussia) e di recuperare un vantaggio strategico ai danni delle forze armate

di Kiev, testando innanzitutto i punti di maggiore vulnerabilità delle forze ucraine e

ampliando il controllo di territori strategicamente rilevanti: Marinka e Krasno-

horivka infatti non solo pongono in collegamento l’Oblast di Donetsk a quello confi-

nante di Zaporizhia e la stessa città di Donetsk alla centrale termica di Kurakhove

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(fondamentale per l’indipendenza energetica – e dunque statuale – delle aree ribelli),

ma spezzano anche la resistenza delle forze ucraine sul fronte sud-occidentale al fine

di prendere il controllo dell’ala settentrionale dell’autostrada (H20) che conduce al

centro portuale di Mariupol – obiettivo principale dei ribelli anche per via del diretto

collegamento con la Crimea –, l’offensiva contro la quale non è stata mai incisiva

anche a causa della barriera naturale rappresentata dal fiume Kalmius. Allo stesso

tempo un attacco incrociato proveniente dai centri di Horlivka e Pervomaysk potrebbe

essere diretto contro Artemivsk, punto di approvvigionamento militare dell’ATO, a

protezione della sacca di Debaltseve e presumibilmente testa di ponte per il recupero

degli iniziali principali teatri di scontri, Sloviansk e Kramatorsk. Scontri tra i separa-

tisti e i soldati ucraini sono anche occorsi nel villaggio di Katerynivka, ad ovest

dell’autostrada “Bakhmutka”, corridoio di importanza strategica nell’Oblast di Lu-

hansk per una ripresa più efficace dell’offensiva settentrionale.

SITUAZIONE SUL CAMPO IN UCRAINA – FONTE: KGS NIGHTWATCH

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Il 4 giugno, inoltre, un commando non identificato ma presumibilmente legato

all’istanza separatista, ha condotto un attacco sulla linea ferroviaria nel sud ovest del

Paese, nelle vicinanze di Odessa. L’episodio potrebbe essere verosimilmente ricondu-

cibile alla decisione del Petro Poroshenko di nominare l’ex Presidente georgiano

Mikhail Saakashvili – già consigliere del Presidente ucraino e che già aveva affron-

tato la Russia nel conflitto del 2008 relativo all’Ossezia del Sud – come nuovo gover-

natore della medesima regione del Mar Nero.

Mentre il Premier ucraino Arseniy Yatsenyuk è tornato ad accusare il Cremlino di

sostenere le operazioni dei separatisti, da Bruxelles giunge un nuovo monito circa la

possibile decisione (che potrebbe avvenire nel corso del Consiglio europeo di fine

giugno) di estendere le sanzioni nei confronti della Russia fino all’inizio del

2016. Sebbene anche gli Stati Uniti siano dello stesso avviso, aprendo peraltro nuo-

vamente alla possibilità di forniture militari occidentali a Kiev (mentre il Premier ca-

nadese Stephen Harper ha annunciato lo stanziamento di 5 milioni di dollari per con-

tribuire ai programmi di sviluppo indirizzati alle forze dell’ordine ucraine), sul tema

delle sanzioni economiche l’Italia, pur allineata alla posizione europea, sta ten-

tando di portare avanti una nuova partita negoziale. Nel corso di un incontro a

Mosca (31 maggio) con Serghej Lavrov e il Vice Premier Arkady Dvorkovich, il Mini-

stro degli Esteri Paolo Gentiloni ha sottolineato la necessità di riportare la Russia ad

un dialogo franco e positivo e ad un negoziato proficuo per la soluzione della crisi

ucraina, aggiungendo che le misure restrittive sono reversibili nella misura in cui la

Russia dimostri una piena collaborazione e si impegni all’attuazione degli accordi di

Minsk, che dovrà essere completata entro l’anno.

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UNIONE EUROPEA ↴

Mercoledì 27 maggio, a sole due settimane dalla presentazione dell’Agenda europea

sulla migrazione, la Commissione ha adottato il primo pacchetto di proposte

concrete per rispondere alla sfida dell’emergenza migratoria. Il pacchetto

comprende: l’attivazione di una ricollocazione di emergenza, una raccomandazione

circa un programma di reinsediamento, un piano d’azione contro il traffico dei mi-

granti, l’orientamento della Commissione su come facilitare il rilevamento sistematico

delle impronte digitali e infine una consultazione pubblica sul futuro della direttiva

sulla Carta blu. A tutto questo si aggiunge una nota informativa sulla situazione

dell’Operazione Triton, coordinata da Frontex, così come da ultime modifiche. Proprio

il 26 maggio Frontex ha infatti annunciato l’avvio di un nuovo piano che pre-

vede un’espansione dell’area operativa di Triton fino a 138 miglia nautiche a sud della

Sicilia, nonché per tutta la stagione estiva (fino alla fine di settembre), generalmente

il periodo dell’anno in cui si registrano i più alti flussi migratori, un massiccio raffor-

zamento dei mezzi utilizzati per il pattugliamento (da 3 a 6, per passare poi a 5 nel

periodo invernale). La strada che si sta seguendo è sostanzialmente quella di un

potenziamento delle capacità e dei mezzi delle operazioni congiunte di Frontex, Triton

e Poseidon confermato dalla previsione di risorse finanziarie aggiuntive, pari a ulte-

riori 45 milioni di euro, per il 2016.

Il vero centro nevralgico del pacchetto proposto dalla Commissione è, tuttavia, il

meccanismo di ricollocazione dei richiedenti asilo in Europa adottato, sulla

base giuridica dell’art. 78, par. 3, TFUE, con l’obiettivo di rispondere all’innegabile

emergenza che tocca soprattutto le sponde Sud dell’Europa mediterranea: Italia e

Grecia. Il meccanismo tracciato dalla Commissione prevede, nello specifico, una ri-

collocazione su base obbligatoria tra i Paesi membri dell’UE, da effettuarsi in due

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anni, di circa 40.000 richiedenti asilo arrivati in Italia ed in Grecia dopo il 15 aprile

2015 o che arriveranno dopo l’avvio del meccanismo. I suddetti 40.000 saranno se-

lezionati sulla base della loro nazionalità privilegiando le cittadinanze che nel 2014

hanno registrato un elevato tasso di accettazione delle richieste di asilo, almeno il

75% secondo le indicazioni della Commissione. Si presume dunque che ad essere

ricollocati saranno soprattutto siriani ed eritrei. La redistribuzione avverrà tra-

mite il meccanismo delle “quote” calcolato tenendo conto di alcuni precisi para-

metri individuati dalla Commissione stessa: PIL (pesa per il 40%), popolazione

(40%), tasso di disoccupazione (10%) e peso avuto in passato nell’accoglienza dei

rifugiati (10%). Per il ricollocamento, il bilancio europeo fornirà un finanziamento

extra di 240 milioni così da poter garantire agli Stati membri 6.000 euro per ogni

persona coinvolta nella ricollocazione.

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Il meccanismo così delineato scardina profondamente il noto Principio di Dublino,

vale a dire l’impostazione europea adottata a partire dal febbraio del 2003 secondo

la quale il Paese responsabile dell’accoglienza del richiedente asilo sarebbe quello di

primo sbarco. Nelle stesse parole della Commissione, Dublino appare ormai anacro-

nistico: adottato in un contesto di relazioni internazionali e flussi migratori profonda-

mente diverso da quello attuale, ha senz’altro dimostrato di non riuscire a rispondere

alle nuove e più complesse sfide. Non a caso la Commissione si è impegnata a pro-

muoverne una modifica già nel 2016.

Accanto alla ricollocazione di coloro che sono già sul suolo europeo, la Commissione

ha adottato anche una raccomandazione che invita gli Stati membri a reinse-

diare 20.000 persone provenienti da Paesi non appartenenti all’UE e in evi-

dente bisogno di protezione internazionale secondo i parametri dell’UNHCR. Il rein-

sediamento dovrebbe avvenire in un periodo di due anni, sulla base, anche in questo

caso, di un meccanismo di distribuzione proporzionale per quote. Gli Stati membri

che aderiranno al programma riceveranno un sostegno finanziario dell’UE pari a 50

milioni di euro per il periodo 2015-2016.

Le novità del testo legislativo proposto dalla Commissione non si esauriscono nella

trattazione dell’immigrazione irregolare e nella logica di protezione umanitaria legate

al periodo di emergenza che stiamo vivendo. Nelle parole della Commissione, al con-

trario, si legge chiaramente la volontà di avviare un nuovo corso che, prescindendo

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dall’emergenza, possa incidere sia sul fenomeno migratorio a monte (nei Paesi di

origine) sia sulle politiche di integrazione e su quelle relative all’immigrazione rego-

lare degli Stati membri. L’obiettivo, insomma, è di lungo periodo e di ampio respiro e

mira a proporre una nuova impostazione in materia migratoria coerente ed incisiva

che possa dimostrarsi capace di sopravvivere anche sotto il peso di future emergenze.

Solidarietà e responsabilità condivisa sembrano dunque essere queste le parole d’or-

dine dell’Agenda europea in materia di immigrazione; lo stesso slogan non sembra

invece essere condiviso da alcuni Stati membri. Fermo restando le clausole di opting-

in e opting-out previste dai Protocolli 21 e 22 per Regno Unito, Irlanda e Danimarca,

anche Francia, Polonia e Spagna hanno dichiarato di non accettare il sistema

delle quote al quale si guarda come ad un’eccessiva interferenza con il principio di

sovranità nazionale degli Stati. La questione non è di poco conto se si considera che,

per concretizzarsi, la proposta della Commissione deve ricevere, ai sensi della proce-

dura legislativa speciale prevista dall’art. 78 TFUE, il via libera (maggioranza qualifi-

cata) dei Ministri degli Interni nella riunione prevista per il 15 e 16 giugno e la previa

approvazione del Parlamento. Il complesso iter decisionale è quindi irto di ostacoli.

La partita si giocherà evidentemente sulle due principali questioni: l’obbligatorietà

del meccanismo di ricollocazione e i criteri di suddivisione dei richiedenti asilo.

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YEMEN ↴

Il giorno dopo aver respinto un attacco via terra da parte delle milizie Houthi nella

provincia di Najran (29 maggio), l’aviazione saudita ha rivelato di aver intercet-

tato un missile Scud lanciato dai ribelli fedeli all’ex Presidente Saleh in dire-

zione della città di Khamis Mushait. Intanto nella mattinata del 5 giugno, alcuni rap-

presentanti degli Houthi avevano dichiarato la propria volontà di partecipare

ai colloqui di pace, previsti per il prossimo 14 giugno a Ginevra, peraltro già riman-

dati diverse volte, insieme ai delegati del Presidente Hadi. I colloqui, voluti fortemente

dall’inviato dell’ONU in Yemen Ismail Ould Cheikh Ahmed, sono mirati al raggiungi-

mento di un cessate il fuoco, attraverso una ritirata sicura per gli Houthi ed un piano

umanitario per la popolazione yemenita.

Nonostante gli estremi tentativi di conciliazione, l’offensiva saudita contro le posta-

zioni dei ribelli, iniziata lo scorso 26 marzo, ha aumentato il suo slancio a seguito

della morte di due guardie di frontiera saudite (che hanno portato a 31 il numero

totale delle vittime da parte di Riyadh) causata dal lancio di alcuni missili militari sulle

postazioni di Zahran, città situata nella provincia frontaliera dell’Asir. Pesanti bom-

bardamenti si sono concentrati sulla capitale Sana’a e sulla città di Aden,

città portuale e capitale commerciale del Paese, nel tentativo di scacciare via gli Hou-

thi dalla regione. Mentre l’aeroporto di Aden è chiuso dall’inizio dell’offensiva saudita,

il porto è ancora attivo e rappresenta una via d’accesso importante alla città, anche

in chiave umanitaria. I combattimenti di Aden si sono concentrati nei distretti di Khor

Maksar, Crater e Moalla, provocando la morte di almeno 15 ribelli. Gli attacchi sulla

capitale Sana’a hanno, invece, colpito il quartier generale e la base aerea dell’avia-

zione yemenita di Dallami, entrambe controllate dai ribelli, nonché alcuni depositi di

armi e munizioni. L’offensiva saudita ha messo sulla difensiva i ribelli Houthi che si

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trovano ad affrontare anche gli attacchi provenienti dal Comitato di Resi-

stenza Popolare, un fronte eterogeneo costituito da combattenti pro-governativi,

milizie sunnite e gruppi separatisti del sud. Nella città di Shoqra, nella provincia me-

ridionale di Abyan, un’autobomba, probabilmente posizionata dai gruppi favorevoli

ad una separazione del sud dello Yemen, è esplosa sabato 30 maggio nei pressi di un

deposito di armi, causando la morte di 12 militanti Houthi ed il ferimento di altri otto.

Il 1° giugno, inoltre, gli Houthi hanno subito, sempre nel sud del Paese, la loro prima

significante sconfitta: le milizie sunnite, autodefinitesi Resistenza del Sud,

hanno costretto i sostenitori di Saleh ad abbandonare completamente Dalea,

città situata a circa 170 km da Aden. Dal canto suo, invece, il Presidente Abd Rabbo

Mansur Hadi si trova a dover affrontare alcune difficoltà interne: il 4 giugno ha dimis-

sionato, per decreto, il nipote dell’ex Presidente Saleh, il Generale Ammar Mo-

hammad Abdullah Saleh, attuale addetto militare presso l’Ambasciata yemenita in

Etiopia, dopo che un ex-combattente di al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP), Hani

Muhammad Mujahid, ha rivelato, in un’intervista ad al-Jazeera, di aver ricevuto fondi

da lui per organizzare l’attentato all’Ambasciata americana a Sana’a del 2008, che

causò la morte di 18 persone. Negli ultimi giorni, inoltre, il ritrovamento di armi

israeliane all’interno dell’Ambasciata saudita a Sana’a ha causato uno scontro

diplomatico tra Teheran e Riyadh, accusata di sostenere le milizie sunnite locali fedeli

al Presidente Hadi contro i ribelli Houthi. Secondo l’agenzia iraniana Fars, sarebbero

stati i ribelli Houthi a trovare le armi all’interno degli alloggi delle guardie dell’amba-

sciata, dopo essere entrati nella sede diplomatica saudita. Il ritrovamento, secondo

Teheran, rafforza i sospetti di forti legami fra sauditi ed israeliani, coinvolgendo anche

gli Stati Uniti che, lo dimostrerebbero alcuni documenti ritrovati, avrebbero l’inten-

zione di creare una propria base militare in un’isola yemenita a sud-ovest di Aden.

DISPOSIZIONE DELLE FORZE IN CAMPO – FONTE: AMERICAN ENTERPRISES INSTITUTE & BBC

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BREVI

COLOMBIA, 18 MAGGIO ↴

La Forza Aerea Colombiana ha dichiarato di aver

ucciso un leader delle FARC (Forze Armate

Rivoluzionarie della Colombia) in un bombardamento

nei pressi della città di Riosucio, nella provincia nord-

occidentale di Choco. Alfredo Alarcon Machado,

conosciuto come Ramòn Ruiz, era a capo della 18° divisione del gruppo operante nel

nord-ovest del Paese ed era ritenuto il principale assistente di Pastor Alape, tra i

negoziatori delle FARC nel processo di pace con il governo colombiano in corso a

L’Avana. L’annuncio ha comunque suscitato qualche dubbio, dato che la notizia della

morte di Ruiz era già stata data lo scorso anno per poi essere smentita dal capo della

polizia. I negoziati tra il gruppo ribelle e il governo di Bogotà hanno avuto inizio nel

2012 e hanno finora condotto ad alcuni risultati: una riforma agraria per una

distribuzione delle terre più equa, un piano per lo sminamento e l’interruzione della

produzione e dei traffici di droga controllati dai guerriglieri. In aprile le FARC hanno

assassinato 11 soldati colombiani nella provincia sud-occidentale di Cauca, violando

l’accordo sul cessate il fuoco stabilito a dicembre e spingendo il Presidente Manuel

Santos a ordinare la ripresa dei bombardamenti contro le loro postazioni. Dalla

fondazione delle FARC nel 1964 ad oggi si ritiene che il conflitto con il governo

centrale abbia causato oltre 220mila vittime.

ISRAELE-GAZA, 3-4 GIUGNO ↴

Tornano ad soffiare i venti di guerra nella Striscia di

Gaza, a pochi mesi dall’ultimo conflitto del luglio-

agosto 2014 che ha provocato oltre 2.200 vittime in

circa 60 giorni. A rinfocolare le tensioni latenti vi

sarebbero stati due episodi avvenuti a distanza di pochi

giorni: l’uccisione di un importante leader salafita e i

raid israeliani contro le postazioni militari di Hamas e

del Palestinian Islamic Jihad (PIJ) a Gaza. Il 3 giugno, in una dinamica ancora poco

chiara, il leader salafita Youssef al-Hatar è stato ucciso durante una sparatoria a

Sheikh Radwan, un quartiere a nord di Gaza City, dalle forze di sicurezza di Hamas,

intervenute con l’intento di un semplice arresto. Youssef al-Hatar era una nota figura

del salafismo armato gazawi e leader del gruppo Jamaat Ansar al-Dawla al-Islamiya

fi Bayt al-Maqdis (Sostenitori dei Paladini di Gerusalemme), un movimento

scissionista da Hamas nato nel 2014 e ritenuto vicino a frange più o meno

dichiaratamente vicine allo Stato Islamico (IS), tra le quali la Provincia islamica del

Page 19: Weekly Report N°15/2015

17

Sinai (già nota come Ansar Bayt al-Maqdis) e i Mujahideen Shura Council for the

Environs of Jerusalem, quest’ultimi attivi nel vicino Sinai e nella Striscia di Gaza con

l’intento di instaurare un califfato tra la Penisola egiziana, la Palestina e Israele. Ansar

al-Dawla al-Islamiya (conosciuto anche come Ansar al-Khilafa) avrebbe rivendicato

anche una serie di attacchi contro postazioni militari di Hamas e del suo braccio

armato, le Brigate Ezzedin al-Qassam, compiuti durante lo scorso mese di maggio a

Khan Younis e a Gaza City, e per aver compiuto alcuni lanci di razzi Grad verso

l’entroterra israeliano. Il gruppo viene percepito dunque come una grande minaccia

dentro e fuori dalla Striscia soprattutto per la sua alta capacità di infiltrare uomini nei

campi profughi palestinesi in Siria, come quello di Yarmouk a Damasco, dove si sono

registrati importanti infiltrazioni/cooptazioni dell’IS. Anche in considerazione di ciò è

stata quasi immediata la reazione di Israele che ha lanciato una serie di raid aerei,

anche in risposta ai razzi lanciati verso le città della costa e del Negev.

GITTATA MASSIMA DEI RAZZI PALESTINESI – FONTE: US CONGRESSIONAL RESEARCH SERVICE REPORTS

In realtà nei giorni precedenti l’omicidio di al-Hatar, l’IDF aveva effettuato nuovi

pesanti attacchi contro le postazioni di Hamas e del PIJ che si erano resi protagonisti

di lanci di razzi verso le città meridionali di Israele, senza tuttavia provocare morti

e/o feriti. Lo Stato Maggiore israeliano e il governo hanno deciso di pre-allertare le

forze terrestri nel caso di necessità ad un possibile nuovo intervento lungo i confini

di Gaza. In questo caso il timore israeliano si lega alle preoccupazioni della dirigenza

islamista di Hamas di una possibile penetrazione nella Striscia di frange e soggetti

Page 20: Weekly Report N°15/2015

18

ancor più radicali e in grado di trasportare le masse su posizioni sempre più estreme.

Si spiega in questi termini il rinnovato attivismo politico di Hamas e il dialogo non

ufficiale con i vertici dell’intelligence egiziana per contenere questi gruppi sempre più

fuori dalla sua sfera di influenza. Nel solo mese di maggio, Hamas ha effettuato oltre

100 arresti nel movimento salafita palestinese, ritenuto sempre più legato all’IS e

alle sue cellule sul territorio.

NIGERIA, 29-30 MAGGIO ↴

Muhammadu Buhari si è insediato come nuovo Capo di

Stato della Nigeria. Nel suo primo discorso da

Presidente, in cui ha affermato «appartengo a tutti i

cittadini, ma non appartengo a nessuno», ha

sottolineato le principali sfide che dovrà affrontare il

suo governo: migliorare il livello di sicurezza del Paese,

diminuire la corruzione, risolvere le carenze strutturali di carburante ed energia

elettrica e la mancanza di infrastrutture. Sul tema della sicurezza Buhari ha

sottolineato la priorità del contrasto al terrorismo di Boko Haram, annunciando il

trasferimento del centro di coordinamento dell’esercito da Abuja a Maiduguri, luogo

di provenienza e aggregazione del gruppo islamista-salafita, per meglio gestire la

controffensiva. La reazione di Boko Haram si è manifestata già nella notte tra il 29 e

il 30 maggio con un’ondata di attacchi che hanno colpito Maiduguri, capitale dello

Stato del Borno. Si sono verificati scontri tra esercito e ribelli affiliati al movimento,

un attentato a una moschea, il lancio di un razzo contro una casa che ha provocato

la morte di almeno cinque persone e l’esplosione di due bombe nella città di Tashan

Alade. Si stima che dal 2009 l’attività terroristica di Boko Haram abbia causato 15mila

morti e 1,5 milioni di profughi.

REGNO UNITO, 28-29 MAGGIO ↴

Dopo la vittoria alle urne nel Regno Unito (7 maggio),

il Primo Ministro, David Cameron, ha intrapreso un tour

in Europa per sondare la disponibilità di alcuni Paesi a

riformare l’Unione Europea per permettere al Regno

Unito di restarne parte a fronte del referendum

nazionale previsto per il 2017. L’idea di Londra è quella

di ottenere maggiore flessibilità politica, sottraendosi

al controllo diretto di Bruxelles e riappropriandosi di parte della sovranità ceduta in

passato. Cameron ha visitato l’Olanda, la Francia, la Polonia e la Germania. All’Aja, il

Premier ha incontrato il suo omologo, Mark Rutte, definendolo «vecchio amico ed

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19

alleato». A margine, Cameron ha affermato di aver «lavorato insieme per fare in

modo che il bilancio europeo sia sotto controllo, abbiamo lavorato insieme sugli

accordi commerciali con altre parti del mondo e abbiamo lavorato insieme su

un’agenda forte a favore dei mercati e delle imprese». A Parigi, è stato il turno del

Presidente François Hollande ad ascoltare le proposte britanniche. «La Francia», ha

dichiarato il titolare dell’Eliseo, «vuole che il Regno Unito resti nell’Unione Europea»,

tuttavia «la volontà della gente deve sempre essere rispettata». Cameron ha ribadito

che «lo status quo (dell’UE) non è buono abbastanza» invitando «i suoi 28 membri

ad essere flessibili e immaginativi abbastanza per rispondere a certe questioni». In

Polonia, la Premier Ewa Kopacz ha sottolineato la necessità che Londra non cada nella

tentazione di discriminare i lavoratori polacchi, emigrati in gran quantità in

Inghilterra, negando loro l’accesso ai benefit previsti dalla legislazione britannica. La

tappa più significativa di Cameron è stata comunque quella a Berlino, dove la

Cancelliera, Angela Merkel, si è mostrata piuttosto conciliante. «Dal lato tedesco ci

sono chiare speranze che il Regno Unito rimanga membro dell’UE», ha affermato la

Merkel, esprimendo il desiderio di trovare rapidamente una soluzione condivisa;

anche gli altri 27 Stati dell’Unione, ha continuato, hanno mostrato la «volontà di

perseguire questo tentativo». Cameron ha ringraziato e ha concluso che «non esiste

una soluzione magica e rapida. L’importante è avviare i negoziati, ci saranno difficoltà

e disaccordi, lo sappiamo».

THAILANDIA, 3 GIUGNO ↴

È forte tensione nel Sud della Thailandia in seguito ad

un doppio attacco contro militari nelle province di Yala

e Pattani, che ha causato quattro morti ed otto feriti.

Nel primo attacco, perpetrato nella sera di mercoledì 3

giugno, i quattro commilitoni viaggiavano a bordo di un

auto privata quando un gruppo di ribelli ha aperto il

fuoco con fucili M-16. Prima di abbandonare la scena del crimine, i ribelli si sono

appropriati di tre M-16A2 e di una pistola 380 semi-automatica di proprietà dei

militari. Nel secondo attacco, effettuato nella notte tra il 3 e il 4 giugno, alcuni ribelli

hanno fatto esplodere un’autobomba al passaggio di un blindato ferendo tutti gli otto

militari a bordo. Yala, Pattani e Narathiwat sono le uniche tre province a maggioranza

musulmana in un Paese prevalentemente buddista. L’attacco di Yala arriva in risposta

alle molteplici investigazioni avviate dalle autorità locali in seguito agli attacchi di

maggio nel centro della città, in cui vennero ferite 22 persone. Dall’inizio

dell’insurrezione islamica, nel 2004, sono più di 5.000 le vittime; sembrerebbe che

l’unico scopo degli attacchi sia poter fondare uno Stato musulmano.

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ALTRE DAL MONDO

ALBANIA, 27 MAGGIO ↴

Quella a Tirana tra Edi Rama e Aleksandar Vučić, la prima di un Capo di governo

serbo in Albania, rappresenta una visita dall’alto valore politico per i rapporti tra i due

Paesi e per la stabilità dei Balcani. Nonostante infatti resti profonda la distanza sul

tema del riconoscimento del Kosovo, i due Premier – al loro secondo incontro dopo

la missione di Rama dello scorso novembre a Belgrado all’indomani delle tensioni

generate dall’incidente del drone avvenuto durante la partita tra le due nazionali –

hanno ribadito la necessità di proseguire sulla strada del dialogo reciproco al fine di

proseguire nei rispettivi processi di integrazione europea e di rafforzare la sicurezza

della regione alla luce dei disordini avvenuti in Macedonia. Rama ha in particolare

auspicato che i due Paesi possano seguire il modello franco-tedesco dopo la Seconda

Guerra Mondiale per la riconciliazione nello spazio balcanico.

ARABIA SAUDITA, 29 MAGGIO ↴

A distanza di una settimana dall’attentato alla moschea di Qudaih (22 maggio) –

costato la vita a 21 persone – un nuovo attacco kamikaze contro la comunità sciita

del Qatif (provincia orientale saudita nota anche come al-Sharqiyah), si è registrato

questa volta a Dammam, provocando almeno quattro morti. Anche in questa occa-

sione, l’attentato suicida è stato rivendicato dalla branca saudita dello Stato Islamico

(IS) con un comunicato pubblicato su Twitter. I due attacchi, entrambi aventi come

obiettivo la popolazione sciita delle province orientali, rischiano di trascinare nel

Paese le pulsioni settarie esterne, aprendo di fatto ad una nuova stagione di instabi-

lità politica e di insicurezza nel regno degli al-Saud.

BOSNIA-ERZEGOVINA, 6 GIUGNO ↴

A 18 anni dalla storica visita di Giovanni Paolo II, Papa Francesco ha condotto un

nuovo viaggio apostolico per la promozione della pace a Sarajevo, città simbolo delle

guerre balcaniche degli anni Novanta. All’arrivo all’aeroporto internazionale di Sara-

jevo, il Pontefice ha trovato, ad accoglierlo, in rappresentanza della presidenza il

cattolico Dragan Čović e per l’episcopato locale il cardinale Vinko Puljić, arcivescovo

di Sarajevo e Presidente della Conferenza Episcopale bosniaca. Dopo l’incontro con

le autorità il Papa ha celebrato la messa nello stadio di Sarajevo, davanti a 65 mila

persone, dove ha rinnovato la necessità, per il popolo della Bosnia-Erzegovina, di

ritrovare la pace, rispettando le diversità reciproche.

Page 23: Weekly Report N°15/2015

21

CAUCASO, 27 MAGGIO ↴

Geidar Djemal, Presidente del Comitato Islamico di Russia, avrebbe nominato Mago-

med Suleymanov nuovo leader dell’Imarat Kavkaz (Emirato del Caucaso). Sebbene

non ancora ufficializzata, la nomina, che giunge a meno di due mesi dall’uccisione

dell’Emiro Aliaskhab Kebekov, pare ormai certa. Il nuovo Emiro dovrà far fronte ad

un’opposizione interna che accusa ormai da tempo l’Emirato del Caucaso di essere

eccessivamente moderato e non più intenzionato realmente a portare avanti la lotta

armata. Non è un caso, dunque, l’innegabile aumento delle defezioni tra le fila cau-

casiche in favore di quelle dello Stato Islamico.

EGITTO, 3-4 GIUGNO ↴

Due agenti di polizia sono stati uccisi in una sparatoria nei pressi delle Piramidi di

Giza, nell’area archeologica del Cairo. Secondo quanto riferito dall’agenzia stampa

egiziana MENA, i due agenti sono stati colpiti da tre persone sconosciute e fuggite a

bardo di una motocicletta. Intanto al Cairo, la Corte di Cassazione ha proceduto ad

annullare per vizi procedurali le assoluzioni nei confronti dell’ex Presidente Hosni Mu-

barak, dei suoi due figli (Ala’a e Gamal), dell’ex Ministro dell’Interno Habib al-Adly e

dei suoi collaboratori di partito, fissando l’apertura di nuovi processi al 5 novembre

prossimo.

ETIOPIA, 24 MAGGIO ↴

Nelle elezioni parlamentari, il partito del Premier Hailemariam Desalegn, l’Ethiopian

People’s Revolutionary Democratic Front (EPRDF) ha ottenuto una netta afferma-

zione, conquistando 442 dei 547 seggi disponibili. I principali partiti dell’opposizione

hanno rigettato l’esito del voto, sostenendo di non aver avuto la libertà di condurre

una campagna elettorale.

GRECIA, 4 GIUGNO ↴

La Grecia pagherà la tranche da 305 milioni di euro al Fondo Monetario Internazionale

(FMI) entro la fine del mese di giugno. Il FMI ha confermato che «le autorità greche

ci hanno informato che intendono unire in un’unica soluzione i quattro pagamenti che

la nazione deve al fondo» che, spiega in una nota il direttore della comunicazione

Gerry Rice, dovranno avvenire entro il prossimo 30 giugno, come prevede una clau-

sola adottata dal board esecutivo alla fine degli anni Settanta.

Page 24: Weekly Report N°15/2015

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KENYA, 25-26 MAGGIO ↴

Nella notte tra il 25 e il 26 maggio, nei pressi della città di Garissa, una pattuglia

della polizia è saltata su un ordigno artigianale, posizionata dai miliziani al-Shabaab.

All’arrivo dei rinforzi ne è seguita una sparatoria che ha causato la morte di un poli-

ziotto. Questo ennesimo attacco degli al-Shabaab in Kenya dimostra la volontà dei

jihadisti di voler estendere la propria lotta oltre i confini della Somalia.

LIBIA, 29 MAGGIO ↴

Dopo giorni di furiosi combattimenti contro le milizie di Fajr Libya (Alba Libica) –

quest’ultime più o meno legate al governo filo-islamista di Tripoli –, i gruppi libici

vicini allo Stato Islamico hanno preso il controllo dell’aeroporto di al-Qardabiya, a

Sirte. Intanto le fazioni di Tripoli e Tobruk hanno dato la loro disponibilità a riprendere

i dialoghi di pace, mediati dalle Nazioni Unite nella persona del Rappresentate Spe-

ciale Bernardino Leon, incontrandosi il prossimo 8 giugno in Marocco.

MALI, 25-28 MAGGIO ↴

Un casco blu della missione ONU in Mali, la MINUSMA, è stato ucciso a Bamako ed

un altro ferito, a seguito di un’imboscata tesa da due uomini armati. Un altro atten-

tato ai danni della MINUSMA è stato messo in atto giovedì 28 maggio, e ha causato

il ferimento di tre persone. Entrambi gli attentati sono stati rivendicati da al-Qaeda

nel Maghreb Islamico (AQIM).

MACEDONIA, 2 GIUGNO ↴

Le principali parti politiche (VMRO-DPMNE, SDSM, DUI e PDSh) hanno raggiunto un

accordo per la soluzione all’attuale crisi politica. L’intesa, mediata dall’Unione Europea

nella persona del Commissario per la politica di vicinato e per i negoziati e l’allarga-

mento Johannes Hahn, dovrebbe riguardare in particolare la possibilità di un ricorso

ad elezioni anticipate per il prossimo aprile 2016 e l’avvio di un programma di riforme

istituzionali in cambio dello sblocco dei negoziati di adesione all’UE con un’apertura

(seppur informale) dei capitoli 23 e 24 (sistema giudiziario, diritti fondamentali, si-

curezza e libertà). I dettagli verranno tuttavia ufficializzati nel corso di un nuovo

round di trattative la prossima settimana a Bruxelles.

POLONIA, 24 MAGGIO ↴

Con il 51,55% dei voti il candidato del partito di destra Diritto e Giustizia, Andrzej

Duda, ha vinto il ballottaggio per le elezioni presidenziali in Polonia. Lo sfidante, il

Capo dello Stato uscente, Bronislaw Komorowski, si è fermato al 48,45% dei voti. Il

Page 25: Weekly Report N°15/2015

23

neo-eletto si insedierà ufficialmente il 6 agosto quando dovrà giurare davanti all’As-

semblea Nazionale. L’elezione di Duda pare andare oltre i confini nazionali per pro-

porsi come una nuova sfida per l’Europa dei partiti populisti. Andrzej Duda non ha

mai taciuto, infatti, le proprie posizioni anti-europeiste e contrarie all’entrata della

Polonia nell’eurozona. Il prossimo appuntamento elettorale per la Polonia sarà in ot-

tobre con le legislative alle quali spetterà il compito di rafforzare o invertire la scelta

del 24 maggio.

RUSSIA, 25 MAGGIO – 1° GIUGNO ↴

Nelle ultime settimane l’Artico è stato teatro di forti tensioni tra Russia e NATO. A

partire dal 25 maggio, sia l’Alleanza Atlantica sia la Russia hanno condotto esercita-

zioni militari su larga scala nella regione, dando una reciproca dimostrazione di forza.

Negli stessi giorni, difatti, mentre 3.600 uomini e 115 velivoli militari della NATO e

dei Paesi scandinavi si sono radunati nelle aree settentrionali scandinave, oltre il con-

fine russo, nella regione tra gli Urali e la Siberia, la Russia ha organizzato un’attività

addestrativa non pianificata, schierando sul campo 12.000 uomini e 250 aerei mili-

tari. Per tutta risposta, a partire dal 1° giugno, la NATO ha iniziato una nuova attività

addestrativa negli Stati Baltici e in Polonia, schierando 6.000 soldati di 13 Stati dif-

ferenti.

SPAGNA, 24 MAGGIO ↴

Le elezioni regionali spagnole hanno confermato la forza di Podemos, il partito di

sinistra guidato da Pablo Iglesias. Nonostante i risultati delle elezioni svoltesi in 13

regioni e 8.000 comuni abbiano confermato, in generale, che il Partito Popolare e il

Partito Socialista sono ancora le principali formazioni spagnole, Podemos e Ciudada-

nos sono diventate le terze forze del Paese, arrivando a conquistare anche l’impor-

tante municipalità di Barcellona.

STATI UNITI, 29 MAGGIO - 3 GIUGNO ↴

Negli Stati Uniti è decaduto il Patriot Act, la legge promulgata negli anni dell’ammi-

nistrazione di George W. Bush all’indomani degli attentati dell’11 settembre per in-

crementare la sorveglianza nelle comunicazioni all’interno dei confini americani. In

sostituzione, il 3 giugno il Presidente Obama ha firmato il Freedom Act che permet-

terà comunque alle autorità statunitensi di controllare il flusso di informazioni con il

consenso delle compagnie telefoniche. Intanto, procede il riavvicinamento tra gli USA

e Cuba: L’Avana è stata cancellata dalla lista degli Stati sponsor del terrorismo.

Page 26: Weekly Report N°15/2015

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TUNISIA, 25 MAGGIO ↴

Un caporale in congedo ha aperto il fuoco contro i propri commilitoni nella base di

Bouchoucha, a Tunisi. Il bilancio della sparatoria è di sette morti, tra cui l’attentatore,

e almeno dieci feriti. Le autorità tunisine hanno escluso la matrice terroristica, nono-

stante la rivendicazione di un gruppo jihadista legato allo Stato Islamico.

TURCHIA, 6 GIUGNO ↴

La vigilia del voto delle prossime elezioni parlamentari (7 giugno) è stata segnata

dall’attentato che ha causato la morte di quattro persone e il ferimento di oltre 350

durante il comizio elettorale del Partito Democratico Curdo (HDP) a Diyarbakir. In un

clima di forte tensione, il Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan si è inoltre scagliato

contro la stampa nazionale, minacciando il direttore del quotidiano di opposizione

Cumhuriyet, Can Dündar, per la pubblicazione di un reportage che attesterebbe il

finanziamento dei gruppi armati jihadisti operanti in Siria. La procura di Istanbul ha

chiesto l’ergastolo per Dündar.

Page 27: Weekly Report N°15/2015

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ANALISI E COMMENTI

LO STATO ISLAMICO E IL CALIFFATO: ELEMENTI E LINEE EVOLUTIVE

SIMONE VETTORE ↴

A metà strada tra l’invocazione profetica e l’appello accorato, terminava il primo

scritto in lingua italiana diffuso dallo Stato Islamico (IS); un testo dal chiaro intento

propagandistico ma che probabilmente non è stato adeguatamente analizzato. Infatti

da un lato, complici le concomitanti notizie provenienti dalla Libia, ci si è soffermati

essenzialmente sul passaggio relativo ai propositi di conquista, dall’altro si è posto

l’accento sul fatto che i destinatari del messaggio fossero chiaramente i musulmani

di seconda generazione nati e cresciuti in Italia, vista dunque come terra in cui fare

proselitismo. In effetti dei 14 capitoli per 64 pagine che compongono lo scritto, solo

due (11 e 13) parlano, peraltro in termini estremamente generici, di “politica estera”;

il resto è tutto un alternarsi di citazioni dal Corano, di interviste ad esponenti dell’IS,

di foto e di descrizioni della quotidianità nelle terre del califfo (…) SEGUE >>>

EUROPA VS GAZPROM: LA REGOLAZIONE DEL MERCATO COME ATTO POLITICO?

CLAUDIO GIOVANNICO ↴

Con una comunicazione formale degli addebiti (statement of objections), presentata

lo scorso 22 aprile, la Commissione europea ha concluso l’indagine antitrust avviata

nel 2012 nei confronti del colosso dell’energia russa Gazprom, accusandolo di prati-

che commerciali considerate in violazione della normativa UE in materia di mercati

del gas. Secondo Bruxelles, l’azienda controllata dal Cremlino agirebbe quasi come

un secondo-Stato, perseguendo una vera e propria strategia di separazione dei mer-

cati del gas dell’Europa Centrale e Orientale e abusando, de facto, della propria po-

sizione dominante all’interno dei mercati di otto Paesi dell’Unione Europea: Bulgaria,

Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia e Slovacchia. Nello

specifico, l’accusa mossa dalla Direzione Generale Concorrenza della Commissione

europea si svilupperebbe su tre fronti (…) SEGUE >>>

A cura di

OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE

Ente di ricerca di

“BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO”

Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale

C.F. 98099880787

www.bloglobal.net


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