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Zurich Open Repository and Archive Year: 2009 · sta la formanominativale del nome) e...

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Zurich Open Repository and Archive University of Zurich Main Library Strickhofstrasse 39 CH-8057 Zurich www.zora.uzh.ch Year: 2009 Teoria e principi del mutamento linguistico Loporcaro, M Other titles: Theorien und Prinzipien des Sprachwandels Posted at the Zurich Open Repository and Archive, University of Zurich ZORA URL: https://doi.org/10.5167/uzh-23786 Book Section Published Version Originally published at: Loporcaro, M (2009). Teoria e principi del mutamento linguistico. In: Glessgen, M D; Schmitt, C; Schweickard, W. Romanische Sprachgeschichte/ Histoire linguistique de la Romania : Ein internationales Handbuch zur Geschichte der romanischen Sprachen/Manuel international d’histoire linguistique de la Romania. Berlin - New York: Walter de Gruyter, 2611-2634.
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Zurich Open Repository andArchiveUniversity of ZurichMain LibraryStrickhofstrasse 39CH-8057 Zurichwww.zora.uzh.ch

Year: 2009

Teoria e principi del mutamento linguistico

Loporcaro, M

Other titles: Theorien und Prinzipien des Sprachwandels

Posted at the Zurich Open Repository and Archive, University of ZurichZORA URL: https://doi.org/10.5167/uzh-23786Book SectionPublished Version

Originally published at:Loporcaro, M (2009). Teoria e principi del mutamento linguistico. In: Glessgen, M D; Schmitt, C;Schweickard, W. Romanische Sprachgeschichte/ Histoire linguistique de la Romania : Ein internationalesHandbuch zur Geschichte der romanischen Sprachen/Manuel international d’histoire linguistique de laRomania. Berlin - New York: Walter de Gruyter, 2611-2634.

Romanische SprachgeschichteHistoire linguistique de la Romania

HSK 23.3

≥Bereitgestellt von | UZH Hauptbibliothek / Zentralbibliothek Zürich

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Handbücher zurSprach- und Kommunikations-wissenschaftHandbooks of Linguisticsand Communication Science

Manuels de linguistique etdes sciences de communication

Mitbegründet von Gerold Ungeheuer (†)Mitherausgegeben 1985!2001 von Hugo Steger

Herausgegeben von / Edited by / Edites parHerbert Ernst Wiegand

Band 23.3

Walter de Gruyter · Berlin · New York

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RomanischeSprachgeschichteHistoire linguistiquede la RomaniaEin internationales Handbuch zur Geschichteder romanischen SprachenManuel international d’histoire linguistiquede la Romania

Herausgegeben von / Edite parGerhard Ernst · Martin-Dietrich GleßgenChristian Schmitt · Wolfgang Schweickard

3. Teilband / Tome 3

Walter de Gruyter · Berlin · New York

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!! Gedruckt auf säurefreiem Papier, das dieUS-ANSI-Norm über Haltbarkeit erfüllt.

ISBN 978-3-11-017151-8ISSN 1861-5090

Bibliografische Information der Deutschen Nationalbibliothek

Die Deutsche Nationalbibliothek verzeichnet diese Publikation in der Deutschen Nationalbibliografie;detaillierte bibliografische Daten sind im Internet über http://dnb.d-nb.de abrufbar.

” Copyright 2008 by Walter de Gruyter GmbH & Co. KG, D-10785 Berlin.Dieses Werk einschließlich aller seiner Teile ist urheberrechtlich geschützt. Jede Verwertung außerhalb derengen Grenzen des Urheberrechtsgesetzes ist ohne Zustimmung des Verlages unzulässig und strafbar. Dasgilt insbesondere für Vervielfältigungen, Übersetzungen, Mikroverfilmungen und die Einspeicherung undVerarbeitung in elektronischen Systemen.Printed in GermanyEinbandgestaltung und Schutzumschlag: Rudolf Hübler, BerlinSatz: Dörlemann Satz GmbH & Co. KG, LemfördeDruck und buchbinderische Verarbeitung: Druckhaus „Thomas Müntzer“ GmbH, Bad Langensalza

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221. Teoria e principi del mutamento linguistico 2611

XV. Interne SprachgeschichteHistoire interne des langues

221. Teoria e principi del mutamento linguisticoTheorien und Prinzipien des Sprachwandels

1. Introduzione: questioni di principio2. Lingue e cambiamento fra natura e cultura3. Lo sviluppo del metodo4. Mutamento linguistico e ricostruzione5. La ricostruzione in ambito romanzo e le due

prospettive della linguistica storica6. Sviluppi del metodo ricostruttivo

e classificatorio7. La linea antiimmanentista8. La prospettiva sociolinguistica9. Strutturalismo e funzionalismo

10. La linguistica generativa e la teoriaottimalista

11. Tendenze recenti12. Bibliografia

1. Introduzione: questioni diprincipio

Sul mutamento linguistico s’è scritto moltoe da molte prospettive, anche radicalmentecontrapposte e contraddittorie. C’è chi haasserito che il mutamento linguistico, arigore, non esista (Coseriu 1983), nel sensoche non si dà un oggetto che subisca cambia-menti poiché quel che in realtà cambia neltempo sono le modalità di produzione dellalingua, la quale esiste sempre e solo inquanto riprodotta continuamente dai par-lanti. Ammettere che la lingua muti presup-pone dunque l’ammettere l’utilità dell’astra-zione lingua, il che non è pacifico. Ammessopoi che il mutamento esista, c’è chi ha soste-nuto che esso sia, a rigore, inspiegabile, nelsenso non se ne possano individuare le cause(ad es. Bloomfield 1933, 385: «the causes ofsound change are unknown»; Postal 1968,283: «there is no more reason for languagesto change than there is for automobiles toadd fins one year and remove them the next,for jackets to have three buttons one yearand two the next, etc.»).

Ammesso che sia spiegabile, c’è chi ha pro-posto spiegazioni di natura teleologica (corri-

spondenti ad es. alle contrapposte teleologie,articolatoria e percettiva, proposte per la sin-cronia da modelli funzionalisti quali quellidi Martinet 1962 o di Dressler / Drachmann1977; ovvero all’ottimizzazione della strut-tura linguistica secondo diversi parametri:ad es. Vennemann 1989) e chi, negando lalegittimità della teleologie, ne ha proposte dicausali (p. es. le spiegazioni del mutamentofonologico di Ohala 1989, attinte alla fone-tica sperimentale e additate come ‘cause’ delmutamento: ad es. le restrizioni fisiologicheal mantenimento della pressione subglotti-dale in presenza di occlusione orale, invocatecome ‘cause’ della desonorizzazione delleocclusive, soprattutto se geminate e soprat-tutto se posteriori). All’obiezione ricorrenteche queste ‘cause’ non permettono di preve-dere quando e dove una desonorizzazioneeffettivamente si produrrà – non consentono,cioè, una spiegazione in termini deduttivo-nomologici come nella fisica classica (Lass1980) – Ohala (1989, 174s.) risponde chein molte altre scienze – ad es. in biologia –essendo le cause molteplici e complesse laspiegazione è comunque probabilistica. Allespiegazioni di laboratorio d’altro canto, delmutamento fonetico come della differenzia-zione allofonica, Coseriu (21973, 181, n. 8)obietta che «en este sentido, no podemosesperar nada de los laboratorios, que no sue-len resolver problemas racionales».

C’è, poi, chi nega la legittimità delle spie-gazioni sia causali che teleologiche del muta-mento linguistico (ad es. Lass 1980; 1997).Quanto alla modalità della spiegazione, c’èchi si appella all’assetto formale del sistema(il che presuppone, ovviamente, la legit-timità dell’astrazione sistema / langue / com-petenza) e chi invece a fattori sostanziali: lasostanza fonetica per il mutamento fonolo-gico, la sostanza semantico-pragmatica peril mutamento semantico. C’è chi asserisce

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2612 XV. Interne Sprachgeschichte

la legittimità di una distinzione fra origineprima del mutamento nell’individuo par-lante-ascoltatore e sua diffusione entro lacomunità e chi invece nega che una taledistinzione possa legittimamente operarsi(Weinreich / Labov / Herzog 1968, 135). Frachi la ammette, poi, c’è chi sostiene che lalinguistica, volendo caratterizzare il muta-mento, possa utilmente concentrarsi sulprimo sorgere dell’innovazione (ad es. Ohala1989, 2003; che trascura la diffusione perchéè nell’origine prima dell’innovazione che siscorgono all’opera le cause fisiche, acustico-percettive, del mutamento che egli mette afuoco) e chi invece nega all’innovazione,come fatto individuale di pura esecuzione econ motivazioni fisiche, il titolo stesso dimutamento nella lingua e dunque di oggettod’interesse teorico per la linguistica, cheinvece deve studiare – in quanto mutamentolinguistico – l’‘adozione’ dell’innovazione,atto non più materialmente determinato mapuramente mentale (così Coseriu 21973, 80).

Quanto infine alle modalità del prodursidel mutamento stesso, c’è chi ne ha sostenutola natura graduale e chi ha asserito che siasempre discreto / discontinuo. Vi è poi chidistingue nettamente fra mutamento entroil sistema (interno, dovuto a fattori struttu-rali) e mutamento condizionato dal contattocon altro sistema (è ad es. la distinzione ope-rata da Andersen 1973, 778; 1989; fra muta-mento evolutivo e mutamento adattivo) echi invece sostiene che la distinzione fra ilmutamento all’interno di una lingua e quel-lo per contatto non si possa tracciare netta-mente: così ad es. Thomason (2003, 689),che può asserirlo perché riduce il mutamen-to – con molta della ricerca sociolinguistica,da Weinreich / Labov / Herzog (1968) inpoi – alla ‘diffusione’ di innovazioni entro lacomunità linguistica, escludendo di fatto dalcampo visuale l’innovazione individuale. Sitratta dunque, in quest’ottica, di confron-tare non più, direttamente, un mutamento ditipo interno con quello per contatto fra lin-gue diverse bensì quest’ultimo con quelloper «contatto fra dialetti» della stessa lingua(cf. ad es. Milroy 1992, 88).

In questa selva, le pagine seguenti cerche-ranno di tracciare un percorso, che sarànecessariamente parzialissimo, con l’occhio,naturalmente, alle lingue romanze e allaricerca su di esse, ma senza dimenticare il piùampio contesto della discussione scientificada un lato sulla modellizzazione linguisticatout court, in prospettiva sincronica, dall’al-

tro sul mutamento linguistico aldilà deiconfini della romanistica. Tale ampliamentoappare necessario via via che ci si inoltra nelNovecento, vista la progressiva perdita dicentralità tanto dello studio del mutamentoquanto degli studi romanzi (su di esso e ingenerale). A quest’ultimo fenomeno Vàrvaro(→ art. 37, 417) si riferisce con l’etichettadi «crollo del paradigma romanistico»: comeapparirà chiaro anche da questa sintesi, se fraOttocento e primo Novecento molte delleidee, princìpi, analisi centrali per il dibattitogenerale sul cambiamento linguistico prove-nivano dalla romanistica, oggi si assiste aduna oggettiva marginalizzazione di quest’am-bito disciplinare. Per citare solo alcuni datiesterni, oggi i manuali di linguistica storica /teoria del mutamento linguistico più visibilisulla scena internazionale sono opera di stu-diosi d’altro ambito di specializzazione (cf.ad es. Hock 21992; Campbell 1998; Joseph /Janda 2003; Lass 1997; McMahon 1994),anche in parte perché l’inglese prevale e dun-que gli anglofoni (e eventualmente anche glianglisti, come Lass e McMahon) godononaturalmente di maggior prominenza.

Quanto ai dati, le lingue romanze in talimanuali continuano ad esser rappresentate,benché – si può osservare, a titolo di curio-sità – non senza incidenti, come nel casodell’ottimo manuale dell’amerindianista LyleCampbell, nei cui esempi romanzi gli erroris’infittiscono: ad es. «Old Spanish cavallo <Latin cavallus» – donde prestiti come aca-teco kawayú “cavallo, bestia da soma”, con-trapposto a prestiti come tzeltal sapon (sp. <jabón) – è citato come illustrazione del fattoche lo spagnolo del sec. XVI non dovevaancora aver neutralizzato gli esiti di -- e --intervocaliche latine (Campbell 1998, 71). Sicumulano qui l’errore di fatto (il lat. - non aveva --), quello (veniale) di nota-zione (all’origine della forma romanza nonsta la forma nominativale del nome) equello, infine, d’interpretazione: il compi-mento della neutralizzazione entro il sec.XVI concerne - e - iniziali (cf. MenéndezPidal 91953, 118s.; Weinrich 1958, 92s.), noncerto -- e -- intervocaliche, la cui neutra-lizzazione è proto-romanza. Conclusione: ledifferenze nell’adattamento dei prestiti nellelingue amerindie andranno dunque spiegatealtrimenti; ma il caso è sintomatico del ridi-mensionamento del posto della tradizionelatino-romanza, non più centrale ma una fratante, sulla scena di uno studio globalizzatodel mutamento linguistico.

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221. Teoria e principi del mutamento linguistico 2613

2. Lingue e cambiamento fra naturae cultura

Il mutare nel tempo è condizione consustan-ziale ad ognuna delle lingue storicamentedate nelle quali si esplica la naturale capa-cità di linguaggio sviluppata dalla specieumana. Di ogni lingua di cui abbiamo noti-zia sin dal passato più lontano sappiamo cheè stata soggetta a cambiamento, benché aritmi e con modalità diverse. Come la docu-mentazione del mutamento linguistico, cosìanche la percezione di esso ci accompagnafin dalle origini della nostra tradizione cul-turale. Tale percezione nasce principalmentedall’osservazione della diversità delle lingue(o delle varietà di lingua): se gli ‘altri’ (gliappartenenti ad altri popoli ma anche, entrola nostra stessa comunità, chi differisce danoi per età, collocazione sociale o altro) par-lano diversamente da noi, questa differen-ziazione richiede spiegazione. Di qui la per-cezione del mutamento che fin dal mito diBabele (Genesi 11) viene concepito comeallontanamento da uno stato originario diuniformità e perfezione. Come mostra il mitobabelico, la percezione della diversità lingui-stica e del mutamento, nelle concezioni pre-scientifiche, è strettamente connessa all’ideadi decadenza, decadenza che a sua volta –secondo l’arguta formulazione di Keller(1990, 23) – è sempre constatata (e biasi-mata) come caratteristica della lingua altrui,mai della propria. Dal Genesi in poi, sulladiversità linguistica (e di conseguenza sulmutamento) in molti hanno riflettuto, primache fra Sette e Ottocento si cristallizzasseun metodo scientifico tale da permettere untrattamento sistematico della diversità comedel mutamento.

A questo proposito, all’origine delle cul-ture romanze, va ricordato Dante che, nelDe vulgari eloquentia (I, cap. viii–x), di-scussa l’origine prima della favella umana(cap. i–vii), traccia il quadro degli idiomid’Europa. Per Dante originano dalla confu-sione babelica tre rami costituiti dal greco,dal germanico-slavo e dall’ydioma trifariuma sua volta articolatosi successivamentenelle tre lingue d’oïl, d’oc e del sì; il latinoè concepito come fissazione artificialedell’idioma triforme per consenso fra legenti. Il quadro, ovviamente, va compreso nelcontesto della cultura del Medioevo e divergedalle nostre concezioni odierne. Pur diversa-mente organizzati, contiene nondimeno glielementi fondamentali che hanno da sem-

pre strutturato la riflessione sulla lingua daquando ne abbiamo notizia sino ai giorninostri: il mutamento e la differenziazione,così come la costituzione stessa della lingua,si determinano in una dialettica fra evolu-zione naturale, interna, e modificazione arti-ficiale (ad opera dell’uomo, per consensosociale). I due elementi ritornano nelle paroledi Adamo in Paradiso XXVI 124–138, cuiDante fa dire che il linguaggio umano,«opera naturale», è poi assoggettato all’usoche, come ogni «effetto razionabile», mutanel tempo.

Fra questi due poli s’impostava già la di-scussione del Cratilo di Platone, che trattala questione dal punto di vista dell’originedelle parole e del loro significato mettendoa confronto una concezione ‘naturalistica’di derivazione eraclitea (il significato delleparole è dettato da un rapporto naturale fraesse e l’oggetto designato), di cui è porta-voce Cratilo e per la quale, intervenendocome moderatore, argomenta Socrate ma alfine di ridurla ad absurdum, ed una conven-zionalista, cui dà voce il contraddittore diCratilo, Ermògene, secondo cui il significatodelle parole è stabilito thései, per conven-zione (cf. Pisani 21967, 14; Benedetti 2003,232–234).

Allargando la prospettiva dall’etimologiaalla concezione della struttura della linguain generale e del suo mutare nel tempo, sinotano delle costanti che ci accompagnanofino ad oggi. Per chi considera la linguafenomeno naturale, anche il suo mutamentodipende da fattori naturali, da indagarsicon lo strumentario delle scienze della naturae sottoposti, come i fenomeni naturali, alprincipio di causalità. Per chi concepisce lalingua primariamente come fatto storico-sociale, d’altro canto, gli aspetti di conven-zionalità prevalgono e l’ottica appropriataper lo studio dei fenomeni linguistici (iviincluso il mutamento), considerati soggettinon a causalità (naturale) bensi all’inten-zionalità dell’agire umano, è quella dellescienze storiche e sociali. La teorizzazionesul mutamento linguistico ha costantementeoscillato fra questi due orientamenti, anchedopo lo stabilirsi del metodo scientificomoderno. D’ispirazione naturalistica eranole teorie del mutamento di August Schlei-cher, che guardava alla biologia (e in parti-colare alla teoria evoluzionista darwiniana,cf. Schleicher 1863) come scienza guida, odei neogrammatici, per la cui dottrina delleleggi fonetiche la disciplina di riferimento

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2614 XV. Interne Sprachgeschichte

diventa la fisica. Indicativa la formulazionedella contestazione mossa da Schuchardt(1885, 34) a questa

«frühere[n] Ansicht, welche die Sprache vomMenschen loslöste, ihr ein selbständiges Lebenlieh und welche zuerst in romantisch-mystischer,dann in streng naturwissenschaftlicher Färbungauftrat. Die Lehre von der Ausnahmslosigkeit derLautgesetze […] ragt wie eine Antiquität aus jenerPeriode in die heutige herein, welche der Sprach-wissenschaft den Charakter einer Geisteswissen-schaft zuerkennt, welche in der Sprache keinennatürlichen Organismus, sondern ein sociales Pro-duct erblickt».

Per Schuchardt la dottrina dell’inecepibilitàdelle leggi fonetiche è inficiata dalla parteci-pazione della coscienza ai fatti linguisticie dunque al mutamento, paragonato alladiffusione delle mode (ib., 13s.). Compor-tamento e coscienza umani non si lascianoridurre alle leggi della natura.

Nel secondo Novecento, un richiamo e-splicito al modello delle scienze naturalicaratterizza la linguistica generativa chom-skyana e anche qui sulla differenza di mo-dello si fa leva per vantare la superiorità delproprio approccio sui precedenti:

«One might ask whether there really is a ‘scientificstudy of language’. My own view is that such afield is beginning to take shape. We can begin tosee what the nature of such an inquiry should beand how it might become assimilated to the mainbody of the natural sciences» (Chomsky 1986,271).

Un’interessante formulazione di compro-messo è quella su cui si fonda la teoria delmutamento linguistico di Keller (1990, cap.4.1) il quale definisce la lingua un «feno-meno del terzo tipo», che non può essereeguagliato né ad un’entità naturale, né aduna creazione puramente artificiale ma incui l’elemento naturale e quello artificialesono indissolubilmente connessi. La lingua –e il suo mutare – sono in quest’ottica la con-seguenza causale, come in natura, di unamolteplicità di azioni individuali intenzio-nali, come nel caso degli oggetti artificiali.Gli ambiti della causalità ed intenzionalitàsono demarcati in modo affatto diverso daCoseriu (21973, 29), per il quale «la lenguano pertenece al orden causal sino al ordenfinal». La causalità in diacronia, per Coseriu(1983, 153), vige solo al livello dell’innova-zione individuale, fisicamente determinata,nella parole, ma non nel mutamento in sensostretto, che è invece concepito, schuchard-

tianamente e idealisticamente, come pura-mente intenzionale all’interno di una dina-mica socioculturale, svincolata dalla dimen-sione naturale.

Fra le tante divergenze di vedute cui s’èiniziato a far cenno, un’opposizione fonda-mentale resta quella fra l’ammettere e ilnegare – si accennava in apertura al cap. 1 –la proficuità dell’operazione di astrazioneche porta ad ipostatizzare un oggetto lingua:ammessa, implicitamente o esplicitamente,la liceità di quest’astrazione, si creano i pre-supposti per parlare di mutamenti nelsistema, delle regolarità in essi osservabili edeventualmente di una loro determinazione apartire dal sistema stesso; negata invece lalegittimità dell’ipostasi, la conclusione ob-bligata porterà a negare la regolarità delmutamento ed a sottolineare la variabilità,nel mutamento come nella sincronia, inquanto riflesso della libertà di comporta-mento dell’essere umano. Fra queste duelinee si articola in larga parte la formazionedel metodo in linguistica storica (romanza enon) a cavallo fra Otto e Novecento. Questadistinzione di fondo fornirà una delle chiaviper la lettura che svolgeremo nel seguito, nelcorso della quale vedremo però anche comele due linee non di rado si incrocino.

3. Lo sviluppo del metodo

Archiviato dunque il discorso circa le co-stanti fra la problematizzazione antica emoderna del mutamento (costanti ricondu-cibili in ultima analisi alla dialettica natura-cultura), vediamo su quali fondamenta, spe-cifiche e distinte rispetto alle discussioni deisecoli precedenti, si edifichi il complessodelle concezioni scientifiche moderne alriguardo.

Prendiamo per guida Ferdinand de Saus-sure il quale, introducendo il Cours de lin-guistique générale (1916), propone uno«Sguardo alla storia della linguistica» chedistingue tre fasi nello sviluppo della consi-derazione scientifica del linguaggio (CLG,9–14). Le prime due, soltanto preliminari,corrispondono alla grammatica, orientata afini pratico-prescrittivi e dunque «priv[a]d’ogni visione scientifica», e alla filologia,scienza sì, ma avente per oggetto i testi, nonla lingua. La terza fase «cominciò allorché siscoprì che si potevano comparare le linguetra loro»: con Bopp (1816) la comparazionefra lingue diventa «l’oggetto d’una scienzaautonoma», che continua a sviluppare il suo

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metodo con Curtius, il quale riconcilia filo-logia e linguistica, e Schleicher, che col Com-pendio (1861) propone un quadro generaledella parentela fra lingue secondo il modellodell’albero genealogico. Il punto culminantedi questa terza fase è additato nella scuoladei neogrammatici. Nello Sguardo saussu-riano l’ultima parola sui neogrammatici èriduttiva: «per quanto grandi siano i serviziresi da questa scuola, non può dirsi che essaabbia lumeggiato l’insieme della questione,e ancor oggi i problemi fondamentali dellalinguistica generale attendono una solu-zione» (CLG, 14). Ciò risponde alla retoricadella presentazione (la fondazione di unalinguistica generale deve ancora venire, conSaussure stesso), ma non deve portare a sot-tovalutare la reale continuità di fondo all’in-terno di quella che chiameremo qui la primadirettrice nello sviluppo del metodo dellalinguistica diacronica. Tale continuità è messain luce nel manifesto contrapposto delpiù importante avversatore ottocentesco diquesta prima direttrice. Schuchardt (1885,35), nel suo saggio Über die Lautgesetze. Ge-gen die Junggrammatiker (‘Sulle leggi foneti-che. Contro i neogrammatici’), parla diquesti come dei fautori di un «abbagliantesofisma» che, come già visto al cap. 2, «siradica nell’antica opinione, la quale sepa-rava la lingua dall’uomo, conferendole vitaautonoma». Sta qui l’essenza della primalignée: è la fede nella possibilità di studiarela lingua – e dunque il suo mutare – comestruttura autonoma, indipendentemente, al-meno in prima istanza, dal parlante che ne èportatore e dalla società in cui è in uso. Que-sta prospettiva immanente costituisce il pre-supposto necessario tanto per lo sviluppo delmetodo storico-comparativo, nella lineaBopp-Schleicher-neogrammatici, quanto perquello, nel Novecento, della linguisticastrutturale e poi generativa.

4. Mutamento linguisticoe ricostruzione

Il metodo storico-comparativo che si vieneelaborando in ambito indoeuropeistico èfondato sul riconoscimento di corrispon-denze di suono regolari fra lingue imparen-tate. A sua volta, l’identificazione di tali cor-rispondenze fra entità, martinettianamente,di seconda articolazione presuppone l’iden-tificazione, fra le lingue comparate, di entitàdi prima articolazione (morfemi), a definirel’ambito della comparazione (cf. Belardi

2002, vol. 1, 231ss.). Bopp (1816) inizia colcomparare morfemi nella flessione verbale(ad es. scr. sáca-te, gr. hépe-tai “segue”) e suquesta comparazione morfologica s’innesta,a partire da Rask (1818) e Grimm (1819),quella fonetica, con l’individuazione dellecorrispondenze regolari. Una volta accer-tate queste (ad es. quella che lega lat. septem,got. sibun, scr. saptá “sette”, con s- iniziale,e gr. heptá, avest. hapta “sette”, con h- ini-ziale), si procede postulando un’identità ori-ginaria degli elementi in corrispondenzaall’interno di una protolingua ricostruita. Sipone dunque automaticamente la questionedel mutamento, necessario per spiegarel’origine della corrispondenza. Su una seriesistematica di osservazioni di questo tipo sifonda, con Schleicher, la teoria dell’alberogenealogico, basata sul presupposto che lelingue siano organismi assimilabili a quelliviventi, passibili di nascita, sviluppo e mortee tali da mutare nel tempo per progressivescissioni alla stregua delle specie viventi nelmodello darwiniano (cf. Schleicher 1863).In quest’ottica, il mutamento linguistico sisvolge nel tempo, produce la scissione dicomunità linguistiche in precedenza unitariee può dunque essere impiegato come criterioguida per stabilire un albero genealogico,che fornisce una rappresentazione dellaparentela fra lingue venute a divergere a par-tire da un progenitore comune. Se questonon è documentato, le sue forme devonoesser ricostruite, il che richiede che si rendaconto dei mutamenti intervenuti: tale esi-genza ha portato al cristallizzarsi di unadottrina complessiva del mutamento (inprima istanza, del mutamento fonetico). Nelcaso sopra citato del numerale sette nellelingue indoeuropee, dovendo decidere qualeconsonante iniziale ricostruire come origi-naria, la ricostruzione comparativa proponela scelta fra s- e h-. Soccorre anzitutto il cri-terio della plausibilità fonetica: il muta-mento s > h è interlinguisticamente ricor-rente (ad es. sp. di Andalusia [lɔh �lɔßɔh] loslobos “i lupi”), mentre il cambiamentoinverso non si osserva (così Meillet 1921,47). Si aggiungono considerazioni di rico-struzione interna (cf. ad es. Bonfante 1945;Ringe 2003): il greco presenta alternanzecome ékho “ho” (in cui h- < s- iniziale nonricorre per la legge di Grassmann che impe-disce due aspirate in sillabe consecutive) /éskhon “ebbi”, in cui in posizione preconso-nantica è rimasta una s da considerarsi per-tanto originaria.

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2616 XV. Interne Sprachgeschichte

L’ipotesi di lavoro fondamentale che sot-tende ragionamenti di questo tipo è quelladella ineccepibilità delle leggi fonetiche, si-stematizzata dalla scuola dei neogramma-tici, in particolare nel manifesto di Osthoff /Brugmann (1878, 167; della traduzione ita-liana):

«Ogni mutamento fonetico, fino a dove procedemeccanicamente, si compie secondo leggi inecce-pibili; cioè la direzione del moto fonetico è co-stantemente la stessa fra tutti gli appartenenti auna comunità linguistica, salvo che subentri unascissione dialettale, e tutte le parole in cui il suonosoggetto al moto fonetico appare nelle medesimecondizioni, sono afferrate senza eccezioni dalmutamento».

La regolarità del mutamento viene ricon-dotta alla sua gradualità ed inconsapevo-lezza per il parlante (Paul 1880, cap. 3). Lerealizzazioni di ogni dato suono, in ognimomento dato e in ogni comunità linguisticavariano infinitamente: esse possono iniziarea spostarsi in una direzione costante, deter-minata dall’agio di articolazione, senza chela sensazione motoria del parlante (Bewe-gungsgefühl ) ne sia modificata. Come for-za frenante interviene l’immagine acustica(Lautbild), memorizzata sin dall’infanzia,che permane costante ed alla quale la produ-zione resta ancorata. La prospettiva di Her-mann Paul prelude alla concezione diffusa –ma formulata nei termini seguenti solo infase novecentesca – per cui il mutamento ègraduale nella sua realizzazione fonetica,mentre procede per tappe discrete a livellofonologico. Il che si fonda sulla definizionestessa delle entità dei due livelli: fonetica-mente, una vocale può essere nasalizzata ingrado maggiore o minore, il che permetteuno spostamento articolatorio graduale fravocale orale e vocale pienamente nasaliz-zata; d’altro canto, fonologicamente, unavocale orale (p. es. /ε/ di /�fε/, it. fè “fede”,fr. fait “fatto”) o ha nel sistema una con-troparte nasalizzata, come in francese(p. es. /Λb/ di /�fΛb/ fin “fine”), oppure non l’ha,come in italiano. Non esistono possibilitàintermedie. A rigore, quel che è dunquediscreto non è, in sé, il mutamento di undeterminato elemento fonetico-fonologicobensì il mutamento che intercorre fra unsistema che ha solo vocali orali e un sistemache a queste oppone una serie di vocali nasa-lizzate.

Sempre nei Principi del Paul, il luogo incui si determina la cesura che suggella il

mutamento è il cambio di generazione: quiuna realizzazione fonica che si sia significa-tivamente spostata può essere ricondotta,dal bambino che acquisisce la stessa lingua,ad un’immagine acustica modificata (anchel’idea della discontinuità generazionale co-me sede del mutamento – cf. ad es. già Rous-selot 1891, 349 – è destinata ad aver largoseguito in fase novecentesca; cf. cap. 9). Ilmutamento è in ogni sua fase inconsapevoleed interessa uniformemente, per ipotesi,tutte le parole della lingua che contengano ilsuono in questione nel medesimo contesto(ad es., una -p- che si sonorizzi e spirantizzifra vocali, come accaduto nel passaggio dallatino allo spagnolo, passerà a -β-, sia incabeza “testa” < che in saber <* ecc.).

Cruciale per la concezione neogrammati-cale del mutamento è il trattamento delleeccezioni alle leggi fonetiche. Va detto chequesta concezione, per la quale è invalsal’etichetta di ‘neogrammaticale’, rappresentanon un’invenzione della scuola di Lipsia mapiuttosto la sistematizzazione dei risultati diun progresso collettivo in cui ebbero partelinguisti che in quell’etichetta di scuola nonsi riconoscevano, come Ascoli che ai neo-grammatici rimproverò un’«appropriazioneindebita» della dottrina dell’ineccepibili-tà (cf. Ascoli 1882, 7s., n. 1). Obbiettivo deltrattamento delle eccezioni è di dimostrarnela natura soltanto apparente, in base alricorso – nell’ordine – a fattori interni allostesso livello di analisi (interferenza conaltre leggi fonetiche), a fattori extrafoneticima intralinguistici (analogia) o, infine, afattori extralinguistici (prestito). Ad es. laricorrenza di sequenze [ka] in francese, non-ostante la palatalizzazione di lat. [ka] in[tʃa], si deve a mutamenti applicatisi poste-riormente (ad es. kwa > ka in quand) o all’af-flusso successivo di prestiti (come il lati-nismo capitain, o caisse, dal lat. maper tramite provenzale). Per il trattamentodi questo tipo di fenomeni si sviluppa la dot-trina della cronologia relativa, della quale sipuò vedere quanto alle lingue romanze unriesame critico, puntuale e tale da mettere inquestione molte certezze, in Gsell (1996).

Nonostante il pronunciamento di Saus-sure, fra il metodo della linguistica storico-comparativa, di fondazione ottocentesca, edil Novecento strutturalista che si apre colCLG non si osserva una cesura fondamen-tale. Certo vi è la differenza, innegabile,dello spostamento d’accento sulla tematiz-

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zazione del sistema sincronico e delle sueregolarità. Tuttavia nella tradizione che cul-mina coi neogrammatici tanto la ricostru-zione quanto lo studio del mutamento (e deiconcreti mutamenti intervenuti fra diversefasi, attestate o meno, dello sviluppo neltempo di una determinata lingua) presup-pongono sempre la messa a fuoco delle seriestrutturali in tali mutamenti coinvoltepoiché a queste, e non ad elementi isolati, siapplicano le leggi fonetiche. La formula-zione di queste si fonda sulla fiducia nellapossibilità di osservare nel cambiamentoregolarità immanenti alla lingua. La lingui-stica strutturale e poi generativa condivi-dono questo atteggiamento di fondo: suglisviluppi novecenteschi di questa linea si tor-nerà ai cap. 9 e 10.

5. La ricostruzione in ambitoromanzo e le due prospettivedella linguistica storica

Nello Sguardo saussuriano si riconosce aglistudi romanzi (con quelli germanistici) ilmerito di aver portato «la linguistica piùvicino al suo vero oggetto». Il punto di par-tenza, per le lingue romanze, è la gramma-tica del Diez (1838–43), incentrata sulle seilingue letterarie maggiori. Le generazionisuccessive, sull’impianto della linguistica ro-manza così inaugurato, innestano da un latola considerazione sistematica dei dati evinci-bili dalle fonti scritte sulla transizione lati-noromanza e dall’altro quella delle varietàromanze dialettali. Le due categorie di datinutrono lo studio delle lingue romanze e delloro diversificarsi dal latino secondo le dueprospettive della linguistica diacronica bat-tezzate da Saussure (CLG, 259) retrospetti-va (ricostruzione interna e comparativa, cf.cap. 4) e prospettica (che segue il corso deltempo attraverso i documenti scritti perve-nutici). In quest’ultima prospettiva è con-dotto lo studio sul vocalismo latino volgaredi Schuchardt (1866–68), fra gli atti di fon-dazione della direttrice di studi in linguisticastorica romanza di cui al cap. 7. Orientatadecisamente in senso ricostruttivo è invece,qualche decennio dopo, la Grammatik diMeyer-Lübke (1890–1902), che proietta entrolo schema comparativo dieziano l’enormemole di dati circa la variazione strutturale inambito romanzo acquisita nel frattemponegli studi dialettologici. L’obiettivo fonda-mentale è, secondo il modello di cui al cap. 3,la ricostruzione dell’archetipo comune (il

proto-romanzo) da cui le lingue romanzesono venute a divergere, in particolare attra-verso l’individuazione per via ricostruttivadegli aspetti strutturali non attestati dallatino documentato.

Lo studio dello sviluppo delle lingueromanze in queste due prospettive (cf. perl’impostazione della questione Vàrvaro 1968,87ss.; 92; 142ss.) è consentito dall’enormericchezza di dati di una tradizione che ci ènota a partire dal latino ed è largamentedocumentata e studiata. Questa ricchezza hacomportato anche non pochi problemi teo-rici: centrale quello della (in)conciliabilitàdei risultati della prospezione documentariae della ricostruzione (retrospettiva) circa latransizione dal latino alle lingue romanze(a partire dalla sua collocazione in cronolo-gia assoluta). Com’è stato più volte notato,l’ottica prospettico-filologica ha portatogeneralmente gli studiosi di latino tardo aprivilegiare la persistenza del ‘latino’ (in ter-mini socio-culturali, sociolinguistici e anchestrutturali) e quindi a datazioni basse delladifferenziazione e dell’individuazione dellelingue romanze, datazioni spesso coincidenticon la data dei primi testi compiutamentevolgari a noi pervenuti: così ad es. Löfstedt(1959, 77), per il quale una differenziazioneregionale del latino non si manifesta se nondai sec. VII/VIII o, ancor più radicalmente,Banniard (→ art. 51, 550), che colloca il pro-to-romanzo fra i sec. VIII e IX. Simmetrica-mente, la prospettiva ricostruttiva ha por-tato spesso a retrodatare la differenziazionefra le lingue romanze, collocando il proto-romanzo ben entro la storia linguistica dellatino di Roma, in età imperiale (così ad es.Bonfante 1968, per il quale a Pompei nel Isec. d.C. si parlava italiano) o addirittura inetà repubblicana (così Pulgram 1975 quantoalla ristrutturazione aquantitativa del voca-lismo).

In larga parte queste differenze sono,saussurianamente, un portato del punto divista di metodo: mentre la prospezione docu-mentaria enfatizza la constatazione direttadi variabilità e differenziazione (e compor-tando uno stretto nesso con la dimensioneextralinguistica tende inoltre a favorire unavisione ‘culturalista’ ed antiimmanentistadel mutamento), la ricostruzione assumecome dato di partenza la differenziazione(dialettale) con l’obiettivo di ricondurla adunità, proiettando quest’unità all’indietronel tempo. In questa prospettiva si sono col-tivate discussioni interminabili circa il rap-

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porto reciproco fra latino classico e volgare:per un rapporto di diretta successione cro-nologica ha più volte argomentato Manczak(1994; 1999; 2003), contrapponendosi all’ipo-tesi di un rapporto di collateralità genealo-gica che vede il latino volgare derivare dallatino arcaico in parallelo rispetto al latinoclassico (ad es. Hall 1950; Pulgram 1975,249; Murray / Cull 1994). L’integrazionedello studio in prospettiva prospettica sug-geriva già a Schuchardt (1866–68, 47) unadiversa soluzione: «Der sermo plebeius stehtzum sermo urbanus in keinem Deszendenz,in keinem Aszendenz, sondern in einem Kol-lateralverhältnis», dove il rapporto di colla-teralità è di natura sociolinguistica, nongenealogica. Si tratta delle varietà alta ebassa all’interno del medesimo repertoriolinguistico, varietà che hanno trasmessoentrambe parte dei loro tratti alle lingueromanze (sulla natura diastratico-diafasicadelle differenze entro il latino che preludonoa differenze diatopiche in fase romanza hainsistito in particolare Vàrvaro 1984b). Laprevalenza di tratti del latino parlato popo-lare (sermo plebeius) si spiega con l’accele-rata dinamica di diffusione di innovazioni‘dal basso’ (cf. per il concetto il cap. 8) nellafase di transizione.

In quest’ambito si deve in particolareall’opera di József Herman una sintesi effica-ce fra prospezione e ricostruzione, cheguarda ai documenti latini in modo pun-tuale per ricavarne la cronologia assolutadei mutamenti, all’origine delle lingueromanze (cf. ad es. il distillato in Herman1998, 21), e d’altro canto non rifugge dalporre il problema della transizione comepassaggio (sfumato quanto si vuole, ma pursempre passaggio) dal latino al romanzo. Unpassaggio che molti negano o relativizzanodicendo che le lingue romanze ‘ci sono sem-pre state’ o, che poi è lo stesso, che il latinos’è sempre continuato e non c’è stata maialcuna cesura. Herman (1996, 376) poneinvece il problema della «fine della storia dellatino» come varietà acquisita nativamente,proponendo per la Francia di ricondurre acause strutturali (la caduta delle vocalifinali) la crisi nella comprensibilità che,anche sulla scorta di Banniard (1992), èpossibile collocare all’incirca fra metà sec.VII e metà sec. VIII. In questa fase storicasi colloca, secondo questa visione, l’assesta-mento di una stabile differenziazione fralingue romanze ormai strutturalmente di-stinte.

6. Sviluppi del metodo ricostruttivo eclassificatorio

Da quanto si è detto ai cap. 4 e 5 risulta evi-dente come lo studio del mutamento sialegato strettamente ai temi della ricostru-zione (di protolingue) e della classificazione(di lingue imparentate), poiché una raziona-lizzazione dei rapporti fra lingue, in orizzon-tale come in verticale (rispetto all’asse deltempo), comporta di necessità una raziona-lizzazione dei rapporti determinatisi pervia di mutamento linguistico: fa eccezione lagrande ‘scorciatoia’ che va sotto il nomedi megalocomparazione, tentata da JosephGreenberg e progressivamente radicalizzata,in opposizione al metodo comparativo, sinoalla controversa genealogia delle lingueamerindie proposta in Greenberg (1987). Laricostruzione procede qui in base a compa-razioni ‘multilaterali’ fra lessemi di numeroselingue, che prescindono dall’individuazionedi corrispondenze fonetiche regolari: mache si tratti di un metodo immetodico è statolargamente dimostrato da una folta schieradi critici (cf. le messe a punto di Campbell2003, 264–266; McMahon / McMahon 2005,19–26). Pure svincolato dalla comparazionesu base fonetica e pure controverso è l’altrosviluppo novecentesco del metodo compa-rativo-classificatorio che va sotto il nome dilessicostatistica / glottocronologia. Propo-sto dal linguista statunitense Morris Swa-desh in particolare per poter essere appli-cato a lingue la cui documentazione hascarsa profondità cronologica (cf. Swadesh1950; 1951), il metodo è basato sul tasso dimantenimento di lessico comune, entro unambito definito da una lista di cento (o due-cento) significati che si presumono indipen-denti dalle specifiche culture (ad es. “tutto”,“sangue”, “terra” ecc.). L’idea di fondo diSwadesh che il tasso di perdita di lessicocomune permetta deduzioni circa la crono-logia assoluta delle scissioni fra lingue impa-rentate è ormai consegnata alla storia dellaricerca alla voce illusioni: si veda l’archivia-zione senz’appello della glottocronologia daparte di Dixon (1997, 35s.), Campbell (2003,264). Alcuni recenti studi (cf. una sintesi inMcMahon / McMahon 2005) suggerisconodi scindere l’indifendibile glottocronologia(come metodo per la datazione assoluta)dalla lessicostatistica (come metodo classifi-catorio), proponendo algoritmi per la classi-ficazione basati sul tasso di concordanze les-sicali.

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In questo ambito di studi, condotti danon romanisti, le lingue romanze (nel piùampio quadro dell’indoeuropeo) fungonogeneralmente da banco di prova, in quantocaso ben documentato sul quale verificare irisultati del metodo. Così nello studio diLohr (1999) (se ne riferisce in McMahon /McMahon 2005, 106s.), in base a una listamodificata rispetto a quelle di Swadesh, siperviene a distanze cronologiche (in mil-lenni) come le seguenti: proto-indoeuropeo /greco classico 2,5 (idem per sanscrito elatino classico), latino volgare / francese =italiano = rumeno 1,8. Senza discutere qui idettagli tecnici, è evidente che il giudizio diplausibilità va commisurato a quanto indi-pendentemente si argomenta su base storica(storico-linguistica o storico-archeologica)circa la collocazione in cronologia assolutadelle protolingue in questione. Per l’indoeu-ropeo, le cose cambiano radicalmente aseconda che se ne adotti una collocazionecronologica al V millennio a.C. (ad es. Hoe-nigswald / Woodard / Clackson 2004, 534)ovvero al VI (Renfrew 1987) – e non man-cano le datazioni più alte e più basse. Allostesso modo le distanze cronologiche fralatino volgare e lingue romanze possonoesser giudicate plausibili entro un quadroquale quello di Bonfante (1968; cf. cap. 5) odella cronologia assoluta di Straka (1953,307; 1956), per cui la separazione fra le lin-gue romanze è conclusa entro il sec. III d.C.Tale plausibilità decresce se si adotta la vi-sione storicamente più complessa alla Ban-niard (1992), visione che, si è visto (cap. 5),con Herman (1996) viene sostanziata attra-verso il riferimento a mutamenti strutturali.In quest’ottica, di francese si può parlare apartire dal sec. VII, e dunque la distanza cro-nologica di 1800 anni prodotta dal computodi Lohr (1999) comporta un errore del 28 %.

Tornando infine all’ambito disciplinaredella romanistica, da ricordare qui un altroindirizzo di studi anch’esso basato su metodiquantitativi, la dialettometria. Essa mira asostanziare la classificazione di varietà im-parentate in base a computi di distanzastrutturale svolti sui dati forniti dagli atlantilinguistici (su cui cf. cap. 7). Si veda l’illu-strazione del metodo in Goebl (→ art. 58),con rimando alla bibliografia precedente.

7. La linea antiimmanentista

Facciamo un passo indietro. Abbiamo con-siderato ai cap. 3 e 4 l’origine di un para-

digma di studio del mutamento linguisticobasato su di una considerazione immanentedei fatti linguistici, che postula l’individua-bilità di mutamenti nella lingua. Conside-riamo ora, per così dire, il controcanto,ovvero lo svilupparsi di una considerazionedel mutamento linguistico che – alla finfine – s’impernia sulla negazione dellasistem(at)icità del mutamento e, al limite,dello stesso fenomeno «lingua». Il già piùvolte citato Hugo Schuchardt sta, inambito romanistico, all’origine di questaseconda linea di pensiero. Quando l’indeu-ropeista Johannes Schmidt, fautore – perinciso – della chiamata a Graz di Schu-chardt, nei suoi Rapporti di parentela fra lelingue indoeuropee (1872) contrapponevaalla teoria schleicheriana dell’albero genea-logico (cf. cap. 4) la teoria delle onde, egliriprendeva idee già sviluppate da Schu-chardt (1866–68, III; 1870). Negando che ilmutamento si propaghi solo nel tempo sinega ipso facto che esso si possa produrreistantaneamente determinando scissioninette fra lingue secondo il modello adalbero ereditato dall’Origine delle specie diDarwin. Al contrario, sostiene Schuchardt(1870) nella sua lezione per la libera docenzalipsiense, se si considera il dominio romanzosi constata una variazione graduale che nonsi presta a cesure nette. Proiettata sull’assedel tempo, questa visione genera automa-ticamente una concezione del mutamentoincompatibile con l’applicazione regolare,istantanea ed estesa all’intera comunitàdelle leggi fonetiche (cf. Osthoff / Brugmann1878). Di qui nasce la critica al modello neo-grammaticale, argomentata per esteso inSchuchardt (1885), critica che, come giàricordato, ha per fulcro l’idea che il muta-mento, come la lingua stessa, sia fenomenoculturale e intenzionale (donde il citatoparagone con le mode e la loro diffusione).

Ispirati da queste idee di fondo, prendonoavvio negli ultimi decenni del sec. XIX glistudi di geografia linguistica, il cui prodottoe al contempo strumento di lavoro fonda-mentale è costituito dagli atlanti linguistici.La prima impresa si avvia nel 1876 in ambitogermanistico con lo Sprachatlas des Deut-schen Reiches di Georg Wenker, cui fannoseguito, in area romanza, l’Atlas linguistiquede la France (ALF, iniziato nel 1897 e pub-blicato nel 1902–10), l’Atlante italo-svizzero(AIS, progettato a partire dal 1911 da KarlJaberg e Jakob Jud e pubblicato nel 1928–40)e poi molti altri (→ art. 8). Episodio signi-

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ficativo della contrapposizione fra otticastrutturale-immanente ed ottica geolingui-stica è la polemica di Paul Meyer (1875)sugli Schizzi franco-provenzali in cui Ascoli(1875) individuava, appunto, il tipo dialet-tale denominato franco-provenzale. Al cheMeyer opponeva l’arbitrarietà (e, in fondo,l’illegittimità) dell’individuazione d’un tipo(d’ogni tipo) dialettale. La disponibilitàdelle carte d’atlante fornì argomenti empi-rici alla critica della dottrina neogrammati-cale del mutamento. Particolarmente rap-presentativi di tale critica i saggi d’inter-pretazione delle carte dell’ALF di JulesGilliéron, la cui contestazione dell’ineccepi-bilità delle leggi fonetiche si riassume nelmotto «chaque mot a son histoire». Esem-pio paradigmatico è la lettura della carta320 dell’ALF («gallo») in Gilliéron / Roques(1912, 121–131), ove si osserva la cooccor-renza nei dialetti sudoccidentali dei conti-nuatori di e con gli inattesi[a�zã] < e [bi�gej] < cheabbracciano un’area compatta, rispettiva-mente, nel centro-sud e nel nord della Gua-scogna, dai Pirenei fino a Bordeaux. L’intru-sione di questi tipi lessicali è spiegata comemisura ‘terapeutica’ (nei termini di Gilliéron1921) ad evitare un potenziale conflittoomonimico: l’area delle sostituzioni è infattiinclusa nell’area di -- > [t] (bat < ),cosicché si sarebbe avuto > *gat,omofono di gat < .

È però ovvio che l’illustrazione di questavicenda particolare (così come in generale leargomentazioni di Gilliéron), lungi daldimostrare l’infondatezza del metodo neo-grammaticale, presuppone l’identificazionedel mutamento regolare -- > [t]. Con leparole di Vàrvaro (→ art. 37, 416), «la sua[di Gilliéron] geolinguistica integra ed arric-chisce, ma non capovolge affatto, la teorianeogrammaticale». Semplicemente, da unlato la presuppone per deduzioni partico-lari, dall’altro in generale le aggiunge unadimensione, essendo la sua prassi effettiva,aldilà delle asserzioni di principio, concepi-bile in sostanza – secondo la formulazionedi Vàrvaro (1983, 125) – come la proiezionesul terreno, in forma di isoglosse, dei nodidell’albero genealogico schleicheriano.

Quest’ultima formulazione riduce la por-tata operativa delle revisioni alla teoria lin-guistica ed alla teoria del mutamento intro-dotte dalla geolinguistica. Resta comunquel’ideologia contrapposta che la sottende,bene esplicitata da Schuchardt (1870) o

Meyer (1875), secondo cui da un lato ilmutamento linguistico è essenzialmenteirregolare e non discreto (e si diffonde diparola in parola, come osserva Gauchat1905, 232), e dall’altro i suoi effetti sono ter-ritorialmente continui, tanto da inficiare lalegittimità dell’operazione di individuazionedi dialetti (vicini) come sistemi distinguibili.Queste concezioni trovano un naturale svi-luppo in fase novecentesca con l’applica-zione allo studio del mutamento di teorie eprincipi della sociolinguistica.

8. La prospettiva sociolinguistica

Negli studi dialettologici sul campo non sitardò ad osservare nei fatti che la variazioneed il mutamento interessano anche la dimen-sione sociale, oltre a quella temporale ed aquella geografica, e che anche tra gli infor-matori di un medesimo villaggio e, al limite,di una medesima famiglia, si possono ri-scontrare differenze. Importanti a questoproposito in particolare i lavori di dialetto-logia gallo-romanza di Rousselot (1891) eGauchat (1905, 220), il quale conclude:«L’unité du patois de Charmey, après unexamen attentif, est nulle». Ad un’analisiempirica di questa ‘eterogeneità ordinata’,ed allo studio delle sue implicazioni per lacomprensione del mutamento, si è dedicatala sociolinguistica quantitativa, legata spe-cialmente al nome del suo massimo rappre-sentante William Labov. Che questa abbiafra le sue fonti d’ispirazione la geolingui-stica in particolare romanza e le opere dellatradizione dialettologica attenta alla varia-zione all’interno della comunità (come icitati Rousselot 1891 e Gauchat 1905, 232,per il quale a sua volta Schuchardt 1885 è«livre de chevet») è ampiamente ricono-sciuto in sede di storiografia della ricerca(cf. Koerner 2001). Il maestro di Labov,Uriel Weinreich, è definito da Malkiel(1968) «l’ultimo allievo di Jakob Jud», conallusione al soggiorno elvetico (1949/50) invista della tesi dottorale servita di base alsuo Lingue in contatto (1953), testo capitaledella sociolinguistica novecentesca.

Oltre alla diffusione del mutamento neltempo (asse diacronico) e nello spazio (assediatopico), la sociolinguistica tematizza ilsuo procedere attraverso la comunità lingui-stica, lungo le dimensioni diafasica e dia-stratica. In quest’ottica, sancita dal manife-sto di Weinreich / Labov / Herzog (1968), lavariazione di questi due assi, endemica in

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221. Teoria e principi del mutamento linguistico 2621

ogni società complessa, è intesa come pre-condizione necessaria di ogni mutamento, ilquale può diffondersi attraverso gli stili e icontesti d’interazione ed attraverso diversigruppi di parlanti (gruppi sociali, fasced’età): «Non sempre la variabilità ed etero-geneità della struttura linguistica comportail cambiamento; ogni cambiamento, al con-trario, presuppone variabilità ed eteroge-neità» (ib., 201). Il procedere del mutamentoentro la comunità linguistica è così conce-pito: un cambiamento inizia «quando unodei numerosi tratti, tipici delle variazionidell’esecuzione linguistica, si diffonde in unparticolare sottogruppo della comunità»(ovvero, in una formulazione più recente, «alinguistic change is equivalent to the diffu-sion of that change», Labov 2003, 9, posi-zione con molti precedenti: cf. ad es. Coseriu21973, 82, e ivi i rimandi a Paul, Bally, Pisaniecc.). Il tratto variabile assume allora «signi-ficato sociale» e «viene generalizzandosigradatamente» (Weinreich / Labov / Herzog1968, 201). Al termine di questo processo,«quella che inizialmente era una variabilesarà divenuta ormai una costante», non piùconnessa ad alcun significato sociale. Peripotesi, dunque, il compimento di qualsiasimutamento presuppone una fase di variabi-lità, che è stata modellizzata diversamentenelle diverse fasi della ricerca, dapprima permezzo di regole variabili (cf. per il concettodi regola sincronica il cap. 9), poi, utiliz-zando il formalismo della teoria dell’ottima-lità (cf. cap. 10), attraverso la gerarchizza-zione variabile di vincoli.

Un concreto esempio romanzo è quellodello spostamento in atto verso sud, in Ca-labria centrale, dell’isoglossa della neutra-lizzazione delle vocali atone finali. Tale iso-glossa è fissata da Rohlfs (1966, 187) allalinea Cetraro-Bisignano-Melissa, ma neglistudi sul crotonese di Romito et al. (1997),Loporcaro et al. (1998) (Crotone è a suddella linea) si è mostrato come i parlanti, chemantengono distinte tali vocali negli stili piùaccurati (ad es. [�vaʃ~υ] “basso”, [�vaʃ~]“bassi”, [�vaʃ~a] “bassa” nella lettura di cop-pie minime, così come avviene nei dialettipiù a sud fino alla Sicilia), neutralizzinoinvece progressivamente tali vocali via viache si riduce la formalità dello stile ([�vaʃ~ə]“basso, -a, -i” in parlato spontaneo). Se nepuò render conto con una regola variabile/υ a / → (ə)/ __ # (stile trascurato) (cf. ades. Labov 1977, 46), dove tale variabilità èsimboleggiata dall’inclusione fra parentesi

dell’output. I fattori influenzanti la variabi-lità possono essere diafasici, come in questocaso, o diastratici, o di ambo i tipi. Essi con-corrono a determinare l’indice della varia-bile, corrispondente alla percentuale direalizzazione delle varianti di tale variabile.Al che si è da più parti obiettato che non èperspicuo come un indice quantitativo diquesto tipo debba essere inteso, nella model-lizzazione della competenza del parlante,che evidentemente non terrà conto mental-mente di quante volte avrà prodotto, in unadata unità di tempo, la variante 1 (p. es. -[]finale) e quante la variante 2 (p. es. -[ə]).Ad ogni modo, con questo strumentario ilmutamento può essere rappresentato comeun progressivo spostamento degli indici,sino al raggiungimento del 100 % dellavariante in espansione, divenuta costante.

Dissolta, per ipotesi, la regolarità delmutamento di matrice neogrammaticale, delmutamento socialmente condizionato siosserva anche il procedere graduale attra-verso il lessico della lingua (diffusione les-sicale, Wang 1969). Il modello si presentacome compattamente alternativo alle idee difondo sviluppate nella prospettiva imma-nente (cap. 9 e 10), adottata nel Novecentodalla linguistica strutturale e generativa. Diqueste Weinreich / Labov / Herzog (1968)criticano il postulato dell’omogeneità dellastruttura linguistica, idealizzata nella languesaussuriana – considerata un paradosso inquanto «fatto sociale» (nel senso che Saus-sure eredita dalla sociologia durkheimiana;cf. Coseriu 21973, 32s.) da studiarsi però indi-pendentemente dalle circostanze sociali –e poi nella competenza chomskyana. Con-nessa alla critica del postulato dell’omoge-neità è la critica all’assunto della discontinuitàgenerazionale come sede del mutamento.Si osserva da un lato che le generazioninon sono cronologicamente discrete nel lorocomplesso e, dall’altro, che il comporta-mento linguistico dell’individuo è soggetto aprogressiva modificazione anche dopo l’in-fanzia. L’illiceità di una distinzione netta frail bambino, nei cui processo di acquisizioneha luogo il mutamento, e l’adulto, deposita-rio di un sistema stabile, è argomentatanei decenni successivi in molti approcci anti-formalisti di diversa natura (così nel quadrodella teoria evoluzionista del mutamentopropugnata da Croft 2000, 44–51, o nelpandiacronicismo, anch’esso richiamantesiall’evoluzione, di Blevins 2004, 217–236).Anche all’interno degli studi di indirizzo

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2622 XV. Interne Sprachgeschichte

sociolinguistico quantitativo non mancano lesfumature: la posizione prevalente restringela capacità di diffondere mutamenti agliadolescenti (cf. ad es. Kerswill 1996; Labov2003, 21). Romaine (1989) non esclude d’al-tro canto che anche l’imperfetta acquisi-zione nel bambino possa giocare un ruolo,mentre già Gauchat (1905, 231) metteva indubbio la tesi della discontinuità generazio-nale coll’argomento – da più parti ripreso inseguito, cf. ad es. Aitchison (32001, 209) –che i bambini non sono dotati di influenzasociale.

In generale, la tendenza prevalente inquest’approccio, già enunciata da Weinreich /Labov / Herzog (1968), è quella di identifi-care lo studio del mutamento con lo studiodel riassetto progressivo e continuo di rap-porti di variazione considerati consustanzialiall’uso linguistico in ogni tempo e luogo.

Poiché la variabilità è osservabile e misu-rabile, anche tale riassetto lo è: attraversoil confronto fra comportamenti variabilidivergenti di diversi gruppi sociali e secondodiversi stili (studio del mutamento in tempoapparente, in particolare attraverso le genera-zioni, preconizzato da Gauchat 1905) nonchéattraverso lo studio in tempo reale, più com-plesso ma in linea di principio realizzabile(cf. la panoramica di Labov 1994, 73–112).In tal modo la teoria sociolinguistica delmutamento contraddice alla visione tradi-zionale che proclama l’inosservabilità delmutamento in atto (cf. ad es. Meillet 1921,47: «le linguiste n’envisage dans tous les casque des correspondances; ce sont les seulsfaits positifs qui lui soient donnés; le resten’est que théorie et construction hypothéti-que») e riduce lo studio di questo allo studiodi corrispondenze diacroniche fra stati dilingua successivi.

È interessante notare come il prosecutoredell’opera di Weinreich e massima autoritàin questo indirizzo di ricerca abbia inseguito assunto una posizione conciliatoriarispetto alla radicalità di Weinreich / Labov /Herzog (1968), concludendo che «languagechanges in two different ways» (Labov 1994,471), ossia che non ogni mutamento appareassoggetato a diffusione lessicale. Sono tali,tendenzialmente, i mutamenti «dall’alto»,irradiati da varietà più prestigiose e soste-nuti da un alto grado di consapevolezzasociale (ib., 542). Per contro, il mutamento«dal basso» tende ad essere regolare («muta-mento neogrammaticale»: l’esistenza anchedi questo tipo di mutamento dimostrano gli

studi sociolinguistici empirici passati in ras-segna in ib., cap. 16–18; e cf. già Labov1981). Nei termini di Labov (2005), il muta-mento dal basso si esplica nella trasmissionegenerazionale, mentre il mutamento per dif-fusione è orizzontale, producendosi preva-lentemente nel contatto fra adulti: si haanche qui un tentativo di conciliazione fra imodelli dell’albero genealogico e della teo-ria delle onde (estesa, quest’ultima, dalladimensione diatopica a quella diastratica).La conciliazione laboviana ha però incon-trato resistenze da parte di sociolinguisti perquesto aspetto più radicali, i quali ribadi-scono che ogni mutamento fonologico è uncaso di prestito (interdialettale o interperso-nale; cf. Milroy 1992, 88; Phillips 1984;Bybee 2002) e che dunque mutamenti cheprocedano con regolarità (di tipo neogram-maticale) non esistono.

9. Strutturalismo e funzionalismo

Di nuovo un passo indietro. Saussure col-loca se stesso allo sbocco di una linea che vada Bopp a Schleicher ai neogrammatici. Lalinea alternativa vi si contrappone, riba-dendo per contrasto questo percorso (Schu-chardt 1885 critica i neogrammatici e Schu-chardt 1917 recensisce criticamente il CLG)e completandolo con l’aggiunta della lingui-stica strutturale e generativa (Weinreich /Labov / Herzog 1968; cf. cap. 8). È tempodunque di dire qualcosa sullo sviluppo dellaprospettiva immanentista nello studio delmutamento in fase novecentesca. È notocome il CLG saussuriano, mettendo a fuocoil sistema sincronico e le relazioni fra ele-menti che lo strutturano, neghi però per ladiacronia la rilevanza della dimensione si-stemica: «I fatti diacronici nemmeno ten-dono a modificare il sistema. Non si è volutopassare da un sistema di rapporti a un altro;la modificazione non riguarda la organizza-zione, ma gli elementi così sistemati» (CLG1916, 104).

A questo antiteleogismo, proseguito entrola scuola ginevrina nelle note formulazionicirca la non funzionalità del mutamento(Bally 31950, 18: «les langues changent sanscesse et ne peuvent fonctionner qu’en nechangeant pas»), si contrappone la proie-zione in diacronia del funzionalismo dimatrice praghese, che introduce nello studiodel mutamento un elemento di teleologismo(attribuendo al sistema tendenze evolutivesue proprie, già inscritte nell’assetto sincro-

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nico) che era estraneo a Saussure. Applicatodapprima in ambito fonologico, quest’o-rientamento trova espressione nei Principi diRoman Jakobson (1931) e poi nella sistema-tizzazione di Martinet (in particolare Marti-net 1955). Jakobson, osservando che nontutti i mutamenti fonetici hanno ripercus-sioni sul sistema, riserva a quelli che nehanno la definizione di mutazioni fonologi-che, distinte in fonologizzazione (creazionedi opposizione fra due elementi in prece-denza non opponentisi distintivamente),defonologizzazione (l’inverso) e rifonologiz-zazione (modificazione di un’opposizionefonologica in conseguenza di un mutamentofonetico che colpisca uno dei suoi termini oentrambi, ridefinendone i rapporti con glialtri elementi del sistema). Lo stesso schemaè stato poi applicato ad altri componentistrutturali. In ambito semantico, Coseriu(1964; 1977, 68s.) distingue nell’evoluzionelatino-romanza fra creazione di opposizione(fr. enfant e garçon che si dividono lo spettrosemantico in precedenza occupato da puer)e perdita di opposizione (solo fr. noir inluogo di ater ≠ niger, caso in cui s’è gene-ralizzato il termine marcato, mentre nelrum. alb in luogo dell’opposizione albus ≠candidus s’è generalizzato il termine nonmarcato). In questa considerazione strut-turale della semantica stanno le radici deglisviluppi più recenti nello studio del muta-mento semantico in ambito romanzo (cf.ad es. Blank 1997; 2003; Blank / Koch1999; Krefeld 1999a), che innestano sullatradizione strutturalista la metodologiadella linguistica cognitiva di matrice anglo-sassone.

Sempre a partire dalla fonologia è svilup-pato il modello funzionalista di Martinet(1955; 1962), imperniato sulla dialettica fon-damentale fra bisogno comunicativo e ten-denza alla riduzione dello sforzo, militantil’uno a favore l’altra contro il mantenimentodi opposizioni. Con questa dialettica inter-agisce quella tra forma e sostanza: sul pianoformale, risponde alla riduzione dello sforzola tendenza alla simmetria, con la quale ilsistema tende a economizzare sui tratti di-stintivi necessari a garantire le opposizioni.D’altro canto, sul piano sostanziale, ilminimo sforzo tende a produrre asimmetrienel sistema come effetto dell’asimmetriadegli articolatori, giacché la regione poste-riore si presta peggio, per ragioni di coordi-namento motorio, al mantenimento delleopposizioni: questa la spiegazione addotta

per U > [y] in francese. Esempio di muta-mento indotto dai bisogni comunicativi è ilmutamento a catena (di pulsione o di tra-zione), come nel caso delle alterazioni subitedalle occlusive intervocaliche sorde e sonorenella Romània occidentale (Martinet 1955,249ss.).

Si può ben dire che il funzionalismo siaun motivo unificatore delle applicazioni dia-croniche della linguistica strutturale, anchese è vero che per funzionalismo, come delresto per strutturalismo, si è di fronte amacro-etichette che raccolgono a comundenominatore linee di pensiero anche moltodiverse fra loro. Questa differenziazione sivede se si considerano gli sviluppi dellostrutturalismo diacronico nella romanisticatedesca. Qui il passaggio dall’indirizzo tra-dizionale, frutto dell’innesto sul metodoneogrammaticale della prospettiva geolin-guistica, allo strutturalismo si riassume, bio-graficamente, nel passaggio da GerhardRohlfs a Heinrich Lausberg, il cui lavoro suidialetti calabro-lucani (Lausberg 1939) co-stituisce il punto d’innesto delle dottrinestrutturaliste, applicate come strettamentefunzionali all’illustrazione del mutamentoed alla spiegazione delle radici diacronichedella variazione dialettale (cf. Krefeld 1993;1999b, 17). In questo stesso spirito Weinrich(1958, 11) si volge al modello martinettianoper evincerne una «fonologia minimale»,uno strumentario efficace ma agile, nonvòlto a replicare ed affinare se stesso a con-tatto coi dati diacronici e dialettali mapiuttosto finalizzato all’inquadramento diquesti ultimi. Nasce sotto questo segnoanche la considerazione del mutamento lin-guistico di Helmut Lüdtke, che dall’applica-zione a questioni concrete di ricostruzionedella transizione latino-romanza (Lüdtke1956) si allarga progressivamente a svilup-pare un modello generale del mutamentod’impianto funzionalista. Per tale modello,si può dire, nella generale definizione strut-turalista della lingua come sistema di segnifunzionale alla comunicazione l’accento èsenz’altro su quest’ultimo aspetto, chesecondo Lüdtke (1987, 390) rappresenta lacausa generalis del mutamento, tale da di-spensare dalla ricerca di cause e di spiega-zioni specifiche del perché un mutamento xsi sia prodotto nel momento ti; così giàCoseriu (21973, 150), per cui la spiegazionedel fatto singolo sarà di natura non razio-nale ma storica. Di qui la critica alle conce-zioni di Saussure e di Chomsky, ad es. in

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2624 XV. Interne Sprachgeschichte

Lüdtke (1987, 390). Una critica di analogotenore, sviluppata con particolare riguardoal mutamento in Coseriu (21973), accomunal’altra grande figura da menzionare, ricor-dando gli sviluppi maturi dello struttura-lismo. Tanto Lüdtke quanto Coseriu, perinciso, costituiscono tuttora termini di raf-fronto per le discussioni teoriche sul muta-mento anche aldilà del recinto degli studiromanzi: cf. ad es. la menzione delle posi-zioni di Coseriu, sia pur mediata da Ander-sen (1989), nel lavoro d’indirizzo sociolin-guistico quantitativo di Marshall (2004, 59),mentre il modello pragmaticista del muta-mento (semantico-lessicale) di Keller (1990,147ss.) assume il funzionalismo di Lüdtke(1980; 1986; e cf. da ultimo la summa diLüdtke 2005) come costante termine di con-fronto dialettico, pur ponendo l’accentopiuttosto sulla funzione manipolativa chenon su quella comunicativa dell’azione lin-guistica. Sia Lüdtke che Coseriu criticanola visione saussuriana, riassumibile nellasimilitudine degli scacchi (Lüdtke 1987, 390)e nell’idea di langue oggettivizzata comeentità sovra- ed impersonale (cf. Coseriu21973, 33–39), mettendo l’accento sulladeterminazione del sistema di segni ‘lingua’ad opera dell’attività costantemente espli-cata dai parlanti, attività a sua volta qualifi-cata essenzialmente dalla propria funzionecomunicativa: «la lengua no funciona por-que es sistema, sino, al contrario, es sistemapara cumplir una función» (ib., 30). Special-mente in Coseriu, questa posizione apparedirettamente debitrice nei confronti di con-cezioni idealistiche: costante il riferimentoalla definizione humboldtiana della linguacome enérgeia, attività, non esistente se nonricreata continuamente negli atti linguisticidei parlanti, mentre il sistema di segni èpiuttosto, humboldtianamente, érgon, pro-dotto dell’attività. Come si vede, questoindirizzo approda, a livello di princìpi, aduno scardinamento dell’ottica immanenteche la sociolinguistica weinreichiana (cf.cap. 8) criticava in Saussure e che Schu-chardt criticava nei neogrammatici.

Questa interna tensione entro il funziona-lismo di matrice strutturalista europeadiventa un’aperta contrapposizione (rispettoalla linea formalista della grammatica gene-rativa, cf. cap. 10) nei più recenti sviluppi fun-zionalisti, in particolare quelli riassunti sottola macro-etichetta di approccio funzional-tipologico: cf. ad es. Comrie (1981), Croft(2001), Dixon (1994), Givón (1984), per

citare alcuni capiscuola che pur con moltedifferenze aderiscono all’assunto di fondoper cui la forma linguistica non è modelliz-zabile autonomamente bensi è determinatadalla sostanza (e dalla funzione, definita neitermini di questa sostanza: la semantica-pragmatica per la sintassi, la fonetica per lafonologia). La principale direttrice di studidiacronici scaturita da quest’approccio èquella della teoria della grammaticalizza-zione, termine coniato da Meillet (1912) adindicare la trasformazione di un elementolinguistico da lessicale in grammaticale (ades. lessema > morfema [flessivo]). Attraversomolti sucessivi raffinamenti, nel metodocome nella definizione (cf. una sintesi inCampbell / Janda 2001), corrispondenti amolti studi di natura tipologica interlingui-stica (ad es. Hopper / Traugott 1993; Heine2003, ecc.), il concetto di grammaticalizza-zione (in sé la designazione d’un processo, od’un complesso di processi) è stato pro-mosso allo status di elemento definitoriod’una teoria. Fra le molte ricadute per lostudio del mutamento in ambito romanzosi può citare, ad es., l’analisi degli ausiliarie dei processi di ausiliarizzazione, temaampiamente indagato in prospettiva tipolo-gica (Heine 1993; Kuteva 2001), che corri-sponde in diacronia ad uno dei tratti salientiche distinguono la sintassi romanza rispettoal latino (cf. ad es. Squartini 2003 per la dia-cronia degli ausiliari del passivo, Harris /Ramat 1987 per gli ausiliari perfettivi).

10. La linguistica generativae la teoria ottimalista

La prospettiva immanente dello struttura-lismo saussuriano si continua oltre Oceanonella linguistica generativa. Trait d’union èqui la figura di Jakobson, il cui allievo MorrisHalle è fra gli iniziatori della fonologia gene-rativa. Tanto in sincronia quanto in diacroniaquesta è strettamente basata sull’ipotesidell’omogeneità della comunità linguistica,la cui diversificazione interna viene messa inparentesi così che il sistema di cui si ipotizzaportatore il parlante-ascoltatore ideale possaessere studiato in sé e per sé. Quest’ottica siapplica anche allo studio del mutamento,dove l’analisi si concentra sulla descrizionestrutturale del cambiamento nel sistema,ritenendo che la considerazione sociolingui-stica alla Labov metta a fuoco fatti i quali«concern more properly the social explana-tion for the spread of the change, a matter

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which seems more properly sociologicalthan linguistic» (Postal 1968, 284).

La concezione del parlante-ascoltatoreideale, esposta per la fonologia da Chomsky /Halle (1968), è alla base della teorizzazionegenerativa anche in sintassi, ambito centralenel quale Chomsky ha sviluppato la suariflessione sul linguaggio. Ma anche in que-sta fase della ricerca, come già nel passato, leapplicazioni alla diacronia sono venute dap-prima nel campo dello studio del muta-mento fonologico. Qui vanno ricordati –poiché rilevanti in prospettiva generale –alcuni dettagli tecnici, anzitutto il passaggioad una modellizzazione dinamica della strut-tura linguistica. Se lo strutturalismo conce-piva il sistema come rete di relazioni (oppo-sitive) fra elementi, il primo generativismointroduce la nozione di processo sincronico:non si dirà, dunque, semplicemente che negliitaliani calo e callo si ha variazione conte-stuale fra un allofono [a~] lungo in sillabaaperta accentata non finale ed un [a] brevealtrove, ma si dirà piuttosto che [a~] di calo èfrutto dell’applicazione di un processo sin-cronico di allungamento che modifica /a/soggiacente. Di questo tipo di processi con-siste il componente fonologico, che è partedella modellizzazione della competenza lin-guistica del parlante. Per la divisione dellavoro fra sincronia e diacronia (e dunqueper lo studio del mutamento) questa diversaconcezione presenta sia opportunità cherischi. Da un lato, diviene possibile model-lizzare in modo omogeneo tanto il sistemasincronico quanto il mutamento: in sincro-nia, il componente fonologico è composto diprocesi (o regole) e il mutamento, a partireda Kiparsky (1965) e King (1969), può esserconcepito come aggiunta, soppressione oriordino di regole. Ad es., responsabile delladistribuzione sincronica delle quantità voca-liche nell’italiano attuale è una regola allo-fonica instauratasi, probabilmente, sul finiredell’età imperiale (dal tardo sec. IV, secondoHerman 1982) che, da quando si generalizzòall’intera Penisola, è rimasta parte dellacompetenza linguistica dei parlanti. Questovale per l’italiano standard su base toscana,mentre la regola è stata soppressa nei dia-letti settentrionali all’atto della degemina-zione: ne è risultato quello che nei termini diJakobson (1931) si definiva fonologizza-zione della quantità vocalica distintiva eche, in linguistica generativa, si definisceristrutturazione della rappresentazione sog-giacente (mil. [ka~l] “calo” ≠ [kal] “callo”).

Il rischio insorge dalla combinazione diquesta tecnica di rappresentazione con l’as-sunto dell’invarianza fonologica del mor-fema (cardine del modello di Chomsky /Halle 1968) a sua volta dipendente dallaminimizzazione del lessico. Ciò comportal’indistinzione fra regole con effetti allofo-nici e morfologici e conduce in fin dei conti areplicare entro la derivazione fonologica sin-cronica i mutamenti diacronici che hannodeterminato le alternanze sincronicamenteosservabili. Così ad es. in Schane (1968, 142,n. 36) la rappresentazione soggiacente deifrancesi fine [fin], fin [f Λb], brune [bʁyn], brun[brœ] corrisponde all’etimo proto-romanzo,con una vocale soggiacente finale nei femmi-nili (|brυn+a|, |fn+a|), cancellata in deriva-zione, e la nasalizzazione osservabile neimaschili derivata per regola. Il che vuol direche né la cancellazione di schwa finale nél’insorgere delle vocali nasali hanno portatoa ristrutturazione: restano regole sincroni-camente attive. Analoghe procedure adot-tano gli studi sorti nella stessa temperieculturale dedicati ad altre lingue romanze:ad es. Harris (1969); Saltarelli (1970). Fra glianni Settanta e Ottanta un correttivo vieneapportato da modelli dinamici quali la fo-nologia lessicale (Kiparsky 1985) o la fonolo-gia naturale (Stampe 1979; Dressler 1985),che tornano a distinguere processi / regolesecondo i livelli (allofonico / postlessicale,morfonologico / lessicale), proponendo comemeccanismo centrale del mutamento diacro-nico un «ciclo di vita» delle regole fonologi-che (Kiparsky 1995, 657–659, corrispondenteall’«iter di deiconizzazione» di Dressler1980, 117) che le vede nascere alla superficiecome foneticamente motivate e quindi pro-gressivamente convenzionalizzarsi / lessica-lizzarsi.

Quanto al formato della rappresenta-zione, dagli anni Ottanta la fonologia havisto lo sviluppo dei modelli autosegmen-tali, imperniati sulla distinzione di diversilivelli di rappresentazione, al di sopra e al disotto di quello segmentale: al livello subseg-mentale i tratti distintivi vengono concepiticome organizzati gerarchicamente nei cosid-detti modelli geometrici (a partire da Cle-ments 1985), che riproducono le relazionispaziali tra gli articolatori, mentre al di sopradei segmenti si postulano i costituenti silla-bici (e / o eventualmente, come in Hyman1985; Hayes 1989, un livello intermedio frasegmenti e sillaba costituito da unità di pesoquantitativo), la sillaba, il piede ecc., prose-

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guendo via via lungo le categorie organiz-zate entro la gerarchia prosodica (cf. Nespor /Vogel 1986, che ne propongono una teoriagenerale con applicazione specialmenteall’italiano), sino all’‘enunciato fonologico’(phonological utterance). Questa modellizza-zione è applicata ipso facto anche al muta-mento, anche in parte per il perdurare dellatendenza alla mancata distinzione fra dia-cronia e sincronia. La linea generale è quelladi presentare i fenomeni segmentali comeguidati da restrizioni computabili sui livelliprosodici sovraordinati. Così ad es. Hayes(1989) tratta (l’insorge de)i fenomeni diallungamento compensativo come limitatialla cancellazione di consonanti in coda sil-labica e non a quelle nell’attacco di sillaba,poichè quest’ultimo, nel modello ivi propo-sto di fonologia morica, non è associato adun’unità di peso quantitativo. Applicazionialla diacronia romanza di questa modelliz-zazione hanno riguardato in particolare ifenomeni di riassetto quantitativo, comel’insorgere del raddoppiamento fonosintat-tico (Repetti 1991) o la (ri)fonologizzazionedella quantità vocalica nei dialetti italianisettentrionali (Montreuil 1991; Repetti1992).

Tanto in fonologia quanto in sintassi, laconcezione generativa del mutamento man-tiene l’assunto di fondo della discontinuitàgenerazionale come sede del cambiamentolinguistico: cf. ad es. in fonologia King(1969); Andersen (1973); in sintassi Light-foot (1991; 1999) ecc. Il che si comprendebene, sul piano teorico generale, vista la cen-tralità che la tematica dell’acquisizione(ovvero, della strutturazione della compe-tenza specifica in una lingua data a partire daun meccanismo universale supposto innato,il language acquisition device) assume nelmodello chomskyano e, dal punto di vistaoperativo, visto l’assunto di base dell’attri-buzione della competenza modellizzatadalla teoria linguistica ad un parlante-ascol-tatore ideale. Il tentativo di conciliazione fraquest’ipostasi del sistema come oggettodello studio del mutamento ed esigenze direalismo sociolinguistico (osservazione dellavariazione, del contatto e dei mutamenti daquesto determinati) porta Andersen (1973;1989) a distinguere fra mutamento ‘evolu-tivo’ («a change entirely explainable in termsof the linguistic system that gave rise to it») emutamento ‘adattivo’ («a change not explain-able without reference to factors outside thelinguistic system in question»; cf. Andersen

1973, 778), entrambi modellizzati dinamica-mente attraverso regole fonologiche. Frai due tipi Andersen (ib., 780) stabilisce inol-tre una gerarchia di economicità: «of twoalternative explanations of a change – one ofwhich interprets the change as evolutive, theother as adaptive – the former should bevalued more highly for its greater simpli-city».

Gli anni Novanta portano un nuovomutamento d’indirizzo, che vede l’archivia-zione dei modelli dinamici ed il prevalere dimodelli statici. Il più fortunato fra questi èla teoria dell’ottimalità (proposta dapprimacon applicazione alla fonologia da Prince /Smolensky 1993 ma successivamente estesaagli altri componenti), che rappresental’emergere della struttura linguistica di ognispecifica lingua come determinato da unagerarchizzazione operata in fase di acquisi-zione a partire da una serie di restrizioni(vincoli) universali, tutte di per sé violabili.Ad es. il vincolo * osta alla presenza diconsonanti in coda sillabica. Una sua collo-cazione alta nella gerarchia potrà compor-tare l’inammissibilità di sillabe chiuse in unalingua data (è il caso di lingue austronesianecome il figiano o il samoano). In base allagerarchia dei vincoli si procede alla valuta-zione delle forme potenziali (‘candidati’)prodotte dalla funzione (eratore). Pre-vale il candidato che violi vincoli collocatipiù in basso nella gerarchia rispetto a quelliviolati da altri candidati.

Il mutamento, in quest’ottica, consiste nelriordino di due o più vincoli entro la gerar-chia, ed alla stessa stregua la variazione sin-cronica è concepita come prodotto della ge-rarchizzazione variabile di uno o più vincoli(vincoli fluttuanti: cf. Nagy / Reynolds 1997).Così la defonologizzazione della quantitàvocalica distintiva latina (cf. ad es. Holt2003b, 295) viene analizzata in questo qua-dro come il riordino gerarchico di un vin-colo Stress-to-weight (SW) che impone cheuna sillaba tonica sia bimorica. In latinoquesto vincolo (universale) era violato daforme come [�kanis], con sillaba tonicamonomorica, poiché a SW (vincolo di tipostrutturale, come il citato *) era sovra-ordinato un vincolo della categoria dei vin-coli di ‘fedeltà’, ()-[-IO, chepenalizza l’inserzione di more nel candidatooutput rispetto all’input. Per questo inlatino all’input /�kanis/ corrisponde, comecandidato vincente, un output con vocalebreve tonica, in violazione di SW, mentre in

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proto-romanzo la promozione di -[-IOad una posizione più alta nella gerarchiadetermina l’emergere come grammaticaledella forma con allungamento di sillabaaperta accentata continuatasi ininterrotta-mente sino all’italiano odierno.

Le stesse modalità sono applicate allarappresentazione del mutamento sintattico,in particolare in ambito romanzo (cf. ades. Sprouse / Vance 1999; Vincent 2000;LaFond 2003). Fra i temi più indagati la per-dita dell’opzione del soggetto nullo nella sto-ria del francese, formalizzata come un rior-dino dei vincoli ()() (“Leave argu-ments coreferent with the topic structurallyunrealized”, violato da costituenti fonetica-mente realizzati coreferenti col topic) e() (“Parse input constituents”, violatonel caso elementi dell’input non trovino rap-presentazione nell’output): i due vincoli,definiti nell’analisi sincronica del franceseodierno da Grimshaw / Samek Lodovici(1996), sono ripresi per l’applicazione alladiacronia in LaFond (2003, 401). In anticofrancese DT dominava , il che permettevadi non riprendere con un pronome fone-ticamente realizzato il soggetto già datonel contesto di discorso (topic); in francesemoderno la gerarchizzazione è invertita( >> DT) e tale ripresa è obbligatoria(cf. ib., 402). In quest’ambito teorico si con-tinua la discussione su temi di fondo che –abbiamo visto – accompagnano l’analisi delmutamento sin dall’Ottocento, con la distin-zione fra origine e diffusione / trasmis-sione. Sempre a proposito dell’instaurazionedell’obbligatorietà del soggetto pronominalein francese, LaFond (ib., 397) accoglieda Sprouse / Vance (1999) l’integrazione didati quantitativi sulla frequenza di ricor-renza delle due costruzioni in competizione(con e senza pronome espresso) nelle fasi ditransizione e conclude che il riordino di vin-coli è il risultato, non la causa, del muta-mento.

11. Tendenze recenti

L’inserzione entro il quadro strutturale didati quantitativi pone un problema generale(come già accennato per le regole variabili delparadigma della sociolinguistica quantitativalaboviana al cap. 8). Ed in effetti, se neglistudi di orientamento formalista come quelliora menzionati si mira a inserire le conside-razioni quantitative entro il modello struttu-rale – qui corrispondente alla formalizza-

zione ottimalista – gli studi di orientamentofunzionalista (ad es. Bybee 1994; 2000; 2002)tendono ad usare considerazioni di frequenzacome argomento contro la liceità dellapostulazione d’una struttura autonoma.Così Bybee, nel suo riesame della questionedella diffusione lessicale del mutamento(cf. cap. 8), conclude che la variazione (fone-tica) superficiale incide direttamente sullarappresentazione soggiacente. Ne derivauna critica ai modelli che trattano il muta-mento postulando una struttura fonologica(ad es., una rappresentazione soggiacenteinvariante del fonema) che si modifica regi-strando con un cambiamento discreto unospostamento graduale dell’entità corrispon-dente sul piano della sua realizzazionesostanziale nell’esecuzione. Ciò rimette inquestione l’idea ricevuta, più volte ribaditain forme via via aggiornate, da Paul (cap. 4)alla teoria dell’ottimalità (cap. 10).

Dopo alcuni decenni (nella seconda metàdel Novecento) in cui gli studi d’ispirazionefunzionalista-sostanzialista (di cui in con-clusione al cap. 9) rimanevano nettamentedistinti da quelli d’orientamento conven-zionalista-formalista (del tipo discusso alcap. 10), negli ultimi tempi si assiste ad unaconvergenza, nel senso che in quest’ultimoambito iniziano ad aver corso tematicheproprie della linea di ricerca funzionalista(come la grammaticalizzazione – cf. cap. 9 –,trattata nello studio diacronico di sintassigenerativa di Roberts / Roussou 2003) e ten-dono a farsi spazio considerazioni di tiposostanziale-antiformalistico. Gli esiti sono avolte paradossali, come nel caso della sin-tassi minimalista chomskyana, che dai primianni Novanta propone una retorica all’in-segna della minimizzazione della strutturasintattica, mentre la concreta prassi anali-tica è rimasta quella di una formalizzazionedella sintassi estremamente (anzi, semprepiù) complessa. Non sono mancate le appli-cazioni alla diacronia, come gli studi di Lon-gobardi (1995; 2001) sullo sviluppo delfrancese chez che, in un quadro comparativoromanzo, postulano fra lo stadio [casa]e lo stadio [chez] un passaggio intermedioassimilabile allo stato costrutto delle linguesemitiche. Questi studi sono condotti all’in-segna del motto per cui la sintassi nonsarebbe il locus di mutamenti primari(ovvero autonomi) e dunque lo studio delmutamento sintattico dovrebbe tendere ide-almente a mostrare che ciò che appare talein realtà

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«originates as an interface phenomenon, in thesense of Chomsky’s Minimalist Program, perhapsjust for reasons concerning the relation betweenlanguage and the external world (pressures fromthe conceptual and articulatory-perceptualsystems)» (Longobardi 2001, 278).

È evidente la distanza fra queste formulazionie l’originario motto chomskyano dell’auto-nomia della sintassi, la cui ricaduta diacro-nica corrisponde all’individuazione di mu-tamenti che la struttura sintattica innescaindipendentemente da altri componentistrutturali e, a maggior ragione, dalla dimen-sione extralingusitica. Un esempio di analisidel mutamento puramente sintatticista èquello degli studi di sintassi diacronicaromanza di La Fauci (1988; 1997), il cui asseportante è l’individuazione di una deriva cheha portato il proto-romanzo ad innovarerispetto al latino acquisendo molti trattimorfosintattici corrispondenti ad un allinea-mento attivo-inattivo, mentre lo svilupposuccessivo delle lingue romanze ha teso aricondurre tali tratti all’originario orienta-mento accusativo-nominativo. Ma è anchequi questione di ottica: Bentley (2006), nelmodello funzionalistico della role and refe-rence grammar, rianalizza questa vicenda dia-cronica non considerando i due tipi di alli-neamento determinati sintatticamente bensìconsiderando il tipo attivo-inattivo comedeterminato in termini direttamente seman-tici (come già, pur con diverse sfumature,Mithun 1991, 542; Dixon 1994, 77). Lavicenda romanza è in questa rianalisi ilfrutto non di un complesso di mutamentisintattici autonomi bensì d’una tensione frasintassi e semantica.

L’ambito in cui attualmente si delinea piùvigorosa una corrente di studi diacronicid’orientamento coerentemente formalista èquello della morfologia, dove in particolare ilavori di Maiden (2003; 2004; 2005) appli-cano alla diacronia ed alla variazione dialet-tale romanza lo strumentario della morfolo-gia autonoma (morphology by itself, cf. Aro-noff 1994). In tali studi, il livello d’analisimorfologico viene isolato come sede di gene-ralizzazioni strutturali autonome relative, inparticolare, all’assetto paradigmatico, che siritiene possano guidare il parlante in sede diacquisizione ed al prodursi del mutamento.Tradizionalmente dell’assetto paradigma-tico è stato individuato un effetto livellante,tendente all’eliminazione di irregolarità (ana-logia: ad es. la sostituzione di vedo al rego-lare esito veggio < ), ma è merito in

particolare di Maiden (1992) l’aver mostratoche anche le irregolarità possono espan-dersi, purché sorrette da un paradigma,come nel caso della II macroclasse del verbo(-ere, -ire) nella storia dell’italiano, dovesono sorte nuove alternanze (in quanto con-correnti a segnalare, appunto, l’apparte-nenza del verbo a tale classe), mentre entrola I macroclasse (-are) tali irregolarità veni-vano livellate. Esempio rivelatore è quellodel riassetto del paradigma nel passaggiodal lat. all’it. uscire (cf. Maiden 1995),la cui u- protonica si giustifica da un lato perinflusso del lessema uscio (una delle spiega-zioni tradizionali), dall’altro sul piano fono-logico, in quanto lo sviluppo fonetico rego-lare di avrebbe creato un’alternanzapriva di riscontri fra è- e Ø- (cf. sciame <). Ma a ciò si è aggiunta l’azioneindipendente della struttura astratta delparadigma morfologico, che ha contribuitoa incanalare il mutamento verso uno schemadi alternanza radicale (una base alla I e allaVI persona, un’altra – connessa alla prece-dente per regola morfonologica – alla II e IIIed un’altra ancora, quella con u-, alla IV eV persona) che ritorna, pur nella totale dif-ferenza del contenuto fonetico delle celledel paradigma e dei processi morfonologicicoinvolti, in verbi come ad es. tenere o venire.

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222. Histoire interne du roumain: systèmes phonique et graphique 2633

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Michele Loporcaro, Zürich

222. Histoire interne du roumain: systèmes phonique et graphiqueInterne Sprachgeschichte des Rumänischen: Laut- undSchriftsystem

1. ‘Le spécifique’ du roumain dans le systèmephonique

2. La graphie et l’orthographe de la langueroumaine – une histoire agitée

3. Bibliographie

1. ‘Le spécifique’ du roumaindans le système phonique

La majorité des historiens de la langue rou-maine admet que celle-ci peut être appréciéecomme une nouvelle qualité – celle d’idiomeroman bien délimité – du latin danubien àpartir du VIIIe s. Le principal argumentpour l’établissement de ce terme est consti-tué par le statut de l’influence slave: bienqu’au VIIIe s., celle-ci se soit manifestée avecquelque intensité, il est significatif que lesanciens emprunts slaves (et, bien sûr, les em-prunts ultérieurs) ne subissent plus les trans-formations que les éléments latins et dusubstrat avaient connues. Survenus dans lecontexte de la disparition de l’unité du latinà la suite de la décomposition de l’Empiretrois siècles auparavant, perte accentuéeaussi dans les provinces danubiennes par unisolement précoce de ces provinces par rap-port à la romanité occidentale, ces change-ments – pour la plupart phonétiques – déter-minent déjà l’individualité de la langueroumaine, mais sans altérer sa nature latine.La conservation de cette nature a été dé-montrée par des statistiques, anciennes ourécentes; par ex., l’une d’entre elles affirmeque le roumain a modifié le vocalisme latin

seulement dans une proportion de 23,50 %par rapport au français, où la proportionest de 44 %, ou au portugais, avec 31 % (Pei1949, 138; cf. aussi Macrea 1982, 161–174).

Dans une étude dont les conclusions ontgardé, dans leur majorité, une actualité,Puscariu (1931–33) essayait de déceler «lespécifique roumain dans la phonétique etdans la phonologie de notre langue», tenantcompte justement de semblables conserva-tions ou changements, de tendances et dephénomènes manifestés en diachronie. Envoilà quelques-uns: «la concentration del’énergie de la prononciation au début desmots au détriment des syllabes moyennes etfinales» ([v]inum > [v]in, [bl]andus > [bl]ând,par rapport à lupu[m] > lupu, nome[n] >nume); l’assourdissement des voyelles finales(pl. lup[i�], adun[i�] – ind. prés. 2e sg.); l’absen-ce de la sonorisation des consonnes sourdesintervocaliques (ri[p]a > râ[p]a, ca[s]a >ca[s]a); deux voyelles nouvelles, ‘hétérorga-niques’: [a] et [î]; la tendance à l’accomoda-tion ou à la différenciation, habituellementrégressive, avec des sons voisins ou en grou-pes consonantiques, qui a contribué à l’ap-parition d’une multitude de phénomènes etde sons nouveaux (o[c]to > o[p]t, co[x]a >coa[ps]a, c[a]mpus > c[â]mp, b[e]ne > b[i]ne,b[o]nus > b[u]n, roga[t]ionem > ruga[c]une,[d]eorsum > [j]os, [c]ena > [c]ina, sub[t]ilis >sub[t]ire, [d]eus > [z]eu, [s]ic > [s]i, *[qu]ator> [p]atru, lin[gu]a > lim[b]a, m[o]la >m[o�a]ra, etc.); «l’aversion de la langue rou-maine pour le hiatus» (Puscariu 1931–33,

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