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Angelo Beolco il Ruzante, Moschetta, a c. di Luca D'Onghia, Venezia, Marsilio, 2010 [pp. 391]

Date post: 25-Jan-2023
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ANGELO BEOLCO IL RUZANTE Edizione critica e commentata diretta da Ivano Paccagnella 0010.coll_patrocinio.qxp 12-05-2010 9:47 Pagina 1 (Nero/Process Black pellicola)
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IL RUZANTE

Edizione critica e commentatadiretta da Ivano Paccagnella

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Marsilio

RuzanteMoschetta

edizione critica e commento a cura di Luca D’Onghia

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© 2010 by Marsilio Editori® s.p.a. in Venezia

Prima edizione: giugno 2010

ISBN 978-88-317-0596

www.marsilioeditori.it

Volume pubblicato con il contributodella Scuola Normale Superiore di Pisa

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INDICE

9 Introduzione

85 moschetta

87 Prologo99 Atto primo

138 Atto secondo154 Atto terzo188 Atto quarto208 Atto quinto

227 Egloga de Ruzante nominata la moschetta

241 Intermedio d’una comedia de Ruzante alla Pavana

247 Rasonamento de Ruzante

253 Sinossi di Egloga, Intermedio, Rasonamento

263 Nota al testo

323 Criteri di edizione

327 Indice delle parole e dei fenomeni linguistici annotati

351 Bibliografia

379 Indice dei nomi

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premessa

Il testo critico della Moschetta stabilito qui è fissato sulla princeps, di cui sonostati collazionati dieci esemplari; i risultati di tale collazione sono presentatinella nota al testo, che s’incarica di descrivere anche la restante tradizione astampa. Quanto all’annotazione a piè di pagina, essa mira a spiegare nellamaniera più esauriente possibile il testo, offrendo con larghezza i frutti di un’e-splorazione quasi ovunque di prima mano della letteratura dialettale e popola-reggiante cinquecentesca: per ogni battuta o paragrafo si troveranno una tra-duzione di servizio e una serie di illustrazioni e rinvii. Solo dove risultasserofunzionali a una migliore comprensione sono state aggiunte osservazioni lin-guistiche, per lo più di carattere sintattico, recuperabili nell’indice delle paroleannotate. Tale limitazione è imposta dalla mancanza di un’edizione critica del-l’intero corpus ruzantiano, che fornirebbe l’unica base di uno spoglio linguisti-co esauriente capace di sostituire quello benemerito ma invecchiato di RichardWendriner. L’impresa è avviata, ma ancora lontana dalla conclusione.Questo libro rappresenta la rielaborazione della tesi di perfezionamentodiscussa alla Scuola Normale Superiore di Pisa nel marzo 2008. La mia grati-tudine va anzitutto ai relatori, prodighi di rettifiche, osservazioni e consigli chehanno reso il lavoro meno difettoso: Claudio Ciociola, Vittorio Formentin,Fabrizio Franceschini, Angela Guidotti, Lucia Lazzerini, Ivano Paccagnella,Mirko Tavoni e Piermario Vescovo. A molti altri devo suggerimenti e aiuti pre-ziosi: desidero ringraziare di cuore almeno Chiara Battistella, Nello Bertoletti,Andrea Bocchi, Cosimo Burgassi, Alberto Casadei, Carlo Alberto Girotto,Marco Guardo, Eugenio Refini, Chiara Schiavon, Claudia Tardelli e LorenzoTomasin. Anche in questa occasione Alfredo Stussi mi ha guidato con sapienzae impareggiabile sollecitudine: il debito nei suoi confronti è quello maggiore.Questo libro è per Leyla, per il pezzo di strada che abbiamo fatto insieme.

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INTRODUZIONE

«Non ti conoscerà se tu non vuoi...»L. Da Ponte, Il Don Giovanni, II, ii

1. Dopo un’elaborazione pluriennale collocabile con buona verosimi-glianza tra il 1529 e il 1533, la Moschetta fu stampata per la prima voltaa Venezia nel 1551 da Stefano di Alessi, a quasi un decennio dalla mortedell’autore. La princeps non è però la sola testimonianza di cui sidisponga: il più importante dei manoscritti ruzantiani, il Marciano Ita-liano XI 66 (= 6730), tramanda infatti con il titolo di Egloga de ruzantenominata la moschetta il prologo e l’inizio del primo atto d’una prece-dente redazione, altrimenti sconosciuta, della commedia: testimonianzaparziale ma importante, perché consente di riferire la prima messa inscena della Moschetta al carnevale ferrarese durante il quale furono reci-tati il secondo Negromante e la Lena di Ludovico Ariosto. Il prologomarciano si stacca presto dalla commedia e circola come testo autono-mo: lo si trova, con poche varianti, nel manoscritto 1636 della Bibliote-ca Civica di Verona con il titolo di Intermedio, e quindi nelle edizioni astampa delle Tre Orationi come Rasonamento 1.Nel manoscritto Marciano la Moschetta è dunque chiamata “egloga” enon “commedia”: i due termini sono quasi interscambiabili nell’usodell’epoca, ma è assai probabile che la denominazione di “egloga”possa qui riferirsi, come ha argomentato Giorgio Padoan (PADOAN1998), a un testo più breve di quello consegnato alla stampa e non anco-

1 D’ora innanzi, per evitare ogni possibile ambiguità, la redazione marciana sarà indicatacome Egloga-Moschetta. Per i rapporti reciproci e la tradizione dell’Egloga-Moschetta, dell’In-termedio e del Rasonamento vd. oltre § 8 e soprattutto la Nota al testo, §§ 2-4.

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introduzione

ra strutturato in cinque atti secondo le norme della commedia regola-re 2. Quanto alla brevità, ne producono indiretta conferma le carte la-sciate bianche nel codice affinché la copia dell’Egloga-Moschetta fosse com-pletata: quattro, appena sufficienti a contenere, insieme alla carta e mez-zo già vergata, un testo di poco più lungo del Parlamento, che, copiatodalla stessa mano, occupa immediatamente prima quattro carte intere.Fornisco fin da subito, per chiarezza, un riassunto della commedia:

ATTO PRIMO: Menato arriva a Padova spinto dall’amore per la comare Betìa, dapoco trasferita in città con il marito Ruzante (I); l’incontro con la donna, cherifiuta di riallacciare l’antica relazione adulterina, convince Menato a provoca-re ad arte un litigio tra Betìa e Ruzante per riprendersi la comare (II). Entra inscena il soldato bergamasco Tonin, vicino di Ruzante e anch’egli innamorato diBetìa (III), che ne gradisce il corteggiamento e accoglie con una serie di civette-rie e doppisensi la sua visita (IV). I due sono interrotti dall’arrivo di Ruzante,soddisfatto della truffa appena architettata ai danni di Tonin, cui ha sottrattodel denaro fingendo che gli sia stato rubato; il soldato e Ruzante hanno unabreve discussione sui soldi perduti: Tonin lascia perdere per non compromet-tere la possibilità di avere Betìa, mentre Ruzante è convinto di averlo intimori-to con i suoi modi da smargiasso (V). ATTO SECONDO: Menato convince Ruzan-te a travestirsi per mettere alla prova la fedeltà di Betìa; Ruzante accetta minac-ciando di uccidere la moglie se questa si rivelasse infedele (I). Tonin si lamentaper la truffa subita e progetta di vendicarsi (II), mentre Menato riflette sugliesiti della prova suggerita al compare e si dice certo che Betìa cadrà in trappo-la e reagirà malamente allo scherzo del marito (III). Ruzante entra in scena tra-vestito da soldato spagnolo e, pur presentendo le possibili conseguenze dellasua azione, trucca la sua lingua e dalla strada chiama Betìa: la donna si affacciaalla finestra e dopo un rapido scambio di battute cede alle lusinghe dello stra-niero. Ruzante va su tutte le furie ed entra in casa minacciando la moglie (IV).ATTO TERZO: Nonostante le preghiere del marito, per vendicarsi dell’affrontosubito Betìa fugge da Tonin; frattanto Ruzante finge di essere stato aggreditoper rubare a Menato la veste con cui si era travestito, ma quando riesce adallontanare il compare si accorge che Betìa non è più in casa (I). Una vicina,dalla finestra, informa Ruzante che Betìa è da Tonin (II), ma questi si rifiuta direstituire la donna e si accoppia con lei mentre parla a Ruzante, che dalla stra-da chiede di entrare nella casa del soldato (III). Alla finestra di Tonin si affacciainfine Betìa, che umilia il marito e gli assicura che non tornerà mai più con lui(IV); non hanno esito migliore le richieste dirette a Tonin, che pretende la resti-tuzione del denaro truffato: a questo punto l’unico modo per impietosire la

2 Sul significato teatrale della parola cfr. anche GUARINO 2005: 312: «Egloga era sinonimo dipersonaggi umili e di sermo humilis» (e bibliografia lì raccolta); in generale vd. ora BORTO-LETTI 2008.

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moglie sembra a Ruzante quello di inscenare il proprio suicidio (V). ArrivaMenato: dopo aver saputo che Betìa è ancora da Tonin, rimprovera aspramen-te il compare e non resistendo alla gelosia decide di trattare personalmente conil soldato la restituzione della donna (VI); Menato è ricevuto in casa di Tonin edalla strada Ruzante riesce a sentire solo poche parole del dialogo con Betìa(VII), ma alla fine la donna esce con Menato, che ha sistemato le cose resti-tuendo una parte del denaro a Tonin; Menato addossa a Ruzante la colpa del-l’accaduto e rientra in casa con il compare e la comare (VIII). ATTO QUARTO:Tonin si compiace della facilità con cui ha riavuto i suoi denari e spera di potergodere di nuovo dei favori di Betìa (I), mentre Ruzante, umiliato, progetta diminacciare il soldato per farsi restituire i soldi dati da Menato, ma ai quali eglinon intende rinunciare (II). Dalla strada Ruzante insulta e sfida Tonin, cheribatte colpo su colpo (III); sopraggiunge Menato, che calma Ruzante e lo per-suade a dar corso alla sua vendetta non appena sia scesa la notte (IV). ATTOQUINTO: Ruzante e Menato, armati, si aggirano per strade buie in cerca diTonin; Ruzante è terrorizzato, ma il compare lo pungola e riesce con un prete-sto ad abbandonarlo a un incrocio (I). Menato torna di sorpresa in casa diRuzante, dove Betìa aveva fatto entrare di nascosto Tonin, e picchia il soldato.Nel frattempo Ruzante abbandona l’incrocio e a tentoni ritrova la porta di casa:per punirlo Menato trucca la propria voce e gli fa credere di aver bussato aun’altra casa, lo minaccia come fosse un ubriaco importuno e lo bastona disanta ragione; Ruzante racconterà di essere stato aggredito da un’apparizionedemoniaca mentre si trovava ancora sull’incrocio (II). Impaurita dalla violenzadel compare, Betìa chiede che Ruzante e il soldato facciano pace: Menato, con-sapevole di tutto, e Ruzante, ignaro di tutto, accettano volentieri la proposta evanno a dormire (III).

La vicenda della Moschetta è emblematicamente racchiusa nel suo tito-lo, come spiega a chiare lettere il prologo dell’Egloga-Moschetta: «E per-qué a’ sapié quel che a’ son vegnù a far chialò, se me darì salintio a’ veerìquel che intravene a un om da ben per favelare moscheto e muarse delengua. E cossì sta comieria i ghe dise la Moscheta» (§ 14). Parole chepaiono istituire un saldo nesso tra il favelare moscheto e il titolo dellacommedia («e cossì sta comieria i ghe dise la Moscheta»), mettendofuori gioco spiegazioni più o meno recenti che hanno cercato di trovar-ne altrove la motivazione 3. Dal punto di vista etimologico va accolta insostanza un’osservazione di Gianfranco Folena riferita da Marisa Mila-ni: «Il Folena suggerisce come probabile una derivazione da mosco

3 Alfred Mortier propose di riferire la parola alla civetteria di Betìa, traducendo moschetta con«coquette» (MORTIER 1925: 128 nota 1). Più di recente CARROLL 1990: 39 ha osservato a pro-posito di moschetto che «the term also recalls the Italian expression “a fist full of flies”, thatis, the results of a useless action»: ma mi sembra un rilievo non pertinente.

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introduzione

(muschio, in Marco Polo moscado), nel senso di ‘profumato, elegante’(cfr. più tardi moscardino): muschetta o moschetta è anche un nome vol-gare della centaurea, detta anche ombretta per il suo profumo» 4. Invirtù dell’identità formale delle due parole, Piermario Vescovo ha valo-rizzato in séguito la connessione con il nome della rosa moschetta, maanche in questo caso è da muschio che occorre partire perché rosamoschetta è sinonimo di rosa moscata ‘rosa che ha profumo dimuschio’ 5. La trafila semantica da supporre è dunque quella che passadal significato letterale ‘profumato di muschio’ a quelli figurati e via viaspregiativi ‘elegante’, ‘azzimato’, ‘affettato’, ‘artificioso’ 6: l’aggettivo,

4 MILANI 1970 (2000): 122 nota 137. Vale la pena di precisare che secondo O. PENZIG, Florapopolare italiana. Raccolta dei nomi dialettali delle principali piante indigene e coltivate in Ita-lia, Genova, Orto Botanico della Regia Università, 1924 (rist. anast. Bologna, Edagricole,1972), vol. II, p. 354 il veneziano moschette designa più genericamente la rosa moschata e nonsolo la Centaurea moschata. Altre piante nominate con riferimento al muschio sono: tosc.moscardino (Centaurea moschata: vol. II, p. 354), tosc. moscata (Myristica moschata: vol. II,p. 354), emil. mos-c (Mimulus moschatus a Reggio Emilia, Erodium moschatus in Romagna: vol.II, p. 354); quanto al tipo tosc. rosa muscosa (vol. I, p. 415), alcuni dei suoi nomi dialettali(veron. rosa pelosa e piem. roesa d’la mufa) sembrano indicare che il riferimento al muschioriguardi la consistenza del bocciolo piuttosto che il suo profumo.5 In GDLI X 985 s.v. moscato1. Per il legame con la rosa cfr. VESCOVO 1996: 85-86 e nota 21 epoi VESCOVO 2005 (2006): 44; la rosa moschetta è citata ad esempio nelle Lettere di AndreaCalmo (IV XXIV 2 e IV XLIX 2), verso la fine del secolo in SGAREGGIO, c. T2r «roseta dama-schina, / incalmà su na rama de moschete», c. X3r «On nascìa l’invernà moschete e ruose» eall’inizio del Seicento ancora in ANDREINI Venetiana, p. 12 «gondole infiorae, e infrascae delaurani, de olivi e de riose, e zensamini, e de moschette».6 Al significato letterale del profumo e dell’aroma muschiato si riferiscono ad esempio mosca-dato ‘che ha profumo di muschio’ (GDLI X 982, con esempi dal Piovano Arlotto e dal Lasca),moscariato ‘profumato di muschio’ (984), pera moscardina (983), pera moscarola (984), nocemoscata (985), pera moscata (985), pera moscatella (985), rosa moscata (985), uva moscata (985),uva moscatella (985), vino moscato (985). Nove esempi per moscatello in riferimento all’uva ead altri frutti nel pavano di Ruzante e di autori successivi (estraggo il dato dal CORPUS PAVA-NO); a questi va aggiunta una decima scheda ricavabile dalla parte bergamasca della Fiorinacalmiana: qui Sandrin lusinga Fiore dicendo «cancher, a’ ’t so mi dì’ ch’a’ si’ moscatella e ulio-sa quant ol musch: ghe perderef ol zucher al voster fiad!» (I 32; CALMO Fiorina, p. 14). Aisignificati traslati si riferiscono moscardino ‘persona che rivolge una cura esagerata all’abbi-gliamento’ (983), moscatello ‘bellimbusto, zerbinotto’ (985), moscato ‘elegante, raffinato’ (985,da Caro), moscheggiare ‘comportarsi in modo vanitoso e da sbruffone’ (986, secondo GDLI damosca nel significato animale), muschiato ‘eccessivamente profumato’ (Parabosco) o ‘lezioso,affettato’ (Frugoni: entrambi in GDLI XI 113, che va arricchito con la testimonianza più anti-ca di FOLENGO Baldus XV 15 sui poeti-cantori contemporanei «bene muschiati, petenati ben-que politi»), immoscato con lo stesso significato (per cui cfr. C. RAO, L’argute et facete lettere[...], Vicenza, Eredi Perin, 1596, c. 5r «questi vaghi, vezzosi e leggiadri gioveni, che fanno ilPolidoro, attillati, politi, forbiti, profumati, immoscati, onguentati, imbellettati»), la locuzioneavverbiale de musco ‘per bene’ in BASILE Cunto 100, e il veneziano cinquecentesco mosca ‘scal-tra’ discusso poco sotto. Qualcosa di simile a quel che si è ipotizzato per mosco e moschetto èricostruibile, pur a partire da un diverso significato letterale, per l’inglese cockney, originaria-mente ‘uovo piccolo o malformato’, quindi in riferimento a persona ‘schizzinoso’, ‘svenevole’,‘debole’ e attraverso l’accezione intermedia di ‘derisive appellation for a townsman, as the

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che si riferisce propriamente alla lingua impiegata prima da Ruzante (II23-39) e poi da Menato (V 54-58), qualifica dunque per estensione l’in-tera commedia (che è così, per l’appunto, la commedia moschetta). Chedi aggettivo si tratti è confermato non solo dal sintagma rosa moschetta,ma soprattutto dall’uso ruzantiano del maschile moscheto, riferito a fael-lar sia in Vaccaria, p. 1083 § 84 («faelar moscheto, tosco, moscano») sianel Rasonamento § 5 («faellare fiorentinesco e moschetto»), e del fem-minile moscheta, riferito a lingua in Piovana, p. 887 § 1 («lenguamoscheta sotile») 7. Se etimologia e semantica sembrano soddisfacentiresta invece una minima difficoltà in relazione alla forma e in particola-re al suffisso della parola. Si è dato per scontato che moschetta sia sino-nimo di moscata ‘muschiata’ (dalla forma settentrionale mosco‘muschio’): eppure in moscheta/moschetta si ha un suffisso diminutivo,diverso da quello di moscato, normalmente in grado di formare aggetti-vi nella serie di muschio/muschiato, pepe/pepato, muro/murato e viadicendo; né si può accogliere in proposito l’implausibile ricostruzionedi GDLI X 986, che alla voce moscheto spiega: «deriv. probabilmente damoscato [...] con palatalizzazione della -a». Dato che un suffisso dimi-nutivo – di questo indubbiamente si tratta – non è in grado di modifi-care la funzione grammaticale di una parola, si deve supporre che tantodi mosco ‘muschio’ quanto di moschetto ‘muschietto’ fossero possibiliusi aggettivali oltre a quello sostantivale di partenza 8. L’ipotesi riceve

type of effeminacy, in contrast to the hardier inhabitants of the country’ passato a designarecon sfumatura di sprezzo i nativi di Londra e il dialetto da loro parlato (The Oxford EnglishDictionary, Oxford, Clarendon Press, 1989, vol. III, pp. 418-419; per il significato di ‘schizzi-noso’ e ‘damerino’, ancora dell’inglese di Shakespeare, cfr. D. CRYSTAL e B. CRYSTAL, Shake-speare’s Words. A Glossary & Language Companion, London, Penguin, 2002, p. 81). Sono datener presenti anche le considerazioni di MARCATO 2007: 43-44, che seppure più rapidamen-te ha ipotizzato un’evoluzione semantica simile a quella prospettata qui.7 La constatazione che si tratta di un aggettivo ha un riflesso minimo anche sul piano edito-riale: se si parafrasa moschetta con ‘la commedia detta moschetta’ o con ‘la commediamoschetta’, parrebbe leggermente preferibile stampare l’aggettivo sostantivato preceduto dal-l’articolo (così fa Zorzi; e così ha fatto ad esempio Raffaele Sirri con commedie dellaportianeche hanno per titolo un aggettivo come La Trappolaria, La Carbonaria, La Chiappinaria, LaFuriosa, La Tabernaria: cfr. G.B. DELLA PORTA, Teatro, a c. di R. Sirri, tomi II, III, IV, Napoli,Edizioni Scientifiche Italiane, 2002-2003). Il frontespizio della nostra princeps non ha tuttavial’articolo (Moschetta commedia del famosissimo Ruzante [...]) e a Ruzante erano noti gli analo-ghi titoli plautini che erano ugualmente, e ovviamente, privi di articolo (Asinaria, Aulularia ecosì via). Entrambe le soluzioni sono dunque possibili: qui è stata adottata la seconda, rispet-tando il frontespizio della stampa su cui si fonda l’edizione.8 Non faccio che esplicitare e sviluppare chiaramente l’idea di Folena ricordata sopra, secon-do cui si deve partire da «mosco [...] nel senso di ‘profumato, elegante’»: si tratterebbe dun-que di un aggettivo identico al sostantivo da cui deriva, come in italiano grasso/a e simili deri-vano dagli identici sostantivi. L’unico esempio che conosco per l’uso sostantivato di moschet-to ‘muschietto’ è in ROVIGIÒ, c. E4r (dove la parola ha un significato allusivo sul piano ses-

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conferma, per la forma di grado positivo, dal «faelare in lengua mosca»di Vaccaria, p. 1103 § 36 (III III), e più tardi da mosca riferito per duevolte ad Angelica in una traduzione veneziana del primo canto delFurioso: l’eroina si comporta «da sacente, da mosca e da calcagno»(ottava XVIII v. 6) e poi «da mosca, da giotta e da scaltria» (ottava LIv. 5) 9. Concomitante, e ugualmente cruciale, l’influsso di moscan(o)‘toscano’ diffuso anche fuori dal Veneto: in riferimento alla lingua laparola è usata una volta da Ruzante, quattro volte da Cornaro (CORPUSPAVANO), una volta da Ortensio Lando (LIZ) 10, e in riferimento a perso-ne azzimate ancora nel milanese di Maggi 11. Per queste forme, comerisulta evidente dal passo di Lando citato in nota, è probabile si debbapartire da toscano supponendo una possibile (ma non indispensabile)influenza di mosco ‘muschio’ e simili 12. Riassumendo, il punto di partenza etimologico è da fissare in moscano‘toscano’ e soprattutto in mosco ‘muschio’, sostantivo per il quale, comeper il diminutivo moschetto, va supposto un uso aggettivale con signifi-cato proprio di ‘profumato come il muschio’ (rosa moschetta) o signifi-cati traslati di ‘elegante’ ‘artificiale’ (lengua mosca, lengua moscheta, fae-

suale): «Pianzi quel tempo mo / que t’he za fatto pierdere al to poeretto / per haer del to ortoquel moschetto / que t’he tegnù sì stretto / con so gran despiazere, e assè tromento».9 La traduzione ariostesca è quella che apre la raccolta di rime CARAVANA, che cito dall’edi-zione del 1573 conservata alla British Library (ma l’edizione più antica, da ritenere laprinceps fino a prova contraria, risale al 1565: un esemplare è custodito alla Biblioteca CivicaBertoliana di Vicenza). Nei due esempi dalla Caravana il significato più plausibile della paro-la sembra ‘furba’, ‘scaltra’, forse riconducibile all’area semantica dell’accuratezza, dell’elegan-za e dell’artificialità già individuata per muschio/mosco e derivati.10 Per Ruzante cfr. Vaccaria, pp. 1081-1083 § 84 (II III): «se inzegna a faelar moscheto, tosco,moscano, con ghe dísegi, che ’l par che ’l sea nassú in la Lombardia»; le quattro occorrenzecornariane si addensano nelle prime pagine dell’Orazione: «strafare mo o in gramego da messao in moscan fiorentinesco», «la lengua [...] alla pavana, che è favella bonetissima e miegio chela gramega o la moscana», «un politan de Talia da Robin moscan naturale», «la so favella [...]i va a despararla pre imparare la gramega e la moscana» (CORNARO 1981: 4 riga 33, 4 riga 46,5 riga 72, 7 riga 150; nel glossario a p. 138 è registrata solo la prima occorrenza della parola,tradotta con ‘toscano’). L’esempio di Lando è il seguente: «Quegli traduce di greco in latino,et questi di latino in parlar moscano (toscano voleva dire, benché habbia errato), et parmiveramente che altro hoggidí non si faccia che indirizzare et inversare» (LIZ, riscontrata con O.LANDO, La Sferza de’ scrittori antichi et moderni, a c. di P. Procaccioli, Roma, Vignola Ed.,1995, p. 64, senza note di spiegazione).11 Cfr. C.M. MAGGI, Il teatro milanese, a c. di D. Isella, Torino, Einaudi, 1964, vol. I, p. 259:«I fan tant furugozz / con sto parlà polid, / e pœù guardé che rid, / sti moscan disen scropera i magozz» (Il Barone di Birbanza, I I vv. 195-198).12 Cfr. in tal senso anche P.V. MENGALDO, La «discoverta» del Maggi, in «Belfagor», XXI(1966), pp. 563-592, a p. 569 (dove si parla di «forma mascherata per toscan»). Altre occor-renze della parola moschetta/moschetto, insieme a un regesto dei luoghi ruzantiani in cui èimpiegata la lingua moschetta, in MILANI 1989 (2000): 173-174.

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lar moscheto) e ‘scaltro’ (mosca nella Caravana) 13. Alcuni dei tratti piùvistosi del moschetto – iperestensione della desinenza -no, impiego dipronomi non dialettali come io, desinenze come -iti e -amo – lo qualifi-cano immediatamente come «un italiano approssimativo e deterioratodai dialettalismi» (PACCAGNELLA 1998: 133); ma a questa lingua ibridanon andrà attribuita alcuna consapevole carica polemica antibembesca,tanto più che la sua prima comparsa risale alla Prima Oratione del 1521,quando il bembismo in senso proprio era ovviamente ancora di là davenire 14. Il bersaglio della parodia ruzantiana sembra da individuarepiuttosto nella lingua della letteratura cortigiana e delle corti, elegante,aperta a molteplici influssi e dunque con un aspetto di forte artificia-lità 15.La vicenda evolutiva della commedia, sviluppatasi come sembra proba-bile da una prima versione in tre atti (l’Egloga-Moschetta) a una versio-ne definitiva in cinque atti (quella a stampa), ha condotto a mettere indubbio da più parti l’effettiva congruenza del titolo Moschetta con laredazione definitiva testimoniata dalla princeps: alla Milani è parso chela spiegazione del titolo contenuta nel prologo marciano «valga solo perla redazione rappresentata dall’Egloga e non per quella della stampa»;infatti «dovendo dare un nome alla commedia, che la recita ferrareseaveva consacrata come la Moscheta, il curatore (o chi per esso) si lasciòforse condizionare dall’abitudine e non pensò che quel titolo, per luitanto chiaro, con quella particolare commedia non aveva molto a che

13 Un’altra occorrenza, certo memore del luogo di Piovana, p. 887 § 1 sulla «lengua mosche-ta sotile», è in G.B. CINI, La vedova, a c. di B. Croce, Napoli, Philobiblon, 1953, p. 40 (I I):«[...] parlà anca mi, com’ / fasì vu, con quela lengua moscheta / fiorentinesca sutil, ch’usè za/ in sta tuscanaria» (la segnalazione della coincidenza in ZORZI 1486 nota 2).14 Cfr. Prima Oratione, p. 195 § 4: «Favelaré, a’ dighe, sì fieramen, che a’ dissé che a’ foessepuorpio un politan de Talia nassù a Robin. Mo ascolté: “Bonsegnore, io mi a’ seamo contadi-no de la villa, che abitamo e stasamo sul Pavano; e io mi se rebutamo a la Vostra de Vu Segno-ria”», dove è evidente l’impiego del pronome io e della desinenza di IV persona -amo, inopposizione a quella pavana -on/-om; l’estensione di -no, tipica della lingua artificiale nellaMoschetta, torna anche in Vaccaria, p. 1081 § 77 (II III) quando Vezzo si finge fattore: «Orde-nato che se spàzano, che se carpìano ogni cossa, e non ha fato gniente! Hano anche dito a colùche portà li denari del fromento che non me li dàgano a mi. Vi farano un dì... Par che non siapatrone mi. Làssano che tornano!».15 Vd. su questo VESCOVO 2004 (2006): 44 e prima VESCOVO 1996: 85: «È probabile cheun’indagine ravvicinata possa meglio aiutare ad inquadrare la parodia della lengua moscheta,più come caricatura della manierata lingua cortigiana, imitata a livelli più bassi e corrivi, checome precoce, troppo precoce, parodia della via veneta al toscano letterario». A proposito delpasso della Prima Oratione riportato nella nota precedente anche PACCAGNELLA 2004: 171nota 13 ha rilevato che «pare qui innegabile la giunzione dei due centri di cultura cortigiana,Urbino e la Napoli del Sannazaro, con il generico riconoscimento da parte del contadino del-l’etichetta di napoletano per tutto quello che esulava dalla parlata del taratuorio pavan».

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vedere» 16. Analoghe, ma più sfumate, le perplessità di Padoan: «i moti-vi dominanti i due atti aggiunti, e in particolare il notturno e il terroresuperstizioso di Ruzante, vengono a sostituire i precedenti: il travesti-mento e il parlar “moscheto”; e determinano nella commedia uno spo-stamento baricentrico notevole, che, al limite, pone in discussione ilPrologo e il titolo stesso di Moscheta» 17. Mi pare che questi dubbi, purlegittimi, siano destinati a rimanere marginali se riconsiderati più davicino. Anzitutto, la scena in cui Ruzante mette alla prova la fedeltà diBetìa parlando moschetto mantiene una centralità decisiva anche nellaredazione in nostro possesso, e mi sembra forzato tentare di declassar-la al rango di «un espediente di alta comicità ma di scarse conseguenzesull’azione» 18. Le conseguenze ci sono eccome, tanto che se si immagi-nasse di eliminare questa scena dalla redazione definitiva si otterrebbeun testo irrimediabilmente monco e insensato. Lungi dall’opacizzare lapertinenza del titolo originario, la versione in cinque atti par avere sem-mai l’effetto di rafforzarla, aggiungendo una seconda breve sequenza (V54-58) in cui si parla di nuovo in lingua moschetta: alludo alla scenadella bastonatura di Ruzante, che Menato riesce a ingannare e a diso-rientare proprio impiegando una lingua mascherata che ha tratti imme-diatamente riconducibili al moschetto (spicca l’iperestensione di -no).La lingua artificiale si presenta così nella redazione definitiva in unadosatura non solo più ampia, ma anche più calcolata e pressoché sim-metrica (quasi ai due estremi del testo), passando da Ruzante, che nonl’ha saputa usare e ne è stato travolto, a Menato, che l’ha piegata ai suoiscopi riuscendo a ottenere quanto desiderava. Il titolo Moschetta sem-bra quindi da conservare non solo in omaggio alla tradizione che ce l’haconsegnato, ma anche perché è complessivamente adatto al testo checonosciamo.

16 Le due frasi citate rispettivamente in MILANI 1989 (2000): 175 e 179. Già prima MILANI1988 (2000): 157 nota 61 osservava che «applicando il prologo delle precedenti redazioni altesto della commedia a stampa si ottiene una specie di mostro bicipite in quanto nel primo ilmovente della commedia è dato dal parlar moschetto e dai disastri che ne derivano, nel secon-do il moschetto risulta più che altro un espediente di alta comicità ma di scarse conseguenzesull’azione; la recriminazione di Ruzzante O maletto sea el me parlar gramego e chi me l’ha inse-gnò (III 24) suscita il riso perché lo spettatore sa che di ben altro si tratta e il marito finiràcomunque becco e bastonato».17 PADOAN 1998: 189. Anche più sopra (p. 184), Padoan notava che «il quarto e il quinto attosi presentano come una inattesa prosecuzione, in una riapertura della trama testè conclusasi:ma che nulla ha ormai a che vedere con il motivo centrale del travestimento e del parlar“moscheto”».18 MILANI 1988 (2000): 157 nota 61. Più recentemente, anche MARCATO 2007: 44 ha indivi-duato in questa scena «un momento cruciale per lo sviluppo della vicenda rappresentata».

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2. Nonostante la maggiore estensione della redazione definitiva e l’at-tuale divisione in cinque atti, la Moschetta è facilmente riconducibile, invirtù delle forti affinità tematiche e del basso numero di attori richiesto,entro il gruppo di opere ruzantiane comprendente il Parlamento, il Dia-logo secondo (o Bilora), il Dialogo facetissimo e la Fiorina. Ci troviamonella fase centrale dell’opera ruzantiana, quella per cui a BenedettoCroce capitò profeticamente di revocare in dubbio l’etichetta stessa dicommedia: «Certo, se l’idea della commedia si identifichi con quelladella ilarità, neppure in ciò si troverà il loro [delle “commedie” esami-nate] comune denominatore, perché la poesia non suscita mai il riso, onon mai il riso solo, com’è delle buffonerie. Con queste dichiarazioni,seguiteremo a parlare senza scrupolo di commedie, anche quando sitratti di rappresentazioni rustiche o addirittura tragiche, come sonoalcune di quelle del Ruzzante» 19. Il tono cupo e il fondo doloroso diquesto gruppo di opere ruzantiane è stato poi rilevato a più riprese dallacritica successiva: basta ricordare qui che un lettore come Mario Barat-to ha scorto nei Dialoghi «un inedito e conturbante teatro della cru-deltà» 20. Anche Moschetta e Fiorina appartengono senz’altro al gruppodei Dialoghi: la seconda è addirittura, a dispetto dell’esteriore divisionein cinque atti, «un dialogo travestito sulla carta da commedia» 21 e mettein scena, né più né meno dei dialoghi propriamente detti, una vicendadi sopraffazione ai danni della protagonista 22. Quanto alla Moschetta, la

19 CROCE 1933 (1991): 258. Si veda ancora, sessant’anni più tardi, il giudizio di FRANCE-SCHETTI - BARTLETT 1993: 22: «One could say that here Beolco is following more the patternof classical tragedy than comedy, since the play begins with the protagonist at the height of hishappiness. By the end, however, he will have lost all human dignity and decency – if not in hisown eyes, then certainly in the eyes of the audience».20 BARATTO 1985: 118. Sullo stesso aspetto cfr. per esempio anche SEGRE 1963: 396: «Nellemigliori commedie del Ruzante si passa dall’arlecchinata alla tragedia: i personaggi sono deivinti, la loro furbizia e le loro smargiassate nascondono un eterno insuccesso; se poi essi rea-giscono, è la tragedia, l’assassinio, atto di disperazione che sfoga un odio ma non rinnova unavita»; PADOAN 1998: 178 (che parla per questa serie di opere di un «fondo amaro»). Da ulti-mo anche un contributo estremamente sintetico come quello di FERGUSON 2006 non mancadi rilevare che Ruzante «in the late 1520s, at a time of war, famine and peasant emigration tothe metropolis [...] elaborated a series of dark comedies whose peasants came close to three-dimensionality and tragedy» (p. 71).21 VESCOVO 1998a (2006): 66. È quindi poco persuasiva la posizione di chi, come FERGUSON2006: 62, appariglia da questo punto di vista Moschetta e Fiorina («By the early 1530s he wasexperimenting with such renewed farcical tradition within the disciplines of the five-act for-mat, in La moscheta and La fiorina»).22 Su questo vd. PADOAN 1987, che ha messo decisamente in dubbio il tono di freschezza, senon proprio di freddezza, avvertito nella Fiorina prima da Lovarini e quindi da Grabher eZorzi: «La sorte della ragazza è decisa, senza il suo volere e contro i suoi desideri, dagli altri.È sacrificata dalla violenza di Ruzante e dagli interessi degli uomini» (p. 53).

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divisione in cinque atti e la calcolatissima struttura regolare hanno spin-to forse a sopravvalutarne la vicinanza alle successive commedie plauti-no-terenziane e alla produzione media cinquecentesca, quasi cheRuzante avvertisse già qui «l’effetto intimidatorio» dei classici (ZORZI1967: LVI, in riferimento a Piovana e Vaccaria) e volgesse dunque dopol’esperienza dei dialoghi a un testo domestico e orchestrato su elemen-ti farseschi 23. È certo innegabile la presenza di una componente farse-sca legata alla figura del soldato Tonin e alle sue baruffe con Ruzante(sebbene già Zorzi nel suo commento rilevasse la siderale distanza checorre tra questa e le meccaniche zuffe che costellano il teatro italianocinquecentesco e poi quello delle maschere); ma è del pari innegabileche aspetti di ben altra importanza riconducono la Moschetta non algruppo di Anconitana, Piovana e Vaccaria (posto che queste tre com-medie costituiscano un gruppo cronologicamente e tematicamentecompatto), bensì a quello di dialoghi e Fiorina. Come per queste ultimeopere, infatti, anche per la Moschetta si potrebbe dire che essa non èuna commedia (radicalizzo per chiarezza il dubbio di Croce). Viappaiono silenti tutte le opposizioni tradizionali che persino archetipi-camente concorrono a definire la commedia quale genere: non ci sonovecchi e giovani né ci sono servi e padroni (fatto talvolta rilevato senzaapprofondimento: CALENDOLI 1985: 109 e TERMANINI 1997: 89); diconseguenza non ci sono eventi che segnino in maniera riconoscibile unlieto fine, e anzi nella Moschetta quel che accade in scena non fa cheristabilire lo status quo desiderato da Menato, interessato a riprenderela propria relazione adulterina con la comare Betìa e a farla da padronein casa del compare Ruzante 24. Di più, tradimenti, inganni e regola-

23 Cfr. ALONGE 2000: 39-40: «Qui [...] la città è Padova, una realtà comunque più familiare.[...] I movimenti dei personaggi risentono ancora dello spessore sociologico che ne ha accom-pagnato la nascita, ma il gioco delle azioni e reazioni tende a modellarsi sulla falsariga dei bal-letti calandrineschi fatti di beffe, di equivoci, di travestimenti, di inganni di tanta commediaregolare del Cinquecento»; già per BORSELLINO 1973: 651 era evidente come «nel clima fervi-damente edonistico di questa commedia della furbizia, dove il personaggio di Ruzante sembramodellato sul classico furbo-beffato, il boccaccesco Calandrino, i motivi topici ruzantianisiano assunti come numeri di un vivacissimo repertorio». Anche VESCOVO 2004 (2006): 27-28,seppure per ragioni in parte diverse, sembra propenso a separare piuttosto nettamente i dia-loghi dalla Moschetta: «L’allucinato e lacero Ruzante vegnù de campo o il truce Bilòra, giunti aVenezia a cercare inutilmente di riprendersi le loro femene, sono figure ben altrimenti prossi-me alla realtà contemporanea, e si muovono nella dimensione urbana non con l’agio del per-sonaggio comico (Menato tirò dall’amore per la comare) ma con l’effettiva estraneità del vil-lano».24 Tra i caratteri archetipici della commedia individuati da Northrop Frye manca dunque nellaMoschetta proprio quello essenziale, il «movimento da un certo genere di società ad un altro»(N. FRYE, Il mythos della primavera: la commedia, in ID., Anatomia della critica. Quattro saggi[1957], trad. it. Torino, Einaudi, 1969, pp. 216-246, a p. 217).

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menti di conti a suon di percosse si collocano nella Moschetta in unoscenario di quotidianità ben diverso – questo sì – da quello dei dialoghi,nei quali l’aggressività e la violenza recano sempre il sigillo di una sto-ria che ha impassibilmente travolto i più deboli (la fame e la carestia nelDialogo facetissimo, la guerra nel Parlamento, la miseria e la sopraffa-zione sociale nel Bilora). Nella Moschetta, che è almeno in parte anchecommedia dell’inurbamento del villano, la fame è bandita (Ruzantemagnifica quest’aspetto della vita cittadina nel monologo della redazio-ne marciana 25), la guerra è tutt’al più evocata dalla presenza di Tonin sulpunto di partire per il campo, e mancano opposizioni sociali marcateche possano essere considerate all’origine di azioni prevaricatrici. L’ar-bitrio e la sopraffazione che regolano i rapporti tra esseri umani si anni-dano stavolta nelle più ordinarie e squallide vicende della vita quotidia-na, e in tal senso la dimensione domestica della Moschetta è tutt’altroche rassicurante: l’intimità, dunque, può essere più terribile della sto-ria 26. Probabilmente la freddezza dello sguardo di Beolco ha un termi-ne di paragone adeguato soltanto in Machiavelli: la Moschetta, osserva-va Baratto, «c’est une sorte de Mandragore du monde paysan» in cui «lerire se charge d’ombre et de malaise» 27.

25 Ruzante è certo vittima di quel «sortilegio del mercato» caratteristico della vita urbana esa-minato in specie per Venezia da BENZONI 2005. 26 Oppongo convenzionalmente intimità e storia anche se le due parole, che danno il titolo aun libro di Francesco Orlando sul Gattopardo (F. ORLANDO, L’intimità e la storia. Lettura del«Gattopardo», Torino, Einaudi, 1998), sono lì impiegate in maniera piuttosto diversa per evo-care il declino della classe aristocratica, «lo spegnersi d’una lunga tradizione [...] in un’intimitàche senza più possederne coscienza subisca la storia giorno per giorno» (p. 176). Quanto aRuzante va ricordato il giudizio di ZORZI 1967: LIII-LIV, che coglieva perfettamente l’aspet-to rilevato anche qui: «La tematica dei Dialoghi [...] viene ripresa nella Moscheta allo stadioulteriore delle sue motivazioni sociali, al livello di una argomentazione, oserei dire, post-poli-tica (se di una componente “politica” si può parlare, e ne dubito, a proposito del Parlamentoe del Bilora). Qui i personaggi sono ridotti alla pura economicità della loro natura, che scattasoltanto sulla molla del bisogno e del sesso; dietro le sembianze del comico, si cela un “teatrodella crudeltà” tra i più asciutti e oppressivi del repertorio del Rinascimento»; del pari BOR-SELLINO 1973: 650 ha osservato che «la trama recupera il rapporto quadrangolare marito-moglie-compare-bravo (o soldato), messo in evidenza nel Parlamento, ma senza la sua tipicaesasperazione postbellica». PADOAN 1968 (1978a): 145 scorgeva qualcosa di simile nel passag-gio dal Parlamento al Bilora: «Alla tragedia del reduce, ambientata in tempi eccezionali, e com-posta nella temperie eccezionale della seconda metà del 1529, subentra la tragedia dei tempinormali». Anche secondo FERGUSON 1987 Parlamento, Bilora e Moschetta sarebbero centratisull’«osservazione delle vere pulsioni dell’uomo» (p. 22) e su una forza, quella dello snaturale,«che non ammette contraddizioni e che non ha niente a che fare con la [...] volontà» (p. 29):mi sembra però che la sua lettura, imperniata sul ruolo dell’istinto e sull’opposizione tra unamoralità convenzionale e una moralità naturale, finisca per sottovalutare gli aspetti di proget-tazione e calcolo indubbiamente legati nella Moschetta almeno al personaggio di Menato.27 BARATTO 1961: 88 e 86. Anche ZORZI 1967: LIV insiste, pur senza approfondire l’argo-mento, sull’importanza della lezione teatrale di Machiavelli, la cui influenza sarebbe da coglie-

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3. Indiscutibile motore dell’azione – e unico vero trionfatore finale – èMenato. Non sono persuaso dalle indicazioni di chi ha voluto scorgereil beneficiario delle vicende della Moschetta ora in Tonin (è il caso diANGELINI 1992: 1137 e 1139), ora in Betìa («che è riuscita a condurretutti e tre gli uomini al suo ovile, facendo sì che fossero puniti per nonaver voluto convivere sotto il suo potere» secondo CALENDOLI 1985:104). Tonin, «tutto sangue» alla fine della commedia (V 85), ha pagatoa usura la sua scappatella con Betìa e di fronte alla fredda determina-zione di Menato a poco gli è valsa la proverbiale sagacia bergamascatroppo presto celebrata nel monologo di IV 1. Betìa, che sempre nel-l’ultima scena è in preda a un terrore parossistico davvero singolare peruna «trionfatrice» (così la definisce sempre CALENDOLI 1985: 104), haavuto nel giro di due scene la schiacciante e temibile prova fisica dellasuperiorità del compare, prima ai danni di Tonin, poi ai danni di Ruzan-te: la breve parentesi di equivoca libertà cittadina si chiude per lei allafine di questa notte memorabile, dopo la quale come sembra di intuiretornerà definitivamente sotto la tutela sessuale (e forse anche economi-ca) del compare. Menato è l’unico dei personaggi a conoscere un’evi-dente evoluzione psicologica, che lo porta dalla sua iniziale situazionedi inorcò (I 1) a quella, consapevolmente perseguita e annunciata, didominus dominantium (I 23). È forse anche per dare maggiore rilievo aquesto processo evolutivo che nella redazione definitiva la posizioneinziale è assegnata al cupo monologo di Menato. L’amore vissuto comeincantesimo lo apparenta al Ruzante del Parlamento e soprattutto aBilora, che entra in scena con una dolorosa meditazione sulla potenzadella passione accostabile per vari aspetti a quella di Menato 28; ma lapassività di Ruzante nel Parlamento e l’accecamento omicida di Biloranon trovano alcuna corrispondenza nel nostro personaggio, capace ditrasformarsi ben presto in ferreo regista del proprio e dell’altrui desti-no (su questa sua funzione ‘registica’, da vero «meneur du jeu», ha insi-stito PUPPA 2002).L’abilità con cui Menato pianifica le punizioni del compare e di Tonin

re già all’altezza dei Dialoghi e della Moschetta (essi segnerebbero infatti una svolta «tropporepentina per spiegarsi esclusivamente nella dinamica dell’evoluzione ruzantiana»). Sull’argo-mento è da vedere ora anche VESCOVO 2005a (2006), a proposito dei punti di contatto dellaClizia con le ultime commedie ruzantiane.28 Cfr. Dialogo secondo, pp. 139-141 (sc. I). Già BARATTO 1969: 104 osservava che «c’è un lega-me preciso, del resto, tra il monologo iniziale di Bilora [...] e quello d’apertura di Menato nellaMoscheta (I, I: che manca nel codice Marciano)», istituendo tuttavia una opposizione tra «illinguaggio sempre lavorato, ma più diretto e sbrigativo, di Bilora, e quello più elaborato, comi-camente – nel senso tecnico del termine – di Menato».

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non è tanto quella del “persecutore” che si compiaccia di umiliare “vit-time” di esemplare stupidità 29, ma piuttosto quella, nutrita da reale ani-mosità, di chi è determinato a eliminare ogni possibile rivale in amore(soprattutto Tonin, ma anche Ruzante, i cui rapporti coniugali sonoansiosamente sondati a I 17 e II 7). Proprio per questa ragione, a mioavviso, le bastonate che Menato assesta senza pietà ai suoi avversari sipotranno difficilmente ricondurre a una dimensione esclusivamentebuffonesca e addirittura giocosa, quasi da repertorio 30. Il legame conBetìa, improvvisamente spezzato dal trasferimento della donna in città,è il movente essenziale di tutte le sue azioni, chiaro fin dal monologo diingresso: quello del rapporto adulterino tra compare e comare è temadiffuso nella novellistica e nel teatro rinascimentali (a esso allude vela-tamente anche una battuta del Parlamento) 31, eppure la mentalità cor-rente, che associava amori di tal genere all’incesto, induce Menato apresentare la propria attrazione come effetto di una malìa 32. Insisto sul-l’aspetto magico perché al pari di quello del travestimento linguisticoesso è oggetto di una modulazione particolarmente calibrata nel corso

29 «Persecutore», «vittima» e «osservatore» sono categorie essenziali del comico secondo FER-RONI 1983: 73.30 A questa lettura è incline, persino per l’omicidio di Bilora, ZANCARINI 2005: 361-366. Meri-ta di essere citata in proposito un’osservazione di BARATTO 1969: 89: «[...] se gli elementi atto-riali possono ripresentarsi con lievi variazioni, è anche vero che il loro significato teatrale variacon la funzione che essi hanno nell’organismo dell’opera. Si pensi [...] al valore diverso cheuna scena topica come la bastonatura ha nel Parlamento, dove è il simbolo di un mondo estra-neo e ostile al villano, nel Dialogo facetissimo, dove è una diversione comica che prepara l’ar-rivo del Sacerdote di Diana, nella Moscheta (V, 2), dove è lo sbocco violento di un furore gelo-so che Menato ha accumulato in un ambiente estraneo al suo mondo e rispetto al quale nonagisce con la flessibilità di Ruzante, e nella Fiorina (II, 2), dove è il segno di una rottura ripa-rabile, non drammatica, all’interno della comunità rusticana».31 Cfr. Parlamento, p. 123 § 70 (sc. II), dove Menato, parlando di Gnua a Ruzante, afferma aun certo punto: «Voliu altro? che la no me ha pì vogiù cognoscere per compare: perché mi,per amore de vu – intendiu, compare? – andasea an mi da ella, intendiu?»; è un’altra piccolaprova di come la Moschetta sviluppi spunti presenti nei Dialoghi. Per il motivo dell’adulterioconsumato con il compare o la comare cfr. DIONISOTTI 1984: 628: «Due famose novelle sene-si del Decameron [VII 3 e VII 10] dispensano dall’insistere sul vincolo, allora strettissimo, delcomparatico, e sulla licenza amorosa, considerata incestuosa, che il vincolo favoriva»; MARTI-NES 1998: 275: «N’oublions pas, cependant, qu’à part les maris et les frères, il pourait y avoi-re d’autres hommes à la maison, dont certains venaient de l’extérieur mais avec un droitd’accès plus ou moin grand: par exemple les beaux-frères, l’éventuel serviteur masculin, l’a-mant homosexuel du mari, ou même les compari (parenté masculin acquisé à travers le ritueldu parrainage)».32 Cfr. ad esempio MILANI 1989 (2000): 172 e MARTINES 1998: 275: «certaines histoires met-tent en lumière les machinations de parrains qui cherchent une relation, qui est une sorte d’in-ceste, avec leur comari». Ancor prima è notevole da questo punto di vista un’ingiuria comequella testimoniata da MARCHESCHI 1983: 81 (n° 300, anno 1375): «Troia che tu se’ [...], cheài avuto figliuoli del compare tuo e stai co(n) lui».

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di tutta la commedia. La minaccia di un mondo sovrannaturale incom-bente e minaccioso non scompare infatti dopo l’iniziale monologo diMenato, ma riacquista consistenza nella mostruosa apparizione cheRuzante sostiene di aver affrontato mentre si trovava solo sulla crosara(V 66), fino a lambire la stessa Betìa, che con diversi gradi di consape-volezza Ruzante e Menato accusano con sprezzo di essere «inspirità»,«mal imbattùa» (V 77) e «inorcà» (V 78). Menato si sottrae dunqueall’azione dell’incantesimo e come già per la contraffazione linguisticaritorce anzi questo elemento contro gli altri personaggi, fingendo di cre-dere alla storia di Ruzante (che è ignaro di parlare proprio con chi l’haappena bastonato), e dando corda al compare allorché egli accusa lamoglie di essere «inspirità» e «mal imbattùa» (ma egli conosce bene lereali ragioni del terrore di Betìa).Un rapporto di chiara opposizione lega Menato a Ruzante: l’implacabi-le capacità di pianificazione del primo riceve maggior rilievo dall’alie-nazione che affligge il secondo (ANGELINI 1992: 1138); forse mai comenella Moschetta il personaggio di Ruzante ha dato voce a un sistematicoritrarsi dell’individuo nelle proprie fantasie di fronte a una realtà ostile.Le garbinelle con cui tenta di mostrarsi consumato uomo di mondosembrano, più che espedienti per sopravvivere in condizioni di miseria,il frutto di una coazione a ripetere con la quale Ruzante tenta di affer-mare la propria identità e la propria stessa esistenza: «Ruzante non èsciocco come messer Nicia e come la schiera dei servi; quello che locaratterizza è il non sapere chi è, l’incerta identità esistenziale e lingui-stica» (ANGELINI 1992: 1138). Molto forte è soprattutto il décalage trala sua verbalità straripante – nella quale egli ama dipingersi ora comeinsuperabile orditore di beffe (I 53, II 23, III 3) ora come vittima di ter-ribili circostanze (III 8-24, III 98, V 66) – e l’effettiva inettitudine chelo ha ridotto a mero strumento nelle mani del compare.Chi ha prediletto una interpretazione storica o sociologica del teatroruzantiano – e soprattutto della fase centrale cui appartiene la Moschet-ta – ha scorto in questa sproporzione un tentativo di «compensare conla parola, con la vanteria e la fabulazione, la propria miseria e la propriaimpotenza»; il contadino insomma «vive in una verbalità che compen-sa la sua non storia, [...] inventa e fabula per resistere alla crudeltà delreale, e in questo modo crea il proprio discorso di personaggio teatra-le» 33. Una prospettiva piuttosto diversa, ma non per forza esclusiva33 BARATTO 1985: 116 e 119. Questo problema è legato all’altro, ugualmente cruciale, del rap-porto di Ruzante con il proprio pubblico: infatti «via via che la comicità sprigionata dal con-tadino diventa grottesca, stridente, essa tende a farsi insopportabile, perché scarica le respon-

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della prima, è quella di chi si è provato in una lettura di taglio psicana-litico di questo comportamento: la menzogna di Ruzante anzitutto consé stesso è allora «un modo quasi isterico per compensare la propriaimpotenza storica, con una fuga velleitaria e narcisistica nell’immagina-rio: è questo il cosiddetto comportamento di inappetenza, un fantasti-care quale unica uscita dalla estrema povertà dell’azione nel presente,che si riscatta nel gesto allucinatorio» 34. Lascio sullo sfondo una terzapossibilità di lettura, di portata più generale: e cioè che il personaggiocontadino, oltre a dar voce a un’umanità sradicata e impotente, assom-mi in sé tutte le caratteristiche del capro espiatorio comico, che egli siainsomma la vittima designata non solo della storia o della società, maanzitutto, teatralmente e scenicamente, del «necessario momento diprevaricazione e aggressione che il comico comporta» 35.Su un piano più particolare questa caratterizzazione implica una note-

sabilità dell’evento dal personaggio al pubblico» (p. 118). Si tratta di idee portanti nella rifles-sione di Baratto su Beolco: quasi venticinque anni prima, nel Ruzante-personaggio dellaMoschetta egli notava «un art extraordinaire de se soutraire à une confrontation avec la réa-lité. Désaxé par elle, enchaîné et repoussé à la fois, le paysan ne peut être que victime ou fabu-lateur: son discours superpose nécessairement une dimension imaginaire à une dimensionréelle», tanto che il riso «n’est plus seulement libérateur mais accusateur» (BARATTO 1961: 86).34 PUPPA 1987: 160. Puppa rimanda per molte delle sue osservazioni al lavoro di MAURON1964 (in part. pp. 7-33 e 49-76), che insieme agli studi di Ignacio Matte Blanco costituisce l’es-senziale retroterra teorico della successiva messa a punto in chiave psicanalitica di CANOVA2003.35 FERRONI 1983: 18. L’intero saggio di Ferroni (significativamente dedicato alla ambiguità delcomico) è di grande interesse in questa direzione, e in particolare le osservazioni finali (pp. 78-79) paiono perfettamente applicabili a un personaggio come quello di Ruzante nella Moschet-ta: non solo si rileva che «la particolare aggressività (molto spesso tradotta sul piano fisico)della beffa dà alla dimensione di superiorità del destinatario (necessaria condizione del comi-co) un fondo più sotterraneo e inquietante» (p. 78), ma si aggiunge che «la figura “comica”della vittima, nella sua irrimediabile sciocchezza, appare spesso carica di elementi infantili, difantasie di onnipotenza narcisistica, di attitudini ludiche incongrue ma piene di cordialità esimpatia: la beffa fa sì che venga aggredito e negato sia l’aspetto positivo di questo fondoinfantile che l’aspetto angoscioso della perdita e dell’abbandono. Nell’immagine del beffato sidà voce alla piacevole subalternità dell’infanzia e insieme alla paura di essere di nuovo relega-ti nell’infanzia: aggredendo la sua vittima, la beffa fornisce il suo contributo alla società adul-ta, ma lo fa riducendo l’“altro” a soggetto subalterno, affermando i valori adulti in una fanta-sia di aggressione e deprivazione totale, nel sacrificio necessario di una vittima. Al di là dellabeffa, è forse il comico più in generale a non poter fare a meno di una vittima e di un’aggres-sione» (p. 79). Importante – ed è lo stesso Ferroni a esplicitarlo – il debito nei confronti diORLANDO 1973 (1992), mentre sul sacrificio e sul capro espiatorio si deve rinviare a R.GIRARD, La violenza e il sacro (1972), Milano, Adelphi, 19923. Sulla caratterizzazione infantiledell’eroe comico e di Ruzante in particolare cfr. anche ANGELINI 1992: 1134 («un eroe bam-bino, bastonato perché diventato adulto senza avere accettato le dure regole della realtà») ePADUANO 1983: 65: «Il riso sull’altro è affermazione di diversità (‘per fortuna, non è comeme’), messa subitaneamente in crisi da un affondare nel fantasma infantile (‘x è come mequando ero bambino’)».

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vole affinità di Ruzante con i protagonisti dei tre dialoghi, e in partico-lare con il Menego del Dialogo facetissimo, vero e proprio testo-minieraper la Moschetta (lo ha puntualmente dimostrato PADOAN 1998, i cuirisultati sono assimilati nel commento) 36. Basta ricordare qui che nellaMoschetta sono replicati con prelievi quasi letterali dal Dialogo facetis-simo due dei momenti di più forte sopravvento dell’immaginazionesulla realtà: la pretesa aggressione subita dal protagonista ad opera diun altissimo numero di persone, e le sue fantasie di suicidio, descrittoed evocato in ogni particolare, ma ovviamente non perpetrato 37. La cre-dulità di Ruzante, in contrasto con una realtà ben diversa parzialmentenota al pubblico fin dal prologo, è sfruttata nella commedia con effettiprossimi a quelli della cosiddetta ironia “drammatica”, secondo un’at-titudine che se non sbaglio è quasi del tutto estranea agli altri dialoghi 38.Così, risulta sorprendente sulla bocca di Ruzante – e in potenza assaidivertente per il pubblico – la lode della fedeltà e della devozione dellamoglie tessuta all’inizio del secondo atto (II 4 e II 6), quando solo pocoprima sono andate in scena le schermaglie amorose della donna conTonin; e proprio all’inizio dello stesso dialogo la fiducia espressa neiconfronti del compare, che avrebbe agito in difesa di Betìa spinto solodal bene di Ruzante (II 1-2), è ugualmente incongrua agli occhi di chiosserva la vicenda dall’esterno e sa bene per quale ragione Menatoabbia preso le difese della comare; più tardi Ruzante pare credere chela moglie possa essersi davvero rifugiata in un convento (III 24), e qual-che scena dopo descrive con disarmante candore i rapporti tra Menatoe Betìa («perqué a’ so qu’el ghe vuò ben, e an’ ella a ello, che sempre

36 Evidentemente sulla base delle numerose analogie tra i due testi già LOVARINI, p. XI rite-neva la Moschetta «di un tempo assai vicino alla composizione del Menego».37 Cfr. Dialogo facetissimo, pp. 77-81 (sc. IV) e Parlamento, pp. 131-135 (sc. IV) per le finteaggressioni; Dialogo facetissimo, pp. 85-87 (sc. V) per il monologo del suicidio. Anche i pro-positi di suicidio, del resto, non sono che il mezzo più plateale per affermare la propria esi-stenza: «l’idea del suicidio mi salva, poiché io la posso parlare (e non me ne privo): rinasco ecoloro quell’idea con i colori della vita, sia che la rivolga aggressivamente contro l’oggettoamato (ricatto morale ben noto), sia che mi unisca fantasmaticamente ad esso nella morte» (R.BARTHES, Frammenti di un discorso amoroso [1977], trad. it. Torino, Einaudi, 2001, p. 196).Lamento e suicidio formano una «costellazione tematica» costante in tutta la poesia pastora-le europea dei primi decenni del Cinquecento: cfr. GUARINO 2005: 312-316.38 Per l’ironia “drammatica” cfr. PADUANO 1983 (che parla però di ironia tragica e ne riven-dica fermamente la pertinenza alla tragedia) e G. ROSATI, Racconto e interpretazione: forme efunzioni dell’ironia drammatica nelle «Metamorfosi» di Apuleio (con altri rimandi bibliografi-ci), in Der antike Roman und seine mittelalterliche Rezeption, a c. di M. Picone e B. Zimmer-mann, Basel Boston Berlin, Birkhauser Verlag, 1997, pp. 107-127; donde si risale più in gene-rale a G.E. DUCKWORTH, The Nature of Roman Comedy. A Study in Popular Entertainment,Princeton, Princeton University Press, 1952, pp. 231-235.

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mè el la menzonava, e ella ello: “Me’ compare de qua, me’ compare delà...”» III 134). Talora si ha l’impressione che tanta ingenuità nascondauna vena di calcolo, come quando, pur di non tirare fuori i soldi che hatruffato a Tonin, Ruzante si trincera dietro affermazioni apparentemen-te banali e in realtà – sempre per il pubblico – molto ambigue: «A’ si’rico vu, compare, a’ gh’i possé dare tutti vu, saì-vu, l’è pur an’ vostracomare...» (III 114) e «Compare! Se n’aigié vostra comare, chi la dèaigiare?» (III 116) 39. Sulla stessa situazione giocano anche alcune bat-tute di Betìa e Menato: Betìa si lamenta rinfacciando al marito l’onoreperduto (III 89: ma come si sa è perduto da un pezzo); Menato, anchedopo aver spinto Ruzante a travestirsi causando la lite con la moglie,può ribadire con tranquillità: «Aldì compare, a’ saì pure ch’a’ v’he sem-pre consegiò ben!» (IV 61: ma a questo punto anche Ruzante potrebbeessere in grado di smascherare la falsità dell’affermazione). Nell’impie-go di questo procedimento, largamente diffuso già in testi comici anti-chi, mi pare sia da vedere una minuta ma netta differenza rispetto aidialoghi, nei quali in linea di massima la tendenziale empatia con ladisperata situazione dei protagonisti lasciava minori possibilità diinstaurare un rapporto complice con il pubblico come quello necessa-rio all’ironia drammatica.Val la pena di soffermarsi, infine, su quelli che mi paiono due modestima evidenti corrispettivi formali dell’atmosfera cupa di cui si è già dettoa sufficienza. Anzitutto, come è facile accertare servendosi della LIZ, laMoschetta presenta, in rapporto alla sua lunghezza, una concentrazionedel tutto eccezionale di quegli elementi verbali corporei e disfemisticiche caratterizzano così vistosamente il pavano ruzantiano. Tratto inmaniera separata i costituenti sebbene occorrano di rado all’interno disingoli sintagmi (per es. al sangue del cancaro) e mi limito a osservare amo’ d’esempio la distribuzione di pota e cancaro. In esclamazioni ebestemmie pota ha una occorrenza nella Vaccaria, tre nella Piovana, cin-que nel Dialogo facetissimo, nove nella Fiorina, dieci nel Bilora, dodicinell’Anconitana, quindici nel Parlamento, quarantadue nella Moschettae cinquantuno nella Betìa; cancaro ha ventuno occorrenze nella Fiorina,ventidue nella Pastoral, ventitré nella Betìa, ventiquattro nel Dialogofacetissimo, ventisei nel Bilora, ventotto nel Parlamento, cinquantuno

39 A DE CAPITANI 2002-2003: 96 è parso addirittura che «les quelques répliques de Ruzante,marquées par une ironie manifeste, nous montrent qu’il est parfaitement au courant de ce quipasse entre sa femme et Menato, ma cette situation humiliante convient bien à sa nature indo-lente et lâche».

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nella Piovana, settanta nell’Anconitana e ottantatré nella Moschetta 40.Una concentrazione simile, credo, non potrà ritenersi casuale: si direb-be invece che la sequela quasi martellante dei cancari, dei sangui, delleputtane e delle merde sia deputata a esprimere, fin dal piano verbale,l’aggressività che a vari livelli pervade l’azione della commedia, nellaquale molti dei personaggi «sembrano molle sempre pronte a scatta-re» 41. Sul valore di bestemmie e imprecazioni, e di cancaro in particola-re, si era già soffermato con straordinaria finezza Baratto: «quel Canca-ro esclamativo [...] esprime maledizione o sorpresa rispetto a un mondopercepito come ostacolo o imprevisto, e indica la perplessità o il rodi-mento interno di chi non può mai dominare la propria realtà» (così aproposito del cancaro che apre la Pastoral e che proprio per questa posi-zione incipitaria illumina simbolicamente la condizione del villano inscena) 42. In secondo luogo mi sembra che nella Moschetta faccianosistema, più che altrove, metafore e similitudini che assimilano i com-portamenti umani a quelli del mondo animale. Basterebbe pensareall’ambiguità semantica di un verbo come goernare, non per caso

40 Ugualmente indicativa è la distribuzione di altri elementi (si noterà l’alta frequenza costan-temente rilevabile per la Moschetta): merda (intercalare violentemente negativo) una voltanella Pastoral e nel Dialogo facetissimo, due volte in Betìa, Fiorina e Anconitana, tre volte nellaMoschetta; puttana (in imprecazioni e bestemmie) ha tre occorrenze nella Betìa e otto nellaMoschetta; sangue ha due occorrenze nel Parlamento, quattro nella Piovana, cinque nella Vac-caria, dieci nella Fiorina, undici nella Pastoral, quattordici nell’Anconitana, ventitré nellaMoschetta e quarantanove nella Betìa (che, si noti, è però un testo assai più lungo del nostro).41 ULYSSE 1989: 52. A quest’articolo rimando anche per l’osservazione che «la densità e la col-locazione delle ingiurie e delle bestemmie risponde ad una necessità comica e strutturale.Questa carica di violenza conferisce al personaggio una dose di forza. Non credo che Ruzan-te li distribuisca a caso nel testo/spettacolo» (p. 49). A proposito dello stesso problema PER-TILE 2006: 144-146 ha osservato: «mi pare che nella Moscheta vi sia veramente, al di là del rea-lismo di fondo, un uso strategico delle interiezioni; talché, pur nella consapevolezza che lo stilenon è l’aritmetica, si potrebbe dire che i personaggi vi fanno ricorso in misura inversamenteproporzionale alla loro intelligenza; meno sono acuti, e più, e più grevemente, esclamano»(146). Conclusione che lascia più di qualche perplessità perché se può valere forse per Ruzan-te, non vale certo per Menato, in cui la densità di ingiurie e bestemmie restituisce invece ilritratto di un vero ‘duro’ tutt’altro che stupido o sprovveduto. È difficile resistere alla tenta-zione di scorgere in questi elementi – e nella loro notevole frequenza – anche un segno dellaviolenza verbale di cui Adorno parla a proposito del rapporto tra dialetti e lingue: «Il povero[...] si vendica sulla lingua, straziando il suo corpo che non gli è concesso di amare, e ripeten-do, con impotente violenza, l’offesa che gli è stata inflitta» (T.W. ADORNO, Minima moralia.Meditazioni della vita offesa [1951], trad. it. Torino, Einaudi, 1995 [1954], pp. 113-114: benin-teso, i villani ruzantiani non possono che far scempio del loro dialetto, perché non conosconoaltre lingue se non per averle orecchiate).42 Cfr. BARATTO 1969: 85 e prima più rapidamente BARATTO 1956 (1964): 12; osservazioniriprese di recente da SANTAGATA 2007: 183-184: «il suo era stato un ingresso memorabile, diquelli che fanno la storia del teatro. Armato di reti da caccia e di una cerbottana, era entratodi corsa, ma era inciampato in un cespuglio storcendosi un piede. La prima parola pronun-ciata da questo personaggio è dunque un’imprecazione».

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sopravvissuto nei dialetti attuali con l’esclusivo significato di ‘accudireil bestiame’ (cfr. I 1). Nel suo lamento iniziale Menato nega che all’uo-mo sia consentita una vera possibilità di scelta (il libero arbitrio), osser-vando che «a’ meritessan na magia drio la copa, a lagarse goernare a stomuo’» (I 1): in goernare si convogliano la passività della bestia e l’im-possibilità ferina di resistere all’impulso fisico e all’istinto, subito dopoun cenno («a’ meritessan na magia drio la copa») che per la sua cru-dezza sembra alludere all’uccisione delle «bestie abbattute dal beccaio»(ZORZI 1395). Celebrando la docilità coniugale di Betìa (dietro la qualevorrebbe far intravvedere la costante disponibilità sessuale della donnanei confronti del marito-padrone), Ruzante usa lo stesso verbo: «La selaga volzere e goernare lomè con’ a’ vuogio mi, intendì-u compare?» (II6; si noti il compiaciuto ammicco finale per stabilire una complicitàmaschile con Menato). Questo effetto di ambiguità è massimo – e lo hagià notato PACCAGNELLA 1988: 138 – nel corso della terza scena delterzo atto: Tonin, che si accoppia con Betìa letteralmente sotto gli occhidi Ruzante, respinge le importune richieste del marito cornuto con losbrigativo «a’ no l’ho ac governada: aspetta un po’» (III 39); in questocaso proprio il significato letterale di ‘accudire il bestiame’ permette aRuzante di non capire (o fingere di non capire) che il presunto armeg-giare di Tonin intorno alla mula, specificato in tutte le sue fasi nelle bat-tute successive (III 41, 43, 45, 49, 51, 53), altro non è che il rapportosessuale del soldato con sua moglie. Infine, dando corso alla propriastizza contro il compare troppo timoroso, è Menato a esclamare «laghé-ve goernar a mi!» sul principio della scena notturna del quinto atto (V10). Ha significato propriamente riferibile al mondo animale anche unverbo come covrire (III 24), con il quale Ruzante descrive, seppure aparti invertite, il rapporto fisico desiderato con Betìa («ficarme in letto[...], e farme ben covrire a ella»). Del pari è certo per canzonare l’av-versario, già umiliato abbondantemente, che Tonin apostrofa Ruzantecon «a’ t’aldi bé, mo ti no canti vers che ’m plasi» (III 91): le parole diRuzante contano così poco per il soldato da essere equiparate al versoripetitivo e insignificante di un uccello. Lo stesso Ruzante, ripromet-tendosi di condurre una vita meno turbolenta, afferma: «a’ me vuo’ tira-re la coa in le gambe per n’andar pì urtanto in gnente» (V 66; la simili-tudine con il cane è esplicitata a III 78 dove sempre Ruzante paragonala sua disperazione a quella di un «can rabioso»). Numerosi i figurantianimali (non in insulti comuni): notevole, per l’ampiezza della metafo-ra che genera, quello della mula cui viene equiparata Betìa (III 46,beschia a III 43 e III 57); mentre hanno valore insultante frison (II 22:

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Menato su Ruzante), can (III 4, III 24: sempre riferito a Ruzante), lasfilza di martorel, trentacosti, battezat al albuol d’i porz (IV 15: Tonin aRuzante) e strabùseno (V 53: Ruzante su Menato). Completano la seriesimilitudini non stereotipe e dunque non fossilizzate: la vitalità diRuzante paragonata da Betìa a quella di un «pesse in fersura» (III 85),l’ira che nello stesso Ruzante è indotta dall’accecamento simile a quel-lo dei «cavagi che tira» (IV 56), la temuta incursione degli zaffi chepotrebbero legare a Menato e a Ruzante le braccia dietro le spalle «co’se fa le ale a gi ocatti» (V 3). Il procedimento (diffuso e studiato soprat-tutto per àmbiti culturali più recenti) ha dunque un’alta concentrazio-ne proprio nella commedia ispirata agli incontenibili effetti dello sna-turale sugli uomini: similitudini e metafore animali appaiono certocome il primo sintomo della degradazione ferina che investe l’amore ele altre relazioni umane, regolati nella Moschetta dai soli rapporti diforza 43.

4. L’atmosfera tutt’altro che comica circolante intorno a Menato (e alrapporto per molti aspetti crudele che lo lega a Ruzante) si stemperanelle scene dominate dal soldato Tonin. L’immissione di elementi farse-schi e giocosi legata a questo personaggio è stata anche troppo insisten-temente rilevata da una parte della critica che, amplificando un circo-stanziato spunto di Zorzi, ha fatto di Tonin un Capitan Fracassa in largo

43 Rinvio a due studi diversi, entrambi dedicati al procedimento in autori vicini a Ruzantecome Ariosto e Machiavelli. Per Ariosto cfr. con FERRONI 1980: 129 nota 51 l’articolo di L.SCORRANO, La «gran confidenzia» di mastro Iachelino e altre osservazioni sul «Negromante», in«Annali della Facoltà di Magistero dell’Università degli Studi di Lecce», I (1970-1971),pp. 37-71, alle pp. 49-56: metafore e similitudini animali sono qui parte di un «linguaggioemblematico entro il quale riportare una realtà subumana, la visione di un mondo degradato»(p. 49). Va rammentata in proposito anche la relativa coerenza con cui la stessa Lena è assi-milata a un’asina (come Betìa nella scena del terzo atto di cui si è già parlato): «vo’ con tantistimoli / da canti punger questa bestia, / che porle il freno e ’l basto mi delibero» (così Faziosu Lena, atto II, scena I); «Vorrebbe il dolce senza amaritudine; / ammorbarmi col fiato suospiacevole, / e strassinarmi come una bell’asina» (così Lena subito appresso, atto II, scena II);si ricordi anche il cenno su «queste asine / puttane» in Cassaria in versi, p. 141, II I 675-676.La forte prossimità cronologica tra certi testi ariosteschi e certi testi ruzantiani rende del restomolto difficile districare le fila del dare e dell’avere: qualche considerazione qui al § 6. PerMachiavelli cfr. E. RAIMONDI, Il politico e il centauro, in ID., Politica e commedia, Bologna, ilMulino, 1998 (ed. or. 1972), pp. 125-143, soprattutto alle pp. 125-135: l’oltranza con cui vieneimpiegato il campo metaforico animale nella prosa di Machiavelli configura una visione dellastoria in cui la «“bestia” incarna davvero l’ossessione fisica della violenza, l’aggressività degliappetiti che covano e avvampano nel corpo impassibile della natura» (p. 129). Sull’argomen-to contiene recente bibliografia, soprattutto di àmbito otto-novecentesco, il primo capitolo diP. TRAMA, Animali e fantasmi della scrittura. Saggi sulla zoopoetica di Tommaso Landolfi, Roma,Salerno Ed., 2006 (pp. 19-52).

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anticipo sui tempi 44. Ma di fatto Tonin non si presenta come soldatospaccone se non quando si trova a dover gareggiare per fanfaronagginecon Ruzante nel corso del quarto atto (IV III): si tratta senza dubbio, èbene riconoscerlo, di una scena memorabile, e l’aggettivo va speso nelsuo significato letterale, perché battute e lacerti verbali di questa zuffacontinueranno a echeggiare nel teatro veneto dei due decenni successi-vi tornando a più riprese nelle commedie di Calmo e Giancarli.Prima di tornare meglio su quest’ultimo punto, vale però la pena di pre-cisare che la caratterizzazione di Tonin sembra condizionata in certamisura anche da altre due concomitanti sotto-tradizioni: la prima èquella degli strambotti e dei lamenti amorosi “alla bergamasca”, laseconda è quella che fa perno sulla lode campanilistica dei bergamaschie della loro intelligenza. La prima componente emerge con sufficientechiarezza nella scena di corteggiamento con Betìa (I III), laddove Toninrivendica la propria statura di uomo di mondo evocando un’esperienzaassai poco militare ma invece squisitamente rusticana, l’aver «vedutbuò, vachi, cavai, scrovi, porcei e aseng» (I 30); per lodare la sua bella,poi, egli allude a poche ma ben riconoscibili caratteristiche topiche

44 Sulla caratterizzazione del personaggio continuano a valere le osservazioni di ZORZI 1397nota 34: «Tonin è un personaggio obiettivamente realistico, un soldato di ventura che fa ilmestiere per guadagno, senza alcuna disposizione per le battaglie e per la guerra, verso le qualiostenta anzi un distacco da professionista. Tuttavia la sua figura è la meno autonoma dellacommedia: l’autore se ne serve in funzione di contrappunto farsesco, per arricchire di spuntimarginali il nucleo della trama che gli sta a cuore»; e ancora a p. 1416 nota 113 «Tonin è il pro-totipo del militare di carriera, del suo come di ogni tempo: sornione, filone, indolente – “lava-tivo” lo definirebbe l’odierno gergo di caserma –, ha del militare la pigra disponibilità, l’uzzo-lo sessuale permanente, l’umore non programmatico, incline a profittare delle occasioni, a pro-cacciarsi donne e denaro con il minimo sforzo [...]». Quanto a Tonin come miles gloriosus irilievi di Zorzi (1418 nota 118) si limitavano saggiamente alla boutade di IV 11 («Quant a’ sóarmat e che ’m guardi indol spech, la mia figura em fa paura a mi!»), del resto non attribuibi-le direttamente a Ruzante (occorre quasi identica già nel Cortegiano: vedi commento). Eppu-re quest’aspetto marginale ha monopolizzato l’attenzione di alcuni lettori: ad es. L.L. CAR-ROLL, Ruzante and the paduan dialect, in CARROLL 1981: 101-128 insiste a più riprese sull’im-portanza di Ruzante per la successiva Commedia dell’Arte e in proposito nota che «Tonin ofthe Moschetta is the first known bravo of the stage and initiates a long series of braggart, bul-lyng soldiers» (p. 127). Non concordano FRANCESCHETTI - BARTLETT 1993: 20 secondo i quali,data la sua scarsa propensione al combattimento, Tonin «has very little in common with themiles gloriosus who will become a standard character of the commedia dell’arte» (sebbene lafanfaronaggine sia un tratto tipico già del miles gloriosus propriamente detto, Pirgopolinice);ma più avanti (p. 45 nota 31), senza abbandonare di fatto la prospettiva deformante che faperno sulla commedia dell’arte, osservano che «if Beolco might be considered the father of thecharacter of miles gloriosus in commedia dell’arte, one could say that Ruzzante’s character inLa Moschetta reflect this at times more clearly than Tonin’s». Più equilibrato da ultimo il giu-dizio di DE CAPITANI 2002-2003: 98, che insiste sulla connotazione complessivamente realisti-ca del personaggio, ma imbocca una strada a mio avviso opinabile scorgendo nella finale puni-zione di Tonin un trionfo della furbizia villanesca incarnata nell’alleanza Ruzante-Menato.

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nella letteratura contadinesca (in «coresì me’ dolzo» I 30, «viset me’tondarel» I 28 e I 34, «viset me’ bel» I 46 sono codificati sia l’impiegodel diminutivo sia il cenno sulla rotondità del volto, mentre «relusenta»I 30 è aggettivo iperconnotato in senso nenciale) 45; infine, dopo alcuneimmagini riconducibili alla vita militare (I 42), la schermaglia amorosasi chiude con lo scherzo osceno imperniato su un altro oggetto campa-gnolo, il manico del cesto (I 50; a IV 1 sarà un altro passe-partout di ori-gine rusticale, l’ordegn ‘attrezzo’, a designare il pene) 46. La secondacomponente – quella che ho definito per brevità campanilistica – affio-ra soprattutto nel monologo d’apertura del quarto atto (IV I), il cuiesordio ricalca un proverbio diffuso ancora all’epoca di Pasqualigo («IBergamaschi ha bé gros ol cò, ma i ha un inzegn che ’s fica per ognibus!»); la rivendicazione della propria eccellenza – che è l’eccellenza diun intero territorio e dei suoi abitanti – prosegue nello stesso monolo-go («Chi diavol saref stà quel, oter che ù bergamasc [...]?»), dopo averfatto la sua comparsa già alla fine dell’atto terzo, in una battuta allusivae complice diretta a Betìa («A’ savì bé madona che tug i bergamasch ètug omegn da bé...» III 145) 47. Quest’ultimo aspetto – quello del ber-

45 Per entrambe le caratteristiche si veda il commento; «la predilezione per diminutivi e accre-scitivi» come contrassegno formale del genere era già indicata in CORTI 1974 (1989): 282.Aggiungo qui che anche il «segiello [...] fregò da fresco» (I 31) cui Betìa si paragona per civet-teria è un oggetto precisamente connotato in chiave rusticale e sessuale (cfr. di nuovo CORTI1974 [1989]: 283).46 Sulla tradizione della poesia dialettale riflessa in bergamasco, salda tra Quattro e Cinque-cento, basti qui rimandare in ordine cronologico ai fondamentali contributi di CORTI 1974(1989), PACCAGNELLA 1984: 218-231, CIOCIOLA 1986. Rinvii a testi della tradizione rusticaletoscana si trovano nel commento. L’adozione di moduli rusticani in commedia è manieristica-mente esasperata nelle parodie calmiane degli anni Cinquanta: ad es. in CALMO Fiorina, p. 13il bergamasco Sandrin si rivolge a Fiore con una battuta gremita di figuranti agresti e di dimi-nutivi: «Ah, bochì me’ bel, blaca cum è la caiada, snidia come l’arzent, rossa com el scarlat,rotondeta [torondeta nel testo] cum è un vedel da lagh, chi t’ha fatto quelli scarpetti lavoradicusì bé? [canta] Falaliloi, falalilelà, falilò, chi no ’t guarda è ù grà minchió...» (I 28); esempisimili si possono facilmente moltiplicare.47 Un esempio piuttosto antico di questa linea campanilistica, declinata nel suo aspetto ‘etno-grafico’, si ha nel contrasto contenuto in una stampa popolare probabilmente anteriore al1525 intitolata Le malitie d(ei) Valani [sic] co(n) alquanti Stramotti alla / bergamascha. Et unocontrasto de uno Fiorentino & uno Bergamascho (British Library C 57 l 7 3), in cui i due dia-loganti descrivono le cerimonie matrimoniali dei rispettivi territori rivendicandone l’eccellen-za (vedi in proposito CIOCIOLA 1986: 169-170). La tradizione del bergamasco astuto e uomodi mondo è viva nella produzione popolare anche più tardi, incrociandosi ad altri tipi, comequello del discorso cialtronesco: si vedano per esempio le due stampe non datate Un viaggiocha fatto M. Pedrol Bergamasco, qual narra li paesi che ha visto, & le sue virtù. Cosa molto pia-cevole, & ridiculosa (British Library 11427 b 52 e 1071 c 65 3) e Le mirabilissime virtù di mae-stro Venturino Bergamasco, Protomedico, e Dotto in ogni Scientia, cosa piacevolissima, & redi-culosa [...] (British Library 1071 c 65 14). Si noti l’effettiva prossimità alle vanterie di Tonin diun’osservazione come quella che si legge a c. Aiiiv della prima stampa (esemplare 11427 b 52):

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gamasco esperto del mondo e consapevole della propria superiorità –viene sviluppato poi in varie commedie calmiane successive, certoanche a partire dal precedente di Tonin. Così, l’enumerazione di «gh’hovedut buò, vachi, cavai, scrovi, porcei e aseng» (I 30) è probabilmentel’ipotesto di quella ben altrimenti cosmopolita con cui entra in scena ilsoldato bergamasco Scarpella nella Spagnolas (I 13, corsivi miei): «E’g’ho vist aca mi la mia part dol mondo, de za, de là, per fi in Spagna, esì g’ho abud tal condizió col signor de Portogal ch’a’ so’ stad capitanide l’armada fo’ a l’imprisa de le isole indiane de la Colucuta; e sì g’hovedut plù piver, plù garofoi, plù fate de spezii, de omegn salvadegh, defomen, d’anemai [...] Ma nol passà’ tuti quei cosi c’ho vedut dol spaìsde sta tera, fra i olter fomni g’ho mirat u viset forto pulit [...]» 48, dove èda notare anche il «viset forto pulit» di cui il soldato bergamasco fini-sce per invaghirsi dopo tanto vagabondare, che corrisponde al «visettondarel» di Betìa nelle parole di Tonin. Ancor più scopertamente, ilmonologo d’ingresso del bergamasco Sandrin nella Fiorina di Calmo (I24) riscrive quello di Tonin al principio del quarto atto (IV 1): «Maide-sì, a’ no gh’è olter sangu al mond plù dolz, plù caritatif, plù amorevolde i Bergamasch! Sebé ol so’ inzegn è un po’ gros, semper i va fò pertutti i terri, es cazza in ogni prigol per doventà’ bonissim mercadech, esno guarda lontanàs da la patria negota, che infì dal Prete Già e in Colo-cuto a’ ’l se trova somenza bergamina: ol pader de l’af del fradel delnevod del cusì del barba del cugnat del zermà de me’ pader fo faghcitadì e ol primer baró del grà Tamburlà, fo in Cercassia! Oh, que om!A’ ’l nomeva Zanin Scarpela [...]» 49. In quest’ultimo passo, che ho cita-to solo parzialmente, risulta chiara fin da subito la dilatazione farsescasubita dagli spunti ruzantiani, su cui si innestano la geografia meravi-gliosa e cialtronesca del Prete Gianni e del Gran Tamerlano accanto auna genealogia la cui verosimiglianza, va da sé, è inversamente propor-zionale al numero dei legami di parentela supposti («ol pader de l’af del

«E perché i bergamaschi vé tegnut / da huomin gros che n’ha intellet / a’ m’ho deliberat checognossut / se vegni i bergamaschi in ogni effet / e per questo cercat ho ’l mond tut / perimparà’ plu col signor discret / perqué a un hom che vaga per ol mond / l’impara de i secretsebé l’è tond».48 CALMO Spagnolas, p. 26, corsivi miei.49 CALMO Fiorina, pp. 11-12. La dipendenza di questo monologo da quello della Moschetta eragià stata notata da PACCAGNELLA 1982: 165: «nella Fiorina di Andrea Calmo, il bergamasco diSandrin si inserisce nella linea d’uso che era propria anche di Ruzzante (l’elogio della propriadiscendenza brembana della battuta 24 del I atto va accostato a quello fatto da Tonin nellascena I del IV atto della Moscheta)». Nella stessa Fiorina calmiana, per altro, anche il mono-logo iniziale di Bonelo, dedicato alle sofferenze amorose del villano, è costruito saccheggian-do quello di Menato (I 1) e quello sulle fantasie suicide di Ruzante (III 98).

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fradel del nevod del cusì del barba del cugnat del zermà de me’ pader»).Come accennato sopra sono però le liti di Ruzante e Tonin (I 54-72 e IV3-40) a godere della maggiore fortuna nel teatro degli anni successivi. Sitratta in entrambi i casi di zuffe scandite da un fuoco di fila di smar-giassate e terrificanti minacce (solo verbali, non c’è bisogno di dirlo): illegame meno saldo con la trama della commedia, la rapidità del botta erisposta e il plateale effetto di crescendo – tale da rasentare in alcunipunti una meccanicità notata da quasi tutti i lettori – fanno di questebaruffe nuclei scenici pressoché autonomi già pronti a trasmigrare inaltri testi. Il primo a ricordarsene sembra esser stato lo stesso Ruzantein alcuni dialoghi della Piovana (vedi più sotto il principio del § 7); macolpisce soprattutto l’insistenza con cui questi spunti vengono rielabo-rati e riproposti nelle commedie di Giancarli, con una sistematicità chemerita qui apposita menzione (mentre ho segnalato solo nel commentoalcune riprese ugualmente plausibili ma più circoscritte nel Travaglia diCalmo). Nella Capraria al villano Spadan capita infatti di imitare lemovenze aggressive e le vanterie di Ruzante nella Moschetta: a IV 122 sioffende perché Barbon l’ha chiamato villano (più o meno come Ruzan-te a I 64 con Tonin) e subito dopo a IV 132 lo minaccia ricordandogliil suo passato militare («a’ son stò soldò, de quî maleti...»; così a IV 14Ruzante rinfaccia a Tonin che «a’ son stò miegio soldò che ti n’iè ti, cheson stò cao de soldò de squara»); a IV 310, dopo aver truffato a Barbondue «aggugiete», Spadan tesse le proprie lodi esordendo con espressio-ni tolte di peso dal primo monologo di Ruzante (I 54): «Ghe l’heggiemo cazzò in lo carniero, e sì a’ gh’he avanzò do aggugiete. Oh, l’è purstò la bella noella!». La ripresa di materiali della Moschetta, attinti inparticolare dal serbatoio delle zuffe tra Tonin e Ruzante, è più larganella Zingana: a I 368-369 il villano Garbuglio insiste, come già Ruzan-te e Spadan, sulle proprie esperienze militari («ma da che è vegnù steguerre, e che a’ som stè in campo an nu per guastaore e straca-artegia-rie, e ch’agón spratichè con soldè sbrisighiei e galiuti e altre zenie, a’som deventè an nu scozzonè»), dopo aver aperto il proprio monologocon una dichiarazione sull’infallibilità dei proverbi che fa il paio conquella pronunciata da Ruzante all’inizio dell’Egloga-Moschetta (in Gian-carli «a’ gh’he sempre mè aldù dire da i nuostri antessore che de i spro-verbi d’i nuostri maore è da farne stima, perqué i dise el vero con fa elguagnelio»; in Ruzante, più brevemente, «i provierbi non falla mè»).Ma sono l’evocazione e poi la presenza fisica del bergamasco Martinche, insieme alla situazione di contrasto pluridialettale, riattivano pale-semente la memoria della Moschetta nel testo di Giancarli. Ecco Spadan

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intento a incensare la propria abilità di truffatore con un compiacimen-to che amplifica le parole di Ruzante nel suo primo monologo: «A’ sonpur mi, mo guardè s’a’ son cattivo; ch’a’ gh’he archiapò un bergamascofachin, che sotto el coare del sole no fu mè uomeni pì avezù e setile estregnente a i denari de iggi» (Zing. I 370; in Mosch. I 54 «oh cancaro,a’ ghe l’he pur archiapò mi, ello, che è soldò: perqué el se ten sì sanza-rin! Poh oh! E sì è soldò... e mi ghe l’he archiapò! Perqué se l’è soldò,oh cancaro, a’ son cattivo mi [...]»); il villano esige i denari dal facchi-no (Zing. I 377 «a’ vuogio i mie’ sette tron e vintiquattro marchitti»; inMosch. IV 6 «quî dinari è mie’, ch’a’ i vuo’, s’a’ t’i dîesse far buttar fuoraper gi uogi via») e si presenta «armò da palain» (Zing. I 371; in Mosch.I 54 Ruzante «n’arae paura de Rolando»). I due finiscono per ingiuriarsie sfidarsi a duello, secondo lo schema di Mosch. IV 21-40 (dove peròl’intenzione di sfidarsi è comunicata esplicitamente da Ruzante a Mena-to solo nella scena successiva): le battute della Zingana non ricalcanoqui verbalmente quelle della Moschetta ma ne riprendono i contenutinella sequela di offese (Zing. I 373 «castrapuorci, fachin, beco, laro!», I374 «villanaz, poltró»; cfr. Mosch. IV 15, 21, 24-47), nella messa in dub-bio dell’onore dell’avversario (Zing. I 378-381 «M.: Quanti armi fa Sara-val e Bressa e Bergamo no armeràv un poltronazz com t’è’ ti. G.: Cheson un poltron, ditu? M.: Un poltron, sì! G.: Te me cognusi male»; cfr.Mosch. IV 9-10, 15-16), e nella pavida conclusione di Garbugio chemesso di fronte all’effettiva eventualità del duello si affretta a precisareche «a’ n’ho tanta pressa [...] e perzóntena a’ no vorave guastare el fattome’ de mi» (Zing. I 385; in Mosch. IV 20 «a’ vorrae ben vontiera ch’elghe foesse qualcun che stramezasse, ch’a’ no vorrae ch’a’ s’ammazzes-sàno»). Ma anche il facchino Martin non brilla per coraggio se è veroche appena Garbugio è uscito di scena osserva con perfetto assiomaruzantiano che «al temp d’adèss l’è mei esser vivo un poltró... que pol-tró? e’ dig un poltronazz, que mort un valentom» (Zing. I 391; inMosch. IV 55 Menato avverte che «l’è miegio viver poltron ca morirvalentomo»). Poco più tardi, timoroso di doversi battere davvero, Gar-bugio tenta come Ruzante di darsi coraggio relativizzando il pensierodella morte (Zing. II 161 «oh, ’l can... can... caro alla paura! Que saràlomà morire?»; cfr. Mosch. IV 20 «a’ vuo’ fare bon anemo, e pì ca mori-re una fiè...»), ma viene trattenuto da Cassandro, il cui stupore davantialle armi del villano è ricalcato su quello di Menato davanti alle armi delcompare (Zing. II 177 «oh, che vuol dir queste arme a questo modo, equeste furie?»; cfr. Mosch. IV 41 «compare? Compare! Mo que noella?Que vuol dire ste arme?»). Altrettanto evidente, e segnalata nel com-

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mento da Lucia Lazzerini, la derivazione del duello immaginario diMartin da quello di Ruzante (Zing. II 244 «[...] e defatg me mena unmandrét a sto muod, e mi un rovès, e lu un stramazzó; mi una pontasotto mà, e lu rapara co la targa, e mi rodopi la ponta e vado stort, scor-ro fra i gambi e no fo nient; e lu debot inalbora un fendét, e sì me ’lmena e no m’azóz; e mi col pass indrè ghe do sul col e butt la testa interra [...]»: parole che amplificano Mosch. I 54 «sbraosa pure, e mena,e spessega a menare, e menare e spessegare sempre mè, perqué el nogh’è cristian vivo che sapia arparare! [...] Daghe pur de ponta e de roes-so e de caoponso, e a sto muo’, sgambacàvera») 50. Di lì a poco, in predaalla paura, Martin formula un voto pur di uscire dalla pericolosa situa-zione (Zing. II 248 «se reìns in bé, a’ faci vod de dà’ ol me cadì de legnch’ho da drè, pié de fava, ogni tri mis a un poltró»): anche questo attodi scongiuro sembra avere un precedente nella Moschetta, in cui Ruzan-te si ripromette un’azione ugualmente benefica se il compare riuscirà atoglierlo dai pasticci (Mosch. III 134 «uh uh l’è conzà! A’ fago invòd’andare ogn’ano a disnare co un frare o co la compagnia de sant’An-tuognio»). Grazie alla mediazione di Cassandro il temuto duello traGarbugio e Martin si risolve infine in una lotta a mani nude (Zing. II282-296), nella quale sopravvive di nuovo una debole eco degli schia-mazzi di Tonin e Ruzante, in particolare il provocatorio «viè via» ‘fattiavanti’ (Mosch. IV 18 e 20) che qui rimbalza da un contendente all’al-tro (Zing. II 282-283 «G.: Orsù, vè via. M.: Vè via anca ti»). Messi defi-nitivamente da parte i dissapori tra il villano e il facchino, Giancarli nonrinuncia negli atti successivi a sfruttare ancora vari elementi di queste ealtre scene della Moschetta, che dovevano apparirgli teatralmente effi-cacissime. Così, buona parte della dabbenaggine e del preteso coraggiodi Ruzante si trasferiscono sullo sprovveduto messer Acario e sui pro-positi di vendetta che egli medita contro Lupo, il marito di Agata chegli impedisce di godersi Stella. La minaccia di Acario «ah, poldró, càmastì, lassa pur, chié vungio adar chiamar Spigarda chié mel ’ida, chiéte vongio vegnir ’mazari fina i letto» (Zing. II 414), replicata quasi iden-tica in «vongio chié se armemo tudi candi e butar so porte zuso e ’maz-zar fina i leto» (Zing. III 466), deriva da quella di Ruzante in Mosch. IV8 («a’ te vegnirae amazzare inchina in letto, ti e tuo’ figiuoli co tutto!»),come rilevato dalla Lazzerini in nota al secondo passo (p. 370) 51; così

50 Nel commento a GIANCARLI Zingana, p. 291 Lucia Lazzerini osserva che «la battaglia imma-ginaria è anche nella Moscheta I V [...], in un monologo che Gigio ha imitato in più punti eche sembra aver suggerito a sua volta l’analogo episodio di Rabioso nel Travaglia (II XIX)».51 Si tratta di una minaccia probabilmente formalizzata nel repertorio bulesco: cfr. nelle

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più tardi il timore che l’avversario non scenda in strada e lo possa col-pire dall’alto (Zing. IV 339 «Mo si no vegnizze zuso del baura, e chiéde suravia me ’mazasse») apparenta Acario a Ruzante, ugualmente spa-ventato davanti alla casa di Tonin (Mosch. IV 2 «s’a’ vago sgrandezan-do chì denanzo via, el porae trarme de qualche balestra in coste»;anche in Mosch. V 39 Ruzante teme la stessa eventualità: «el poraevegnir vuogia a qualcun da trar zò da ste fenestre un quarello e butar-me i cerviegi in boca»). Analogamente vari dialoghi tra Acario e il servoSpingarda, che d’accordo con Lupo e Agata si prende gioco del vec-chio, riprendono quelli tra Menato e Ruzante: in Zing. III 311-345 Spin-garda si finge ferito per poter truffare Acario proprio come Ruzantenella scena di Mosch. III 8-24; in Zing. III XIX, invece, Spingarda recitala parte di Menato spingendo abilmente Acario a impegnarsi in un duel-lo che avrà esiti disastrosi (la situazione dilata quella di Mosch. IV 61-69): che l’imprudenza di Acario segua qui le orme di quella di Ruzantesembra confermarlo anche l’iperbolico «averave cumbatao cundraRalando dal murtaro» (Zing. III 452), che replica abbastanza da vicinol’affermazione di Mosch. I 54 «a’ gh’archiaperè Rolando da i stari, mi[...]!».Accanto all’ampia rielaborazione di Giancarli può essere interessanteosservare infine quella tecnicamente opposta – ma ugualmente signifi-cativa – offerta dalla Pozione di Calmo nel 1552: qui il microscopicocontrasto tra il servo pavano Rospo e il parassita bergamasco Garganio(si notino i nuovi ruoli sotto cui si camuffa l’antica avversione tra il vil-lano e il facchino) sembra quasi, nella fulminea brevità, l’ammicco a unaconvenzione comica che nelle scene della Moschetta aveva avuto unadelle realizzazioni più fortunate. Nel giro di quattro battute (III 7-10) lazuffa si accende e si spegne riattivando per pochi attimi il codice già pie-namente fissato nelle liti di Tonin e Ruzante: «G.: Orsus, vé via compa-gnó! R.: Ané pur là inanzo, che int’ogni muo’ a’ no ’l gh’è stropa che nove staesse ben ligò al collo! G.: Doh, bestiam! Chi guardes a i tradimentide vu olter vilà, ol besognaref al menor mal scortegàf vivi la plù part devu! R.: Caminé pure, e lagom fare a chi sta sora de nu» 52. Le osservazioni fatte dovrebbero collocare con sufficiente precisione ilbergamasco della Moschetta nel quadro di una tradizione più ampia

Mascarate alla bulesca la promessa «vignerò [a combattere] dove el vol, fin sul so letto» (DARIF 1984: 162). 52 A. CALMO, La Potione comedia facetissima et dilettevole in diverse lingue ridotta. Nuova-mente composta per Messer Andrea Calmo, Venezia, Alessi, 1552, c. 9v.

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ricostruibile parzialmente a partire dai prodotti della cosiddetta edito-ria ‘popolare’: è ovvio che anche Giancarli e Calmo, utili a documenta-re la fortuna e la diffusione di alcune scelte ruzantiane, non dipendonoper quest’aspetto solo dalle commedie di Beolco, ma mostrano di cono-scere bene un vasto sottobosco di testi entro il quale spicca – e occor-rerà parlarne più avanti – anche quell’Egloga di Ranco e Tuognio e Bel-trame tramandata proprio dal più importante codice ruzantiano, il Mar-ciano Italiano XI 66 ricordato all’inizio. Resta da fare qui qualche con-siderazione sull’uso del bergamasco nella Moschetta, seguendo nellasostanza le indicazioni ricavabili dall’ampio studio di Ivano Paccagnel-la sul bergamasco di Ruzante 53. È innegabile che al dialetto di Toninspetti in molti casi il ruolo di ruvido e farsesco controcanto alla snatu-ralitè del pavano, e proprio in questo regime di contrasto, si è visto, essoconosce un’immediata fortuna nel teatro dei decenni successivi. «Lafonetica bergamasca coopera attivamente alle finalità espressionistichecon le sue inesauribili risorse di suoni palatali e di parole tronche»(CORTI 1974 [1989]: 284) e spesso nella Moschetta su questo corpo foni-co naturalmente espressivo si innestano «doppi sensi e [...] quiproquodel repertorio buffonesco» (PACCAGNELLA 1988: 138): non c’è dubbioquindi che qui come altrove il bergamasco – usato per lo più da scrit-tori non bergamaschi – sia sottoposto a un certo tasso di distorsioneespressiva e caricaturale. Tuttavia nella parte di Tonin – messa a puntoa circa un decennio da quella di maestro Francesco nella Pastoral –«sembra quasi esserci una rinnovata fiducia nelle possibilità espressivedel plurilinguismo [...] e una diligenza più puntuale nella resa dialetta-le» 54. È senz’altro opportuno provare a precisare questa affermazione,servendosi delle concordanze allestite da Paccagnella (cui è inteso sifaccia riferimento senza indicare il luogo per ogni forma citata) e assu-mendo come cartina di tornasole proprio la lingua di maestro France-sco nella Pastoral. Il confronto rafforza la convinzione che il bergama-sco della Moschetta tenda in effetti a una medietà lessicale (e parrebbe,entro certi limiti, anche fonetica) senz’altro estranea al bergamascodella Pastoral, ben altrimenti disposto alla deformazione giocosa eall’impiego di un lessico diversificato e fortemente espressivo. Raccolgo

53 Mi riferisco a PACCAGNELLA 1988, indispensabile anche perché offre lo spoglio fonetico(pp. 124-128) e le concordanze (pp. 143-212) del bergamasco ruzantiano.54 PACCAGNELLA 1988: 134. Più tardi, accentuando questo aspetto, PACCAGNELLA 1998: 142ha scorto nel bergamasco ruzantiano una «sostanziale aderenza documentaria del dialetto» ela «concomitante assenza di stilizzazione ai fini di distorsione espressiva».

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per prime le non numerose divergenze fonetiche riscontrabili sullemedesime forme, avvertendo subito che esse vanno valutate con la mas-sima cautela, poiché la tradizione di entrambe le opere non è sorveglia-ta dall’autore e avviene in tempi e modi differenti (manoscritta e ante-riore all’altra di circa trent’anni quella della Pastoral). Spiccano cul‘quello’ (in bisticcio con cul ‘culo’) e cacar ‘cancro’ (giocato anche sullavicinanza con caca / caga) che sono solo di Past., contro quel e cancheresclusivi in Mosch.; mentre non hanno corrispettivi in Mosch. altri dueesempi omogenei ai precedenti come merdesina ‘medicina’ e bragada‘brigata’ (in bisticcio, rispettivamente, con merda e braga) 55. AltrovePast. preferisce forme più tipiche o ipercaratterizzate: sembrano i casidi fiul, dove u esprime quasi certamente la vocale turbata (fioi inMosch.), ossù con assimilazione di rs (orsù in Mosch.), trenzcost con unaz di non chiara ragione (trentacosti in Mosch.) 56; l’altra faccia dellamedaglia consiste in una minore aderenza documentaria del bergama-sco di Past. (ma la questione è assai delicata e mi limito ai pochissimiesempi per i quali si abbia la forma concorrente in Mosch.) 57: così faruna volta in Past. ma mai in Mosch. che ha solo fà’ (con la regolare apo-cope sillabica), niet ‘niente’ una volta in Past. ma mai in Mosch. che hasempre negot e negota (forme lessicalmente più fedeli), piase in Past. maplasi in Mosch. (con regolare conservazione del gruppo PL). Ma èsoprattutto sul piano lessicale che si hanno prove più numerose e sicu-re della forte espressività veicolata dall’uso del bergamasco nella Pasto-

55 Sia merdesina che bragada sono deformazioni in certa misura già codificate a quest’altezzacronologica: per esempi di merdesina in un altro testo bergamasco tramandato dal MarcianoItaliano XI 66, le Sentencie perse, vd. PACCAGNELLA 1984: 216; bragada ha numerose occor-renze fin dal quattrocentesco Mariazo estense pubblicato diplomaticamente da G. BERTONI,«Mariazo a la fachinescha», in ID., Poeti e Poesie del Medio Evo e del Rinascimento, Modena,Orlandini, 1922, pp. 233-243 (vari esempi della nostra forma a p. 241 passim).56 Quanto all’uso di u per o turbata, mi limito a radunare qui qualche rinvio ad altri testi neiquali si riscontra la medesima consuetudine grafica: CONTINI 1935 (2007): 1206 punto 6;CORTI 1974 (1989): 285; P. TOMASONI, Il volgare a Brescia in un’antica relazione sulle acque, in«Rivista Italiana di Dialettologia», XXVII (2003), pp. 7-32, a p. 11 punto 7; COMBONI 2008:106 (su vul: «si noti la grafia u per rappresentare il suono ö»). Quanto a Ruzante, PACCA-GNELLA 1988: 128 interpreta grafie come cur e mud quali possibili vestigia «di un sistemaormai scomparso». Per trenzcost ho ricontrollato la forma sul microfilm, dove si legge senzadubbio trenz cost; l’unico a dare spiegazione per altro indiretta della z pare Lorenzo Stoppa-to, che chiosava la forma con ‘stringi coste’ seguito da punto interrogativo (lo si apprende daRuzzante, La Pastorale, a c. di E. Lovarini, Firenze, La Nuova Italia, 1951, p. 98 e nota; Lova-rini possedeva l’unica copia superstite dell’edizione ruzantiana curata da Stoppato, andatadistrutta nell’incendio della Tipografia Prosperini nel 1887).57 In attesa di una nuova edizione della Pastoral che possa risolvere i molti problemi lasciatiaperti da quella di Padoan (PADOAN 1978), alcuni di questi aspetti sono egregiamente esami-nati nel lavoro di DANIELE 1988.

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ral. Le offese, pur non lievi, di Tonin a Ruzante nel corso del quarto attoimpallidiscono di fronte alle ingiurie mirabolanti (e perciò stesso anco-ra non tutte chiare agli interpreti) che il medico rivolge all’inservienteBertuol e al villano Ruzante (e si noti che nessuna di queste parole sitrova nel bergamasco di Tonin): ricordo senza pretese di completezza«caval de Dè», «papafisso», «scròzola de çiveti», «ser Mocol», «volt defritaia», «vis da instragni», «soler da moni»; indicativo è poi il caso diuna minaccia presente in entrambe le commedie ma realizzata conmezzi lessicali diversi: lo «squasserò i pedoci» di Past. riceve una for-mulazione più neutra nel «a’ ’t cazzerò i pedoch del cò» di Mosch IV 31.Concomitante è una larga serie di parole assenti nel bergamasco dellaMoschetta e parimente connotate nel senso dell’espressività anche foni-ca (che giustificherebbe talora la chiamata in causa degli attributi dan-teschi di «aspre e chiocce»): astropè, bagatel, bordel, burag, frap, fusari,guza («l’orsa [...] se guza gi ongi»), manegoldo, materi, papafisso, rasperò(«rasperò la borsa»), rugat, sbrula («a’ sent che mi sbrula / i vetraz in elcorp»), vermocà («al cor dil vermocà»). Questa serie bassa cozza conquella lessicalmente specializzata legata alla competenza professionaledel medico (sono di nuovo parole ovviamente assenti nella Moschetta):belzovich, budei, ciròg, cristieri, defensif, erbeti, inchiestera, licor, miuol,pantàg, pitèr, polmó, radis, sirop, sofrit, stretor, vesich («vesich / dimusch e zibet»). A un livello ancora superiore si collocano gli insertilatineggianti che introducono nel tessuto del bergamasco striaturepseudomacaroniche e buffonesche, con l’annessa sequela di autoritàpiù o meno reali: «illa decotio» (p. 139, XIII 889), «orina est obstendens/ causam, dependens / dal cor o dal figàt / o dal polmò o dal bat / chete caghi!» (p. 157, XVI 1156-1160), «el test / d’Aviçena: Aristotil» (p.151, XVI 1085-1086), «co’ dis Averoì» (p. 157, XVI 1155), «Rusticumvicit vibis: / si vis ut amet / càvai el coràmet / fuora de la schina» (p.159, XVII 1206-1209) 58. La lingua di maestro Francesco esibisce insom-ma una varietà lessicale e una disponibilità alla deformazione linguisti-ca ignote (e impensabili) in quella di Tonin: fatto dovuto anche a unmaggiore “realismo” nella caratterizzazione sociale del soldato; mentremaestro Francesco è sì un medico riconoscibile per il pubblico delloStudio patavino, ma è anche «una figura familiare da secoli al flok-playe allo spettacolo sacro europeo», quella del «medico-mago con le pre-rogative taumaturgiche della resurrezione apparente, e la procurata

58 La mescolanza di latino e bergamasco, con diverso esito espressivo, si riscontra anche nellaComedia nova d’Amore di Fausto Redrizati: vd. COMBONI 2008: 101.

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morte o resurrezione di figli e di congiunti, qui adombrata nella mortedel padre di Ruzante, rimandano a un sostrato profondo quanto vasto.Vi affiorano l’unguentarius del dramma sacro e le superstizioni sui cle-rici vagi proiettate nella cultura rurale» (GUARINO 2005: 320).

5. A distanza di circa quarant’anni dalla sua comparsa, la sistemazionecronologica del teatro ruzantiano proposta da PADOAN 1968 (1978a)resta quella complessivamente più solida ed equilibrata, appoggiatacom’è su un attento vaglio critico di tutte le testimonianze dirette e indi-rette e su una solida conoscenza della storia veneta nel primo trentenniodel Cinquecento. Mi paiono meno persuasive, per quanto riguarda laMoschetta, le proposte avanzate in séguito da CANOVA 2000: 62-63 esoprattutto da MILANI 1988 (2000): 153-158, che tende a un totale manon sempre ben argomentato rimescolamento di carte nella cronologiadelle commedie di Beolco. Convinzioni anche molto diverse, del resto,sono ben possibili alla luce di una situazione come quella delle opere diRuzante, per le quali le date certe di composizione e rappresentazionesono pochissime: così poche da consentire a PACCAGNELLA 2004: 168 diaffermare francamente che della Piovana «non è possibile stabilire un’e-satta data di composizione, come del resto per tutte le opere di Ruzante».Lascio da parte, per affrontarli nell’ultimo paragrafo, i problemi postidall’Intermedio e dal Rasonamento, puntando qui l’attenzione sullaredazione marciana (Egloga-Moschetta) e su quella testimoniata dallastampa Alessi del 1551. Il rapporto cronologico tra l’Egloga-Moschettae la redazione integra della princeps è senza alcun dubbio quello a suotempo indicato da PADOAN 1968 (1978a): 159-160, che cito con lar-ghezza: «la redazione a stampa della Moscheta è la definitiva: lo si puòarguire già proprio dal fatto stesso che sia stata messa a stampa, giacchépiù facilmente l’editore del 1551 avrà potuto metter le mani su un esem-plare del copione definitivo, quello al quale furono affidate le replichenell’ultimo anno di vita dell’autore. Inoltre, per quel poco che si puòdesumere dalle poche battute della scena I riportate nel codice Marcia-no, la commedia rispetto alla stesura lì attestata fu riscritta diversamen-te, con mestiere ben più consumato».Posto che il manoscritto attesti dunque una redazione anteriore a quel-la della stampa, dalla sua datazione si dovrà partire per avere un termi-ne post quem almeno indicativo. La sorte è stata generosa perché, comevide per primo LOVARINI 1965: 327-330, il prologo dell’Egloga-Moschet-ta permette di riferire con certezza la messa in scena a un ciclo di reci-te ferraresi cui appartennero anche la Lena e il secondo Negromante di

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Ariosto: «E questa che è chialò no è Cremona, né Ferara; mo l’è Pava,e non v’in’ maravegié se l’è pìzola, perqué l’ha vogiù an’ ella frezare avegnir chialò» (Egloga § 15). La menzione di Cremona e Ferrara – cittàin cui sono ambientati rispettivamente il Negromante e la Lena – nonpuò essere casuale e calza a pennello con un’osservazione del prologodel secondo Negromante: «Questa è Cremona, come ho detto, nobile /città di Lombardia, che comparitavi / è inanzi con le vesti e con lamaschera / che già portò Ferrara, recitandosi / la Lena. [...]» 59. Basan-dosi almeno in parte sulla biografia ariostesca di Michele Catalano,PADOAN 1968 (1978a): 151-152 ha suggerito di collocare la messa inscena dell’Egloga-Moschetta (e quindi quelle di Lena e Negromante) nelcarnevale del 1529, durante i festeggiamenti che accolsero Ercole d’E-ste e la sua sposa Renata di Francia. Ma la scelta di Padoan cade sul1529 anche perché in quell’anno il cerimoniere di corte Cristoforo daMessisbugo testimonia la presenza di Ruzante a Ferrara in occasione diun banchetto offerto dal duca domenica 24 gennaio: «E a questa sestavivanda cantarono Ruzzante e cinque compagni e due femmine canzo-ni e madrigali alla pavana bellissimi, e andavano intorno la tavola con-tendendo insieme di cose contadinesche, in quella lingua, molto piace-voli, vestiti alla loro moderna» 60; prima che il favoloso banchetto aves-se inizio, si noti, era stata rappresentata anche «una commedia di M.Ludovico Ariosto, chiamata La Cassaria» 61. Pochi giorni prima, proba-bilmente, Ruzante aveva messo in scena il Dialogo facetissimo nella vici-na Fosson, località del polesano presso la quale Alvise Cornaro posse-

59 Cfr. ARIOSTO Commedie, p. 449, vv. 23-27.60 MESSISBUGO, p. 50. Non si può escludere che Ruzante fosse attivo anche per gli intratteni-menti che accompagnarono la portata successiva: «la qual vivanda [la settima] passò con inter-tenimento di buffoni alla veniziana e alla bergamasca, e contadini alla pavana; ed andaronobuffoneggiando intorno la mensa, sino che fu portata la ottava vivanda» (p. 50). Qualche mesedopo, il «20 di Maggio, il giorno di San Bernardino del 1529», Messisbugo ricorda che alladodicesima vivanda «vi furono cinque, che cantarono certe canzoni alla pavana in villanesco,che fu maravigliosa cosa ad udire» (p. 39): anche in questo caso, nonostante non sia nomina-to, è almeno possibile che tra i cinque vi fosse anche Ruzante.61 MESSISBUGO, p. 43. Secondo Valentina Gritti, che ha curato una nuova edizione commen-tata della Cassaria in versi, la Cassaria recitata il 24 gennaio 1529 sarebbe già quella in versi,poi accresciuta per le recite successive e in particolare per quella – del 19 febbraio 1531 – sucui possediamo una celebre lettera del Coglia a Isabella d’Este (cfr. ARIOSTO Cassaria in versi,nell’Introduzione, pp. 12-13). Condivido in proposito le perplessità espresse nella notizia di A.CASADEI, Una nuova edizione della «Cassaria» in versi, in «Italianistica», XXXV/1 (2006),pp. 209-210, dove si osserva che proprio la lettera del Coglia, con la sua insistenza su una Cas-saria «longata e rifata e jonta quasi tuta, di modo ch’è durata ore 4» induce a credere che nel1529 fosse andata in scena ancora la vecchia Cassaria in prosa, assai diversa e più breve diquella in versi. Dello stesso parere anche FERRONI 1980: 154 nota 94: «è molto probabile che[...] la Cassaria rappresentata nel gennaio 1529 [...] fosse ancora quella in prosa».

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deva una vasta tenuta e soleva recarsi a caccia ogni anno: un’analogia trail Dialogo facetissimo e l’Egloga-Moschetta – e precisamente l’allusioneiniziale alla carestia in corso – offrirebbe secondo Padoan la prova diuna forte contiguità cronologica tra i due testi, rappresentati uno dopol’altro a distanza di poco tempo 62. Occorre però fare un passo indietro,perché sulla datazione della testimonianza di Messisbugo Padoanmostra di aver cambiato opinione in contributi successivi: nell’introdu-zione all’edizione critica dei Dialoghi egli parla senz’altro di «banchet-to offerto da Ercole duca di Chartres il 24 gennaio 1530» (PADOAN1981: 12 nota 28), e le ragioni di questo cambiamento sono chiare nellanota successiva allorché viene rilevato che in occasione del banchettodel 20 maggio 1529 Ruzante appare del tutto sconosciuto a Messisbugo(cfr. qui nota 60), «laddove nel gennaio del 1530 (1529 della stampa ècon ogni evidenza more veneto) l’attore è indicato per nome» 63. Secon-do Padoan, dunque, è illogico che Messisbugo conosca Ruzante pernome nel gennaio del 1529 e poi lo tratti da sconosciuto nel maggiodello stesso anno: la soluzione migliore gli appare quindi quella diinvertire l’ordine dei due eventi leggendo more veneto il 1529 e trasfor-mandolo in 1530. Ma si tratta di una soluzione inaccettabile, non soloperché non v’è alcuna certezza che il 20 maggio 1529 Messisbugo si rife-risca effettivamente a Ruzante, ma anche perché il banchetto descrittoper il 24 gennaio da Messisbugo ha caratteristiche eccezionali, proba-bilmente dovute ai festeggiamenti per l’arrivo di Renata di Francia edunque più difficili da immaginare nel carnevale del 1530, quandoormai la giovane sposa di Ercole era giunta a Ferrara da più di unanno 64; in aggiunta, se questo non paresse abbastanza, il responso della

62 In realtà, come in altri casi, non si può essere certi che la rappresentazione del Dialogo face-tissimo cada nel 1529: accolgo qui l’ipotesi di PADOAN 1968 (1978a): 129-133, che ha propo-sto con argomenti condivisibili di intendere more veneto la data 1528 stampata sul frontespi-zio della princeps. Tuttavia, anche di recente, DANIELE 2004 (in part. pp. 150-156) è tornato acollocare la rappresentazione del Dialogo facetissimo nel 1528. Pur ritenendo preferibile l’i-potesi di Padoan, mi rendo conto che per ora mancano argomenti stringenti che permettanodi decidere della questione una volta per tutte.63 PADOAN 1981: 12 nota 29. La datazione al 1530 per il banchetto del 24 gennaio è accetta-ta, molto probabilmente sulla scorta di Padoan, anche da FERGUSON 2000: 77 nota 16.64 La cena non ha pari – per numero e qualità degli invitati – tra le dieci descritte da Messi-sbugo (e insieme al ricevimento del 20 maggio è l’unica per cui venga fornita una datazionetanto precisa): «Cena di carne e pesce, che fece l’Illustrissimo Signor Don Ercole da Este, allo-ra Duca di Chartres, all’Illustrissimo ed Eccellentissimo Signor Duca di Ferrara suo Padre, eall’Illustrissima Madama Marchesa di Mantova, e alla Illustrissima Madama Renéa sua moglie-ra, e al Reverendissimo Archiepiscopo di Milano e all’Illustrissimo Signor Don Francesco e aduno Ambasciatore del Re Cristianissimo, e a due Ambasciatori del Serenissimo Senato Veni-ziano, e altri gentiluomini e gentildonne, così ferraresi come d’altro luoco, i quali furono tuttial numero di 104 nella prima tavola. (Eccettuando l’Illustrissimo ed Eccellentissimo Duca di

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cronologia non lascia dubbi: il 24 gennaio 1529 cadeva di domenica(«dominica, alli 24 di Gennaio», scrive Messisbugo), mentre il 24 gen-naio 1530 era lunedì 65. L’aver spostato la data della nota di Messisbugonon cambia le cose per la Moschetta, la cui prima rappresentazione restafissata per Padoan al 1529, come si desume da un lavoro successivo nelquale sono sintetizzati i lunghi anni di fedeltà a questi argomenti: «Il 24gennaio 1530 la presenza del Beolco è attestata a Ferrara, per un ban-chetto offerto da Ercole d’Este, figlio del duca [...]. Probabilmente giànel febbraio 1529 il Beolco aveva rappresentato una prima versionedella Moscheta [...] la commedia fu probabilmente replicata a Ferraranel maggio» (PADOAN 1982: 118-119).Eppure anche questa ricostruzione – e l’assegnazione al 1529 dellaprima recita della Moschetta – sembra bisognosa di una rettifica: sia per-ché la data della rappresentazione del Dialogo facetissimo resta almenomarginalmente incerta e le modeste analogie tra questo testo e l’Egloga-Moschetta non possono essere impiegate tout court come prove di unacosì stretta vicinanza cronologica, sia (e soprattutto) perché non sihanno sufficienti certezze sulla data di rappresentazione del secondoNegromante cui quella della ‘prima’ Moschetta è senz’altro legata.Padoan ne era ben cosciente: «Purtroppo non è nota la data della reci-ta (o delle recite) del Negromante, che il Catalano indica, ma senza argo-menti stringenti, nel 1529» (PADOAN 1968 [1978a]: 151); più tardi Giu-lio Ferroni osservava che sulla datazione del secondo Negromante leconclusioni di Catalano sono «talmente confuse, che gli permettono disuggerire volta per volta, senza nemmeno renderne ragione, il 1528 [...],il 1529 [...] e il 1530» (FERRONI 1980: 132 nota 55) e metteva ben inguardia, dopo aver chiamato in causa anche il problema della Moschet-ta, dal «rischio di interminabili avvolgimenti su presupposti puramenteipotetici» (FERRONI 1980: 133 nota 55). La cronologia delle rappresen-tazioni ariostesche è stata recentemente oggetto di alcune importantiosservazioni di Alberto Casadei (CASADEI 2004, soprattutto pp. 86-87),dalle quali deriva un’ipotesi diversa anche per la Moschetta. In sostanza

Ferrara, l’Illustrissima Duchessa di Chartres e l’Illustrissima Marchesa di Mantova: i quali tremangiarono insieme, dagli altri separati)» (MESSISBUGO, p. 43). L’evento è correttamente col-locato nel 1529 anche da BARATTO 1969: 100 e da Antonia Tissoni Benvenuti nell’Introduzio-ne a TISSONI BENVENUTI - MUSSINI SACCHI 1983: p. 17; la stessa data era già in B. FONTANA,Renata di Francia Duchessa di Ferrara. Sui documenti dell’Archivio Estense, del Mediceo, delGonzaga e dell’Archivio secreto Vaticano, vol. I Anni 1500-1536, Roma, Forzani e C. stampa-tori del Senato, 1889, pp. 90-99.65 A. CAPPELLI, Cronologia, cronografia e Calendario Perpetuo, Milano, Hoepli, 1930 (II ed.interamente rifatta), pp. 48 (1529) e 88 (1530).

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secondo la ricostruzione di Catalano «nel 1529 dovremmo pensare cheAriosto abbia seguito la messinscena della Cassaria (24 gennaio), colla-borato a una versione dei Menaechmi (rappresentati il 31 gennaio o il 7febbraio), e poi, in due o tre settimane, curato la rappresentazione dialtre due commedie (Lena e Negromante), di cui una nuova. A fronte diquesto sforzo, davvero oneroso, nel 1530 Ariosto non avrebbe prodot-to nessuna messinscena, se non forse una dell’Aulularia, peraltro privadi riscontri sicuri» 66. La sproporzione, già di per sé sospetta, tra gliimpegni teatrali ariosteschi per il 1529 e per il 1530 deriva da una noti-zia piuttosto tarda (1584) del biografo Girolamo Garofalo, che assegnaal 1528 la prima rappresentazione della Lena: siccome una serie di rife-rimenti contenuti nei prologhi indica che nell’anno successivo a questaprima rappresentazione la Lena fu replicata e messa in scena con ilsecondo Negromante, ne deriva inevitabilmente – una volta che si accet-ti il 1528 di Garofalo per la ‘prima’ della Lena – che nel 1529 debbanocadere replica della Lena, secondo Negromante e prima Moschetta. Tut-tavia – cito ancora le osservazioni di Casadei – «Garofalo indica la datadel 1528 per la prima rappresentazione della Lena dopo aver già parla-to del matrimonio di Renata e Ercole, avvenuto il 28 giugno 1528, ma icui festeggiamenti si tennero fra il ’28 e il ’29: una modesta confusionedi date potrebbe essere comprensibile. Inoltre tutti i documenti relativialla biografia di Ariosto pervenutici indicano che l’attività del poeta nel-l’ambito degli spettacoli cortigiani riprende con fervore dal 1529, men-tre non ci sono cenni relativi al 1528. Infine, sempre Garofalo [...]segnala che il primo prologo della Lena fu recitato dal giovanissimoFrancesco d’Este, e un tale evento forse poteva essere riservato a unacircostanza particolare, come appunto la presenza della nuova duches-

66 CASADEI 2004: 87, con il rilievo in nota che «in genere non venivano date più di due rap-presentazioni in un anno di commedie dello stesso autore». Per quanto riguarda la recita deiMenaechmi, è sfuggita alla biografia ariostesca di Catalano una lettera di Giovan FrancescoTridapale a Federico Gonzaga (che trovo segnalata in B. FONTANA, Renata di Francia Duches-sa di Ferrara cit., p. 99). La lettera, che mi auguro di pubblicare insieme a un’altra, offre alme-no indirettamente una importante testimonianza delle difficoltà che Ariosto dovette incontra-re nell’allestire i Menaechmi in lingua francese, e informa che la recita prevista per domenica17 gennaio era stata rimandata alla domenica successiva. Eccone la chiusa: «Lo illmo s(ignor)Duca haveva ordinato ch(e) D(ome)nica ch(e) viene si recitassero li Menegmi in lingua fran-cese, poi no(n) so per qual causa si è differito al’altra D(ome)nica: Se havessi altro da scriver(e)a v. ex(cellentia) ch(e) gli havessi a esser di maior diletto faria q(ue)sto officio più volonteri: ette(m)mo sii a ley cussi fastidioso il leger(e) queste cose de cussì poco suco, como è a me il scri-verle. Tutta via la ex(cellentia) v. sarà contenta di acceptar el bono animo mio et haverlog(ra)to: Et humilm(en)te basan(do)li la mano in bona gr(ati)a sua semp(re) me raccom(ando).Ferraria 13 Jan(uar)ij 1529» (Mantova, Archivio di Stato, busta 1249, cc. 464-465).

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sa tra il pubblico nel carnevale del 1529» (CASADEI 2004: 87). Se siaccetta questa ricostruzione, che ha l’indubbio pregio non solo di esa-minare con maggior cura la testimonianza di Garofalo ma anche di pro-porre una distribuzione più equilibrata dell’attività teatrale di Ariostotra ’29 e ’30, si deve dedurre che nel 1529 vadano in scena la Cassaria(probabilmente ancora quella in prosa), la prima Lena e il volgarizza-mento francese dei Menaechmi; nel 1530 la replica della Lena, il secon-do Negromante e la Moschetta testimoniata parzialmente nel codiceMarciano. In base a questa ipotesi Ruzante sarebbe stato dunque a Fer-rara almeno tre volte: per il carnevale del 1529 (e poi, forse, nel maggiodello stesso anno: testimonianze di Messisbugo), per il carnevale del1530 (Moschetta marciana), per il carnevale del 1532 (lettera al ducad’Este, 23 gennaio 1532) 67. Il termine post quem per la Moschetta ver-rebbe dunque a essere non il 1529 ma il 1530: la composizione dell’E-gloga-Moschetta si situerebbe tra il ’29 e il ’30 in concomitanza con quel-la del Parlamento, per il quale Padoan aveva supposto, pur in assenza diprove stringenti, una recita veneziana a Ca’ Priuli nel febbraio del 1530(PADOAN 1969 [1978a]: 267-273).Per stabilire il termine ante quem occorrerà osservare invece la redazio-ne tramandata dalla stampa (quella definitiva): per il problema sonopreziose alcune considerazioni di PADOAN 1998 e PADOAN 1999, lavoriin cui si scorge una dedizione all’argomento tale da far pensare che lostudioso progettasse di rimettere mano alla sua edizione di Ruzante,cominciando proprio dalla nostra commedia. A Padoan riesce di indi-viduare nel Marescalco, stampato a Venezia da Bernardino Vitali nelfebbraio 1534, almeno due spunti che sembrano con ogni verosimi-glianza desunti dalla Moschetta 68. Il primo è una spacconata di Toninche doveva aver colpito Aretino e che si è ricordata anche più sopra:«Quant a’ só armat e che ’m guardi indol spech, la mia figura em fa

67 Mancano invece prove della presenza di Ruzante a Ferrara durante il carnevale del 1531: latestimonianza addotta da Alfred Mortier (e sulle sue tracce ma con molta più cautela da ZORZI1597) consistente in una lettera di Bonifacio II Bevilacqua datata 20 gennaio 1532 e citata daAntonio Frizzi non ha alcun valore: è chiaro infatti che la lettera, a tutt’oggi irreperibile nono-stante gli sforzi del Lovarini, si riferisce allo stesso 1532 per il quale si dispone anche della let-tera di Beolco al duca d’Este (la demolizione della congettura di Mortier presso LOVARINI1965: 334-335; ho ricontrollato direttamente A. FRIZZI, Memorie per la storia di Ferrara, Fer-rara, Per Francesco Pomatelli, 1796, vol. IV, p. 301 [Ferrara, Biblioteca Comunale Ariostea,P.75.5.16]).68 PADOAN 1998: 180-181 e PADOAN 1999: 108. Quanto alla data della princeps del Marescal-co, è il caso di aggiungere qui che sulla stampa si legge 1533, da intendere com’è chiaro moreveneto (ho verificato il dato sull’esemplare custodito alla British Library con segnatura G10767).

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paura a mi!» (IV 11); la ripresa nel prologo del Marescalco pare piutto-sto precisa, dato che il bravo lì istrionicamente imitato esclama: «ahi cielstradiotto, levami dinanzi quello specchio, ché la mia ombra mi fapaura: a mi, an?» (ARETINO Marescalco, p. 8). Ma c’è da aggiungere cheAretino, all’altezza del 1533, avrebbe potuto attingere la trovata anchedalla Piovana, dove essa ricorre pressoché identica: «tolìghe via i spiegi,a questù, che la so lombrìa no l’inspaurisce [...]» (Piovana, p. 941: andrànotata per altro la sovrapponibilità quasi esatta di «levami dinanzi quel-lo specchio» con «tolìghe via i spiegi» e di «ombra» con «lombrìa»,«figura» nella Moschetta) 69. Sul secondo spunto individuato da Padoanmi pare invece si possano nutrire meno dubbi; all’inizio del secondoatto il ritratto di Betìa quale moglie ideale prende corpo in un quadret-to di vita domestica (per altro amaramente distante dalla realtà dei fatti)così abbozzato: «A’ dighe mo’ che la n’è superbiosa e con’ a’ vaghe a ca’,s’a’ son straco o suò, de fatto la me mette na strazza in la schina, com-pare, intendì-u? S’a’ stago de mala vogia la dise: “Mo que aì-u?”. S’a’no ghe ’l vuogio dire la me dise: “Mo con chi poì-u miegio sborare levostre fantasie ca con mi?”. Intendì-u compare?» (II 6). Aretino dovet-te cogliere la carica autoderisoria implicita nelle parole di Ruzante eseppe riutilizzarle e accentuarne l’effetto di straniamento attribuendolealla balia, cui tocca di tessere l’elogio della buona moglie al marescalco,che però è omosessuale: «Eccoti il verno, e il marito torna a casa molle,pieno di neve e agghiacciato, e la valente moglie, mutatoti di drappi, tiristora con un buon fuoco in un baleno, e tosto che sei riscaldato, ildesinare è in ordine, e con nuove minestrine e con nuovi saporetti tirisuscita tutto; e caso che tu abbia qualche fantasia, come accade, ella tisi mostra umile, dicendo: che avete voi, che pensate? non vi date fasti-dio; Dio ci aiterà, e Dio ci provvederà, di modo che ogni manenconia titorna in allegrezza» (ARETINO Marescalco, p. 17; «s’a’ son straco o suò,de fatto la me mette na strazza in la schina» è ripreso e sviluppato in unabattuta della balia di poco precedente quella citata: «poi tutta festevoleti si rivolge inanzi, ed essendo sudato, ti asciuga con alcuni panni sìbianchi e sì dilicati che ti confortano tutto quanto» [p. 16]) 70. La data

69 Aretino reimpiega materiali provenienti dalla Piovana anche in una sua commedia piùtarda, Il Filosofo: qui infatti il monologo del parassita Salvalaglio sulle gioie del cibo e del vino(IV V) riprende da vicino quello analogo di Garbinello (V X). Il debito è segnalato ad esem-pio da FERGUSON 2000: 97; sui rapporti Aretino-Ruzante qualche altra osservazione è propo-sta da ultimo in CANOVA 2009.70 Fa serie con i passi appena citati, seppure più genericamente, questa osservazione de Il Vec-chio amoroso di Donato Giannotti (commedia composta nello stesso giro d’anni, tra il 1533 eil 1536): «Io fo il debito mio, sì come io ho fatto sempre. E so ch’egli è obligo delle mogli,

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della princeps veneziana del Marescalco costituisce quindi un importan-te punto di riferimento, ancor meglio fruibile sulla base dell’analisi diPADOAN 1999, che ha individuato – nella lunga storia redazionale dellacommedia aretiniana, tra Mantova e Venezia – le aggiunte d’autore piùrecenti in allusioni a eventi del novembre 1533. E dunque a quest’al-tezza cronologica Aretino doveva già conoscere la Moschetta, presumi-bilmente nella sua versione definitiva, se è vero che la spacconata diTonin forse imitata nel prologo aretiniano cade nel quarto atto, aggiun-to insieme al quinto alla prima redazione che doveva constare più omeno degli attuali primi tre atti 71.Posti nel 1529-1530 (stesura e rappresentazione ferrarese dell’Egloga-Moschetta) e nel 1533 (echi della commedia completa nel Marescalco)quelli che paiono due solidi estremi cronologici per l’elaborazione dellaMoschetta, occorre discutere la proposta di ordinamento avanzata inMILANI 1988 (2000), radicalmente diversa da quella di Padoan che qui,seppure con qualche aggiustamento, è stata seguita. MILANI 1988(2000): 157-158 ha ipotizzato per la commedia una datazione estrema-mente alta, proponendo di collocarne l’originaria redazione al più tardinel 1524/1525 (a questa prima Moschetta farebbero séguito le due ver-sioni testimoniate dal frammento marciano e dalla stampa: si avrebberoquindi tre stadi evolutivi). L’unico argomento addotto dalla Milani afavore di una ricostruzione tanto innovativa e tanto divergente da quel-la di Padoan è il seguente, e vale la pena di citarlo senz’altro per esteso:«Dice Ruzzante travestito da soldato a Betìa, che gli aveva chiesto comemai egli la conoscesse: “Quando che erano la muzzarola, che io mierano lozado in casa vostra” (II 37). Il fatto che si presenti come puli-tan della Talia e poi parli spagnolo identifica Ruzzante travestito in unsoldato dell’esercito imperiale, che per alcuni anni era rimasto accam-pato nelle campagne del Padovano; ma l’accenno alla muzzarola ripor-ta con assoluta precisione al 1513, quando si assistette a un vero e pro-

quando i mariti tornano, monstrarsi loro di lieta cera, acciò che essi ne piglino allegrezza, conla quale ricompensino i fastidi che hanno fuori» (GIANNOTTI Vecchio amoroso, p. 47).71 L’ipotesi – formulata da PADOAN 1998 – che l’Egloga-Moschetta consistesse in sostanza degliattuali primi tre atti e che il passaggio alla struttura regolare abbia comportato un’aggiuntadegli ultimi due pare accettabile perché appoggiata da almeno due forti elementi interni: 1)alla fine del terzo atto l’azione sembra logicamente conclusa (PADOAN 1998: 184); 2) il quar-to atto – il più esile da ogni punto di vista – pare avere l’unico scopo di preparare l’atto suc-cessivo (PADOAN 1998: 186), nella cui scena notturna Padoan ha individuato «il centro poeti-co della giunta» (PADOAN 1998: 185). Nelle pagine successive si ragionerà dunque assumen-do che sia questa la linea evolutiva della Moschetta, ben sapendo che si tratta comunque diun’ipotesi e che non si possono avere certezze sull’effettiva consistenza dell’Egloga-Moschetta.

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prio esodo dei contadini che cercavano scampo dalle violenze della sol-dataglia. Perché la battuta di Ruzzante sia conseguente e non un’assur-dità a cui Betìa avrebbe risposto per le rime, occorre che i conti torni-no, cioè che gli anni intercorsi fra l’alloggiamento del falso soldato e lasua ricomparsa non siano calcolabili in decenni ma congrui all’età deipersonaggi. Viene quindi il sospetto che la primitiva redazione dellaMoschetta vada posta al massimo attorno agli anni 1524-25, in modoche Betìa al tempo della muzzarola fosse una ragazza da marito o quasi.La battuta rimane nelle redazioni posteriori in quanto non particolar-mente rilevante o per una semplice svista [...]» (MILANI 1988 [2000]:158). La validità del ragionamento («giochetto» lo chiama a p. 159 laMilani) viene verificata anche sulla Piovana e sull’Anconitana: per laprima commedia il calcolo dà esiti in linea con la datazione corrente(1530-1531), ma per la seconda commedia no, e ne viene inferita unaprova in più a favore della data alta dell’Anconitana 72. Ma il presuppo-sto, a mio avviso del tutto fallace, di questa ricostruzione è quello espli-citato a un certo punto dalla Milani stessa, ossia che «il tempo trascor-so [nella finzione della commedia] non ha scarti rispetto a quello realedegli spettatori» (MILANI 1988 [2000]: 158); «gli anni intercorsi fra l’al-loggiamento del falso soldato e la sua ricomparsa» (ivi) dovrebberoquindi corrispondere, non si capisce bene perché, a quelli intercorsi fral’alloggiamento (per altro non databile con precisione) e la composizio-ne della commedia, la cui data viene fatta coincidere forzosamente conquella – fittizia perché scenica – della ricomparsa del soldato. Del restoriesce assurdo immaginare, per esempio, il pubblico ferrarese che assi-ste nel 1530 alla recita della Moschetta intento a calcolare quanti anniprima il Ruzante travestito da soldato avrebbe dovuto passare in Vene-to. Soprattutto: quanti anni prima rispetto a quando? Piuttosto, qua-lunque pubblico non avrà faticato a immaginare la vicenda ambientatain uno qualunque degli anni turbolenti successivi alla sconfitta di Agna-dello, cui seguì come è noto quasi un decennio di continui disordini(una data simbolica che segna la fine di questa fase potrebbe essereindividuata per esempio nel 17 gennaio 1517, quando Venezia recuperòfinalmente Verona) 73. Anche il criterio che nelle allusioni a eventi stori-

72 Per la datazione dell’Anconitana cfr. più sotto nota 131.73 Si tratta di un’osservazione forse eccessiva, ma rilevo che, a voler caricare di una rigida veri-ficabilità (anche cronologica) questo episodio, ci si imbatterebbe in un’altra incongruenzapiuttosto cospicua: se Ruzante fosse davvero il soldato ospitato in casa di Betìa nell’anno dellamuzzarola, come avrebbe fatto a ritrovarla e a riconoscerla a distanza di anni, adesso che ladonna abita in città e non vive più nella casa che aveva dato ricovero al militare? Insomma, la

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ci la «vivacità del ricordo» sia «inversamente proporzionale alla suadistanza dall’avvenimento» (MILANI 1988 [2000]: 167) non può cherivelarsi inconsistente: se in una battuta di Tonin (IV 39) sembra benvivo il ricordo del supplizio toccato al traditore ‘prete di Marano’ all’i-nizio del 1514, bisognerebbe dedurne allora che la prima composizionedella Moschetta non possa cadere, poniamo, più di dieci anni dopo l’e-pisodio (e in questo modo, ancora più radicalmente della Milani, arri-veremmo a una Moschetta composta nel 1523/1524, ma è chiaro che sitratta di conclusioni invalidate dalla sistematica fragilità dei presuppo-sti). Entro una certa misura anche la proposta di datazione di CANOVA2000 mi sembra condizionata da quella della Milani; Canova impiegacome pietra di comparazione la consistenza numerica della compagniadi Ruzante: «basandoci sul numero degli attori possiamo supporre cheil 1527 fu l’anno in cui la compagnia contava pochissime unità (quattro)che è il numero sufficiente per recitare la Moscheta (la quale venne forsescritta, nella sua prima forma, proprio in quell’anno). La Milani propo-ne per la Moscheta la data del 1526 (ma fu più probabilmente il ’27, poi-ché nel ’26 Beolco era ancora a Venezia con la Betìa, che vuole nonmeno di otto-nove attori, o sei se consideriamo i doppi ruoli)» (CANO-VA 2000: 62). L’argomentazione è senz’altro più equilibrata di quelladella Milani, ma a mio avviso ha il difetto di stabilire una corrispon-denza troppo rigida tra il presunto numero di attori a disposizione delBeolco e le commedie che questi ‘poteva’ di conseguenza concepire escrivere. Parlo di numero presunto perché le testimonianze sicure e affi-dabili in questo àmbito sono pochissime 74: è credibile, certo, che ilnumero ridotto di personaggi della Moschetta ne riconduca la primaredazione a una certa fase della produzione di Beolco e la apparenti peralcuni aspetti ad altri testi, ma dedurne una datazione ad annum è unprocedimento rischioso, e troppo legato a una considerazione a com-partimenti stagni dell’opera di Ruzante da cui hanno messo decisamen-te in guardia, da diverse angolazioni, i contributi raccolti in VESCOVO2006. In altre parole è sviante proiettare sul piano della cronologia ladifferenza assai profonda che si coglie tra alcune opere ruzantiane: èormai provato infatti come gli anni della sperimentazione plautina e

coerenza assoluta che la Milani cerca in questa scena non era, credo, neppure tra gli ‘scopi’ diBeolco.74 Basta pensare, ad esempio, alle due testimonianze di Messisbugo per il gennaio e il maggio1529 (cfr. nota 60): se entrambe si riferiscono a Ruzante bisognerebbe concluderne che la sua‘compagnia’ fosse sostanzialmente diminuita nel giro di pochi mesi (a gennaio si parla di ottocomponenti, di cui due donne; a maggio solo di cinque componenti).

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terenziana (1532-1533) coincidano in gran parte con quelli dell’elabo-razione o rielaborazione di testi diversissimi come la Moschetta o la Fio-rina. Padoan avvertiva che in materia di datazione «il meno decisivo deifatti è pur sufficiente a far respingere con fermezza la più attraente delleipotesi» (PADOAN 1969 [1978a]: 249). La recita ferrarese nel carnevaledel 1530 e le eco aretiniane nel Marescalco (rielaborato fino al novem-bre 1533) sono ‘fatti’ che consentono di delimitare un arco cronologicose non sufficientemente stretto almeno provvisto di solidi punti d’ap-poggio.

6. L’unanime consenso degli studiosi indica nel periodo ferrarese un’e-sperienza decisiva per lo sviluppo del teatro ruzantiano: il contatto conla raffinata civiltà teatrale fiorita nel ducato estense e in particolare conuna personalità come quella di Ariosto fu essenziale nel determinarel’avvicinamento di Ruzante ai modi della commedia regolare e ai classi-ci latini, con i quali egli si misurò apertamente nella Piovana e nella Vac-caria 75. A Ferrara, si è detto, Ruzante si esibisce di certo nel gennaio del1529, e poi per il carnevale del 1530 (Egloga-Moschetta) e del 1532 (pro-babilmente la Piovana 76); mentre la sua presenza è probabile ma noncerta nel maggio del 1529 e nel carnevale del 1531 77. Si tratta di unperiodo breve e intenso, chiuso da due eventi che segnano, anche sim-bolicamente, la fine di una stagione della cultura italiana: nella notte trail 31 dicembre 1532 e il primo gennaio 1533 è distrutto da un incendioil teatro di corte voluto e diretto da Ariosto; sei mesi più tardi questimuore all’apice della fama dopo aver consegnato alle stampe, meno diun anno prima, l’ultima e definitiva redazione dell’Orlando Furioso. Lastesura e l’ampliamento della Moschetta coincidono quindi con questianni ferraresi, ed è probabile che sulla redazione definitiva della com-media abbia esercitato un’influenza il ricordo dei testi, soprattutto ario-steschi, visti in scena alla corte estense.

75 Cfr. ad esempio le parole di BARATTO 1987: 135: «Dal 1529, almeno, ha inizio una fase del-l’operosità di Ruzante che chiamerei, per intendere l’essenziale, ariostesca; o pavano-ferrare-se, se si preferisce, per sottolineare il fatto che il centro di gravità del teatro di Ruzante si spo-sta verso Ferrara».76 Ma potrebbe trattarsi anche della Vaccaria, secondo la stimolante ipotesi di VESCOVO 1997(2006); da ultimo SCHIAVON 2008: 18 rilancia con buone ragioni la candidatura della Piovana.77 PADOAN 1968 (1978a): 152 riteneva che nella prima occasione andasse in scena una replicadella prima Moschetta (ma era una congettura derivata dall’aver assegnato la prima ferraresedella nostra commedia al gennaio 1529); su un piano generale, resta comunque tutt’altro cheimprobabile che la Moschetta sia stata replicata a Ferrara o lì ripresentata anche nella versio-ne definitiva in cinque atti che conosciamo dalla princeps.

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È bene precisare a questo punto del discorso che parlando fin qui diuna Moschetta ‘regolare’ come esito di un dato processo d’elaborazione(vedi nota 71), non si è inteso opporla a uno stadio precedente (l’Eglo-ga-Moschetta) che sarebbe, per dir così, ‘irregolare’. L’idea della tripar-tizione e della pentapartizione dei testi teatrali, chiaramente enunciatagià nella riflessione antica (Evanzio e Donato), viene ereditata dalla cul-tura umanistica quattrocentesca e poi ridiscussa dagli aristotelici italia-ni del secolo successivo, quando la pratica di divisione in tre o cinqueatti appare ormai assimilata anche dagli uomini di teatro (si veda pertutti questi aspetti quanto è richiamato in VESCOVO 2007: 116 e 133-135). Istruttivo ed emblematico da questo punto di vista il secondo deiquattro dialoghi di Leone de’ Sommi, dedicato a spiegare «perché sia lacomedia in cinque atti divisa, et qual partimento e proporzione debbaaver ogni scenico poema». Qui, a proposito delle «favole che, divise intre atti soli, sono, non so per qual cagione, nominate farse» de’ Sommiprecisa che esse non «si chiameranno imperfette per questa destinzione[...], non variando in altro che in esser di simplice argomento» rispettoalle commedie in cinque atti che sono invece di «duplicato soggetto»78.In quest’ultimo caso il

[...] partimento quinario come suo proprio giudiciosamente le fu assegnato perle dette ragioni, oltra che era necessario il destinguerla, acciò che l’intervallo,che è da un atto a l’altro, possa servire al poeta per quattro, sei, et otto ore peratto, che li conviene introporre molte da un successo ad un altro, dovendo esserla comedia di varii soggetti implicata. Ma quelle favole che di soggetto et di lon-ghezza non si giungono al grado delle commedie, et con tutto ciò troppa noiaapportarebbono senza intervallo, poiché non possono sopportare quella per-fetta destinzione quinaria che è sì conforme a l’umana figura, furono compar-tite in tre parti sole, per accostarsi anch’elleno, quanto il più hanno potuto, aquesta forma umana. E qui bisogna avertire che, quantunque io vi abbiamostrato che la divisione quinaria sia naturale et proprio della comedia, nonsegue però che quei poemi che non la patiscono tale, manchino per questo diperfezzione. Anzi diremo che, quanto a le farse, o egloghe di simplice argo-mento, stia lor benissimo la distinzione trina, che è conforme anche essa a l’u-mana forma [...] 79.

78 L. DE’ SOMMI, Quattro dialoghi in materia di rappresentazioni sceniche, a c. di F. Marotti,Milano, Il Polifilo, 1968, pp. 27 e 33. La datazione dei Quattro dialoghi è incerta: è possibileassegnarli alla fine degli anni Sessanta, ma non si può escludere che risalgano a circa vent’an-ni più tardi (cfr. la Nota sulla datazione, pp. 77-79).79 Ivi, p. 33. Va subito notato – tanto più alla luce dell’indagine di VESCOVO 2007 – che nelbrano citato è attribuita importanza anche al taglio temporale consentito dagli intervalli, chepermettono di supporre per via ellittica una durata di quattro, sei o otto ore da attribuire

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L’opposizione tra favole in tre atti e favole in cinque atti riguarda dun-que solo la quantità di materia e la sua distribuzione, ma non il grado dicompiutezza o di ‘perfezione’ dei testi. È poi notevole che nel branodesommiano egloga riveli chiaramente una specializzazione terminolo-gica: la parola è adoperata infatti per designare un testo scenico riparti-to in tre atti, come è probabile fosse per l’appunto l’Egloga-Moschettaruzantiana.Accertato che la primitiva forma in tre atti è da ritenersi tutt’altro cheimperfetta o irregolare, resta da chiarire, prima di passare a discutere irapporti con Ariosto, se i modelli per la pentapartizione del testo comi-co dovessero essere agli occhi di Ruzante esclusivamente quelli antichi(Plauto e Terenzio) e quelli del rifondato teatro moderno primocinque-centesco (dalla Cassaria in prosa in poi). Vale la pena di chiedersi infat-ti quanto, seppure marginalmente, possa aver pesato nella stessa dire-zione anche l’esperienza del teatro cortigiano di fine Quattrocento.«Dal punto di vista della storia dello spettacolo, la favola mitologica èuna forma che affianca strettamente, nelle medesime corti e nella stessascena, l’esperienza della rinascita della commedia. Infatti [...] risultafondamentale che la scena comica [...] fosse impiegata a Ferrara e nellealtre corti padane anche per la rappresentazione delle favole mitologi-che» 80. A ciò si aggiunga che l’adozione di una forma in cinque atti simanifesta precocemente – ben prima delle commedie regolari arioste-sche – proprio sul terreno del “terzo genere”: sono divisi in cinque atti,tanto per fare qualche esempio, testi come la Fabula de Cefalo di Nic-colò da Correggio (1487), la Comedia di Danae di Baldassarre Taccone(1496), la Pasitea di Gasparo Visconti (prima del 1495), il Timone diBoiardo (forse anni Ottanta del Quattrocento), la Comedia de Timongreco (1497) e le Noze de Psiche e de Cupidine (forse 1502) entrambi diGaleotto Dal Carretto 81. Si tratta, beninteso, di una partizione spesso

idealmente a ogni atto. L’analogia, ripetutamente invocata, tra ripartizione della fabula teatra-le e struttura del corpo umano, è illustrata alle pp. 31-32 e 33-34: il testo drammatico penta-partito è assimilato alla somma del capo e dei quattro arti (nell’ordine: capo, mano sinistra,mano destra, piede sinistro, piede destro); il testo drammatico tripartito alle porzioni delcorpo che vanno rispettivamente dai piedi all’ombelico, dall’ombelico alla gola, dalla gola allatesta.80 VESCOVO 2005b: 539. Sulla struttura materiale e il significato culturale del teatro di corteferrarese è fondamentale RUFFINI 1994.81 Per la datazione e la citazione di questi testi si fa riferimento all’importante raccolta di TIS-SONI BENVENUTI - MUSSINI SACCHI 1983. Per la datazione del Timone si è tenuto conto di M.ACOCELLA, Matteo Maria Boiardo, «Timone» I, 1-11, in Filologia e storia letteraria. Studi perRoberto Tissoni, a c. di C. Caruso e W. Spaggiari, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2008,pp. 105-116, a p. 106 e nota 6.

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del tutto esteriore ed esclusivamente ‘cartacea’, poiché in realtà il tempolungo della vicenda mitologica «presume sempre in questi drammi unarelazione tra tempo della rappresentazione e tempo della fabula che igno-ra – o rinuncia – al parametro dell’isocronia ideale» 82. In questa zonadella cultura teatrale italiana, insomma, è davvero raro che gli interval-li tra atti presuppongano un’ellissi di qualche ora o abbiano un’autenti-ca funzione strutturante (come avviene invece, e magistralmente, nellaMoschetta definitiva); al contrario, può capitare addirittura che la chiu-sa dell’atto interrompa un dialogo che riprende nell’atto successivo allostesso punto in cui si era interrotto.Ciò non impedisce certo di supporre che la struttura in cinque atti dellafavola mitologica possa essere apparsa ai primi comici regolari (maanche a Ruzante) come una sorta di ‘vuoto a perdere’ da reimpiegarenella rifondazione della commedia all’antica; è appena il caso di aggiun-gere, poi, che quasi tutti i testi cortigiano-mitologici qui ricordati rien-trano almeno in parte in un orizzonte novellistico (o ‘comico’ in sensolato) che sarà poi quello preminente nella produzione regolare cinque-centesca. La Pasitea di Visconti, per limitarsi a un esempio, è nei primitre atti un testo comico a pieno titolo, nel quale è dispiegato tutto l’ar-mamentario tematico e linguistico della commedia latina (vecchi avari,giovani innamorati e scialacquatori, servi scaltri) 83. Non manca poi uncaso nel quale almeno uno dei testi appena citati sembra aver lasciatouna traccia nella nostra commedia: è ancora una volta merito di Pier-mario Vescovo l’aver indicato infatti una plausibile consonanza tra laMoschetta e la Fabula de Cefalo di Niccolò da Correggio, precisamentenella scena di tentata seduzione della moglie da parte di Cefalo trave-stito da mercante 84.

82 VESCOVO 1997a: 102. Per importanti osservazioni relative alla partizione temporale e spa-ziale nel «teatro delle favole cortigiane» si vedano qui le pp. 99-104.83 Per considerazioni simili sulla Pasitea cfr. VESCOVO 2005b: 539, e soprattutto l’ampio stu-dio di P. BONGRANI, Lingua e stile nella «Pasitea» e nel teatro cortigiano milanese (1984), orain ID., Lingua e letteratura a Milano nell’età sforzesca. Una raccolta di studi, Parma, Universitàdegli Studi, 1986, pp. 85-158.84 VESCOVO 2005b: 547, e si vedano qui più avanti i riscontri proposti nelle note di commen-to a II 22, II 23, III 1, III 4; certo degno di attenzione il fatto che la Fabula di Correggio vengastampata ben sette volte a Venezia tra il 1507 e il 1521 (dati Edit16; in TISSONI BENVENUTI -MUSSINI SACCHI 1983 è segnalata un’ottava edizione, del 1533). L’episodio di messa alla provadella fedeltà muliebre mostra una notevole vitalità: basta pensare, nei paraggi cronologici eculturali di Ruzante, alla prova del nappo e al racconto del cavaliere mantovano nel Furioso(ARIOSTO Orlando Furioso XLII 97 - XLIII 49, con la nota a XLIII 10 che rinvia proprio almito di Cefalo e Procri) o ancora, con un lungo balzo in avanti giustificato però dalle impres-sionanti analogie persino formali della ‘prova’, al crudele racconto La «Segnorina» che apre laraccolta Spaccanapoli (1947) di Domenico Rea. Qui, tornando a casa dalla guerra (la seconda

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Ma veniamo finalmente ai rapporti con i testi ariosteschi di questi anni:in un suo fondamentale lavoro su questo argomento, Padoan ha segna-lato per primo la probabile dipendenza di un episodio della Moschetta(III 3-24) da una scena della Lena (III II), nella quale Corbolo si inven-ta un’aggressione di gruppo subita da Flavio per sottrarre al vecchio Ila-rio una medaglia d’oro, una berretta e una veste (con la stessa frottolaRuzante inganna il compare Menato e gli ruba una veste) 85. Osservo tut-tavia che in questo esempio – il solo proveniente dalla Moschetta nellepagine di Padoan – la direzione del prestito (da Ariosto a Ruzante) ètutt’altro che certa: non foss’altro perché quello della pretesa aggressio-ne subita dal povero Ruzante (o Menego) appare un meccanismo col-laudato già nel Parlamento e soprattutto nel Dialogo facetissimo, elabo-rato al più tardi tra ’28 e ’29 quando la Lena non era ancora andata inscena nella sua prima redazione (seguita, come si sa, da una versione‘caudata’). Non sarebbe dunque ingiustificato il sospetto che i due testisiano indipendenti l’uno dall’altro o che possa addirittura essere Ario-sto a occhieggiare la produzione ruzantiana precedente (Parlamento,Dialogo facetissimo), che poteva in qualche modo essergli nota. Ma c’èun altro punto della Lena in cui – quale che sia la direzione del dare edell’avere – la vicinanza con la Moschetta pare plausibile. Si tratta del-l’inizio del quinto atto: Corbolo e Pacifico si apprestano a uscire arma-ti sul far della sera, proprio come Ruzante e Menato; la coppia presen-ta un’identica distribuzione dei ruoli, con uno dei due personaggi pavi-

guerra mondiale), Peppino scopre che la moglie si è nel frattempo prostituita con i soldatiamericani; fingendosi anch’egli un boi decide di mettere alla prova la sua fedeltà al ricordo dilui. Ecco il tragico dialogo che chiude il racconto: «Com’era elegante. Come s’era civilizzata.Profumata e sfrusciante, camminava come non fosse sera, ma prima mattina. “Segnorina, veni-re passeggiata?” le chiesi con la voce trasformata dalla stessa visione della verità. “Ies, boi.”“Segnorina o fémmena sposa?” “Segnorina.” “Non piacervi io boi?” “Ies.” “Vendere coltelliio.” “Anche mio marito.” “Ies? Allora non segnorina?” “Ies, segnorina ora, prima mogliera.Morto marito.” “Vendeva coltelli?” “Ies, povero povero”. Le infilai il braccio nel braccio.“Aspettare” fece davanti alla porta di zì Mé. “Zì Mé, datemi la chiave che ho il boi con me.”“E Peppino non l’hai visto?” “Dov’è?” Io, di fuori, andavo avanti e indietro nello spazio del-l’uscio in compagnia del coltello tenendolo stretto per paura di perderlo. “Non lo senti?” dissezì Mé. “Maronna!” sentii, con la voce di quando era mia» (D. Rea, La «Segnorina», in Id.,Opere, a c. di F. Durante, Milano, Mondadori, 2005, pp. 7-11, alle pp. 10-11).85 Cfr. PADOAN 1970 (1978a): 277 e per il testo ariostesco ARIOSTO Commedie, pp. 571-580.Allo stesso ‘prestito’ credo alluda anche l’ultima parte di quest’affermazione di PADOAN 1996:100: «È dunque ben significativo che un’intera scena [della Moschetta] ricalchi la più sbocca-ta situazione della Calandra [...], e che non manchino spunti ripresi, oltre che dall’OrlandoFurioso, dalla Lena» (PADOAN 1996 si legge, con lo stesso titolo e un aggiornamento biblio-grafico di Ivano Paccagnella fino al 2004, in Storia letteraria d’Italia, nuova ed. a c. di A. Bal-duino, Il Cinquecento, a c. di G. Da Pozzo, vol. I, La dinamica del rinnovamento (1494-1533),Padova, Piccin-Vallardi, 2007, pp. 489-643; alle pp. 578-579 le osservazioni sulla Moschetta).

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do e recalcitrante (Pacifico e Ruzante) e l’altro intento a spronarlo perpoterlo meglio manovrare (Corbolo e Menato). Ecco il testo di Ariosto:«C.: Vien fuora, vien più in qua, più ancora: partiti / di casa un poco. Tumi par più timido / con l’arme in mano, che non dovresti essere / se l’a-vessi nel petto: di chi dubiti? P.: Del capitan de la piazza, che cogliere /mi potria qui con questo spiedo, e mettermi / in prigion. C.: No, ch’iogli darìa ad intendere / che fussi un sbirro o il boia; e crederebbelo, /che de l’uno e de l’altro hai certo l’aria. / Rizza la testa. E’ par che voglipiangere! / Sta’ ritto, sta’ gagliardo, fa’ il terribile, / fa’ il bravo. P.: Ecome fassi il bravo? C.: Attaccala / spesso a Dio e santi: tienlo così: vol-geti / in qua: fa’ un viso scuro e minaccevole. / Ben son pazzo, che farvoglio una pecora / simigliare un leon [...]» (Lena V I) 86. Spicca, facen-do il confronto con la Moschetta, la comune paura di finire in mano alleautorità («s’a’ catessan i zaffi, e che i ne pigiasse e incrosarne le brazzeco’ se fa le ale a gi ocatti, que dissé-vu?» V 3); ma anche l’invito e leistruzioni di Corbolo a Pacifico perché faccia il bravo sembrano fare ilpaio con le parole di Ruzante sullo sbraosar (fare il braoso) nel monolo-go di I 54, che doveva essere il monologo iniziale nella versione recita-ta a Ferrara nel 1530 (si noti, e la cosa ha qualche interesse, che fare ilbravo e attaccarla ‘bestemmiare’ sono espressioni mai impiegate daAriosto prima di questa scena della Lena, come risulta dalla LIZ). Anchein questo secondo esempio non sembra pacificamente decidibile chi siispiri a chi, e il fatto dipende dalle incertezze di datazione e dalla vici-nanza cronologica delle due commedie, entrambe oggetto di una ela-borazione prolungata nel tempo. Non c’è accordo sulla data della primarecita della Lena caudata né, mi pare, ci si è mai posti davvero il pro-blema della reale natura di questa ‘coda’, visto che della Lena primitivanon ci si può certo fare un’idea semplicemente sottraendo alla versioneche possediamo le ultime due scene 87: non sappiamo insomma se la

86 ARIOSTO Commedie, pp. 606-608.87 I testimoni manoscritti e a stampa della Lena tramandano come è noto due prologhi: «pro-logo primo de la Lena inanzi che fusse ampliata di due scene» e «prologo secondo de la Lenapoi che fu ampliata di due scene nel fine». FERRONI 1980: 150 nota 84 precisa che per la datadi rappresentazione della seconda Lena «l’unica notizia certa è quella di una rappresentazio-ne nel carnevale del 1532». Lo stesso FERRONI 1980: 150-151 assume come cosa certa che lescene aggiunte siano proprio le ultime (V XI e V XII); simile, ma più sfumato, il giudizio che sideduce dall’edizione di ARIOSTO Commedie: «la seconda redazione [...] si differenzia dallaprima, portata sulle scene sempre a Ferrara nel carnevale dell’anno precedente, sostanzial-mente per l’aggiunta di due scene nell’ultimo atto» (p. 823: da notare che non è esplicitato chesi tratti delle ultime due scene); più oltre si osserva che il secondo prologo della Lena «alludealle ultime due scene che mancavano nella prima rappresentazione, considerandole come lacoda di una veste [...]» (p. 1107 nota 3).

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giunta di queste due scene sia avvenuta, come sembrerebbe plausibile,nel quadro di una ristrutturazione più ampia della parte finale o del-l’intero ultimo atto della commedia, o se sia stata accompagnata a unarevisione globale che possa aver aggiunto o tolto, qua e là, qualche bat-tuta e ritoccato qualche scena. Anche per la Moschetta, se si può sup-porre ragionevolmente che la rielaborazione muova da un primo testoin tre atti a un testo definitivo in cinque atti, resta comunque incono-scibile la data esatta della versione definitiva, al di là delle riprese areti-niane che sembrano garantirne l’esistenza e la circolazione per lo menoverso la fine del 1533. Il testo teatrale la cui scrittura impegna maggiormente Ariosto nell’arcodi questi anni è però la Cassaria in versi, per la quale è ipotizzabile senzaforzature un’ampia revisione che si prolunga almeno fino alla recitaricordata dal Coglia (19 febbraio 1531) e poi probabilmente ancora finoa quella dell’anno successivo (11 febbraio 1532) se non addiritturaoltre, come inducono a credere le varianti d’autore portate solo dallastampa giolitina del 1546 88: il caso della Cassaria è tanto più interessan-te perché il confronto con la versione in prosa permette di isolaremeglio i materiali e gli spunti nuovi, quelli dunque più recenti. Le osser-vazioni seguenti si concentreranno perciò su alcuni punti della Cassariain versi che, mi pare, potrebbero rivelare l’attenzione con cui Ariostoconsidera la produzione di Beolco e qualche volta forse la stessaMoschetta. Non c’è da stupirsi se il timore reverenziale verso il più olim-pico dei classici italiani ha finora limitato tentativi di tal genere 89:Ruzante, dialettale e rustico per eccellenza, è riemerso troppo di recen-te dal limbo dei minori del Cinquecento cui ancora lo relegava un’an-

88 Il lavoro di revisione sul testo della Cassaria era cominciato verso la fine del 1529, se dob-biamo prestar fede all’affermazione di Ariosto contenuta nella celebre lettera a Guidobaldodella Rovere del 17 dicembre 1532: «son circa tre anni che ripigliai la Cassaria, e la mutai quasitutta e rifeci di nuovo, e l’ampliai ne la forma che ’l Sre Marco Pio ne mandò coppia a vostraextia» (L. ARIOSTO, Lettere, a c. di A. Stella, in L. ARIOSTO, Tutte le opere, a c. di C. Segre, Mila-no, Mondadori, vol. III, 1984, pp. 109-562, a p. 490). Per il gruppo di varianti d’autore testi-moniato soltanto dalla stampa Giolito del 1546 e non dai manoscritti noti della Cassaria inversi cfr. la Nota al testo di ARIOSTO Cassaria in versi, pp. 60-61.89 I rapporti tra Ruzante e Ariosto sono stati esaminati da PADOAN 1970 (1978a), che ha for-nito una rassegna a tutt’oggi insuperata dei debiti del primo nei confronti del secondo; i lavo-ri successivi di TERMANINI 1997 e CANOVA 2005: 337-355, pur contenendo qualche utile indi-cazione generale, raramente provano a verificare sui testi i rapporti tra i due scrittori. In FER-GUSON 2000: 97 trovo l’affermazione che «there is evidence of a borrowing in [...] Il Mare-scalco (1533) from La Moscheta, and the latter play may even have influenced Ariosto’s verse-redrafting of La Cassaria»; segue un rimando a TERMANINI 1997 senza altri approfondimenti.

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tologia del 1966, e solo negli ultimi decenni si è cominciato a dedicarglil’attenzione che merita 90.Nella Cassaria in versi vanno anzitutto segnalati, pur avendo minorvalore, due elementi che sembrano collocarsi, per così dire, al displuviotra Lena e Moschetta, perché entrambe le commedie ne offrivano adAriosto esempi di realizzazione scenica (nel primo caso si tratta di unesempio ovviamente e inevitabilmente attivo nella sua memoria). Intan-to l’aggressione notturna subita da Trappola, di cui viene enfatizzata ladrammaticità nella redazione in versi: le due battute del servo «e quison stato da più di venti persone assalito, in modo che me l’hanno tolta»e «m’hanno tutto pesto e lassato qui in terra per morto» (Cassaria inprosa III VI) vengono ampliate in «... e, come fui qui, da più di quindi-ci / persone che tutte a ferro lucevano [...] fui circondato, che, a dop-pio sonandomi, / m’han tutto pesto e levato la femina [...] A tre colpimi steseno / in terra tramortito e me ne diedero / cento e cento altriapresso. Al fin, credendosi / d’havermi morto, mi lasciâr» (Cassaria inversi III VIII 1518-1526) 91. La tendenza alla dilatazione è concomitantecon un’accentuazione espressiva, e il racconto si fa più evidente nelleimpressioni sensoriali («persone che tutte a ferro lucevano»), nella qua-lità plebea del lessico («a doppio sonandomi») e nell’esagerazione fina-le («me ne diedero / cento e cento altri apresso»). Non è impossibileche i molti iperbolici resoconti ruzantiani, dedicati per l’appunto adaggressioni più o meno fittizie, possano aver sollecitato in qualche misu-ra la correzione ariostesca (si noti «lucevano»: narrando dell’apparizio-ne che lo avrebbe aggredito Ruzante dichiara di aver visto «a lusere noso que» V 66). In secondo luogo, tra le varianti conservate solo dallastampa giolitina del 1546, Ariosto ha cura di inserire una giunta piutto-sto consistente sui birri che, di nuovo in una scena notturna, Critoneteme di incontrare: «se pericolo / non ci fosse che i birri, ritrovandoci /senza lume a quest’hora, ci pigliassino, / e domatina, senza pur inten-dere / chi siamo o darci tempo di ricorrere / al Signor per la gratia, cifacessino / mostrar in su la corda il culo al populo» (Cassaria in versi IVVII 2132a-2132g) 92. Non solo il brano non ha corrispettivi nella reda-zione in prosa della Cassaria, ma è lampante, ancora una volta, la forzaespressiva di quel «mostrar in su la corda il culo al populo», che potreb-be volersi confrontare, sul piano dell’evidenza e dell’immediatezza, con

90 Il riferimento va a Cinquecento minore, a c. di R. Scrivano, Bologna, Zanichelli, 1966.91 Cfr. ARIOSTO Commedie, p. 31 e ARIOSTO Cassaria in versi, p. 192.92 Cfr. ARIOSTO Cassaria in versi, pp. 227-228.

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l’immagine ruzantiana già ricordata («s’a’ catessan i zaffi, e che i nepigiasse e incrosarne le brazze co’ se fa le ale a gi ocatti, que dissé-vu?»V 3); bisogna aggiungere subito, per altro, che stando alla LIZ culo èparola impiegata da Ariosto soltanto altre quattro volte: due volte nellaquinta satira (vv. 123 e 210), una volta nella Cassaria in prosa (III IV) euna volta nei Suppositi in prosa (V X) 93.Consideriamo ora elementi propri della sola Cassaria in versi. La lun-ghezza e la qualità del suo prologo spiccano nel corpus dei prologhiariosteschi 94: il motivo dei trucchi e dei vistosi abbigliamenti sia femmi-nili che maschili – seppure tradizionale – vi è sviluppato con ampiezzae precisione inconsuete e rimanda anche, secondo la raffinata lettura diFerroni, al tempo esistenziale e umano di una corte cui viene presenta-ta per la seconda volta una commedia andata in scena più di vent’anniprima davanti allo stesso pubblico. Eppure, per il lettore di Ruzante, lapolemica ariostesca su vesti e belletti – al centro di un’altra scenaaggiunta nella redazione in versi (V III) – richiama alla memoria le ana-loghe considerazioni svolte proprio nel prologo dell’Egloga-Moschetta(§§ 7-9), considerazioni tanto fortunate da costituire poi il nerbo di testidestinati ad autonoma circolazione come l’Intermedio e il Rasonamen-to. La forte polemica ruzantiana sulla snaturalitè, nutrita dall’osserva-zione attenta della realtà contemporanea e delle mode, potrebbe aversollecitato anche la riflessione ariostesca sul tempo al quale la corte nonsa che opporre i propri trucchi, una riflessione attraversata nella Cassa-ria in versi da inediti scatti di insofferenza e di realismo 95. È da notareche in entrambi i casi le osservazioni satiriche non si dirigono solo alledonne, come è topico, ma anche ai giovani uomini, e il fatto viene rile-vato da un apposito snodo del discorso: «voglio dir due parole anchoalli giovani; / et dir le voglio a quei di corte massima- / mente, li quaihan così desiderio / d’esser belli e galanti, come l’habiano / le donne[...]» (Cassaria in versi, pp. 106-107, prol. vv. 76-80) e poi con ampiez-za assai maggiore «ma che diremo noi de’ nostri gioveni, / che per virtùs’havrian a far conoscere / et honorar? Il tempo che dovriano / spender

93 Cfr. rispettivamente ARIOSTO Satire, pp. 152 e 162 (qui con ampio commento) e ARIOSTOCommedie, pp. 27 e 257.94 Sul prologo in questione vd. FERRONI 1980: 154-162 e A. DE LUCA, I prologhi delle com-medie ariostesche (1975), in ID., Il teatro di Ludovico Ariosto, Roma, Bulzoni, 1981, pp. 30-46,alle pp. 43-46.95 Quasi di passata, e ritenendo comunque Ruzante debitore di Ariosto, GRABHER 1953: 156notava che il prologo a stampa della Moschetta «si svolge tutto su una scala di variazioni mali-ziosamente contenute con una signorilità, che ricorda un po’ certe consimili allusioni dellecommedie ariostesche».

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per acquistarle, anch’essi perdono / non meno in adornarsi e fin a met-tere / il biancho e il rosso. Fan come le femine / tutte le cose [...]» (Cas-saria in versi, p. 260, V III 2751-2757 96); similmente nell’Egloga-Moschetta § 9: «Mo digom mo’ de sti tosatti fantuzati che se fa tagiarein le neghe de drio le calze, e sì ha piasere che le ghe staghe calè a izenuogi! Oh cancaro, mo s’el stesse a mi, a’ farae la bella lezza e stratu-ti nuovi, che quando un foesse de un paese e che el volesse favellare deun altro paese, e volesse strafozare, a gh’in’ farae andar via la vuogia!» 97.Un altro elemento di un certo interesse è offerto dall’elaborazione e dalmaggior spazio accordati nella Cassaria in versi al personaggio del villa-no Brusco 98: in particolare la sua preoccupazione per il prolungato sog-giorno in città, e il pensiero di tornare il prima possibile a «vache epecore / e capre e porci, e tante massaritie / che cento lire non le com-prarebbono» (Cassaria in versi, p. 165, II V 1101-1103) rivela qualcheconsonanza con una delle considerazioni del monologo di Menato(quello che apre la redazione definitiva della Moschetta), il quale si ram-marica di essere venuto in città per amore: «Me ga-l mo’ tirò a Pava? Esì a’ he lagò buò, vache, cavalle, piegore, puorci e scroe con tutto pervegnir onve mo’? Drio na femena!» (I 1).96 Considerazioni che vengono sviluppate nei versi successivi con straordinaria precisione(anche terminologica): «[...] han lor specchi, lor pettini, / lor pelatoi, lor stuccetti de varii /feraciuoli, hanno lor busoli, / lor ampolle e vaseti. Son dottissimi / in compor: non heroici, néversi èlegi / dico, ma muschio, ambra e zibeto. Portano / anch’essi i faldiglini, che li facciano/ grossi ne’ fianchi, e li giupponi, empiendosi / di bambacio, nel petto, si rilievano; / e con car-toni o feltri si dilatano / e fan larghe le spalle, come vogliono. / Molti alle gambe, che si rassi-migliano / a quelle delle grue, con fodre doppie / e le coscie e le polpe anche si formano» (Cas-saria in versi, pp. 260-261, V III 2757-2770). Il cenno sulle innaturali dimensioni del corpo cherisultano per illusione dall’abbigliamento («faldiglini, che li facciano / grossi ne’ fianchi») èsimile, nel contenuto, a quello che Ruzante dedica alle vesti femminili: «He-gi an’ vezù dequele che se fa guarniegi che la ten pì larga de sotto che la no è de sora? Ch’el no è zà belloquesto! A’ guardo le nuostre femene: com pì le è strette de sotto, le ne piase pì [...] e cossì a’cherzo che dibia piasere a tutto omo» (Egloga-Moschetta § 8).97 Propongo questo primo riscontro confortato anche da un’osservazione di Valentina Grittinell’Introduzione ad ARIOSTO Cassaria in versi, pp. 21-22: «Nuova, rispetto alla commedia inprosa, è invece l’estensione della satira agli uomini, vecchi e giovani, che dall’uso dei bellettitraggono dignità a corte [...]; Ariosto si ispira sicuramente ai “tosatti fantuzati” del prologomarciano della Moscheta, che sono il modello dei giovani cortigiani della Cassaria, ai qualisono richieste doti di bellezza e grazia [...] per ottenere favore e ricchezze a corte».98 La Gritti rileva molto opportunamente che «con l’aggiunta di due scene tutte a lui dedica-te (i monologhi ai vv. 1084-1133 e ai vv. 1322-1347), anche Brusco acquista spessore: pur man-tenendo molte affinità con alcuni servi vilici di Plauto, quali Truculento, Olimpio della Casi-na e soprattutto Grumione della Mostellaria [...], assume nel passaggio da servo a villano unruolo nuovo, modellato forse sul villano di Ruzante o sul fattore Eustachio della Clizia diMachiavelli (II III): e acquisisce i tratti rozzi e patetici del povero diavolo, il cui unico pensie-ro è la sopravvivenza dei buoi dai quali dipende la propria (vv. 1175-1177)» (ARIOSTO Cassa-ria in versi, nell’Introduzione, pp. 19-20); sull’ampliamento della parte di Brusco cfr. anche,pur in assenza di suggerimenti sostanziali nella direzione qui proposta, COLUCCIA 2001: 92.

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Altrove sono elementi più circoscritti ad attirare l’attenzione; si osserviuna variante che cade, forse non per caso, di nuovo nella scena dell’ag-gressione ai danni di Trappola: nella redazione in prosa Gianda, che glivuole sottrarre la fanciulla, osserva sarcastico «tu non la déi averedenunziata alla dogana. Dove n’hai tu la bulletta?» e Trappola gli repli-ca «che bulletta? Questa non è merce da torne bulletta» (Cassaria inprosa III V) 99. Nella redazione in versi il contrasto (tra Corbo e Trappo-la) è sceneggiato con ben altre risorse espressive: «C.: Tu non ne dèi nébolletta né polizza / haver pigliata e pensavi menartila / di contraban-do. S’hai bolletta, mostrala. / T.: Guardami a basso, alla camicia e tro-vaci / il suggel. Che bolletta?» (Cassaria in versi, pp. 188-189, III VII1466-1470). L’intensificazione di questo botta e risposta doveva stare acuore ad Ariosto, se la stampa giolitina del 1546 attesta un’ulteriorevariante, in cui l’esibizione spregiativa delle terga si fa ancora più evi-dente (di nuovo anche sul piano lessicale): «Guardami a basso l’annel-lo e ritrovaci / da bollar. Che bolletta?» (Cassaria in versi, p. 189, III VII1469a-1470a; quasi inutile aggiungere che stando alla LIZ anello/annel-lo con il significato di ‘ano’ non ha altre occorrenze nel corpus delleopere di Ariosto) 100. La risposta di Trappola allude a un gesto derisoriodiffuso nella cultura del carnevale, e per solito attribuito a scimmie eistrioni; colpisce nel testo ariostesco il carattere esplicito dell’atto(«guardami a basso l’annello»), ma per il lettore di Ruzante il lazzo diTrappola non è cosa nuova, e anzi è irresistibilmente simile a quello concui Bazarelo promette a Zilio e a Barba Scati di far loro leggere diAmore sullo «scalandario» delle sue natiche: «Ampò, se a’ me dezulo, /a’ ve mostrerò un gran tafanario, / e su quel scalandario / a’ slenzerìd’Amore. / A’ dighe mo, cun bon saore, / perché l’è sempre insboazò»(Betìa, p. 181, I 369-374). Non intendo sostenere che questo puntodella Cassaria in versi dipenda dalla Betìa (fatto, in linea di principio,99 Cfr. ARIOSTO Commedie, p. 29.100 Su questa variante cfr. anche le considerazioni della Gritti nella Nota al testo di ARIOSTO Cas-saria in versi, pp. 66-67. Aggiungo qui che un gioco di parole in parte accostabile a questo – nellafattispecie tra la bolletta del dazio e la bolletta che sigilla le terga di Zambello – è in FOLENGOBaldus VIII 270-274: «[...] tum denique portam / Tiresiae veniunt, quam grossolana Ceresi /plaebs vocat, unde homines non passant absque boletas; / Zambellus potuit liber transire gabel-lam, / signatam quoniam portat deretro bolettam». La lezione è identica nella stampa C (cipa-dense), forse risalente alla metà degli anni Trenta (cfr. Le varianti della Cipadense, in T. FOLEN-GO, Le maccheronee, a c. di A. Luzio, Bari, Laterza, 1928, vol. II, pp. 203-269, in part. pp. 239-240), e assai vicina già nella stampa T (toscolanense), divulgata sul principio del 1521, dove sileggeva «Tiresie portam iungunt, quem grossa Ceresum / plebs vocat, unde homines non pas-sant absque boletta. / Zambellus potuit liber transire gabellam / signatam quoniam portat deretro bolettam» (Opus Merlini Cocaii Poete Mantuani Macaronicorum [...], Toscolano, Paganini,1521, c. Liiiiiv; cito dall’esemplare della Biblioteca Comunale di Treviso segnato R2.34.F).

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possibile), ma piuttosto che nella variante ariostesca vada vista una pic-cola ma non insignificante emersione di quella cultura del carnevale edel ‘basso’ corporeo così essenziale anche nella prima fase dell’opera diRuzante. Alla stessa serie appartiene poi la figura welleristica della«buona femmina» – diffusa nella letteratura dialettale e popolareggian-te in relazione a un significato equivoco tutt’ora non completamentechiaro (cfr. commento a I 60) – che Ariosto mette in bocca a Trappolanell’ultimo atto («Ma poi che questa volta, bona femina, / ne son usci-to, più non mi ci cogliono», Cassaria in versi, p. 274, V V 3015-3016) eche occorre anche nella Moschetta («a’ fie’ an’ mi con’ fie’ la buonafemena, que crea d’aver in man el borsatto, e sì gh’aea lomè i picagi!» I60; anche in questo caso c’è da aggiungere che la «buona femmina» noncompare altrove nell’opera di Ariosto [LIZ]). Discuto per ultime duevarianti circoscritte e forse significative in rapporto alla Moschetta. Inuna scena assente nella versione in prosa (II I, «nuova e ricca di spuntiinteressanti in varie direzioni» secondo FERRONI 1980: 160), tra leminacce di Lucramo a Furbo si legge anche «per quanto il capo t’è caro,che rompere / non te lo veghi e le cervella spargere / inanzi a’ piedi, april’orecchie e ascoltami» (Cassaria in versi, p. 142, II I 691-693). L’inti-mazione mutua la sua violenza espressiva da un codice letterario preci-so, quello del poema cavalleresco e delle narrazioni di guerra: «Grifon[...] / sparge de l’uno al campo le cervella» (Orlando Furioso XVIII.6.3)e Marfisa ha una forza gagliarda «o che sparga le cervella, o che tritiossa» (Cinque Canti IV.6.7; desumo entrambi i riscontri dalla LIZ). Manon è impossibile che l’adozione dell’immagine sia stata sollecitata dauna delle preoccupazioni espresse da Ruzante durante la spedizionenotturna: «el porae vegnir vuogia a qualcun da trar zò da ste fenestre unquarello e butarme i cerviegi in boca, saì-vu compare?» (V 39; spiccacome nei passi ariosteschi la menzione, piuttosto cruda, dei «cerviegi»).Ancora una minaccia è al centro della seconda variante, che conduce dinuovo a un luogo privilegiato della revisione ariostesca, la scena in cuiTrappola viene aggredito. Nella versione in prosa Gianda metteva atacere le lamentele di Trappola promettendo: «Se tu non ritorni, ti faròpiù pezzi di cotesta tua testaccia, che non si fe’ mai di vetro» (Cassariain prosa III V) 101. L’immagine cambia nella redazione in versi: «Dove vaitu? Se non ti lievi sùbito / e pigli un’altra strada, più minucioti / questatestaccia, che non si minucciano / le rape quando si metteno a cuocere»(Cassaria in versi, p. 190, III V 1492-1495). Sembra innegabile l’acqui-

101 Cfr. ARIOSTO Commedie, p. 30.

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sto espressivo nel passaggio alla redazione definitiva, in cui la minacciafa perno su un figurante più umile (non il vetro che si rompe, ma la rapache viene sminuzzata per essere messa a cuocere). Secondo FERRONI1980: 161 nota 100, la similitudine «rinvia chiaramente ai famosi versidi Satira III, 43-45: “In casa mia mi sa meglio una rapa / ch’io cuoca, ecotta s’un stecco me inforco, / e mondo e spargo poi di acetto e sapa”».Tuttavia, come è facile accertare avendo a disposizione la LIZ, a voleradottare una prospettiva intratestuale la variante andrebbe ricondottapiuttosto a un passo dell’Orlando Furioso in cui davanti a Rodomonte«la turba che vien per ogni via, / v’abbonda ad or ad or spessa come ape/ [...] / più facile a tagliar che torsi o rape» (Orlando FuriosoXVIII.16.6). Certo è che, al di là della pertinenza guerresca della simi-litudine (come per il precedente spargere le cervella), colpisce la strettaaffinità con una delle spacconate di Ruzante nella fortunata scena dibaruffa con Tonin: «Ch’a’ te farè pì menù che no fo mè ravazzolopesto!» (IV 16). Qui è da notare la precisione di menù ‘sminuzzato’,anche della Cassaria (minucciati, minucciano), diverso – e più aggressi-vo – del «tagliar [...] torsi o rape» del Furioso, dove per altro l’immagi-ne spicca di meno, calata com’è nel contesto compattamente iperbolicodi quelle che sono, letteralmente, rodomontate. Bisogna aggiungere poiche alla base del ravazzolo ruzantiano ci sono proprio le rape lessatenominate anche da Ariosto («le rape quando si metteno a cuocere»).Si tratta certo di un manipolo di passi la cui importanza non potrà esse-re esagerata, e d’altro canto sarebbe illogico aspettarsi da Ariosto un‘riuso’ di Ruzante simile a quello che questi farà più avanti delle com-medie ariostesche, riscrivendone intere scene (quasi mai, però, dei testiin versi visti a Ferrara negli anni dopo il ’29, ma soprattutto di Cassariae Suppositi in prosa, circolanti a stampa già negli anni Venti e destinatia esercitare un’influenza duratura su tutto il teatro italiano dei primiquattro decenni del secolo, a partire dalla Calandra). Tuttavia alcunedelle affinità indicate, sebbene microscopiche, paiono più che plausibi-li; e plausibile sembra anche la direzione prospettata per il prestito (daRuzante ad Ariosto), sia per la collocazione cronologicamente estremadel lavoro di revisione ariostesco (che si spinge fino agli anni fra ’30 e’32), sia perché le varianti esaminate presentano sempre materialiespressivi e lessicali rarissimi quando non del tutto ignoti nel corpusdelle opere di Ariosto, e tanto meglio spiegabili, dunque, se fossero statiin qualche misura sollecitati dalla conoscenza di altri testi, come quelliruzantiani. Casi di notevole vicinanza come l’ultimo esaminato («piùminucioti / questa testaccia, che non si minucciano / le rape quando si

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metteno a cuocere») potrebbero quindi testimoniare che all’altezza delcarnevale del 1532 – se non addirittura del 1531 – Ariosto conoscessegià la versione definitiva della Moschetta: ne deriverebbe automatica-mente un termine ante quem più alto di quello individuato da Padoangrazie al Marescalco, ma è un’eventualità che basta accennare qui senzavolerla presentare come probabile. In ultimo, più in generale, l’osserva-zione ravvicinata di queste poche varianti induce a considerare conqualche cautela i giudizi sulla direzione complessiva del lavoro corret-torio di Ariosto: ancora di recente COLUCCIA 2001: 100 concludeva chenella Cassaria in versi «il linguaggio si asciuga delle coloriture più quo-tidiane, ma mantiene gran parte della costruzione sintattica e del voca-bolario della prosa», eppure si è visto che non è sempre così 102.

7. Se il quarto atto, dominato dalla zuffa di Ruzante e Tonin, «lasciaintravvedere [...] la linea di sutura» (PADOAN 1998: 189) tra il corpo pri-mitivo dell’Egloga-Moschetta e la giunta successiva, e si presenta dun-que quasi come un intermezzo giocoso deputato a giustificare e intro-durre la successiva spedizione notturna di Ruzante e Menato, il quintoatto appare ben più rilevante per le sue conseguenze sull’intera vicen-da, soprattutto perché vi è efficacemente rimesso in gioco il tema dellacontraffazione linguistica, impiegata questa volta da Menato per basto-nare Ruzante. Un indizio non trascurabile della seriorità di questo bloc-co (quarto e quinto atto) è individuabile nelle numerose consonanzecon alcune scene della Piovana, il cui periodo di stesura (1531-1532)dovette corrispondere in parte a quello di revisione e ampliamento dellaMoschetta 103. Beolco sembra il primo a saccheggiare la scena del litigio

102 Alla stessa pagina: «La revisione produce lo spostamento del testo dal versante scenico aquello letterario, perché la ricerca della soluzione formale del verso e di un linguaggio agile ecolloquiale ma aulico al tempo stesso, si conclude con danni evidenti sotto il profilo dello spet-tacolo». Dal punto di vista linguistico il giudizio di Coluccia deriva, estremizzandolo un poco,da quello complessivamente più equilibrato di C. GRAYSON, Appunti sulla lingua delle com-medie in prosa e in versi, in Ludovico Ariosto: lingua, stile e tradizione, a c. di C. Segre, Mila-no, Feltrinelli, 1976, pp. 379-390: «si sarebbe tentati di concludere [...] che, rifacendo le duecommedie in versi, l’Ariosto abbia volutamente trascurato certi elementi lessicali ed espressi-vi, talvolta esotici o addirittura pittoreschi, sostituendoli con altri meno singolari o più conso-ni ad un linguaggio medio senza regionalismi e latinismi come pure senza toscanismi troppoevidenti» (p. 388); ma alla pagina successiva Grayson correggeva in parte le osservazioni pre-cedenti, rilevando che nelle aggiunte ex novo la Cassaria in versi introduce elementi linguisti-camente di maggiore rilievo e anche di maggiore specificità. In linea con il giudizio di Gray-son anche quelli di ANTONELLI 1998: 33 e della Gritti nell’Introduzione ad ARIOSTO Cassariain versi, pp. 23-24.103 Cfr. BARATTO 1987: 133: «L’idea e l’elaborazione della Piovana, se la seconda fu lenta, sisituano dunque tra il 1530 e il 1532; anni importanti per Ruzante, impegnato, quasi sicura-

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tra Ruzante e Tonin (IV II): tracce sicure ne restano infatti nelle analo-ghe scene di zuffa che oppongono nella Piovana l’oste e Slàvero a Gar-bugio e poi lo stesso Garbugio a Bertevelo 104. Come si è già detto la van-teria di IV 11 («Quant a’ só armat e che ’m guardi indol spech, la miafigura em fa paura a mi!») è ripresa in Piovana (III III), p. 941 § 58(«tolìghe via i spiegi, a questù, che la so lombrìa no l’inspaurisce, a tuor-ghe el puliselo!»); ma anche alcuni avvertimenti di Ruzante a Menato(IV 56 e V 9) sono certo alla base di quello di Piovana, p. 943 § 65 («Econ a’ mene, no vegnissi miga a destramezare? Perché a’ me orbo in lodare, e in la furia a’ dago a amisi e nemisi») 105. Più oltre il botta e rispo-sta di Moschetta IV 13-14 («T.: Quand tu sarè un om d’armi in s’ù cavalcom a’ só mi, e que tu ’m domandi a combatter, a’ ’g vegnirò. R.: Al san-gue del cancaro, a’ son stò miegio soldò che ti n’iè ti, che son stò cao desoldò de squara [...]») pare alla base di quello di Piovana (IV XIII), p.985 §§ 207-208 («B.: [...] Va’ con Dio, fradelo, che a’ no me vuò impa-zar con ti, che te no iè omo per mi. G.: A’ son megior de ti int’agnoconto», dove «te no iè omo per mi» riprende in parte anche «te n’iè bonper mi» di Mosch. IV 2); infine la serie di battute IV 24-31 («R.: Dohmegiolaro, no trar prì! T.: Doh villà, no scarpà’ lì! R.: Doh megiolaro, notrar prì! T.: Doh villà, no scarpà’ lì! R.: S’te trè prì... T.: S’te scarpi lì... R.:Che sì s’el no me viè a manco le prì, ch’a’ te sborirè de lì! perqué t’èsoldò... T.: Ca sì s’a’ ’l no ’m vé al manc i sas, ch’a’ ’t cazzerò i pedochdel cò!»), con la convulsa sequela di minacce che la scandisce, è imita-ta in Piovana, p. 985 §§ 211-216 («B.: Doh, laga la mia soga! G.: Doh,laga ’l tasco. B.: No tirare e fa’ ben. G.: No portar via e fa’ miegio ti. B.:A’ proverón chi tirerà pì. Laga! G.: Laga ti. B.: A’ te... G.: A te... a ti»).Un ulteriore dettaglio in cui si coglie l’imitazione della Moschetta, sta-volta dall’atto terzo, è la serie di diminutivi con cui Daldura chiamaGhetta (assente dalla scena, si noti) in Piovana (II VIII), p. 929 § 152«on’ sito scaltrieta? Tuò la to acqueta. Àldito, besoleta, polieta, ponzi-

mente, nella redazione o nella rielaborazione della Moscheta e nella composizione della Fiori-na». Proprio nel monologo che apre la Piovana Baratto individua «una firma, o una sigla d’au-tore, apposta in testa all’opera», accostabile in questo «alla prima scena della Moscheta – e nona caso a una redazione successiva di essa –, quella del monologo di Menato» (BARATTO 1987:134).104 Stampo qui e oltre Slàvero distanziandomi dalla vulgata Zorzi e facendo tesoro della pro-posta di DANIELE 2005: 287: «d’altro non si tratta che di slàparo: in padovano e veneziano‘luterano, protestante’ e in altri dialetti anche ‘ateo’». Accoglie l’ipotesi di Daniele nella suanuova edizione critica anche SCHIAVON 2008.105 Il cenno sullo stramezare viene ripreso poco dopo anche da Garbugio (Piovana, p. 943 §67): «a’ t’in farè aver desasio de destramezaore, che te çigherè an ti con fè Barba Polo:“Destramezène, che a’ se amazarón!” Vie’ pur via».

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neta?» (da confrontare con «ti hè fatta moneghella, poveretta, descal-zarella!» di III 24, rivolto da Ruzante a Betìa che se n’è andata di casae dunque non può sentirlo) 106.Il quinto atto della Moschetta si presta meno, proprio per la sua mag-giore coesione con il resto della vicenda, a essere imitato in questomodo; ma occorre osservarlo da vicino perché in esso va riconosciuta laparte più consistente dell’aggiunta che segna il passaggio dall’egloga ori-ginaria alla commedia regolare della versione definitiva. La notte chequasi fisicamente pervade questo atto è infatti, prima di tutto, il con-trassegno più evidente della nuova regolarità, in omaggio alla quale levicende messe in scena devono essere contenute in un preciso arco ditempo, quello appunto che va dal mattino alla sera 107. Ma la notte è quitutt’altro che un fondale, e anzi le scene che si svolgono nel buio, da piùparti indicate come le più belle della commedia, ne colgono le implica-zioni più profonde, da individuare in una paura e in un disorientamen-to crescenti, culminanti nella perdità d’identità e nella comparsa delleminacciose presenze magiche evocate nel resoconto di Ruzante a V66 108. A un primo e più evidente livello, esplicito nel timore d’imbatter-si negli zaffi (V 3), la notte è caratterizzata in maniera precisa come unospazio socialmente disciplinato nel quale alcuni comportamenti e alcu-ne azioni – il porto d’armi anzitutto – sono vietati: da qui le legittimepaure di Ruzante, che è armato e sa bene di infrangere una legge 109. In

106 Non mancano altri casi nei quali il testo della Piovana presenta evidenti affinità con quellodella Moschetta: si veda per esempio il commento a «a’ ’m disive-l asen? Mo asen è-l lu, e ùpoltró» (II 21).107 La piena maturità raggiunta da Ruzante da questo punto di vista «si esprime naturalmen-te, oltre che nelle proporzioni, anche nel pienissimo controllo del taglio dei tempi tra gli atti»(VESCOVO 1998a [2006]: 63, con le considerazioni che seguono anche a p. 64, e si veda quipiù sopra quanto osservato all’inizio del § 6).108 A proposito del Dialogo secondo GALTAROSSA 2005: 39 ha rilevato che «la notte cristallizzai disordini più complessi, come la dissimulazione dei ruoli, in quanto Bilora vuole presentarsicome un soldato». Già CROUZET PAVAN 1991: 57 aveva notato che «il mascheramento [...] èassociato alla notte: la intensifica, la prolunga o la rinnova. Come la notte, la maschera ingan-na e dissimula, permette turpitudini, favorisce il rovesciamento dei ruoli». Quanto ai giudizisu questa scena notturna valgano per tutti quello di PADOAN 1998: 184 («l’atto quinto è distraordinaria bellezza») e ancor prima quello di GRABHER 1953: 165: «e come avviene in certifuochi d’artificio che, ricchi di una nascosta virtù esplosiva, continuano a riaccendersi e ascoppiare nell’aria dopo che più volte si sono spenti [...] così è nella Moschetta dove, se nonm’inganno, la più grande fantasia comica si accende proprio verso la fine – con la notturnaavventura di Ruzzante nel V atto –, quando la commedia sembra già esaurita come logica con-clusione di una trama».109 Sulla magistratura veneziana dei “Signori di Notte” cfr. in generale CROUZET PAVAN 1991,e in part. p. 49 (sul sequestro di armi portate di notte) e p. 53 (sulla frequenza degli episodi diviolenza notturna legati alla tutela dell’onore personale, tra i quali andrebbe collocata anchela spedizione punitiva di Ruzante e Menato contro Tonin). Degna di meditazione l’osserva-

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tutte le società di antico regime, prima che l’illuminazione urbanadeterminasse un «prolungamento artificiale del giorno» (SBRICCOLI1991a: 17), la notte si presenta infatti come il tempo della mala prae-sumptio: «essa ha il potere di riqualificare, invertendone il segno, ciòche avviene in sua presenza: è quindi capace di rendere sospetto o addi-rittura illecito l’ordinario comportamento diurno (o, viceversa, norma-le qualche comportamento che di giorno verrebbe disapprovato)»,tanto che «persino il girare di notte è di per sé considerato con forteostilità, qualsiasi siano i motivi o le intenzioni di chi lo fa: “Ire de nocteest delictum, sed leve”, scrive Polidoro Ripa» (SBRICCOLI 1991a: 13 e14). Poco cambia se dalle formulazioni della dottrina giuridica del XVIIsecolo si passa a quelle ben più umili, e anteriori di quasi un secolo,delle Dieci Tavole dei Proverbi: «Chi va de note à dele bote» (CORTE-LAZZO 2007: 895 s.v. nòte). Ruzante non farà eccezione, perché armatodi tutto punto, attento a muoversi in silenzio, sta cercando Tonin perdargli una lezione, ma finirà lui stesso impietosamente battuto. Le tene-bre impediscono a Ruzante, già in ansia per i pericoli della spedizionenotturna, di muoversi con agio: egli ha paura di non poter fuggire (V 5),finisce per inciampare (V 13), teme di andare a sbattere contro un osta-colo imprevisto, di essere colpito alle spalle o dall’alto, vede ormai «illabirinto dove c’è la strada retta» e avverte «il terrore dell’ignoto dovetutto è noto» (ANGELINI 1992: 1144).La straordinaria qualità teatrale della scena, con Ruzante che procede atastoni – lo scudo ridicolmente posizionato sulla testa – e le voci dei dueche si rincorrono nel buio, forse non ha eguali nella commedia italianadel primo Cinquecento 110. Almeno a partire dall’edizione curata daZorzi (ZORZI 1956) è stata evocata, a confronto con questa dellaMoschetta, la scena notturna dell’Egloga di Ranco e Tuognio e Beltrame:le affinità tra i due testi sono indubbie, ma non è semplice stabilire illoro rapporto 111. Zorzi, con molta prudenza, era incline a ritenere l’E-

zione di SBRICCOLI 1991a: 15 sul fatto che in realtà i “Signori di Notte” sono «signori del gior-no», perché «i loro compiti non sono caratterizzati tanto dal “tempo” della loro attività, quan-to dal contenuto dei loro poteri, e cioè dai comportamenti che essi sono chiamati a regolareo a reprimere».110 È il caso di osservare che la drastica riduzione della capacità visiva dei personaggi è magi-stralmente rimarcata dallo spazio accordato agli altri campi sensoriali: al tatto («a’ m’he sca-pogià n’ongia e mondò un zinuogio tutto» V 13), all’udito («a’ sento muo’ sgrintolare nacorazzina...» V 23), e all’olfatto («a’ sento a muo’ fùmego de schiopetto» V 27).111 Si pongano a confronto, in particolare, Mosch. V 5 («ch’a’ no ghe vego gozzo... L’è pur an’scuro fuora de muo’, a’ no sè andar per ste muragie...») e Egloga di Ranco vv. 188 e 190-191(«A’ no ghe vezo, cancaro a sto trame! [...] el m’è deviso che ’l sipia sì scur, / ch’a’ no he argu-mento de caminar via»); Mosch. V 14 («Tegnìve a longo via el muro, potta de chi ve fè, s’el n’è

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gloga di Ranco posteriore alla Moschetta 112; di quest’avviso è senz’altro,e con minor cautela, anche DA RIF 1984: 106: «Rimane il fatto che iltesto, poiché riprende uno spunto della Moscheta di Ruzante [...] èposteriore al 1530 [...]. D’altra parte la conoscenza che il Calmo dimo-stra di avere dell’Egloga è una riprova che occorre pensare al quartodecennio del secolo». Tutte affermazioni che, con il loro carattereperentorio, destano qualche perplessità: inferire «una derivazionedell’Egloga dalla Moscheta non è operazione del tutto esente da dubbi:a rigore nulla può escludere un tragitto inverso» 113. L’idea che l’Eglogadi Ranco dipenda dalla Moschetta e non possa esserle anteriore proiettaindebitamente sul piano della cronologia un giudizio di valore, quasiche alla indubbia superiorità qualitativa non possa che corrispondereanche la priorità cronologica. Ci sono però almeno due ragioni che ren-dono altrettanto plausibile la tesi opposta. La prima ragione è di natu-ra particolare: se all’interno del Marciano Italiano XI 66 l’Egloga diRanco è copiata nello stesso fascicolo della Moschetta (quella andata inscena a Ferrara) si può essere certi che l’Egloga di Ranco circolasse evenisse copiata già quando della Moschetta non si conosceva che la

peccò!») e Egloga di Ranco v. 193 («Tegnif, non dubité, tegnif al mur»); Mosch. V 33 («Févea pe’ de mi, ch’a’ no so tropo ben i truozi...») e Egloga di Ranco vv. 195-196 («Beltrame, frelo,a’ te priego, aspetta, / ché de sti truozi no saré mè insire»). Qui e nelle pagine successive desi-gno il testo come Egloga di Ranco, per evitare ogni possibile confusione con l’Egloga-Moschet-ta testimoniata dallo stesso manoscritto.112 ZORZI 1956: XXIX-XXX: «Questa scena [...] sembra scoprire più di una analogia con lascena iniziale del quint’atto della Moschetta, nella quale Ruzante, in preda ai più fantasticiincubi della notte e della paura, rimane vittima della brutale iniziativa di Menato. In realtà,non è agevole stabilire se si tratti di un autentico ricalco, orecchiante i temi fondamentali ditale scena (nel quale caso la composizione della Moschetta andrebbe assunta col valore di ter-mine post quem), o se piuttosto si tratti di una coincidenza del tutto casuale, nel senso chetanto il Beolco quanto l’ignoto autore dell’“egloga” abbiano fatto ricorso a uno stesso spuntocomico [...]. Comunque, tenuto conto che la prima recita della Moschetta quasi certamenteebbe luogo a Padova nel carnevale del 1528, e che la data estrema del codice non dovrebbesuperare, come si è visto, il 1531-1532, la composizione della farsa rientrerebbe nel brevissi-mo giro di anni compreso tra le due date suddette. Filo conduttore assai esile, si è avvertito:da accogliersi per quel tanto che può valere».113 PACCAGNELLA 1988: 114. Lo stesso Paccagnella è tuttavia favorevole all’ipotesi di Zorzi edella Da Rif: «sarei anch’io propenso a considerare l’Egloga come frutto di una lettura poste-riore alla Moscheta» (PACCAGNELLA 1988: 115). Sul problema – soprattutto in rapporto a unadelle macaronee folenghiane – è da vedere anche M. CHIESA, Sulla letteratura «alla bulesca»(1986), ora in ID., Teofilo Folengo tra la cella e la piazza, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1988,pp. 156-167, alle pp. 158-160 (§ 2). Chiesa ritiene «sia più sicuro pensare ad un repertoriocomune nel quale attingono l’Anonimo, il Ruzzante e il Folengo» (p. 159) e invita alla pru-denza rammentando che «i testi che diffondevano strutture narrative, stilemi, lessici caratteri-stici, erano certamente più numerosi di quelli superstiti e di quelli a noi noti» (ibidem). Direcente DANIELE 2007:85 ha poi ribadito che non sarebbe implausibile supporre per l’Eglogadi Ranco una paternità ruzantiana.

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prima redazione (quella che quasi certamente non conteneva la scenanotturna) 114. La seconda ragione è generale: l’esperienza insegna infattiche raramente testi minori e ‘popolari’ come l’Egloga di Ranco sonodirettamente plasmati sui grandi capolavori della letteratura espressivi-stica settentrionale. Non è, per intendersi, il Pianto della Tamia ad attin-gere alla Betìa, e non è il Contrasto di Tonin e Bighignol a rifarsi a unadelle prime macaronee folenghiane, ma è vero il contrario; tanto più chescrittori di caratura modesta, messi di fronte a testi come quelli diRuzante e Folengo, non sarebbero stati probabilmente in grado di evi-tare un’imitazione smaccata che avrebbe lasciato, ad esempio nel casodell’Egloga di Ranco, tracce assai più evidenti 115. Ugualmente condivisi-bile l’ipotesi, a suo tempo avanzata da Zorzi e poi sostenuta da Chiesa(vedi note 112 e 113), che Egloga di Ranco e Moschetta attingano a un‘repertorio’ comune: in definitiva, date le tre possibilità sul tappeto –ascendenze comuni ai due testi, derivazione della Moschetta dall’Eglogadi Ranco, derivazione dell’Egloga di Ranco dalla Moschetta – la terza mipare la meno probabile.Concludo aggiungendo una scheda relativa alla fortuna teatrale dell’E-gloga di Ranco: che fosse nota a Ruzante, si è detto, può ritenersi mar-ginalmente dubbio; ma lo fu certamente a Calmo, che nella sua Fiorinaha modellato la lotta di Sandrin e Bonelo (III 6-13) su quella iniziale diTuognio e Beltrame (DA RIF 1984: 126 vv. 76-91; l’analogia è stata indi-cata per primo da PADOAN 1982: 179 nota 43). Mancava all’appello, aricomporre l’ideale triade, Giancarli: la ricerca non sembra vana perchéla singolare accoppiata tra gallinacei e imbarcazioni che popola la visio-ne di Martin in pesante stato di ebbrezza («Oh, varda, varda quanti ca...

114 Bisognerebbe forse avere il coraggio di fare un passo avanti e formulare un’ipotesi conse-guente: se il manoscritto, come pare accettato al di là della questione della supposta autogra-fia, è vicino all’ambiente frequentato da Ruzante, non potrebbe darsi che proprio qui Ruzan-te abbia letto l’Egloga di Ranco sfruttandone immediatamente qualche spunto nella rielabora-zione della Moschetta? Questa suggestione ha comunque, tra gli altri, il difetto di trattare i duetesti come se fossero isolati quando invece furono certamente parte di un contesto più ampiosopravvissuto solo per frammenti.115 Questa è appunto la principale difficoltà di imitatori, falsari e pasticheurs i quali – a menodi non chiamarsi Marcel Proust – finiscono il più delle volte per essere sovrastati e letteral-mente travolti dai testi e dagli stili che tentano di riprodurre: su questi problemi cfr. in gene-rale A. GRAFTON, Falsari e critici (1990), trad. it. Torino, Einaudi, 1996, pp. 39-71. Istruttivoda tale punto di vista anche il caso del veneziano Giovanni Brevio (morto dopo il 1545), auto-re di un testo narrativo che fin dal 1549 fu ritenuto un plagio della novella di Belfagor arci-diavolo di Machiavelli: Pasquale Stoppelli ha invece dimostrato, anche per la mancanza divistosi stilemi machiavelliani nel testo di Brevio, che le due novelle risalgono a una fontecomune e che quella di Brevio non deriva direttamente da quella di Machiavelli (P. STOPPEL-LI, Machiavelli e la novella di Belfagor. Saggio di filologia attributiva, Roma, Salerno Ed., 2007).

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capó ch’ho chì, e tanto grassi e gross, ch’i no s’ pol mover, che i sta avardà’ el Bucintor! O capó, chi diavol v’ha portà là? Aspettém, che vevogi meterve ind’ol lavez! Rut, rut...» Zing. II XXIV 457, p. 313) è assaisimile – forse non per pura coincidenza – a quella che crede di vedereRanco dopo un’abbondante razione di vino («Tuo’, metti sto capon quadentro del forno! / No t’acostar in qua, con quel burchiello!») 116.Quando è sicuro di aver disorientato a sufficienza il compare, Menatolo abbandona e raggiunge Betìa. Per Ruzante, ormai rimasto solo, l’o-scurità notturna non tarda ad acquisire connotazioni sovrannaturaliinquietanti, quelle per cui a Grabher parve di vedere in quella del quin-to atto «una notte comico-fiabesca» (GRABHER 1953: 166). Il mondo‘altro’ tanto temuto prende corpo dapprima nel timore di essere facilepreda di qualche malfattore e poi in quello di incontrare gli spiriti mali-gni che si radunano agli incroci delle strade (V 53). Ruzante sente unrumore confuso («el m’è viso ch’a’ senta zente...») che è forse quellodella bastonatura di Tonin 117; sopraffatto dal terrore si libera precipito-samente della spada e dello scudo che rimbomba ad ogni suo passo ma– proprio quando crede di dirigersi a casa – si consegna invece al furo-re del compare che lo bastonerà di santa ragione 118. L’evento traumati-co è subito rivissuto e trasfigurato in una dimensione magica nell’allu-cinato ricordo dell’apparizione demoniaca che, non fosse stato per gliscongiuri eseguiti, lo avrebbe di certo ucciso mentre era sulla crosara (V66): si tratta di un ricordo, lo sanno bene sia il lettore che Menato, com-pletamente finto; tuttavia esso appare reale, poiché è nutrito dal terro-re autentico che Ruzante ha provato mentre era preda inerme delle per-cosse assestate all’impazzata dal compare. Vale la pena di soffermarsisul breve episodio della bastonatura (V 53-59) che, stretto com’è tra

116 DA RIF 1984: 137 vv. 264-265. Le visioni stravolte derivate dall’ubriacatura sono unacostante tematica sviluppata anche in una delle macaronee folenghiane, l’Eccloga de imbriaga-tura (FOLENGO Macaronee minori, pp. 266-280).117 A questa interpretazione è incline PADOAN 1996: 100: Ruzante «sente il rumore (e non neconosce il motivo) delle bastonate che senza parlare si scambiano Menato e Tonin».118 Ci si può chiedere, per inciso, se il gesto plateale di liberarsi delle armi («A’ butterè via staspa’ se la me darà fastibio» e poco dopo «Oh, vegne el cancaro alle ruelle, la farà pur tantoremore che se me sentirae un megiaro! Ca sì ch’a’ la trarè in terra») o addirittura di venderleper potersi pagare un pasto (Parlamento, p. 113 §§ 28 e 30) non sia anche iperletterario e allu-da alla «relicta non bene parmula» di Orazio (Carmina II VII 10), a sua volta debitore diun’ampia tradizione greca che comprende Archiloco, Alceo e probabilmente Anacreonte (cfr.R.G.M. NISBET e M. HUBBARD, A commentary on Horace: Odes book II, Oxford, ClarendonPress, 1978, pp. 113-114). Trovo il riferimento ad Archiloco anche nella Premessa di MarcoCavalli alla ‘traduzione’ di A. BUSI, I Dialoghi del Ruzante, Milano, Mondadori, 2007, p. VIII(dove il Ruzante del Parlamento è dichiarato «discendente dai soldati di Archiloco che bada-no a mettere in salvo la pelle vendendo lo scudo e la spada»).

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due grandi monologhi di Ruzante (V 53 e V 66), rischia di passare quasiinosservato e tutt’ora, mi sembra, non è stato esaminato fin nelle sueimplicazioni più profonde. Più ancora che nel mostruoso e fittizio spi-rito maligno, infatti, il fondo inquietante dell’atto sembra annidarsi inquesta rapida scena di percosse, perché sottilmente inquietante è il pre-testo architettato da Menato per picchiare il compare: egli lo tiene fuoridalla sua casa, truccando la voce e la lingua, e sbarrandogli l’accesso aun interno che corrisponde per Ruzante al riacquisto del proprio equi-librio e della propria identità dopo le paure notturne 119. Fino a che restafuori, nella notte che gli impedisce di vedere e lo rende possibile predadi assassini e streghe, Ruzante non potrà placare il suo terrore. Il suoaffanno e il suo stupore di fronte a questo ultimo e imprevisto ostacolosono consegnati a dettagli sapientemente orchestrati, come l’apprensio-ne con cui tasta il batacchio della porta per accertarsi che sia proprioquella di casa sua («questa è pur la schiona del me’ usso» V 55) e la spe-ranza, fallace, che basti un chiarimento verbale («A’ no sbatto da vu, a’sbato dal me’ usso, frello» V 55) a farlo uscire da una situazione assur-da e senza scampo. Beolco sembra aver riscritto in forma condensata,con qualche variazione, la scena della perdita di identità centrale in tuttii testi che in una lunga tradizione letteraria fanno perno sul «doppio»:viene alla mente che quasi identico è l’inizio della paradossale avventu-ra toccata al Grasso, che proprio davanti alla porta di casa ha la prima‘prova’ di essere diventato un altro, di essere ormai per tutti Matteo.Come Ruzante, il Grasso trova la porta della propria casa chiusa dadentro, bussa, e sente con sorpresa un’altra voce maschile rispondere(nel caso della novella fiorentina l’ambiguità è fin da subito maggioreperché la voce non solo è manipolata, ma è truccata in modo da imita-re quella del Grasso stesso) 120. Un possibile precedente, senz’altro a

119 L’opposizione tra dentro e fuori è essenziale nella Moschetta. TERMANINI 1997: 91 ha rile-vato che «lo spazio della scena assume dall’atto terzo la forma e il significato di un recinto difrustrazione e di solitudine per Ruzante. La rappresentazione comincia a farsi negli spazi inter-ni, nei due praticabili che fingono le case di Betìa e Tonin; il fuori della scena diventa semprepiù lo spazio dell’impotenza». Sullo stesso problema cfr. anche PUPPA 1987: 151, ANGELINI1992: 1143 e per ultimo VESCOVO 1998 (2006): «La Moscheta è commedia in cui si aprono esi chiudono ripetutamente porte, ove i personaggi entrano furtivamente nelle case altrui [...]e usci restano aperti quando dovrebbero essere chiusi e viceversa. L’uso sapiente dello spazioè testimoniato nel quinto atto dal brancolare di Ruzante all’esterno, reso impenetrabile dal-l’oscurità, mentre Betìa è stata raggiunta in casa dal soldato e dal compare».120 Cfr. La novella del Grasso legnaiuolo, a c. di P. Procaccioli, Parma, Guanda - FondazioneBembo, 1990, poi Milano, Garzanti, 1998, p. 11, rr. 134-142: «e giunto all’uscio, el quale sali-va due scaglioni, volle aprire com’egli era usato di fare; e più volte provandosi e non potendo,s’avide che l’uscio era serrato drento. Il perché, picchiato forte, disse: “Chi è su? apritemi”,avisandosi che la madre fussi tornata e serrato l’uscio drento per qualche rispetto, o che la non

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conoscenza di Ruzante, è individuabile nei Suppositi (sia in prosa che inversi, IV V), laddove il cuoco Dalio, non riconoscendolo, non vuole farentrare in casa il padrone Filogono e lo minaccia con uno strumento dacucina («ti cacciarò questo schidione ne la pancia») da cui potrebbederivare anche lo spedo (V 58) che Menato si fa consegnare per pic-chiare il compare (ma con la stessa parola è designata anche un’armavera e propria, e resta dunque un margine di incertezza) 121. Scrivendoquesta scena Ariosto non seguiva però uno dei principali modelli deiSuppositi, i Captivi plautini, bensì uno dei testi capostipiti dell’interatradizione dedicata al «doppio», l’Amphitruo 122. Proprio l’Amphitruo,con la prima, lunga e memorabile scena che vede opposti Sosia e Mer-curio (vv. 153-462), potrebbe aver agito anche sull’invenzione ruzantia-na 123. Basta leggere l’inizio di questa ambigua tragicommedia per tro-

se ne fussi aveduta. Filippo, fattosi in capo di scala, contrafacendo la boce del Grasso chepareva tutto lui, disse: “Chi è giù?”» (cito dalla redazione Manetti). Proprio questa scenaattrae fin da subito l’attenzione di un lettore come Giorgio Manganelli, la cui prefazione allanovella del Grasso si legge nell’edizione citata, alle pp. XLII-XLIV.121 Per i passi delle due redazioni dei Suppositi cfr. ARIOSTO Commedie, pp. 236-237 e 322-324.FERGUSON 2000: 144 ricorda un possibile debito della Moschetta nei confronti dei Suppositima, se ho visto bene, non precisa meglio l’affermazione.122 Si veda anche il commento in ARIOSTO Commedie, p. 1053 nota 36: «L’A., nello stenderele scene IV e V, ha sicuramente presente l’Amphitruo di Plauto (soprattutto IV 3, 1021-1035),là ove Mercurio sotto le sembianze del servo Sosia non vuol lasciare entrare il padrone Anfi-trione». A proposito dello schidione la nota 49 di p. 1054 precisa che «Dalio, come i servi dellacommedia antica, si serve dello spiedo come arma in caso di necessità» (segue un rimando aBacchides vv. 855-857). Sulle numerose fonti classiche dei Suppositi cfr. anche ARIOSTO Com-medie, pp. XXI-XXII della Presentazione. La bibliografia sul tema del «doppio» e sul-l’Amphitruo in particolare è molto vasta: oltre a BETTINI 1991 (sull’Amphitruo) rimando allostudio complessivo di FUSILLO 1998, che contiene anche un capitolo sulla commedia plautina(«Omnes congeminavimus»: inganno, metamorfosi e follia nell’«Anfitrione» di Plauto, pp. 59-81), e al classico saggio di RANK 1925 (2001); da vedere ora anche il volume congressuale Ildoppio nella lingua e nella letteratura italiana. Atti del Convegno Internazionale. Dubrovnik, 8-11 settembre 2004, a c. di M. Cale, T. Perusko, S. Roic, A. Iovinelli, Zagreb, FF press, 2008 (equi R. LOHSE, Il doppio ed il suo teatro, pp. 183-191). Va subito detto che la situazione dellaMoschetta, pur ispirandosi probabilmente al testo di Plauto, non rientra nella fenomenologiadel raddoppiamento in senso stretto, ma piuttosto in una delle categorie contermini piùlasche, a metà strada tra quella dei personaggi speculari e quella dei personaggi complemen-tari (FUSILLO 1998: 12 ss.); cfr. in tal senso anche G. FERRONI, Tecniche del raddoppiamentonella commedia del Cinquecento (1978), ora in FERRONI 1980: 43-64, che parla di «casi “debo-li” di raddoppiamento che non danno luogo a scambio, ma che pure hanno un fortissimo rilie-vo teatrale, come per esempio i casi di personaggi a coppia, uniti da stretta solidarietà o dasimmetria strutturale: dalle coppie di protagonisti [...] alle numerosissime coppie padrone-servo, in cui esemplarmente si dissociano le funzioni del desiderio e della tecnica per realiz-zarlo» (p. 47). Le citazioni dell’Amphitruo che seguiranno sono ricavate dall’edizione criticacurata da Wallace Martin Lindsay (T. MACCI PLAUTI Comediae, recognovit brevique adnota-tione critica instrunxit W.M. Lindsay, Oxonii, e typographeo clarendoniano, vol. I, 1904).123 L’Amphitruo non è mai stato indicato tra le commedie latine sfruttate da Ruzante. All’argo-mento sono stati dedicati nell’arco di più di un secolo numerosi studi (tutti concentrati su Pio-vana e Vaccaria), giunti ad accertare la conoscenza del latino da parte del Beolco e l’ampiezza

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varsi immediatamente davanti a una situazione che, si è visto, occorresia nella Moschetta sia negli ultimi testi ariosteschi. Sosia, indispettitodalla spedizione notturna che gli è stata imposta dal padrone, teme diimbattersi nei vigili («tresviri») che potrebbero cacciarlo in prigionesenza tante cerimonie: «Qui me alter est audacior homo aut qui confi-dentior, / iuventutis mores qui sciam, qui hoc noctis solus ambulem? /Quid faciam nunc si tresviri me in carcerem compegerint? / Ind’ crasquasi e promptaria cella depromar ad flagrum, / nec caussam liceatdicere mihi, neque in ero quicquam auxilii / siet, nec quisquam sit quinme omnes esse dignum deputent. / Ita quasi incudem me miserumhomines octo validi caedant» (vv. 153-159). I dubbi di Ruzante dopoche Menato gli ha risposto da dentro con voce irriconoscibile («mo queè questo? A’ ho falò l’usso [...] el me par pur viso che questa sea la miaca’, e questa è pur la schiona del me’ usso» V 55) possono condensare

della sua cultura teatrale classica (che comprendeva senz’altro anche Terenzio): cfr. BÖHM1897, VITALI 1956 (sulla Piovana), NARDO 1972 (sulla Vaccaria), OLIVEIRA BARATA 1972-1973(ha sostenuto che per la composizione della Vaccaria Ruzante abbia usato soltanto il volgariz-zamento dell’Asinaria), NARDO 1973-1974 (ha confutato la tesi di Oliveira Barata; i due scrittidi Nardo si leggono ora in ID., Modelli e messaggi. Studi sull’imitazione classica, Bologna,Pàtron, 1984, pp. 67-96 e pp. 97-107), A. GUIDOTTI, Ruzante autore-regista della «Vaccària», inEAD., Il modello e la trasgressione: commedie del primo ’500, Roma, Bulzoni, 1983, pp. 103-127e più recentemente VESCOVO 2005a (2006), sui rapporti dell’ultima produzione di Ruzante conla Clizia. La fortuna rinascimentale dell’Amphitruo comincia per lo meno con il volgarizza-mento in terzine di Pandolfo Collenuccio, rappresentato alla corte ferrarese il 25 gennaio del1487 e a stampa, per quanto se ne sa, soltanto nel 1530 (sono proprio gli anni dell’elaborazio-ne della Moschetta, ma non darei troppa importanza alla coincidenza cronologica, sia perchéRuzante poteva conoscere il testo latino, sia perché l’esame del volgarizzamento in relazione allaMoschetta non dà risultati di rilievo): Commedia di Plauto intitolata l’Amphitriona, tradotta dallatino al volgare, per P. Colonnutio [...], Venezia, Nicolò d’Aristotile detto Zoppino, 1530 (unesemplare alla British Library, con segnatura 237.a.23.4; ho letto il testo dell’esemplare dellaBiblioteca Universitaria di Torino, disponibile in formato pdf all’indirizzohttp://hal9000.cisi.unito.it/wf/BIBLIOTECH/Umanistica/Biblioteca2/Libri-anti1/ index.asp).Sul volgarizzamento di Collenuccio cfr. C. VARESE, Pandolfo Collenuccio umanista, Pesaro,«Ente Olivieri» Editore, 1957, pp. 119-121, BERTINI 1981: 317, PITTALUGA 1983, TANDA 1988:21-47 [cap. II «Anfitrione» e il suo doppio. Un esperimento di teatro alla corte di Ferrara]). Giànel Formicone di Publio Filippo Mantovano (1503) vi sono evidenti tracce dell’Amphitruo, e inparticolare della scena di separazione tra Anfitrione-Giove e Alcmena (cfr. MANTOVANO For-micone, pp. 34-35 e l’Introduzione di Luigina Stefani, p. 21 nota 20; della stessa Stefani cfr.anche Sui volgarizzamenti plautini a Ferrara e a Mantova nel tardo Quattrocento, in «Paragone»,358 [1979], pp. 61-75 con bibliografia e a p. 68 alcune osservazioni sull’Amphitriona di Colle-nuccio). Sulla fortuna dell’Amphitruo in generale sono ancora utili K. VON REINHARDSTOETT-NER, Plautus. Spätere Bearbeitungen plautinischer Lustspiele. Ein Beitrag zur vergleichenden Lit-teraturgeschichte, Leipzig, Friedrich, 1886, pp. 115-229 per la sezione dedicata all’Amphitruo(pp. 162-172 su Collenuccio e soprattutto sulla commedia Il Marito di Ludovico Dolce),pp. 57, 108, 246-252 (dipendenza della Vaccaria dall’Asinaria), p. 543 (dipendenza dell’Anco-nitana dai Menaechmi) e Ö. LINDBERGER, The transformations of Amphitryon, Stoccolma, Alm-qvist & Wiksell, 1956; bibliografia più recente sull’argomento nel volume PLAUTO, MOLIÈRE,KLEIST, GIRAUDOUX, Anfitrione. Variazioni sul mito, a c. di L. Pasetti, Venezia, Marsilio, 2007.

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alcune delle domande che Sosia si rivolge angosciosamente quando è giàstato malmenato da Mercurio (vv. 406 ss. «Nonne ego nunc sto anteaedis nostras? Non mi est lanterna in manu? / Non loquor, non vigilo?Nonne hic modo me pugnis contundit? / Fecit hercle [...]») 124. Anche iltentativo di Ruzante di bussare e placare lo sconosciuto che gli impedi-sce l’accesso alla propria casa («a’ no sbatto da vu, a’ sbato dal me’ usso,frello» V 55) potrebbe discendere dall’analogo moto di Sosia, che tentadi darsi coraggio almeno a parole e di entrare in casa bussando (vv. 448-449 «Novi erum, novi aedis nostras; sane sapio et sentio. / Non ego illioptempero quod loquitur. Pultabo fores»). Sia Ruzante che Sosia simuovono in una notte dalle caratteristiche esteriori straordinarie: com-pletamente buia quella di Ruzante, perché senza luna («pur ch’a’ ghevêsse: a’ cherzo che la luna no vuò levar sta sera» V 53) 125; immobilequella di Sosia, dato che Giove ha fermato gli astri per poter godere piùa lungo la compagnia di Alcmena (vv. 272 ss. «credo ego hac noctu Noc-turnum obdormivisse ebrium. / Nam neque se Septentriones quoquamin caelo commovent, / neque Luna quoquam mutat atque uti exorta estsemel [...]»). Soprattutto, a entrambi è impedito l’accesso in un’abita-zione che simboleggia in qualche modo il ruolo dei due personaggi nellavita normale (Ruzante intende riunirsi alla moglie e al compare; perSosia «la propria identità significa sempre l’appartenenza al padrone ealla casa» [FUSILLO 1998: 64]); e a entrambi tale accesso è impedito inmaniera violenta, a suon di percosse e bastonate, da chi vuol far crede-re ai due che quella che hanno davanti non è più la loro casa 126.

124 Ci si potrebbe chiedere anche se i dubbi qui espressi da Sosia sulla propria identità e sullapropria esistenza fisica (403: «Quid, malum, non sum ego servos Amphitruonis Sosia?»; 407:«non loquor, non vigilo?») non possano aver ispirato quello ugualmente radicale di Ruzanteal principio del Parlamento: «E se mi no foesse mi? e che a’ foesse stò amazò in campo?» (Par-lamento, p. 107 § 6). Per altro una porzione consistente del monologo di Sosia (vv. 186-246)è dedicata alla descrizione della guerra: ne emergono sia la codardia e l’abitudine alla menzo-gna del servo, ben paragonabili a quelle di Ruzante (198-200 «Si dixero mendacium, solensmeo more fecero. / Nam quom pugnabant maxume, ego tum fugiebam maxume; / verumquasi adfuerim tamen simulabo atque audita eloquar»); sia l’orrore di alcuni momenti dellabattaglia (ad es. 231-234: «<Tum> pro se quisque id quod quisque potest et valet / edit, ferroferit, tela frangunt, boat / caelum fremitu virum, ex spiritu atque anhelitu / nebula constat,cadunt volneris vi et virium»), anch’essi non dissimili nella vivacità del ricordo da quelli diRuzante (cfr. ad es. Parlamento, p. 117 §§ 52-53, 55-58, 62-63).125 Particolare in comune con l’Egloga di Ranco e Tuognio e Beltrame, dove Ranco si lamentaper l’oscurità esclamando: «oh Dio, almanco lusesse la luna!» (DA RIF 1984: 136 v. 245).126 Va notato che nella Moschetta come nell’Amphitruo l’usurpatore d’identità – sdoppiato neltesto plautino, dove coprono questo ruolo sia Mercurio che Giove – ha preso possesso nonsolo della casa dell’usurpato, ma ne gode anche la moglie (FUSILLO 1998: 78-81). Quanto allaperdita della casa come spazio simbolico si ricordi lo sgomento con cui Ruzante si interroga:«Potta, mo costù è in ca’ mia ello?» (V 57). In certa misura la domanda dà voce all’«angoscia

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L’idea che nella messa a punto di questa breve sequenza di battuteRuzante possa aver avuto in mente la scena d’apertura dell’Amphitruoriceve una notevole e non casuale conferma proprio dalla commediache, per i tempi di elaborazione, è da considerarsi gemella dellaMoschetta: alludo alla Piovana, i cui punti di consonanza con laMoschetta, e in particolare con gli ultimi due atti, sono stati ricordatiall’inizio del paragrafo. Alcune delle spacconate che l’oste e Slàveroescogitano a bella posta per tentare di impaurire Garbugio ed evitarecosì lo scontro fisico vero e proprio (Piovana III III) sembrano infattimemori di certe battute con le quali Mercurio si diverte a terrorizzare adistanza Sosia, che si avvicina alla casa impensierito dall’uomo che hascorto a guardia della porta 127. Così – i corsivi sono miei – nella smar-giassata «e con a’ ve digo, compare, a’ he fato muar viso a çento megia-ra d’uomeni. A’ no he miga mé catò barba d’uomo, né çiera, che me abiafato muar viso a mi» (Piov. 941 § 57) l’insistenza sulla forza bruta di chiparla, capace di cambiare letteralmente i connotati alle vittime del suofurore, può dipendere dalle parole di Mercurio «pessumest, / facimusnequiter, ferire malam male discit manus; / alia forma esse oportet quemtu pugno legeris» (Amph. vv. 314-316). Analogamente nella vanteria«tastè un puoco, compare, sti pugni, se i pesa» (Piov. 941 § 60) il rilievoaccordato al peso dei propri pugni per impaurire Garbugio ricalcaun’altra osservazione di Mercurio: «MERCURIO: Hau malum huic estpondus pugno. SOSIA: Perii, pugnos ponderat» (Amph. v. 312). Una delledue battute di Mercurio che istituiscono un collegamento tra i pugni eil cibo («Agite, pugni, iam diu est quod ventri victum non datis»[Amph. v. 302]) sembra inoltre essere stata condensata nella forte

atavica di fronte al non esserci, alla ripetizione dell’uguale, all’annullamento dei tratti indivi-duali», che è un elemento tipico dei testi costruiti sulle situazioni di raddoppiamento (FUSIL-LO 1998: 12). Degno di nota il fatto che già RANK 1925 (2001): 42 e 94 si soffermasse rispetti-vamente sulla violazione dell’intimità domestica perpetrata dal sosia e sul rapporto di rivalitàamorosa che lo lega a colui che subisce l’usurpazione d’indentità.127 Sulla straordinaria qualità teatrale della scena della Piovana, e in particolare del gruppo dibattute su cui ci si soffermerà qui, ha insistito per primo ZORZI 1499 nota 105, rilevandone l’as-senza nel Rudens: «Questa scena in cui il ruffiano vanta la propria forza aggressiva allo scopodi dissuadere Garbugio dall’opporre resistenza è assente in Plauto, e può ricordare scene con-simili del Parlamento e della Moscheta, dove il protagonista Ruzante magnifica le sue virtùcombattive. In realtà il motivo è qui meno originale, e arieggia vagamente alle gratuite vante-rie del Miles gloriosus [...]; in questa scena della Piovana, che non esiterei a porre tra le più spi-ritose invenzioni comiche del teatro ruzantiano, il fine delle spacconate di Slaverò, asseveratedall’Osto che gli tiene bordone a parole, è simile a quello del miles plautino, di fare impres-sione e di spaventare il rivale. La fonte [il Rudens o il Miles] tuttavia rimane lontana, e la crea-tività della scena si alimenta di originali spunti rusticani, filtrati specialmente dallo straordina-rio lessico che il Ruzante sembra reinventare e arricchire di commedia in commedia».

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immagine ruzantiana dei «pugni afamè» (Piov. 943 § 71), che quasi nonvedono l’ora di nutrirsi del malcapitato avversario 128. È da notare infi-ne, nello stesso gruppo di versi, un gioco di parole a distanza tra Mer-curio e Sosia: «M.: Agite, pugni, iam diu est quod ventri victum nondatis: / iam pridem videtur factum heri quod homines quattuor / insoporem conlocastis nudos. S.: Formido male / ne ego hic nomen meumcommutem et Quintus fiam e Sosia; / quattuor viros sopori se dedissehic autumat: / metuo ne numerum augeam illum» (Amph. vv. 302-307);esso potrebbe stare alla base di questa splendida ricreazione ruzantia-na: «OSTO: A’ si’ an piezo ca mare; che ’l mare dà e tuole, e vu fé nomédare; che ’l ve se pora’ meter st’altro nome, e dirve Dàtene. GARBUGIO:A’ spiero de farghe muare sto nome, che de Dàtene el devente Tuòte-ne» (Piov. 943 §§ 69-70) e, in forma più vicina a quella dell’originale,potrebbe essere stato riscritto anche nel prologo dell’Anconitana: «moel vignirà tri, tri, tri, e po un che ha lome quatro, e po du altri, e sì seràinamorè» (Anc. 785) 129.

8. Come s’è detto già nelle prime righe di questa introduzione, accan-to alla Moschetta trasmessa integralmente dalla princeps del 1551 stan-no altri tre testi, che intrattengono con la commedia vari gradi di paren-tela: l’incompleta Egloga-Moschetta, l’Intermedio e il Rasonamento. Del-l’Egloga-Moschetta si è già discusso tentando di stabilirne la data dimessa in scena: accettando che si tratti del carnevale ferrarese del 1530(§ 5), la trascrizione nel codice, cominciata e mai portata a termine,potrebbe collocarsi con agio alla fine del 1529 o ancor meglio nel corsodel 1530. Le carte lasciate bianche dopo l’inizio del primo atto sareb-bero state sufficienti a contenere il seguito della commedia in una reda-zione diversa e più breve rispetto a quella trasmessa dalla stampa. A ciòsi aggiunge un ulteriore particolare, importante per stabilire la cronolo-gia dei tre testi. Una mano di poco posteriore a quella che ha trascritto

128 La resa di Ruzante, in quest’ultimo caso, sarebbe ugualmente rispettosa del testo plautinoperché ventri del v. 302 è d’abitudine inteso proprio come ‘appetito’, «vividly attributed to thepersonified fists» (PLAUTUS, Amphitruo, edited by D.M. Christenson, Cambridge, CambridgeUniversity Press, 2000, p. 201). La seconda battuta di Mercurio sull’argomento è quella del v.309: «Quisquis homo huc profecto venerit, pugnos edet».129 Non sono persuaso dall’ipotesi di CARROLL 2000: 967-968 e nota 13, che propone di inten-dere lome nel senso di lomè ‘soltanto’ e tradurre «e poi uno che ha almeno quattro» (p. 967).Quest’uno e questi quattro sarebbero rispettivamente Tomao e i suoi quattro presunti partnerin altrettanto presunte relazioni etero- e omosessuali: «his wife, the presumedly male Christianslave that his wife wishes to free (Gismondo/Isotta), the courtesan Doralice, and Ruzzante»(pp. 967-968).

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l’Egloga-Moschetta ha infatti costellato i margini del prologo di aggiun-te, le quali con ogni verosimiglianza testimoniano l’esistenza d’unanuova redazione che aveva preso a circolare. Dato che tali aggiuntehanno riscontro nell’Intermedio e nel Rasonamento, questi due testidipenderanno dalla nuova redazione del prologo dell’Egloga-Moschettae saranno dunque più tardi della redazione marciana così come fu pri-mamente tracritta 130. Sulle ragioni dell’incompleta trascrizione dell’E-gloga-Moschetta si è adeguatamente interrogato solo PACCAGNELLA1988: 115: «Resta [...] da spiegare il motivo di quel vuoto, individuabi-le forse nella sopravvenuta indisponibilità del proprio esemplare o nellaricerca di un testimone autorevole: con il che si dovrebbe supporre l’e-sistenza a questa altezza di un codice completo, ben diverso struttural-mente e linguisticamente dall’apografo su cui fu condotta l’edizioneAlessi del 1551; un codice da cui non si capisce perché il Marc. It. XI66 o il codice 1636 della Civica di Verona desumessero solo dei lacer-ti». La situazione dell’Egloga-Moschetta è da questo punto di vista iso-lata, dato che le lacune di altri testi presenti nel codice sono semprespiegabili per ragioni meccaniche (è il caso dell’Anconitana, alla qualemanca un foglio) o di prudenza (potrebbe essere il caso della Betìa,lacunosa per circa mille versi tra il secondo e il terzo atto): non si cono-scono insomma altri esempi di opere ruzantiane trascritte per una pic-cola parte iniziale e poi interrotte lasciando le carte bianche per un suc-cessivo completamento; la presenza delle carte bianche potrebbe indur-re, del resto, a pensare che l’interruzione non sia stata casuale quantopiuttosto programmata. Le ipotesi in proposito non sono numerose e

130 Una linea evolutiva che muove dall’Egloga-Moschetta verso il Rasonamento e l’Intermedioè stata persuasivamente proposta per primo da PADOAN 1968 (1978a): 150-160, in pagine chesaranno richiamate spesso in questo paragrafo. Meno nette in proposito le convinzioni diMILANI 1988 (2000), che proponeva anzi una ricostruzione affatto opposta: «il prologo dellaMoschetta, che il codice Veronese chiama Intermedio e l’Alessi Rasonamento, non è che unrelitto della prima stesura della commedia» (p. 154) e dunque «il Rasonamento non testimo-nia affatto una nuova redazione: è ciò che resta di una stesura – forse primitiva e certo ante-riore a quella ferrarese – che il revisore ha preparato per la stampa sistemandola in modo dafarne un rasonamento invece di un prologo privo di commedia» (pp. 154-155). Un anno piùtardi MILANI 1989 (2000) si avvicina alla ricostruzione di Padoan, scorgendo nell’Intermedioun «prologo, che si presenta come una rielaborazione di quello marciano [...], poi edito conalcuni aggiustamenti come testo a sé stante nella stampa Alessi delle Tre Orationi del ’51 coltitolo di Rasonamento, [...] inoltre strettamente imparentato con quello della Fiorina»(p. 176): se ne conclude che «dalla versione rimaneggiata provengono inoltre le aggiunte cheun’altra mano ha posto in margine al testo dell’Egloga» (p. 177), e che «la filiazione è dunqueEgloga ! Intermedio più Rasonamento, e Fiorina» (ibidem). Si noti che Padoan preferiva pen-sare alla successione diversa Egloga-Moschetta ! Rasonamento ! Intermedio ! Fiorina: vd.oltre nota 136.

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forse vale la pena di enunciarle chiaramente. La copiatura potrebbeessere stata sospesa per ragioni meccaniche o accidentali di qualunquetipo (l’antigrafo si perde, è illeggibile o danneggiato a partire da uncerto punto, occorre restituirlo a chi l’ha prestato o simili); se invecel’interruzione fosse stata volontaria andrebbe valutata attentamente l’i-dea di Paccagnella che ciò fosse dovuto alla «ricerca di un testimone piùautorevole» (PACCAGNELLA 1988: 115). Un’idea alternativa, e ancorapiù stimolante pur nella generale assenza di prove che affligge ognunadi queste congetture, è che l’Egloga-Moschetta venisse lasciata incom-pleta perché chi dispose la copiatura delle opere ruzantiane poi con-fluite nel codice Marciano – qualcuno molto vicino all’ambiente teatra-le frequentato dal Beolco – sapeva già che proprio di quella commediaera in corso una revisione d’autore: da questo avrebbe potuto dipende-re la decisione di attendere il nuovo testo per completare la trascrizio-ne, lasciando nel frattempo una serie di carte bianche approssimativa-mente sufficienti a contenerlo (colpisce che proprio l’unica opera diRuzante trascritta parzialmente nel codice attesti una redazione inseguito superata).Le osservazioni di PADOAN 1979 (1994): 236-237 hanno fatto luce datempo sulla consistenza del fascicolo A cui appartiene l’Egloga e checontiene anche la maggior parte delle opere di Ruzante tramandate dalcodice Marc. It. XI 66. Una considerazione ravvicinata del fascicolonon può che sboccare in una rapida riflessione sul più complesso e deli-cato problema di datazione dell’intera opera ruzantiana, quello relativoall’Anconitana 131. Già PACCAGNELLA 1988: 115-116 aveva constatato

131 Discutendo espressamente il problema o toccandolo solo di passata, hanno assegnato l’An-conitana agli anni Venti (talora 1520-1522) o ne hanno comunque negato l’appartenenza allafase estrema dell’opera ruzantiana Ludovico Zorzi in RUZANTE, Anconitana, a c. di L. Zorzi,Padova, Randi, 1953, pp. 183-192 (sebbene nella più tarda edizione einaudiana del 1967 l’An-conitana venisse poi collocata per prudenza tra la Fiorina e la Piovana); N. BORSELLINO, Ladatazione dell’«Anconitana» (1962) seguito a dodici anni di distanza da Il silenzio di Ruzante.Postilla (1974), ora entrambi in ID., Rozzi e Intronati. Esperienze e forme di teatro dal Deca-meron al Candelaio, Roma, Bulzoni, edd. accr. 1976, pp. 163-176 e 177-185 (nel secondo con-tributo le osservazioni delle pp. 179-181 indeboliscono molto uno degli argomenti storiciavanzati da Padoan, quello degli orecchini la cui menzione collocherebbe automaticamente iltesto dopo il dicembre 1525); C. SEGRE, Polemica linguistica ed espressionismo dialettale nellaletteratura italiana, in SEGRE 1963: 383-412, a p. 397; FOLENA 1983 (1991): 140-141; MILANI1988 (2000): 159-162; PACCAGNELLA 1988: 115-116; CANOVA 2000: 45-51 (che arriva a pro-porre per la commedia tre diverse redazioni da collocare rispettivamente intorno al 1521, al1526 e al 1534-1535; di due diverse redazioni collocabili rispettivamente, se capisco bene,dopo il 1518 e verso il 1530 parla anche CARROLL 2000). Alla originaria ipotesi di Zorzi sioppongono nella sostanza le osservazioni di C. GRABHER, Sulla datazione dell’«Anconitana»,in «La Rassegna della letteratura italiana», LVIII (1954), pp. 62-68 (propenso a spostare l’An-conitana al 1537-1538) e soprattutto la ricostruzione di PADOAN 1968 (1978a): 171-191, che

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che «se la data ultima scritta nel codice [...] è il 6 ottobre 1530, e se ilfascicolo A contiene [...] opere che vanno datate fra il 1524 (Lettera gio-cosa) e il 1530 (Parlamento), non riesce immediatamente perspicuo per-ché non si debba collocare anche la composizione dell’Anconitana inquesti anni e si preferisca invece spostare tutta l’opera di copiatura aduna data di composizione (1534-35) fissata per altra via, non del tuttosicura né documentaria». Successivamente, nel quadro di un’ampia edensa discussione di tutto il problema, VESCOVO 1996: 102 ha indivi-duato in alcuni versi aretiniani tramandati dal Marc. It. XI 66 una provache l’allestimento del codice è proseguito ben oltre il 1530, almeno perun altro quinquennio che porterebbe proprio al giro d’anni (1534-1536) cui già Padoan era propenso ad assegnare l’Anconitana 132. A mioavviso il rilievo accordato ai madrigali aretiniani non sposta però dimolto i termini del problema, e non tanto perché si tratta solo di duetesti sugli oltre seicentocinquanta che il codice contiene, quanto piutto-sto perché essi si trovano in altri due fascicoli (XXXII e XXXIII), chepossono aver avuto vicende del tutto autonome da quello ruzantianoche qui interessa 133. È insomma con il fascicolo A che bisogna fare i

ha proposto di assegnare la commedia agli anni 1534-1535; la tesi di Padoan è stata ripresa esviluppata, in risposta a MILANI 1988 (2000), da P. VESCOVO, Possibilità, verosimiglianza, infi-nita probabilità. Appunti in margine alla datazione dell’«Anconitana», in QV, 10 (1989), pp. 181-207, poi rifuso e ampliato in VESCOVO 1996: 65-111. Da ultimo DANIELE 2005: 294, riconsi-derando con altri argomenti la posizione di Mortier confutata da Zorzi nel 1953, ha ipotizza-to di assegnare la commedia più o meno al 1530. Come quello degli orecchini, anche il cennosul pericolo di invasione turca che tocca Cipro non si offre a una interpretazione univoca, pre-standosi a supportare con uguale plausibilità sia una collocazione molto alta (1522 secondoZorzi e Borsellino), sia una collocazione molto bassa (1534-1535 secondo Padoan, 1537-1538secondo Grabher); la stessa allusione all’impalamento rischiato da Venere e Amore potrebbeessere topica, ricorrendo già nella Prima Oratione (1521) e ancor prima nella Mandragola, rap-presentata con successo a Venezia da Cherea il 13 febbraio 1522 (entrambi i rilievi in N. BOR-SELLINO, La datazione cit., p. 167; sulla rappresentazione veneziana della Mandragola cfr.PADOAN 1982: 81). Fatta salva la scoperta di nuovi fatti, la datazione dell’Anconitana sembradestinata a essere discussa sulla base di elementi quasi esclusivamente interni al testo.132 Si tratta di due madrigali che attestano un totale ribaltamento nei rapporti tra Aretino e lacortigiana Angela del Moro, detta la Zaffetta: l’uno è elogiativo (ROMEI 1987: 106-107, n°XX), l’altro – «Zaffetta, io ’l vo’ pur dire, / s’io vi fottesse ch’io possa morire» – insultante(ROMEI 1987: 147, n° XXXII). Il testo elogiativo compare anche nel Dialogo aretiniano del1536; ma dato che ancora nella Cortigiana del ’34 si scherzava pesantemente sul “trentuno”inflitto alla prostituta, «Aretino da dileggiatore non può essere divenuto elogiatore della Zaf-fetta che tra il 1534 e il 1536, tra l’ultimo cenno irrispettoso e il primo scritto encomiastico» edunque il testo «non può in alcun modo essere stato scritto (e copiato) prima del 1534»(VESCOVO 1996: 102).133 Seicentosettantatré sono i testi tramandati dal codice Marciano secondo CRISTOFARI 1937: VI;per la numerazione dei fascicoli di interesse aretiniano cfr. ROMEI 1987: 11. La stessa difficoltàche coinvolge i testi di Aretino riguarda, per la loro collocazione nel codice, anche le lettere bur-lesche con data 1567, forse di maniera calmiana: sul problema cfr. VESCOVO 1996: 102-106.

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conti: assumendo per la composizione dell’Anconitana una data bassa(appunto 1534-1535), occorrerebbe far slittare almeno allo stesso perio-do – se non più tardi – la copiatura delle opere ruzantiane. In tal modosi incorre però in un’incongruenza non del tutto irrilevante: bisogne-rebbe infatti spiegare perché all’altezza del 1534-1535 qualcuno potes-se essere ancora interessato a copiare o almeno cominciare a copiare untesto come l’Egloga-Moschetta, ormai obsoleto e superato da una nuovae più ampia redazione che circolava quasi sicuramente già nel 1533(anno in cui mostra di conoscerla Aretino nel Marescalco), se non addi-rittura prima (come potrebbero suggerire più debolmente alcune cor-rezioni ariostesche esaminate per la Cassaria in versi). Il Marescalco,decisivo nell’offrire un solido termine ante quem per la Moschetta,potrebbe forse dare una piccola indicazione anche per l’Anconitana.Speculare alla scena già ricordata in cui la balia tesse al marescalco lelodi della buona moglie, se ne trova una seconda (II V) in cui con benaltra sincerità e spietatezza Ambrogio traccia al marescalco un quadroanche troppo efficace dei tormenti che toccano a ogni uomo ammo-gliato: tra le altre compaiono due battute in cui la moglie è ritratta ainsistere sulle origini illustri e sull’agiatezza che la rendono tanto menopassibile di qualsiasi rimprovero o di qualsiasi mancanza di rispetto:«ella ti si ficca su gli occhi con le grida: e tu non mi meriti, tu non seidegno di me, e simili altre loro dicerie ritrose [...], ed ella dopo millerimbrontoli ti entra a lato con uno: Sia squartato chi mi ti diede; ad unconte, ad un cavaliere potea maritarmi; ed entrata a squinternare la suageneologia, diresti ella è nata del sangue di Gonzaga, cotanta puzzamena» (ARETINO Marescalco, p. 31); e poi «se tu l’hai di te più ricca, adogni minima cosa che non le piace: se non fossi io, tu mostreresti lecarni, io t’ho ricolto dal fango, mi sta bene ogni male, mi mancavanomariti? Io sono stata gittata via; sfàmati del mio, consumami, mangiami,bevemi, divorati ciò che c’è» (ivi, p. 33). Gli argomenti misogini svilup-pati nelle due battute citate sono ampiamente topici, e in particolare èfortissima la consonanza con un passo del Corbaccio boccacciano 134; ma134 Dove la moglie perseguita il marito con una lunga tirata, di cui è utile riportare qui alme-no una parte: «“Ma, alla croce di Dio, io farò di quelle a te che tu fai a me. Or son io così spa-ruta? Non son io così bella come la cotale? Ma sai che ti dico? chi due bocche bacia, l’unaconvien che li puta. Fatti in costà: se Dio m’aiuti, tu non mi toccherai: va’ dietro a quelle diche tu se’ degno; ché certo tu non eri degno d’avere me; e fai ben ritratto di quel che tu se’.Ma a fare, a far sia. Pensa che tu non mi ricogliesti del fango; e Dio il sa chenti e quali eranoquelli che se l’arebbono tenuto in grazia d’avermi presa senza dote, e sarei stata donna emadonna d’ogni lor cosa: e a te diedi cotante centinaia di fiorini d’oro [...] E’ fu bene la miadisavventura ch’io mai ti vidi: che fiaccar possa la coscia chi prima ne fece parola!” E con que-ste e con molte simili, e più altre assai più cocenti, senza niuna legittima o giusta cagione avere,

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al mosaico si potrebbe aggiungere un’altra tessera, anch’essa dipenden-te con ogni verosimiglianza dal Corbaccio: si tratta di una battuta del-l’Anconitana nella quale Ginevra insiste più rapidamente sulle stesseattitudini femminili: «Quando il marito la cruziasse sopra ciò, nonsaperà ella dire: “Che credete voi, ch’io sia scessa de villani? Che vogliafar copia di me a un schiavo? Non mi avete già ricolta del fango! In malponto vi venni in casa, per non esser mai lieta. Alla croce di Idio, meri-tareste che vi facesse pensar del vero, come fano de le altre. Voi non era-vate degno de mei fati”» (Anconitana III IV, pp. 835-837). Alla lucedella comune ascendenza boccacciana il passo di Aretino e quello diRuzante possono essere indipendenti, ma neppure si può escludere cheuno dei due abbia almeno sollecitato l’altro: non è difficile immaginaread esempio che Aretino, a caccia di spunti sul matrimonio (e sulla suanatura costrittiva), si sia ricordato della battuta dell’Anconitana, cosìcome già si era ricordato di una battuta della Moschetta sullo stessoargomento 135. In linea di principio, beninteso, è possibile anche che siaaccaduto l’inverso: la vicinanza tra i passi non potrà essere assunta toutcourt come prova che una delle due commedie dipenda dall’altra, conle conseguenze che ne deriverebbero qualora si accettasse l’ipotesi cheAretino conoscesse l’Anconitana già mentre andava rivedendo il Mare-scalco nel corso del 1533. Basta per ora aver indicato, soprattutto con lariflessione sulla consistenza e i contenuti del fascicolo A, qualche ragio-ne per dubitare di una collocazione cronologica molto bassa dell’Anco-nitana, fermo restando che il problema della datazione di questa com-media è assai complicato e forse ancora lontano dall’essere chiuso unavolta per tutte.

tutta la notte tormentano i cattivelli» (G. BOCCACCIO, Corbaccio, a c. di G. Padoan, in Tutte leopere di Giovanni Boccaccio, a c. di V. Branca, Milano, Mondadori, 1994, vol. V/2, pp. 413-614, alle pp. 466-467, §§ 44-47). A questo stesso passo si ispira più rapidamente anche lalamentela di Dianora in GIANNOTTI Vecchio amoroso, p. 36: «Non è pure un’ora ch’egli midisse la maggior villania del mondo, come s’egli m’avesse ricolta del fango. Ma egli non lapensa bene. Se io me ne dolgo co’ miei parenti, io metterò sottosopra il cielo e la terra. Eglinon sa ancora chi sono i Lanfranchi» (si noti la coincidenza tra «come s’egli m’avesse ricoltadel fango» e il boccacciano «pensa che tu non mi ricogliesti del fango»). Della fortuna rina-scimentale del Corbaccio offre un’interessante testimonianza, più o meno negli stessi anni diredazione della Moschetta, anche la dedica ai lettori di VENIER Puttana errante, p. 34, dove ècelebrato il «quinto evangelista san Giovanni Boccaccio», autore del «sacrosanto Corbaccio[...] che cava l’anime del limbo, e ’l corpo dall’inferno, e le borse del purgatorio».135 La coazione al matrimonio subita dal marescalco, che restituisce in un complesso gioco dispecchi l’analoga situazione dello stesso Federico Gonzaga, è tra i temi essenziali della com-media aretiniana, come ha dimostrato G. DA POZZO, L’Aretino, il «Marescalco» e i cavalli, inMedioevo e Rinascimento veneto con altri studi in onore di Lino Lazzarini, Padova, Antenore,1979, vol. II, pp. 135-180, specialmente alle pp. 171-176.

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Si è anticipato che Intermedio e Rasonamento derivano da una rielabo-razione del prologo dell’Egloga-Moschetta; constatando l’estrema pros-simità tra l’Intermedio e il prologo della Fiorina, entrambi assegnabilipiù o meno al 1531, Padoan proponeva di far seguire all’Egloga-Moschetta il Rasonamento e di riconoscere nell’Intermedio l’ultimatappa del percorso 136. Dal punto di vista cronologico l’ipotesi di Padoanappare solida e ben motivata, mentre la valutazione di Intermedio eRasonamento non sempre risulta convincente. Mi pare infatti che laricostruzione di Padoan, seguita in questo da tutte quelle successive,tenda a trattare senz’altro sia l’Intermedio che il Rasonamento comeprologhi della Moschetta, mentre è chiaro che se entrambi derivano dalprologo dell’Egloga-Moschetta sono però, così come sono conservati,testi evidentemente autonomi dal loro punto d’origine e già destinati aun altro uso. Alcuni dei cenni che entrambi contengono – e forse anchequelli sull’om da ben che avrebbe parlato prima del recitante – non sonoche i residui di una primitiva destinazione ricostruibile solo congettu-ralmente. Tra i fatti che PADOAN 1981: 185 nota 1 ritiene decisivi perconsiderare l’Intermedio come un prologo vero e proprio ci sono leparole finali: «Adesché son su sto propuosito a’ verì quel ch’intravene aun om da ben che è puoco lunzi da chialò per muarse de lengua, sì cheve prego, déne silentio» (Intermedio § 14). Ma un’espressione simile,seppure di poco più generica, si trova anche alla fine del Rasonamento:«E dasché seon su sto prepuosito, a’ verì quello che v’intravegnerà permuar lengua, sì che andé per el snaturale» (Rasonamento § 14); eppurenon si può certo dedurne che il Rasonamento sia un prologo: esso è

136 «Successivamente l’autore ritoccò quel Prologo [quello dell’Egloga-Moschetta] con qualchepiccola correzione, adattandolo ad un’altra replica della Moscheta: è il cosiddetto Rasona-mento. Una redazione ancora posteriore è la stesura attestata dal codice veronese» (PADOAN1968 [1978a]: 153); il testo veronese «fu poi a sua volta ampiamente rielaborato e adattato aprologo della Fiorina» (155). Riduco all’osso le conclusioni di Padoan, che sono però il frut-to di un esame serrato dei tre testi nei minimi particolari. Radicalmente diversa, ma senzaragioni cogenti, la ricostruzione di CARROLL 2009: 68-69, secondo cui la mancanza nell’Inter-medio delle allusioni ‘ferraresi’ dell’Egloga-Moschetta sarebbe prova di una larga anterioritàcronologica: nel ms. Veronese 1636 «it lacks the statement ‘E questa che è chialò no è Cre-mona, né Ferara; mo l’è Pava’ [...]. Cremona being the city in which Ariosto’s Negromante isset, the Intermedio dates before 1520, the year in which Ariosto, at the request of Pope Leo,wrote the play for the Roma Carnival season». Mi pare che l’osservazione sia anzitutto il frut-to di un equivoco (l’Egloga-Moschetta si riferisce per forza di cose alla seconda redazione delNegromante, e non alla prima); ma in essa avrà avuto un certo peso anche il desiderio dellaCarroll di avvicinare cronologicamente altri testi del Veronese 1636 alla Prima Oratione, data-ta dalla studiosa americana non al tradizionale 1521, bensì al 1518. In più, di questo preco-cissimo e isolato Intermedio – da collocare addirittura all’altezza della Pastoral – sarebbe piut-tosto difficile specificare anche la funzione.

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invece, come indica inequivocabilmente il fatto che sia stato stampatoinsieme alle Tre Orationi e alla Lettera all’Alvarotto, un testo autonomo.Quanto all’om da ben dell’Intermedio (§§ 2 e 13) Padoan ha ipotizzatocon cautela di riconoscervi Ariosto; ipotesi affascinante e di per sé nonimpossibile: dedurne però che la Moschetta avrebbe avuto due prolo-ghi, l’uno in toscano e l’altro in pavano, il primo perduto e forse pro-nunciato da Ariosto, il secondo tramandato dal codice Veronese, nonmi pare in tutto condivisibile 137. Nel codice Veronese l’Intermedio èinfatti copiato come un testo autonomo, e non come l’inizio di un’ope-ra più ampia destinata a essere trascritta per intero come avviene nelcaso dell’Egloga-Moschetta 138: se quello marciano è dunque un prologonel senso stretto della parola, dato che a esso faceva sicuramente ségui-to il testo di una commedia, l’Intermedio non lo è più 139. Si tratta di unfatto tanto evidente quanto negato: nella sua edizione PADOAN 1981:184 traduce intermedio con ‘intermezzo’, ma si affretta a precisare che«non si tratta di intermezzo, bensì di un prologo vero e proprio» 140.Affermazione che si potrà senz’altro riferire a fasi precedenti della sto-ria del testo, ma non certo a quella testimoniata dal codice Veronese,che è pur sempre quella effettivamente in nostro possesso. Credo sidebba accettare per il testo veronese il significato di ‘intermezzo’ in

137 PADOAN 1968 (1978a): 157-158; vede la stessa allusione ad Ariosto nell’Intermedio ancheCARROLL 2009: 69 («The Intermedio does refer to a writer present who could write in his ownlanguage but who writes in Florentin [...] The writer is clearly Ariosto»). Dal canto suo, e benprima, LOVARINI 1965: 338 era stato se non altro meno netto: «Chi aveva allora detto il pro-logo – fosse il direttore di scena o l’Ariosto, o il signore che offriva questo divertimento allaCorte, Alvise Cornaro in persona – era ancora presumibilmente presente e seduto tra gli spet-tatori».138 Alla luce di questo fatto andrà anche rimeditata la domanda che si poneva Paccagnella sulperché il codice Veronese «desumesse solo dei lacerti» di opere ruzantiane (PACCAGNELLA1988: 115). Se la parola «lacerti» alludesse all’Intermedio sarebbe impropria proprio perchécome si è già detto il copista del Veronese riteneva quel testo un testo perfettamente autono-mo.139 Mi pare implausibile l’idea che intermedio possa essere un aggettivo riferito al prologo inpavano, ‘intermedio’ perché posizionato tra il primo prologo in toscano e l’inizio della com-media vera e propria (salvo errore, l’idea è stata espressa per primo da LOVARINI 1965: 338).Nel sintagma Intermedio d’una comedia de Ruzante alla Pavana, la prima parola non potrà cheessere un sostantivo (per altro l’uso aggettivale di intermedio sembra di poco più tardo: a parteun isolato esempio da Francesco di Giorgio Martini, GDLI VIII 240 riporta tra i più antichidue esempi di Sarpi e Galilei). I prologhi ruzantiani doppi sono esplicitamente distinti piut-tosto a seconda della loro lingua o dei recitanti: proemio a la villana e proemio in lingua tosca(Pastoral), prologo detto dal Tempo e prologo detto da Ruzante (Anconitana), prologo dettoda uno spirito folletto e prologo detto da Truffo (Vaccaria). Su di essi, e su vari aspetti toccatianche qui, vd. DE VENTURA 2003.140 PADOAN 1981: 185 nota 1, che aggiunge però subito dopo: «questo Prologo circolava auto-nomamente».

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maniera integrale: è probabile insomma che fin da subito, a séguitodella rielaborazione toccata alla commedia, il prologo della redazioneprimitiva – dopo qualche ritocco che non eliminò però tutti gli elemen-ti riferibili all’impiego originario – sia stato riusato da Ruzante cometesto autonomo per esibizioni più brevi, simili a quella ricordata daMessisbugo per il banchetto del 24 gennaio 1529 141. Un tragitto comequesto non presenta del resto caratteristiche straordinarie: più tardi gliattori professionisti metteranno spesso «i prologhi in repertorio anchecome monologhi, senza rapporto con la commedia d’origine» (ANGELI-NI 1992: 1134) e, restando a Ruzante, la stessa sorte toccò al prologodella Betìa, stampato autonomamente con il titolo di Sprolico 142. Non cisono dubbi sul fatto che il Rasonamento apparisse come un testo auto-nomo agli occhi dei curatori della prima edizione a stampa delle operedi Ruzante; ma mi pare plausibile che così considerasse l’Intermedio giàil copista del codice Veronese, in cui è raccolta certo non per caso unaserie di scritti ruzantiani per cui era possibile la declamazione ‘a unavoce sola’ (Lettera all’Alvarotto, Intermedio, Prima Oratione) 143. Che già

141 Anche sul significato da attribuire a intermedio mi pare non possano sussistere dubbi: sem-pre utile la voce intermezzo di Elena Povoledo e Nino Pirrotta in Enciclopedia dello Spettaco-lo, fondata da S. D’Amico, Roma, Le Maschere, 1959, vol. VI, coll. 572-576 (sulla storia e l’e-voluzione dell’intermezzo in Italia tra fine Quattrocento e fine Cinquecento); e si pensi, a tito-lo d’esempio, al significato di intermedio in un testo emblematico come il dialogo tra Prologoe Argomento che apre La strega del Lasca (LASCA Strega, pp. 709-716). Decisiva, per il rispet-to cronologico, una testimonianza come quella di FOLENGO Baldus V 444-447 (corsivo mio):«Hinc omnes risu nimio schioppare videntur, / mirantes gobbum senem vecchiumque creva-tum / apparere velut si, quando comaedia fitur, / sese intermediis quidquam risibile mostrat».Si schiera a favore dell’ipotesi sostenuta qui, da ultimo, anche CARROLL 2009: 68 («The Inter-medio’s title provides the valuable information that it was then a between-act sketch»). Val lapena di aggiungere infine che talvolta gli intermezzi potevano essere concatenati e costituire aloro volta un testo: potrebbe essere stata questa l’originaria destinazione di brevissimi testi cal-miani in quattro atti come la Pozione o la Fiorina (VESCOVO 2007: 150-151); dallo stessoVESCOVO 2007: 135 si apprende poi che in Spagna, nella seconda metà degli anni Sessanta delCinquecento, il comico italiano Botarga usava canovacci tripartiti destinati anche ad essererecitati negli intermezzi (per un esempio cfr. M. DEL VALLE OJEDA CALVO, Stefanelo Botarga eZan Ganassa. Scenari e zibaldoni di comici italiani nella Spagna del Cinquecento, Roma, Bulzo-ni, 2007, pp. 551-555).142 Sulla questione cfr. MILANI 1989 (2000). La decisione di stampare lo Sprolico insieme adaltre opere ruzantiane (cfr. nota successiva) deriva probabilmente dalla sua fruibilità cometesto autonomo, e non credo dipenda da «una soluzione “economica” del curatore, il quale,intimorito di fronte a un testo come quello della Betìa, che imponeva interventi assai più radi-cali di quelli richiesti dalle opere in prosa, salvò con lievi modifiche il prologo tralasciando ilresto» (MILANI 1989 [2000]: 179).143 Il criterio di riunire le opere ruzantiane destinate a essere declamate da una sola voce potreb-be presiedere anche all’allestimento della stampa Alessi che nel 1551 raccolse le due Orationi(seguite da una terza, spuria, del Morello), la Lettera all’Alvarotto, il Rasonamento, lo Sprolico(che deriva dal prologo della Betìa): testi, come si vede, anche molto diversi tra loro, ma facil-mente opponibili al resto della produzione ruzantiana in virtù del loro carattere monologico.

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verso il 1531 l’Intermedio non avesse più alcun legame con la Moschet-ta è dimostrato, infine, dal fatto che esso viene reimpiegato senza diffi-coltà per scrivere un nuovo prologo vero e proprio, quello della Fiori-na. In quest’ottica andrebbero considerati con maggiore prudenzaanche i cenni sull’om da ben e sulla sua azione di sprolegare. Non è dettoinsomma che Ruzante debba alludere a un altro prologo che avrebbepreceduto il suo 144: l’om da ben potrebbe anche essere l’attore di unacommedia in toscano tra i cui atti cadeva l’intermezzo ruzantiano, cheavrebbe allora avuto funzione di contrappunto giocoso rispetto alla rap-presentazione principale; o ancora l’allusione potrebbe essere diretta aun altro intermezzo, detto in toscano, che precedeva quello di Ruzantein una catena di esibizioni di intrattenimento come quelle che seguiva-no ogni portata nei banchetti estensi descritti da Messisbugo. Come èchiaro, si tratta soltanto di ipotesi, non meno plausibili però di quella diPadoan, che con la sua acutezza e il suo fascino ha influenzato i lavorisuccessivi a tal punto che molto spesso il coinvolgimento diretto diAriosto e l’esistenza di un doppio prologo della Moschetta sono trattaticome dati di fatto, quando tali non sono.Sembra quindi più ragionevole, oltre che più rispettoso della tradizioneche lo tramanda, considerare l’Intermedio come un intermezzo vero eproprio, e la stessa osservazione può essere estesa senza difficoltà alRasonamento: la decisione di fornire l’edizione critica dei due testi inappendice a quella della Moschetta dipende dunque dalla comune ge-nealogia, nella consapevolezza che ben diversa da quella della Moschet-ta e dell’Egloga-Moschetta fu invece la loro destinazione scenica.

144 Per altro, come confermano i dati del CORPUS PAVANO, le forme riconducibili a sprolegare(nove esempi) e a sprolico (nove esempi) si riferiscono a discorsi introduttivi solo in pochissi-mi casi, e mai a prologhi nel significato tecnico della parola; d’abitudine le due parole indica-no piuttosto annunci, orazioni (proprio la Prima Oratione è intitolata Sprolico nel ms. Vero-nese 1636), o discorsi lunghi e inconcludenti (si pensi anche alla sfumatura spregiativa del cor-rispettivo italiano sproloquio). Vd. inoltre gli altri riscontri proposti nella nota al § 2 dell’In-termedio.

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MOSCHETTA

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PROLOGO

[1] El ghe n’è assè che sempre mè se smaravegia d’i fatti d’altri: a’ dighemo’ que cerca de saere e intendere zò que fa i suo’ vesini, e sì farae megiotal fiè a guardarse igi, perqué mi cherzo que la sipie così co’ a’ ve digo:che chi vuò vêre i fatti d’altri, n’ha da far d’i suo’; e se i gi ha da fare, in’i fa. E sì i dè avere an’ igi impegò le calze, e puo i vuò dir d’altri! 1

1 Ce ne sono tanti che si meravigliano sempre dei fatti degli altri: dico che cercano di saperee sentire quel che fanno i loro vicini, e invece farebbero meglio qualche volta a guardare a sé,perché credo che la cosa stia come vi dico: che chi vuol farsi i fatti altrui, evidentemente nondeve averne di propri da fare; e se anche li hanno da fare, non li fanno. Eppure devono avereanche loro le calze sporche, e poi vogliono parlare degli altri!sempre mè: con mè rafforzativo (vd. SALVIONI 1902-1904 [2008]: 606 v. 221 e MAZZARO 1991:51 v. 5 e 52 v. 28), già in testi antichi (cfr. ad es. PELLEGRINI 1957 [1977]: 337-374, a p. 370;ESOPO VENETO 25 e 36, ancomè in MONTEVERDI 1930: 143 v. 3582). Vd. anche I 1, I 23 bis, I54, II 1, II 4, II 23, III 24 bis, III 83, III 85 ter, III 113, III 134, V 53; nonché ad es. semper-maium in FOLENGO Baldus VII 67. a’ dighe mo’ que: si noti l’impiego di que come comple-mentatore (un’altra volta in questo paragrafo, poi ancora a Pr. 3, Pr. 4, Pr. 5, Pr. 14, Pr. 15, I23 ter, I 54 bis, II 23, III 1, E 19, R 2, R 8, R 9). Altrove que è usato come relativo con refe-rente ± animato (Pr. 4, Pr. 5 bis, Pr. 7, Pr. 8 bis, Pr. 9 bis, Pr. 11, I 60, II 2, II 3, II 23 bis, II24, III 102, III 136, IV 2, E 3), come congiunzione polivalente (I 16 bis, I 54, I 68, II 6, III 1,III 106, III 135, IV 58, R 11), come pronome indefinito con valore generalizzante (I 51, IV50); nella gran parte delle occorrenze è pronome o aggettivo interrogativo (si tratta di sessan-tasette ess.: Pr. 1, Pr. 17, I 1 quater, I 3, I 8, I 12, I 23, I 47, I 58, I 60, II 6, II 8, II 10, II 12,II 14, II 22, II 23 ter, III 1, III 9, III 24, III 36, III 40, III 48, III 54, III 61, III 71, III 79, III81, III 84, III 86, III 90, III 96, III 98 ter, III 99, III 101, III 103, III 108, III 111, III 112, III139, IV 2, IV 5, IV 41 bis, IV 52, V 3, V 12, V 20, V 22, V 35, V 36, V 53, V 55, V 61, V 66,V 77, V 86, E 17, R 4): sulla distribuzione di que in testi più antichi, che pare assai più rego-lare in omaggio a condizioni diverse, vd. BERTOLETTI 2005: 231 e nota 572. chi vuò vêre i fattid’altri [...] i n’i fa: cfr. Piovana 903 «a’ no ’l çerco con fa qui che ha sì puoco far d’i fati suò,che i va çercando qui de gi altri, mo per l’amore che a’ te vuogio». E sì i dè avere an’ igi impegòle calze ossia ‘devono avere anche loro qualche magagna’: per impegò cfr. con ZORZI 1403 BIB-BIA 84 (dove impegà è riferito metaforicamente alla donna adultera), BORTOLAN 142 impegar(Magagnò), ISELLA 2005: 272 (con ess. lombardi da Bonvesin in poi); MIGLIORINI - PELLEGRI-

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[2] E sì gh’è an’ de ste certe pettegole de femene sempre, che con’ le havezù un e una a favellar de brighè, de fatto le crè ch’i faghe male – e Diosa con’ la va! – e sì ’l va diganto po, e sì farae miegio a tasere 2.[3] El m’è stò ditto, con’ a’ ve dirè mo’ mi a vu, che de chialòndena elghe sta na femena mariè intun bon om da ben da villa, e che la fa e chela briga co questo e co quello. E mi a’ no ’l crezo mo’, perqué a’ crezoque la sipia na femena da ben, mi, perqué assè fiè a’ he provò an’ mi del’altre femene, e sì a’ no gh’in’ troviè mè neguna de guaste 3.

NI 34 impegar, PIANCA 95 inpegar e RIGOBELLO 228 impegolàrse ‘trovarsi in una situazione dif-ficile e non sapere come uscirne’. Calza ‘calzamaglia’ in BOERIO 120 («vestimento dellagamba»); al solo piede si riferisce calzéta (CORTELAZZO 2007: 261, dove manca calza). Da nota-re la concordanza tra impegò e calze, che va ricondotta al tipo ‘fu fatto beffe di loro’ nel qualea un participio passato maschile singolare può esser riferito un sostantivo maschile plurale oanche femminile singolare e plurale. Ne allegò per primo numerosi casi ruzantiani, commen-tando i testi trevigiani di Paolo da Castello, SALVIONI 1902-1904 (2008): 290-291 in nota; altriesempi e rimandi bibliografici più recenti sono raccolti in CALMO Saltuzza 180 punto 16.7 nota58. Do qui le altre occorrenze del fenomeno nel nostro testo, che meriterebbero appositadiscussione: Pr. 5 «l’è stò la natura», III 36 «laldò sea la Mare», III 56 «A’ sarae mo’ regonò,con’ disse questù, la noizza!», III 64 «Ti è ben abavò» (ti si riferisce a Betìa), III 81 «que saraestò quella desgratià», III 83 «A’ sarae stò con ti tanto» (a’ si riferisce a Betìa), III 99 «co’ è andòsta noella», IV 38 «a’ ’l m’è montò la zamara», V 13 «che maletto sea le prì», E 18 «el m’èvegnù sta ventura», Int 8 «l’è vegnù ste guerre» e «che maletto sia le guerre e i soldè», e ana-logamente R 8 «l’è vegnù ste guerre» e «che malletto sia le guerre e i soldè». Qualche altroesempio alla spicciolata soprattutto da testi cinquecenteschi: «Da Dio sia maledetto vostrasetta» (CONTINI 1938 [2007]: 604), «che maleto sia ste femene vieie! Sempre le ha i spontironche ghe magna el figò» (CALMO Spagnolas 40 pav.; Lucia Lazzerini interpunge diversamente:«che maleto sia... ste femene vieie sempre [...]»), «Oh, maleto sea quanti passi, quante fadi-ghe, quanti prigoli ho fatto de andare in su, in zo, denanzo, da drio [...]» (CALMO Spagnolas80 pav.); LIPPI 1997 (2003): 214 v. 201 «o Dio, donde sé andao la mia faiga?», CALMO Rodia-na 157 «Orsù, sia benedetto i tempi antighi», CALMO Spagnolas 18 «siando cantato vostrelaude in eclesia», CALMO Travaglia 124 «che ’l giera parechiao la tola», MAGAGNÒ Rime I 39v«Sea benedetto i garuoffoli, e i violari». Già in un testo più antico MONTEVERDI 1930: 37segnalava «la tendenza che mostra talora il participio passato a restare invariabile: passado doanny [...], è resorto una verra». È evidente anche da questa ridotta esemplificazione che il feno-meno si verifica di preferenza in contesti impersonali, passivi o con interpretazione passiva:chiari in tal senso i tre casi seguenti dall’ESOPO VENETO: «Li scriti delli autori, delli quali fi fatomentione e ricordanza» (p. 5), «s’el te fi dato alcuna cossa» (p. 25), «Or dixe ch’el fo dato liostaxi» (p. 52).2 E poi ci sono sempre anche certe di queste pettegole di donne, che quando hanno visto unuomo e una donna parlare insieme, subito credono che facciano qualcosa di male – e sa Diocome vanno queste cose! – e poi vanno in giro a dirlo, e invece farebbero meglio a stare zitte.con’ le ha vezù un e una a favellar de brighè: la frase dipendente da verbo percettivo è introdot-ta dalla preposizione a (cfr. CALMO Saltuzza 181 punto 16.10 e nota 61). de brighè: cfr. SAL-VIONI 1902-1904 [2008]: 677 s.v. brigada. de fatto: cfr. ad es. Pastoral 67 «sto ser Bortolomio/ s’amaçè de facto» (anche pp. 69 e 141), Dialogo facetissimo 83 «el ve guarirà de fatto, vi’»,Parlamento 117 «Mo, compare, la mia crose giera da un lò rossa e da l’altro bianca: e mi defatto a’ la voltié», CAVASSICO II 368 de fat, de fata ‘subito’; altri ess. in CALMO Saltuzza 129 nota56. diganto: forma derivata da incrocio tra gerundio e participio presente (cfr. CALMO Sal-tuzza 195 e nota 50); altri ess. a Pr. 11 12 14 15 16 17, I 1 7 56, II 23, III 4 113 123, IV 2 59,V 63 66 bis, R 7.3 Mi è stato detto, come vi dirò adesso io a voi, che da questa parte ci abita una donna spo-

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[4] E con’ a’ ve dîghe rivar da dire, a’ crezo que le sipia tutte bone, per-qué le è stà stampè tutte in s’una stampa e la so’ natura è tutta a unmuo’. E se ben el ghe n’è qualcuna que faghe qualche consa, l’è perquéla so’ natura ghe tira de far così 4.

sata con un uomo per bene che viene dalla campagna, e che fa e che briga con questo e conquello. Io non lo credo proprio, perché credo che sia una donna per bene, io, perché tantevolte ho provato anch’io delle altre donne, e non ne ho trovata mai nessuna guasta.de chialòndena: l’avverbio è costruito su chì (< ECCUM HIC) ‘arricchito’ da AD LOCUM e INDE,con -na epitetico come in adonchena, orbentena, perzontena e simili (cfr. anche CALMO Saltuz-za 107 nota 32). che la fa e che la briga co questo e co quello: probabile allusione alla disponi-bilità sessuale di Betìa. Cfr. ad es. MIGLIORINI - PELLEGRINI 12 far e brigar ‘affaccendarsi’,PIANCA 15 far e brigar par ciaparse la carégheta ‘darsi da fare (anche troppo) per far carriera’(per brigare cfr. LEI 7.429.17 ss.). L’accezione erotica dei due verbi è attestata precocemente:cfr. rispettivamente BIBBIA 6, 8, 11, 56 (più spesso fare carnalmente con) e STUSSI 1967: 152(brigare cum femena). a’ he provò an’ mi de l’altre femene: plausibile il significato sessuale diprovare (cfr. DLA 478-479 con vari ess. cinquecenteschi). guaste ossia ‘difettose’: l’aggettivocontinua probabilmente sul piano alimentare la metafora erotica presupposta da provare; perguasto cfr. GDLI VII 141 e più avanti guastare II 3. Qui, a III 22 e V 87 stampo guaste e guastosenz’accento, così come a I 11 e IV 16 stampo pesto e non pestò, rispettando la stampa prin-cipe. La soluzione è comunque convenzionale, dato che testi in rima garantiscono l’esistenzatanto della forma forte quanto di quella debole: nella Betìa si hanno infatti guasto : pasto, gua-sto : basto e questo : pesto a fronte di guastà : passà, pestò : inamorò (CORPUS PAVANO); nei testitrevigiani rustici di SALVIONI 1902-1904 (2008) guast (p. 600, v. 26).4 E come devo finire di dirvi, credo che siano tutte buone, perché sono state stampate tuttesu una stessa stampa e la loro natura è tutta uguale. E se anche ce n’è qualcuna che fa qual-cosa di male, è perché la sua natura la spinge a far così.E con’ a’ ve dîghe rivar da dire: lo stesso intercalare costella l’inconcludente resoconto di Ruzan-te a sier Tomao nell’Anconitana (atto IV, scena III, 10 volte alle pp. 849-857). Per rivar ‘fini-re’ cfr. CAVASSICO II 387; PATRIARCHI 162 rivare ‘finire’ con BOERIO 579 rivo ‘finito’ e aver rivo‘aver finito’. bone: in opposizione a guaste di Pr. 3. stampè tutte in s’una stampa ossia ‘fattetutte allo stesso modo’: cfr. GDLI XX 5924 della medesima o stessa stampa «per indicare perfet-ta identità di carattere o di comportamento» e più avanti (616) stampare ‘generare, mettere almondo’; CORTELAZZO 2007: 1309 punto (3), FOLENGO Baldus VIII 625-626 «At super altut-tum iuvenis massara placebat, / de cuius zetto stampaverat octo putellos», ARETINO Filosofo56 «stampati con una forma paiono», CARO Straccioni 5 «erano d’una medesima stampa»,CROCE 2006: 8 «la Natura [...] non volse stampargli tutti con un medesimo modello» e in parteCALMO Rodiana 77 «insìo fuora della stampa de mia mare». Metafora frequente nei rimatoripavani più tardi: cfr. SGAREGGIO, cc. A4r «con sta può de vita mal stampà», R1v «Da qual Soleè nassù, xe stà stampà / qui du bieggi uuocchi?», S1r «Con fè Pigialion, que se stampà / natosa, e ghe dè el fiò, l’anema, el cuore»; FIGARO E4v «Si xè quelle beltè, que la Snatura / in statosa ha stampè per brustolare / al gramo Tuognio el cuore». Vd. molto dopo un’immaginesimile in Nievo (con la stessa preposizione su): «Quei ragazzi cresciuti a quel modo vennero afoggiarsi sopra uno stampo così singolare» (Il Varmo, a c. di A. Romano, Roma, Salerno ed.,1990, p. 57). Possibile dividere anche «in su na stampa», ma la divisione adottata qui è omo-genea con il berg. «in s’ù caval» a IV 13. la so’ natura è tutta a un muo’: ‘la loro indole è sem-pre la stessa’; inequivocabile la sovrimpressione erotica, dato natura ‘organo sessuale’ (DLA371-372). Cfr. pure FIRENZUOLA Trinuzia 550 «abbiam tutte una natura insaziabile, che nonha né fin né fondo» e BIBBIENA Calandra 75, dove si dice delle donne che «non son già d’unaapparenzia, ma son ben tutte d’una natura». que faghe qualche consa: ha significato sessualecome fare a Pr. 3. la so’ natura ghe tira de far così: con il doppiosenso di natura; per tirare ‘con-durre a forza’ cfr. ad es. BOERIO 750 e in riferimento agli uomini vd. Pr. 6.

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moschetta

[5] A’ seon così an’ nu uomeni, ch’aon el nostro snaturale que ne fa faretal fiè quel ch’a’ no fassan: e se negun ne diesse niente de quel ch’aonfatto, a’ digon que l’è stò la natura que n’ha fatto fare così 5.[6] Mo chi cancaro no sa che, con’ a un ghe tira el snaturale d’inamo-rarse, el s’inamora de fatto? E sì el se vuò ben essere desgratiò, ch’el nose catte qualcuna da inamorarse 6.[7] E in collusion, sto snaturale è quello que ne fa ficare in tal buso ch’a’no se ghe fichessan mè, e sì ne fa fare an’ quello ch’a’ no fassan mè 7.[8] Disìme un puoco, per la vostra cara fe’, s’el no foesse ello, mo quiserae mo’ quelù sì poltron e sì desgratiò que s’inamorasse intuna so’ coma-re e que cercasse de far beco un so’ compare, s’el no foesse el snaturale? 8

5 Siamo così anche noi uomini, che abbiamo il nostro naturale che ci fa fare qualche volta quelche altrimenti non faremmo mai: e se qualcuno ci venisse a dir qualcosa su quello che abbia-mo fatto, diremmo che è stata la natura che ci ha fatto fare così.ch’aon el nostro snaturale ossia ‘abbiamo la nostra tendenza naturale’, ma con il doppiosensodeterminato da naturale ‘organo sessuale maschile’ (DLA 372; qui più sotto anche a Pr. 6, Pr.7, Pr. 8, Pr. 10, Pr. 11 e poi nel Rasonamento §§ 1 e 3), talora in opposizione a natura ‘organosessuale femminile’ (vd. sopra Pr. 4 e ad es. Betìa 415 «E questo intenzando e digando / delnaturale de nu / incontra la natura, o femene, de vu», CAMPANI 1878: 201 «Tu puoi pensarech’i’ ho buon naturale, / E tu de’ esser di buona natura; / Dunque le cose non potranno irmale»). l’è stò la natura: è un altro es. analogo a «i de’ avere an’ igi impegò le calze» di Pr. 1. 6 Ma chi canchero non sa che, quando a uno gli tira il naturale di innamorarsi, s’innamorasubito? E si deve ben essere dei disgraziati, a non trovarsi qualcuna di cui innamorarsi.con’ a un ghe tira el snaturale d’inamorarse ossia ‘quando a una persona viene spontaneo inna-morarsi’; data la serie di doppisensi, tirar alluderà anche all’erezione (vd. BOERIO 750): cfr.ROVIGIÒ D4r «quel bon snaturale / que ne tira a laldar de qualche tosa / la vertù, la bellezza oconsa tale» e il ben noto modo di dire «Tira più un pelo di fica che cento paia di buoi» (DP 117,III.4.14.1.6), che conta varie attestazioni in commedia (vd. per es. DELLA PORTA Sorella 492«tira più un pelo del manto delle donne, che diece paia di buoi»). de fatto: cfr. Pr. 2. el se vuòben essere desgratiò: per l’uso di volere con la stessa sfumatura vd. per es. «disi-li / ch’el voravede 1 co(r)tel en la gola» (LIO MAZOR 40); «S’te volessi esser ciamà de metre late de grua an almedego [...]» (Betìa 149, e qui pure pp. 283 e 503), «Tu uoròu d’un tampin per mè la musa»‘ti meriteresti uno schiaffo [...]’ (SALVIONI 1902-1904 [2008]: 608 v. 292), «El ghe vorave lapi-darle vive» (PELLEGRINI 1964 [1977]: 440 v. 400), «Li servitori vogliono esser fatti como io»(CALMO Travaglia 186), «[...] E’ si vorrebbe / farti guarir col padre delle ghiande» (LEGACCIDon Picchione 36 vv. 595-596). Per desgratiò cfr. sotto Pr. 8. ch’el no se catte: catar ‘trovare’ èdi tutto il Veneto (cfr. ad. es. BOERIO 148, BELLÒ 35, MAZZUCCHI 44, MIGLIORINI - PELLEGRI-NI 45, NACCARI - BOSCOLO 102, PIANCA 32, PRATI Vals. 35, ZANETTE 109).7 E in conclusione, questo naturale è quello che ci fa ficcare in certi buchi in cui non ci fic-cheremmo mai, e ci fa fare quello che non faremmo mai.ne fa ficare in tal buso ch’a’ no se ghe fichessan mè ossia ‘ci costringe ad azioni nelle quali non cisaremmo mai imbarcati’ (cfr. BOERIO 269 ficarse o imbusarse e PIANCA 90 inbusar ‘cacciare’);ovvio il doppiosenso sessuale (cfr. DLA 74-75 e 212 alle voci buco e ficcare), probabilmentesfruttato anche in Dialogo secondo 139 «Orbéntena, on’ no va uno inamorò, e on’ no ’l sefica!» (vedi nota 2 di Padoan).8 Ditemi un po’, per la vostra cara fede, se non fosse per il naturale, ma chi sarebbe poi quel-lo così poltrone e così disgraziato che s’innamorasse di una sua comare e cercasse di far beccoun suo compare, se non fosse per il naturale?per la vostra cara fe’: cfr. Prima Oratione 197 «per la vostra cara fe’» (anche pp. 207 e 215); «per

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prologo

[9] Mo qual è quella femena sì da poco que fesse male con so’ compa-re e que cercasse de far i cuorni a so’ marìo, s’el no foesse la so’ naturade ella che la ghe tira de far così? 9

[10] Mo an’ vu, ch’a’ si’ pur sacente e scaltrì, a’ no sessé zà vegnù chialòn-dena s’el no foesse stò el vostro snaturale, che v’ha tirò de vegnirghe;gnian nu a’ no fassan sta filatuoria chialòndena a Pava, su sto borgo 10.

to cara fe’» e «per la to cara fe’» nella Betìa marciana (LOVARINI 1894: 279 v. 226 e 335 v. 808:il codice Morosini-Grimani ha invece «per to fe’», a testo nell’ed. Zorzi pp. 375 v. 226 e 467v. 823); CALMO Rodiana 219 «per la vostra cara fe’». sì poltron e sì desgratiò: il significato anti-co di entrambi gli aggettivi (il secondo già in Pr. 6) è più forte di quello attuale, come provaefficacemente un passo del Tre. Operetta piacevole di Giulio Cesare Croce: «Tre melensi fannoun insensato / Tre insensati fanno un balordo / Tre balordi fanno un infingardo / Tre infin-gardi fanno un poltrone / Tre poltroni fanno un gaglioffo / Tre gaglioffi fanno un sciagurato /Tre sciagurati fanno un forfante / Tre forfanti fanno un disgratiato / Tre disgratiati fanno uninfame / Tre infami fanno un vituperoso / Tre vituperosi fanno un obbrobrioso / Tre obbro-briosi fanno un manigoldo / Tre manigoldi fanno un boia» (CROCE 2006: 146-147 n° 61, cor-sivi miei). Per poltron cfr. Nota al testo § 1.1.2. far beco un so’ compare ‘fare cornuto un pro-prio compare’ (ciò che Menato farà con Ruzante). Per beco ‘maschio della capra’ e quindi‘marito tradito dalla moglie’ cfr. LEI 5.887.36 ss. e LEI 5.897.8 ss.; la locuzione far becco qual-cuno in LEI 5.800.47 ss. che dà come es. più antico quello di una commedia di Cecchi del 1550(e vd. pure far i cuorni in Pr. 9). Per l’immagine del becco cfr. A. BLOK, Montoni e becchi:un’opposizione-chiave per il codice mediterraneo dell’onore, in «Quaderni di Semantica» I1980, pp. 347-362; M. ALINEI, Mariti «becchi» e mariti «cuculi» (1980), in ID., Lingua e dia-letti: struttura, storia e geografia, Bologna, il Mulino, 1984, pp. 115-125.9 Ma qual è quella donna così da poco da far qualcosa di male con un suo compare e tentaredi far le corna a suo marito, se non fosse la sua natura che la spinge a fare così?femena [...] compare: allusione a Betìa. far i cuorni: per la locuzione cfr. O. LURATI, ‘Fare lecorna’, ‘planter les cornes’, ‘to horn’, ‘Hörner aufsetzen’: un’antica pratica di scherno (1983), conintegrazioni in LURATI 2002: 13-24.10 Ma anche voi, che siete pur saggi e scaltri, non sareste venuti qui se non fosse stato il vostronaturale, che vi ha spinto a venirci; neanche noi faremmo questa filastrocca qui a Padova, inquesto borgo.sacente: non ‘saputello, saccentuzzo’ (BOERIO 590 e CORTELAZZO 2007: 1144), ma piuttosto‘saggio’, ‘esperto’ (GDLI XVII 3002 e per il pavano BELLUORA 20r «No ghe vale on che seasacente e spierto», 21v «saccente e spierto»); sacente è plur. masch. in -e come ad es. compare(Betìa 375 v. 239) e anemal(l)e (TUOGNO ZAMBON 45). Su preve ‘preti’ scriveva Salvioni: «saràuno sbaglio [...] o dovremo considerarlo come un plur. alla pavana [...]? Tali plurali vivonsempre, come ho dal mio carissimo Prof. Bellio vicentino, nel dialetto rustico di questo terri-torio» (SALVIONI 1902-1904 [2008]: 651 nota 1); cfr. anche WENDRINER § 93 e plur. comeconte, scorpione segnalati da CONTINI 1938 (2007): 624 con bibliografia; sospire, stente, forteanche nella veneziana Legenda de Santo Stady (MONTEVERDI 1930: 26). scaltrì: cfr. Betìa 301,Fiorina 751, CALMO Saltuzza 161 (V 136); CORTELAZZO 2007: 1184 scaltrio, BORTOLAN 244scaltrio, PIANCA 188 scaltrido, RIGOBELLO 401 scaltrido e scaltrì. a’ no sessé: cfr. Nota al testo§ 1.1.2. chialòndena: cfr. Pr. 3. sta filatuoria ‘questa filastrocca’: la parola, priva d’attesta-zioni vocabolaristiche (ZORZI 1390), è in Fiorina 731 «comieria filatuoria», CALMO Spagnolas108 «longa filatuoria da dire», CALMO Travaglia 284, CALMO Rodiana 99 (filastuoria), CALMOSaltuzza 150-151 e lì in nota l’es. di CROCE Bertoldo 176 «ascolta [...] prima una filateria pia-cevole», BERTEVELLO E4r, G2r, G5r, H8v, I8v; cfr. anche il siciliano filatòria ‘filastrocca’ inPIREW 3293 (vd. pure, per il significato di ‘discorso inconcludente’, PICCOLOMINI L’amorcostante 301 «storia longa e fastidiosa, [...] filastrocca da vecchi» e FIRENZUOLA Trinuzia 550«le debbono anch’elleno rimpiagnerli colle medesime filastroccole»). Ruzante indica con que-

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moschetta

[11] Ch’a’ ghe supié vegnù mo’ a’ seon continti: mo vi’, a’ vogion ch’a’tasì e ch’arscolté. E s’a’ vessé qualche fiè qualcun de quisti que farà stacomielia o comiegia – ch’a’ no sè ben dire – che n’andasse col so’ sna-turale derto, no ve smaravegié, perqué i n’è usi a far così mo gi andaràben usandoseghe; e ch’andasse diganto de questiè che sta chialòndenain sta ca’; che s’a’ la veessé fare qualconsa che no ve piasesse, perqué a’ve ’l dirè mi inanzo. Mo tasì 11.

sto termine anche testi come la Moschetta e la Fiorina, che hanno l’aspetto di commedie rego-lari; filatuoria è definizione che s’adegua piuttosto alla Betìa, dove gli atti non sono divisi inscene «e il metro della frottola popolare asseconda un ritmo veloce» (ZORZI 1390). Probabileche la definizione sia il segno di un’esibita insofferenza per l’armamentario terminologico eru-dito, bersagliato nel paragrafo successivo («comielia o comiegia – ch’a’ no sè ben dire»). susto borgo: secondo LOVARINI 1965: 323-325 Borgo de’ Vignali (ora via Galilei), lungo il qualeè situata la casa di Cornaro (opionione condivisa da FIOCCO 1965: 49). Secondo ZORZI 1390-1391 si tratta di «villaggi o piuttosto agglomerati di povere case facenti parte del comune diPadova, ma esterni alla cinta muraria» (così già per MORTIER 1925: 124 nota 1: «La pièce sederoule dans un faubourg de Padoue [...] c’est à dire “hors de l’enceinte fortifiée”»; e poi perBARATTO 1961: 86 «miserables faubourgs de Padoue» e per CALENDOLI 1985: 109 che parladi «un quartiere periferico di Padova [...] un quartiere di emarginati»). Se si dà qualche pesoalla coerenza interna del testo l’ipotesi suburbana di Zorzi viene infirmata da almeno due fatti:1) la casa di Tonin è in pietra (IV 8 e IV 16) e ciò induce a pensare che si trovi in città piut-tosto che al di fuori essa, dov’erano normali case con pareti esterne di paglia o di canne(MENEGAZZO 1969 [2001]: 314-315); 2) dalle battute che aprono l’atto quinto è inferibile chela spedizione notturna di Menato e Ruzante si svolga dentro le mura e non fuori, sia perchéRuzante teme gli zaffi (V 3), sia perché alla possibilità di fuga ventilata dal compare (V 4) repli-ca sarcastico: «Mo a’ di’ vero! Che a’ seon fuossi alla larga de fuora?» (V 5). La soluzionemigliore sembra quella prospettata da MENEGAZZO 1969 (2001): 328: «Mi pare ovvio che nontutti i profughi [si riferisce alle fughe dei contadini a partire dal 1513] siano poi rientrati ailoro paesi e molti invece abbiano preso dimora in città, prevalentemente nella periferia, dove,tra l’altro, l’esistenza di orti, giardini, e persino campi e vigneti, che erano rimasti all’interno[corsivo mio] della nuova larghissima cinta muraria, offriva loro la possibilità di un’occupa-zione non molto diversa dall’originaria. Per questo credo che l’ambientazione e la scena idea-le della Moscheta siano proprio nella casa del Cornaro “a Pava, su sto borgo”» (l’ampliamen-to della cinta muraria fece séguito all’assedio del 1509: cfr. L. PUPPI - M. UNIVERSO, Padova,Roma-Bari, Laterza, 1982, pp. 105-110 e bibliografia). La disponibilità di spazi simili a quellidella campagna è confermata dalle galline che Betìa tiene fuori casa e che sta cercando alla suaentrata in scena (I 2). Piermario Vescovo mi fa notare che la pur sottile spiegazione di Mene-gazzo potrebbe rivelarsi superflua su un piano più generale: è superfluo, in altre parole, ten-tare di giustificare precisamente in termini storici la presenza del villano in città, perché talepresenza è consustanziale al genere assunto, quello della commedia regolare; l’ambientazionein città ha invece funzione pienamente realistica nei testi che commedie regolari non sono,come i Dialoghi maggiori.11 Che ci siate venuti ci fa piacere: ma vedete, vogliamo che facciate silenzio e che ascoltiate.E se vedeste qualche volta qualcuno di questi che farà questa commelia o commegia – perchénon lo so dire bene – che non andasse col suo naturale dritto, non vi meravigliate, perché nonsono abituati a far così ma ci si abitueranno di certo; e [non vi meravigliate se vedeste] cheandasse a parlare male di questa che sta qui in questa casa; perché se la vedeste far qualcosache non vi piacesse [non vi meravigliate], perché ve lo dirò prima io. Ma fate silenzio.a’ vogion ch’a’ tasì e ch’arscolté: invito al silenzio e all’attenzione desunto dal prologo della com-media classica. sta comielia o comiegia: deformazioni per ‘commedia’. Il suffisso di comielia èraffrontabile a quello di remielio ‘rimedio’ (cfr. CALMO Saltuzza 190 nota 40; comielie anche in

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prologo

[12] A’ no vorra’ po gnan ch’a’ cressé ch’a’ foesse qualche sbagiaffaore,e ch’andasse cercanto i fatti de gi altri, perqué a’ no l’he fatto mè, que-sto. Se mi a’ no ’l ve diesse, vu a’ no ’l possé saere 12.[13] E mi mo’, perqué l’è el fatto me’ ch’a’ ’l sapié e ch’a’ tasé, a’ ve ’lvuogio dire, mo sté artinti ch’a’ scomenzo 13.

REGONÒ C1r, F2v, I2v); mentre comiegia, che non si spiega alla luce dell’evoluzione padovanadi DJ (TOMASIN 2004: 142), sarà da considerare storpiatura di parola dotta, forse foggiata a par-tire da comielia sulla base di coppie come fameglia/famegia. Entrambe le forme in Letteraall’Alvarotto 1229 «i buoni compagni con ti è ti, che sa far rire co le tuò comielie o comegie,ch’a’ no sè ben dire»; in Vaccaria 1047 (prologo) comielia offre il destro a una divagazione pseu-doetimologica: «i ghe dise comielia, perché la è con è la miele int’i busi, che in la prima, a voler-ne tuore, el se catta qualche besevegio che ponze, mo de drio l’è po dolçe. Cossì an questa, inprima el parerà che non se posse fare che i sipie continti, mo in dreana a’ sentirì ben questacomielia». Giochi di parole simili si incontrano anche fuori d’Italia, ad es. negli Estrangeiros diFrancisco de Sá de Miranda, dove la Commedia recita il Prologo e si presenta così: «sou uapobre velha estrangeira, o meu nome é comédia; mas não cuideis que me haveis por isso decomer, porque eu naci em Grécia, e lá me fo posto o nome, pour outras razões que não per-tencem a esta vossa língua» (F. DE SÁ DE MIRANDA, Obras completas, a c. di R. Lapa, 3a ed. riv.,Lisboa, Livraria Sá da Costa Editora, 1977, vol. II, p. 123; cfr. anche G. VICENTE, Comédia deRubena, a c. di G. Tavani, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1965, pp. 56-57 e nota, da cui si risalea G. TAVANI, I caratteri nazionali delle commedie di Sá de Miranda, in «Ocidente» LVII 1959,pp. 301-313, a p. 306). a’ no sè: Vittorio Formentin mi fa notare che sè si alterna a so secondouna regola ancora riconoscibile nel nostro testo: sè occorre soprattutto in frasi affermative (I 1,II 5, II 9, II 11, II 23, III 21, III 62, III 82), so soprattutto dopo negazione (Pr. 17, I 42 berg.,II 8, II 12, II 21 berg., II 22, III 112, V 33, V 36, V 57, V 66 bis); non mancano le eccezioni(per sè vd. Pr. 11, I 4, II 23, II 30, III 30, V 5; per so III 134, V 40, V 55, V 52). Analoga distri-buzione si osserva per forme diverse (so/saccio) in altre varietà romanze antiche: cfr. L. DEROSA, Ricordi, a c. di V. Formentin, Roma, Salerno Ed., 1998, vol. I, p. 378 nota 1083; M. BAR-BATO, La lingua del «Rebellamentu». Spoglio del codice Spinelli (prima parte), in «Bollettino delCentro di Studi filologici e linguistici siciliani» 21 2007, pp. 107-191, a p. 176 nota 241. chen’andasse col so’ snaturale derto ossia ‘che non recitasse in maniera spontanea’, ma lo snaturalederto cela un ovvio doppiosenso (vedi Pr. 5), che ricorre identico nel prologo di Fiorina 727 «A’vuò anare col me naturale derto e dertamente» (cfr. anche Prima Oratione 195 e Betìa 149) eappare sfruttato a quasi un secolo di distanza ancora da SCAPUZZO A2v «Perzontena s’ g’hovolesto anare co ’l me’ snaturale derto, senza strafarlo». i n’è usi a far così mo gi andarà benusandoseghe: ZORZI 1391 scorge plausibilmente in queste dichiarazioni un indizio che laMoschetta fosse stata recitata da una compagnia non professionistica, imperniata su AngeloBeolco (Ruzante) e Marco Aurelio degli Alvarotti (Menato). questiè: cfr. Nota al testo § 1.1.2.12 Non vorrei poi neanche che mi prendeste per uno di quei chiacchieroni che vanno in cercadei fatti altrui, perché non l’ho fatto mai, questo. Se io non ve lo dicessi, voi non potrestesaperlo.sbagiaffaore: il sostantivo anche in Prima Oratione 195 e FIGARO F1r, e vd. pure il calco tosca-no isbaia-fattore (ARETINO Talanta 348: cfr. anche LEI 4.417.41-42 e LEI 4.418.1-23 con un es.di Dossi); per il verbo sbagiaffare ‘chiacchierare a vuoto’ cfr. ZORZI 1402, ARETINO Teatro 865s.v. e FOLENGO Macaronee minori 789 s.vv. sbaiaffaria, sbaiaffare e sbaiaffus, Fiorina 769 eDONI Zucca 321 (con rimando all’Ercolano); cfr. infine le registrazioni di DEI 3350 sbaiaffare(Aretino), CORTELAZZO 2007: 1172 sbagiafo ‘chiacchierone’, BORTOLAN 242 sbagiaffon ‘fanfa-rone’, BOERIO 604 sbagiafòn ‘chiacchierone’.13 E io quindi, perché è compito mio che lo sappiate e che facciate silenzio, ve lo voglio dire,ma state attenti che comincio.el fatto me’ anche ‘mio interesse’.

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moschetta

[14] El vegnirà un, el primo che vegnerà, la prima fiè ch’el vegnirà, e ’lno gh’iera pì stò, e serà el primo che vegnerà dapo’ mi: el vegneràsustando, malabianto. Mo no cri’ miga que l’aba perdù gniente: l’è per-qué l’è inamorò intuna so’ comare. Mo tasì, vi’ che l’è vegnù a star dapuoco chialò in sta ca’! E ella, perqué la so’ natura no poea star senza,la se n’ha catò un altro che giera soldò, e sì giera bregamasco, che an’ello è alozò chialòndena in st’altra ca’, ch’a’ verì ben le belle noelle! Esì verì an’ che la muzzerà, sta traitora, in ca’ del soldò 14.[15] E s’a’ vessé ch’i volesse far custion, no v’andé movanto per destra-mezare perqué nu containi, con’ seon abavè, a’ dassan in la Crose 15: a’

14 Verrà uno, il primo che verrà, la prima volta che verrà, e non c’era mai stato, e sarà il primoche verrà dopo di me: verrà sospirando e imprecando. Ma non credete mica che abbia persoqualcosa: è perché è innamorato di una sua comare. Ma state zitti, badate che è venuto a stareda poco qui in questa casa! E lei, perché la sua natura non poteva star senza, se n’è trovato unaltro che era soldato, ed era bergamasco, che anche lui è alloggiato qui in quest’altra casa, ene vedrete delle belle! E poi vedrete anche che fuggirà, questa traditrice, in casa del soldato. El vegnirà un: Menato; la formula introduttiva anche nei prologhi di Anconitana 785 «mo elvignirà tri, tri, tri, e po un che ha lome quatro, e po du altri, e sì sarà inamorè» e Piovana 981«El primo che vegnirà, vegnirà inanzo a gi altri, e si, se a’ me tuogo via, a’ no ghe sarè; e a’ meghe tuogo». sustando: cfr. Piovana 999 «sustare e star de mala vuogia», MAGAGNÒ Rime II77v «pianzere e sustare»; BOERIO 725 sustar, BORTOLAN 279 sustando, CORTELAZZO 2007:1347, CROATTO 544 sustà ‘singhiozzare, piangere con singulti’, MIGLIORINI - PELLEGRINI 111sustàr, NACCARI - BOSCOLO 568 sustar, PIANCA 221 sustarse ‘arrabbiarsi, scocciarsi’, PRATIVals. 186 sustar e O. MARANO FESTA, Il dialetto irpino di Montella, in ID IX 1933, pp. 172-202:173 e nota 5. Il sostantivo ad es. in Seconda Oratione 51 «qui susti e qui suspiri» (ma cfr. ancheAnconitana 875, Lettera all’Alvarotto 1241, ARETINO Filosofo 54 suste, CALDERARI 49vsusti). malabianto anche ‘vagando come un disperato’: VIDOSSI 1954: 444 segnala andarmalabiant ‘andar bistentando la vita’ in CAVASSICO II 377; cfr. anche Betìa 387 «[...] andar inbando, / e per una biestia andar malabianto», SALVIONI 1894 (2008): 231 s.v. malabiando (daBORTOLAN 167 malabiando ‘girovagando’, in Magagnò), FIGARO B1r «Que veto malabianto dechialò?», ROVIGIÒ D5r «Si va per agno lò / A cerca ’l bel Pavan marabianto», MARCHESINI 85«andar malabianto», TUOGNO ZAMBON 34 «e vaghe per to amore / malabianto, e fuorsi anchein bordello», marabiand in C.M. MAGGI, Il teatro milanese, a c. di D. Isella, Torino, Einaudi,1964, vol. I, p. 429 e nota 201; MIGLIORINI - PELLEGRINI 57 malabiant (Villabruna), RIGOBEL-LO 264 malabiare ‘vivere male’ (dialetto di Cologna, manoscritto del 1820) e PELLEGRINI 1987:68 s.v. malabiâ. In PRATI Vals. 90 s.v. malabiar l’affine ndar intorno a malabion ‘star bighelloni,vagabondando’, con suffisso rifatto sulla serie di andare gattoni, balzelloni e simili (su questoLURATI 2002: 213-216; ençunochion già in BIBBIA 98). l’è vegnù a star da puoco chialò in sta ca’:ZORZI 1391 nota che l’allusione «sembra diretta alla casa di Menato, che però non si ritroveràpiù nel corso della commedia». catò: cfr. Pr. 6. un altro che giera soldò, e sì giera bregamasco:Tonin. a’ verì ben le belle noelle: noela ‘storia’ è diffuso in Ruzante e imitatori, ma in un con-testo come questo indica piuttosto, in maniera metateatrale, i fatti divertenti che stanno perandare in scena: cfr. essenzialmente la banca dati LIZ e CALMO Saltuzza 53 nota 23. muzzerà:cfr. ZORZI 1352 nota 318 e CORTELAZZO 2007: 869.15 E se li vedeste sul punto di litigare, non muovetevi per dividerli perché noi contadini, quan-do siamo arrabbiati, colpiremmo la Croce.far custion: riferimento alle zuffe tra Ruzante e Tonin (I 54-72, IV 3-40); la locuzione già in BIB-BIA 26 «faseva question insembre» (anche 41 e 49), e quindi in Betìa 195 «far costion con ti»(anche 255, 465 e 501), Dialogo facetissimo 75 «Vi’, compare, se mé ve acazisse che a’ fassam

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prologo

dî pur saere, che quando a’ di’ letàgnie, que a’ di’: «A furia rusticorumliberamum Dominum» 16.

custion, tolive pur via», Piovana 985 «ara’ fato custion con quelù che fè le arme», GIANCARLICapraria 179 «fari custió», CALMO Travaglia 148 far questione, Varon Milanes «Custion, fa dicustion Contesa con l’armi [venir a contesa con armi]» (ISELLA 2005: 262); CORTELAZZO 2007:407. destramezare: cfr. Dialogo facetissimo 79 «asé almanco destramezò» e poco dopo «chesè mal destramezare a chi n’ha arme», Piovana 943 «no vegnissi miga a destramezare»; BOE-RIO 234 destramezare ‘interporsi’, PAJELLO 70 destramesare in una barufa, RIGOBELLO 161destramezàre ‘separare due litiganti’. Cfr. anche stramezare a IV 20 e IV 56, e gli analoghi entre-meçar in LIO MAZOR 31 (entremeçai a p. 52) e trameggiasse nel toscano di CALMO Travaglia154. abavè: numerosi gli esempi ruzantiani (LIZ), non censiti da LEI 4.11.8-10 che registracomunque abavò ‘incollerito’. a’ dassan in la Crose ossia ‘saremmo pronti a fare qualunquecosa’. Per dare ‘picchiare’cfr. ad es. Fiorina 743 «a’ se darón» (anche Betìa 207), CALMO Sal-tuzza 126 e 129 «voi mi darete» e «el no v’ha vogiù dar da vero», MILANI 1994: 49 «Buranelome darà»; RIGOBELLO 153 dàr. L’espressione indica la stessa disponibilità all’eccesso anche inun punto della Historia della crudel zobia grassa di Gregorio Amaseo (in Diarii udinesi dal-l’anno 1508 al 1541 di Leonardo e Gregorio Amaseo e Gio. Antonio Azio, Venezia, Deputazio-ne veneta di storia patria, 1884-1885, pp. 497-544; ora anche BIANCO 1995: 109-188): perdisporre i contadini inferociti ad obbedire a qualunque suo ordine il Savorgnan «sì fattamen-te li ingurgitò, ch’hariano dato in la Croce de Christo» (p. 509). Meno pertinente il rinvio diZORZI 1392 ai Proverbii di messer Antonio Cornazano in facetie, a c. di G. Raya, Catania, Libre-ria Tirelli di F. Guaitolini, 1929, pp. 25-29 («Proverbio quarto: perché si dice anzi corna checroce»), dove la locuzione è piegata a un intento allusivo. Il prologhista potrebbe alluderedunque non solo alla ferocia attribuita ai contadini da una lunga tradizione antivillanesca, maforse anche alla forte impressione destata da fatti relativamente recenti, come le rivolte friula-ne del 1511 o quelle tirolesi del 1525, capeggiate da quel Michael Gaismair che a partire dal1527 si era stabilito a Padova (PADOAN 1969a [1978a]); analogamente si deve pensare per labattuta successiva sulle letàgnie.16 lo dovreste pur sapere, dato che quando dite litanie, dite: «Dalla furia dei rustici liberaci oSignore».letàgnie: a tonica è garantita dalla base LITANIA (REW 5085), a partire dalla quale si spiega anchela palatalizzazione di n: cfr. per l’accento già letàne di Inferno XX 9 e più tardi l’endecasilla-bo «nelle letanie, e nell’Avemaria» (BAFFO Poesie 338), mentre per la vocale protonica si potràsuggerire anche il riscontro con il grecismo romagnolo letania ‘processione’ (S. LAZARD, Gre-cismi dell’Esarcato di Ravenna, in «Studi romagnoli» 31 1980, pp. 59-74: 69). Si vedano di rin-calzo le forme aferetiche tagne (ROVIGIÒ D2r), tànie (RIGOBELLO 487, Casaleone e CROATTO550, che ha anche i significati di ‘filastrocca’, ‘tiritera’) e tània ‘filastrocca’ (PIREW 5085, tren-tino). Cfr. infine CORTELAZZO 2007: 708 litànie, BOERIO 373 litànie e NUOVO PIRONA 528 lità-nie e litàniis (per l’accentazione simile il caso di Toffània ‘epifania’ in CALMO Saltuzza 56 e nota31). A furia rusticorum liberamum Dominum: storpiatura di una fittizia litania «A furia rusti-corum libera nos, Domine» (o «liberemur, Domine»), identica a quella «Ab insidiis Diaboli esignoria de villano et a furore rusticorum libera nos, Domine. Amen» documentata in un testoquattrocentesco d’area veneto-friulana del ms. Cicogna 857 (S. PELLEGRINI, Due testi quattro-centeschi in koinè veneta toscaneggiante e Giorgio Sommariva [1970], ora in ID., Varietà roman-ze, a c. di G.E. Sansone, Bari, Adriatica, 1977, pp. 434-466: 457); accostabile nella movenzaanche FIGARO I2r «liberamum Dominè / da bastonè da orbo inzeregò». Espressioni quasisinonime di furia rusticorum sono ad es. in G. AMASEO, Historia della crudel zobia grassa cit.,p. 501 «furor dei villani», p. 508 «rabia di vilani». La vitalità letteraria di questo topos anti-villanesco è comprovata da Cantari d’Aspramonte «Cristo vi guardi da man di villani!» (Can-tari d’Aspramonte (Magl. VII 682), a c. di A. Fassò, Bologna, Commissione per i testi di lin-gua, 1981, p. 257), PIOVANO ARLOTTO Motti e facezie 232 «Signore mio Iesu Cristo, guardamida furia e mani di villani» (citato da Zorzi) e ARETINO, Sei giornate, a c. di G. Aquilecchia,Bari, Laterza, 1969, p. 69, riga 8 «Si suol dire “Dio mi scampi dalle mani dei villani”»

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moschetta

[16] E perzòntena no v’andé movanto, e fé ch’el ghe sipia un silientio,una cita che no se sente negun: perqué questa è la prima ch’abian mèfatta. E si a’ farì co’ a’ v’he ditto, a’ in’ faron delle altre, e fuossi an’ pìbelle, e sì a sto muo’ arì piaser vu e nu, e sì a’ saron tutti continti 17.

(PADOAN 1968 [1978a]: 163 nota 217); cfr. più tardi anche i Proverbii attiladi novi e belli, qualil’huomo non se ne debbe mai fidare [...], Venezia, In Frezzaria al Segno della Regina, 1586 (Bri-tish Library c 20 a 28 1; il testo è stampato anche nella dispensa XCI della «Scelta di curiositàletterarie inedite o rare», intitolata Due opuscoli rarissimi del secolo XVI), che a c. Air racco-mandano di guardarsi da «furia de cani / e furia de villani». Sull’antichità di simili trovate cfr.D. MERLINI, Saggio di ricerche sulla satira contro il villano, Torino, Loescher, 1894, pp. 33-34e per le parodie sacre in generale F. NOVATI, La parodia sacra nelle letterature moderne, in ID.,Studi critici e letterari, Torino, Loescher, 1889, pp. 177-310. La letàgnia è riusata come mottonella marca del tipografo Giovan Maria Boselli in una serie di edizioni veneziane apparse trail 1550 e il 1573 (sotto l’immagine di un cavaliere con la spada sguainata a cavallo di un buesi legge «A furore rusticorum libera nos Domine»). P. VENEZIANI, «A furore rusticorum liberanos Domine»: la marca del guerriero sul bue, in «Miscellanea Marciana» 15 2000, pp. 61-78non si sofferma se non rapidamente sul motto, e come è comprensibile ignora l’esempioruzantiano: «Non sono riuscito a identificarne l’origine, forse ovvia. Contiene un concettoassai prossimo “Rusticus est quasi bos, nisi quod sua cornua desunt” (Walther, n° 27026)»(p. 70 nota 14). Non sono certo della pertinenza di questo proverbio, che assimila il contadi-no al bue: l’immagine suggerisce piuttosto il ridicolo paradosso del contadino-guerriero,costretto a un’improbabile carica in groppa al lento bue (cfr. i versi di Arnaut Daniel: «Ieu suiArnautz qu’amas l’aura / e chatz la lebre ab lo bou / e nadi contra suberna» e per l’antica elarga diffusione dell’immagine, che viene accolta tra gli Adagia erasmiani, il documentatissimolavoro di B. SPAGGIARI, «Cacciare la lepre col bue», in «Annali della Scuola Normale Superio-re. Classe di Lettere e Filosofia» s. III vol. XII/4 1982, pp. 1333-1409). ZORZI 1392 crede sitratti «del relitto, chissà come importato in Italia, di una aggiunta alla normale serie liturgica,effettuata dal clero e dalla classe dei proprietari durante i moti che sconvolsero l’Europa cen-tro-meridionale negli anni della Riforma, e che degenerarono in una vera jacquerie sacrilega esanguinaria. Un precedente esiste nelle preghiere dei Dalmati, che, esposti di continuo allebestiali incursioni degli Ungari, inserirono nelle loro litanie la pietosa invocazione: “Ab iraHungarorum libera nos, Domine”». Della stessa preghiera parla come cosa nota e senza altririnvii ROMANO 1962 (1971): 63: «La vecchia preghiera: “a furore rusticorum libera nos, Domi-ne” era ormai esaudita per un lunghissimo tempo».17 E quindi non muovetevi, e fate che ci sia un silenzio, una quiete tale che non si senta nes-suno: perché questa è la prima commedia che abbiamo mai fatto. E se farete come vi ho detto,ne faremo delle altre, e forse anche più belle, e di certo in questo modo avrete piacere voi enoi, e così saremo tutti contenti.perzòntena: da perzò sul modello di chialò / chialondena (cfr. BORTOLAN 203 perzondena e per-zontena); più avanti anche a IV 56, E 4, E 11, Int 11, Int 13, R 11, R 13. cita: stessa forma ades. nella Lettera all’Alvarotto 1237 «la Çitta scomenza andar per ca’, leziera che la no se sente,cuerta che la no se ve’, e caza fuora el Remore» e nel proverbio dalle Dieci Tavole riportato inCORTELAZZO 2007: 350; cfr. anche zito in BOERIO 813 e ZANETTE 769, cito in NUOVO PIRONA157. Per la lezione una cita cfr. Nota al testo § 1.1.2. no se sente: cfr. Nota al testo §1.1.2. questa è la prima ch’abian mè fatta: in disaccordo con Lovarini che scorgeva nell’affer-mazione una prova della precocità cronologica della Moschetta, ZORZI 1392 suppone si alludainvece qui alla «priorità cronologica in un ciclo di rappresentazioni». Osta all’idea il mè, nongiustificabile in quest’ottica: si può credere, anche alla luce di Pr. 11, che il prologhista inten-da designare la prima commedia regolare mai scritta da Ruzante (non egloga, non farsa o suadilatazione, non dialogo, ma fabula cittadina comica scandita in cinque atti). Se così fosse, ilsuccessivo segmento «a’ in’ faron delle altre» non va necessariamente inteso «come una pro-

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prologo

[17] A’ ve volea ben dire no so que altro, mo a’ me l’he desmentegò, esì a’ sento ch’a’ ’l ven sustanto, ch’el pare bel e desperò. El besognach’a’ me tuoga via, ch’a’ possan far parole, ch’el porae crere ch’a’ smo-rezasse so’ comare! E mi, per no me far dare qualche crosta, a’ me vuo’trar da un lò 18.[18] A’ ve vorae ben dire inanzo quel ch’a’ m’he desmentegò, e no mel’arecordo... Ah, an, da vera! A’ ve volea dir ch’a’ stassé frimi, assentè zòinchina ch’a’ verì che gi andarà a far pase, perqué la serà rivà de fatto 19.

messa e una raccomandazione generica» (ZORZI 1392). fuossi: forma assimilata e dittongata(anche a I 1, III 1, V 5).18 Vi volevo ben dire non so cos’altro, ma me lo sono dimenticato, e sento che quello vieneavanti sospirando, che sembra proprio disperato. Bisogna che mi tolga, che potremmo litiga-re, perché potrebbe credere che corteggiassi la sua comare! E io, per non farmi dare qualchebussa, mi voglio tirare da un lato.ch’a’ ’l ven: si noti il doppio clitico a’ ’l. Rinviando ad altra sede un esame della sintassi di a’ nelpavano quattro-cinquecentesco e assumendo qui come punto di riferimento BENINCÀ 1983(1994) – dedicato ad a’ nel padovano odierno – è sufficiente notare qui che fuori dalla sua fun-zione di clitico di prima, quarta e quinta persona, a’ occorre nella Moschetta nei seguenti con-testi: 1) insieme a un altro soggetto clitico, che lo segue (Pr. 17, I 1, III 24 bis, III 36, III 134ter), specie in costrutti impersonali (II 23, III 36 bis, III 52, III 83, V 10); 2) in frasi con il sog-getto lessicale posposto al verbo (I 1 bis, I 23, III 14); 3) nella posizione di soggetto dopo cheintroduttore di relativa restrittiva (I 1 bis, I 10, III 100, V 41); 4) in contesto esclamativo conencliticizzazione del soggetto (III 134). sustanto: cfr. Pr. 14. far parole: per la locuzione cfr.BIBBIA 14 «Como Laban in cavo de sette dì açonse cum soi fradeli sul monte de Galaad, per-seguando Jacob; e in quello luogo li fé molte parole, digando Jacob a Laban quanto ben el geaveva fatto e quante volte ello l’aveva inganà»; parzialmente pertinenti pure CALMO Travaglia240 «Non mi far più parole» ‘non controbattere’ e il siciliano paruliarisi ‘bisticciare’ (PIREW6221). smorezasse: cfr. smorezava in BORTOLAN 262. Nei dialetti attuali smorezar è stato sop-piantato da smorosare, con lo stesso significato ma derivante non da amore bensì da moroso‘fidanzato’ (< AMOROSUS): smorosar in BOERIO 668, BELLÒ 182, MIGLIORINI - PELLEGRINI 102,PIANCA 205, ZANETTE 612; smorosare in NACCARI - BOSCOLO 519, MAZZUCCHI 246; smorosâ inNUOVO PIRONA 1060. per no me far dare qualche crosta: per crosta ‘percossa’ cfr. con ZORZI1392 BOERIO 210 dar de le croste ‘dar delle busse’ e FOLENGO Baldus III 573 «ne grostas indereportet»; vd. anche PARABOSCO Fantesca 104-105 «Andate voi uccellando qualche grosta perventura?», MILANI 1994: 75 «Et non la portai perché in casa di questa Agnesina erano sem-pre huomeni et me dubitai che non mi dessero dele croste», l’es. di Caràvia in CORTELAZZO2007: 419, CROCE 2006: 121 «l’uno non si fida dell’altro e si dubita che quest’autunno [...] sidaranno delle Croste insieme», «le croste dae de notte» in SPEZZANI 1997: 49 (testo pantalo-nesco). Cfr. infine A. PRATI, Corrispondenze lontane di parole e forme, in ID., Storie di paroleitaliane, Milano, Feltrinelli, 1960, pp. 79-83: 81; ID., recensione a G. VIDOSSI, Appunti sulledenominazioni dei pani e dolci caserecci in Italia (AGI XXX 1938, pp. 69-109), in ID XV 1939,pp. 217-222: 222; DOMINI 125 crosta ‘legnata’. ZORZI 1392 dichiara che l’edizione Alessi dacui legge stampa «per no far dare qualche crosta [...]; è probabile che alla battuta sia caduto unme: per no me far (o farme) dare». Allineandosi all’edizione Greco (1584), mette però a testoper no far[ghe] dare. Il fatto dimostra che il testo di Zorzi non dipende dalla princeps (chestampa senza bisogno di correzioni «per no me far dare») bensì dall’edizione Alessi datata1554 (di cui esiste un’emissione con data 1555). a’ me vuo’ trar da un lò: per espressioni simi-li cfr. ad es. CALMO Saltuzza 133 «tréve da chive» ‘tiratevi via di qui’ (dove la frase indica, comein questo caso, il movimento di un personaggio che si sottrae alla vista degli altri attori).19 Vorrei ben dirvi prima quello che mi sono dimenticato, e non me lo ricordo... Ah, ecco, è

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moschetta

[19] Mo tasì adonca, ch’a’ me rebute a le Vostre Rilientie de vu 20.

vero! Volevo dirvi che stiate fermi, seduti finché vedrete che andranno a far pace, perché allo-ra la commedia sarà proprio finita.assentè zò: cfr. sentà ‘seduto’ in BORTOLAN 252 e BOERIO 644. inchina ch’a’ verì che gi andaràa far pase: inchina, abituale in Ruzante (LIZ; MUSSAFIA Beitrag 67 s.v. inchina), è ignoto all’an-tico padovano (in TOMASIN 2004: 256-257 solo infina ed enfina). L’indicazione data dal pro-loghista è tutt’altro che vaga: ZORZI 1392 notava che l’ultima battuta di Menato (V 89) è infat-ti proprio «Moa, andon a far pase, e po andaron a arpossare, ch’el serà ora, n’è vera compa-re?». de fatto: ha significato diverso da quello di Pr. 2 e Pr. 6 e vale qui ‘completamente’; inBOERIO 221 defato «Maniera antiq. Del tutto».20 Ma tacete dunque, mi inchino alle Vostre Riverenze.a’ me rebute a le Vostre Rilientie de vu: cfr. Prima Oratione 223 «a’ me rebuto tuto quanto a vu»,Dialogo secondo 143 «A’ me rebutto, caro messier, démela», CALMO Rodiana 95 «E mi a’ meve rebuto». Rilientie presenta dissimilazione, sincope sillabica (probabile il modello di eccel-lenza) e dittongo promosso da iod in sillaba finale rispetto al tipo reverencia: cfr. in BOCCHI2004: 123 ess. di revelincia con riduzione del dittongo al primo elemento (lo stesso fenomenoin antico: cfr. ad es. TOMASIN 2004: 105-106 e BELLONI - SAMBIN 2004: 91 e nota 47). BOCCHI2004: 109 pensa invece per la i tonica di revelincia e simili «all’influsso del nesso palatale suc-cessivo»; ma credo ci si debba attenere alla spiegazione ricordata sopra, in parte già avanzatada WENDRINER § 6 p. 8, che per il dittongo del tipo rilientia invocava l’«Einfluss von Hiatus-i». Il pavano di Ruzante offre almeno in un caso la serie completa delle forme: potenzia(Interm. 187), potientia (qui a I 1), potiençia (Bet. 177) e potinzia (Fior. 729 e Ras. 195) opotinçia (Egl. 177); più spesso la forma dittongata in opposizione a quella con dittongo ridot-to: miegio (Dial. sec. 147) e migio (Dial. sec. 139, Past. 65); defferientia (Mosch. IV 57) e defe-rinzia (Piov. 973 e 983), deferintia (Pr. Or. 205), desferinzia (Fior. 765), deferinçia (Parl. 127due volte), defferinçie (Sec. Or. 217); Antuognio (Mosch. V 134) e Antunio (Bet. 155); armiedio(Bet. 157) e remilio (Piov. 903, Past. 71 in rima con Zilio); rebelienzia (Sec. Or. 61; rebelientiain MAGAGNÒ Rime I 9v), reverienzia (Bet. 177) e rebelinzia (Anc. 853), rebelinçia (Pr. Or. 203);ancora in PITTARINI 1960: 50 pazinzia (anche pp. 52, 66, 82, 120, 126), 130 purdinzia. Interes-santi casi come sciintia (MAGAGNÒ Rime IV 5v e 65r), deferiincia (FIGARO B3v), spiriincia(ROVIGIÒ C5r), pasiintia e paciintia, obidiintia, siintia (CORPUS PAVANO), che sembrano atte-stare il passaggio ie > ii prima della riduzione del gruppo a un unico suono e che depongonodunque a sfavore di un passaggio diretto e > i. Per la dissimilazione r-r > r-l vd. WENDRINER §45, SALVIONI 1902-1904 [2008]: 649 § 43 e ad es. il fiorentino rustico liverenza in BALDOVINILamento 47 e il napoletano leverenzie in BASILE Cunto 240. Qualche es. della ridondanzavostre [...] de vu, frequente in Ruzante, in CALMO Saltuzza 198 nota 64 nonché Fiorina 735 «inle so man de ela», Piovana 973 «tuò gaiofe de ti», GIANCARLI Capraria 81 «ca’ vostra de vu»,GIANCARLI Zingana 401 «fatto me’ de mi», MAGAGNÒ Rime II 21r «a ca’ vostra de vu», PVLONMATT 88 «Pr’ amor suo d’ lie», MARCHESINI A3v «sul vostro cao de vu» (ma è caratteristica dif-fusissima).

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ATTO PRIMO

[Scena prima] MENATO, e BETTIA

MENATO Puttana mo’ del vivere, mo a’ son pur desgratiò: a’ crezo ch’a’foesse inzenderò quando Satanasso se pettenava la coa, a dir ch’a’ n’abimè arposo né quieto, pì tromento, pì rabiore, pì rosegore, pì cancarich’aesse mè cristian del roesso mondo! Mo l’è pur an’ vera, Menato,cancar’è ch’a’ l’è vera! Ma a’ dirè an’ la veritè: a’ no m’he gnian dalomentare lomè de mi, perqué a’ no me dîea mè inamorare intuna miacomare con’ a’ he fatto, né cercar de far becco un me’ compare! 1 Che

1 Puttana del vivere, ma sono pur disgraziato: credo di esser nato quando il Diavolo si petti-nava la coda, per dire che non abbia mai né riposo né quiete, e che mi tocchino più tormen-to, più rabbia, più rodimento, più cancheri di qualunque altro uomo al mondo! Ma è pur vero,Menato, canchero se è vero! Ma dirò anche la verità: non devo lamentarmi se non di me, per-ché non avrei mai dovuto innamorarmi di una mia comare come ho fatto, né cercare di farbecco un mio compare!Puttana mo’ del vivere «Maledetto vivere!» (LOVARINI 7): qui come altrove puttana pare impie-gato, per accentuare l’aggressività dell’espressione, in luogo di potta («potta de la vita mia» ades. in BERNINI Impresario 79); analogo il caso di puttana del cancaro (IV 2, IV 10, V 58) cuicorrispondono nella stessa Moschetta undici ess. di potta del cancaro (I 1, I 54, III 90, III 134,IV 22, V 11, V 13, V 34, V 61 bis, V 66); o ancora di potta de Domene III 9 cui corrispondein Betìa 469 «putana che a’ no dighe, de Diè». Diversi i casi di I 1 (la puttana on’ l’è vegnùancuò), IV 2 (puttana do’ ’l vene ancuò), IV 6 (per la puttana don’ vini ancuò) per cui cfr. com-mento più sotto. L’intercambiabilità tra potta e puttana è testimoniata anche da CROCE Fari-nella 64 «Ah putana, ch’io non dico del mondo» a fronte di «Oh potta del mondo» (ibidem72, vd. anche CROCE 2006: 270 e 288); NEGRI Gierusalemme 33 (II.88.5) «potta d’mì» e 136(VIII.2.1) «puttanazza d’mì»; stretta vicinanza tra le due interiezioni anche in «potta ch’ten»(‘scomposizione’ di puttana a partire da potta) di PVLON MATT 74, 114. a’ crezo ch’a’ foesseinzenderò quando Satanasso se pettenava la coa ‘credo di essere stato concepito quando Satanasi pettinava la coda’ ossia ‘credo d’esser nato disgraziato’. Cfr. GIANCARLI Zingana 221 «Crediche ti xé nassùo quando quell’altro se petenava» e DP 102 (III 1.5.23): «Povero quello chenasce quando il diavolo si pettina la coda [come superstizione popolare]». Nel folklore il dia-

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moschetta

maletto sea l’amore e chi l’ha impolò, e so’ pare e so’ mare e la puttanaon’ l’è vegnù ancuò! Me ga-l mo’ tirò a Pava? E sì a’ he lagò buò, vache,cavalle, piegore, puorci e scroe con tutto per vegnir onve mo’? Drio nafemena! A far que po’? Gniente, ch’a’ no farè gniente! Poh, oh, mo leha pur la gran potientia ste femene, che le tira gi uomeni don’ le vuò elleal so’ despetto 2. Dise po ch’a’ gh’è libro arbitro! A’ gon el cancaro ch’a’

volo si pettina (anche la coda) in occasione di fenomeni meteorologici straordinari o di even-ti negativi: cfr. DP 53 (I 6.2.9.9) «Nevica: il buon Dio si vede; piove: il buon Dio vuole; lam-peggia: il diavolo si pettina»; DP 57 (I 6.2.13.9) «Sole e pioggia: il diavolo si pettina»; DP 53 (I6.2.9.32) «Quando c’è l’arcobaleno si pettinan le streghe»; DP 191 (IV 5.2.5.29.a) «Quando ledonne litigano il diavolo si pettina la coda». Per la coda di Satana, parte integrante della suaiconografia vulgata, cfr. BECCARIA 2000: 134 e ad es. BOERIO 173 s.v. coa «vogio veder dove eldiavolo tien la coa»; su espressioni del tipo piove e fa sole cfr. BECCARIA 2000: 159-177 e COR-TELAZZO 1994: 125. rabiore ‘rabbia intensa’: non conosco altri esempi della forma, forseesemplata come la successiva su dolore e simili. rosegore ‘rodimento’, con lo stesso suffissodel precedente a partire da rosegar ‘molestare, affliggere’ (BOERIO 584), ma non sembra docu-mentato altrove. Per il significato cfr. NINNI I: 214 s.v. rosegamento («male più molesto chedoloroso, e che si paragona a quel lavorio, piccolo sì ma continuo, di un rosicante») e RIGO-BELLO 376 ro!eghìn ‘cruccio’, ‘rimorso’, ‘rabbia’, mentre in ess. cinquecenteschi raccolti daCORTELAZZO 2007: 1132 rosegamento è riferito a malesseri fisici continui con conseguenzeanche mortali («roxegamentto de sttomego» e «roxegamentto del chuor»). cristian ‘uomo’(BOERIO 209; stessa evoluzione semantica, tra l’altro, nel romagnolo: cfr. PVLON MATT 55 «[...]u savì vu / s’un chstien uv vol tutt quant u ben ch’l’ha» e CASADIO 2008: 168 s-ciân): più avan-ti a I 16 (cristiagni), I 54, II 32, III 15, III 21, III 23, III 31, III 35, III 44, III 105, V 64. delroesso mondo ‘del mondo intero’: il significato dell’aggettivo oscilla tra ‘universo’ e ‘riverso’,con potenziale allusione al ‘mondo alla rovescia’ (deverso mondo in Betìa 155, deuers mond inSALVIONI 1902-1904 [2008]: 626 v. 914 con l’annotazione a p. 687 s.v. devers, deverso mond inMAZZARO 1991: 55 v. 121; l’inverso mondo in CALMO Spagnolas 116). Per l’espressione, d’usomolto frequente in Ruzante, cfr. ZORZI 1466, con un rimando a COCCHIARA 1963. lomenta-re: forma dissimilata (a partire da lementare) per cui cfr. BORTOLAN 164 lomentar, MAZZUCCHI136 lomentarse e RIGOBELLO 257 lomentàrse (dialetti di Valpantena, Castagnaro e Spinimbec-co). lomè ‘solo’ (< NON MAGIS, con dissimilazione): cfr. veneziano noma (BOERIO 442) eCALMO Saltuzza 69 nota 76; in pavano l’accento è garantito dalle rime con parole tronche, daisonetti del codice Ottelio fino ai rimatori vicentini della cerchia di Magagnò (cfr. CORPUSPAVANO). no me dîea mè inamorare [...] becco un me’ compare: il passo riprende da vicino Pr.8 «mo qui serae mo’ quelù sì poltron e sì desgratiò que s’inamorasse intuna so’ comare e quecercasse de far beco un so’ compare, s’el no foesse el snaturale?». Ma mentre il prologhistaattribuiva questo comportamento allo snaturale, Menato proietta il proprio amore tormento-so e insoddisfatto in una dimensione sovrannaturale, quella dell’incantesimo e della fascina-zione (vedi i successivi afaturò e inorcò).2 Che maledetto sia l’amore e chi l’ha generato, e suo padre e sua madre e la puttana da doveè saltato fuori oggi! Non mi ha forse costretto a venire a Padova? E così ho lasciato buoi, vac-che, cavalle, pecore, porci e scrofe con tutto il resto per venir dove poi? Dietro a una donna!A far cosa poi? Niente, che non farò niente! Poh, oh, ma hanno pure una gran potenza que-ste donne, che tirano gli uomini dove vogliono al loro dispetto.Che maletto sea l’amore e chi l’ha impolò: cfr. Betìa 157 (incipit) «Oh, maleto sea Amore, / elo echi l’ha impolò!». Per impolare ‘concepire’ (lett. ‘rampollare’) cfr. BORTOLAN 144 impolò‘innestato’, MAZZUCCHI 110 impolar «impolare (delle femmine) [...] concepire», NUOVO PIRO-NA 789 poleâ ‘metter polloni, germogliare’: forse denominale di pola ‘rampollo’, ‘virgulto’(BORTOLAN 209, BOERIO 517, MAZZUCCHI 184, MIGLIORINI - PELLEGRINI 78). e la puttana on’l’è vegnù ancuò lett. ‘e la puttana dove è venuto oggi’; LOVARINI 7 traduce «e la baldracca dove

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atto primo

ne magne, ch’a’ meritessan na magia drio la copa, a lagarse goernare asto muo’! 3 Mi a’ crezo che la me abia afaturò o inorcò. Que inorcò? S’a’foesse inorcò a’ sarae duro con’ a’ foesse morto. Mo a’ no son zà a quelmuo’: a’ son pur massa vivo, ch’a’ scotto con’ fa na fornasa de fuogo

è venuto a finire», intendendo forse baldracca come insulto riferito a Betìa (espressioni similinon sono però mai indirizzate alla comare da Menato). L’espressione (vd. pure gli ess. di IV 2e IV 6) va forse raffrontata ad altre come quelle in ARETINO Marescalco 67 «Co ’l malanno cheDio ti dia, e la puttana che mi cacò», CARO Straccioni 57 «Trista la puttana che ci fece, se nonce lo leviamo dinanzi», DELLA PORTA Sorella 418 «Che sia maledetta quella puttana che locacò!». Ma resta difficile offrirne una parafrasi soddisfacente, a meno di non supporre per on’un valore di moto da luogo (‘la puttana da dove è venuto’, ‘la puttana che lo fece’), del restorarissimo (solo in Pastoral 161 «On’ tornitu, Ruzante, sì ’nviò?» se ne avrebbe forse un esem-pio). È invece ampiamente documentata la tendenza di onde ad assumere il significato di statoin luogo proprio di dove: cfr. LICHTENHAHN 1951 e lì p. 112 per un cenno su Ruzante, e primaWENDRINER 138 e 139, che per onve e onde attesta solo i significati di wo e wohin. Me ga-lmo’ tirò [...]: cfr. Dialogo secondo 139 «Chi arae mé ditto che l’amore m’aesse tirò sì fieramenche ’l m’aesse menò in zente ch’a’ no viti mé, e fuora de ca’ mia!». E si a’ he lagò [...] scroe: ilcenno prova le buone condizioni economiche di Menato, piccolo proprietario e non brac-ciante come il compare. le ha pur la gran potientia ste femene: la topica e irresistibile potenzainfusa da Amore, non la potincia fisica delle donne pavane celebrata nel prologo marciano (§6). al so’ despetto ‘contro la loro volontà’: cfr. ad es. CALMO Saltuzza 56 «al mio despettomarzo» e nota 31 con vari altri esempi toscani e veneti.3 Dicono poi che c’è il libero arbitrio! Abbiamo il canchero che ci mangi, che meriteremmoun colpo di maglio sul collo, a lasciarci menare per il naso in questo modo!libro arbitro: per libro vd. slibro in Betìa 227 vv. 1027-1028 «che de om slibro che gieri anan-zo, / a’ deventè so servente»; arbitro è hapax. Alludendo al libero arbitrio, il villano tocca gros-solanamente un tema caro all’insegnamento di Pomponazzi, e quindi oggetto di una celebredisputa tra Lutero ed Erasmo (cfr. ZORZI 1393-1395 e CANOVA 2003: 328-357; più in genera-le C. GINZBURG - A. PROSPERI, Giochi di pazienza. Un seminario sul «Beneficio di Cristo», Tori-no, Einaudi, 1975, pp. 136 e 204 nota 17). Sull’incompatibilità tra Amore e libertà (o liberoarbitrio) vedi Betìa 159 «[...] in questo [l’Amore] el gh’è tolta / la nostra lubertè» e nel Lamen-to di Strascino «Però mi sdegno forte fra me stesso / Quando io sento un che d’amor si lamen-ta, / Perché libero arbitrio gli è concesso / D’evitar quella cosa che ’l tormenta» (CAMPANI1878: 156). Più tardi la settima delle Satire alla Carlona di Pietro Nelli (1546) ironizzerà sulladiffusione di temi simili presso le classi sociali più basse: «il fachin, la fantesca e lo schiavone/ fan del libero arbitrio anatomia / e torta della predestinazione» (citato in P. FLORIANI, Ilmodello ariostesco. La satira classicistica nel Cinquecento, Roma, Bulzoni, 1988, pp. 154-155). magia: ZORZI 1395 difende magia ‘maglio, mazzapicchio’ contro magià ‘colpo dimaglio’, facilior: espressioni simili sono infatti costruite con il nome del mezzo (cfr. a V 53 «chequalcun me tresse de qualche balestra o de qualche arco»). Oltre ai rimandi di ZORZI 1395(BORTOLAN 166, MAZZUCCHI 139, PAJELLO 132) vd. BELLÒ 103 màja ‘mazza di legno’; nei dia-letti veneti prevale nettamente con lo stesso significato il masch. magio/maio. goernare lett.‘governare le bestie’: cfr. CALMO Spagnolas 24; BOERIO 312 governar le bestie, BELLÒ 211 ePIANCA 239 s.v. varnàr, RIGOBELLO 214 goernàr le bestie, ZANETTE 265 governàr ‘nutrire bene(cavalli, buoi, ecc.)’, CASADIO 2008: 103 guarnê(r). Il verbo indica la passività di Menato, inca-pace di opporsi alla propria passione. Espressioni identiche o simili in Fiorina 767 «Làgate unpuoco goernare a mi» (e qui stesso «làgate goernar a mi»), Egloga § 5 «che vu femene a’ velaghessé governare com a’ ve insegnerè mi» (e così Rasonamento § 5), BIBBIENA Calandra 116«Lassa pur governarlo a me» (con sfumatura riferibile alla bestialità dell’oggetto, Calandro,poc’anzi definito «castrone»), ARETINO Marescalco 37 «vieni in casa, e lasciati governare a me».

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imbampà! 4 La m’ha afaturò, co’ sì co’ a’ son chì, al muo’ ch’a’ me sento,mi, sempre mè da sto lò zanco una duogia, un incendore, un brusore,un strapelamento ch’i par fàveri che con du martiegi faghe «tin ton, tinton», che co’ un mena l’altro alze 5. Potta del cancaro! No mené pì, ch’a’4 Credo che mi abbia affatturato o stregato. Ma che stregato? Se fossi stregato sarei duro comefossi morto. Ma non sono già ridotto in quel modo: sono anche troppo vivo, che scotto comeuna fornace di fuoco acceso!afaturò ‘stregato’ (nei dialetti attuali si riferisce di norma al vino sofisticato): l’aggettivo occor-re nei processi per stregoneria (vd. MILANI 1994: 12 «donna afaturata» e P. TRIFONE, La fat-tucchiera e il giudice. Varietà sociali in un processo per stregoneria [1988], ora in TRIFONE 2006:185-290, a p. 210 A 37: «streare, amalare, afaturare, atossecare»). Altre attestazioni ad es. inParlamento 133-135 «La m’ha ben afaturò an mi», ARETINO Marescalco 35 «gli affatturatimariti», MAGAGNÒ Rime I 49r «M’haristu affatturò?» (qui gli effetti della passione consisto-no, come nel monologo di Menato, in una forte sensazione fisica di costrizione e brucio-re). inorcò: da orco ‘creatura mostruosa’ (REW e PIREW 6088, BOERIO 454, CORTELAZZO 2007:914), ma anche ‘strega’ (SALVIONI 1902-1904 [2008]: 603 vv. 138 ss. e 606 v. 247, MAGAGNÒRime II 31r «A g’ho la ose rocca / Che ’l par ch’habbia vezù l’orco o la smerra») e persino‘incubo’, ‘grandine’, ‘arcobaleno’ (vd. indici di BECCARIA 2000 e COLTRO 2006: 63-66). L’ag-gettivo ad es. in MAGAGNÒ Rime II 76v «[...] a’ parea inorcò / pensando frello a quel to’ smer-golare», CALDERARI 9v «El to’ male morosa sì me fa / star tutto el dì pensando al fatto to’ /ch’a’ paro pruopio ch’a’ sipia inorcò»; CORTELAZZO 2007: 662, BORTOLAN 149 inorcò ‘spirita-to’ e MIGLIORINI - PELLEGRINI 37 inorcà ‘stregato’ (Villabruna). Per significati prossimi a ‘stu-pido’, ‘balordo’ cfr. C. SALVIONI, recensione a E. KELLER, Die Sprache der Reimpredigt des Pie-tro da Barsegapè, Frauenfeld, Huber, 1896, in GSLI XXIX 1897, pp. 453-462, poi in SALVIONI2008 III: 93-102, alle pp. 100-101. L’opacizzazione dell’etimo originario induce ad es. MAZ-ZUCCHI 122 ad accostare inorcò a inocò ‘incantato, sbalordito’, che deriva però da oca (cfr.PIANCA 95 inocà ‘stupido come un’oca’, RIGOBELLO 238 inocà ‘incantato’; già in MAGAGNÒRime I 24r «S’a’ romaniti un’Oca / quando a’ ’l sentì a parlar [...] / no me stè a dire»): su que-sto CORTELAZZO 1993: 47 e CORTELAZZO 1994: 233-234. a’ sarae duro con’ a’ foesse morto: pereffetto del rigor mortis; cfr. anche FIGARO E4r, dove a proposito dello sguardo ammaliatore diuna donna si dice: «Mo no me disse un dì Barba Cenzon / che ’l vite, ch’a guardarte solamen/ mè frello romagnì duro co è un Zon?» (zon ‘birilli di legno’ in PRATI 210, e cfr. A. ZAMBO-NI, Una voce nord-orientale, zoni «rulli, birilli», in LN XXXVI 1975, pp. 14-19). massa ‘trop-po’ (BOERIO 403). a’ scotto con’ fa na fornasa ‘scotto come una fornace’; fa è verbum vicarium(SALVIONI 1902-1904 [2008]: 684 s.v. co fa), poi ridotto a congiunzione unito a co’ o con’ (cfr.CALMO Saltuzza, 205-206 nota 32 e MILANI 1970 [2000]: 79): cfr. qui anche I 7, I 23, III 78,III 83 nonché SALVIONI 1902-1904 (2008): 614 v. 520 «El me tremaua el cul co fa la fuogia»;PELLEGRINI 1969-1970 - 1970-1971 (1977): 290 vv. 27-28 «Tremant cum fa na fuoia / Quan-de el venta». Per il figurante cfr. FOLENGO Baldus I 207-208 «Ah miser, hanc foggiam bruso-ris amorza priusquam / ardeat, ut fornax omni mancante riparo» e I 542 «His Baldovinae pec-tus fornacibus ardet». fuogo imbampà ‘fuoco acceso’: per bampar ‘avvampare’ qui con pre-fisso in- cfr. BOERIO 60, NACCARI - BOSCOLO 36 s.v. bampare, NUOVO PIRONA 1257 s.v. vampâ;per bampa cfr. ad es. BOERIO 60, MAZZUCCHI 18, MIGLIORINI - PELLEGRINI 5, NACCARI -BOSCOLO 36, PRATI Vals. 9 (in BORTOLAN 45 bampè ‘avvampati’). In generale, vanno citate ariscontro le immagini in SALVIONI 1902-1904 (2008): 616 vv. 587-588 «El no arde mè si benfuoc in forn / Quant che a trottol ardea el marager» e poco sotto p. 91 vv. 667-669 «Che houn fuoc andent [sic] in mez de la uentriera. / Si fort. che no è al mond si gran caldiera. / Chein t’un subit no la faes bugir» (andent andrà corretto in ardent: v. p. 671).5 Mi ha affatturato, vero come è vero che sono qui, che mi sento in continuazione da questolato sinistro un dolore, un fuoco, un bruciore, uno scorticamento tale che sembrano fabbri checon due martelli facciano «tin ton, tin ton», che quando uno colpisce l’altro alza.L’ha ma afaturò [...] l’altro alze: l’immagine anche in Dialogo secondo 145 «[...] a’ gh’he unremore che ’l sona un fàvero che recalze un gomiero» e in una versione più somigliante in Pio-

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son pì sbattù che no fo mè lana, a’ son squaso morto! Poh, sì, a’ morirè,a’ sganghirè, ch’a’ me sento ben mi ch’a’ son tutto fuogo! Sì sì sì, che l’èimbampò in la panza, ch’a’ sento ben mi ch’el me batte el cuore e ’l pol-mon con tutto. Sì, no vi’-tu? Guarda qua el fumo ch’a’ me ven per labocca! Oh Dio, oh Dio, àgieme, no stizzar pì, cancaro te magne, no vi’-tu ch’a’ me se descolerae vero in la panza da tanto fuogo? 6 Mo con chi

vana 919: «A’ no sé mo dire, con i dise igi, ch’a’ me brusa con fa un palù, o che abia in lomagon fàveri, che con un mena, l’altro alza, né ste altre parolete da penaciaore». Il climax duo-gia, incendore, brusore, strapelamento presenta qualche affinità con quello di Fiorina 733 inanalogo contesto: «tanta duogia, tanta smagna, tanto brusore, tanto baticuore ghe huogi al mecuore, che ’l pare verasiamen ch’a’ gh’abie na bailà de bronze afoghè». da sto lò zanco ‘daquesto lato sinistro’, quello del cuore: per zanco cfr. CORTELAZZO 2007: 1508, MUSSAFIA Bei-trag 123 e BOERIO 805; in generale MAGAGNÒ Rime II 49r «Oimiè, ch’a’ gh’ho un affannoint’el me cuore / una smagna, un brusore / che se te no ghe fe’ prevesion / della me’ morte tein’ serè cason». incendore ‘bruciore’: cfr. CORTELAZZO 2007: 647, BOERIO 335 incendor, friu-lano incendor (PIREW 4346) e PIANCA 102 s.v. inzhénder ‘bruciare dal di dentro’ («me sente unbrusor de stomego, un inzhendor [...]»); traslato l’uso di Begotto (nel sonetto «Dolzore che sesmissia in la rosà»), che impiega incendore con il significato di ‘amaro’ (BANDINI 1969-1970:47-48). strapelamento: ‘scorticamento’ (ZORZI 1395); LOVARINI 8 traduce «certi strappi» eVIDOSSI 1954: 445 allega il milanese e comasco strapellà ‘guastare, rovinare’, detto dei vestiti(vd. anche il cremonese strapelaa con lo stesso significato in A. PERI, Vocabolario cremoneseitaliano, Bologna, Forni, 1970 [rist. anast. dell’ed. Cremona, Feraboli, 1847], p. 600). Alsostantivo, a mia notizia privo di riscontri, va forse accostata la locuzione avverbiale a strape-lo già in ROVIGIÒ B7r («Co l’è annà un tempo a verso / Thietta, passion se ’l va a strapelo»ossia ‘va al contrario’, ‘va male dopo essere andata per il proprio verso’) e documentata anchein MAZZUCCHI 266 a strapelo ‘a ritroso’, MIGLIORINI - PELLEGRINI 109 a strapel ‘contropelo’,RIGOBELLO 473 de strapèl ‘di striscio’, CORTELAZZO 2007: 111 a strapè ‘alla rovescia’ (ma forsecon influenza di pe’); e cfr. nel napoletano di BASILE Cunto 40 «lo negozio ieva contra pilo».Nell’Egloga di Ranco e Tuognio e Beltrame un vino che si beve volentieri «va co ’l pelo in zò»(DA RIF 1984: 132 v. 178), in FIRENZUOLA Trinuzia 536 «voi le andavi molto a pelo» ‘le anda-vate molto a genio’. fàveri ‘fabbri’ (BORTOLAN 116 e PIANCA 65); in altre zone interne fava-ro (BELLÒ 67, MAZZUCCHI 82, ZANETTE 212), favoro (MIGLIORINI - PELLEGRINI 24), faoro(PRATI Vals. 62), nel veneziano fravo (BOERIO 286 e NACCARI - BOSCOLO 209).6 Potta del canchero! Non menate più, che sono più sbattuto della lana, sono quasi morto!Poh, sì, morirò, mi consumerò, che mi sento bene che sono tutto fuoco! Sì sì sì, che è accesonella pancia, e sento bene che mi batte il cuore con le interiora e tutto. Sì, non vedi? Guardaqua il fumo che mi esce dalla bocca! Oh Dio, oh Dio, aiutami, non attizzare più, canchero timangi, non vedi che mi si fonderebbe vetro nella pancia con così tanto fuoco?a’ son pì sbattù che no fo mè lana: riferimento all’operazione di battere la lana (vd. ad es. ZANET-TE 43 s.v. bàtar). a’ sganghirè ‘mi struggerò’: cfr. Betìa 157 «né da sera o da doman / a’ catoarmiedio o arposso mé. / E fremamen a’ sganghirè», CALDERARI 20v, 26r, 69v sganghire, TUO-GNO ZAMBON 17 «Amor? Amor? no me far pì sganghire»; il verbo (ad es. in CORTELAZZO2007: 1242, BORTOLAN 256 e NACCARI - BOSCOLO 504) è diffuso fin dal Cinquecento soprat-tutto nelle forme sgangolire/sgagnolire (CORTELAZZO 2007: 1242, FOLENA 1993: 548, BOERIO654, MAZZUCCHI 238 e RIGOBELLO 427), anche di testi ruzantiani e pavani (Dialogo facetissi-mo 81 «a’ sgàgnolo», Parlamento 127 «a’ sgangolisso» e «a’ sgangolo», GIANCARLI Zingana401 sgangolire, SGAREGGIO F2v «morire e sgagnolire», TUOGNO ZAMBON 96 sgangolire). Sgan-ga ‘voglia intensa, desiderio’, che pare avere solo attestazioni vocabolaristiche recenti (BELLÒ177, MIGLIORINI - PELLEGRINI 94, PIANCA 200, ZANETTE 599), è forse deverbale. Arduo il pro-blema etimologico: GDLI VI 581 s.v. ganghire propone gannire ‘mugolare’ (cfr. DEI 1761), conun’ipotesi che calzerebbe con sgagnolìr ‘uggiolare’ del valsuganotto (PRATI Vals. 166, ma PRATI

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moschetta

favieli-tu, desgratiò? No vi’-tu che t’iè ti solo chialò? Tasi Menato, tasi,no te desconir pì. Aldi, fa’ co’ a’ t’insegnerè mi. Ben, che vuo’-tu ch’a’faghe? Mo va’ vi’ s’te ghe può favellare a ella, fuossi ben che – que sè-gi mi? – che te t’acordarissi co ella. Se la volesse che te foissi con’ te fois-si mè, n’aris-tu el to’ contento? Un cuore me dise: «fallo», e n’altro medise: «no fare». A’ ghe vuo’ anare, che s’a’ me desperasse ben e ch’a’volesse morire, co’ a’ foesse morto a’ serae deroinò del mondo 7. E sì a’

74 raccoglie le voci simili sotto ghènga senza discussione); altre forme come il veronese sgangà-re ‘lavorare in condizioni ingrate’, ‘faticare, compiere lavori pesanti’ (RIGOBELLO 427) posso-no far supporre una vicinanza (se non un rapporto di filiazione) con sgangherare, da ganghe-ro (< CANCHARUS/CANCHALUS: cfr. DEI 713 s.v. càncara1); PIREW 458b raccoglie invece il friula-no sgangulì sotto ANGERE. e ’l polmon con tutto: gli organi vitali ardono di passione, secondoun’immagine tipica della letteratura rusticale, quella dello «sciorinamento di frattaglie» daparte dell’innamorato (DE ROBERTIS 1967: 124). Cfr. Betìa 253 «ch’a’ gh’ho tanto martelo, /ch’a’ me sento morire / e avrire / el polmon, el bati e ’l magon», Dialogo secondo 145 «a’ mesento a muovere l’amore e revolzerme el batti e le coraggie e ’l polmon in la panza», ARETINOFilosofo 47 (che parodizza questo codice) «malandrinargli il fegato del polmone con i guaz-zetti di due occhiatine» e PVLON MATT 118 «sfrir u gran fuogh’, cum brusa la curada / pr’amortuo Vutuoria bella, mò spiatada». Esemplari da questo punto di vista i testi pubblicati da SAL-VIONI 1902-1904 (2008), dove la passione brucia cuor, coragia, panza, marager, piet, ventriera;nell’egloga minore del da Castello pubblicata da CONTÒ 1984 e quindi da MAZZARO 1991 sitrovano immagini come quella di «Amor, ch(e) friz[i] i cuor[e], no carn né pes» (MAZZARO1991: 56 v. 129) e del cuore che «me boia dentre un cit» (MAZZARO 1991: 57 v. 153; cfr. anchesotto il commento di «a’ me se descolerae vero in la panza»). el fumo ch’a’ me ven per la bocca:non è necessario pensare con MENEGAZZO 1969 (2001): 328 e nota 73 che la battuta sia indi-zio di una recita all’aperto durante la stagione invernale. stizzar ‘attizzare’, ‘stuzzicare’: cfr.ad es. CORTELAZZO 2007: 1318, BOERIO 705, MAZZUCCHI 262, PRATI Vals. 181 (ma è voce dif-fusa in tutta l’area veneta). ch’a’ me se descolerae vero in la panza: descolar ‘liquefarsi’ in COR-TELAZZO 2007: 450, BOERIO 227, NACCARI - BOSCOLO 157 (descolare) e PRATI Vals. 53 (desco-larse); colar ‘fondere’ è registrato come termine tecnico nel Glossario del vetro veneziano. DalTrecento al Novecento, a c. di C. Moretti, Venezia, Marsilio, 2001, p. 31 (allusione alla tecnicadi lavorazione del vetro anche più sotto a I 11). Per il motivo del fuoco che consuma soprat-tutto l’innamorato vd. ad es. FOLENGO Baldus XX 736-737 «Prospicit haec Cingar, sentitqueper ossa medullas / discolare suas, ut cera liquescit ad ignem» (anche se non per amore, ma ènotevole l’uso dello stesso verbo), SGAREGGIO E4r «El brusa, e quel so fuogho fa brusare /figò, bati, polmon» (con l’elenco delle frattaglie), S1r «G’hesse ’l polmon co ho mi brustolà /da quel gioton, que se chiama Amore» (e anche cc. S4r, X4v, Y1r), FIGARO D1v «Quel collo,quella gola, e quel bel pietto / [...] / m’ard’i rognon, batti e polmon» (e cc. E1r, G2r-v), ROVI-GIÒ C7r «per g’uuocchi descolarme ’l cuor d’agn’hora» (da notare anche qui l’uso di descola-re), E3v «qualche bel musotto traitore, / che le coraggie te tegne impigiè»; per l’area venezia-na (Naspo bizaro) cfr. VIDOSSI 1960: 55.7 Ma con chi parli, disgraziato? Non vedi che ci sei tu solo qui? Taci Menato, taci, non ti strug-gere più. Senti, fa’ come t’insegnerò io. Bene, che vuoi che faccia? Ma va’ a vedere se le puoiparlare, forse – che ne so io? – ti potresti accordare con lei. Se volesse che tu tornassi quel cheeri una volta, non avresti la tua soddisfazione? Un cuore mi dice: «fallo», e un altro mi dice:«non farlo». Ci voglio andare, che se mi disperassi davvero e volessi morire, da morto sareicompletamente rovinato.no te desconir pì: cfr. REW 2984a e PRATI 159 (*EXCONICERE); altri rimandi in CALMO Saltuzza105 nota 20 e CORTELAZZO 2007: 451. va’ vi’: esempio del cosiddetto ‘doppio imperativo’(altri casi a I 16, III 98, III 106, III 120): sul costrutto cfr. essenzialmente G.I. ASCOLI, Un pro-blema di sintassi comparata dialettale, in AGI XIV 1896, pp. 453-468, con l’Appendice all’arti-

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atto primo

no porae gnian esser gramo d’esser morto, a’ ’l sè an’ mi. Oh cancaro,se la foesse mo’ con’ dise questù, inchin da mo’ a’ no cambierae la me’vita con Rolando! 8 E po an’ se la no vorrà fare con’ dise questù... puh,puh! A’ vuo’ anar a muo’ un desperò malabianto per lo mondo, s’a’

colo ‘un problema di sintassi comparata dialettale’, in AGI XV 1901, pp. 221-225 (ora entrambiin ID., Scritti scelti di linguistica italiana e friulana, a c. di C. Marcato e F. Vicario, Udine,Società Filologica Friulana, 2007, pp. 269-291), e L. SORRENTO, Un problema di sintassi com-parata dialettale studiato da G.I. Ascoli a proposito di “vattel’a pesca”, in SORRENTO 1950: 205-237; altri rinvii in CALMO Saltuzza 180 e nota 57. Un cuore me dise [...]: «si allude alla distin-zione tra anima concupiscibile e anima razionale» (ZORZI 1395). Cfr. Dialogo facetissimo 87«Un cuore me dise: “Fàlo, Menego, che int’ogno muò te si’ morto; e se ben te no moriré perquesto, te moriré da fame”; e l’altro cuore me dise: “No ’l fare, ché te guariré”. E quel primome dise: “Mo int’ogni muò te moriré da fame”; e l’altro dise: “Mo el no te mancherà mè andarçercanto, siando sturpiò”. L’altro dise: “Mo te no aré pì la Gnua, falo”. Sì che a’ no sé a sennode qual cancaro de cuore a’ dega fare», PARABOSCO Fantesca 140 «Un core mi dice ch’io civada, et un altro non lo consente», SALVIONI 1902-1904 (2008): 615 vv. 551-552 «Vn anem mediseua. Mengola ciga. / L’altro no far fardella tu n’he os», BUOVO 153 «l’un pensier dice sì el’altro none», BARGAGLI Pellegrina 546 «L’un pensiero mi dice: fuggilo, e l’altro mi dice: par-lagli». deroinò del mondo ‘completamente rovinato’ (anche a III 134): cfr. Prima Oratione 207«deruinò del mondo», 215 «deroinarghe del mondo»; Betìa 495 «deroinarme del mondo» (ap. 191 l’analogo «desfato del mondo»), Dialogo facetissimo 71 «Mo no ve deroinesseu delmondo [...]?» (anche pp. 85 e 89), CALMO Spagnolas 86 «ruinem dol mond», CALMO Trava-glia 206 «ruinào del mondo», G. AMASEO, Historia della crudel zobia grassa cit., p. 516 «farloruinar del mondo», MILANI 1994: 55 «credo che questo Ruggier me habbia ruinà del mondo».8 E per giunta non potrei neppure essere triste di esser morto, lo so anch’io. Oh canchero, se fosseproprio come dice questo, sta’ certo che fin da ora non farei a cambio della vita con Orlando!gramo: già nei Proverbia quae dicuntur super natura feminarum «qe l’om qe plu le ama, plusovençe n’è grame» (CONTINI PD I 554 v. 747: grame presenta «falsa restituzione per -o»); vd.anche CALMO Saltuzza 69 gramacio e nota 76, SALVIONI 1902-1904 (2008): 627 v. 944, FIGAROA2v «grami passionè malimbatù» e FIGARO A4v «ste tose / che sti altri grami ha tolte permorose»; RIGOBELLO 216 gramo ‘tristo’. inchin da mo’ a’ no cambierae la me’ vita con Rolando‘fin d’ora non cambierei la mia vita con quella di Orlando (paladino)’. L’avverbio (per inchi-na cfr. Pr. 18) compare con significati diversi (‘fino ad ora’, ma pure l’opposto ‘fin da ora’), enon mancano casi in cui par essere un rafforzativo, come ‘proprio’ o ‘certamente’, senza con-notazioni temporali: cfr. Pastoral 115-117 «A’ me smaravegiava infin da mo / che te no medaisi un po’ di sboro» (Padoan: “fino ad ora”), Prima Oratione 195 «inchin da mo a’ no cam-bierae la me lengua con dusento fiorentinesche» (Padoan: “da sempre”), Prima Oratione 207«Mi inchina da mo a’ me torae via» (Padoan: “fin da subito”), Anconitana 783 «Mo inchindamò, a’ son sì inamorò in Amore, che ghe farae cossì vontiera un servissio [...]» e Anconita-na 831 «Andè, che inchina damò a’ me ubigo squase che a’ l’averì», CALMO Rodiana 73«inchìn da mo a’ me ùbigo de farre ogni apiasere», CALMO Rodiana 219 «inchìn da mo a’ m’aìtanto allegrò», SALVIONI 1902-1904 (2008): 630 v. 1058 «Inchin da mo. uorou inent murir» (aproposito di questa occorrenza Salvioni a p. 695 osserva che «l’oscurità del passo mi toglie didire di qual senso veramente si tratti»), MAGAGNÒ Rime II 15v «Te gi ha perchin da mo’ benarlevò», ROVIGIÒ F3v «el ne besogna an nu / far con gh’ha fatto chin damò questù». Forseinfluenzati dal dialetto ess. come MANTOVANO Formicone 47-48 «se tu ce la vuoi far avere, sinoa ora io te prometto darti dieci ducati» (dove sino a ora non varrà ‘fino a ora’ quanto piutto-sto ‘fin d’ora’), GIANCARLI Capraria 145 «Io ti manco fin ora» (Lazzerini: «io ti ho già abban-donato»), GIANCARLI Capraria 177 «Dorotea è nostra fino a quest’ora» (Lazzerini: «fin da que-sto momento»). Per questi significati di fino/sino vd. ora i materiali raccolti e discussi pressoE. ARTALE, Usi temporali di insino nelle scritture dei mercanti, in SGI XXVI 2007 [ma 2009],pp. 41-66. Per Rolando cfr. I 54.

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moschetta

dîese ben anar infina sul Ferrarese! A’ me vuo’ impensare zò que ghedego dire. A’ vuo’ dire na fià: «Vi’ comare, guardé qua: mi, con’ disequestù, a’ v’he mostrò sempre de ben volere, e de ben in miegio a’ ve ’lmostrerè». Pur ch’una fiè, co’ dise questù, a’ sarè ben dire. L’è lomè secatto me’ compare a ca’... Mo che? A’ catterè qualche scusa: «Tristaquella musa che no sa cattar una scusa». Orsù, a’ vuo’ anare 9.

BETTIA inse fuora con un cesto al brazzo

BETIA [chiamando le galline] Pire pire pire! Mare, on’ sitta sarà mo’andè ste galine? Le n’è zà gnian in casa? Pire pire! 10

9 E poi anche se non vorrà fare come dice questo... puh, puh! Voglio andarmene come undisperato vagabondando per il mondo, a costo di andare fin nel Ferrarese! Voglio pensare aquel che le devo dire. Voglio dire una buona volta: «Vedete comare, guardate qui: io, come sidice, vi ho mostrato sempre di volervi bene, e ve lo mostrerò di bene in meglio». Pur che unavolta, come dice questo, io sappia parlare bene. È solo che se trovo il mio compare a casa...Ma che? Troverò qualche scusa: «Trista quella musa, che non sa trovare una scusa». Orsù,voglio andare.anar [...] malabianto per lo mondo: cfr. Pr. 14. anar infina sul Ferrarese: come ha notato ZORZI1395 la battuta, oltre a farsi gioco degli angusti confini geografici del mondo contadino, puòesser diretta al pubblico ferrarese che vide la Moschetta forse nel carnevale del 1530 (cfr. Intro-duzione § 5). impensare: la forma con prefisso in- è frequente in Ruzante e diffusa in Veneto(cfr. STUSSI 2005: 58 nota 71 e CORTELAZZO 2007: 637; vd. anche imbampà I 1); da notare lacostruzione pronominale («a’ me vuo’ impensare») del verbo riflessivo retroerente (cfr.CALMO Saltuzza 179 nota 53). con’ dise questù: wellerismo frequentissimo (vd. anche subitodopo «co’ dise questù») su cui cfr. MILANI 1970 (2000): 63-65. «Trista quella musa che no sacattar una scusa»: lett. ‘povera quella bocca che non sa trovare una scusa’. Oltre a ZORZI 1395e PASQUALIGO 1882: 63 cfr. DP 307 (VI 7.2.2.13.a e ss.): «trist’a quella bocca che non sa tro-var la scusa», «trist’a quella musa che non sa trovar la scusa», «trista la musa che scusa nontrova» (Boiardo) e BOLLA H2v: «Trista quella musa, che non sa trovar scusa. Infelix illa musa,quae se excusare non potest». Per musa vd. BORTOLAN 184, BOERIO 433, MAZZUCCHI 156 musa‘faccione’; SALVIONI 1894 (2008): 231 s.v. musa («Certo anche ‘bocca’»), con un rinvio a SAL-VIONI 1890-1892 (2008): 302; SALVIONI 1902-1904 (2008): 608 v. 292, MAGAGNÒ Rime I 18r«te t’alzerè / el boccale a la musa», CALDERARI 94v «te maccherò la musa».10 Pire pire pire! Maria Vergine, dove accidenti saranno andate queste galline? Non sono nep-pure in casa? Pire pire!Pire pire pire: richiamo alle galline (MORTIER 1925: 128 nota 2); meglio che al «pit pit» diFOLENGO Baldus VI 515 allegato da ZORZI 1395, il rinvio deve andare a LEI 7.742.5 ss.; AIS1122 (pire pire tra i Lockruf für die Hühner und Küchlein in due punti toscani, 520 Camaiore[Lu], 582 Pitigliano [Gr]); MIGLIORINI - PELLEGRINI 77 pire-pire «richiamo per i polli»; NINNIII: 54 «Pire, pire, pire: Voci con le quali le contadine chiamano le galline»; A. PRATI, Voci imi-tative, voci bambinesche, creazioni di fantasia, in ID., Storie di parole italiane, Milano, Feltri-nelli, 1960, pp. 55-61: 55 piro piro (con un rimando a Vicende di parole, in SMV II 1954,pp. 199-238: 205). Tipi analoghi in LEI 5.1622.33-43 bille bille ‘modo di chiamare le galline’,PRATI 16 s.v. biro, CROATTO 47 bìri bìri ‘richiamo per le galline’, PRATI Vals. 15 biri biri ‘billibilli, bille bille’. Costruita su richiami alle galline anche una battuta della serva Pasquella inINGANNATI 245: «Chino, chino, belline, belline, iscio, iscio! Che ve rompiate il collo! Che sìche se ne fuggirà qualcuna?». Mare lett. ‘madre’, ma deriva, con omissione dello specifica-tore, da ‘madre di Dio’ (cfr. l’eufemistico mare de Diana nel veneziano: FOLENA 1993: 182 s.v.

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atto primo

MENATO Diè v’agia, comare! Que de me’ compare? 11

BETIA A’ no sè do’ ’l sia andò, a la fe’. Sanitè! 12

MENATO Orbéntena, a’ sté a Pava, vu; a’ si’ deventà gran maistra, a’ si’deventà, co’ dise questù, cittaina. El no se pò pì, co’ dise questù... can-caro! 13

BETIA A’ son quel ch’a’ son, a’ son sì fatta co’ a’ me vi’. S’a’ stago a Pava,e vu sté de fuora 14.MENATO A’ ghe stago per certo. Mo, co’ disse questù, per forza a’ ghestago. Mo cri’ che quel che me solea olire, me puzza. Che co’ a’ vagoper quî campi, e ch’a’ vegno do a’ stasìvimo vu e mi a rasonare de bri-ghè, e don’ a’ ve spiochiava, e che catto quella nogara don’ a’ ve sgare-giava le nose lugieghe... 15 Al sangue de san Lazaro, a’ me sento a vegni-

diana e BOERIO 397 s.v. mare); Mare ‘Madonna’ anche più avanti a III 36. sitta lett. ‘saetta’,interiettivo: cfr. BORTOLAN 259, BOERIO 663, MAZZUCCHI 243, MIGLIORINI - PELLEGRINI 96,RIGOBELLO 440, PRATI Vals. 170 siton ‘fulmine’ e A. PRATI, Vicende di parole VIII. Nomi d’a-nimali, in SMV II 1954, pp. 199-238: 232-234, n° 68 s.v. sitón ‘libellula’. Sitta rafforzativo di on’anche nel Dialogo della cometa di Cecco d’i Ronchitti: «On sita halo cattò que un mesuraorevaghe spelucanto su ste noelle?» (CORPUS PAVANO); più frequente il tipo on’ cancaro (qui a III99, V 5, V 53, V 61, con altri nove ess. nel CORPUS PAVANO). In toscano si hanno casi similicon domine: «dove domin si trova a quest’ora Federigo?» (LASCA Pinzochera 836), «Dovedomino è questo nostro discipulo?» (BELO Pedante 176), «Ove domino e’ sè la bretta?» (BELOPedante 181; vd. anche D’AMBRA Furto 52 e 93, BARGAGLI Pellegrina 522).11 Dio v’aiuti comare, che n’è del mio compare?Que de [...]: va sottinteso un verbo come è; qui e a V 12, per non dover supporre apocope dellavocale tonica, è evitata la divisione delle parole «qu’è».12 Non so dove sia andato, in fede. Salute!a la fe’: intercalare diffuso, frequente nel testo con il valore di ‘alla fede’, ‘in fede mia’, ‘parolamia’: cfr. in parte il tipo attestato in Pr. 8 e CORTELAZZO 2007: 533. Sanitè: cfr. BORTOLAN 240;in MIGLIORINI - PELLEGRINI 88 sani (da ‘rimanete sani’ o simili) come formula di congedo.13 Orbene, state a Padova, voi; siete diventata una gran maestra, siete diventata, come si dice,cittadina. Non si può più, come si dice... canchero!Orbéntena: con la stessa ‘espansione suffissale’ di chialòndena Pr. 3. gran maistra ‘personaimportante’ (cfr. ZORZI 1395-1396, con un rimando ad Aretino); vd. anche CORTELAZZO 2007:745 punto (6) e 751 punto (2), e ad es. L. ARIOSTO, Lettere, a c. di A. Stella, in L. ARIOSTO,Tutte le opere, a c. di C. Segre, Milano, Mondadori, vol. III, 1984, p. 154 (7 aprile 1513) «UsarM. Bernardo per mezo, credo poter male, perché è troppo gran maestro et è gran fatica apotersegli accostare» (con in nota la spiegazione «pezzo grosso»), ARIOSTO Cassaria in versi213 (atto IV, scena II, vv. 1866-1867) «A chi più dánno i gran maestri credito / che alli ruffia-ni e a i tristi?» con la nota relativa, FOLENGO Baldus IV 143, ARETINO Marescalco 30 e ARETI-NO Filosofo 31. El no se pò pì, co’ dise questù... cancaro!: reticenza di Menato, che allude all’an-tica disponibilità sessuale della comare. Per il wellerismo vd. I 1.14 Son quel che sono, e sono fatta come mi vedete. Se io sto a Padova, voi state di fuori.S’a’ stago a Pava, e vu sté de fuora: caso di paraipotassi; tutti gli esempi di paraipotassi del tea-tro ruzantiano sono censiti in MILANI 1970 (2000): 52-53. Sul fenomeno cfr. essenzialmenteSORRENTO 1950: 29-71 (cui si deve la denominazione), BRAMBILLA AGENO 1978, GHINASSI1971, MAZZOLENI 2002, MARRA 2003: 64-84.15 Ci sto di certo. Ma, come si dice, per forza ci sto. Credete pure che quel che mi sembravaprofumato adesso mi sembra puzzolente. Quando vado per quei campi, e arrivo dove stava-

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re na smagna, un strapelamento, ch’a’ me desfago con’ fa sale in mene-

mo voi e io a parlare insieme, e dove vi spidocchiavo, e trovo quell’albero di noce dove vi sghe-rigliavo le noci lugliatiche...olire: cfr. Fiorina 737 «A’ olì pì che no fè mé pimento» e PRATI Vals. 117 s.v. olir «L sa da bonche l’olisse manda odore soavissimo»; in BORTOLAN 190 oliosa ‘odorosa’. stasìvimo: per que-sta forma di imperfetto vd. WENDRINER § 117. de brighè: cfr. Pr. 2. don’ a’ ve spiochiava:sulla base di PAJELLO, ZORZI 1396 intende ‘guardare di soppiatto’ e aggiunge: «Nel senso di‘spidocchiare’ (ben poco probabile, ove non sia un modo figurato) dovrebbe presupporre laforma speociar». Il passaggio eo > io non è però problematico (cfr. ad es. MAGAGNÒ Rime I47v piochiose), e a sostegno di spiochiava ‘spidocchiava’ in senso letterale sta la testimonianzaaddotta da MENEGAZZO 1969 (2001): 315: «Il 9 settembre 1518 si discusse nel tribunale dellacuria vescovile di Padova una causa matrimoniale concernente due giovani di Campolongo,Antonia e Giovanni. A provare che essi si erano da tempo comportati come fidanzati, un testi-mone afferma di aver visto più volte Giovanni in casa del padre della ragazza “et cum eadomestice loquentem et ridentem, et eam manibus tractantem, honeste tamen, et proutfaciunt [...] novicii, et tenentem caput suum in sinum eiusdem Antonie, et ipsam illum in capi-te recercantem, et, ut vulgo dicitur, lo spiochiava”» (e si noti pure qui spiochiava con i proto-nica). A un’operazione analoga può alludere il contadino Tamburino quando parlando dellasua bella Lisa dice: «dipoi nel grembo mi gittò la testa / e che io la grattassi mi diceva» (DEROBERTIS 1967: 119 vv. 23-24). nogara: cfr. CORTELAZZO 2007: 889 e ad es. PATRIARCHI 213e RIGOBELLO 299 (altri rinvii in CALMO Saltuzza 59 e nota 38); sotto una nos viene avvistata labella Fiore anche nella Frotola de tre vilani, v. 50 (D’ONGHIA 2005: 189), e pure nell’Aretinoipernenciale degli Strambotti a la villanesca Viola viene invitata «sotto al fresco meriggio delmio noce» (P. ARETINO, Strambotti a la villanesca freneticati da la quartana de l’Aretino [...],Venezia, Marcolini, 1544, c. Ciiir). Altrove la nogara ha connotazioni sovrannaturali, come inAnconitana 831 (ZORZI 1471 nota 34 rammenta il valore demoniaco dell’albero, a partire dalnoce di Benevento sotto il quale s’incontravano le streghe per il sabba: vd. anche ARETINOFilosofo 54). a’ ve sgaregiava le nose: sulla base di altri due passi (Pastoral 141, sc. XIV v. 924e Betìa 437, V v. 366) che attesterebbero un impiego traslato di sgaregiare ‘sgherigliare’ (quin-di ‘deflorare’), ZORZI 1299 nota 115 scorge anche in questa battuta della Moschetta un «sensoallusivo»; indicazione recepita da DLA 575, che ha una voce sgaregiare «Di donna, concedereil proprio organo per il rapporto sessuale» con questo solo esempio. A parte il problematestuale per cui il ms. Correr ha sguregiare (cfr. Betìa 437) e il ms. Marciano ha sgaregiare (cfr.LOVARINI 1894: 317; vd. ora CECCHINATO 2005: 201), una lettura in chiave erotica della bat-tuta è possibile anche se non necessaria: Menato può insomma limitarsi a mondare le noci perla sua bella, compiendo un gesto d’affetto simile allo spiochiare appena ricordato, e vd. MAR-CHESINI 11-12 «Com l’iera ora po de marendare / su qualche terrazzò / se conzavene tutti dua sentare / co ’l bottazzol da un lò, / e man mi a farte e a sgaruggiarte / de bone nose». Nonmancano a ogni buon conto casi in cui l’atto di sgherigliare le noci pare senza dubbio allusi-vo: così in FIGARO N1v «“Sgareggiela figiuolo” / Così disea la Dina, e sporzea in quello / laNosa al so Sgareggio Tandarello» e soprattutto ROVIGIÒ A8r-A8v «Menon, sonando la sodolce e viva / pivetta su una riva / onve scappava nose la Thietta / sgareggiandoghen’una unpoco stretta / se ponse un deo e insangonè la piva; / quando la poveretta / vette quel sangue,caì stramortìa; / Menon, que la tegnia / morta tirè un sospiero, e mal drean / ghe morì in braz-zo con la piva in man» (è uno degli epitaffi di Menon scritti da Morello). lugieghe ‘lugliati-che’: cfr. BOERIO 377 lugiadega, MAZZUCCHI 137 lugiadega, PRATI Vals. 199 ulgiadego, RIGO-BELLO 259 s.v. luliàna in particolare lujàdega e luiéga. Le noci vengono raccolte per lo più sulprincipio dell’autunno (GDLI XI 476), ma già in luglio e agosto secondo la tradizione pare-miologica: «Da S. Maria Madalena (22 luglio) la nosa è piena; compìa o da compire, i putei lavol aprire» (PASQUALIGO 1882: 219); «Da sant’Ana (26 luglio) le nose va in tana» (ivi, 219; evd. ivi anche pp. 220-221 per le noci raccolte d’agosto). La noce di luglio sarebbe dunque unaprimizia che Menato riserva alla sua bella. In una poesia sull’argomento si legge «M’orsù via,mi e ti bella, / que a’ s’attaccan a questa / lugiega» (FIGARO I3v; l’aggettivo andrà riferito più

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stra 16. E perqué? Per vostro amore, zodiazza ch’a’ si’ contra vostro com-pare! Poh sì, cancaro, l’è pì d’un’ora ch’a’ vago smanianto de chialò viaper vêre s’a’ ve poea favellare a vu 17.BETIA A’ m’aì mo’ favellò, que volì-u da mi? 18

MENATO Poh, ch’a’ vorra’, ah? A’ vorra’, saì ch’a’ vorra’? A’ vorra’ cheme vossé ben, e ch’a’ m’agiassé, co’ a’ solivi fare per lo tempo passò 19.

che a una singola noce a una nogara carica di noci fin da luglio). In NINNI II: 169 n° 198 «Chimagna le nose da S. Lorenzo (10 agosto) ghe toca pagarle a un soldo l’una», con il commen-to «Le noci immature si credono nocive»; ma in base ai proverbi citati a san Lorenzo alcunenoci sono pronte per essere mangiate: non si tratterà piuttosto del prezzo elevato delle nociquando quelle mature sono ancora relativamente rare?16 Al sangue di san Lazzaro, mi sento venire una smania, uno scorticamento, che mi sciolgocome sale nella minestra.Al sangue de san Lazaro: per l’esclamazione vd. CALMO Saltuzza 144 «al sangue de San Slaze-ro» (e nota 35); il santo è usualmente correlato alla lebbra, il mal de san Lazaro (vari ess. del-l’espressione in CALMO Saltuzza 125 e nota 34). a’ me sento a vegnire na smagna: con dipen-dente da verbo percettivo introdotta da a come in Pr. 2. strapelamento ‘strappo’, ‘scorticatu-ra’: cfr. I 1. a’ me desfago con’ fa sale in menestra ‘mi sciolgo come sale nella minestra’. In MILA-NI 1970 (2000): 82 il paragone è incluso tra quelli «cui la cristallizzazione conferisce un sapo-re quasi proverbiale»; l’accostamento di sale e minestra è testimoniato più tardi dalla sezioneintitolata Sopra il proverbio la guerra fa per i soldai, in Mattezini et sonetti alla Venetiana dePantalon d’i Bisognosi, Ravenna, Pietro Giovanelli, 1590, c. 4r: «el sal [fa] per la minestra».Per con’ fa cfr. I 1 «con’ fa na fornasa».17 E perché? Per amor vostro, giudeaccia che siete contro il vostro compare! Poh sì, canche-ro, è più di un’ora che vado smaniando qui intorno per vedere se vi potevo parlare.zodiazza lett. ‘giudeaccia’, qui genericamente offensivo (cfr. a I 11 «zodìa patarina»). Epitetospregiativo di tono popolaresco spesso rivolto all’amata ingrata: cfr. CORTELAZZO 2007: 1546punti (4) e (5), VIDOSSI 1960: 59 e nota 74, la nota al v. 89 in D’ONGHIA 2005: 197 dove malzude’ è riferito ad Amore; il sonetto di Ruzante vv. 3-4 «ch’a’ me vi’ smagniare e sgangolire, /e n’ ’ì pecò de mi, co’ ha na zodìa» (ZORZI 1967: 1269); ORIOLO Aiiir zodiazza (riferito adAngelica che si nega ai paladini), MAGAGNÒ Rime II 10r «l’è pezor cha un zodio» (Amore),FIGARO F4r «ch’a’ sì na zodia, turca e sassina». In generale vd. BECCARIA 2001: 180 e F. FALOP-PA, La parola ebreo, in ID., Parole contro. La rappresentazione del «diverso» nella lingua italia-na e nei dialetti, Milano, Garzanti, 2004, pp. 21-55. de chialò via ‘da questa parte’ (vicino acasa vostra): avverbi di luogo rafforzati da via sono frequenti in Ruzante (LIZ) e nella lettera-tura pavana precedente (ad es. MILANI 440, v. 359) e successiva: cfr. de longo via II 23, dechialò via III 8, denanzo via IV 2, de drio via IV 2, a longo via V 8, V 14; CALMO Spagnolas 84de qua via, CALMO Travaglia 98 aturno via, CALMO Travaglia 104 de qua via, CALMO Travaglia130 in menzo via, MAGAGNÒ Rime II 17r «da largo via ven supiè», MAGAGNÒ Rime II 42v «dape’ via dalla mia ca’», CALDERARI 4v e SCAPUZZO 2v «in cerca via», MARCHESINI 51 a cerca via.18 Mi avete pur parlato adesso, che volete da me?19 Poh, che cosa vorrei, eh? Vorrei, sapete che vorrei? Vorrei che mi voleste bene, e che miaiutaste, come facevate in passato.e ch’a’ m’agiassé: il verbo «è usato qui nel senso proprio del linguaggio galante cinquecentesco,di ‘incoraggiare’, ‘acconsentire’ alle profferte amorose» (ZORZI 1396 nota 25): cfr. anche Betìa313 «me volìu mo agiare, / o volìu lagarme crepare?», PVLON MATT 106 «ch’hò bsogn d’altu-rij quant u mie cumpagn» (con la replica delle donne: «Mò, ch’alturij uvrissiv mò da nun?»),BUOVO 75 e ad es. gli ultimi quattro versi di uno degli strambotti giustinianei riprodotti daD’ANCONA 1906: 555 «Ajutame per Dio, chè più non posso / Cotante amare pene, omè, dura-re; / Se non me ajuti, moro per tuo amore; / Agi di me pietà, ligiadro fiore». Anche negli scrit-tori pavani successivi: vd. tra gli altri MAGAGNÒ Rime I 49v «Mo no ghe vi’-tu, che s’te no m’aì

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BETIA A che volì-u ch’a’ v’agiaga, ch’a’ no vego negun ch’a’ ve daghe? 20

MENATO Mo s’a’ no vi’ vu, a’ sento ben mi, ch’i me fa ben sentire igi.Che l’è pì d’un’ora ch’i par fàveri che me sbate in la panza, ch’a’ son pìrotto che no fì vero pesto, e per vu, zodìa patarina! 21

BETIA A dirve la veritè, que volì ch’a’ ve faghe, caro compare? 22

MENATO Con’ se dè far a quigi che gh’è serviore, comare cara... 23

BETIA A dirvela intuna parola compare, a’ no vuo’ pì esser mata co’ a’son stò con vu: mè pì in vita d’agni, né in ca’ de me’ marìo 24.

/ A’ muoro, a’ creppo, a’ spasemo per ti? [...] Aiame de gratia, che te può / Perque a’ medesconisso con fa el bruò», MAGAGNÒ Rime II 45r «O dolce caro Amore, / aiame – on’ si’-to?– ch’a’ no posso pì», MAGAGNÒ Rime II 49r «Te me vi’ sgagnolire / purpiamen com’ fa un can/ E sì no me vuò aiar, que t’impar an?».20 A far cosa volete che vi aiuti, che non vedo nessuno che vi picchi?A che volì-u [...]?: Betìa equivoca deliberatamente sul significato di agiare a I 9, offrendo soloil proprio soccorso materiale, del tutto inutile visto che nessuno sta picchiando Menato (perdare cfr. Pr. 15). agiaga: «Di questo cong. di aiar sono esempi anche nel Ruzante, e deve trat-tarsi dell’analogia di staga ecc.» (SALVIONI 1894 [2008]: 229, su aiaga in BORTOLAN). Formesimili occorrono altre otto volte nel CORPUS PAVANO: vd. ad es. Dialogo facetissimo 81 agiaghe,Piovana 901 aiaga, GIANCARLI Zingana 407 agiaghi e più avanti andagon III 134.21 Ma se non vedete voi, lo sento ben io, che me lo fanno sentire loro. È più di un’ora che sem-brano fabbri che mi picchiano nella pancia, tanto che sono più rotto del vetro pestato, e pervoi, giudea patarina!i par fàveri che me sbate in la panza: riprende una delle immagini di I 1. a’ son pì rotto che nofì vero pesto: nuova allusione alle tecniche di lavorazione del vetro, che viene in effetti pestatoin appositi mortai per ricavarne una polvere successivamente riciclabile, i pestacci (cfr. Glos-sario del vetro veneziano cit., p. 56 s.v. mortèr e p. 63 s.v. pestacci); per l’accentazione di pestovd. Pr. 3. zodìa patarina: cfr. ZORZI 1396, CORTELAZZO 2007: 965 e per zodìa la nota a I 7;vd. «E ti zudiera. Cagna. Patarina» (SALVIONI 1902-1904 [2008]: 602 v. 100), «cagnaz Patarìn»(SALVIONI 1902-1904 [2008]: 605 v. 208), «Maledette vechie. Patarine» (SALVIONI 1902-1904[2008]: 606 v. 241), «cagnazza patarina» (SALVIONI 1902-1904 [2008]: 610 v. 361 e 616 v. 560),«patarin» (SALVIONI 1902-1904 [2008]: 630 v. 1057), «cagna patarina» (PELLEGRINI 1964[1977]: 395 v. 121), «turco patarìn» (CALMO Travaglia 96), «turcha patarina» (Desperata, testa-mento e Transito de Gratios da Berghem [...] Venezia, Stefano Bindoni, 1551, Misc. Marc.2213.14, c. Aiv), «zodìo can patarin» (FIGARO M1v), «patarini» insulto in ARETINO Filosofo 43e già in MARCHESCHI 1983: 50 (n° 156, 1357) «gazzaro patarino» ‘cataro patarino’, forse per‘omosessuale’ (cfr. p. 93 e la scheda sul prov. gaczeri in PICCAT 2002: 379). L’originario signi-ficato religioso s’era opacizzato già nel Medioevo: vd. A. BARBERO - C. FRUGONI, Dizionariodel Medioevo, Roma, Laterza, 1998, p. 191 s.v. Pataria; una discussione delle principali ipote-si etimologiche presso PELLEGRINI 1956 [1977]: 130-132.22 A dirvi la verità, che volete che vi faccia, caro compare?23 Come si deve fare a quelli che ci sono servitori, comare cara...24 Per dirvela in una parola compare, non voglio più essere matta come sono stata con voi: maipiù in vita mia, né in casa di mio marito.mè pì in vita d’agni lett. ‘mai più per una vita d’anni’ ossia ‘mai più per tutti gli anni della miavita’: l’espressione, quattro volte nella Moschetta (cfr. I 23, I 60, III 65, III 134), è anche inCALMO Saltuzza 157 (e nota 78), CALMO Rodiana 105, MAGAGNÒ Rime II 33r «in vita d’agniseculoro Amen», FIGARO G2r «defenitavamen / in vita d’agni, in secoloro amen», ROVIGIÒD2v «No vio que ’l s’ha seccò ’l busso, e l’oraro, / que in vita d’agni no se farà pì / zuogie anegun», REGONÒ I3v «Que in ogni muodo a ’l porteremo in sen / in vita d’agni sto segnor daben», TUOGNO ZAMBON 40 «che in vita d’agni staghè chive a Schio».

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MENATO No, de questo a’ no ve daghe incontro, mo aldì, comare,muzzé via con mi 25.BETIA Mo me vegne inanzo la sitta che m’accuore! El no ghe’ ’n fu mèneguna del me’ parentò ch’andaesse via con negun. A’ vuo’ poere guar-dar i cristiagni per lo volto! Andé pur fé i fatti vuostri, que mè pì, com-pare, mè pì, que mè n’ha fin 26.MENATO Mè pì, an? Ve fa bona compagnia me’ compare? 27

BETIA A’ crezo ben de sì: el besogna ben anche ch’el me la faghe, ches’el me fesse tanto de roesso a’ soffrirae a tuorme via da ello, ch’el nome galderae mè pì 28.MENATO Vi’, comare, co’ a’ ve tossé via da ello, agno puo’ de messetel-lo ch’abié, con cento uomeni tutti da pallo a’ ve vegnerè a tuorve d’in-china a ca’ 29.25 No, su questo non vi do contro, ma sentite, comare, scappate via con me.de questo a’ no ve daghe incontro: cfr. BOERIO 219 darse incontro ‘danneggiarsi’ e NACCARI -BOSCOLO 146 dare contro ‘essere ostile’. muzzé: cfr. Pr. 14.26 Ma mi venga piuttosto un colpo secco al cuore! Non ce ne fu mai nessuna della mia fami-glia che se ne sia andata con qualcuno. Voglio poter guardare la gente in faccia! Andate purea fare i fatti vostri, che mai più, compare, mai più e per sempre.la sitta che m’accuore ossia ‘la morte improvvisa che mi colga’. Per sitta cfr. I 2 e per l’accezio-ne di ‘malore mortale’, ‘morte improvvisa’ cfr. Pastoral 119 «Sita te sbreghe, viso de persuto!»(anche 167, 185), Dialogo secondo 143 «al sangue de la sita» e TUOGNO ZAMBON 15 «mal dellasitta»; per accuore cfr. ROVIGIÒ D2v «dolor, che l’ha accorrà», CORTELAZZO 2007: 23 acoràr‘affliggere’, SCAPUZZO A6r «e sento che m’accora / el lagnarse a sto mo’», ANDREINI Venetia-na 69 «Passion, che stastu a far, che ti no me acuori? Te vergonistu forsi a mazzar un omo cusìcativo co son mi?», MUSSAFIA Beitrag 23 s.v. acorar, BOERIO 23 acorarse ‘affliggersi’ (anche conil significato più adatto al nostro passo di «quasi cascare il fegato») e akkorà ‘uccidere’ nel dia-letto di Subiaco (PIREW 2217). cristiagni: dato il sing. cristian I 1, la forma sembra imputabi-le a influsso del tipo ano/agni (vd. I 14), dove -gni è esito legittimo di -NNI (TOMASIN 2004:149). Andé pur fé: doppio imperativo: cfr. «va’ vi’ s’te ghe può favellare» a I 1. mè pì, quemè n’ha fin: un altro es. in FIGARO I1r «No crezanto mè pì n’esser, que mè / n’ha fin, strettoligò».27 Mai più, eh? Vi fa buona compagnia il mio compare?compagnia: con il significato sessuale che ha anche a III 89 e III 144 (vd. BIDLER 2002: 144 s.v.compagnie).28 Credo ben di sì: bisogna bene anche che me la faccia, che se mi facesse anche solo un pic-colo torto sarei capace di andarmene da lui, che non mi godrebbe mai più.tanto de roesso: cfr. BOERIO 586 roverso ‘rabbuffo’, ‘contrarietà’; sintagma costruito alla manie-ra del genitivo partitivo latino. a’ soffrirae a tuorme via da ello: «sarei capace di togliermi viada lui» (LOVARINI 15). el no me galderae mè pì ossia ‘non mi avrebbe più come moglie’, conallusione alla comunione carnale del matrimonio (vd. ad es. Parlamento 105 «A’ galderé purela mia Gnua, che gh’è vegnùa a stare»); cfr. BORTOLAN 129, BOERIO 295, MIGLIORINI - PEL-LEGRINI 30, BORTOLAN 129 galder (da Magagnò) e BOERIO 295.29 Vedete, comare, se ve ne andate da lui, per poco di protettore che abbiate, con cento uomi-ni tutti da palo verrò a prendervi fino a casa.agno puo’ de messetello: il sostantivo indica il protettore della donna o il ruffiano (cfr. REW 5538s.v. mesítej, BOERIO 413 e RIGOBELLO 281 mesét ‘sensale’, ‘ruffiano’; altri rinvii in CALMO Sal-tuzza 80 e nota 10); meno precisa la traduzione «ogni poco d’imbasciatella» (LOVARINI 15),accolta da ZORZI 1396 che intende ‘messaggio, ambasciata’. Agno puo’ ha valore concessivo

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BETIA El no me mancherà miga don’ andare s’a’ vorrè, ch’a’ he bencento che n’è figiuoli de paura: a’ dighe soldè 30.MENATO Mè pì an? Disì da vera cara bella dolce comare? 31

BETIA Moa , a’ v’in’ farè na carta: aì vuogia de sfiabezare, n’è era? Sfia-bezé a vostra posta, compare. [si allontana] 32

qui, a I 23, in Dialogo facetissimo 85 «Agno puo’ de cuore ch’aesse abbù, el no me dasea» eVaccaria 1091 «Agno puo’ de man che me butè, l’è fata pì che no fo mé fata noela». centouomeni tutti da pallo: di significato poco chiaro e per ora senza riscontri. Con LOVARINI 15,Zorzi intende palo dell’esecuzione capitale (GDLI XII 4333) e dunque ‘pendagli da forca’: sitratterebbe di una smargiassata di Menato, che promette di venire a prendere la comare anchese dovesse assoldare cento buli. In questa direzione cfr. CORTELAZZO 2007: 936, che da unaBravata veneziana del 1556 desume il significato di ‘palo a cui erano legati ladri e truffatori peressere frustati’: «bisognaria signora mia / per honorarte al fin frustarte / e senza fallo ligarte aun pallo, / come mariola e truffa che tu se». Spiegazioni alternative, prive di pezze d’appog-gio, restano in definitiva altrettanto insoddisfacenti: potrebbe trattarsi propriamente di ner-boruti ‘palificatori’ (uomini di fatica, specie bergamaschi, reclutati a Venezia come palificato-ri), e si avrebbe qui riscontro parziale, quanto al tipo sintagmatico, negli uomini da remo‘galeotti’ (L. LO BASSO, Uomini da remo. Galee e galeotti del Mediterraneo in età moderna,Milano, Selene Edizioni, 2003). Proprio alcuni facchini sono assoldati per dare l’assalto allacasa di una prostituta insolvente in PARABOSCO Fantesca 153: «Io voglio pignorare il fitto dellacasa, che questa mariuola voleva partirsi alla bruna, e portarlo in Emaus. Su compagni, su fac-chini, venite meco di sopra!». Altra possibilità è che il palo sia semplicemente un bastone eche quindi si tratti di una squadra di picchiatori (la bastonatura è usuale nei testi farseschi delperiodo). Superflua, perché priva di riscontri, l’ipotesi di Zorzi che pallo sia errore per patto(gli uomeni da patto sarebbero ‘uomini fidati’). a’ ve vegnerè a tuorve: con il clitico in doppiaposizione; cfr. ad es. MARCHESINI 81 «ste me vuò aiarme», TUOGNO ZAMBON 9 «a’ ve vuogiopur an contarve» e CALMO Saltuzza 178 e nota 52.30 Non mi mancherà mica dove andare se vorrò, che ne ho ben cento che non sono figli dellapaura: dico soldati.n’è figiuoli de paura ossia ‘non sono pavidi’: cfr. Betìa 339 «no son figiul da paura». Un altroes. probabilmente in CALMO Travaglia 146, dove è stampato «a’ no sonte fugìvolo de pauraalle bela e cagò» (trad. ‘non sono mica di quelli che dalla paura se la battono facendosela subi-to sotto’), che mi pare si debba restaurare in «a’ no sonte figiuolo de paura: a’ ll’he bela ecagò!» (trad. ‘non sono figlio della paura: l’ho già cagata!’; fugìvolo sarebbe hapax nel COR-PUS PAVANO).31 Mai più eh? Dite davvero cara bella dolce comare?32 Caspita, ve lo metterò per iscritto: avete voglia di scherzare, non è vero? Scherzate per contovostro, compare.Moa: per l’esclamazione (qui anche a I 70 bis, II 23, III 52, III 62 bis, III 143 bis, V 89), cherisale probabilmente a *MOLLIA allusivo all’organo sessuale femminile, cfr. oltre ai materialiadunati in CALMO Saltuzza 70 e nota 84, la nota della Lazzerini in GIANCARLI 465-466 e COR-TELAZZO 2007: 835 s.v. mogia. a’ v’in’ farè na carta: cfr. far carta a qualcuno ‘impegnarsimediante un atto scritto’ in GDLI II 812 e fare carta ‘distendere scrittura d’obbligazione’ in TB,richiamato dalla Lazzerini per CALMO Spagnolas 86 «carta fata de notolà» nel commento a p.174; vd. pure BOCCACCIO Corbaccio 481 «così te l’avess’ella in sul viso e io ti dovessi fare cartadi ciò che tu vedessi, com’io nol credo» e FOLENGO Baldus IX 343 «chartam facente Brios-so». sfiabezare: cfr. BORTOLAN 255 (‘novellare’). era: Zorzi emenda tacitamente in vera, mala caduta di v- iniziale è tratto tipico specie delle varietà rustiche centrali e settentrionali, testi-moniato qui anche da ontiera ‘volentieri’ (III 72 e III 99) e da ose ‘voce’ V 10 (ad es. anche inMAGAGNÒ Rime II 6v): cfr. PELLEGRINI 1979 (1992): 192; PELLEGRINI 1966-1976 (1977): 244;’era ‘vero’ in RIGOBELLO 174. a vostra posta: cfr. ad es. SALVIONI 1902-1904 (2008): 611 v. 418

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MENATO Aldì lomè questa, comare! Aldì, cancaro! Oh, comare! [rima-sto solo] Oh, fantasia de femene! A’ me n’he ben adò al so’ faellare quela m’ha reffuò! L’è pruopio com’è na fuogia che n’ha stabilitè! 33 Mè pì,mè pì! Puttana del vivere, mo quante fiè la me diea – no te l’arecuordi-tu? – che mi a’ giera la so’ raisuola, el so’ scontento, el so’ consegio, elso’ sconforto, e che in vita d’agni a’ serè sempre mè, che te m’arissi inlo cuore e che con’ te magnavi te me vîvi in lo pan e con’ te bevivi te mevîvi in la scuella... e adesso te di’ che mè pì? Eh, comare, che stragneparole è stè queste? Oh, comare! Penséghe comare! Puovero mi, a’ mela cattiè pure con puoca faìga: i dise ben vero que l’è puoco a cattarsen’amigo, mo l’è ben assè a saerlo tegnire. Mo que cancaro t’he-giofatto? 34 Desgratiò ch’a’ sarè sempre mè per to’ amore, dì e notte! Mo

«Chi ua à so posta. che nissun no i mena» e dall’Egloga di Morel «da so posta ella stessa haveaintelet» (PELLEGRINI 1964 [1977]: 392 v. 35), RIGOBELLO 348 de só pòsta ‘da sé’; diverso ilsignificato di a so’ posta a V 53.33 Ascoltate solo questo, comare! Ascoltate, canchero! Oh, comare! Oh, capriccio di donne!Me ne sono ben accorto da come ha parlato che mi ha respinto! È proprio come una fogliache non sa star ferma!lomè: cfr. I 1. fantasia de femene ‘capriccio di donne’ con accezione negativa di fantasia (GDLIV 64412 ‘idea sciocca, storta, fissazione’, BOERIO 260 fantasia da mato ‘fisima’): cfr. III 134, Betìa339 «l’è na fantasia / che t’he metù in la testa!» e Lettera all’Alvarotto 1241 dove «la Fantasia[...] no pò requiare, mo don’ l’è, la no gh’è, e don’ la no è, la vora’ essere, e vora’ esser un’al-tra, e no esser ela»; vd. pure FIGARO E1v «Ve tirela mo pì / la fantasia la notte o tutto ’l dì / defar stentar sto puovero Tuognetto?» e ROVIGIÒ C3r «E no te tuor fastubio o fantasia». A’ men’he ben adò: per adarse e darse ‘accorgersi’ cfr. ZORZI 1397, Betìa 339 «che mia mare se n’a-desse de vegnir via», CALMO Saltuzza 112 e 120, PVLON MATT 120 «E ch’ n’haria uvlu, ch’ li altsun fuss’ adà» e il lombardo indàçen ‘accorgersi’ in PIREW 2476. reffuò ‘rifiutato’: ZORZI 1397rimanda a REW 7165 e BIBBIA 117 «refuàva de no essere il più proximo parente»; cfr. ancheRIGOBELLO 365 refudàr e più sotto la battuta I 36 di Tonin, dove il verbo ha lo stesso signifi-cato relativo al corteggiamento. L’è pruopio com’è na fuogia che n’ha stabilitè: topica immaginedell’incostanza femminile (costruita per altro su un figurante naturale ben noto al villano: lastessa osservazione vale per le altre similitudini del monologo). Cfr. ad es. BOCCACCIO Filo-strato 75 «Che è a porre in donna alcuno amore? / Ché come al vento si volge la foglia, / così’n un dì ben mille volte il core / di lor si volge» e 268 «Giovane donna [...] / volubil semprecome foglia al vento» (e nel commento a p. 336 «Le giovani donzelle sono di poca stabilità»,dal Filocolo), MANGANELLO 36 «la femina si volge come foglia / sencia stabilitade e senciafede», e ancora il motto pantalonesco «“All’huomo è meglio il miglio che la moglie, / Donneson danno e le figlie son foglie”. E l’è così giusto, perché, siccome la foglia matura per ognipoco di vento e di freddo la cade e se desseca, così la fia d’etae s’attacca a cosa che ghe fa per-der la sustanza de mezzo» (SPEZZANI 1997: 36-37, dalla Dispettosa moglie di Giovanni Briccio),fino all’aria di Despina che in Così fan tutte ritorce l’accusa contro gli uomini: «le fronde mobi-li, / l’aure incostanti / han più degli uomini / stabilità» (L. DA PONTE, Libretti Viennesi, a c. diL. della Chà, Parma, Guanda, 1999, vol. II, p. 1036). Vd. più genericamente pure Pastoral 89«Oh, di falace donna instabil fede!», le fanciulle «instabile e senza conoscimento alla loro età»in CALMO Rodiana 75, le donne che «ànno più rivolte delle foglie» nella Partigione di Mesco-lino (PERSIANI 2004: 64), BIBBIENA Calandra 75 «Ella lasserà ben presto te, come da altri fiaricercata: ché le femine son mutabili» e ARIOSTO Orlando Furioso XXVII 117 5-8.34 Mai più, mai più! Puttana del vivere, ma quante volte mi diceva – non te lo ricordi? – che

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me te poesse almanco tuore d’anemo, che con’ a’ me recordo de quigiuuogi lusinti co’ i spiegi, de quî dente ’liosi co’ è na speciarìa, de quîdente de ravolò... 35 No dir pì Menato, no dir pì, ch’a’ me sento vegnir

io ero la sua vita, la sua gioia, il suo consiglio, il suo conforto, e che per tutta la vita lo sareistato sempre, che mi avresti tenuto nel cuore e che quando mangiavi mi vedevi nel pane equando bevevi mi vedevi nella scodella... e adesso dici che mai più? Eh, comare, che straneparole sono state queste? Oh, comare! Pensateci comare! Povero me, me la sono guadagnatapure con poca fatica: a ragione dicono che ci vuol poco a trovarsi un amico, ma ci vuol moltoa saperselo tenere. Ma che canchero ti ho fatto?Puttana del vivere ‘maledetta vita’: cfr. I 1. no te l’arecuordi-tu?: è incerto se Menato continuia rivolgersi a Betìa come se fosse ancora presente, o se invece parli con sé stesso. raisuola lett.‘radicina’, «radice del cuore: ipocorisma affettivo» (ZORZI 1397). Vd. Betìa 341 «A’ vegnerèive adesso, raisuola», Betìa 397 «lieva su, raisuola», Piovana 1003 «Raisuola mia, perdoname»,CALMO Fiorina 14 «raisiola mia» (berg.), MILANI 320 «O Biasio raise mia», CALMO Travaglia224 «raìse mia», MAGAGNÒ Rime II 43r «oh raise me’ bona», CALDERARI 9r «Gnese me’ d’oro,ve’ / aldi raise» (anche 10v, 49r), e più tardi in ANDREINI Venetiana 57 «raise del mio cuor»,nel Pantalon spetier di Mondini «Seguita, seguita, raise, che ti me piase» (SPEZZANI 1997: 100)e in Belluora dei Bragagnitti da Villatora «raìse del me sen» (MILANI 1992: 175 v. 58). Cfr.CORTELAZZO 2007: 1081 punto (4), FOLENA 1993: 485, PATRIARCHI 156 e BOERIO 550 s.v. raise(«detto per vezzo a’ Fanciulli e simili») e in generale R. BRACCHI, Le «radici» verso l’alto, in QV19 1994, pp. 161-171. in vita d’agni ‘per sempre’: cfr. I 14. i dise ben vero que l’è puoco a cat-tarse n’amigo, mo l’è ben assè a saerlo tegnire: cfr. DP 282 VI.2.4.24 «Per far un amico basta unbicchier di vino, per conservarlo è poca una botte» (anche in LAPUCCI 2006: 38 A685).35 Disgraziato che sarò sempre per amore tuo, giorno e notte! Ma mi ti potessi almeno toglie-re dall’animo, che quando mi ricordo di quegli occhi lucenti come gli specchi, di quei dentiprofumati come una spezieria, di quei denti da mangiate di rape...me te poesse almanco tuore d’anemo ‘potessi almeno togliermi il tuo pensiero dallamente’. uuogi lusinti co’ i spiegi ‘occhi lucenti come gli specchi’: per la grafia uuogi cfr. FOR-MENTIN 2002: 18 nota 30, con rinvii a F. AGENO, Particolarità grafiche di manoscritti volgari, in«Italia medievale e umanistica» IV 1961, pp. 175-180: 179-180 e a L. PETRUCCI, recensione aANONIMO ROMANO, Cronica, a c. di G. Porta, Milano, Adelphi, 1979 e 1981, in SMV XXXVIII1981, pp. 207-225, nota 10. Altri due ess. di uuogi da principes ruzantiane in CALMO Saltuzza224 (vanno aggiunti tre casi di uuogi in Vaccaria 1079 § 59, 1091 § 128 e 1117 § 127; un es. diuuoli[o] in Vaccaria 1143 § 86); vd. anche – già segnalati da Formentin – i numerosi ess. diuuogii nei testi editi da SALVIONI 1902-1904 (2008): 606 vv. 215 e 227, 607 v. 269, 609 v. 333,613 v. 480, 615 vv. 539 e 548, 616 v. 581, 617 v. 618, 621 v. 752, 627 v. 940, 631 v. 1079; d’uuo-li ‘d’olio’ a p. 623 v. 810 (garantisce che la sequenza uu rappresenta un suono semivocalico).Su d’uuoli Salvioni scrive a p. 650 nota 1: «pien d’uuoli, e l’apostrofe è richiesta anche dalmetro. Penseremo dunque, anzi che a vuoli o a uvoli, a wuoli, e analogo giudizio sarà da por-tare su uuogii». Stesse grafie nel testo dell’egloga minore di Paolo da Castello tramandata dalcodice 1445 della Biblioteca Comunale di Treviso: uuogi ai vv. 30, 98, 149, 176 (su cui vd.MAZZARO 1991: 40 e MAZZARO 2002: 33, che ritiene si tratti «di una tendenza alla consonan-tizzazione piuttosto che di prostesi»). Anche nel ms. 283 della Biblioteca Universitaria diBologna – contenente una silloge di rime dialettali pavane – qualche dubbio è sollevato da«Uuoldime um pocho mi chavarzelam» a c. 15r v. 5 (stampato «vuoldime» nell’edizione diMILANI 161). Numerosi ess. ricavabili da MAGAGNÒ Rime I e Rime II, dove il contesto metri-co e l’elisione dell’articolo (o della preposizione) precedente garantiscono la natura semivoca-lica del gruppo uu: «In gi uuocchi, in le parole, e ’l slicò viso» (Rime I 57r), «né pì né mancoi vuostri uuocchi de ghira» (Rime I 58v), «Per voler far co i biè vuostri uuocchi pase» (RimeI 59r), «Co’ è un gusso d’uuovo e ’l negro co’ è ’l velù» (Rime II 6r), «voler star con fa l’uuo-lio su la scuella» (Rime II 12v), «Qui to’ bieg’uuocchi nigri co’ è do more» (Rime II 12v), «Co’è n’uuovo marzo per un lendegaro» (Rime II 13v; altri ess. simili in SGAREGGIO C3v, D1v,

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de mille colore, el sangue me bogie co’ fa l’aosto un tinazzo de mosto.Abi cilibrio, Menato! E sì a’ no me vuogio gnan desperare: l’ha purditto ch’agno puo’ de noella ch’a’ ghe faghe Ruzante me’ compare, quela muzzerà via da ello. A’ ’l vuo’ metter su, ch’el gh’in’ faghe na bella, eella per despetto no ghe vorrà pì stare: e mi a’ la scaperè su, e sì a’ farèpo an’ tanto, tanto che la tornerà po con ello. E po mi a’ sarè po, con’disse questù, Domino dominanto. A’ vuo’ anare vêr s’a’ ’l vezo 36.

D4v, E1r, E2r, E3v, R1v, R2r, R4r, S2v, T2v, V1r, V4r, X1v bis, X2r, X3r, X4r, X4v, Y1v;FIGARO H1v; ROVIGIÒ A4r, C4r, C6r, F3v, F5r, F5v; REGONÒ C3v; TUOGNO ZAMBON 74;MILANI 1990a: 171; MILANI 1990: 414 v. 37 e 420 v. 14). Di dubbia valutazione – non è esclu-so che facciano serie con gli ess. pavani – vuocch (nell’endecasillabo «Zà l’aur j vuocch, e vàguardand attorn») in NEGRI Gierusalemme 215 ottava 74 v. 3 e uuolij e uuoch in PVLON MATT154 (III.54.8) e 172 (IV.14.2). Per l’immagine vd. Pastoral 143 «ochii mié lusenti, / mo t’he quituò denti / bianchi como fongi», la canzone Sentiva a lamentare / un bel fantin d’amore vv. 7-8 «Biegi uogi relucente, / che m’ha ferito il cuore» (ZORZI 1967: 1259), FIGARO C4r «qui tuobieggi occhion / gi è sì lusente, ch’incontanente / ch’a’ me ghe spieggio, i luse miegio», FIGA-RO F1v «qui so uocchi sberlusente», CALDERARI 25v «e po’ quî tuo’ occhion / te digo in bonafe’ / ch’i par du spiecchi che sipia indorè», «uocchi lusente e fini» (F. SELMIN, Testi pavani del’600: poesie inedite di Sertorio Orsato, in «Atti e Memorie dell’Accademia Patavina di ScienzeLettere ed Arti» XXXV 1972-1973, pp. 261-292: 286). L’aggettivo è di norma riferito agliocchi dell’amata anche nella tradizione rusticale toscana, fin da Boccaccio (cfr. FIDO 1991-1992: 225): vd. NENCIA 163 «Se tu sapessi, Nencia, il grande amore, / ch’i’ porto a’ tuo begliocchi stralucenti», «occhi stralucenti» in un altro testo nenciale (DE ROBERTIS 1967: 135, otta-va III, v. 1), CAMPANI 1878: 196 «quegli occhi strafulgenti bianchi e neri, / Che mi straluconquanto un lampanaio» e anche PVLON MATT 66 «qui du biei uoch’ si arlusient». dente ’liosico’ è na speciarìa: per ’liosi cfr. Anconitana 847 «o saoreto pì lioso ca n’è na speçia» (e già olirea I 7) e RIGOBELLO 255 lió!o; l’associazione proverbiale tra il profumo e la spezieria è nellalocuzione «Sente di bon, come una spizziaria. Bene olet, ut marcopholium», registrata daBOLLA G4r. dente de ravolò: ZORZI 1397 intende con Lovarini ‘denti da mangiate di rape’(ravolò è per l’appunto la mangiata di rape cotte al fuoco: vd. Betìa 259 e Lettera all’Alvarot-to 1237) e aggiunge: «si voleva [...] che la polpa della rapa avesse il potere di rendere i dentibianchi e splendenti» (ma senza riscontri). Le rape hanno una polpa candida: dente de ravolòvarrebbe dunque ‘denti bianchissimi’ (la lode è anche in Betìa 313, seguita dalla similitudine«o pieto bianco e scolorìo / com fo mé ravo in campo» che conferma l’associazione tra rapa ecandore; vd. in tal senso anche FIGARO E4r «dente / bianchi co è un ravanello» e più generi-camente MAGAGNÒ Rime III B2r «smorto co è una rava»). Sull’importanza della rapa nel regi-me alimentare contadino cfr. CAMPORESI 1993: 36 e il cenno di SCOPEL 2008: 23.36 Non parlare più Menato, non parlare più, che mi sento diventare di mille colori, il sanguemi bolle come un gran tino di mosto d’agosto. Abbi cervello, Menato! E poi non mi voglioneppure disperare: ha pur detto che appena il mio compare Ruzante le combina anche solouna piccola sciocchezza, scapperà via da lui. Lo voglio istigare, in modo che gliene faccia unabella, e lei per dispetto non ci vorrà più stare: e io la prenderò, e farò poi tanto, tanto che tor-nerà con lui. E poi sarò, come si dice, Signore dei signori. Voglio andare a vedere se lo vedo.el sangue me bogie co’ fa l’aosto un tinazzo de mosto: cfr. Betìa 159 «Ch’a’ sento che ’l m’è andò/ el cuore in lo polmon, / e sì me sbate e sbrombola el magon, / cum fa prupiamen l’agosto /un tinazo de mosto». Per co’ fa ‘come’ cfr. I 1 «con’ fa na fornasa». cilibrio: cfr. PIREW 1827,PATRIARCHI 68, PITTARINI 1960: 48 zilibrio, CALMO Saltuzza 83 e nota 19, e per la dissimila-zione anche il lombardo celebro in SALVIONI 1890-1892 (2008): 280. l’ha pur ditto ch’agno [...]que la muzzerà: si noti il doppio complementatore (ch(e), que), su cui cfr. N. VINCENT, Il pro-blema del doppio complementatore nei primi volgari d’Italia, in LabRomAn. Giornata di lavoro

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[Scena seconda] TONÌ bergamasc, uom d’armi

TONIN Orbé, ol saref pur ol mester dol sold el plù bel mester che fos,per do rasó, s’el no fos do cosi, ol menà’ d’i mà e l’esser obligat a fà’ ifació. S’el coris ognia trenta dì el so’ daner, e che ’s stes su i lozameg asguazzà’, oh cancher, que vita gloriosa! 37 Vegni ol cancher a i todeschi

sulle varietà romanze antiche, a c. di A. Andreose e N. Penello, Padova, Centro Stampa diPalazzo Maldura, 2007, pp. 27-42 (testo in linea all’indirizzo www.llc.manchester.ac.uk/research/new-research/italian/nigelvincent3/ Fileuploadmax10Mb,129522,en.pdf); per muz-zare cfr. Pr. 14. agno puo’ de noella lett. ‘storia’, qui ‘scherzo’ (nella sfumatura peggiorativa di‘sgarbo’), con il valore concessivo che agno puo’ ha anche a I 19. metter su: cfr. CORTELAZZO2007: 824 punto (5), BOERIO 720 s.v. su «Meter su una regazza [...] Stimolare», BELLÒ 112métar su qualcun ‘aizzare qualcuno, sobillarlo’, MIGLIORINI - PELLEGRINI 62 méter sù uno ‘isti-gare, prevenire uno’, NACCARI - BOSCOLO 564 s.v. su ha métare su la mórosa cóntro la mare ‘aiz-zare la fidanzata contro la suocera’, PRATI Vals. 100 metre sù ‘sobillare’; anche dell’italiano(GDLI X 297-298). a’ la scaperè su ‘e io la piglierò con me’ (ZORZI 596). Solo BORTOLAN 245registra scapà ‘tolta’ (da Magagnò); scapar su ‘prendere’ è pure altrove in Ruzante: cfr. a I 54«a’ he fatto vista che un m’abi tagiò el borsetto e scapè su i marchitti», Prima Oratione 207,Anconitana 831, Seconda Oratione 53, Dialogo facetissimo 69; anche CALMO Spagnolas 90 «a’he scapò su ste puo’ de brombete», ORIOLO Aiiv: «L’ha ’n libro [...] / el no lo lieze, e mi l’heschappò su», MAGAGNÒ Rime I 55v, 62r, 62v, 66v, 68v e Rime II 62v, 64r (scapar senza pre-posizione in MAGAGNÒ Rime I 55v), FIGARO H1v, TUOGNO ZAMBON 62, Menato Fraccaore(MILANI 1990a: 167). Non è trasparente il legame semantico con *EXCAPPARE (REW 2952 eGDLI XVII 831 s.v. scappare1), ma va notato che in friulano alcuni verbi analitici che «descri-vono, talora anche qualitativamente, un’azione di ‘prender su, raccogliere’» sono costruiti converbi di movimento in unione con la preposizione su, particolarmente produttiva per questotipo di significato (F. VICARIO, I verbi analitici in friulano, Milano, Franco Angeli, 1997, pp.156-160: 158, dove mancano però ess. accostabili al nostro; sui verbi analitici vd. F. MASINI,Diacronia dei verbi sintagmatici in italiano, in AGI XCI 2006, pp. 67-105). Meno persuasivol’accostamento alla voce centro-merid. capare (< CAPUT) ‘scegliere uno ad uno’, ‘prendere’(GDLI II 677 e DEI 731), e al toscano cappare (GDLI II 716 e DEI 741 s.v. cappare2 che addebitala p doppia all’influsso di acchiappare). Domino dominanto ‘dominatore assoluto’: deforma-zione di dominus dominantium ‘il signore dei signori’ (Apocalisse XIX 16, Prima lettera di sanPaolo a Timoteo VI 15); vd. DEI 1379 s.v. dòmino dominànzio (da Cecchi), BECCARIA 2001: 75(che registra tra l’altro il veneziano domine dominanzium in BOERIO 243). Attestazioni teatra-li in ARETINO Cortigiana 174 «Pensalo bene, ché, andando lui in bordello, io sarei dominusdominantium», GIANCARLI Capraria 37 «rumagnerave protomastre, dominancio de tuto ’lcasa» (la nota rimanda a Ruzante e ad Aretino; in GIANCARLI Capraria 155 «tu serai il domi-nus»), GIANCARLI Zingana 373 «e in sto mezo vu saré dominus dominacio della vostra madon-na Anzelica»; anche nelle poesie di Terzi (CORTELAZZO 2007: 482) e nella Dispettosa moglie diBriccio («Non sastu che mia muier xe morta e che daspò mia fia ha tiolto in man el DominusDominantium?»), dove l’espressione sembra indicare la conduzione degli affari familiari(SPEZZANI 1997: 86 non dà spiegazioni).37 Orbene, il mestiere di soldato sarebbe il più bel mestiere che esista, per due ragioni, se nonci fossero due cose, il menare le mani e l’essere obbligati ai doveri militari. Se corresse ognitrenta giorni lo stipendio, e se si stesse negli accampamenti a spassarsela, oh canchero, che vitagloriosa!ol mester dol sold ‘il soldato’: cfr. Proverbii di messer Antonio Cornazano in facetie cit., p. 30«mestiere del soldo» e «mistiere dil soldo» da Marin Sanudo in GDLI X 227. per do rasó, s’elno fos do cosi: le do rasó vengono illustrate solo nella frase successiva, le do cosi immediata-mente. fà’ i fació ‘fare le fazioni’, le faccende militari (ZORZI 1398): cfr. ad es. da una lettera

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e a i franzos, ades ch’a’ m’eri inamorat intuna me’ vesina e ch’eri perdovì’ avì’ ol me’ content, a’ ’l m’è stà fag ù comandamet ch’in termend’ot dì a’ ’m debi cavalcà’ in camp. Orsù, pacetia, a’ ’m voi drizzà’ l’in-zegn, e sì voi vedì’ de fà’ ù bel trag o deter o fo’ 38. A’ voi andà’ tant insus e in zos denag alla so’ porta, tant che la vegni fo’ una fiada. E sì a’’m voi sborà’ ù trag almanc de paroi: s’a’ no ’g porò fà’ oter a’ ’g voi dì’:«Dona Bettia, a’ vaghi: arecordéf che i armi e i cavai e l’om è al voscomand e in li oter cosi a’ voi ch’a’ ’m possé dovrà’ né plù né manc con’s’a’ fus vos marit» 39. Voi fà’ ù bó anem: a’ voi andà’ a batter a l’us e sì

di Gerolamo Savorgnan del 29 maggio 1514: «[...] è occorso che questi fanti [...], importuna-mente e quasi mettendo il campo a rumore, dimandano dinari, e s’intende che molti e moltisi sono partiti e partono tuttavia, e quelli che sono restati negano di far le fazioni sue» (cito daVENUTI 1992: 27-28; la fonte è G. SAVORGNANO, Lettere storiche dall’anno 1508 al 1528, a c.di V. Joppi, Udine, Tip. Doretti, 1896, p. 91); CROCE 2006: 331 «i soldati del Bolognese [...]non hanno mai briga di fare né guardie né fattioni». S’el coris ognia trenta dì el so’ daner: lalamentela accomuna Tonin al Ruzante di Parlamento 115: «Se i paghesse, e che i no fesse i miside çento dì, a’ ghe porae an tornare»; nella Catlina da Budri il servo bergamasco Fichetto rin-faccia al padrone veneziano Tofano di pagare in ritardo il salario osservando: «i mis in casavostra in alla soldadesca, da 36 zornadi l’un» (C. SCALIGGERI DALLA FRATTA [= A. BANCHIE-RI], La Catlina da Budri overo il furto amoroso, Bologna, Eredi Cochi, 1628, p. 5). su i loza-meg ‘negli alloggiamenti’. sguazzà’ ‘darsi al bel tempo’ (ma forse meglio ‘mangiare in abbon-danza’): cfr. CORTELAZZO 2007: 1245 e GDLI XVIII 10336 (nell’es. di Sanudo il verbo è riferi-to ai soldati: «Le zente d’arme voria si tolesse, perché non li manca aver le sue pag[h]e, e sta-riano a sguazar per le terre senza afaticarse»). Che la voce appartenesse al gergo militare è pro-vato da Parlamento 115 «A’ favelom cossì in campo. “Alzare” vuol dir magnare, “sguazare”vuol dir triomfare» (la dittologia «sguazza e trionfa» poi ancora in BASILE Cunto 388); ma giànel Pataffio sguazzare vale ‘mangiare qualcosa con avidità e con gusto’ (GDLI XVIII 103316; lavoce non è in DELLA CORTE 2006). Per il significato più generico di ‘darsi al bel tempo’ cfr. iCanti carnascialeschi citati in DELI 1523, BIBBIENA Calandra 116 «colui con chi sguazar dèi, visobello» e SGAREGGIO V2v «[...] canta e scrivi / in despriesio d’Amor, e sguazza e vivi». L’inte-resse per il gergo militare in commedia è testimoniato per es. anche da ARETINO Marescalco 90«pettine in campo vuol dir mangiare a scrocco» (su pettine vd. L. LAZZERINI, Parole calmiane(giunte e correzioni alla «Spagnolas»), in SMV XXVIII 1981, pp. 133-152: 148-152). gloriosa‘fastosa, sontuosa’ (GDLI VI 935). 38 Venga il canchero ai tedeschi e ai francesi, adesso che m’ero innamorato di una mia vicinaed ero sul punto di avere la mia soddisfazione, mi è stato ordinato di presentarmi a cavallo incampo entro otto giorni. Orsù, pazienza, voglio drizzare l’ingegno, e vedere di combinare unbel colpo o dentro o fuori.content lett. ‘soddisfacimento’, ovviamente sessuale. a’ ’l m’è stà fag ù comandamet: per la locu-zione e per il significato militare di comandamento vd. GDLI III 336. camp: quello militare;cfr. met camp ‘castrametor’ in D’AGOSTINO 1983: 97 e per es. GIANCARLI Capraria 57 «andarin campo a farmi amazzar». a’ ’m voi drizzà’ l’inzegn, e sì voi vedì’ de fà’ ù bel trag o deter o fo’ossia ‘voglio aguzzare l’ingegno e voglio vedere di mettere a segno un bel colpo o dentro ofuori’; ma drizzà’ l’inzegn allude all’erezione (per ingegno ‘organo sessuale maschile’ cfr. DLA257 e ad es. INGANNATI 165 «[Gli uomini] non cercano altro da voi che la grazia vostra; e chevogliate conoscere gli ingegni loro, chi l’ha grosso e chi l’ha sottile»); anche bel trag o deter ofo’ allude al rapporto sessuale (DLA 154 s.v. dentro al punto 4).39 Voglio andare tanto in su e in giù davanti alla sua porta, finché non venga fuori una buonavolta. E voglio sfogarmi una volta almeno a parole: se non le potrò fare altro le voglio dire:«Signora Bettia, vado: ricordatevi che le armi e i cavalli e l’uomo sono a vostra disposizione e

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voi andà’ in ca’, mi. E s’el vegnes vergù che ’m dises negot, a’ só ù valen-tom, a’ menarò i mà, mi. Fa’ un bó anem, Tonì. No fà’, Tonì, el te porefintervegnì’ qualc garbòi, qualc inconveniet! A’ ’g voi andà’, al sang deDes, que sarà ma’? 40 Que ’m può intravegnì’? Torna indrè, Tonì, che perDè, per Dè, a’ ’l poref es ascos qualcù in casa e saltà’ fo’ a l’improvis etiràt zò ù braz. A’ corraref po la lanza, indol cul! E ’l patró po’, co’ ’l losavis, el l’aref per mal. Per amor dol me’ patró a’ no ’g voi andà’, ch’a’no ’m voi privà’ d’un om sì fag. E sì a’ ’g voi andà’, al sang dol cancher! 41

per tutto il resto voglio che possiate adoperarmi né più e né meno che se fossi vostro marito».A’ voi andà’ tant in sus e in zos denag alla so’ porta: la frase è certo passibile di un’interpretazio-ne sessuale (sia per il movimento in sus e in zos, sia per la porta di Betìa). E sì a’ ’m voi sborà’ù trag: sborà’ può alludere all’eiaculazione (DLA 504 e più avanti II 6). a’ voi ch’a’ ’m possédovrà’ né plù né manc con’ s’a’ fus vos marit: la proposta è ammiccante, sia per l’ambigua assi-milazione di Tonin al marito di Betìa, sia per il significato potenzialmente sessuale di dovrà’‘adoperare’ (cfr. DLA 7 s.v. adoperare e CALMO Saltuzza 49 nota 7).40 Voglio aver coraggio: voglio andare a battere all’uscio e andare in casa, io. E se venisse qual-cuno a dirmi qualcosa, sono un valentuomo, menerò le mani, io. Abbi coraggio, Tonin. Nonfarlo, Tonin, che potrebbe capitarti qualche complicazione, qualche inconveniente! Ci voglioandare, al sangue di Dio, che sarà mai?Voi fà’ ù bó anem lett. ‘voglio far(mi) coraggio’, secondo l’accezione di animo registrata sia inBOERIO 36 s.v. ànemo, sia in TIRABOSCHI 74 «Fa o Fa sö anem – Dare animo, Animare, Fareanimo, Incoraggiare»; per la locuzione cfr. PICCOLOMINI L’amor costante 355 «Bisogna farbuon animo, qui». vergù ‘qualcuno’ (TIRABOSCHI 490 s.v. ergù). negot ‘niente’ (TIRABOSCHI844 s.v. negót): qui «con valore positivo» (ZORZI 1398). valentom: cfr. CORTELAZZO 2007:1445 (con un es. dall’Arcibravo veneziano). intervegnì’: cfr. poco oltre intravegnì’, e più sottopavano intravegnire I 60. qualc garbòi lett. ‘qualche garbuglio’, ‘qualche complicazione’: cfr.TIRABOSCHI 588 s.v. garbòi, con rimando a ingarbòi ‘garbuglio, confusione’, CORTELAZZO2007: 601 s.v. garbugio e RIGOBELLO 205 garbòi ‘situazione intricata’ (Malcesine, isola lingui-stica bresciana sulla sponda veronese del Garda); stesso significato anche in GIANNOTTI Vec-chio amoroso 63 «ne nascerà qualche garbuglio», FOLENGO Baldus III 400-401 «nam tibi pro-mitto, ni praelia costionesque / garbuiosque sinas, vives mihi tempore poco», e ODDI Erofilo-machia 267 «Si farà garbuglio forse?». al sang de Des lett. ‘al sangue del dieci’, eufemismo per‘al sangue di Dio’: altri due ess. bergamaschi di Des rispettivamente in D’ONGHIA 2005: 189v. 40 «Vé zà, pota de Des» e nell’Egloga di Ranco Tuognio e Beltrame v. 59 «in fe’ de’ Des»(DA RIF 1984: 124; forme garantite dalle rime con Gnes ‘Agnese’ e con des ‘dessi’, dises ‘dices-si’); un caso perfettamente identico nel pavano di TUOGNO ZAMBON 85 «potta de diese».Sfrutterà la confusione con dì ‘giorno’ il portiano sangua de dì de not (C. SALVIONI, Miscella-nea etimologica e lessicale, in «Romania» XXXIX 1910, pp. 433-475, poi in SALVIONI 2008 IV:1031-1073, a p. 1072). Per de Des vd. Nota al testo § 1.1.2.41 Che può succedermi? Torna indietro, Tonin, che per Dio, per Dio, potrebbe esserci qual-cuno nascosto in casa e saltar fuori all’improvviso e staccarti un braccio. Correrei poi la lan-cia, nel culo! E il padrone poi, se lo sapesse, se n’avrebbe a male. Per amore del mio padronenon ci voglio andare, che non voglio privarmi di un uomo come quello. E invece ci voglioandare, al sangue del canchero!A’ corraref po la lanza, indol cul! ossia ‘non potrei più combattere’: per correre la lanza, eserci-zio d’abilità militare, cfr. CORTELAZZO 2007: 691 punto (5) e GDLI III 824 ai nn° 47 e 48; il«sintagma esclamativo di valore negativo» in lo culo è registrato in MILANI 1970 (2000): 71,con significato vicino a quello dell’italiano parlato “un cazzo” o “col cazzo”; vd. anche GIAN-CARLI Capraria 147 «cuorni in lo culo!». patró: presumibilmente il condottiero alle cui dipen-denze Tonin milita, e dal quale riceve lo stipendio.

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[Scena terza] BETTIA apre mezzo l’usso con un cesto in man

BETIA Uh uh uh! A’ m’aì fatto morire el cuore! 42

TONIN Morì’ ol cur? A mi no morirà-l zà, che no l’ho 43.BETIA Mo onv’è-lo andò? 44

TONIN A’ l’è lu indol vos sé, viset me’ tondarel 45.BETIA A’ n’he cuor de negun, mi! An’ de le zotte va a marìo! 46

TONIN Al sango dol cancher, com è possibel quest, che bellezza e cru-deltà staghi insema? Ho vedut a i me’ dì uomeng e fomni d’ogni gene-ratió, gh’ho vedut buò, vachi, cavai, scrovi, porcei e aseng, e mai nom’ho possut inamorà’ se no in vu, coresì me’ dolzo, talmet ch’a’ possibé dì’ amaramet. Oh cancher, a’ si’ pur bella, a’ si’ pur tutta relusenta 47.

42 Uh uh uh! Mi avete fatto morire il cuore!morire el cuore: per la paura.43 Morire il cuore? A me non morirà di certo, visto che non l’ho.Morì’ ol cur? A mi no morirà-l zà, che no l’ho: cfr. Betìa 251 «ZILIO: Mo a’ no cagherè zà el cuore,/ perché a’ no l’he. NALE: Con, cancaro, che te no l’he? / ZILIO: Mo a’ no l’he, no. / NALE: Moon’ èlo andò? / ZILIO: Mo l’è cun la Betìa»; vd. anche Piovana 893 «Mi a’ son qua, e ’l me cuoree ’l me anemo è drio a la Nina mia morosa». L’immagine è comune e antica: già nel cosiddet-to Frammento papafava ai vv. 5-6 si legge «ké me’ mario se n’è andao, / ke ’l me’ cor cun lui àportao» (CONTINI PD I 806; un nuovo frammento del testo è pubblicato in LIPPI 1987 [2003]).Per posizione cronologica e prestigio il modello comico potrebbe essere BIBBIENA Calandra140 «SAMIA: Domandane il cor tuo. LIDIO FEMINA: Non posso. SAMIA: Perché? LIDIO FEMINA:O non sai che ’l cor mio è con lei?»; cfr. pure MANTOVANO Formicone 34 «se ben col corpoparto, il cuor sempre riman teco», ARIOSTO Cassaria in versi 151 (II II vv. 854-856) «Ohimè,partendosi, / che fia di me? Dovunque vada Eulalia, / anderà il mio cor anco», CROCE Fari-nella 22 «io gli sarò sempre vicino con il cuore, anzi pur ch’io lo lascio nel suo petto, e me nevado senza», CROCE 2006: 305 «molti per lei ne vanno senza core nel petto», PVLON MATT 88«an sò ie, / ch’ sò viv nò, l’è u mie cor ch’ viv an lie», BALDOVINI Lamento 46 «e un dono anchedel cuore i’ vorrei farti, / ma i’ non l’ho piùe, ché tu me l’hai rapito», e lo svolgimento manie-ristico del tema in FIGARO H4v, dove l’amata viene apostrofata così: «Mo arbassa gi uocchi inmezo del to sen / que livelò te ghe veré ’l me cuore [...] che ’l sarà livelò in seraggia / drentoal to sen». Poiché la poesia popolaresca aveva tra le immagini favorite proprio questa «delcuore rubato» (VIDOSSI 1960: 55-56 e nota 49), sembra sviante scorgervi le tracce del «gran-de stile letterario» (FRANCESCHETTI 1998: 206).44 Ma dov’è andato?45 È nel vostro seno, visetto mio rotondetto.viset me’ tondarel: la pienezza del viso è attributo ricorrente della bellezza femminile nella let-teratura popolareggiante; vd. CALMO Saltuzza 51-52 «sì bel voltazzo, ch’el pare una luna detutto tondo», MAGAGNÒ Rime II 43r «Oh raise me’ bona / viso me’ bello, viso me’ reondo»,SGAREGGIO X3r «Senza el luxente so’ viso reondo», FIGARO L4r «per amor de quel reondo /viso de la me’ Dia, lusente e chiaro», CALDERARI 31v «musetto reondo».46 Non ho il cuore di nessuno, io! Anche delle zoppe trovano marito!A’ n’he cuor de negun, mi! An’ de le zotte va a marìo!: Betìa dispiega la propria civetteria per farsicorteggiare dal soldato e aumentarne l’eccitazione. Per zota ‘zoppa’ cfr. tra l’altro AIS 191,CORTELAZZO 2007: 1541 e BIBBIA 15.47 Al sangue del canchero, com’è possibile questo, che bellezza e crudeltà stiano insieme? Hoveduto in vita mia uomini e donne di ogni tipo, ho visto bovi, vacche, cavalli, scrofe, porcelli

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BETIA Uh, uh! A’ no son gnian la mitè de quel ch’a’ solea esser, a’ sondesvegnùa, che a’ m’arecorde ch’el n’arè besognò che un, ch’aesse abiùle ungie lunghe, m’aesse freghezò d’intorno, ch’el m’arae sfendùa, sìgieri-gi frisia! 48 Foesse cossì adesso, el ve parerae ben pì da novo. Maga-

e asini, e non mi sono mai potuto innamorare se non di voi, cuoricino mio dolce, tanto cheposso ben dire (di essermi innamorato) amaramente. Oh canchero, siete pur bella, siete purtutta rilucente.bellezza e crudeltà staghi insema: nella tradizione rusticale cui la parte di Tonin attinge a pienemani la spietatezza dell’amata è un tratto topico (FIDO 1991-1992: 224). Ho vedut a i me’ dìuomeng e fomni d’ogni generatió, gh’ho vedut buò, vachi, cavai, scrovi, porcei e aseng: l’esperienzadel mondo con la quale Tonin cerca di darsi un tono davanti a Betìa risponde – nonostante ilsuo ruolo di soldato – alla topica dei modelli rusticali (Vallera dichiarava infatti a Nencia d’es-ser stato «in città e ’n castella, / e mai ne vidi ignuna tanto bella», squadernando poi la listadei mercati visitati, tra Empoli e Barberino). Per d’ogni generatió cfr. TIRABOSCHI 394 s.v. gene-rassiù «D’ogne generassiù – D’ogni generazione, cioè D’ogni sorte, D’ogni qualità» (e cosìBOERIO 303 s.v. generaziòn). La figurina del ‘bergamasco uomo di mondo’ – sfruttata anchedalle stampe popolari – tornerà nello Scarpella di CALMO Spagnolas 26, che allude forse pro-prio alla nostra battuta quando dice: «e sì gh’ho vedut plù piver, plù garofoi, plù fate de spe-zii, de omegn salvadegh, de fomen, d’anemai» (anche qui il militare giramondo Scarpella fini-sce per innamorarsi di una vicina; vd. il commento alle pp. 147-148 e qui Introduzione §4). coresì me’ dolzo: per l’appellativo vd. ad es. BOERIO 198 s.v. coresin «POVERO CORESÌN! [...]Dicesi a bambino per vezzo». relusenta: aggettivo connotato in chiave rusticale (cfr. anchesopra uuogi lusinti I 23): vd. in BOCCACCIO Corbaccio 481 le «carne [...] lucenti e chiare» delladonna, NENCIA 140-141 «non vidi mai la più pulita testa, / né si lucente, né si ben quadrata»,BUOVO 48, 98, 107, 120, DAGLI ORZI Massera 255 «Quant af sguaiti, madonna, quel bel mus /cha ghi cazàt ol co fò dol balchó, / l’è xì lusét, codsela, cha’l sberlùs» (dalla mattinata berga-masca stampata in appendice), FOLENGO Macaronee minori 267 «O Zanina meo plus stralu-senta badilo» e Baldus VI 136-138, VI 540.48 Uh, uh! Non sono neppure la metà di quel che ero, sono deperita, che mi ricordo che sareb-be stato inutile che uno con le unghie lunghe mi avesse sfregato tutt’intorno per graffiarmi,tanto ero soda!desvegnùa: cfr. CORTELAZZO 2007: 465 desvegnudo e ad es. Rime alla venitiana, dove trovareteun Capitolo e una Barzeleta in Sdruzolo & un Sonetto molto bello [...], In Venetia, & ristampa-ta in Mantova per Iacomo Ruffi, s.d., c. Aiiir (British Library 1071 c 63 31): «E son sì desve-gnuo / che paro quando son spoià in zipon / la Nottomia de mistro Lion»; vd. anche MAZ-ZUCCHI 74 desvegnere «(di persone e di animali) Dimagrire» e in parte NACCARI - BOSCOLO173 desvegnire ‘svenire, mancare’. a’ m’arecorde ch’el n’arè besognò che un, ch’aesse abiù le ungielunghe, m’aesse freghezò d’intorno, ch’el m’arae sfendùa, sì gieri-gi frisia!: meno chiare a mio avvi-so le traduzioni di LOVARINI 18-19: «mi ricordo che non c’era verso che uno, avesse pur avutole unghie lunghe e me l’avesse sfregate attorno, mi avesse fenduto la pelle, tanto ero soda», edi ZORZI 600: «Mi ricordo che se uno avesse avuto le unghie lunghe e me le avesse sfregateintorno, non mi avrebbe graffiata, tanto ero soda» (è tralasciato «el n’arè besognò»). Immagi-ni simili pure nell’egloga maggiore di Paolo da Castello «Se tu ge treue de man in t’una nega./ Tu no l’hauerou poduda piccigar. / Si erela al picigot dura. e salvega» (SALVIONI 1902-1904[2008]: 617 vv. 629-631), in MAGAGNÒ Rime IV 60v «Le so carne è sì stagne, / ch’el cancarome magne / se vu segnor paron / possè darghe int’i brazzi un picegon», e in altri testi diRuzante, Cornaro e Morello (cfr. sotto il commento a frisia). freghezò: intensivo senza altriess. nel CORPUS PAVANO e nei dizionari spogliati; da fregare ‘sfregare’, ‘strofinare’ (BOERIO 287,BELLÒ 74, MAZZUCCHI 91, MIGLIORINI - PELLEGRINI 28, NACCARI - BOSCOLO 208, PRATI Vals.72, RIGOBELLO 198). sfendùa: cfr. BIBBIA 40 «prie sfendùe o rote»; vd. anche sfender in COR-TELAZZO 2007: 1239 e BOERIO 650, sfendre in PRATI Vals. 165, engadinese sfendere di REW 3312(sfesàr in BELLÒ 177 e sfessare in NACCARI - BOSCOLO 500 son rifatti sul participio; NINNI III:

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ri! Ch’a’ ve zuro per sti santi Dè guagnili ch’a’ parrae un segiello chefoesse stò fregò da fresco, cussì me lusea la pelle! 49

TONIN Oh Dè, a’ saref pur aventurat se ’m volissef un po’ de bé! 50

BETIA Mo chi ve vuol male? A’ no vuo’ male a negun, mi, a’ no ve vuo’male mi, alla ffe’ no, alla ffe’, sier Tonin 51.TONIN No, a’ voref ch’el v’intres un poc dol me’ amor indol vos sé, viset

21 ha «ose sfesa, çervelo che no pesa»). frisia: probabilmente ‘soda’ ‘compatta’, ma nonrisulta testimoniato dai dizionari (ZORZI 1399; LOVARINI 19: «soda»); vd. le perplessità diVIDOSSI 1954: 444: «Per il senso sta bene, ma la parola, di cui mi mancano riscontri, cos’è?».Altre attestazioni: Prima Oratione (ms. 36 della Biblioteca Civica di Verona): «Haìvu mè vezù,la Vostra Scislencia, de quî biegi cieffi o ramonaci de nogara, de quigi ch’ha quella scorza vizia,gualiva, sfrisia da morbezo, che è gruossi con è un atraverso, che trà cossì al bianco? Mo ben,così è le sue cossonace, e cossì dure int’el picegare» (CORPUS PAVANO; il testo di PADOAN 1978:201 § 19 ha friçia tradotto ‘fresca’ senza rimandi, come in ZORZI 1191; in apparato non è regi-strata la variante sfrisia); Rasonamento § 6 «le ha le carne cussì frisie e dure, che le no ghe sepo’ pizzigare»; Orazione di Cornaro (in un passo derivante da quello ruzantiano della PrimaOratione): «Mo quelle so cosonaze po, reonde grosse e norie che le no se pò strafenzere selomè chi no le pigia con tutte do le man [...]; bianche e dure che le no se pò picegare, e slisiee gualive che le somegia puorpiamen du gran ramonazzi de qualche bella gran nogara o dequalche albara, de quigi che è bianchi nisii frisii muorbi e gualivi de scorza, che trà al some-giare la carne naturale» (CORNARO 1981: 14-15); Sprolico di Morello: «E se pure qualcuno dequisti sarà bello, gualivo, frisio, nuorbio, reondo, molesin, tenderin e ben informò de fuoravia» (CORPUS PAVANO). Con questo manipolo di ess. andrà forse anche lo sfripia unanime-mente tramandato dai testimoni dell’Anconitana in una battuta simile a quella della Moschet-ta: «A’ vora’ che a’ me assè vezùa zà assé... Signore, a’ iera pur bela, a’ iera pì sfripia che n’èna verza» (p. 807). Qui sfripia (se non è da correggere in sfrisia) è di nuovo riferito a vegetaleappena raccolto, di cui indica la compattezza e la freschezza. Non sembra persuasivo l’etimogermanico *FRISK-, che in tutti i continuatori italiani settentrionali conserva la velare sorda(REW 3521); la questione resta aperta (non pare utile il riferimento al nome proprio femmini-le Frixa testimoniato nel Frammento Papafava: CONTINI PD I 805; altre attestazioni del nomein LIPPI 1987 [2003]: 23 e nota e 44-45).49 Fossi così adesso, sareste rimasto meravigliato. Magari! Che vi giuro per questi santi van-geli di Dio che sembrerei un secchiello appena lucidato, tanto mi splendeva la pelle!per sti santi Dè guagnili: per la formula di giuramento (lat. «per sancta Dei evangelia»), diffu-sa fin dalle origini della letteratura veneta (MILANI 22), cfr. CALMO Saltuzza 55 e nota 28. se-giello: cfr. CORTELAZZO 2007: 1220 sechièl e sechiellet in SALVIONI 1902-1904 (2008): 623 v.813; nei dialetti attuali prevale la forma con affricata palatale sorda: sechièlo (BOERIO 639),secièl (BELLÒ 174), secielo (MAZZUCCHI 232), secèl (MIGLIORINI - PELLEGRINI 92). fregò: cfr.BORTOLAN 126 fregò ‘lucidato’, NACCARI - BOSCOLO 209 fregare èl rame ‘lucidare recipienti dirame’, PIANCA 75 fregàr ‘pulire energicamente’ (fregàr le cógome, i séci, le téce de ran ‘pulire lestoviglie per le feste’). Per l’intera battuta valgono i rimandi al luogo di Anconitana 807 citatoalla nota precedente (vd. già DANIELE 2004: 171) e alle civetterie della serva Betìa in Vaccaria1143 sulla propria voce («Te me vorissi aér aldìa quando a’ stasea de fuora. A’ no canto la mitéde quel ch’a’ solea fare») e sul proprio aspetto fisico («Oh, s’te m’aìssi vezù zà assé, te arìssiben abù che dire, s’te di’ adesso, che no ghe son meza»).50 Oh Dio, sarei pur fortunato se mi voleste un po’ di bene!aventurat: cfr. GDLI I 892 s.v. avventurato2.51 Ma chi vi vuol male? Non voglio male a nessuno, io, non vi voglio male, parola mia no,parola mia, signor Tonin.A’ no vuo’ male a negun, mi: cfr. in parte la battuta di Bessa in Anconitana 805 «A’ no fago sten-tar negun, mi. Che ve fàgogi?». alla ffe’: cfr. I 4.

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me’ tondarel! Che aca vu provesef com’ a’ ’m retrovi plé de tribulatió eaffang e d’intrigameg che ’m va per ol cervel per amor voster! 52

BETIA A’ ve dirè la veritè, mi: a’ no si’ per mi, messiere, né mi son pervu 53.TONIN A’ ’m reffudéf per poltró doca? A’ m’ ’ì reffudat, e sì è quator-des agn che fazzi sto mester! 54

BETIA A’ no dighe così mi, a’ dighe ch’a’ no si’ da me’ brazzo... 55

TONIN Cara dona Bettia, a’ sarem pur da braz se s’abrazzem... [tenta diabbracciarla] 56

BETIA [gli sfugge] A’ dighe ch’a’ no vuo’ 57.TONIN Che debi doca fà’? 58

BETIA Mo fé un bruò, perqué agnun n’abie... 59

52 No, vorrei che vi entrasse un po’ del mio amore nel petto, visetto mio rotondetto! Cheanche voi provaste come mi ritrovo pieno di tribolazioni e di affanni e di pensieri che mi vaga-no per il cervello per amor vostro!indol vos sé: cfr. TIRABOSCHI 1195 s.v. sé; è la sede del cuore spietato di Betìa. viset me’ tonda-rel: cfr. I 28. intrigameg lett. ‘pensieri ingarbugliati’ (cfr. l’accezione ‘impacciarsi, mettersi inqualche affare’ in TIRABOSCHI 681 s.v. intrigàs; anche BOERIO 351 s.v. intrigàr e RIGOBELLO 242intrigare ‘mettere difficoltà’).53 Vi dirò la verità, io: non siete per me, messere, né io sono per voi.54 Mi rifiutate dunque come un poltrone? Mi avete rifiutato, eppure sono quattordici anni chefaccio questo mestiere!reffudéf: cfr. reffuò I 23. poltró: cfr. Pr. 8. sto mester: ol mester dol sold (I 24) incompatibilea dire di Tonin con la poltroneria.55 Non dico questo, dico che non siete della mia condizione...a’ no si’ da me’ brazzo: cfr. Piovana 959 «no iera femena de so brazo», CORTELAZZO 2007: 221«el no è da so brazzo» (Dieci Tavole dei Proverbi), e MENEGAZZO 1969 (2001): 334: «[...] un’al-tra teste, dopo aver espresso decisamente l’opinione che un matrimonio tra i due non fosseconcepibile per il dislivello sociale, e che Bianca “la no era de so condition, né de so brazo”[...]».56 Cara signora Betìa, saremo pure della stessa condizione se ci abbracciamo...a’ sarem pur da braz se s’abrazzem lett. ‘saremo pure “da braccio” se ci abbracciamo...’: la prof-ferta di Tonin fa leva sull’equivoco dell’espressione precedente ‘essere da brazo’.57 Dico che non voglio.58 Che devo fare dunque?59 Ma fate un brodo, così ne avranno tutti...Mo fé un bruò, perqué agnun n’abie: per «un bruò» cfr. Nota al testo § 1.2.2. ZORZI 602 con-serva «fè in bruò» e intende «Fatela in brodo, perché tutti n’abbiano», parlando senza spie-garsi di «uscita spudorata» (p. 1399); letterale ma non più soddisfacente la resa di LOVARINI19: «Fate in brodo, perché ognuno n’abbia» (libera la traduzione di bruò data da MORTIER1925: 134 «ce qu’il vous plaira»). La battuta potrebbe esser spiegata alla luce dell’equipara-zione tra broda / brodo e ‘sperma’ (DLA 64-65): indubitabile la testimonianza offerta da unsonetto pavano del codice Ottelio: «<E po> ge la [scil. l’organo sessuale femminile] faréimbrelare / e sì ge butarè tanto bruò in boca / che ’l parera che ’l g’aesso schitò un’oca» (MILA-NI 40); mentre è parte di una più complessa immagine arborea (ma non meno allusiva) il dolcebruò che la fanciulla amata fa uscire palpando il figo in cui l’innamorato si è trasformato (CAL-DERARI 26v). Altrove il brodo allude allo stato d’eccitazione della donna (vd. CALMO Travaglia180 e ISELLA 2005: 169 vv. 15-17 dai sonetti di Fabio Varese).

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atto primo

TONIN A’ no so com a’ ’m debi governà’: s’a’ fos in ù fat d’armi o intu-na scaremuzza, a’ ’m saref governà’, perqué a’ meneref i mà... 60

BETIA Mo chi mena le man s’agiaga... 61

TONIN A’ voref una gratia da Domnedè, e po saref contet per ù pez! 62

BETIA E an’ mi ne vorrae n’altra... 63

TONIN Que voresef viset me’ bel? 64

BETIA Mo que vossé-vu vu? 65

TONIN Mo disìl in prima vu... 66

BETIA Mo dìlo pur inanzo vu, sier Tonin 67.TONIN A’ voref es ù cest, che ades ch’andé a dà’ da mangià’ a i galini a’’m tegnisse ol maneg ì mà, e vu que vorresef? 68

BETIA E mi a’ vorrae zò que toco doventasse polenta de fatto 69.

60 Non so come comportarmi: se mi trovassi in un combattimento o in una scaramuccia, sapreicome fare, perché menerei le mani...governà’: governarsi ‘comportarsi’ in GDLI VI 9959. scaremuzza «scontro breve e non decisivotra forze di scarsa consistenza» (DELI 1458; anche CORTELAZZO 2007: 1188), qui contrappostoai fat d’armi nominati prima (solo il tipo sc(h)aram- nella banca dati del TLIO, con trentaquat-tro occorrenze); in Parlamento 115 117 e 119 scalmaruza (pavano).61 Ma chi mena le mani s’aiuti...Mo chi mena le man s’agiaga...: cfr. la profferta di Bessa in Anconitana 805 «N’aìvu do manpichè al busto, da poerve aiare?» e per l’espressione MARCHESINI 5 «Mena le man, se te cier-chi aiare»; per agiaga vd. I 10. Significato erotico di menare le mani anche in PARABOSCO Fan-tesca 92-93 «PANDOLPHO: Tien le mani a te, imbriacco! RAMOSO: S’io non menassi le mani, ionon avarei mai un piacere al mondo! P: Menale sopra una gratuggia. R: Foss’ella morbidacome sei tu... Basciami, vòi?», MAGAGNÒ Rime II 45r «brighente ch’arae menò le man» (sonoi corteggiatori di una fanciulla), BERNINI Impresario 52 «Oh, sta Roseta me va pur al fasgioloa me! Se ’l Signor Graziano me mette a lavora’ qua da costei, bel mena’ de ma’ ch’ho da fa’».62 Vorrei una grazia da Dio, e poi sarei contento per un pezzo!63 E anch’io ne vorrei un’altra...64 Che vorreste visetto mio bello?65 Ma voi che vorreste?66 Ma ditelo prima voi...67 Ma ditelo pur prima voi, signor Tonin.68 Vorrei essere un cesto, così adesso che andate a dar da mangiare alle galline mi terreste ilmanico in mano, e voi che vorreste?maneg: sta per ‘pene’ (DLA 297-298, FERRERO 1991: 207, RIGOBELLO 267 mànego ‘sesso del-l’uomo’, dialetto di Castagnaro). Il sovrasenso di manico è sfruttato anche in Piovana 929:«Per certo l’amore sta pì ontiera int’i màneghi ca in altro luogo. Daspò ch’a’ he tolto sto màne-go in man, a’ no sentì mé el maor piasere».69 E io vorrei che ciò che tocco diventasse subito polenta.E mi a’ vorrae zò que toco doventasse polenta de fatto: lo stesso augurio in Betìa 185 «E pur, sel’è Dio, / preghèlo che per vostro amore / el me fazze catar la mia cavala / che m’è muzà destala, / o st’altra graçia ch’a’ dirè: / che zò che adesso a’ tocherè, / devente polenta de fato [ecosì dicendo, tocca la barba a Barba Scati]». Ovvio che la trasformazione del ‘manico’ inpolenta allude qui in maniera trasparente al soddisfacimento del desiderio sessuale di Tonin.Ma l’invocazione rimanda forse anche a uno dei nuclei tematici più profondi della letteraturarusticana, la fame atavica e insaziabile del contadino: la battuta di Betìa conserva infatti il tonoutopico delle descrizioni del paese di Cuccagna o del mondo alla rovescia (vd. V. ROSSI, Ilpaese di Cuccagna nella letteratura Italiana, in CALMO Lettere 398-410, COCCHIARA 1956, COC-

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moschetta

[Scena quarta] In questo RUZZANTE vien cantando

RUZANTE «Una volta ch’a’ fosse certo, de buon cuore che te m’amassi...» 70

BETIA Tuove via, tuove via, ch’el ven Ruzante! 71

RUZANTE Darondella dan dan, diridondella, tirirella, tirirella... Canca-ro, a’ he la gran legrezza, a’ he tanta legrezza, che la camisa me sta tantoerta dal culo! A’ he guagnò tanti dinari, ch’a’ me comprerae mezo unbò! Oh cancaro, a’ son pur cattivo, a’ son pur par d’i lari, a’ ghe l’he purarchiapò quel soldò bregamasco! 72 El m’aea dò dinari ch’a’ i portesse a

CHIARA 1963: 209-217, C. GINZBURG, Il formaggio e i vermi, Torino, Einaudi, 1976, pp. 96-101). DANIELE 2004: 171 ravvisa nelle parole un ricordo della carestia degli anni 1527-1529;sulla diffusione della polenta, per lo più di miglio (o di sorgo) prima dell’affermazione del maisnel secondo Cinquecento, vd. L. MESSEDAGLIA, Leggendo le «Maccheronee». Spunti ed appun-ti di storia dell’alimentazione e del costume (1923), in MESSEDAGLIA 1973: 109-145, nonchéMESSEDAGLIA 2008, in part. p. 144. Per de fatto ‘subito’ (LOVARINI 20: «sul fatto») cfr. Pr. 2.70 Una volta che fossi certo / che mi ami di buon cuore...«Una volta ch’a’ fosse certo, / de buon cuore che te m’amassi...»: per questa canzone mancanoriscontri (vd. LOVARINI 1965: 165-236: 168).71 Andatevene, andatevene, che viene Ruzante!Tuove via, tuove via: così la stampa princeps, in entrambi i casi emendata da Zorzi con tuo[li]ve.A parte il fatto che supporre un errore ripetuto per due volte di séguito è tutt’altro che age-vole, la prudenza è imposta da altri ess.: «tove via de fato» (Anconitana 863; Zorzi: «To[e]ve»),«Tove» (Piovana 969; Zorzi: «To[li]ve»), «tove via de chì» (Dialogo secondo 147; Padoan:«to<li>ve»), «tove via, caro frello» (Dialogo secondo 149; Padoan: «to<li>ve»). La documen-tazione è compatta e impone di conservare queste forme, costruite su tuòte ‘togliti’ con sem-plice sostituzione del clitico (36 esempi di tuò, 13 di tuòte, 6 di tuòteme, 1 di tuòteghe, 1 dituòtela in Ruzante stando alla LIZ). Difficile che tuove possa spiegarsi in virtù del dileguo di lintervocalico, tratto dalla cronologia discussa al quale non possono essere addebitate del restoneppure forme come toèlla (qui a II 24; vd. per contro tolello nel veneziano di Collofonio inCALMO Travaglia 210 battuta 145) o toìve (con cui l’edizione Greco del 1584 corregge tove diDialogo secondo 147: cfr. l’apparato nell’edizione Padoan): in questi casi la presunta evane-scenza di l si riscontrerebbe infatti sul confine desinenziale, ed è più semplice supporre, alme-no per toìve, che la desinenza segua direttamente un tema tò ricavato da quello della secondapersona (un esempio di toì ‘prendete’ già nelle venete Leggende sacre del MagliabechianoXXXVIII.110: banca dati TLIO; su l ‘evanescente’ vd. ora TOMASIN in c.d.s.).72 Darondella dan dan, diridondella, tirirella, tirirella... Canchero, sono molto allegro, sonocosì allegro che la camicia mi sta sollevata di tanto così dal culo! Ho guadagnato tanti denari,che potrei comprarmi un mezzo bue! Oh canchero, sono pur cattivo, sono pure come i ladri,l’ho pure ingannato quel soldato bergamasco!Darondella dan dan, diridondella, tirirella, tirirella: onomatopee che imitano il canto; vd. MILA-NI 444 «dirondella dirondosa, / ch’a’ son tutto vostro, tosa» e Piovana 923 «Tin dindin dirindindin, ton dirondon doron dorondon...». a’ he tanta legrezza, che la camisa me sta tanto ertadal culo: cfr. BOERIO 122 «LA CAMISA NO GHE TOCA EL CULO [...] dicesi in modo basso di Chiper soverchia allegrezza quasi non cape in sé stesso», NINNI II: 184 «La camisa no ghe toca elculo (A chi si mostra molto contento)», LEI 10.143.6-30 per la diffusione della locuzione intutta l’Italia settentrionale. Altri due ess. in Ruzante (MILANI 1970 [2000]: 105): Prima Ora-tione 211 «Te te sinti, frelo, che la camisa no te tocca el culo», Seconda Oratione 49 «la camixano ghe toca le neghe» (con rimando di PADOAN 1981 a BOCCACCIO Decameron IV 2 29); cfr.

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atto primo

un, e mi a’ he fatto vista – oh cancaro, a’ son pur scozzonò! – a’ he fattovista che un m’abi tagiò el borsetto e scapè su i marchitti, e mi a’ gi hetegnù per nobise! Agno muo’ Dio sa a che muo’ el gi ha guagnè, an’ello... Oh cancaro, a’ ghe l’he pur archiapò mi, ello, che è soldò: perquéel se ten sì sanzarin! 73 Poh oh! E sì è soldò... e mi ghe l’he archiapò!

più tardi REGONÒ F3v «Sarì caxon, co a spiero, e me la sento / que gnan la braga me toccherà’l culo». Dopo l’occorrenza più tarda registrata da LEI 10.143.16 (dizionario della Crusca del1866), la locuzione si trova ancora nella Novella del vivicomburio: «I lei proci, concorsi sullaconsolare, non poteano stare ne’ panni; la camicia non toccava loro il culo» (V. IMBRIANI, Rac-conti e Prose [1877-1886], a c. di F. Pusterla, Parma, Fondazione Bembo - Guanda, 1994,p. 139; per la sua derivazione vocabolaristica cfr. D. ISELLA, L’Imbriani e il «Vocabolario mila-nese» del Cherubini, in ID., L’idillio di Meulan. Da Manzoni a Sereni, Torino, Einaudi, 1994,pp. 130-137: 135). Per erto ‘alto’ cfr. BOERIO 254. mezo un bò ‘un mezzo bue’: per il tipo sin-tattico cfr. la didascalia tra I 24 e I 25 «Bettia apre mezzo l’usso con un cesto in man»; ancheBetìa 393 «mezo un pan», Betìa 433 «ela sola servì / a mezo el campo de Spagnuoli e Toeschi»,Anconitana 871 «a’ laoro lomé per mezo un», Dialogo secondo 161 «meza la mia facultae» (incontesto veneziano), Egloga § 10 «El gh’è tal un che par pì omo de quel che l’è, e sì no è zàmezo un», Fiorina 771 «a’ te vuò an dare meza la basta de scroa averzelè», BIBBIA 93 «meço eltribo de Manasse», BOCCHI 2004: 94 «mezo un quatrin» (esempio di qualche interesse perchénel testimone veneziano del componimento si trova invece il sintagma costruito come nell’ita-liano attuale, «un mezo quatrin» [BOCCHI 2004: 98], forse perché il tipo sintattico «mezo un»cominciava a opacizzarsi), ARIOSTO Orlando Furioso XXVIII 13.8 «mezzo il suo regno»,MEDICI Aridosia «mezza questa città» (435), «mezzo lo stato mio» (505), «mezza la eredità»(515), D’AMBRA Furto 64 «a mezza la strada», CALMO Rodiana 179 «mezzo un brazzo», ARE-TINO Filosofo 78 «pagarete mezo il vostro», MAGAGNÒ Rime I 66v «e mezo l’altro dì», LASCAPinzochera 800, BARGAGLI Pellegrina 511. par d’i lari lett. ‘pari ai ladri’: cfr. l’identica espres-sione in un monologo di Slaverò in Piovana 1011 «a’ son gioton, pare d’i lari». a’ ghe l’he purarchiapò quel soldò bregamasco ‘ce l’ho acchiappato’, ‘gliel’ho fatta’: con il clitico ghe anche inParlamento 105 «A’ sé che te no me ghe archiaperé pì in campo!», Dialogo secondo 169 «A’ nome gh’archiaperé pì», ARETINO Filosofo 73 «E ce l’ho pur chiappato». Per chiapar ‘ingannare’cfr. BOERIO 165 s.v. chiapar ‘pigliare improvvisamente e con inganno’, PRATI Vals. 38 No mi teciapi ‘non mi ci chiappi’, CALMO Saltuzza 150 e nota 57.73 M’aveva dato dei soldi da portare a uno, e io ho fatto finta – canchero, sono pur furbo! –ho fatto finta che uno mi abbia tagliato il borsello e preso i marchetti, e invece li ho tenuti perme! Ad ogni modo lo sa Dio come li ha guadagnati, anche lui... Oh canchero, io ho inganna-to lui, che è soldato: per questo si ritiene tanto furbo!a’ he fatto vista: cfr. BOERIO 797 s.v. vista «FAR VISTA, Far o veduta; far sembiante o sembianza,Mostrare, Dar segno, Infingere». scozzonò: cfr. CORTELAZZO 2007: 1211 scozzonà, PATRIAR-CHI 283, BOERIO 634 e altri rinvii in CALMO Saltuzza 133 e nota 75. m’abi tagiò el borsetto: ilborsello è stato staccato dalla cintura di Ruzante con un taglio (o meno probabilmente taglia-to per prenderne il contenuto): vd. FOLENGO Baldus XII 36-37 «Ut fuit in portu Chiozae, citobrancat acortus / de tasca in griffas borsam, ne fraude taietur»; così i furfanti facevano anchecon le ampie maniche a comeo nelle quali era custodito il denaro (vd. la rubrica premessa alsonetto CXXI dello Strazzòla pubblicato in «Studi e problemi di critica testuale», 41 1990, p.182: «essendo sta’ taglia’ la manica d’uno mariolo»). scapè su: cfr. I 23. marchitti: plur.metafonetico di marchetto, «Nome d’una piccola Moneta di rame quasi come soldo, che ebbecorso ne’ tempi della Repubblica Veneta» (BOERIO 397; anche MUTINELLI 241 e MARTINORI1977: 270). per nobise: imita probabilmente il latino liturgico pro nobis delle litanie; cfr. l’an-cora diffuso fate vobis ‘fate voi’ (BECCARIA 2001: 76). sanzarin: con il significato ‘scaltro’ inORIOLO Aiiir (e vd. pure zanzarin II 22). La forma zazarin (Betìa 223, Dialogo facetissimo 73,SALVIONI 1902-1904 [2008]: 630 v. 1053) è ricondotta da SALVIONI 1902-1904 (2008): 719 a

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moschetta

Perqué se l’è soldò, oh cancaro, a’ son cattivo mi, que sì a’ gh’archia-perè Rolando da i stari, mi Ruzante! A’ faghe anche que co’ ’l sente a dirde mi, ch’el tase, e sì ha paura de mi perqué a’ sbraoso e sì dighe dedare! 74 Mo chi n’arae paura fagandola co’ a’ fago mi? Ch’a’ son pìvalentomo che n’è un soldò, e sì a’ no ’l saea, al sangue del cancaro!Questo è quello: que g’uomeni è gruossi, e sì se ten scaltrì e sacente,perqué i no sa gnan igi! Mi a’ no ’l saea de esser valentomo con’ a’ son...

zazzera e significherebbe propriamente «zerbino, profumino, cacazibetto» (la zazzera ha lastessa connotazione in CASTIGLIONE Cortigiano 62, dove l’uomo troppo attillato porta «il capocosì fermo per paura di non guastarsi la zazzera»). Possibile che le forme in zanz- e sanz- risen-tano dell’influenza, anche semantica, di zanzare ‘chiacchierare’.74 Poh oh! Ed è anche soldato... e io l’ho ingannato! Perché se lui è un soldato, eh canchero,io sono così cattivo che ingannerei Orlando dagli stai, proprio io Ruzante! Credo bene ancheche quando sente parlare di me tace, e ha paura di me perché faccio lo smargiasso e dico chele do!Rolando da i stari lett. ‘Orlando dagli stai’. Insoddisfacente la traduzione di LOVARINI 21 eZORZI 604 «Orlando delle storie». Si tratta certo dell’Orlando paladino celebrato dai cantari,oggetto di espressioni proverbiali e fortunatissimo nome proprio (MIGLIORINI 1927: 161): vd.Betìa 151 e 155, Anconitana 859, Parlamento 119 e 133, Dialogo facetissimo 89, Fiorina 751 e753, Piovana 915 e 961; altri ess. in BIBBIENA Calandra 88, Egloga di Ranco e Tuognio e Bel-trame (DA RIF 1984: 130 v. 146), MAGAGNÒ Rime III I2r, NEGRI Gierusalemme 194 (XI.52.7-8). Il problema principale è posto da i stari, che non possono che essere gli stai, unità di misu-ra per aridi (TOMASIN 2004: 302 s.v., SELLA 1944: 551, BIBBIA 52, CORTELAZZO 2007: 1312staro e 1315 stèr, Dialogo facetissimo 73). Il legame tra Orlando e gli stari si spiega come giocodi parole costruito su uno dei più famosi attributi fissi dell’eroe, il quartiere, «ciascuno deicampi [...] in cui è ripartito uno scudo, un blasone gentilizio, la veste di un cavaliere» (GDLIXV 836; e vd. ad es. ORIOLO Biiir, «Rolando dal quartiero», CALMO Rodiana 159 «un Urlan-do dal quartier», CALMO Travaglia 142 «Urlandazzo dal cartaròl», BERTEVELLO H6v «quel dalquartiero», I3r «quel dal quartaruolo» e lo strafalcione di Acario in GIANCARLI Zingana 369«Ralando dal murtaro»). L’attributo rolandiano viene infatti equivocato con quartiero nel suosignificato dialettale e agricolo di ‘quarta parte dello staio’ (TOMASIN 2004: 291, STUSSI 1967:137 s.v. quarte, SELLA 1944: 467 s.v. quarterium, MAGAGNÒ Rime III I6v «i stari, le quarte, iquartaroli», BOERIO 545 s.v. quartièr, PRATI Vals. 140 s.v. quarta; cfr. anche BELLÒ 145 s.v. quar-tièr, MAZZUCCHI 191 s.vv. quarta e quartarolo, NACCARI - BOSCOLO 410 s.v. quartièro). Così, afronte di un Orlando ‘dal quartiere’ già imbattibile, si ha qui un ipotetico Orlando ‘dagli stai’,frutto di uno spiritoso strafalcione ma almeno quattro volte più forte. Analogo gioco di paro-le in P. LEGACCI, La Pippa, a c. di M. Stanghellini, Siena, Il Leccio (Accademia dei Rozzi),2006, p. 4, vv. 19-21: «Tre quarti d’ora, e forse un bello staio / degh’essar ch’io la veddi, e gal-luzzando / veniva su quasù, con viso gaio»; il significato araldico di quarto è oggetto d’equi-voco anche in BASILE Cunto 234 «vo’ che n’ommo che venne l’uoglio a quarte / sia nobele dequarte» e in The Merry Wives of Windsor I I, dove to quarter ‘inquartare il blasone’ è in bistic-cio con quarter of your coat ‘quarta parte della tua veste’ (W. SHAKESPEARE, Le commedieromantiche, a c. di G. Melchiori, Milano, Mondadori, 1982, pp. 862 e 1082 nota 3). co’ ’l sentea dir de mi: la dipendente da percettivo è introdotta da a come in Pr. 2. a’ sbraoso ‘minacciospavaldamente’, ‘faccio lo smargiasso’: il verbo (ad es. anche in Dialogo secondo 141 e CORTE-LAZZO 2007: 1178 sbravizàr) è costruito su braoso ‘smargiasso’ (Betìa 435 e Parlamento 107;senese rustico bravoso in PERSIANI 2004: 18 v. 69; ZORZI 1363 e BOERIO 98), da cui dipendo-no anche l’avverbio bravose ‘bravamente, spavaldamente’ (FOLENGO Macaronee minori 715) el’aggettivo sbraurón ‘superbo, vanitoso, borioso’ (BELLÒ 166 e PIANCA 187). e sì dighe de dare‘e minaccio di darle’: per dare cfr. Pr. 15.

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atto primo

A’ he imparò a esser valentomo! 75 Co’ un te dise gnente per storto, e tisbraosa! Mè sì, a’ n’arae paura de Rolando, mi, al sangue del cancaro!Sbraosa pure, e mena, e spessega a menare, e menare e spessegare sem-pre mè, perqué el no gh’è cristian vivo che sapia arparare! 76 E menaghe

75 Ma chi non avrebbe paura se si fa come faccio io? Sono più valentuomo di un soldato,eppure non lo sapevo, al sangue del canchero! Questo è il punto: che gli uomini sono stupi-di, e invece si credono scaltri e furbi, perché non lo sanno neanche loro! Io non lo sapevo diessere un valentuomo come sono... Ho imparato a essere valentuomo!fagandola ‘comportandosi’, dove il clitico femminile fa le veci di un neutro come nelle espres-sioni italiane farla franca o scamparla bella: vd. Dialogo facetissimo 97 «Con criu che a’ la faronde guerra?» e conzarla ‘sistemare una faccenda’ a III 132. Schedo qualche caso da testi cinque-centeschi: «Ti disi che sta donna Fiordelise / sé cossa toa e po’ ti me la volti» (‘giri la frittata’,‘cambi idea’; LIPPI 1997 [2003]: 210 vv. 118-119), «no me la intrigar co i to proverbi» (LIPPI1997 [2003]: 211 v. 143), «Trionfa senza mi fattela grassa» (SALVIONI 1902-1904 [2008]: 610 v.364, intenderei fattela grassa ‘goditela’, confermato più tardi da FIGARO H1v «i la fa grassa»),GIANCARLI Capraria 69 «anderei a pericolo di farla senza frittelle» (altri ess.: 73 «Io gliel’ho puraccoccata a tutti dui», 89 «a me non la farai già», 103 «la cazzassimo a Ortica», 107 «Ma aver-ti che non me la cacciasti»; Zingana 293 «la vogión rivare?», 293 «la sarà po bella conza»),CALMO Travaglia 186 còmpila e arivala, CALMO Travaglia 202 spàzala ‘sbrigati’, MAGAGNÒ RimeII 58v «per volerla compire» ‘per finire’, ROVIGIÒ D3r «a’ la vuò rivare», CROCE 2006: 260 «Glihuomini la farebbon troppo male», CROCE 2006: 269 «Sì, sì, voltatela pure a vostro modo, maquello che si vede in effetto non si può celare». Un paio di ess. più antichi in MARCHESCHI 1983:«Vuo’la fare mecho?» (p. 46, n° 138, 1355), «nui la vogliamo far(e) techo» (p. 64, n° 224,1369) e in TOMASIN 2005: 116 «la se ge darà sì redonda» ‘gli si offrirà un’occasione così propi-zia’; un esempio boccacciano del costrutto è restaurato in STUSSI 2006a. valentomo: propriocome Tonin a I 24: «a’ só ù valentom». al sangue del cancaro: l’esclamazione ricorre nellaMoschetta ben diciotto volte (più sotto in questa stessa battuta, poi a I 56, I 64, I 72, II 22, II23, III 3 bis, III 24, III 72, III 76, III 98, III 151, IV 12, IV 14, V 53, V 86; altre cinque voltein E 18, Int 3, 6, R 3, 6), e va notato che si tratta di una frequenza eccezionale a fronte dei datiofferti dalle altre commedie (nessun es. in Pastoral, Betìa, Parlamento e Vaccaria; uno nel Bilo-ra, due nella Piovana, tre nel Dialogo facetissimo, quattro nella Fiorina, otto nell’Anconitana).Su quest’aspetto vd. Introduzione § 2 e per altri ess. CALMO Rodiana 73, 95, 145. Questo èquello: forse ‘questo è il punto’, ma l’espressione non mi è chiara. gruossi ‘sciocchi’ (lett.‘rozzi’, ‘grossolani’): cfr. Anconitana 783 «Amore no se sa ficare int’i puti e int’i uomeni gruos-si [de] çelibrio?»; BOERIO 319 s.v. grosso «GROSSO DE LEGNAME, detto per Agg. a Uomo, Ghioz-zo» (così già PATRIARCHI 156), TIRABOSCHI 627 «Gros o gros de legnàm – Ignorante». scaltrì esacente: stessa coppia d’aggettivi a Pr. 10.76 Quando qualcuno ti dice qualcosa di storto, tu minaccialo spavaldamente! Ma sì, non avreipaura di Orlando, al sangue del canchero! Minaccia pure, e mena, e spesseggia nei colpi, emenare e spesseggiare in continuazione, perché non c’è uomo vivo che sappia parare!Co’ un te dise gnente per storto, e ti sbraosa: con paraipotassi (cfr. I 6). Mè sì ‘proprio così’, consì rafforzato da mai come in CALMO Saltuzza 143 e nota 32 e Dialogo facetissimo 85 «Meì sì,st’omo no vegnerà mé pì, ello, sì èlo longo». spessega a menare: cfr. Piovana 1029 «El poràessere che i spessegasse tanto, che la botta de un tolesse quele de l’altro, e che te scapoliesside soto via», e ZORZI 1400 con rinvii a DEI 3587-3588, BORTOLAN 268, BOERIO 688, MAZZUC-CHI 254; vd. anche CORTELAZZO 2007: 1295 spessegar ‘far presto’, BELLÒ 187 spessegàr ‘affret-tarsi’, NACCARI - BOSCOLO 536 spessegare ‘sollecitare, insistere’, RIGOBELLO 329 pesegàr/spe-segàrse ‘affrettarsi’, TIRABOSCHI 1277 spessegà ‘affrettare, sollecitare’ e le altre voci venete disignificato affine in PIREW 8160 sotto SPISSUS. sempre mè ‘in continuazione’, con mè rafforza-tivo (cfr. Pr. 1). cristian: cfr. I 1. arparare «parare una tal gragnuola di botte» (ZORZI 1400);il prefisso, anche in arpasare III 3, armiliare III 3 e arpossare V 89, è stato spiegato a partire dare- con caduta di e protonica e sviluppo di una a prostetica (MONTEVERDI 1930: 20), ma non

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alla volta digi uogi: e con’ te ghe mini a gi uogi, e gi uogi ghe cìmega, eti te ghe de’ on’ te vuosi! 77 Daghe pur de ponta e de roesso e de cao-ponso, e a sto muo’, sgambacàvera 78. Oh cancaro, co’ a’ m’arecordo a

si può escludere, date anche forme corrispondenti come il tosc. raumiliare, che si debba par-tire da una prefissazione RE- + AD- poi oggetto di metatesi.77 E colpisci verso gli occhi: e quando gli meni verso gli occhi, e gli occhi gli si socchiudono,lo colpisci dove vuoi!e con’ te ghe mini a gi uogi, e gi uogi ghe cìmega, e ti te ghe de’ on’ te vuosi: altro es. di paraipotas-si («e con’ [...] e ti te ghe de’ [...]»: cfr. I 6). gi uogi ghe cìmega: cfr. Anconitana 827 «du ocie-ti che par stele a çimegare», Vaccaria 1079 «no fa lomé çimegare co gi uogi», MAGAGNÒ RimeIII A8r «[...] quella / stella, pì in su, che cimega inviò», FIGARO C1v «Mo quelle stelle sì cime-gherà», CALDERARI 35r «quando / scomenza anar le stelle cimegando», SCAPUZZO B7r «quan-do cimega drento al ciel turchin / tante stelle indorà [...]». Vd. i materiali adunati in PIREW1933 (*CINNUS + GEMICARE) e con ZORZI 1400 cfr. BOERIO 171 cimegàr e BORTOLAN 67 cime-gare ‘ammiccare’, ma anche NACCARI - BOSCOLO 510 simegare ‘ammiccare’ e PRATI Vals. 210zimegàr «chiudere e aprire gli occhi più volte di seguito, per vezzo o per segno, accennar l’as-so». vuosi: altri ess. di vuosi in CALMO Saltuzza 79 nota 4, MAZZARO 1991: 51 v. 10, CALMOTravaglia 222; vd. anche vuossi in Betìa 169, 171, 317, 397; vossi in Betìa 207; uuosi in SAL-VIONI 1902-1904 (2008): 614 v. 512; hessi in Betìa 169, 211, 215 bis, 217, 219, 281, 361, 371bis, 403; asi nel Serapiom (INEICHEN 1957: 112) haxi in BIBBIA 4; asi in BIBBIA 8, 27, 30, 34; axiin BIBBIA 13, 26, 59 bis, 68, 93, 98 bis, 105, 107, 115 (quater), 116; hassi in Betìa 331; hesi inSALVIONI 1902-1904 (2008): 616 v. 561, MAZZARO 1991: vv. 31, 97, 103; esi in SALVIONI 1902-1904 (2008) vv. 177, 647, 654, 656, 657, 663, 754; puosi ‘puoi’ in Parlamento 127; puossi inMAZZARO 1991: vv. 53, 55, 84; isi ‘sei’ in SALVIONI 1902-1904 (2008): 607 v. 283; ise ‘sei’ inMAZZARO 1991: v. 65; sesi ‘sai’ in MAZZARO 1991: 51 v. 14. Più ampia la serie con caduta dellavocale finale (ad es. uuos ‘vuoi’ in SALVIONI 1902-1904 [2008] vv. 117, 513; hes ‘hai’ in MAZ-ZARO 1991: v. 86; es ‘hai’ in SALVIONI 1902-1904 [2008]: 618 v. 646; stes ‘stai’ in SALVIONI 1902-1904 [2008] vv. 648, 649; fes ‘fai’ in MAZZARO 1991: v. 159; ves ‘vai’ in MAZZARO 1991: v. 184;puos ‘puoi’ in MAZZARO 1991: v. 33; endemicamente in Cavassico e nella coneglianese Eglogadi Morel (PELLEGRINI 1964 [1977]), nei quali di contro a es / esi / è dei testi di Paolo da Castel-lo si trova sempre as (cfr. FORMENTIN in c.d.s. nota 46, sulla scorta di MAZZARO 2002: 37). Sul-l’origine di queste forme WENDRINER p. 63 § 115 nota 2 si esprime in forma dubitativa:«merkwürdig die neben vuò auftretende Form vuossi, vuosi; das darin enthaltene s zeigt sichauch im Ven. di Ruz. in der Inversion: vuostu vustu (ebenso Calmo) offenbar = *vossi-tu [...].Wie ist aber *vossi, unser vuossi (vuosi) zu deuten; ist es analogisch zu einem *possi (1a sing:posso) gebildet?». Diversa l’idea di SALVIONI 1902-1904 (2008): 654 § 76: «Il -s di 2a sing. ci sioffre solo nelle voci ossitone [...], ma è assai incostante e alterna colle forme in -i [...]. Avvie-ne anzi tra i due tipi un notevole connubio, comeché alle forme con i venga ad aggiungersi -s;quindi da he = hai [...] si ha hes [...], e così fes [...], sès sai [...]. E si va ancora più in là; poi-ché da tali forme, nelle quali già appare una doppia nota di plurale, son derivate altre doveuna terza nota è aggiunta, un’altra volta l’-i, riuscendosi a forme come hesi hai cioè ha-i + s +i [...]» (e nota 3, qui citata per senteresi III 98). Siccome però in pavano mancano attestazio-ni per il tipo vuos, che dovrebbe costituire l’anello intermedio del processo, non sarà da rifiu-tare l’ipotesi di un’analogia con disi; su digo sono modellate le prime persone presenti dinumerosi altri verbi, come dago, stago, vago, rigo, vego e così via (cfr. WENDRINER § 118).78 Dagli pure di punta e di rovescio e dal basso in alto, e in questo modo, a sgambacapra.de ponta e de roesso: cfr. CORTELAZZO 2007: 1031 punto (4) e BOERIO 520 s.v. ponta «dar deponta, dar di punta; impuntare; dar una punta o puntata; ferir colla punta»; in opposizione alcolpo di punta, quello de roesso dovrebbe indicare il colpo vibrato con il rovescio della spada,o forse quello inferto dalla spada partendo dalla parte opposta a quella della mano che impu-gna l’arma (vd. CORTELAZZO 2007: 1136 s.vv. rovèrso1 punto (3) e rovèrso2 punto (2)). de cao-ponso: colpo sferrato ‘di sotto in su’ (ZORZI 604); vd. anche Dialogo facetissimo 75 «A’ farae

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che muo’ a’ ghe la cacciè in lo carniero, el me ven quel cancaro de riso.Mo n’è-l questo che ven chialò? A’ me vuo’ mostrar de mala vuogia,qu’el para che sipia desperò. [cambiando tono] Potta del cancaro! 79

così, vi’, du cai punsi e un stramazzon, e po’, così, un rovesso a sgamba-càvera», Parlamento123 «du cai punsi e una bastonà», Piovana 941 «no ve recordèvo quando de un cao ponso dapugno a’ sfonderiè quelù [...]?». Caoponso sembra indicare dunque la posizione della mano,con il polso girato verso l’alto (analogamente a quanto accade per a caoculo ‘a capitomboli’,‘col sedere verso l’alto’ registrato in PRATI Vals. 28, de caocùl in RIGOBELLO 115); in Parla-mento 135 anche de ponso tradotto da Padoan «di punta». sgambacàvera: forse ‘di traverso’.Come LOVARINI 21, ZORZI 1440 spiega: «letteralmente ‘sgamba-capra’: lo sgambetto. Dallaforma distorta delle gambe di questi animali, e dal loro passo esitante e sciancato?». Pur inassenza di riscontri esatti non si può escludere che sgambacàvera sia composto imperativale sultipo di quelli che designano vari giochi infantili, in particolare quelli in cui occorra saltare,muoversi di traverso o su una gamba sola (qui avremmo ‘sgamba capra’, ‘cammina capra’): vd.in BOERIO 815 s.v. zugar gli ess. formalmente simili di buratafarina, calabraghe, cressiman, scar-gabaril, scargalaseno e in RIGOBELLO 530-532 saltamoltón; ma vd. soprattutto il napoletano toz-zamartino (BASILE Cunto 35; martino è l’ariete), il fiorentino saltacavalla (Giochi di una volta,Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1995, p. 31) e l’emiliano-romagnolo zoppagalletto (‘zop-pica galletto’), non registrato dai dizionari ma rintracciabile con il motore di ricerca di Goo-gle. La nostra espressione anche in Dialogo facetissimo 75 «un rovesso a sgamba-càvera»(Zorzi: «un rovescio a sgambetto»; Padoan: «un rovescio a gamba-di-capra»), con la nota diPADOAN 1981: 75 «Tira all’aria alcuni colpi di scherma. Cfr. A. MAROZZO, Opera nova chia-mata duello [...], Venezia 1568, p. 4: “... un man dritto, over roverso, o ponta, o tramazzone[...], un roverso sgualembrato...”, terminologia che il contadino cita spropositando» e che sitrova pure in altri trattati come CITOLINI Tipocosmia 456 («man dritto sgualembrato») e G.DALL’AGOCCHIE, Dell’arte di scrimia libri tre, Venezia, Tamborino, 1572, c. 8v («sgualimbro sichiama quello mandritto, che per sgualimbro trascorre, cioè dalla spalla manca al ginocchiodestro dello avversario»). Infruttuoso il controllo del quattrocentesco Flos duellatorum inarmis, sine armis, equester, pedester (Il fior di battaglia di maestro Fiore dei Liberi da Prema-riacco, a c. di F. Novati, Bergamo, Istituto italiano d’arti grafiche, 1902), che permette tuttaviadi escludere un’allusione allo sgambetto, ricordato solo come tecnica della lotta corpo a corpoe mai di quella in armi cui si riferisce Ruzante (Il fior di battaglia cit., p. 199 c. 5A col. 2 e p.233 s.v. gambarola; vd. anche la più recente ed. di F. DE’ LIBERI, Flos Duellatorum in armis, sinearmis equester et pedester, a c. di G. Rapisardi, Torino, Seneca Ed., 2005, p. 34). Se si accet-tasse come plausibile un’affinità tra il «roesso a sgamba-càvera» e il «roverso sgualembrato»dei trattati, la spiegazione si troverebbe facilmente con il conforto di sgalembro ‘storto’ (NINNIII: 152 El gà la luna per sgalembro, anche aver la luna sgalénba in BELLÒ 177), sgalèmbro ‘sghi-lembo’ (PRATI Vals. 167), a sgalembro «detto a modo avv. A sghembo» (BOERIO 654), in sga-lembér ‘di traverso’ (TIRABOSCHI 1221), e vd. anche il soprannome di Fiorina 759 «MiozoSgamberlà» (Miozo l’Azzoppato, Miozo lo Storto? Preferibile stampare senz’accento, datosgambèrla ‘storto di gambe’ in RIGOBELLO 426). Più che un colpo dato facendo lo sgambetto(i trattati esaminati non ne ricordano mai), sgambacàvera indicherebbe quindi o un colpoinferto obliquamente o un colpo inferto tenendo le gambe non allineate, di traverso (per que-sta eventualità la casistica dei trattati è assai articolata).79 Oh canchero, quando mi ricordo come gliel’ho messa in saccoccia, mi viene quel cancherodi riso. Ma non è questo che arriva da questa parte? Voglio farmi vedere di malavoglia, chesembri che sia disperato. Potta del canchero!a che muo’ a’ ghe la cacciè in lo carniero ‘in che modo l’ho ingannato’ (cfr. Anconitana 815 «A’me la vossè cazare in lo carniero»); ZORZI 1400: «eufemistico: ‘cacciarla nel carniere’ a unoequivale a frodarlo, raggirarlo e simili». Il carniero è propriamente la tasca nella quale i cac-ciatori ripongono la selvaggina (BOERIO 141 s.v. carnièr; GDLI II 787 s.vv. carniera e carniero),e l’intera espressione ha corrispondenti eufemistici anche nell’italiano attuale, come ad es.

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moschetta

TONIN Orbé, i me’ daner è trag, ah? 80

RUZANTE A’ me vegnia pensanto adesso: l’è pur stò un bel tuore, al san-gue del cancaro! Mè sì, an’ vu el ve gh’aerae archiapò, l’iera ben vestìo,mo l’aea na ciera maletta con’ aì an’ vu, una gamba così, una beretta cosìraso via, con una spà intuna gamba pruopio con’ aì vu. Ca sì ch’a’ si’ stòvu, per farme na noella! 81

TONIN Mi ah? 82

RUZANTE Mo que sè-gi? Ca sì ch’a’ si’ stò vu, ch’a’ sté così ch’a’ parì un

prenderla in saccoccia ‘restare ingannato o danneggiato’ (GDLI XVII 310; ovviamente tanto ilcarniero quanto la saccoccia alludono al culo, donde il crudo e ben vivo prendersela in culo‘restare fregato’, ad es. in GRADIT V 104 s.v. prendersela).80 Orbene, i miei denari sono stati rubati, eh?trag ‘presi a forza’: cfr. TIRABOSCHI 1357 s.v. tirà; «persi» traduce LOVARINI 22. Nelle Masca-rate alla bulesca «farme trazer» ‘farmi sborsare quattrini’ (DA RIF 1984: 193).81 Ci stavo pensando adesso: è pur stato un bel prendere, al sangue del canchero! Ma sì, anchevoi vi avrebbe ingannato, era vestito bene, ma aveva una brutta faccia come voi, una gambacosì, una berretta così messa per traverso, con una spada lungo una gamba proprio come voi.Ma sì che siete stato voi, per farmi uno scherzo!Mè sì: cfr. I 54. archiapò: cfr. I 54. l’aea na ciera maletta: cfr. CAVASSICO II 178 «che mala-deta ciera / pur me fes!». una beretta così raso via ‘una berretta messa di traverso’, «una ber-retta così, buttata là» secondo LOVARINI 22 (e ZORZI 606): cfr. CORTELAZZO 2007: 83 a raso,BOERIO 553 a raso «Rasente; A tocca e non tocca», NACCARI - BOSCOLO 418 s.v. raso «raso viarasente», RIGOBELLO 362 ra!o ‘radente’. Un’attestazione antica nell’Arcibravo veneziano «Moso quela testa, andando a svolo, / passò de raso via d’un pover omo» (AGOSTINI 1997: 161).L’espressione allude probabilmente alla particolare sistemazione del berretto sulla testa deibravi: vd. FOLENGO Baldus IV 318-319 dove dei bravi è detto che «hi frappant brettas longotremmante penazzo, / quae coprunt occhium seu dextrum sive sinistrum», ARETINO Mare-scalco 8 «Un milite glorioso lascisi imitare a questo fusto. Io mi attraverserei la berretta a que-sta foggia», GIANCARLI Zingana 397 «a’ me vuo’ comprare una beriola de scarlato rosso conun penaggio in cima che ’l me staga derto in su, da sbravoso, e sì me ’l vuo’ ficare da sto lòstramberlan» (stramberlan tradotto «di sghimbescio»; sul passo cfr. LAZZERINI 2006: 72 e peril pennacchio INGANNATI 169 «questi sbarbatelli, che van facendo il bravo per Modena colpennacchio ritto alla guelfa, con la spada alla coscia, col pugnal di dietro»). Il vezzo è docu-mentato anche per la spada in Anconitana 877 «A’ me vuò comprar an una bela spa’, ché chin’ha una bela spa’, che la porte per travesso, no par bon da inamorarse». spà intuna gamba:appesa alla cintura e pendente lungo la gamba. Ca sì ch’ ‘proprio che’ (LOVARINI 22 «Ma sì»):cfr. BOERIO 145 ca sì ‘proprio’ (s.v. anca), la nota 49 di ZORZI 1290 alla Pastoral e CALMO Sal-tuzza 146 e nota 44; agli ess. da commedie cinque-seicentesche adunati da B. MIGLIORINI, Chesì che..., in LN XXIII 1962, p. 123 posso aggiungere «Ca sì que s’te vorè bevere, che te scove-gnerè esser pì morevole» (Forzatè: MILANI 1990: 422 § 26) e altri casi toscani: «Che sì ch’iocrepo d’allegrezza!» (PICCOLOMINI L’amor costante 416), «Che sì ch’io impazzo per troppobene!» (ibidem), «Che sì che, s’io torno in scola, te darò una spogliatura» (BELO Pedante 119),«Che sì che ti trarrò d’un sasso nel capo!» (BELO Pedante 162), «che sì che ve farò andar acantare altrove» (BELO Pedante 179), «e che sì ch’i’ scoprirò qualche bella cosa» (FIRENZUO-LA Trinuzia 539), «E che sì che i birri lo ciuffano in mio cambio?» (FIRENZUOLA Trinuzia 583),«e che sì ch’i’ me la sarò cavata!» (FIRENZUOLA Trinuzia 589), «E che sì che io ti giro una maz-zata sulla testa» (GELLI Sporta 622, e qui anche 627, 670, 678, 688), «che sì ch’ei farà qualchepazzia» (LASCA Pinzochera 801), «che sì, ch’io arò badato troppo!» (LASCA Pinzochera 830),«Che sì che oggi si farà qualche errore» (BARGAGLI Pellegrina 531). farme na noella: cfr. I 23.82 Io eh?Mi ah?: la trovata di Ruzante lascia interdetto Tonin (vd. ZORZI 1400).

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stizzo coverto in lo viso! Mo aldì: s’a’ si’ stò vu, no fé ch’a’ me despiere 83.TONIN [tra sé] O ch’a’ ’l credi, o ch’a’ no ’l credi, o ch’a’ ’m fo vista 84.RUZANTE Mo sì, vossé-vu ch’a’ v’aesse fatta na noella? A’ son tutto cat-tivo? Se Dio m’aî, a’ no sârae cavare i dente fuora d’intun ravo, e sì a’vossé che mi... mi...? 85 Sì, a’ no me l’arae mè pensò in vita d’agni! Mè sì,a’ vossé ben ch’a’ foesse cattivo! A’ ve dirè zò que m’intravegne: a’ fie’an’ mi con’ fie’ la buona femena, que crea d’aver in man el borsatto, esì gh’aea lomè i picagi! A’ fie’ così an’ mi, che quî dea romagnir de fuoraa’ i mettì entro. Mo a’ no fallerae miga pì, m’è deviso 86.

83 Ma che ne so? Ma sì che siete stato voi, che state così che in viso sembrate un tizzone coper-to! Ma sentite: se siete stato voi, non mi fate disperare.Ca sì ch’: cfr. I 56. a’ parì un stizzo coverto in lo viso: cfr. Anconitana 865 «A’ parì cossì un stizocoverto in lo viso, e sì a’ si’ un mal sbregon, vu» (Zorzi: «Sembrate una brace coperta in viso,e invece siete un poco di buono, voi»). Tonin arde di rabbia e – come le braci coperte di cene-re che paiono spente ma continuano a bruciare – tenta di non dare a vedere la propria irrita-zione. Per stizzo «pezzo di legno abbruciato da un lato» (BOERIO 705 s.v. stizzòn) vd. MIGLIO-RINI - PELLEGRINI 108 s.v. stiz «pezzi di legno mezzo carbonizzato, sia nel focolare che nellacarbonaia», RIGOBELLO 469 stiso ‘tizzone’; anche CORTELAZZO 2007: 1319 e CAVASSICO II 395stiz; con significato metaforico in MAZZUCCHI 262 s.v. stizzon «(detto di uomo) Covacenere».L’espressione è almeno in parte accostabile a bronza coverta lett. ‘brace coperta dalla cenere’«scaltro, astuto che si finge semplice» (BOERIO 102 s.v. bronza; anche MIGLIORINI - PELLEGRI-NI 13 e PRATI Vals. 23 s.v. bronza, NACCARI - BOSCOLO 70 e BELLÒ 20 s.v. brónsa, PIANCA 15s.v. brónzha).84 O lo credo, o non lo credo, o faccio finta.o ch’a’ ’m fo vista: cfr. I 54.85 Ma sì, vorreste che vi avessi giocato un brutto tiro? Sono proprio cattivo? Che Dio mi aiuti,non saprei cavare i denti da una rapa cotta, e voi vorreste che io... io...?ch’a’ v’aesse fatta na noella: cfr. I 56. Se Dio m’aî, a’ no sârae cavare i dente fuora d’intun ravo:per l’immagine cfr. Betìa 301 «No vitu che ’l n’è gozo scaltrìo né scazonò; / l’è con è un belbò. / No vitu che el no sarae cavar i dente / d’un ravo bogiente?» e Piovana 965 «Mo se a’ nofosse perdù d’animo, che adesso a’ no savara’ cavar fuora i dente d’un ravo, a’ la farae anco-ra». Dalle tenere rape cotte alla brace (cfr. dente de ravolò I 23) è impossibile non riuscire aestrarre i denti che vi vengono conficcati per mangiarle. La locuzione è una sorta di ‘colmo’dell’inettitudine: addentare una rapa cotta e rimanere con i denti bloccati nella sua polpa mor-bida. In «Se Dio m’aî» se è ‘ottativo’: altri ess. a II 26, II 30.86 Sì, non l’avrei mai pensato in vita mia! Caspita, vorreste bene che fossi cattivo! Vi dirò quelche mi è successo: feci anch’io come la buona femmina, che credeva d’avere in mano il bor-sello, e invece aveva solo i manici! Feci così anch’io, e quelli che dovevano rimanere fuori limisi dentro. Ma non sbaglierei mica più, mi sembra.in vita d’agni: cfr. «mè pì in vita d’agni» I 14. Mè sì: cfr. I 54. zò que m’intravegne: per ilverbo cfr. PATRIARCHI 181, RIGOBELLO 241 e CALMO Saltuzza 101 e nota 10. con’ fie’ la buonafemena: il personaggio proverbiale anche in Dialogo secondo 165 «A’ gh’he dito... – che me l’aìsquaso fatto dire, con disse la buona femena – a’ gh’he ditto un totene!», Seconda Oratione 53«E se un tra’ qualche sgrignetto, el ghe va, com disse la bona femena, puoco in dentro» (ripre-sa da Fiorina 739 «Se ben a’ me la rio el me va, com disse la bona femena, puoco in entro»),CALMO Rodiana 73 «A’ vago, co’ dise la bona femena, dove m’atira il dosiderio». Tutti i casiruzantiani, tranne quello della Moschetta, sono registrati in MILANI 1970 (2000): 65, che liqui-da la buona femena come «una divertente ‘autorità’». La figura welleristica compare pure inARIOSTO Cassaria in versi 274 (V V 3015-3016) «Ma poi che a questa volta, bona femina, / neson uscito, più non mi ci cogliono» (Valentina Gritti [p. 274 nota] ritiene si tratti di un eufe-

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mismo, ricordando però l’esatta opinione degli antichi commentatori che ritenevano la frase«parte di qualche locuzione proverbiale»); GIANCARLI Capraria 95 «quando vi fosse, comedisse la buona femina, il de quibus» (ossia il denaro); A.F. DONI, La Mula, la Chiave e madri-gali satirici, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1968 (rist. anast. dell’ed. Bologna,Romagnoli, 1862), p. 27: «Sia come si voglia, il Magnano disse che la chiave di ferro e di buonnervo è molto durabile, e si difende dalla ruggine meglio assai delle altre. La buona feminafaceva carezze ad Apuleio per conto della chiave» (dove la chiave è metafora evidente dell’or-gano sessuale maschile). A proposito dell’attestazione dalla Fiorina ZORZI 1455 precisa che«nell’uso comune della frase [...] c’è da supporre un senso malizioso, oppure un contenutoparemiologico»: a favore della prima ipotesi si schiera Lucia Lazzerini commentando CALMOSpagnolas 40-42 «A’ me fè pur rìere senza ch’el vaghe in entro». Nei casi della Seconda Ora-tione e della Fiorina (ma anche della Spagnolas, sebbene lì non compaia la buona femmina) l’e-spressione si riferisce a un riso forzato e non spontaneo, che non ‘entra’, secondo quanto testi-monia anche il primo strambotto di Machiavelli: «io rido, e ll rider mio non passa drento» (N.MACHIAVELLI, Scritti letterari, a c. di L. Blasucci e A. Casadei, Milano, UTET, 1989, p. 422 v.3). A esclusione degli esempi del Dialogo secondo e della Capraria (dove però de quibus potreb-be anche essere eufemismo passepartout per ‘pene’), pare quindi che sia pertinente al welleri-smo della buona femena l’opposizione dentro / fuori evocata anche qui poco più sotto («quîdea romagnir de fuora a’ i mettì entro») e passibile della reinterpretazione equivoca sospetta-ta da Zorzi. Si pensi agli abbondanti riscontri che offre in questa direzione il gioco fraudolentodella correggiola o gherminella che, a partire dalla domanda «L’è dentro, l’è fuora?» rivolta aipartecipanti dal truffatore, è passata a indicare metaforicamente il rapporto sessuale (DLA 133;ess. napoletani in L. De Rosa, Ricordi, a c. di V. Formentin, Roma, Salerno ed., 1998, vol. II,p. 749 s.v. correola; ess. toscani quattro-cinquecenteschi in C.E. ROGGIA, La materia e il lavo-ro. Studio linguistico sul Poliziano «minore», Firenze, Accademia della Crusca, 2001, p. 221;ess. d’area veneta in L. D’ONGHIA, Note in margine al «Dizionario del lessico erotico», in «Lin-gua e Stile» XLI 2006, pp. 109-128: 119; vd. pure CAMPANI 1878: 201 «Facciamo a un altrogiuoco, che entra e esce» e in generale la persuasiva soluzione etimologica proposta da A.PARENTI, «Gherminella» e «bagattella», in LN LXIX 2008, pp. 65-76). Si tratterebbe insomma,nell’episodio della buona femena passato a proverbio, di qualcosa che è ‘fuori’ ma avrebbedovuto star ‘dentro’ (così il riso in Fiorina e Seconda Orazione, così i denari nella Moschetta,così il servo Trappola nell’es. da Ariosto, così la ‘chiave’ nell’es. da Doni; e così anche la cor-dicella nel gioco ingannevole della correggiola). el borsatto: con suffisso diminutivo tipicodella Terraferma veneta (altri ess. in CALMO Saltuzza 192; la parola è in BORTOLAN 52 da Maga-gnò). Da notare borsetto I 54, con il suffisso prevalso in diacronia per il diminutivo. e sìgh’aea lomè i picagi: per lomè cfr. I 1; picagio, qui con il significato di ‘cordone’ (Zorzi), omeglio ‘manico’, occorre ma al femminile in Piovana 987 «bela picagia» (Zorzi: «bel penda-glio»): da avvicinare a picàjo ‘fermanodi del carro agricolo, appiccagnolo’ (BELLÒ 139), pica-gia ‘appiccagnolo’ o ‘picciuolo’ (MAZZUCCHI 178), pikàia ‘penzolo (più grappoli uniti insie-me)’ (MIGLIORINI - PELLEGRINI 77), picàgia ‘lista di legno che regge le tegole’ (NACCARI -BOSCOLO 383), picàgia ‘maglietta’ (PRATI Vals. 129), picàia ‘effetti di biancheria legati per unnodo’, ‘penzolo’, ‘pendaglio’ (RIGOBELLO 333), picà!ol ‘maglia per la quale si appende lo stro-finaccio asciugastoviglie’ (ibidem), tutti connessi all’idea di oggetti pendenti ai quali si puòagganciare qualcosa (da qui si dirama forse anche il significato di ‘interiora di un animalemacellato’, che pendono dal corpo o vengono appese per far colare il sangue: cfr. BOERIO 505,PRATI Vals. 129 e RIGOBELLO 333 picàia ‘frattaglie’). Ci si può chiedere se borsatto e picagivadano letti nel quadro della metafora fallica insita nel wellerismo della buona femena: in talcaso i picagi sarebbero i testicoli (pendono e sono più d’uno), il borsatto il pene, con unametafora che ricorda quella dell’italiano colloquiale pacco. Lucia Lazzerini mi suggerisce ilriscontro con il marcabruniano bossi ‘pene’ (< BYRSA, proprio come borsatto): vd. MARCABRU,A Critical Edition, by S. Gaunt, R. Harvey and L. Paterson, with J. Marshall as philologicaladviser and with the assistance of M. Florence, Cambridge, Brewer, 2000, p. 175 (con l’av-vertimento che i continuatori di BYRSA, oltre ad avere il significato più diffuso di ‘scroto’, «canextend their meaning to denote the whole of the genitalia»). La stessa duplicità di significatopar valere anche per picagio se, come sembra, in TUOGNO ZAMBON 32 «con la masara sipia in

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TONIN Basta! Ù to’ par me fa stà’? 87

RUZANTE [adirandosi] Me’ par n’in’ sa gnan gnente, alla fe’! 88

TONIN Al sango de Des, ol no fo ma’ vilà... 89

RUZANTE Al sangue del cancaro, a’ seon villani perqué a’ no aon robà!No di’ de villani, ch’a’ se sbuseron la pelle pì ca no fo mè criviegi 90.

tun canton / daghe el picaggio, in scambio del baldon» la parola allude al pene. quî dearomagnir de fuora a’ i mettì entro: continuerà, verosimilmente, a riferirsi all’episodio dellabuona femena (vd. il commento sopra). m’è deviso: divisione delle parole preferibile a quella«mè de viso» di Zorzi (trad. «ma ora non sbaglierei più, se lo vedessi in viso»), visto che è sin-tatticamente più piana. Il CORPUS PAVANO offre trentasette ess. di essere deviso + cpl. ind.‘sembrare a qualcuno’, mentre non si trovano occorrenze per la costruzione fallare de ‘sba-gliarsi a proposito di’. Per fallare cfr. BOERIO 258 e RIGOBELLO 180.87 Basta! Uno come te mi vuol prendere in giro?me fa stà’: cfr. BOERIO 702 «FAR STAR, Far tener l’olio ad alcuno; Farlo filare [...] valgono Tener-lo a segno, farlo stare»; vd. anche CROCE 2006: 133 «i villani di quel paese non pensano maialtro che far stare i loro padroni», BERNINI Impresario 54 «a te l’ho pur menchionà ben quelMastro de casa che ghe fa tant l’intellizenti, a ghe l’ho pur fatto ster!», BAFFO Poesie 176«L’omo all’altr’omo ha da sottostar, / e quello che ha più forza, ha da far star?»; diverso ilsignificato dell’espressione in INGANNATI 223 «e credemi fare stare a qualche scudo» e PARA-BOSCO Fantesca 160 «lo aver perduto et essere fatto stare di due collane», dove essere fattostare significa ‘restare privo’. È persuasiva l’idea di ZORZI 1401 che nella battuta successivaRuzante fraintenda par ‘pari’ scambiandolo per pare ‘padre’.88 Mio padre non ne sa niente, parola!par: ci si può chiedere, qui e a III 125 (compar), se non sarebbe meglio correggere par in pare;si può invocare, almeno in questo caso, l’influenza del par della battuta precedente, senza con-tare che par padre è forma presente in testi pavani cinquecenteschi (una decina d’esempi nelCORPUS PAVANO).89 Al sangue di Dio, non ci fu mai villano...Al sango de Des, ol no fo ma’ vilà...: per la forma Des cfr. I 24; la frase sottintende una conti-nuazione del tipo ‘non ci fu mai villano (onesto)’, o meno probabilmente ‘non ci fu mai villa-no (che mi ingannò)’. In un Alfabeto del villano settecentesco della Raccolta Bertarelli (ripro-dotto in F. NOVATI, Scritti sull’editoria popolare nell’Italia di antico regime, a c. di E. Barbierie A. Brambilla, Roma, Archivio Guido Izzi, 2004, p. 198) alla lettera I corrisponde il distico«In verità non fu giammai villano / che non avesse rapinà la mano» (corsivo mio). Lo scambiodi battute I 63-I 64 presenta nella movenza qualche analogia con quello di BIBBIENA Calandra72 «POLINICO: Deh! deh! Orsù! Non voglio con un servo... [...] FESSENIO: Non minacciare:ché, benché io sia vil servo, anco la mosca ha la sua collora; e non è sì picciol pelo che nonabbia l’ombra sua, intendi?». Per questa battuta è da integrare il commento di Padoan notan-do anche, in rapporto a quanto detto più oltre per I 68, l’andamento gnomico dell’ultimaaffermazione: «non è sì picciol pelo che non abbia l’ombra sua» riprende una sentenza diPublilio Siro, «Etiam capillus unus habet umbram suam» (Publilii Syri mimi Sententiae, ed.O. Friedrich, Hildesheim, Olms, 1964, rist. anast. dell’ed. Berlin, 1880, p. 41).90 Al sangue del canchero, siamo villani perché non abbiamo rubato! Non parlate dei villani,che ci bucheremo la pelle più di crivelli.a’ seon villani perqué a’ no aon robà: si potrebbe leggere anche roba (cfr. ad es. Parlamento 107«Cancaro a la roba!» e Parlamento 131 «morbo a la roba e chi la fé mé!»), ma robà sembrapreferibile, dato che nel Parlamento il robare e il sachizare sono associati al mestiere di solda-to di ventura (quello di Tonin, vd. I 24): «a’ le robiè in campo a un villan. Orbéntena, el noserae mal star in campo per sto robare» (p. 107), «A’ no dovì aer posù menar le man a gua-gnare, com ve pensavi, o botinizare, an?» (p. 113), «Mo quando andiesi in campo, a’ dîvi defare e dire e pigiare e sachizare e farve rico» (p. 119) e così via. In tal modo la frase di Ruzan-te non si limita a invocare la povertà del villano come male atavico, ma insinua l’accusa che

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TONIN A’ no voi fà’ custió 91.RUZANTE S’a’ no volì far custion, no di’ de villani, che inchina in Fran-za e in Tralia a’ responderae a tut’om 92.TONIN Basta, a’ no voi fà’ custió: s’a’ i t’è stà tolti, pacetia 93.RUZANTE Mo oh oh, di’ così! «Pacientiorum», disse Capo 94. E no di’ de

Tonin sia un ladro. Emblematico in questa direzione un testo come il Pater noster dei villani,che accusa in maniera martellante la soldataglia di furti e malversazioni (Historia nova de bar-zelette capitoli st[ram]botti & el Pater noster di vilani cosa molto bella & deletevola da ridereco(m)posta da più autori, s.n.t., c. Aiir-v, Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Misc.2175.5). sbuseron: cfr. Dialogo facetissimo 79 «a’ no ve farì mé sbusar la pele, vu» (in riferi-mento a pelle come qui); il verbo è registrato in CORTELAZZO 2007: 1179, BORTOLAN 244,MAZZUCCHI 219, NACCARI - BOSCOLO 469, BOERIO 612, BELLÒ 167, MIGLIORINI - PELLEGRI-NI 91, PIANCA 188, PRATI Vals. 155, RIGOBELLO 399, ZANETTE 561. pì ca no fo mè criviegi: ilcrivelo è lo «strumento coperto di cuoio seminato di buchi, da sceverare il grano» (BOERIO209, MAZZUCCHI 59, PRATI Vals. 47; crivel in BELLÒ 48, MIGLIORINI - PELLEGRINI 51 e PIAN-CA 44; crivella in BORTOLAN 84). Stessa immagine nella parte di Menego (simile per moltecoincidenze a quella di Ruzante nella Moschetta) in Dialogo facetissimo 77: «El n’è tanti busiint’un crivello da mégio, con i m’ha fatto in la me vita». L’espressione, forse semiproverbialeo quantomeno cristallizzata, è anche in MESCOLINO Il Targone v. 557 «i’ ti farei più buchich’un crivello» (PERSIANI 2004: 104), GIANCARLI Zingana 281 «a’ vuo’ far a un della panza uncrielo», CARAVANA 28v «No sastu che per poco la me monta, / che te farave de la panza uncrielo?», SGAREGGIO E1v «No fo tanto forò menù un crivelo, / né tanto pestagià co xe ’l mecore», BOLLA D4r «Ha più busi, che un crivello»; vd. pure BALDOVINI Lamento 47 «in quan-to a buchi i’ ne disgrado un vaglio» (i passi di Moschetta, Dialogo facetissimo e un terzo di Pio-vana 899 sono accostati anche in MILANI 1970 [2000]: 81 e nota 51).91 Non voglio litigare.fà’ custió: cfr. Pr. 15.92 Se non volete litigare, non parlate dei villani, che fino in Francia e in Italia risponderei achiunque.inchina: cfr. Pr. 18. in Tralia: «propriamente l’Italia meridionale peninsulare [...], una terramolto lontana, come la Francia» (ZORZI 1401 con rinvio a DEI 2124), tanto che in Piovana 907-909 rivolgendosi all’amata assente Siton esclama: «a’ te caterè, se a’ dêsse çercare quante Talieè in lo mondo»; e vd. più avanti a II 35 anche la battuta in moschetto in cui Ruzante si dichia-ra «della Talia, pulitan». Tralia presenta inserzione di r ‘parassita’ e occorre, oltre che nel pro-logo della Fiorina 727 («a’ son pavan e de la Tralia»), altre 25 volte nel CORPUS PAVANO (inMorello e nelle Rime di Magagnò) e poi in CALDERARI 75v (vd. qui anche Tralian 24r e 62v),MARCHESINI 95 e TUOGNO ZAMBON 76. a’ responderae a tut’om: cfr. anche per la parte pre-cedente della battuta la minacciosa replica registrata da MARCHESCHI 1983: 65 (n° 232, 1370):«Sono chusì buono huomo come vuoy et chosì vel p(ro)varò in o(n)gni p(ar)te del mo(n)do etsiamo pure là dove vi piase».93 Basta, non voglio litigare: se ti sono stati rubati, pazienza.94 Ma oh oh, dite così! «Pazienziorum», disse Capo.«Pacientiorum», disse Capo: Capo sta probabilmente per Cato (così LOVARINI 23 e ZORZI 1401).Accettando l’identificazione, va precisato che si tratta di Catone il Censore, cui sono attribui-ti i Disticha Catonis, assai fortunati in area romanza (vd. P. ROOS, Sentenza e proverbio nel-l’antichità e i ‘Distici di Catone’, Brescia, Morcelliana, 1984). Il distico cui Ruzante potrebbefar riferimento è I.38, sulla pazienza virtù essenziale: «Quem superare potes, interdum vinceferrendo, / maxima enim morum semper patientia virtus» (Disticha Catonis, a c. di M. Boas,Amsterdam, North-Holland Publishing Company, 1952, I.38, p. 81; meno pertinente IV.36«Sunt quaedam, quae ferre decet patienter, amici» a p. 241 dell’ed. citata). Il distico I.38 è pre-sente nei principali volgarizzamenti d’area italiana: in quello lombardo di Bonvesin da la Riva

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villani, que con’ disse questù se m’asegierì a’ correrè, e se me zaperìadosso a’ ve pisserè in gi uogi 95.

(B. DA LA RIVA, Expositiones Catonis. Saggio di ricostruzione critica, a c. di C. Beretta, Pisa,Scuola Normale Superiore, 2000, pp. 75-76); in quello veneziano duecentesco (A. TOBLER,Die altvenezianische Übersetzung der Sprüche des Dionysius Cato, in «Abhandlungen der Köni-glichen Akademie der Wissenschaften zu Berlin» 1883, pp. 1-87: 53, righe 16-26; mentre illatino patienter viene sempre tradotto con humel mentre, come a p. 82, riga 22); in quellopadovano riportato alla luce da Belloni e Sambin (BELLONI - SAMBIN 2004: 86, cui si rimandaanche per la circolazione padovana dei Disticha); in uno di quelli toscani (L. FONTANA, Un ine-dito volgarizzamento toscano dei «Disticha Catonis», in ALESSIO - STELLA 1979: 46-64: 53); inquello mediano di Catenaccio di Anagni (I Disticha Castonis di Catenaccio da Anagni. Testoin volgare laziale (secc. XIII ex.-XIV in.), a c. di P. Paradisi, Utrecht, Lot, 2005, vol. I, p. 225).In età medievale l’ultimo segmento del distico I.38 viene ridotto a proverbio: cfr. H. WALTER,Proverbia sententiaeque latinitatis Medii Aevi, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1965, p.730, n° 20833c «Patientia maxima morum est». Per il wellerismo vd. Piovana 899 «Mo l’èpecò, disse Cato, se ’l no me chiama, andar de fuora al desco» (dove la menzione di Catonesembra però ingiustificata) e Dialogo facetissimo 95, in cui occorre la stessa espressione usataqui, ma con l’attribuzione a un altro fantomatico personaggio: «Mo pasinzia, dise Baloco; purche a’ no moron» (entrambi i passi in MILANI 1970 [2000]: 65). Per la fortuna dei Disticha spe-cie nella commedia italiana cinquecentesca cfr. GIANCARLI Zingana 259 «Rumores fuge» (e lanota della Lazzerini, con un rimando al Pedante di Belo [cfr. infatti BELO Pedante 117, 146,147, 155, 179] e al teatro cretese; altri addebiti catoniani o pseudocatoniani ancora in GIAN-CARLI Capraria 69 e 125), STRASCINO Coltellino v. 500 «“segue rumores”, come disse Cato»(PERSIANI 2004: 49 nota che è un ribaltamento comico del catoniano rumores fuge, ne incipiasnovus auctor haberi), CALMO Saltuzza 165 «l’ira grande mi aveva impedito l’animo» (rielaborail distico II.4: «Tu iratus de incerta re noli contendere ideo, / quia ira impedit animum, ne pos-sit cernere verum»), INGANNATI 212 «E Catone: “Pugna pro patria”», ARETINO Marescalco 22«imperò che ars deluditur arte: il nostro Cato» (cfr. distico I.26 nella citata ed. Boas, p. 63),FOLENGO Baldus XV 117, le osservazioni di G. BERNARDI PERINI, Macaronico e latino nei Rabi-sch, in «Nuova rivista di letteratura italiana» I 1998, pp. 103-115: 104-105 (a commento del-l’esametro dei Rabisch «cum recte vivas ne cures sbagliamenta malorum», che rielabora unodei Disticha, «cum recte vivas, ne cures verba malorum»). 95 E non parlate dei villani, che come si dice se mi pungolerete correrò, e se mi calpesterete vipiscerò negli occhi.con’ disse questù: per il wellerismo cfr. I 5. se m’asegierì a’ correrè: per asegierì vd. BORTOLAN39 s.v. asegiar, PATRIARCHI 10, BOERIO 45; voci simili in LEI 1.549.11 ss. s.v. ACULEUS alla forma*ACILEUS (un *ACILJU era ipotizzato da A. PRATI, Vicende di parole, in ID X 1934, pp. 191-222:195 s.v. aségio). Aséjo con il significato qui pertinente di ‘pungolo per stimolare il bestiame’ inRIGOBELLO 59. Cfr. anche MAGAGNÒ Rime I 38v «Amore el cuor m’asegia» e poco dopo «ase-giarme e tromentarme», FIGARO H3v «m’aseggia Amor a smergolare», M1r «un cuor tuttoazzalin [...] / [...] me ten dà / xegiè sì strette, e fa / che a butto tal buttà slagreme, que / faraesgnicare i sassi da piatè», CALDERARI 43r «la so’ depentura [...] / che ten asegiò el cuore, /Amor del fatto to’ me ten monzù», 48r «Desierio e Amore / m’asegia e me dà cuore». Correrè‘correrò’ è giustamente difeso da ZORZI 1401 contro la traduzione «correrete» di LOVARINI23. e se me zaperì adosso a’ ve pisserè in gi uogi: per zaperì cfr. ad es. Parlamento 119 «uno conun cavalo [...] me zapà su un calcagno e me trasse la scarpa», Fiorina 747 «a’ zapiè su nazopa»; vd. anche BOERIO 806 («ZAPAR ADOSSO A QUALCÙN [...] vale fig. Aver a vile, spregia-re»), CORTELAZZO 2007: 1510 zapar ‘porre il piede’, BORTOLAN 305 zapò ‘calpestato’, MIGLIO-RINI - PELLEGRINI 122 zapada ‘pestata, pestone’. Per la seconda parte della frase ZORZI 1401spiega: «‘vi piscerò negli occhi’, pure figurato (come la credenza vuole facciano i rospi, semolestati o schiacciati)». L’ipotesi, condivisibile, induce a considerare in analoghi termini zoo-logici anche il precedente «se m’asegierì a’ correrè»: Ruzante si assimilerebbe prima a un ani-male quadrupede (bue, asino, cavallo) che reagisce al pungolo o alla puntura di un insetto

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moschetta

TONIN Basta, a’ ’m recomandi 96.RUZANTE Moa, moa! Ah ah ah! 97

TONIN [allontanandosi] S’el no fus quel ch’a’ voi dì’, al sango del can-car, a’ t’i faref buttà’ fo’ d’i ocg, poltró! 98

RUZANTE [rimasto solo] Potta, el ghe tremava el momisuolo! A’ faghepur ben sto mestiero, al sangue del cancaro! S’a’ me ghe metto a’ menarèvia tre o quattro! A’ no vuo’ gnan anare a ca’, a’ vuo’ anar... ch’a’ hevezùa na putta che la vuo’ menar via o per forza o, con’ disse questù... 99

scattando a correre (cfr. «Dante, rispondi, ch’i’ t’avrò a stancare, / ch’io son lo pungiglione, etu sè ’l bue» di Cecco, in D. ALIGHIERI, Rime, edizione commentata a c. di D. De Robertis,Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2005, p. 480), quindi a un rospo che acceca con l’urina chi l’hacalpestato. Tale credenza s’è sedimentata nel nome scompisciun («perché piscia») attribuito alrospo a Montebello Vicentino (AIS III 455 punto 373) e prima in FIGARO D2r «dosentoranuocchi / de qui scompissonazzi no pò tanto pissar, / co’ a fago mi co sto me pianto», ROVI-GIÒ G2v «Pescanto ’l gran Menon zò per na Valle / El pigiè per xagura un sconpisson, / cheghe pissè in ti g’uocchi, e in conlusion / l’è morto ’l poeretto da quel male». Già in SALVIONI1902-1904 (2008): 613 vv. 467-468 sono ricordati come animali infernali «rosp. raccole. rane./ Che quand. che. i. sent. el cald tossec i. pissa» (più sotto, p. 617 vv. 596-597, all’inferno «[...]bisse. e rosp. me magna / El fià»). Vd. in generale BECCARIA 2000: 95-98; prima H. PLOMTEUX,Le crapaud, magie et maléfice. À propos de quelques zoonymes italiens, in «Révue de Linguisti-que Romane» XXIX 1965, pp. 132-140: 134; ID., Les dénominations des batraciens anoures enItalie: le crapaud, in «Quaderni di Semantica» III 1982 (lavoro del 1963), pp. 203-300: 284; O.KELLER, Rana e rospo, in «Quaderni di Semantica» VIII 1987 (lavoro del 1913), pp. 207-218:207-210. Per il Cinquecento veneto la stessa tradizione è testimoniata dal Naspo bizaro, che inun paragone rammenta il «tossegoso [...] rospo» (citato da VIDOSSI 1960: 70 nota 116); vd.pure la similitudine attestata nel Pantalone impazzito di Francesco Righelli: «e lu el me dè unpe’ int’el cul che el m’ha quasi fatt cascà i dent dennanz. E mi allora, tutt infurià pezo de unrosp, a ghe saltè ados» (MARITI 1978: 223). L’identificazione spregiativa del villano con ilrospo è esplicitata in Prima Oratione 215 «i ghe dise, a nu containi, “vilani”, “marassi”, “raga-ni”» e Parlamento 111 «Cancaro! Gi è i mali villani ragani: per un quatrin i lagherae sgango-lire uno», dove ràgano indica per l’appunto il rospo (vd. ZORZI 1366 nota 24; rachano ‘ramar-ro’ nel Lapidario Estense: TOMASONI 1973: 206); su quest’aspetto cfr. L. BORGHI CEDRINI, Lacosmologia del villano secondo testi extravaganti del Duecento francese, Alessandria, Edizionidell’Orso, 1989, pp. 165-185, in part. pp. 175-176. In CROCE 2006: 284, seppure a illustrazio-ne non già della ferocia quanto piuttosto della miseria dei contadini, si dice che «questi fatto-ri si posson chiamar le Serpi e i villani le Rane ai quali essi sempre stanno adosso, né gli lassa-no a pena respirare». Se il verbo pissar alludesse invece all’urina umana e non alle secrezionivelenose del rospo, la minzione sarebbe l’atto carnevalesco già impiegato come tecnica di ria-nimazione in Betìa 405 «el m’è in pè / de pissarghe into ’l viso», Betìa 491 «a’ ghe pissarè inlo viso», Vaccaria 1111 «A’ cherzo che l’è strangossà. Chassì ch’a’ ghe cogneremo pissar in lovolto, zà che n’aón altra aqua ruosa» (in generale cfr. BACHTIN 2001: 208-209 e per le virtùcurative dell’urina 366-371).96 Basta, me ne vado.97 Caspita, caspita! Ah ah ah!Moa: cfr. I 22.98 Se non fosse quel che voglio dire, al sangue del canchero, te li farei buttare fuori dagli occhi,poltrone!99 Potta, gli tremava la faccia! Faccio pur bene questo mestiere, al sangue del canchero! Se mici metto ne porterò via tre o quattro! Non voglio neanche andare a casa, voglio andare... cheho visto una ragazza che la voglio portar via o per forza o, come si dice...

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atto primo

Potta: l’esclamazione, spesso in combinazione con altri elementi (cfr. potta del cancaro a I 1 elì il commento a puttana del vivere), occorre anche autonomamente (II 22, II 23, III 82, III136, III 140, III 149, V 4, V 10, V 40, V 53, V 57, E 17): per un regesto completo si rinvia unavolta per tutte all’Indice delle parole e dei fenomeni linguistici annotati, s.v. momisuolo: ZORZI609 emenda in mentisuolo, ma le stampe veneziane hanno tutte momisuolo, senza contare cheil tipo mento non è veneto: mancano ess. in CORPUS PAVANO, BOERIO 411 s.v. mento rimandaa barbuzzo e in AIS I 115 menton occorre in Veneto Centrale solo al punto 346 (Tarzo [TV]).Momisuolo resta tuttavia di difficile illustrazione: la parola si potrebbe ricondurre con caute-la alla base onomatopeica MOMO (REW 5653 dà il significato principale di ‘smorfia’), da cui pervia francese procede una parola nota in area veneta come momarìa / mumarìa ‘mascherata’.Vd. di rincalzo anche il francese moumon ‘visage renfrogné’ (FEW 62-3.63.a s.v. MOMM-; seman-ticamente affine munì ‘grimace d’un enfant qui pleure’, ma continua l’ar. MAIMUN ‘scimmia’,vd. FEW 19.192.b) e i toscani sommommo e sommommolo ‘colpo inferto sotto il mento’ (GDLIXIX 394, dove è proposta però un’etimologia inaccettabile rinviando a mommo ‘bevanda’,‘latte materno’ in GDLI X 754-755). Se si scegliesse di correggere, sarebbe preferibile stampa-re montisuolo seguendo le edizioni vicentine: per attestazioni della parola vd. PATRIARCHI 129montissolo («mento, parte estrema del viso sotto la bocca»), PAJELLO 150 («mento del caval-lo, barbozza») e prima MAGAGNÒ Rime I 27v montisoletto, 29r montissuolo; Rime II 50r, 60vmontissuolo; Rime III G7v muntissuolo, I5r montisuolo; FIGARO B3r, C4v montissuolo; CAL-DERARI 4v, 19r, 39r, 46r, 71v; MARCHESINI 83 e 95; TUOGNO ZAMBON 12 e 99; Lenzo Durellomontissuolo (MILANI 1990: 414 v. 49); Belluora dei Bragagnitti «e a muo’ che fa un figgiuolo/ ghe cazzo el montizzuolo / in le tettine» (MILANI 1992: 175 vv. 178-180). Semanticamenteidentica l’espressione di Dialogo secondo 167 «con a’ ghe disissi che giera un mal omo e cheaea puoco disierio de far ben, el ghe scomenzé a tremolare el sbarbuzzale, che ’l no vêa l’orade ficarse in ca’». a’ vuo’ anar... ch’a’ he vezùa na putta che la vuo’ menar via o per forza o, con’disse questù...: ZORZI 609 aggiunge la didascalia «mostra la borsa dei soldi presi al soldato edesce rapido»; incline a sostenere quest’ipotesi anche FRANCESCHETTI 1998: 208 nota 34 (cheavverte: «si tratta comunque di interpretazione verisimile e probabile, ma non assoluta»). Ilfatto che sia una formula welleristica («con’ disse questù...») a chiudere la battuta suggeriscepiuttosto di pensare a un’espressione proverbiale del tipo «o per forza o per amore», conampia documentazione in tutti i dialetti italiani (LEI 2.850.52 ss.). In area centro-settentriona-le cfr. ad es. anche «o per forza, o per bontà» nelle Dieci Tavole dei Proverbi (CORTELAZZO2007: 575), MEDICI Aridosia 511 «se non per amor, per forza», LASCA Pinzochera 850 «se nonper amor, per forza», D’AMBRA Furto 94 «o per amore, o per forza», ODDI Erofilomachia 333e G.C. CROCE, Il tesoro - Sandrone astuto. Due commedie inedite, a c. di F. Foresti e M.R.Damiani, Bologna, Clueb, 1982, p. 72 «o per amore o per forza» e p. 114 «o pr amor o prforza».

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ATTO SECONDO

[Scena prima] MENATO e RUZZANTE

MENATO Madesì, con’ a’ ve dego dire, compare, a’ saì che sempre mè a’v’he vogiù ben, e, con’ disse questù... intendì-vu? 1

RUZANTE No ’l sè-gi compare? Quando a’ volissi amazar quelù que aeasbagiaffò drio a vostra comare, no ’l sè-gi ch’a’ ’l fiessi per me’ amore? 2

MENATO A’ volea an’ amazzare questù ch’a’ he cattò que ghe faellavaadesso, s’el no foesse stò... A’ dighe: a’ no vorrae gnan guastare un ome ella in’ foesse cason, intendì-vu co’ a’ dighe compare? 3

1 Ma sì, per Dio, come vi devo dire, compare, sapete che vi ho sempre voluto bene, e, comesi dice... capite?Madesì lett. ‘m’aiuti Dio sì’, ‘proprio così’: cfr. BOERIO 381, RIGOBELLO 262 (madòi ‘perbacco’),CALMO Saltuzza 69 e nota 78 nonché G. BERTONI, Cellini: «Maide cancher!», in «ArchivumRomanicum» XX 1936, pp. 123-124. sempre mè: cfr. Pr. 1. a’ v’he vogiù ben: la dichiarazio-ne di amicizia disinteressata cela il progetto di servirsi di Ruzante. con’ disse questù... intendì-vu?: altro wellerismo (cfr. I 5). L’omissione di Menato («con’ disse questù... intendì-vu?) esem-plifica fin dalla prima battuta la sua tendenza alla laconicità e alla diffidenza.2 Forse non lo so compare? Quando volevate ammazzare quello che aveva sparlato dellavostra comare, non lo so io che lo facevate per mio amore?sè-gi: cfr. Nota al testo § 1.1.2. Quando a’ volissi amazar quelù que aea sbagiaffò drio a vostracomare: volissi è passato remoto come fiessi successivo (vd. WENDRINER § 122 p. 74 e le osser-vazioni di SKUBIC 1971: 166). Per sbagiaffò cfr. sbagiaffaore Pr. 12. L’osservazione di Ruzantesuona come altre amaramente e inconsapevolmente autoironica: Menato non ha certo difesol’onore di Betìa per tutelare il compare, ma solo perché geloso di una donna che è stata suaamante.3 Volevo anche ammazzare questo che ho sorpreso adesso a parlarle, se non fosse stato...Voglio dire: non vorrei neppure storpiare una persona per colpa sua, capite come dico com-pare?questù: verosimilmente Tonin, ma non è certo (cfr. ZORZI 1402). guastare ‘rovinare’ (così

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atto secondo

RUZANTE No d’ella compare! La n’è de quella fatta, l’è na putta da ben!De gi uogi a’ no vuo’ miga dire, mo del resto l’è na santarella. E po checri’-u? A’ s’aon sempre mè vogiù ben da puttati boaruoli in su, che ellaandaea fuora con le oche e mi co i puorci, a’ se amorizàvimo così con giuogi, ch’a’ no saìvino... Mo, con’ disse questù, la giera la nostra sem-pitè 4.MENATO A’ ghe volì un gran ben a sta vostra femena! A’ sè ch’a’ novorae ben, mi, a chi no m’in’ volesse a mi 5.RUZANTE No faellé de ben volere, compare, que i scagni e le banche deca’ el sa, che con’ a’ son sentò intun luogo, de fatto la me è sentà a pe’;e po la n’è de ste stinè, de pinion, che vuò stare de sora de tutti. La selaga volzere e goernare lomè con’ a’ vuogio mi, intendì-u compare? 6 A’

LOVARINI 27), in riferimento a un essere umano ‘sfigurare’ o ‘invalidare’: cfr. ad es. Betìa 331«Sì, mo te hassi guasto / e sbrogiò la schina», BIBBIA 43 «anemale [...] guasti o veramentemorti», BIBBIA 74 «guasti per grandissime piage venenose», SALVIONI 1902-1904 (2008): 600v. 30 «No conzerou el magòn tant l’he guast», GIANCARLI Zingana 385 «a’ no vorave guastareel fatto me’ de mi», BIBBIENA Calandra 105 «El braccio hai tu guasto a me». A III 22 l’agget-tivo pare indicare, più precisamente, una ferita profonda con sangue infetto, secondo un’ac-cezione in parte ancor viva: cfr. DOMINI 214 dent guast ‘dente cariato’, QUARESIMA 207 gast«guasto (detto di frutta, sangue, dente)». intendì-vu co’ a’ dighe compare?: movenza simile aquelle di Parlamento 115 «intendiu com a’ dighe, compare?» e Dialogo facetissimo 73 «L’è po’el cancaro, intendiu con a’ dighe?».4 Non ditelo di lei compare! Non è fatta in quel modo, è una ragazza per bene! Degli occhinon voglio mica dire, ma per il resto è una santarella. E poi che credete? Ci siamo semprevoluti bene fin da quando eravamo bambinetti bovari, che lei andava fuori con le oche e iocon i maiali, e amoreggiavamo così con gli occhi, che non sapevamo... Ma, come si dice, era lanostra semplicità.del resto l’è na santarella: per il valore ironico e antifrastico di santarella già in antico cfr. GDLIXVII 528, CORTELAZZO 2007: 1161, CALMO Saltuzza 135, PELLEGRINI 1969-1970 - 1970-1971(1977): 308 v. 82 «le par tut santarelle», INGANNATI 224 «dice l’officio, come unasantarella». boaruoli: cfr. BORTOLAN 50 boaruolo, BOERIO 84, MAZZUCCHI 25 boarolo ‘bifol-chetto’, RIGOBELLO 86 boaról e boarólo. a’ se amorizàvimo così con gi uogi, ch’a’ no saìvino...:cfr. Anconitana 877 «a’ se smorezeremo co gi uoci almanco»; il verbo è registrato solo da BOR-TOLAN 31 (Calderari). Analoghe rimembranze infantili nelle parole di Morel: «Me record<e>del temp che ’l cai la foja, / ch’ere tosat, e che zeve a past pera, / mi con le agnelle e ella conla truoja» (PELLEGRINI 1964 [1977]: 397 vv. 166-168); ma vd. soprattutto MARCHESINI 11:«Mo que, serore, no g’he’-tu in smelmuoria / le nostre puritè? / Que da tosati a’ nasevene ingluoria / tutti du de brighè / con tante mocche, ti con le ocche, / mi con i porcieggi, o con ivièggi». con’ disse questù, la giera la nostra sempitè: per il wellerismo cfr. I 5; sempitè, da sem-pio ‘semplice’ ‘sciocco’, non è registrato nei vocabolari dialettali, ed è hapax nel CORPUS PAVA-NO («scempietà» traduce LOVARINI 27).5 Le volete un gran bene a questa vostra moglie! So che non vorrei bene, io, a chi non me nevolesse a me.A’ sè [...] volesse a mi: movenza simile a quella della tentatrice Melissa in ARIOSTO Orlando Furio-so XLIII 24.7-8 «Comincia a comendar la intenzion mia, / ch’io sia fedele a chi fedel mi sia».6 Non parlate di voler bene, compare, perché persino le sedie e le panche di casa lo sanno,che quando sono seduto in un posto, subito mi si siede vicino; e poi non è di queste ostinate,di carattere testardo, che vogliono comandare tutti. Si lascia volgere e guidare solo comevoglio io, capite compare?

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moschetta

dighe mo’ che la n’è superbiosa e con’ a’ vaghe a ca’, s’a’ son straco osuò, de fatto la me mette na strazza in la schina, compare, intendì-u?S’a’ stago de mala vogia la dise: «Mo que aì-u?». S’a’ no ghe ’l vuogiodire la me dise: «Mo con chi poì-u miegio sborare le vostre fantasie cacon mi?». Intendì-u compare? 7

i scagni e le banche de ca’ el sa: per scagno ‘scranno, sgabello’ vd. CORTELAZZO 2007: 1181, BOR-TOLAN 244, BOERIO 614, BELLÒ 167, MAZZUCCHI 120, NACCARI - BOSCOLO 470, PIANCA 188,PRATI Vals. 156, RIGOBELLO 400, ZANETTE 562; per banca ‘panca’ BOERIO 60, BELLÒ 9, MAZ-ZUCCHI 18, NACCARI - BOSCOLO 36, PIANCA 6, PRATI Vals. 9, RIGOBELLO 68 (in generale LEI-GERM 1.420.1-423.6). Per espressioni affini cfr. Betìa 451 «O cari e buoni dì, / che quanti a’n’he abù! / El saì pur vu, / scagni e banche de ca’», Anconitana 873 «El se favela lomé deamore, in quela ca’ [...], fina le banche, i scagni, le casse sente d’amore», Piovana 899 «TURA:Daldura! DALDURA: Chi ciama Daldura? TURA: Chi ghe da el pan? DALDURA: La crênza, elforno, mo la so boca no favela. El de’ esser el paron d’igi, che ven a essere an me paron demi», Vaccaria 1125 «inchina i cuòfani e le crenze [e] gi armari è tornè vivi alliegri» e 1175 «Sele sta in sta ca’ tuto guano, sti scagni e ste banche de ca’ sentirà cossì biè tanfaruzi con se sen-tisse mé»; ma vd. pure la prima battuta dei Suppositi in prosa: «[...] seremo certe almeno nonessere da alcun udite. Credo che in casa nostra sino le lettiere e le casse e li usci abbino li orec-chi» (ARIOSTO Commedie 199; similmente nella versione in sdruccioli, p. 263) e ARETINOMarescalco 10 «MARESCALCO: Chi ti ha detto questa ciancia? RAGAZZO: I gentiluomini, i paggi,i secretari, i falconieri, gli uscieri, e il tappeto che sta in su la tavola». È plausibile, tanto perAriosto quanto per Ruzante, la derivazione plautina del procedimento, già studiato da EduardFraenkel (La personificazione di cose inanimate, in ID., Elementi plautini in Plauto, Firenze, LaNuova Italia, 1960, trad. di F. Munari, pp. 95-104, ed. or. 1922). Quello della mobilia chia-mata a testimone sembra un espediente tipico dell’oralità popolare, se ancora il portiano Gio-vannin Bongee esclama: «Desill vujolter banch, pajon, testera, / piumitt, covert, desill, se intresent agn / avii mai vist olter lugher nè sbir / che quij del scoldalecc e di candir» (C. PORTA,Poesie, a c. di D. Isella, Milano, Mondadori, 2000, ed. accr., p. 169). a pe’: cfr. Betìa 311«Guarda mo se a’ porae sofrire / a dromire, com foesse a pè de ti», Parlamento 123 «Se a’ fosséa le man, la no sarae segura a starve a pé», CALMO Saltuzza 154 nota 71. de ste stinè, de pinion:la punteggiatura di Zorzi («stinè de pinion») non mi pare soddisfacente, visto che de pinionricorre anche come sintagma autonomo (vd. III 134 «femena de pinion»). Cfr. Prima Oratio-ne 213 «stiné spinse-musi», ORIOLO Diiir «stinà sì fieramen»; non ho, a parte quello di III 134,riscontri per la locuzione de pinion ‘dalla testa dura’, ma la semantica è chiarita dalle vocivenete adunate in PIREW 6073a s.v. OPINIO: punion ‘ostinazione’, punioso ‘ostinato’ e puniarse‘ostinarsi’ (e cfr. anche BELLUORA 7r «L’è tutta na pinion, che xè da matto / tegnirse assè pì detalun Mazore»). vuò stare de sora de tutti: cfr. Prima Oratione 213 «sti altieri, che vò staresempre de sora de tutti», Vaccaria 1169 «ten soto pè so marìo o ghe vuol star de sora», «vui gastastu co fa l’oio / sora l’atri in magazen» (CORTELAZZO 2006: 484), MAGAGNÒ Rime II 12v«Te no dirissi zà, Viga me’ bella, / voler star con’ fa l’uuolio su la scuella», BOERIO 674 «Starde sora come l’ogio [...] si dice fig. nel Voler sempre soprastare ed essere a vantaggio»; ancheCORTELAZZO 2007: 1273, NACCARI - BOSCOLO 525 e RIGOBELLO 451 s.v. sora. La se laga vol-zere e goernare lomè con’ a’ vuogio mi, intendì-u compare?: per lomè cfr. I 1; volzer e simili soloin BORTOLAN 302; per goernare ‘accudire il bestiame’ (cui viene implicitamente assimilataBetìa) cfr. I 1.7 Dico proprio che non è superba e quando vado a casa, se sono stanco o sudato, subito mimette un panno vecchio sulla schiena, compare, capite? Se sono di mala voglia dice: «Ma cheavete?». Se non glielo voglio dire mi dice: «Ma con chi potete sfogare il vostro malumoremeglio che con me?». Capite compare?superbiosa: altri ess. in CORNARO 1981: 88 riga 251, in BELLUORA 4r («scontraria ghe fosse esuperbiosa»: detto anche qui di donna) e nel napoletano di BASILE Cunto 538 «cosa supervo-sa e granniosa»; vd. anche RIGOBELLO 481 superbió!o ‘superbo’. de fatto la me mette na straz-

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atto secondo

MENATO Ve fa-la de ste carezze anca adesso? 8

RUZANTE L’è ben da no so que dì in qua che co’ a’ ghe dighe na parolala m’in’ dise tre. E con’ dise questù, s’a’ dago una botta in zò, la in’ vuòdare tri in su! 9

MENATO Mo vi’-vu se l’è con’ a’ ve dighe mi? Mi a’ sè ch’a’ si foesse invu, ch’a’ vorae proare e saere la veritè fremamen 10.RUZANTE Mo a que muo’? 11

MENATO Mo a’ vuo’ ch’a’ ve mué de gonella, e ch’a’ ve vesté da cittain

za in la schina: per asciugare il sudore al marito ed evitare che prenda freddo: per de fatto cfr.Pr. 2; per strazza ‘cencio’ vd. BOERIO 713 (la forma femminile è di tutto il Veneto: BELLÒ 194,MIGLIORINI - PELLEGRINI 110, NACCARI - BOSCOLO 558, PIANCA 218, PRATI Vals. 183, ZANET-TE 654). sborare le vostre fantasie: possibile un doppiosenso sessuale (cfr. ZORZI 1402). Persborare Zorzi rimanda alla glossa «Sborravit melius quam manifestavit» (vd. FOLENGO BaldusIV 191 e nota); cfr. anche FOLENGO Macaronee minori 790 s.v., CAVASSICO II 389 sborarse ‘sfo-garsi’, SALVIONI 1890-1892 (2008): 315 sborrir ‘sfogarsi’, ‘pigliar gusto’. Per significati affinivd. BOERIO 609 sborarse ‘sollevarsi, ricrearsi’, NACCARI - BOSCOLO 466 sboré quél che avé dadire e può ala ‘dite quel che avete da dire e poi andatevene’. Per fantasie ‘preoccupazioni, pen-sieri tristi’ cfr. ad es. FOLENGO Macaronee 737 s.v. e nota 3 p. 11. Il doppiosenso fa certo levasu sborrare ‘eiaculare’, ampiamente diffuso nei dialetti settentrionali: vd. A. PRATI, Vicende diparole VII, in AGI XXXIV 1939-42, pp. 36-65: 61, n° 53 s.v. sbòra. L’espressione anche inCALMO Rodiana 185 «e’ vuogio un puoco sborar la fantasia con lui» (‘mi voglio sfogare conlui’); più spesso con il significato allusivo probabile anche qui: cfr. ARETINO Cortigiana 145«menate le calcole, e sborratevi la fantasia per una volta» (i due ess. anche in LEI 6.1127.43 e1128.18-19); A.F. DONI, La Mula, La Chiave e madrigali satirici cit., pp. 32-33: «io vi supplicoadunque ad avere cura delle chiavi ch’io vi mando, et a farne una per l’orto [...], e sopra tuttoche sia maschia, cioè ch’ella abbia il dritto e ’l rovescio e si possa doprar dinanzi e di dietro,acciò li ortolani possano a lor parere sborrar le fantasie con l’entrare e con l’uscire da tutti icanti a loro comodo e piacere»; MAGAGNÒ Rime II 45r «Sempre mè ’l t’ha tirò / pì el cuore,quando t’ieri in compagnia / al to’ anor che a sborar na fantasia». Tipi analoghi sono sborarl’animo ‘sfogarsi’ (SALLACH 190-191), sborar e dir i fatti mié (Dialogo secondo 155), sborar lamaruogna (SALVIONI 1902-1904 [2008]: 630 v. 1049) e slainare el me animo ‘rivelarmi, sfogar-mi’ (Fiorina 731). Come segnalato da PADOAN 1998: 181, la battuta della Moschetta è ripresaprobabilmente da ARETINO Marescalco 17-18, dove la balia illustra al marescalco alcuni van-taggi del matrimonio: cfr. Introduzione § 5.8 Vi fa di queste carezze anche adesso?9 Per la verità è da non so che giorno a questa parte che quando le dico una parola lei me nedice tre. E come si dice, se do una botta in giù, lei ne vuole dare tre in su!L’è ben da no so [...] s’a’ dago una botta in zò, la in’ vuò dare tri in su: le espressioni – di cui nontrovo altri ess. – alludono all’irascibilità e scontrosità di Betìa negli ultimi tempi (solo inten-dendo così ha senso la replica di Menato «Mo vì-vu se l’è con’ a’ ve dighe mi?» a II 9). Nel-l’attacco («L’è ben da no so que dì») e nella sostanza della battuta si potrebbe scorgere unricordo di quella di messer Nicia a proposito di Lucrezia: «Da quel tempo in qua ella sta inorecchi come la lepre; e come se le dice nulla, ella vi fa dentro mille difficultà» (III 9, cito daN. MACHIAVELLI, Mandragola, a c. di P. Stoppelli, Milano, Mondadori, 2006, p. 60). Da nota-re l’alternanza tre/tri, priva qui di qualsiasi valore funzionale al contrario di quanto accade inpadovano antico, dove la seconda forma, metafonetica, è riferita sempre a sostantivi maschili(TOMASIN 2004: 180 nota 303).10 Ma vedete se è come dico io? Io so che se fossi in voi, vorrei provare e sapere la veritàsenz’altro.11 Ma in che modo?

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o da soldò o da scolaro, e ch’a’ faellé per gramego, ch’a’ sè mo’ ch’a’ sarìfare, ch’a’ le catessé sotto terra le noelle da dire e da fare! 12

RUZANTE Aldì, a’ n’he fatta una puoco è de no so que dinari... oh can-caro, bella! 13

MENATO Mo i dinari sarà aponto boni 14.RUZANTE Mo a que muo’ volì-u ch’a’ catte da muarme de gonella? 15

MENATO Mo vegnì chialò con mi 16.RUZANTE Andon compare 17.MENATO A’ saverì amanco se la ve sarà leale, e se a’ ve porì avantar d’el-la 18.RUZANTE Vi’, compare: la testa denanzo i pie’ con sto pestolese a’ ghefarè saltare, che la no sarà segura inchina drio l’altaro 19.

12 Ma voglio che vi cambiate d’abito, e che vi vestiate da cittadino o da soldato o da studen-te, e che parliate in lingua colta, perché so che lo saprete fare, le trovereste sotto terra le burleda dire e da fare!Mo a’ vuo’ ch’a’ ve mué [...] gramego: cfr. ancora una volta ARIOSTO Orlando Furioso XLIII 31.7-8 «Vo’ che muti il parlare e i vestimenti, / e sotto viso altrui te l’appresenti». mué de gonella:cfr. GDLI VI 980 s.v. gonnella ‘tunica o sopravveste maschile’, PRATI Vals. 78 gonèla ‘giaccalunga’. da cittain o da soldò o da scolaro: categorie estranee al villano sia socialmente che lin-guisticamente. per gramego: l’espressione designa propriamente il latino (cfr. ad es. VENIERPuttana errante 68 «Questo tuo bus in bus è per grammatica» e D’AMBRA Furto 58 «io per menon intendo grammatica»), ma qui par indicare piuttosto la lingua cittadina, più corretta maanche più affettata: cfr. MILANI 1989 (2000): 174 e MARCHESINI 15 «Chi per sletra, chi perTascan, Gremiego, e chi in versoro». Gramego ha, insieme a questo significato (registratoanche in BORTOLAN 133), quelli vicini e progressivamente spregiativi di ‘vezzoso’, ‘petulante,borioso’, ‘sciocco’. Per il primo oltre a SALVIONI 1902-1904 (2008): 617 v. 627 e 693-694 cfr.anche SALVIONI 1894 (2008): 231; per il secondo insieme a PELLEGRINI 1964 (1977): 405 v. 401«ste sgionfe, ste superbe, ste grameghe» (Egloga di Morel), vd. MILANI 93 «Meliola, per to fe’,tu è ben gramega / a non volerti lassar limestare / a Piero di Bruol» (Sommariva) e MAZZARO1991: 54 v. 88 grameghi ‘saccenti’. Il tema della diversità linguistica di Ruzante era già in Par-lamento 109 dove il compare Menato gli fa osservare: «Aì muó la lengua: a’ favelé a la fioren-tinesca de Breseghella» e in Dialogo secondo 169: «E po’ a’ faelleré da soldò spagnaruolo, chei sonerà pì d’otto. L’è miegio ch’a’ proa un puo’ a che muò a’ faré» (alla battuta seguiva forseuno sketch costruito sull’imitazione linguistica del soldato spagnolo: vd. qui II 23 e ss.); anchein Lettera giocosa 223 un cenno sul «favelar [...] a la soldarina com fa i soldé».13 Sentite, ne ho combinata una poco fa con non so quali denari... Oh canchero, che bella!de no so que dinari: si riferisce alla truffa ai danni di Tonin.14 Ecco, i denari ci verranno appunto buoni.15 Ma in che modo volete che trovi da cambiarmi d’abito?catte: cfr. Pr. 6. gonella: cfr. II 11.16 Ma venite per di qua con me.17 Andiamo compare.18 Saprete almeno che vi sarà fedele, e se vi potrete vantare di lei.19 Vedete, compare: le farò cadere la testa davanti ai piedi con questo pistolese, e non saràsicura neppure dietro l’altare.pestolese ‘sorta di pugnale’ (la cui lama era fabbricata a Pistoia): vd. oltre a DEI 2954, PATRIAR-CHI 149 s.v. pistorese e BOERIO 513 anche GDLI XIII 5752 e CORTELAZZO 2007: 1017 pistolese.L’arma è attribuita a bravi in alcuni testi buleschi: cfr. DA RIF 1984: 93 v. 82 e 129 v. 126. la

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atto secondo

MENATO No compare, a’ no vuo’ ch’a’ la mazzé per questo, mo a’ saerìse arì impegò el culo, compare 20.RUZANTE Andon, ch’a’ n’he tanta vuogia ch’a’ no vezo l’ora 21.

[Scena seconda] TONIN solo

TONIN Ho aldit semper dì’ che l’amor fa deventà’ i omegn gros, e chel’è casó de grà dolor e de grà plasì’, e qu’el costa de gros daner, e fà’ acdeventà’ ù valentom poltró. E mi ch’a’ só valentom, per amor de no fà’desplasì’ alla mia inamorada, a’ n’ho volut responder a quel villà tradi-tor de so’ marit 22. Ol m’ha dit in plaza tata vilania, com s’el m’aves tro-vat a lecà’ i so’ tagier, e que só ù poltró, e que só un asen, e que la miapel no val negota. E no gh’ho volut respondì’, mo poltró è-l lu, e unasen! 23 Che s’el fos qui ades, a’ no so s’a’ ’m podis tegnì’. Mo a ogni

no sarà segura inchina drio l’altaro ossia ‘neppure Dio potrà proteggerla, nessun luogo potràripararla dalla mia ira’: per l’espressione cfr. «Esser sicuro come sull’altare, Esser sicurissimo:detto di cosa: “Affidando a lui cotesto denaro, sarebbe sicuro come sull’altare”» in G. RIGU-TINI e P. FANFANI, Vocabolario italiano della lingua parlata, Firenze, Barbera, 1893, p. 50. Alta-re occorre in un’esternazione di iperbolica aggressività verbale anche in Piovana 941 «Mo, se’l no bastesse a mazar un uomo, a’ mazarè an du altari e tut’una giesia», dove l’allusionepotrebbe esser diretta però a un altare vero e proprio, siccome Nina e Ghetta sono asserra-gliate dentro una chiesa; vd. anche l’analoga smargiassata «No me vegna nessun per un toaviso / a farme matinae su per le porte, / ch’el no serà seguro in paraiso» (LIPPI 1997 [2003]:202 vv. 7-9, da un Intermezzo alla bulesca). Per sarà cfr. Nota al testo § 1.1.2.20 No compare, non voglio che la ammazziate per questo, ma saprete se avete il culo sporco,compare.a’ saerì se arì impegò el culo ossia ‘saprete se siete nei pasticci’ (in riferimento alla fedeltà dellamoglie): per impegare cfr. a Pr. 1 l’analogo avere impegò le calze ‘avere qualche magagna’.21 Andiamo, che ne ho tanta voglia che non vedo l’ora.22 Ho sempre sentito dire che l’amore fa diventare gli uomini stupidi, e che è causa di grandedolore e di grande piacere, e che costa dei gran soldi, e fa anche diventare poltrone un valen-tuomo. E io che sono valentuomo, per non voler fare dispiacere alla mia innamorata, non hovoluto rispondere a quel villano traditore di suo marito.gros: cfr. I 54. fà’ ac deventà’ ù valentom poltró: per le due parole cfr. I 24 e I 36. La frase radu-na una serie di luoghi comuni sull’amore: cfr. già Betìa 183 «Amore [...] / fa ch’a’ deventón, /a servirlo, mati spazè» e ad es. MEDICI Aridosia 444 «Gli è ben vero che non è cosa che faccipiù impazzar gli uomini che l’amore», GIANCARLI Capraria 123 «chi è inamorato crede il piùde le volte quello che non è», ARIOSTO Orlando Furioso I.56.5-6 «Quel che l’uom vede, Amorgli fa invisibile, / e l’invisibil fa vedere Amore», DP 109 «l’amore è pazzo» e DP 115 «troppoamare fa gli uomini stolti», «grande amore, grande dolore», «in guerra, nella caccia e negliamori, in un piacer mille dolori», «Chi non ha denari non faccia all’amore». villà traditor:stessa topica offesa nel bergamasco del medico in Pastoral 183 «sto villà traitor».23 M’ha detto in faccia tante villanie, come se mi avesse trovato a leccare i suoi piatti, e chesono un poltrone, e che sono un asino, e che la mia pelle non vale niente. E non gli ho volutorispondere, ma poltrone è lui, e un asino!in plaza ‘pubblicamente’: cfr. in TIRABOSCHI 978 «Met in piassa – Manifestare, Palesa-re». com s’el m’aves trovat a lecà’ i so’ tagier ossia ‘come se mi avesse sorpreso a danneggiarlo’.

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muot a’ ghe n’impagherò, ch’a’ no voi lassà’ li vendetti de drè a me’ fioi.A’ ’m disive-l asen? Mo asen è-l lu, e ù poltró. El no aveva mo’ negot inmà, ch’a’ ’l podivi castigà’; a’ l’aref podut amazzà’! Ma da qui inanz ino’ a’ ’l trovi a’ ’m deliberi inanz ch’a’ vaghi in camp ch’a’ ’l voi fà’deventà’ da val Strupia 24.

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moschetta

GDLI VIII 875 registra Leccare i piatti o i taglieri rimandando ai rispettivi sostantivi: solo s.v.piatto (GDLI XIII 321) si trova leccare i piatti «mangiare a volontà, saziarsi. Anche: trovare tor-naconto, trarre vantaggio». Per tagier cfr. BOERIO 732, GDLI XX 681 e TB VIII 1346 («gli anti-chi l’usarono per Piatto, o Piattello assolutamente»). L’espressione, anche in Piovana 933 («esì me ha dito tanta vilania, con se ’l me aesse catò a lecare i suò tagieri»), è registrata in BOLLAF6v: «Par che mi habia trovato a leccar le pignatte. Me tractat, ac si me reperisset lingere ollas».Vd. per la sfumatura spregiativa del composto e dell’azione relativa Betìa 423 «i tagieri, se noi saverì lavare, / che el v’i faza lecare» (detto di moglie inadatta ai lavori domestici), MANTO-VANO Formicone 45 «mi pósse nome Licopino, perché il dicea ch’io leccava i taglieri con la lin-gua quando non v’era più carne» (a parlare è un parassita), FOLENGO Baldus IV 171-172 «atZambellus aium fortasque appena cipollas / mangiat et interdum gaudet leccare scudellas»(inclinazione miserevole contrapposta a quella di Baldus che «in tavola, vult [...] haberecaprettos»), la maledizione bergamasca di Comedia nova de Notturno Napolitano intitolataGaudio d’Amore, Venezia, Sessa, 1531 (London, British Library, 1715.a.43), c. 20v «Sia mala-dechg quachg fanteschi, e masser / al mond ’s ga trova, ca no i è sno boni / sta drè ’l cul aibertó, leccà’ i taier», ARETINO Marescalco 12 «sempre borbottate, o che il vostro famiglio è unladro, o che egli è uno imbriaco [...], o che lecca i piatti [...]», CARAVANA 34v «Alguni, l’altrodì, liccataieri / volse zugar de zergo con sto fusto», BASILE Cunto 428 (dove si trova l’ingiu-rioso licca-pignata) e La trionfante vittoria della Quaresima contro il Carnovale di G.C. Croce,dove Carnevale è definito lupo, brodaglione e lecca tagliero (CAMPORESI 1993: 66); attestazionipiù recenti in RIGOBELLO 250 lecapiàc’ (Malcesine, senza spiegazione) e G. ROHLFS, Diziona-rio dei cognomi e soprannomi in Calabria, Ravenna, Longo, 1979, p. 316 alliccapiatti (sopran-nome in origine non lusinghiero). asen: «Detto ad uomo vale Sciocco, Ignorante» (TIRABO-SCHI 101), ma non è da escludere qui la sfumatura di ‘villano’, ‘truffatore’ documentata da S.PELLEGRINI, Asinità «villania, beffa» (1973), in ID., Varietà romanze, a c. di G.E. Sansone, Bari,Adriatica, 1977, pp. 471-473. la mia pel ‘la mia vita’, ma pel può continuare propriamente lametafora asinina. negota: cfr. negot a I 24.24 Che se fosse qui adesso, non so se potrei trattenermi. Ma in ogni modo gliela farò pagare,perché non voglio lasciare le vendette da fare ai miei figli. Mi diceva asino? Ma asino è lui, eun poltrone. Non aveva neppure qualcosa in mano, lo potevo castigare; avrei potuto ammaz-zarlo! Ma da adesso in poi dovunque lo trovi ho deciso che prima di andare in campo vogliofarlo diventare di val Stroppia.a ogni muot a’ ghe n’impagherò: altri ess. toscani e ruzantiani di impagare con il significato di‘vendicarsi’ in CALMO Saltuzza 134 nota 85; cfr. anche CORTELAZZO 2007: 635. a’ no voi lassà’li vendetti de drè a me’ fioi: registrato come modo dire da BOLLA E8v «Non voglio che li mieifiglioli faccino la vendetta»; l’intenzione di vendicarsi prima della morte anche nello Scarpel-la bergamasco di CALMO Spagnolas 86: «co’ so mort no porò po fà’ i me’ vendeti»; ma vd. giàprima BOCCACCIO Corbaccio 512 «a niuno mio successore lascierò a fare delle ingiurie ricevu-te da me vendetta». A’ ’m disive-l asen? Mo asen è-l lu, e ù poltró: gli insulti vengono ripetutiper la terza volta, accentuando l’aspetto farsesco del monologo. Stessa movenza in Piovana933: «A’ no ghe ho vogiù respondere, quando el me disea poltron, ché a’ no iera ancora sco-menzò a scorezare. Mo poltron, can, apicò ièto ti, adesso che a’ son mo scorezò dal bonseno!». in camp: quello militare (I 24). a’ ’l voi fà’ deventà’ da val Strupia ossia ‘lo vogliostorpiare’ (cfr. ströpià in TIRABOSCHI 1314): «alterazione scherzosa della Val Trompia (Tonin èbergamasco), nota valle bresciana» (PELLEGRINI 1960-1961 [1977]: 445n) che è non per casoanche la patria della folenghiana musa Gosa (Baldus V 468: «iamque gosuta tuam revoca, Val-tropia, Musam»).

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[Scena terza] MENATO solo

MENATO Al sangue del cancaro, sto me’ compare è pur el gran frison, esì se ten sì zanzarin! A’ l’he vestìo co no so que drapi, ch’el parerà unscolaro e ’l faellerà per gramego 25. Oh cagasangue, la vuò esser bella stanoella da rire! A’ ghe l’he pur archiapò po, perqué l’è me’ compare.Ben, questù l’anderà da ella: a’ no crezo gnan che la ’l deba cognosce-re. Co’ ’l ghe dirà de dar dinari, ella ch’è fatta co’ è le femene la gi torà,e ello co’ ’l veza a sto muo’ el la vorà amazzare. Mo ’l ghe varrà puocosto so’ sbraosare, perqué mia comare el cognosse, la sa ben co’ l’è fatto.El no la osserà gnan guardare per storto! El sbraoserà ben: «A sto muo’,an? Potta de qua, potta de là...». Mo ella n’arà paura e per despetto deste sue merde l’andarà via e puo mi a’ ghe favellerè, e sì farè che lavegnirà via con mi, che la sa ben ch’a’ n’he paura de me’ compare, ch’a’’l fago cagar stropiegi. Oh cancaro, mo la vuò esser bella: a’ vorrae poerstare in qualche luogo a dar mente a che muo’ el farà, a’ vuo’ anar a vêres’a’ sento gniente. Potta, a’ he la gran legrezza 26.

25 Al sangue del canchero, questo mio compare è proprio un gran frisone, e invece si credetanto furbo! L’ho vestito con non so che drappi, che sembrerà uno studente e parlerà in lin-gua colta.el gran frison ossia ‘un grande sciocco’; il frison (Coccothraustes coccothraustes) è simile al frin-guello (REW e PIREW 3520, GDLI VI 368 s.v. frisone, BOERIO 288 s.v. frison, RIGOBELLO 199 fri!ón,TIRABOSCHI 569 s.v. frisù). Vd. MILANI 248 «Deh, vate anegare, / dolze el me frixon!» («dolze elme frison» anche in Betìa 215), MILANI 250 «Oimè, frixon, / no ge pensare», Betìa 175 «puove-ri frison», Betìa 445 e 493; GDLI registra anche frisonotto ‘birboncello, malandrino’ con un es. diGiovio. Il significato di ‘sciocco’ va forse spiegato alla luce di una caratteristica esteriore del fri-sone, che «è uccello più piccolo del tordo, ed ha il capo per grandezza deforme, e sproporzio-nato rispetto al suo corpo» (le considerevoli dimensioni del capo sono spesso ragione d’insultoe indizio di stupidità: vd. qui il commento a IV 1 «i Bergamaschi ha bé gros ol có»); mentre ilsignificato di ‘malandrino’ registrato da GDLI si dovrà all’impiego del frisone «per richiamodegl’altri [uccelli], quando si vogliono pigliare al palmone, o con le pareti» (le ultime due cita-zioni da La caccia degli uccelli di V[incenzo] Tanara da un ms. ined., a c. di A. Bacchi della Lega,Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1969, rist. anast. dell’ed. Romagnoli, 1886, pp. 189e 190). zanzarin: cfr. sanzarin I 54 e Dialogo facetissimo 697 «N’abiè paura, compare, che noghe serae negun che volesse essere sì zanzarin». per gramego: cfr. II 11.26 Caspita, sarà proprio una storia da ridere! L’ho proprio ingannato poi, perché è il mio com-pare. Bene, costui andrà da lei: non credo neppure che lo riconoscerà. Quando le offrirà deisoldi, lei che è fatta come sono le donne li prenderà, e lui quando vedrà che le cose si metto-no così la vorrà ammazzare. Ma gli serviranno a poco le sue spacconate, perché la mia coma-re lo conosce, sa bene come è fatto. Non oserà neppure guardarla male! Lui farà di certo losmargiasso: «In questo modo, eh? Potta di qua, potta di là...». Ma lei non avrà paura e perdispetto di queste sue merdate andrà via e poi io le parlerò, e farò in modo che venga via conme, perché sa bene che non ho paura del mio compare, che gli faccio cagare stoppini. Oh can-chero, sarà proprio bella: vorrei poter stare da qualche parte a vedere come farà, voglio anda-re a vedere se sento niente. Potta, sono proprio contento.cagasangue lett. ‘dissenteria’, ma qui desemantizzato e usato come esclamazione: vd. CORTE-LAZZO 2007: 249, SALLACH 48-49 s.v., BOERIO 115 e CALMO Saltuzza 55 e nota 29. A’ ghe l’he

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[Scena quarta] RUZZANTE e BETTIA

RUZANTE Potta, el no gh’è cuore che no diesse ch’a’ fusse un spagna-ruolo, a’ crezo ch’el no me cognoscirae Rago ch’aea cent’uogi; a’ no mecognòsci-ge squaso gnan mi! La serà ben an’ bella questa! 27 Cancaro, l’è

pur archiapò: per archiapare ‘ingannare’ cfr. I 54. Co’ ’l ghe dirà de dar dinari: al potere cor-ruttore dei doni fa riferimento anche Aurora quando consiglia perfidamente a Cefalo di met-tere alla prova la fedeltà della moglie Procri: «Lassa tuo’ panni e non parer marito, / ma informa di mercante te provedi, / temptala con tuo’ doni, e vedra’ alora / se teco in un volercasta dimora» (CORREGGIO Fabula de Cefalo 212); similmente in ARIOSTO Orlando FuriosoXLIII 36.5-8 «I miei prieghi le espongo, indi il malvagio / stimulo inanzi del mal far le arre-co: / i rubini, i diamanti gli smeraldi, / che mosso arebbon tutti i cor più saldi». sbraosare:cfr. I 54. guardare per storto: cfr. GDLI VII 11422, CORTELAZZO 2007: 1323 (terzo es.), e BOE-RIO 779 vardar uno per traverso ‘guardare in cagnesco’. ella n’arà paura: anche in Parlamen-to 131, e in presenza dello stesso Ruzante, Menato rassicura Gnua sull’innocuità del compare(«Comare, andé via, ché el no ve amaçerà»). ste sue merde ‘queste sue bravate’: cfr. BOERIO412 merde col crostolo «si dice per derisione di Chi fa bravate senza proposito» e anche far dele merde ‘gridare, strepitare’. ch’a’ ’l fago cagar stropiegi lett. ‘gli faccio cagare stoppini’, ‘glie-la faccio vedere io’: «modo di dire per indicare le onerose conseguenze di un’iniziativa assaiardita» (Zaggia in FOLENGO Macaronee minori 274 con molti rimandi soprattutto per l’arealombarda). Cfr. dalla frottola aretiniana Pas vobis, brigate «[...] se pur gli ha mangiato / can-dele, arà cacato gli stoppini» (ROMEI 1987: 171 vv. 494-495), CROCE 2006: 164 n° 274 «Chimangia le candele, caca i stoppini» e l’analogo toscano «so che s’elle aranno mangiato i pesci,che le cacheranno le lische» in LASCA Pinzochera 845; BOERIO 127 «Magnar le candele e cagàri stopini [...] cioè Pagar le pene degli errori commessi» (anche in ZORZI 1403), RIGOBELLO 107far cagàre i stopini ‘far pagare il fio’; proprio «magnar candele de seo» è una delle «bufonariede fati» ricordate in Vaccaria 1129. Gli stropiegi sono letteralmente i giunchi (stessa forma alprimo verso della Pastoral «Cancaro a i stropiegi!»). La frase è una causativa con doppio accu-sativo: altri ess. in ESOPO VENETO 59 «e’ son aprestato de aprovarlo per bataia e farlo confes-sare la verità», Egloga de Ranco e Tuognio e Beltrame «Oh, come i farò ben tuor l’oio santo»(DA RIF 1984: 136 v. 256), Bulesca «non lassarle mai lecar el sgnefo» (DA RIF 1984: 61), GIAN-CARLI Capraria 11 «il servo lo fa cavalcar una capra», 35 «Amor lo fa passar i termini», 129 «ello vò fa cavalcar la càvera», CALMO Rodiana 109 «fa chigà diner un asenel» (cfr. CALMO Sal-tuzza 197 e nota 30; ROBUSTELLI 1994: 173, STUSSI 1995 [2005]: 101-102, S. TELVE, Testualitàe sintassi del discorso trascritto nelle «Consulte e pratiche» fiorentine (1505), Roma, Bulzoni,2000, p. 216 § 3.1.4.2). dar mente ‘fare attenzione’, ‘ascoltare’: vari ess. della locuzione inPastoral 129 e 185, Anconitana 879, Piovana 913-915 e 983; cfr. anche CORTELAZZO 2007: 813e BOERIO 411 dar mente «Attendere; Ascoltare; Por mente a che che sia».27 Potta, nessuno avrebbe dubbi sul fatto che sono uno spagnolo, credo che non mi ricono-scerebbe Argo che aveva cento occhi; non mi riconosco quasi neppure io! Sarà bella anchequesta!el no gh’è cuore che no diesse ch’a’ fusse un spagnaruolo lett. ‘non c’è cuore che non direbbe [...]’:cuore vale per metonimia ‘uomo’ (in parziale analogia con gli ess. di GDLI III 10548); vd. Anco-nitana 823 «El no gh’è cuore che ’l crêsse [...]» e 829 «el no gh’è cuore che a’ no diesse che a’fossè un omo»; MAGAGNÒ Rime IV 16r «El no gh’è cuore [...] che no s’aliegre». Spagnaruolo‘spagnolo’ è forma analoga a romagnaruolo di Prima Oratione 205 (dove occorre anche spa-gnaruoli). Fin da subito la maschera assunta da Ruzante è quella del soldato spagnolo (sugge-rita insieme a quelle del cittadino e dello studente da Menato a II 11). Rago ch’aea cent’uogi:l’evocazione burlesca di una creatura mitologica, qui Argo (MILANI 1970 [2000]: 116-119),riprende forse un procedimento comico plautino, su cui vd. E. FRAENKEL, Inizi a discorso ditipo comparativo, in ID., Elementi plautini in Plauto cit., pp. 7-20 con l’osservazione, ben appli-cabile al nostro caso, che grazie a paragoni ed evocazioni simili «una grottesca amplificazione

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atto secondo

pur cattivo sto me’ compare! M’ha-l mo’ insegnò? Mo a’ me n’he benpensò an’ mi na pì bella de quella ch’el me ha insegnò ello, que farà permi e no per ello. Sempre mè a un cattivo el gh’in’ vuò uno e mezo 28. A’farè così an’ mi a me’ compare: el m’ha fatto dar sta gonela; co’ abiafatto quel ch’a’ vuo’ fare – perqué a’ sè que no sarà vero quel ch’el dise– a’ gh’in’ vuo’ fare una an’ a ello, ch’a’ ghe vuo’ far trare sta gonella edire che quel soldò con chi a’ he fatto parole m’è coresto drio con unsponton, e ch’el m’ha squaso amazzò, e che mi corranto la m’è caìsta, esì ghe la cazzerè in lo carniero 29. Perqué l’è sì scozzonò el dirà: «Com-

proietta il caso singolo in un mondo fantastico, gli conferisce dimensioni enormi e un colori-to di variopinta irrealtà» (p. 13). Con analogo effetto Argo è ricordato dalla serva circassa dellaFabula de Cefalo, che si lagna per le troppe incombenze impostele dalla padrona Procri: «Intanta rabia vive e zelosia, / che ad ubedir a tuti i sui comandi, / in cercar del marito le sue orme/ Argo se stracaria, che mai non dorme» (CORREGGIO Fabula de Cefalo 240); altre menzioni diArgo in MANTOVANO Formicone 48-49, GIANCARLI Capraria 177 «Non sai tu ch’a tempo èbuono [...] aver più occhi che Argo e più piedi che un trespolo e più orecchie di un asino cheti sei?», e ancora in CORREGGIO Fabula de Cefalo 224 «Non mi seguir, che se fosti ben Argo,/ l’affaticarti serìa cosa vana» (Procri adirata a Cefalo). Nell’Elogio della follia, l’evocazione diArgo ha un’analoga connotazione domestica, seppure più aderente a quella originaria: «Illedotem ducit, non uxorem. Ille sponsam suam prostituit. Alius zelotypus velut Argus observat»(ERASMO DA ROTTERDAM, Elogio della follia, introduzione di R.H. Bainton, traduzione di L.D’Ascia, Milano, Rizzoli, 19957, p. 166; traduzione: «Un altro, invece, sposa la dote, non lamoglie. Un altro ancora prostituisce la consorte; un altro, invece, geloso, fa la guardia comeArgo»).28 Canchero, è pur cattivo questo mio compare! Mi ha proprio insegnato? Ma ne ho pensataanch’io una più bella di quella che mi ha insegnato lui, che farà al caso mio e non al suo. Peruno cattivo ci vuole sempre un cattivo e mezzo.Sempre mè a un cattivo el gh’in’ vuò uno e mezo ossia ‘per uno che è cattivo ce ne vuole sempreun altro che sia ancora più cattivo’. Vd. BOLLA A5r-v «A un cativo, gliene vuol un e mezzo.Ad unum malum, oportet unum cum dimidio», CROCE 2006: 154 n° 33 «A un tristo ce ne vuoluno e mezo», D’AMBRA Furto 86 «s’egli è pazzo, troverà un pazzo e mezzo», BASILE Cunto 318«isso te n’ha fatto una e nuie facimmocenne una e mezza ad isso!»; in parte simili GIANCARLIZingana 327 «Mai fu un tristo, che cercando non si trovasse un peggiore» e ROJAS Celestina102 «“¿Cómo has pensado hacerlo, que es un traidor?” “A ese tal, dos alevosos”», con la nota70 che rimanda al proverbio «A un traidor, dos alevosos» (lett.: ‘per un traditore, due perfi-di’; «A un traditore, traditore e mezzo!» nella trad. italiana di A. Gasparetti, Milano, Rizzoli,20003, p. 135).29 Farò così anch’io al mio compare: mi ha fatto dare questo abito; quando ho fatto quel chevoglio fare – perché so che non sarà vero quello che dice – voglio farne una anche a lui, chegli voglio far perdere questo abito e dire che quel soldato con cui ho avuto un diverbio mi ècorso dietro con uno spontone, e che mi ha quasi ammazzato, e che a me mentre correvo miè caduto l’abito, e così gliela caccerò in saccoccia.sta gonela: ZORZI 1403 la ritiene insieme alla bereta il segno distintivo degli studenti di cuiRuzante intende contraffare l’abbigliamento; ma la prima frase della battuta («el no gh’è cuoreche no diesse ch’a’ fusse un spagnaruolo») assicura che Ruzante intende spacciarsi per solda-to. La gonela indicherà piuttosto la sopravveste che Menato ha prima proposto (II 11) e poiprocurato a Ruzante; anche la bereta può rientrare nell’armamentario dei soldati iberici, noti,e perfino derisi, per l’uso cerimonioso di «sberrettarsi alla spagnuola» (CROCE 1949: 199). a’ghe vuo’ far trare sta gonella [...], e che mi corranto la m’è caìsta: cfr. l’intento di Bilora in Dialo-go secondo 169: «E po’ a’ ghe caveré la gonella, e sì a’ ghe la torré, mi». quel soldò con chi a’

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pare, al sangue del cancaro, questa è na mala noella», e mi dirè: «Quecompare? A’ me smaravegio de vu, mi: que vossé-u, ch’a’ ve faesse nanoella a vu ch’a’ si’ me’ compare?». «Oh cancaro, a’ ’l me recresse –dirà-lo – se la foesse pur mia...», e mi dirè: «El me recresse ben pì a mi,ch’el m’ha squaso amazzò!». Oh, co’ a’ ghe la cazzerè in lo carniero debello! Moa, el no besogna ch’a’ sgrigne; oh Dio, a’ no sè con’ arrive al’usso con’ a’ dîghe fare: o andar de longo via in ca’, o aspittare... 30 Ohcancaro, a’ son pur poltron, a esser co’ è quigi que cerca si gi ha rotte le

he fatto parole: per chi impiegato con significato obliquo dopo preposizione negli antichi vol-gari veneti vd. l’illustrazione di BERTOLETTI 2005: 232 nota 573; per la locuzione far parole ‘liti-gare’ cfr. Pr. 17. coresto: su questo tipo participiale (cfr. anche il successivo caìsta) vd. ASCO-LI 1878 e ASCOLI 1878b; PELLEGRINI 1956 (1977): 125-146: 140-141; TUTTLE 1997. un spon-ton «arma di ferro in asta con punta acuta, di cui andavano una volta armati i Capitani, iTenenti e Sottotenenti militari» (BOERIO 693; anche CORTELAZZO 2007: 1301). mi corrantola m’è caìsta: gerundio assoluto (qualche es. in CALMO Saltuzza 181 e 198; bibliografia a p. 180nota 59). Casi di tema sospeso analoghi ma non identici ad es. in Betìa 461-463 «la cossa cheè leziera, / la so natura e maniera / è de andar in su», Parlamento 129 «E mi l’amore me è andòvia dal culo per ti, pensando che te n’he guagnò com te dîvi», Anconitana 783 «e perché i stro-pari, con gi è inamorè, le strope no tien [...]», SALVIONI 1902-1904 (2008): 616 vv. 566 ss. «Eldìs. che [...] / quelle. che no ha compassion. / A far murir i fent da crudilanza. / I ge cuose letrippe à muò castron», CALMO Rodiana 159 «ma voi, sempre che vorrete, per la contratta ami-cizia nostra, saranno a’ comandi vostri la robba e io», CALMO Spagnolas 44 «sto betin, ghe voiofar una berta a quarta colma». Per corranto cfr. Pr. 2. e sì ghe la cazzerè in lo carniero: cfr. I54.30 Visto che è furbo dirà: «Compare, al sangue del canchero, questo è un brutto tiro», e io glidirò: «Cosa compare? Mi meraviglio di voi, io: che vorreste, che vi giocassi un brutto tiro avoi che siete mio compare?». «Oh canchero, mi dispiace – dirà – se almeno l’abito fossemio...», e io dirò: «Dispiace ben più a me, che mi ha quasi ammazzato!». Oh, come gliela cac-cerò in saccoccia per bene! Via, non bisogna che rida; oh Dio, non so come devo fare quan-do arrivo alla porta: o andare direttamente in casa, o aspettare...scozzonò: cfr. I 54. na mala noella ‘un brutto tiro’ (ZORZI 616), secondo il significato che noel-la ha anche a I 23. dirà-lo: l’enclisi del pronome soggetto è usuale in contesti parenteticicome questo. Cfr. ad es. Vaccaria 1117 «A’ vuogio mo – dìsela – che te viegni con mi da i riè-diti [...]» e MAGAGNÒ Rime II 70r «Potta, voltate in là – disse-l – serore». recresse: fa seriecon regratiar, per cui vd. commento a III 141. de bello ‘proprio’, ‘di certo’ (ma anche ‘perbene’, ‘completamente’: numerose occorrenze nel CORPUS PAVANO soprattutto in Ruzante enei preruzantiani): cfr. ad es. «Che ’l t’ama mo de bel» (PELLEGRINI 1969-1970 - 1970-1971[1977]: 300 v. 115); frequente anche con funzione di rafforzativo in sintagmi come del beladesso (CALMO Saltuzza 144 e nota 36), del bel in quel’ora (CALMO Spagnolas 50), de bel domà(CALMO Spagnolas 106, bergamasco), de bel doman (MAGAGNÒ Rime I 43r), de bel stasera e debel anchuo (ruzantiani: SALVIONI 1902-1904 [2008]: 676 s.v. bel e anche CALDERARI 77v «debell’anchuo»). Moa, el no besogna ch’a’ sgrigne: per moa cfr. I 22; per sgrignare cfr. Betìa 261,Dialogo facetissimo 75, SGAREGGIO T4r, FOLENGO Macaronee minori 796 s.v. *sgregnare; COR-TELAZZO 2007: 1244, BOERIO 657 (‘Rider per beffe’), BORTOLAN 257 sgrignazar (anche MAZ-ZUCCHI 240); RIGOBELLO 432 !grignàda ‘risatina’, ZANETTE 602 sgrignàr ‘nitrire’. de longo via:cfr. di lungo ‘difilato’ (in GDLI IX 299 con un es. di Marin Sanudo), qui rafforzato da via (cfr.chialò via I 7); vd. Piovana 961 «A’ no vuò gnian andar de longo in ca’», CALMO Rodiana 137de longo ‘dritto’, MAGAGNÒ Rime III A3r, TUOGNO ZAMBON 55 «anè de longo tutte a dromi-re» e MILANI 1994a: 28 «[...] Vuòtu ch’a’ te ’l para, / con disse quelù, in ca’ de longo via?».

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atto secondo

scarpe, ch’i cerca quello ch’i no vorrae cattare! Que guagneriè-gi? Zòz-zolo! Un cuore me dise: «fallo», e n’altro me dise: «no fare». Mo daschéa’ son così a’ vuo’ pur provare. [si rivolge alla finestra di Betia e truccala voce] Oh là? Chi stano quano in questa casa? 31

BETIA Chi è quello? 32

RUZANTE Io sono lo io mi, che voleno favellare con Vostra Signoria devu. Ben stagano, me cognosciti lo io mi? 33

31 Oh canchero, sono proprio un poltrone, a essere come quelli che cercano se hanno le scar-pe rotte, che cercano quello che non vorrebbero trovare! Che ci guadagnerò? Un bel niente!Un cuore mi dice: «fallo», e un altro mi dice: «non farlo». Ma dato che ormai sono qui vogliopur provare. Ehilà? Chi sta qui in questa casa?poltron: cfr. Pr. 8. quigi que cerca si gi ha rotte le scarpe, ch’i cerca quello ch’i no vorrae cattare:l’immagine delle scarpe rotte sembra avere andamento proverbiale, ma non trovo ess. acco-stabili; conterà anche l’esperienza diretta di chi ha avuto le scarpe rotte, come il Ruzante sol-dato di Parlamento 107 «le scarpe arà portò la pena: a’ le vuò veere. Te ’l dìssio? Cancaro memagne! Te par che a’ ghe n’he desolò una? Aré guagnò questo, in campo». Per la secondaparte della frase vd. ARIOSTO Orlando Furioso XLIII 6.3-4 «Pensò, e poi disse: – Ben sarebbefolle / chi quel che non vorria trovar, cercasse» (già prima al principio dell’episodio del nappoè «quasi Rinaldo di cercar suaso / quel che poi ritrovar non vorria forse», XLII 104.1-2); lafortuna proverbiale della frase è testimoniata in BOLLA B3r «Cerca quelo che non voria tro-var» e sul principio di BASILE Cunto 10 «chi cerca chello che non deve trova chello che nonvole». Già in CORREGGIO Fabula de Cefalo 220 Cefalo si disperava per l’infedeltà della moglieconstatando: «Trovato ho quel ch’io non volea trovare». Zòzzolo! LOVARINI 32 traduce «cioc-cioli», ma cfr. BOERIO 680 sòzzolo ‘sporcizia, lordura’, RIGOBELLO 453 sòsola ‘truciolo’ e QUA-RESIMA 519 zóz ‘scadente’; l’intera espressione anche in CALMO Rodiana 145 «che te guagnarè?Zòzzolo!». La parola ha per lo più significati legati alla carne suina: vd. MUTINELLI 424 zozo-li ‘porci che si uccidevano il giovedì grasso’, CAVASSICO II 403 zózol ‘cicciolo’ (un es. anche inPELLEGRINI 1969-1970 - 1970-1971 [1977]: 301 v. 2), CORTELAZZO 2007: 1542 zòzzolo ‘pezzodi carne di maiale’, BOERIO 173 cizzole ‘scarto di carne di maiale’, MIGLIORINI - PELLEGRINI124 zozol ‘lardo’, PAJELLO 266 sossoli ‘ciccioli’. Un cuore me dise: «fallo», e n’altro me dise: «nofare»: per la movenza cfr. I 1. Chi stano quano in questa casa?: la domanda avvia la scena inlingua moschetta che dà il titolo alla commedia. Emerge subito la prima caratteristica delmoschetto, l’estensione indebita della desinenza di terza persona plurale (ignota ai dialettiveneti, dove la voce verbale di terza plurale coincide con quella di terza singolare): vd. ZORZI1405 e PELLEGRINI 1960-1961 (1977): 445 nota 4. Quasi sessant’anni più tardi, al momento diescogitare «parolazze into’n tratto / fiorentinesche, que pellera’ un gatto», FIGARO F4v useràgli stessi ingredienti: «Paron caro, io mènole / a voi s’arecommandano, e sapiti / ch’a’ ve sonschiavo, e co a ve indegneriti / commandarme, io d’agn’hora / seranno parecchiato / perbedirve» quano ‘qua’: la desinenza di terza plurale si estende, del tutto a sproposito, ancheall’avverbio, trattato come fosse un verbo (sta > stano e quindi qua > quano).32 Chi è?33 Sono io, che voglio parlare con la Vostra Signoria di voi. Ben trovata, mi conoscete a me?lo io mi: nel sintagma pronominale moschetto si accumulano un articolo (lo) impropriamenteusato come sostantivo o come pronome, il mi dialettale e l’io toscano; già in Parlamento 113sulla bocca di Ruzante, nella ricorrente esclamazione «s’a’ fossé stò on’ son stato io mi [...]!»(anche alle pp. 115, 117, 119, 121; si noti pure la forma participiale integra stato che si oppo-ne a quella pavana, subito precedente, stò). Io mi anche nell’eloquio del veneziano a confron-to con il pedante in A.F. DONI, La Libraria, a c. di V. Bramanti, Milano, Longanesi, 1972, p.71 «Che so io mi, che non me impaccio miga» e – non a caso – nella battuta moschetta diGianda in CALMO Travaglia 164 «Io mi sonno da Veniesia e sonno capitagnio e poestò a Poe-

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moschetta

BETIA Se Diè m’aî, no ch’a’ no ve cognosso 34.RUZANTE Sapeti perché lo io mi ve pareno che no me lo cognossiti?Guardatime bene 35.BETIA A’ no guardo uomeni ch’a’ no cognossa, mi 36.RUZANTE Sapitilo perché no me cognosseti lo io mi? 37

BETIA Se Diè m’aî, no ch’a’ no ’l sè 38.RUZANTE Perché no ve degnano de chi ve volono bene 39.

gia». Mi e io vengono consapevolmente contrapposti nelle considerazioni sul naturale in E 12:«Mo no è pì bello a dire “mi” ca dir “io”?». voleno: cfr. stano II 23. con Vostra Signoria devu: la reduplicazione degli specificatori (vostra e de vu) non è esclusiva del moschetto: cfr. l’es.analogo di Pr. 19, e poco più sotto a II 33 anche «li fatti vostri de vu». Per l’abuso della for-mula Vostra Signoria, dovuto all’influsso culturale spagnolo, vd. CROCE 1949: 192-196, B.MIGLIORINI, Primordi del lei (1946), in ID., Studi e saggi linguistici, Firenze, Le Monnier, 1957,pp. 187-196, spec. pp. 192-195, BECCARIA 1968: 195-197 e C. GIZZI, Girolamo Ruscelli e i pri-mordi del «Lei», in «Lingua e Stile» XXXVIII 2003, pp. 101-112. Cfr. Piovana 981 «I me diràfuossi ben Segnor Bertevelo; o i me ’l porà ben an dire, abianto tanti dinari. A’ se ’l fa dire tuti,sti Spagnaroli, e sì ghe n’è che no ha un beze talun», ARIOSTO Satire 47 (vv. 76-78): «– Signor– dirò (non s’usa più fratello, / poi che la vile adulazion spagnola / messe la signoria fin in bor-dello)», ARETINO Marescalco 26 «RAGAZZO: [...] ho detto che V[ostra] S[ignoria]... PEDANTE:Gran mercè a te di quella Signoria», ARETINO Filosofo 34-35 «chi non gli dà del signor sì e delsignor no lo mette nelle furie», INGANNATI 196 «tutti gli spagnuoli che vengon qua si fan signo-ri». Ben stagano ‘bene stia (la vostra Signoria)’; è formula di saluto cerimoniosa: vd. in GDLIXX 8845 Bene stia [...]» come formula di saluto (ma senza ess.); cfr. comunque TACCONE Come-dia di Danae 311 «Ben staga Siro nostro», Anconitana 787 «Ben possa star Vostra Signoria,nobilissima madonna [...]», Fiorina 755 «Ben staghè, Fiore», CALMO Rodiana 203 «Ben stia lavostra signoria», CALMO Rodiana 219 «Ben staghé quelle femene!», CALMO Spagnolas 114«Ben staghe sta compagnia [...]», CALMO Travaglia 58 «Ben staghé, bon zorno, Dio ve salve»(ampolloso saluto di Collofonio), CALMO Travaglia 252 «Oh oh, ben stia la eccellenzia vostra,signor novizzo», MAGAGNÒ Rime IV 31r «Norandissimo Principo / della Cadiemia Alimpia,ben staghè», CALDERARI 74v «Dio ve traga el bon dì e ’l ben staghé / madonna Olimpia[...]». me cognosciti: insieme a quella di terza persona plurale, l’altra desinenza di cui Ruzan-te fa sfoggio è quella di seconda persona plurale, in una forma integra di tipo genericamentesettentrionale (il dialetto avrebbe cognossì); nel padovano antico infatti «mancano del tutto-ati, -eti, -iti [...] a indiretta conferma del fatto che si tratta di desinenze artificiali, proprie delsolo registro letterario» (TOMASIN 2004: 183-184). Forme simili si trovano anche nell’eloquioitaliano dello spagnuolo Giglio in INGANNATI 244, 245 (sapite, intendite, facite).34 Che Dio m’aiuti, no che non vi riconosco.Se Diè m’aî, no: con se ‘ottativo’, come poco sotto a II 30 (vd. I 60).35 Sapete perché vi pare di non riconoscermi? Guardatemi bene.Sapeti perché lo io mi ve pareno che no me lo cognossiti? Guardatime bene: sintassi non lineare; sidirebbe che lo io mi sia oggetto dislocato estratto dalla dipendente («ve pareno che [...]»), incorrispondenza di me lo ‘mi’ (lett. ‘sapete perché me vi pare che non mi conosciate?’). Danotare anche l’estensione della desinenza -no in pareno ‘pare’ e l’uso della desinenza integra diseconda plurale (sapeti, cognossiti, guardatime).36 Non guardo uomini che non conosca, io.37 Sapete perché non mi riconoscete a me?Sapitilo perché no me cognosseti lo io mi?: simile all’ultima frase di II 25; si noti anche l’oscillazio-ne nelle desinenze di seconda plurale rispetto a II 27: sapeti / sapitilo e cognossiti / cognosseti.38 Che Dio m’aiuti, no che non lo so.39 Perché non vi degnate di chi vi vuole bene.

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BETIA El m’è ben deviso d’averve vezù: a’ me degne, mi, d’un can, noche d’un cristian 40.RUZANTE Oh Dio, lo sono tanto tempo che mi sono squasi morto per lifatti vostri de vu 41.BETIA Donde si’-vu? A’ no ve cognosso zà 42.RUZANTE Io mi sono della Talia, pulitan 43.BETIA A che muo’ me cognoscì-vu, mi? 44

RUZANTE Quando che erano la muzzarola, che io mi erano lozado incasa vostra. Se volìs essere la mias morosas, ve daranos de los dinaros.[mostrando il sacchetto] Guardano qua si lo me mancano... 45

Perché no ve degnano de chi ve volono bene: le desinenze -ano e -ono sono estese sia a un verbodi terza singolare (volono ‘vuole’) sia a un verbo apparentemente di seconda persona plurale(ve degnano ‘vi degnate’; ma potrebbe essere uno strafalcione per ‘[la vostra Signoria] sidegna’, con uso incongruo di ve).40 Mi pare infatti di avervi visto: io mi degno di un cane, figuriamoci poi di un cristiano.El m’è ben deviso d’averve vezù: a’ me degne, mi, d’un can, no che d’un cristian: dopo le prime resi-stenze (II 28), Betìa comincia a cedere alle lusinghe dello straniero; da qui la civetteria diun’affermazione come «a’ me degne, mi, d’un can, no che d’un cristian», che fa il paio conquella di I 29 «an’ de le zotte va a marìo». Per m’è ben deviso ‘mi pare’ cfr. I 60; per cristiancfr. I 1.41 Oh Dio, è tanto tempo che sono quasi morto per voi.Oh Dio, lo sono tanto tempo che mi sono squasi morto per li fatti vostri de vu: l’affermazione è coe-rente con la fama degli Spagnoli «assassinati d’amore» (CROCE 1949: 189; vd. anche PARABO-SCO Fabritia 11v «voi mi parete uno di questi innamorati spagnuoli, che piangono dinanzi l’u-scio della Signora, sì bene sapete fingere i sospiri, le lagrime, i lamenti e le passioni»). lo sono:con estensione della forma di terza plurale; lo è impiegato qui come fosse un impersonale (‘egliè tanto tempo’ o simili). per li fatti vostri de vu ‘per voi’ e non «per amor vostro» (ZORZI 618),siccome la perifrasi ha di norma il primo significato: vd. ad es. CALMO Saltuzza 68 lo fatto me’de mi ‘io’ e nota 72, CALMO Spagnolas 38 «la gh’è inbertonà in lo fatto me’ de mi», CALMO Spa-gnolas 70 «el s’ha portad forto malament col fag me’», CALMO Travaglia 250, SALVIONI 1902-1904 (2008): 697 v. 264, MAZZARO 1991: 52 v. 23 e CORTELAZZO 2007: 527.42 Di dove siete? Io non vi conosco proprio.43 Io sono dell’Italia, napoletano.Io mi sono della Talia, pulitan: l’identità fittizia di Ruzante prende corpo nell’allusione allaremota Talia (cfr. Tralia a I 66) e alla presunta provenienza da Napoli (ma Napoli è l’emble-ma di un indefinito meridione peninsulare, vd. i «politani da Robìn» lett. ‘napoletani di Urbi-no’ di Prima Oratione 205; in ROVIGIÒ E1r «quel Ceccho [Petrarca], che cantè per la Loret-ta, / de tutti i Pulitan l’è stò ’l pì bon»). Sull’accenno a Napoli si innesta nelle battute succes-sive una caricaturale patina linguistica spagnoleggiante, in omaggio a una sovrapposizionedocumentata anche da Lettera giocosa 223 «favella [...] da spagnaruolo, a la politana» e ARE-TINO Marescalco 79 «Vi sono schiavo, maestro, ché non si stimano più tante lombardarie cor-tigiane spagnuole da Napoli» (in riferimento all’eccessiva cerimoniosità del pedante), e giànotata da CROCE 1949: 188-190 (che parlava di «sinonimismo tra “spagnolerie” e “napoleta-nerie”»).44 In che modo mi conoscete?45 Quando c’erano le fughe dei contadini, io ero alloggiato in casa vostra. Se volete essere lamia fidanzata, vi darò dei denari. Guardate se mi mancano...Quando che erano la muzzarola, che io mi erano lozado in casa vostra: per erano cfr. Nota al testo§ 1.1.2. La muzzarola è la fuga di massa o la ritirata (altri ess. in Betìa 453, Prima Oratione 205,Seconda Oratione 49-51, anche masch. muzaruolo; per muzzare cfr. Pr. 14). «Probabile che qui

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moschetta

BETIA A’ ve dirè, a’ no faello con zente ch’a’ no i veza per lo volto 46.RUZANTE Mo io vegnirano in casa vostra, dentro in la camera vostra 47.BETIA Mo s’el se saesse po, e ch’el lo saesse me’ marìo? Ah, guagi mi! 48

RUZANTE [con la sua voce naturale] Deh, potta de chi te fè! Che t’aldedire? Te me farissi dunca un becco? Tasi pure, ch’a’ me tagierè ben icuorni! Muzza pure on’ te vuo’, che no te serè segura inchina drio l’al-taro, a’ vuo’ ben arpassar l’usso, che negun no me te tuoga da le man 49.

si alluda all’esodo dei contadini verso Padova e Venezia, durante il primo periodo della guer-ra di Cambrai [...]» (ZORZI 1406) tra il 1509 e il 1514 e in particolare nel 1509, passato allastoria come l’anno delle muzzarole (LOVARINI 1965: 423); per MILANI 1988 (2000): 158, inve-ce, «l’accenno alla muzzarola porta con assoluta precisione al 1513»: su questo vd. Introdu-zione § 5 e per gli eventi storici PIERI 1952: 448-535. L’identità militare assunta con il riferi-mento alla muzzarola porta Ruzante ad abbandonare la finzione linguistica genericamente‘tosco-cortigiana’ delle prime battute virando verso la ‘maschera’ del soldato spagnolo (su cuiSPEZZANI 1997: 166-169 e nota 51): primo indizio in questa direzione è il participio passatolozado (cfr. alojado; alliado nello spagnolo del Capitano in PICCOLOMINI L’amor costante 317).Sulla presenza degli Spagnoli in Italia e in Veneto cfr. CROCE 1949: 249 ss. e MENEGAZZO 1969(2001): 327-332; una superficiale conoscenza dello spagnolo poteva esser facilitata anche dallapresenza di ebrei spagnoli (STUSSI 2006: 103). Se volìs essere la mias morosas, ve daranos de losdinaros: l’estensione della -s finale intende imitare grossolanamente lo spagnolo, ma non spa-riscono i tratti moschetti (vd. daranos, con -s finale innestata sulla desinenza di terza plurale-ano). Come nel titolo calmiano La Spagnolas, la mias morosas è dunque singolare travestito‘alla castigliana’: sul procedimento vd. l’introduzione a CALMO Spagnolas 10, il commento inCALMO Spagnolas 148 (con un rinvio a BECCARIA 1968: 299) e il cenno di BORSELLINO 1995(2008): 279. Al precedente della Moschetta s’ispirano forse le galanterie ‘spagnarde’ di Col-lofonio in CALMO Travaglia 118: «Signoras madamas, io me recomandes e reccollo a vostra mer-cedes e ve chieros tanbien farve una serenadas e può parabolà anche con la signoria vostra», epoco dopo (p. 126): «Restaos in pase, calandrina mucachias»; vd. anche INGANNATI 238 «Vibacios las manos» (e «Beso las manos» in ODDI Erofilomachia 367), GIANCARLI Zingana 307,dove Acario si finge «tagiaoslignos» per raggiungere la sua bella.46 Vi dirò, non parlo con gente che non veda in faccia.47 Ma io verrò in casa vostra, dentro la vostra camera.vegnirano: con iperestensione di -ano.48 Ma se si sapesse poi, e se lo sapesse mio marito? Ah, guai a me!s’el se saesse: è lo stesso timore della gran dama di ARIOSTO Orlando Furioso XLIII 38.5-8 «econ parlar rispose breve e fioco, / quel che la vita a rimembrar mi tolle; / che mi compiaceria,quando credesse / ch’altra persona mai nol risapesse». guagi mi!: cfr. CALMO Saltuzza 77«guaglia me» e nota 105; vd. anche CORTELAZZO 2007: 623 s.v. guai e, con il commento aCALMO Spagnolas 174-175, E.G. PARODI, Studi dialettali veneti, in «Romania» XXII 1893, pp.300-314: 305-306.49 Deh, potta di chi ti fece! Che ti sento dire? Mi faresti dunque cornuto? Sta’ pur zitta, chemi taglierò bene le corna! Scappa pure dove vuoi, che non sarai sicura neppure dietro l’alta-re, voglio chiudere la porta per bene, che nessuno mi ti tolga dalle mani.potta de chi te fè: Menato aveva previsto (II 22) la reazione del compare a suon di «Potta dequa, potta de là...». becco: cfr. Pr. 8. a’ me tagierè ben i cuorni ossia ‘saprò restaurare il mioonore’, più genericamente ‘mi vendicherò del torto subito’: vd. INGANNATI 221 «VIRGINIO: S’iola truovo, la strascinarò a casa pe’ capegli. CLEMENZIA: Farai pur come colui che si toglie lecorna di seno e se le mette in capo. VIRGINIO: Non me ne curo. Tanto se ne sarìa. Basti ch’iome le tagliarò», e negli strambotti bergamaschi pubblicati da CORTI 1974 (1989): 289 (III.7-8)«Se col maraz i ’m dises taià i coregn, / E’g’ vignerò ad despeg de tug i omegn». Qui le corna

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atto secondo

potrebbero esser quelle dell’amante beffato perché respinto dall’amata e dai suoi parenti(diversa la spiegazione della Corti: «in senso proprio “corni”, in gergo è il “pene”»). L’e-spressione – che non trovo nei dizionari – potrebbe alludere originariamente alla punizioneinfamante prevista per i mariti traditi o lenoni, quella di portare in testa un copricapo con duecorna (cfr. O. LURATI, ‘Fare le corna’, ‘planter les cornes’, ‘to horn’, ‘Hörner aufsetzen’: un’an-tica pratica di scherno cit., pp. 16-21): il taglio delle corna rimuoverebbe il simbolo della situa-zione vergognosa facendo riacquistare al marito la propria rispettabilità. Qualcosa di similesembra sopravvivere allo stato di relitto nei rituali di corteggiamento descritti nel 1818 daMichele Placucci per la Romagna. Il giovane schernito e non ricambiato dall’amata vieneaccolto con intenzioni derisorie dalla cosiddetta battuta (ottenuta battendo velocemente legramole): al che egli «tira due archibugiate all’aria, facendo, dice egli, le corna ossia dispettoall’amante prediletto, e questo tira altro colpo di pistola, dicendo di rompere le corna e con-cambiare il dispetto; l’altro replica i colpi, a’ quali viene risposto, e così le tante volte duranogran parte della notte, e qualche volta ancora la notte intera» (M. PLACUCCI, Usi, e pregiudizjde’ contadini della Romagna, rist. anast. a c. di G. Bellosi, Imola, La Mandragora, 2002, p. 44,corsivi miei; il testo anche in Romagna tradizionale. Usi e costumi, credenze e pregiudizi, a c. diP. Toschi, Bologna, Cappelli, 1952, p. 71). Diverso il significato dell’espressione in un cartel-lo infamante romano del 1666 segnalatomi da Vittorio Formentin: «martino beco saco decorne lasseme sta’ percè io te volio manà in galera per martino contento solamente de la tualengua e de tuti li martini ce vengeno in botega tua e se non tengeno la lengua se volio taglia’le corne prim’al conteto storto beco fotuto e poi a l’ateri ecet[e]ra qui è la reduta de tuti limartini contenti a prova io m’abasta l’animo e ariderito percè me ne volio [...] sqorpaca[r]»(Scrittura e popolo nella Roma barocca. 1585-1721, a c. di A. Petrucci, Roma, Quasar, 1982, pp.43-44 n° 179, ma vd. anche il n° 76 di p. 24 con l’illustrazione a p. 78, che testimonia l’uso diportare e mettere corna smisurate): a ogni buon conto in quest’ultimo caso l’espressione nonallude all’onore da restaurare, quanto al disonore delle corna da rendere pubblico con il lorotaglio. Muzza: cfr. Pr. 14. no te serè segura inchina drio l’altaro: cfr. II 18. arpassar: cfr. BIB-BIA 42 «tegnire apassà la stala» (anche pp. 97 e 102), CALMO Saltuzza 153 nota 66, i rimandiin ZORZI 1407 (riferiti per errore a arpasare ‘ammansire’ di III 3) e BORTOLAN 198 passare; pro-babile che al significato di ‘chiudere’ siano in parte legati anche l’anaunico e il valsuganottostrapassìn ‘chiavistello’ (QUARESIMA 458 e PRATI Vals. 183: il rinvio a Prati anche in PIREW6267).

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ATTO TERZO

[Scena prima] RUZZANTE, BETTIA, MENATO, TONIN e una DONNA 1

RUZANTE Mo que no me ’l divi-tu inanzo que te me cognescivi? Mo sì!Que s’a’ t’aesse vogiù dare, ara’ abù ferdo? Faze! Chi m’ha pigiò, an?Matezzuola, no vi’-tu ch’a’ he fatto per provarte? Fuossi mo... 2

BETIA A’ me farè ficare intun monestiero! 3

1 Riproduco la didascalia della princeps, ma è evidente che l’elenco dei personaggi si riferisceall’intero atto e non alla sola scena prima, dove a rigore parlano solo Ruzante, Betìa, Tonin eMenato, ma non la donna che interverrà da una finestra alla scena successiva.2 Ma perché non me l’hai detto prima che mi avevi riconosciuto? Ma sì! Che se t’avessi volu-to picchiare, avrei esitato? Caspita! Chi mi ha trattenuto, eh? Pazzerella, non vedi che l’hofatto per metterti alla prova? Forse che...que te me cognescivi: cfr. le parole di Cefalo che tenta di placare l’ira di Procri: «E questo èusanza / fra gli amanti, alcun scherzo. E son ben certo / che tu me cognoscesti ancor coper-to» (CORREGGIO Fabula de Cefalo 220; lo scherzo è tra gli argomenti inutilmente tentati daRuzante per ammansire Betìa: cfr. III 3). dare: cfr. Pr. 15. ara’ abù ferdo ‘avrei esitato’, ‘avreitardato’: «modo idiomatico di alludere al torpore di chi tarda a muoversi, come per l’appun-to chi ha freddo» (ZORZI 1368); anche in Parlamento 113 «No, a’ no ge sarae, an, çecolare ilachiti? Sì, arae ferdo! I sarae i primi», Anconitana 783 e Piovana 891. faze ‘caspita’: cfr. PEL-LEGRINI 1960-1961 (1977): 460 e CALMO Saltuzza 83 e nota 19; anche in Parlamento 107 «Façeche le scarpe harà portò la pena» (Padoan: “Immagino che le scarpe [...]”) si può stampare«Façe, che le scarpe [...]» con façe esclamativo e ugualmente in Dialogo secondo 169 «Fazech’a’ no ghe vuò borire adosso inchina ch’a’ ’l n’ha serà l’usso» (Padoan: “Faccio che[...]”). Chi m’ha pigiò: vd. Nota al testo § 1.1.2. Matezzuola: l’appellativo affettuoso torna aIII 3, III 62 e III 90, scandendo l’umiliante tentativo di ricomporre la lite con la moglie e difarla tornare a casa; cfr. anche Betìa 499 «a’ sbertizo matizuola».3 Mi farò ficcare in un monastero!A’ me farè ficare intun monestiero: la minaccia è topica, legata com’è alla tradizione popolarevariamente articolata sulla figura della monacella (cfr. III 24): cfr. la canzone apparentementeoffensiva rammentata in Betìa 263 «Vate monaicà morosa mia» (meglio stampare monaica con-servando una costruzione sintattica ammessa in antico, il tipo vallo fa’ ‘va’ a farlo’ per il qualecfr. I 1 «va’ vi’»).

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atto terzo

RUZANTE Mo tasi matezuola! Mo no sgnicar, ch’a’ trepo con ti! Canca-ro me magne mi! An’ – squaso che no dissi – me’ compare! A’ son andòa dar fastibio a sta poeretta, ch’a’ no la poea squaso arpasare. A’ mesmaravegiava ben che la diesse quel che la diea: mo la m’aea cognessù.Te par che an’ ella sipia cattiva? Cancar’è! La l’ha abù per male! Poh,mo no la poea armiliare! 4 Al sangue del cancaro, a’ vuo’ far portar lepene a me’ compare, che l’è stò cason ello, a’ ghe vuo’ far na noella aello della gonella! Agno muo’ a’ no farè peccò, perqué a’ farè per me’ben. E po el me ha archiapò an’ mi: a’ vuo’ anar a vêre s’a’ ’l vezo. Bet-tia? A’ vaghe via, ve’. A’ me vuo’ mostrar da scalmanò, ch’el para ch’a’sipia corresto. S’a’ me daesse na ferìa in su na gamba a’ starae miegio...A’ dirè ch’i m’ha dò igi: al sangue del cancaro, a’ vuo’ fare n’altra bellanoella, a’ vuo’ anar a vêre s’a’ ’l vezo e far vista... Oh cancaro la seràbella, e sì guagnerè la gonella. [si allontana] 5

4 Ma taci pazzerella! Ma non piagnucolare, che con te scherzo! Canchero mangi me! Anche(per poco non l’ho detto) il mio compare! Sono andato a dare fastidio a questa poveretta, chequasi non la potevo ammansire. Mi meravigliavo bene che dicesse quel che diceva: ma miaveva riconosciuto. Ti pare che anche lei sia cattiva? Canchero! Se l’è presa a male! Poh, manon la potevo ammansire!sgnicar: cfr. MAGAGNÒ Rime III K3v «Chi sgrignè ieri sgnica tutt’ancuò», MAGAGNÒ Rime IV5v «dal so sgniccare le serà scaldè», BERTEVELLO I5r; CORTELAZZO 2007: 1243, BORTOLAN 256sgnica, sgnicamento, sgnicare, MAZZUCCHI 239 sgnicare, PRATI 165 sgnicamento. Forse deno-minale da sgneco, che «dicesi dalle nostre Donne al Grugno del gatto» (BOERIO 656). trepo:dal germ. *trippon (REW e PIREW 8915, MARCATO 1982: 173; PRATI 193 proponeva di partireda TRIVIUM): cfr. gli ess. in CALMO Saltuzza 64 nota 55 e CORTELAZZO 2007: 1421. La primafrase è in parte affine a Betìa 497 «Mogiere, a’ he sbertezò, / a’ fasea per t[r]epare / e per volera provare / s’te me volivi ben» ed è forse ripresa in CALMO Rodiana 175 per un’altra scena dilite coniugale: «Ah, moièr bella, moièr santa, vien in casa che trepo con ti». Cancaro [...] com-pare: anche la maledizione al compare rientra nella topica di episodi simili. Cfr. ARIOSTOOrlando Furioso XLIII 9.6-8 «Sia maledetto chi mi persuase / ch’io facesse la prova, ohimè!di sorte, / che mi levò la dolce mia consorte». fastibio: per la forma cfr. REW e PIREW 3217con CALMO Saltuzza 190 e nota 39. arpasare: cfr. Piovana 975 «El besogna che a’ vaghe a farlaarpassare», Lettera all’Alvarotto 1243 «tuto serà metù in riequia, tuto arpasò», MAGAGNÒRime II 53r «A’ te son vegnù chì per arpasare» e il trevigiano pasentàr ‘calmare’ (PIREW 6317).Denominale da pase sul tipo di armiliare e simili (altri casi in WENDRINER § 77, Cornaro,Morello e la rimeria pavana in CORPUS PAVANO; BORTOLAN 38 registra dalle rime di Caldera-ri arpasa traducendo, credo erroneamente, ‘tralascia’): per il prefisso cfr. arparare I 54. Lal’ha abù per male: cfr. BIBBIA 8 «l’ave molto per male», BOERIO 386 s.v. mal, Aversene per mal‘aver a male o per male’. armiliare: cfr. toscano ‘raumiliare’ «raddolcire» (GDLI XV 558 ePIREW 4234a), meglio che ‘umiliare’ (così BORTOLAN 37 e RIGOBELLO 57); ess. della voce inMILANI 510, Betìa 289 «Mo pènsate ben un puo’ / s’te truovi qualche muò / de farla armilia-re», Fiorina 735 «Fuossi, fuossi, che la se armilierà, e sì me lagherà sborare el me anemo» (e769), MAGAGNÒ Rime II 12r «pur ch’ancha ti te vuogi armiliare», FIGARO I1v, CALDERARI 35v(altre attestazioni nel CORPUS PAVANO); lo stesso significato ha umiliare in BIBBIA 53 «quellobecho che vegniva sacrificà a Dio sì era sacrificà per humiliare mesier Domenedio».5 Al sangue del canchero, voglio farla pagare al mio compare, che lui è stato la causa, gli vogliogiocare un tiro a lui con l’abito! In ogni modo non farò peccato, perché lo farò per il mio bene.

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moschetta

BETIA A’ te farè l’onor che te mieriti, poltron, can, apicò, che te no megalderè mè pì, s’a’ dîesse ben anar cercanto a usso a usso! [dopo essereuscita di casa bussa alla porta di Tonin] Oh, dalla ca’! 6

TONIN [alla finestra] Chi è quel? 7

BETIA Amigo 8.TONIN Oh, sia regratiat Domnedè, vegnì deter dona Betìa 9.RUZANTE A’ he vezù me’ compare che vien de chialò via, a’ no vuo’

E poi mi ha ingannato anche lui a me: voglio andare a vedere se lo vedo. Betìa? Vado via, sai.Voglio far finta di essere accaldato, che sembri che abbia corso. Se mi ferissi sulla gamba sta-rei meglio... Dirò che m’hanno picchiato loro: al sangue del canchero, voglio metter su un’al-tra bella burla, voglio andare a vedere se lo vedo e far finta... Oh canchero sarà bella, e in piùmi guadagnerò l’abito.a’ vuo’ far portar le pene a me’ compare: cfr. Parlamento 107 «le scarpe harà portò la pena», Pio-vana 1011 «talun, che no ha colpa, porta la pena», CALMO Spagnolas 90 «se no i fazo portar lapena avanti el pecao no me chiamé Zurloto d’i Ugnoli»; CORTELAZZO 2007: 976 punto (3);altri ess. settentrionali in ESOPO VENETO 42 «porta pena e dano», BIBBIA 20 «portemo pena delnostro fradelo Joseph» (anche 86 e 109) e nei testi quattrocenteschi di CONTINI 1938 (2007)(p. 595 nota 2, p. 616 v. 259). La locuzione è anche dell’italiano (GDLI XIII 961 s.v. portare22):numerosi ess. antichi nella banca dati TLIO. a’ ghe vuo’ far na noella a ello: per far na noella‘ingannare’ cfr. I 56: l’espressione allude al furto che Ruzante ha intenzione di compiereimpossessandosi dell’abito del compare. el me ha archiapò an’ mi: cfr. I 54. da scalmanò: cfr.CORTELAZZO 2007: 1183 e BOERIO 616 scalmanà «rosso nella faccia, affannato di caldo persoverchio moto». corresto: per il tipo participiale cfr. II 23. i m’ha dò igi: i fantomaticiaggressori che Ruzante fingerà d’aver incontrato per ingannare Menato; per dare cfr. Pr.15. far vista...: cfr. I 54.6 Ti farò l’onore che meriti, poltrone, cane, impiccato, che non mi godrai mai più, a costo didover andare a elemosinare porta a porta! Oh, della casa!Il proposito è simile a quello di Procri: «Non sarà vero, ingrato e desliale, / che mai più tecoviva in tal sospecto! / L’amore e la mia fede che mi vale, / poi che ogi m’hai tanto dispecto? /El sdegno e l’onestà mi prestin l’ale / ch’io mi levi dananti al tuo conspecto. / Non mi seguir,che tu ne perdi i passi, / né creder che impunito il ciel ti lassi!» (CORREGGIO Fabula de Cefa-lo 219). Di nuovo, è notevole anche la somiglianza con la vicenda di ARIOSTO Orlando Furio-so XLIII 41-42 là dove la donna, colta in fallo dal marito che ne ha messo alla prova la fedeltà,si sdegna fino a odiare il consorte (ottava 41) e decide di fuggire a casa del suo corteggiatore(ottava 42). poltron, can, apicò: identica serie in Betìa 213; per il primo insulto cfr. Pr. 8; perapicò ‘degno dell’impiccagione’ cfr. impiccato in CALMO Saltuzza 121 nota 16 «Lasciami,impiccato, traditore!» e BOCCHI 2004: 117 s.v. apicare. te no me galderè mè pì ‘non mi avraipiù come moglie’: vd. I 18. s’a’ dîesse ben anar cercanto a usso a usso!: cfr. Seconda Oratione 51«la carité è romagnua, mo la va mo çercanto a usso a usso», Dialogo facetissimo 87 «el no temancherà mé andar çercanto, siando sturpiò», e «molti villani comenzano venir qui con putizercando il viver, per la grande carestia è di fuora» (Sanudo, cit. in DANIELE 2004: 154), CROCE2006: 328 «non vogliono che alcuno vadi cercando per la città»; cfr. anche CORTELAZZO 2007:330, PATRIARCHI 46, BOERIO 159 cercar la limosina e cercar ‘elemosinare’ (in Patriarchi e inBoerio anche cercantin ‘pitocco’).7 Chi è?8 Amici.Amigo: per lo scambio di battute cfr. ad es. BELO Pedante 136 «CECA: Chi è là? RITA: Amici» eCECCHI Assiuolo 906 «GIANNELLA: Chi è? GIORGETTO: Amici; apri, Giannella».9 Oh, sia ringraziato Dio, venite dentro signora Betìa.regratiat: per la forma vd. il commento al pavano regratiar più sotto a III 141.

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atto terzo

gnan ch’el me veza, che a’ la vuo’ far compìa. [grida] Alturio, miseri-cuordia! Alturio, misericordia, ch’a’ son morto amazzò! 10

MENATO Compare, compare! Potta de Domene, que aì-vu? 11

RUZANTE Pì de cento, compare, lomè cielo e sponton, a’ son stò sbusòpì che n’è un crivello! Agiéme, agiéme! 12

MENATO Chi è-gi stè? 13

RUZANTE I menava senza remission, compare, d’un sponton in l’agieree d’un in la vita... A’ son morto compare, caté un preve ch’a’ me vuo’confessare 14.10 Ho veduto il mio compare che viene da questa parte, non voglio neppure che mi veda, lavoglio fare per bene. Aiuto, misericordia! Aiuto, misericordia, che sono morto ammazzato!chialò via: cfr. I 7. la vuo’ far compìa ‘la voglio fare compiuta’, ‘lo voglio combinare bene finoin fondo (l’inganno)’: cfr. PRATI Vals. 42 s.v. compìa «far o farla compìa compire l’opera (anchedi persona che s’è ubriacata del tutto)», NACCARI - BOSCOLO 120 afare compio ‘affare conclu-so’ e cossì avémo compio l’opera ‘in questo modo l’abbiamo fatta grossa’; per il clitico la inespressioni di questo genere vd. commento a I 54. Alturio: LEI 1.734.29 ss. (soprattuttoforme al § 1.b) precisa che «L’ipercorrezione aut- > alt- caratterizza l’it. sett. or. con il Venetocome centro d’irradiazione» (in pavano conterà anche l’allineamento all’esito rappresentatoda laldo < LAUDO); cfr. anche BIBBIA 101 bis, 103, 104 bis, REW e PIREW 173, MUSSAFIA Beitrag25 s.v. alturiar («Verblieben ist im dem Ven. das Substantiv alturio in der Verbindung cigaroder criar alturio», qui a V 49), BORTOLAN 29; PATRIARCHI 3 segnala alturio come voce rusti-ca, RIGOBELLO 48 registra la forma da un ms. del 1820 (dialetto di Cologna Veneta). La locu-zione registrata da Mussafia è anche nel dialetto di Alba (CN), in cui brajé ajtöri vale sempli-cemente ‘gridare disperatamente’ (PIREW 173).11 Compare, compare! Potta di Dio, che avete?12 Più di cento, compare, solo cielo e colpi di spuntone, sono stato bucato più di un crivello!Aiutatemi, aiutatemi!Pì de cento, compare, lomè cielo e sponton, a’ son stò sbusò pì che n’è un crivello!: Ruzante insistesul numero spropositato degli aggressori (pì de cento), con un escamotage che ricorre anche inParlamento 115 «Un solo contra tanti – intendiu com a’ dighe, compare? – chi ghe durerae?»,Parlamento 117 «un solo non pò far niente contra tanti, com saì», e similmente in Parlamento133 bis, Dialogo facetissimo 77 «Doh, desgraziò mi, çento contra uno, an? On’ è la descrizion,an? I m’ha tuto forò e deçipò! El n’è tanti busi int’un crivello da mégio, con i m’ha fatto in lame vita» (dove compaiono vari altri elementi che si ritrovano anche nello scambio di battutedella Moschetta). Per lomè cielo e sponton vd. Parlamento 121 «a’ no vîvi se no çielo e uossi demorti!» e soprattutto Parlamento 135 «Mo a’ no veea se no çielo e bastonè»; altri ess. in Fio-rina 765, Anconitana 781, 785, 851, 875, Piovana 1029, Lettera all’Alvarotto 1243, MAGAGNÒRime II 38r «E ’l no se vea se no cielo e sponton» (VIDOSSI 1954: 444 nota che il modo, «per-ché grammaticalizzato, ha perso in parte la sua espressività»). Per sponton cfr. II 23; l’imma-gine del crivello è già a I 64 «No di’ de villani, ch’a’ se sbuseron la pelle pì ca no fo mè crivie-gi» e torna nel passo di Dialogo facetissimo 77 cit. sopra. Si veda una situazione simile in CEC-CHI Assiuolo 926 «GIANNELLA: Eh padrone, e’ ci è stato da fare per ognuno. I’ fui assaltato dapiù di 300 uomini d’arme, che mi si colseno in mezzo, e m’hanno concio male; i’ credo essertutto come un vaglio: e volete voi altro? che in quella baruffa e’ mi cadde lo stocco vostro?AMBROGIO: E ha’lo perduto? GIANNELLA: Messer no, e’ l’hanno avuto coloro, cred’io».13 Chi sono stati?Chi è-gi stè?: la perplessità di Menato «è magistralmente descritta dall’alternarsi delle due bat-tute “Chi ègi stè?” e “A’ n’arì mal negun”, dietro le quali si trincera, sprezzante e incomben-te secondo il solito, in attesa che l’altro si scopra» (ZORZI 1408).14 Menavano senza pietà, compare, un colpo di spuntone in aria e un altro in corpo... Sonomorto compare, trovate un prete che mi voglio confessare.

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moschetta

MENATO N’abié paura: chi è-gi stò? 15

RUZANTE A’ sente ch’a’ ’l me va fuora el fiò dalle ferì via... 16

MENATO A’ n’arì mal negun, cristian 17.RUZANTE Mo no senti-gie ch’a’ son tutto forò? 18

MENATO Onve? 19

RUZANTE No toché, no toché! Pian, cancaro! No toché! Pì de cento!Oh, cancaro i magne! Foesse-gi vegnù almanco a un a un! 20

MENATO Chi cancaro è-gi stò? 21

RUZANTE S’a’ no son morto, a’ ghe manca puoco 22.

senza remission: vd. Piovana 1029 «i te menerà adosso senza remission», CROCE 2006: 125 «gliAffittuarii possino scorticare i Villani tutto l’anno senza remissione alcuna» e CALMO Saltuzza155 e nota 76. d’un sponton in l’agiere e d’un in la vita... ossia ‘in alto e in basso’, ‘da tutte leparti’. Da notare la regola sintattica per cui il complemento retto da menare e simili è spessointrodotto dalla preposizione di che regge il nome dell’arma o dello strumento e non l’astrat-to che designa il colpo (qui sponton e non, poniamo, spontonada); si tratta, secondo l’analisidi BENINCÀ 1983a (1994): 166 nota 4, di un complemento di mezzo. Vita indica «quella partedel corpo ch’è sopra i fianchi sino alle spalle» (BOERIO 797 e CORTELAZZO 2007: 1491 punto[2]): cfr. anche Dialogo facetissimo 77 e CALMO Saltuzza 129 vita pista ‘torso ammaccato (perle percosse)’. caté: cfr. Pr. 6.15 Non abbiate paura: chi sono stati?16 Sento che il respiro mi fugge fuori attraverso le ferite...A’ sente ch’a’ ’l me va fuora el fiò dalle ferì via...: per immagini in cui il fiò s’identifica con il sof-fio vitale cfr. ad es. MILANI 331 «La no cre mè vère el dì / che me sbora el fiò» e Pastoral 127«Quando el ven quelle brame, / da magnar pan de megio, / puoh sì, a’ me smaravegio / cheno me sbora el fiò»; più vicina, per la parentela tra le scene, l’esclamazione di Menego in Dia-logo facetissimo 83 «Andé mo via, che a’ me sento insire el fiò per la busa de sotto» (con cli-ché carnevalesco, dato che il respiro è assimilato a un’emissione intestinale come in Betìa 461,dove l’anima uscendo dallo sfintere cade nelle grinfie dei diavoli infernali: vd. ZORZI 1357 nota337 e analoghe espressioni in Fiorina 739 e Fiorina 745).17 Non avrete nessun male, cristiano.A’ n’arì mal negun, cristian: analoga la reazione di Dozzo di fronte alle lamentele di Menego inDialogo facetissimo 81 «Mostré mo: se Diè m’ai’, che a’ n’aì gnan male!»; per cristian, subitoappresso anche a III 21 e III 23, cfr. I 1. Dev’essere notato qui e a III 21 l’uso del futuro arì(che si oppone al presente aì di III 23): il fatto si potrebbe giustificare osservando che a III 15e III 21, quando non è ancora certo dello stato di salute di Ruzante, Menato lo rassicura gene-ricamente sul suo destino; mentre a III 23, accortosi ormai che l’altro sta fingendo e sta benis-simo, usa il presente. Ma resta il dubbio, anche alla luce del riscontro del Dialogo facetissimo,che i due arì possano essere il risultato di una cattiva lettura di avì sul manoscritto andato intipografia (per quanto raro, avì ‘avete’ conta una decina di esempi nel CORPUS PAVANO, anchein testi ruzantiani).18 Ma non lo sento io che sono tutto forato?19 Dove?20 Non toccate, non toccate! Piano, canchero! Non toccate! Più di cento! Oh, canchero limangi! Fossero almeno venuti uno per volta!Foesse-gi vegnù almanco a un a un!: l’assurda recriminazione rappresenta uno dei più evidentisintomi della costante ‘fuga dal mondo’ di Ruzante.21 Chi canchero è stato?22 Se non sono morto, ci manca poco.

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atto terzo

MENATO A’ n’arì mal negun, cristian. Sté sora de mi: a’ sè quel ch’a’ vedighe 23.RUZANTE Oh compare, a’ sento ben mi che s’a’ no son morto el ghemanca puoco, e s’a’ guarirè a’ no serè mè pì omo. Guardé mo’ chialòs’a’ son guasto 24.MENATO A’ n’aì mal negun, cristian 25.RUZANTE Oh cancaro, compare, corrì, ch’a’ m’anderè a far miegare! Ecorrì presto, e guardé ch’a’ he lagò star la gonella ch’a’ me diessi e laberretta, e toélla su! Mo corrì presto, e volzìve po a sta man: a’ verì benla pesta, el remor della zente! Mo corrì presto presto, ch’a’ la no seperde, e tolì an’ la me’ berretta. [Menato se ne va] 26 Al sangue del can-caro, a’ ghe l’he pur ficà in lo carniero: a’ vuo’ mo’ anar an’ mi a ca’ aficarme in letto a pe’ della Bettia, e farme ben covrire a ella. [giuntosotto casa comincia a chiamare la moglie] Bettia? Oh Bettia? Aldi-tu,potta de chi te fè? Oh Bettia? A’ cherzo che te druomi. A’ vuo’ penzerin l’usso: oh, vi’-tu s’a’ l’è averto? On’ si’-tu an, Bettia? 27 Oh, cancaro

23 Non avrete nessun male, cristiano. Fidatevi di me: so quel che vi dico.Sté sora de mi: cfr. BIBBIA 20 «Dàmelo sovra de mi», INGANNATI 255 «VIRGINIO: Follo sicura-mente? PEDANTE: Sicuramente, sopra di me», PICCOLOMINI L’amor costante 334 «Di questostanne sopra di me, ch’io mi serei pur accorto di qualche cosa», CORTELAZZO 2007: 1273 «ebasta, stè sora de mi, che haverè zo che volè» (dalla Pace di Negro); in BOERIO 674 s.v. sora:sto afar va sora de mi ‘quest’affare è tutto a mio carico’.24 Oh compare, sento bene io che se non sono morto ci manca poco, e se guarirò non sarò piùun vero uomo. Guardate un po’ qui se sono ferito gravemente.e s’a’ guarirè a’ no serè mè pì omo: con probabile riferimento alle proprie capacità virili. In Dia-logo facetissimo 85 Menego teme invece di non poter lavorare più: «Poh, a’ romagnerè stur-piò fremamen! A che muò bruscherégie mé pì? Mé sì, a’ son deruinò del mondo, mi. Chi mevorà mé pì a uóvera? A’ guagneré ben mo le rémole!». guasto ‘ferito gravemente’, ‘sfigurato’:cfr. II 3 e per l’accentazione Pr. 3.25 Non avete nessun male, cristiano.26 Oh canchero, compare, correte, che mi andrò a far medicare! E correte presto, e guardateche ho lasciato stare l’abito che mi avete dato e la berretta, e prendetela su! Ma correte pre-sto, e giratevi poi da questa parte: vedrete bene le orme, la confusione della gente! Ma corre-te prestissimo, che l’abito non si perda, e prendete anche la mia berretta.m’anderè a far miegare: dopo aver chiesto un prete (III 12) Ruzante si accontenta ora più otti-misticamente di un medico (vd. Dialogo facetissimo 81 dove Menego chiede dapprima aDuozo di andare «per el preve» per poi appellarsi al «ragomante [...] che fa tanti miraco-li»). a sta man ‘da questa parte’: «Da sta man qua; Da quela man là, Da questa mano o Daquella parte o lato» (BOERIO 327 s.v. mano). la pesta ‘le orme’ (degli aggressori): cfr. FIGAROD4r «A’ no lagava la Viga de pesta / né in ca’ né per la via, né su la festa» (‘non lasciavo la Vigaindietro di un passo...’); CORTELAZZO 2007: 991 pesta ‘impronta’, PRATI Vals. 127 pesta ‘peda-ta, orma’, QUARESIMA 319 pésta ‘pesta, orma’, RIGOBELLO 330 péstia ‘rumore di passi’. elremor della zente ‘il rumore della gente’: non è chiaro se si tratti del rumore prodotto dal grup-po degli aggressori in fuga o del chiasso di quanti nel frattempo sarebbero accorsi sul luogodella lite.27 Al sangue del canchero, gliel’ho proprio ficcata in saccoccia: adesso voglio andare anch’ioa casa a mettermi nel letto vicino a Betìa, e farmi ben coprire da lei. Betìa? Oh Betìa? Ci senti,

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me magne, frufante, poltron, can, apicò ch’a’ son! A’ son ben deruinò,a’ son ben svergognò, a’ son ben in cao mo’! Oh poltron desgratiò ch’a’sarè sempre mè! Oh, cancaro ne magne tutti du, compare, vu e mi e ’lme’ muar de gonella! [schiaffeggiandosi] Tuò poltron, tuò desgratiò, tuòcogómbaro, tuò su mo’ quel che t’hè guagnò: zòzzolo! Muate mo’ degonella, faella mo’ da soldò o per gramego, fane mo’ delle smerdarelle!Oh, maletto sea el me’ parlar per gramego e chi m’ha insegnò! 28 Oh,

potta di chi ti fece? Oh Betìa? Credo che tu dorma. Voglio spingere l’uscio: oh, guarda un po’se è aperto? Dove sei eh, Betìa?a’ ghe l’he pur ficà in lo carniero ‘l’ho ingannato’: cfr. cacciare nel carniero a I 54. a pe’: cfr. II6. e farme ben covrire a ella ‘farmi ben coprire da lei’, con ovvia allusione al rapporto sessua-le che Ruzante intende consumare per sancire l’avvenuta riconciliazione. Il soggetto profondodella causativa incassata sotto fare è introdotto dalla preposizione a, con costrutto agramma-ticale in italiano (che esige in contesti simili l’agentivo), ma documentato nel toscano e nei dia-letti antichi. Una campionatura veneta in L. D’ONGHIA, Alcune osservazioni sul costrutto cau-sativo nel pavano di Ruzante, in «Lingua e Stile» XXXVIII 2003, pp. 43-58; più in generalecfr. ROBUSTELLI 1994. Per covrire cfr. BOERIO 206 «COVERZER, parlando degli Animali, Copri-re, Congiungersi del maschio colla femmina per la generazione» e GDLI III 75611: resta da rile-vare la singolarità della nostra occorrenza, dato che in tutti gli esempi di GDLI è sempre la fem-mina che si fa coprire dal maschio, e mai il contrario (così in BIBBIA 13 e 55 a proposito di ani-mali; in GIANCARLI Capraria 119 l’opportunità della posizione ‘tradizionale’ è apertamenteribadita: «E vu si’ la parona, e seanto a sto muo’ l’è nisitè ch’el [il marito] ve staghe de sora»,con un rimando in nota alla Vaccaria). L’apparente incongruenza può celare un’allusione aDecameron IX 3, dove all’ingenuo Calandrino – degno antenato di Ruzante – si fa credere diessere rimasto ‘incinto’ dopo essersi fatto coprire dalla moglie Tessa secondo il consiglio rice-vuto da Bruno: «A me pare che tu te ne torni a casa e vaditene in su il letto e facciti ben covri-re, e che tu mandi il segnal tuo al maestro Simone [...]» (Dec. IX 3 15); quindi Calandrino«entratosene tutto affaticato nella camera disse alla moglie: “Vieni e cuoprimi bene, ché io misento un gran male”» (Dec. IX 3 16); all’annuncio della propria gravidanza, poi, sbotta in unmemorabile «Oimè! Tessa, questo m’hai fatto tu, che non vuogli stare altro che di sopra» (Dec.IX 3 21). Proprio questo passaggio della novella è evocato in rapporto a certe umilianti con-fidenze di sier Tomao a Ruzante anche da PADOAN 1970 (1978a): 283. La battuta, mi sembra,è riutilizzata da CALMO Travaglia 142, dove Rabbioso impaurito progetta di tornare a casa efarsi curare dalla moglie Cortese: «Io ho il gran freddo [...] io voglio ire a farmi coprire moltobene e tenere la testa calda»; ancora più tardi si ricordi in BASILE Cunto 20 il personaggio diTadeo, succube di una moglie «dalla quale s’aveva fatto accavallare». Più in generale, a pro-posito dell’inversione dei ruoli sessuali adombrata nella battuta di Ruzante, cfr. N. ZEMONDAVIS, Women on top, in EAD., Society and Culture in Early Modern France, Stanford CA,Stanford University Press, 1975, pp. 124-151, CAMPORESI 1993: 65, MARTINES 1998: 279,GREWE 2007.28 Oh, canchero mi mangi, furfante, poltrone, cane, impiccato che sono! Sono proprio rovi-nato, sono proprio svergognato, sono proprio a buon punto adesso! Oh poltrone disgraziatoche sarò sempre! Oh, canchero ci mangi tutti e due, compare, voi e me e il mio cambiarmi d’a-bito! Prendi poltrone, prendi disgraziato, prendi coglione, prendi un po’ su quel che ti seiguadagnato: un bel niente! Cambiati pure d’abito, parla pure da soldato o in lingua colta,fanne pure delle cagate! Oh, maledetto sia il mio parlare in lingua colta e chi me l’ha inse-gnato!Oh, cancaro me magne, frufante, poltron, can, apicò ch’a’ son!: salvo frufante, Ruzante rivolge con-tro sé stesso gli insulti che Betìa aveva già usato a III 4; furfante designa per lo più a quest’al-tezza cronologica il mendicante, lo straccione (vd. ad es. CROCE Bravure 271 «un mezo mata-razzo / di paglia, ben forfante, / con stracci e pezze tante, / ch’io mi vergogno a dirlo», vv. 662-

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atto terzo

Bettia, t’hè pur fatta la to’ pinion, te t’hè pur andà a far ficcare intunmonestiero! E mi a’ son pur stò cason, desgratiò ch’a’ sarè sempre mè!Ti hè fatta moneghella, poveretta, descalzarella! A’ porè ben cantare:«Doh monicella»! 29 A’ no t’he mè cognessù per femena de pinion lomè

665); per poltron, altre due volte nella stessa battuta, cfr. Pr. 8. a’ son ben in cao ‘sono pro-prio arrivato alla fine’ ossia ‘peggio di così non può succedermi’: cfr. BOERIO 131 «Esser in cao,Esser alla fine, all’ultimo, al termine, Toccar della fine», MAZZUCCHI 40, PAJELLO 41. e ’l me’muar de gonella: il travestimento servito a Ruzante per mettere alla prova la fedeltà dellamoglie. Tuò poltron [...]: vd. le analoghe scene di autolesionismo in Betìa 285 «Doh, muorbote magne, / tuò, che t’è stò mencion! / Tuò, che te vegne el morbo, tuò!» e Piovana 993 «Opoltron, can, apicò che a’ fu’, a’ no me guardar a çerca çento fiè inanzo che a’ cavesse fuora lere’ de l’acqua. Tuò, poltron, in gi uogi! Che a’ no me apicherè? A’ me apicherè sì!». cogóm-baro ‘coglione’, ‘stupido’: per la parola, più volte in Ruzante (LIZ), cfr. CALMO Saltuzza 49 enota 4 con altre occorrenze in Calmo, Giancarli, Parabosco (che ha il toscano cogliocumero <coglione + cocomero), PATRIARCHI 78 cogiombaro e RIGOBELLO 137 coiómbaro. zòzzolo: cfr. II23. faella mo’ da soldò o per gramego: per il gergo militare vd. Parlamento (soprattutto p. 115,battute 40-43); per gramego cfr. II 11. fane mo’ delle smerdarelle: cfr. merde ‘bravate’ a II 22 eBOERIO 666 smerdassàe ‘smargiassate, millanterie’.29 Oh, Betìa, hai fatto proprio come avevi deciso, sei proprio andata a farti ficcare in un mona-stero! E io ne sono stato la causa, disgraziato che sarò per sempre! Ti sei fatta monachella,poveretta, scalzarella! Potrò ben cantare: «Doh monicella»!t’hè pur fatta la to’ pinion: vd. «stinè, de pinion» ‘testarde’ II 6; pinion vale ‘ostinata decisione’(la forma è classificata da PAJELLO 187 come termine rustico). te t’hè pur andà a far ficcareintun monestiero!: sull’esclamazione si stende un velo di sarcasmo, dato che il monastero comeluogo tutt’altro che casto è «ricorrente in senso equivoco nella letteratura ridanciana deltempo» (ZORZI 1409). Si pensi all’antica tradizione dell’abbazia di prostitute (vd. N. PASERO,Donne e cavalli: una facetia di Guglielmo IX, in Miscellanea di studi in onore di Aurelio Ron-caglia a cinquant’anni dalla sua laurea, Modena, Mucchi, 1989, vol. III, pp. 985-992: 987 e nota17, e di qui P. RAJNA, Spigolature provenzali. II - La Badia di Niort, in «Romania» VI 1877, pp.249-253) e, più tardi, all’ambiguità di nunnery (‘monastero’, ma anche ‘bordello’) nella nun-nery-scene dell’Amleto, in cui Ofelia viene invitata da Amleto a rinchiudersi in un conventoper non generare peccatori («Get thee to a nunnery», III I 121): cfr. W. SHAKESPEARE, Ham-let, ed. by H. Jenkins, London and New York, Routledge, 1989, ed. or. 1982, p. 282 e la notaalle pp. 493-496. Ti hè fatta moneghella, poveretta, descalzarella! A’ porè ben cantare: «Dohmonicella»!: le due frasi e in particolare la seconda, che rammenta il «principio di una canzo-ne di carattere dispregiativo, a quanto apparisce dal contesto» (LOVARINI 1965: 168 e nota 3),possono alludere secondo ZORZI 1409 alla tradizione popolare della ‘finta monacella’, qui evo-cata in rapporto alla nuova condizione religiosa di Betìa: non c’è però alcuna vera affinità trala situazione di Betìa e quella della ‘finta monacella’ che è in realtà un uomo travestitosi dareligiosa per avvicinare l’amata. L’unico debole elemento comune sarebbe da ravvisare nellacondizione di vagabondaggio e povertà (poveretta, descalzarella, e anche l’anar cercanto a ussoa usso di III 4), che caratterizza talvolta anche la finta monicella all’inizio del suo viaggio. Cfr.DAZZI 1959: 95-96, con rinvio a V. SANTOLI, La finta monacella, in Cinque canti popolari dallaRaccolta Barbi, in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa» VII 1938, pp. 109-193:117-164, P. TOSCHI, La canzone della “finta monacella”, in «Lares» XI 1940, pp. 3-14 (poiampliato in Poesia e vita di popolo, Venezia, Montuoro, 1946, pp. 22-56), G.B. BRONZINI, Lacanzone della Finta Monacella: nuove versioni e loro classificazione, in «Lares» XX 1954, pp.83-105. La sfumatura dispregiativa individuata da Lovarini indurrebbe al confronto con lacanzone «Vate monaicà morosa mia» (Betìa 263): confronto che Lovarini non propose perchénon conosceva ancora il manoscritto Correr (cfr. la nota di Folena in LOVARINI 1965: 236).Alla disperazione di Ruzante non sembra estraneo un amaro tono derisorio (diretto primacontro sé stesso e poi anche contro la moglie, come desumibile dall’implicita ironia sul moni-

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adesso: che no gh’ha valesto che da putati in su a’ se abiam semprevogiù ben tanto tempo, ch’a’ seon stè imbriaghè intel ben ch’a’ s’aonvolesto! Per ben ch’a’ t’abi vogiù a’ no t’he possù armiliare, tanto chete m’aissi ditto almanco: «Sta’ con Dio, ch’a’ vago in qua» 30. S’a’ saessealmanco on’ vegnirte a cattare! On’ se’-tu andà Bettia? Dimelo serore,che almanco con’ a’ morirè a’ se fazzan metter tutti du intuna fossa,dasché a’ no ghe posson star vivi, e che se fazzan far un spataffio lungolungo che diga la nostra fin. Ghe foesse almanco qualcun che me l’in-segnasse o que me diesse a que via l’è andà! 31

stiero), probabilmente in omaggio a quell’effetto di ‘alienazione’ che ZORZI 1408-1409 ha indi-viduato in tutta la scena. Sia per monacella che per monachella GDLI X 758 segnala una sfu-matura «lievemente spreg[iativa]» che trova piena conferma negli ess. da autori come Giam-bullari e Aretino (ma vd. anche tra l’altro le «muneghe scuvertàe del sanda Nefissa» ‘prosti-tute’ di CALMO Travaglia 110, le monachete veneziane maliziosamente evocate nel sonettoamoroso del cod. Ottelio X, cc. 302r-302v e il badessa con cui è apostrofata una cortigiana inLIPPI 1997 [2003]: 211 v. 136). Grazie a GDLI s’individua una seconda tradizione popolare lacui assunzione parodica potrebbe star dietro la monicella ruzantiana, quella della giovanecostretta a prendere il velo per le sofferenze amorose. Vd. questi versi di Leonardo Giustinian,che testimoniano la vitalità del motivo anche in àmbito veneto: «Misera topinela, / senza timorirazo; / la fazza mia bella / tuta la guastarazo. / faròme monicela; / mie trezze tagliarazo;/ guarda de quanto mal cason seray!» (Poesie edite ed inedite di Lionardo Giustiniani, per curadi B. Wiese, Bologna, Commissione per i testi di lingua, Forni, 1968, rist. anast. dell’ed. Roma-gnoli, 1883, p. 162, vv. 105 ss.) e anche i testi di DAZZI 1959: 97-98 e 109. Analogo uso di dimi-nutivi e vezzeggiativi (ben notato già da GRABHER 1953: 162) in Piovana 929 «On’ sito scal-trieta? Tuò la to acqueta. Àldito, besoleta, polieta, ponzineta?», nella canzone Occhio non fuzà mai che lagremasse vv. 45-46 «o animetta, o benedetta, / o anzoletta, chiara stelletta» (ZORZI1967: 1263) e in SALVIONI 1902-1904 (2008): 623 v. 820 «Andaròn nò poueret descalzarie»(qui ricorre la stessa sequenza di «poveretta, descalzarella»).30 Non ti ho mai conosciuto come una donna cocciuta se non adesso: non ha valso che fin daquando eravamo fanciulli ci siamo sempre voluti bene per tanto tempo, a tal punto che siamostati ubriachi del bene che ci siamo voluti! Per quanto bene ti abbia voluto non ti ho potutoammansire, tanto che mi avessi detto almeno: «Sta’ con Dio, che vado in qua».de pinion: cfr. «stinè, de pinion» II 6; per lomè ‘soltanto’ cfr. I 1. da putati in su a’ se abiamsempre vogiù ben: anche in assenza della moglie Ruzante rievoca il loro amore infantile, proiet-tandolo in una dimensione d’innocenza e intensità («a’ seon stè imbriaghè intel ben ch’a’ s’aonvolesto!») del tutto estranea alla realtà (lo stesso aveva fatto con Menato a II 4). Per i partici-pi passati valesto e volesto cfr. II 23; per il suffisso diminutivo -ati cfr. borsatto I 60. armilia-re: cfr. III 3.31 Se sapessi almeno dove venirti a cercare! Dove sei andata Betìa? Dimmelo sorella, che alme-no quando morirò ci facciamo mettere tutti e due in una fossa, dato che non possiamo stareinsieme da vivi, e ci facciamo fare un epitaffio lungo lungo che racconti la nostra fine. Ci fossealmeno qualcuno che m’insegnasse o che mi dicesse da che parte è andata!cattare: cfr. Pr. 6. serore: appellativo usato anche per la coniuge o l’amata: vd. FOLENGO Bal-dus VIII 186, CALDERARI 24r, MARCHESINI 11 bis e l’analogo fréla ad es. in Betìa 489 «cara,dolze la mia frela». se fazzan far un spataffio lungo lungo che diga la nostra fin: anche in Betìa403 la protagonista chiede d’esser seppellita insieme alla madre con «questo bel sermon, / cheda tutti sea vezù, / che dighe: “Chive ghe n’è du, / Menega mare e Betìa figiuola, / che peresser una scrovazuola, / fè morir so mare int’un’ora”» (vd. ZORZI 1344). Il topos ricorre incontesto aulico già in Pastoral 105 «ben prego Apol tanto aiuto mi presti / che posa qui scul-pir dui rudi carmi, / che nari almen perch’a tal fin giongesti» ed è comicamente deformato nel-

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atto terzo

[Scena seconda] 32

una DONNA alla fenestra

DONNA Cerché-vu la vostra femena an, on da ben? 33

RUZANTE Sì serore, sì 34.DONNA Mo guardé in qua, guardé in qua... 35

RUZANTE [cercando la donna con lo sguardo] A’ no ve vezo! 36

DONNA In qua, in qua! 37

RUZANTE A’ no sè on’ sipié mi, a’ son stravaliò! On’ si’-vu, an? 38

DONNA Qua, qua, cristian de Dio, a man dretta! 39

RUZANTE [vedendola] Ah! An, o’ è-lla andà? 40

DONNA In quella casa de quel soldà 41.RUZANTE La è andà là da quel soldò? L’ì-vu ben cognessùa che la seaella? 42

DONNA Sì cristian de Dio, che ghe l’he vista anare mi puoco è 43.RUZANTE Oh, laldò sea la Mare, che a’ in’ spiero pure ancora de galderla.

l’uscita di Maregale in Piovana 901 «Tanto che a’ porè lagar scrito su la mia fossa, con fa i mas-sari de le fragie su gi altari: “De do legrezze, che po’ aver un marìo, / Maregale no n’ha abùneguna, che è sopelìo chialò”». Ma quello dell’epitaffio sul sepolcro dell’amante infelice odegli innamorati morti insieme è motivo comune nella poesia rusticale: cfr. SALVIONI 1902-1904 (2008): 608 vv. 312-315, i versi di Menon «Del M. e D. e XXX. a tri / d’aosto puoco inan-zo compietta, / sotto na pria Menon e la Thietta / fo chivelò de brigà sepolì» (CORPUS PAVA-NO), ROVIGIÒ B5r «Menon con la Thietta è sotterà / sotto sta pria, perché pur gh’ha vogiù /star muorti in t’una fossa tutti dù / dasché vivi i no stè mai de brigà», BALDOVINI Lamento 49«e perché sappia ugnuno il mi è successo, / sur una preta a forza di scarpello / i’ vo’ che scrit-to sia da capo a piene, / come qualmente i’ dilefiai per tene», e il cenno dell’Egloga di Morel«Poloni [...] / [...] / el cattè mort, e ghe dè sepoltura; / e col cortel, sul moliment ghe scris, /a lettre tonde, un bel sprolegh che dis: / “Trotol qua è mort, gran mistro de puina, / e<l> s’habutà de croda, vint d’Amor; / altri incolpa la Zana, altri la Dina, / estre stade le ladre del socuor”» (PELLEGRINI 1964 [1977]: 408-409 vv. 489-497).32 ZORZI 1456-1457 ha segnalato il rapporto di similarità che lega questa scena a quella di Fio-rina 759 nella quale la vecchia Teodosia riferisce a Marchioro, non senza una punta di com-piacimento, del rapimento di Fiore da parte di Ruzante.33 Cercate vostra moglie eh, uomo da bene?34 Sì sorella, sì.35 Ma guardate in qua, guardate in qua...36 Non vi vedo!37 In qua, in qua!38 Non so dove siate, sono sconvolto! Dove siete, eh?stravaliò: vd. SGAREGGIO F4r «ieto stravaliò?» (in BOERIO 765 solo travagià).39 Qua, qua, cristiano di Dio, a destra!cristian de Dio: cfr. cristian a I 1 (anche a III 35). a man dretta: cfr. l’analogo a sta man III 24.40 Ah! Allora, dov’è andata?41 In quella casa di quel soldato.42 È andata là da quel soldato? L’avete proprio riconosciuta che sia lei?43 Sì cristiano di Dio, che ce l’ho vista andare io poco fa.

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A’ no vuo’ gnan sbattere, mo a’ ’l besogna ch’a’ no ghe vaghe con sbrao-sarì; mo a’ ’l besogna ch’a’ vaghe pì molesin che fè mè sonza. E s’el mediesse poltron, a’ dirè ch’a’ ’l dise la veritè: que me fa a mi per far el fattome’? Oh, de la ca’! Oh, messier soldò! Oh, messier frello! Aldì-u an? 44

[Scena terza] TONIN e RUZZANTE

TONIN [alla finestra] Chi è quel? 45

44 Oh, sia lodata la Madonna, che spero ancora di goderla. Non voglio neanche battere allaporta, ma bisogna che non ci vada con smargiassate; bisogna anzi che ci vada tenero comesugna. E se mi desse del poltrone, dirò che dice la verità: che mi importa a me se è per fare ilmio interesse? Ehi, di casa! Oh, signor soldato! Oh, messer fratello! Sentite eh?laldò sea la Mare: per il tipo sintattico cfr. Pr. 1; per Mare cfr. I 2. galderla: cfr. I 18. Quantoall’accento, i pochi contesti metrici reperibili nel CORPUS PAVANO suggeriscono che la voce siapiana: si vedano il settenario «galderla con se dê» (Magagnò) e l’endecasillabo «adesso ch’a’crezea galderte un puoco» (Forzatè); l’infinito galder è invece spesso rizotonico: si vedano gliendecasillabi «e galder quel reame, che t’he al mondo», «s’a’ no volesse galder anca mi», «agalder del so vin e del so pan» «de galder sti Segnor, buoni compagni», «grignar la zuogia egalder el piasere» (tutti dalle rime di Magagnò); ma si direbbe che l’accento cada invece sulladesinenza negli endecasillabi «galder e haer in ca’ si bona e bella» (Magagnò) e «galder le tefarà del furto assè» (Marchesini). Per il testo («a’ in’ spiero [...]») cfr. Nota al testo §1.1.2. sbattere: impiegato assolutamente nel significato di ‘picchiare alla porta’, come in Dia-logo secondo 155 «Chi è quel che sbat?»; cfr. pure LEI 5.528.11 ss. punto 1.d.r. mo a’ ’l beso-gna [...] mo a’ ’l besogna: è forte il sospetto che il primo «mo a’ ’l besogna» sia errore per anti-cipazione e che l’originale leggesse, con vantaggio del senso e dei rapporti logici, «a’ ’l beso-gna ch’a’ no ghe vaghe con sbraosarì; mo a’ ’l besogna ch’a’ ghe vaghe pì molesin che fè mèsonza». sbraosarì ‘smargiassate’: cfr. sbraosare I 54; per il tipo morfologico vd. ad es. GIAN-CARLI Zingana 397 zentilì e cagarì, SGAREGGIO A2v e A4r cortesì, REGONÒ A2v, E1r, I2v cor-tesì, E1r zentilì, CALDERARI 21v menchionarì, 56v massarì, 67v gremesì, MARCHESINI 16 cagarì,29 e 36 poltronarì, 30 smenchionarì, 54 forfantarì, TUOGNO ZAMBON 95 cagarì : speciarì. ch’a’vaghe pì molesin che fè mè sonza lett. ‘che vada più molle della sugna’ ossia ‘che proceda inmodo cauto e affabile’: cfr. Pastoral 135 «scomenzà declinà / e vegnì molesina» (detto didonna dapprima scontrosa e poi disponibile), FOLENGO Baldus III 117-118 «armiculam [...] /qua facit ad signum molesinos stare bravazzos», e in Belluora dei Bragagnitti da Villatora lalocuzione «ghe vago co le muolesine» (MILANI 1992: 179 IX.2). Vd. anche BOERIO 421 «Andàrco le molesine [...] Trattare con dolcezza, affabilità», NACCARI - BOSCOLO 324 «andare co lemolesine presentarsi con buone maniere»; MAZZUCCHI 152 «(di carattere di persona, o di ani-male) Docile», PAJELLO 149 s.v. molesine «Andar co le molesine, trattare con dolcezza», QUA-RESIMA 269 «(di una ragazza) accessibile», RIGOBELLO 285 mole! ìn ‘docile’ ‘arrendevole’, SAL-VIONI 1890-1892 (2008): 273 amulexinar (e in generale MUSSAFIA Beitrag 80 s.v. molesino). Personza (< AXUNGIA) vd. CALMO Saltuzza 115 nota 74; CORTELAZZO 2007: 1271 e BOERIO 674.Per l’uso di fare cfr. I 1 («con’ fa na fornasa») e l’es. affine di Anconitana 805 «a’ meno pì dura-men la mia vita, pensàntome de vu, che no fè mé can» e in parte di SALVIONI 1902-1904(2008): 600 vv. 35-36 «Che no he pel adòs. che no me trema. / Pi che no fa per vent in alborfuogia». poltron: cfr. Pr. 8. que me fa a mi: per l’espressione cfr. MARCHESINI 55 «No m’in’fa gniente», BELO Pedante 173 «Dilli quello che ti pare. Che me fa a me?» e qui III 96 e III108. fatto me’: cfr. Pr. 13.45 Chi è?

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RUZANTE A’ son mi, déme la mia femena, ch’a’ son mi, quel vostroamigo, ch’a’ la son vegnùa a tuore 46.TONIN A’ no l’ho ac governada: aspetta un po’ 47.RUZANTE Mo que ghe fé-vu? Démela pur così! 48

TONIN A’ ghe voi fà’ stà’ bas ol pil: [rumoreggiando] a’ ghe ’l sbatti... 49

RUZANTE A’ no m’intendì! Vegnì un po’ chialò da l’usso! 50

TONIN A’ ’g voi mettì’ la groppera, e la no vol stà’ ferma... Fat in zà,beschia! 51

46 Sono io, datemi mia moglie, che sono io, quel vostro amico, la sono venuta a prendere.a’ son mi, quel vostro amigo: dopo aver introdotto ex abrupto la vera ragione della sua visita(«déme la mia femena»), Ruzante si qualifica come amico illudendosi di non essere immedia-tamente riconosciuto e rimanendo sulle generali («quel vostro amigo»).47 Non l’ho ancora accudita: aspetta un po’.governada: inizia qui una serie di metafore animali con le quali Tonin allude al rapporto sessualeche sta consumando con Betìa. Come indicato da ZORZI 1411, la scena dipende da BIBBIENACalandra 130-132 (III X); ANGELINI 1992: 1139, dopo aver additato un’altra riscrittura dellascena bibbienesca in PICCOLOMINI L’amor costante 368, indica come possibile precedente dellascena ruzantiana la novella di Peronella (BOCCACCIO Decameron VII 2), per via della seguentesimilitudine: «in quella guisa che negli ampi campi gli sfrenati cavalli e d’amor caldi le cavalledi Partia assaliscono, a effetto recò il giovinil desiderio» (§ 34). Un altro testo del Decameronche sfrutta sistematicamente l’assimilazione della donna alla cavalla è la novella pugliese diDonno Gianni che, con il pretesto di un incantesimo posticcio che dovrebbe trasformarlaappunto in cavalla, si unisce a comar Gemmata sotto gli occhi del marito (vd. BOCCACCIO Deca-meron IX 10, spec. §§ 17-23). Per governada ‘accudita’ cfr. goernare ‘accudire il bestiame’ giàusato da Ruzante in riferimento a Betìa a II 6 e ancora prima da Menato a I 1 in riferimento asé stesso. L’identificazione della donna con una bestia da cavalcare – segnatamente il cavallo –è antico topos delle letterature romanze: cfr. N. PASERO, Donne e cavalli: una facetia di Gugliel-mo IX cit., in margine al guglielmino Companho farai un vers [qu’er] covinen (GUGLIELMO IXD’AQUITANIA, Poesie, a cura di N. Pasero, Modena, Stem - Mucchi, 1973, pp. 5-35).48 Ma che le fate? Datemela pur così!49 Voglio farle stare basso il pelo: glielo sbatto...ghe voi fà’ stà’ bas ol pil: a’ ghe ’l sbatti... ossia ‘la sto strigliando’. Di evidente significato ses-suale, dato che sbattere il pelo è simile a locuzioni del tipo battere la lana o il pelliccione ‘avereun rapporto sessuale’ (per le quali vd. DLA 44 s.v. battere e DLA 280 s.v. lisciare, che registraanche l’affine lisciare il pelo ‘compiere l’atto sessuale’); cfr. pure LEGACCI Don Picchione 23 vv.372-374, dove la donna sessualmente soddisfatta dichiara: «Tutta contenta m’ha fatto restare./ Più ch’ogni pelo ’n basso io so’ leggera: / mi posso ora a mie posta riscappare».50 Non mi capite! Venite un po’ qui alla porta!51 Voglio metterle la groppiera, e non vuole stare ferma... Fatti in qua, bestia!groppera «cuojo che è attaccato con una fibbia alla sella, che va per la groppa sino alla coda,nel quale si mette essa coda» (TIRABOSCHI 626 s.v. gropéra; anche PATRIARCHI 102 e BOERIO318 s.v. gropiera): l’applicazione della groppiera alla mula e l’armeggiare di Tonin intorno allacoda e al ventre dell’animale che si rifiuta di star fermo alludono al rapporto carnale con Betìa,proprio come lo spostamento del garnimen ‘il mio equipaggiamento (la mia sella)’ nel testo diGuglielmo IX (GUGLIEMO IX D’AQUITANIA, Poesie cit., p. 16, v. 11). Groppera è parola signi-ficativamente legata a bus (qui più sotto a III 53) anche nella locuzione «dì’ all’ultim bus de lagropera» “per esprimere che non si può andare più avanti” ad es. nella traduzione bergama-sca della Gerasulemme Liberata di Assonica (canto II, ott. LXVII, v. 1: cito dalla princepsVenezia, Pezzana, 1670). Fat in zà, beschia ‘fatti in qua, bestia’; per zà, di testi veneti e ber-gamaschi, cfr. ad es. il v. 40 della Frottola de tre vilani (D’ONGHIA 2005: 189); la grafia chi in

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RUZANTE Poh! El no intende sto cristian! Aldì-vu? Oh, sier soldò? 52

TONIN Oh, l’è fastidiosa, la no ’s vol lagà’ governà’... 53

RUZANTE El no m’ha gnan intendù: el cre’ che dighe la mula 54.TONIN ... oh, vegni ’l cancher... 55

RUZANTE Que, an? 56

TONIN L’ha fracassada tutta la bardella denanz! 57

RUZANTE Te ’l dissi ch’el no m’aea intendù? El cre’ che dighe la mula 58.TONIN Que che no v’intendi? A’ ’n metti in orden la mula, ma ’l beso-gna che tu ’m laghi ficà’ ù chiod in la bardela, que l’è tutta fracassada 59.RUZANTE Potta de l’intendere! A’ ’l besogna che ’l laghe rivare: a’ poraecigare così mil’agni, ch’el no intenderae. Moa, vegnì-vu an? 60

beschia indica l’intacco palatale di T + iod: forme affini, numerose nell’Italia settentrionale,sono raccolte in LEI 5.1308.10 ss., § 2.b.52 Poh! Non capisce sto cristiano! Sentite? Oh, signor soldato?cristian: cfr. I 1.53 Oh, è riottosa, non si vuol lasciar sistemare... fastidiosa: nel significato registrato da GDLI V 708 «selvaggio, non domato, irrequieto, impa-ziente del freno (un animale)», e cfr. pure RIGOBELLO 183 fastidioso ‘irascibile’. Vd. Dialogosecondo 141 «L’è n’omo fastibioso» (Padoan: “collerico”; altre due volte a p. 143), BIBBIENACalandra 134 «Fastidiosa! Tu non vali le scarpette vecchie sue!», CALMO Spagnolas 28 (nelbergamasco di Scarpella). la no ’s vol lagà’ governà’...: cfr. governada III 39.54 Non m’ha mica capito: crede che parli della mula.El no m’ha gnan intendù [...]: ZORZI 1410 osserva che battute simili sono dirette anche al pub-blico, e configurano un «rapporto scenico inusitato, contrario alla rigida distinzione tra pal-coscenico e platea dello spettacolo rinascimentale».55 ... oh, venga il canchero...56 Cosa, eh?57 Ha fracassato tutta la bardella sul davanti!L’ha fracassada tutta la bardella denanz: la bardella è una «sella ampia, imbottita, con sostegnidi legno, con arcione alto» (GDLI II 70; non mi pare pertinente l’accezione di «imbottitura chesi conficca sotto l’arcione delle selle» registrata da BOERIO 64). La rottura della bardella daparte dell’animale sembra alludere all’indocilità della bestia che non vuole lasciarsi domare. Inalternativa occorre pensare che fracassada sia predicativo dell’oggetto e che la bardella fracas-sada indichi piuttosto – anche in base al significato che la parola assume a III 51 – l’organosessuale femminile ‘fracassato’ a seguito della penetrazione (cfr. DLA 485 s.v. rompere): cfr. inDLA 502 «sbardellare ‘possedere sessualmente una donna’; prop. ‘domare un puledro’» eTOSCAN 1981: 1509 che alla citazione 2790 discute cavalcare in bardella ‘praticare la sodomia’,ammettendo però che «le sense de base du terme bardella, qui désignait une selle grossière [...]n’est d’aucun secours dans l’élucidation de cette locution»: sarà meglio pensare più generica-mente ad ‘avere un rapporto sessuale’.58 Te l’ho detto che non mi aveva capito? Crede che parli della mula.59 Come non vi capisco? Metto in ordine la mula, ma bisogna che tu mi lasci ficcare il chiodonella bardella, che è tutta fracassata.ma ’l besogna che tu ’m laghi ficà’ ù chiod in la bardela, que l’è tutta fracassada: la bardella, che quidesigna senz’altro l’organo sessuale femminile, va fissata con un chiodo (l’organo sessuale maschi-le): per chiodo ‘pene’ vd. DLA 105; per il probabile valore metaforico di fracassada cfr. III 49.60 Potta del capire! Bisogna che lo lasci finire: potrei urlare così mille anni, che non capireb-be. Caspita, venite allora?rivare: cfr. Pr. 4. cigare: è voce di tutto il Veneto (vd. PRATI 207 s.v. zigare). Moa: cfr. I 22.

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atto terzo

TONIN A’ no catti ol bus de l’ardigió de la cengia, che vegni ol can-cher... 61

RUZANTE An? Que fé-vu? 62

TONIN ... ho rivat ades ades... 63

RUZANTE Ì-vu rivò ancuò? A’ sarae mo’ regonò, con’ disse questù, lanoizza! 64

TONIN Laghém pià’ ù po’ de fiat: cancher a sta beschia, a’ ’l besogna cate la meni a mà, perqué l’è fastidiosa 65.RUZANTE No possé-vu mè pì intendere, potta d’i balurdi? 66

TONIN A’ vegni ades mo’ 67.

61 Non trovo il buco dell’ardiglione della cinghia, che venga il canchero...A’ no catti ol bus de l’ardigió de la cengia ossia ‘non trovo il buco in cui infilare l’ardiglione dellacinghia’: l’ardiglione è la «piccola asta metallica che chiude la fibbia» (GDLI I 636; cfr. ancheTIRABOSCHI 543 s.v. föbia e 93 s.v. ardiù), che allude qui all’organo sessuale maschile. La bat-tuta riprende in parte BIBBIENA Calandra 131 «Non trova il buco» (soggetto sottinteso è lachiave), derivato a sua volta con ogni probabilità da MANTOVANO Formicone 58 «Non ritrovoel bugio. Adesso adesso l’ho ritrovato» (in contesto ugualmente passibile di una doppia lettu-ra); vd. anche Pastoral 127 «A’ no so catà el bus». Certamente allusiva anche la similitudineche equipara la donna sola a «na fibia che no g’ha ardegion» in MAGAGNÒ Rime II 43v.62 Ehi? Che fate?63 ... ho finito proprio in questo momento...rivat: cfr. Pr. 4.64 Avete finito una buona volta? Come si dice, adesso sarebbe pronta la sposa!A’ sarae mo’ regonò, con’ disse questù, la noizza!: il wellerismo, di cui non conosco altri ess., indi-cherà l’impazienza di chi ha atteso talmente a lungo che il tempo trascorso sarebbe stato suf-ficiente per un’operazione complessa come la vestizione di una sposa. regonarse è «v[oce]che usasi nel Contado verso Chioggia, Rassettarsi; Azzimarsi; Rinfronzirsi, L’abbigliarsi delledonne» (BOERIO 563); vd. pure BORTOLAN 227 regona (sic) ‘adorna’ e VIDOSSI 1953: 385 (suregoni in Pastoral 181). Ess. ruzantiani in Piovana 967 «che le spaze e che le regone la casa»,Vaccaria 1165 «scomenzare a scarpiare e spazare e regonar la ca’ e agno cossa», Lettera all’Al-varotto 1241 «una man [...] che te vaghe per la panza ragonàndote l’intragie a una a unametando ogno cossa a so luogo, con farave uno che andesse ragonando una massaria per ca’»;altre attestazioni in MAGAGNÒ Rime I 46r «[...] tegnirghe polìa, / e regonà tutta la massaria»,MAGAGNÒ Rime I 50v, MAGAGNÒ Rime II 3v, 14v, 28r, MAGAGNÒ Rime III C5v, D3v, FIGA-RO G1v «quando ’l se ten / ben coltivè e regonè i pianton / i s’ingrosisse», FIGARO H4r, TUO-GNO ZAMBON 23 «regoné ’l versoro», BERTEVELLO F1r, G2r-v, H5r, H6r, H7v Belluora deiBragagnitti da Villatora (MILANI 1992: 178 IX.7). Lucia Lazzerini mi suggerisce un raffrontocon i provenzali enregouna, arregouna, regouna ‘billoner’ (F. MISTRAL, Lou Tresor dóu felibri-ge ou dictionnaire provençal-français, Aix-en-Provence, Remondet-Aubin, 1878, vol. I, p. 933),che permettono tra l’altro di ricondurre il verbo all’originario significato agricolo di ‘arare aporche’ (vd. gli ess. di FIGARO e TUOGNO ZAMBON) e di ipotizzare con buone ragioni la deri-vazione da RIGA. Da notare la concordanza tra regonò e noizza, secondo il tipo sintattico osser-vato a Pr. 1; con’ disse questù è consueto wellerismo: cfr. I 5.65 Lasciatemi prendere un po’ di fiato: canchero a sta bestia, bisogna che la porti a mano, per-ché è riottosa.a’ ’l besogna ca te la meni a mà, perqué l’è fastidiosa: la ‘bestia’ è troppo selvaggia per esserecavalcata e occorre condurla a mano; per fastidiosa cfr. III 45.66 Non potrete mai capire, potta dei balordi?potta d’i balurdi: ossia ‘accidenti ai pazzi’.67 Adesso vengo.

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68 Oh, canchero alle mule, non dico mula, dico mia moglie! È qui da voi?mia mogiere de mi: per il doppio specificatore cfr. «le Vostre Rilientie de vu» Pr. 19.69 Sì che ci sono, bel messere! Sì che ci sono: che vuoi adesso? Non pensare... mai più e persempre!mè pì, che mè n’ha fin: cfr. I 16.70 Dai, dai, pazzerella! So che m’hai dato una bella seccatura.Moa, moa: cfr. I 22. mattezzuola: cfr. III 1. na suppa de fastibio ‘un gran tormento’: vd.NUOVO PIRONA 1068 suppa ‘gran quantità’ e in parte QUARESIMA 463 s.v. supa «El me n’à datna supa Mi ha tediato assai»; non del tutto pertinente qui l’accezione ‘seccatura’ di Piovana1025 «A’ sé ch’a’ ghe n’he bù una supa, per sto vostro tasco» e Piovana 1029 «A’ no aspiterèmiga ste supe» (queste busse); vd. pure BOERIO 674 dar una sopa ‘annoiare’, e sopa ‘danno,discapito, malattia’, MIGLIORINI - PELLEGRINI 103 sópa, PRATI Vals. 185 «verne na supa [...]averne noia, una brutta lezione, e sim.». Per fastibio cfr. III 3.71 Dategli da bere al ragazzo, che se l’è guadagnato, che è scaltro, sapiente! Ti sembra cheabbia saputo fare una bella burla? Mi hai proprio ingannato adesso, non è vero? Ma bene,prendi ben su, che non hai guadagnato un bel nulla!Déghe da bevere al fante [...] l’è scaltrìo, sacente!: vd. Betìa 273 «Oh, déghe da bere / a sto fanteardìo, / che, in fe’ de Dio, / l’ha ben zarlò. / Muorbo a ti e chi t’ha impolò»; ironico anche l’in-vito a brindare di Nale a Zilio dopo il fallito approccio con Betìa in Betìa 287 «Mo te meritiben da bere». Impiego antifrastico di fante in BIBBIENA Calandra 79 dove Calandro «s’avisache, quante lo vedeno, subito se inamorino di lui, come se altro più bel fante di lui non si tro-vasse in questa terra», LEGACCI Don Picchione 6 vv. 62-63 «Ed io presi un bel fante per mari-to, / che vi venisse un grosso intu la gola!», ARETINO Marescalco 31 in cui la moglie tormen-tatrice «ti si aventa adosso con uno: [...] sciocco, scimunito, disgraziato: che gioia, che belfante, quanti ne fa Dio che non gli torna mai a vedere [...]». Per scaltrìo ‘scaltro’ e sacente ‘sag-gio’ cfr. Pr. 10. Te pare che l’abi sapù fare la bella noella? ossia ‘ti sembra che abbia saputo gio-care un bel tiro?’: altra apostrofe sarcastica di Betìa; per noella ‘scherzo’, ‘burla’ cfr. anche II11. archiapò: cfr. I 54. t’hè guagnò zòzzolo!: cfr. II 23.72 Potta di chi ti fece! Sei ben arrabbiata!abavò: cfr. Pr. 15, e si noti che come negli altri casi discussi a Pr. 1 il participio propriamentemaschile abavò si riferisce qui a un soggetto femminile.73 Sta’ certo che questa non me la dimenticherò mai finché vivo! Va’ pure!in vita d’agni!: cfr. I 14.

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RUZANTE Oh, cancaro a le mule, a’ no digo mula, a’ dighe mia mogierede mi! È-lla chialò da vu? 68

[Scena quarta] BETTIA alla finestra e RUZZANTE

BETIA Sì ch’a’ ghe son, bel messiere! Sì ch’a ghe son: que vuo’-tu mo’?No te pensare... mè pì, che mè n’ha fin! 69

RUZANTE Moa, moa, mattezzuola! A’ sè che te me n’hè dò na suppa defastibio 70.BETIA Déghe da bevere al fante, ch’el se l’ha guagnò, che l’è scaltrìo,sacente! Te pare che l’abi sapù fare la bella noella? Te m’hè purarchiapò mo’, n’è vero? Mo ben, tuò mo’ su, che t’hè guagnò zòzzolo! 71

RUZANTE Potta de chi te fè! Ti è ben abavò! 72

BETIA Crezi, crezi che mè a’ me la desmentegherè in vita d’agni! Va’ pure! 73

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atto terzo

RUZANTE Mo ben, viè via an’ ti, andon a ca’, viè via, che a la fe’ a’ te per-dono 74.BETIA A’ no vuo’ to’ perdon, ch’a’ no ’l mierito 75.RUZANTE Mo perdoname atonca a mi, ch’a’ te domando perdonanza,mogiere, ch’el Diavolo è sutile! Perdonanza! 76

BETIA Va’ pure, che se ti si’ fatto la vessa te te galderè anche el saore 77.RUZANTE Perdonanza mogiere, ch’el Diavolo m’ha intantò! E po l’è stòan’ me’ compare che m’ha insegnò! 78

BETIA Desgratiò! Furfante! Tasi, tasi! Que volivi-tu provare? No saivi-tu zò ch’a’ giera? S’aesse vogiù far male – furfante! – cri’-tu ch’el m’aes-se mancò? 79

74 Ma bene, vieni via anche tu, andiamo a casa, vieni via, che parola mia ti perdono.viè: stessa forma per l’imperativo di II pers. ad es. in Piovana 975 § 132, Lettera all’Alvarotto1241 § 42 (anche per l’indicativo, ad es. pp. 1231 § 17, 1233 § 18), MAGAGNÒ Rime I 45r, 66r,Rime II 59r, FIGARO B3v, C4v, E2r, ROVIGIÒ F8r, TUOGNO ZAMBON 59, 77 (nella Moschettaanche a III 76, IV 2, IV 6, IV 18, IV 30). A la fe’: cfr. I 4.75 Non voglio il tuo perdono, perché non lo merito.a’ no ’l mierito: se non è osservazione ironica, Betìa intende dire che non ha niente da farsi per-donare.76 Ma perdonami dunque tu a me, che ti domando perdono moglie, che il Diavolo è astuto!Perdono!Mo perdoname [...] Perdonanza!: Ruzante chiede perdono e non esita a chiamare in causa laforza tentatrice del Demonio per giustificare il proprio comportamento (vd. anche III70). perdoname atonca a mi: per la costruzione di perdonare, usuale in antico, cfr. ad es. labanca dati TLIO e CALMO Saltuzza 166 e nota 127. el Diavolo è sutile: cfr. PICCOLOMINI L’a-mor costante 326 «ancor che noi siamo soli, el diavolo è sottile». Perdonanza lett. ‘indulgen-za che si ottiene visitando un luogo sacro’ (BOCCACCIO Decameron IV 7 11 «andar voleva allaperdonanza a San Gallo»): cfr. BIBBIA 23, Betìa 397 «ve domando a braze in crose perdonan-za», GELLI Sporta 682, LASCA Pinzochera 821, CALMO Saltuzza 163 e nota 107; CORTELAZZO2007: 982 e BOERIO 492.77 Va’ pure, che se ti sei fatto la scoreggia te ne godrai anche la puzza.se ti si’ fatto la vessa te te galderè anche el saore: per vessa cfr. CORTELAZZO 2007: 1477, BOERIO790, PATRIARCHI 219, PRATI 200 e ZORZI 1412 (con rimandi a SALVIONI 1902-1904 [2008]: 609v. 347 e 718 e DEI 4035-4036 s.v. vescia); per saore ‘odore’ cfr. ad es. Betìa 495 e Parlamento111 «MENATO: Cancaro, compare! A’ me saì da no so che stranio saore... RUZANTE: Mo chesaore? El n’è rio saore, l’è saore da fen [...]».78 Perdono moglie, il Diavolo mi ha tentato! E poi è stato anche il mio compare che mi hainsegnato!Perdonanza: cfr. III 68. el Diavolo m’ha intantò: così si giustificano sia Nale in Betìa 505 «eldiavolo è stà sola cason» sia il vecchio Collofonio in CALMO Travaglia 174 «El diavolo m’hatantào» (vd. anche III 72). E po l’è stò an’ me’ compare che m’ha insegnò!: disperando nel per-dono della moglie, dopo il Demonio Ruzante incolpa Menato.79 Disgraziato! Furfante! Sta’ zitto, sta’ zitto! Che cosa volevi provare? Non sapevi quel cheero? Se avessi voluto far male – furfante! – credi che mi sarebbero mancate le occasioni?S’aesse vogiù far male – furfante! – cri’-tu ch’el m’aesse mancò?: ma il lettore e lo spettatore sannobene, dopo la scena intercorsa con Tonin al primo atto, che le proteste d’innocenza di Betìasono poco attendibili. Far male è eufemismo per ‘commettere adulterio’: vd. BOCCACCIO Deca-meron VII 2 18 «Intendi sanamente, marito mio, che se io volessi far male, io troverrei ben concui» (anche altre recriminazioni di Peronella presentano qualche affinità con quelle di Betìa in

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RUZANTE O Bettia, serore, l’è stò me’ compare, ch’el ghe magne el can-caro... che m’ha mettù su, che no me l’arae mè pensò: «Félo, félo com-pare, che saverì almanco se la ve sarà liale, félo». E man el Diavolo metantè. Mo al sangue del cancaro, a’ ’l fie’ mo’ per sbertezare, alla fe’serore... an, po te sè, an, s’a’ sbertezo ontiera... S’a’ m’aesse pensò chela doesse anar a sto muo’, cri’-tu ch’a’ l’aesse fatta? Mo me vegna inan-zo el mal de la loa! 80

BETIA Sì sì, vuòlzila pure adosso me’ compare, che l’ha buone spalle 81.

questa scena), Betìa 503 «[...] che no daghe cason po / a so mogiere de far male», GELLI Spor-ta 640 «E vedesi non fare manco errori a quelle che hanno i mariti giovani che a quelle che glihanno vecchi: perché i giovani vanno di qua e di là [...] dove i vecchi tornano sempre a casa[...], in modo che e’ vien loro manco voglia di far male», CALMO Saltuzza 162 «Non è maravi-glia poi se le donne fanno dil male!», Rodiana 223 «Oh, buoni esempi che dà uno padre alfigliuolo, oh bella cura che ha di casa sua e di sua moglie! E però non dè mara[vi]gliarsi alcu-no se alla giornata le donne incorreno in qualche errore [...]». Per furfante cfr. III 24.80 O Betìa, sorella, è stato il mio compare, che il canchero gli mangi... che mi ha sobillato, chenon l’avrei mai pensato da solo: «Fatelo, fatelo compare, che saprete almeno se vi sarà fedele,fatelo». E subito il Diavolo mi tentò. Ma al sangue del canchero, l’ho fatto solo per scherzare,parola mia sorella... eh, poi sai, eh, se scherzo volentieri... Se avessi pensato che doveva anda-re in questo modo, credi che l’avrei fatto? Ma mi venga piuttosto il mal della lupa!O Bettia, serore, l’è stò me’ compare, ch’el ghe magne el cancaro...: per l’appellativo serore cfr. III24 e poi III 78. Ch’el ghe magne el cancaro significa letteralmente ‘il cancaro gli mangi’: sot-tinteso, e forse tabuisticamente omesso, l’oggetto, che sarà il corpo o qualche sua parte (mal’es. è isolato perché in espressioni simili magne regge sempre il clitico oggetto e mai quelloobliquo [cfr. LIZ]; tutt’al più viene esplicitato l’oggetto come in «cancarazzo / ge magne gi ogial preve» e «se ’l cancaro me magne il cuore e gi uocchi» che desumo dal CORPUSPAVANO). m’ha mettù su: cfr. I 23. E man el Diavolo me tantè: per e man seguito da modofinito vd. ad es. Anconitana 785 «de fato tolea l’ordegno in man, e sì me spuava su i palmuzide le man, e man mena e laora tanto a zapare, a vangare e sbailare, infin de tanto che ’l pove-reto arbassava el cao» (altri casi in Vaccaria 1117, Vaccaria 1119, Lettera all’Alvarotto 1237,GIANCARLI Capraria 103, CALMO Saltuzza 143 e nota, CALMO Spagnolas 118, MAGAGNÒ RimeII 26v). Più spesso e man coordina un modo finito con l’infinito (cfr. qui V 66): vd. CALMOSaltuzza 63 «a’ magno tre volte la metina [...] e man far servisi a tutti» (altri ess. a p. 198 nota65), Piovana 915, PELLEGRINI 1969-1970 - 1970-1971 (1977): 293 v. 41, MAGAGNÒ Rime I 46r-47v, MAGAGNÒ Rime II 24r, 25r; notevole, seppure lievemente diverso, anche un es. toscanocome FIRENZUOLA Trinuzia 558 «Orsù, poiché vuol la festa, mano a dargliela». Per la men-zione del Diavolo tentatore vd. III 70. sbertezare: denominale da berta ‘beffa’, su cui vd.CALMO Saltuzza 90 e nota 52 (e a p. 124 il tosc. berteggiare); PRATI 1978: 28-31 e BRAMBILLAAGENO 2000: 396. alla fe’: cfr. I 4. ontiera: forma alternante con vontiera (ad es. in CALMOSaltuzza 162 e nota 104). Cfr. BORTOLAN 191 e CORPUS PAVANO (con 49 ess. di vontiera e 73di ontiera); anche in Ruzante i due tipi si alternano (cfr. qui vontiera a IV 20; similmente inAnconitana 783 vontiera, 785, 821 e 829 ontiera). In RIGOBELLO 304 ’olontéra e ’olontiéra maanche volontéra (p. 520). el mal de la loa! ‘la bulimia’, fame tanto insaziabile da diventare unamalattia: cfr. REGONÒ K2v «Possa vegnirme ’l mal de la loa»; PATRIARCHI 118 lupa ‘fame dalovo’, DORIA 350 mal del lupo «bulimia, fame spropositata [...] comune pressoché a tutto ilVeneto», MAZZUCCHI 137 s.v. lupa «(nel gergo) Bolimia; Fame. [...] Aver el mal de la lupa,Allupare», MIGLIORINI - PELLEGRINI 55 lupa ‘fame’, PRATI Vals., 88 s.v. lupa «anche per granfame», QUARESIMA 244 lupia1 ‘fame da lupo, fame insaziabile’, ZANETTE 320 s.v. lupa «avér elmal dela lupa “aver l’appetito canino” (la bulimia)».81 Sì sì, scaricala pure addosso al mio compare, che ha buone spalle.

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RUZANTE Mo alla fe’, ch’a’ la fie’ per sbertezare! 82

BETIA Mo ben, a’ sberteze ben an’ mi! 83

RUZANTE Mo viè via tonca, andon, andon a ca’, che al sangue del can-caro... aldi... 84

BETIA Mè pì a ca’ toa! Mo s’a’ ghe vegno... no me far dire... 85

RUZANTE Aldi serore, da chì inanzo a’ crezo ch’a’ no proesse mè lamaor duogia, crezi ch’andasea per ca’ cercandote con’ farae un canrabioso 86.BETIA Que volivi-tu provare, desgratiò che t’iè? 87

RUZANTE Se te me volivi ben 88.BETIA No saivi-tu se t’in’ volea? Mo dime un puoco: que sarae stò quel-la desgratià che foesse stò con ti con’ a’ fasea, sipiando così da puococon’ t’iè? 89

RUZANTE Potta, a’ son da puoco! A’ sè pur an’ ben zugare... 90

vuòlzila pure adosso me’ compare, che l’ha buone spalle: per volzerla ‘voltare la frittata’ vd. com-mento a I 54 e più sotto voltarla III 148 con relativi ess.; per avere buone spalle cfr. PATRIAR-CHI 188 «aver bone spale [...] Si dice di persona a cui liberamente si può dir il fatto [suo]»(identica la definizione di BOERIO 681), QUARESIMA 438.82 Ma parola mia, che l’ho fatto per scherzare!alla fe’: cfr. I 4. sbertezare: cfr. III 72.83 Ma bene, scherzo pure anch’io!sberteze: cfr. III 72.84 Ma vieni via dunque, andiamo, andiamo a casa, che al sangue del canchero... senti...85 Mai più a casa tua! Ma se ci vengo... non mi far dire...86 Senti sorella, prima d’ora non credo di aver mai provato un dolore maggiore, credi cheandavo per casa cercandoti come un cane rabbioso.crezi ch’andasea per ca’ cercandote con’ farae un can rabioso: la similitudine allude al furore e alladisperazione di Ruzante di fronte all’inaspettata assenza di Betìa. Per il paragone vd. Betìa 157«A’ vago a smaniando / con farae un can»; PELLEGRINI 1969-1970 - 1970-1971 (1977): 295 vv.71-72 «Sun come un can rabòs, / Hei pardù el sprit» e p. 309 vv. 146-147 «E son muò i canrabos, / Ma per to amor»; MAGAGNÒ Rime III K4r «Ch’a’ paro purpiamen un can rabioso, /che vaghe sbavezando in qua e in là»; CALDERARI 8v «e spesso per to’ amore / a’ vago per stiprà sì / con’ fa de notte i can, che va baggianto». Per crezi e farae cfr. Nota al testo § 1.1.2.87 Che volevi provare, disgraziato che sei?Que volivi-tu provare, desgratiò che t’iè?: replica la domanda di III 71 («Que volivi-tu provare?»).88 Se mi volevi bene.89 Non sapevi se te ne volevo? Ma dimmi un po’: chi sarebbe stata quella disgraziata che fosserimasta come ho fatto io insieme a te, che valevi così poco?que sarae stò quella desgratià [...] con’ t’iè?: per umiliare completamente il marito Betìa non esitaa rinfacciargli quanto poco valga (già a III 73 lo aveva contrapposto per la sua inettitudine alcompare, uomo di «buone spalle»). Si noti la concordanza tra stò e quella desgratià, su cui cfr.Pr. 1. sipiando così da puoco: per il costrutto, qui e alla battuta successiva («Potta, a’ son dapuoco!»), cfr. l’analogo «marìo da zò» più sotto a III 139 e relativo commento.90 Potta, sono da poco! So pur giocare bene...A’ sè pur an’ ben zugare...: Ruzante intende forse alludere alle proprie capacità amatorie (ZORZI1412; zugare vale anche ‘trescare’ in PATRIARCHI 226, BOERIO 815); ma la battuta successivanon permette di comprendere se Betìa abbia raccolto il cenno (potrebbe continuare a inten-dere ‘scherzare’, rimproverando il marito dedito alle burle). Altri doppisensi costellano la bat-tuta successiva («far un servisio», «el besogna che mi te vaghe derzando in massaria»).

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BETIA Mo sì, de quel t’iè bon, mo da far un servisio per ca’, te no te rivimè de drizzare el cul dal scagno, ch’a’ ’l besogna ch’a’ mette mi le mansempre mè in agno cosa! Mi de chive, mi de live, mi de su, mi de zò, mide sotto, mi de sora... el besogna che mi te vaghe derzando in massaria, mich’a’ tegne mondè le pignatte, mi le scuelle, mi ch’a’ faghe in ca’, mi ch’a’faghe fuora de ca’... E po quando a’ seon in letto, ch’a’ se dessan conse-giare con’ se dè fare marìo e mogiere, te duormi co’ fa un zocco! Te parche s’a’ no t’aesse vogiù ben ch’a’ sarae stò con ti tanto, an, bel messiere? 91

91 Ma sì, di far quello sei capace, ma di fare un lavoro in casa no, non riesci mai a tirar su ilculo dalla sedia, e bisogna che metta io le mani sempre in ogni cosa! Io di qui, io di lì, io disu, io di giù, io di sotto, io di sopra... bisogna che io ti indirizzi in ogni faccenda domestica,che io tenga pulite le pentole, le scodelle, e che io mi occupi delle faccende in casa, e che iomi occupi delle faccende fuori di casa... E poi quando siamo a letto, quando ci dovremmo con-sigliare come devono fare marito e moglie, dormi come un ciocco! Ti pare che se non ti aves-si voluto bene sarei stata con te tanto tempo, eh, bel messere?bon ‘capace’: per questo significato cfr. gli ess. ruzantiani (Anconitana 801, 813, 877; Piovana995; Vaccaria 1069) raccolti in CALMO Saltuzza 85 nota 30, l’es. «Da che èllo bon?» nei pro-cessi veneziani per stregoneria (SCHIAVON 2005a: 153) e RIGOBELLO 90. da far un servisio perca’: comincia una serie di recriminazioni contro la pigrizia di Ruzante nelle faccende di casa(per servisio cfr. BOERIO 648 s.v. servizio); data l’ambiguità semantica di servizio (DLA 530, masenza ess. cinquecenteschi), non è da escludere nel rimbrotto di Betìa un’allusione alla scarsavigoria sessuale del marito: anche nel settecentesco Lomento de la Tuognia da Salvazzan maridòin t’on viecchio la giovane afferma che il marito troppo vecchio «’L è po cosita misero e fetiz-zo / che no ’l fa mè on servitio, el ciel ne guarda!» (MILANI 1992: 177 III.1-2). te no te rivimè de drizzare el cul dal scagno: rivare propr. ‘giungere’ (BOERIO 378), vale qui ‘riuscire’ (comein DOMINI 381); per scagno cfr. II 6. La frase è vicina a quella di Anconitana 817 «a’ no ve dre-zassè dal scagno per farghe un servissio». el besogna che mi te vaghe derzando in massaria: peril significato figurato di derzare cfr. BOERIO 248 drezzàr qualcun «ricondurre alcuno sullabuona via»; massaria ‘masserizia’ (BOERIO 403) indica non solo gli utensili ma più in generaleanche i beni (GDLI IX 892) nella cui gestione Betìa è costretta a sostituire Ruzante, che si sot-trae per ignavia ai suoi doveri di marito. L’espressione è probabilmente a doppiosenso, datamassaria ‘organo sessuale maschile’ (GDLI IX 8923, DLA 306, TOSCAN 1981: 1716). L’ipotesi èrafforzata da vari ess. ruzantiani: Betìa 301 «l’è rico – m’intiènditu? – de massaria» (ammiccodi Nale a Betìa a proposito di Zilio), Egloga § 16 «I provierbi non falla mè: “Bià quella ca’ cheha bona femena”, perqué l’è quella che ten drezò l’omo in massaria», Piovana 961 «se i viegino se po’ tegnir driti in massaria». mi ch’a’ faghe in ca’, mi ch’a’ faghe fuora de ca’...: l’iperatti-vismo di Betìa, in casa e fuori di casa, potrebbe alludere a una disponibilità sessuale rivolta adaltri uomini oltre il marito. E po quando a’ seon in letto, ch’a’ se dessan consegiare con’ se dè faremarìo e mogiere, te duormi co’ fa un zocco!: vd. Betìa 307-309 («e po, com l’anderà a dromire, /perché el serà stracò, / el serà de fato azocò e insdromenzò / per la faìga del dì [...]»; maritoe moglie non possono quindi «consegiarse e meter de gi uordeni assé»), dove il reciproco con-sigliarsi dei coniugi ha come qui un probabile doppiosenso sessuale. Analoghe lamentele nelcitato Lomento de la Tuognia da Salvazzan: «D’agn’hora com fa on sasso el dromirae» (MILA-NI 1992: 177 II.5) e in MANGANELLO 7 «e diavol abia questo tristo sposo / che si sta como unzoco in sula sponda / e pare un tasso, tanto è dormioso»; per l’immagine cfr. pure FOLENGOBaldus II 22 «ut zoccusque manet, tanta est grandezza stuporis». Dormìr come un zoco lett.‘dormire come un ceppo di legno’ in PATRIARCHI 225 e BOERIO 814 con il significato di «dor-mire in sulla grossa»; tutt’ora vivo in vari dialetti (DOMINI 557 s.v. zoc, MAZZUCCHI 305 s.v.zoco, PRATI Vals. 211 s.v. zoc, QUARESIMA 97 s.v. ciòc; per zocco negli antichi dialetti veneti vd.SALLACH 238-239 e CORTELAZZO 2007: 1533). Per co’ fa cfr. I 1 «con’ fa na fornasa». Te par

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atto terzo

RUZANTE Te di’ vero, mo ti me ’l dîvi dire! Que sè-gi mi ch’a’ son grosso?92

BETIA A’ no te ’l diea, n’è vero? A’ te tegnia sempre mè spontignò, sem-pre mè strucò con’ se fa pesse in fersura, mo t’aivi sempre mè indor-menzò el cervello, e mi possea assè dire e fare! Te parivi un zocco conmi, con’ è! 93

RUZANTE Mo que vuo’-tu mo’, ch’a’ muora? Che son in lo maor fastu-bio ch’a’ foesse mè per to’ amore! 94

BETIA Mo s’te fussi andò dertamen con mi con’ te dîvi anare, te no ghesarissi, intendi-tu? 95

che s’a’: per la lezione cfr. Nota al testo § 1.1.2. a’ sarae stò: si noti l’impiego di un participiomorfologicamente maschile singolare in riferimento a un soggetto femminile (Betìa), e cfr. Pr.1. bel messiere: sarcastico come fante a III 63.92 Dici la verità, ma me lo dovevi dire! Che ne so io che sono sciocco?grosso: cfr. I 54.93 Non te lo dicevo, non è vero? Ti stimolavo in continuazione, e ti stuzzicavo in continuazio-ne come si fa con il pesce in padella, ma avevi sempre il cervello addormentato, e io avevo unbel dire e fare! Sembravi un ciocco con me, così è!A’ te tegnia sempre mè spontignò, sempre mè strucò con’ se fa pesse in fersura «Ti stavo sempre aspingere, sempre a scuotere, come si fa col pesce in padella» (LOVARINI 46); per il testo cfr.Nota al testo § 1.1.2. L’espressione indica che Betìa deve sollecitare di continuo il marito; lavitalità di Ruzante è paragonata a quella di un pesce in padella, che bisogna far muovere incontinuazione se lo si vuole friggere a dovere. Tegnir in unione con il participio passato formain pavano una perifrasi di significato continuo-iterativo, studiata per il piemontese in RICCA1998, in particolare alle pp. 362-366, con schedature su altre varietà settentrionali, compresiquattro ess. da Ruzante e CALMO Saltuzza 87 «te tié dol continu netad la borsa e ol cervel» e«per tegnila slongada, la causa» (la nota 36 dell’edizione del Saltuzza è dunque da integrarecon un rinvio al lavoro di Ricca). Per spontignar cfr. CORTELAZZO 2007: 1300 spontignà ‘spin-to, urtato, stimolato’, BOERIO 693, che rinvia a spontonàr ‘urtare più volte’ e fig. ‘istigare, sti-molare’ e l’irpino spont"nà ‘pungolare’ (PIREW 6847); per strucar ‘stringere’, ‘premere’ vd. BIB-BIA 18 (in riferimento all’uva), CORTELAZZO 2007: 1338 e BOERIO 717; per fersura ‘padella perfriggere’ cfr. REW e PIREW 3524, CORTELAZZO 2007: 541, BOERIO 266 s.v. fersora e CALMO Sal-tuzza 103 nota 16. Per tutta la costruzione, che è un esempio di fare ‘vicario’ cfr. ad es. SAL-VIONI 1902-1904 (2008): 601 vv. 65-66 «Ve. he guardà. per umbrìa. e sol. e piova. / Sempremèinsembre co se fa le ciriese» (su questo tipo sintattico cfr. anche I 1 «co’ fa na fornasa» e ilcenno in CALMO Saltuzza 206 e nota 32). Te parivi un zocco: torna la similitudine di III 83.Zoco vale in vari dialetti anche ‘balordo’, ‘stolido’ (cfr. III 83); analoga similitudine al v. 55della Frotola de tre vilani («el par ù zoch de strep»), cui si rimanda anche per l’annotazione(D’ONGHIA 2005 [2007]: 194).94 Ma che vuoi, che muoia? Sono nella maggior pena in cui mi sia mai trovato per amor tuo!Mo que vuo’-tu mo’, ch’a’ muora?: lo stesso appello per impietosire l’amata anche in Betìa 267«[...] o traitora, / s’te no vò ch’a’ muora», Fiorina 739 «Deh, castelo, volìu ch’a’ muora?» e neiversi finali della canzone La Deveosa, quando l’è in casa: «O traditora, vuotu ch’a’ muora?»(Vaccaria 1179; materiali su questo refrain presso LOVARINI 1965: 178-179, cui va aggiunta lamenzione in TUOGNO ZAMBON 3 «cantando / La traitora la vuol ch’a’ mora»); cfr. anche FIGA-RO E3r «ah cagna traitora / el se vè pur, che vu volì ch’a’ muora». fastubio: la forma alternacon fastibio, ad es. a III 62. Quest’ultima frase replica nella sostanza III 78.95 Ma se avessi rigato diritto con me come dovevi, non ci saresti, capisci?s’te fussi andò dertamen con mi: la lettera del testo (‘se fossi andato drittamente con me’) nonesclude un’ennesima allusione alla scarsa vigoria amorosa di Ruzante.

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RUZANTE Viè via, che per sti santi... al sangue de san Lazaro, a’ farètanto, che te dirè ch’a’ son sacento! 96

BETIA Va’ pure, e tuoteme via denanzo, e va’ in tanta malora che no t’al-de mè pì menzonare, ch’a’ son in luogo ch’arè megior tempo, a’ vussidire megior compagnia, che te no me fasivi. Mo el me recresse ben –poveretta mi grama – de l’anore! Mo te vuo’ così e così abbi! 97

RUZANTE Tasi, tasi! No pianzere mattezuola, no pianzere, che te me fèvegnir vuogia de pianzere an’ mi, no dire... Aldi Bettia, aldi lomè que-sta... Potta del cancaro, mo que dego fare? A’ vuo’ chiamare el soldò!Messier soldò? Aldì-vu an? On da ben, aldì-vu? 98

[Scena quinta]TONIN e RUZZANTE

TONIN A’ t’aldi bé, mo ti no canti vers che ’m plasi 99.RUZANTE Mettì an’ vu qualche bona parola, che la vegne a ca’... 100

TONIN Boni paroli? Ah, ti sè pur quel che te m’hè fag! 101

RUZANTE Mo a’ v’arae pur an’ poesto dare s’aesse volesto! 102

96 Vieni via, che per questi santi..., al sangue di san Lazzaro, farò tanto, che dirai che so il fattomio.per sti santi...: ossia per sti santi Dè guagnili, per esteso a I 31. al sangue de san Lazaro: cfr. I7. ch’a’ son sacento! lett. ‘sono saggio’ (cfr. Pr. 10); la forma, conguagliata sul singolare degliaggettivi di prima classe, si oppone a sacente di III 63.97 Va’ pure, e toglitimi da davanti, e va’ in tanta malora che non ti senta mai più menzionare,che sono in un posto dove avrò miglior tempo, anzi volli dire miglior compagnia, di quella chemi facevi. Ma mi dispiace piuttosto – poveretta me grama – dell’onore! Ma vuoi così e così tuabbia!va’ in tanta malora che no t’alde mè pì menzonare: forse perché Ruzante vagabonderà oltre i con-fini del territorio padovano, come a I 1 si riprometteva di fare Menato. a’ vussi dire megiorcompagnia, che te no me fasivi: fare compagnia allude alla nuova intesa sessuale con Tonin, cheBetìa rinfaccia a Ruzante per umiliarlo; a I 17 Menato aveva impiegato la stessa espressione(«Ve fa bona compagnia me’ compare?») per sondare i rapporti coniugali tra i due. anore!:la forma dissimilata anche in Betìa 317 v. 348 e 347 v. 704.98 Taci, taci! Non piangere pazzerella, non piangere, che fai venire voglia di piangere anche ame, non dire... Senti Betìa, senti solo questo... Potta del canchero, ma che devo fare? Vogliochiamare il soldato! Messer soldato? Sentite eh? Uomo da bene, sentite?mattezuola: cfr. III 1. aldi lomè questa: vd. l’identica movenza in I 23 «Aldì lomè questa,comare»; per lomè cfr. I 1. Messier soldò [...] On da ben: come a III 36 Ruzante tenta di ingra-ziarsi Tonin con una sequela di appellativi rispettosi.99 Ti sento bene, ma non canti un verso che mi piace.A’ t’aldi bé, mo ti no canti vers che ’m plasi: «verso dicesi al canto degli uccelli; e così alla voce ogrido degli animali» (BOERIO 789; anche TIRABOSCHI 1408); Tonin si rivolge dunque a Ruzan-te con tono apertamente canzonatorio.100 Mettete anche voi qualche buona parola, in modo che venga a casa...101 Buone parole? Ah, sai pure quel che mi hai fatto!ti sè pur quel che te m’hè fag!: Tonin allude alla truffa subita nell’ultima scena del primo atto.102 Ma avrei anche potuto picchiarvi se avessi voluto!

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TONIN Ti m’hè dat indol sango a dam intola borsa 103.RUZANTE Que? D’i dinari? Alla fe’, alla fe’, che i me fo tolti! Que me faa mi? S’el foesse gnan la veritè a’ ve ’l dirae mi, adesso ch’a’ son, con’disse questù... 104

TONIN Va’ pur, che s’tu no fè ch’abi i me’ daner fina un quatrì, ti n’è peraverla, che la voi menà’ con mi in camp. [si ritira chiudendo la finestra] 105

RUZANTE Mo que dego-gio fare? A’ me senteresi chialò, ch’a’ no mepartirè s’a’ me doesse abirare, fina ch’el canchero m’aierà o che a’ sgan-golirè chialò! Potta de la deroina, mo la m’è pur contra! Que dego-giepì fare a sto mondo? 106 Bettia, an! Bettia! Ve’, a’ muorirò chialò, al san-

Mo a’ v’arae pur an’ poesto dare s’aesse volesto!: Ruzante tenta, paradossalmente, di mettere inluce gli aspetti positivi del suo comportamento con Tonin. Per dare cfr. Pr. 15; per i participipassati del tipo di poesto e volesto cfr. II 23.103 Mi hai colpito nel sangue colpendomi nella borsa.Ti m’hè dat indol sango a dam intola borsa: infatti «la roba a’ cherzo ch’a’ ’l sapié che la è elprimo sangue e el primo limento snaturale» (Seconda Oratione 61). Questo significato figura-to di sangue anche in GIANCARLI Capraria 63 «col sangue mio» ‘con il mio denaro’; G.C.CROCE, Il tesoro – Sandrone astuto. Due commedie inedite cit., p. 143 (da Sandrone astuto) «Insoma i quatrin i en al sicònd sangv d’l’hom»; CROCE 2006: 179 n° 592 «I danari sono il primosangue dell’uomo». Cfr. anche CORTELAZZO 2007: 1159 punto (3), TIRABOSCHI 1135 «mèt i ma’n del sangu’ – Metter mano a quanto si ha di più caro, di più prezioso», BOERIO 589 «EL MIOSANGUE [...] cioè i miei figli o consanguinei; ovvero i miei danari. I danari sono il secondo san-gue». Per il motivo dell’equivalenza tra roba e sangue cfr. F. BRUNI, Sulla lingua del Mastro-DonGesualdo, in ID., Prosa e narrativa dell’Ottocento. Sette studi, Firenze, Cesati, 1999, pp. 235-292: 264-265, dov’è citato pure il passo dalla Seconda Oratione.104 Che? Parlate dei denari? Parola mia, parola mia, mi sono stati rubati! Che m’interessa ame? Se non fosse la verità ve lo direi, adesso che sono, come si dice...Alla fe’: cfr. I 4. Que me fa a mi?: cfr. III 36. a’ son, con’ disse questù...: presupporrà un’e-spressione del tipo esser ne le petole ‘essere nei pasticci’, ‘essere in imbarazzo’ (QUARESIMA 321s.v. pétola, con un rimando ai corrispondenti in veneziano e milanese; gli analoghi restare orimanere nelle petole in BOERIO 499 e PAJELLO 183); per il wellerismo cfr. I 5.105 Va’ pure, che se non fai in modo ch’io abbia i miei denari fino all’ultimo quattrino, non l’a-vrai, che voglio portarla con me al campo.fina un quatrì: cfr. TIRABOSCHI 1045 «Tò saré pagàt fina ’n d’ü quatrì – Avrai la tua parte finoal finocchio, Ti sarà pagato il tuo fino ad un quattrino» e prima MEDICI Aridosia 441 «Ma iolo vo’ pagare insino a un quattrino», D’AMBRA Furto 20 «hammi fatto sborsare sin’ a un quat-trino della dote», 76 «ti sarà pagato il tuo fino a un quattrino», G.C. CROCE, La Rossa d’Al-vergato. La quale va cercando patrone in Bologna [...], Bologna, Vittorio Benacci, 1590, c. A3v«A far la servitial / a una Donna d’part / a só pó tuta l’art / chi va fin a un quattrin» e in parteBASILE Cunto 214 e 492 «pe fi’ a no fenucchio» ‘fino all’ultimo (soldo)’. Tutti gli ess. antichiindicano come possibile anche una divisione delle parole diversa, «fin a un quatrì»; si stampafina in omaggio alla registrazione di TIRABOSCHI. la voi menà’ con mi in camp: cfr. la circo-stanza ricordata a I 24 «a’ ’m debi cavalcà’ in camp».106 Ma che devo fare? Mi siederò qui, e non me ne andrò a costo di assiderarmi, fino a che ilcanchero m’aiuterà o morirò qui! Potta della rovina, ma mi vanno tutte male! Che devo piùfare a questo mondo?A’ me senteresi chialò, ch’a’ no me partirè s’a’ me doesse abirare: per sentare cfr. assentè zò di Pr. 18e PRATI 162 s.v. sentàr(e); la forma senteresi come futuro di prima persona, se non è errore(pare improponibile stampare senterè sì), andrà spiegata con SALVIONI 1902-1904 (2008): 654nota 3: «Curioso poi a me senteresi ‘mi siederò’ a p. 34 della Moschetta del Ruzante (ediz. del

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gue del cancaro! A’ te prego, fame almanco sotterare, che le to’ carneno sea magnè da i cani! Doh, aesse un cortello adesso, ch’el no metegnirae el roesso mondo ch’a’ no me mazzasse! 107 Dasché a’ n’he cor-tello, a’ me vuo’ mazzare co i pugni: tuò, tuò castron, cancaro te magne,tuò, tuò, mè sì!... A’ no me vuo’ strangolare co un pugno... e si el meinsirà gi uogi in fuora a’ farè paura a tutti! A’ me vuo’ magnare! Bettia!Vien almanco da’ mente, che con’ strapasse de sta vita a l’altra te puos-si criare: «Iesò»! 108 Da que dego mo’ scomenzare a magnarme? A’ vuo’

1555) dove la ediz. del 1617 ha sentarè. Siccome -é è la desinenza di futuro tanto nella 1a chenella 2a pers. sing., così anche la forma senteresi, forma specifica della 2a, accenna qui a passa-re nella prima». Da ricordare a questo proposito, per la quinta persona, il pavano vegneressi‘verrete’ in CALMO Rodiana 99 (preferirei eliminare l’accento sulla i dell’edizione; tra gli ess.più antichi assai numerosi quelli di BIBBIA, ad es. pp. 4, 7, 22, 27, 30, 32, 33, 39, 40, 43 bis, 44e così via): è possibile che un altro caso simile – di nuovo esteso alla prima persona singolare– si abbia qui a V 52 dove si è stampato «a’ vegnerè sì!», ma potrebbe intendersi anche «a’vegneresi». Per chialò cfr. Pr. 14; per abirare cfr. CORTELAZZO 2007: 19 abirào ‘assiderato’,BORTOLAN 50 birò ‘intirizzito’ (da CALDERARI 14r «freddo [...] / che me fa cancher’è / supiarda freddo su i dì delle man / tanto gi ho-ggi birè»), MAGAGNÒ Rime III B5r desbirò ‘intiepi-dito’, MARCHESINI 100 «Ma sto freddo rubello / m’ha agiazzò i di’ e abirè le man»; PATRIAR-CHI 104 imbirare ‘intirizzirsi’ e BOERIO 81 biràr ‘patire eccessivo freddo’ (non trovo voci simi-li negli indici del LEI, ma vd. per una discussione etimologica COROMINAS - PASCUAL I 25 abu-rar ‘quemar, abrasar’, con il sintagma tierra aboirada ‘la que está quemada y seca por las hela-das’). ZORZI 1412, come già LOVARINI 47, intende meno bene ‘non mi muoverò di qui sedovessi spiritare’. Altri ess. in Betìa 267 «pota del male, / mo una note te t’abirerè» (il verboallude al freddo patito durante le attese notturne), Anconitana 803 «a’ me porà fuossi cossìabirare, che la no vegnisse ancuò» (Zorzi traduce “spiritare”, ma VIDOSSI 1954: 445 osservache pure l’accezione ‘intirizzirsi’ «risponde molto bene alla situazione»); proprio dal nucleosemantico dell’intirizzimento e del tremore potrebbe derivare biro «spavento, malore cheviene a’ cavalli, che fa loro, in andando, alzare e sproporzionatamente le gambe» (PATRIARCHI22). a’ sgangolirè: cfr. sganghirè a I 1.107 Betìa, ehi! Betìa! Vedi, morirò qui, al sangue del canchero! Ti prego, fammi almeno sep-pellire, in modo che le tue carni non siano mangiate dai cani! Doh, avessi un coltello adesso,che il mondo intero non mi potrebbe impedire d’ammazzarmi!a’ muorirò chialò: la messa in scena del tentato suicidio è affine a quella di Dialogo facetissimo85-89. che le to’ carne no sea magnè da i cani: Ruzante parla del proprio corpo in questi ter-mini, dato che nella Scrittura gli sposi sono un’unica carne: «Amore, con dise la leza, fa marìoe mogiere de du uno, che la dise “Erunt duo in carne l’una”» (Anconitana 783: vd. Genesi 224 «relinquet homo patrem suum, et matrem, et adhaerebit uxori suae: et erunt duo in carneuna» e Vangelo di Matteo 19 5). L’abbandono del corpo ai cani in conseguenza della mancatasepoltura è circostanza che ricorre nella maledizione di Betìa 185 «che ti te possi vêre / timagnar a i can»; vd. pure SALVIONI 1902-1904 (2008): 607 vv. 260-261 «E de là zo anch. mibuttar me uuò / Che i lof me magne co ti in quest desert» e 609 v. 339 «Se una ge ’n tolès. chei cam me magna». Doh, aesse un cortello adesso, ch’el no me tegnirae el roesso mondo ch’a’ no memazzasse!: con il coltello vorrebbe suicidarsi anche il villano Berna nel Coltellino di NiccolòCampani (PERSIANI 2004: 39-44), ma Ruzante opterà per metodi più spettacolari e assurdi; perroesso mondo cfr. I 1.108 Dato che non ho coltello, mi voglio ammazzare con i pugni: prendi, prendi castrone, can-chero ti mangi, prendi, prendi, ma sì!... Non mi voglio strangolare con un pugno... e se miusciranno gli occhi di fuori farò paura a tutti! Mi voglio mangiare! Betìa! Vieni almeno a vede-re, così quando passo da questa vita all’altra puoi gridare: «Gesù»!

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atto terzo

scomenzare da i pie’, perqué s’a’ comenzasse dalle man a’ no porae poaiarme a magnare el resto. Bettia! Di’ almanco un patarnuostro per mi...orsù, sta’ con Dio ch’a’ scomenzo! A’ no me porè miga magnar tutto,mo a’ me magnerè tanto ch’a’ creperè, e co’ a’ sea crepò, che arè-tu gua-gnò? Deh, buttame zò una soghetta cara Bettia, che m’apicherè, che nome staghe a stentare! 109

a’ me vuo’ mazzare co i pugni: tuò, tuò castron, cancaro te magne, tuò, tuò, mè sì: Ruzante vibracolpi contro sé stesso, come già a III 24 («Tuò poltron, tuò desgratiò, tuò cogómbaro»); «ilmimo dei pugni alla testa doveva rappresentare un gag tipico, in cui l’attore Beolco eccelleva:si veda la Betìa II 727 ss.» (ZORZI 1413), dove si legge «Doh, muorbo te magne, tuò, che t’èstò mencion! / Tuò, te vegne el muorbo, tuò!». Per castron ‘imbecille’ cfr. CALMO Saltuzza 111e nota 51 con un es. aretiniano, CORTELAZZO 2007: 308 e BOERIO 148; per mè sì cfr. I 54. A’no me vuo’ strangolare co un pugno... e si el me insirà gi uogi in fuora a’ farè paura a tutti!: Ruzan-te accantona l’ipotesi di finirsi a pugni e di strozzarsi, adducendo la singolare ragione che gliocchi uscirebbero dalle orbite e renderebbero la sua espressione da morto spaventosa (pro-babile che l’attore mimasse a questo punto l’espressione stravolta per divertire il pubbli-co). A’ me vuo’ magnare!: la morte per autocannibalismo – quantomai grottesca e carnevale-sca – è invocata anche da Menego in Dialogo facetissimo 87 «E sì serà an miegio, ché a’ memagneré da mia posta, e così a’ moriré pur passù, a despetto de la calestia». Senza voler attri-buire a Ruzante alcun proposito rivoluzionario, sarà bene precisare che la fantasticata autofa-gia si spiega bene anche alla luce delle durissime condizioni di vita dei contadini veneti in que-sti anni; già ROMANO 1962 (1971): 57 s’era chiesto: «È solo una nota di colore il fatto cheAngelo Beolco, il più grande uomo di teatro italiano del XVI secolo, agli inizi del XVI secolointroduce in uno dei suoi lavori un contadino che, per suicidarsi, decide d’automangiarsi?Così, dice, potrà morire a pancia piena...». Vien almanco da’ mente: per il costrutto cfr. a I 1«va’ vi’ s’te ghe può favellare»; per dare mente ‘prestare attenzione’, ‘vedere’ cfr. II 22. checon’ strapasse de sta vita a l’altra te puossi criare: «Iesò»!: per strapassare cfr. CORTELAZZO 2007:1328, BOERIO 711, MAZZUCCHI 266, PRATI Vals. 183, QUARESIMA 457; per criare PRATI 51.109 Da dove devo cominciare a mangiarmi? Voglio cominciare dai piedi, perché se comincias-si dalle mani non potrei riuscire a mangiare il resto. Betìa! Di’ almeno un padrenostro perme... orsù, sta’ con Dio che comincio! Non mi potrò mica mangiare tutto, ma mi mangeròabbastanza da crepare, e quando sarò crepato, che avrai guadagnato? Deh, buttami giù unafunicella cara Betìa, che mi impiccherò per non stare a soffrire!Da que dego mo’ scomenzare [...] magnare el resto: aiarme vale lett. ‘aiutarmi’ e quindi ‘adope-rarmi’, ‘ingegnarmi’ (cfr. agiutarse in BOERIO 25 s.v. agiutàr); la forma aiare alterna con agiare(cfr. agiassè a I 9) e aigiare (III 116). patarnuostro: la stessa preghiera in Dialogo facetissimo89 dovrebbe precedere il suicidio di Menego: «A’ vuogio pur dire un Pattanostro... E sì a’ nome vuò gnan magnare, ché a’ me stentera’ massa; mo a’ me vuò strangollare» (la forma pata-nostro qui più avanti a V 53). buttame zò una soghetta: per soga cfr. ad es. BIBBIA 94 soga, Pio-vana 929, FIGARO I1r, SCAPUZZO C4v (sogatto), TUOGNO ZAMBON 20 soga, 61 sogatto;PATRIARCHI 186 («corda grossa»), BOERIO 670 («Voce del contado verso Padova. Lo stesso cheCorda»), PRATI 171, SALVIONI 1890-1892 (2008): 318 sogeto ‘capestro’ (altri rinvii in ZORZI1413). che m’apicherè, che no me staghe a stentare: Ruzante ha nuovamente cambiato idea sulmetodo da seguire per suicidarsi; per stentare ‘tormentare’ vd. CALMO Saltuzza 138 nota 4 eCORTELAZZO 2007: 1315 punto (3). L’idea del suicidio per impiccagione anche nel passo diPiovana 993 citato nel commento a III 24.

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[Scena sesta]MENATO e RUZANTE

MENATO [avvicinandosi] On’ cancaro è andò questù? Oh cancaro, a’sârae ontiera co’ è andò sta noella de mia comare, a’ vuo’ andar a vêres’a’ ’l vezo. Mo no è-lo quel che è invelò in cuzzolon? Compare? Oh,compare! Mo que fé-vu invelò acolegò? 110

RUZANTE A’ faghe el cancaro ch’a’ ve magne vu e la vostra noella 111.MENATO Mo perqué compare? Que v’è intravegnù? 112

RUZANTE Vostra comare ha abù per male de l’atto que me fiessi fare, esì quando a’ la viegni a cercare la muzzà in ca’ de sto soldò 113.MENATO Mo que sté-vu a fare, ch’a’ no ve la fé dare? Ché no sbattì-vu? 114

RUZANTE Mo sì ch’a’ no he sbattù? Mo la no vuò vegnire 115.MENATO Sbattì cristian, laghé che a’ ghe faelle mi 116.RUZANTE Mo sì, andéghe faellé vu, che la no è scorrezzà an’ con vu?

110 Dove canchero è andato questo qui? Oh canchero, saprei volentieri come è andato questoscherzo fatto alla mia comare, voglio andare a vedere se lo vedo. Ma non è quello che è lì acco-vacciato? Compare? Oh, compare! Ma che fate lì sdraiato?ontiera: cfr. III 72. co’ è andò sta noella: si noti la concordanza tra andò e noella, raffrontabi-le a quelle raccolte nel commento a Pr. 1; per il significato di noella cfr. II 11. invelò: conepentesi della nasale rispetto al più diffuso ivelò (BORTOLAN 156). in cuzzolon: cfr. Betìa 303«in cuzolon o acolegà», CAVASSICO II 364 in cuzolon, MAGAGNÒ Rime I 37v, 57r e Rime II 5r,73r, SALVIONI 1902-1904 (2008): 603 v. 150 e 612 v. 430 in cuffolon; BORTOLAN 85 cuzzolon(da Calderari), PATRIARCHI 62 in cuzzolon ‘coccoloni’, BOERIO 211 Meterse a cufolòn ‘accoc-colarsi’, ‘porsi a sedere sulle calcagna’, MIGLIORINI - PELLEGRINI 52 kuzolón, PAJELLO 63 cus-solon, QUARESIMA 128 en cuciolón, PRATI Vals. 28 in cuciolón, PRATI 54 s.v. cuzzo passim. Perquesto tipo di espressioni cfr. il lavoro di Lurati citato nella nota a malabianto di Pr. 14. aco-legò: cfr. PIREW 2052, BOERIO 178-179 e gli altri rimandi vocabolaristici in CALMO Saltuzza 148nota 52.111 Faccio il canchero che vi mangi voi e il vostro scherzo.A’ faghe el cancaro ch’a’ ve magne [...]: espressione accostabile ad altre censite da MILANI 1970(2000): 71, nelle quali «la negazione si realizza per antifrasi sarcastica, facendosi seguire all’av-verbio affermativo [assente in questo caso, perché la domanda di Menato non è una ‘doman-da sì/no’] un sostantivo o un sintagma esclamativo di valore negativo (dove la parola crea dase stessa il gesto di spregio che l’accompagna)». la vostra noella: cfr. II 11.112 Ma perché compare? Che cosa vi è successo?intravegnù: cfr. I 60.113 La vostra comare s’è avuta a male dell’atto che mi avete fatto fare, e così quando sono venu-to a cercarla è scappata in casa di questo soldato.ha abù per male: cfr. III 3. la muzzà: cfr. Pr. 14.114 Ma che state a fare, che non ve la fate dare? Perché non bussate?sbattì: cfr. III 36.115 Ma forse che non ho bussato? Ma non vuole venire.116 Bussate cristiano, lasciate che gli parli io.cristian: cfr. I 1.

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atto terzo

Que a’ gh’he ditto ch’a’ si’ stò vu ch’a’ m’aì insegnò 117.MENATO Potta de chi ve fè! Zà che a’ ghe si’ andò a dire ste noelle, a’vezo ben ch’a’ no l’averom pì! 118

RUZANTE Mo que ve fa mo’ a vu questo, se no l’averon? 119

MENATO Mo a’ faghe per vu, compare, che m’in’ sta a mi? Aì-u favelòal soldò? 120

RUZANTE A’ gh’he favellò per certo 121.MENATO Mo que dise-lo? 122

RUZANTE El dise ch’el no me la vuò dare, s’a’ no ghe daghe no so quedinari, ch’el dise ch’è soi... saì-u... de quella noella ch’a’ v’he ditto... 123

MENATO Mo a’ me smaravegiava! Queste è le noelle ch’a’ fé sempre mè,e po a’ volì dar la petta a gi altri! Ché no ghe dé-vu i suo’ dinari? A’ volìandare co ste vostre garbinelle... A’ dighe vero, a’ digo ch’andé semprefazanto de ste noelle! 124

117 Ma sì, andate a parlarle voi, che tanto non è arrabbiata anche con voi? Perché le ho dettoche siete stato voi che m’avete insegnato.andéghe faellé vu: per il costrutto cfr. I 1 («va’ vi’ s’te ghe può favellare»). che la no è scorrezzàan’ con vu?: la domanda è retorica, e posta ad arte da Ruzante per inquietare Menato; per scor-rezzà vd. CORTELAZZO 2007: 1207 scorozzà (in BORTOLAN 248 e BOERIO 632 le voci verbali sco-rezza e scorozzarse).118 Potta di chi vi fece! Dato che le siete andato a raccontare queste storie, vedo bene che nonl’avremo più!Potta de chi ve fè: anche a II 41; cfr. l’affine «Pota chi ’m fì, a’ só Balord» nel bergamasco diCALMO Saltuzza 88 (e nota 38). noelle: qui ‘sciocchezze’. a’ vezo ben ch’a’ no l’averom pì: perun attimo l’inquietudine si impossessa anche di Menato; da questa osservazione prende il viauno scambio di battute che, con effetto di «ironia drammatica» analogo a quello di II 2, mettea nudo l’ingenuità costantemente venata di calcolo di Ruzante.119 Ma che vi importa a voi questo, se non la riavremo?Mo que ve fa mo’ a vu questo, se no l’averon?: convinto di essere l’unico a godere i favori dellamoglie e dunque l’unico titolato a dolersi della sua infedeltà, Ruzante non capisce (o finge dinon capire) l’eccessiva preoccupazione del compare per la sorte di Betìa. Per «que ve fa mo’a vu» cfr. III 36.120 Ma lo faccio per voi, compare, che me ne importa a me? Avete parlato al soldato?Mo a’ faghe per vu, compare, che m’in’ sta a mi?: stessa movenza in Prima Oratione 217-219 «a’fazo pre vu, me intendìu? che me fa a mi, intendìu?». Per il significato di stare, che pare ana-logo a quello di fare in «que ve fa mo’ a vu» di III 108, cfr. GDLI XX 8955 ‘toccare, spettare aqualcuno in quanto onere’.121 Sì che gli ho parlato.122 Ma che dice?123 Dice che non me la vuole dare se non gli do non so che soldi, che dice che sono suoi... sape-te... di quello scherzo che vi ho detto...no so que dinari: Ruzante finge di non sapere neppure a cosa Tonin si sia riferito chiedendogli larestituzione del denaro sottratto. de quella noella: è la truffa a Tonin messa in atto a I 54 e ss.124 Ma mi meravigliavo! Questi sono gli scherzi che fate sempre, e poi volete dare la colpa aglialtri! Perché non gli date i suoi soldi? Volete andare con questi vostri inganni... Dico la verità,dico che fate di continuo di questi scherzi!Mo a’ me smaravegiava ‘ma mi meravigliavo (che vi avesse chiesto dei soldi senza averne diritto)’;dopo l’iniziale stupore, al cenno sulla noella Menato capisce tutto. Queste è le noelle ch’a’ fé sem-

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RUZANTE A’ si’ rico vu, compare, a’ gh’i possé dare tutti vu, saì-vu, l’èpur an’ vostra comare... 125

MENATO A’ me smaravegie de vu, compare! Déghigi pur vu, compare,ch’a’ g’ ’ì tolti al soldò! 126

RUZANTE Compare! Se n’aigié vostra comare, chi la dè aigiare? 127

MENATO A’ dighe: sbattì e févela dare, ch’el v’è un bel onore a laghar-ghela invelò in ca’ de sto soldò! 128

RUZANTE A’ vuo’ spittare ancora un puoco, e vêre zò qu’el dise, e si elno me la vorrà dare, andarè dal poestà, i me la farà ben dare igi! 129

MENATO Mè sì, merda, compare! Laghéghela stare n’altra ora invelò,ch’el v’è un bel anore! 130

RUZANTE Compare, andévela fé dare, e prometìghe per mi, e félo peramor de vostra comare 131.

pre mè: per noella cfr. II 11; per sempre mè cfr. Pr. 1. e po a’ volì dar la petta a gi altri: petta valelett. ‘appiccicume’, ‘sudiciume’; l’espressione in BOERIO 497 Dar la peta a uno ‘incolpare’ (ma,credo, senza attinenza con la voce peta ‘treccia’ sotto la quale è registrata la locuzione) e anche s.v.petàr ‘attaccare’, ‘invischiare’ petàr la colpa a qualcun ‘incolpare’, PATRIARCHI 145 s.v. petà «El mel’ha petà. Mi ficcò la carota, me l’appettò» e s.v. petare «ficcarla, accoccarla, calarla a uno», DOMI-NI 334 s.v. petar ‘farla a qualcuno’ (I ghe la ga petada bela anca a lu), PRATI 126 s.v. petare petàr lacolpa in qualcùn ‘incolpare’. garbinelle ‘inganni’: cfr. CORTELAZZO 2007: 600 e PATRIARCHI 97garbinèla «gherminella, baratteria, giuoco di mano» (quasi identico BOERIO 299 s.v.). La voce èsemanticamente affine all’italiano gherminella e occorre già nei Proverbia quae dicuntur supernatura feminarum (CONTINI PD I 530 v. 171 e 550 v. 644): altre attestazioni venete cinquecente-sche e una discussione dell’etimo in L. D’ONGHIA, Garbinella, in LN LXVIII 2007, pp. 88-94.125 Siete ricco voi, compare, glieli potete dare tutti voi, sapete, è pure anche la vostra comare...126 Mi meraviglio di voi, compare! Dateglieli pur voi, compare, che li avete rubati al soldato!127 Compare! Se non aiutate la vostra comare, chi la deve aiutare?Se n’aigié vostra comare, chi la dè aigiare?: con un atteggiamento in bilico tra ingenuità e calco-lo – e ribaltando in parte quanto aveva già detto a III 108 – qui e alla battuta III 114 Ruzan-te insiste sul legame di parentela che obbliga Menato a intervenire per il bene di Betìa; peraigiare e aigié cfr. III 98.128 Dico: bussate e fatevela dare, che vi procura proprio un grande onore lasciarla lì in casa diquesto soldato!sbattì: cfr. III 36. invelò: cfr. III 99.129 Voglio aspettare ancora un po’, e vedere quel che dice, e se non me la vorrà dare, andrò dalpodestà, me la faranno ben dare loro!andarè dal poestà: nelle maggiori città dell’entroterra veneto al capitano, che sovraintendevaalle questioni militari e fiscali, si affiancava un podestà che «giudicava le cause criminali e inalcuni casi quelle civili di maggiore importanza, manteneva l’ordine pubblico e vigilava sulcorretto funzionamento dei Consigli e degli uffici cittadini» (VENTURA 1993: 43; anche GAL-TAROSSA 2005: 40).130 Ma sì, merda, compare! Lasciatecela stare per un’altra ora lì, che vi fa un grande onore!Mè sì, merda ‘assolutamente no’, con merda intercalare desemantizzato e violentemente nega-tivo, come nell’italiano attuale ‘sì, col cazzo!’: cfr. l’osservazione della Milani citata nel com-mento a III 100 e per mè sì I 54. ch’el v’è un bel anore!: Menato è geloso e batte sul tasto del-l’onore di Ruzante per spingerlo a intervenire in prima persona; si noti a breve distanza l’al-ternanza tra onore (III 117) e anore (per cui cfr. III 89).131 Compare, andate a farvela dare, e promettetegli al posto mio, e fatelo per amore dellavostra comare.

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MENATO Oh, sier soldò? Aldì-vu om da ben? Sier soldò! 132

[Scena settima]TONIN, MENATO e RUZANTE

TONIN [alla finestra] Chi è quel? 133

MENATO A’ son mi, a’ vossan ch’a’ ne dassé la nostra femena, piasanto-ve mo’ a vu 134.TONIN Chi è-t ti? 135

MENATO A’ son mi, so’ compar d’ella 136.TONIN S’a’ ’m de’ i me’ daner, a’ ’t la daref, otramet no ’t la voi dà’ 137.MENATO Mo aldì, on da ben, laghéme vegnire ch’a’ ghe faelle, che d’idinari a’ v’i darè mi, s’altri no v’i darà 138.TONIN A’ só contet, mo a’ voi che te ’g vegni ti sol 139.MENATO Vegnì zò comare! [rivolto a Ruzante] El se fa così, a sto muo’an, e sì no se sta a spittare la umana dal cielo, compare, con’ a’ fé vu!Quanti dinari iè-gi? 140

RUZANTE Fuorsi vinti tron 141.

Compare, andévela fé dare [...] amor de vostra comare: Ruzante rilancia la proposta di III 116,adducendo abilmente a ragione l’«amor de vostra comare» e suggerendo a Menato di impe-gnarsi al posto suo («prometìghe per mi») così da evitare di sborsare il denaro rubato a Tonin;per il costrutto «andévela fé dare» cfr. I 1 («va’ vi’ s’te ghe può favellare»).132 Oh, signor soldato? Sentite uomo da bene? Signor soldato!sier soldò [...] om da ben: Menato si mostra accomodante e apostrofa il soldato con gli appella-tivi già usati da Ruzante a III 36.133 Chi è?134 Sono io, vorremmo che ci deste la nostra donna, se vi sta bene.nostra femena: ambiguo sulla bocca di Menato e alle orecchie del pubblico.135 Chi sei tu?136 Sono io, il suo compare.A’ son mi: cfr. Nota al testo § 1.1.2. compar: cfr. par ‘padre’ I 62.137 Se mi dai i miei soldi, te la do, altrimenti non te la voglio dare.138 Ma sentite, uomo da bene, lasciatemi venire a parlarle, che quanto ai soldi ve li darò io, senessun altro ve li darà.s’altri no v’i darà: frecciata a Ruzante, che sta ascoltando.139 Son contento, ma voglio che venga solo tu.140 Venite giù comare! Si fa così, in questo modo, e non si sta ad aspettare la manna dal cielo,compare, come fate voi! Quanti denari sono?no se sta a spittare la umana dal cielo: per umana vd. MARCHESINI 48 «con n’acqua bona pì chen’è l’umana», MAGAGNÒ Rime III H6v homana, FIGARO F2v «le man, che fè sta omànna inParaiso», N4r «del paese / do ’l ghe nasce la omanna in su le ciese» e REGONÒ B4v «pì dolceassè de ’l zucaro e la omana». L’intera espressione in DOMINI 265 spetar la mana del ziel ‘aspet-tare una cosa con impazienza oppure indugiare a fare qualcosa, confidando nell’aiuto o nel-l’intervento di altri’, NINNI I 186 s.v. mana «“Aspetàr la mana dal çielo come i ebrei” (o abrei).Dicesi di colui che non si dà pensiero alcuno e che attende tutto dal caso o dalla provviden-za», QUARESIMA 251 spetar la mana, ZANETTE 335 spetàr la màna dal ziél.141 Forse venti tron.

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MENATO El bisogna ch’a’ gh’i daghe almanco la mitè 142.RUZANTE Déghigi pur tutti compare, e conzéla 143.MENATO El me basta ch’a’ gh’i darò almanco miezi, e sì la conzarè.[entra nella casa di Tonin] 144

RUZANTE [solo] Mo conzéla, caro compare! Vi’, a’ m’arecomando a vu,compare: a’ si’ stò cason vu, compare, e per zò conzéla. Pur ch’a’ laconzé, a’ faghe invò, s’a’ la conzé sta botta, che mè pì vuo’ far garbinel-le a negun, a’ vuo’ attender a viver da on da ben. Cancaro a ste mie gar-binelle, ch’a’ son squaso muorto e deroinò del mondo! A’ vuo’ scoltarezò ch’el dise, el la conzerà me’ compare, perqué a’ so qu’el ghe vuò ben,e an’ ella a ello, che sempre mè el la menzonava, e ella ello: «Me’ com-pare de qua, me’ compare de là...» [tende le orecchie per sentire cosa stasuccedendo in casa di Tonin] 145 Aldi? Tasi. A’ sento ch’a’ la dise che mèpì, mè pì! Potta de chi te fè! Mè pì, an? Oh, fantasia de femene! Feme-na d’opinion, a’ no t’he cognessù mè pì de pinion lomè adesso! Creziche te no somiegi a to’ mare, che la muzzè tante fiè via da so’ marìo, eco’ un ghe diea na parola, la se volzea de fatto. Aldi? A’ sento che ladise: «Me volì-vu imprometter vu?». Sì compare, potta del cancaro, sì

vinti tron: dal nome del doge Nicolò Tron «il quale volle distinguersi facendo imprimere la suaeffigie nel soldo e nelle lira di quei tempi; dal che la lira stessa prese a chiamarsi tron» (BOE-RIO 769); cfr. anche CORTELAZZO 2007: 1431 e la nota di ZORZI 1369.142 Bisogna che gliene dia almeno la metà.143 Dateglieli pur tutti, compare, e sistemate la faccenda.conzéla: conzarla (anche a III 133 e più volte a III 134) vale ‘fare ordine in una faccenda’, ‘chiu-dere una questione’; altri ess. in Fiorina 755 «N’aér paura, ché le se conza tute» e 765 «a’ voraeche la conçessam ti e mi», Piovana 967 «A’ tornerè tosto a conzarla», Piovana 1017 «A’ verónde conzarla», CARAVANA 44r «Conzela vu, conzela»; CORTELAZZO 2007: 389, BOERIO 194 s.v.conzàr e MAZZUCCHI 55 s.v. conzare «(una cosa o un affare) Acconciare; Accomodare»; per ilclitico femminile cfr. fagandola I 54 (e più oltre anche voltarla a III 148).144 Mi basta dargliene almeno metà, e così sistemerò la faccenda.145 Ma sistematela, caro compare! Vedete, mi raccomando a voi, compare: siete stato voi lacausa, compare, e per questo sistemate la faccenda. Pur che la sistemiate, faccio voto, se lasistemate questa volta, che non voglio più truffare nessuno, voglio badare a vivere da uomoper bene. Canchero a queste mie truffe, che sono quasi morto e completamente rovinato!Voglio ascoltare quel che dice, la sistemerà il mio compare, perché so che le vuole bene, eanche lei a lui, che la nominava in continuazione, e lei lui: «Il mio compare di qua, il mio com-pare di là...».a’ si’ stò cason vu, compare: come aveva già insinuato a III 106. faghe invò ‘faccio voto’, ‘pro-metto solennemente’; per la forma con prefisso in- vd. BORTOLAN 154 (Magagnò e Caldera-ri). sta botta: cfr. BORTOLAN 52, QUARESIMA 48 s.v. bòt, bòta, ZANETTE 64 te na bòta ‘in unavolta’. garbinelle: cfr. III 113. attender: cfr. BOERIO 742 s.v. tender, con un es. in cui il verboregge l’infinito (El tende a dir o a far) come nel nostro caso. deroinò del mondo: cfr. I 1. per-qué a’ so qu’el ghe vuò ben: Ruzante rassicura sé stesso sull’esito del tentativo del compare, insi-stendo sul legame di reciproco affetto tra Menato e Betìa; ovvio che questa e le affermazionisubito seguenti si prestino allo stesso effetto di involontaria autoironia già rilevato a II 2 e III107. sempre mè: cfr. Pr. 1.

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atto terzo

potta ch’a’ no dighe male... A’ ghe pense-lo an’ su! A’ no ghe son migaa pe’ da poerlo spontignare. Sì compare, prometìghe: a’ no osso gnancigare... 146 Aldi? I cìzzola pian me’ compare e ella, a’ no posso aldire...Oh maletto sea... Aldi? «Per amor vostro, compare, a’ farè zò che a’volì». Uh uh l’è conzà! A’ fago invò d’andare ogn’ano a disnare co unfrare o co la compagnia de sant’Antuognio. El ghe dà i dinari me’ com-pare, ch’a’ sento ch’a’ ’l dise «questo n’è bon»... Mè pì, mè pì no fagogarbinelle, la m’è sì montò questa, ch’a’ me l’arecorderè in vita d’agni!A’ sento ch’a’ ’l dise «Andagon». A’ me vuo’ tirare indrio, ch’el para cheno gi abia ascoltè 147.

146 Senti? Silenzio. Sento che dice che mai più, mai più! Potta di chi ti fece! Mai più, eh? Oh,capriccio di donne! Donna testarda, non ti ho mai conosciuto per testarda se non ora! Certoche non somigli a tua madre, che è scappata via tante volte da suo marito, e bastava che le sidicesse una parola e tornava subito indietro. Senti? Sento che dice: «Mi volete promettere voi?».Sì compare, potta del cancaro, sì potta che non dico male... Ci pensa anche sopra! Non gli sonomica vicino da poterlo pungolare. Sì compare, promettetele: non oso neppure gridare...Questa seconda parte della battuta ha la funzione pratica di tenere informato il pubblico aproposito della conversazione tra Betìa e Menato che si sta svolgendo all’interno della casa: sitratta di un esempio ragguardevole del cosiddetto principio di estroflessione (VESCOVO 1998a[2006]: 61). Aldi? Tasi: da qui in poi Ruzante intercala al proprio monologo i frammenti delladiscussione tra Betìa e Menato che gli riesce di cogliere dalla strada. Stessa movenza in Piova-na 949, dove Garbugio ascolta da fuori quel che sta succedendo dentro la chiesa: «Aldi? Tasi.Cancaro, i lo conza!» e in Lettera all’Alvarotto 1235 «Aldi mo? Tasi. Sìntito quela oseta[...]». la dise che mè pì: Betìa dice di non voler tornare a casa mai più (mè pì), con le stesseparole che ha già usato a III 61 («No te pensare... mè pì, che mè n’ha fin!»). Potta de chi tefè: cfr. II 41. fantasia de femene: cfr. I 23. a’ no t’he cognessù mè pì de pinion lomè adesso: cfr.II 6. to’ mare, che la muzzè tante fiè via da so’ marìo: quasi come donna Menega in Betìa 351«Mo n’andàssiu via an vu, mare, / quando a’ gieri puta, con un soldò? / E sì andassi ancoravia po / con un frare, / inanzo che me pare / ve menasse via?»; per muzzare cfr. Pr. 14. defatto: cfr. Pr. 2. imprometter ‘garantire’, ma non in senso economico come probabilmente aIII 120: Betìa pretende piuttosto che il marito non osi più beffarla e le porti rispetto. pottach’a’ no dighe male...: esclamazione troncata per ritegno; vd. III 72 («ch’el ghe magne el canca-ro...») e gli analoghi «pota, ch’a’ no digo, de san Loro» (Pastoral), «pota, ch’a’ no vuò dir, desan Bruson» (Pastoral), «pota... che a’ no dighe, de Cristo» (Betìa), «pota ch’a’ no disse male»(Fiorina), «pota che no digo» (Anconitana, veneziano) che estraggo dalla LIZ. pense-lo: si notila desinenza -e determinata dal clitico seguente; forme simili, già segnalate in WENDRINER 125,sono tutt’ora del padovano (in ZAMBONI 1974: 42 kànteo o kàntelo, in BENINCÀ - VANELLI1982 [1994]: 42 e nota màgnelo e màgnela; in generale vd. G. SALVI, La formazione della strut-tura di frase romanza. Ordine delle parole e clitici dal latino alle lingue romanze antiche, Tübin-gen, Niemeyer, 2004, pp. 194-195), e prima in BIBBIA 66 «Parla mesier Domenedio al povolode Israel solamente per la bocha de Moyses, e favele-lo solamente a ello solo? Zà favele-lo benancha a nu duj» (credo sia da correggere di conseguenza «e cossì faxev-elo ‘asperges’ al taber-naculo» di p. 53 stampando «faxeve-lo»), e più tardi ad es. MARCHESINI 13 «sonavelo [...]?»,«cantavelo [...]?» e TUOGNO ZAMBON 21 «mo no tagielo pì?». a pe’: cfr. II 6. spontignare:cfr. III 85. cigare: cfr. III 52.147 Senti? Bisbigliano piano il mio compare e lei, non riesco a sentire... Oh maledetto sia...Senti? «Per amor vostro, compare, farò quel che volete». Uh uh è sistemata! Faccio voto d’an-dare ogni anno a pranzare con un frate o con la compagnia di sant’Antonio. Il mio comparegli dà i denari, che sento che dice «questo non è buono»... Mai più, mai più non faccio gher-

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moschetta

[Scena ottava]BETTIA, RUZANTE, MENATO, TONIN

BETIA Intendo, compare, mo que pruopio per amor vostro! 148

RUZANTE Potta, mo ti si’ ben scorezzà! Te di’ po de parentò? Mo te nosomiegi zà a to’ mare, che con na parola la se laghea volzere e goerna-re, e far zò que se volea! 149

BETIA Sè-tu perqué? 150

RUZANTE Perqué? 151

BETIA Perqué l’aea marìo da zò! Mo da que iè-tu ti? 152

minelle, mi è cresciuta tra le mani così tanto questa qui, che me la ricorderò finché campo!Sento che dice «Andiamo». Mi voglio tirare indietro, che sembri che non li abbia ascoltati.I cìzzola pian ‘bisbigliano’, ‘mormorano’: il verbo, hapax nel CORPUS PAVANO, ha forse origi-ne onomatopeica come le voci raccolte in PRATI 209 s.v. zisara ‘brinata’ (con significati diver-si, molti dei quali «accennanti al friggere del nevischio che cade, anche spinto dal vento»); cfr.anche RIGOBELLO 440 si!olàr ‘friggere’, ‘abbrustolire’, ‘fischiare’ e ZANETTE 769 zisàr ‘ronza-re’. Oh maletto sea...: per la maledizione (qui sospesa) cfr. «che maletto sea le prì» V 13. A’fago invò d’andare [...] co un frare o co la compagnia de sant’Antuognio: la menzione della cenacon la compagnia di S. Antonio dovrebbe alludere a un’abitudine diffusa presso varie confra-ternite, quella del convito annuale cui venivano invitati, per scopi caritatevoli, anche alcunipoveri (in alternativa Ruzante pensa di beneficiare, con l’offerta di un pasto, direttamente unodei frati): cfr. Statuti di confraternite religiose di Padova nel Medioevo, a c. di G. De SandreGasparini, Padova, Istituto per la storia ecclesiastica, 1974, pp. LXXXVII-XCI (ma resta unmargine di dubbio perché a quanto pare «il banchetto fraterno [...] viene presto dimenticatonelle regole delle confraternite»: p. LXXXIX). Per invò cfr. sopra «a’ faghe invò». questo n’èbon ‘questa moneta non è buona’: a IV 7 Tonin si lamenterà per aver ricevuto da Menato «ùcornachió fals». la m’è sì montò questa, ch’a’ me l’arecorderè in vita d’agni: per il significato dimontare cfr. GDLI X 84718 ‘diventare progressivamente più gravoso, più opprimente, più com-plicato, più difficile da risolvere’; per in vita d’agni cfr. I 14. Andagon: per il suffisso (anchein agiaga I 10) cfr. ad es. Dialogo facetissimo 83 «Mo pure che a’ no muore, inanzo che anda-ghé da elo». A’ me vuo’ tirare indrio: con movimento analogo a quello di Pr. 17 «a’ me vuo’trar da un lò».148 Capisco, compare, ma proprio per amor vostro!pruopio per amor vostro: l’espressione sottintende la relazione adulterina con il compare cheverrà presto ripresa.149 Potta, ma sei proprio arrabbiata! Dici poi della tua famiglia? Ma non somigli di certo a tuamadre, che con una parola si lasciava girare e governare, e fare quel che si voleva!scorezzà: cfr. III 106. te no somiegi zà a to’ mare, che con na parola la se laghea volzere e goerna-re: argomento già sfiorato a III 134; per volzere e goernare cfr. II 6.150 Sai perché?151 Perché?152 Perché aveva un marito capace di questo! Ma tu di cosa sei capace?l’aea marìo da zò: per essere da ‘esser capace di’ cfr. insieme a esser da puoco III 81 anche GDLIV 41818 (vd. ad es. Paradiso XXXIII 139 «Ma non eran da ciò le proprie penne» e BOCCACCIODecameron VII 2 18 «io non fui figliuola di donna da ciò»). Il costrutto pure in Dialogo secon-do 167 «da che, cancaro, sivu?» (preferibile stampare senza virgole), Piovana 1059 «A’ cognos-so ch’a’ son da qualcossa», nel toscano di Anconitana 791 «Da che siamo noi, levàtane via que-sta poca bellezza, la qual pochi anni guastano? Da nulla», TUOGNO ZAMBON 88 «da que can-caro sìu [...]?» e in INGANNATI 233 «non son uomo da ciò».

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atto terzo

RUZANTE Potta, a’ no son da gniente chi t’alde! A’ crezo ch’a’ no darael’ordegno in man a n’altro per ovrare... 153

BETIA Tasi, tasi per la to’ cara fe’: te può ben regratiar Dio e me’ com-pare, che s’el no foesse stò ello, te t’ariessi insuniò d’i fatti mie’! 154

RUZANTE Te può ben regratiar Dio e me’ compare an’ ti, che s’el nofoesse stò ello, a’ m’ara’ amazzò inchin a st’ora! 155

MENATO Moa, moa, no pì parole. [a Tonin] Sté con Dio, on da ben 156.

153 Potta, non valgo niente a sentire te! Credo che non darei l’attrezzo in mano a un altro perlavorare...a’ no son da gniente chi t’alde!: per essere da cfr. III 139. In chi t’alde si ha un es. di chi ‘ipoteti-co’: vd. tra l’altro ESOPO VENETO 6 «E certo, chi vole considerare, lo vile campedello sì è lamia insuficienzia e poca sciencia», Betìa 303 «Mo me vegna la fersa, / se, chi me ligasse, poes-se star frema mé», Piovana 989 «Mo t’in volivi la mitè, chi te aldìa», SALVIONI 1902-1904(2008): 613 v. 483 «Che ual cento bie tron. chi uolès uendere», SALVIONI 1902-1904 (2008):614 vv. 521-522 «Chi hauès cauà un mort de sepultura. / A so paracion mi saròu sta naumbrìa», «che, chi me dà cavale, cavre o buò / e piegole e diner pien un tinaz / che la lasas,no saroo a che muò» (MAZZARO 1991: 57 vv. 154-156), «la ghe va chi la fa entrar con bel muò»(CALMO Rodiana 95), «el s’impara a so cost, chi ha martel» (CALMO Spagnolas 64, bergama-sco). A’ crezo ch’a’ no darae l’ordegno in man a n’altro per ovrare...: cioè ‘non mi farei sostitui-re da un altro per fare l’amore’. Alludendo alla propria vigoria erotica Ruzante intende met-tere a tacere la moglie, proprio come a III 82 aveva dichiarato ammiccando di saper comun-que «ben zugare»; vd. l’affermazione simile di Anconitana 867 «A’ no dara’ la lengua a unaltro, per favelare» (Ruzante celebra stavolta la propria abilità di ruffiano). Per ordegno ‘orga-no sessuale maschile’ (lett. ‘attrezzo da lavoro’) cfr. i numerosi ess. acclusi in CALMO Saltuzza66 e nota 61; ovrare ‘operare’, ‘lavorare’ ha più di venti attestazioni nel CORPUS PAVANO (traqueste, per l’analogo sovrasenso sessuale, cfr. quella di Betìa 291 «Com la vega ovrar el mesapon, / che per un ordegno è de bela man, / la dirà che non son ovra da pan, / mo che a’ sonom compio»). L’assimilazione del lavoro agricolo all’attività sessuale è molto comune: cfr. DLA272 s.v. lavoro e 360 s.v. opera; per la lezione ovrare cfr. Nota al testo § 1.1.2.154 Zitto, zitto per la tua cara fede: puoi ben ringraziare Dio e il mio compare, che se non fossestato lui, ti saresti sognato di rivedermi!per la to’ cara fe’: cfr. Pr. 8. te può ben regratiar Dio e me’ compare, che s’el no foesse stò ello, tet’ariessi insuniò d’i fatti mie’!: l’invito suona come tanti altri ironico ai danni di Ruzante (cfr. ades. anche III 135); per regratiar (anche alla battuta successiva) cfr. GDLI XVI 337 s.v. rigrazia-re con ess. fino a Gasparo Visconti e vd. nello stesso VISCONTI Pasitea 393 regrazia bis, refre-scono, recrescono ‘rincrescono’ (nella Moschetta recresse II 23), in BOIARDO Timone 500 riser-rata, in FOLENGO Baldus VII 497 rigratiat; insuniarse è forma riflessiva retroerente (cfr. CALMOSaltuzza 179 e nota 53); i fatti mie’ indica Betìa stessa: cfr. II 33.155 Puoi ben ringraziare Dio e il mio compare anche tu, che se non fosse stato lui, mi sarei giàammazzato a quest’ora!a’ m’ara’ amazzò inchin a st’ora: adotto la traduzione di LOVARINI 53; è evidente che «inchin ast’ora» non significa ‘fino a ora’ bensì ‘fin d’ora’, ‘a quest’ora’: cfr. «insino a hora» tradottocon «iam nunc» nei Latini di Poliziano (A. POLIZIANO, Latini, a c. di S. Mercuri, Roma, Edi-zioni di Storia e Letteratura, 2007, pp. 6-7), e più tardi ODDI Erofilomachia 293 «Se Sandrinonon ha cacciato la carota a costui fin a quest’ora, siam disfatti» e 358 «rimeritata sono per finoad ora per mia buona fortuna».156 Su, su, basta parole. State con Dio, uomo da bene.Moa, moa: cfr. I 22.

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BETIA Sté con Dio, e gran mercè de la vostra compagnia... s’a’ possonan’ nu... vi’? 157

TONIN Tat tat ch’a’ ’m levi da colù, grà marcè! A’ savì bé madona chetug i bergamasch è tug omegn da bé... 158

MENATO On’ si’-vu compare? 159

RUZANTE A’ son chialò 160.MENATO Governéve mo’ da chì inanzo da omo, e ch’el no v’intravegnepì ste noelle, perché a’ he bù na gran faiga a conzarla e po maore a vol-tarla, che la se abia contentò 161.RUZANTE Potta compare, mo no saì-vu s’a’ si’ stò vu cason? A’ son bensì cattivo ch’a’ m’aesse sapù pensare ste noelle s’a’ no foessé stò vu? 162

MENATO Sì, la merda, compare! A’ son stò mi ch’a’ he tolto i dinari alsoldò, n’è vero? Cancaro, a’ le di’ pur cottore co’ a ve ghe mettì. Tasì,tasì. No di’ pì ste sbagiaffarì a vostro compare! 163

157 State con Dio, e molte grazie della vostra compagnia... se possiamo anche noi... vedete?gran mercè de la vostra compagnia...: con ovvio doppiosenso; per quest’accezione di compagniacfr. I 17. s’a’ posson an’ nu... vi’?: Betìa allude forse all’intenzione di ricambiare l’ospitalità rice-vuta (come tenterà in effetti di fare più tardi introducendo in casa propria Tonin).158 Fin tanto che mi tolgo da questo qui, grazie molte! Sapete bene signora che tutti i berga-maschi sono uomini dabbene...Tat tat ch’a’ ’m levi da colù: per colù (che dovrebbe alludere a Ruzante) cfr. Nota al testo §1.1.2. A’ savì bé madona che tug i bergamasch è tug omegn da bé...: la vanteria campanilistica(per altro codificata: cfr. IV 1) cela qui un’ovvia allusione alle proprie capacità amatorie.159 Dove siete compare?160 Sono qui.chialò: cfr. Pr. 14.161 Comportatevi d’ora in poi da uomo, e che non vi succedano più queste storie, perché hofaticato molto a sistemarla e ancora di più a rigirarla in modo che si accontentasse.da omo: «da omo, detto a modo avv. saputamente; virilmente; assennatamente» (BOERIO451). v’intravegne: cfr. I 60. perché a’ he bù na gran faiga a conzarla e po maore a voltarla: perconzarla cfr. III 132; per voltarla cfr. ad es. CROCE 2006: 269 «Sì, sì, voltatela pur a vostromodo, ma quello che si vede in effetto non si può celare», dal Pantalon Imbertonao di Briccio«An furfantazzo, laro, zaffo, assassin, ti la revolti han?» (SPEZZANI 1997: 67); BOERIO 801 s.v.voltare «Voltarla [...] si dice quando alcuno, il quale ha detto o fatto alcuna cosa che non vor-rebbe avere né detto né fatto, ne dice alcune altre diverse da quella e quasi interpreta a rove-scio o almeno in altro modo sé medesimo», DOMINI 455 i la zira e i la volta como che i vól‘danno le versioni che fanno loro comodo’ e PRATI Vals. 206 voltarla ‘mutare discorso, per evi-tare di parlare di cosa che spiace, o della quale non si vol parlare’. che la se abia contentò: ilsoggetto è Betìa.162 Potta compare, ma non sapete se siete stato voi la causa? Sono proprio così cattivo da pen-sare questi scherzi se non foste stato voi?Potta compare, mo no saì-vu s’a’ si’ stò vu cason?: replica quasi letteralmente l’accusa già rivoltaa Menato all’inizio di III 134.163 Sì, la merda, compare! Sono stato io che ho rubato i denari al soldato, non è vero? Can-chero, le dite cotte a puntino quando vi ci mettete. Tacete, tacete. Non dite più queste bag-gianate al vostro compare!Sì, la merda, compare! ossia ‘assolutamente no, compare’: cfr. III 119. A’ son stò mi ch’a’ he toltoi dinari al soldò, n’è vero?: Menato insiste sulla responsabilità del compare, fingendo di non

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comprendere – davanti a Betìa – le allusioni di Ruzante ai consigli dati per organizzare la beffadel travestimento. a’ le di’ pur cottore co’ a ve ghe mettì ossia ‘le dite proprio ben cotte quan-do vi ci mettete’; cottoro vale lett. ‘di facile cottura’ (cfr. PIREW 2019, PATRIARCHI 58 s.v. coto-ro e BOERIO 205 s.v. cotor), e indica per traslato la piena maturazione in MARCHESINI 20 «che’l gran sì vien cotoro» e figuratamente in MAGAGNÒ Rime IV 50v «a’ gh’ho un cattaro sì cot-toro». Per l’espressione vd. con ZORZI 1415 FOLENGO Baldus IV, 347 «Nil nisi panzatas man-gio pugnosque cotoros» (Chiesa: «in tutte le occorrenze è riferito a percosse con il significatoquindi di ‘ben assestate’») e anche FIGARO H3r «S’a’ me disdissiè / paron, s’a’ in chiappè suuna cottora [una bella botta], / mo no desì, que a’ m’in ressento ancora». sbagiaffarì: cfr. sba-giaffaore Pr. 12; per il tipo morfologico cfr. sbraossarì III 36.164 Ma al sangue del canchero, compare...165 Ma sì, compare merda! Compare, non mi fate dire... andiamo in casa, andate avanti comare.Mo sì, compare merda!: cfr. III 150 e III 119; il crescendo di aggressività intende mettere a tace-re le proteste sempre più flebili di Ruzante.

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atto terzo

RUZANTE Ma al sangue del cancaro, compare... 164

MENATO Mo sì, compare merda! Compare, no me fé dire... andon inca’, andé inanzo comare 165.

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ATTO QUARTO

[Scena prima]Ser TONIN solo

TONIN Bergamaschi ah? A’ só soldat e sì só bergamasc, e ù vilà traditora’ ’m ghe volea fà’ stà’! I Bergamaschi ha bé gros ol cò, ma i ha un in-zegn che ’s fica per ogni bus! Mi, an? Chi diavol saref stà quel, oter cheù bergamasc, che se aves saput governà’ sì bé com ho fat mi? E’ ho buti me’ daner che m’avea fat trà’ quel vilà, e sì averò ac la fomna! 1 No pas-

1 Bergamaschi, eh? Son soldato e sono bergamasco, e un villano traditore mi voleva inganna-re! I bergamaschi hanno ben grossa la testa, ma hanno un ingegno che si ficca in ogni buco!Io, eh? Chi diavolo sarebbe stato quello, se non un bergamasco, che si fosse saputo compor-tare bene come me? Ho avuto i denari che mi aveva fatto perdere quel villano, e avrò anchela donna!a’ ’m ghe volea fà’ stà’ lett. ‘mi ci voleva far stare’, ‘mi voleva ingannare’: cfr. I 61. I Bergama-schi ha bé gros ol cò: le considerevoli dimensioni del capo non sono garanzia d’intelligenza, datala sovrapposizione con gros ‘ottuso’ (vd. I 54); esiste infatti una vivace tradizione popolare cheassocia la testa grande alla stupidità: cfr. in merito la nota a cermisó ‘zuccone’ al v. 57 della Fro-tola de tre vilani (D’ONGHIA 2005: 195); INGANNATI 231 «sete [...] un frappatore, un vantato-re, un capo grosso, uno sfacciato [...]»; Betìa 179 dove Menega accenna con sprezzo alla «grantestonaza» di Zilio. ZORZI 1416 rammenta anche la canzonetta Bergamaschi son tondi e gros(SEGARIZZI 1913: 241-242, n° 263), dove sia tondi che gros vale ‘stupidi’ (per tondo cfr. BOE-RIO 755 «tondo come la luna [...] dicesi d’un minchione»); ma vd. anche nel sonetto LXXIdello Strazzòla «Tu, che sei per andar in bergamasca» l’osservazione che i facchini hanno«teste grosse colme d’intelletto» al v. 10 (in «Studi e problemi di critica testuale» 27 1983, p.38). ma i ha un inzegn che ’s fica per ogni bus: dunque un’intelligenza sottile, ma il riferimen-to va lett. all’ingegno della chiave (GDLI VII 102212, con un es. di uso osceno); per «che ’s ficaper ogni bus» cfr. Prol. 7. La metafora potrebbe al limite estendersi al precedente ‘avere bengrosso il capo’ (con cò ‘glande’ registrato in DLA 82 s.v. capo e 583 s.v. testa; vd. in tal sensoanche Fiorina 761 «Me l’hala mo cazò dal cao grosso?», che ZORZI 1457 nota 47 ritiene «rife-rito all’estremità più voluminosa di un bastone o altro oggetto appuntito, nel contesto di unanota metafora oscena»). Per inzegn cfr. anche a I 24 drizzà’ l’inzegn e il significato salace di

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atto quarto

serà trop. Un oter aref volut sbraosà’, fà’ costió, dà’ de i feridi, cortella-di, stocadi, ponti, straponti... E mi só andat col formai piasentì, tatch’ho abut i daner 2. E po a’ ’m voi conzà’ l’ordegn co essa dona Bettia...che staghi attenta, che la prima fiada che Ruzant vaghi fo’ de ca’, ch’a’’m vaghi in casa da lè; e que s’a’ no arò otramet mud, che la farà fos chestasira so’ compader el condurà fo’ de casa, e mi deter. La saraf bé resta-da volentera con mi in casa e vegnuda in camp, ma no ’m voi menà’ drèsti banderi, sti lanzi spezzadi. A’ no possi stà’ in la pel d’alegrezza quanda’ ’m recordi a que mud a’ m’ho fat dà’ i daner de subit! 3

inzegn gros nella Fiorina calmiana (cfr. CALMO Spagnolas 167 nota 25). ZORZI 1416 dà il pro-verbio «I bergamaschi g’ha ’l parlar gros e l’inzegno sutil» (PASQUALIGO 1882: 263); vd. pureDieci Tavole dei Proverbi («El Bergamasco ha el parlar grosso, e l’inzegno sottil», in CORTE-LAZZO 2007: 681) e CROCE 2006: 179 n° 611 «I Bergamaschi hanno il parlar grosso e l’inge-gno sottile» (Selva di proverbi). Stessa opposizione grosso / sottile in uno dei sonetti modene-si del Pincetta (1570 ca.): «Dô puttana d mi sti Brgamasch / parin si gross d becch, e po’ i en/ stil d’ inzegn: a la fè ch’ l ’ è munt’ ben / vera, ch dund’ i van, i impin le tasch» (Testi anti-chi modenesi dal sec. XIV alla metà del XVII, a c. di F.L. Pullè, Bologna, Romagnoli, 1891, p.236; rist. anast. Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1969) e nella constatazione di Gar-zoni (citato in DA RIF 1984: 109) che «qualch’uno [dei facchini] riesce in quella sua grossez-za alle volte sottile». governà’: cfr. I 42. trà’: cfr. I 55.2 Non passerà troppo. Un altro avrebbe voluto minacciare, litigare, dare delle ferite, coltella-te, stoccate, colpi di punta e di strapunta... E io sono andato con le buone, tanto che ho avutoi denari.sbraosà’: cfr. I 54. fà’ costió: cfr. Pr. 15. ponti, straponti: per ponti cfr. de ponta e de roesso I54. Straponti, di cui non trovo attestazioni, sarà amplificazione di ponti sul tipo fare e strafare:altri ess. morfologicamente pertinenti in Piovana 899 «sta ca’ luse e straluse», Vaccaria 1121«“Te fìitu de mi?” “A’ me strafìo”», GIANCARLI Zingana 263 «da ora e da strasora», MAGA-GNÒ Rime II 71r «a’ go sgrignò / e strasgrignò»; MAGAGNÒ Rime III F7v «pregarte, e stra-pregarte»; Belluora dei Bragagnitti da Villatora «me porte, straporte, me strassine» (MILANI1992: 181); BASILE Cunto 462 «pregaie e strapregaie». Ma straponti potrebbe indicare uncolpo che va a fondo: cfr. in CORTELAZZO 2007: 1328 straponzer ‘trapassare’. E mi só andatcol formai piasentì lett. ‘e io sono andato con il formaggio piacentino’, ‘mi sono mosso cauta-mente, facendo buon viso’. Per la fama del formaggio piacentino nel Cinquecento cfr. in gene-rale PETROLINI 2005: 227-230, FOLENGO Baldus II 100 e nota, e le registrazioni di BOERIO 282(formagio piasentin o lodesan ‘formaggio parmigiano o meglio lodigiano’), TIRABOSCHI 556(formai de grana o lodesà) e GDLI XIII 240 s.v. piacentino. Vd. pure MESSISBUGO 41 e 86; «Panibuffetti e casi piasentini» nella canzone all’ercolana «Mename al magazen che son ferio» (inMascharate alla Bulescha de un Bravazzo chiamato Figao el qual vol tor la vita a una sua Diva[...], Venezia, 1553, s.n.t., c. Aiiiir, British Library 1071 c 65 17, testo escluso dall’edizione diDA RIF 1984: 159-167); «buon caso piasentino» in Li nomi et cognomi di tutte le provintie etcittà. Et più particolarmente di tutte quelle d’Italia. Composta per Daniel Ritio detto il Piasenti-no, s.l., 1585, c. A2v (British Library C 20 a 28 2); il truismo «che ’l Formaggio Piacentino siameglio assai che le Cipolle Romagnole» in CROCE 2006: 101. L’espressione di Tonin reinter-preta piasentì su ‘piacere’ a partire dal nome proprio Piacenza: ess. simili in Commedia di Sal-tafosso e Marcolina vv. 100-101 «Oh, come adesso el vien per piasentina / questo mariol, quan-to el m’ha strapazao!» (DA RIF 1984: 148, che rimanda alla Moschetta); G.B. ANDREINI, Le duecomedie in comedia «Oh caso bellissimo! Oh che formaggio piacentino» (LIZ); DP 380 «Chivuol regnare, prima vada a Piacenza e poi a Sesto» (con la glossa di Monosini: «Andare a Pia-cenza valet ad aliorum voluntatem sive gratiam loqui»).3 E poi mi voglio sistemare l’attrezzo con la signora Betìa... che stia attenta, perché la prima

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[Scena seconda]RUZZANTE solo

RUZANTE L’è forza, a’ no posso pì soffrire! A’ son tanto braoso, tantoanemoso ch’a’ no me posso tegnire de no far costion. A’ son stò impolòin le arme! Quando me’ pare e me’ mare m’inzenerà i gh’aea una coraz-zina indosso e una spagnuola al lò! El besogna che la natura faghe el so’inderto e la so’ fierezza: a’ son usò a far costion co questo e co st’altro,che quando a’ no he co qui vegnire alle man, a’ vegnirè con mi stesso! 4

volta che Ruzante va fuori di casa vado in casa da lei; e se non potrò fare altrimenti, lei forsefarà in modo che stasera il suo compare lo porti fuori, e io dentro. Sarebbe rimasta volentiericon me in casa e venuta in campo, ma non mi voglio portare dietro queste banderuole, que-ste lance spezzate. Non sto nella pelle per la contentezza quando mi ricordo come mi sonofatto dare i denari immediatamente!a’ ’m voi conzà’ l’ordegn co essa dona Bettia...: per ordegn ‘pene’ cfr. III 140; per conzà’ cfr. TIRA-BOSCHI 414 s.v. cunsà e BOERIO 194 s.v. conzàr. Per co essa mi sembra probabile l’influenza deltipo con esso ‘con’; arduo invece ipotizzare un uso aggettivale di esso (cfr. ad es. BIBBIENACalandra 67 «ma non essa matre, non la propria nutrice sapea discernere qual fusse Lidio oqual fusse Santilla»), estraneo al bergamasco. mud: la u potrebbe rappresentare la vocale tur-bata (möd in TIRABOSCHI 808) come, nel bergamasco di GIANCARLI Zingana, fa con regolaritàassai maggiore la grafia ue (p. 290); vedi su questo la nota 56 dell’Introduzione. el condurà fo’de casa, e mi deter: per il possibile significato sessuale cfr. DLA 154 s.v. dentro ‘nell’organo ses-suale femminile’. in camp: cfr. quanto minacciato da Tonin a III 97. sti banderi, sti lanzispezzadi: lett. ‘queste bandiere, queste lance spezzate’, ma in riferimento a Betìa le due parolehanno significato ingiurioso. Per bandiera è incerto se si debba intendere ‘stendardo’ (CITO-LINI Tipocosmia 462 include le bandiere tra gli «strumenti diversi» della guerra) oppure, simil-mente alle lance spezzate, ‘gruppo di soldati raccolti sotto la stessa insegna’ (GDLI II 413 e COR-TELAZZO 2007: 691); per il significato metaforico di bandiera ‘donna di facili costumi’ vd.PARABOSCO Fantesca 107 «bandiera» (di cortigiana), DA RIF 1984: 61 v. 220, 64 v. 466 e 189bandiera e bandierazza (di prostituta), VENIER Puttana errante 65 «Quando giunse in Marem-ma la bandiera» (la puttana errante protagonista), BELANDO 1588: 119r «refresca-chiurma,porcazza, bandiera», CORTELAZZO 2007: 142 s.vv. bandiera1 e bandiera3. L’insulto deriverà dauna metafora analoga a quella degli italiani bandiera e banderuola ‘persona incostante’ (GDLIII 412: gli ess. più antichi di bandiera in Varchi e Vasari, di banderuola in Goldoni; in CROCE2006: 267 di una donna scostante si dice che «la sarebbe buona bandiera da campanile»). Perlanzi spezzadi cfr. ZORZI 1416: «nelle ordinanze militari del tempo, le “lance spezzate” eranogli uomini d’arme che prestavano servizio isolatamente e non a squadre» (vd. pure CITOLINITipocosmia 458, CROCE 2006: 335 e GDLI VIII 7346); sul piano metaforico le lance spezzatealludono molto probabilmente alla disponibilità sessuale di Betìa: cfr. spezzare una o più lance‘compiere una più volte l’atto sessuale’ in DLA 268 con ess. cinquecenteschi. L’espressione èusata come insulto (‘persona di poco valore’, forse ‘parassita’) anche in BASILE Cunto 428 «can’avimmo abbesuogno de ste ditte spallate, de st’accunte fallute, de ste lanze spezzate». A’no possi stà’ in la pel: cfr. TIRABOSCHI 950 No pödi piò sta’ n da pèl e CORTELAZZO 2007: 973punto (4); per es. anche in PVLON MATT 124 «Guardè à Pvlon, ch’ n’ po’ star antla pell». desubit: vd. GDLI XX 4567.4 È necessario, non ne posso più! Sono tanto spavaldo, tanto coraggioso che non posso trat-tenermi dall’attaccar briga. Sono stato concepito tra le armi! Quando mio padre e mia madremi hanno generato avevano una corazza addosso e una spagnola a fianco! Bisogna che la natu-ra faccia il suo corso e che si sfoghi: sono abituato a litigare con questo e con quest’altro, tantoche quando non ho con chi venire alle mani, ci vengo (lett. verrò) con me stesso!

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atto quarto

A’ vuo’ andar a cattar sto soldò per dirghe che, puttana do’ ’l veneancuò, che quî dinari che gh’ha dò me’ compare è mie’, e che me’ com-pare n’ha a dare via i mie’ dinari, e che a’ i vuo’. «Oh, frello – dirà-llo –el no se vuò far così, el no se fa gnan ben». Ah, puttana del cancaro,ch’a’ te vuo’ magnare del cuore, poltron, can, apicò, e dare e spessega-re! 5 L’arà tanta paura ch’el cagherà da per tutto e sì ne darà agno cosa,

L’è forza, a’ no posso pì soffrire: cfr. GDLI VI 23938 essere forza ‘essere necessario, indispensabi-le’; per soffrire ‘sopportare’ cfr. soffrirae in BORTOLAN 262, MIGLIORINI - PELLEGRINI 102sofrìr, QUARESIMA 432 sofrir. A’ son tanto braoso [...] de no far costion: per braoso (lett. ‘bra-vaccio’) cfr. sbraoso (verbo) a I 54, CORTELAZZO 2007: 220 bravoso; per anemoso ‘coraggioso’CORTELAZZO 2007: 66; per tegnirse costruito con l’infinito vd. CALMO Saltuzza 79 «a’ ’l me tinda pissare mi»; BOERIO 740 s.v. tegnir, RIGOBELLO 489 tegnérse ‘trattenersi’; per far costion cfr.Pr. 15 e il berg. fà’ costió a IV 1. impolò: cfr. I 1. Quando me’ pare [...] una corazzina indos-so e una spagnuola al lò: ridicola eziologia del proprio coraggio e della propria innata vocazio-ne militare; la spacconeria di Ruzante contrasta con le lamentele di Menato, che al primo attosi dice invece «inzenderò quando Satanasso se pettenava la coa» (passi accostati anche daPADOAN 1998: 186). Per corazzina cfr. SALVIONI 1902-1904 (2008): 630 v. 1039, BORTOLAN 80e BOERIO 196 s.v. («Armadura del busto che usavasi antic., alla quale dicevasi anche Corsalet-to»); spagnuola, verosimilmente una spada o un’arma da taglio (stando al lò), non è nei dizio-nari esaminati e nemmeno negli elenchi di armi di CITOLINI Tipocosmia 406, 455, 459-460. Sitratterà di un’arma proveniente dalla Spagna, celebre per le sue lame (specie quelle toledane,e vd. anche in G.B. DEL TUFO, Ritratto o modello delle grandezze, delizie e maraviglie dellanobilissima città di Napoli, a c. di O.S. Casale e M. Colotti, Roma, Salerno Ed., 2007, p. 509la menzione delle «buone lame / di spade e di pugnal di Barzellona»). Pare simile il caso dizenuina nell’egloga maggiore di Paolo da Castello: «è il nome di un’arma, ma non saprei dirquale; deve trattarsi in ogni modo di ‘genovina’» (SALVIONI 1902-1904 [2008]: 719); ben noti,e formalmente analoghi, pistolese (qui II 98) e pistola (< Pistoia), baionetta (< Baiona), pavese(< Pavia). che la natura faghe el so’ inderto e la so’ fierezza: inderto è forma prefissata e meta-tetica di dreto ‘diritto’, ad es. in BORTOLAN 105 e BOERIO 247; per fare la so’ fierezza cfr. BOE-RIO 269 s.v.: far le so fierezze ‘fare i suoi sfoghi [...], riscuotersi’. a’ vegnirè con mi stesso: para-dossale smargiassata di Ruzante.5 Voglio andare a cercare questo soldato per dirgli che, per la puttana da dov’è venuto oggi,quei denari che gli ha dato il mio compare sono miei, e che il mio compare non deve dar viai miei denari, e che li voglio. «Oh, fratello – dirà – non bisogna far così, non va bene». Ah,puttana del canchero, ti voglio mangiare il cuore, poltrone, cane, impiccato, e menare e spes-seggiare nei colpi!cattar: cfr. Pr. 6. puttana do’ ’l vene ancuò ‘per la puttana da dove venne fuori oggi’ (cfr. I 1);meno bene «per dirgli da che baldracca venne fuori» (LOVARINI 58), visto che «dirghe che»regge il successivo «che quî dinari [...] è mie’», con reduplicazione del complementatore (vd.I 23). dirà-llo: per l’enclisi del pronome in questo contesto cfr. II 23. puttana del cancaro:cfr. puttana mo’ del vivere a I 1. a’ te vuo’ magnare del cuore: Ruzante arriva a pensare di ucci-dere Tonin, cavargli il cuore e poi mangiarlo. L’espressione è anche in Betìa 441 «Orsù, int’o-gne muò te vuò magnar del cuore!», FOLENGO Baldus III 158-160 «Me vantare volo, non tamsimul esse gaiardum, / quam quod basto simul totam magnare coradam / his, qui bastardumme chiamant vosque putanam», Commedia di Saltafosso e Marcolina «Voria manzar del cuore del figao / de chi volesse pur storzervi un pelo» (DA RIF 1984: 149 vv. 103-104), CALMORodiana 177 «vi mangeriano del cuore se ’l fusse d’oro»; con altro verbo in MAGAGNÒ RimeII 43v «Se l’è ’l vero ch’ancuò / me sea rostìo del cuore in la paella». Vd. pure CARO Straccio-ni 59 «Io gli aprirò pur il petto, li mangerò pur il core». poltron, can, apicò: stessa serie d’in-sulti a III 4. e dare e spessegare: per dare cfr. Pr. 15, per spessegare I 54.

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e mi a’ scaperè su. Cancaro, la sarà bella a guagnar dinari senza laorare,con braosarì! E se me’ compare s’imbatesse a vegnire, a’ dirè che faghecustion perqué el fo ello que me fè arsaltare a i suo’ compagni e ch’elme tosse la gonella e la beretta, ch’a’ no vuo’ dire ch’a’ faghe costion peri dinari. Que dego-gi fare? Andarè a sbattere al so’ usso o dego-gi andarspassezanto? 6 S’a’ vago a sbattere el porae saltar fuora che no me n’a-vederae e darme de drio via; s’a’ vago sgrandezando chì denanzo via, elporae trarme de qualche balestra in coste. A’ vuogio anare a sbattere: a’son valentomo... [bussa alla porta di Tonin e chiama] On’ si’-tu poltron?Portame i mie’ dinari, se no ch’a’ te i farè cagare per gi uogi via! Vièfuora, viè fuora, ch’a’ te vuo’ far vêre che te n’iè bon per mi! A’ te vuo’magnare el cuore e desfrizere della coraella e darla a i can, e desfrizeredel figò a muo’ scàrdoa su la grella! Viè fuora, poltron! 7

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6 Avrà tanta paura che cagherà dappertutto e mi darà ogni cosa, e io prenderò su. Canchero,sarà bello guadagnare denari senza lavorare, con bravate! E se il mio compare per caso venis-se, dirò che litigo perché è stato lui a farmi assaltare dai suoi compagni e a rubarmi l’abito ela berretta, che non voglio dire che litigo per i soldi. Che devo fare? Andrò a battere alla suaporta o devo andarci a grandi passi?L’arà tanta paura ch’el cagherà da per tutto: per la tradizionale associazione tra paura e abbon-danti evacuazioni vd. ad es. LEGACCI Don Picchione 36 vv. 591-592 «Tu mi stroppi. Fa’ pian,mi vengo meno! / I’ crepo, i’ cacarò nelle mutande», SALVIONI 1902-1904 (2008): 615 vv. 533-535 (parlando di uno spettro) «E nol è caualler. solda. ne frare / Che à uere un. hom cusi con-trafat. / Hauès tignù me perdonà el cagare», CALMO Spagnolas 62 «Aìdem, presto, se no l’èforza ghe me caghi in d’i brachi, ch’a’ no pos stà’ pì apicà a quest mod» e G.C. CROCE, LaTopeide abbattimento amoroso d’animali terrestri, & aerei [...], Bologna, Bartolomeo Cochi,1616, c. A8r «Chi mostra il suo valor, la sua bravura / chi caca stronzi quadri per paura»; altriess. in CORTELAZZO 2007: 248 (anche BOERIO 115 cagar da paura e l’it. cacarsi sotto ‘averepaura’ in GRADIT I 818 s.v. cacarsi). e mi a’ scaperè su: cfr. I 23 e I 54. braosarì: cfr. sbraosarìa III 36. E se me’ compare s’imbatesse a vegnire: per imbatere costruito con l’infinito cfr. Vacca-ria 1083 «Mo spàzate, che se ’l s’imbatesse a vegnire el fattore, aessàn sbregò el fondo al sàn-dolo» e GIANCARLI Zingana 241 «Se ve imbatessé a véder per ventura m[adonna] Barbina...»;altri ess. del costrutto sono raccolti in VP s.v. imbatere al punto 3 e in CORTELAZZO 2007: 630(terzo es.). che faghe custion: cfr. Pr. 15. fo ello que me fè arsaltare a i suo’ compagni: per ilcostrutto causativo con soggetto profondo introdotto da a cfr. III 24 («farme ben covrire aella»). ch’el me tosse la gonella e la beretta: gli abiti avuti in prestito da Menato per travestirsie beffare la moglie; dopo averli rubati al compare, Ruzante vuole addossare la responsabilitàdel furto a Tonin. i dinari: quelli pagati da Menato per riscattare Betìa; Ruzante non puòcerto rivelare al compare che sta tentando di riottenerli fingendo che fossero suoi (vuol direinfatti a Tonin che «quî dinari che gh’ha dò me’ compare è mie’, e che me’ compare n’ha adare via i mie’ dinari»). sbattere: cfr. III 36. andar spassezanto: cfr. FIRENZUOLA Trinuzia 602«è quello che spasseggia?»; CORTELAZZO 2007: 1288, BOERIO 684 s.v. spassizar, BELLÒ 187,MIGLIORINI - PELLEGRINI 104 s.v. spasejàr, MAZZUCCHI 253 s.v. spassegiare, NACCARI - BOSCO-LO 532 s.v. spassisare.7 Se vado a bussare potrebbe saltar fuori senza che me ne accorga e colpirmi da dietro; se civado grandeggiando qui davanti, potrebbe colpirmi con un balestra alle costole. Voglio anda-re a bussare: sono valentuomo... Dove sei poltrone? Portami i miei soldi, altrimenti te li faròcagare fuori dagli occhi! Vieni fuori, vieni fuori, che ti voglio far vedere che per me non valiniente! Ti voglio mangiare il cuore e friggere le interiora e darle ai cani, e friggere il fegatocome una scardova sulla graticola! Vieni fuori, poltrone!

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[Scena terza]TONIN e RUZZANTE

TONIN [al balcone] A chi di’-t fradel? 8

RUZANTE A chi dighe? Te ’l saerè s’te vien zò, ch’a’ farè che le to’ spalesonerà ale de cantaon! 9

e darme de drio via: per dare cfr. Pr. 15; per via rafforzativo di drio e subito appresso di denan-zo cfr. chialò via I 7. s’a’ vago sgrandezando chì denanzo via: per sgrandezar cfr. BOERIO 314grandizar ‘grandeggiare, farla da grande’, MAZZUCCHI 101 s.v. grandezzare e GDLI VI 10463

«fare il grande, il prepotente». el porae trarme de qualche balestra in coste: stessa costruzionecon de a III 12, dove sono raccolti altri ess.; meglio stampare balestra che non balestrà comedimostra il contesto di V 53 «a’ no vorae che qualcun me tresse de qualche balestra o de qual-che arco». valentomo: cfr. I 24 e I 54. se no ch’a’ te i farè cagare per gi uogi via: la minaccia,analoga a quella di Tonin a I 71, sembra incrociare cagàr fora i bezzi «sborsar danari, ma s’al-lude [...] a chi è sforzato a darli fuori» (BOERIO 115) e uscire dagli occhi ‘concedere malvolen-tieri’ (GDLI XI 775); in per gi uogi via si nota il rafforzamento del complemento con via giàsegnalato sopra per drio via e denanzo via. che te n’iè bon per mi lett. ‘che non sei buono perme’ ossia ‘che con me non vali niente’: cfr. in parte Piovana 985 «te no iè omo per mi». A’ tevuo’ magnare el cuore: proposito già enunciato al principio del monologo e qui seguito da rin-caro. e desfrizere della coraella e darla a i can, e desfrizere del figò a muo’ scàrdoa su la grella!:per desfrizere lett. ‘soffriggere’ vd. BOERIO 229 desfrizer, MAZZUCCHI 68 desfrìzare, MIGLIORI-NI - PELLEGRINI 18 desfrider, PAJELLO 67 desfrisere, PRATI Vals. 54 desfridre. Per coraella cfr.BOERIO 196 s.v. coraèla «le parti intorno al cuore di tutti gli animali, cioè fegato, cuore e pol-mone», NINNI I: 135 s.v. fongadìna «vivanda cotta in guazzetto e composta del cuore, polmo-ni, fegato, milza e pancreas di agnello, detti complessivamente “coraèla” o “coradèla”» (eNINNI II: 200 coraèla «propriamente i polmoni e non il fegato come dice il Rambelli»); vd.anche BORTOLAN 80 coraella, MAZZUCCHI 56 coradela, MIGLIORINI - PELLEGRINI 49 koradèla,PAJELLO 58 coradèla, PRATI Vals. 44 coradèla, QUARESIMA 116 coradèla, RIGOBELLO 142 cora-dina. La menzione della coraella comporta, come altrove, una metafora animale che assimilaTonin a una bestia da macellare le cui interiora saranno date in pasto ai cani. La scàrdoa è lascardova, «Scardinius erythrophtalmus [...] Noto pesce d’acqua dolce che serve di cibo alpopolo» (NINNI I: 96-97 s.v. scàrdola; cfr. anche, insieme a FOLENGO Baldus II 189 e nota,CORTELAZZO 2007: 1188 scardola, BOERIO 619, MAZZUCCHI 222 s.v. scàrdoa, PAJELLO 230,PRATI Vals. 157, RIGOBELLO 403). Per grella ‘graticola’ cfr. PRATI 78 s.v. grà, BOERIO 312 s.v.graela e RIGOBELLO 216 s.v. graèla. Per desfrizere del figò vd. ad es. G.B. ANDREINI, Lo Schia-vetto, Venezia, G.B. Ciotti, 1620, p. 29 «Mi venga la rabbia, l’anticuore, mi sia fritto il fegato,a voi i granelli» (i granelli sono i testicoli). La minaccia di dare cuore o altre frattaglie in pastoai cani (pericolo esteso al cadavere nel lamento di Ruzante a III 98 è anche in MARCHESCHI1983: 62 (n° 213, 1368) «Io ti farò ma(n)giare lo core a q(ue)sto cane», e ripetutamente inFOLENGO Baldus IX 139-140 «[...] mihi tunc streppate coradam / atque meam canibus man-giandam tradite milzam», X 319-320 «Quattuor in quartos modo squartavere Fracassum /mangiandasque suas canibus tribuere budellas», XI 186-187 «[...] Vult hunc omnino Gaiof-fus / arrostire brasis canibus gitare budellas» (lo scempio del fegato è adombrato invece in Bal-dus VI 74 e con verbo simile in BASILE Cunto 678 «chi sgarra sta strata ha fritto lo fecato»).8 Con chi parli fratello?9 Con chi parlo? Lo saprai se vieni giù, che farò assomigliare le tue spalle ad ali di cantarella!ch’a’ farè che le to’ spale sonerà ale de cantaon: per sonare ‘sembrare’ vd. poco sotto IV 8, V 66,e ad es. Betìa 261 «A’ te dighe che ’l sonava / el vissinelo», Dialogo secondo 145 «un remoreche ’l sona un fàvero che recalze un gomiero», Anconitana 823 «che ’l sonè un gran çefon checaìsse», Piovana 899 «i sona galavron che ghe sia stà sbregò el niaro», Dialogo secondo 169 eCALMO Travaglia 172 (un solo es., quello di Moschetta V 66, in MILANI 1970 [2000]: 79).

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TONIN A mi? Per que rason? 10

RUZANTE Viè zò, ch’a’ te ’l dirè, che te ’l saverè. Arecordate che, per laputtana don’ vini ancuò, che quî dinari è mie’, ch’a’ i vuo’, s’a’ t’i dîes-se far buttar fuora per gi uogi via! 11

Quanto al cantaon – citato qui perché le macchie nere che tempestano le sue ali sono «i segnidelle busse che Ruzante vede sulle spalle del nemico» (ZORZI 1417) – mantengo per sicurezzala traduzione «cantarella» di LOVARINI 59; ma che si tratti della cicala, come supponeva sullabase di un riscontro pisano Zorzi, pare confermato dai rimatori postruzantiani: nelle rime diForzatè (n° 28, vv. 60-65: testo del CORPUS PAVANO) il cantaon canta al sole: «A’ me strussio,a’ me stento / per insegnarte tante brigafole, / e sì a’ poea rivarla in do parole: / fa’ un can-taon al sole / int’un prò pin de nieve bella e bianca, / che cante dolcemente BIANCA BIANCA»;in ROVIGIÒ A7v «a solea aldire un d’i maore / subiuoli; anzo ’l gran par de i cantaon» e ROVI-GIÒ B8v «Vù [Magagnò] mo, que annè alla brocca / e che ’l se ve pò dire un cantaon, / che aimpì d’invilia, e fè stopir agnon / soplì don nu a mancon» il cantaon è addirittura simbolo delpoeta. Per cantarella cfr. DEI 726 cantarella1 ‘maggiolino’; di cantaon non danno ess. né i dizio-nari dialettali consultati (già VIDOSSI 1954: 444 notava la mancanza di riscontri); né l’Ento-mologia popolare veneta. Le denominazioni degli insetti nei dialetti veneti e delle Venezie, a c.di E. Ratti, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1990, che registra a p. 141 s.v. cantarè-la (b) il significato di ‘maggiolino’, e s.v. cantarèla (c) quello di ‘cicala’; né da ultimo LEI10.1404.21 ss. s.v. CANTHARIS (il nostro es. è però raccolto con la traduzione ‘calabrone’ diZorzi in LEI 10.1383.48 s.v. CANTARE; qui, a 2.a.‚ vari materiali che tornano anche s.v. CANTHA-RIS). Rispetto alla presenza di macchie nere sulle ali dell’insetto, ha qualche interesse cheFolengo chiosi cantarellae con il mantovano pampogne, che ha fondamentalmente il significa-to di ‘maggiolini’ (cfr. FOLENGO Macaronee 327 e la nota di Zaggia, che rinvia ad A. GARBINI,Antroponimie ed omonimie nel campo della zoologia popolare. Parte II. Omonimie, Verona, LaTipografica Veronese, 1925, p. 1438 per la diffusione di cantarella ‘maggiolino’ anche in loca-lità vicentine); ma assai di più conta il fatto che proprio alcune specie di cicala (per es. la cica-da orni) siano caratterizzate dalla presenza di macchie scure sulle ali. L’immagine delle ali mac-chiate di nero come la pelle pesta per le bastonate sembra accostabile a quella plautina del«capreaginum et pantherinum genus hominum» (PLAUTO, Epidico, a c. di C. Questa, Milano,Rizzoli, 2001, p. 100, v. 18), che «fa balzare viva dinanzi agli occhi la varietas della pelle, pro-vocata dalle frustate» (E. FRAENKEL, Elementi plautini in Plauto cit., p. 17); vd. pure MANTO-VANO Formicone 36 «Fa’ che alcuno non se li accosti pur un dito, che certo farei le spalle tueassomigliare a cui te assomigli del nome» (il nome del servo è, appunto, Formicone, e dunquela battuta può alludere di nuovo al colore scuro della formica gigante, del suo corpo o dellesue ali). La vitalità popolare di tradizioni simili è confermata anche da quanto riferito al tara-buso in La caccia degli uccelli di V[incenzo] Tanara cit., p. 366: «gl’Antichi finsero che fosse unservo, Oeno detto, trasformato in questo uccello, per denotare la solita pigrizia de’ servi; equelle macchie negre che ha sulla schiena significano le bastonate, e sferzate, che si davano a’servi pigri». La fama di pigrizia del tarabuso («è avuto per uccello pigro, e lo cavano dal suotardo volo, e che stia molto tempo a osservare i Pesci, de’ quali vive», ibidem) è forse tra leragioni che ne giustificano l’uso come insulto: cfr. strabùseno a V 53.10 A me? Per quale ragione?11 Vieni giù, che te lo dirò, lo saprai. Ricordati che, per la puttana da dove sei venuto oggi, chequei denari sono miei, che li voglio, se te li dovessi far buttare fuori dagli occhi!per la puttana don’ vini ancuò «per quella troia che ti ha fatto» (LOVARINI 59), lett. ‘per la put-tana da dove vieni oggi’: cfr. I 1. In questa e nelle battute successive Ruzante ripete molte delleespressioni già impiegate nel monologo di IV 2. quî dinari è mie’: come aveva già detto a IV2. s’a’ t’i dîesse far buttar fuora per gi uogi via: cfr. cagare per gi uogi via di IV 2; butar fóra ‘cac-ciar fuori’ in RIGOBELLO 104.

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atto quarto

TONIN Aldi fradel, guarda s’te ’g n’hè plù a quel cont da farmi dà’: elm’ha bé dat ù cornachió fals, ch’a’ vorrò ch’el m’ol scambi 12.RUZANTE Deh, potta de chi te fè, dasché te me truogni ancora, che sebutte zò st’usso a’ te vegnirè amazzare inchina drio l’altaro! Crezi chete l’hè indivinò che t’iè in ca’ de muro, che s’te foessi così in ca’ de pagiaa’ sbregherae i canolò, ch’a’ sonerae na spingarda, ch’a’ te vegniraeamazzare inchina in letto, ti e tuo’ figiuoli co tutto! 13

12 Senti fratello, guarda piuttosto se ce ne hai ancora da farmi dare per quel debito: mi ha datoun cornacchione falso, e vorrei che me lo cambiasse.a quel cont: intendo ‘in relazione a quel conto’, ‘in relazione a quel debito’. cornachió: pro-babilmente deformazione di cornabò, moneta d’argento coniata all’inizio del sec. XVI in alcu-ne zecche lombarde. «Aveva sullo stemma il cimiero sormontato da un’aquila ad ali aperte cheil volgo battezzava per corna» (MARTINORI 1977: 77 s.v. cornabò; vd. anche CORTELAZZO 2007:399). Il cornabò è ricordato in DONI Zucca I 161 «Mi piacque sempre il nome di quelle mone-te che in Piemonte e a Milano tal volta si veggono, chiamati cornabò: o che ingegno ebberoquei signori che la trovarono! Egl’è un peccato che tutto il mondo non l’usi». La forma cor-nachion anche in Dialogo secondo 151 «Cagasangue! el val assé, questo, e sì ’l no me ven inbocca che ’l sùpie: mo cha sì che l’è un cornachion!» (e PADOAN 1981: 151 nota 27: «Forsemoneta piemontese (cornabò, presentante un elmo sormontato da due ali in cui si videro duecorna)»; poco più sotto alla stessa pagina la sconclusionata equivalenza «un cornachion, chevuol dir çinque».13 Deh, potta di chi ti fece, dato che mi prendi anche in giro, che se butto giù questa porta tiverrò ad ammazzare fin dietro l’altare! Credi che l’hai indovinata a stare in una casa di muro,che se fossi in una casa di paglia sfascerei le canne, che sembrerei una spingarda, e ti verrei adammazzare perfino nel letto, te e i tuoi figli e tutto!te me truogni: cfr. BORTOLAN 289 trognar ‘dar la berta’ e RIGOBELLO 503 trognàr ‘beffeggiare’;nei dialetti attuali la voce significa per lo più ‘bofonchiare’, ‘nitrire’ o ‘grugnire’ (PRATI194). inchina drio l’altaro: cfr. II 18. in ca’ de muro: le case costruite in pietra sono propriedella città o dei contadini possidenti, mentre quelle de pagia sono usuali in campagna, doveRuzante viveva prima di stabilirsi a Padova (cfr. I 5-6; anche dalle prime battute della Moschet-ta marciana si apprende che Ruzante si era da poco trasferito in città con la moglie); vd. Mene-gazzo citato nel commento a Pr. 10 e le parole di Bertevelo che sogna una vita di agi grazie aidenari contenuti nel tasco: «a’ farè ca’ de muro, a’ me marierè, a’ farè figiuoli» (Piovana 981).In SALVIONI 1902-1904 (2008): 619 vv. 690-692 il villano minaccia i cittadini così: «Mo foes-sàu tutti in una ca de pagia. / E mi con un stizzet foesse la. / Che compiroue prest questa bata-gia». sbregherae i canolò lett. ‘distruggerei i graticci di canne’ (che intrecciate costituivano lepareti delle case più povere o le dividevano dalle abitazioni vicine, come attesta anche FOLEN-GO Baldus VII 111): per sbregare cfr. MAZZARO 1991: 54 v. 93, PRATI 154, TIRABOSCHI 1151 s.v.sbragà e sbregà ‘squarciare’ e RIGOBELLO 396 sbregàr ‘stracciare’; canolò presuppone un*CANOLATUM a partire da canòlo (PATRIARCHI 37, e vd. pure BORTOLAN 58 canniolo e canuoloe veronese canòl in PIREW 1597), come canò di Anconitana 851 e SGAREGGIO F1r presupponeil lat. CANATUM, attestato nella documentazione coeva (MENEGAZZO 1969 [2001]: 316-317 enota 39). Vd. Piovana 1017 «e mi fuora per questo canolò», GIANCARLI Capraria 121 canolò‘graticcio’, MARCHESINI 4 (: piovò), BELLUORA 24v (: saccagnò : smaginò), Seconda Oratione 55«quando messier Iesum Dio fé el mondo, el ghe fé una bona passagia tra nu e igi [gli «stra-montani Toischi slanzacanele»], un canolò spesso e un bon sieve alto», dove la metafora delcanolò spesso rifunzionalizza rusticamente l’immagine illustre di PETRARCA RVF CXXVIII, 33-35 «Ben provide Natura al nostro stato, / quando de l’Alpi schermo / pose fra noi et la tede-sca rabbia», presente anche nella poesia politica cinquecentesca (cfr. per es. P. MARINI, Unautografo dell’Esortatione de la pace tra l’Imperadore e il Re di Francia di Pietro Aretino, in

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moschetta

TONIN Tas, poverom, che s’tu me vedes col stoc ì mà tu voltares i spalialla prima 14.RUZANTE Ti? Ti? Te sarissi bon ti a penzerme zò del truozo? Te no saris-si gnan bon a guardarme quanto te vorrissi. Puttana del cancaro, sepoesse vegnire... 15

TONIN Quant a’ só armat e che ’m guardi indol spech, la mia figura emfa paura a mi! Guarda co’ ’t faris ti! Va’ con Dè poverom 16.RUZANTE Mo viè zò ti e du altri, ti e tri, ti e diese, ti e to’ mogiere e tuo’figiuoli, ti e la ca’ co tutto, ch’a’ no me muoverè de peca. E sì a’ te ’l farèvêre inchina in Franza, al sangue del cancaro! Ti? Ti me faressi paura?Ti a mi? Mo a’ te perdono, che te n’hè mè vezù un om inzeregò e sco-rozzò. Mo viè fuora, a’ no te vuo’ lomè polir la schina co st’asta! Sì, a la

«Filologia e Critica» XXXI 2006, pp. 88-105, a p. 91). a’ sonerae na spingarda: la spingarda èun «pezzo d’artiglieria sottile e di piccolo calibro (in genere inferiore alle sei libbre di palla),bilicato su un cavalletto» (GDLI XIX 921 s.v. e CORTELAZZO 2007: 1298); per il significato e lacostruzione di sonare cfr. IV 4.14 Taci, poveretto, che se mi vedessi con lo stocco in mano volteresti subito le spalle.stoc: cfr. TIRABOSCHI 1297 s.v. stòc, CORTELAZZO 2007: 1319 e BOERIO 705 s.v. stoco. allaprima: «modo avv.: [...] A prima fronte; A prima giunta; Primieramente – Vale anche nel sign.di Subito» (BOERIO 535 s.v. primo; anche TIRABOSCHI 1034 s.v. prima).15 Tu? Tu? Saresti capace di farmi cedere il passo? Non saresti neppure capace di guardarmiquando volessi. Puttana del canchero, se potessi venire...Te sarissi bon ti a penzerme zò del truozo? lett. ‘saresti capace di farmi scendere dalla strada?’:cfr. Betìa 373 «perché a’ no si’ buoni per nu, / femene e uomeni quanti a’ si’ vu, / gniàn depénzerme del truozo»; cfr. in generale in C. RAO, L’argute et facete lettere [...], Vicenza, ErediPerin, 1596, c. 57r, dove i Bravi «fannosi far largo per le strade, urtano questo, e quello, e perpochi soldi fanno assai parole, e fatti zero». Qui il truozo designa più probabilmente lo «stret-to passaggio, corrispondente al nostro marciapiede, che consentiva di camminare rasente aimuri delle case, senza imbrattarsi» (ZORZI 1418). Per bon ‘capace’ cfr. III 83; per truozo ‘sen-tiero’ cfr. CORTELAZZO 2007: 1432, BOERIO 770 e CALMO Saltuzza 50 e nota 13 cui aggiungoSALVIONI 1894 (2008): 232. Puttana del cancaro: cfr. IV 2. se poesse: per se cfr. Nota al testo§ 1.1.2 nota 24.16 Quando sono armato e mi guardo allo specchio, la mia figura fa paura a me! Figurarsi quelche faresti tu! Va’ con Dio poveretto.Quant a’ só armat e che ’m guardi indol spech, la mia figura em fa paura a mi!: come rilevato daZORZI 1417-1418 e PADOAN 1998: 180, la stessa spacconeria è anche in CASTIGLIONE Corte-giano 48 (I libro, cap. XVIII) «ed un altro disse che non teneva specchio in camera, perchéquando si crucciava diveniva tanto terribile nell’aspetto, che veggendosi arìa fatto troppo granpaura a se stesso»; probabilmente per il tramite della battuta della Moschetta l’immagine tornanel prologo del Marescalco: «Ah, intemerata Madre di grazia, ahi benedetto Dio, ahi ciel stra-diotto, levami dinanzi quello specchio, ché la mia ombra mi fa paura: a mi, an?» (ARETINOMarescalco 8). Ma per Aretino avrebbe potuto contare, oltre a Castiglione, anche il preceden-te di Piovana 941 dove la spacconata ricorre pressoché identica: «tolìghe via i spiegi, a questù,che la so lombrìa no l’inspaurisce, a tuorghe el puliselo!» (cfr. qui Introduzione § 5). Più tardil’Arcibravo veneziano di Benedetto Corner testimonia la definitiva assimilazione dell’immagi-ne nel repertorio bulesco: «Mi no me vardo in specio quasi mai / perché tremo dal cao in finai pìe» (AGOSTINI 1997: 159); vd. anche LASCA Strega 744 «Guarti vigliacco, che l’ombra miami fa paura [...]!».

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ffe’! Cri’-tu che supia scorozzò? Mè sì, a’ no te sârae gnan menare! Motuò che arme che te vuo’ e vien fuora! 17

TONIN Quand tu sarè un om d’armi in s’ù caval com a’ só mi, e que tu’m domandi a combatter, a’ ’g vegnirò 18.RUZANTE Al sangue del cancaro, a’ son stò miegio soldò che ti n’iè ti,che son stò cao de soldò de squara, ch’aea diese barelle sotto de mi, chete no ghe n’hè mè bù tante, ti. E sì a’ son de maor parentò ca ti n’iè ti,che i mie’ n’ha mè portò le ceste co’ t’hè fatto ti; e sì a’ ghe zugarae che

17 Ma vieni giù tu con altri due, tu e tre, tu e dieci, tu e tua moglie e i tuoi figli, tu e la casa contutto, che non mi muoverò di un passo. E te la farò vedere fino in Francia, al sangue del can-chero! Tu? Tu mi faresti paura? Tu a me? Ma ti perdono, che non hai mai visto un uomo irri-tato e crucciato. Ma vieni fuori, ti voglio solo lisciare la schiena con quest’asta! Sì, parola mia!Credi che sia arrabbiato? Ma sì, non ti saprei neanche menare! Ma prendi le armi che vuoi evieni fuori!Mo viè zò ti e du altri, ti e tri [...], ch’a’ no me muoverè de peca: il progressivo infervoramento hanel climax («ti e du altri, ti e tri, ti e diese, ti e to’ mogiere e tuo’ figiuoli, ti e la ca’ co tutto»)un ovvio correlativo retorico; la costruzione un po’ meccanica di questa scena di litigio, rile-vata sia da ZORZI 1416 che da PADOAN 1998: 186, si regge infatti sui continui rilanci dei duecontendenti, aggressivi e pronti alla rissa solo a parole. Anche le zuffe reali, ad ogni modo,somigliavano «spesso ad un combattimento ludico, provocato da una iniziale serie di ingiurieo da schiamazzi» (CROUZET PAVAN 1991: 60). Per peca ‘pedata’, ‘orma’ (< PEDICA) cfr. MAGA-GNÒ Rime II 55r «A narghe drio a le peche con’ se fa / ai levoratti con’ l’è nevegà» e MAGA-GNÒ Rime III B5v; PIREW 6348, PRATI 123, CORTELAZZO 2007: 970, BORTOLAN 199 s.v. peche‘orme’, PATRIARCHI 142, BOERIO 485, NINNI II: 84 s.v. zèpega, RIGOBELLO 324 s.v. péga2 (e inpart. péca ‘orma del piede’ a Castagnaro). a’ te ’l farè vêre inchina in Franza: cfr. «inchina inFranza e in Tralia a’ responderae a tut’om» I 66; PADOAN 1998: 186 ha notato che la scenariprende varie espressioni della lite tra Ruzante e Tonin a I 54-72. un om inzeregò e scorozzò:per inzeregò cfr. VIDOSSI 1954: 444, PRATI 1951: 1062 s.v. zerigare, PRATI 85 s.v. inzeregà ‘inca-pricciato’ (così anche PATRIARCHI 113), PELLEGRINI 1987: 67 s.v. inzirigâ con la proposta del-l’etimo *INGYRICARE. BOERIO 354 e PATRIARCHI 113 hanno per inzeregarse solo il significato di‘conversare, praticare, usare in un luogo’, in MIGLIORINI - PELLEGRINI 38 inzeregar ‘irritare’(Villabruna); compresa la variante inzergà la parola conta altre quattro occorrenze nel CORPUSPAVANO, e aggiungi FIGARO I2r «bastonè da orbo inzeregò». Per scorozzò cfr. III 106. a’ note vuo’ lomè polir la schina co st’asta: per polir ‘lisciare’ cfr. PATRIARCHI 154 pulirse, TIRABOSCHI1007, GDLI XIII 751 polire. Per un’espressione simile con il significato di ‘bastonare’ vd. ad es.CARAVANA 34r «Potta! Sti zaffi mo i me l’ha dà piena, / mo basta, a galì ancora i no se fuora,/ che se Nico no ghe onze un dì la schena, / ch’el mio fin sia s’un ponte, o su una stuora». Mèsì: cfr. I 54.18 Quando sarai un uomo d’armi a cavallo come me, e mi chiederai di combattere, ci verrò.Quand tu sarè un om d’armi [...]: il botta e risposta delle battute 13-14 è echeggiato in Piova-na 985 «BERTEVELO: [...] Va’ con Dio, fradelo, che a’ no me vuò impazar con ti, che te no ièomo per mi. GARBUGIO: A’ son megior de ti int’agno conto», in una scena di rissa che ancheper altre battute attinge a questa della Moschetta (cfr. Introduzione § 7). Da qui deriverà forseanche la spacconata di Rabbioso in CALMO Travaglia 44 «Va’ va’, ch’io non mi degno di ragio-nar teco né manco con persone d’altra professione che d’armi»; analoghe ragioni di etichettamette avanti il capitano Trasimaco per evitare il duello con il parassita Gulone in DELLAPORTA Sorella 447-448 «A me non conviene por la mia autorità in bilancia con un par suo. Omolto indegno della grandezza dell’animo mio! [...] Poi, per non esser la sua profession d’ar-mi, vo’ che ceda l’impeto dell’ira alla ragione e alla nobiltà della mia creanza».

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ti no sè on’ ti è nassù e chi è to’ pare! E se ti no ’l sè e sì ti vuosi dire deparentò? 19

TONIN Tas, contra la fe’, martorel, trentacosti, battezat al albuol d’iporz! 20

19 Al sangue del canchero, sono stato un soldato migliore di te, dato che sono stato a capo disoldati in squadra e avevo al mio comando dieci barelle, che non ne hai mai avute tante, tu. Esono di famiglia più ragguardevole della tua, i miei non hanno mai portato le ceste come te; eci scommetterei che non sai dove sei nato e chi sia tuo padre! E se non lo sai vuoi poi parlaredi famiglia?a’ son stò miegio soldò che ti n’iè ti, che son stò cao de soldò de squara, ch’aea diese barelle sotto demi: la battuta allude ai trascorsi militari di Ruzante e precisamente, come notato da PADOAN1998: 189, a Parlamento 115 («mi a’ giera da drio, de cao de squara, de caporale»): viene sta-bilita insomma una continuità ‘biografica’ tra il Ruzante personaggio del Parlamento e quellodella Moschetta. Il capo squadra è ricordato come il più basso grado di comando in CITOLINITipocosmia 458. Con barella «Ruzante veut sans doute désigner les charrettes qui suivent cha-que compagnie» (MORTIER 1925: 168 nota 1): vd. GIANCARLI Zingana 407 «colù che m’ha porten la barella a l’ospedal d’i mag» (trad. “carriola”), CORTELAZZO 2007: 150 barella ‘biroccio’,BOERIO 64 (‘carretto con due ruote trasportato da un solo cavallo’) e RIGOBELLO 69 ‘barroc-cino’; in alternativa la parola potrebbe designare l’arnese, privo di ruote, «composto da untavolato [...] con due stanghe per i portatori o manovali: per il trasporto di materiale» (GDLIII 712). Escluderei il significato di ‘lettiga’ per il quale propendeva ZORZI 1418 (rinviandosenza ragione a DEI 439, che s.v. ha ‘barella per trasportare pietre o fieno’, attestato nel latinomedievale; mentre l’accezione di ‘lettuccio con due stanghe’ è datata da DELI 183 al 1840-1842). Diversi usi dell’oggetto anche in Ruzante: in Prima Oratione 203 la robusta contadinapavana «no se stracarae a cargare çento barele al dì» (con un significato quindi non militare),mentre in Betìa 165 la barela viene esplicitamente ricordata anche come mezzo di trasportoper persone: «Ch’a’ me sconvegnissi far portare / a ca’ cun la barela» (su una barella è tra-sportato un cadavere nella Bibbia volgare toscana: banca dati TLIO). de maor parentò [...] ceste:Ruzante rinfaccia a Tonin le umili origini, in omaggio a un diffuso pregiudizio antibergama-sco, e tiene a precisare che i propri genitori non hanno mai portò ceste, e quindi non sono maistati costretti al facchinaggio. Oltre a BOERIO 162 cestariol ‘portatore di ceste’ accluso daZORZI 1418, vd. di rincalzo PARABOSCO Fantesca 102 dove i nomi della gente umile sono«nomi da sacchi, da mezaruole, et da barche de fascine», Commedia di Saltafosso e Marcolinavv. 52-54 «Varda sto gramo, che da tutti quanti / vien bastonao, fin dai zestarioli, / e or si vantad’aver morti tanti» (DA RIF 1984: 146-147), CARO Straccioni 40 «To’ su la cesta» (a parlare èil ‘furbo’ e pezzente Marabeo, che si rivolge al compare Ciullo) e BIBBIENA Calandra 122 «FES-SENIO: Ti bisogna, in fine, esser facchino [...] CALANDRO: Oh! Tu hai ben pensato. Per amorsuo porterei e’ cestoni». e sì a’ ghe zugarae che ti no sè on’ ti è nassù e chi è to’ pare!: ancora piùinfamanti le accuse di non avere una famiglia ed essere figlio di una donna non sposata e dun-que, s’insinua, di facili costumi. E se ti no ’l sè e sì ti vuosi dire de parentò?: costrutto paraipo-tattico come a I 6.20 Taci, senza fede, martora, uccellaccio, battezzato al truogolo dei porci!Tas, contra la fe’, martorel, trentacosti, battezat al albuol d’i porz!: per martorel ‘martora’ (o ‘don-nola’) cfr. TIRABOSCHI 776 s.v. martor, BOERIO 400 s.v. martorèlo, NINNI I: 64 e II: 42. Nume-rosi i significati offensivi rammentati da ZORZI 1419: ‘meschino’, ‘subdolo’ (vd. l’annotazioneal nome Bilora in ZORZI 1379), ‘minchione’ (CAVASSICO II 378), ‘scimunitello’ (TIRABOSCHI776), e anche in CARAVANA 3r «quei martorei / dei Mori in Franza fè così gran pianto», dovel’appellativo è ugualmente sprezzante (così negli ess. ricavabili da CORTELAZZO 2007: 788 e DARIF 1984: 52 e 80). SCHIAVON 2006: 137-144 ha rilevato che la parola implica spesso un’allu-sione alla semplicità del contadino (vd. già MORTIER 1925: 168 nota 3 e ad es. LEGACCI DonPicchione 27 v. 446 «Chi non dirà ch’i’ fusse un martorello?», tradotto da Stangellini ‘un cam-pagnolo vero’). Il trentacosti è un uccello acquatico (Ardea Cometa) con «il becco lungo e la

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atto quarto

RUZANTE Te m’hè ditto porco? Mo a’ me l’arecordarè, che te no sarèd’agn’ora in ca’ de muro! Ch’a’ te farè pì menù che no fo mè ravazzolopesto! A’ te farè vêre che sto sponton ha bon manego, e miegio sora-manego 21.

piuma superiore nereggiante. Se ne uccide ne’ canneti delle valli ed è ottimo cibo» (così BOE-RIO 766 s.v. trentacoste); ma NINNI I: 113 registra trentacoste «Tarabusino. Ardetta minuta [...]Specie estiva e nidificante. Non si mangia» (stesso significato in NINNI II: 77 e ZORZI 1306nota 211 sul berg. trenzcost di Pastoral 175: «uccello palustre magro e incommestibile»); a unuccello simile potrebbe alludere pure l’insulto di Betìa 187 «sto anemal da palù». Cfr. A. PIGA-FETTA, Vocabolario ornitologico veneto, Padova, Istituto veneto di arti grafiche, 1975, p. 236s.v. trentacòste ‘tarabusino’; HYLLER GIGLIOLI 1907: 433 n° 307 trentacoste – ardetta minuta;F. CATERINI - L. UGOLINI, Dizionario dialettale italiano degli uccelli d’Italia, Firenze, Diana,1938, p. 323 s.v. trenta-coste; RIGOBELLO 501 trentacòste ‘tarabusino’; SALVADORI 1872: 243-244 s.v. ardetta minuta – tarabusino (registra trenta-cóst per il Veneto e treinta-cust per il bolo-gnese); VIDOSSI 1953: 385 e VIDOSSI 1954: 445: «è nome d’uccello, usato come ingiuria. Vicorrisponde in pavano strabùseno». Il valore offensivo dell’epiteto è riferito «a qualità mora-li» piuttosto che fisiche (come rilevato da Zorzi, il fatto che nella Pastoral l’insulto si indiriz-zasse al corpulento Ruzante esclude che potesse indicare solo una persona gracile e allampa-nata): vd. in tal senso il nome perdigiorni con cui l’uccello è designato nel basso Piemonte e aGenova (HYLLER GIGLIOLI 1907: 432-433). Paragoni ornitologici offensivi anche nella zuffatra villano e facchino dell’Egloga di Ranco e Tuognio e Beltrame: «quel mostazo che par d’unoselo» e «te semegi una grola, el m’è deviso» (DA RIF 1984: 123 e 124) e poi ancora in ODDIErofilomachia 365 «tu ghiottone, mergo». L’albuol d’i porz è il truogolo dei maiali (Betìa 469«albuolo de fero abogientè», MUSSAFIA Beitrag 25 s.v. albuol, TIRABOSCHI 64 albiòl ‘piccolotruogolo’, BOERIO 27 albuol da bever «ogni sorta di vaso dove bevono le bestie», RIGOBELLO46 àlbio).21 Mi hai detto porco? Ma me lo ricorderò, che non sarai sempre in una casa di muro! Ti smi-nuzzerò più di un’insalata lessa! Ti farò vedere che quest’arma ha buon manico, e sopramma-nico ancora migliore.in ca’ de muro: cfr. IV 8. Ch’a’ te farè pì menù che no fo mè ravazzolo pesto: per il verbo vd. inBOERIO 417 s.v. minùo la locuzione far minùo ‘sminuzzare’. Il ravazzolo pesto è forse da iden-tificare con un piatto «fatto di fogliette e broccoli e gallonzoli di rape lessate, poi conditi ecotti in tegame» (BOERIO 555 s.v. ravizze, e qui anche pestà come ravizze ‘tritato come ravez-ze’, vicino al nostro ravazzolo pesto); trovo il sostantivo solo in CALDERARI 41r «Che fustu sme-nuzà / pruopio co’ se smenuzza i ravazzuoli / e pestà pì menù che no è i tagiuoli» (immaginevicina alla nostra) e nell’antroponomastica (U. SIMIONATO, Cognomi padovani e antiche fami-glie di Padova e del suo territorio. Ricerca storico-linguistica sulle antiche famiglie di Padova edella sua provincia, Padova, tip. STEDIV, vol. II, 1999, p. 167 s.v. Ravazzòlo). Altre immaginianaloghe in Dialogo secondo 145 «s’a’ creesse d’esser fatto pì in sonde e in bocon che no fo mérao» e GIANCARLI Zingana 281 «a’ se ’on dò la man tuti du [...] da smenuzarse a muo’ ravi»(che peraltro potrebbe rielaborare questa battuta della Moschetta); minacce di tono simileanche nella letteratura bulesca: cfr. le Mascharate alla Bulescha de un Bravazzo chiamato Figaoel qual vol tor la vita a una sua Diva [...], Venezia, 1553, s.n.t., c. Aiv (British Library 1071 c65 17): «te voio far in pezzi, e più menua / che non se fa in lavezzo una ceoletta / [...] te taieròco se fa le ravizze / e dele tue buele farò salzizze», c. Aiiir «possa negarme quando vago in nave/ se no te pesto co se fa la salsa / se no te taio co se fa le rave» (il testo anche in DA RIF 1984:160 e 164); nella Verra antiga di Caràvia «El vegniva pestao como ravizze» (CORTELAZZO 2007:1086); nell’Arcibravo veneziano «el se fè in pì pezzi, e insì menuzzi / ch’a far menestra non sefa i capuzzi» (AGOSTINI 1997: 160; si noti anche qui l’assimilazione del corpo dell’avversarioa una verdura tagliata, i capuzzi); in DELLA PORTA Sorella 426 «minuzzò il capitano con tuttala birraria». Per l’accentazione di pesto vd. Pr. 3: in questo caso, comunque, gli ess. da BOE-RIO, da Caràvia e da CALDERARI renderebbero altrettanto difendibile pestò. sto sponton ha

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moschetta

TONIN Te no m’aspetterè po, s’a’ ’n vegni po 22.RUZANTE A’ te vuo’ pagare la collation... e viè via! 23

TONIN Se ti è om da bé, no ’t partì’ fì che no vegni. [si allontana dal bal-cone] 24

RUZANTE Viè via, inchina da mo’ a’ no me partirè. A’ me vuo’ tirareindrio, che gh’in’ vuo’ dar tante... A’ vorrae ben vontiera ch’el ghe foes-se qualcun che stramezasse, ch’a’ no vorrae ch’a’ s’ammazzessàno. A’vuo’ fare bon anemo, e pì ca morire una fiè... Vien-tu? [vede che Toninè di nuovo al balcone] Ti è tornò al balcon? Te no vien? Mo crezi che tel’hè indivinò! Agno muo’ te la può slongare, ma no fuzire 25.TONIN A’ no ’m voi insanguanà’ i mà in sango de villà traditor 26.

bon manego, e miegio soramanego: per sponton cfr. II 23; il manego è l’impugnatura della spada(vd. BOERIO 393 s.v.), mentre il soramanego è la mano di Ruzante: cfr. PATRIARCHI 187 sora-manego ‘superiore, direttore’, MAZZUCCHI 249 soramànego ‘esperienza’, MIGLIORINI - PELLE-GRINI 103 soramanego ‘mano’, PAJELLO 265 aver soramanego ‘essere esperto’; con significatonegativo in BOERIO 675 cativo soramanego «uomo che abboraccia il mestiere» e NINNI II: 70soramanego «chi lavora con un istromento e a questo dà la colpa dell’opera malriuscita».22 Non mi aspetterai, se poi vengo.Le battute 17-18 sviluppano un altro momento ricorrente nelle zuffe dei bravi; cfr. nella Bule-sca il botta e risposta tra Fracao e Bule «F.: Si vegno zò, ti te farà neto. B.: Vien zò, ti ’l vederàforsi cha no» (DA RIF 1984: 74 vv. 480-481).23 Ti voglio pagare la colazione... e vieni via!A’ te vuo’ pagare la collation... e viè via!: l’offerta della colazione è minacciosa, come l’invito «Sevieni fuora pagherò uno deretale di vino tra me (e) te» in MARCHESCHI 1983: 62 (n° 214,1368).24 Se sei un uomo dabbene, non te ne andare finché non vengo.25 Vieni via, non me ne andrò di certo. Voglio tirarmi indietro, che gliene voglio dare tante...Vorrei bene che ci fosse qualcuno a dividerci, non vorrei che ci ammazzassimo. Voglio avercoraggio, e più che morire una volta... Vieni? Sei tornato al balcone? Non vieni? Credi chel’hai indovinata! In ogni modo la puoi tirare in lungo, ma non sfuggirmi.inchina da mo’: cfr. I 1. vontiera: cfr. ontiera a III 72. che stramezasse: cfr. BOERIO 710 stra-mezar ‘mettersi in mezzo, Interporsi per lo bene fra’ contendenti’ e destramezare a Pr.15. fare bon anemo: anemo ‘ardire, ardimento’ in BOERIO 36; cfr. berg. fà’ ù bó anem a I24. te la può slongare, ma no fuzire: cfr. BOERIO 665 slongarla ‘appor code a code, vale Andarin lungo’, MIGLIORINI - PELLEGRINI 101 slongarla ‘andare per le lunghe’. Per il proverbioZORZI 1419 acclude dal Naspo bizaro «Slongarla sì, ma scapolarla necio / (parlando talian eschiavonesco)» (in VIDOSSI 1960: 69-70 nota 114); vd. anche nelle Dieci Tavole dei Proverbi«Tu la puoi slongar, ma scapular no, che la non te sia callata» (CORTELAZZO 2007: 1258), ODDIErofilomachia 306 «quel che ha da essere si può prolungare, ma scampar no», BOLLA A7v«Ben tu la puoi prolongare, ma non scappare» e il motto pantalonesco «ti la puol slongar, mano scapolar» (SPEZZANI 1997: 66, Pantalon Imbertonao di Briccio).26 Non mi voglio insanguinare la mani nel sangue di un villano traditore.A’ no ’m voi insanguanà’ [...]: per il verbo cfr. TIRABOSCHI 671 e RIGOBELLO 239 insanguanà(aggettivo). La battuta viene ripresa dallo smargiasso Rabbioso alle prese con il villano Gian-da – che lo picchierà però di santa ragione – in CALMO Travaglia 148: «Io non mi degno diinsanguinar le mie arme nel sangue di persona così vile» (per un’altra corrispondenza tra laparte di Rabbioso e queste battute di Tonin cfr. IV 13).

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RUZANTE Villan mi? Deh, potta del cancaro, che no sbatterè zò st’usso? 27

TONIN Ca sì s’ti sbreghi ch’a’ ’t darò dol pà de sà Steffen per ados! 28

RUZANTE Doh megiolaro, no trar prì! 29

TONIN Doh villà, no scarpà’ lì! 30

RUZANTE Doh megiolaro, no trar prì! 31

TONIN Doh villà, no scarpà’ lì! 32

RUZANTE S’te trè prì... 33

TONIN S’te scarpi lì... 34

RUZANTE Che sì s’el no me viè a manco le prì, ch’a’ te sborirè de lì! per-qué t’è soldò... 35

27 Villano io? Deh, potta del canchero, forse che non butterò giù quest’uscio?28 Sta’ certo che se butti giù la porta ti colpirò con il pane di santo Stefano!Ca sì s’ti sbreghi ch’a’ ’t darò dol pà de sà Steffen per ados: per ca sì (che) ‘proprio, certo’ cfr. I 56;per sbregà’ cfr. IV 8. Pà de sà Steffen ‘pietre’ allude al martirio di santo Stefano avvenuto perlapidazione (ZORZI 1419): altri ess. dell’espressione in BELANDO 1588: 57r «un cavazzal de pande san Stefano» e 100r «ita che s’havesse la gratia de quell’Asino de Mida el mio metamorfo-so se converterave in pan de san Stefano», BOLLA C2r «Dagli del pane de sancto Stephano»(senza spiegazione). Vd. pure FOLENGO Baldus III 130 «et magis atque magis Stephanus tem-pestat ab alto» e nota; allude allo stesso martirio CALMO Rodiana 119 «volerme far un san Ste-fano cum lapidibus». Si noti la costruzione sintattica dare di, anche a III 12 (menare di).29 Battute costruite sulla ripetizione di parole o espressioni minacciose, che rimbalzano daRuzante a Tonin con un tono di voce via via più alto, mentre i due tentano di sopraffarsi senon altro a suon di smargiassate. La stessa tecnica presiede alla scena di zuffa di Piovana 985(già ricordata a IV 13): «BERTEVELO: Doh, laga la mia soga! GARBUGIO: Doh, laga ’l tasco. BER-TEVELO: No tirare e fa’ ben. GARBUGIO: No portar via e fa’ miegio ti. BERTEVELO: A’ proverónchi tirerà pì. Laga! GARBUGIO: Laga ti. BERTEVELO: A’ te... GARBUGIO: A te... a ti» (paragrafi211-216 ed. Zorzi; vd. Introduzione § 7).Doh facchino, non tirare pietre!megiolaro: lett. ‘bicchieraio’, ‘venditore di bicchieri’, ossia ‘facchino’, ‘miserabile’ (efficace-mente reso con «polentone» da ZORZI 1951: 77); per l’etimo (MODIOLUS) e altri riscontri cfr.PRATI 105 s.v. mogiuolo; vd. anche Pastoral 139 berg. miuol ‘bicchiere’, Prima Oratione 199,Piovana 929 (mogiuoli traduce il lat. poculis), MAGAGNÒ Rime II 57r migiuolo. I megiolari«erano [...] venditori ambulanti, di origine evidentemente lombarda i quali, muniti di gerlesimili a quelle usate dai facchini [...], andavano di villaggio in villaggio a vendere le loro mer-canzie ai contadini»; «al tipo del megiolaro bergamasco risale, a mio parere, la linea genealo-gica dell’“Harlequin verrier”, cioè dell’Arlecchino venditore di bicchieri [...] attestata da qual-che documento iconografico» (ZORZI 1372-1373 nota 56; per l’iconografia vd. F. NICOLINI,Vita di Arlecchino, Bologna, il Mulino, 1993 [rist. anast. dell’ed. Milano-Napoli, Ricciardi,1958], p. 184 fig. 4). In Piovana 959 Garbinello fa credere a Resca che Siton, «catò una serain ca’ d’una puta, figiola d’un migiolaro», sia stato sul punto di contrarre un matrimonio pococonveniente.30 Doh villano, non rompere lì!no scarpà’ lì: ossia ‘non rompere la porta’: cfr. TIRABOSCHI 1165 s.v. scarpà ‘rompere, lacerare’e RIGOBELLO 404 scarpàr2 ‘rompere tirando’.31 Doh facchino, non tirare pietre!32 Doh villano, non rompere lì!33 Se tiri pietre...34 Se rompi lì...35 Sta’ certo che se non mi vengono a mancare le pietre, ti farò saltar fuori di lì! perché sei sol-dato...

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TONIN Ca sì s’a’ ’l no ’m vé al manc i sas, ch’a’ ’t cazzerò i pedoch delcò! 36

RUZANTE Orsù, a’ no me vuo’ gnan fare smattare! A’ vuo’ aere pì celi-brio che te n’hè ti. Mo agno muo’ a’ te farè, s’a’ no guardasse per altrica per ti 37.TONIN Te ’m guardi alle mà? 38

RUZANTE Alle tuo’ man mi? Chi m’arae tegnù ch’a’ n’aesse sbregò? 39

TONIN Chi m’araf devedat ch’a’ no t’aves dat sul cò? 40

RUZANTE Arecordate che te m’hè ditto porco! 41

TONIN Arecòrdetel pur ti 42.RUZANTE A’ me l’arecorderè, mo vi’, no me far pregare ch’a’ faghe lapase, né de guerra. Crezi ch’a’ ’l m’è montò la zamara, ch’a’ no faraepase co Rolando! 43

Che sì: cfr. ca sì a IV 23 e commento a I 56. sborirè: cfr. CORTELAZZO 2007: 1177, BOERIO 609e RIGOBELLO 396 sboràr ‘cacciare la lepre dalla macchia’.36 Sta’ certo che se non mi vengono a mancare i sassi, ti caccerò via i pidocchi dalla testa!a’ ’t cazzerò i pedoch del cò: con le sassate che toccheranno a Ruzante se non si ritira (per la dif-fusione dei pidocchi cfr. spiochiava I 7 in Parlamento 131 l’appellativo peogioso con cui Gnuasi rivolge a Ruzante). Espressioni simili per designare bastonate o percosse in LEGACCI DonPicchione 5 v. 41 «gli è forza ch’i’ le scuota le tignuole», 32 v. 521 «ch’i’ gli ho scosse le pulceper un tratto», 43 vv. 696-697 «Scuotar fegli anco el mantello / da le pulci col bastone»; a p.31 vv. 499-500 sempre in riferimento all’intenzione di picchiare qualcuno: «Dagli, s’tu hai afar, con discrezione, / se non gli stroppiarai qualche pidocchio».37 Su, non mi voglio neppure far ridere dietro! Voglio avere più cervello di te. Ma in ognimodo mi occuperò di te, fosse l’ultima cosa che faccio.a’ no me vuo’ gnan fare smattare: cfr. Pastoral 189 «Deh, Cristo, mo a’ crezo che ’l me smate»,Betìa 387 «per no me far smatare», MAGAGNÒ Rime I 50r «No crere ch’a’ te smatta», MAGA-GNÒ Rime II 26v «Guarda sta zotta che par che me smatta», MAGAGNÒ Rime III I6r «El n’èmo’ ch’a’ ve smatta», SGAREGGIO A3r «A’ no m’acorzo ben mi, ch’in tra la zente / a’ sonsmatò», FIGARO F1r «a’ ve smatto», TUOGNO ZAMBON 64, 93 (vd. anche «no me voio far tra-tar da mato» in LIPPI 1997 [2003]: 211 v. 141); BOERIO 666 farse smatàr ‘far far beffe di sé’,RIGOBELLO 446 !matàr ‘diffamare’. celibrio: cfr. cilibrio I 23. a’ te farè lett. ‘ti farò’, varrà‘con te me la sbrigherò’, ‘mi occuperò di te’ (con connotazione minacciosa). s’a’ no guardas-se per altri ca per ti: guardare avrà un significato oscillante tra quello di ‘badare a qualcosa’,‘preoccuparsene’ e quello di ‘attendere, aspettare’ (entrambi antichi, e contigui in GDLI VII11317-18).38 Mi guardi alle mani?39 Alle tue mani io? Chi m’avrebbe impedito di rompere (la porta)?Chi m’arae tegnù ch’a’ n’aesse sbregò?: per la costruzione con tegnir cfr. IV 2; per sbregare cfr. IV 8.40 Chi mi avrebbe vietato di colpirti in testa?Chi m’araf devedat ch’a’ no t’aves dat sul cò?: cfr. la minaccia di IV 31; per devedat vd. «Che i ve’po de so’ i to pareg / A devedam che’n digi quesg me’ mog» (CORTI 1974 [1989]: 289 v. 4) eCALDERARI 57r deveà ‘vietato’; GDLI IV 870 s.v. divietare, CORTELAZZO 2007: 466 s.v. devedàr.41 Ricordati che mi hai detto porco!Arecordate [...]: stessa movenza in Betìa 211 «BAZARELO: Arecòrdate che te m’he dò. BARBASCATI: Mo arecòrdetelo pur ti». te m’hè ditto porco: cfr. IV 15-16.42 Ricordatelo anche tu.43 Me lo ricorderò, ma guarda, non mi far pregare che faccia la pace, né la guerra. Credi chemi è montata una furia, che non farei pace con Orlando!

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TONIN Va’ con Dè, va’ co’ andè ol pret da Marà! A’ voi dà’ met s’a’ ’l setol via da ca’, ch’a’ ’n voi andà’ in ca’ dalla fomna 44.

a’ ’l m’è montò la zamara: non mi persuade la spiegazione di MORTIER 1925: 170 nota 3 «Pro-bablement pour cimurro, que les vénitiens prononcent zamoro. Sorte de coryza du cheval, etfig. humeur fantas[ti]que, colère. Peut-être aussi forme alteré de smara, le spleen vénitien»(stessa soluzione prospettata più tardi e più autorevolmente da CORTELAZZO 1970: 232-233,che raccoglie la nostra attestazione s.v. smara). Tra smara e zamara la differenza non è trascu-rabile, e l’unico significato accertabile per il secondo lemma resta quello di ‘cornamusa’: ess.in MILANI 44 (‘zaramelle’), Betìa 257 «né de le zamare / a’ ghe perdea bota nesuna» (insoddi-sfacente la traduzione di Zorzi: «né del carolare / perdevo mossa alcuna») e MIGLIORINI - PEL-LEGRINI 122 zamara ‘strumento musicale’; GDLI XXI 1048 intende zamara ‘antico strumento acorde pizzicate’ sulla base di un solo es. di Citolini che include tra gli strumenti «di corde diNervo» «l’arpa, la zamara, il saltèro, il decacordo, il barbito, il feníco, il pèttido, l’indico, ilpanduro» (CITOLINI Tipocosmia 494); ma deve trattarsi di un errore d’autore, a meno di nonsupporre due significati tanto diversi per la stessa parola (in MILANI 278 v. 22, per altro, lostrumento è metafora del membro virile, ciò che esclude ancor più nettamente l’ipotesi chepossa trattarsi di un’arpa). Decisivi per l’identificazione anche vari passi di Villabruna: «AlSanti de Vanghet, se nol fos tant / che stà piccada al trau / arsurada al pivel la me zamara»(MIGLIORINI - PELLEGRINI 130), da cui s’intende che la zamara sta appesa a una trave ed èasciutta sull’imboccatura (arsurada al pivel) perché inutilizzata (in BOERIO 514 piva è «quellacannetta con cui si dà fiato alla Cornamusa o simili», e così PRATI Vals. 133 pivèla e QUARESI-MA 328 pivèl); «E sebben la zamara è arsurada, / in dì, che se tra jà bozze e boccai / voi spifa-rar fino che canta i gai» (MIGLIORINI - PELLEGRINI 128), dove la zamara è di nuovo arsurada eil suo suono è lo spifarar (su queste occorrenze vd. anche PELLEGRINI 1979 [1992]: 201 nota29 e PELLEGRINI 1966-1976 [1977]: 263). L’etimo (MARCATO 1982: 182) viene indicato nell’ar.zammara ‘specie di flauto a due canne’, con continuatori meridionali (G.B. PELLEGRINI, Gliarabismi nelle lingue neolatine con speciale riguardo all’Italia, Brescia, Paideia, 1972, vol. I, p.183, s.v. zammara, con il calabrese zammára ‘grosso membro virile’ che fa il paio con la metafo-ra fallica documentata in MILANI 278). Le cose non cambiano – e anzi la pertinenza visiva del-l’immagine è maggiore – se a zamarra si attribuisce il significato primo di ‘sacca’, ‘borsa dicuoio’ (il sacco della zampogna): si vedano i materiali e la diversa ipotesi etimologica reperi-bili presso COROMINES VII 645 e COROMINAS - PASCUAL VI 56 ss. L’immagine ruzantiana (checerto allude all’ira) potrebbe riferirsi quindi, piuttosto che al cimurro o alla malinconia, alrigonfiarsi dello strumento; è ben viva del resto la metafora opposta, quella di chi si ritira delu-so e torna – appunto – con le pive nel sacco (tra le più antiche attestazioni dell’immagineFOLENGO Baldus II 35-36 «[...] redeunt, ut fertur, habentes / in saccum pivam» e ancor primail sonetto dello Strazzòla «Metter bisogna ogniun le pive in sacco» [Modena, Biblioteca Esten-se Universitaria, ms. a. G. 6. 13, c. 257v]; in MAGAGNÒ Rime III K1v «laga star la piva in locarniero» con il significato letterale ‘non cantare’). Accezione analoga del solo montare nel-l’Arcibravo veneziano «L’altra matina, in Pescarìa, a bon’ora, / vinni a parole con un compra-vendi / che de çerte sardele in salamora / me disse: “bestia, ti non te n’intiendi”. / Mi la memonta e te ghe spùo in la fazza / e sì l’aniego là co una spuazza» (AGOSTINI 1997: 167) e anco-ra in PITTARINI 1960: 116 «la ghe monta» ‘va in collera’; vd. con lo stesso significato anche sali-re in ARETINO Marescalco 59 «Or non far sì che il nostro si sdegni, ché se bene assai indugia,come la gli sale, non ci giovano bagattelle» e vegnir su nel Pantalon spetier di Mondini: «Tasi,caro cagao, che ti me l’ha mo debotto fatta vegnir su» (SPEZZANI 1997: 109). Si noti per finirela concordanza tra montò e zamara, simile a quella discussa con altri ess. nel commento a Pr.1. Rolando: già evocato a I 1 e I 54 (Rolando da i stari, su cui vd. commento).44 Va’ con Dio, va’ come andò il prete da Marano! Voglio stare a vedere se esce di casa, chevoglio andare in casa dalla donna.va’ co’ andè ol pret da Marà: è il prete Bortolo da Mortegliano, che il 12 dicembre 1513 conse-gnò la fortezza friulana di Marano agli imperiali con uno stratagemma, e pagò il tradimentocon un terribile supplizio: colpito più volte con la mannaia dal carnefice fu poi appeso, anco-

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RUZANTE Né pase né gnente! El m’ha ditto porco! 45

[Scena quarta]MENATO e RUZANTE

MENATO Compare? Compare! Mo que noella? Que vuol dire stearme? 46

RUZANTE Compare, a’ no volea gnan altri ca vu 47.MENATO Mo son chialò, mi 48.RUZANTE Quel soldò bregamasco è-llo vostro amigo? 49

MENATO L’è me’ amigo per certo 50.RUZANTE Féghe dire le messe de san Griguolo 51.MENATO Perqué? È-llo morto? 52

RUZANTE No, el vuo’ mazzare mi 53.MENATO No fé, cancaro! Qué ve volì-vu deroinare de sto mondo? 54

ra vivo, alle forche, dove venne finito a sassate dalla popolazione (proprio alla lapidazioneTonin ha alluso a IV 23). Il brano sanudiano che dà conto dell’orribile esecuzione pressoZORZI 1420 con altre indicazioni bibliografiche; vd. anche VENUTI 1992 sulla tentata ricon-quista di Marano (in part. p. 19 e nota 1 con maggiori particolari desunti dagli Annali del Friu-li del Di Manzano). A Marano ha forse combattuto lo stradiotto Floricchi secondo quantoriferito in CALMO Spagnolas 42 (ma resta qualche dubbio, dato che nella stampa si legge Mala-no). dà’ met: cfr. II 22.45 Né pace né niente! Mi ha detto porco!46 Compare? Compare! Ma che succede? Che vogliono dire queste armi?47 Compare, volevo proprio voi.48 Ma sono qui, io.49 Quel soldato bergamasco è vostro amico?50 È mio amico di certo.51 Fategli dire le messe di san Gregorio.le messe de san Griguolo ossia ‘le messe per i morti’: vd. ZORZI 1420 nota 131, con ess. da Boc-caccio, Motti e facezie del Piovano Arlotto, Aretino, Doni, Caràvia e un rinvio a VIDOSSI 1960:523-530: 529 e nota 25: «sono messe per il morto (di solito 30, ma anche 40), da leggersi ingiorni consecutivi, possibilmente dallo stesso sacerdote». Forme simili a Griguolo sono rac-colte da ASCOLI 1878a: 280.52 Perché? È morto?53 No, lo voglio ammazzare io.el vuo’ mazzare: per i problemi sintattici posti da el cfr. Nota al testo § 1.1.2 nota 24.54 Non fatelo, canchero! Perché vi volete rovinare completamente?No fé: l’effetto di stranezza derivante dalla mancanza del clitico (non «no félo», ma «no fé»)deriva dalle proprietà sintattiche antiche di fare (qui verbo vicario, vd. III 85), che è in grado,al contrario di quanto accade nell’italiano attuale, di copiare tutta la struttura verbale sosti-tuita (e dunque qui fare equivale effettivamente a ammazzarlo della battuta precedente). Sivedano i casi identici desumibili ad es. dalla Commedia di Malpratico di Francesco Cieco daFerrara «Non far marito mio, sta’ un poco saldo» (A. STUSSI, Una «commedia» di FrancescoCieco da Ferrara [1979], in ID., Studi e documenti di storia della lingua e dei dialetti italiani,Bologna, il Mulino, 1982, pp. 183-217: 195), da CECCHI Assiuolo 878 «RINUCCIO: “Che male?si stare’ fresco, se ogni volta che e’ si vede un giovane e una donna parlare insieme e’ si pen-sasse male!” AGNOLA: “O non fate, messer Rinuccio!”» e BARGAGLI Pellegrina 472 «CASSAN-

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atto quarto

RUZANTE A’ vuo’ combatter co ello, tuogia pure que arme ch’el vuole 55.MENATO Oh compare! Le arme n’è per agnon! 56

RUZANTE Que compare? La paura è spartìa: a’ n’he paura d’ello, mi 57.MENATO No! Mo no saì-u che le desgratie è aparachiè? El Diavolo èsottile, e assè fiè un poltron amazza un valentomo! 58

RUZANTE Mi, compare, a’ vuo’ combattere co ello per el me’ anore 59.MENATO L’è miegio viver poltron ca morir valentomo, no saì-vu com-pare? 60

RUZANTE Compare, a’ vuo’ combattere, e sì a’ he piasere ch’a’ ghe sipiéperqué a’ stramezarì. Perqué a’ ve dirè compare: con’ a’ meno tre oquattro botte a’ me orbo, ch’a’ perdo la vista, ch’a’ son co’ è i cavagi chetira, che se orba. E perzòntena a’ vuo’ ch’a’ stramezé 61.MENATO È-lla gran defferientia, che la no se posse conzare? 62

DRO: “[...] son risoluto di voler provar quello che sappia fare una pellegrina che m’è statamessa innanzi”. TERENZIO: “Non fate. Sarà qualche muliercula venefica”». deroinare de stomondo: cfr. deroinò del mondo a I 1.55 Voglio combattere con lui, prenda pure le armi che vuole.56 Oh compare! Le armi non sono per tutti!57 Che compare? La paura se n’è andata: non ho paura di lui, io.è spartìa: cfr. CORTELAZZO 2007: 1287 spartìo ‘partito’, BORTOLAN 267 spartita ‘dipartita’ eBOERIO 683 spartirse ‘allontanarsi da un luogo’.58 No! Ma non sapete che le disgrazie sono in agguato? Il Diavolo è astuto, e molte volte unpoltrone ammazza un valentuomo!El diavolo è sottile: cfr. III 68. poltron: cfr. Pr. 8. valentomo: cfr. I 24.59 Io, compare, voglio combattere con lui per il mio onore.anore: cfr. III 89.60 È meglio vivere poltrone che morire valentuomo, non lo sapete compare?L’è miegio viver poltron ca morir valentomo, no saì-vu compare?: vd. Prima Oratione 207 «l’èmegio vivere poltron ca morire valent’omo»; motto ripreso in GIANCARLI Zingana 259 «altemp d’adèss l’è mei esser vivo un poltró... que poltró? e’ dig un poltronazz, que mort unvalentom» (sul passo cfr. ora LAZZERINI 2006: 63, per la dichiarata estraneità alla guerra checaratterizza la figura del paduanus fin dalla sua prima apparizione letteraria nella tenzone tri-lingue). Secondo PADOAN 1998: 189 «quel rinfaccio sarcastico di Menato “No saìvu, compa-re?” non può che essere riferito a quel che il reduce aveva asserito nel Parlamento» e cioè che«chi sa defendere la so vita, quelù sea valent’omo» (Parlamento 117).61 Compare, voglio combattere, e in più mi fa piacere che ci siate perché ci dividerete. Perchévi dirò compare: quando meno tre o quattro colpi mi acceco, perdo la vista, perché sono comei cavalli che tirano, che si accecano. E quindi voglio che ci dividiate.a’ stramezarì: cfr. IV 20. a’ me orbo [...] i cavagi che tira, che se orba: Ruzante si riferisce all’ac-cecamento indotto dall’ira (in BOERIO 454 orbarse da la passion), e riconduce la nozione astrat-ta a un’immagine naturale, quella del cavallo da tiro cui vengono coperti gli occhi perché nons’imbizzarrisca. In Dialogo facetissimo 75 analogo paragone animale: «Vi’, compare, se mé veacazisse che a’ fassam custion, tolive pur via perché a’ no cognosso negun, mo a’ son con è unçiengiaro abavò, ché a’ corro adosso a tutti». perzòntena: cfr. Pr. 16.62 È una così gran lite, che non la si possa sistemare?defferientia: cfr. Betìa 339 «che deferinçia / è quela ch’a’ sento tra vu?», LIPPI 1997 (2003): 206v. 70 «Bestie, che deferentie sé mo queste?» e per il toscano INGANNATI 252, GELLI Sporta 671,691 e PERSIANI 2004: 71 e 98; PAJELLO 71 diferense ‘dispiaceri o disgusti’, QUARESIMA 145 s.v.diferenza ‘dissidio’ (con l’es. I ga de le diferenze ntra fradèi per amor de la redità). conzare: cfr.

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moschetta

RUZANTE Mo l’è stò, que l’è stò quelù ch’ha fatto vegnire quigi che m’haarsaltò, che me tuosse la vostra gonella. E mi a’ ghe vuo’ far vêre che giè poltron tutti, a un a un, a du a du, a tri a tri, a diese a diese! 63

MENATO Mo compare, arecordéve ch’el gh’è bon stare sul Pavan! A’v’andarì a deroinare del mondo, e andar malabianto. E po compare a’saì pure ch’a’ se cognosson... 64

RUZANTE A bel patto a’ vuo’ combatter adesso 65.MENATO Aldì compare, a’ saì pure ch’a’ v’he sempre consegiò ben! L’ède botto sera: laghé ch’el sipia inscurìo, ch’a’ torron delle arme vu e mi,e sì a’ ’l faron fuora. Andon a ca’, inchina ch’el sia inscurìo 66.RUZANTE Andon, ch’a’ vuo’ fare el vostro consegio 67.MENATO Andon 68.

conzarla a III 132; la locuzione in Betìa 339 «a’ conzerón la difirinçia ivelò», Seconda Oratio-ne 217 «che conçiessi ste defferinçie», Fiorina 765 «conzare la desferinzia de to figliuolo coMarchioro», CALMO Travaglia 244 «se cunza le defferenzie presto», FIGARO B2v «sta deffe-lientia a la conzerò mi».63 Ma è stato, che è stato lui che ha fatto venire quelli che mi hanno assaltato, che mi hannorubato la vostra veste. E io gli voglio far vedere che sono poltroni tutti, a uno a uno, a due adue, a tre a tre, a dieci a dieci!Mo l’è stò, que l’è stò quelù [...]: conservo il testo della stampa, supponendo nella battuta un’e-sitazione tipica del parlato; è ben probabile tuttavia che nel segmento «L’è stò, que l’è stòquelù» si abbia una diplografia originata dal semplice «L’è stò quelù». l’è stò quelù [...], cheme tuosse la vostra gonella: ricordando il presunto furto della veste (cfr. III I, II, III) Ruzanteintende istigare Menato contro Tonin. a un a un, a du a du, a tri a tri, a diese a diese: cfr. IV12 per una gradatio simile; vd. Seconda Oratione 57 «a’ ghe gi aon laghé vegnire a un a un, atri a tri, a diese a diese, tanto che i gi ha imparò, sbusò e sbregò el vaon».64 Ma compare, ricordatevi che si sta bene nel Pavano! Andrete a rovinarvi completamente, efinirete a vagabondare. E poi compare sapete pure che ci conosciamo...el gh’è bon stare sul Pavan: tema ampiamente sviluppato in Prima Oratione 197-205 (§§ 5-24). A’ v’andarì a deroinare del mondo, e andar malabianto: per deroinare del mondo cfr. I 1,per malabianto cfr. Pr. 14. Menato impiega parlando a Ruzante le stesse espressioni che avevariferito a sé stesso nel proprio monologo d’apertura (I 1). Vd. anche l’avvertimento di Taçìo aNale in Betìa 375 «te vuotu desfare / e andar in bando / e a malabiando / a muò un can? /Arecòrdate che sul Pavan / el gh’è bon stare» (sull’istituto del bando in questi anni cfr. GAL-TAROSSA 2005: 41-42). a’ saì: cfr. Nota al testo § 1.1.2.65 In ogni modo voglio combattere adesso.A bel patto ‘in ogni modo’, ‘a ogni costo’, in opposizione a a nessun mal pato ‘a nessun costo’(MAZZUCCHI 172); vd. anche ROVIGIÒ E4v de bel pato ‘certamente’.66 Sentite compare, sapete pure che vi ho sempre consigliato bene! È quasi sera: lasciate chefaccia buio, prenderemo le armi voi e io, e lo faremo fuori. Andiamo a casa, finché fa buio.L’è de botto sera: la precisazione di Menato preannuncia il notturno dell’atto successivo erisponde alla preoccupazione di mettere ben in evidenza la struttura regolare della commedia,che si svolge nell’arco di un’intera giornata dal mattino alla notte; stessa movenza in GIAN-CARLI Capraria 133 «Mo te te puo’ ben infiare de mi! E vieme drio al culo, e camina, che l’èdeboto sera» (battuta che rielabora per altro alcune di quelle di Menato sul principio del quin-to atto; cfr. anche nota della Lazzerini). Per de botto cfr. CORTELAZZO 2007: 440, BOERIO 221e RIGOBELLO 93.67 Andiamo, che voglio seguire il vostro consiglio.68 Andiamo.

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atto quarto

RUZANTE [accennando a tornare verso la casa di Tonin] Caro compare,lasséme buttar zò st’usso 69.MENATO No fé, compare! Andon a ca’ 70.RUZANTE A’ vuo’ fare el vostro consegio 71.MENATO Mo andon 72.RUZANTE Laghéme buttar zò st’usso, caro compare 73.MENATO No fé, compare! Andom a ca’ 74.

69 Caro compare, lasciatemi buttar giù questa porta.lasséme buttar zò st’usso: come voleva fare a IV 22; ripeterà la minaccia anche a IV 68.70 Non fatelo, compare! Andiamo a casa.No fé: cfr. IV 49.71 Voglio seguire il vostro consiglio.72 Ma andiamo.73 Lasciatemi buttar giù questa porta, caro compare.74 Non fatelo, compare! Andiamo a casa.No fé: cfr. IV 49.

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ATTO QUINTO

[Scena prima]RUZANTE e MENATO

RUZANTE Compare, a’ dirè ch’a’ no andassan 1.MENATO Andon, potta de chi ve fè! Dasché aì paura? 2

RUZANTE A’ n’he paura, mo a’ m’he pensò: s’a’ catessan i zaffi, e che i nepigiasse e incrosarne le brazze co’ se fa le ale a gi ocatti, que dissé-vu? 3

1 Compare, direi che non andassimo [a cercare Tonin].a’ dirè ch’a’ no andassan: la battuta presenta un’inversione dei ruoli rispetto alla chiusa dell’at-to IV. L’ira di Ruzante è già svaporata, cedendo il passo ai timori e alla paura della spedizionenotturna.2 Andiamo, potta di chi vi fece! Da quando in qua avete paura?potta de chi ve fè: cfr. II 41. Dasché: solo in BORTOLAN 87, con il significato ‘dopoché’ ina-datto al nostro contesto; l’accezione supposta qui è appoggiata da V 38, Int. 12 (e R 12). Inalternativa si potrebbe punteggiare «Andon, potta de chi ve fè, dasché aì paura!» e intendere‘Andiamo, accidenti a voi, siccome avete paura!’.3 Non ho paura, ma ho pensato: se trovassimo gli sbirri, e quelli ci prendessero e ci facesseroincrociare le braccia come le ali dei paperi, che direste?s’a’ catessan [...] ocatti, que dissé-vu?: per cattare cfr. Pr. 6; per zaffo ‘sbirro’ cfr. PRATI 202 s.v.zafar, PRATI 1951: 1058 s.v. zaffo, PRATI 1978: 156 n° 377, CORTELAZZO 2007: 1504, PATRIAR-CHI 223 e BOERIO 804 (per la notevole diffusione della parola in testi cinquecenteschi vene-ziani vd. SALLACH 229-230 nonché la nota di Chiesa presso FOLENGO Baldus III 166).PATRIARCHI 108 e BOERIO 337 registrano incrosar i brazzi ‘mettere le braccia conserte’, ma quil’espressione indica le braccia incrociate e bloccate dietro la schiena dai birri, come le ali deipaperi quando li si afferra: per ocato ‘papero’ cfr. PATRIARCHI 134, BOERIO 446, MAZZUCCHI160, PAJELLO 161, RIGOBELLO 302 ocatón. Dal punto di vista sintattico sono da notare la coor-dinazione tra modo finito e infinito (pigiasse e incrosarne) e l’uso di fare ‘vicario’ (co’ se fa leale a gi ocatti): per la prima caratteristica cfr. CALMO Saltuzza 181 punto 16.9 e nota 60 (p. 198punto 17.10 per il pavano) e ora A. CECCHINATO, La coordinazione di modo finito e di infini-to: un caso di rianalisi, in SGI XXIV 2005 (ma 2007), pp. 21-41; per fare ‘vicario’ cfr. essen-zialmente III 85 e i casi in parte diversi di I 1 («co’ fa na fornasa») e IV 49 («no fé» ‘non fate-lo’). Muoversi armati durante la notte entro le mura cittadine era vietato (a Venezia un’appo-

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atto quinto

MENATO Potta, a’ ve pensé le gran noelle! No i sentiron-gi? No i paghe-ron de calcagni? 4

RUZANTE Mo a’ di’ vero! Che a’ seon fuossi alla larga de fuora? On’cancaro vossé-vu ch’a’ corresse, ch’a’ no ghe vego gozzo... [muovendo-si a tentoni] L’è pur an’ scuro fuora de muo’, a’ no sè andar per stemuragie... tornon indrio caro compare 5.MENATO Poh, oh, a’ me smaravegio de vu, mi, compare! N’abiépaura! 6

RUZANTE A’ ve dighe, compare: a’ se possan dare l’un l’altro, che no sen’adassan, perqué a’ no ghe vego, saì-u? 7

MENATO N’abié paura de mi, compare, vegnì pur via a longo via stomuro 8.RUZANTE A’ no ve vezo gnan vu e sì a’ volì ch’a’ vega muri! A’ darè aamisi e nemisi, co’ a’ me metta a menare, intendì-vu? 9

sita magistratura, quella dei Signori di Notte, vigilava perché questa norma fosse osservata):vd. CROUZET PAVAN 1991 e sui Signori anche la nota in GIANCARLI Zingana 340. Il timore diun incontro notturno con i birri, diffuso nei testi teatrali di questo periodo (cfr. Dialogo secon-do 171, CALMO Spagnolas 70-72 e NEGRO Pace 171), potrebbe risentire in questo caso anchedelle analoghe paure di Sosia sul principio dell’Amphitruo: vd. Introduzione § 7.4 Potta, pensate delle belle sciocchezze! Non li sentiremo? Non li semineremo?noelle: cfr. II 11 (nell’accezione di ‘scherzo’, ‘trovata’). No i pagheron de calcagni? lett. ‘non lipagheremo con i calcagni?’ ossia ‘non scapperemo?’. Per l’espressione vd. CALMO Travaglia172 «a’ ’l paghiè de gariti», CORTELAZZO 2007: 255 (con due ess. dalle Dieci Tavole dei Pro-verbi e dalla Sbricaria), «vi pagarò di carta e di calcagni» nel sonetto LI «Nominativo: aretepazïenza» di Strazzòla («Studi e problemi di critica testuale» 22 1981, p. 112, v. 17); vd. purelocuzioni affini in «E tata pora gh’intra indol magó, / che a pregà’ Scarpazat prest la se met /ch’el no staghi aspetà’ ilò quel compagn, / ma che con lè ol zughi de calcagn» (Rolant Furiusde mesir Lodevic di Arost stramudat in lengua bergamasca [...], s.n.t., c. Aiiiiv, ottava 79, vv. 5-8, British Library G 11047), «Egli ha giocato di calcagno» (CROCE 2006: 174 n° 496, con altreespressioni che designano la fuga).5 Ma dite la verità! Siamo forse fuori dalle mura? Dove canchero vorreste che corra, che nonci vedo niente... C’è pur un buio fuori del normale, non riesco a camminare per queste mura-glie... torniamo indietro caro compare.a’ seon fuossi alla larga de fuora?: la domanda prova che i due si muovono per le strade dellacittà, e non fuori dalle mura dove sarebbe più facile sfuggire agli zaffi. no ghe vego gozzo: cfr.no vederghe un giozzo ‘essere affatto cieco’ in BOERIO 307. La forma con la velare sonora ini-ziale (< *GUTTIARE, REW 3929) è documentata quasi ovunque in Veneto (cfr. ad es. BORTOLAN132, MAZZUCCHI 101, PRATI Vals. 79 ecc.); la forma veneziana con palatale si spiega con *GLU-forse per analogia con GLUTTIRE: REW 3807 e PRATI 78. per ste muragie: forse i muri degli edi-fici accosto ai quali camminano Ruzante e Menato, come par di capire poco sotto da V 8:«vegnì pur via a longo via sto muro».6 Poh, oh, mi meraviglio di voi, compare! Non abbiate paura!7 Vi dico, compare: potremmo picchiarci l’uno con l’altro, e non ce ne accorgeremmo nep-pure, perché non ci vedo, sapete?dare: cfr. Pr. 15. no se n’adassan: cfr. I 23.8 Non abbiate paura per me, compare, venite pure via lungo questo muro.9 Non vi vedo neanche a voi e volete che veda i muri! Picchierò amici e nemici, se mi mettoa menare, capite?

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MENATO Laghéve goernar a mi! Co’ fassé-vu s’a’ foessé orbo, compa-re? No saì-vu che se dise «bastonè da orbo»? A’ me cognoserì pure allaose! N’abié paura... potta, a’ crezo ch’a’ tremé da paura... Moa, battì-vui dente? Ch’a’ ’l se ve sentirae una balestrà! 10

RUZANTE No, compare, a’ n’he paura, a’ he le sgrisaruole da ferdo,potta del cancaro! [cade] 11

MENATO Que? Quello, compare? 12

RUZANTE [si rialza] Andom pian, potta del cancaro, ch’a’ m’he scapo-già n’ongia e mondò un zinuogio tutto, che maletto sea le prì! Vi’-u?Questo è quello ch’a’ ve dighe, tornon indrio 13.

A’ darè a amisi e nemisi [...] intendì-vu?: cfr. Parlamento 123 «Com a’ son a le man, né amistanzané parentò: a’ vago tanto in cólera che a’ no cognosso negun», Piovana 943 «E con a’ mene,no vegnissi miga a destramezare? Perché a’ me orbo in lo dare, e in la furia a’ dago a amisi enemisi»; l’accenno all’orbarse viene ripreso sarcasticamente da Menato alla battuta successiva,con il sarcasmo sulle bastonè da orbo. Per l’integrazione di a prima di amisi vd. Nota al testo §1.1.2.10 Lasciatevi guidare da me! Come fareste se foste orbo, compare? Non sapete che si dice“botte da orbi”? Mi riconoscerete pure dalla voce! Non abbiate paura... potta, credo che tre-miate di paura... Caspita, battete i denti? Vi si sentirebbe a una balestrata di distanza!Laghéve goernar a mi!: cfr. I 1 e II 6. No saì-vu che se dise «bastonè da orbo»?: Menato ironizzasulla paura del compare, assicurandogli che la sua cecità gli permetterà di vibrare colpi piùforti, le temibili «bastonae da orbi o maledete [...] cioè Forti e senza riguardi» (BOERIO 68); ess.cinquecenteschi del sintagma in CORTELAZZO 2007: 158 e vd. anche lo scongiuro di FIGAROI2r «Perque ’l ghe xe ’l provierbio za spiagnò / que dise, liberamum Dominè / da bastonè daorbo inzeregò». Ch’a’ ’l se ve: cfr. Nota al testo § 1.1.2. una balestrà: cfr. BOCCACCIO Deca-meron X 6 6 «ivi forse una balestrata rimosso dalle altre abitazioni» e nota, BUOVO 104 «Cosìcominzarno a navicare / e non essendo troppo delongati, / forsi una balestra, da lo mare [...]»,MANGANELLO 26 con rinvio al passo boccacciano, FOLENGO Baldus III 360-361 «Baldus at,egrediens iam portas urbis ad unum / tractum ballestrae, stocchettum prestus arrancat».11 No, compare, non ho paura, ho i brividi per il freddo, potta del canchero!sgrisaruole: sostantivo senza altre attestazioni (ma sul tipo di muzarole da muzar), da ricondur-re alla base GRUWISON (PIREW 3898); per il verbo vd. Betìa 465 «a’ me fé sgrezolare» e Piova-na 925 «a’ me sento tuta sgrisolire, recordandome de la paura de sta note!». Forme almeno inparte affini sono sgrisolon in BUGONARO 6, sgrisole in PITTARINI 1960: 70, sgrisolo («e nel plur.sgrisole femm.») in BOERIO 657, MAZZUCCHI 240, MIGLIORINI - PELLEGRINI 95, sgrisol in QUA-RESIMA 418, sgrisole in PATRIARCHI 183 e PAJELLO 252, sgrisoli in PRATI Vals. 168 e RIGOBEL-LO 432; sgrisoloni ‘brividi’ ancora in C. RUFFATO, Scribendi licentia, Venezia, Marsilio, 1998,p. 8.12 Cosa? Quello, compare?Battuta poco perspicua. Preferendo evitare la divisione «qu’è» (che per altro darebbe origine auna poco giustificabile domanda «qu’è quello [...]?»; vd. I 3), stampo come sopra. Quello sem-bra riferirsi alle sgrisaruole, sulla cui origine Menato pare scettico; que interrogativo potrebberiferirsi tanto al canchero che chiude V 11 («[Cancaro] que?») quanto alle stesse sgrisaruole.13 Andiamo piano, potta del canchero, che mi sono staccato un’unghia e sbucciato tutto unginocchio, maledette pietre! Vedete? Questo è quello che vi dico, torniamo indietro.a’ m’he scapogià n’ongia e mondò un zinuogio tutto: scapogià, forse denominale da scapugia‘capsula dei grani, mallo della noce’ (MAZZUCCHI 221), indica che l’unghia s’è staccata dallacarne come un involucro o una buccia (così mondare successivo, per cui cfr. PRATI Vals. 103 eQUARESIMA 270). che maletto sea le prì: per il costrutto cfr. Pr. 1.

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MENATO Tegnìve a longo via el muro, potta de chi ve fè, s’el n’èpeccò! 14

RUZANTE A’ no ve vego gnan vu 15.MENATO A’ son chialò, a sta man 16.RUZANTE Icz, icz, pian 17.MENATO Ì-vu sentìo gnente compare? 18

RUZANTE Icz, icz, pian! 19

MENATO Mo que, an? 20

RUZANTE Icz, icz, cc... 21

MENATO Que sentì-vu, compare? 22

RUZANTE Tasì mo’, a’ sento muo’ sgrintolare na corazzina... muzzon,muzzon compare! 23

MENATO El n’è el vero! No son-gie inanzo mi? 24

RUZANTE Mo s’i vegnisse de drio? Sentì-vu quel ch’a’ sento mi? Tirémo’ el fiò a vu, compare! 25

MENATO A’ no sento gnente , s’a’ no aì vessinò... 26

RUZANTE Compare, a’ trogné mo’ vu: mo a’ gh’in’ darè manco da morire

14 Tenetevi lungo il muro, potta di chi vi fece, se non è peccato!potta de chi ve fè: cfr. II 41. s’el n’è peccò: è probabilmente formula attenuativa rispetto al pre-cedente «potta de chi ve fè», ma non ho trovato altri casi simili.15 Non vi vedo neppure voi.16 Sono qui, da questa parte.a sta man: cfr. III 24.17 Sst, sst, piano.Icz, icz: stessa onomatopea in Vaccaria 1149.18 Avete sentito niente, compare?19 Sst, sst, piano!20 Ma che c’è, eh?21 Sst, sst, sst...22 Che sentite, compare?23 Tacete una buona volta, sento come una armatura che sfrega... scappiamo, scappiamo com-pare!sgrintolare: probabilmente ‘sfregare’, ‘grattare’ (con riferimento al rumore prodotto). Verbohapax nel CORPUS PAVANO e assente nei vocabolari consultati; vd. i pochi casi nei quali la basegrint- è associata alla ruvidità o irregolarità di una superficie: grìnte ‘grinza’ (ma non com.) inNUOVO PIRONA 406, grintiñóz ‘scabro, ruvido’ in PALLABAZZER 225 (e varianti con s- proste-tica). corazzina: cfr. IV 2. muzzon, muzzon: cfr. Pr. 14.24 Non è vero! Non sono davanti io?25 Ma se venissero da dietro? Sentite quel che sento io? Odorate bene, compare!Tiré mo’ el fiò a vu lett. ‘inspirate’ (per sentire gli odori): cfr. CALMO Rodiana 151 «Tiré el fiàopur a vu» (trad. ‘annusate bene’); di significato opposto BOERIO 267 Tirar el fià ‘espirare’,berg. tirà su ol flad ‘expiro’ (D’AGOSTINO 1983: 102).26 Non sento niente, se non avete fatto un peto...vessinò: da vessa (III 69); cfr. MUSSAFIA Beitrag 120 vesinar ‘scoreggiare’ da Magagnò (in RimeII 70r «vessinar com fa na scroa passù») e PRATI 201 s.v. vissinèlo per cui vd. V 66.

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ch’a’ no fassé vu. Mo a’ ve dighe ch’a’ sento a muo’ fùmego de schiopetto27.MENATO A’ no sento gnente, mi 28.RUZANTE Mo a’ dî esser fredìo, vu, mo a’ sento ben mi! Aldì compare:a’ he ditto alla femena che laghe averto l’usso... s’el besognasse... ho-ggifatto ben? 29

MENATO Aì fatto ben. Andon per sta viazzuola, vegnìme drio 30.RUZANTE Andé pur là 31.MENATO Compare, on’ si’-vu? 32

RUZANTE A’ son chialò! On’ si’-vu vu? Féve a pe’ de mi, ch’a’ no sotropo ben i truozi... 33

MENATO [urta nello scudo di Ruzante] Oh, potta del cancaro... 34

RUZANTE Que compare? 35

MENATO A’ m’he rotto ’l viso, a’ he dò in no so que 36.RUZANTE Aì dò in la mia ruella, mo no la vi’-vu? Ampo’ la ho-ge in cao!A’ la dîssé pur vêre! 37

27 Compare, voi scherzate: ma a me di morire importa meno che a voi. Ma vi dico che sentocome il fumo di uno schioppo.trogné: cfr. IV 8. mo a’ gh’in’ darè manco da morire ch’a’ no fassé vu «ma a me importerebbemeno di morire, che a voi» (LOVARINI 68-69); anche qui uso di fare ‘vicario’ (vd. III 85). sentoa muo’ fùmego de schiopetto: fùmego, hapax in CORPUS PAVANO, è deverbale da fumegar ‘affu-micare’ (PATRIARCHI 95, BOERIO 291, RIGOBELLO 200), a sua volta denominale da fumo; noncredo si debba stampare fumegò come fosse il corrispondente participio passato (un es. inREGONÒ G2r «e ’l Cielo da i sospieti / pì cha una scura nibbia affumegò»): in tal caso si avreb-be infatti a muo’ + participio passato, di cui non conosco altri ess.; vd. di rincalzo anche l’a-bruzzese sfùmeche ‘suffumigio’ in PIREW 3570 s.v. FUMIGARE. Per schiopetto ‘archibugio’ cfr.CORTELAZZO 2007: 1199 schiopetto e BOERIO 627 s.v. schiopo.28 Non sento niente, io.29 Ma dovete essere raffreddato, voi, ma sento ben io! Sentite compare: ho detto alla donnache lasci aperta la porta... in caso ce ne fosse bisogno... ho fatto bene?fredìo: cfr. NINNI II: 11 (nell’Appendice ai materiali per un vocabolario della lingua rustica delcontado di Treviso); anche ferdimento ‘raffreddore’ in Magagnò (BORTOLAN 117).30 Avete fatto bene. Andiamo per questa viuzza, venitemi dietro.viazzuola: vd. GIANCARLI Capraria 147 viazzola e SGAREGGIO E2v «viazzuola beneta».31 Andate pure in là.32 Compare, dove siete?33 Sono qui! Dove siete voi? Avvicinatevi a me, che non conosco troppo bene i viottoli...a pe’ de mi: cfr. II 6. truozi: cfr. IV 10; per la locuzione cfr. SGAREGGIO T4v «Amor, melen-conia, qua in sto logheto / no sa vegnir, no sa trozi o sentieri».34 Oh, potta del canchero...35 Che c’è compare?36 Mi sono rotto la faccia, ho sbattuto in non so cosa.37 Avete sbattuto nel mio scudo, ma non lo vedete? Eppure ce l’ho in testa! Lo dovreste purvedere!ruella lett. ‘rotella’; CITOLINI Tipocosmia 461 ricorda tra le armi difensive «lo scudo con laimbracciatura [...], e così il targone, la targa, la rotèlla, il brocchiere». Vd. Betìa 371 «Fate pìin fuora, / e ti da la roela», CALMO Travaglia 50 «un mezzo soldò, con una spà e una roèla».Ruella è registrata come forma rustica in PAJELLO 216. Ampo’ ‘eppure’, ‘nondimeno’: cfr.CORTELAZZO 2007: 58 e BOERIO 32.

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atto quinto

MENATO Potta de chi ve fè! Dasché le ruelle se porta a sto muo’ in caoco’ a’ fé vu? 38

RUZANTE Mo compare, a’ no vuo’ ch’a’ m’insigné sto mestiero: a’ laporto in cao perqué a’ no seon de fuora alla larga, el porae vegnir vuo-gia a qualcun da trar zò da ste fenestre un quarello e butarme i cerviegiin boca, saì-vu compare? Vi’-vu ch’a’ no saì agno cosa? 39

MENATO Potta de chi ve fè, a’ so ch’a’ le saì tutte, potta, a’ ve pensé legran noelle! 40

RUZANTE Poh, a’ m’he pensò quel ch’a’ porae intravegnire! 41

MENATO Aldì compare, el no besogna ch’a’ stagan tutti du a uno, ades-so ch’a’ seon su sta crosara 42.RUZANTE E on’ volì-u ch’a’ vaghe? A’ vuo’ ch’a’ stagan tutti du a uno, evoltarse el culo uno a l’altro, saì-vu? 43

MENATO A’ ve dighe: laghéve goernare a mi, che questa n’è la prima.Sté pur chialò 44.RUZANTE Compare, su le crosare i no vuò esser manco de du, a’ so benquel ch’a’ ve dighe 45.

38 Potta di chi vi fece! Da quando in qua gli scudi si portano in questo modo sulla testa comefate voi?Potta de chi ve fè: cfr. II 41. Dasché: cfr. V 2.39 Ma compare, non voglio che mi insegnate questo mestiere: lo porto in testa perché nonsiamo all’aperto lontani dalle case, potrebbe venir voglia a qualcuno di tirare giù da questefinestre un mattone e buttarmi le cervella in bocca, sapete compare? Vedete che non sapetetutto?sto mestiero: quello delle armi, che Ruzante ha già praticato (cfr. IV 14). a’ no seon de fuoraalla larga: cfr. V 5. quarello: cfr. REW 6921, CORTELAZZO 2007: 1071, PATRIARCHI 155, BOE-RIO 545 e RIGOBELLO 355 quarèl; altri rimandi, tra cui BIBBIA 5, in ZORZI 1422-1423. butar-me i cerviegi in boca ossia ‘ammazzarmi’.40 Potta di chi vi fece, certo che le sapete proprio tutte, potta, pensate delle belle sciocchezze!Potta de chi ve fè: cfr. II 41. a’ ve pensé le gran noelle: cfr. V 4.41 Poh, ho pensato quel che potrebbe succedere!intravegnire: cfr. I 60.42 Sentite compare, non bisogna che stiamo tutti e due insieme, adesso che siamo su questoincrocio.a uno: cfr. BOERIO 774 s.v. un. crosara: cfr. CORTELAZZO 2007: 419 crosèra, BORTOLAN 84,PATRIARCHI 60 crosara de strada, MAZZUCCHI 60, PAJELLO 61, RIGOBELLO 148 cro!àra (con imateriali in PRATI 52 s.v. crosara); crosera in BOERIO 210, MIGLIORINI - PELLEGRINI 51, PRATIVals. 48.43 E dove volete che vada? Voglio che stiamo tutti e due insieme, e che ci diamo la schiena,sapete?e voltarse el culo uno a l’altro lett. ‘e voltarsi il culo l’uno all’altro’, darsi la schiena per potersidifendere meglio da eventuali aggressioni, con coordinazione tra modo finito e infinito (sta-gan [...] e voltarse) come a V 3.44 Vi dico: lasciatevi guidare da me, che questa non è la prima volta che lo faccio. State purqui.laghéve goernare a mi: cfr. I 1 e II 6.45 Compare, agli incroci non bisogna essere meno di due, so bene quel che vi dico.

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MENATO S’a’ volì fare a me’ muo’, féghe, se no andon a ca’ 46.RUZANTE A’ farè con’ a’ volì vu, compare, di’ pur, e laghé far a mi 47.MENATO Sté chialò su sto canton, e s’el vien negun menéghe senzaremission al mondo, e mi sarè al forno d’i massari, e sì ariverè de car-gare. No ve tolì via s’a’ no vegne 48.RUZANTE Mo andé, e sté artento! Se m’aldissé cigare alturio, compare,no sté a guardare 49.MENATO N’abié paura 50.

[Scena seconda]BETTIA, MENATO e RUZANTE

BETIA No vegnì, no vegnì, grama mi, ch’a’ no vuogio per gnente! 51

MENATO A’ so ch’a’ vegnerè sì: a’ vuo’ sarar st’usso 52.

su le crosare i no vuò esser manco de du: Ruzante teme d’essere aggredito; ma gli incroci sonoanche il tradizionale luogo d’incontro con spiriti maligni e fantasmi (vd. V 53).46 Se volete fare come dico io, fatelo, altrimenti torniamo a casa.47 Farò come volete voi, compare, dite pure, e lasciate fare a me.48 State qui su questo cantone, e se viene qualcuno picchiatelo senza nessuna pietà, e io saròal forno dei massari, e finirò di caricare. Non ve ne andate se non vengo.su sto canton ‘a quest’angolo della strada’: cfr. CORTELAZZO 2007: 279 e BOERIO 130. senzaremission al mondo: cfr. III 12. mi sarè al forno d’i massari, e sì ariverè de cargare: ZORZI 1423ipotizza che il forno d’i massari sia «una destinazione allusiva, o una località di dubbia famadella Padova cinquecentesca [...]. Un pons Macerae ‘ponte della Massera’, è indicato dalFolengo [...] come luogo di raccolta delle immondizie» (cfr. Baldus III 277-278 «[...] puerimpatiens quidam non sanguine basso, / seu ponte Arlotti cretus seu ponte Macerae» con lanota di Chiesa, e anche più avanti XI 385 «arlottos cazzat gentemque Macerae», ma si trattaovviamente di Mantova). Può darsi che la frase di Menato designi un luogo esistente a Pado-va (per il quale mi mancano finora riscontri), ma essa può alludere anche al rapporto sessua-le che egli intende consumare con Betìa. Per forno ‘organo sessuale femminile’ vd. DLA 207,TOSCAN 1981: 1697, BIDLER 2002: 300 s.v. four e ad es. FIRENZUOLA Trinuzia 570-571; l’im-magine equivoca era anche nella famosa canzonetta ‘todesca’ di mistre Righe, prediletto dalledonne perché «sa metter pan in furne» (cfr. V. ROSSI, Balli e canzoni del secolo XVI. Contri-buto alla storia della poesia popolare o popolareggiante italiana, in CALMO Lettere 411-445: 438-439 e CALMO Travaglia 114 con la nota di Vescovo; vd. pure il commento a CALMO Spagnolas149-150). Per caricare ‘possedere sessualmente una donna’ cfr. DLA 85, TOSCAN 1981: 1675,BIDLER 2002: 121 s.vv. charge e charger, e in parte pure RIGOBELLO 119 cargàr la butèla “met-tere incinta una ragazza”; in BASILE Cunto 78 un marito tradito si lamenta della moglie che«pe carrecareme la fronte s’ha fatto carrecare lo ventre»; a p. 524, con immagine simile a quel-la impiegata qui, «lo scuro peccerillo contaie li muorze a li frate e mentre li due carrecavanoli sacche de lo molino [facevano l’amore con una fanciulla] isso tenette la mula». Per rivare‘finire’ cfr. Pr. 4.49 Ma andate, e state attento! Se mi sentiste gridare aiuto, compare, non esitate a soccorrermi.cigare alturio: cfr. III 52 e III 8 (e in particolare l’osservazione di Mussafia lì citata).50 Non abbiate paura.51 Non venite, non venite, povera me, che non voglio per niente!No vegnì, no vegnì: per spiegare il rifiuto opposto a Menato, sembra opportuno ipotizzare cheBetìa abbia fatto entrare in casa Tonin.52 E invece ci verrò di certo: voglio chiudere questa porta.

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RUZANTE A’ n’he paura, mi, a’ he fatto costion pì ca no fè mè Trulio. Esì el cre’ ch’abie paura... pur ch’a’ ghe vêsse: a’ cherzo che la luna novuò levar sta sera. A’ me vuo’ conzare a pe’ sto muro, ch’a’ no vorae chequalcun me tresse de qualche balestra o de qualche arco... Sè-tu con’ l’è,ti? Ti iè ti solo chialò: el besogna che te faghi bon anemo. Mo que poriè-gi far mi solo sipiando sto scuro? A’ vorè alzar per menare a un, e sì a’me darè intun uogio a mi. A’ vuo’ asiarme per muzzare, ch’a’ n’abbiabriga, se no de muzzare. S’a’ sento gnente a’ me vuo’ conzare con stope’ inanzo, e la ruella drio la schina. A’ butterè via sta spa’ se la me daràfastibio 53. Potta, a’ son pure in lo gran prigolo! Me’ compare me mettesempre mè in sti luoghi prigolosi, su crosare, a prigolo de spiriti e demuorti e del cancaro! A’ dirè el patanostro... al sangue de mi, puocabotta amazza pur un: s’el vegnisse mo’ vuogia a qualcun de darme in losono? O in lo pessetolo? O in la ponta della paletta del zenuogio, e ch’elme ghe intresse el spasemo? 54 A’ porae morir chialò senza confessarme

vegnerè sì: vd. quanto osservato nel commento a III 98 a proposito di senteresi.53 Non ho paura, io, ho fatto più liti di quante ne fece mai Tullio. E invece lui crede che ioabbia paura... se solo ci vedessi: credo che la luna non voglia sorgere stasera. Mi voglio siste-mare vicino a questo muro, perché non vorrei che qualcuno mi colpisse con una balestra o conun arco... Sai come sta la faccenda? Qui ci sei tu da solo, qui: bisogna che ti faccia coraggio.Ma che potrò fare io solo con questo buio? Vorrò alzare le armi per colpire uno, e invece micolpirò in un occhio! Voglio prepararmi per scappare, che non abbia altra preoccupazione, senon di scappare. Se sento qualcosa mi voglio sistemare con questo piede davanti, e lo scudodietro la schiena. Butterò via questa spada se mi darà fastidio.a’ he fatto costion pì ca no fè mè Trulio: battuta giocata sul duplice valore di costion, che signifi-ca sia ‘zuffa’ (vd. Pr. 15) sia ‘contesa giudiziaria’ (GDLI XV 1278). La seconda accezione giu-stifica la burlesca citazione dell’avvocato per antonomasia, Trulio, Marco Tullio Cicerone (Tru-lio è forma con r ‘parassita’ come Tralia a I 66): vd. anche Piovana 961 «Se ’l vegnesse adessoStòtene e Trulio, Rolando e Malazise, no ghe caterà consegi, a sta cossa» e GIANCARLI Zinga-na 435 «Alla fe’, che ti t’ha’ portao da un Turlio» con nota della Lazzerini. Per «pì ca no f軑più di’ cfr. III 36 e il tipo affine «co’ fa na fornasa» I 1. A’ me vuo’ conzare a pe’ sto muro: perconzarse ‘sistemarsi’ cfr. IV 1, per a pe’ cfr. II 6. no vorae che qualcun me tresse de qualche bale-stra o de qualche arco: per la costruzione trar de cfr. i casi affini di III 12 e IV 2. che te faghibon anemo: cfr. IV 20 e il bergamasco a I 24. sipiando: gerundio costruito sul congiuntivosipia ‘sia’ (qui ad es. a V 61; vd. CALMO Saltuzza 195 nota 50). alzar: probabilmente ‘bran-dire’ l’arma per vibrare un colpo (più sotto Ruzante dichiara di avere una spada); a meno dinon supporre la caduta di un me tra A’ e vorè, pensando che Ruzante dica di volersi alzare (mapare meno probabile poiché per quanto è desumibile dal testo non s’è mai seduto). asiarme:cfr. oltre a quanto raccolto in PIREW 168 s.v. ADJACENS anche MAGAGNÒ Rime IV 18r «Asievede lagare / el bon pesce de quel mare», BORTOLAN 40 asia ‘apparecchia’ (da Magagnò),PATRIARCHI 10 s.v. asiare, BOERIO 46 asiàr «Lo stesso che preparàr» e la voce asiare di PRATI6. muzzare: cfr. Pr. 14. la ruella: cfr. V 37. fastibio: cfr. III 3.54 Potta, sono proprio in grave pericolo! Il mio compare mi mette sempre in questi luoghipericolosi, agli incroci, a rischio di incontrare spiriti, morti e il canchero! Dirò il padrenostro...al sangue di me, un solo colpo anche piccolo ammazza un uomo: se adesso venisse voglia aqualcuno di colpirmi alla tempia? O nel bicipite? O sulla punta della rotula, e che poi mi cientrasse lo spasimo?in sti luoghi prigolosi, su crosare, a prigolo de spiriti e de muorti e del cancaro!: A. SCANDELLARI,

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e senza gnente... a’ son ben el gran poltron, a posta de dinari voler starchialò a farme amazzare! Aldi? El m’è viso ch’a’ senta zente... compa-re? Si’-vu vu? Mè sì, el sarà andò ello, che l’è strabùseno, e qualcun l’aràcattò e sì l’arà amazzò... a’ vuo’ andar a ca’. Ah, sangue del cancaro, aso’ posta! A’ no vuo’, con’ disse questù, morir per negun! Oh, vegne elcancaro alle ruelle, la farà pur tanto remore che se me sentirae unmegiaro! Ca sì ch’a’ la trarè in terra. Son-ge a ca’ adesso? On’ cancaro

Leggende di Venezia, Spinea, Helvetia, 20013, p. 35 ricorda le crosere come luogo d’incontrodelle streghe; nel Friuli cinquecentesco beorchis (< BIFURCUS) è il «luogo liminare, zona di con-tatto con l’universo soprannaturale, come tutti i crocevia, e dunque anche zona di perdizionesenza possibilità di riscatto» (R. PELLEGRINI, Sonetti friulani inediti del Cinquecento, in Miscel-lanea di studi linguistici offerti a Laura Vanelli da amici e allievi padovani, a c. di R. Maschi, N.Penello e P. Rizzolatti, Udine, Forum, 2007, pp. 63-74, a p. 69); ancora all’inizio dell’Otto-cento, in Romagna «Ab immemorabili credono li contadini, che nella notte dell’accennatafesta [S. Giovanni Battista] le streghe si facciano vedere ne’ crociari delle strade detti quadrivj,vale a dire in quel punto, che forma centro a quattro diverse strade» (M. PLACUCCI, Usi, e pre-giudizj de’ contadini della Romagna cit., p. 138; poi in Romagna tradizionale. Usi e costumi, cre-denze e pregiudizi cit., p. 140, e si ricordi anche la testimonianza della pascoliana Canzone delParadiso. II. San Giovanni, vv. 75-76 «Ora nei trebbi incerte del cammino, / sostano un pocoinsieme le versiere»). Credenza diffusa anche fuori d’Italia: in ROJAS Celestina 170 Claudinaviene accusata di stregoneria «porque la hallaron de noche con unas candelillas cogiendo tier-ra de una encrucijada» («la trovarono di notte in mezzo a un crocevia che raccoglieva terra, allume di certe candeline», trad. di A. Gasparetti cit., p. 195; e vd. nota 67 di p. 170 e commentoa p. 645 nell’ed. spagnola); per la diffusione di convinzioni analoghe già nell’antichità vd. R.CAILLOIS, I demoni meridiani (1936), a c. di C. Ossola, Torino, Bollati Boringhieri, 1999, pp.19 e 58-59. patanostro: stessa forma dissimilata in Dialogo facetissimo 89 (vd. commento a III98), Vaccaria 1073 patanuostri, SALVIONI 1902-1904 (2008): 615 v. 555, MAGAGNÒ Rime II 36v,69v, BELLUORA 11v pattanuostro e 17r pattanuostri; in RIGOBELLO 321 il denominale patano-stràr, patanostràre. Da patanostro, per aferesi della prima sillaba, deriverà anche la storpiaturain GIANCARLI Capraria 167-169 «farghe, con disse el tanostro, el debitoribus». puoca bottaamazza pur un: cfr. Parlamento 125 «Puoca botta amaza un omo». sono: cfr. PIREW 8086,PRATI 172 sòno ‘tempia’, PATRIARCHI 187, BOERIO 673, MAZZUCCHI 249, MIGLIORINI - PELLE-GRINI 103 son de reia (vd. schede in PELLEGRINI 1966-1976 [1977]: 249), NINNI II: 152, PAJEL-LO 264, PRATI Vals. 174, RIGOBELLO 451. Sulla denominazione, dovuta alla credenza che latempia fosse la sede del sonno, cfr. C. MARCATO, Sul tipo lessicale “sonno” come designazionedella ‘tempia’ nell’italoromanzo, in SMV XLIII 1997, pp. 193-202. pessetolo lett. ‘pesciolino’:cfr. NEGRO Pace 223 «daghe in t’el pessetto, che ghe insirà puocco sangue...» (un es. da Carà-via in CORTELAZZO 2007: 991); PATRIARCHI 145 pescetto del brazzo ‘uno de’ muscoli del brac-cio’, BOERIO 496 pesseto del brazzo «uno de’ muscoli del braccio» e GDLI XIII 16315 s.v. pescee 165 s.v. pescetto. paletta del zenuogio lett. ‘paletta del ginocchio’: vd. in MUSSAFIA Beitrag85 s.v. paleta (del zenochio) ‘Kniescheyb’ l’imolese pala de znocci. PATRIARCHI 138 e BOERIO464 hanno l’affine paletta dela spala ‘scapola’ (MUSSAFIA Beitrag 85 precisava che per lo più«pala [...] im Ital. und in Mundarten ‘Schulterblatt’ bedeutet»). Vd. anche PATRIARCHI 224(«quella parte del ginocchio la quale inginocchiandosi posa in terra, Padella, Rotola deglianat.»); ALTIERI BIAGI 1970: 105 s.v. padela e 117 s.v. rodella. el me ghe intresse el spasemo ossia‘se il ginocchio cominciasse a farmi male’: per spasemo «dolore intenso cagionato da passione,da ferite o simili» cfr. BOERIO 683, MIGLIORINI - PELLEGRINI 104 e RIGOBELLO 456; in COR-TELAZZO 2007: 1288 punto (2) e ALTIERI BIAGI 1970: 125 lo spasimo è associato a paralisi emorte. L’espressione è in ROVIGIÒ G2v «Brombanto ’l gran Menon na botte al scuro / presto’l coccon ghe sbattè in lo mostazzo / de muò che el ghe intrè un spasemo e un tremazzo / quein pochi dì ’l morì».

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son-gi? Alla fe’, questo è pur l’usso, ch’a’ he bù ventura, ch’a’ l’he cattòalla prima... è-lo ello? Vegne... squaso ch’a’ no dissi male! La l’ha benlagò averto co’ a’ ghe ordeniè! El me besognerà mo’ cigare, e sto soldòche sta chialò vesin me porà sentire! Te par che le me corre drio lederoine? Bettia? Oh Bettia? A’ no osso gnan cigare. Avri Bettia![bussa] 55

MENATO [da dentro, truccando la voce] Chi èno quello che batteno aquesta porta? 56

55 Potrei morire qui senza confessarmi e senza niente... sono ben un gran poltrone, a volerstare qui per soldi a farmi ammazzare! Senti? Mi sembra di sentire gente... compare? Sietevoi? Ma sì, chissà dove sarà andato a finire quello, che è scemo, e qualcuno l’avrà preso e l’a-vrà ammazzato... voglio andare a casa. Ah, sangue del canchero, peggio per lui! Come si dice,non voglio morire per nessuno! Oh, venga il canchero agli scudi, farà pure tanto rumore chemi si sentirà a un miglio di distanza! Lo butterò senz’altro in terra. Sono a casa adesso? Dovecanchero sono? Parola mia, questo è pure l’uscio, che ho avuto fortuna, che l’ho trovato alprimo colpo... è quello? Venga... quasi che non dissi male! Ha proprio lasciato aperto come leordinai! Adesso mi toccherà gridare, e questo soldato che sta qui vicino mi potrà sentire! Tipare che le disgrazie mi corrano dietro? Betìa? Oh Betìa? Non oso neppure gridare. ApriBetìa!poltron: cfr. Pr. 8. a posta de dinari: cfr. gli ess. di a posta di qualcosa ‘in cambio di qualcosa’in GDLI XIII 106130. Mè sì: cfr. I 54. strabùseno lett. ‘tarabuso’, fig. per ‘stupido’: cfr.PATRIARCHI 196 strabuzene e MAZZUCCHI 277 tarabùzene, LEI 8.369.33-34 s.v. BUTEO strabùse-no ‘specie di insulto, minchione’, RIGOBELLO 487 tarabù!o ‘persona grossolana, tozza’; il tra-slato metaforico è diffuso in una vasta area romanza: vd. M. BRACCINI, «Bizzoco» e la diffusaprogenie del latino «buteo» ‘poiana’, in «Parlar l’idioma soave». Studi di filologia, letteratura estoria della lingua offerti a Gianni A. Papini, a c. di M.M. Pedroni, Novara, Interlinea, 2003,pp. 345-349. Per il nome dell’uccello cfr. straburino ‘tarabuso’ in SALVADORI 1872: 244, strabú-sin, torebúseno (Veneto), tarabusene (Polesine) in HYLLER GIGLIOLI 1907: 434 n° 308, tarabu-sene (Rovigo) in DEI 3716 s.v. tarabuso. La caccia degli uccelli di V[incenzo] Tanara cit., pp. 364-367 insiste sulla pigrizia e la lentezza dell’uccello (cfr. commento a IV 4); per l’accezione insul-tante di vari nomi d’uccelli cfr. qui trentacost IV 15 e in CALMO Saltuzza 49 e 165 locco e bu-zò. cattò: cfr. Pr. 6. a so’ posta: cfr. CALMO Saltuzza 150 «A sua posta! Voglio serar l’uscio eandar di sopra!» e nota 56 con ess. di Aretino e Calmo. con’ disse questù: wellerismo (cfr. I5). ruelle: cfr. V 37. megiaro: cfr. REW 5569, BORTOLAN 174 megiaro ‘miglio’, berg. mier inCALMO Saltuzza 86 e nota 34. ca sì ch’: cfr. I 56. Alla fe’: cfr. I 4. a’ l’he cattò alla prima: percattò cfr. Pr. 6, per alla prima IV 9. Vegne... squaso ch’a’ no dissi male!: maledizione sospesa, sultipo di «potta ch’a’ no dighe male» di III 134. cigare: cfr. III 52. le me corre drio le deroine?:deroine è forma prefissata a quanto mi risulta solo antica (BORTOLAN 91 e MIGLIORINI - PEL-LEGRINI 17 da Villabruna). Per l’immagine cfr. Piovana 1025-1027 «che ’l pare che ’l cancarovuogia che don’ s’ha abù una bota una sagura, che sempre in quel logo le ghe cora drio lealtre», CALMO Rodiana 145 «Tutto candi la desgrazie mel cure drio» (greghesco), CALMO Spa-gnolas 38 «tute le venture me core al’indrio», CALMO Rodiana 91 «la ventura me core al’in-drìo!», MAGAGNÒ Rime IV 9v «E par che le venture / ghe corra drio»; in DOMINI 160 s.v. drio«De un póc de tenp le me córe drio tute. Da un po’ di tempo sono perseguitato da continuesventure».56 Chi è quello che bussa a questa porta?Chi èno quello che batteno a questa porta?: èno e batteno presentano la stessa estensione delladesinenza -no già segnalata a II 23. Si noti pure la scelta lessicale di porta, contro usso costan-temente impiegato nelle parti pavane (II 23, II 41, III 4 bis, III 24, III 42, IV 2, IV 8, IV 22,IV 64, IV 68, V 29, V 52, V 53, V 55 tre volte, V 67; in quest’ultimo caso in una battuta diMenato). Porta si è imposto nei dialetti veneti attuali: cfr. AIS V 880.

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RUZANTE Cancaro, mo que è questo? A’ ho falò l’usso... Perdonémefrello, a’ he fallò l’usso... Poh, mo l’è pur questa la viazuola, m’è viso mi!Oh, cancaro a gi uorbi, el me par pur viso che questa sea la mia ca’, equesta è pur la schiona del me’ usso. A’ no sbatto da vu, a’ sbato dal me’usso, frello 57.MENATO Ca sì, imbriago, che te farano che pairàno lo vino, s’a’ lievanosuso! 58

RUZANTE Potta, mo costù è in ca’ mia ello? A’ no so con’ a’ deghe fare!Cancaro a me’ compare... Mè sì, a’ son perso, mi; a’ son stravaliò, a’ hecherzù vegnir per na viazzuola, e sì son vegnù per n’altra... oh frello?Avrìme almanco per inchina da mattina 59.

57 Canchero, ma che succede? Ho sbagliato porta... Perdonatemi fratello, ho sbagliato porta...Poh, è pur questa la viuzza, mi sembra! Oh, canchero agli orbi, mi sembra pure che questa siala mia casa, e questo è pure il batacchio della mia porta. Non busso da voi, busso alla miaporta, fratello.falò: cfr. I 60. viazuola: cfr. V 30. m’è viso mi: cfr. a V 53 el m’è viso e poco sotto el me parpur viso (a I 60 m’è deviso). schiona: «Schionela dela porta: Campanella, cerchio di ferro ches’appicca all’uscio per picchiare» (PATRIARCHI 175, che ha anche schiona «cerchio de fero» eschiona granda ‘anellone’; con ch per /c/). Vd. pure s-ciona ‘orecchino’ in C. RUFFATO, Scri-bendi licentia cit., p. 5, PRATI 158, CORTELAZZO 2007: 1199 schionela, SALLACH 193-194, MAZ-ZUCCHI 225 s-ciaona ‘campanella’, MIGLIORINI - PELLEGRINI 92 scòna, PAJELLO 238 e PRATIVals. 159 s’ciona ‘anello’, veneziano s’ciona e s’cionela ‘campanella’, ‘cerchietto’ (in A. PRATI,Nomi e soprannomi di genti indicanti qualità e mestieri, in «Archivum Romanicum» XX 1936,pp. 201-256: 239), RIGOBELLO 408-409 s-ciòna ‘anello infisso nel muro per attaccarvi il bestia-me’. «Si può pensare che il senso di “cerchio”, “anello di catena” derivi dallo “schiavo”(“schiavone”) impossibilitato a separarsi dalla catena, dall’anello che lo rende prigioniero, odalla catena stessa che caratterizza lo schiavo» (PELLEGRINI 1966-1976 [1977]: 236-237 s.v.s’ciòna, con il caso parallelo del castigliano eslabón ‘anillo de una cadena’). «El mato d’iS-ciona» di Piovana 907 attesta il passaggio a nome o soprannome, mentre in Piovana 995 eTUOGNO ZAMBON 8 s-cione ‘frottole’ sarà traslato a partire da ‘campana’, o in alternativa acce-zione originariamente legata alla diffidenza verso gli stranieri (il significato di ‘frottola’ poi inPATRIARCHI 175, BOERIO 626 e RIGOBELLO 408-409). sbatto [...] sbato: cfr. III 36.58 Sta’ certo, ubriaco, che ti farò smaltire il vino, se mi alzo!Ca sì [...] che: cfr. I 56. te farano che pairàno lo vino cioè ‘ti farò passare l’ubriachezza (basto-nandoti)’, ‘ti picchierò ben bene’: vd. CALMO Rodiana 205 «Vogio farghe paìr a sto laro, ontoe besonto, el vin che l’ha bevùo», e in parte Contrasto di Tonin e Bighignol vv. 170-171 «O,vitù che te farò pa(d)ir le rave, / che tu ha’ manzà sti dì, brutto ribaldo» (COTRONEI 1900:321). Si noti di nuovo l’estensione di -no (anche in lievano); per paire/padire ‘digerire’ (anche‘defecare’) cfr. Prima Oratione 199 «vin da far pair prie» (e 213), CAVASSICO II 383 pair e inBASILE Cunto 488 «Comme lo patrone appe paidato lo vino [...]»; PRATI 117 s.v. paíre, MUS-SAFIA Beitrag 85 s.v. paire, CORTELAZZO 2007: 932, PATRIARCHI 138, BOERIO 463 pair la bala‘smaltire il vino’, MAZZUCCHI 168, PRATI Vals. 120 paìr ‘smaltire (la sbornia)’, QUARESIMA 297s.v. padir; quasi ovunque il verbo vale anche ‘pagare il fio’ (unico significato registrato ad es.in MAZZUCCHI 166). s’a’ lievano: vd. èno e batteno V 54.59 Potta, ma questo è in casa mia lui? Non so come fare! Canchero al mio compare... Ma sì,mi sono perso, io; sono sconvolto, ho creduto di venire per una viuzza, e invece sono venutoper un’altra... Oh fratello? Apritemi almeno fino a domattina.Mè sì: cfr. I 54. stravaliò: cfr. III 30. viazzuola: cfr. V 30.

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atto quinto

MENATO Deh, eh, puttana del cancaro, pigiame quello spedo, avritiquella porta! [aperta la porta, comincia a picchiare Ruzante] 60

RUZANTE A’ ve domande la vita in don, per amor del perdon de messierIeson Dio, misericordia, no m’in’ dé pì, ch’a’ son morto! 61

BETIA Andé via compare, e menélo a ca’ 62.MENATO [fingendo di arrivare da un’altra direzione] Potta del cancaro!Compare, si’-vu vu? Oh, compare? On’ cancaro è-llo andò? Que can-caro è questa? Mo l’è na ruella... mo ca sì che l’è soa! Potta del canca-ro, l’è ’l gran lasagnon, te par ch’el sipia stò don’ a’ ’l mettì? Oh canca-ro, compare, si’-vu vu compare? El catesse, almanco! O’ cancaro è-lloandò? Oh compare! 63

60 Deh, eh, puttana del canchero, prendimi quello spiedo, aprite quella porta!puttana del cancaro: la stessa imprecazione a IV 2; cfr. anche I 1. spedo: cfr. PATRIARCHI 190speo e BOERIO 687 speo; dato che la forma con caduta della dentale intervocalica pare esclusi-va nei dialetti veneti attuali (MAZZUCCHI 254, MIGLIORINI - PELLEGRINI 104, NINNI I: 103 e II:215, PAJELLO 270, AIS VIII 1052 spéo ‘conocchia’ a p. 364, Campo San Martino [PD]) e anti-chi (BORTOLAN 268 da un documento del 1370, TOMASIN 2004: 301; conta meno spedi in untesto a tradizione veneto-toscana come le Rime di Francesco di Vannozzo [banca dati TLIO]),nella -d- conservata da spedo andrà forse ravvisato un altro tocco moschetto. Non è certo chespedo vada inteso nella sua accezione militare di «arma [...] costituita da una punta di ferro[...] infissa in una lunga asta di legno per l’impugnatura» (GDLI XIX 8951, CORTELAZZO 2007:1293), testimoniata dallo stesso Ruzante (Betìa 363, 369 e 371; ambiguo speiazo di Betìa 255;vd. anche LIO MAZOR 66 speuto, SALVIONI 1902-1904 (2008): 607 v. 281, MAZZARO 1991: 56 v.132 «spè de legn», Egloga di Morel in PELLEGRINI 1964 [1977]: 401 v. 269 «spè da col» ‘ala-barda’). A favore dell’accezione culinaria («caldare e spì» in Betìa 473, «un spéo da cusinabolognese» in CALMO Rodiana 155) potrebbe stare la probabile dipendenza di questa scenada quella ariostesca dei Suppositi nella quale contro i presunti intrusi (in realtà i veri padronidi casa) si avventa un cuoco con il suo schidone (ARIOSTO Commedie 237 e 324; lo schidione èper l’appunto lo spiedo in senso culinario: GDLI XVII 1002); vd. anche INGANNATI 253 «Que-sta è buona arme, padrone. Io lo voglio infilzare con questo spedone come un beccafico» e ingenerale Introduzione § 7. avriti: forma verbale analoga a quelle di II 25, 27 e 29 (cognosci-ti, sapitilo e simili).61 Vi chiedo la vita in dono, per amore del perdono di Gesù Dio, misericordia, non mi pic-chiate più, che sono morto!Ieson: continua l’«accusativo latino prevalso grazie alla formula di chiusura degli Oremus (perDominum nostrum Jesum...)» (SALVIONI 1902-1904 [2008]: 651 § 67; cfr. GIANCARLI Capraria131 Iesum e ancora TUOGNO ZAMBON 83 Gieson, 108 Iesun). no m’in’ dé pì: per dare cfr. Pr.15. ZORZI 1426 ha rilevato che qui «il tema delle bastonate appare restituito al suo originariovalore di atto di violenza, regolatore di un rapporto definitivo tra i personaggi».62 Andate via compare, e portatelo a casa.63 Potta del canchero! Compare, siete voi? Oh, compare? Dove canchero è andato? Che can-chero è questo? Ma è uno scudo... ma è proprio il suo! Potta del canchero, è un gran fanfa-rone, ti pare che sia rimasto dove l’ho messo? Oh canchero, compare, siete voi compare?Almeno lo trovassi! Dove canchero è andato? Oh compare!ruella: cfr. V 37. ca sì che: cfr. I 56. lasagnon non tanto «uomo grande e scipito» (BOERIO361, PAJELLO 123 lasagnon de omo, e similmente MIGLIORINI - PELLEGRINI 53 lasañón e RIGO-BELLO 249 la!agnón), quanto ‘sbombalone, spaccone, esageratore’ (MAZZUCCHI 131 lasagnon),in accordo con l’antica accezione di lasagna ‘ciancia’ (vd. SALVIONI 1902-1904 [2008]: 607 v.266, VIDOSSI 1954: 444, CAVASSICO II 375 lasagna ‘ciancia, fandonia’, MAZZARO 1991: 54 v. 73

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RUZANTE Si’-vu vu compare? 64

MENATO Sì, potta de chi ve fè! A’ si’ ben stò don’ a’ ve mettì! L’è un’o-ra ch’a’ ve vaghe cercanto! 65

RUZANTE Oh compare! La maor desgratia che foesse mè intravegnù acristian del mondo! A’ ve diea ben mi: stagon chì su la crosara! 66

MENATO A’ he cattò una ruella, è-lla la vostra compare? 67

RUZANTE Sì, potta del cancaro! Mo compare, quando a’ ve partissi, a’me conciè in mezo sta crosara per vêrme a torno ben... a’ no so mi, a’vezo a lusere no so que: el parea fuogo e sì no giera fuogo. A’ ghe vagoincontra, bensà che a’ vezo un pe’, e po du pie’, e po una gamba, e podu gambe, tanto ch’a’ vezo mezo un, e po tutt’un e po compare... elgiera pizzolo... el comenza a vegnir grande, ch’el parea fuora de muo’grande... a’ no poea guardar tanto in su, quanto el cressea, e s’ingrossa-va... a’ ve dirè ’l vero, compare, mi con’ a’ viti cussì, el me vene a muo’paura, e in quello ch’a’ me pensava d’andar inanzo o de tornare indrio,a’ me sento vegnir in lo volto un vissinello ch’ha far la bissa buova... elsupiava, compare, ch’a’ no me poeva tegnire in pe’! 68 El me butta alla

lasagne ‘ciance’ e 58 v. 192 lasagnar ‘cianciare’ con CORTELAZZO 2007: 694). Lasagnon ‘fanfa-rone’ è più adatto a Ruzante, pronto a battersi a parole, ma subito sopraffatto dallapaura. sipia: cfr. sipiando V 53. El catesse, almanco!: per catar ‘trovare’ cfr. Pr. 6; per i pro-blemi sintattici posti da el cfr. Nota al testo § 1.1.2 nota 24.64 Siete voi compare?65 Sì, potta di chi vi fece! Siete proprio stato dove vi ho messo! È un’ora che sono in giro acercarvi!potta de chi ve fè: cfr. II 41. L’è un’ora ch’a’ ve vaghe cercanto: la perifrasi anche in Pr. 2 «sì ’l vadiganto» ‘vanno in giro a dirlo’.66 Oh compare! La maggior disgrazia che sia mai successa a un uomo sulla faccia della terra!Vi dicevo ben io: stiamo qui sull’incrocio!intravegnù: cfr. I 60 (riferito a disgratia: vd. Pr. 1). cristian: cfr. I 1. crosara: cfr. V 42.67 Ho trovato uno scudo, è il vostro compare?A’ he cattò una ruella: per catar cfr. III 12, per ruella V 37.68 Sì, potta del canchero! Ma compare, quando ve ne siete andato, mi sono sistemato in mezzoa questo incrocio per vedermi bene intorno... non so io, vedo luccicare non so cosa: sembra-va fuoco e però non era fuoco. Gli vado incontro, e vedo un piede, e poi due piedi, e poi unagamba, e poi due gambe, finché vedo una mezza persona, e poi una persona intera e poi com-pare... era piccolo... comincia a diventare grande, che sembrava grande fuori del normale...non potevo guardare abbastanza in su, da tanto cresceva, e si ingrossava... vi dirò la verità,compare, io quando vidi così, mi venne una tale paura, e proprio mentre pensavo di andareavanti o di tornare indietro, mi sento venire sul volto un mulinello che porta la tempesta... sof-fiava, compare, tanto che non mi potevo tenere in piedi!a’ me conciè: cfr. IV 1 e V 53. crosara: cfr. V 42. a’ vezo a lusere no so que: con a introdutto-re di frase dipendente da verbo percettivo (cfr. Pr. 2). bensà lett. ‘ben sai’, con il significatodi ‘certo’: cfr. Betìa 189 «Bessà che s’te volissi dire / [...]» (e Betìa 467), Dialogo facetissimo 87«Besà che a’ no ’l poré fare, perché, se a’ me ammazzo, quel giotton dirà che a’ sarì stò vu»,GELLI Sporta 677 «Ben sai che io non fui prima fuor della porta, ch’io senti’ in chiesa un canefare un grande abbaiare»; CORTELAZZO 2007: 178 bessà, BOERIO 77 bessà «T. antiq. e vale Bensi sa», ZAMBONI 1989: 276 nota 29. vezo mezo un: per il tipo sintattico cfr. mezo un bò I

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prima la ruella in terra, e man mi a muzzare e ello a supiare... el m’an-dasea sbattando in sti muri, ch’el sonava un ch’andesse daganto d’i pie’intuna vessiga... a’ son tutto rotto, a’ son tutto pesto, a’ son tutto fran-to, tutto destegolò... e se no me recordava de farme la crose con la len-

54. un vissinello: «Voce imitativa da avvicinare al vèn. ant. vesinare ‘scoreggiare’» (PRATI 201s.v. vissinèlo; vd. vessinò V 26 e Betìa 261); cfr. Piovana 895 e 1023 al femm. vessinela, MAGA-GNÒ Rime I 6r, 35v, SGAREGGIO V4r «Tuti chialò a refuso / dixe, chi l’è ’l Dragon, la BissaBuova, / chi ’l Vissinelo e ’l Cularsego prova» (non mi sono chiari significato ed etimo di cular-sego); FIGARO K3r «pì presto que no xè / quel certo ventesello / ch’a’ chiamon vissinello». Vd.poi BORTOLAN 300 vissinello, PATRIARCHI 221, BOERIO 797 vissinèlo «voce del contado versoPadova, turbine», MAZZUCCHI 296 vissinelo, PAJELLO 317 vissinelo de vento (con rimando abissinelo), PRATI Vals. 203 vessinèlo o vento vessinèlo ‘vento che ammulina, nodo di vento’,QUARESIMA 509 vissinèl, RIGOBELLO 85 bisinèl ‘tornado’, ‘mulinello’, ‘piccola tromba d’aria’ eZAMBONI 1989: 278 (bisinèlo ‘turbine di vento’ nel dialetto di Montagnana [PD]). Cfr. ancheA. PRATI, Vicende di parole, in ID X 1934, p. 221 n° 40 alla voce vissinèl, vessinèl. ch’ ha farla bissa buova: non è decidibile se bissa buova sia soggetto o oggetto di fare e se si debba inten-dere quindi ‘un turbine foriero di tempesta’ o ‘un turbine causato dalla tempesta’ (per questaseconda ipotesi propende ZORZI 668, che traduce «proprio come deve essere quello del tur-bine»). Conservo la lezione della princeps (ZORZI 1427 integra «ch’[ha] a far, ‘come devefare’»), dato che del costrutto apreposizionale con avere si trovano anche altri casi (non molti,per quanto m’è riuscito di accertare): vd. Betìa marciana «an ti ha vegnir via» (LOVARINI 1894:343 v. 1001, lezione confermata dall’ispezione del ms.), BIBBIA 43 «averà <a> fare carnalmen-te» (ma il costrutto con la preposizione è frequente nel testo a fronte di questo solo es.), GIAN-CARLI Zingana 403 «Ch’ha [a] far sua moglie in quel cimitero?», VENIEXIANA 141 «Sastu zòche ti ha <a> dir a Miser Iulio?» (Padoan integra <a>, ma vd. le obiezioni di TOMASIN 2007:164; nella Moschetta si hanno anche i due tipi con la preposizione introduttiva: ha da Pr. 1 duevolte, ha a IV 2). Altri ess. in contesti finosintatticamente favorevoli al fenomeno (visto che lapreposizione verrebbe a trovarsi dopo una voce terminante con -a o prima di una iniziante cona-) in MEDICI Aridosia: «Erminio che m’ha fare un cappello» (444), «come la cosa aveva anda-re» (453), «dove avete voi andare?» (465), «Se l’ha andare a casa sua» (468), «non ho averqualche mancia?» (488), «Io ho andare a Santa Susanna» (502), «perch’io abbia aver questocontento» (505), «non ha egli aver caro d’avere un figlioloccio bello a quel modo?» (506),«s’io non avessi avuto aver di queste brighe» (508), «se i danari avessero acconciare questacosa» (510), «ma abbia augmentare e l’onore e la roba tua» (516); e vd. poi per casi analoghicon avere + infinito FIRENZUOLA Trinuzia 543, 551, 552-553, 558, 597, 603; GELLI Sporta 639,654; CECCHI Assiuolo 874, 898, 935, 937; D’AMBRA Furto 74; GIANNOTTI Vecchio amoroso 31,34, 71. Altri casi con verbi diversi da avere in CALMO Travaglia 40, FIRENZUOLA Trinuzia 544,GIANCARLI Capraria 149. Per bissa buova ‘tromba d’aria’, ‘tempesta’ cfr. Betìa 261, Piovana895 e SGAREGGIO V4r (sempre con vissinello), CAVASSICO II 358 bova boa ‘vento impetuoso’,ROVIGIÒ C7v «Te dirissi an que insia / la bissa buova foesse fuora», bisse delle turbolenze inun discorso pantalonesco dell’Arte Rappresentativa di Perrucci (SPEZZANI 1997: 47); FOLENA1993: 65 bissabova / bissabuova, PATRIARCHI 22 bissa bova, BOERIO 83 bissabòva, e gli altrinumerosi rinvii vocabolaristici radunati in LEI 6.82.26 ss. sotto un prerom. *BISJA, *BISSJA‘vento’ (soluzione che dà adito a quache perplessità, tanto più che bova ‘vento impetuoso’ esimili sono opportunamente raccolti s.v. BOA/BOVA in LEI 6.345.18 ss.). Sarei incline a vederein bissa boa letteralmente una ‘bestia boa’ (come per bissa scoara ‘tartaruga’), e la voce indicainfatti lett. il serpente boa, e appare diffusa con diversi significati in vari dialetti settentrionali(specie nella loc. a bissabova ‘a zig zag’: ad es. in DOMINI 49 s.v. bissaboga, DORIA 74, MAZ-ZUCCHI 25, PRATI Vals. 16, QUARESIMA 42, ROSAMANI 95; SALVIONI 1890-1892 (2008): 277 debissa ‘tortuosamente, non dirittamente’): cfr. in generale PRATI 18 s.v. boa2 con vari rimandi (eprima A. PRATI, Vicende di parole VIII. Nomi d’animali, in SMV II 1954, pp. 199-238, alle pp.205-207, n° 12 s.v. biscia bova). Vd. inoltre M.L. WAGNER, Romanische und baskische Benen-

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moschetta

gua el m’arae tutto smaruzzò! 69 Mo con’ a’ me fie’ la crose de fatto de

nungen des Wirbelwindes und der Windhose nach Geistern, in «Archivum Romanicum» XVII1933, pp. 353-360, alle pp. 355-356; A. PRATI, Bestie e fantasmi in forma di metèore, in «Fol-klore Italiano» VIII 1933, pp. 105-128, alle pp. 110-111; G. VIDOSSI, Bestie e fantasmi in formadi metèore, in VIDOSSI 1960: 210-211; BECCARIA 2000: 78-89, COLTRO 2006: 117. SecondoDORIA 74 «il significato traslato è [...] comprensibile confrontando l’andatura di un tifone o“tornado” con quella serpeggiante o avvolgente di un serpente (tuttavia il Prati è del parereche detto traslato è connesso piuttosto con vecchie credenze mitiche riguardanti le meteore[...])»; val la pena di rammentare che il serpente è abitualmente associato a grandi catastrofiacquatiche: cfr. V.J. PROPP, Le radici storiche dei racconti di fate, Torino, Bollati Boringhieri,2001, p. 407. La bissa buova ha qui connotazione sovrannaturale, in quanto fenomeno di unapresenza demoniaca (in COLTRO 2006: 63 una bufera improvvisa segnala la vicinanza dell’or-co) che Ruzante dice d’aver scongiurato facendosi il segno della croce con la lingua. In NINNIII: 105 si legge che «all’approssimarsi di una tromba terrestre (bissa boa) si deve farsi il segnodella croce e dire: vento rossignol, portime andove che ti vol»; e così M.L. WAGNER, Romani-sche und baskische Benennungen cit., p. 356 riferisce, citando Carlo Simiani, che in area tra-panese la draunara (il ciclone) «si tagghia cun tri palori di la divinità chi sunnu: l’Unniputen-za di lu Patri, la Sapienza di lu Figghiu, e la Virtù di lu Spiritu Santu»: si noti come la drau-nara trapanese corrisponda al pavano dragon nominato inseme a bissa-buova e vessinello inPiovana 895 e SGAREGGIO V4r.69 Mi butta subito lo scudo per terra, e io scappo e lui soffia... mi sbatteva in continuazione suquesti muri, sembrava uno che colpisse con i piedi una vescica... sono tutto rotto, sono tuttopesto, sono tutto franto, sfinito... e se non mi ricordavo di farmi la croce con la lingua miavrebbe completamente ridotto in briciole!alla prima: cfr. IV 9. la ruella: cfr. V 37. e man mi a muzzare: per la coordinazione di modofinito e infinito tramite e man cfr. III 72; per muzzare cfr. Pr. 14. el m’andasea sbattando in stimuri, ch’el sonava un ch’andesse daganto d’i pie’ intuna vessiga: da notare la perifrasi m’andaseasbattando ‘mi sbatteva ripetutamente’ e dare di ‘colpire con’ già rilevato (ad es. V 53; cfr. III12); per sonare ‘sembrare’ cfr. IV 4. Il figurante della vessiga suggerisce tutta la rassegnazionee la pochezza di Ruzante di fronte alla mostruosa apparizione (in realtà di fronte all’impieto-so compare): vd. Piovana 941 «No ve recordèvo quando de un cao ponso da pugno a’ sfon-deriè quelù con se sfondera’ una vessiga, e a quel’altro ghe infransi gi uossi con se infranze lafava?», GIANCARLI Zingana 387 «Spingarda, d’Arteglieria, è divenuto una vescica scoppiata»(si allude al crollo di tutte le speranze del servo Spingarda), Paolo da Castello «Sta uita e aparazion de le bissige. / Che s’tu ge urte dentre co na ponta / No ual po. che à soffiar tu teaffadige» (SALVIONI 1902-1904 [2008]: 604 vv. 181-183); Egloga di Morel «Sto nostre repetarchilò è bessighe, / dutte piene de fià, parzò ch’al fin / forza è che zone pò a coltar le ortighe»(PELLEGRINI 1964 [1977]: 402 vv. 307-309). In MAGAGNÒ Rime I 6v «un vissigon ch’è pin devento» è persona baldanzosa a parole ma inetta nella realtà. Possibile che la vescica sia pro-priamente quella di porco gonfia d’aria e usata come palla dai bambini: cfr. CROCE 2006: 8«giuocaremo al pallone con la vescica» (e nota 3). Per vessiga cfr. poi anche PATRIARCHI 219,MAZZUCCHI 295, PAJELLO 317 s.v. vissiga, PRATI Vals. 203, QUARESIMA 506. destegolò: destri-golar vale lett. «cavar i grani, come dai baccelli de’ legumi, dalle pannocchie e simili» (BOERIO235); vd. anche PATRIARCHI 71 destegolarse ‘sgretolarsi, stritolarsi’ (significato per cui propen-de VIDOSSI 1954: 444), MAZZUCCHI 74 destrigolà ‘sgusciato, sbaccellato’ e destrigolada‘(scherz.) strage, massacro’, RIGOBELLO 161 destegolàr ‘sgusciare’. Cfr. Piovana 897 «a’ ’l sbue-lerè, a’ ’l sfondererè, a’ ’l destegolerè, a’ ’l smenuzolerè», SALVIONI 1902-1904 (2008): 629 v.1018 «biè bis destegolà» (e anche p. 299), MAGAGNÒ Rime I 66v «tutta destegolà, pina d’ar-sura», MAGAGNÒ Rime II 64r «Begotto che ’l gh’è stà sbrusà so’ friegi, / E gh’è stò in cercaamisi e parenti, / e l’ha destegolò a muo’ braciegi» (dove braciegi dovrebbe valere ‘baccelli’),FIGARO I1r «e ’l balestro desfatto e stegolò», BERTEVELLO H7v «E Rolando i destegola, e sfra-sella», BELLUORA 25v «e stegolarlo com’ fa on Malgaragno» (‘cavargli i grani come da un melo-grano’). La r del polesano destrigolare (ma anche di altre aree) induce PIREW 4512 a supporre

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atto quinto

fatto el se perse... mè pì compare, mè pì a’ no stago su crosare! Andona ca’ compare, menémeghe, ch’a’ son stravaliò. Cancaro, a’ n’evi mè pìla pì gran scagaruola de questa, compare: s’a’ no muoro sta botta a’ mescorzerè a muo’ un pianton, compare! A’ ho fatto invò de far pase conquel soldò e domandarghe perdonanza: a’ vuo’ compare, co’ ’l supiadoman dì, ch’a’ vezé da conzarla perqué, compare, a’ n’in’ vuo’ pì, a’son stuffo, a’ vuo’ tendere a far ben e a vivere in santa pase, né pì noel-le né pì garbinelle né gnente... a’ n’he fatte tante che la prima fià ch’an-desse in preson a’ sarae squartò de fatto! A’ me vuo’ tirare la coa in legambe per n’andar pì urtanto in gnente... seon-gi ancora a pe’ de ca’compare? 70

l’etimo INTRICARE; pare però più probabile, alla luce della recenziorità delle forme con r, cheINTRICARE si sia incrociato con l’etimo originario, probabilmente TEGULA. se no me recorda-va de farme la crose con la lengua: per l’esorcismo vd. ZORZI 1426-1427 e le testimonianze diAnconitana 849 «a’ me fiè ben pì de cento crose, con le man, con la lengua, a’ dissi el triàbiti,la salveregina [...]» (Ruzante davanti a un lupo), GIANCARLI Zingana 239 «Fate crose» (perscongiurare la visita notturna di una strega), SALVIONI 1902-1904 (2008): 615 v. 554 «me fessisot la pieta milli cros» (all’apparizione di un fantasma), SGAREGGIO B3r «A me fiè ben la crose/ co la lengua: e la ose / me restì in la luchela» (il poeta stupefatto di fronte a un usignolo par-lante) e l’es. da Caràvia in CORTELAZZO 2007: 419. Si noti che la recitazione del «Qui abitat»(triàbiti nell’es. dall’Anconitana) protegge da «malacosa [...] d’acqua, [...] di saetta [...] dimorte subitana» (Ubbìe, ciancioni e ciarpe del secolo XIV, a c. di G. Amati, Bologna, Roma-gnoli, 1866, rist. anast. Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1968, p. 32). el m’araetutto smaruzzò ‘mi avrebbe ridotto in briciole’ (ZORZI 670; LOVARINI 75 «m’avrebbe ridotto inpezzi»); per il verbo cfr. SGAREGGIO S2v «gi uuocchi russi dal pianto e smaruzzà» (dove l’ag-gettivo varrà ‘stropicciati’, ‘pesti’) e RIGOBELLO 445 !marazàre ‘far squagliare’ (Minerbe).70 Ma quando mi sono fatto la croce subito subito è sparito... mai più compare, non sto agliincroci mai più! Andiamo a casa compare, portatemici, che sono sconvolto. Canchero, non homai avuto una cagarella più grande, compare: se non muoio stavolta cambierò la scorza comeun pollone, compare! Ho fatto voto di far pace con quel soldato e chiedergli perdono: com-pare, domattina voglio che vediate di sistemare la faccenda perché, compare, non voglio piùproblemi, sono stufo, voglio badare a comportarmi bene e a vivere in santa pace, né più scher-zi né più inganni né niente... ne ho fatte tante che la prima volta che andassi in prigione sareisquartato seduta stante! Mi voglio tirare la coda tra le gambe per non andare più a urtare inniente... siamo già vicino a casa compare?de fatto de fatto: cfr. Pr. 2. crosare: cfr. V 42. stravaliò: cfr. III 30. evi: si tratterebbe, secon-do l’ipotesi di ROHLFS II 584, d’una reliquia metafonetica. scagaruola lett. ‘diarrea’ (RIGO-BELLO 399 scagaróla ‘caccarella’, PATRIARCHI 33 e MAZZUCCHI 36 cagarola, BOERIO 115 eDORIA 108 cagariola): indica qui il grande spavento di cui la diarrea è sintomo (cfr. a IV 2«L’arà tanta paura ch’el cagherà da per tutto» e scagaita ‘paura, rimescolamento’ in CORTE-LAZZO 2007: 1180). sta botta: cfr. III 134. a’ me scorzerè a muo’ un pianton: ossia ‘rimarròdebole e inerte’, almeno a giudicare dall’immagine di Betìa 191 «e perché po a’ perdì / lalubertè e la rason, / e romagnì a muò un pianton, / che sea stà scorzò». Oppure con il signifi-cato di ‘mi rinnoverò’, ‘cambierò totalmente’? ZORZI 670 traduce ‘perderò la scorza come unapianta’ ma non ricorda il passo della Betìa (LOVARINI 74 traduce «mi spellerò come un pian-tone di salice»). Il pianton è il «pollone spiccato dal ceppo della pianta per trapiantare» (BOE-RIO 503; anche PIREW 6579 *PLANTO, CORTELAZZO 2007: 999, PATRIARCHI 147 e RIGOBELLO332 piantón ‘ramo d’albero che si trapianta’; BORTOLAN 205 traduce sommariamente ‘pianta’).NINNI I: 174 s.v. fasso bianco spiega: «fastello di legne di salice da ardere dette “legna dolçe”.

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moschetta

MENATO A’ seon adesso per me’ l’usso 71.

[Scena terza]BETTIA, MENATO e RUZANTE

BETIA Oh, per la bell’amor de Dio, agiéme ch’a’ son morta! 72

MENATO Ch’aì-vu comare? 73

BETIA Compare, a’ son morta! 74

RUZANTE No te desperare! 75

BETIA Pase compare, pase, pase, pase! 76

“Piantòn” dicesi a quelli a cui fu lasciata la scorza». Qui il pianton è dunque legna da arderedotata di scorza («scorza de pianton» in MAGAGNÒ Rime II 3v, pianton legna tenera da arde-re in MENO BEGUOSO 9), che può essere ‘sbucciata’ come nell’espressione di Ruzante (Ninniparla del salice, albero cui Lovarini si riferiva, credo non a caso, nella propria traduzione).Non pertinente la locuzione far sgussare un pianton con le spalle (o con la schina) ‘bastonare’documentata da CALMO Travaglia 146 (in nota un rimando anche a Giancarli), che pure allu-de con il verbo sgussare all’operazione della pulitura del legno dalla sua scorza. Per scorzare«levar la scorza, e dicesi più propr. degli alberi» (BOERIO 633) cfr. PATRIARCHI 177, MAZZUC-CHI 229 scorzare, MIGLIORINI - PELLEGRINI 99 skorzàr, PAJELLO 239 scorsare un albaro, QUA-RESIMA 398, RIGOBELLO 412 scorsàr. A’ ho fatto invò: cfr. III 134. perdonanza: cfr. III68. conzarla: cfr. III 132. né pì noelle né pì garbinelle: cfr. rispettivamente II 11 e III113. de fatto: cfr. Pr. 2. A’ me vuo’ tirare la coa in le gambe: cfr. «ficarse la coa in mezo a legambe ‘incodardire’» in BOERIO 173 s.v. coa. seon-gi ancora a pe’ de ca’ compare?: il significatodi ancora lascia qualche dubbio e si può sospettare la caduta di una negazione all’inizio dellafrase (che suonerebbe quindi «no seon-gi ancora a pe’ de ca’ compare?»); ma il problema èsuperabile ipotizzando per l’avverbio il significato ‘già’, come in Pastoral 161 «Mo a’ ghe sonstò ancora» ‘ci sono già stato’. In seon-gi si nota l’estensione alla prima persona plurale del cli-tico di prima persona singolare: «Uebertragung vom Singular [...] auf den Plural hat auch beider Inversion statt» (WENDRINER § 102, con alcuni ess. di questo tipo). Per a pe’ de cfr. II 6.71 Siamo adesso di fronte all’uscio.per me’ l’usso: cfr. «per mè l’hus» nell’Egloga di Morel (PELLEGRINI 1964 [1977]: 395 v. 116) eprima «p(er) meç a la casa d’Antolin Gras» in LIO MAZOR 62, «per meço la cità de Jericho» inBIBBIA 80; vd. anche «per mezo de casa mia ‘rimpetto, di fronte, in faccia della casa mia’» (BOE-RIO 415 s.v. mezzo); PATRIARCHI 144 permezzo ‘a rincontro, a rimpetto’, QUARESIMA 264 permèz a ‘dirimpetto a, di fronte a’. Probabile che vada con quelli appena allegati anche un esem-pio che trovo nell’Apollonio veneziano pubblicato da Salvioni: «quello Re diseua ch’ello nonl’aueua sapiudo desplanare et feuali taiar la testa, faççando appichar quella testa per meçço laporta dello so reale palaçço» (C. SALVIONI, La storia di Apollonio di Tiro. Versione tosco-vene-ziana della metà del sec. XIV [1889], ora in SALVIONI 2008 III: 524-577, p. 530). 72 Oh, per l’amor di Dio, aiutatemi che sono morta!per la bell’amor de Dio «per l’infinito amor di Dio» (SALVIONI 1902-1904 [2008]: 676 s.v. bel,a proposito di un es. dell’espressione in Magagnò): cfr. anche Dialogo facetissimo 99 «per labell’amor de Dio». Il genere femminile di amor dipende dalla vocale iniziale (ROHLFS II §393); conseguente a questo mutamento di genere pare la suffissazione del veronese amora(RIGOBELLO 50).73 Che avete comare?74 Compare, sono morta!75 Non ti disperare!76 Pace compare, pace, pace, pace!

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atto quinto

MENATO Co chi, co chi? 77

BETIA Pase compare! 78

RUZANTE Co chi? 79

BETIA Pase, fradiegi, pase! 80

RUZANTE Que di’-tu serore? An, compare? Sarae-la mè inspirità? Checancaro ha-la cattò? Che ve parrae se la foesse mè mal imbattùa, com-pare? 81

MENATO Se la foesse mè inorcà? 82

BETIA Pase, pase, pase! 83

RUZANTE Mo co chi? 84

BETIA A’ vuo’ te me la impromitti 85.RUZANTE Mo a’ te la prometto, mo co chi? 86

BETIA Con el soldò 87.RUZANTE Potta de chi te fè, on’ vuo’-tu ch’a’ ’l catte adesso? 88

BETIA L’è chì in ca’, ch’el dise che ti gh’iè coresto drio, e che te gh’hèdò, e sì è tutto sangue, ch’a’ son squaso morta... fé pase, fé pase! 89

77 Con chi, con chi?78 Pace compare!79 Con chi?80 Pace fratelli, pace!81 Che dici sorella? Eh, compare? Sarà mai spiritata? Che canchero ha trovato? Che ve ne par-rebbe se si fosse imbattuta nel demonio, compare?serore: per l’appellativo cfr. III 24. inspirità: cfr. CORTELAZZO 2007: 668 e CALMO Saltuzza124 «Lascia, inspiritata, ch’io ti trovi fuori di casa» con la nota 27. cattò: cfr. Pr. 6. malimbattùa lett. ‘che s’è imbattuta male’ ossia ‘che s’è imbattuta nel demonio’ ed è quindi inspi-rità o, come dirà Menato a V 78, inorcà. Cfr. anche MAGAGNÒ Rime I 58v «puovero scaturò,mal imbatù», FIGARO A2v «grami passionè malimbatù» e per imbaterse ‘incontrarsi’ PATRIAR-CHI 104, BOERIO 323, MIGLIORINI - PELLEGRINI 33. Simili le espressioni di Piovana 927 «l’or-co o la mala inscontraura» (dove la mala inscontraura è per l’appunto il demonio), CALMO Spa-gnolas 58-60 dove i segni di croce «per tuti i lioghi che se puol far [...] le sè buone per ogniscontraura», FIGARO E1r «t’harissi gran paura / ch’a’ desse in qualche mal inscontraura»,ROVIGIÒ C2v-C3r «Ch’ho bio na gran paura / ch’el fosse qualche mala scontraura»; ancheSALVIONI 1902-1904 (2008): 603 vv. 139-140 «Seròvel scontrà fuosi in qualche striga / Che gehaves zuzza el sangu. de ogni vena».82 Se fosse stregata?inorcà: cfr. I 1.83 Pace, pace, pace!84 Ma con chi?85 Voglio che me la prometti.86 Ma te la prometto, ma con chi?87 Con il soldato.88 Potta di chi ti fece, dove vuoi che lo trovi adesso?Potta de chi te fè: cfr. II 41. catte: cfr. Pr. 6.89 È qui in casa, che dice che gli sei corso dietro, e che lo hai picchiato, ed è tutto insangui-nato, che sono quasi morta... Fate pace, fate pace!coresto: cfr. III 3. dò: cfr. Pr. 15.

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moschetta

RUZANTE Mo tasi, no cigare, a’ son contento. An, compare? Que veparrae s’el foesse quando a’ muzzava da quel’orco, che l’aesse crezùch’a’ ghe corresse drio a ello? E mi aea paura, al sangue del cancaro... 90

MENATO Mo se no l’aì pur guasto... 91

RUZANTE Mo a che muo’ ch’a’ no l’ho gnian zonto? 92

MENATO Moa, andon a far pase, e po andaron a arpossare, ch’el seràora, n’è vera compare? 93

RUZANTE Sì compare, andon 94.

90 Ma taci, non gridare, sono contento. Eh, compare? Che vi parrebbe se quando scappavo daquell’orco, questo qui abbia creduto che gli corressi dietro a lui? E io avevo paura, al sanguedel canchero...cigare: cfr. III 52. a’ muzzava: cfr. Pr. 14. orco: l’apparizione demoniaca che Ruzante sostie-ne di aver incontrato mentre era solo sulla crosara (per orco cfr. inorcò I 1).91 Ma basta che non l’abbiate anche rovinato...Mo se no l’aì pur guasto...: ricalco la traduzione su quella di LOVARINI 76 («Ma che non lo abbia-te anche rovinato»), ma il significato della battuta mi pare poco chiaro (né aiuta la traduzionedi MORTIER 1925: 185 «Mais ne l’auriez-vous pourtant pas abimé?»); per guasto ‘ferito’ cfr. II3, e per l’accentazione Pr. 3.92 Ma in che modo che non l’ho neppure raggiunto?zonto?: zonto ‘acchiappato, raggiunto, preso’ in BOERIO 821 s.vv. zonto e zonzer (già PATRIAR-CHI 226); cfr. anche CORTELAZZO 2007: 1538 zonzer e RIGOBELLO 451 !ón!ar ‘raggiungere’.93 Via, andiamo a far pace, e poi andremo a riposare, che sarà ora, non è vero compare?Moa: cfr. I 22. arpossare: con lo stesso prefisso di arparare I 54.94 Sì compare, andiamo.

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EGLOGA DE RUZANTE NOMINATA LA MOSCHETTA 1

[1] Orbéntena, el mondo è tutto voltò col culo in su: femene e uomeni,negun no va pì per el naturale, tutti vò strafare e tutti volze vontiera elso’ puorpio, e tutti \\a sgacafasso bonamen// ha piaser del naturale pìde gi altri ca del so’ 2. [2] A’ guardo adesso che com uno vò dire ognepuo’ de noella de fatto el mua la so’ lengua e tuole la fiorentinesca o la

[1] a sgacafasso bonamen] a sgaca | fasso | bonamen

1 Egloga [...]: per le implicazioni cronologiche e redazionali di questo termine cfr. in genera-le PADOAN 1998 (in part. p. 182 nota 21).2 Orbene, il mondo è tutto alla rovescia: donne e uomini, nessuno segue più il naturale, tuttivogliono strafare e tutti girano alla rovescia quel che hanno, e tutti, andando completamentea catafascio, hanno piacere del naturale degli altri più che del proprio.Orbéntena: cfr. I 5. el mondo è tutto voltò col culo in su: cfr. ad. es. REGONÒ G4v «Huomeni,e donne s’ha mettù a sgnicare / que a dissè: “El mondo va co ’l culo in su”», MAGAGNÒ RimeI 62v «e quel duca preson fo scappò su / e ’l pavegion anè co ’l cul in su», MAGAGNÒ RimeIII H6r «le conse n’anarae col cul in su», SGAREGGIO R4r-v «Se quelle tose hanor de i Can-taore / n’hesse meggior paron, le sarae zà / anà cu ’l cul in su, pì strapazzà / que n’è da centocavre un prò de fiore» e BAFFO Poesie 286 «Par che un mago sia vegnù, / che abbia tuttorebaltà, / e voltà col culo in su / tutta quanta la città». vontiera: cfr. III 72. tutti a sgacafas-so bonamen ha piaser del naturale pì de gi altri ca del so’: con ovvio doppiosenso determinato danaturale ‘organo sessuale’ (soprattutto maschile): cfr. Pr. 5, 6, 11. A sgacafasso vale lett. ‘a cata-fascio’, qui probabilmente ‘a più non posso’, ‘senza limiti’ (a sgasafazo in Intermedio § 1, a scaz-zafazzo in Rasonamento § 1): cfr. ad es. Anconitana 783 «Andassàn a scazafasso, no favelaremè d’altro e no voler ben a altro», MAGAGNÒ Rime III E8v «a bottafasso», F1r «a squarza-fasso» G4v «a scazzafasso», SGAREGGIO O4v «tutti pianze a befezo, a scazzafasso» (dove lalocuzione sembra valere appunto ‘a più non posso’, ‘in abbondanza’), FIGARO F4r «Che ’l vine ’l pan gh’anesse a scassofazzo», CALDERARI 58v «a squarzafasso», TUOGNO ZAMBON 68 «ascazzafasso»; la locuzione non è invece nei vocabolari dialettali consultati. In GDLI II 867 cata-fascio è attestato solo a partire da Guerrazzi, ma da DELI 311 si risale al Pataffio («come si fadi rose, della spina / faccia di voi ghirlande a catafascio»: DELLA CORTE 2005: 102; cfr. F. SAC-CHETTI, Il Pataffio, a c. di F. Della Corte, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 2005,p. 25 v. 116 e p. 108); vd. anche BASILE Cunto 444 «a bottafascio».

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egloga de ruzante nominata la moschetta

moscheta e dise ch’el non sonerà bon in la soa 3.[3] Ognom va drio a quel che ghe piase pì, e sì no guarda pì andar der-tamen ca roversamen, e sì no è zà onesto. El serae sì co’ megio che miche son pavan e de la Talia a’ me volesse far toesco o spagnaruolo! Moa’ no vuo’, perqué a’ sè che a tegnirse con el so’ naturale dertamen, comdise la leza, «delecta de triche sesso», que ven a dire che tutti dè averedel naturale 4. [4] \\(...) el dà pì piasere un celegato in sen ca tri in leciese//, e perzòntena, bella brigà che a’ si’ chialò asunè, a’ no ve tegno

[4] (...) el dà pì piasere un celegato in sen ca tri in le ciese] (...) el | [d]a pi piasere | [u(n)] cele-gato | [i] sen cha | [tri] i(n) le ciese

3 Di questi tempi vedo che quando uno vuol raccontare una storia subito cambia la sua lin-gua e prende la fiorentina o la colta e dice che non suonerebbe bene nella sua.noella: cfr. Pr. 14. de fatto: cfr. Pr. 6. la moscheta: l’aggettivo che dà il titolo alla commedia(come indicato più sotto al § 14). Cfr. MILANI 1989 (2000): 173-174 per il regesto delle occor-renze di questo e di aggettivi simili in riferimento alla lingua (mosco, moscano); altre occor-renze e una discussione del problema qui in Introduzione § 1.4 Ognuno segue quel che gli piace di più, e non bada ad andare dritto piuttosto che alla rove-scia, e non è certo onesto. Sarebbe come se io che sono pavano e italiano volessi diventaretedesco o spagnolo! Ma non voglio, perché so che tenersi con il proprio naturale dritto, comedice la legge, «diletta entrambi i sessi», che vuol dire che tutti devono avere del naturale.Ognom va drio a quel che ghe piase pì: è il «trahit sua quemque voluptas» virgiliano (BucolicheII 65); cfr. anche MAGAGNÒ Rime II, c. 45r «No gh’è lieza ne fe’, / la pì parte va drio al so’pitetto». e sì no guarda pì andar dertamen ca roversamen: secondo l’opposizione dritto / rove-scio evocata fin dal primo paragrafo. El serae sì co’ megio che mi [...]: PADOAN 1981: 175 rin-via a Fiorina 727 (prologo) «El sarae sì co’ miegio che mi, ch’a’ son pavan e de la Tralia, a’ mevolesse far toesco o franzoso». Secondo MILANI 1989 (2000): 182 nota è «da trascriversi comie-gio [sic], variante deformata di come, che i copisti non hanno capito data la sua singolarità»;non conosco altri ess. di comiegio, che resta in assenza di altri riscontri d’incerta interpreta-zione: solo parziale il confronto proponibile con come che ‘come’ registrato per vari dialetti diarea nord-orientale in ROHLFS III 792. In generale cfr. MAGAGNÒ Rime I, cc. 3r-3v «mi moch’a’ son Pavan / no serave na biestia s’a’ lagasse / questa me lengua o ch’a’ l’inroegias-se?». Talia: cfr. Tralia I 66. a tegnirse con el so’ naturale dertamen: con il doppiosenso dinaturale indicato al § 1 e nel commento a Pr. 5, 6 e 11. delecta de triche sesso: sembra certoche almeno le ultime tre parole siano deformazione di una formula latina. ZORZI 1429 sugge-risce senza altri rinvii «de utroque sexo», ma non è impossibile che la tonica di triche possarisalire a «utrique sexui» se non al genitivo «utriusque sexus» che pure farebbero difficoltàcon il de; in ogni caso, a maggior ragione se si accoglie l’ipotesi di Zorzi, è invece da respin-gere la divisione «detriche sesso» che egli adotta (p. 677), tanto più che sul manoscritto lo spa-zio tra de e triche è evidente. Luoghi raffrontabili sono quelli di Piovana 887 «che ’l no gh’ècossa che piasa pì a “detrique sesso” con fa el naturale» e Vaccaria 1071 «la coa dà piasere,com dise qui da Palazo, “ad utrique partìo”» (dove coa ‘pene’ corrisponde nel nostro testo anaturale); un sintagma simile è impiegato più tardi da REGONÒ F2r «Ch’a gnun de trique sesso/ gh’ieri cò xè un timon / nel prigoloso mare». L’esempio della Piovana induce a credere che«de trique sesso» sia percepito come unico sintagma paramaccaronico, che in quanto tale puòessere retto dalla preposizione. La pertinenza giuridica della locuzione (si noti qui «con’ disela leza» e nell’occorrenza della Vaccaria «com dise qui da Palazo») è indirettamente confer-mata anche dall’assenza di riscontri nel latino liturgico: dà infatti esito negativo la consulta-zione delle più importanti banche dati dedicate alla Bibbia, ai Padri e agli scritti religiosimedievali (Patrologia Latina Database e CLCLT5 Library of Latin Texts).

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da manco com se fossé mie’ friegi e mie serore, e per ben ch’a’ ve vuo-gio a’ ve farae cossì vontiera un servisio com cosa ch’a’ fesse mè, mi 5.[5] A’ vorae che vu uomeni ve drecessé per carezà bona, e che vu feme-ne a’ ve laghessé governare com a’ ve insegnerè mi, e se a’ no ve voles-se ben, a’ no ve ’l dirae, mi! A’ ve vuo’ dare un bon consegio a tutti:tegnìve al naturale, e no cerché mè de strafare; a’ no ve digo solamen dela lengua e del favelare, mo del resto an’: perqué a’ vezo ch’el non vebasta strafozare de la lengua a favelare fiorentinesco moscheto, mo a’ghe magné an’, e sì a’ ve ghe fé fare le gonele, \\ch’el n’è zà ben fatto// 6.

[5] ch’el n’è zà ben fatto] chel ne za | be(n) fatto

5 [...] dà più piacere un passerotto in seno che tre nelle siepi, e in più, bella brigata qui riuni-ta, non vi considero da meno di fratelli e sorelle, e per il bene che vi voglio vi farei un serviziotanto volentieri come non ho mai fatto nessun’altra cosa.el dà pì piasere un celegato in sen ca tri in le ciese: il senso della frase è solo apparentemente simi-le a quello di Egloga § 10 («No canta miegio gi osiegi su i salgari ca in le gabie?»), e pare anziopposto: si può trarre diletto dalla natura solo grazie a un contatto diretto con le sue creatu-re («in sen»), e non lasciandole libere («in le ciese»); ZORZI 1452 indica a riscontro modi didire raccolti da Giusti come «È meglio un uccello in gabbia che cento in aria» e «Un uccelloin mano ne val due nel bosco». Cfr. nel prologo di Fiorina 727 «el dà pì piasere un çelegato insen ca tri in le çiesie», e nella Selva di esperienza nella quale si sentono mille e tanti proverbi«meglio è haver un passerin in seno che dieci nella siepe» (CROCE 2006: 184 n° 722). Per cele-gato ‘passerotto’ oltre a VP cfr. BORTOLAN 63 celega, PATRIARCHI 45 e BOERIO 157 celegato non-ché R. FERGUSON, Veneto sélega (AIS 488) e sisíla (AIS 499): due etimi greci connessi?, in IDLIX 1996, pp. 299-311; per ciesa ‘siepe’ cfr. BORTOLAN 67, PATRIARCHI 49, BOERIO 169, NINNIII: 19, QUARESIMA 73 cé!a e ce!ón. perzòntena: cfr. Pr. 16. asunè: cfr. PRATI 183 s.v. sunare(«di ragione oscura»); REW 209 s.v. ADUNARE con l’avvertenza che «Die s- Formen sind nichterklärt, EXUNARE [...] ist schwierig» (su questo vd. MARCATO 1982: 165), CORTELAZZO 2007:109 assunàr; altri rinvii in ZORZI 1284 (alcuni ess. tra i più antichi in BIBBIA 50, 95, 98, 104). a’no ve tegno da manco com se fossé mie’ friegi e mie serore: cfr. CALMO Saltuzza 69 «che no ve tegnosì lomé con’ da bon frelo». a’ ve farae cossì vontiera un servisio com cosa ch’a’ fesse mè, mi: aleg-gia il doppiosenso su servizio ‘piacere’, ma anche ‘atto sessuale’ (cfr. III 83) o addirittura ‘cli-stere’ secondo un suggerimento di ZORZI 1429; per vontiera cfr. III 72.6 Vorrei che voi uomini vi indirizzaste per la carreggiata giusta, e che voi donne vi lasciasteguidare come vi mostrerò io, e se non vi volessi bene, non ve lo direi, io! Vi voglio dare unbuon consiglio a tutti: attenetevi al naturale, e non cercate mai di strafare; non dico solo perquanto riguarda la lingua e il parlare, ma anche per il resto: perché vedo che non vi basta stra-volgere la lingua a parlare fiorentino colto, ma mangiate anche in maniera innaturale, e in piùnello stesso modo vi fate fare gli abiti, e non va proprio bene.che vu uomeni ve drecessé per carezà bona: cfr. il proemio di Magagnò alla prima parte delle Rimerustiche: «E perzontena vu Segnor Paron, che vontiera ve tegnì a le cosse snaturale, e sì a’ noanè fuor de carezzà, con fa la maor parte de gi huomeni dal tempo d’adesso [...]» (MAGAGNÒRime I 2v); vd. anche Piovana 1033 «no vito che ti è fuora de carezà?», ROVIGIÒ E3r «no so sein carrezzà / a sipie»; BOERIO 593 s.v. saldo star saldo in carizàda ‘stare in cervello [...], badarbene a quello che si fa, non si smarrire’, DOMINI 87 ’ndar fóra de carezada ‘sbagliare’, NINNI II130 no star in carizàda ‘uscire dal seminato’, RIGOBELLO 119 zò de care!à “fuori regola”. Il verbodrecessé evoca anche l’andar con lo snaturale derto ed è passibile di una lettura a doppiosen-so. governare: cfr. I 1. strafozare lett. ‘andar fuori dalla foggia, dal modo abituale’ ossia ‘stra-volgere, rovesciare l’ordine delle cose’, anche in riferimento alla lingua: vd. CORTELAZZO 2007:1325 strafozà ‘molto elegante’, PATRIARCHI 197 straforzare ‘contraffarsi, trasfigurarsi’, BOERIO

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[6] Mo el serae megio che atendessé a far com a’ fazon nu, magnare debon pan e de bon formagio insalò, e bévere de bon vin che abia qual-che puo’ de rezetto, ca farve tanti saoriti e de tante fatte magnari, \\cheno aessé, co’ aì, ficò tante ventositè chì e tante scorinçie in la panza e inlo magon, mo a’ sassé norì, bianchi e russi co’ è pumi. Guardé co’ a’seon nu da le ville (.....) Crì-u, per strette che avessan, a’ se pighesson inla schina?// L’è vero che guanno la strenze senza pénole, mo inanzoch’el pan deventesse tanto gagiardo ch’el mucesse da i nuostri pare, a’vuo’ zugare che se un de vu uomeni passù de savoriti foesse vegnù a leman con una de le nuostre femene, che da so’ potincia la ve arae butàde sotto. E sì ve arae fatto romagnire fiapi a muo’ zucàri quando la brù-sema ghe ha dò su, perché le è passù de cose naturale 7. [7] E sì no fa

[6] che no aessé, co’ aì, ficò tante ventositè chì e tante scorinçie in la panza e in lo magon, moa’ sassé norì, bianchi e russi co’ è pumi. Guardé co’ a’ seon nu da le ville (.....) Crì-u, per stret-te che avessan, a’ se pighesson in la schina?] che no | haesse cho | ai ficò ta(n)te | [ven]tositèchì | [e tante] scorinçie | [in] la panza e | [i]n lo mago(n) | [mo] a sasse | [n]ori bia(n)chi | [e]russi cho e | pumi gua[rde] | cho a seon | [nu] [d]a le | [vi]lle (.....) [c]riu | p(er) strette | chehavessan | a se pigesson | i(n) la schina

709 s.v.; affine strafantarse ‘cammuffarsi’ in PRATI 178. Il verbo è solo in Ruzante stando al COR-PUS PAVANO. fiorentinesco moscheto: sono condensati i termini già in coppia al § 2.7 Ma sarebbe meglio che badaste a fare come noi, mangiare del buon pane e del buon for-maggio saporito, e bere del buon vino che abbia una vena di aspro, piuttosto che farvi tantimanicaretti e cibi di tanti tipi, che non avreste, come invece avete, tanti peti e tante scorreggesempre ficcate nella pancia e nello stomaco, ma sareste floridi, bianchi e rossi come mele:guardate come siamo noi contadini! Credete che ci piegheremmo, per quante ristrettezze cipossano toccare? È vero che quest’anno la carestia stringe senza bisogno di biette, ma primache il pane diventasse così forte da scappare dai nostri padri, voglio scommettere che se unodi voi uomini nutrito di manicaretti fosse venuto alle mani con una delle nostre donne, quel-la con la sua forza vi avrebbe messi sotto. E in più vi avrebbe fatto rimanere fiappi come lepiante di zucca quando ci è passata sopra la gelata, perché sono nutrite di cose naturali.atendessé: cfr. BOERIO 742 s.v. tender e III 134. qualche puo’ de rezetto lett. ‘un po’ di asprigno’;rocetto in Intermedio § 6 e rocento in Rasonamento § 6 (ZORZI 676 traduce «una vena di bru-sco», PADOAN 1981: 176 «una vena di garbo», che è però termine quasi solo settentrionale edialettale, vd. GDLI VI 588 s.v. garbo1 e BOERIO 300): cfr. Anconitana 875 «quel vin, che ha unavena de reçento», FOLENGO Baldus XI 589 racentum riferito a vino (Chiesa: «frizzante»),MAGAGNÒ Rime II 57r «d’un certo vin bianco da Theolo / dolce e racente», MAGAGNÒ RimeIII H6v «un vin dolce e raccento», MARCHESINI 26-27 su un vino «racento, que morderà i lavri,e salterà in lo meggiolo», CROCE 2006: 102 «vini [...] razzenti», fino al vino «generoso, sereno,razzente» nella prosa carducciana (L. TOMASIN, «Classica e odierna». Studi sulla lingua di Car-ducci, Firenze, Olschki, 2007, p. 149); BOERIO 558 vin recente ‘vino razzente, vale piccante’,milanese rezzent ‘frizzante’ (PIREW 7109 s.v. RECENS), RIGOBELLO 368 resénte ‘frizzante, pun-gente, vino che raschia la gola’. Una costruzione identica alla nostra nell’es. di Botero in GDLIVI 588: «In vece di vino fanno una certa bevanda di frutto di tamarindo, che ha delgarbo». saoriti lett. ‘salsine’ ‘intingoli’, cibi elaborati in opposizione a quelli semplici dei vil-lani (sauriti in Intermedio § 6): cfr. PATRIARCHI 267, BOERIO 600 e i rimandi in CALMO Saltuzza147 e nota 45. che no aessé, co’ aì, ficò tante ventositè [...] a’ se pighesson in la schina?: cfr. in gene-rale il prologo di Fiorina 729 «Che a’ no aessè, con aì, ficò tante ventositè e tante scorinzie

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gnian com a’ fé vu femene che a’ no ve contenté mè, mo a’ ve fé tagia-re e stratagiare ogni dì pignolè, guarniegi, còtole e bandinele e millecancari, e sì a’ strafé tanto che tal botta quel che derae andar denanzoel metì de drio e sì cavé la cosa del naturale. No fé, cancaro, no fé! 8

[7] del naturale] del {so} naturale

sempre mè in la panza e in lo magon, mo a’ sassè norì, bianchi e russi con è pumi». Per sco-rinçie cfr. scorientie in Intermedio § 6, D’AMBRA Furto 95 «la scorrenza mi s’è stagnata» eNUOVO PIRONA 982 s.v. scorènzie con un rimando a scagarèle ‘diarrea’ (lì anche discorènzie escurìnzie). Per magon ‘stomaco’ (< germ. MAGO) cfr. insieme a REW e PIREW 5233 i materiali diPRATI 93 s.v. magón. Per bianchi e russi ‘sani’, ‘di bell’aspetto’ cfr. MENO BEGUOSO 24 «natuosa [...] / bella, zovene, ricca, bianca e rossa» nonché BOERIO 79 «bianco e rosso ch’el favogia [...] di persona avvistata e di bel colore»; la similitudine con le mele in QUARESIMA 335s.v. póm «blanc e rós come n pom». guanno ‘quest’anno’ (< HOC ANNO, REW 4161): cfr.CAVASSICO II 325 s.v. aguan, MAGAGNÒ Rime IV 33v guanno e 34r guanazzo, e gli oltre 30 ess.di guano e derivati ricavabili dal CORPUS PAVANO. la strenze ‘è un’annata magra’: altri ess. dicostruzioni con la clitico soggetto o oggetto a I 54. pénole: i cunei e le spine che s’introdu-cono tra due pezzi per fissarli e impedirne la rotazione o lo scorrimento (GDLI II 222 s.v. biet-ta); cfr. insieme a PRATI 125 e RIGOBELLO 326 s.v. péndola il passo di Vaccaria 1055 «né usci népénole strenze sì fieramen». Forte l’affinità, già segnalata da ZORZI 1429, di questa frase conDialogo facetissimo 69 (battute iniziali): «MENEGO: [...] A’ sé che ’l pan muzza da nu, mi: mosì, pì che no fé mè le çélleghe dal falchetto. Mo no è questo che ven, me compar Duozzo? L’èello, sì. Compare, con ve vala de pan? DUOZZO: Stretta, compare. Cherzì che la vuò strenzereguano, senza pénole». a’ vuo’ zugare che [...]: la vigoria delle donne pavane è già celebrata inBetìa 437 dove Menega narra le ‘gesta’ di Betìa concludendo: «Figiuoli, dir a’ no ve posso /com l’ha gran potinçia mè» (cfr. anche ZORZI 1349). fiapi a muo’ zucàri quando la brùsemaghe ha dò su: per fiapo ‘vizzo’, ‘floscio’ cfr. PRATI 64 s.v. e CORTELAZZO 2007: 545; per zucari,oltre a BOERIO 823 zuchera (‘luogo piantato di zucche’) e PATRIARCHI 226 zucàra ‘piantato dizucche’, cfr. DOMINI 559 ‘pianta della zucca’, MIGLIORINI - PELLEGRINI 124 zukèra ‘zucca(pianta)’, RIGOBELLO 529 zucàro; e anche BORTOLAN 309 zucara ‘gambo della zucca’ (Calde-rari), QUARESIMA 519 zuciara ‘pianta di zucca, dal lunghissimo gambo, il gambo stesso’. Perbrusema ‘brina’ cfr. ad es. SGAREGGIO S1v «Al caldo, al ferdo, a bruosema, e rosà» (qualchealtro es. nel CORPUS PAVANO), PATRIARCHI 26 brósema ‘brina’, BOERIO 102 brosa ‘brina’, QUA-RESIMA 56 brugina ‘rugiada gelata’, RIGOBELLO 99 brò!ema ‘brina’; anche bruosàra ‘gelata’ inSanudo (CORTELAZZO 2007: 230). «Paragone di burlesca efficacia – con l’oscena evidenza diquelle foglie rugose e pelose appassite – espunto dalle altre redazioni di questo prologo»(ZORZI 1430).8 E non fanno neppure come voi donne che non vi accontentate mai, ma vi fate tagliare e stra-tagliare ogni giorno pignolati, gonne, sottane e confezioni e mille cancheri, e così strafate tantoche talvolta quel che dovrebbe andare davanti lo mettete dietro e togliete la cosa dal natura-le. Non fatelo, canchero, non fatelo!tagiare e stratagiare: non si deve pensare in questo caso a un’intensificazione con stra- sul tipodi «ponti e straponti» (IV 1). Il secondo verbo sembra infatti d’uso tecnico, stando almenoalla seguente segnalazione: «ora abbiamo vesti completamente trinciate, o intagliate o strata-gliate come si usa dire [...]. Da questi tagli sbuffa la camicia o traspare la fodera d’oro, o dicolore vivo, di seta più leggera» (R. LEVI PISETZKY, Storia del costume in Italia, Milano, Isti-tuto Editoriale Italiano, vol. III, 1966, p. 197, senza altre precisazioni); cfr. in parte ancheRIGOBELLO 475 stratajàre ‘tagliare di scorcio’. pignolè, guarniegi, còtole e bandinele: per ilprimo sostantivo vd. pignolato ‘tessuto con disegni simili a pinoli’ (GDLI XIII 464 con ess. anti-chi solo settentrionali), ma anche ‘tessuto dall’aspetto granuloso’, ‘fustagno’ (cfr. RIGOBELLO334 e R. BRACCHI, Voci latine medioevali negli Statuti di Bormio, in SMV XXXVII 1991, pp.229-246, alle pp. 239-240 s.v. pignolatum). Varie occorrenze pavane nei testi più antichi e in

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[8] Mo a’ ve digo el vero, mi. Aì-u an’ imparò che a’ ve fé ficare gi anie-gi in le regie? \\Ah, pota del cancaro!// La n’è zà naturale a busare on’no è busò! He-gi an’ vezù de quele che se fa guarniegi che la ten pì largade sotto che la no è de sora? Ch’el no è zà bello questo! A’ guardo lenuostre femene: com pì le è strette de sotto, le ne piase pì \\e sì par mie-gio//, e cossì a’ cherzo che dibia piasere a tutto omo. \\L’è ben vera chedasché è vegnù ste guere – che maleto sea le guere e i soldè e i soldè ele guere – che an’ elle ha scomenzò a strafare de sto cancaro de sbalci econ’ gi è pì gruossi, i ghe piase pì! Mo agni muo’, in questo le ha delnaturale 9. [9] Mo digon mo’// Mo digom mo’ de sti tosatti fantuzati che

[8] Ah, pota del cancaro!] A pota | del ca(n)caro — e sì par miegio] e si par | miegio — L’èben vera che dasché è vegnù ste guere – che maleto sea le guere e i soldè e i soldè e le guere– che an’ elle ha scomenzò a strafare de sto cancaro de sbalci e con’ gi è pì gruossi, i ghe piasepì! Mo agni muo’, in questo le ha del naturale. Mo digon mo’] le be(n) vera ch(e) | dasche eve | gnu ste gu(er)e | ch(e) maleto sea | le guere e i | solde e i sol | de e le guere | che a(n) elle |ha scomenzo | a strafare | de sto can | caro de | sbalci e | co(n) gie pi | gruossi | i ge piase pi |mo agni | muo in q(ue)sto | le ha del naturale | mo digo(n) | mo.

Ruzante (CORPUS PAVANO): per l’accoppiata con le cotole vd. i versi di Betìa 225 «còtole epignolè / sora pignolè». Per guarnello ‘veste’, ‘gonna’ cfr. BORTOLAN 135 e i materiali inCALMO Saltuzza 63 e nota 53; per cotola cfr. PRATI 50 s.v. cota; bandinella è «quella tela o invol-to con cui da’ pannaiuoli si sogliono coprire le pezze di panno, per difenderle dalla polvere»(BOERIO 61; altri rimandi in ZORZI 1430). tal botta quel che derae andar denanzo el metì dedrio: la battuta allude anche ai rapporti sodomitici, tradizionalmente considerati contro natu-ra. Per botta cfr. III 134. No fé [...] no fé: cfr. IV 49.9 Ma vi dico la verità, io. Avete anche imparato a farvi ficcare gli anelli nelle orecchie? Ah,potta del canchero! Non è proprio naturale bucare dove non è bucato! Non ho anche visto diquelle che si fanno abiti che le tengono più larghe di sotto di quanto non lo siano di sopra? Enon è certo bello questo! Guardo le nostre donne: più sono strette di sotto, più ci piaccionoe ci sembrano migliori, e così credo che debbano piacere a chiunque. È ben vero che da quan-do sono cominciate queste guerre – che maledette siano le guerre e i soldati, e i soldati e leguerre! – anche loro hanno cominciato a strafare con questi canchero di balzi, e più sono gros-si più gli piacciono, ma almeno in questo seguono il naturale. Ma diciamo ora [...]Aì-u an’ imparò che a’ ve fé ficare gi aniegi in le regie: «L’uso degli orecchini era tornato allora dimoda dall’Oriente tramite Venezia (furono messi primamente da una Foscari, con grandescandalo, nel dicembre 1525 [...])» (PADOAN 1981: 177 nota 10; cfr. anche PADOAN 1978a: 173e ZORZI 1430 nota 167). Alle «orechie forate» delle donne si allude anche in Anconitana795. Ah, pota del cancaro!: per l’esclamazione vd. I 1. La n’è zà naturale a busare on’ no èbusò: l’allusione al busare è ovviamente salace. guarniegi che la ten pì larga de sotto che la no ède sora: forse vesti o gonne a sbuffo, larghe nella parte inferiore e simili a quelle raffiguratequalche decennio più tardi da Giacomo Franco nei suoi Habiti (cfr. ZORZI 1990: 172-182 e fig.7). le nuostre femene: com pì le è strette de sotto [...]: il cenno sulla larghezza delle gonne vienepiegato a un’interpretazione allusiva, ribadita al § 16 («E bià uno che n’abia una de le femeneche sipia stretta de natura»). Vd. pure l’apprezzamento di Taçio in Betìa 437: «zà che l’è sìstreta / la no sé da sguregiare» (o «la nose da sgaregiare»: vd. qui commento a I 7); anche l’ag-gettivo opposto, larga, può avere significato salace (cfr. CALMO Saltuzza 89 e nota 44). L’è benvera che dasché è vegnù ste guere [...] Mo digon mo’ [...]: si notino, qui e nei corrispondenti passidell’Intermedio e del Rasonamento, altri tre esempi della concordanza già commentata a Pr. 1(«maleto sea le guere [...]»). Quanto agli sbalzi, maledetti anche in Anconitana 809 («sto dia-volo e sbalçi»), non è certo che vadano spiegati alla luce dell’it. balzo ‘fascia, guarnizione’,

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se fa tagiare in le neghe de drio le calze, e sì ha piasere che le ghe sta-ghe calè a i zenuogi! Oh cancaro, mo s’el stesse a mi, a’ farae la bellalezza e stratuti nuovi, che quando un foesse de un paese e che el voles-se favellare de un altro paese, e volesse strafozare, a’ gh’in’ farae andarvia la vuogia! 10

[10] Co’ pì bella cosa del naturale? No canta miegio gi osiegi su i salga-ri ca in le gabie? Mo no è pì bello un polaro de so’ pe’ che n’è un fattoa man? No fa pì late una vaca de fuora a la rosà, a la salbegura ca intu-na citè? El serae an’ miegio s’el no foesse el ferdo, che tutti andasamcossì com a’ seom nasù, nu per nu. Mo no cri’-vu ch’el foesse pì belveére una femena nua per nua ca con tante gonelle e soragonelle? Mo a’cherzo ben de sì. Mo el no serae gnian burto veérghe un om, che aman-co negun no se inganerae a tuor su: uomeni e femene arae el so’ inder-to. El gh’è tal un che par pì omo de quel che l’è, e sì no è zà mezo un! 11

[10] bella cosa] bella \cosa/ — canta miegio] canta m\i/egio — foesse pì bel] foesse \pi/ bel— nua per nua] nua per nua {?}

soprattutto per i capelli (GDLI II 27 s.v. balzo3; PADOAN 1981: 194 traduce «balzi» senza altrespiegazioni); è forse preferibile l’ipotesi di CARROLL 1990: 118 nota 6: «Zorzi [...] defines themas headgear, but, in the context, a gather of cloth resembling a bustle but running entirelyaround the skirt, a popular fashion of the time, seems more likely» (vd. già MILANI 1988[2000]: 154: «le contadine hanno imparato ad allargarsi le vesti di sotto con sbalzi in conse-guenza delle nuove mode portate dalla guerra»). La naturale inclinazione delle donne per i‘balzi’ grossi cela probabilmente un altro doppiosenso. Il Mo digon mo’ finale, che coincidecon l’inizio della frase successiva («Mo digom mo’ de sti tosatti»), ha certo la funzione di indi-care il punto del testo a cui bisogna intendere legata l’aggiunta.10 Ma diciamo ora di questi ragazzetti che si fanno tagliare dietro le natiche le calzamaglie, esono contenti che stiano loro calate ai ginocchi! Oh canchero, se dipendesse da me, farei unabella legge e statuti nuovi, che quando uno fosse di un paese e volesse parlare con la lingua diun altro paese, o volesse stravolgere i suoi costumi, gliene farei passare la voglia!sti tosatti fantuzati che se fa tagiare in le neghe de drio le calze: «per lasciar ammirare la ricchez-za delle fodere, che uscivano a sbuffi» (PADOAN 1981: 177 nota 12, che suggerisce di avvici-nare il passo a quello dedicato all’abbigliamento dei giovani ferraresi da ARIOSTO Cassaria inversi 132-137 [I V vv. 535-608]; cfr. qui anche Introduzione § 6). La moda dei «taglietti» neicalzoni è ricordata da Cesare Vecellio (ZORZI 1430), e prima da FOLENGO Baldus IV 320 «dantcentum taios calzis cossalia circum» (con il commento di Chiesa che rinvia anche al nostropasso) e CALMO Rodiana 157 «No se portava tanti strìnzoli strànzoli de calze tagiè al tempodel glorioso duca Borso». Il tema è topico: ancora Giulio Cesare Croce (CROCE 2006: 331)accenna a «braghesse [...] trinciate con le fodre in tela d’argento, che appariva fuora per glitaglii» (e più in generale a p. 81 osserva che «De gli huomini poi non parlo se sono vari edeffeminati e se fanno di ciuffi e ricci anco essi, e si profumano con muschio, ambra e zibettoe altre simili sorti <di> odori dandosene a i capelli, a i rizzi, a i mustacchietti, a i fazzoletti, ai guanti e fino alle scarpe»). Per calza cfr. Pr. 1. e sì ha piasere che le ghe staghe calè a i zenuo-gi: credo ci si riferisca all’uso descritto da BOERIO 97 s.v. braghesse: «A braghesse calae [...]dicesi di calze o calzoni, che per non essere tirati su bene, sono per tutto increspati e segnata-mente presso i ginocchi». strafozare: cfr. § 5.11 E come si fa a trovare una cosa più bella del naturale? Non cantano meglio gli uccelli suisalici che nelle gabbie? Ma non è più bello un pioppo naturale di uno artificiale? Non fa più

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[11] E perzòntena vu, brigà, caçéve tutti un drio l’altro a mantegnire elnaturale: perqué se no ’l mantegnerì el vegnirà presto el finimondo. Per-

[11] drio l’altro] drio laltr\o/ — mantegnerì] prima e spscr. a i

latte una vacca all’aperto con la rugiada, allo stato selvatico piuttosto che in città? Sarebbeanche meglio se non fosse freddo, così da andar tutti in giro come siamo nati, completamen-te nudi. Ma non credete che sarebbe più bello vedere una donna tutta nuda piuttosto che contante gonnelle e sopragonnelle? Ma credo proprio di sì. Ma non sarebbe neanche bruttovederci un uomo, che almeno nessuno si ingannerebbe a scegliere: uomini e donne avrebbe-ro quel che gli spetta. Ce n’è qualcuno che sembra più uomo di quanto non sia, e in realtà nonlo è neppure per metà!No canta miegio gi osiegi su i salgari ca in le gabie?: VESCOVO 2004 (2006): 35 ha indicato ilmodello della frase in una delle comparazioni che aprono l’Arcadia: «Sogliono il più delle voltegli alti e spaziosi alberi negli orridi monti da la natura produtti, più che le coltivate piante dadotte mani expurgate negli adorni giardini, a’ riguardanti aggradare; e molto più per i soliboschi i selvatichi ucelli, sovra i verdi rami cantando, a chi gli ascolta piacere, che per le pienecittadi, dentro le vezzose e ornate gabbie, non piacciono gli ammaestrati» (I. SANNAZARO,Arcadia, a c. di F. Erspamer, Milano, Mursia, 1990, p. 53); ma non mi sembra recisamenteescludibile una lontana eco erasmiana: «Quanto optabilior muscarum et avicularum vita, extempore soloque naturae senso degentium, modo per hominum insidias liceat. Quae si quan-do caveis inclusae assuescant humanas sonare linguas, mirum quam a nativo illo nitore dege-nerent. Adeo modis omnibus laetius est quod natura condidit quam fucavit ars» (ERASMO DAROTTERDAM, Elogio della follia cit., pp. 126-128; traduzione: «Com’è preferibile la vita dellemosche e degli uccellini, che vivono di giorno in giorno seguendo soltanto l’istinto (purchéglielo permettano le trappole degli uomini): anch’essi però, tutte le volte che vengono chiusiin gabbia ed imparano a pronunziare suoni umani, si snaturano in modo sorprendente per-dendo la vivace bellezza che avevano dalla nascita. A tal punto, sotto ogni aspetto, è più rigo-glioso il prodotto della natura rispetto alla mistificazione della tecnica»). Il motto è prover-biale: vd. Betìa 149 «gi osiegi no canta mé sì ben in le cabie, co’ fa su i salgari», «meglio è esseruccello di campagna che di gabbia» (CROCE 2006: 184 n° 723) e BASILE Cunto 142 «meglio èauciello de campagna che de gaiola»; cfr. in parte anche MAGAGNÒ Rime IV 3r «Mo don s’al-de cantare un russignuolo / pì dolcemen? O in mezz’a la cittè, / o per su i monte, o in la spinàd’un bruolo?». Per salgari cfr. BIBBIA 58 salgaro; i materiali di PRATI 150 s.v. sàlese, CORTE-LAZZO 2007: 1153 salghèr, BOERIO 593 s.v. salghèr, RIGOBELLO 383 salgàr. polaro: la parola,quattro volte in Ruzante e una volta in Morello (CORPUS PAVANO, e vd. per es. Parlamento121), non è nei pavanisti più tardi e non compare in nessuno dei dizionari consultati; la men-zione dell’albero, apparentemente incongrua, è forse motivata da un gioco di parole su pe’‘base dell’albero’ (vd. per questo significato ad es. FOLENGO Baldus III 371, CALDERARI 13rpeon, 23v pe’ de busso, MARCHESINI 33 peon). de so’ pe’ ‘naturale’, ‘non artificiale’: cfr. MAGA-GNÒ Rime II 36v «Mo a’ si’ de vostro pe’ / Bianca e rossa, co’ è la latte e ’l vin», MAGAGNÒRime III H7v «un vin dolce de so pè», CALDERARI 71r-71v «O care maselette / senza sbellet-to de sbiaca o verzin / ma bianche de so’ pe’, rosse co’ è vin», MARCHESINI 80 «poliesie / davilla, de so pè, tutto spurissimo», BELLUORA 19v «Neguna è de so’ pe’, la è de so’ man»; BOE-RIO 484 son de mio pe ‘sono sincero, sono schietto’, xe megio esser de so pe che de so man«meglio è la bellezza naturale che la fattizia o artifiziale» (anche in Parabosco e in Sagredo: vd.L. D’ONGHIA, rec. a G. BORGOGNI - G. PARABOSCO, Diporti, a c. di D. Pirovano, Roma, Saler-no Ed., 2005, in «Studi linguistici italiani» XXXII 2006, pp. 282-289: 286). a la rosà, a la sal-begura: per rosà cfr. PRATI 147 s.v. e CORTELAZZO 2007: 1131; salbegura con il significato di‘luogo selvatico’ ad. es. in Prima Oratione 197 «no guarda che a vegnir chive in sul Pavan leabia da passare tanti mare e tante salbegure» (ZORZI 1314 rimanda a SALVIONI 1902-1904[2008]: 709, che però registra solo salvega ‘selvatica’). Le prime frasi del § 10 ricorrono quasiidentiche anche nei prologhi della Betìa (p. 149 § 1 prologo veneziano; p. 153 § 1 prologopadovano). nu per nu: cfr. CALMO Rodiana 109 «nudi per gnudi» e 115 «nùo per nùo»,

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qué, a’ ve dirè, sto mondo sì è com è una vì e ’l naturale sì è el palo: finche ’l palo sta derto, la vì fa furto; co’ ’l palo ghe ha molà, la vì dà delculo in terra. E si a’ veì un che vaghe fuora del naturale, s’el va da unlò, andé da l’altro, com a’ fago mo mi adesso, che a’ no me vuo’ muarde lengua. Che s’a’ volesse an’ mi favelare in spagnaruolo e dire: «io mi,io sono, che io ve vuogio dire che lo farano», a’ no sârae fare? No, araemosche! 12 [12] Mo no è pì bello a dire «mi» ca dir «io»? No è pì schie-to a dire «una vaca» ca «una iomenta» com dise i spagnaruoli? Nonsona miegio a dire «un castron» ca «un carniero»? Cancaro ai carnieri

MAGAGNÒ Rime I 32r, 40v e 55v, Rime II 30r, SGAREGGIO F1v e T1v e CORTELAZZO 2007: 899punto (3). negun no se inganerae a tuor su [...]: compiendo lo stesso errore di sier Tomao inAnconitana 811, allorché egli crede di aver riscattato un servo che è invece una fanciulla eRuzante gli rimprovera: «A’ sassè cativo da comprar bestiame, vu, tossè una mas-cia per unmas-cio, una porçela per un vereto». Tuor su è «espressione mutuata dalla danza: tuor su laballerina, con la quale si intende accoppiarsi» (ZORZI 1430, che rinvia a Betìa 255 e nota). noè zà mezo un: per il tipo sintattico cfr. «mezo un bò» I 54. La frase contiene probabilmente unafrecciata contro gli omosessuali (MILANI 1989 [2000]: 177).12 E quindi voi, brigata, cacciatevi tutti uno dietro l’altro a mantenere il naturale: perché senon lo manterrete verrà presto il finimondo. Perché, vi dirò, sto mondo è come una vite e ilnaturale è il palo: finché il palo sta dritto, la vite dà frutti; quando il palo la lascia, la vite cadea terra. E se vedete uno che vada fuori del naturale, se va da un lato, andate dall’altro, comefaccio io adesso, che non voglio cambiarmi di lingua. Che se volessi anch’io parlare in spa-gnolo e dire: «io mi, io sono, che io ve vuogio dire che lo farano», non sarei capace? Figura-ti!perzòntena: cfr. Pr. 16. caçéve tutti un drio l’altro: ennesimo doppiosenso. palo [...]: cfr. Vac-caria 1143-1145 «Nu uomeni seón con è pali, e vu femine con è le vigne: se ’l palo no v’è a pè,a’ no poì sorézarve né far furto, e a sto muò a’ doventè salbeghe», Lettera all’Alvarotto 1231«[...] questa sì è quela che slonga le vite, arzonzando vita per longo e per traverso [...], mo l’ar-zonze per da pè via la vita, con serave se uno arzonzesse un palo a una vigna», CROCE 2006:280 «Senza sostegno non può star la vite, / così tu, senz’haver marito appresso, / sei imper-fetta: hor ché non ti marite?», CROCE 2006: 224 «perché ogni vite ha bisogno del suo palo»,CROCE 2006: 201 «Huomo diritto, saria buon palo per una vigna», ROVIGIÒ A7r «a’ spiero defare / con fa na vì, che se suole attaccare / a n’herbole, per stare / su dert’an’ ella», MARCHE-SINI A2r «a voler guarentare na vì senz’erbole el ghe vuol un bon pallo, azzò che ’l susio e ’lvissinello no la sbatte in deroina». La corrispondenza vite-femmina e olmo-maschio, già inCatullo Carmina LXII vv. 49-58 (PADOAN 1993: 68), è passata a proverbio (cfr. «Ogni vì volel so palo» in PASQUALIGO 1882: 124), e l’identificazione palo-naturale veicola una ovviametafora fallica. ghe ha molà: tracce della costruzione del verbo con il clitico restano neidizionari, seppure con significati esclusivamente figurati: vd. BOERIO 421 molarghe fig. ‘cede-re’, ZANETTE 370 molàrghe un pónto ‘cedere’, NACCARI - BOSCOLO 324 no molarge de pésto‘non cedere’ e molarghe un pónto, CROATTO 312 no i gé mòla ‘non la smettono’. la vì dà delculo in terra cioè ‘finisce con il culo per terra’: per dare di cfr. III 12. «io mi, io sono, che io vevuogio dire che lo farano»: per gli ingredienti della lingua moschetta cfr. commento a II 23-39. No, arae mosche! ‘ci mancherebbe altro!’, ‘certo che sì!’: ess. affini sono raccolti in VP s.v.mosca; l’espressione fa serie con altre di tipo antifrastico come aer el biro o aer ferdo lett. ‘esi-tare’ (vd. qui III 1). L’intero passo sembra esser stato imitato più tardi in MENO BEGUOSO 3v-4r: «An’ mi s’a’ olesse rasonare alla Fiorentinesca, a’ puodarae farlo. Par isempio, in descam-bio de dire int’ani muo’ non podaraegio dire in te ogni muodo? no podaraegio dire siando,tamentre, voi, siaste, io, mi [sic, probabilmente per io mi], un cesso? Mo chi cazzipo m’inten-derae, che cesso vuogia dire on cagauro?».

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e an’ ai sachi, dasché a’ no muerè la mia lengua per dosento fiorentine-sche! 13

[13] Mo perché andar sempre a un muo’ tal fià insorisse, s’el ve vegnis-se tal fià vuogia de muar lengua, no cambié la vostra per un’altra, mo a’ve dirè: tolìne un’altra in boca, che ghe n’abié do; e da bel mo’ s’el vepiaserà el me’ favelare, a’ ve impresterè sempre la mia lengua 14. [14] Eperqué a’ sapié quel che a’ son vegnù a far chialò, se me darì salintio a’veerì quel che intravene a un om da ben per favelare moscheto e muar-se de lengua. E cossì sta comieria i ghe dise la Moscheta 15.

13 Ma non è più bello dire «mi» che «io»? Non è più schietto dire «una vacca» di «una giu-menta» come dicono gli spagnoli? Non suona meglio dire «un castrone» che «un carniero»?Canchero ai carnieri e anche ai sacchi, dato che cambierò la mia lingua: non lo farei per due-cento lingue fiorentine!iomenta: non è l’esatto corrispondente di vaca, ma indica in spagnolo come in italiano anticol’animale da fatica, il mulo o la mula (cfr. PADOAN 1981: 179, COROMINAS - PASCUAL V 715 s.v.uncir «tomado del lat. jumentum ‘bestia de carga’ [...] en castellano especializado por eufemi-smo como nombre del asno», GDLI VI 883 s.vv. giumenta e giumento); da escludere una con-fusione di iomenta con juvenco, che in spagnolo è parola rara e dall’attestazione più tarda(COROMINAS - PASCUAL III 530, rr. 27-33). carniero: corrisponde a castron, trattandosi del«macho de la oveja castrado» (COROMINAS - PASCUAL I 879 s.v. carnero). Cancaro ai carnie-ri e an’ ai sachi: bisticcio tra lo spagnolo carnero ‘castrone’ e il pavano carniero ‘sacca’ (cfr. I54), che giustifica per l’appunto la menzione dei sachi (per castron cfr. III 98). dasché a’ nomuerè: cfr. Nota al testo § 2.2.14 Ma poiché comportarsi sempre nello stesso modo talvolta viene a noia, se una volta vi venis-se voglia di cambiare lingua, non cambiate la vostra per un’altra, ma vi dirò: prendetene un’al-tra in bocca, così da averne due; e state certi che se vi piacerà il mio parlare, vi presterò sem-pre la mia lingua.insorisse: cfr. REW e PIREW 2918a (ESURIRE), BOERIO 347, BIBBIA 74 bis, CORTELAZZO 2007: 667,MARCHESINI 5, PITTARINI 1960: 132, RIGOBELLO 240, CALMO Saltuzza 121 e nota 15 e la sche-da di MARCATO 1982: 83, che s.v. propone di tener presente anche il valt. sorì ‘dispiacere, rin-crescere’, dall’avverbio sóra ‘sopra’. tolìne un’altra in boca: l’invito a non abbandonare la pro-pria lingua ma a prenderne semmai un’altra viene prontamente reinterpretato in chiave ses-suale: cfr. con ZORZI 1431 ARIOSTO Orlando Furioso, VII 29.7-8 «Del gran piacer ch’avean lordicer tocca; / che spesso avean più d’una lingua in bocca» (che deriva a sua volta da M.M.BOIARDO, L’Inamoramento de Orlando, a c. di A. Tissoni Benvenuti e C. Montagnani, Milano-Napoli, Ricciardi, 1999, p. 560, I XIX 61.7-8 «Lor dican per me, poi che a lor toca, / che cia-scadun avia due lengue in boca»). da bel mo’ ‘proprio adesso’, ‘fin d’ora’ (e così poco sottoallo stesso paragrafo), con mo’ avverbio di tempo (BORTOLAN 180, BOERIO 419, NACCARI -BOSCOLO 323, PRATI Vals. 102). s’el ve piaserà el me’ favelare, a’ ve impresterè sempre la mia len-gua: nuova profferta salace.15 E perché sappiate quel che sono venuto a fare qui, se mi concederete il silenzio vedrete quelche succede a un uomo da bene per parlare alla maniera colta e cambiarsi la lingua. E cosìquesta commedia la chiamano la Moscheta.a’ veerì quel che intravene a un om [...] cossì sta comieria i ghe dise la Moscheta: è spiegato il tito-lo della commedia, derivato dalla scena finale del secondo atto; cade così la proposta di Mor-tier, che intendeva moschetta ‘coquette’ in riferimento a Betìa (MORTIER 1925: 128 nota 1): cfr.ZORZI 1431 nota 176 e per i dubbi di MILANI 1989 (2000) sulla congruenza di questo titolocon la redazione della commedia giunta a noi vd. Introduzione § 1. Per intravegnire cfr. I 60,per moschetto cfr. sopra § 2; comieria è deformazione per commedia che va accostata a comie-lia e comiegia di Pr. 11.

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[15] E questa che è chialò no è Cremona, né Ferara; mo l’è Pava, e nonv’in’ maravegié se l’è pìzola, perqué l’ha vogiù an’ ella frezare a vegnirchialò. Tasì, a’ sento ch’i vuol vegnir fuora. Moa, i ve la dirà. Diè v’aî! 16

Comenza l’atto primo

[RUZANTE]: [16] I provierbi non falla mè: «Bià quella ca’ che ha bonafemena», perqué l’è quella che ten drezò l’omo in massaria. E bià unoche n’abia una de le femene che sipia stretta de natura perqué la tegnael so’ a man. E com se n’ha una de queste, el se vorae darghe tutto in leman e lagarla fare a ella e smassarizare a comuo’ la vuole ella, com a’fago mo mi, che a’ lago fare mia mogiere com la vuole 17.

[16] la vuole ella] la v\u/ole ella

16 E questa che è qui non è Cremona, né Ferrara; ma è Padova, e non vi meravigliate se è pic-cola, perché ha voluto anche lei affrettarsi a venire qui. Tacete, che sento che vogliono venirfuori. Bene, ve la reciteranno. Dio v’aiuti!E questa che è chialò no è Cremona, né Ferara; mo l’è Pava: «c’è solo un luogo dove questodiscorso poteva farsi a proposito [...]. Questo luogo era Ferrara e non altro, anzi il suo teatrodi Corte, nel quale si presentarono in una stessa stagione [...] due commedie dell’Ariosto: laLena che ha per scena Ferrara, e il Negromante che ha per scena Cremona» (LOVARINI 1965:327-328; cfr. anche ZORZI 1431-1432, CASADEI 2004 e qui Introduzione § 5 per la proposta didatare questo ciclo di rappresentazioni al 1530). non v’in’ maravegié se l’è pìzola, perqué l’havogiù an’ ella frezare a vegnir chialò: la rappresentazione dello spazio urbano, di caratteredichiaratamente convenzionale, rimanda volta per volta alle tre diverse città in cui sonoambientate le commedie messe in scena (ZORZI 1432 e anche GIANCARLI Zingana 201 e nota;per l’ambiente teatrale ferrarese cfr. L. ZORZI, Ferrara: il sipario ducale [1975], ora in ZORZI1977: 3-59 e il numero monografico di «Teatro e Storia» 1995). Per frezare ‘affrettarsi’, chenon è nei dizionari, cfr. PIREW 3506 (*FRICTIARE), ASCOLI 1878a: 276 s.v. afrezasse ‘affrettasse’e l’imperativo frezéve in uno dei sonetti pavani di Sommariva (MILANI 62); il sostantivo freça‘fretta’ in BIBBIA 10, 29, 30 (vd. anche INEICHEN 1957: 84), frezza in MILANI 406, 416 e in COR-TELAZZO 2007: 586, frezositas in FOLENGO Baldus X 462. Per chialò cfr. Pr. 14.17 I proverbi non sbagliano mai: «Beata quella casa che ha una buona donna», perché è lei chemantiene l’uomo retto negli affari domestici. E beato un uomo che abbia una di queste donneche siano strette di natura affinché possa tenere il suo avere in mano. E quando se ne ha unacosì, le si vorrebbe dare tutto in mano e lasciarla fare e amministrare la casa come vuole lei,come faccio io, che lascio fare a mia moglie come vuole.I provierbi non falla mè: la fiducia nella saggezza tradizionale è tratto tipico del villano; cfr. inGIANCARLI Zingana 253 l’osservazione di Garbugio che «A’ gh’he sempre mè aldìo dire da inuostri antessore che de i sproverbi d’i nostri maore è da farne stima, perqué i dise vero confa el guagnelio» e in GELLI Sporta 650 il dubbio di Gherardo fattore: «Costor dicono che e’proverbi son tutti veri. A me non par già ver questo [...]». Bià quella ca’ [...] massaria: in partesimili «La bona dona fa la casa, e la mata la desfa» (PASQUALIGO 1882: 127), «la dona bona ebrava impenisse la casa» (PASQUALIGO 1882: 135). Di nuovo, come nei primi paragrafi, l’allu-sione al tener drezò l’uomo è salace; per l’espressione vd. III 83. E bià [...] stretta de natura:per il doppiosenso cfr. § 8 e Pr. 4. la tegna el so’ a man: come il successivo «darghe tutto inle man» è ambiguo. smassarizare lett. ‘far da massaia’: vd. BORTOLAN 261 smassarezzare(Magagnò) e anche BOERIO 666 s.v. smasserar. a’ lago fare mia mogiere com la vuole: come rile-

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[17] Mo l’è stà anche ella, vi’-vu, che è vegnù a stare a Pava; e sì me fatrionfare an’ mi: perqué a’ n’he fastubio de pan né de vin né de gnien-te. Potta, el n’è ancora otto dì ch’a’ seom vegnù a star chialò a Pava, esì la m’ha fatto fare amistè cun soldè, con citaìni, con tutti. E tra gi altricon un soldò bergamasco che sta chialò, che se fìa tanto de mi, ch’elm’ha dò no sè que dinari da portare a uno 18.[18] Mo mi a’ gh’i vuo’ far trare, al sangue del cancaro: zà ch’el m’èvegnù sta ventura, a’ dirè che intuna furegagia che el me fo tagiò el bor-setto. A’ non crezo gnan de far peccò, perqué a’ farè per me’ ben, per-qué chi se laga fuzire una ventura, el se fa pecò a no la saver pigiare 19.

[18] fo] spscr. a {esto}

vato da ZORZI 1433 le battute iniziali di questa redazione presentano Ruzante «sotto le spo-glie convenzionali del cornuto soddisfatto» (e forse anche lenone della propria moglie).18 Ma è stata lei, vedete, che è venuta a stare a Padova; e mi fa star bene anche a me: perchénon ho noie né per il pane né per il vino né per niente. Potta, non sono neppure otto giorniche siamo venuti a stare qui a Padova, e mi ha fatto fare amicizia con soldati, con cittadini, contutti. E tra gli altri con un soldato bergamasco che sta qui, che si fida tanto di me, che mi hadato non so che denari da portare a uno.trionfare: il verbo allude all’abbondanza di cibo che colpisce la fantasia del villano inurbato;per trionfare ‘banchettare’ (ma anche più genericamente ‘far la bella vita’) vd. GDLI XXI 36016,CORTELAZZO 2007: 1426 e CALMO Saltuzza 81 e nota 13. fastubio lett. ‘fastidio’, qui correla-to al bisogno e alla mancanza di cibo (la forma anche a III 86, fastibio già a III 3). e sì la m’hafatto fare amistè cun soldè, con citaìni, con tutti: se ne deduce che Betìa abbia già concesso i suoifavori a più d’un uomo, altro particolare non desumibile dalla redazione definitiva. soldò ber-gamasco che sta chialò: Tonin. se fìa tanto de mi, ch’el m’ha dò no sè que dinari da portare a uno:qui e nei paragrafi seguenti è anticipata la circostanza sviluppata nelle battute I 54 e ss. dellaredazione definitiva.19 Ma io glieli voglio far perdere, al sangue del canchero: già che mi è capitata questa occa-sione, dirò che in un parapiglia mi è stato rubato il borsello. Non credo neanche di commet-tere peccato, perché lo farò per il mio bene, perché chi si lascia sfuggire un’occasione com-mette peccato a non saperla cogliere.a’ gh’i vuo’ far trare ‘glieli voglio far perdere’: cfr. a IV 1 «E’ ho but i me’ daner che m’avea fattrà’ quel vilà» e per l’accezione del verbo I 55. el m’è vegnù sta ventura: per il costrutto cfr.Pr. 1. a’ dirè che [...] che: si noti il doppio complementatore, su cui vd. I 23. furegagia: dafuregar ‘frugare’ (PRATI 70) con suffisso -agia (sollecitato dalla vicinanza semantica con bata-gia?); hapax nel CORPUS PAVANO, la voce è da accostare al padovano furegatta ‘zuffa’ (CALDE-RARI 60v, TUOGNO ZAMBON 23 e PATRIARCHI 95), su cui dev’essersi esercitata l’influenza diregatta ‘gara’ (vd. pure il veronese sfuregatàr ‘fare un parapiglia’ in RIGOBELLO 201, e per rega-ta A. VARVARO, Per la storia di ‘regata’, ‘ricattare’, ‘rigattiere’, in Studi filologici, letterari e sto-rici in memoria di Guido Favati, a c. di G. Varanini e P. Pinagli, Padova, Antenore, 1977, vol.II, pp. 639-652); cfr. poi il veneziano furegàtolo (BOERIO 292, con rinvio al sinonimo barafu-sola), i veronesi furegada e sfuregada ‘parapiglia’ (PRATI 70), i piemontesi fürigada e furigheta‘parapiglia’ (PIREW 3597 s.v. *FURICARE). el me fo tagiò el borsetto: cfr. «a’ he fatto vista che unm’abi tagiò el borsetto» I 54. A’ non crezo gnan de far peccò [...] no la saver pigiare: simili – senon altro per la preventiva autoassoluzione – le parole di Ruzante quando progetta di ingan-nare il compare: «a’ vuo’ far portar le pene a me’ compare [...], a’ ghe vuo’ far na noella a ellodella gonella! Agno muo’ a’ no farè peccò, perqué a’ farè per me’ ben» (III 3). Ma qui l’at-teggiamento truffaldino è motivato anche con la massima sull’occasione che va colta quando

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egloga de ruzante nominata la moschetta

[19] A’ sè que a’ gh’i vuo’ far trare, mi, e sì a’ trionferè chialò a Pava.Mo el me pare ben stragno che el no gh’è negun d’i mie’, a’ no gh’ènegun da cantare. E me’ compare, che solea sempre star tutto el dì conmi, e sì a’ no vezo mè ch’el vegna. Orsù, a’ vuo’ andare a ca’, mi, e se a’veerè el soldò, a’ sè ben quel che a’ dirè mi. A’ ghe dirè mi che per laputana don’ vene ancuò ch’a’ n’in’ sè ninte, mi; e co’ ’l diga de dare, emi a’ sbraosarè, moa! A’ sè ben mi, sì, cancaro! 20

è il momento (cfr. per es. in GIANCARLI Zingana 303 «Tu faresti meglio a prendere e li conse-gli e le venture, quando elle vengono»).20 So che glieli voglio far tirare fuori, io, e così me la spasserò qui a Padova. Ma mi pare benstrano che non ci sia nessuno dei miei, non c’è nessuno con cui cantare. E il mio compare, chedi solito stava con me tutto il giorno, non lo vedo mai venire. Su, voglio andare a casa, io, e sevedrò il soldato, so bene quel che dirò io. Gli dirò io che per la puttana da dove saltò fuorioggi io non ne so niente, io; e se minaccia di picchiare, farò lo smargiasso, caspita! Lo so benio, sì, canchero!a’ gh’i vuo’ far trare: cfr. poco sopra § 18. a’ trionferè: cfr. § 17. a’ no gh’è negun da cantare: ilcenno fa pensare che più avanti si avessero scene di canto, come accade nell’Anconitana (II IV)e sul finire della Vaccaria (V VIII). E me’ compare [...] e sì a’ no vezo mè ch’el vegna: si noti laripresa del tema sospeso mediante il pronome della successiva frase dipendente («me’ com-pare [...] ch’el vegna»), ma si noti anche che la principale è introdotta da e sì, in una manierache ricorda i costrutti paraipotattici propriamente detti (vd. qui I 6). A ghe dirè mi che [...]ch’: altro esempio di costruzione con doppio complementatore (vd. I 23). per la putana don’vene ancuò: cfr. a I 1 «la puttana on’ l’è vegnù ancuò» e Nota al testo § 2.2. e co’ ’l diga de dare,e mi a’ sbraosarè: per dare cfr. Pr. 15; per sbraosarè cfr. I 54. La costruzione paraipotattica èripresa nella redazione definitiva in «Co’ un te dise gnente per storto, e ti sbraosa» (I54). moa: cfr. Nota al testo § 2.2; per il significato cfr. I 22.

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INTERMEDIO D’UNA COMEDIA DE RUZANTE ALLA PAVANA 1

[1] Orbéntena, el mondo è tutto voltò col cullo in su: femene e uome-ni, negun va pì al naturale, e tutti vuol strafare a sgasafazo, volze ontie-ra el so’ puorpio, e tutti bonamen ha pì piasere del naturale de gi altriche del so’ 2. [2] A’ guardo sto om da ben che è stò chialò adesso a spro-legare: poeva favellare in la soa lengua, e sì l’ha vogiùa muare, e tuore lafiorentinesca, e sì dise ch’el no arae sonò bon a favellare in la soa 3.[3] Al sangue del cancaro, ognon va drio a quel che ghe piase pì e sì noguarda pì a andare drittamen che alla roersa, e sì n’è zà ben fatto. Elserae an si con’ miegio che mi ch’a’ sum pavan e dela Talia a’ me voles-

* Si rinvia al commento dell’Egloga per le parti comuni.1 Intermedio [...]: sull’interpretazione usuale della parola cfr. PADOAN 1981: 185 nota 1 e PAC-CAGNELLA 2005: 192; per quella proposta qui vd. Introduzione § 8.2 Orbene, il mondo è tutto alla rovescia: donne e uomini, nessuno segue più il naturale, e tuttivogliono strafare a più non posso, rigirano volentieri il proprio, e di certo hanno più piaceredel naturale degli altri che del proprio.Orbéntena [...] del so’: cfr. Egloga § 1.3 Guardo quest’uomo dabbene che è stato adesso qui a sproloquiare: poteva parlare nella sualingua, e invece l’ha voluta cambiare, e prendere la fiorentina, e dice che non sarebbe statoappropriato parlare nella sua.sto om da ben che è stò chialò adesso a sprolegare: secondo una suggestione di PADOAN 1981: 185nota 2 «non è da escludere che l’“om da ben” fosse lo stesso Ariosto». Ma sprolegare, cosìcome il sostantivo, si riferisce di norma non a un prologo propriamente detto, bensì a undiscorso qualunque, talora lungo o inconcludente (cfr. it. sproloquiare e sproloquio): vd. anchei casi più tardi di MENO BEGUOSO 5 «i ve dise du sproleghi in latin» e del titolo dell’operettadi Tuodaro Bugonaro, La Talia descatigià dai Franzuosi. Sprologo, Vicenza, Giovanni Rossi,1799. Solo in pochi ess. la parola ha il significato di ‘discorso introduttivo’, mai quello tecni-co di ‘prologo di commedia’ che non mi pare il caso di attribuirle qui (cfr. CORPUS PAVANO eIntroduzione § 8). Vd. anche le voci allegate in PIREW 6774a s.v. PROLOGUS: nònese pröleh‘discorso’, polesani spròlica ‘sproloquio, lamentazione’, sprolicare ‘borbottare’, sprolicon ‘bor-bottone’. tuore la fiorentinesca [...] in la soa: cfr. Egloga § 2.

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intermedio d’una comedia de ruzante alla pavana

se far toesco o franzoso! Cancar a i matti, i no la intende! Mo mi ch’a’la intendo, e ch’a’ so ch’a tegnirse col so’ natural drettamen dà pì pia-sere, cun’ dise la leze, «de trique sesso», e no vuo’ fare cum’ ha fattoquellù, a’ vuo’ anare col me’ naturale derto e dertamen 4. [4] Perqué eldà pì piasere un celegato in sen ca tri in le ciese, e perqué, bella brigàch’a’ si’ chialò arsunè, a’ no ve tegno da manco ca s’a’ fossé mie’ friegie mie serore, e per ben ch’a’ ve vuogio a’ ve farae così ontiera un servi-sio a om per om, cum’ consa ch’a’ fesse mè, e perqué, alla fe’, alla fe’reale da bon frello ch’a’ ve sum, a’ me parì uomeni da ben, e s’a’ vetegnesse altramen a’ ve ’l dirae mi! Sì, alla fe’, che me farae a mi? 5

[5] A’ vorae che vu uomeni a’ ve driciessi per la carezà bona, e vu feme-ne a’ ve laghessé governare come a’ ve sarave insegnar mi, e se a’ no vevolesse ben, a’ no ve ’l dirae! A’ ve vuo’ dare un consiegio a tutti: tegnì-ve al naturale, e no cerché de strafare; a’ no ve digo solamen della len-gua, ma an’ del favellare, mo an’ del resto: perché a’ vezo ch’el nonbasta ch’a’ ve volzì la lengua a favellare fiorentinesco e moscheto, ma a’ghe magné, e sì ve ghe fé le gonelle, ch’el n’è zà ben fatto! 6

[6] No sarae miegio ch’attendissi cum’ a’ fazzon gnu a magnar de bonpan e de bon formaio salò, e bever de bon vin ch’abia el rocetto, ch’amagnare tanti sauriti e de tanta fatta magnare? Che a’ no assé, cum’ aì,

4 Al sangue del canchero, ognuno segue quel che gli piace di più e non bada ad andare drit-to piuttosto che alla rovescia, e non è certo ben fatto. Sarebbe come se io che sono pavano edell’Italia volessi diventare tedesco o francese! Canchero ai matti, non la capiscono! Ma io chela capisco, e so che a tenersi con il proprio naturale dritto dà più piacere, come dice la legge,«a entrambi i sessi», e non voglio fare come ha fatto quello lì, voglio andare con il mio natu-rale dritto e drittamente.ognon va drio [...]: cfr. Egloga § 3. El serae an si con’ miegio [...]: cfr. Egloga § 3 (ma spagna-ruolo è qui sostituito con franzoso). a tegnirse col so’ natural [...] sesso: cfr. Egloga § 3. a’ vuo’anare col me’ naturale derto e dertamen ossia ‘voglio comportarmi in maniera naturale’: per ilpossibile doppiosenso cfr. Pr. 11.5 Poiché dà più piacere un passerotto in seno che tre nelle siepi, e poiché, bella brigata quiriunita, non vi considero da meno di fratelli e sorelle, e per il bene che vi voglio sarei dispo-sto a farvi un servizio a uno per uno volentieri come non ho mai fatto nessun’altra cosa, e per-ché, parola mia, parola da fratello che vi sono, mi sembrate uomini dabbene, e se vi conside-rassi altrimenti ve lo direi io! Sì, parola mia, che m’interesserebbe?el dà pì piasere un celegato in sen ca tri in le ciese: cfr. Egloga § 4. arsunè: cfr. Egloga § 4. a’no ve tegno da manco [...]: cfr. Egloga § 4. a’ ve farae così ontiera un servisio: cfr. Egloga § 4. aom per om: cfr. ad es. BOERIO 493 peròmo ‘a ciascuno’. alla fe’ reale: per l’ambiguità di reale,che si confonde spesso con leale, cfr. CALMO Saltuzza 66 e nota 64. che me farae a mi?: cfr. III96 «Que me fa a mi?».6 Vorrei che voi uomini vi indirizzaste per la carreggiata giusta, e che voi donne vi lasciasteguidare come saprei mostrarvi io, e se non vi volessi bene, non ve lo direi! Vi voglio dare unconsiglio a tutti: seguite il naturale, e non cercate di strafare; non dico solo per la lingua, maanche per il parlare, ma anche per il resto: perché vedo che non vi basta di stravolgere la lin-gua a parlare fiorentino e colto, ma ci mangiate, e in più vi ci fate fare gli abiti, e non va bene!A’ vorae [...] governare: cfr. Egloga § 5. A’ ve vuo’ dare un consiegio [...]: cfr. Egloga § 5.

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ficò tante ventositè e tante scorientie sempre in la panza e in lo magon,mo a’ sassé norì, bianchi e russi come pumi: guardé cum’ a’ sen gnudalle ville! Cri’-vu che per strette ch’avessam a’ se pieghessan in la schi-na? A’ vuo’ zugare, se un de vu uomeni foesse alle man cum una dellenostre femene, che de so’ potentia la ve butarae de sotto. Perqué? Moperqué la no è impìa né passù de saoritti, ma de conse naturale, ch’alsangue del cancaro le ha le so’ carne pì dure, che le no se pò pizegare 7.[7] Morbo, le è pur belle le nostre femene, e sì le no fa cum’ a’ fé vualtre femene, che a’ no ve contenté mè, mo a’ ve fé fare e tagiare ognodì pignolè, guarniegi e còtole e bandinelle e mille cancari, e sì a’ strafétanto che quello che doarae andar denanzo el mettì de drè, e sì a’ cavéla consa del naturale. No fé, cancaro, no! 8

[8] A’ ve digo ’l vero, mi. Aì-vu an’ imparò ch’a’ ve fé ficare gi aniegi inle rechie? Pota del cancaro, la n’è za naturale questa! Mo on’ s’aldì mèdire? Mo a’ ve fé an’ guarniegi che ve ten pì larghe de sotto ca de sorra,ch’el n’è zà bello questo! Guardé le nostre femene: cun’ pì a’ le è stret-te de sotto, a’ lle ne piase pì e sì par miegio, e così a’ cherzo che le dib-bia piaser a tutt’om. L’è ben vero che dasché l’è vegnù ste guerre – chemaletto sia le guerre e i soldè, e i soldè e le guerre! – che an’ elle ha sco-menzò a strafare de sto cancaro de sbalzi, e cum’ pì gi è gruossi i ghe

7 Non sarebbe meglio che badaste come facciamo noi a mangiare del buon pane e del buonformaggio saporito, e bere del buon vino che abbia una vena di aspro, piuttosto che mangia-re tanti manicaretti e cibi di tanti tipi? Non avreste, come invece avete, tanti peti e tante scor-regge sempre ficcate nella pancia e nello stomaco, ma sareste floridi, bianchi e rossi comemele: guardate come siamo noi contadini! Credete che ci piegheremmo, per quante ristret-tezze ci possano toccare? Voglio scommettere che se uno di voi uomini venisse alle mani conuna delle nostre donne, quella con la sua forza vi metterebbe sotto. Perché? Ma perché non èpiena né pasciuta di manicaretti, ma di cose naturali, e al sangue del canchero hanno le lorocarni più sode, che non si possono pizzicare.No sarae miegio [...] magnare?: cfr. Egloga § 6. de tanta fatta: legittimo il sospetto che si trattidi un guasto per «de tante fatte» che si legge nel testo dell’Egloga (e si noti in aggiunta chel’Intermedio usa il singolare anche per magnare, contro magnari dell’Egloga); conservo tutta-via per cautela, data l’occorrenza della stessa espressione nel prologo della princeps della Fio-rina (che pure dipende largamente dall’Intermedio): «magnare tanti saoriti e de tanta fatamagnare» (p. 729). Che a’ no assé [...] dalle ville: cfr. Egloga § 6. Per la frase successiva(«guardé [...]») cfr. Nota al testo § 3.2. strette: cfr. in Egloga § 6 «guanno la strenze senzapénole». a’ se pieghessan in la schina lett. ‘ci piegheremmo nella schiena’, ‘ci chinerem-mo’. A’ vuo’ zugare [...] de sotto: cfr. Egloga § 6. le ha le so’ carne pì dure, che le no se pò pize-gare: per l’immagine, che occorre simile nel Rasonamento, nella Prima Oratione e nell’Orazio-ne del Cornaro, cfr. a I 31 il commento a frisia e Fiorina 729 «le ha le suò carne pì dure, chele no se pò piçigare».8 Caspita, sono pur belle le nostre donne, e non fanno come fate voi altre donne, che non viaccontentate mai, ma vi fate fare e tagliare ogni giorno tessuti pignolati, gonne e sottane e con-fezioni e mille cancheri, e strafate tanto che quello che dovrebbe andare davanti lo mettete didietro, e così togliete la cosa dal naturale. Non fatelo, canchero, no!Cfr. Egloga § 7.

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piase pì, ma ogni muo’ in questo le ha del naturale! 9 [9] Mo vu fantuz-zati, ch’a’ ve fé tagiare in le neghe le calze de fatto, e sì aì piasere che leve staga calè, e sì è scavezè via a traverso al zenochio! A’ vorae essersignuore, ch’a’ farae una leze e stratuto nuovo, che chi foesse d’umpaese e volesse favellar de l’altro paese, e chi aesse de bon pan e voles-se far sauriti, e fosse ben vestì e volesse strafare, s’el fosse omo ch’elfosse ficò in presentia de tutti intun forno ben caodo tanto ch’el se bru-stolesse molto ben, et se la foesse femena che la foesse chiavà vedandotutti intun fondo d’una torre, duon’ la no vegnesse mè pì fuora, che sìch’a’ ghe farae andar via la vuogia del strafare a tutte! 10

[10] Co’ è pì bella cosa del naturale? Mo no canta miegio gi osiegi suisalgari che i no fa in le gabie? Mo no è miegio e pì bello un pollaro deso’ pe’ ca un aotro fatto a man? A’ sarae an’ miegio s’el no fosse ferdo,che andessan tutti com’ a’ sem nassù, nu per nu. Mo no cri’-vu ch’el

9 Vi dico la verità, io. Avete anche imparato a farvi ficcare gli anelli nelle orecchie? Potta delcanchero, questa non è naturale! Ma dove si è mai sentito dire? Ma vi fate anche abiti che vitengono più larghe di sotto che di sopra, e non è bello questo! Guardate le nostre donne: piùsono strette di sotto, più ci piacciono e ci sembrano meglio, e così credo che debbano piace-re a chiunque. È ben vero che da quando sono cominciate queste guerre – che maledette sianole guerre e i soldati, e i soldati e le guerre! – anche loro hanno cominciato a strafare con que-sti canchero di balzi, e più sono grossi più gli piacciono, ma almeno in questo seguono il natu-rale!A’ ve digo ’l vero, mi [...] piaser a tutt’om: cfr. Egloga § 8. l’è vegnù ste guerre [...] maletto sia leguerre e i soldè: cfr. Egloga § 8. cum’ pì gi è gruossi [...] naturale: la naturale inclinazione delledonne per i ‘balzi’ grossi cela probabilmente un altro doppiosenso.10 Ma voi ragazzetti, che vi fate tagliare dietro le natiche le calzamaglie, e siete contenti che vistiano calate e increspate all’altezza delle ginocchia! Vorrei essere un signore, che farei unalegge e uno statuto nuovo, che chi fosse di un paese e volesse parlare la lingua di un altropaese, e chi avesse buon pane e volesse far manicaretti, e fosse ben vestito e volesse strafare,se fosse uomo che sia ficcato davanti a tutti in un forno ben caldo finché non si abbrustolissemolto bene, e se fosse donna che sia rinchiusa sotto gli occhi di tutti in fondo a una torre, dadove non uscisse più, che di sicuro gli farei passare a tutte la voglia di strafare!Mo vu fantuzzati [...] zenochio: cfr. Egloga § 9; l’unica differenza è la sostituzione di «calè a izenuogi» con «scavezè via a traverso al zenochio» che sembra aver lo stesso significato (‘taglia-ti ben bene lungo il ginocchio’, ‘interrotti, increspati all’altezza del ginocchio’): per calza cfr.Pr. 1; per scavezzar ‘tagliare’ ‘rompere’ vd. BORTOLAN 246, PATRIARCHI 174, BOERIO 623,DOMINI 414, PRATI Vals. 158. Nel testo via rafforza scavezzè, ma pare preferibile la lezione diRasonamento § 9 «scavezzè a travesso via i zenuogi» ‘interrotte proprio lungo le ginocchia’,con via che rafforza, come è più consueto, un avverbio (cfr. de longo via a II 23). A’ voraeesser signuore [...] stratuto nuovo: cfr. Egloga § 9. sauriti: cfr. Egloga § 6. brustolesse: cfr. FIGA-RO B1v «la beltè de chi / me brustola el pantazzo»; LEI 7.950.16 ss., CORTELAZZO 2007: 231 erinvii in CALMO Saltuzza 67 nota 68. Per l’immagine del supplizio nel forno cfr. BALDOVINILamento 48 «vogl’ire a abbrostolirmi in qualche forno». che la foesse chiavà ‘che fosse chiu-sa a chiave’ (GDLI III 61): la disponibilità del testo al doppiosenso induce a considerare anchechiavar ‘possedere sessualmente una donna’ (BOERIO 165, con questo solo significato; ancheDOMINI 101); non per caso, dunque, il curatore del Rasonamento espungerà chiavà in favoredel più innocuo serrà. vedando tutti lett. ‘mentre tutti vedono’. che sì ch’: cfr. I 56.

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fosse pì bello a veder una femena nu per nu ca cum tante gonelle e sora-gonelle? A’ cherzo ben de sì. Mo no sarae gnan burto vêrghe un omoanche, che amanco negun no s’inganarae a tuor su: uomeni e femenearae el so’ inderto, a’ ve dighe ’l vera! 11

[11] E perzòntena, brigà, cazzonne tutti un drio l’altro a mantegnir elnaturale, e cum’ a’ vi’ un che vaga fuora del naturale, s’el va da un lòandé da l’aoltro cum’ a’ fago mi adesso. Ché quel’om da ben ha muòlengua, mo mi a’ no la vuo’ muare, che s’a’ volesse anca mi favellare fio-rentinesco e moschetto e dire «Io le sono» – ch’a’ no le vuogio dire –che, le no sonarae bon an? No ’l sârae fare? No, arae mosche! Mo a’ novuogio 12. [12] Mo no è pì bello a dire «mi» che «io»? No è pì bello adire «una vacca» che «una giumenta»? Mo no è pì schietto a dire «uncastron» ca «un carniero» cum’ dise i Spagnaruolli? Chi cancaro inten-derae che un carniero fosse un castron e una giumenta una vacca? Can-caro ai carnieri e alle giumente! Dasché ’l sarà pì bel parlar del nostro? 13

11 Come si fa a trovare una cosa più bella del naturale? Ma non cantano meglio gli uccelli suisalici che nelle gabbie? Ma non è meglio e più bello un pioppo naturale di un altro artificia-le? Sarebbe anche meglio se non fosse freddo, così da andar tutti in giro come siamo nati,completamente nudi. Ma non credete che sia più bello vedere una donna tutta nuda piuttostoche con tante gonnelle e sopragonnelle? Credo proprio di sì. Ma non sarebbe neanche bruttovederci pure un uomo, che almeno nessuno si ingannerebbe a scegliere: uomini e donneavrebbero quel che gli spetta, vi dico la verità!Co’ è pì bella [...] fatto a man?: cfr. Egloga § 10 (ma manca qui la frase sulla vacca). A’ saraean’ miegio [...] inderto: cfr. Egloga § 10, rispetto alla quale è tagliata l’ultima frase – probabil-mente allusiva all’omosessualità – «El gh’è tal un che par pì omo de quel che l’è, e sì no è zàmezo un» (lo ha notato anche MILANI 1989 [2000]: 177).12 E quindi, brigata, cacciamoci tutti uno dietro l’altro a mantenere il naturale, e quando vede-te uno che vada fuori del naturale, se va da un lato andate dall’altro come faccio io adesso.Perché quell’uomo dabbene ha cambiato lingua, ma io non la voglio cambiare, che se volessianch’io parlare fiorentino e colto e dire «Io le sono» – che non lo voglio dire – che, non suo-nerebbero bene? Non lo saprei fare? Figurati! Ma non voglio.E perzòntena [...] adesso: cfr. Egloga § 11; rispetto alla redazione dell’Egloga vengono elimina-te l’allusione al finimondo e la metafora sessuale della vite e del palo. Per il segmento «s’el vada un lò andé da l’aoltro» cfr. Nota al testo § 3.2. quel’om da ben: già nominato al § 2. s’a’volesse anca mi favellare fiorentinesco [...] mosche!: cfr. Egloga § 11. Resta qualche incertezza sul-l’interpunzione e di conseguenza sull’interpretazione. Qui e nel corrispondente passo delRasonamento non sarebbe impossibile allungare l’inciso e intendere «– a’ no le vuogio dire,ché le no sonarae bon –» ‘non le voglio dire, perché non suonerebbero bene’. Ma, per quelche valgono, i segni interpuntivi presenti sul manoscritto Veronese inducono alla prudenza: visi legge infatti esattamente «ch’a no le vuogio dire: ch(e) le no sonarae bon an? nol saraefare?»; meglio allora intendere il che successivo a dire come che interrogativo.13 Ma non è più bello dire «mi» che «io»? Non è più bello dire «una vacca» che «una giu-menta»? Ma non è più schietto dire «un castrone» piuttosto che «un carniero» come diconogli Spagnoli? Chi canchero capirebbe che un carniero è un castrone e una giumenta è unavacca? Canchero ai carnieri e alle giumente! Da quando in qua (lo spagnolo) sarà una linguapiù bella della nostra?Cfr. Egloga § 12. Resta qualche dubbio sull’esatto significato di dasché e della frase che regge:la congiunzione vale forse ‘da quando in qua’ (vd. V 38, ma anche il dubbio espresso a V 2),

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intermedio d’una comedia de ruzante alla pavana

[13] E perzòntena a’ vuogio andar drio, a’ so an’ ch’el ve piaserà pì elme’ favellare, che no farae quel de quel on da ben. E da bel mo’ a’ vevuo’ far zuse, e s’el ve piaserà pì el me’ naturale tegnìve a ello, e s’el vepiaserà pì andar fuora del naturale che a’ vogié cambiar lengua, da belmo’ in penitentia a’ son contento ch’a’ me togié tutti la mia, ch’a’ vepoissi muare de lengua quando ve piaserà 14. [14] Adesché son su stopropuosito a’ verì quel ch’intravene a un om da ben che è puoco lunzida chialò per muarse de lengua, sì che ve prego, déne silentio 15.

visto che il significato proprio, quello causale, sembra difficilmente proponibile nel contesto.È possibile che questa frase sia il risultato di un intervento poco felice volto a eliminare neltestimone veronese e nel Rasonamento il segmento guasto che in Egloga § 12 suonava «daschea muere la mia lengua no per dosento fiorentinesche». In alternativa si potrebbe intendere:«Da quando in qua esisterà una lingua più bella della nostra?».14 E quindi voglio continuare, so che vi piacerà più il mio parlare di quello di quell’uomo dab-bene. E fin d’ora vi voglio far giudici, e se vi piacerà più il mio naturale seguite quello, e seinvece vi piacerà di più andar fuori dal naturale e volete cambiar lingua, seduta stante perpenitenza sono contento che prendiate tutti la mia, così vi potrete cambiare di lingua quandovi piacerà.perzòntena: cfr. Pr. 16. andar drio: per il significato ‘proseguire’ cfr. MILANI 262 «Deh, taxi eva’ pur drio», Piovana 999 «Va’ drio, tindi al fato to», CROCE 2006: 277 «Horsù, andiamo purdietro» ‘suvvia, continuiamo’ e CROCE 2006: 334 «O quanto godo a udir queste cose! Andatepure dietro». Non si può escludere, per altro, che «andar drio» sia frutto di una dimentican-za del copista dell’Intermedio, dato che allo stesso punto il Rasonamento stampa «andar drioal snaturale». on da ben: cfr. § 2. E da bel mo’: cfr. Egloga § 13. zuse ‘giudici’ (cfr. BORTO-LAN 311 e per es. MILANI 262 e MARCHESINI 96 «Siè vu zuse»). naturale: possibile il solitodoppiosenso per cui naturale equivale a ‘pene’ (cfr. Egloga § 1). che a’ vogié cambiar lengua[...]: riprende le considerazioni di Egloga § 13, cassandone il passaggio sessualmente più espli-cito, quello che a proposito della lingua diceva «tolìne un’altra in boca».15 Dato che sono su questo argomento vedrete quello che succede a un uomo che è poco lon-tano da qui per aver cambiato lingua, sicché vi prego, fate silenzio.propuosito: proposito ‘soggetto’ in BOERIO 537. a’ verì [...]: cfr. Egloga § 14. un om da benche è puoco lunzi da chialò: l’attore che stava per entrare in scena. déne silentio: altro indiziodella più antica destinazione del testo, originariamente concepito come prologo.

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RASONAMENTO DE RUZANTE

[1] Orbéntena, el mondo è tutto voltò alla roessa: negun va pì per elsnaturale, tutti vò straffare, e tutti a scazzafazzo, fa agno consa a l’in-contrario, e tutti ha bonamen pì piasere del snaturale de gi altri che delso’ 1. [2] A’ guarde adesso que tutti cerca de contrafare la so’ lengua equigi che dè faellare in la so’ lengua sì la vuole muare, e tuor la fioren-tinesca, e sì dise ch’el no arae sonò bon a faellare in la soa 2.[3] Al sangue del cancaro, agnom va drio a quel che ghe piase pì, e sìno guarda pì anare dertamen che roersamen, e sì n’è zà ben fatto. Elsarae an sì co’ miegio che mi che a’ son mi, che a’ son Pavan de la Tra-lia, a’ me volesse far toesco o franzoso! Cancaro a i matti, a’ i no l’in-tende! Mo mi ch’a’ la intendo, e che a’ sè che a tegnirse col so’ snatu-rale dertamen dà piasere, con’ dise la leza, «de trique sexo», a’ no vuo’fare con’ fa questori, a’ vuo’ andare col me’ snaturale derto e dertamen 3.

* Si rinvia ai commenti dell’Egloga e dell’Intermedio per le parti comuni.1 Orbene, il mondo è tutto alla rovescia: nessuno segue più il naturale, tutti vogliono strafare,e tutti vanno a catafascio, fanno ogni cosa alla rovescia, e di certo hanno più piacere del natu-rale degli altri che del proprio.Cfr. Intermedio § 1. Come rilevato da MILANI 1989 (2000): 177 chi ha allestito il testo del Raso-namento è intervenuto sulle espressioni più libere: «voltò col cullo in su» diventa «voltò allaroessa»; «volze ontiera el so’ puorpio» diventa «fa agno consa a l’incontrario».2 Vedo adesso che tutti cercano di contraffare la propria lingua e quelli che devono parlarenella propria lingua la vogliono cambiare, e prendere la fiorentina, e dicono che non sarebbeandato bene parlare nella propria.Cfr. Intermedio § 2: «sto om da ben che è stò chialò adesso a sprolegare» diventa più generi-camente «tutti», più vicino a «uno» di Egloga § 2.3 Al sangue del canchero, ognuno segue quel che gli piace di più, e non bada ad andare drit-to piuttosto che alla rovescia, e non è certo ben fatto. Sarebbe come se io che sono io, che sonopavano e dell’Italia, volessi diventare tedesco o francese! Canchero ai matti, non la capiscono!Ma io che la capisco, e so che a tenersi con il proprio naturale dritto dà piacere, come dice la

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rasonamento de ruzante

[4] Perqué el dà pì piasere un celegatto in sen che tri in le ciese, e per-qué, bella brigà che a’ si’ chialò assunè, a’ no ve tegno da manco cun’ sia’ foessé mie’ friegi e mie serore, e per ben che a’ ve vuogio a’ ve faraecussì vontiera uno apiasere con’ cosa ch’a’ faesse mè, e perqué – bellabrigà che si’ chialò – alla fe’ reale da bon frello ch’a’ ve son, me parìuomeni da ben, e se a’ ve tegnisse altramen a’ ve ’l dirae mi! Sì, alla fe’,que me farae a mi? 4

[5] A’ vorrae che vu uomeni ve derzessé per la carezà bona, e vu feme-ne a’ ve laghessé goernare con’ a’ ve saerae insegnar mi, e si a’ no vevolesse ben, a’ no ve ’l dirae, mi! A’ ve vuo’ dar un consegio a tutti:tegnìve al snaturale, no cerché mè de straffare; a’ no ve dighe solamendella lengua e del faellare, mo an’ del resto, e perqué a’ vezo ch’el nobasta che a’ volzì el parlare a faellare fiorentinesco e moschetto, mo a’ghe magné, e sì a’ ghe fé le gonelle, ch’el n’è zà ben fatto an! 5

[6] No sarae miegio che attendessé con’ a’ fazzon nu a magnare de bonpan e de bon formagio salò, e bevere de bon vin che abia rocento, chea magnare tanti saoriti e de tante fatte magnare? Che no assé, cun’ aì,ficò sempre tante scorientie in la panza e in lo magon, mo a’ sassé norì,bianchi e russi con’ è pumi: vardé cun’ a’ seon nu dalle ville! Cri’-u cheper strette ch’aessan a’ se pighesson? A’ vuo’ zugare, se un de vu uome-ni foesse a le man con una delle nuostre femene, che de so’ potintia lave butterae de sotto. Mo perqué? Perqué le n’è passù de saoriti, mo decose snaturale, che al sangue del cancaro, le ha le carne cussì frisie edure che le no ghe se pò pizzigare! 6 [7] L’è pur belle le nuostre feme-

legge, «a entrambi i sessi», non voglio fare come questi qui, voglio andare con il mio naturaledritto e drittamente.Cfr. Intermedio § 3: il testo del Rasonamento è pressoché identico, salvo che per la sostituzio-ne di «quellù» (l’«om da ben») con il più generico «questori».4 Poiché dà più piacere un passerotto in seno che tre nelle siepi, e poiché, bella brigata quiriunita, non vi considero da meno di fratelli e sorelle, e per il bene che vi voglio sarei dispo-sto a farvi un piacere volentieri come non ho mai fatto nessun’altra cosa, e perché – bella bri-gata che siete qui – parola di fratello che sono per voi, mi sembrate uomini dabbene, e se viconsiderassi altrimenti ve lo direi io! Sì, parola mia, che m’interesserebbe?Cfr. Intermedio § 4: da notare però che «a’ ve farae così ontiera un servisio», espressione ambi-gua dell’Intermedio e dell’Egloga, passa a «a’ ve farae cussì vontiera uno apiasere».5 Vorrei che voi uomini vi indirizzaste per la carreggiata giusta, e che voi donne vi lasciasteguidare come saprei mostrarvi io, e se non vi volessi bene, non ve lo direi, io! Vi voglio dareun consiglio a tutti: seguite il naturale, non cercate mai di strafare; non vi dico solo per la lin-gua e per il parlare, ma anche per il resto, e perché vedo che non vi basta di stravolgere la lin-gua a parlare fiorentino e colto, ma ci mangiate, e in più vi ci fate fare gli abiti, e non va bene!Cfr. Intermedio § 5.6 Non sarebbe meglio che badaste come noi a mangiare del buon pane e del buon formaggiosaporito, e bere del buon vino che abbia una vena di aspro, piuttosto che mangiare tanti mani-caretti e cibi di tanti tipi? Non avreste, come invece avete, sempre tanti peti e tante scorregge

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rasonamento de ruzante

ne, e sì no fa con’ a’ fé vu femene ch’a’ no ve contenté mè, ch’a’ ve féfare agno dì pignolè e guarniegi e còttole e bandinelle e mille cancari, esì a’ straffé tanto che l’è na deroina de ca’ vostra, no fazanto le cose der-tamen, e sì cavé la cosa dal snaturale! No fé, cancaro, no fé! A’ ve dighevera! 7

[8] Aì-vu an’ imparò ch’a’ ve fé mettere gi aniegi in le regie? Potta delcancaro, la n’è zà snaturale questa! Mo on’ s’aldì mè dire? Mo a’ ve féan’ i guarniegi ch’a’ ve ten pì larghe de sotto ca de sora, ch’el n’è zàbello questo! Guardé le nuostre femene: con’ pì le è strette de sotto, lene piase pì e sì par megio, e cussì a’ cherzo che le dibia piasere atutt’om. L’è ben vera che adasché l’è vegnù ste guerre – che malletto siale guerre e i soldè, e i soldè e le guerre! – que an’ elle ha scomenzò astraffare de sto cancaro de sbalzi, e con’ gi è pì gruossi i ghe piase pì,mo agno muo’ in questo le ha del snaturale! 8

[9] Mo vu fantuzzati ch’a’ ve fé tagiar e sbrindolare le calze de fatto, esì avì piasere che le ve staghe tirè e que le sia scavezzè a travesso via izenuogi! A’ vorae esser segnore, ch’a’ farae una leza e un stratuto nuovo,che chi foesse d’un paese e volesse faellare d’un altro paese, e chi aessede bon pan e volesse far saoriti, e chi foesse ben vestìo e volesse straffa-re, s’el foesse omo ch’a’ ’l foesse messo in presintia de tutti intun fornoben caldo tanto ch’el se brustolasse, e si la foesse femena che la foesseserrà vezando tutti intun fondo d’una torre, don’ la no vegnisse mè pìfuora, cassì che a’ ghe farae andar via la vuogia de straffare! 9

ficcate nella pancia e nello stomaco, ma sareste floridi, bianchi e rossi come mele: guardatecome siamo noi contadini! Credete che ci piegheremmo, per quante ristrettezze ci possanotoccare? Voglio scommettere, se uno di voi uomini venisse alle mani con una delle nostredonne, che quella con la sua forza vi metterebbe sotto. Ma perché? Perché non sono pasciu-te di manicaretti, ma di cose naturali, e al sangue del canchero, hanno le carni così sode chenon si possono pizzicare!Cfr. Intermedio § 6; per frisie vd. I 31.7 Sono pur belle le nostre donne, e non fanno come voi altre donne che non vi accontentatemai, e vi fate fare ogni giorno tessuti pignolati e gonne e sottane e confezioni e mille canche-ri, e strafate tanto che è una rovina per casa vostra, perché non fate le cose come si deve, e cosìle togliete dal naturale! Non fatelo, canchero, non fatelo! Vi dico la verità!Cfr. Intermedio § 7: l’ambiguo «quello che doarae andar denanzo el mettì de drè» (Intermedioe Egloga) è neutralizzato in «no fazanto le cose dertamen».8 Avete anche imparato a farvi mettere gli anelli nelle orecchie? Potta del canchero, questanon è naturale! Ma dove si è mai sentito dire? Ma vi fate anche gli abiti che vi tengono più lar-ghe di sotto che di sopra, e non è bello questo! Guardate le nostre donne: più sono strette disotto, più ci piacciono e ci sembrano meglio, e così credo che debbano piacere a chiunque. Èben vero che da quando sono cominciate queste guerre – che maledette siano le guerre e i sol-dati, e i soldati e le guerre! – anche loro hanno cominciato a strafare con questo canchero dibalzi, e più sono grossi più gli piacciono, ma almeno in questo seguono il naturale!Cfr. Intermedio § 8.9 Ma voi ragazzetti che vi fate tagliare e sbrindellare le calzamaglie, e siete contenti che vi stia-

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[10] Con’ pì bella cosa del snaturale? Mo no canta miegio gi osiegi suisalgari ch’i no fa in le gabie? Mo no è miegio e pì bello un polaro de so’pe’ che un altro fatto a man? A’ sarae an sì co’ miegio s’el no foesseferdo, che tutti andasson cussì con’ a’ seom nassù, nu per nu. No cri’-uch’a’ ’l foesse pì bel vêre una femena in nu per nu che con tante gonel-le e soragonelle? Mo a’ cherzo ben de sì. Mo no sarae gnan burto vêr-ghe un omo, che amanco negun no se inganerae a tuor su: uomeni efemene arae el so’ inderto, a’ ve dighe vera! 10

[11] E perzòntena, brigà, andé tutti l’un drio l’altro a mantegnire el sna-turale, e con’ a’ vi’ che un vaghe fuora del snaturale lassélo stare da unlò, con’ a’ faghe mo’ mi adesso, che ho vezù un om da ben che ha muòlengua, mo mi a’ no vuo’ muarla, que se volesse an’ mi faellare in fio-rentinesco moschetto e dire «io mi le sono» – che a’ no vuogio dire –che, le no sonerae bon? A’ no ’l saerae fare? No, arae mosche! Mo a’ novuogio 11. [12] Mo no è pì bello a dire «mi» che «io»? N’è pì schietto adire «una vacca» ca «una giomenta»? No è pì bello a dire «un castron»ca «un carniero» con’ dise i Spagnaruoli? Chi cancaro intenderae che

no tirate e increspate all’altezza delle ginocchia! Vorrei essere un signore, che farei una leggee uno statuto nuovo, che chi fosse di un paese e volesse parlare la lingua di un altro paese, echi avesse buon pane e volesse far manicaretti, e fosse ben vestito e volesse strafare, se fosseuomo che sia messo davanti a tutti in un forno ben caldo finché non si abbrustolisse, e se fossedonna che sia rinchiusa sotto gli occhi di tutti in fondo a una torre, da dove non uscisse più,che di sicuro gli farei passare la voglia di strafare!Cfr. Intermedio § 9. Anche qui interventi di natura censoria: «a’ ve fé tagiare in le neghe lecalze de fatto, e sì aì piasere che le ve staga calè» passa a «a’ ve fé tagiar e sbrindolare le calzede fatto, e sì avì piasere che le ve staghe tirè»; «chiavà vedando tutti» passa a «serrà vezandotutti». sbrindolare ‘ridurre a brandelli’: vd. PRATI 154 s.v. sbrindèlo ‘brindello’, BORTOLAN244 sbrandella ‘taglia a brandelli’ (Calderari) e sbrendolò ‘stracciato’ (Magagnò), DOMINI 403sbrendular, ROSAMANI 948 sbrendenâ; PATRIARCHI 171 e BOERIO 611 hanno il significato unpo’ diverso ‘penzolare’ (anche sbrindolar da per tutto ‘essere tutto cencioso’).10 Come si fa a trovare una cosa più bella del naturale? Ma non cantano meglio gli uccelli suisalici che nelle gabbie? Ma non è meglio un pioppo naturale di un altro artificiale? Sarebbeanche meglio se non fosse freddo, così da andar tutti in giro come siamo nati, completamen-te nudi. Non credete che sia più bello vedere una donna tutta nuda piuttosto che con tantegonnelle e sopragonnelle? Credo proprio di sì. Ma non sarebbe neanche brutto vederci unuomo, che almeno nessuno si ingannerebbe a scegliere: uomini e donne avrebbero quel chegli spetta, vi dico la verità!Cfr. Intermedio § 10. Per salgari cfr. Nota al testo § 4.1.2.11 E quindi, brigata, andate tutti uno dietro l’altro a mantenere il naturale, e quando vedeteuno che vada fuori del naturale lasciatelo stare da parte, come faccio io adesso, che ho vistoun uomo dabbene che ha cambiato lingua, ma io non la voglio cambiare, che se volessi anch’ioparlare fiorentino colto e dire «io mi le sono» – che non lo voglio dire – che, non suonerebberobene? Non lo saprei fare? Figurati! Ma non voglio.Cfr. Intermedio § 11. È sfuggito al revisore del Rasonamento un cenno sull’«om da ben», altro-ve sempre sostituito con formule più generiche (vd. §§ 2, 3 e 14). Per sonerae cfr. Nota al testo§ 4.1.2.

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un carniero volesse dire un castron né una giomenta una vacca? Canca-ro ai carnieri e alle giomente! Dasché el serà pì bel faellare ca ’l nuo-stro? 12

[13] E perzòntena a’ vuogio andar drio al snaturale: a’ sè che an’ el vepiaserà pì el me’ faellare che no farà quel de quel’om da ben. E da belmo’ a’ ve vuo’ far zuese, e se ’l me’ snaturale ve piaserà pì tegnìve a ello,e se ’l ve piaserà pì andar fuora del snaturale e che a’ vuogié muar len-gua e cambiarla, da bel mo’ in penitientia ch’a’ ve la possé cavar viatutti, e ch’a’ ve possé muare de lengua quando ve piaserà 13. [14] Edasché seon su sto prepuosito, a’ verì quello che v’intravegnerà permuar lengua, sì che andé per el snaturale 14.

12 Ma non è più bello dire «mi» che «io»? Non è più schietto dire «una vacca» che «una giu-menta»? Non è più bello dire «un castrone» piuttosto che «un carniero» come dicono gli Spa-gnoli? Chi canchero capirebbe che un carniero è un castrone e una giumenta è una vacca?Canchero ai carnieri e alle giumente! Da quando in qua (lo spagnolo) sarà una lingua più belladella nostra?Cfr. Intermedio § 12. Merita d’esser notato un intervento lessicale rispetto al testo del mano-scritto Veronese: «parlare», percepito come poco dialettale, passa a «faellare» (e in effetti sitrovano 72 occorrenze di parlare contro 525 di faelare nel CORPUS PAVANO); anche nella PrimaOratione il ms. Veronese 1636 aggiunge parlare al solo favellare del Veronese 36: il fatto si col-loca in una serie piuttosto compatta di interventi toscanizzanti (CARROLL 2009: 60).13 E quindi voglio seguire il naturale: so anche che vi piacerà più il mio parlare di quello diquell’uomo dabbene. E fin d’ora vi voglio far giudici, e se il mio naturale vi piacerà di più atte-netevi a quello, e se vi piacerà di più andar fuori dal naturale e volete mutare lingua e cam-biarla, seduta stante per penitenza sono contento che ve la possiate cavare tutti, e cambiarlaquando vi piacerà.Cfr. Intermedio § 13. Sparisce l’allusione al kataglÍttisma (ZORZI 1431) dell’Egloga, giàcammuffata nell’Intermedio.14 E dato che siamo su questo argomento, vedrete quello che vi succederà per aver cambiatolingua, sicché seguite il naturale.Cfr. Intermedio § 14: è eliminata la menzione dell’«om da ben» in favore del più generico «a’verì quello che v’intravegnerà».

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SINOSSI DI «EGLOGA», «INTERMEDIO», «RASONAMENTO»

Affinché risulti evidente la loro sostanziale coincidenza, sono stampate in grassetto le aggiun-te dell’Egloga e i corrispondenti passi dell’Intermedio e del Rasonamento

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sinossi di «egloga», «intermedio», «rasonamento»

[1] Orbéntena, elmondo è tutto voltòcol culo in su: femenee uomeni, negun nova pì per el naturale,tutti vò strafare etutti volze vontiera elso’ puorpio, e tutti\\ // ha piaser delnaturale pì de gi altrica del so’.[2] A’ guardo adessoche com uno vò direogne puo’ de noellade fatto el mua la so’lengua e tuole la fio-rentinesca o la mo-scheta e dise ch’elnon sonerà bon in lasoa.

[3] Ognom va drio aquel che ghe piase pì,e sì no guarda pìandar dertamen caroversamen, e sì no èzà onesto. El serae sìco’ megio che mi cheson pavan e de laTalia a’ me volesse fartoesco o spagnaruo-lo! Mo a’ no vuo’,perqué a’ sè che ategnirse con el so’naturale dertamen,com dise la leza,«delecta de trichesesso», que ven a direche tutti dè avere delnaturale. \\ //

[4] E perzòntena,bella brigà che a’ si’chialò asunè, a’ no vetegno da manco comse fossé mie’ friegi emie serore, e per ben

\\ //a sgacafasso bona-men

\\ //(...) el dà pì piasereun celegato in sen catri in le ciese

[1] Orbéntena, elmondo è tutto voltòcol cullo in su: feme-ne e uomeni, negunva pì al naturale, etutti vuol strafare asgasafazo, volze on-tiera el so’ puorpio, etutti bonamen ha pìpiasere del naturalede gi altri che del so’.[2] A’ guardo sto omda ben che è stòchialò adesso a spro-legare: poeva favella-re in la soa lengua, esì l’ha vogiùa muare,e tuore la fiorentine-sca, e sì dise ch’el noarae sonò bon afavellare in la soa.[3] Al sangue delcancaro, ognon vadrio a quel che ghepiase pì e sì no guar-da pì a andare dritta-men che alla roersa, esì n’è zà ben fatto. Elserae an si con’ mie-gio che mi ch’a’ sumpavan e dela Talia a’me volesse far toescoo franzoso! Cancar ai matti, i no la inten-de! Mo mi ch’a’ laintendo, e ch’a’ soch’a tegnirse col so’natural drettamen dàpì piasere, cun’ disela leze, «de triquesesso», e no vuo’ farecum’ ha fatto quellù,a’ vuo’ anare col me’naturale derto e der-tamen.[4] Perqué el dà pìpiasere un celegatoin sen ca tri in leciese, e perqué, bellabrigà ch’a’ si’ chialòarsunè, a’ no ve tegno

[1] Orbéntena, elmondo è tutto voltòalla roessa: negun vapì per el snaturale,tutti vò straffare, etutti a scazzafazzo, faagno consa a l’incon-trario, e tutti habonamen pì piaseredel snaturale de gialtri che del so’.[2] A’ guarde adessoque tutti cerca decontrafare la so’ len-gua e quigi che dèfaellare in la so’ len-gua sì la vuole muare,e tuor la fiorentine-sca, e sì dise ch’el noarae sonò bon a fael-lare in la soa.[3] Al sangue delcancaro, agnom vadrio a quel che ghepiase pì, e sì no guar-da pì anare dertamenche roersamen, e sìn’è zà ben fatto. Elsarae an sì co’ miegioche mi che a’ son mi,che a’ son Pavan de laTralia, a’ me volessefar toesco o franzoso!Cancaro a i matti, a’ ino l’intende! Mo mich’a’ la intendo, e chea’ sè che a tegnirsecol so’ snaturale der-tamen dà piasere,con’ dise la leza, «detrique sexo», a’ novuo’ fare con’ fa que-stori, a’ vuo’ andarecol me’ snaturale der-to e dertamen.[4] Perqué el dà pìpiasere un celegattoin sen che tri in leciese, e perqué, bellabrigà che a’ si’ chialòassunè, a’ no ve tegno

Egloga de Ruzante no-minata la moschetta

Aggiunte marginali dialtra mano al testo del-l’«Egloga»

Intermedio d’una co-media de Ruzante allaPavana

Rasonamento de Ru-zante

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ch’a’ ve vuogio a’ vefarae cossì vontieraun servisio com cosach’a’ fesse mè, mi.

[5] A’ vorae che vuuomeni ve drecesséper carezà bona, eche vu femene a’ velaghessé governarecom a’ ve insegnerèmi, e se a’ no vevolesse ben, a’ no ve’l dirae, mi! A’ vevuo’ dare un bonconsegio a tutti:tegnìve al naturale, eno cerché mè de stra-fare; a’ no ve digosolamen de la lenguae del favelare, mo delresto an’: perqué a’vezo ch’el non vebasta strafozare de lalengua a favelare fio-rentinesco moscheto,mo a’ ghe magné an’,e sì a’ ve ghe fé fare legonele. \\ //

[6] Mo el seraemegio che atendesséa far com a’ fazon nu,magnare de bon pane de bon formagioinsalò, e bévere debon vin che abiaqualche puo’ derezetto, ca farve tantisaoriti e de tante fattemagnari. \\ // L’èvero che guanno lastrenze senza pénole,mo inanzo ch’el pan

\\ //ch’el n’è zà ben fatto

\\ //che no aessé, co’ aì,ficò tante ventositèchì e tante scorinçie

da manco ca s’a’fossé mie’ friegi e mieserore, e per bench’a’ ve vuogio a’ vefarae così ontiera unservisio a om per om,cum’ consa ch’a’ fes-se mè, e perqué, allafe’, alla fe’ reale dabon frello ch’a’ vesum, a’ me parì uo-meni da ben, e s’a’ vetegnesse altramen a’ve ’l dirae mi! Sì, allafe’, che me farae ami?[5] A’ vorae che vuuomeni a’ ve driciessiper la carezà bona, evu femene a’ velaghessé governarecome a’ ve saraveinsegnar mi, e se a’no ve volesse ben, a’no ve ’l dirae! A’ vevuo’ dare un consie-gio a tutti: tegnìve alnaturale, e no cerchéde strafare; a’ no vedigo solamen dellalengua, ma an’ delfavellare, mo an’ delresto: perché a’ vezoch’el non basta ch’a’ve volzì la lengua afavellare fiorentine-sco e moscheto, ma a’ghe magné, e sì veghe fé le gonelle,ch’el n’è zà benfatto![6] No sarae miegioch’attendissi cum’ a’fazzon gnu a magnarde bon pan e de bonformaio salò, e beverde bon vin ch’abia elrocetto, ch’a magnaretanti sauriti e de tantafatta magnare? Che a’no assé, cum’ aì, ficòtante ventositè etante scorientie sem-pre in la panza e in lomagon, mo a’ sassé

da manco cun’ si a’foessé mie’ friegi emie serore, e per benche a’ ve vuogio a’ vefarae cussì vontierauno apiasere con’ co-sa ch’a’ faesse mè, eperqué – bella brigàche si’ chialò – alla fe’reale da bon frelloch’a’ ve son, me parìuomeni da ben, e se a’ve tegnisse altramen a’ve ’l dirae mi! Sì, allafe’, que me farae a mi?

[5] A’ vorrae che vuuomeni ve derzesséper la carezà bona, evu femene a’ ve la-ghessé goernare con’a’ ve saerae insegnarmi, e si a’ no ve voles-se ben, a’ no ve ’ldirae, mi! A’ ve vuo’dar un consegio atutti: tegnìve al sna-turale, no cerché mède straffare; a’ no vedighe solamen dellalengua e del faellare,mo an’ del resto, eperqué a’ vezo ch’elno basta che a’ volzìel parlare a faellarefiorentinesco e mo-schetto, mo a’ ghemagné, e sì a’ ghe féle gonelle, ch’el n’èzà ben fatto an!

[6] No sarae miegioche attendessé con’ a’fazzon nu a magnarede bon pan e de bonformagio salò, ebevere de bon vinche abia rocento, chea magnare tanti saori-ti e de tante fattemagnare? Che noassé, cun’ aì ficò,sempre tante sco-rientie in la panza ein lo magon, mo a’

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deventesse tanto ga-giardo ch’el mucesseda i nuostri pare, a’vuo’ zugare che se unde vu uomeni passùde savoriti foessevegnù a le man conuna de le nuostrefemene, che da so’potincia la ve araebutà de sotto. E sì vearae fatto romagnirefiapi a muo’ zucàriquando la brùsemaghe ha dò su, perchéle è passù de cosenaturale.

[7] E sì no fa gniancom a’ fé vu femeneche a’ no ve contentémè, mo a’ ve fé tagia-re e stratagiare ognidì pignolè, guarniegi,còtole e bandinele emille cancari, e sì a’strafé tanto che talbotta quel che deraeandar denanzo elmetì de drio e sì cavéla cosa del naturale.No fé, cancaro, nofé!

[8] Mo a’ ve digo elvero, mi. Aì-u an’imparò che a’ ve féficare gi aniegi in leregie? \\ // La n’è zànaturale a busare on’no è busò! He-gi an’vezù de quele che sefa guarniegi che laten pì larga de sottoche la no è de sora?Ch’el no è zà belloquesto! A’ guardo lenuostre femene: compì le è strette desotto, le ne piase pì\\ // e cossì a’ cherzoche dibia piasere atutto omo. \\ //

in la panza e in lomagon, mo a’ sassénorì, bianchi e russico’ è pumi. Guardéco’ a’ seon nu da leville (.....) Crì-u, perstrette che avessan,a’ se pighesson in laschina?

\\ //Ah, pota del canca-ro!

\\ //e sì par miegio.\\ //

norì, bianchi e russicome pumi: guardécum’ a’ sen gnu dalleville! Cri’-vu che perstrette ch’avessam a’se pieghessan in laschina? A’ vuo’ zuga-re, se un de vu uome-ni foesse alle man cununa delle nostre fe-mene, che de so’ po-tentia la ve butaraede sotto. Perqué? Moperqué la no è impìané passù de saoritti,ma de conse naturale,ch’al sangue del can-caro le ha le so’ carnepì dure, che le no sepò pizegare.[7] Morbo, le è purbelle le nostre feme-ne, e sì le no fa cum’a’ fé vu altre femene,che a’ no ve contentémè, mo a’ ve fé fare etagiare ogno dì pi-gnolè, guarniegi e cò-tole e bandinelle emille cancari, e sì a’strafé tanto che quel-lo che doarae andardenanzo el mettì dedrè, e sì a’ cavé laconsa dal naturale.No fé, cancaro, no![8] A’ ve digo ’l vero,mi. Aì-vu an’ imparòch’a’ ve fé ficare gianiegi in le rechie?Pota del cancaro, lan’è za naturale que-sta! Mo on’ s’aldì mèdire? Mo a’ ve fé an’guarniegi che ve tenpì larghe de sotto cade sorra, ch’el n’è zàbello questo! Guardéle nostre femene:cun’ pì a’ le è strettede sotto, a’ lle nepiase pì e sì par mie-gio, e così a’ cherzoche le dibbia piaser atutt’om. L’è ben vero

sassé norì, bianchi erussi con’ è pumi:vardé cun’ a’ seon nudalle ville! Cri’-u cheper strette ch’aessana’ se pighesson? A’vuo’ zugare, se un devu uomeni foesse a leman con una dellenuostre femene, chede so’ potintia la vebutterae de sotto.Mo perqué? Perquéle n’è passù de saori-ti, mo de cose snatu-rale, che al sanguedel cancaro, le ha lecarne cussì frisie edure che le no ghe sepò pizzigare![7] L’è pur belle lenuostre femene, e sìno fa con’ a’ fé vufemene ch’a’ no vecontenté mè, ch’a’ vefé fare agno dì pigno-lè e guarniegi e còtto-le e bandinelle e millecancari, e sì a’ straffétanto che l’è na deroi-na de ca’ vostra, nofazanto le cose derta-men, e sì cavé la cosadal snaturale! No fé,cancaro, no fé! A’ vedighe vera![8] Aì-vu an’ imparòch’a’ ve fé mettere gianiegi in le regie?Potta del cancaro, lan’è zà snaturale que-sta! Mo on’ s’aldì mèdire? Mo a’ ve fé an’ iguarniegi ch’a’ ve tenpì larghe de sotto cade sora, ch’el n’è zàbello questo! Guardéle nuostre femene:con’ pì le è strette desotto, le ne piase pì esì par megio, e cussìa’ cherzo che le dibiapiasere a tutt’om. L’èben vera che adaschél’è vegnù ste guerre –

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[9] Mo digom mo’de sti tosatti fantuzatiche se fa tagiare in leneghe de drio lecalze, e sì ha piasereche le ghe staghe calèa i zenuogi! Oh can-caro, mo s’el stesse ami, a’ farae la bellalezza e stratuti nuovi,che quando un foessede un paese e che elvolesse favellare deun altro paese, e vo-lesse strafozare, a’gh’in’ farae andar viala vuogia!

[10] Co’ pì bella cosadel naturale? Nocanta miegio gi osiegisu i salgari ca in legabie? Mo no è pìbello un polaro deso’ pe’ che n’è unfatto a man? No fa pìlate una vaca defuora a la rosà, a la

L’è ben vera chedasché è vegnù steguere – che maletosea le guere e i soldèe i soldè e le guere –che an’ elle ha sco-menzò a strafare desto cancaro de sbalcie con’ gi è pì gruossi,i ghe piase pì! Moagni muo’, in questole ha del naturale..Mo digon mo [...][...]

che dasché l’è vegnùste guerre – chemaletto sia le guerree i soldè, e i soldè ele guerre! – che an’elle ha scomenzò astrafare de sto canca-ro de sbalzi, e cum’pì gi è gruossi i ghepiase pì, ma ognimuo’ in questo le hadel naturale!

[9] Mo vu fantuzzati,ch’a’ ve fé tagiare inle neghe le calze defatto, e sì aì piasereche le ve staga calè, esì è scavezè via a tra-verso al zenochio! A’vorae esser signuore,ch’a’ farae una leze estratuto nuovo, chechi foesse d’um paesee volesse favellar del’altro paese, e chiaesse de bon pan evolesse far sauriti, efosse ben vestì evolesse strafare, s’elfosse omo ch’el fosseficò in presentia detutti intun forno bencaodo tanto ch’el sebrustolesse moltoben, et se la foessefemena che la foessechiavà vedando tuttiintun fondo d’unatorre, duon’ la no ve-gnesse mè pì fuora,che sì ch’a’ ghe faraeandar via la vuogiadel strafare a tutte!

[10] Co’ è pì bellacosa del naturale?Mo no canta miegiogi osiegi sui salgariche i no fa in legabie? Mo no è mie-gio e pì bello un pol-laro de so’ pe’ ca unaotro fatto a man? A’sarae an’ miegio s’el

che malletto sia leguerre e i soldè, e isoldè e le guerre! –que an’ elle ha sco-menzò a straffare desto cancaro de sbalzi,e con’ gi è pì gruossii ghe piase pì, moagno muo’ in questole ha del snaturale!

[9] Mo vu fantuzzatich’a’ ve fé tagiar esbrindolare le calzede fatto, e sì avì pia-sere che le ve staghetirè e que le sia sca-vezzè a travesso via izenuogi! A’ vorae es-ser segnore, ch’a’ fa-rae una leza e un stra-tuto nuovo, che chifoesse d’un paese evolesse faellare d’unaltro paese, e chiaesse de bon pan evolesse far saoriti, echi foesse ben vestìoe volesse straffare,s’el foesse omo ch’a’’l foesse messo inpresintia de tutti in-tun forno ben caldotanto ch’el se brusto-lasse, e si la foesse fe-mena che la foesseserrà vezando tuttiintun fondo d’unatorre, don’ la no ve-gnisse mè pì fuora,cassì che a’ ghe faraeandar via la vuogiade straffare![10] Con’ pì bellacosa del snaturale?Mo no canta miegiogi osiegi sui salgarich’i no fa in le gabie?Mo no è miegio e pìbello un polaro deso’ pe’ che un altrofatto a man? A’ saraean sì co’ miegio s’el

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salbegura ca intunacitè? El serae an’miegio s’el no foesseel ferdo, che tuttiandasam cossì com a’seom nasù, nu pernu. Mo no cri’-vuch’el foesse pì belveére una femenanua per nua ca contante gonelle e sora-gonelle? Mo a’ cher-zo ben de sì. Mo elno serae gnian burtoveérghe un om, cheamanco negun no seinganerae a tuor su:uomeni e femenearae el so’ inderto. Elgh’è tal un che par pìomo de quel che l’è, esì no è zà mezo un![11] E perzòntena vu,brigà, caçéve tutti undrio l’altro a mante-gnire el naturale: per-qué se no ’l mante-gnerì el vegnirà prestoel finimondo. Perqué,a’ ve dirè, sto mondosì è com è una vì e ’lnaturale sì è el palo:fin che ’l palo staderto, la vì fa furto;co’ ’l palo ghe hamolà, la vì dà del culoin terra. E si a’ veì unche vaghe fuora delnaturale, s’el va da unlò, andé da l’altro,com a’ fago mo miadesso, che a’ no mevuo’ muar de lengua.Che s’a’ volesse an’ mifavelare in spagnaruo-lo e dire: «io mi, iosono, che io ve vuogiodire che lo farano», a’no sârae fare? No,arae mosche![12] Mo no è pì belloa dire «mi» ca dir«io»? No è pì schietoa dire «una vaca» ca«una iomenta» com

no fosse ferdo, cheandessan tutti com’a’ sem nassù, nu pernu. Mo no cri’-vuch’el fosse pì bello aveder una femena nuper nu ca cum tantegonelle e soragonel-le? A’ cherzo ben desì. Mo no sarae gnanburto vêrghe un omoanche, che amanconegun no s’inganaraea tuor su: uomeni efemene arae el so’inderto, a’ ve dighe ’lvera!

[11] E perzòntena,brigà, cazzonne tuttiun drio l’altro a man-tegnir el naturale, ecum’ a’ vi’ un chevaga fuora del natu-rale, s’el va da un lòandé da l’aoltro cum’a’ fago mi adesso.Ché quel’om da benha muò lengua, momi a’ no la vuo’muare, che s’a’ voles-se anca mi favellarefiorentinesco e mo-schetto e dire «Io lesono» – ch’a’ no levuogio dire – che, leno sonarae bon an?No ’l sârae fare? No,arae mosche! Mo a’no vuogio.

[12] Mo no è pì belloa dire «mi» che «io»?No è pì bello a dire«una vacca» che«una giumenta»? Mo

no foesse ferdo, chetutti andasson cussìcon’ a’ seom nassù,nu per nu. No cri’-uch’a’ ’l foesse pì belvêre una femena innu per nu che contante gonelle e sora-gonelle? Mo a’ cher-zo ben de sì. Mo nosarae gnan burto vêr-ghe un omo, cheamanco negun no seinganerae a tuor su:uomeni e femenearae el so’ inderto, a’ve dighe vera!

[11] E perzòntena,brigà, andé tutti l’undrio l’altro a mante-gnire el snaturale, econ’ a’ vi’ che unvaghe fuora del sna-turale lassélo stare daun lò, con’ a’ faghemo’ mi adesso, cheho vezù un om daben che ha muò len-gua, mo mi a’ no vuo’muarla, que se voles-se an’ mi faellare inf i o r e n t i n e s c omoschetto e dire «iomi le sono» – che a’no vuogio dire – che,le no sonerae bon? A’no ’l saerae fare? No,arae mosche! Mo a’no vuogio.

[12] Mo no è pì belloa dire «mi» che «io»?N’è pì schietto a dire«una vacca» ca «unagiomenta»? No è pì

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dise i spagnaruoli?Non sona miegio adire «un castron» ca«un carniero»? Can-caro ai carnieri e an’ai sachi, dasché a’ nomuerè la mia lenguaper dosento fiorenti-nesche!

[13] Mo perchéandar sempre a unmuo’ tal fià insorisse,s’el ve vegnisse tal fiàvuogia de muar len-gua, no cambié lavostra per un’altra,mo a’ ve dirè: tolìneun’altra in boca, cheghe n’abié do; e dabel mo’ s’el ve pia-serà el me’ favelare,a’ ve impresterè sem-pre la mia lengua.

[14] E perqué a’sapié quel che a’ sonvegnù a far chialò, seme darì salintio a’veerì quel che intra-vene a un om da benper favelare mosche-to e muarse de len-gua. E cossì stacomieria i ghe dise laMoscheta.[15] E questa che èchialò no è Cremona,né Ferara; mo l’èPava, e non v’in’maravegié se l’è pìzo-la, perqué l’ha vogiùan’ ella frezare avegnir chialò. Tasì, a’sento ch’i vuol vegnirfuora. Moa, i ve ladirà. Diè v’aî!

no è pì schietto a dire«un castron» ca «uncarniero» cum’ dise iSpagnaruolli? Chi can-caro intenderae cheun carniero fosse uncastron e una giu-menta una vacca?Cancaro ai carnieri ealle giumente! Da-sché ’l sarà pì bel par-lar del nostro?

[13] E perzòntena a’vuogio andar drio, a’so an’ ch’el ve piaseràpì el me’ favellare,che no farae quel dequel on da ben. E dabel mo’ a’ ve vuo’ farzuse, e s’el ve piaseràpì el me’ naturaletegnìve a ello, e s’elve piaserà pì andarfuora del naturaleche a’ vogié cambiarlengua, da bel mo’ inpenitentia a’ son con-tento ch’a’ me togiétutti la mia, ch’a’ vepoissi muare de len-gua quando ve pia-serà.[14] Adesché son susto propuosito a’ verìquel ch’intravene aun om da ben che èpuoco lunzi da chialòper muarse de len-gua, sì che ve prego,déne silentio.

bello a dire «uncastron» ca «un car-niero» con’ dise iSpagnaruoli? Chicancaro intenderaeche un carniero vo-lesse dire un castronné una giomenta unavacca? Cancaro aicarnieri e alle gio-mente! Dasché el se-rà pì bel faellare ca ’lnuostro?[13] E perzòntena a’vuogio andar drio alsnaturale: a’ sè chean’ el ve piaserà pì elme’ faellare che nofarà quel de quel’omda ben. E da bel mo’a’ ve vuo’ far zuese, ese ’l me’ snaturale vepiaserà pì tegnìve aello, e se ’l ve piaseràpì andar fuora delsnaturale e che a’vuogié muar lengua ecambiarla, da bel mo’in penitientia ch’a’ vela possé cavar viatutti, e ch’a’ ve possémuare de lenguaquando ve piaserà.[14] E dasché seonsu sto prepuosito, a’verì quello che v’in-travegnerà per muarlengua, sì che andéper el snaturale.

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Comenza l’atto primo

[RUZANTE]: [16] Iprovierbi non fallamè: «Bià quella ca’che ha bona feme-na», perqué l’è quellache ten drezò l’omoin massaria. E biàuno che n’abia unade le femene chesipia stretta de naturaperqué la tegna el so’a man. E com se n’hauna de queste, el sevorae darghe tutto inle man e lagarla fare aella e smassarizare acomuo’ la vuole ella,com a’ fago mo mi,che a’ lago fare miamogiere com la vuo-le.[17] Mo l’è stà ancheella, vi’-vu, che èvegnù a stare a Pava;e sì me fa trionfarean’ mi: perqué a’ n’hefastubio de pan né devin né de gniente.Potta, el n’è ancoraotto dì ch’a’ seomvegnù a star chialò aPava, e sì la m’hafatto fare amistè cunsoldè, con citaìni,con tutti. E tra gi altricon un soldò berga-masco che sta chialò,che se fìa tanto de mi,ch’el m’ha dò no sèque dinari da portarea uno.[18] Mo mi a’ gh’ivuo’ far trare, al san-gue del cancaro: zàch’el m’è vegnù staventura, a’ dirè cheintuna furegagia cheel me fo tagiò el bor-setto. A’ non crezognan de far peccò,perqué a’ farè perme’ ben, perqué chise laga fuzire una

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ventura, el se fa pecòa no la saver pigiare.[19] A’ sè que a’ gh’ivuo’ far trare, mi, e sìa’ trionferè chialò aPava. Mo el me pareben stragno che el nogh’è negun d’i mie’,a’ no gh’è negun dacantare. E me’ com-pare, che solea sem-pre star tutto el dìcon mi, e sì a’ no vezomè ch’el vegna. Or-sù, a’ vuo’ andare aca’, mi, e se a’ veerèel soldò, a’ sè benquel che a’ dirè mi. A’ghe dirè mi che per laputana don’ vene an-cuò ch’a’ n’in’ sè nin-te, mi; e co’ ’l diga dedare, e mi a’ sbrao-sarè, moa! A’ sè benmi, sì, cancaro!

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NOTA AL TESTO

È descritta qui la tradizione testuale manoscritta e a stampa della Moschettafino al sec. XVII (§ 1: testo a stampa della Moschetta; § 2: manoscritto Marcia-no; § 3: manoscritto Veronese; § 4: testo a stampa del Rasonamento) 1. L’interotesto della commedia è conservato solo dalla princeps Alessi del 1551, ripro-dotta in tutte le edizioni successive fino all’inizio del Seicento (§ 1); sopravvi-vono inoltre il prologo e un frammento della prima scena del primo atto nelmanoscritto Marciano Italiano XI 66 (§ 2) e una differente redazione dello stes-so prologo, sotto il titolo di Intermedio, nel manoscritto 1636 della BibliotecaCivica di Verona (§ 3); con poche modifiche l’Intermedio è tramandato infinesotto il titolo di Rasonamento de Ruzante dalla princeps delle Tre Orationi, e diqui passa in tutte le edizioni successive (§ 4). I §§ 1 e 4 contengono quindi insie-me alla descrizione delle singole edizioni i risultati di diverse collazioni (tra sin-goli esemplari delle principes; tra il testo critico e un solo esemplare delle edi-zioni successive indicato volta per volta) 2. Tali risultati dimostrano che tutte le

1 Per edizioni e traduzioni moderne della Moschetta e del Rasonamento cfr. MAGLIANI 1999(edizioni: p. 148 n° 49, p. 152 n° 57, p. 154 n° 63, p. 155 n° 67, p. 157 n° 73, p. 158 n° 75, p.158 n° 77, p. 161 n° 84, p. 163 n° 91, p. 163 n° 92, p. 164 n° 93, p. 167 n° 104, p. 168 n° 109,p. 170 n° 115; traduzioni: p. 153 n° 60, p. 159 n° 78, p. 159 n° 79, p. 160 n° 82, p. 162 n° 89,p. 165 n° 98, p. 166 n° 99, p. 170 n° 116). Ai dati raccolti dalla Magliani si può aggiungereuna traduzione in dialetto cremonese della Moschetta curata da Gigi Manfredini (Cremona,Gruppo studio di teatro - Ente provinciale per il turismo, 1970): non ho potuto controllare ilvolume, attualmente irreperibile alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Rimando quiuna volta per tutte anche al quadro delineato in ZORZI 1967: 1604-1611 e pp. 1619-1620 perla Moschetta (qui tra l’altro la dichiarazione che «la nostra lettura si fonda sulle stampe Alessidel 1551 e del 1554»: forse più sulla seconda che sulla prima, come par testimoniare la lezio-ne adottata da Zorzi per il testo di Pr. 17. Vd. più sopra il commento al luogo).2 Il procedimento di collazione tra esemplari di una stessa edizione (qui solo la princeps) siadegua alle norme della bibliografia testuale (o filologia dei testi a stampa), su cui cfr. essen-zialmente FAHY 1988 e N. HARRIS, Bibliographie matérielle (testo consultabile in linea all’in-dirizzo http://ihl.enssib.fr); numerosi contributi specialistici sono raccolti in STOPPELLI 1987,BOTTA 2005 e nelle riviste di recente istituzione «Ecdotica» e «Tipofilologia»; un panorama

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stampe della Moschetta e del Rasonamento sono descriptae delle rispettive prin-cipes, e si limitano tutt’al più a correggerne qualche errore evidente (per il testodella commedia cfr. nota 22). Anche le più tarde stampe vicentine, pur docu-mentando una minuziosa revisione di certe caratteristiche linguistiche, dipen-dono senz’altro dalle precedenti (si aggiunga che le ultime due, la stampa Perindel 1598 e la stampa Amadio del 1617, sono censurate) 3.

1. Moschetta

1.1. Venezia, Alessi, 1551 (M1551)

1.1.1. Descrizione

c. a1r: MOSCHETTA | COMEDIA DEL FAMO- | SISSIMO RUZZANTE, | NUOVA-MENTE VENU= | TA IN LUCE. | Con Gratia, e Privilegio. | In Venetia appressoStephano di Alessi alla Libra | ria del Cavalletto, in Calle della Bissa. | MDLI.Colofone: In Vineggia appresso Bar- | tholomeo Cesano. | MDLI 4.Formula collazionale: 8°; a-g4; [28] cc.Contenuto: a1r: titolo. a1v: INTERLOCUTORI. a2r: PROLOGO. a4r: ATTO PRIMO.c1v: ATTO SECONDO. d1r: ATTO TERZO. e4v: ATTO QUARTO. f4r: ATTOQUINTO. g4r: IL FINE. g4v: bianco. Titolo corrente: ATTO | PRIMO [SECONDO] [TERZO] [QUARTO] [QUINTO].Richiami: a4v: bianto b4v: rae c4v: Atto d4v: A no e4v: Le forza f4v: tire

dedicato ad alcune applicazioni del metodo bibliografico a testi della nostra letteratura quat-tro-seicentesca è offerto da C.A. GIROTTO, Gli studi di italianistica e la bibliografia testuale: unpanorama, in «Nuova informazione bibliografica», 4 2007, pp. 653-678. Quanto al censimen-to degli esemplari delle singole edizioni non m’illudo certo di aver dato un quadro completo:mi sono basato per l’Italia sui dati Edit16 (dalla cui versione in linea si intendono ricavati tuttii dati non accompagnati da altra indicazione) e su quelli del MAI (Metaopac Azalai Italiano,in linea all’indirizzo http://mai.cilea.it/default.htm); per l’estero sul Karlsruher VirtuellerKatalog (www.ubka.uni-karlsruhe.de/kvk); infine su un certo numero di cataloghi cartacei ein linea di biblioteche italiane e straniere indicati volta per volta. Insieme ai cataloghi colletti-vi cito a testo per il suo carattere monografico MAGLIANI 1999 (rimandi ai cataloghi di singo-le biblioteche o raccolte sono invece sempre in nota). Per le banche dati in linea l’ultima datadi consultazione è il 6-2-2010.3 Sulle edizioni vicentine, e in specie sulla Greco, restano importanti le osservazioni di LOVA-RINI 1965: 152-159 e di ZORZI 1967: 1609-1610, dove si insiste opportunamente sull’«intensi-ficazione del colorito villanesco» perseguita in queste stampe. Un esame accurato delle varian-ti della Greco, che risulterebbe interessante se non altro per la storia dell’uso letterario delpavano, resta ancora da fare e per ovvie ragioni di spazio non è possibile proporlo neppurequi: oltre a Lovarini e Zorzi, si vedano intanto le osservazioni di SELMI 1998 e L. D’ONGHIA,Gli studi pavani di Marisa Milani e una nuova edizione della «Moschetta», in Tra filologia, sto-ria e tradizioni popolari. Per Marisa Milani (1997-2007), a c. di L. Morbiato e I. Paccagnella,Padova, Esedra, in c.d.s. 4 Sulla collaborazione di Alessi con Cesano prima e Valgrisi poi cfr. essenzialmente RHODES1988 (1991), che contiene alle pp. 153-162 gli annali di Alessi; altre indicazioni nelle ‘voci’ diVescovo (Alessi) e Cecini (Cesano) in MENATO - SANDAL - ZAPPELLA 1997: 19-21 e 287-288.La princeps è registrata da RHODES 1988 (1991): 153 n° 2.

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Tipi: 29-30 righe, corsivo di Colonia 82 5. ‘Iniziali parlanti’: a2r E (Ercole uccide l’idra diLerna); a4r P (uomo barbuto sdraiato su un letto: forse il letto di Procuste); c1v e d1r M(Mercurio con ali ai piedi e caduceo); e4v B (Bacco ebbro sostenuto da due satiri); f4r C(Cerere: cfr. PETRUCCI NARDELLI 1991: 69, fig. 30 e CALMO Saltuzza 220 nota 19).Misure: 151 x 99 mm ca. in un esemplare quasi indenne da rifilatura come M2 (141 x 91mm ca. in un esemplare rifilato come M3).Carta: filigrana con àncora racchiusa in un cerchio sormontato da stella a sei punte (con-tromarca con doppia A maiuscola) 6: cfr. MAZZOLDI n° 38 (15 marzo 1551, carta notari-le di Salò) 7. Solo nel fascicolo b di R filigrana con angelo racchiuso in un cerchio sor-montato da una stella a sei punte (non visibile la contromarca): cfr. di massima MAZ-ZOLDI nn° 193-210, quasi tutti di data più bassa.Esemplari noti: Brescia, Biblioteca Queriniana, 10a M.VI.5.(6) (= B) 8; Milano, Bibliote-ca Ambrosiana, S.N.D.I.39/1 (= M1)

9; Milano, Biblioteca Nazionale Braidense (due

5 29 righe nelle carte a piena stampa dei fascicoli a, b, c, d, e (a2v, a3r, a4v, b1v, b2r, b3v, b4v,c1v, c2r, c4r, d1v, d2r, d4r, d4v, e1v, e3r, e4r); 30 righe in quelle dei fascicoli f, g (f2r, f2v, f3v,f4v, g1r, g2r, g2v, g3r). Per il corsivo di Colonia cfr. TINTO 1972: 46.6 Porzioni sufficientemente ampie della filigrana sono visibili nei fascicoli a, b, c, di L1; c, d, gdi L2; a, c di M2; a, b, di M3; a, d, e di R. La contromarca è visibile distintamente nei fascicolib e g di M2, c di M3. Contromarca e filigrana non si trovano mai nello stesso fascicolo sia perla rifilatura (che avrà facilmente coinvolto la contromarca, ai margini del foglio) sia perché –come suggerisce il rapporto tra fascicolatura e formato – M1551 fu realizzato con l’imposizionea mezzo foglio (cfr. FAHY 1988: 231): ciò implica che un dato fascicolo sia ottenuto ripiegan-do un foglio già dimezzato, in cui non si sarà dunque trovato mai il disegno completo di fili-grana e contromarca. La filigrana descritta si incontra anche in altre principes ruzantiane rea-lizzate da Cesano: la si trova, ad esempio, in tutte le opere legate con l’esemplare siglato M3.7 Non hanno la stessa contromarca ma sono grossolanamente raffrontabili al nostro i disegnidi BRIQUET nn° 524 e 525 (Reggio Emilia 1552 e 1553-1556) e PICCARD Anker n° 282 (1554,Brescia).8 Segnalata in MAGLIANI 1999: 108 n° 5: «legato in volume con altre opere di Ruzzante pub-blicate da Stefano Alessi; provenienza legato Martinengo da Barco, 1886». Il volume, in otti-mo stato di conservazione e pochissimo rifilato, contiene: Piovana (Giolito 1552), Rodianaattribuita a Ruzante (Alessi 1553), Vaccaria (Alessi 1551), Anconitana (Alessi 1551), Fiorina(Alessi 1552), Moschetta (Alessi 1551), Tre Orationi (Alessi 1551), Due dialoghi (Alessi 1551),G. Morello, Sprolico in lengua pavana sbottazzà in laldo del magnafigo messier Mechiele Batta-gia Poestè de Pieve l’anno 1548, recitò per lome del terretuorio Pavan (Alessi 1553), G. Morel-lo, Le lalde, e le sbampuorie della unica e virtuliosa Ziralda ballarina e saltarina scaltrietta pava-na [...] (Alessi 1553), G. Morello, Il ridiculoso dottoramento di M. Desconzò de Sbusenazzi, conli dubbij a lui per gli assistenti proposti, & sue rissolutioni [...] (Alessi 1551, ma 1552 nelcolophon).9 Proveniente dalla biblioteca del marchese Federico Fagnani (1775-1840), che dispose pertestamento la donazione alla Biblioteca Ambrosiana dei propri libri, incisioni, monete e meda-glie: cfr. M. BALLARINI, Uomini e libri di una grande Milano (Cesare Beccaria, Giuseppe Parini,Federico Fagnani, Pietro Custodi), in Storia dell’Ambrosiana. L’Ottocento, Milano, IntesaBci,2001, pp. 131-165, alle pp. 146-153 (a p. 152 un cenno sulla raccolta «di commedie del XVIsecolo di assai difficile ritrovamento»); e la ‘voce’ dedicata alla sorella Antonietta Fagnani(1778-1847) da G. Fagioli Vercellone in Dizionario biografico degli Italiani, Roma, Istitutodella Enciclopedia Italiana, 1994, vol. 44, pp. 182-185, in part. p. 185. L’esemplare è legatocon le principes di Vaccaria, Anconitana, Fiorina; seguono B.P. Da Cagli, Gli ingiusti sdegni,Venezia, Domenico Farri, 1563; N[iccolò] S[ecchi], Gl’inganni, Firenze, Giunti, 1582; N. Sec-chi, Il Beffa, Parma, Eredi Viotti, 1584; G.B. Leoni, La conversione del peccatore a Dio, Vene-zia, De Franceschi, 1591; C. Scaliggeri dalla Fratta [A. Banchieri], La Catlina da Budri overoil furto amoroso, Bologna, Eredi Cochi, 1628.

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esemplari), Racc. Dram. 3410 (= M2)10 e 25.13.I.0022/01 (= M3)

11; Roma, Biblioteca del-l’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana, 92 K 20 5 (= R) 12. Freiburg, Univer-sitätsbibliothek, E 815 d (= F: KVK); London, British Library (due esemplari), 1071 c.63.(1.) (= L1: STC It. 594) 13; T 1853.(5.) (= L2: STC It. 594) 14; Philadelphia, University ofPennsylvania Library (= P: SHAABER 76; non risulta in STC It.-Usa); Rouen, BibliothèqueMunicipale (due esemplari), Mt p 9830 (= Ro1: CCF), Mt p 17705 (= Ro2: CCF) 15. In pos-sesso di privati o in vendita sul mercato antiquario (di questi esemplari non è stato pos-sibile ricostruire la storia recente): due esemplari segnalati in BRUNET IV 1473 (uno invendita a 4 franchi nel catalogo Soleinne [1843-1845] 16; l’altro legato all’edizione del1555 del Dialogo facetissimo e in vendita per 41 franchi a un’asta Silvestre del 1842 17);un esemplare in possesso di Alfred Mortier nel 1925 (MORTIER 1925: 262); un esempla-

10 Proveniente dalla collezione di Marco Antonio Corniali degli Algarotti (1768-1845), com-posta da circa settemila pezzi d’interesse teatrale e acquisita dalla Biblioteca Nazionale Brai-dense nel marzo 1891: cfr. G. BARETTA, Raccolta Drammatica, in ID., Tra i fondi della Biblio-teca Braidense, Milano, Sciardelli, 1993, pp. 92-94.11 Proveniente dalla biblioteca del cardinale Angelo Maria Durini (1725-1796) e legato conaltre principes ruzantiane (Due dialoghi, Tre Orationi, Vaccaria, Anconitana): cfr. Il fondo Car-dinal Durini alla Biblioteca Nazionale Braidense. Catalogo dei libri a stampa, a c. di A.R. Zano-bi e G. Valenti, Milano, Biblioteca Nazionale Braidense - Regione Lombardia, 2003, p. 389 n°2298 (con qualche trascuratezza nella descrizione delle stampe ruzantiane); la ‘voce’ di N.RAPONI in Dizionario biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1993,vol. 42, pp. 195-200, a p. 199; nonché L. ZUMKELLER, Un mecenate del ’700 e la BibliotecaNazionale Braidense: il Cardinale Angelo Maria Durini e la donazione della sua biblioteca all’i-stituzione culturale milanese, in «Il Bibliotecario» 26 1990, pp. 105-114; EAD., La bibliotecaDurini, in La Braidense. La cultura del libro e delle biblioteche nella società dell’immagine(mostra, 11 marzo - 4 aprile 1991), Publitalia ’80 - Artificio (Italia Grafiche, Campi Bisenzio[FI]), 1991, pp. 98-109; G. BARETTA, La biblioteca del Cardinal Durini, in ID., Tra i fondi dellaBiblioteca Braidense cit., pp. 31-34.12 Pressoché indenne da rifilatura come B, M1 e M2, R è legata con altre principes ruzantiane(Fiorina, Anconitana, Vaccaria, Tre Orationi, Due dialoghi; segue la Piovana nell’edizioneBonadio 1565). La serie ruzantiana è preceduta dalla Gioia di Giovanni da Pistoia (Venezia,Ciotti, 1586), dal Giudicio sopra la tragedia di Canace e Macareo (Venezia, s.n.t., 1566) e dallaCanace tragedia di M. Sperone Speroni nobile padovano (Venezia, s.n.t., 1566). Le stampe reca-no l’ex libris di Marco Lazzari che – come mi comunica la dott.ssa Ebe Antetomaso – risultapossessore di una cospicua quantità di testi teatrali attualmente custoditi dalla Biblioteca del-l’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana.13 Legato con 53 stampe popolari – tutte più tarde – acquisite dal British Museum il 16 apri-le 1847, L1 reca però a matita la data d’acquisizione 1 dicembre 1847 (successiva l’attuale lega-tura, restaurata nel gennaio 2002). Vista la data d’ingresso nelle collezioni del British Museumnon si può escludere che si tratti dell’esemplare segnalato da Brunet e in vendita nel catalogoteatrale Soleinne del 1843-1845 (vedi sotto).14 Proveniente dalla biblioteca di Giorgio III (vedi l’ex libris), donata al Department of Prin-ted Books del British Museum nel 1823 da Giorgio IV (cfr. P.R. HARRIS, A history of the Bri-tish Museum Library. 1753-1973, London, The British Library, 1998, pp. 31-32).15 Uno dei due esemplari custoditi a Rouen è segnalato già in MORTIER 1925: 262. Ro2 è attual-mente irreperibile: la bibliotecaria Catherine Hubbard mi comunica in data 8 gennaio 2008«que le Montbret p 17705 est mancant dans nos collections». Quanto a Ro1, va segnalato unpiccolo strappo al centro di c. e1.16 Esemplare registrato anche in GRAESSE VI 198.17 GRAESSE VI 198 registra invece un esemplare di M1554 legato all’edizione del 1555 del Dia-logo facetissimo e in vendita con questa a 14 franchi e 15 centesimi dal catalogo Soleinne.

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re in vendita nel 1953 per £ 35000 presso la Libreria Chiesa di Milano 18. Esemplari esaminati e collazionati: tutti tranne P (L1 assunto a base di collazione; F col-lazionato su microfilm 19; Ro1 su fotografie digitali).

1.1.2. Collazione e emendatio degli esemplari di M1551

La collazione rivela una sola variante di stato a c. b4v (I 55), dove L1 ha dauerin luogo del corretto daner di B, F, L2, M1, M2, M3, R, Ro1. Il refuso, dovuto alcapovolgimento di un carattere (n > u), fu corretto solo a stampa iniziata e ifogli già impressi vennero ugualmente impiegati per l’assemblaggio di un certonumero di esemplari 20. La correzione fu limitata all’esatto ricollocamento delcarattere capovolto, senza che l’intera forma venisse ricomposta: lo dimostranoi caratteri difettosi che si riscontrano nella stessa carta e nella stessa forma intutti gli esemplari esaminati (§ 1.1.3).Il testo di M1551 presenta un certo numero di lezioni erronee, elencate di ségui-to con la correzione proposta:

Pr. 8 disimi] disìme; Pr. 8 poltro] poltron; Pr. 9 cofi] così; Pr. 10 a no a sesse] a’ no sessé;Pr. 11 questia] questiè; Pr. 14 se n’he catò] se n’ha catò; Pr. 16 uni] una; Pr. 16 no sasente] no se sente; I 1 pnr an vera] pur an vera; I 1 sta femene] ste femene; I 21 ma pì]mè pì; I 24 al sang do Des] al sang de Des; I 41 fe in bruo] fé un bruò; I 44 graria] gra-tia; I 53 Ruzanto] Ruzante; I 56 rasa via] raso via; I 72 me ga meto] me ghe meto; II 2siegi] sè-gi; II 18 sare] sarà; II 23 e gin vuo fare] a’ gh’in’ vuo’ fare; II 37 era[.]o lozado]erano lozado; III 34 che che la sea ella] che la sea ella; III 36 an in spiero] a’ in’ spiero;III 72 pense 21] pensò; III 78 cresi] crezi; III 78 con fasea un can] con’ farae un can; III83] cha sa] che s’a’; III 85 tegnia] te tegnia; III 113 sue] suo’; III 125 e son] a’ son; III134 vo compare] vu compare; III 140 orare] ovrare; III 145 colà] colù; III 152 audon]andon; IV 8 tue figiuoli] tuo’ figiuoli; IV 14 e se ti nol se e se] e se ti no ’l se’, e sì; IV 20pi cho morire] pì ca morire; IV 59 e saì] a’ saì; V 4 sentireongi] sentiron-gi; V 9 darèamisi] darè a amisi; V 10 cognoscere] cognoscerì; V 10 chal sa ve] ch’a’ ’l se ve; V 24sogie] son-gie; V 32 comparo] compare; V 59 domende] domande

A parte refusi grossolani – dovuti in un certo numero di casi alla somiglianzatra caratteri diversi o alla loro errata sistemazione nella forma – per i quali

18 Cfr. Teatro italiano del Cinquecento, Milano - C.A. Chiesa Libri Antichi, s.d. (ma 1953secondo il catalogo SBN), p. 115, n° 220.19 Ringrazio la dott.ssa Anneliese Becherer della Biblioteca Universitaria di Friburgo, che haesaudito la mia richiesta di realizzare il microfilm.20 L’abitudine di introdurre correzioni a stampa iniziata è diffusa nella tipografia antica edescritta in alcune testimonianze coeve: basta qui il rimando a FAHY 1988: 155-168. Il caso diM1551 conferma comunque quanto osservato da HARRIS 2005: 510: «Sebbene sia quasi una cer-tezza che ogni edizione antica contenga qualche differenza, conscia o inconscia, generata men-tre il torchio era in operazione, si tratta di varianti la cui importanza però è stata un po’ esa-gerata, poiché esse consistono solitamente nella correzione di refusi, qualche volta in ritocchiformali, e solo eccezionalmente in modifiche apportate alla sostanza del testo».21 Primo dei due participi passati di pensare che compaiono nella battuta; in tutti gli esempla-ri esaminati la seconda e è capovolta.

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la correzione appare evidente, qualche altro caso merita di essere discusso 22:– Pr. 11 questia ! questiè: non conosco esempi pavani per questia (cfr. ancheLIZ e WENDRINER § 108); già l’edizione successiva alla princeps, M1554 [1555], stam-pa questie.– Pr. 14 se n’he catò ! se n’ha catò: insoddisfacente intendere he come è, poi-ché i verbi riflessivi sono costruiti con l’ausiliare avere, tant’è vero che l’edizio-ne Greco e le successive correggono he con hea ‘aveva’ probabilmente perinfluenza dell’imperfetto precedente poea. L’imperfetto non sembra tuttaviaadatto al contesto, e non è oneroso supporre un errore di stampa che abbiaprodotto he in luogo di ha (tenendo conto, per di più, di quanto osservato nellaseconda parte di nota 22).– I 24 al sang do Des ! al sang de Des: cfr. al sango de Des di I 63; un’even-tuale preposizione articolata do ‘del’ è non solo contestualmente poco sosteni-bile (“al sangue del Dio”?), ma anche ignota al bergamasco, dove le formegrammaticalizzate sono esclusivamente ol e dol (si veda da ultimo la documen-tata e acuta ricostruzione di BERTOLETTI 2004, in part. pp. 15, 16 e nota 18 esoprattutto 27 nota 43 dove si corregge do Dio erroneamente a testo in uno deisonetti pavani di Sommariva nell’edizione di MILANI 68).– I 41 fe in bruo ! fé un bruò: la traduzione «fatela in brodo» di Zorzi pre-suppone un clitico assente nel testo; quella «fate in brodo» di Lovarini, più let-terale, non ha un significato accettabile. Si corregge di conseguenza.– I 56 rasa via ! raso via: nella registrazione di Boerio e in alcuni esempi anti-chi raccolti nel commento l’espressione avverbiale è sempre raso o a raso ‘rasen-te’. Probabilmente rasa si deve ad attrazione del femminile berretta (subito pre-cedente) e forse anche al successivo via.

22 Tutti gli errori della princeps elencati sono esclusi dai prospetti di collazione, che assumonocome base il testo critico. Elenco a parte gli errori già corretti nelle edizioni successive a M1551:Pr. 9 cofì (così a partire da M1554 [1555]), Pr. 11 questia (questie a partire da M1554 [1555]), Pr. 16 uni(una a partire da M1598), I 1 pnr an (pur an a partire da M1554 [1555]), I 1 sta femene (ste femene apartire da M1554 [1555]), I 21 ma pì (mè pì a partire da M1565), I 44 graria (gratia a partire da M1554

[1555]), III 1 me pigiò (m’ha pigiò a partire da M1584), III 34 che che la sea (chi che la sea a partireda M1554 [1555]), III 72 pense con seconda e capovolta (pensò a partire da M1554 [1555]), III 78 cresi(crezi a partire da M1584), III 78 fasea (farae a partire da M1584), III 83 cha sa (che s’a a partire daM1584), III 113 sue (suo a partire da M1561, suoi in M1565), III 134 vo (vu a partire da M1554 [1555]),III 140 orare (lorare a partire da M1598), III 152 audon (andon a partire da M1554 [1555], andom apartire da M1584), IV 8 tue figiuoli (tuo figiuoli a partire da M

1598), V 4 sentireongi (sentirongi a

partire da M1584), V 10 cognoscere (cognoscerì a partire da M1584), V 32 comparo (compare a par-tire da M1554 [1555]), V 59 domende (domande a partire da M1554 [1555], domando a partire da M1584).Aggiungo qui che «nh è un soldò» che si legge in tutti gli esemplari di M1551 (I 54) è solo appa-rentemente un refuso: non occorre correggere, come parrebbe a tutta prima necessario, in «noè un soldò» e nell’edizione si è dunque trascritto senza altro avvertimento «n’è un soldò».Nella princeps rimangono altre tracce di un analogo uso grafico della h (derivante forse dal-l’antigrafo o eventualmente introdotto dal compositore): «i nhi fa» («i n’i fa» I 1), «n’he peragnon» («n’è per agnon» IV 51), «n’he peccò» («n’è peccò» V 14), «n’he la prima» («n’è laprima» V 44): da notare che in quattro casi su cinque la h precede immediatamente la voce diterza persona del verbo essere, fatto che potrebbe far sospettare un’analogia con quanto acca-de per la voce di terza persona del verbo avere (su ha potrebbe essere insomma rifatto he).

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– II 2 siegi ! sè-gi: la forma dittongata siè ‘so’ non è confortata da altri esem-pi nel CORPUS PAVANO (soltanto siè ‘sai’ in uno dei sonetti ferraresi: cfr. MILA-NI 169 n° 30 v. 12); sè ‘so’ è accanto a so la forma altrimenti esclusiva nel testodella Moschetta sia con l’enclitico (sè-gi I 1, I 58) sia senza (Pr. 11, I 1, I 4, II 2,II 5, II 9, II 11, II 23 bis, II 30, III 21, III 62, III 82, V 5).– II 18 sare ! sarà: mancano esempi di sarè per la terza persona del futuro delverbo essere (CORPUS PAVANO, LP s.v. essere, WENDRINER § 129); meno plausi-bile la correzione con il condizionale sarae, dato che a II 41 la stessa espressio-ne ricorre con il futuro («no te serè segura inchina drio l’altaro»).– II 23 e gin vuo fare ! a’ gh’in’ vuo’ fare: qui, a III 125 e a IV 59 si è correttoe della stampa con a’. Difficile credere che a fronte di 915 occorrenze sicure dia’ sopravvivano nelle parti pavane della Moschetta tre esempi isolati del clitico e’(< eo), che a IV 59 dovrebbe essere pronome di quinta persona 23. Si aggiungache e’ ‘io’ appare quasi totalmente soppiantato da a’ già in testi pavani primo-cinquecenteschi (BOCCHI 2004: 106-107 e nota 16), mentre non è del tutto daescludere che la forma possa essere ricondotta a un compositore veneziano 24.– II 37 era[.]o lozado ! erano lozado: la lettera [.], illeggibile su tutti gli esem-plari di M1551 esaminati, è la prima di c. c4v. Sono plausibili varie ipotesi: che sitratti, per erronea ripetizione dell’ultima lettera della carta precedente, di unaa non riconoscibile per via dell’eccessiva inchiostratura (evidente in vari puntidel margine sinistro); oppure di una n rovesciata e spezzata, quindi coperta dal-l’inchiostro. Quel che pare certo è che non dovesse trattarsi di una d, anche sel’apparente somiglianza con questa lettera e l’influenza del successivo lozadodeterminarono l’indebita restituzione erado, che da M1554 [1555] in poi fa testo nellatradizione a stampa della Moschetta. È preferibile erano, da restaurare in forzadelle forme verbali in -no che caratterizzano le battute moschette di Ruzante(voleno e stagano II 25, pareno II 27, degnano e volono II 31, erano, guardano emancano II 37, daranos II 37 in cui alla desinenza -no s’aggiunge -s iperspa-gnoleggiante, vegnirano II 39).

23 La correzione di e in a’ nella battuta III 125 è anche nelle edizioni successive a M1584.24 Vanno segnalati altri quattro contesti ambigui, per i quali si è scelta qui, seppure con più diun dubbio, una divisione delle parole che consentisse di evitare e’: I 1 («se catto», che sipotrebbe stampare anche «s’e’ catto»), IV 10 («se poesse vegnire», che si potrebbe stampareanche «s’e’ poesse vegnire»), IV 48 («No, el vuò mazzare mi», che si potrebbe stampare anche«No, e’ ’l vuò mazzare mi»), e V 61 («El catesse, almanco», che si potrebbe stampare anche«E’ ’l catesse, almanco»). In una fase storica in cui la serie dei clitici soggetto tende a stabiliz-zarsi e a estendersi con poche eccezioni a tutti i contesti (VANELLI 1987 [1998]), casi comequesti vanno osservati con una certa cautela (tanto che sarebbe forte la tentazione di correg-gere introducendo a’, seguendo talvolta le edizioni più tarde). In IV 48, che le edizioni Perine Amadio (M1598 e M1617) correggeranno in «a’ ’l vuò mazzar», il no iniziale, alla periferia sini-stra della frase, può occupare il ‘nodo’ TOP altrimenti destinato ad a’ (cfr. in generaleBENINCÀ 1983 [1994]); in V 61 la lezione el avrebbe buone ragioni di sussistere, visto che incontesto ottativo il pronome soggetto clitico non compare mai a inizio di frase, ma tutt’al piùencliticizzato al verbo; analogamente anche in IV 10 la sfumatura ottativa potrebbe giustifica-re l’assenza del soggetto in posizione preverbale (a IV 10 si lega anche l’esempio di I 1, quel-lo meno giustificabile, dove si ritrova però se in posizione iniziale).

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nota al testo

– III 1 chi me pigiò ! chi m’ha pigiò: pigiò è indifendibile come passato remo-to (ci si aspetterebbe pigiè: vd. WENDRINER § 122). Si stampa qui secondo lacorrezione già nelle edizioni antiche da M1584 in poi.– III 78 cresi ! crezi: non conosco altri esempi di cresi (ipoteticamente alli-neabile alla serie ricavata da disi: cfr. nota a I 54); crezi, con z < DJ (*CREDEO >*CREDJO) è forma diffusa (qui anche a III 134 e IV 38) ristabilita a testo anchedalle edizioni antiche da M1584 in poi.– III 78 con fasea un can ! con’ farae un can: insostenibile la lezione fasea, chedipenderà dal precedente andasea. Un altro esempio di «con’ farae un can»dalla Betìa è riportato nel commento. Si consideri inoltre che la formula dicomparazione con’ + voce del verbo fare ammette solo il presente (con’ fa), ilpassato remoto (nel tipo pì che no fè e simili: vedi qui III 36) o il condizionale(con’ farae): cfr. MILANI 1970 (2000): 80-82. La correzione è adottata già dalleedizioni antiche da M1584 in poi.– III 125 e son mi ! a’ son mi: cfr. la discussione relativa a II 23. – III 134 vo compare ! vu compare: la forma vo per il pronome tonico di quin-ta persona non è documentata nel CORPUS PAVANO né nei testi pavani più tardiche ho potuto spogliare 25.– III 140 orare ! ovrare: stante l’inaccettabilità di orare (non documentato inCORPUS PAVANO), la correzione proposta è la meno onerosa, ma è possibile,almeno in linea teorica, che l’originale avesse laorare (lorare è correzione a testonelle edizioni M1598 e M1617)

26.– III 145 tat tat ch’a’ ’m levi da colà ! tat tat ch’a’ ’m levi da colù: colà avver-bio di luogo è forma estranea sia al bergamasco sia ai dialetti veneti. La tradu-zione «basta che mi tolga da quello là» (Ruzante), adottata da ZORZI 645 eprima da LOVARINI 52, sottintende la correzione più semplice, quella di colà incolù. ZORZI 1415 propone di intendere in alternativa «‘se appena riesco a levar-mi di colà’, riesco cioè a far ritorno dal campo»; ma la proposta urta con colà,che sarebbe del resto macchinoso tentare di giustificare come tocco ‘moschet-to’ con il quale Tonin intenda presentarsi come uomo di mondo.– IV 59 e sai ! a’ saì: cfr. la discussione relativa a II 23.

25 Altra cosa sono, evidentemente, le forme enclitiche to e (v)o testimoniate soprattutto negliautori postruzantiani: ad es. in MAGAGNÒ Rime II trovo serèto 11v, vuoto 15r 48v 49v, ìo ‘avetevoi’ 18r, pinsito 20v, crito 28v, hetto 41v, setto 43r 69r, ieto 44v 48v, farìvo 44v, vito 49v, sito50r, voto 52v, vieto 53r, strazito 53v, seto 69v; CALDERARI vuoto 14r, saìo 87v tre volte, setto89v, puosto 94v; MARCHESINI fetto 65, 69, 70, diristo 66, ìo 68, volìo 68, ditto 69, torìo 80, verìo88; TUOGNO ZAMBON sito 14, aldito 20 80, vito 20 88, seto 23 26 34 46 58 81 97 106, voreto35, dito 44 71 80, ditto 45, eto 47, gheto 58, voto 77 105, crito 103, BUGONARO 7 volìo.26 Non vale l’esempio di orar apparentemente deducibile dall’edizione Zorzi in Piovana 937«che a’ no fassàn con fè quigi, ch’in lo orar de le arme, i se dasea un con l’altro» perché la prin-ceps stampa ovrar (cfr. Piovana comedia, overo noella del tasco di Ruzante, Venezia, Giolito,1548, c. 21r [British Library 11715 a 57]). La riduzione del gruppo PR alla sola vibrante nonha appoggi, se si esclude quello parziale – perché riguardante BR – e circoscritto offerto daotore ‘ottobre’ (TOMASIN 2004: 136-137 § 40), anche nel pavano di GIANCARLI Zingana 281[182] e di testi tardocinquecenteschi (vedi la nota della Lazzerini al luogo giancarliano).

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nota al testo

– V 4 sentireongi ! sentiron-gi: la desinenza -reon non ha altra documentazio-ne: non è improbabile che l’errore sia stato sollecitato da seon della battuta suc-cessiva; la forma corretta nelle edizioni da M1584 in poi.– V 10 cognosere ! cognoserì: cognoseré non è accettabile per il futuro di quin-ta persona, che presenta sempre nel testo la desinenza -rì in conseguenza del-l’esito metafonetico del morfema -ETIS: trattandosi di esito tipicamente pado-vano, non è escluso che nell’isolato cognoseré della princeps vada individuato unvenezianismo imputabile alla tipografia. La forma corretta nelle edizioni daM1584 in poi 27.

1.1.3. Esame dei caratteri

L’esame dei caratteri assicura che tutti gli esemplari di M1551 scrutinati sono statirealizzati sulle stesse forme, e sono dunque materialmente identici salvo chenella correzione del refuso a c. b4v (§ 1.1.2). Segue un elenco di caratteri difet-tosi riscontrabili in tutti gli esemplari esaminati 28:

c. a1r: MOSCHETTA (frontespizio) ha la S con una macchia in basso a destra e la E con l’a-sta superiore incrinata; Privilegio (frontespizio) ha la g con una spezzatura nella partesuperiore; c. a2r: dighe (Pr. § 1) ha la i spezzata; c. a3r: eccessiva inchiostratura sul mar-gine destro; c. a3v: continti (Pr. § 16) della prima riga ha la prima t con asta orizzontaleevanescente; c. a4r: desgratiò (I 1) ha la g con l’occhiello inferiore evanescente; c. b1r:solea (I 7) ha la l spezzata nella parte inferiore; vago (I 7) ha la o incrinata nella parte infe-riore; c. b2r: aldì (I 23) ha la A con l’asta sinistra spezzata; sconforto (I 23) ha la f spez-zata nella curva superiore; l’è ben (I 23) ha la l spezzata; de quigi (I 23) ha la d con l’oc-chiello spezzato; c. b3r: per Dè (I 24, prima volta) ha la D con la curva spezzata; c. b3v:sti santi (I 31) ha il legamento st danneggiato; da braz (I 38) ha la d con l’asta spezzata;c. b4r: zo que toco (I 51) ha l’occhiello della q deformato; c. b4v: esser valent’omo (I 54,prima volta) ha la seconda s spezzata nella parte centrale; m’arecordo (I 54) ha la m dan-neggiata nella parte superiore; c. c1r: foesse cattivo (I 60) ha la f spezzata nella curvasuperiore; romagnir (I 60) ha la g con l’occhiello inferiore evanescente; c. c1v: nelle ulti-me quattro righe (in corrispondenza delle battute II 2-3) la porzione di testo sotto l’ini-ziale parlante non è ben allineata alla parte restante (è superiore); c. c2r: stinè (II 6) ha illegamento st spezzato; c. c3v (II 23): ch’el m’ha squaso ha la prima h spezzata nella curva;c. c4r: cognosso za (II 34) ha il gruppo ss con le due lettere difformi (la seconda più alta

27 Le altre forme di futuro indicativo di quinta persona presenti nel testo della Moschetta sono:verì Pr. 14 bis, Pr. 18, III 24, arì Pr. 16, II 19, III 15, III 21, farì Pr. 16, asegierì I 68, zaperì I68, sarì II 11, saverì II 17, III 72, saerì II 19, stramezarì IV 56, andarì IV 59. Per l’esito metafo-netico di -ETIS in padovano cfr. TOMASIN 2004: 101 e nota 54 anche per l’opposizione al vene-ziano, dove forme in -é sono presenti fin dalla fase più antica (cfr. ad es. saré ‘sarete’ in STUS-SI 1965: XXXVI).28 Si è prestata attenzione soprattutto ai caratteri incrinati o spezzati, ma anche a quelli maleinchiostrati che fossero chiaramente visibili sugli esemplari esaminati autopticamente; pochevolte vengono segnalati evidenti difetti dell’impressione che apparentano in maniera altret-tanto chiara gli esemplari (eccesso di inchiostratura negli stessi punti, spostamento di righecausato dal colpo del torchio). Si fornisce almeno un esempio per ogni forma del libro.

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nota al testo

e con la parte curva meno pronunciata); c. c4v: po (II 40) ha l’asta della p spezzata nellaparte inferiore; c. d1r: ch’a’ trepo (III 3) ha la c spezzata; c. d1v: me veza (III 8) ha la mcon la terza asta spezzata; compia (III 8) ha la a più bassa del resto della parola; c. d3v:Que che (III 51) ha la u spezzata nella parte curva; de fastibio (III 62) ha la d con l’astaverticale spezzata; c. d4r: mogiere (III 68) ha la seconda e con l’occhiello aperto; ancheel saore (III 69) ha la h con la parte curva male inchiostrata; c. d4v: sberteze (III 75) hala b con l’asta rovinata nella parte bassa; c. e1r: denanzo (III 89) ha la e con l’occhielloaperto; messier (III 90) ha la prima e con la curva inferiore tronca; c. e1v: vel dirae (III96) ha la l incrinata; degogie (III 98) ha la prima g con l’occhiello inferiore danneggiato;c. e2r: nella didascalia RUZZANTE (III 98/III 99) ha la E con la parte superiore schiaccia-ta; c. e3r: mitè (III 131) ha la prima asta della m schiacciata; c. e4r: cattivo (III 149) ha lac tronca nella parte superiore; c. f2r: barelle (IV 14) ha la r tronca nella parte inferiore;c. f2v: megiolaro (IV 26) ha la g con l’occhiello inferiore danneggiato; scarpi (IV 29) hala r quasi completamente evanida per cattiva inchiostratura; c. f3r: son chialò (IV 43) hala prima o danneggiata nella parte destra; c. f4r: la C ‘parlante’ (quella di compare V 1)ha la cornice inferiore spezzata; fuossi (V 5) ha la u con l’asta destra tronca nella partesuperiore; c. f4v: a sta man (V 16) ha la m spezzata nella parte superiore; drio (V 25) hala d spezzata; c. g1r: alla femena (V 29) ha la f incrinata nella curva superiore; ampò (V37) ha la m danneggiata nella parte inferiore; butarme (V 39) ha la t quasi evanescenteper cattiva inchiostratura; c. g1v: adesso (V 42) ha la d con l’occhiello quasi evanescente;c. g2v: usso frello (V 55) ha la prima o spezzata nella parte superiore; da mattina (V 57)ha la d con l’occhiello spezzato; c. g3r: m’arae (V 66) ha la curva d’unione tra prima eseconda asta della m quasi evanescente.

1.2. Venezia, Alessi, 1554 [1555] (M1554 [1555])

1.2.1. Descrizione

c. a1r: MOSCHETTA | COMEDIA DEL | FAMOSISSIMO | RUZZANTE, | nuova-mente venuta in luce. | Con gratia, & privilegio. | In Venetia, appresso Stephano de Ales-si, alla Libra- | ria del Cavaletto, in calle della bissa, al Fon- | tego de i Todeschi. 1554[1555] 29.Colofone: In Venetia appresso Stephano di Alessi alla Libra | ria del Cavalletto, al Fon-tego de i To= | deschi, in Calle della Bissa.Formula collazionale: 8°; A-G4; 56 pp.Contenuto: A1r: titolo. A1v: INTERLOCUTORI. A2r: PROLOGO. A4r: ATTOPRIMO. C1v: ATTO SECONDO. D1r: ATTO TERZO. E4v: ATTO QUARTO. F4r:ATTO QUINTO. G4r: IL FINE. G4v: bianco.Titolo corrente: PROLOGO; ATTO | [PRIMO] [SECONDO] [TERZO] [QUARTO][QUINTO]Richiami: A2r: el nostro A2v: re qual A3r: a me A4r: a son A4v: bianto B1r: menestraB1v: fage B2r: dir B2v: e in B3r: U.U. B3v: To. B4r: an ello. B4v: rae. C1r: Basta. C1v:

29 Sulle ragioni della doppia data vedi le considerazioni svolte appresso. L’edizione è registra-ta in RHODES 1988 (1991): 157 in due entrate: n° 20 (data 1554) e n° 25 (data 1555); la primaè attribuita all’officina tipografica di Vincenzo Valgrisi, mentre sulla seconda Rhodes non sipronuncia non avendo potuto vederla (trattandosi di un’emissione anch’essa andrà comunquericondotta a Valgrisi).

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nota al testo

intendivu C2r: Ru. C2v: dit in C3r: la C3v: cresse C4r: do alozado C4v: ATTO D1r: nal-tra D1v: Ru. D2r: the D2v: Ru. D3r: To. D3v: le scaltrio D4r: bone D4v: A no E1r: MoE1v: crepere E2r: A ghe E2v: Me. E3r: zi che E3v: no E4r: Atto E4v: Le forza F1r: situF1v: te F2r: sora F2v: Tem F3r: Que F4r: longo F4v: tire G1r: Aldi G1v: che G2r: vesin,G2v: Si, G3r: stra G3v: MoTipi: Corsivo di Colonia 82. Iniziali parlanti: A2r E (vecchio in ginocchio davanti a unapira: non sono in grado di identificare la figura); A4r P (come quella di M1551: letto di Pro-custe); C1v e D1r: M (Mosè riceve le tavole dei comandamenti); E4v: B (la Torre diBabele in costruzione); F4r: C (Caino uccide Abele).Carta: alle cc. A3, A4, D3, D4, E3, E4 dell’esemplare di Casa Goldoni [1554] e alle cc.C3, C4, E3, E4 dell’esemplare londinese [1555] filigrana probabilmente identica a quel-la di M1551. [1554] Esemplari noti: Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Palat. 12.5.2.46III (catalo-go a schede del Fondo Palatino); Padova, Biblioteca del Seminario Maggiore; Roma,Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II (catalogo in linea); Torino, Bibliote-ca centrale della Facoltà di lettere e filosofia dell’Università degli studi di Torino; Vene-zia, Biblioteca Nazionale Marciana, Dramm. 3069.4 (MAGLIANI 1999: 114 n° 11) 30,Dramm. 288.6 (MAGLIANI 1999: 114 n° 11), Dramm. 489.3 (MAGLIANI 1999: 114 n° 11);Venezia, Biblioteca dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti 31; Venezia, Bibliotecadi Casa Goldoni; Vicenza, Biblioteca Civica Bertoliana, RN.3.g.14 (catalogo inlinea). Berkley, Bancroft Library (MELVYL); Cambridge, Cambridge University Library(ADAMS II 166 n° 977); Chicago, Joseph Regenstein Library of the University of Chica-go 32; Rouen, Bibliothèque Municipale (CCF). In possesso di privati o in vendita sul mer-cato antiquario: un esemplare segnalato da BRUNET IV 1473 legato all’edizione del 1555della Vaccaria e all’edizione 1557 della Fiorina in vendita dal catalogo Soleinne per 51franchi; un esemplare segnalato da GRAESSE VI 198 (cfr. nota 17).Esemplari esaminati: Venezia, Biblioteca di Casa Goldoni, 41.F.62 (legata con altre operedi Ruzante con ex libris di Cesare Musatti per cui cfr. CALMO Saltuzza 218 nota 14).[1555] Esemplari noti: Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, 70 A 18.6 33;Bergamo, Biblioteca mons. Giacomo Radini Tedeschi, Fondo del Clero di S. Alessandroin Colonna; Bologna, Biblioteca Universitaria (catalogo a schede); Firenze, Bibliotecadella Fondazione Ezio Franceschini; Lucca, Biblioteca Statale, E.VI.c.11 (catalogo aschede) 34; Padova, Biblioteca Civica, B.P. 2251/X (MORTIER 1925: 263 e MAGLIANI 1999:117 n° 15); Roma, Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II; Vicenza, Biblio-teca Civica Bertoliana, RN.3.g.14 (MAGLIANI 1999: 117 n° 15). Chicago, Chicago Uni-

30 Proveniente dalla biblioteca di Apostolo Zeno, il cui catalogo (mss. Marc. It. XI 288-293)registra l’edizione al vol. II, c. [50]r, col. b: ringrazio Carlo Alberto Girotto per la segnalazio-ne (e per quelle sullo stesso argomento qui nelle note ai §§ 1.5.1 e 1.6.1).31 Edizioni del Cinquecento possedute dall’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. Catalogobreve, a c. di C. Griffante, Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 1989, p. 134 n°239 (segnatura II 2 H 15/3).32 BREGOLI RUSSO 1984: 156 n° 536.33 Cfr. Edizioni del Cinquecento, catalogo a c. di R. Del Sal (= «Bollettino del Museo Civico diBassano» I-II 1986), n° 1078.34 Legato con l’Anconitana (Alessi, 1555), la Vaccaria (Alessi, 1555) e la Fiorina (Alessi, 1557).Tutti gli esemplari, in ottimo stato di conservazione, sono pressoché indenni da rifilatura.Rispetto alla campionatura di caratteri difettosi che segue, l’esemplare lucchese mostra sì glistessi difetti, ma in più di un caso essi sono meno evidenti: si tratterà probabilmente di unacopia passata sotto il torchio ben prima delle altre due esaminate autopticamente.

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nota al testo

versity Library (STC It.-Usa, II 93) 35; Göttingen, Göttingen Universitätsbibliothek (IA, IV10); London, British Library (STC It. 594); Los Angeles, California State Library(MELVYL); Minneapolis, University of Minnesota Library (STC It.-Usa, II 93) 36; Wien,Österreichische Nationalbibliothek (IA, IV 10).Esemplari esaminati: Bologna, Biblioteca Universitaria, A V Caps. 267.1 (legata con altreopere di Ruzante, tra le quali una stampa di R1554 [1555]: cfr. § 4.2); London, British Library,638 C.22.(1) (su cui è stata condotta la collazione); Lucca, Biblioteca Statale, E.VI.c.11.

1.2.2. Collazione del testo critico con M1554 [1555]

Pr. 1 se i gi ha da fare] e se i ge ha da fare; Pr. 14 bregamasco] bergamasco; Pr. 16 silien-tio] silentio; Pr. 16 abiam] abbiam; Pr. 17 ch’a’ possan] che possan; Pr. 17 no me fardare] no far dare; Pr. 18 vorae] vorrae; I 1 co’ un mena] co uno mena; I 1 acordarissi]accordarissi; I 23 in la scuella] in scuella; I 23 l’è puoco] la puoco; I 24 in camp] incampo; I 30 buò] bo; I 30 aseng] asegn; I 42 meneref] menaref; I 44 graria] gratia; I 44Domnedè] Domenede; I 54 g’uomeni] gi huomeni; I 60 mè pensò] ma penso; I 64 perque] par que; II 6 la me è sentà] la mi è senta; II 12 fatta] fatto; II 19 saerì] sarei; II 22pur el gran frison] per el gran frison; II 22 l’andarà via] l’andera via; II 23 guagneriè-gi]guagnereigi; II 26 no ch’a’ no ve cognosso] no ve cognosso; III 4 te mieriti] ti mieriti; III7 Betia] Bettia; III 8 misericuordia (prima volta)] misericordia; III 22 serè] seee; III 23cristian] cbristian; III 24 pur ficà] pue fica; III 24 frufante] furfante; III 24 monestiero]monistiero; III 24 ch’a’ sarè sempre mè] che sare sempre me; III 25 on] hom; III 30 son]ston; III 33 de quel soldà] del solda; III 35 puoco] poco; III 36 ch’a’ no ghe vaghe] cheno ge vage; III 51 ma ’l besogna] ma el besogna; III 57 a’ ’l besogna] a besogna; III 63tuò mo’ su] tuo su; III 68 sutile] suttile; III 72 arae] haere; III 83 te duormi] tu duormi;III 87 te dîvi] ti divi; III 94 dare] dar; III 98 patar nuostro] pater nuostro; III 114 rico]ricco; III 125 a’ saì] e saì; III 127 on] hom; III 134 on da ben] hom da ben; III 134 coun frare, o co la compagnia] con un frare, o con la compagnia; III 142 amazzò] amazò;III 143 on da ben] hom da ben; III 144 mercè de] mercede de; III 145 colù] colà; III148 abia] habbia; IV 1 feridi] fridi; IV 1 no ’m voi] non voi; IV 12 scorozzò (secondavolta)] scorozo; IV 12 mè sì, a’ no] me si a, a no; IV 14 n’ha mè portò] u’ha me porto;IV 17 aspetterè] aspettare; IV 20 dar] dare; IV 44 bregamasco] bergamascho; IV 51agnon] agnom; V 2 andon] andom; V 5 pur an’ scuro] pur a scuro; V 9 nemisi] nemesi;V 9 metta] meta; V 38 co’ a’ fé vu] a fe vu; V 39 saì-vu] saiu; V 55 questa è pur la schio-na] questa e la so schiona; V 55 sbato (seconda volta)] sbatto; V 66 urtanto] urtando.

La formula M1554 [1555] indica che gli esemplari dell’edizione si dividono in duegruppi: il primo ha sul frontespizio la data 1554, il secondo la data 1555: que-st’ultimo gruppo costituisce un’emissione contemporanea 37. Gli esemplari col-

35 Con la nota (che non mi è ben chiara): «dated 1554».36 Con la specificazione, certamente erronea, che si tratterebbe di un’edizione in-4°.37 BARBIERI 2006: 119 (in opposizione all’emissione non contemporanea o rinfrescatura): «sitratta di un’unica tiratura, avvenuta di solito nella seconda metà di un dato anno, su una partedella quale veniva stampata la data dell’anno successivo, onde poterla commercializzaremeglio nei mesi seguenti. Anche se si tratta (tecnicamente) di una semplice variante di stato,la volontà di circoscrivere due sottoinsiemi (l’uno da vendere subito, l’altro da immagazzina-re) è esplicita, così da poter anche qui applicare il concetto di emissione» (BARBIERI 2006: 121-122). Nel caso di M1554 [1555] l’esistenza di un’emissione è stata notata – sulla base dell’identica

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lazionati concordano nelle varianti e negli errori rispetto a M1551; fortementecongiuntivi appaiono poi gli errori paratestuali che coinvolgono la numerazio-ne delle pagine e le parole-guida 38. Un argomento definitivo è offerto dall’esa-me dei caratteri che presentano gli stessi difetti negli stessi punti delle due edi-zioni. Eccone una campionatura 39:

c. a1r: Fontego ha la g con entrambi gli occhielli danneggiati; c. a2r: Dio sa (Pr. 2) ha laD danneggiata nell’angolo superiore sinistro; c. a4r: per vegnir (I 1) ha l’occhiello infe-riore della g spezzato; c. b1r: cesto nella didascalia che introduce Betìa ha la e maleinchiostrata e quasi evanescente; c. b2r: posta (I 22) ha il legamento st spezzato; c. b3v:A no so (I 42) ha la s con il tratto inferiore spezzato; c. b4v: adesso (I 56) ha la e legger-mente rialzata rispetto alla a e alla d; c. c1r: m’è deviso (I 60) ha la m danneggiata; c. c3r:so tagier (II 21) ha la s con il tratto superiore spezzato; c. c4r: sono (II 33, seconda volta)ha la s molto inchiostrata e con il tratto danneggiato sia nella parte inferiore che nellaparte superiore (tanto che appare quasi come una lineetta diagonale senza estremi arro-tondati); c. d1v: bella (III 3, ultima volta) ha la e troppo inchiostrata e mal leggibile; c.d2v: Bettia (III 24) ha la B male inchiostrata; c. d3r: le righe quinta e sesta della battutaIII 36 sono mal inchiostrate (fatto evidente nei segmenti poltron, far el fatto); c. d4v:vegno (III 77) ha l’occhiello inferiore della g spezzato; c. e1v: no me partirè (III 98) ha lam con l’asta destra incrinata; c. e3r: fantasia de femene (III 134) ha la n di fantasia con iltratto verticale male inchiostrato ed evanescente nella parte inferiore; c. e3v: aldi? A’sento (III 134) ha la d con la curva inferiore danneggiata; c. e4r: Dio (III 144) ha la Ddanneggiata nell’angolo superiore sinistro; c. e4v: Bettia (IV 1) ha la B maiuscola dimodulo visibilmente più piccolo; c. f1r: spassezanto (IV 2) ha la prima s con il tratto infe-riore spezzato; c. f1v: mà (IV 9) ha la m con la seconda curva schiacciata o mancante; c.f2r: tutta la carta mostra sul margine esterno i segni di una inchiostratura eccessiva; c.f2v: pedoch (IV 31) ha la d male inchiostrata; c. f3r: chel vuole (IV 50) ha la l di chel spez-

impronta – dal catalogo on-line dell’Edit16; impronta ed errori nella numerazione delle cartesono segnalati come prova che M1555 sia un’emissione già in MAGLIANI 1999: 117 n° 15. AncheRHODES 1988 (1991): 150 nota 1 rileva che quelle di Alessi «non sono tutte edizioni nuove:spesso si tratta di una semplice ristampa, dove l’unica differenza è la data», ma non precisameglio questa affermazione. Per provare il rapporto di emissione ci si è affidati qui anche all’e-same dei caratteri, che offre un elemento più sicuro dell’impronta (sulle insufficienze di que-st’ultima cfr. BARBIERI 2006: 175-178 e prima E. GARAVELLI, Appunti sull’«impronta»: catenedi edizioni, riproduzioni facsimilari, apografi, in «Aevum» LXX 1996, pp. 625-636).38 In tutti gli esemplari di M1554 [1555] esaminati (Biblioteca Universitaria di Torino [riproduzio-ne in formato pdf all’indirizzo http://hal9000.cisi.unito.it/ wf.BIBLIOTECH/ Umani-stica/Biblioteca2/Libri-anti1/index.asp] e Biblioteca di Casa Goldoni [datati 1554]; BritishLibrary, Biblioteca Statale di Lucca e Biblioteca Universitaria di Bologna [datati 1555]) alposto del numero di pagina 27 si trova erroneamente 25 e al posto del numero di pagina 33 sitrova erroneamente 35; a c. d4r la parola-guida è bone, mentre il testo di c. d4v inizia conbuone. Di notevole interesse l’osservazione di DE MARTIN 2003/2004: 9 sugli errori di nume-razione di pagina che accomunano le due edizioni 1554 e 1555 dell’Anconitana (si tratteràdunque con ogni verosimiglianza, anche qui, di un’emissione).39 Minor valore congiuntivo hanno le iniziali ‘parlanti’, trattandosi in genere di un numero piùlimitato di pezzi. Va segnalato comunque che a c. a2r la E ha in tutti gli esemplari esaminati lacornice danneggiata nella parte superiore; a cc. a8r e d1r la P ha la cornice danneggiata nelleparti sinistra, superiore e inferiore; a c. c1v la M ha la cornice danneggiata nelle parti supe-riore e inferiore; a c. e4v la B è danneggiata nella parte inferiore della cornice; a c. f4r la C hala cornice danneggiata nelle parti superiore e inferiore.

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zata nella parte inferiore; c. f4r: pensé (V 4) ha la n mal inchiostrata e quasi evanescente;c. f4v: laghéve (V 10) ha la g con l’occhiello inferiore spezzato; c. g1v: volì vu (V 47) hala u male inchiostrata e quasi evanescente; c. g2r: qualchun l’arà catto (V 53) ha le lette-re al di qual = chun con inclinazione visibilmente diversa rispetto al resto della riga; c.g3r: fra(n)to (V 66) ha la r evanescente o mutila nella parte inferiore; c. g3v: fradiegi (V76) ha la a spezzata nella parte curva.

1.3. Venezia, Farri, 1561 (M1561)

1.3.1. Descrizione

c. a1r: MOSCHETTA | COMEDIA | DEL FAMOSISSIMO | RUZZANTE, | Non menopiacevole che ridicolosa. | CON GRATIA ET PRIVILEGIO. | IN VINEGIA, APPRES-SO | DOMINICO DE FARRI. | M. D. LXI. Colofone: IN VENETIA APPRESSO | DOMINICO DE FARRI 40. | M. D. LXI.Formula collazionale: 8°; A-G4; [2] 3-56 pp.Contenuto: A1r: titolo; A1v: INTERLOCUTORI; A2r: PROLOGO; A4r: ATTOPRIMO; C1v: ATTO SECONDO; D1r: ATTO TERZO; D4v: ATTO QUARTO; F4r:ATTO QUINTO; G4v: IL FINE.Titolo corrente: PROLOGO; ATTO | [PRIMO] [SECONDO] [TERZO] [QUARTO][QUINTO]Richiami: A2r: no A2v: re A3r: to A4r: a son A4v: bianto B1r: menestra. B1v: fage, B2r:dir B2v: e in B3r: V.V. B3v: To. B4r: an ello. B4v: rae C1r: Basta C1v: intendivu C2r: RuC2v: m’ha C3r: la C3v: cresse C4r: do alozado C4v: ATTO D1r: n’altra D1v: Ru. D2r:the D2v: Ru. D3r: To. D3v: le scaltrio, D4r: bone D4v: A no E1r: Mo E1v: crepere, E2r:Aghe E2v: Me E3r: zi che E3v: no E4r: Atto E4v: Le forza F1r: a F1v: vol- F2r: te no F2v:pedoch F3r: Me. F3v: Me. F4r: Ru. F4v: Ru. G1r: Me. G1v: BET G2r: sta G3r: to G3v:BET G4r: Me. Tipi: Corsivo 85 41. Iniziali con figure 42: A2r: E (un uomo e una donna nudi, la donna in

40 Nell’esemplare linceo si legge per un errore di stampa DOMINICO DE ARRI; non cosìnell’esemplare di Bassano.41 Il carattere di M1561 è molto simile a quello di M1565. Rispetto al corsivo di Colonia delle edi-zioni Alessi si nota nel corsivo di M1561 e M1565 (così come più tardi nelle edizioni vicentine) unincremento degli elementi ornamentali. Segnalo la z minuscola con il terzo tratto allungato; A,Q, N maiuscole inclinate con ductus cancelleresco (TINTO 1972: 35 e tavola XXX che ripro-duce un corsivo Sessa risalente al 1560 che condivide tali caratteristiche); l’uso, seppure spo-radico, di a, e, m con l’ultimo tratto di destra prolungato lungo il rigo e terminante con unaleggera curva (TINTO 1972: 71 attribuisce le prime due lettere al carattere da lui siglato Corsi-vo 118a; trovo la m allungata alla tavola XXXI di TINTO 1972 in un Corsivo 130 impiegato daValgrisi nel 1561); il legamento st con il tratto di unione semicircolare nel corsivo di ColoniaAlessi e allungato verso sinistra nel corsivo delle edizioni Farri e Bonadio; per il solo M1565 vasegnalata la particolare forma della M inclinata e priva della “grazia” all’estremità superiore deltratto di destra (è un’influenza precisa del Corsivo francese Granjon: cfr. TINTO 1972: 67). Lecaratteristiche salienti del corsivo di M1561 si ritrovano ancora diciassette anni più tardi in unaDivina Commedia stampata da Farri nel 1578 (British Library 11421 aa 19); in una DivinaCommedia del 1568 dello stesso Farri (British Library 11421 a 6) cambia invece la forma dellegamento st, con tratto d’unione semicircolare come nelle edizioni Alessi di Ruzante. I corsi-vi di M1561 e M1565 rientrano nel grande alveo del corsivo di Haultin e delle sue imitazioni, chedomineranno la tipografia italiana anche per tutto il secolo successivo (TINTO 1972: 85-87).42 Non credo si tratti di iniziali ‘parlanti’: nessuna di queste lettere è censita nello studio di

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corrispondenza della lettera: Eva?); A4r: P (due putti alati che giocano); C1v e D1r: M(uomo con astrolabio: mago?); E4v: B (due satiri, uno dei due ha uno strumento a fiatosimile a un corno, in corrispondenza della lettera); F4r: C (donna seminuda in un palaz-zo: sembra tenga in mano un serpente: Cleopatra? Da notare che questa iniziale appar-tiene evidentemente a un’altra serie, essendo di dimensioni maggiori delle altre). Carta: alle cc. A2, F2, F3 e F4 dell’esemplare di Bassano àncora racchiusa in un cerchiosormontato da una stella a sei punte (cfr. disegno individuato per M1551); in altre cc., ades. C4, disegno non ricostruibile (due cerchi concentrici il più piccolo dei quali racchiu-de forse una croce con braccia strombate). Esemplari noti 43: Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio; Bergamo, Bibliotecacivica Angelo Mai 44; Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Racc. Dram. 1114 (catalo-go in linea); Pisa, Biblioteca Universitaria; Roma, Biblioteca dell’Accademia Nazionaledei Lincei e Corsiniana; Roma, Biblioteca Universitaria Alessandrina; Rovigo, Bibliotecadell’Accademia dei Concordi, Silv.33.5.27 (MORTIER 1925: 263 e MAGLIANI 1999: 130 n°32); Treviso, Biblioteca Civica, N.2730 e R.2.15.D (MAGLIANI 1999: 130 n° 32); Volter-ra, Biblioteca Guarnacci, XXVI 1/2 1 (MAI). Berlin, Staatsbibliothek (IA, IV 11); Chi-cago, Chicago University Library (STC It.-Usa, II, 93 45); Philadelphia, Pennsylvania Uni-versity Library (STC It.-Usa, II, 93 e SHAABER 76). In possesso di privati o in vendita sulcatalogo antiquario: l’intera edizione Farri in vendita dalla collezione Selvaggi (GRAESSEVI 198).Esemplari esaminati: Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, 77 B 8.9 (mutilodel fascicolo E) 46; Pisa, Biblioteca Universitaria, Misc. 862.6; Roma, Biblioteca dell’Acca-demia Nazionale dei Lincei e Corsiniana, 92 A 3 9 (su cui è stata condotta la collazione) 47.

1.3.2. Collazione del testo critico con M1561

Pr. 1 far] fær; Pr. 1 se i gi ha] se i ge ha; Pr. 3 om da ben] hom da ben (e capovolta); Pr.4 rivar da dire] rivar dæ dire; Pr. 4 natura (prima volta)] naturæ; Pr. 9 de far i cuorni] dafar i cuorni; Pr. 14 bregamasco] Bergamasco; Pr. 16 silientio] silentio; Pr. 16 abian] hab-biam; Pr. 17 ch’a’ possan] che possan; Pr. 17 no me far dare] no far dare; Pr. 18 vorae]vorrae; Pr. 19 rilientie] rilientin; I 1 sta femene] ste femene; I 1 co’ un mena] co unomena; I 1 desconir] descornir; I 1 t’acordarissi] taccordarissi; I 1 serae deroinò] saraederoinò; I 7 de brighè] di brige; I 8 favellò] favelò; I 22 sfiabezé] sfibeze; I 23 in la scuel-la] in scuella; I 23 l’è puoco] la puoco; I 23 dente] denti; I 23 Ruzante] Ruzzante; I 23disse] dise; I 23-I 24 bergamasc, armi] bergamasco, arme; I 24 fació] faccio; I 24 camp]campo; I 30 aseng] asegn; I 33 alla ffe’ (seconda volta)] alaffe; I 50 ol maneg] ul maneg;I 50 vorrésef] voresef; I 54 portesse] portasse; I 54 g’uomeni] gi huomeni; I 54 qu’el

PETRUCCI NARDELLI 1991, e in tutti i casi il presunto legame tra figura e lettera è, almeno perme, incomprensibile o quantomeno aleatorio.43 Non ho attualmente riscontri per l’esemplare segnalato da MORTIER 1925: 263 a Monaco«Bibl. royal de la Cour» (manca in KVK e IA).44 CHIODI 1973: 45.45 Potrebbe essere lo stesso esemplare segnalato da BREGOLI RUSSO 1984: 156 n° 537.46 Fatto non segnalato né dal catalogo delle cinquecentine della Biblioteca di Bassano (Edi-zioni del Cinquecento cit., n° 1083) né dall’Edit16.47 Sull’ultima carta timbro della Reale Accademia dei Lincei con il numero 013,512. Un tarloha danneggiato in maniera crescente le carte nella parte inferiore (a destra guardando il recto)a partire da c. A4: il fatto non pregiudica la lettura.

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para] que para; I 64 per que] par que; I 72 quattro] quatro; II 12 fatta] fatto; II 13 dina-ri] denari; II 22 pur el gran] per el gran; II 22 l’andarà via] l’andera via; II 22 poer stare]pur stare; II 23 cognosci-ge] cognoscie; II 23 cazzerè] cazere; II 23 ch’a’ sgrigne] chesgrigne; II 23 guagneriè-gi] guagnereigi; II 26 no ch’a’ no] no ve; II 27 sapeti] sapete; II27 guardatime] guardateme; II 40 po e ch’el] po, chel; III 1 cognescivi] cognoscivi; III8 misericuordia (prima volta)] misericordia; III 24 berretta] beretta; III 24 frufante] fur-fante; III 24 monestiero] monistiero; III 25 cerché-vu] cercheu; III 33 de quel soldà] delsolda; III 35 puoco] poco; III 36 ch’a’ no ghe vaghe] che no ge vage; III 40 fé-vu] feu;III 47 vegni ’l] vegna’l; III 51 ma ’l besogna] ma el besogna; III 57 a’ ’l besogna] a beso-gna; III 68 sutile] suttile; III 72 arae] haere; III 72 te se’] te sa; III 72 sbertezo] sbertez-zo; III 72 cri’-tu] crito; III 73 buone spalle] bone spalle; III 82 zugare] zugar; III 83 bon]ben; III 87 te dîvi] ti divi; III 94 mo a v’arae] moa a v’arae; III 94 dare] dar; III 98 sen-teresi] sentaresi; III 98 adesso] adosso; III 98 s’a’ comenzasse] sa scomenzasse; III 98patar nuostro] pater nuostro; III 107 a’ vezo ben] e vezo ben; III 107 averom] averon;III 109 favelò] faelò; III 114 rico] ricco; III 125 a’ son] e son; III 127 on da ben] homda ben; III 134 on da ben] hom da ben; III 134 sì compare prometighe] e si compareprometige; III 134 disnare] disinare; III 134 co un frare o co] con un frare o con; III 140darae] derae; III 141 me’ compare] me compare an ti; III 141 ariessi] haressi; III 142amazzò] amazò; III 143 on da ben] hom da ben; III 144 mercè de la] mercede de la; III145 colù] colà; III 148 abia] habbia; IV 1 feridi] fridi; IV 12 scorozzò (seconda volta)]scorozò; IV 12 mè sì, a’ no] me si a, a no; IV 16 bon manego] buon manego; IV 17 aspet-terè] aspettare; IV 44 bregamasco] Bergamasco; IV 46 dire] dir; IV 51 agnon] agnom;IV 56 ch’a’ perdo] che perdo; IV 57 defferientia] defferentia; IV 59 a’ saì] e saì; IV 69andom] andon; V 2 andon] andam; V 3 ocatti] occhatti; V 3 dissé-vu] disseu; V 10cognoserì] cognoscere; V 13 andom] andon; V 13 maletto] malette; V 53 pur ch’a’ ghevesse] pur che ge veesse; V 53 pe’ inanzo] pe innanzo; V 53 el m’è viso] el me diviso; V55 la schiona] la so schiona; V 55 sbato] sbatto; V 66 andesse daganto] andasse dagan-to; V 77 parrae] parae; V 83 con’] co; V 88 ho] he.

1.4. Venezia, Bonadio, 1565 (M1565)

1.4.1. Descrizione

c. a1r: MOSCHETTA | COMEDIA | DEL FAMOSISSIMO | RUZZANTE. | NONMENO PIACEVOLE | CHE RIDICVLOSA. | IN VENETIA, | Appresso GiovanniBonadio. | 1565 48.Colofone: assente.Formula collazionale: 8°; A-C8, D4; [1] 2-27 cc. 49

Contenuto: c. a1r: titolo. A2r: INTERLOCUTORI. A2r: PROLOGO. A4r: ATTOPRIMO. B1v: ATTO SECONDO. B5r: ATTO TERZO. C4v: ATTO QUARTO. C8r:ATTO QUINTO. D2v: IL FINE DELLA MOSCHETTA | COMEDIA.

48 La marca di Giovanni Bonadio è l’«imperatore romano coronato con scudo, spada e mazzaferrata. Iniziali [G. B.] sullo scudo» (ZAPPELLA 1986: vol. I, p. 216 [CXXVI.b]; vol. II, fig. 738).Per l’attività di Bonadio cfr. la ‘voce’ di M. Brusegan in MENATO - SANDAL - ZAPPELLA 1997: 158.49 Sia nell’esemplare londinese che in quello romano di M1565 a c. A4r si trova stampato pererrore B4 invece di A4 (il particolare ha valore congiuntivo ed era già segnalato da MAGLIANI1999: 135 n° 40).

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nota al testo

Titolo corrente: PROLOGO; ATTO [PRIMO] [SECONDO] [TERZO] [QUARTO][QUINTO]Richiami: A2r: a no A2v: colte A3r: no A4r: a son A4v: bianto A5r: menestra A5v: fageA6r: dir A6v: e in A7r: V. V. A7v: To. A8r: an ello A8v: rae B1r: Basta B1v: intendivu B2r:Ru. B2v: m’ha B3r: la B3v: cresse B4r: do alozado B4v: ATTO B5r: chi B5v: Ru. B6r: theB6v: Ru. B7r: To. B7v: le scaltrio B8r: bone B8v: A no C1r: Ru. C1v: crepere C2r: A gheC2v: Me. C3r: zi che C3v: no C4r: Atto C4v: Le forza C5r: a C5v: vol- C6r: te no C6v:pedoch C7r: Me. C7v: Me. C8r: Ru. C8v: Ru. D1r: Me. D1v: BET- D2r: sta D2v: me D3r:to D3v: Bet- D4r: Me. Tipi: Corsivo 82 (cfr. § 1.3.1).Carta: alle cc. C6 e C7 dell’esemplare londinese àncora racchiusa in un cerchio sormon-tato da una stella a sei punte (rispetto alla filigrana schedata per M1551 la stella è più rego-lare e con punte più strette, e le marre dell’àncora sono disegnate da una sola linea): cfr.BRIQUET nn° 548-549 (Arnoldstein 1563 e Udine 1567); a c. A1r numero 3 e d minusco-la della contromarca, affiancati come in BRIQUET n° 551 (Reggio Emilia 1556, ma discor-dante dal nostro disegno per altri particolari). Alle cc. B8 dell’esemplare londinese e B6,B7 dell’esemplare romano frammenti riferibili probabilmente al cappello sormontato dacroce di BRIQUET nn° 3467 e 3468 (Venezia 1570, Ferrara 1561).Esemplari noti: Bologna, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, 16 A III 15 G 2 e 16A II 66 (catalogo a schede); Genova, Biblioteca Berio, B.S.XVI.A.139 (MAI); Milano,Biblioteca Nazionale Braidense, Racc. Dram. 2523 (catalogo in linea); Orvieto, Bibliote-ca comunale Luigi Fumi; Padova, Biblioteca del Seminario Maggiore; Padova, Bibliote-ca Civica, B.P. 1775.II (MAGLIANI 1999: 135 n° 40); Padova, Biblioteca Universitaria,144.a.119 (MAGLIANI 1999: 135 n° 40); Parma, Biblioteca Palatina. Sezione musicale;Piacenza, Biblioteca comunale Passerini Landi, G1.10.09.7 (MAI); Roma, Biblioteca del-l’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana; Roma, Biblioteca Teatrale del Burcardo;Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Dramm. 366.7 (MAGLIANI 1999: 135 n°40). Chicago, Newberry Library (STC It.-Usa, II 93); London, British Library (STC It.594); Paris, Bibliothèque Nationale de France (tre esemplari) YD-4249, YD-4437, Z-16961 (catalogo in linea); Toronto, Toronto University Library (STC It.-Usa, II 93); Wien,Universitätsbibliothek (IA, IV 12); Williamstown, Chapin Library (IA, IV 12). In pos-sesso di privati o in vendita sul mercato antiquario: l’intera edizione Bonadio in venditadalle collezioni Crevenna e Libri (GRAESSE VI 198, che stampa per errore Bonfadio).Esemplari esaminati: Roma, Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsinia-na, 93 D 194 (già appartenente alla Biblioteca Corsiniana, legata con altre opere teatra-li 50); Roma, Biblioteca Teatrale del Burcardo, Ed. Cinq. 134 (fotocopia); London, Brit-ish Library, 11715 b 65.(2) (su cui è stata condotta la collazione).

1.4.2. Collazione del testo critico con M1565

Pr. 1 i gi ha da fare] i ge ha da fare; Pr. 7 quello (prima volta)] qnello; Pr. 7 fichessan]ficassam; Pr. 8 foesse (seconda volta)] fosse; Pr. 9 cercasse de] cercasse da; Pr. 9 foesse]fuoesse; Pr. 10 vegnirghe] vegnire; Pr. 11 supié] supion; Pr. 11 arscolté] asscoltè; Pr. 12

50 Il Capitano di Dolce (Venezia, Giolito, 1547); il Pellegrino di Parabosco (Venezia, Griffio,1552); la Piovana di Ruzante (Venezia, Bonadio, 1565). I testi sono riuniti in una legatura anti-ca che ha sul dorso il titolo: PASTORAL DI VARII AUTORI. Sull’ultima carta è stampigliato il nume-ro 013,959 racchiuso da un ovale.

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no ’l ve] no vel; Pr. 14 aba] abia; Pr. 14 poea] po; Pr. 14 bregamasco] bergamasco; Pr.16 abian] abbiam; Pr. 16 continti] contenti; Pr. 17 per no me far] per no farge; Pr. 18vorae] vorrae; Pr. 19 rilientie] ribilientie; I 1 lomentare] lamentare; I 1 becco] beco; I 1vegnir onve] venir onve; I 1 potientia] potentia; I 1 dise] i dise; I 1 quel muo’] quel mno;I 1 con un mena] co uno mena; I 1 serae deroinò] sarae deroinò; I 1 diese ben] diesseben; I 1 una fiè] ena fiè; I 1 sa cattar] so cattar; I 5 maistra] maestra; I 8 favellò] favelò;I 11 fì] sì; I 11 patarina] pattarina; I 12 volì] nolì; I 18 galderae] galderè; I 19 comare]comare (m capovolta); I 22 moa a v’in’] mo a vin; I 23 pruopio] pruoprio; I 23 in la scuel-la] in scuella; I 23 dente (prima volta)] denti; I 23 Ruzante me’ compare] Ruzzante me’compare; I 24 obligat] obliga; I 24 fació] faccio; I 24 a’ ’m debi] an debi; I 24 camp]campo; I 30 buò] bo; I 30 aseng] asegn; I 30 dolzo] dolz; I 30 talmet] talment; I 30 ama-ramet] amarament; I 31 m’arecorde] me recorde; I 33 alla ffe’ (seconda volta)] alaffe; I34 affang] affagn; I 35 messiere] missiere; I 38 dona] bona; I 42 meneref] menaref; I 50ol maneg] ul maneg; I 50 vorrésef] voresef; I 53 tuove (tutte e due le volte)] tuolive; I 54darondella] dorondella; I 54 bregamasco] bergamasco; I 54 portesse] portasse; I 54 ghel’he] ge he; I 54 cancaro a’ son] cancare a son; I 54 g’uomeni] gihuomeni; I 54 esservalent’omo (tutte e due le volte)] esser valent’huomo; I 54 ghe mini] ga mini; I 55 trag]trage; I 58 stò vu (seconda volta)] sta vu; I 60 mè pensò] ma penso; I 60 buona] bnona;I 60 a’ fiè così an’ mi] a fie an mi; I 64 criviegi] crivegi; I 66 Franza] Framaza; I 72 quat-tro] quatro; II 11 gonella] gouella; II 11 veste] neste; II 11 cittain] cittaì; II 13 dinari]denari; II 17 se la] se le; II 20 tanta] tanto; II 21 marit] marit (m capovolta); II 22 a’ nocrezo] e no crezo; II 22 andarà via] anderà via; II 23 cognosci-ge] cognoscie; II 23 caz-zerè (seconda volta)] cazere; II 23 ch’a’ sgrigne] che sgrigne; II 23 guagneriè-gi] guagne-reigi; II 25 sono] son; II 27 sapeti] sapete; II 27 guardatime] guardateme; II 31 degna-no] deguano; II 39 vegnirano] vegniranno; II 40 e ch’el lo] chel lo; II 41 dunca] duca;II 41 da le man] de le man; III 1 cognescivi] conoscivi; III 1 ara’] are; III 3 matezuola]matezzuola; III 3, III 24 armiliare] armigliare; III 4 mieriti] meriti; III 7 Betia] Bettia; III8 misericuordia (tutte e due le volte)] misericordia; III 24 ne magne] ne mague; III 24cogombaro] cogiombaro; III 24 monestiero] monistiero; III 24 fazzan] fazan; III 25 cer-ché-vu] cercheu; III 25 on] hom; III 33 de quel soldà] del soldà; III 34 l’ì-vu] liu; III 35puoco] poco; III 36 ch’a’ no ghe vaghe] che no ge vage; III 36 molesin] mollesin; III 36fè mè] fa me; III 40 fé-vu] feu; III 63 tuò mo’ su] tuo su; III 68 sutile] suttile; III 72 arae]haere; III 72 sbertezo] sbertezzo; III 72 cri’-tu] crito; III 73 buone] bone; III 76 canca-ro] caucaro; III 82 zugare] zugar; III 83 bon] ben; III 83 chive] chivi; III 83 pignatte]pignate; III 83 scuelle] scuele; III 87 te dîvi] ti divi; III 90 no dire] mo dire; III 90 dego]digo; III 90 on] hom; III 94 mo a’] moa a; III 98 senterè] sentare; III 98 adesso] ados-so; III 98 e sì] e e si; III 98 s’a’ comenzasse] sa scomenzasse; III 98 patar nuostro] paternuostro; III 99 acolegò] acolgò; III 106 scorrezzà] scorezza; III 107 a’ vezo] e vezo; III107 averom] averon; III 109 favelò] faelò; III 113 garbinelle] gambinelle; III 114 rico]ricco; III 115 déghigi] diegigi; III 125 a’ son] e son; III 126 daref] darò; III 127 on daben] om da ben; III 134 on da ben] hom da ben; III 134 penselo] pensalo; III 134 sìcompare prometighe] e si compare prometige; III 134 disnare] disinare; III 134 co unfrare o co] con un frare o con; III 135 pruopio] pruoprio; III 141 compare] compare anti; III 141 ariessi] aressi; III 142 ben] hen; III 142 che] che (c capovolta); III 142 amazzò]amazo; III 143 on da ben] hom da ben; III 144 mercè de la] mercede de la; III 145 colù]colà; III 145 marcè] merce; III 145 bergamasch] bergamesch; III 148 omo] om; IV 1feridi] fridi; IV 1 a que mud] a que muod; IV 2 s’imbatesse] ? imbatesse; IV 2 a’ te vuo’]c te nuo; IV 2 magnare el cuore] magnar el cuore; IV 2 scardoa] scardola; IV 9 spali]

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spalli; IV 12 scorozzò (seconda volta)] scorozò; IV 17 aspetterè] aspettare; IV 32 orsù]orsn; IV 38 arecorderè] arecordare; IV 38 vi’] ve; IV 41 compare (prima volta)] comp-vre; IV 44 bregamasco] bergamasco; IV 46 dire] dir; IV 49 volì-vu] voliu; IV 51 agnon]gnom; IV 56 a’ stramezarì] stramezarì; IV 56 dirè] diro; IV 56 ch’a’ perdo] che perdo;IV 56 tira] tria; IV 57 defferientia] defferentia; IV 57 posse] poesse; IV 59 a’ saì] e saì;IV 60 combatter] combattere; IV 61, IV 63 andon] andom; IV 66 vuo’] vuogio; IV 69andom] andon; V 3 ocatti] occatti; V 3 dissé-vu] disseu; V 7 ve dighe] ne dighe; V 9metta] meta; V 10 cognoserì] cognoscere; V 10 pure] pur; V 10 battì-vu] battiu; V 13maletto] malette; V 14 ve] ne; V 23 corazzina] corrazzina; V 32 comparo] compare; V39 da ste fenestre] de ste fenestre; V 39 saì-vu] saiu; V 47 e laghé] a e laghé; V 48 ari-verè] arrivere; V 53 ch’a ghe vesse] che ge veesse; V 53 besogna] besogno; V 53 pe’ inan-zo] pè innanzo; V 53 chialò a farme] chialò, farme; V 53 m’è viso] me diviso; V 53 si’-vu] siu; V 53 remore] romore; V 54 batteno] battena; V 55 questa è pur la schiona] que-sta è la so schiona; V 55 sbato] sbatto; V 61 sivu] siu; V 66 compare (prima volta)]coo(m)pare; V 66 ch’el sonava] chal sonava; V 66 andesse daganto] andasse daganto; V66 andesse in preson] andasse in preson; V 66 urtanto] urtando; V 77 parrae] parae.

1.5. Vicenza, Greco, 1584 (M1584)

1.5.1. Descrizione

c. a1r: MOSCHETTA | QUINTA | COMEDIA | DEL FAMOSISSIMO | RUZANTE. |Non meno piacevole che ridiculosa. | DI NUOVO CON SOMMA | diligenza riveduta,& corretta. | Ristampata M.D.LXXXIIII 51.

51 Lo stampatore è Giorgio Greco (ricordato alla fine della dedicatoria, c. A6r). La Moschettaè parte di un’edizione integrale delle opere ruzantiane: TUTTE | LE OPERE | DEL | FAMO-SISSIMO | RUZANTE, | DI NUOVO CON SOMMA | diligenza rivedute, & corrette. | Etaggiuntovi un Sonetto, e una Can- | zone dell’istesso Auttore. | Al M. Magnifico S. Vespasia-no Zogiano | Gentil’huomo Vicentino. | Ristampate l’anno del Signore M.D.LXXXIIII (regi-strata in CRISTOFARI 1952: 198-199 n° 75). L’ordine delle opere è: Sonetto di Ruzante, Rhodia-na, Anconitana, Piovana, Vaccaria, Moschetta, Due Dialoghi, Tre Orationi, Dialogo facetissimo,Fiorina. Un’idea del mutato contesto culturale in cui appaiono queste edizioni tardocinque-centesche può esser data dall’avvertimento «Alli saggi lettori» (cc. A7r-A10r): «Messer Ange-lo Beolcho nobile Padovano, homo affabile per natura e per arte dotto, vestitosi il Rusticonome di RUZANTE, attese per un tempo a ricrearsi nel comporre molti suoi non meno chearguti, ingeniosi, & piacevoli iscritti: cioè varie Comedie, Dialoghi, Orationi, Prologhi, Ragio-namenti, & Lettere: delle quali compositioni non volse egli solo godere, ma ne fece partecipeil mondo, mandandole in luce, per arreccare altrui piacevole diletto & giovevole documento,ponendo sotto il velame della ruvidezza & rusticità sententiosi avvertimenti, & spiriti nobili;& non solamente imitando i buoni Poeti ha dimostrato l’essempio del vivere humano con ladescrittione della virtù, & del vitio; della realtà, delle fallacie; & con una mirabile osservatio-ne del decoro, ma etiandio i Filosofi, inserendovi dentro gran parte della Morale Filosofia contanti motti, & argutie, che questo assai bastava senza la curiosità delle diverse lingue a dilet-tare, & insegnare. Laonde, assaggiate l’opere sue, tanto gusto hanno dato, che coloro, i qualile avevano apresso di sé (ancorché lette & rilette) le tenivano per molto care, & quelli, che nonle havevano, le cercavano, & desideravano. Così caminando questo desiderio, & tuttavia cre-scendo universalmente, & la copia di questo superando la quantità di esse opere, non ritro-vandosene più alle Stampe, né alle Librarie, essortato io da molti amici, ho voluto ristampar-lo in questa forma picciola per maggior commodità di chi ne prende diletto: Né in cosa cosìbella ho voluto mancar di ogni diligenza in farlo ristampare, sì come non ha mancato altrui di

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Colofone: assente. Formula collazionale: 12°; A-C12; [1] 33 cc. 52

Contenuto: a1r: titolo. a1v: INTERLOCUTORI. A2r: PROLOGO. A4v: ATTOPRIMO. A11r: ATTO SECONDO. B3r: ATTO TERZO. B12v: ATTO QUARTO. C5v:ATTO QUINTO. C10v: IL FINE DELLA | Moschetta Comedia. Titolo corrente: PROLOGO; ATTO [PRIMO] [SECONDO] [TERZO] [QUARTO][QUINTO] 53.

sollecitudine, & cura in correggerlo, & ampliarlo da quello, che era dianzi, come quello chehaveva non solamente in ogni faccia, ma in ogni riga, molti & importanti errori. Godeteloadunque volentieri, & a grado vi sia così di nuovo corretto, & ampliato insieme con lo infra-scritto Sonetto del medesimo Auttore non più veduto a stampa, & la Canzone di nuovoaggiunta alla seconda Oratione, & con ciò non vi fia schiffo amare il vostro amorevole Gior-gio Greco Stampatore». Sono notevoli in questo documento sia il tentativo di presentareRuzante come autore ‘morale’ svalutandone lo sperimentalismo linguistico («senza la curiositàdelle diverse lingue»), sia il ripetuto rilievo delle proprie correzioni rispetto alle stampe pre-cedenti, funestate da «molti & importanti errori». La marca usata è simile a quella di GiovanniBonadio (cfr. § 1.4.1), fatta salva la mancanza delle iniziali G. B. I repertori non segnalanoquesta marca per Greco (ZAPPELLA 1986 censisce: clessidra poggiata su un libro chiuso [p.117], S. Giustina col petto trafitto da una spada e una palma in mano [p. 202], grifone [p.209], sole meridiano che disperde le nubi [p. 348], uccello appollaiato sul tronco di un albe-ro [p. 380]). L’Edit 16 – probabilmente sulla base della marca – riconduce l’edizione ruzan-tiana di Greco a Girolamo Brescia, committente vicentino che tra l’altro finanziò la riedizio-ne della Sofonisba di Trissino nel 1585, anno inaugurale del Teatro Olimpico: la marca di Bre-scia «ha l’immagine probabile di Ercole utilizzata anche da Giorgio Greco nell’edizione delRuzante e che fu tipica del tipografo veneziano Giovanni Bonadio» (R. ZIRONDA, ‘voce’ Giro-lamo Brescia, in MENATO - SANDAL - ZAPPELLA 1997: 202-203, a p. 203). La stessa marca com-parirà anche nelle successive edizioni complete Perin (1598) e Amadio (1617): mi chiedo senon si tratti, già nell’edizione Greco, semplicemente della marca di Bonadio (ultimo editoreveneziano di Ruzante) che viene ripresa per inerzia dai successivi editori attivi nell’entroterra(d’altro canto Girolamo Brescia adottò la marca di Bonadio proprio per la coincidenza delleiniziali, che non compaiono però nella marca dell’edizione Greco di Ruzante). Casi in partesimili sono offerti, sempre per la tipografia vicentina tardocinquecentesca, da alcune opere diDoni, ristampate a distanza di più di mezzo secolo con la marca aldina delle precedenti edi-zioni veneziane (C. RICOTTINI MARSILI-LIBELLI, Anton Francesco Doni scrittore e stampatore,Firenze, Sansoni Antiquariato, 1960, p. 150 n° 84 e tavola corrispondente; analogo il caso diedizioni veneziane seicentesche, sempre per opere di Doni, che ripropongono legni degli ori-ginali marcoliniani: cfr. L. SERVOLINI, Edizioni di Francesco Marcolini nella Biblioteca di Forlì,in «Bollettino dell’Istituto di patologia del libro» IX 1950, pp. 86-133, alle pp. 130-131 nn°18-29). L’esame di alcuni esemplari del Dialogo facetissimo nell’ed. Greco ha permesso di pre-cisare a MAGLIANI 1999: 140 n° 44 che «ne dovettero [...] essere tirate ristampe linea per lineaoppure dovettero circolarne riemissioni». Il dedicatario dell’edizione, Vespasiano Zuglianfiglio del Capitano Alessandro, è figura di spicco dell’ambiente aristocratico vicentino: cfr.MONTESE 1968: 11 nota 14 e 17. Sulla tipografia di Terraferma in questo periodo cfr. PESEN-TI 1983: 106-112 (§ 5); per la tipografia vicentina cinquecentesca cfr. RHODES 1964: 29 nota 5,SIMEONE 1995/1996 e ZIRONDA 1995/1996; per l’attività di Greco nel primo lustro del XVIIsec. vd. ZIRONDA 1987.52 Come si desume dalla formula collazionale le carte di M1584 sono 36. Il testo termina a c.C10v, cui seguono due carte bianche, integre nell’esemplare bolognese V Caps. 253.10 e nel-l’esemplare londinese 18124, strappate nell’esemplare londinese 240 a 29.53 Nell’esemplare bolognese a c. 29r il titolo corrente è errato (QURATO invece di QUAR-TO). L’intestazione QUARTO compare poi per errore al posto di QUINTO a c. 30r. Stessecaratteristiche nell’esemplare di M1584 in mio possesso.

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Richiami: A2r: con A2v: coma- A3r: pri- A3v: sta, A4r: ATTO A4v: ina- A5r: ro A5v: Me.A6r: rotto A6v: Be. A7r: faghe A7v: inter- A8r: bio A8v: con- A9r: soldò, A9v: gam-A10r: Ru. A10v: ATTO A11r: Ru. A11v: Ru. A12r: casò A12v: rà B1r: Moschetta Quin-ta. SCE- B1v: cres- B2r: erado B2v: ATTO B3r: Ruz- B3v: mise- B4r: ret- B4v: man- B5r:Do. B5v: Ruz. B6r: SCENA B6v: Ruz. B7r: Bet. B7v: Ruz. B8r: Ruz. B8v: passe B9r: vie-B9v: Me. B10r: Me. B10v: ta B11r: Ruz. B11v: haes- B12r: ATTO B12v: com C1r:Moschetta Quinta. me C1v: tere C2r: Ru. C2v: Ruz. C3r: Ru. C3v: andà C4r: Ru. C4v:Ru. C5r: ATTO C5v: reongi? C6r: Me. C6v: Me. C7r: pur C7v: hogio C8r: le C8v: Ru.C9r: la C9v: Bet. C10r: Me. Tipi: Corsivo 67, accostabile per il disegno ad altri di maggiore eleganza diffusi nellatipografia veneziana già a metà del secolo 54. In romano tondo il prologo, e anche scenaseconda e terza dell’atto secondo, scena prima e seconda dell’atto quarto 55. Iniziali ‘par-lanti’: A2r E (Enea che porta sulle spalle Anchise); A4v P (Perseo libera Andromeda: cfr.PETRUCCI NARDELLI 1991: 56 fig. 65 e 69 fig. 29); A10r B3r M (guerriero romano conscudo; dietro di lui una figura nuda sembra sussurrargli qualcosa: Marte con Venere?);B12v B (Bacco a dorso di mulo accompagnato da una baccante e da un satiro); C5v C(Caco ruba a Ercole una delle vacche appartenute al gigante Gerione).Carta: alle cc. 25 e 26 dell’esemplare londinese 18124 àncora racchiusa in un cerchio sor-montato da una croce, marre disegnate con una sola linea: cfr. BRIQUET nn° 570 e 571(Verona, rispettivamente 1579 e 1583). Alle cc. 17 e 18 dell’esemplare londinese e 1 e 2dell’esemplare bolognese cerchio sovrastato da una croce con tre punte a forma dirombo (non meglio precisabile: cfr. MAZZOLDI n° 669, Archivio di Stato di Brescia,1557).Esemplari noti: Bassano del Grappa, Biblioteca Archivio Museo (edizione completa);Bologna, Biblioteca Universitaria; Bologna, Biblioteca di Casa Carducci 56; Fermo,Biblioteca Civica R. Spezioli (MAI); Guastalla, Biblioteca Maldotti, 3 T 01 033 (MAI);Lucca, Biblioteca Statale, E.VI.b.59 (edizione completa, catalogo a schede); Milano,Biblioteca Nazionale Braidense (tre esemplari), Racc. Dram 0956, Racc. Dram. 1603,Racc. Dram. 1802 (catalogo in linea); Milano, Biblioteca Teatrale Livia Simoni, Museoteatrale alla Scala (edizione completa); Napoli, Biblioteca Nazionale Vittorio EmanueleIII; Padova, Biblioteca del Seminario Maggiore; Padova, Biblioteca Civica, B.P. 1505 eII.24.1-2 (MAGLIANI 1999: 140 n° 44); Padova, Biblioteca Universitaria, 89.c.301 (edi-zione completa: MAGLIANI 1999: 140 n° 44); Perugia, Biblioteca Comunale Augusta;Pisa, Biblioteca Universitaria (edizione completa); Pistoia, Biblioteca Comunale Forte-guerriana (edizione completa); Reggio Emilia, Biblioteca Panizzi 57; Roma, Biblioteca

54 Cfr. ad es. la tavola XXVIII di TINTO 1972, che riproduce un Corsivo 64. Con quest’ultimoil corsivo dell’edizione Greco condivide la forma della z (ma è diverso in altri casi caratteristi-ci, ad es. la Q).55 L’adozione di caratteri tondi fuori dal prologo è dovuta alla mancanza di un numero dicaratteri corsivi sufficiente a comporre l’intera forma del 12°. La stessa cosa accade nellaRodiana che apre l’edizione Greco, dove le scene quinta e settima dell’atto terzo sono stam-pate in tondo, il resto del testo in corsivo.56 Cfr. T. BARBIERI, Indice delle Cinquecentine conservate nella Biblioteca Carducci. II (1551-1600), in «L’Archiginnasio» LVIII 1963, pp. 81-249, scheda n° 771, pp. 212-213. 57 Le Cinquecentine della Biblioteca Panizzi. Catalogo, a c. di E. Zanzanelli e V. Pratissoli. Saggiintroduttivi di L. Balsamo e N. Harris, Reggio Emilia, Biblioteca Panizzi, 1995, p. 306 n° 5119alle collocazioni 19K318 (edizione completa), 19K336 (edizione mutila, senza altre precisa-zioni).

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nota al testo

Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II (edizione completa: IA, IV 13, due esemplari diM1584 segnalati da SBN); Roma, Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsi-niana (edizione completa); Roma, Biblioteca del Burcardo; Torino, Biblioteca Naziona-le, F.XIII.201.5 (MAI); Trento, Biblioteca Comunale (edizione completa ma priva diRodiana, Vaccaria, Dialogo facetissimo); Treviso, Biblioteca Civica, N.1653 e VI.63.D(MAGLIANI 1999: 141 n° 44); Trieste, Biblioteca Civica Hortis (edizione completa); Vene-zia, Biblioteca Nazionale Marciana, Rari Ven. 686 (edizione completa) e Dramm. 732(MAGLIANI 1999: 140 n° 44) 58; Venezia, Biblioteca Querini-Stampalia; Venezia, Bibliote-ca del Museo Correr, Op. Cic. 57-14 (MAGLIANI 1999: 140 n° 44); Verona, BibliotecaCivica, Cinq. F.710 (MAGLIANI 1999: 141 n° 44); Vicenza, Biblioteca Civica Bertoliana,Gonz. 20.6.34 e RN.3.g.32 (MAGLIANI 1999: 140 n° 44) 59. Berkley, Bancroft Library(edizione completa: MELVYL); Berlin, Staatsbibliothek (edizione completa: IA, IV 13);Bonn, Universitätsbibliothek (edizione completa: IA, IV 13); Chicago, Newberry e Uni-versity Library (STC It.-Usa, I 204) 60; Göttingen, Universitätsbibliothek (edizione com-pleta: IA, IV 13); London, British Library (due esemplari: STC It. 85); New York, PublicLibrary (STC It.-Usa, II 93); Paris, Bibliothèque Nationale (edizione completa: IA, IV 13);Philadelphia, University of Pennsylvania Library (STC It.-Usa, I 204); Washington, Fol-ger Shakespeare Library (STC It.-Usa, I 204); Wien, Österreichische Nationalbibliothek(edizione completa: IA, IV 13). In possesso di privati o in vendita sul mercato antiqua-rio: due esemplari dell’intera edizione Greco in vendita dalle collezioni Renouard eSoleinne (BRUNET IV 1473, che per errore attribuisce l’edizione a Venezia); un esempla-re della Moschetta in possesso di Luca D’Onghia (Pisa). Esemplari esaminati: Bologna, Biblioteca Universitaria, V Caps. 253.10 (su cui è statacondotta la collazione) 61; London, British Library, 240 a 29 62; London, British Library,G 18124 (mancano le Tre Orationi) 63; Pisa, Biblioteca Universitaria, H.b.13.26; Pisa,esemplare in possesso di Luca D’Onghia.

58 Proveniente dalla biblioteca di Apostolo Zeno, il cui catalogo (mss. Marc. It. XI 288-293)registra l’edizione al vol. II, c. [50]r, col. b.59 Altri due esemplari dell’edizione Greco sono conservati secondo l’Edit16 a Roma, Biblio-teca musicale governativa del Conservatorio di musica S. Cecilia, e a San Donà di Piave, Col-lezione privata Casagrande, entrambi mutili in quanto contrassegnati da asterisco: non si puòdunque esser certi che contengano il testo della Moschetta o quello delle Tre Orationi (per ilquale cfr. § 4).60 Forse lo stesso esemplare registrato da BREGOLI RUSSO 1984: 153 n° 527 (edizione comple-ta di tutte le opere).61 Sul frontespizio timbro del collegio dei Teatini di San Bartolomeo a Porta Ravegnana. Dopola soppressione dell’ordine gran parte dei libri passarono alla Biblioteca Universitaria e allaBiblioteca Comunale dell’Archiginnasio: cfr. S. FERRARI, I fondi librari delle corporazioni reli-giose confluiti in età napoleonica, in Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio. Bologna, Prato,Nardini, 2001, pp. 51-65, figura di p. 52 (dove è riprodotto un frontespizio con timbro iden-tico al nostro).62 Proveniente dalla biblioteca di Giorgio III (cfr. § 1.1.1 nota 14).63 Proveniente dalla biblioteca di Thomas Grenville (1755-1846), acquisita dal BritishMuseum grazie all’intervento di Panizzi (W. FLETCHER, English book collectors, London,Kegan Paul, Trench, Trübner and Company, 1902, pp. 281-293; P.R. HARRIS, A history of theBritish Museum Library. 1753-1973 cit., pp. 207-209).

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nota al testo

1.5.2. Collazione del testo critico con M1584

Pr. 1 megio] miegio; Pr. 1 puo] pò; Pr. 2 con’] com; Pr. 2 brighè] brigà; Pr. 3 co questoe co quello] con questo e co(n) quello; Pr. 3 de l’altre] dell’altre; Pr. 4 qualche consa]qual consa; Pr. 5 aon] a hòm; Pr. 5 fassan] fassàm; Pr. 5 niente] gniente; Pr. 6 el se vuò]el vuò; Pr. 7 collusion] colusion; Pr. 7 ficare] ficcare; Pr. 7 fichessan mè] fichessàm; Pr.7 fassan] fàssam; Pr. 8 disìmi] disime; Pr. 8 qui serae] chi serae; Pr. 8 quelù] quellù; Pr.8 beco] becco; Pr. 8 foesse (seconda volta)] fosse; Pr. 9 poco] puoco; Pr. 9 de far] da far;Pr. 10 vegnirghe] vegnire; Pr. 10 fassàn] fassàm; Pr. 11 supié] supiòm; Pr. 11 arscolté]ascoltè; Pr. 11 andarà] anarà; Pr. 11 e Pr. 12 andasse] anesse; Pr. 12 no ’l ve] no vel; Pr.13 sapié] sappiè; Pr. 14 aba] habbia; Pr. 14 poea] po; Pr. 14 he catò] hea cattò; Pr. 14bregamasco] Bergamasco; Pr. 15 seon] seòm; Pr. 16 sipia] sippia; Pr. 16 silentio] selien-tio; Pr. 16 abian] habbiam; Pr. 16 e si a’ farì] e se a farì; Pr. 16 faron] farom; Pr. 16 saron]saròm; Pr. 16 continti] contienti; Pr. 17 bel e] bell’e; Pr. 17 ch’a’ possan] che possàm; Pr.17 per no me far] per no farghe; Pr. 18 vorae] vorràe; Pr. 18 andarà] anderà; Pr. 19 rebu-te] rebutto; Pr. 19 a le] alle; Pr. 19 Rilientie] rebelientie; I 1 puttana] putana; I 1 abi mè]habbi mè; I 1 lomentare] lumentare; I 1 con a’ he fatto] con he fatto; I 1 e sì a’ he lagò]e si hè lago; I 1 vache] vacche; I 1 vegnir] venir; I 1 Dise po ch’a’ gh’è libro arbitro!] Idise po ch’a ghem libro arbitro; I 1 A’ gh’ ’on] a gh’haòm; I 1 meritessan] melitessàn; I1 copa] coppa; I 1 abia afaturò] abbia affaturò; I 1 con’ fa] com fa; I 1 afaturò] affaturò;I 1 ch’i par] che i par; I 1 martiegi] martieggi; I 1 co’ un mena] co(n) uno mena; I 1 co’a’ t’insegnerè] co(n) a t’insegnere; I 1 acordarissi] accordarissi; I 1 co ella] con ella; I 1co’ a’ foesse morto] con a foesse morto; I 1 serae deroinò] sarae deroinò; I 1 con’ dise]com dièsse; I 1 se la no vorrà] se la vorrà; I 1 con’ dise] com dise; I 1 diese] diesse; I 1infina] inchina; I 1 con’ dise] con disse; I 1 pur ch’una] pur que na; I 1 co dise] con disse;I 1no sa cattar] non sa cattar; I 1 una scusa] na scusa; I 1 orsù] hossù; I 2 andè] anè; I 2galine] galline; I 4 sia andò, a la fe’] sea anò alla fè; I 5 co’ dise questù (tutte e due levolte)] con disse questù; I 6 co’ a’ me vi’] com a me vì; I 7 mo co’ disse questù] mo dissequestù; I 7 co’ a’ vago] con a vago; I 7 do] don; I 7 de brighè] de brigà; I 7 me sentovegnire] me sento a vegnire; I 7 con’ fa sale] com fa sale; I 8 favellò] favelò; I 9 ch’a’(tutte e due le volte)] què a; I 9 ah] an; I 9 co’ a’ solivi] con a solivi; I 10 ch’a’ ve daghe]che ve daghe; I 11 sbate] sbatte; I 11 fì] xè; I 11 patarina] pattarina; I 13 con’ se] comse; I 14 mata] matta; I 14 co’ a’ son] com a son; I 15 incontro] incontra; I 16 sitta] sita;I 16 ghe’ ’n] gh’in; I 16 andaesse] anaesse; I 16. andé] anè; I 19 co’ a’ ve] con a ve; I 19abie] habbie; I 19 da pallo] de pallo; I 19 vegnerè] vegnirè; I 20 andare] anare; I 22 moaa’] mo a; I 22 era] vera; I 23 pruopio] pruoprio; I 23 so’ (prime quattro volte)] to; I 23almanco] almasco; I 23 uuogi] huogi; I 23 co’ i spiegi] con è spiegi; I 23 co’ è na] com èna; I 23 speciarìa] specialìa; I 23 abi] habbi; I 23 scaperè] scapperè; I 24 obligat] obligà;I 24 fació] facciù; I 24 coris] corris; I 24 todeschi] todesch; I 24 inamorat] innamorat; I24 comandamet] commandamet; I 24 debi] debbi; I 24 camp] ca(m)pagna; I 24 dona]donna; I 24 con’ s’a’] com s’a; I 24 a l’us] all’us; I 24 può] po’; I 24 casa] cà; I 24 a l’im-provis] all’improvis; I 29 de le] delle; I 30 insema] insemma; I 30 uomeng] omegn; I 30generatió] generatiù; I 30 buò] bò; I 30 aseng] asegn; I 30 dolzo] dolz; I 30 talmet] tal-ment; I 30 amaramet] amarament; I 30 a’ si’ pur bella] om.; I 31 esser] essere; I 31 m’a-recorde] me recorde; I 31 n’arè besognò] n’harae besognò; I 31 abiù] habbio; I 31 ungielunghe] ongie longhe; I 31 d’intorno] intorno; I 31 cossì] così; I 31 da novo] da nuovo;I 31 magari] magaria; I 31 cussì] cusì; I 31 pelle] pele; I 34 provésef] provessef; I 34affang] affagn; I 35 per vu] pre vò; I 37 ch’a’ no si’] che a no si; I 39 ch’a] che a; I 40

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nota al testo

debi] debbi; I 40 doca] donca; I 41 agnun n’abie] agnon n’habbie; I 42 debi] debbi; I42 meneref] menaref; I 45 ne] in; I 46 vorésef] voressef; I 47 vossé-vu] vosseu; I 50ch’andé] che andè; I 50 galini] gallini; I 50 ol] ul; I 50 ì] in; I 50 vorrésef] voresef; I 51toco] tocco; I 52 ch’a’] che; I 53 tuove (tutte e due le volte)] tuolive; I 54 darondella]dorondella; I 54 d’i lari] de i lari; I 54 bregamasco] bergamasco; I 54 ch’a’ i portesse]che a i portasse; I 54 abi] habbi; I 54 borsetto] borsatto; I 54 a’ son cattivo mi] a son cat-tivo an mi; I 54 fagandola] fagandoghela; I 54 g’uomeni] gi huomeni; I 54 i no sa] i no’l sa; I 54 co’ un te dise] con un te dise; I 54 sapia] sappia; I 54 digi uogi] de gi uogi; I54 ghe mini] ga mini; I 54 sgamba cavera] a sgamba cavera; I 54 co’ a’ m’arecordo] cona m’arecordo; I 54 qu’el para] om.; I 56 aerae] harae; I 60 fiè la buona] fè la bona; I 60A’ fiè così an’ mi] A’ fiè an mi; I 60 quî dea] qui che dea; I 63 vilà] villà; I 64 seon] seòm;I 64 aon] haòm; I 64 robà] robba; I 64 sbuseron] sbuseròm; I 64 pelle] pele; I 64 cri-viegi] crivieggi; I 66 custion] costion; I 68 con’ disse] com disse; I 68 zaperì] zapperì; I71 cancar] cancher; I 71 ocg] occh; I 72 momisuolo] mo(n)tisuolo; II 1 con’ (tutte e duele volte)] com; II 2 amazar] ammazzar; II 2 quelù] quellù; II 3 amazzare] ammazzare; II3 co’] com; II 4 d’ella] de ella; II 4 s’aon] s’haom; II 4 andaea] anasea; II 4 saivino] sai-vimo; II 6 con’ a’ son sentò] s’a’ son sentò; II 6 a pe’] appè; II 6 con’ a’ vuogio] com avuogio; II 6 straco] stracco; II 6 intendì-u (seconda volta)] intendivu; II 6 vogia] vuogia;II 6 fantasie] fantasì; II 8 co’ a’ ghe dighe] con a ghe dighe; II 8 con’ dise] com disse; II8 tri] tre; II 9 con’] com; II 9 ch’a’ si foesse] che se a foesse; II 11 scolaro] scoelaro; II11 sarì] saerì; II 11 catessé] cattessè; II 12 fatta] fatto; II 13 boni] buoni; II 16 andon]anòn; II 17 almanco] amanco; II 20 tanta] tanto; II 21 vilania] villania; II 21 com s’el]co(n) s’el; II 21 lecà’] leccà; II 21 no gh’ho volut] no gh’e ho volut; II 21 mo a ogni] maa ogni; II 21 fioi] fiui; II 21 in o’ a’ ’l trovi] se al trovi; II 22 co no so que] con no so que;II 22 scolaro] scoelaro; II 22 a’ no crezo] e no crezo; II 22 deba] dibbia; II 22 ch’è fatta]che è fatta; II 22 co’ è] con è; II 22 vorà amazzare] vorrà ammazzare; II 22] co’ l’è fatto]con l’è fatto; II 22 sbraoserà ben] sbraoserà ben diganto; II 22 andarà] anderà; II 22 epuo mi] e po mi; II 22 poer stare] pur stare; II 23 cognoscige] cognosce; II 23 co’ abia]con abbia; II 23 e gh’in’] a gh’in; II 23 coresto] corresto; II 23 amazzò] ammazzò; II 23si’ me’ compare] si me comprare; II 23 squaso amazzò] squaso ammazzò; II 23 co’ a’ghe] com a ghe; II 23 ch’a’ sgrigne] che sgrine; II 23 a l’usso] all’usso; II 23 con’ a’ dighe]com a dighe; II 23 andar] anar; II 23 co’ è quigi] con è quigi; II 23 guagneriè-gi] gua-gnerèggi; II 23 fallo] falo; II 25 sono] son; II 27 sapeti] sapete; II 27 cognossiti] cogno-sciti; II 27 guardatime] guardateme; II 29 no me cognosseti] non me cognosseti; II 32averve] haerve; II 39 vegnirano] vegniranno; II 40 e ch’el] ch’el; II 41 dunca] donca; II41 arpassar] arpassare; II 41 da le man] delle man; III 1 cognescivi] cognoscivi; III 1 ara’abù] harè habbù; III 1 faze] fazze; III 1 matezzuola] mattezzuola; III 2 ficare] ficcare;III 2 monestiero] sarragio; III 3 matezuola] mattezzuola; III 3 trepo] treppo; III 3 sipia]sippia; III 3 cattiva] cattina; III 3 cancar’è] cancaro; III 3 abù] habbù; III 3 me haarchiapò] me archiapò; III 3 vaghe] vago; III 3 sipia] sippia; III 3 ferìa] ferrìa; III 3 igi]iggi; III 4 mieriti] mieliti; III 4 apicò] appiccò; III 7 Betia] Bettia; III 8 vien] ven; III 8amazzò] ammazzò; III 12 caté] cattè; III 13 abié] habbiè; III 14 sente] sento; III 14 ch’a’’l] ch’el; III 21 a’ ve dighe] a dighe; III 24 anderè] anerè; III 24 ch’a’ la no] che la no;III 24 me’ berretta] me beretta; III 24 ficà] ficcà; III 24 ficarme] ficcarme; III 24 fru-fante] furfante; III 24 oh poltron desgratiò] oh desgratiò; III 24 cogómbaro] cogiomba-ro; III 24 te t’hè pur] te ti è pur; III 24 andà] anà; III 24 monestiero] monistiero; III 24ch’a’ sarè] che sarè; III 24 putati] puttati; III 24 abiam] habbiàm; III 24 seon] seom; III24 aon] haom; III 24 abi] habbi; III 24 se’-tu] situ; III 24 fazzàn (tutte e due le volte)]

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fazzàm; III 24 posson] possom; III 24 lungo lungo] longo longo; III 24 andà] anà; III 25cerché-vu] cercheu; III 25 on] om; III 30 sipié] sippiè; III 30 son] ston; III 31 dretta]derta; III 32 o’ è-lla] on èla; III 32 andà] anà; III 33 de quel soldà] del soldò; III 34 andà]anà; III 34 ì-vu] hiu; III 36 an’ in’ spiero] a’ spiero; III 36 a’ ’l besogna (tutte e due levolte)] el besogna; III 36 ch’a’ no ghe vaghe] che no ghe vaghe; III 36 molesin] molle-sin; III 36 ch’a’ ’l dise] ch’el dise; III 38 déme] demme; III 40 fé-vu] féu; III 40 démela]de(m)mela; III 42 m’intendì] me intendì; III 42 un po’ chialò] un può chialò; III 42 dal’usso] dall’usso; III 47 vegni ’l] vegna ’l; III 51 a’ ’n metti] a metti; III 51 ma ’l] ma el;III 51 ficà’] ficcà; III 51 bardela] bardella; III 52 de l’intendere] dell’intendere; III 52 a’’l besogna] el besogna; III 52 che ’l laghe] ch’al laghe; III 52 mil’agni] mill’agni; III 53de l’ardigió] dell’ardigiò; III 53 de la] della; III 54 fé-vu] feu; III 57 a’ ’l besogna] a beso-gna; III 58 d’i] de i; III 60 a le] alle; III 60 è-lla] èla; III 63 abi sapù] habbi sappù; III 63archiapò] archiappò; III 63 tuò mo’ su] tuo sù; III 66 andon] andòm; III 66 a la fe’] allafè; III 67 ch’a’ no ’l] che a no ’l; III 67 mierito] mielito; III 68 domando] dema(n)do; III68 sutile] sottile; III 69 ti si’ fatto] ti hè fatto; III 72 ch’el ghe magne el cancaro] che ghemagne el cancaro; III 72 félo félo compare] félo compare; III 72 cri-tu] crito; III 72 dela] della; III 76 andon (tutte e due le volte)] andòm; III 78 andasea] anasea; III 78 confasea] com farae; III 79 volivi-tu] vuolivitu; III 81 dime] di(m)me; III 81 que] chi; III 81con’ a’ fasea] com à fasea; III 83 drizzare] drezzare; III 83 a’ ’l besogna] el besogna; III83 cosa] consa; III 83 pignatte] pignate; III 83 ch’a’ faghe fuora] che a faghe fuora; III83 seon] seòm; III 83 dessan] dessàm; III 83 duormi] druomi; III 83 co’ fa] con fà; III83 ch’a’ sarae] che a sarae; III 84 ch’a’ son] che a son; III 85 con’ se fa] com se fa; III 86ch’a’ muora] che a muora; III 87 con’ te divi]; com ti divi; III 87 intendi-tu] intinditu;III 88 ch’a’ son] che a son; III 89 e tuoteme] tuoteme; III 89 ch’a’ son] che a son; III 89de l’anore] dell’hanore; III 90 mattezuola] mattezzuola; III 90 on] hom; III 93 paroli]paroi; III 94 mo a’] moa a; III 94 dare] dar; III 95 dam] dami; III 96 con’ disse] comdisse; III 97 abi] habbi; III 98 senteresi] sentarè; III 98 canchero] cancaro; III 98 de laderoina] della deroina; III 98 cani] can; III 98 adesso] adosso; III 98 co i pugni] con ipugni; III 98 co un pugno] con un pugno; III 98 e si el] eh eh si el; III 98 vien almanco]viè almanco; III 98 a l’altra] all’altra; III 98 comenzasse] scomenzasse; III 98 patar]pater; III 98 co’ a’ sea] con a sea; III 98 che m’apicherè] che a m’apicherè; III 99 sarae]saerae; III 99 co’ è andò] con è andò; III 99 andar] anar; III 99 è invelò] xè invelò; III99 acolegò] accolgò; III 100 ch’a’ ve] che ve; III 102 abù] habbù; III 103 ch’a’ no (primavolta)] che a no; III 104 ch’a’ no he] che a no he; III 106 ch’a’ (tutte e due le volte)] chea; III 107 ch’a’ no] che a no; III 108 averon] haveròm; III 109 favelò] faellò; III 111 dise-lo] disello; III 112 ch’a’ v’he] che a v’hè; III 113 ch’a’ fé] che a fè; III 113 andare] anare;III 113 co ste] co(n) ste; III 113 andé] anè; III 114 rico] ricco; III 114 gh’i] ghe i; III 115smaravegie] smaravegio; III 115 compare (seconda volta)] tompare; III 115 ch’a’ gh’ ’ì]che a ghe gi hì; III 115 tolti] tulti; III 117 ch’el v’è] che el v’è; III 117 bel onore] bel-l’hanore; III 118 e si el] e se el; III 118 andarè] anarè; III 118 poestà] poestò; III 118 ime] el me; III 118 igi] ello; III 119 bel anore] bell’hanore; III 120 andévela] anevela; III120 prometìghe] promettighe; III 120 per mi] pre mi; III 120 félo] fello; III 123 vossan]vossam; III 123 ch’a’ ne] che a ne; III 126 s’a’ ’m] s’t’àm; III 126 daref] darò; III 127 on]hom; III 127 vegnire] vegnir; III 128 só] son; III 129 a sto muo’ an’] a sto muò; III 129con’ a’ fé] com a fé; III 129 iè-gi] èggi; III 130 fuorsi] fuossi; III 132 conzéla] conzèlla;III 134 conzéla (seconda volta)] conzèlla; III 134 on da ben] hom da ben; III 134 muor-to] morto; III 134 ca la dise] che la dise; III 134 d’opinion] de pinio(n); III 134 e co’ un]e con un; III 134 pense-lo] pensalo; III 134 a pe’] appè; III 134 sì compare] e si com-

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nota al testo

pare; III 134 cizola] cizzola; III 134 e ella] e ela; III 134 ogn’ano] ogn’anno; III 134 coun frare o co la compagnia] con un frare o con la compagnia; III 134 ca ’l dise] ch’eldise; III 134 abia] habbia; III 135 pruopio] pruoprio; III 140 ch’a’ no darae] che a nodarae; III 141 ariessi] arissi; III 141 d’i fatti] de i fatti; III 142 a’ m’ara’] a me harà; III143 on da ben] hom da ben; III 144 de la] della; III 144 posson] possòm; III 145 colù]colà; III 145 marcè] mercè; III 145 madona] madonna; III 145 bergamasch] bergame-sch; III 145 è tug omegn] è homegn; III 148 omo] hom; III 148 ch’el no v’intravegne]che el no ve intravegne; III 148 abia] habbia; III 149 s’a’ si’] se a si; III 149 ch’a’ m’aes-se] che a me haèsse; III 149 sapù] sappù; III 150 ch’a’ he] che a hè; III 150 co’ a’] cona; III 151 ma] mò; III 152 andé] anè; IV 1 vilà (tutte e due le volte)] villà; IV 1 feridi]fridi; IV 1 stocadi] stoccadi; IV 1 abut] habbut; IV 1 co essa] con essa; IV 1 dona]donna; IV 1 saraf] saref; IV 1 alegrezza] allegrezza; IV 1 mud] muod; IV 1 fat] fatt; IV2 co questo e co st’altro] con questo e con st’altro; IV 2 co qui] co(n) chi; IV 2 andar]anar; IV 2 vene] venne; IV 2 apicò] appiccò; IV 2 ne darà] me darà; IV 2 cosa] consa;IV 2 ch’a’ no vuo’ dire] che a no vuò dire; IV 2 andarè] anare; IV 2 andar] anar; IV 2per mi] pre mi; IV 2 a’ te vuo’] ch’a te vuò; IV 2 magnare] magnar; IV 2 scardoa] scar-dola; IV 2 grella] greèlla; IV 4 spale] spalle; IV 6 ch’a’ i vuo’] che a i vuò; IV 7 ch’a’vorrò] che a vorrò; IV 8 butte] butto; IV 8 foessi] foissi; IV 8 co tutto] con tutto; IV 9spali] spalli; IV 10 vorrissi] vorissi; IV 12 co tutto] con tutto; IV 12 supia] suppia; IV 12vien fuora] viè fuora; IV 13 su caval] su ù caval; IV 14 che son stò] che a son stò; IV 14co’ t’hè fatto] co(n) t’he fatto; IV 15 al albuol] all’albuol; IV 16 ravazzolo] ravazzuolo;IV 17 aspetterè] aspettarè; IV 17 s’a’ ’n vegni] s’a’m’ vegni; IV 20 che gh’in’] ch’a gh’in;IV 20 dar] dare; IV 20 ammazzessano] ammazzessàm; IV 20 ca morire] che morire; IV20 vien-tu] vietu; IV 20 no vien] no viè; IV 21 traditor] traditùr; IV 30 viè] ven; IV 30sborirè] sborrirè; IV 30 t’è soldò] t’iè soldò; IV 31 s’a’ ’l] s’el; IV 31 al manc] manch; IV32 farè] farae; IV 34 n’aesse] ne haesse; IV 35 ch’a’] che a; IV 38 arecorderè] arecordarè;IV 38 vi’] vè; IV 38 ch’a’ ’l] che’l; IV 38 co Rolando] con Rolando; IV 39 co’ andè] conandè; IV 39 s’a’ ’l] s’el; IV 39 ch’a’ ’n] ch’a m; IV 43 mo son] mo a son; IV 44 brega-masco] bergamasco; IV 44 è-llo] èlo; IV 46 dire] dir; IV 47 è-llo] èlo; IV 49 volì-vu]volìu; IV 50 co ello] con ello; IV 51 agnon] agnòm; IV 53 aparechiè] apparecchiè; IV 53amazza] ammazza; IV 54 co ello] con ello; IV 56 sipié] sippiè; IV 56 a’ stramezarì] stra-mezarì; IV 56 dirè] dirò; IV 56 ch’a’ perdo] che perdo; IV 56 co’ è i cavagi] con è i cava-gi; IV 57 è-lla] èla; IV 57 defferientia] defferentia; IV 57 posse] poesse; IV 58 quelù]quellù; IV 59 andarì] anarì; IV 59 andar] anar; IV 59 a’ saì] e saì; IV 59 cognosson]cognossòm; IV 60 combatter] combattere; IV 61 sipia] sippia; IV 61 (e 62, 63, 65, 67)andon] andòm; IV 61 sia] sea; IV 62 ch’a’ vuo’] che a vuò; IV 64 lasséme] lagheme; IV64 e V 68 st’usso] sto usso; IV 66 vuo’] vuogio; V 1 andassan] andassàm; V 2 andon]andòm; V 3 co’ se fa] con se fa; V 3 ocatti] occati; V 3 dissé-vu] disseu; V 4 sentireon-gi] sentirongi; V 5 seon] seòm; V 5andar] anar; V 5 muragie] muraggie; V 6 smaravegio]smaraveggio; V 6 V 8 e V 10 abié] habbiè; V 7 possan] possàm; V 7 adassan] adassàm;V 9 co’ a’ me metta] con a me metta; V 10 co’ fassé-vu] con fassevu; V 10 cognoserì]cognoscerì; V 10 pure] pur; V 10 abié] habbiè; V 10 battì-vu] battiu; V 10 ch’a’ ’l s’a’ve] che’l se ve; V 12 qu’è] què è; V 13 zinuogio] zinuoggio; V 13 maletto] malette; V 23sento muo’] sento à muò; V 23 corazzina] corrazzina; V 24 so-gie] songie; V 25 ch’a’]che a; V 26 s’a’ no] se a no; V 30 andon] andòm; V 31 andé] anè; V 33 a pe’] appè; V33 tropo] troppo; V 38 co’ a’] con à; V 39 seon] seòm; V 39 fenestre] finestre; V 39butarme] buttarme; V 39 cerviegi] cervieggi; V 39 boca] bocca; V 39 saì-vu] saiu; V 39cosa] consa; V 41 ch’a’] che; V 42 ch’a’ seon] che a seòn; V 43 ch’a’ vaghe] che a vaghe;

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V 43 stagàn] stagòn; V 43 a l’altro] all’altro; V 43 saì-vu] saìu; V 45 ch’a’ ve] che a ve; V46 andon] andòm; V 47 farè] faghe; V 48 vien] ven; V 48 d’i massari] de i massari; V 48ariverè] arriverè; V 49 andé] anè; V 50 abié] habbiè; V 52 ch’a’] che a; V 52 sarar st’us-so] sarrar sto usso; V 53 Trulio] Trullio; V 53 abie] habbie; V 53 ch’a’ ghe vesse] che gheveesse; V 53 a pe’] appè; V 53 ch’a’ no vorae] che a no vorrae; V 53 l’è] la è; V 53 uogio]hogio; V 53 inanzo] innanzo; V 53 prigolosi] prigolusi; V 53 spiriti] sperìti; V 53 amaz-za] ammaza; V 53 zenuogio] zenuoggio; V 53 chialò a farme amazzare] chialò, farmeammazzare; V 53 el m’è viso] el m’è deviso; V 53 si’-vu] siu; V 53 amazzò] ammazzò; V53 andar] anar; V 53 ch’a’ l’he cattò] che a l’hè cattò; V 53 ch’a’ no dissi] che a no dissi;V 53 co’ a’ ghe ordeniè] con a ghe ordeniè; V 55 viazuola] viazzuola; V 55 è pur la schio-na] è la so schiona; V 55 sbato] sbatto; V 56 che te] cha te; V 56 s’a’ lievano] se lievano;V 57 con’ a’ deghe] com a dego; V 59 per amor del perdon de messer Ieson Dio] om.;V 59 misericordia] misericuordia; V 61 è-llo] èlo; V 61 questa] questo; V 61 sipia] sip-pia; V 61catesse] cattesse; V 61 o’ cancaro è-llo] on cancaro è lo; V 63 potta de chi vefè] potta del cancaro; V 63 a’ si’] si; V 65 è-lla] èla; V 66 e sì no giera] e no giera; V 66du gambe] do gambe; V 66 dirè ’l vero] dirè el vero; V 66 el me vene] el me venne; V66 ch’a’ me pensava] che a me pensava; V 66 ch’ha far] c’ha a far; V 66 ch’a’ no] che ano; V 66 andesse daganto] andasse daganto; V 66 andon] andòm; V 66 n’evi] n’havi; V66 ch’a’ vezé] che a vezè; V 66 da conzarla] de conzarla; V 66 ch’andesse] che andasse;V 66 urtanto] urtando; V 66 a pe’] appè; V 67 seon] seòm; V 67 adesso per me’] per me;V 68 ch’a’ son] che a son; V 73 V 75 V 80 V 82 co chi? Co chi?] con chi? Con chi?; V77 hà-la] halla; V 85 ch’el dise] che el dise; V 86 quel’orco] quell’orco; V 86 ch’a’ ghe]che a ghe; V 88 ch’a’ no l’ho] che a no l’he; V 89 andon] andòm; V 89 andaron]andaròm; V 90 andon] andòm.

1.6. Vicenza, Eredi Perin, 1598 (M1598)

1.6.1. Descrizione

c. a1r: MOSCHETTA | COMEDIA | DEL FAMOSISSIMO | RUZANTE. | Non menopiacevole, che ridiculosa. | Di novo, con somma diligenza, riveduta, | & corretta. | INVICENZA, | Appresso gli Heredi di Perin Libraro. 1598. | Con licentia de’ Superiori 64.Colofone: assente.Formula collazionale: 8°; A-D4; cc. [1] 30 [1] 65.Contenuto: a1r: titolo. a1v: INTERLOCUTORI. A2r: PROLOGO. A4r: ATTO

64 Come la Greco, l’edizione Perin è completa (CRISTOFARI 1952: 207 n° 218): nell’esemplarebolognese mancano sia il frontespizio generale sia quello della prima commedia, e sono cadu-te le carte con la lettera di dedica a Vespasiano Zuglian (poi ancora nella successiva edizioneAmadio). Nella marca impiegata dagli Eredi Perin, che è una variante di quella registrata perM1565 (cfr. § 1.4.1), l’imperatore romano impugna un vessillo con la scritta SPQR e reca al fian-co i simboli del potere temporale (aquila imperiale appollaiata su globo terracqueo). Sull’atti-vità di Perin e dei suoi eredi cfr. MONTESE 1968, SIMEONE 1995/1996, ZIRONDA 1995/1996; inrelazione alle cartiere gestite da Perin e poi dalla sua vedova Anna cfr. le precisazioni di W. PAN-CIERA, Le attività manifatturiere del Vicentino tra XVI e XVII secolo e la cartiera di Dueville, inDueville. Storia e identificazione di una comunità del passato, a c. di C. Povolo, Vicenza, NeriPozza, 1985, vol. II, pp. 1035-1088, alle pp. 1071-1088 e SIMEONE 1995/1996: 202-209.65 La c. a1 (che contiene il frontespizio) e la c. d8 (bianca) non sono numerate.

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PRIMO. B2v: ATTO SECONDO. B5r: ATTO TERZO. C6v: ATTO QUARTO. D3r:ATTO QUINTO. D7v: il fine della Moschetta Comedia.Titolo corrente: PROLOGO; ATTO [PRIMO] [SECONDO] [TERZO] [QUARTO][QUINTO].Richiami: A2r: uò A2v: vo- A3r: ch’a A4r: Me A4v: ghe? A5r: el A5v: esser A6r: cuor-A6v: Tonin A7r: per A7v: Oh, A8r: Mò A8v: do B1r: gam- B1v: rerè, B2r: ATTO B2v:puttati B3r: Ru. B3v: è’l B4r: ben B4v: ve B5r: Bet. B5v: ATTO B6r: sip- B6v: Ru. B7r:zer B7v: SCE- B8r: SCE- B8v: re. C1r: Potta C1v: Mò C2r: A no C2v: SCE- C3r: gno,C3v: Mò C4r: A dighe C4v: Me. C5r: El C5v: hom C6r: ATTO C6v: ghi C7r: re. C7v: cheC8r: a no C8v: la D1r: Và D1v: per D2r: Caro D2v: ATTO D3r: Po D3v: Icz D4r: allaD4v: SCE- D5r: nari D5v: De, D6r: e in D6v: SCE D7r: ello,Tipi: Corsivo 84. In tondo prologo e didascalie (per i tratti ornamentali del corsivo, simi-le ma non identico a quello di M1617, cfr. la descrizione del carattere di M1561)

66. Carta: alle cc. 22 e 29 contromarca con lettera P maiuscola e trifoglio (anche a c. 15 deiDue dialoghi); a c. 22 di R1598 (cfr. § 4.6.1) àncora. P con trifoglio è testimoniata sia in fili-grane che hanno il disegno dell’àncora (MOSIN nn° 1088-1092 67, dove però la P in con-tromarca con un’altra lettera accompagna un’àncora racchiusa in un cerchio), sia in fili-grane con altri disegni (BRIQUET nn° 13697 e 13990; MAZZOLDI nn° 131, 208, 598, 981).Esemplari noti: Assisi, Biblioteca del Centro di documentazione francescana (edizionecompleta); Bergamo, Biblioteca Civica A. Mai, Cinq. 1 2121 (MAGLIANI 1999: 144 n°45) 68; Bologna, Biblioteca Universitaria; Brescia, Biblioteca Civica Queriniana (MAGLIA-NI 1999: 144 n° 45); Chiavari, Biblioteca della società economica; Firenze, BibliotecaNazionale Centrale (edizione completa; l’es. della Moschetta è segnato Palat. 12.3.0.1XIIIg

[catalogo a schede del Fondo Palatino]); Genova, Civico museo biblioteca dell’attore delTeatro stabile di Genova (edizione completa); Milano, Biblioteca dell’Accademia deiFilodrammatici (edizione completa); Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Racc.Dram. 3741/02 (edizione completa: catalogo in linea), Rari Melzi 24/01 (edizione com-pleta: MAI), Rari Melzi 24/06 (MAI); Padova, Biblioteca del Seminario Maggiore (edi-zione completa); Padova, Biblioteca Civica, B.P. 173 (MAGLIANI 1999: 143 n° 45); Pado-va, Biblioteca Universitaria, Rari NS.49 (edizione completa; MAGLIANI 1999: 143 n° 45);Padova, Biblioteca del Centro interdipartimentale di servizi di Palazzo Maldura (edizio-ne completa); Roma, Biblioteca Casanatense (due esemplari) 69; Roma, Biblioteca delBurcardo; Rovereto, Biblioteca Rosminiana (edizione completa); Rovigo, Biblioteca del-l’Accademia dei Concordi, Silv. 22.4. 16 e Silv. 42.1.1 (MAGLIANI 1999: 144 n° 45); Spo-leto, Biblioteca Comunale Giosuè Carducci; Torino, Biblioteca Civica Centrale (edizio-ne completa); Treviso, Biblioteca Civica, N.2611 e R.2.12.C (MAGLIANI 1999: 144 n° 45);Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Dramm. 3098 (edizione completa; MAGLIANI1999: 143 n° 145) 70; Verona, Biblioteca Civica, Cinq. F.987 (MAGLIANI 1999: 144 n°

66 Cfr. la m (in corsivo a c. A8r riga 18), la a (sia in tondo che in corsivo sul frontespizio), la e(in tondo a c. A3r riga 1, in corsivo a c. A4v riga 7) con tratto finale allungato. Alla stessa serie(sempre con tratto allungato) appartengono la A (c. A7v riga 10) e la v (ad es. c. A7v in tondonella didascalia). In R1598 vd. A c. A2r (richiamo); e sul frontespizio; I allungata con trattino chetaglia l’asta c. A4r righe 4 e 6; M c. A3v riga 19; n c. A4v riga 30; Q c. A6r riga 5; v tonda c.A2r (didascalia); vari esempi di z a c. A3v righe 12, 18, 20, 21 e 22. 67 Gli esempi, tutti provenienti dall’Europa balcanica, sono datati tra il 1540 e il 1575.68 CHIODI 1973: 45.69 CAIRO - QUILICI 1981: 393 n° 2745 (Comm. 478/3), n° 2746 (r. XIII. 24: edizione completa).70 Proveniente dalla biblioteca di Apostolo Zeno, il cui catalogo (mss. Marc. It. XI 288-293)registra l’edizione al vol. II, c. [50]r, col. b.

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nota al testo

145); Verona, Biblioteca della società letteraria (edizione completa); Vicenza, BibliotecaCivica Bertoliana, Gonz. 20.6.36 (edizione completa; MAGLIANI 1999: 143 n°145). Berlin, Staatsbibliothek (edizione completa: IA, IV 13); Chapel Hill, University ofNorth Carolina Library (STC It.-Usa, I 204); Chicago, University Library (STC It.-Usa, I204) 71; Dresden, Landesbibliothek (edizione completa: IA, IV 13); Kraków, BibliotekaJagiellonska (edizione completa) 72; London, British Library (edizione completa: STC It.85); Paris, Bibliothèque Nationale de France (edizione completa: catalogo in linea);Toronto, University Library (STC It.-Usa, I 204); Washington, Library of Congress (STCIt.-Usa, I 204). In possesso di privati o in vendita sul mercato antiquario: due esemplaridell’edizione completa in vendita dalle collezioni Selvaggi e Libri (GRAESSE VI 198). Esemplari esaminati: Bologna, Biblioteca Universitaria, V FF XI 351-9 (su cui è stata con-dotta la collazione).

1.6.2. Collazione del testo critico con M1598

Pr. 1 megio] miegio; Pr. 1 puo] pò; Pr. 2 con’] com; Pr. 2 brighè] brigà; Pr. 2 faghe]fagge; Pr. 2 e Dio sa con’ la va] om.; Pr. 3 mariè] marià; Pr. 3 co questo e co quello] conquesto e con quello; Pr. 3 de l’altre] dell’altre; Pr. 4 qualche consa] qual consa; Pr. 5 aon]a hòm; Pr. 5 fassan] fassàm; Pr. 5 niente] gniente; Pr. 6 el se vuò] el vuò; Pr. 7 collusion]colusion; Pr. 7 ficare] ficcare; Pr. 7 fichessan mè] fichessàm; Pr. 7 fassan] fassàm; Pr. 8disìmi] disime; Pr. 8 qui serae] chi serae; Pr. 8 quelù] quellù; Pr. 8 beco] becco; Pr. 8foesse (seconda volta)] fosse; Pr. 9 poco] puoco; Pr. 9 de far] da far; Pr. 10 vegnirghe]vegnire; Pr. 10 nu a’ no fassàn] nù no fassàm; Pr. 11 supié] supiòm; Pr. 11 arscolté]ascoltè; Pr. 11 andarà] anarà; Pr. 11 e Pr. 12 andasse] anesse; Pr. 12 no ’l ve] no vel; Pr.13 sapié] sappiè; Pr. 14 aba] habbia; Pr. 14 poea] po; Pr. 14 he catò un altro] hea cattòn’altro; Pr. 14 bregamasco] Bergamasco; Pr. 15 seon] seòm; Pr. 15 in la Crose] àagn’hom; Pr. 15 che quando a’ dì letàgnie, que a’ dì] quel che dise el provierbio; Pr. 16sipia] sippia; Pr. 16 silentio] selientio; Pr. 16 abian] habbiam; Pr. 16 e si a’ farì] e se a farì;Pr. 16 co’ a’ v’he ditto] con a v’è ditto; Pr. 16 faron] farom; Pr. 16 saron] saròm; Pr. 16continti] contienti; Pr. 17 bel e] bell’e; Pr. 17 possan] possàm; Pr. 17 per no me far] perno farghe; Pr. 18 vorae] vorràe; Pr. 18 andarà] anderà; Pr. 19 rebute] rebutto; Pr. 19 ale] alle; Pr. 19 Rilientie] rebelientie; I 1 puttana mo’ del] puttana del; I 1 Satanasso] Sat-tanasso; I 1 abi mè] habbi mè; I 1 tromento] tormento; I 1 lomentare] lumentare; I 1 cona’ he fatto] con he fatto; I 1 e chi l’ha impolò] om.; I 1 e sì a’ he lagò] e si hè lago; I 1vache] vacche; I 1 vegnir] venir; I 1 uomeni] huomini; I 1 Dise po ch’a’ gh’è libro arbi-tro!] Que ne vale el libro arbitro?; I 1 A’ gh’ ’on el cancaro ch’a’ ne magne] ch’el canca-ro ne magne; I 1 meritessan] melitessàn; I 1 copa] coppa; I 1 abia afaturò] habbia affa-turò; I 1 con’ fa] com fa; I 1 afaturò] affaturò; I 1 ch’i par] che i par; I 1 martiegi] mar-tieggi; I 1 faghe] fnghe; I 1 co’ un mena] com uno mena; I 1 Oh Dio oh Dio, àgieme]Ohi ohi agieme; I 1 co’ a’ t’insegnerè] con a t’insegnerè; I 1 acordarissi] accordarissi; I 1co ella] con ella; I 1 co’ a foesse morto] con a foesse morto; I 1 serae deroinò] saraederoinò; I 1 con’ dise] com dièsse; I 1 se la no vorrà] se la vorrà; I 1 con’ dise] com dise;I 1 diese] diesse; I 1 infina] inchina; I 1 con’ dise] con disse; I 1 pur ch’una] pur que na;

71 Forse lo stesso esemplare registrato da BREGOLI RUSSO 1984: 154 n° 528 (edizione comple-ta).72 Catalogus librorum saeculi XVI qui in Bibliotheca jagellonica cracoviensis asservantur, a c. diM. Malicki, Baden-Baden, Valentin Koerner, 2002, I, p. 330.

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nota al testo

I 1 co dise] con disse; I 1 una scusa] na scusa; I 1 orsù] hossò; I 2 andè] anè; I 2 galine]galline; I 3 agìa] aìa; I 4 sia andò, a la fe’] sea anò alla fè; I 5 co’ dise questù (tutte levolte)] con disse questù; I 5 cittaina] cettaina; I 6 co’ a’ me vi’] com a me vì; I 7 mo co’disse questù] mo disse questù; I 7 co’ a’ vago] con a vago; I 7 do] don; I 7 de brighè] debrigà; I 7 spiochiava] spiocchiava; I 7 de san Lazaro] del cancaro; I 7 me sento vegnire]me sento a vegnire; I 7 con’ fa sale] com fa sale; I 8 favellò] favelò; I 9 ch’a’ (tutte levolte)] què a; I 9 ah] an; I 9 co’ a’ solivi] co(n) a solivi; I 9 lo tempo] el tempo; I 10 ch’a’ve daghe] che ve daghe; I 11 sbate] sbatte; I 11 fì] xè; I 11 patarina] pattarina; I 14 mata]matta; I 14 co’ a’ son] com a son; I 15 incontro] incontra; I 16 ghe’ ’n] gh’in; I 16 andaes-se] anaesse; I 16 andé] anè; I 19 co’ a’ ve] con a ve; I 19 abie] habbie; I 19 da pallo] depallo; I 19 vegnerè] vegnirè; I 19 a ca’] in cà; I 20 andare] anare; I 22 moa a’] mo a; I 22era] vera; I 23 so’ (prime quattro volte)] to; I 23 raisuola] raisola; I 23 pure con puocafaiga] pur con poca faiga; I 23 almanco] almasco; I 23 uuogi] huogi; I 23 co’ i spiegi] conè spiegi; I 23 co’ è na] com è na; I 23 speciarìa] specialìa; I 23 abi] habbi; I 23 puo’ denoella ch’a’ ghe] pò de noella che gha; I 23 scaperè] scapperè; I 23 domino dominanto]paron dessoluto; I 23 anare ver] anare a ver; I 24 bel mester bel] bel mester; I 24 obli-gat] obligà; I 24 fació] facciù; I 24 coris] corris; I 24 todeschi] todesch; I 24 comanda-met] commandament; I 24 ch’in termen] che in termen; I 24 debi] debbi; I 24 camp]campagna; I 24 orsù, pacetia, a’ ’m] horsù am; I 24 con’ s’a’] com s’a; I 24 a l’us] all’us;I 24 do des] de des; I 24 può] pò I 24 per Dè per Dè] om.; I 24 casa] cà; I 24 a l’impro-vis] all’improvis; I 29 de le] delle; I 30 insema] insemma; I 30 uomeng] omegn; I 30 gene-ratió] generatiù; I 30 buò] bò; I 30 vachi] vacchi; I 30 aseng] asegn; I 30 dolzo] dolz; I30 talmet] talment; I 30 ch’a’ possi] che possi; I 30 amaramet] amarament; I 30 a’ si’ purbella, a’ si’ pur tutta relusenta] a sì pur tutta relusenta; I 31 esser] essere; I 31 m’arecor-de] me recorde; I 31 n’arè besognò] n’harae besognò; I 31 abiù] habbìo; I 31 ungie lun-ghe] ongie longhe; I 31 d’intorno] intorno; I 31 cossì] così; I 31 da novo] da nuovo; I 31magari] magaria; I 31 per sti santi De guagnili] om.; I 31 parrae] parea; I 31 cussì] così;I 31 pelle] pele; I 33 alla ffe’ (tutte le volte)] alla fè; I 34 provésef] provessef; I 34 affang]affagn; I 35 per vu] pre vò; I 37 ch’a’ no si’] he a no si; I 38 abrazzem] abbrazzem; I 39ch’a] che a; I 40 debi] debbi; I 40 doca] doncha; I 41 agnun n’abie] agnon n’habbie; I42 debi] debbi; I 42 scaremuzza] scaramuzza; I 42 meneref] menaref; I 44 da Domnedè]om.; I 45 ne] in; I 46 vorésef] voressef; I 47 vossevu] vosseu; I 50 ù cest] ò cest; I 50ch’andé] che andè; I 50 galini] gallini; I 50 ol] ul; I 50 ì] in; I 50 vorrésef] voresef; I 51toco] tocco; I 52 ch’a’] che; I 53 tuove (tutte le volte)] tuolive; I 54 darondella] doron-della; I 54 diridondella] dirondella; I 54 d’i lari] de i lari; I 54 bregamasco] bergamasco;I 54 ch’a’ i portesse] che a i portasse; I 54 abi] habbi; I 54 borsetto] borsato; I 54 Diosa] chi sa; I 54 a’ son cattivo mi] a son cattivo an mi; I 54 sente a dir] sente dir; I 54 fagan-dola] fagandoghela; I 54 g’uomeni] gi huomeni; I 54 i no sa] i no ’l sà; I 54 co’ un te dise]con un te dise; I 54 sapia] sappia; I 54 digi uogi] de gi uogi; I 54 ghe mini] ga mini; I 54sgamba cavera] a sgamba cavera; I 54 co’ a’ m’arecordo] con a m’arecordo; I 54 qu’elpara] om.; I 56 tuore] tnore; I 56 aerae] harae; I 56 pruopio] pruorpio; I 56 na noella]una noella; I 60 se Dio m’aì] om.; I 60 fiè la buona] fè la bona; I 60 borsatto] borsato; I60 a’ fiè così an’ mi] a fiè an mi; I 60 qui dea] qui che dea; I 63 vilà] villà; I 64 seon]seòm; I 64 aon] haòm; I 64 robà] robba; I 64 sbuseron] sbuseròm; I 64 pelle] pele; I 64criviegi] crivieggi; I 66 custion] costion; I 66 tut’om] tutt’hom; I 68 con’ disse] com disse;I 68 zaperì] zapperì; I 71 cancar] cancher; I 71 ocg] occh; I 72 momisuolo] montisuolo;I 72 sangue] sango; I 72 o per forza] per forza; II 1 con’ (tutte le volte)] com; II 2 ama-zar] ammazzar; II 2 quelù] quellù; II 3 amazzare] ammazzare; II 3 co’] com; II 4 d’ella]

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nota al testo

de ella; II 4 l’è na putta] l’è na na putta; II 4 mo del resto l’è na santarella] om.; II 4 s’aon]s’haàom; II 4 puttati] puttai (puttati parola richiamo a c. B2v); II 4 andaea] anasea; II 4amorizavimo] amorizavino; II 4 saìvino] saivimo; II 6 con’ a’ son sentò] s’a son sentò; II6 a pe’] appè; II 6 la n’è de ste] la no è de ste; II 6 con’ a’ vuogio] com a vuogio; II 6 stra-co] stracco; II 6 intendì-u (seconda volta)] intendivu; II 6 vogia] vuogia; II 6 fantasie]fantasì; II 8 co’ a’ ghe dighe] con a ghe dighe; II 8 con’ dise] com disse; II 8 tri] tre; II 9con’] com; II 9 ch’a’ si foesse] che se a foèsse; II 11 cittain] cettain; II 11 scolaro] scoe-laro; II 11 sarì] saerì; II 11 catessé] cattessè; II 12 fatta] fatto; II 13 boni] buoni; II 16andon] anòn; II 17 almanco] amanco; II 18, II 41 inchina drio l’altaro] in negun luogo;II 20 tanta] ta(n)to; II 21 gros] gross; II 21 plaza] plazza; II 21 vilania] villania; II 21 coms’el] con s’el; II 21 lecà’] leccà; II 21 mo a ogni] ma a ogni; II 21 fioi] fiui; II 21 inanz(tutte le volte)] innanz; II 21 in o’ a’ ’l trovi] se al trovi; II 22 è pur el gran] è pure ungran; II 22 co no so que] con no so que; II 22 drapi] drappi; II 22 scolaro] scoelaro; II22 a’ no crezo] e no crezo; II 22 deba] dibbia; II 22 ch’è fatta] che è fatta; II 22 co’ è]con è; II 22 gi torà] i torrà; II 22 vorà amazzare] vorrà ammazzare; II 22 co’ l’è fatto] conl’è fatto; II 22 osserà] onserà; II 22 sbraoserà ben] sbraoserà ben diganto; II 22 suemerde] suo merde; II 22 andarà] anderà; II 22 e puo mi] e po mi; II 22 poer stare] purstare; II 23 cognoscirae] cognoscerae; II 23 cognoscige] cognosce; II 23 mo’ insegnò] mèinsegnò; II 23 co’ abia] con habbia; II 23 e gh’in’] a gh’in; II 23 coresto] corresto; II 23amazzò] ammazzò; II 23 squaso amazzò] squaso ammazzò; II 23 co’ a’ ghe] com a ghe;II 23 oh Dio] om.; II 23 a l’usso] all’usso; II 23 con’ a’ dighe] com a dighe; II 23 andar]anar; II 23 co’ è quigi] con è quigi; II 23 guagneriè-gi] guagnerèggi; II 23 fallo] falo; II25 sono] son; II 25 vu] vuù; II 26, II 30 se Diè m’aî] om.; II 27 sapeti] sapete; II 27cognossiti] conosciti; II 27 guardatime] guardateme; II 29 no me cognosseti] non me locognosseti; II 33 Dio] om.; II 39 vegnirano] vegniranno; II 40 e ch’el] che ’l; II 41 potta]pota; II 41 dunca] donca; II 41 arpassar] arpassare; II 41 da le man] delle man; III 1cognescivi] cognoscivi; III 1 ara’ abù] harè habbù; III 1 faze] fazze; III 1 matezzuola]mattezzuola; III 2 ficare] ficcare; III 2 monestiero] sarragio; III 3 matezuola] mattez-zuola; III 3 trepo] treppo; III 3 squaso che no dissi] squaso ch’a’ no dissi; III 3 sipia cat-tiva] sippia cattiva; III 3 cancar’è] cancaro; III 3 abù] habbù; III 3 a’ no farè peccò, per-qué] om.; III 3 me ha archiapò] me archiapò; III 3 vaghe] vago; III 3 sipia] sippia; III 3ferìa] ferrìa; III 3 igi] iggi; III 4 mieriti] mieliti; III 4 apicò] appiccò; III 7 regratiat] rin-gratiat; III 7 Domnedè] Amor; III 7 Betia] Bettia; III 8 vien] ven; III 8 amazzò] ammaz-zo; III 9 Potta de Domene, que aì-vu?] Potta que del cancaro haivu?; III 10 stò sbusò]stà sbusò; III 12 caté] cattè; III 13 abié] habbiè; III 14 sente] sento; III 14 ch’a’ ’l] ch’el;III 21 a’ ve dighe] a dighe; III 24 anderè] anerè; III 24 toélla] toilla; III 24 ch’a’ la no]che la no; III 24 me’ berretta] me beretta; III 24 ficà] ficcà; III 24 ficarme] ficcarme; III24 a pe’ della] appè dalla; III 24 e farme ben covrire a ella. Bettia?] om.; III 24 potta dechi te fè] om.; III 24 frufante] furfante; III 24 apicò] appicò; III 24 oh poltron desgra-tiò] oh desgratiò; III 24 cogómbaro] cogiombaro; III 24 te t’hè pur] te ti è pur; III 24andà] anà; III 24 monestiero] serragio; III 24 ch’a’ sarè] che sarè; III 24 Ti hè fatta mone-ghella, poveretta, descalzarella!] Ti è ben mo poveretta, e descalzarella; III 24 putati]puttati; III 24 abiam] habbiàm; III 24 seon] seom; III 24 aon] haom; III 24 abi] habbi;III 24 sta’ con Dio] a m’arecomando; III 24 se’-tu] situ; III 24 fazzan (tutte le volte)]fazzàm; III 24 posson] possòm; III 24 lungo lungo] longo longo; III 24 l’insegnasse] lainsegnasse; III 24 andà] ana; III 25 cerché-vu] cercheu; III 25 on] hom; III 30 sipié] sip-piè; III 30 son] ston; III 31 cristian de Dio] christian; III 31 dretta] derta; III 32 o’ è-lla]on èla; III 32 andà] anà; III 33 de quel soldà] del soldò; III 34 andà] anà; III 34 ì-vu]

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nota al testo

hiu; III 35 cristian de Dio] christian; III 36 an’ in’ spiero] a spiero; III 36 a’ ’l besogna(tutte le volte)] el besogna; III 36 ch’a’ no ghe vaghe] che no ghe vaghe; III 36 molesin]mollesin; III 36 ch’a’ ’l dise] ch’el dise; III 38 déme] demme; III 40 fé-vu] feu; III 40démela] demmela; III 42 m’intendì] me intendì; III 42 un po’ chialò] un può chialò; III42 da l’usso] dall’usso; III 47 vegni ’l] vegna ’l; III 51 a’ ’n metti] a metti; III 51 ma ’l]ma el; III 51 ficà’] ficcà; III 51 bardela] bardella; III 52 de l’intendere] dell’intendere; III52 a’ ’l besogna] el besogna; III 52 che ’l laghe] ch’al laghe; III 52 mil’agni] mill’agni;III 53 de l’ardigió] dell’ardigiò; III 53 de la] della; III 54 fé-vu] feu; III 57 a’ ’l besogna]a besogna; III 58 d’i] de i; III 60 a le] alle; III 60 è-lla] èla; III 63 abi sapù] habbi sappù;III 63 archiapò] archiappò; III 63 tuò mo’ su] tuo sù; III 64 potta de chi te fè] potta mo;III 66 andon] andòm; III 66 a la fe’] alla fè; III 67 ch’a’ no ’l] che a no ’l; III 67 mierito]mielito; III 68 sutile] sottile; III 69 ti si’ fatto] ti hè fatto; III 72 ch’el ghe magne el can-caro] che el cancaro el magne; III 72 félo félo compare] felo compare; III 72 cri-tu] crito;III 72 de la] della; III 76 andon (tutte le volte)] andòm; III 78 andasea] anasea; III 78fasea] farae; III 78 rabioso] rabbioso; III 79 volivi-tu] vuolivitu; III 81 se t’in’] s’a t’in;III 81 dime] dimme; III 81 que] chi; III 81 con’ a’ fasea] com à fasea; III 83 drizzare]drezzare; III 83 a’ ’l besogna] el besogna; III 83 cosa] consa; III 83 de sotto] sotto; III83 ch’a’ faghe fuora] che a faghe fuora; III 83 seon] seòm; III 83 dessan] dessàm; III 83duormi] druomi; III 83 co’ fa] con fà; III 83 ch’a’ sarae] che a sarae; III 84 ch’a’ son] chea son; III 85 sempre mè (prima volta)] sempre mì; III 85 con’ se fa] com se fa; III 86 ch’a’muora] che a muora; III 86 che son] ch’a son; III 87 con’ te divi] com ti divi; III 87 inten-di-tu] intinditu; III 88 al sangue de san Lazaro] al sangue no me far dire; III 88 ch’a’ son]che a son; III 89 e tuoteme] tuoteme; III 89 ch’a’ son] che a son; III 89 de l’anore] del-l’hanore; III 90 mattezuola] mattezzuola; III 90 on] hom; III 93 paroli] paroi; III 94 moa’] moa a; III 94 dare] dar; III 95 dam] dami; III 96 con’ disse] com disse; III 97 abi]habbi; III 98 senteresi] sentarè; III 98 canchero] cancaro; III 98 de la deroina] delladeroina; III 98 cani] can; III 98 adesso] adosso; III 98 co i pugni] con i pugni; III 98 a’no me vuò strangolare] a me vuò strangolare; III 98 co un pugno] con un pugno; III 98e si el] eh eh si el; III 98 vien almanco] viè almanco; III 98 Iesò] om.; III 98 comenzas-se] scomenzasse; III 98 Di’ almanco un patar nuostro per mi... orsù, sta’ con Dio, ch’a’scomenzo!] Horsù a scomenzo; III 98 co’ a’ sea] con a sea; III 98 apicherè] appiccherè;III 99 sarae] saerae; III 99 co’ è andò] con è andò; III 99 andar] anar; III 99 è invelò] xèinvelò; III 99 acolegò] accolgò; III 100 ch’a’ ve] che ve; III 102 abù] habbù; III 102 del’atto] dell’atto; III 102 viegni] vigni; III 103 ch’a’ no (tutte le volte)] che a no; III 104ch’a’ no he] che a no he; III 106 scorrezzà] scorezzà; III 106 ch’a’ (tutte le volte)] che a;III 107 potta de chi ve fè] potta; III 107 ch’a’ no] che a no; III 108 averon] haveròm; III109 favelò] faellò; III 110 favellò] faellò; III 112 vuò] vò; III 112 ch’è soi] che è soi; III112 saì-u] saivu compare; III 112 ch’a’ v’he] che a v’hè; III 113 smaravegiava] smara-veggiava; III 113 ch’a’ fé] che a fè; III 113 andare] anare; III 113 co ste] con ste; III 113andé] anè; III 114 rico] ricco; III 114 gh’i] ghe i; III 115 smaravegie] smaravegio; III 115ch’a’ gh’ ’ì] che a ghe gi hì; III 115 tolti] tulti; III 116 se n’aigié] s’a no aiè; III 117 ch’elv’è] che el v’è; III 117 bel onore] bell’hanore; III 118 e si el] e se el; III 118 andarè]anarè; III 118 poestà] poestò; III 118 i me] el me; III 118 igi] ello; III 119 bel anore] bel-l’hanore; III 120 andévela] anevela; III 120 prometìghe] promettighe; III 120 per mi] premi; III 120 félo] fello; III 123 son] som; III 123 vossan] vossàm; III 123 ch’a’ ne] che ane; III 126 s’a’ ’m] s’t’àm; III 126 daref] darò; III 127 on] hom; III 127 vegnire] vegnir;III 128 só] son; III 129 a sto muo’ an’] a sto muò; III 129 no se] on se; III 129 con’ a’fé] com a fè; III 129 iè-gi] èggi; III 130 fuorsi] fuossi; III 132 conzéla] conzèlla; III 134

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nota al testo

conzéla (tutte le volte)] conzèlla; III 134 on da ben] hom da ben; III 134 muorto] morto;III 134 ca la dise] che la dise; III 134 potta de chi te fè] potta del cancaro; III 134 d’o-pinion] de pinion; III 134 e co’ un] e con un; III 134 na parola] una parola; III 134 ape’] appè; III 134 sì compare] e si compare; III 134 cizola] cizzola; III 134 e ella] e ela;III 134 ogn’ano] ogn’anno; III 134 co un frare o co la compagnia de sant’Antuognio] conel nostro Degan o con la compagnia de Tognon; III 134 ca ’l dise] ch’el dise; III 134 tira-re] tirar; III 134 abia] habbia; III 136 ti si’] te si; III 140 ch’a’ no darae] che a no darae;III 141 Dio e me’ compare] me compare an tì; III 141 ariessi] arissi; III 141 d’i fatti] dei fatti; III 142 a’ m’ara’] a me harà; III 143 sté con Dio] a m’arecomando; III 143 on daben] hom da ben; III 144 sté con Dio] om.; III 144 de la] della; III 144 posson] possòm;III 145 colù] colà; III 145 marcè] mercè; III 145 madona] madonna; III 145 bergama-sch] bergamesch; III 145 è tug omegn] è homegn; III 148 omo] hom; III 148 ch’el nov’intravegne] che el no ve intravegne; III 148 abia] habbia; III 149 s’a’ si’] se a si; III 149ch’a’ m’aesse] che a me haèsse; III 149 sapù] sappù; III 150 ch’a’ he] che a hè; III 150co’ a’] con a; III 151 ma] mò; III 152 andé] anè; IV 1 vilà (tutte le volte)] villà; IV 1 feri-di] fridi; IV 1 stocadi] stoccadi; IV 1 abut] habbut; IV 1 co essa] con essa; IV 1 dona]donna; IV 1 otramet] otrament; IV 1 condurà] condurrà; IV 1 saraf] saref; IV 1 alegrez-za] allegrezza; IV 1 mud] muod; IV 1 fat] fatt; IV 2 co questo e co st’altro] con questoe con st’altro; IV 2 co qui] con chi; IV 2 andar] anar; IV 2 vene] venne; IV 2 apicò]appiccò; IV 2 ne darà] me darà; IV 2 cosa] consa; IV 2 imbatesse] imbattesse; IV 2 ch’a’no vuo’ dire] che a no vuò dire; IV 2 andarè] anare; IV 2 andar] anar; IV 2 denanzo via]denanzo; IV 2 per mi] pre mi; IV 2 a’ te vuo’] ch’a te vuò; IV 2 magnare] magnar; IV 2scardoa] scardola; IV 2 grella] greèlla; IV 4 spale] spalle; IV 6 ch’a’ i vuo’] che a i vuò;IV 6 uogi] uochi; IV 7 ch’a’ vorrò] che a vorrò; IV 7 m’ol scambi] me ’l scambi; IV 8potta de chi te fè] potta del cancaro; IV 8 butte] butto; IV 8 drio l’altaro] in cà; IV 8foessi] foissi; IV 8 amazzare (seconda volta)] amazzar; IV 8 co tutto] con tutto; IV 9 spali]spalli; IV 10 vorrissi] vorissi; IV 11 va’ con Dè] và via; IV 12 co tutto] con tutto; IV 12peca] pecca; IV 12 a la ffe’] a la fè; IV 12 supia] suppia; IV 12 vien fuora] viè fuora; IV13 su caval] su ù caval; IV 14 che son stò] che a son stò; IV 14 co’ t’hè fatto] con t’hefatto; IV 15 battezat al albuol d’i porz] cazzador d’aseni, e porz; IV 16 ravazzolo] ravaz-zuolo; IV 17 aspetterè] aspettarè; IV 17 s’a’ ’n vegni] s’a’m’ vegni; IV 20 che gh’in’] ch’agh’in; IV 20 dar] dare; IV 20 ammazzessano] ammazzessàm; IV 20 ca morire] che mori-re; IV 20 vien-tu] vietu; IV 20 no vien] no viè; IV 21 traditor] traditùr; IV 30 viè] ven;IV 30 t’è soldò] t’iè soldò; IV 31 s’a’ ’l] s’el; IV 31 al manc] manch; IV 32 fare] far; IV32 farè] faràe; IV 34 n’aesse] ne haesse; IV 35 ch’a’] che a; IV 38 arecorderè] arecordarè;IV 38 vi’] vè; IV 38 ch’a’ ’l] che’l; IV 38 co Rolando] con Rola(n)do; IV 39 va’ con Dè]và via; IV 39 co’ andè] con andè; IV 39 ol pret] quel; IV 39 s’a’ ’l] s’el; IV 39 ch’a’ ’n]ch’a m’; IV 43 mo son] mo a son; IV 44 bregamasco] bergamasco; IV 44 è-llo] èlo; IV46 féghe dire le messe de san Griguolo] fè che’l se guarde; IV 47 è-llo morto] om.; IV 48no, el vuò mazzare mi] perque a’l vuò mazzar mi; IV 49 volì-vu] volìu; IV 50 co ello] conello; IV 51 agnon] agnòm; IV 53 aparechiè] apparecchiè; IV 53 amazza] ammazza; IV 54co ello] con ello; IV 56 sipié] sippiè; IV 56 a’ stramezarì] stramezarì; IV 56 dirè] dirò; IV56 ch’a’ perdo] che perdo; IV 56 co’ è i cavagi] con è i cavagi; IV 57 è-lla] ela; IV 57 def-ferientia] defferentia; IV 57 posse] poèsse; IV 58 quelù] quellù; IV 59 andarì] anarì; IV59 andar] anar; IV 59 a’ saì] e saì; IV 59 cognosson] cognossòm; IV 60 combatter] com-battere; IV 61 sipia] sippia; IV 61 (e 62, 63, 65, 67) andon] andòm; IV 61 sia] sea; IV 62ch’a’ vuo’] che a vuò; IV 64 lasséme] lagheme; IV 64 (e 68) st’usso] sto usso; IV 66 vuo’]vuogio; V 1 andassan] andassàm; V 2 andon] andòm; V 2 potta de chi ve fè] potta del

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cancaro; V 3 co’ se fa] con se fa; V 3 ocatti] ocati; V 3 dissé-vu] disseu; V 4 sentireongi]sentirongi; V 5 seon] seòm; V 5 andar] anar; V 5 muragie] muraggie; V 6 smaravegio]smaraveggio; V 6 (e 8, 10) abié] habbiè; V 7 possan] possàm; V 7 adassan] adassàm; V9 co’ a me metta] con a me metta; V 10 co’ fassé-vu] con fassevu; V 10 cognoserì] cogno-scerì; V 10 pure] pur; V 10 abié] habbiè; V 10 battì-vu] battiu; V 10 ch’a’ ’l s’a’ ve] che’l se ve; V 11 ferdo] freddo; V 12 qu’è] què è; V 13 zinuogio] zinuoggio; V 13 maletto]malette; V 14 potta de chi ve fè] potta del cancaro; V 23 sento muo’] sento a muo; V 23corazzina] corrazzina; V 24 so-gie] songie; V 25 ch’a’] che a; V 26 s’a’ no] se a no; V 29ho-ggi] hogi; V 30 andon] andòm; V 31 andé] anè; V 33 a pe’] appè; V 33 tropo] trop-po; V 38 potta de chi ve fè] potta del cancaro; V 38 co’ a’] con à; V 39 seon] seòm; V 39fenestre] finestre; V 39 butarme] buttarme; V 39 cerviegi] cervieggi; V 39 boca] bocca;V 39 saì-vu] saiu; V 39 cosa] consa; V 40 potta de chi ve fè] potta; V 41 ch’a’] che; V 42ch’a’ seon] che a seòn; V 43 ch’a’ vaghe] che a vaghe; V 43 stagan] stagòn; V 43 saì-vu]saìu; V 45 ch’a’ ve] che a ve; V 46 andon] andòm; V 47 farè] faghe; V 48 vien] ven; V 48d’i massari] de i massari; V 48 ariverè] arriverè; V 48 vegne] vegno; V 49 andé] anè; V50 abié] habbiè; V 52 ch’a’] che a; V 52 sarar st’usso] sarrar sto usso; V 53 Trulio] Trul-lio; V 53 abie] habbie; V 53 vesse] veesse; V 53 a pe’] appè; V 53 ch’a’ no vorae] che ano vorrae; V 53 l’è] la è; V 53 uogio] hogio; V 53 per muzzare] per muzare; V 53 se node muzzare] se no ne muzzare; V 53 inanzo] innanzo; V 53 pure in lo] pur in lo; V 53prigolosi] prigolusi; V 53 spiriti] sperìti; V 53 a’ dirè el patanostro] om.; V 53 amazza]ammazza; V 53 sono] sonno; V 53 zenuogio] zenuoguio; V 53 senza confessarme e senzagnente] senza dir gnente; V 53 chialò a farme amazzare] chialò, farme ammazzare; V 53el m’è viso] el m’è deviso; V 53 si’-vu] siu; V 53 amazzò] ammazzò; V 53 andar] anar; V53 ah, sangue] al sangue; V 53 ch’a’ l’he cattò] che a l’hè cattò; V 53 ch’a’ no dissi] chea no dissi; V 53 co’ a’ ghe ordeniè] con a ghe ordeniè; V 53 porà] poràe; V 55 fallò] falò;V 55 viazuola] viazzuola; V 55 mia ca’] mie cà; V 55 è pur la schiona] è la so schiona; V55 sbato] sbatto; V 56 che te] cha te; V 56 s’a’ lievano] se lievano; V 57 con’ a’ deghe]com a dego; V 59 per amor del perdon de messer Ieson Dio] om.; V 59 misericordia]misericuordia; V 61 è-llo] èlo; V 61 questa] questo; V 61 sipia] sippia; V 61 catesse] cat-tesse; V 61 o’ cancaro è-llo] on cancaro èlo; V 63 potta de chi ve fè] potta del cancaro;V 63 a’ si’] si; V 65 è-lla] èla; V 66 e sì no giera] e no giera; V 66 du gambe] do gambe;V 66 dirè ’l vero] dirè el vero; V 66 con’ a’ viti] con viti; V 66 el me vene] el me venne;V 66 ch’a’ me pensava] che a me pensava; V 66 ch’ha far] c’ha a far; V 66 ch’a’ no] chea no; V 66 andesse daganto] anasse daganto; V 66 farme la crose] segnarme; V 66 fiè lacrose] segnè; V 66 andon] andòm; V 66 n’evi] n’havi; V 66 ch’a’ vezé] che a vezè; V 66da conzarla] de conzarla; V 66 vivere in santa pase] viver in pase; V 66 né gnente] nè pìgnente; V 66 ch’andesse] che anasse; V 66 urtanto] urtando; V 66 a pe’] appè; V 67 seon]seòm; V 67 adesso per me’] per me; V 68 oh, per la bell’amor de Dio] o là de gratia; V68 ch’a’ son] che a son; V 73 (anche a 75, 80, 82) co chi? Co chi?] con chi? Con chi?; V77 hà-la] halla; V 84 potta de chi te fè] potta mò; V 85 ch’el dise] che el dise; V 86 ancompare] a compare; V 86 quel’orco] quell’orco; V 86 ch’a’ ghe] che a ghe; V 86 san-gue] sangne; V 88 ch’a’ no l’ho] che a no l’he; V 89 andon] andòm; V 89 andaron]andaròm; V 90 andon] andòm.

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1.7. Vicenza, Amadio, 1617 (M1617)

1.7.1. Descrizione

c. a1r: MOSCHETTA | COMEDIA | DEL FAMOSISSIMO | RUZANTE. | Non menopiacevole, che ridiculosa. | Di novo, con somma diligenza, riveduta, | & corretta. | INVICENZA, | Appresso Domenico Amadio. MDCXVII. | Con licenza de’ Superiori 73.Colofone: assente.Formula collazionale: 8°; A-D8; [1] 2-31 [1] cc.Contenuto: a1r: titolo. a1v: INTERLOCUTORI. A2r: PROLOGO. A4r: ATTOPRIMO. B2v: ATTO SECONDO. B6r: ATTO TERZO. C6v: ATTO QUARTO. D3r:ATTO QUINTO. D7v: Il fine della Moschetta Comedia. D8: bianco.Titolo corrente: PROLOGO; ATTO [PRIMO] [SECONDO] [TERZO] [QUARTO][QUINTO]Richiami:A2r: gh’in A2v: ve- A3r: ben A4r: Me A4v: chè: A5r: el A5v: esser A6r: cuor-A6v: Tonin A7r: per A7v: Oh, A8r: Mè A8v: do B1r: gam- B1v: rerè B2r: ATTO B2v:puttati B3r: Ru- B3v: è l B4r: ben B4v: ve B5r: Bet. B5v: ATTO B6r: sip- B6v: Ru. B7r:zer B7v: SCE- B8r: SCE- B8v: rè. C1r: Potta C1v: Mò C2r: A no C2v: SCE- C3r: gno,C3v: Mò C4r: A dighe C4v: Me. C5r: El C5v: hom C6r: ATTO C6v: ghi C7r: re. C7v: cheC8r: a no C8v: la D1r: Và D1v: per D2r: Ru. D3r: Po D3v: Ru. D4r: alla D4v: SCE- D5r:nari D5v: De, D6r: e in D6v: SCE- D7r: ello73 Come M1584 e M1598, anche M1617 è parte di un’edizione integrale delle opere di Ruzante, confrontespizio identico a quello di M1584, salvo che nell’indicazione della data e dello stampato-re. L’ordine delle opere è il seguente: Piovana, Anconitana, Rhodiana, Vaccaria, Fiorina,Moschetta, Due Dialoghi, Dialogo, Tre Orazioni. Da M1584, a trentatre anni di distanza, vieneripresa anche la lettera dedicatoria a Vespasiano Zuglian, mentre cambia l’avviso ai lettori, chetrascrivo di séguito: «Sono così amate, & ammirate al mondo l’opere del famosissimo SignorAngelo Beolcho nobile Padovano detto Ruzante, per le sentenze, motti, argutie, & documen-ti in esse contenuti, che come libro dottissimo, & piacevolissimo è da ogn’uno desiderato, &bramato. La onde, havendo io sodisfattione, l’ho di nuovo con ogni diligenza ristampato, &,a fine che non vi sia che più in esso desiderare, lo do fuori tutto purgato, corretto, & al pri-miero candore, & naturalità restituito. Piaccia alla nobiltà dell’animo vostro, godendo il libro,gradir la mia fatica, & buona intentione, la quale sarà di continuo pronta all’universal com-modo, & servigio; & qui hormai prevedendo, & godendo delli piaceri, che ne cavarete, facciofine, senza fine osservandovi. Di Vicenza, li 20 Genaro 1617». Per la marca cfr. § 1.5.1. Sulfrontespizio di M1617 si trova un vaso di fiori, ma probabilmente si tratta di una figura orna-mentale e non di una marca (non se ne trovano di simili in ZAPPELLA 1986; un caso analogodatato al 1599 in D.E. RHODES, Silent printers. Anonymous Printing at Venice in the SixteenthCentury, London, The British Library, 1995, p. 64; un altro esempio padovano del 1598 inREGONÒ B4v, dove la xilografia con vaso di fiori divide una sezione del libro dalla successi-va). Val la pena di notare che, nonostante un certo numero di ritocchi dettati da ragioni di cau-tela, né M1584, né M1598, né M1617 sono edizioni propriamente censurate: le opere di Ruzante nonfurono incluse, infatti, in nessuno degli indici noti: vd. in ordine cronologico J.M. DE BUJAN-DA, Index de Rome 1557, 1559, 1564, Les premiers index romains et l’index du Concile de Tren-te, Sherbrooke - Genève, Centre d’Études de la Renaissance, 1990; J.M. DE BUJANDA et alii,Index de Rome 1590, 1593, 1596. Avec étude des index de Parme 1580 et Munich 1582, ivi,1994; J.M. DE BUJANDA, Thesaurus de la littérature interdite au XVIe siècle, ivi, 1996. A segnodell’attenzione dei censori per i testi teatrali basta vedere nell’ultimo volume citato (pp. 826-839) l’edizione dell’indice manoscritto (1576) del maestro del Sacro Palazzo Paolo Costabili,che includeva anche una voce potenzialmente onnicomprensiva come quella di «comediedishoneste».

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Tipi: Corsivo 83. In tondo prologo e didascalie (il corsivo è simile a quelli di M1598 e M1561:cfr. § 1.3.1).Carta: alle cc. 17-18 àncora con marre disegnate da una sola linea, racchiusa in un cer-chio sormontato da un cerchio più piccolo identico a quello che orna la parte terminaledell’àncora. Né BRIQUET né PICCARD Anker offrono riscontri utili. Esemplari noti: Bergamo, Biblioteca Civica A. Mai, Sala 41 D 1 11 e Antisala E 2 27(MAGLIANI 1999: 147 n° 46); Brescia, Biblioteca Civica Queriniana, 5a.F.VIII.11(MAGLIANI 1999: 147 n° 46); Città di Castello, Biblioteca Comunale Giosuè Carducci(edizione completa); Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, 60.8.171 (catalogo a sche-de); Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Racc. Dramm. 3072 (edizione completa,catalogo in linea), Racc. Dramm. 3308 (MAI); Milano, Biblioteca dell’Accademia deiFilodrammatici (edizione completa); Padova, Biblioteca Civica, B.P. 178 e B.P. 1078(MAGLIANI 1999: 146 n° 46, Opac della Provincia di Padova); Padova, Biblioteca Uni-versitaria, 11.c.89 e Rari N.S.58 (MAGLIANI 1999: 147 n° 46); Roma, Biblioteca Nazio-nale Centrale Vittorio Emanuele II (due esemplari dell’edizione completa, in uno mancal’Anconitana); Roma, Biblioteca Universitaria Alessandrina (edizione completa); Roma,Biblioteca Casanatense 74; Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana (edizione completa;secondo MAGLIANI 1999: 147 n° 46 un’edizione con segnatura Dramm. 251 mutila delDialogo facetissimo e delle Tre Orationi); Vicenza, Biblioteca Civica Bertoliana, Gonz.20.6.35 (edizione completa; MAGLIANI 1999: 147 n° 46). Berkley, Bancroft Library(edizione completa, ma mutila delle cc. 9-24 nelle Tre Orationi: MELVYL); London, Bri-tish Library; Paris, Bibliothèque Nationale de France (edizione completa: catalogo inlinea). In possesso di privati o in vendita sul mercato antiquario: un esemplare dell’in-tera edizione in vendita dalla collezione Selvaggi (GRAESSE VI 198).Esemplari esaminati: British Library, 12331 aaa 16 (su cui è stata condotta la collazione).

1.7.2. Collazione del testo critico con M1617

Pr. 1 megio] miegio; Pr. 1 puo’] pò; Pr. 2 con’] com; Pr. 2 brighè] brigà; Pr. 2 fage] fagge;Pr. 2 e Dio sa con’ la va] om.; Pr. 3 mariè] marià; Pr. 3 co questo e co quello] con que-sto e con quello; Pr. 3 de l’altre] dell’altre; Pr. 4 da dire] de dire; Pr. 4 qualche consa]qual consa; Pr. 5 aon] a hòm; Pr. 5 fassàn] fassàm; Pr. 5 niente] gniente; Pr. 6 el se vuò]el vuò; Pr. 7 collusion] colusion; Pr. 7 ficare] ficcare; Pr. 7 fichessan mè] fichessàm; Pr.7 fassan] fassàm; Pr. 8 disìmi] disìme; Pr. 8 cara fe’] fè; Pr. 8 qui serae] chi serae; Pr. 8quelù] quellù; Pr. 8 beco] becco; Pr. 8 foesse (seconda volta)] fosse; Pr. 9 poco] puoco;Pr. 9 de far] da far; Pr. 10 vegnirghe] vegnire; Pr. 10 nu a’ no fassan] nù no fassàm; Pr.11 supié] supiòm; Pr. 11 mo vi’] me vi; Pr. 11 arscolté] ascoltè; Pr. 11 andarà] anarà; Pr.11 e Pr. 12 andasse] anesse; Pr. 12 no ’l ve] no ve’l; Pr. 13 sapié] sappiè; Pr. 14 aba] hab-bia; Pr. 14 poea] po; Pr. 14 he catò un altro] hea cattò n’altro; Pr. 14 bregamasco] Ber-gamasco; Pr. 15 seon] seòm; Pr. 15 in la Crose] à agn’hom; Pr. 15 che quando a’ dì letà-gnie, que a’ dì] quel che dise el provierbio; Pr. 16 no v’andé] a no v’andè; Pr. 16 sipia]sippia; Pr. 16 silentio] selientio; Pr. 16 abian] habbià(m); Pr. 16 e si a’ farì] e se a farì; Pr.16 co’ a’ v’he ditto] con a v’è ditto; Pr. 16 faron] faròm; Pr. 16 saron] saròm; Pr. 16 con-tinti] contienti; Pr. 17 ch’al] che al; Pr. 17 bel e] bell’e; Pr. 17 possan] possàm; Pr. 17 per

74 CAIRO - QUILICI 1981: 393 n° 2747 (Comm. 154/4).

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nota al testo

no me far] per no farghe; Pr. 18 vorae] vorràe; Pr. 18 andarà] anderà; Pr. 19 rebute]rebutto; Pr. 19 a le] alle; Pr. 19 Rilientie] rebelientie; I 1 puttana mo’ del] puttana del; I1 Satanasso] Sattantasso; I 1 abi mè] habbi mè; I 1 tromento] tormento; I 1 lomentare]lumentare; I 1 con a’ he fatto] con hè fatto; I 1 e chi l’ha impolò] om.; I 1 e sì a’ he lagò]e si hè lago; I 1 vache] vacche; I 1 vegnir] venir; I 1 uomeni] huomini; I 1 Dise po ch’a’gh’è libro arbitro! A’ gh’ ’on el cancaro ch’a’ ne magne] Que ne vale el libro arbitro?Ch’el cancaro ne magne; I 1 meritessan] melitessàn; I 1 copa] coppa; I 1 abia afaturò]habbia affaturò; I 1 con’ fa] com fa; I 1 afaturò] affaturò; I 1 ch’i par] che i par; I 1 mar-tiegi] martieggi; I 1 co’ un mena] com uno mena; I 1 Oh Dio oh Dio, àgieme] Ohi ohiagieme; I 1 co’ a’ t’insegnerè] con a t’insegnere; I 1 acordarissi] accordarissi; I 1 co ella]con ella; I 1 co’ a’ foesse morto] con a foesse morto; I 1 serae deroinò] sarae deroinò; I1 con’ dise] com dièsse; I 1 se la no vorrà] se la vorrà; I 1 con’ dise] com dise; I 1 diese]diesse; I 1 infina] inchina; I 1 con’ dise] con disse; I 1 pur ch’una] pur que na; I 1 codise] con disse; I 1 una scusa] na scusa; I 1 orsù] hossò; I 2 andè] anè; I 2 galine] galli-ne; I 2 casa] cà; I 3 agìa] aìa; I 4 sia andò, a la fe’] sea anò alla fè; I 5 co’ dise questù (tuttele volte)] con disse questù; I 5 cittaina] cettaina; I 6 co’ a’ me vi’] com a me vì; I 7 moco’ disse questù] mo disse questù; I 7 co’ a’ vago] con a vago; I 7 do] don; I 7 de brighè]de brigà; I 7 spiochiava] spiocchiava; I 7 de san Lazaro] del cancaro; I 7 me sento vegni-re] me sento a vegnire; I 7 con’ fa sale] com fa sale; I 8 favellò] favelò; I 9 ch’a’ (tutte levolte)] què a; I 9 ah] an; I 9 co’ a’ solivi] co(n) a solivi; I 9 lo tempo] el tempo; I 10 ch’a’ve daghe] che ve daghe; I 11 sbate] sbatte; I 11 fì] xè; I 11 patarina] pattarina; I 14 mata]matta; I 14 co’ a’ son] com a son; I 15 incontro] incontra; I 16 ghe’ ’n] gh’in; I 16 andaes-se] anaesse; I 16 andé] anè; I 19 co’ a’ ve] con a ve; I 19 abie] habbie; I 19 da pallo] depallo; I 19 vegnerè] vegnirè; I 19 a ca’] in cà; I 20 andare] anare; I 22 moa a’] mo a; I 22era] vera; I 23 lomè questa] lomè questo; I 23 so’ (prime quattro volte)] to; I 23 raisuo-la] raisola; I 23 bevivi] bevevi; I 23 pure con puoca faiga] pur con poca faiga; I 23 alman-co] almasco; I 23 uuogi] huogi; I 23 co’ i spiegi] con è spiegi; I 23 co’ è na] com è na; I23 speciarìa] specialìa; I 23 abi] habbi; I 23 puo’ de noella ch’a’ ghe] pò de noella chegha; I 23 scaperè] scapperè; I 23 domino dominanto] paron dessoluto; I 23 anare ver]anare a ver; I 24 bel mester] bel bel mester; I 24 obligat] obligà; I 24 fació] facciù; I 24coris] corris; I 24 todeschi] todesch; I 24 comandamet] commandament; I 24 ch’in ter-men] che in termen; I 24 debi] debbi; I 24 camp] campagna; I 24 orsù, pacetia, a’ ’m]horsù am; I 24 con’ s’a’] com s’a; I 24 a l’us] all’us; I 24 do des] de des; I 24 può] pò; I24 per Dè, per Dè] om.; I 24 casa] cà; I 24 a l’improvis] all’improvis; I 29 de le] delle; I30 insema] insemma; I 30 uomeng] omegn; I 30 generatió] generatiù; I 30 buò] bò; I 30vachi] vacchi; I 30 aseng] asegn; I 30 dolzo] dolz; I 30 talmet] talment; I 30 ch’a’ possi]che possi; I 30 amaramet] amarament; I 30 a’ si’ pur bella, a’ si’ pur tutta relusenta] a sìpur tutta relusenta; I 31 esser] essere; I 31 m’arecorde] me recorde; I 31 n’arè besognò]n’harae besognò; I 31 abiù] habbio; I 31 ungie lunghe] ongie longhe; I 31 d’intorno]intorno; I 31 cossì] così; I 31 da novo] da nuovo; I 31 magari] magaria; I 31 per sti santiDè guagnili] om.; I 31 parrae] parea; I 31 cussì] cusì; I 31 pelle] pele; I 33 alla ffe’ (tuttele volte)] alla fè; I 34 provésef] provessef; I 34 affang] affagn; I 35 per vu] pre vò; I 36A’ ’m] An; I 37 ch’a’ no si’] che a no sì; I 38 abrazzem] abbrazzèm; I 39 ch’a’] che a; I40 debi] debbi; I 40 doca] doncha; I 41 agnun n’abie] agnon n’habbie; I 42 debi] debbi;I 42 scaremuzza] scaramuzza; I 42 meneref] menaref; I 44 da Domnedè] om.; I 45 ne]in; I 46 vorésef] voressef; I 47 vosseévu] vosseu; I 50 ù cest] ò cest; I 50 ch’andé] cheandè; I 50 galini] gallini; I 50 ol] ul; I 50 ì] in; I 50 vorrésef] voresef; I 51 toco] tocco; I52 ch’a’] che; I 53 tuote (tutte le volte)] tuolive; I 54 darondella] dorondella; I 54 diri-

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nota al testo

dondella] dirondella; I 54 d’i lari] de i lari; I 54 bregamasco] bergamasco; I 54 ch’a’ iportesse] che a i portasse; I 54 abi] habbi; I 54 borsetto] borsato; I 54 Dio sa] chi sa; I54 a’ son cattivo mi] a son cattivo an mi; I 54 sente a dir] sente dir; I 54 fagandola] fagan-doghela; I 54 Ch’a’ son pì valentomo] a son pì valent’homo; I 54 g’uomeni] gi huomeni;I 54 i no sa] i no ’l sà; I 54 co’ un te dise] con un te dise; I 54 sapia] sappia; I 54 digiuogi] de gi uogi; I 54 ghe mini] ga mini; I 54 sgamba cavera] a sgamba cavera; I 54 co’a’ m’arecordo] con a m’arecordo; I 54 qu’el para] om.; I 56 tuore] tenore; I 56 aerae]harae; I 56 pruopio] pruorpio; I 56 na noella] una noella; I 60 se Dio m’aì] om.; I 60 fièla buona] fè la bona; I 60 borsatto] borsato; I 60 a’ fiè così an’ mi] a fiè an mi; I 60 quidea] qui che dea; I 63 vilà] villà; I 64 seon] seòm; I 64 aon] haòm; I 64 robà] robba; I64 sbuseron] sbuseròm; I 64 pelle] pele; I 64 criviegi] crivieggi; I 66 custion] costion; I66 tut’om] tutt’hom; I 68 con’ disse] com disse; I 68 zaperì] zapperì; I 71 cancar] can-cher; I 71 ocg] occh; I 72 momisuolo] montisuolo; I 72 sangue] sango; I 72 o per forza]per forza; II 1 con’ (tutte le volte)] com; II 2 sè-gi] sogi; II 2 amazar] ammazzar; II 2quelù] quellù; II 3 amazzare] ammazzare; II 3 co’] com; II 4 d’ella] de ella; II 4 mo delresto l’è na santarella] om.; II 4 s’aon] s’haàom; II 4 andaea] anasea; II 4 amorizavimo]amorizavino; II 4 saìvino] saivimo; II 6 con’ a’ son sentò] s’a’ son sentò; II 6 a pe’] appè;II 6 la n’è de ste] la nò è de stè; II 6 con’ a’ vuogio] com a vuogio; II 6 straco] stracco;II 6 intendì-u (seconda volta)] intendivu; II 6 vogia] vuogia; II 6 fantasie] fantasì; II 8 co’a’ ghe dighe] con a ghe dighe; II 8 con’ dise] com disse; II 8 tri] tre; II 9 con’] com; II9 ch’a’ si foesse] che se a foèsse; II 11 cittain] cettain; II 11 scolaro] scoelaro; II 11 sarì]saerì; II 11 catessé] cattessè; II 12 fatta] fatto; II 13 boni] buoni; II 16 andon] anòn; II17 almanco] amanco; II 18, II 41 inchina drio l’altaro] in negun luogo; II 20 tanta]ta(n)to; II 21 gros (tutte le volte)] gross; II 21 plaza] plazza; II 21 vilania] villania; II 21com s’el] con s’el; II 21 lecà’] leccà; II 21 mo a ogni] ma a ogni; II 21 fioi] fiui; II 21inanz (tutte le volte)] innanz; II 21 in o’ a’ ’l trovi] se al trovi; II 22 è pur el gran] è pureun gran; II 22 co no so que] con no so que; II 22 drapi] drappi; II 22 scolaro] scoelaro;II 22 a’ no crezo] e no crezo; II 22 deba] dibbia; II 22 ch’è fatta] che è fatta; II 22 co’ è]con è; II 22 gi torà] i torrà; II 22 vorà amazzare] vorrà ammazzare; II 22 co’ l’è fatto] conl’è fatto; II 22 osserà] onserà; II 22 sbraoserà ben] sbraoserà ben diganto; II 22 suemerde] suo merde; II 22 andarà] anderà; II 22 e puo mi] e po mi; II 22 poer stare] purstare; II 23 cognoscirae] cognoscerae; II 23 cognoscige] cognosce; II 23 mo’ insegnò] mèinsegnò; II 23 co’ abia] con habbia; II 23 e gh’in’] a gh’in; II 23 coresto] corresto; II 23amazzò] ammazzò; II 23 squaso amazzò] squaso ammazzò; II 23 co’ a’ ghe] com a ghe;II 23 oh Dio] om.; II 23 a l’usso] all’usso; II 23 con’ a’ dighe] com a dighe; II 23 andar]anar; II 23 co’ è quigi] con è quigi; II 23 guagneriè-gi] guagnerèggi; II 23 fallo] falo; II25 sono] son; II 25 vu] vuù; II 26, II 30 Se Diè m’aî] om.; II 27 sapeti] sapete; II 27cognossiti] cognosciti; II 27 guardatime] guardateme; II 29 no me cognosseti] non melo cognosseti; II 33 Oh Dio] o; II 37 de los dinaros] de lo dinaros; II 39 vegnirano]vegniranno; II 40 e ch’el] ch’el; II 41 potta] pota; II 41 dunca] donca; II 41 arpassar]arpassare; II 41 da le man] delle man; III 1 cognescivi] cognoscivi; III 1 ara’ abù] harèhabbù; III 1 faze] fazze; III 1 matezzuola] mattezzuola; III 2 ficare] ficcare; III 2 mone-stiero] sarragio; III 3 matezuola] mattezzuola; III 3 trepo] treppo; III 3 squaso che nodissi] squaso ch’a’ no dissi; III 3 sipia cattiva] sippia cattiva; III 3 cancar’è] cancaro; III3 abù] habbù; III 3 a’ no farè pecco, perqué] om.; III 3 me ha archiapò] me archiapò;III 3 vaghe] vago; III 3 sipia] sippia; III 3 ferìa] ferrìa; III 3 igi] iggi; III 4 mieriti] mie-liti; III 4 apicò] appiccò; III 7 regratiat] ringratiat; III 7 Domnedè] Amor; III 7 Betia]Bettia; III 8 vien] ven; III 8 amazzò] ammazzo; III 9 Potta de Domene, que aì-vu?] Potta

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nota al testo

que del cancaro haivu?; III 10 stò sbusò] stà sbusò; III 12 caté] cattè; III 13 abié] hab-biè; III 14 sente] sento; III 14 ch’a’ ’l] ch’el; III 21 a’ ve dighe] a dighe; III 24 anderè]anerè; III 24 toélla] toilla; III 24 ch’a’ la no] che la no; III 24 me’ berretta] me beretta;III 24 ficà] ficcà; III 24 ficarme] ficcarme; III 24 a pe’ della] appè dalla; III 24 e farmeben covrire a ella. Bettìa?] om.; III 24 potta de chi te fè] om.; III 24 frufante] furfante;III 24 apicò] apiccò; III 24 oh poltron desgratiò] oh desgratiò; III 24 cogómbaro]cogiombaro; III 24 te t’hè pur] te ti è pur; III 24 andà] anà; III 24 monestiero] serragio;III 24 ch’a’ sarè] che sarè; III 24 Ti he fatta moneghella, poveretta, descalzarella] Ti èben mò poveretta, e descalzarella; III 24 putati] puttati; III 24 abiam] habbiàm; III 24seon] seom; III 24 aon] haom; III 24 abi] habbi; III 24 sta’ con Dio] a m’arecomando;III 24 se’-tu] situ; III 24 fazzan (tutte le volte)] fazzàm; III 24 posson] possòm; III 24lungo lungo] longo longo; III 24 l’insegnasse] la insegnasse; III 24 andà] ana; III 25 cer-ché-vu] cercheu; III 25 on] hom; III 30 sipié] sippiè; III 30 son] ston; III 31 cristian deDio] christian; III 31 dretta] derta; III 32 o’ è-lla] on èla; III 32 andà] anà; III 33 de quelsoldà] del soldò; III 34 andà] anà; III 34 ì-vu] hiu; III 35 cristian de Dio] christian; III36 an’ in’ spiero] a spiero; III 36 a’ ’l besogna (tutte le volte)] el besogna; III 36 ch’a’ noghe vaghe] che no ghe vaghe; III 36 molesin] mollesin; III 36 ch’a’ ’l dise] ch’el dise; III38 déme] demme; III 40 fé-vu] feu; III 40 démela] demmela; III 42 m’intendì] meintendì; III 42 un po’ chialò] un può chialò; III 42 da l’usso] dall’usso; III 47 vegni ’l]vegna ’l; III 51 a’ ’n metti] a metti; III 51 ma ’l] ma el; III 51 ficà’] ficcà; III 51 bardela]bardella; III 52 de l’intendere] dell’intendere; III 52 a’ ’l besogna] el besogna; III 52 che’l laghe] ch’al laghe; III 52 mil’agni] mill’agni; III 53 de l’ardigió] dell’ardigiò; III 53 dela] della; III 54 fé-vu] feu; III 57 a’ ’l besogna] a besogna; III 58 d’i] de i; III 60 a le] alle;III 60 è-lla] èla; III 63 abi sapù] habbi sappù; III 63 archiapò] archiappò; III 63 tuò mo’su] tuo sù; III 64 potta de chi te fè] potta mo; III 66 andon] andòm; III 66 a la fe’] allafè; III 67 ch’a’ no ’l] che a’ no ’l; III 67 mierito] mielito; III 68 sutile] sottile; III 69 ti si’fatto] ti hè fatto; III 72 ch’el ghe magne el cancaro] che el cancaro el magne; III 72 félofélo compare] felo compare; III 72 cri-tu] crito; III 72 de la] della; III 76 andon (tutte levolte)] andòm; III 78 andasea] anasea; III 78 fasea] farae; III 78 rabioso] rabbioso; III79 volivi-tu] vuolivitu; III 81 se t’in’] s’a t’in; III 81 dime] dimme; III 81 que] chi; III 81con’ a’ fasea] com à fasea; III 83 drizzare] drezzare; III 83 a’ ’l besogna] el besogna; III83 cosa] consa; III 83 de sotto] sotto; III 83 ch’a’ faghe fuora] che a faghe fuora; III 83seon] seòm; III 83 dessan] dessàm; III 83 duormi] druomi; III 83 co’ fa] con fà; III 83ch’a’ sarae] che a sarae; III 84 ch’a’ son] che a son; III 85 sempre mè (prima volta)] sem-pre mì; III 85 con’ se fa] com se fa; III 86 ch’a’ muora] che a muora; III 86 che son] ch’ason; III 87 con’ te dîvi] com ti divi; III 87 intendi-tu] intinditu; III 88 al sangue de sanLazaro] al sangue no me far dire; III 88 ch’a’ son] che a son; III 89 e tuoteme] tuoteme;III 89 ch’a’ son] che a son; III 89 de l’anore] dell’hanore; III 90 mattezuola] mattezzuo-la; III 90 on] hom; III 93 paroli] paroi; III 94 mo a’] moa a; III 94 dare] dar; III 95 dam]dami; III 96 con’ disse] com disse; III 97 abi] habbi; III 98 senteresi] sentarè; III 98 can-chero] cancaro; III 98 de la deroina] della deroina; III 98 cani] can; III 98 adesso] ados-so; III 98 co i pugni] con i pugni; III 98 a’ no me vuò strangolare] a me vuò strangola-re; III 98 co un pugno] con un pugno; III 98 e si el] eh eh si el; III 98 vien almanco] vièalmanco; III 98 Iesò] om.; III 98 comenzasse] scomenzasse; III 98 Di’ almanco un patarnuostro per mi... orsù, sta’ con Dio, ch’a’ scomenzo!] Horsù a scomenzo; III 98 co’ a’sea] con a sea; III 98 apicherè] appiccherè; III 99 sarae] saerae; III 99 co’ è andò] con èandò; III 99 andar] anar; III 99 è invelò] xè invelò; III 99 acolegò] accolgò; III 100 ch’a’ve] che ve; III 102 abù] habbù; III 102 de l’atto] dell’atto; III 102 viegni] vigni; III 103

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nota al testo

ch’a’ no (tutte le volte)] che a no; III 104 ch’a’ no he] che a no he; III 106 scorrezzà] sco-rezzà; III 106 ch’a’ (tutte le volte)] che a; III 107 potta de chi ve fè] potta; III 107 ch’a’no] che a no; III 108 averon] haveròm; III 109 favelò] faellò; III 110 favellò] faellò; III112 vuò] vò; III 112 ch’è soi] che è soi; III 112 saì-u] saivu compare; III 112 ch’a v’he]che a v’hè; III 113 smaravegiava] smaraveggiava; III 113 ch’a’ fé] che a fè; III 113 anda-re] anare; III 113 co ste] con ste; III 113 andé] anè; III 114 rico] ricco; III 114 gh’i] ghei; III 115 smaravegie] smaravegio; III 115 ch’a’ gh’ ’ì] che a ghe gi hì; III 115 tolti] tulti;III 116 se n’aigié] s’a’ no aiè; III 117 ch’el v’è] che el v’è; III 117 bel onore] bell’hano-re; III 118 e si el] e se el; III 118 andarè] anarè; III 118 poestà] poestò; III 118 i me] elme; III 118 igi] ello; III 119 bel anore] bell’hanore; III 120 andévela] anevela; III 120prometìghe] promettighe; III 120 per mi] pre mi; III 120 félo] fello; III 123 son] som;III 123 vossan] vossàm; III 123 ch’a’ ne] che a ne; III 126 s’a’ ’m] s’t’àm; III 126 daref]darò; III 127 on] hom; III 127 vegnire] vegnir; III 128 só] son; III 129 a sto muo’ an’] asto muò; III 129 no se] on se; III 129 con’ a’ fé] com a fé; III 129 iè-gi] èggi; III 130 fuor-si] fuossi; III 132 conzéla] conzèlla; III 134 conzéla (solo la seconda volta)] conzèlla; III134 on da ben] hom da ben; III 134 muorto] morto; III 134 ca la dise] che la dise; III134 potta de chi te fè] potta del cancaro; III 134 d’opinion] de pinion; III 134 e co’ un]e con un; III 134 a pe’] appè; III 134 sì compare] e si compare; III 134 cizola] cizzola;III 134 e ella] e ela; III 134 ogn’ano] ogn’anno; III 134 co un frare o co la compagnia desant’Antuognio] con el nostro Degan o con la compagnia de Tognon; III 134 ca ’l dise]ch’el dise; III 134 tirare] tirar; III 134 abia] habbia; III 136 ti si’] te si; III 140 ch’a’ nodarae] che a no darae; III 141 Dio e me’ compare] me compare an ti; III 141 ariessi] aris-si; III 141 d’i fatti] de i fatti; III 142 a’ m’ara’] a me harà; III 143 sté con Dio] a m’are-comando; III 143 on da ben] hom da ben; III 144 sté con Dio] om.; III 144 de la] della;III 144 posson] possòm; III 145 colù] colà; III 145 marcè] mercè; III 145 madona]madonna; III 145 bergamasch] bergamesch; III 145 è tug omegn] è homegn; III 148omo] hom; III 148 ch’el no v’intravegne] che el no ve intravegne; III 148 abia] habbia;III 149 s’a’ si’] se a si; III 149 ch’a’ m’aesse] che a me haèsse; III 149 sapù] sappù; III150 ch’a’ he] che a hè; III 150 co’ a’] con a; III 151 ma] mò; III 152 andé] anè; IV 1 vilà(tutte le volte)] villà; IV 1 feridi] fridi; IV 1 stocadi] stoccadi; IV 1 abut] habbut; IV 1co essa] con essa; IV 1 dona] donna; IV 1 otramet] otrament; IV 1 condurà] condurrà;IV 1 saraf] saref; IV 1 alegrezza] allegrezza; IV 1 mud] muod; IV 1 fat] fatt; IV 2 co que-sto e co st’altro] con questo e con st’altro; IV 2 co qui] con chi; IV 2 andar] anar; IV 2vene] venne; IV 2 apicò] appiccò; IV 2 spessegare] spossegare; IV 2 ne darà] me darà;IV 2 cosa] consa; IV 2 imbatesse] imbattesse; IV 2 ch’a’ no vuo’ dire] che a no vuò dire;IV 2 andarè] anare; IV 2 andar] anar; IV 2 denanzo via] denanzo; IV 2 per mi] pre mi;IV 2 a’ te vuo’] ch’a te vuò; IV 2 magnare] magnar; IV 2 scardoa] scardola; IV 2 grella]greèlla; IV 4 spale] spalle; IV 6 ch’a’ i vuo’] che a i vuò; IV 6 uogi] uochi; IV 7 ch’a’vorrò] che a vorrò; IV 7 m’ol scambi] me ’l scambi; IV 8 potta de chi te fè] potta del can-caro; IV 8 butte] butto; IV 8 drio l’altaro] in cà; IV 8 foessi] foissi; IV 8 amazzare (secon-da volta)] amazzar; IV 8 co tutto] con tutto; IV 9 spali] spalli; IV 10 vorrissi] vorissi; IV11 va’ con Dè] và via; IV 12 co tutto] con tutto; IV 12 peca] pecca; IV 12 a la ffe’] a lafè; IV 12 supia] suppia; IV 12 vien fuora (ultima volta)] viè fuora; IV 13 su caval] su ùcaval; IV 14 che son stò] che a son stò; IV 14 co’ t’hè fatto] con t’he fatto; IV 15 batte-zat al albuol d’i porz] cazzador d’aseni, e porz; IV 16 ravazzolo] ravazzuolo; IV 17 aspet-terè] aspettarè; IV 17 s’a’ ’n vegni] s’a’m’ vegni; IV 20 che gh’in’] ch’a gh’in; IV 20 dar]dare; IV 20 ammazzessano] ammazzessàm; IV 20 ca morire] che morire; IV 20 vien-tu]vietu; IV 20 no vien] no viè; IV 21 traditor] traditùr; IV 22 villan] villàm; IV 30 viè] ven;

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nota al testo

IV 30 t’è soldò] t’iè soldò; IV 31 s’a’ ’l] s’el; IV 31 al manc] manch; IV 32 fare] far; IV32 farè] faràe; IV 34 n’aesse] ne haesse; IV 35 ch’a’] che a; IV 37 arecordetel] arecor-dotel; IV 38 arecorderè] arecordarè; IV 38 vi’] vè; IV 38 ch’a’ ’l] che’l; IV 38 co Rolan-do] con Rolando; IV 39 va’ con Dè] va’ via; IV 39 co’ andè] con andè; IV 39 ol pret]quel; IV 39 s’a’ ’l] s’el; IV 39 ch’a’ ’n] ch’a m’; IV 43 mo son] mo a son; IV 44 brega-masco] bergamasco; IV 44 è-llo] èlo; IV 46 féghe dire le messe de san Griguolo] fè che’lse guarde; IV 47 è-llo morto] om.; IV 48 no, el vuò mazzare mi] perquè a’l vuò mazzarmi; IV 49 fé] fès; IV 49 volì-vu] volìu; IV 50 co ello] con ello; IV 51 agnon] agnòm; IV53 aparechiè] apparecchiè; IV 53 amazza] ammazza; IV 54 co ello] con ello; IV 56 sipié]sippiè; IV 56 a’ stramezarì] stramezarì; IV 56 dirè] dirò; IV 56 ch’a’ perdo] che perdo;IV 56 vista] victa; IV 56 co’ è i cavagi] con è i cavagi; IV 57 è-lla] ela; IV 57 defferien-tia] defferentia; IV 57 posse] poèsse; IV 58 quelù] quellù; IV 59 andarì] anarì; IV 59andar] anar; IV 59 a’ saì] e saì; IV 59 cognosson] cognossòm; IV 60 combatter] com-battere; IV 61 sipia] sippia; IV 61 delle arme] de le arme; IV 61 (e 62, 63, 65, 67) andon]andòm; IV 61 sia] sea; IV 62 ch’a’ vuo] che a vuò; IV 64 lasséme] lagheme; IV 64 (e 68)st’usso] sto usso; IV 66 vuo’] vuogio; V 1 andassan] andassàm; V 2 andon] andòm; V 2potta de chi ve fé] potta del cancaro; V 3 co’ se fa] con se fa; V 3 ocatti] ocati; V 3 dissé-vu] disseu; V 4 sentireongi] sentirongi; V 5 seon] seòm; V 5 andar] anar; V 5 muragie]muraggie; V 6 smaravegio] smaraveggio; V 6 (e 8, 10) abié] habbiè; V 7 possan] possàm;V 7 adassan] andassàm; V 9 co’ a’ me metta] con a me metta; V 10 co’ fassé-vu] con fas-sevu; V 10 cognoserì] cognoscerì; V 10 pure] pur; V 10 abié] habbiè; V 10 battì-vu] bat-tiu; V 10 ch’a’ ’l s’a’ ve] che ’l se ve; V 11 ferdo] freddo; V 12 qu’è] què è; V 13 zinuo-gio] zinuoggio; V 13 maletto] malette; V 14 potta de chi ve fè] potta del cancaro; V 23sento muo’] sento a muo; V 23 corazzina] corrazzina; V 24 so-gie] songie; V 25 ch’a’]che a; V 26 s’a’ no] se a no; V 29 ho-ggi] hogi; V 30 andon] andòm; V 31 andé] anè; V33 a pe’] appè; V 33 tropo] troppo; V 38 potta de chi ve fè] potta del cancaro; V 38 co’a’] con à; V 39 seon] seòm; V 39 fenestre] finestre; V 39 butarme] buttarme; V 39 cer-viegi] cervieggi; V 39 boca] bocca; V 39 saì-vu] saiu; V 39 cosa] consa; V 40 potta de chive fè] potta; V 41 ch’a’] che; V 42 ch’a’ seon] che a seòn; V 43 ch’a’ vaghe] che a vaghe;V 43 stagan] stagòn; V 43 saì-vu] saìu; V 45 ch’a’ ve] che a ve; V 46 andon] andòm; V47 farè] faghe; V 48 vien] ven; V 48 d’i massari] de i massari; V 48 ariverè] arriverè; V48 vegne] vegno; V 49 andé] anè; V 50 abié] habbiè; V 52 ch’a’] che a; V 52 sarar st’us-so] sarrar stò usso; V 53 Trulio] Trullio; V 53 abie] habbie; V 53 vesse] veesse; V 53 ape’] appè; V 53 ch’a’ no vorae] che a no vorrae; V 53 l’è] la è; V 53 uogio] hogio; V 53per muzzare] per muzare; V 53 se no de muzzare] se no ne muzzare; V 53 inanzo] innan-zo; V 53 pure in lo] pur in lo; V 53 prigolosi] prigolusi; V 53 spiriti] sperìti; V 53 a’ dirèel patanostro] om.; V 53 amazza] ammazza; V 53 sono] sonno; V 53 zenuogio] zenuo-guio; V 53 senza confessarme e senza gnente] senza dir gnente; V 53 chialò a farmeamazzare] chialò, farme ammazzare; V 53 el m’è viso] el m’è deviso; V 53 si’-vu] siu; V53 amazzò] ammazzò; V 53 andar] anar; V 53 ah, sangue] al sangue; V 53 ch’a’ l’hecattò] che a l’hè cattò; V 53 ch’a’ no dissi] che a no dissi; V 53 co’ a’ ghe ordeniè] con aghe ordeniè; V 53 porà] poràe; V 53 fallò] falò; V 55 viazuola] viazzuola; V 55 gi uorbi]hi huorbi; V 55 mia ca’] mie cà; V 55 è pur la schiona] è la so schiona; V 55 sbato] sbat-to; V 56 che te] cha te; V 56 s’a’ lievano] se lievano; V 57 con’ a’ deghe] com a dego; V59 per amor del perdon de messer Ieson Dio] om.; V 59 misericordia] misericuordia; V61 è-llo] èlo; V 61 questa] questo; V 61 sipia] sippia; V 61 catesse] cattesse; V 61 o’ can-caro è-llo] on cancaro è lo; V 63 potta de chi ve fè] potta del cancaro; V 63 a’ si’] si; V65 è-lla] èla; V 66 e sì no giera] e no giera; V 66 du gambe] do gambe; V 66 dirè ’l vero]

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nota al testo

dirè el vero; V 66 con’ a’ viti] con viti; V 66 el me vene] el me venne; V 66 ch’a’ me pen-sava] che a me pensava; V 66 ch’ha far] c’ha a far; V 66 ch’a’ no] che a no; V 66 andes-se daganto] anasse daganto; V 66 farme la crose] segnarme; V 66 fiè la crose] segnè; V66 andon] andòm; V 66 n’evi] n’havi; V 66 ch’a’ vezé] che a vezè; V 66 da conzarla] deconzarla; V 66 e a vivere in santa pase] e viver in pase; V 66 né gnente] nè pì gnente; V66 ch’andesse] che anasse; V 66 urtanto] urtando; V 66 a pe’] appè; V 67 seon] seòm; V67 adesso per me’] per me; V 68 Oh, per la bell’amor de Dio] o là de gratia; V 68 ch’a’son] che a son; V 73 (anche a 75, 80, 82) co chi? Co chi?] con chi? Con chi?; V 77 hà-la] halla; V 84 potta de chi te fè] potta mò; V 85 ch’el dise] che el dise; V 86 an compa-re] a compare; V 86 quel’orco] quell’orco; V 86 ch’a’ ghe] che a ghe; V 88 ch’a’ no l’ho]che a no l’he; V 89 andon] andòm; V 89 andaron] andaròm; V 90 andon] andòm.

2. Egloga de Ruzante nominata la moschetta (M)

2.1. Descrizione

Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, cod. Cl. It. XI n° 66 (= 6730). Cartaceo, sec.XVI, mm 115 x 290 (esternamente) 75, cc. II + 387 + I 76. Miscellanea contenente 673 testisia latini che volgari, sia in prosa che in poesia, d’interesse prevalentemente letterario estorico 77.

75 All’interno la misura è minore: mm 105 x 282 (PADOAN 1979 [1994]: 231); al massimo mm106 x 286 (ROMEI 1987: 10).76 Un restauro già effettuato all’epoca della descrizione di ROMEI 1987 aveva portato a unincremento nel numero delle carte da 383 a 387 (la numerazione più recente – a matita nellaparte inferiore di ogni carta – tiene conto di quattro carte quasi totalmente strappate, di cuisopravvive soltanto una sottile striscia). Il blocco ruzantiano – che ancora per CRISTOFARI1937, PADOAN 1979 (1994) e ZAMPIERI 1979 comincia a c. 122 – ha in realtà come prima cartaquella attualmente numerata 123.77 La genesi del codice è questione dibattuta da più di settant’anni e in fin dei conti non risol-vibile una volta per tutte se non alla luce di nuove scoperte. CRISTOFARI 1937: 9 suggeriva cau-tamente di ricondurlo alla cerchia veneziana di Gasparo della Vedova, segretario del Senatodal 1493 e quindi del Consiglio dei Dieci dal 1510: ipotesi poi accolta da LOVARINI 1965: 140e da ZORZI 1967: 1615. PADOAN 1979 (1994): 232 ha contestato la ricostruzione, incompati-bile con la data di morte del della Vedova, che cade nel 1524 ed è dunque di circa dieci annianteriore ad alcuni dei testi tramandati dal codice. ROMEI 1987: 17-21 ha proposto di riferireil manoscritto alla famiglia Cornaro e di collocarne l’assemblaggio non a Venezia ma a Pado-va, credendo di riconoscere in gran parte del manufatto l’opera di una sola mano, a, che si pre-senterebbe con tratti anche molto diversi tra loro. PADOAN 1988 (1994) ha severamente criti-cato la ricostruzione di Romei, rilevandone la sostanziale gratuità e l’indimostrabilità. PACCA-GNELLA 1984: 209-231 ha proposto di scorgere nel codice una testimonianza della politica cul-turale veneziana interessata a raccogliere, proprio nei due decenni successivi alla crisi di Agna-dello, pezzi di letteratura dialettale del doppio entroterra (padovano e bergamasco) e incurio-sita da testi plurilingui ed ‘espressivi’ (in tal senso cfr. già, in parte, ZORZI 1967: 1616 e ZORZI1956: XXIV). Val la pena ricordare, con CRISTOFARI 1937: 1 nota 2, che V. CIAN, La coscien-za politica nazionale nel Rinascimento (in due parti: 1931 e 1935), rist. in ID., Scritti minori,Torino, Gambino, 1936, vol. II, pp. 143-173, a p. 164 nota 15, a proposito di una canzone diSante Barbarigo in lode di Bartolomeo d’Alviano, ricorda il nostro codice come «il noto zibal-done di Marin Sanudo».

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nota al testo

Fascicolo X (A) 78: c. 123r: frammento di anonima Lettera scherzosa 79; cc. 123v-127r: Laoration de Ruzante al cardinal Cornaro (Prima Oratione); cc. 127r-139v: Comedia delditto. Prima Il tempo p(ro)nu(n)tia la festa (Anconitana, lacunosa di buona parte delquarto atto per caduta di due carte); cc. 140r-143v: Parlamento de Ruzante qual era statoin campo cum Menato. E la Gnua (Parlamento) 80; cc. 143v-144v: Egloga de ruzante nomi-nata la moschetta (Moschetta: prologo con varianti marginali e parte di un monologo ini-ziale); cc. 144v (in parte) e 145r-148v: bianche; cc. 149r-150r: «Quo da natura dato el sepo ase scoezare a fare chel no [...]» (Seconda Oratione, incompleta); cc. 150v-151r, 151v(in parte): bianche; cc. 151v-153v: Egloga Interlocutori beltrame fachin Tuognio vilan etRanche bravo 81; c. 154r: Una lettera q(ua)l scrive ruzante a una so morosa (Lettera allamorosa); cc. 154v: Egloga interlocutori un bergamasco e un ze(n)til homo venician davan-ti de monsignor Papa Menestra 82.Fascicolo XI (B): cc. 155r-156r: prosegue e termina l’Egloga [...]; cc. 156r (in parte) e156v-172v: bianche; c. 173: bianca (è l’altra metà di c. 192 e fa parte del fascicolo D, cheracchiude per intero il fascicolo C) 83.Fascicolo XII (C): cc. 174r-185v: El naturale infra gi huomeni e le femene è la pi bella(Betìa, priva di titolo e lacunosa della parte finale del primo atto, dell’intero secondo

78 L’effettiva consistenza del codice è un dato controverso: CRISTOFARI 1937: 3 e 6-7 conta 31fascicoli (risultato poi accolto da PADOAN 1979 [1994]: 231); ROMEI 1987: 10-11 ne conta 39.La notevole discrepanza nel conteggio potrebbe essere dovuta al lungo restauro effettuatopresso l’Istituto Centrale per la Patologia del Libro di Roma nel periodo 1981-1986. Il lavorodi restauro, durante il quale è stato esaminato ogni singolo bifolio su un apposito tavolo lumi-noso, avrebbe potuto non solo ricomporre carte staccate e originariamente solidali in un unicofascicolo, ma anche dividere carte apparentemente unite e in realtà indipendenti: questaseconda eventualità porterebbe a un incremento nel numero dei fascicoli. Va considerato inol-tre che per ragioni di conservazione non sempre i bifoli originari sono stati ricomposti, e tal-volta ci si è limitati a creare una brachetta su carte singole: la presenza della brachetta potreb-be indurre a considerare come sciolte carte che in realtà non lo erano, con un conseguenteaumento dei presunti fascicoli; non ho approfondito la questione, sia perché essa non riguar-da i fascicoli ruzantiani, sia perché necessiterebbe un nuovo e accurato esame diretto del codi-ce (di poco aiuto quello del microfilm a mia disposizione, risalente a un negativo degli anniSettanta; per queste e per altre informazioni sul restauro del Marc. It. XI 66 ringrazio viva-mente la dott.ssa Silvia Pugliese, dell’Ufficio Conservazione e Restauro della Biblioteca Nazio-nale Marciana). Le analisi divergenti di Padoan e Romei concordano comunque sulla compo-sizione della parte ruzantiana (fasc. X, XI, XII, XIII per la Cristofari e per Padoan; fasc. XIV,XV, XVI, XVII, XVIII per Romei, che indica con XV il foglio piegato aggiunto all’interno delprimo fascicolo già segnalato da PADOAN 1979 [1994]: 236 e vedi qui nota 80). Non com-prendo dunque a cosa alluda ROMEI 1987: 36 nota 6: «Neppure quel che si dice in Padoan[...] del corpus ruzantesco [...] quadra con i risultati della mia ispezione sul manoscritto; ma inquesto caso il Padoan ha certamente compiuto un esame dei fascicoli ruzantiani assai piùaccurato di quanto non abbia potuto fare io». 79 Su cui si vedano le considerazioni di VESCOVO 1996: 102-105.80 Le cc. ora 141-142 (140-141 per Padoan) furono ottenute piegando un foglio autonomoinserito tra le cc. 140 e 143, precedentemente contigue: a rigore si tratta di un fascicolo auto-nomo (PADOAN [1979] 1994: 236 e ROMEI 1987: 11). 81 Pubblicata da ZORZI 1956, poi in DA RIF 1984: 99-137 (su cui sono da vedere le recensionidi CHIESA 1986 [1988] e PARADISI 1985). 82 Pubblicata in PACCAGNELLA 2002.83 Cfr. PADOAN (1979) 1994: 234. L’attuale legatura, piuttosto stretta, non permette di vederebene la corrispondenza tra c. 173 e c. 192 (che va comunque supposta per far tornare i contidelle carte che compongono i fascicoli C e D).

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atto, dei primi versi del terzo atto, corrispondenti alle cc. 176r [in parte] e 176v-179v,bianche). Fascicolo XIII (D): per c. 173, bianca, cfr. sopra; cc. 186r-192r: prosegue e termina laBetìa; cc. 192r (in parte) e 192v: bianche.

BIBLIOGRAFIA: LOVARINI 1894: LXI ss.; MORTIER 1925: 128; CRISTOFARI 1937; E. LOVA-RINI, Per l’edizione critica del Ruzzante (1953), poi in LOVARINI 1965: 139-144; ZORZI1956: XXIII-XXVII; ZORZI 1967: 1615-1617; PADOAN 1978: 48-50; PADOAN 1979(1994); ZAMPIERI 1979; PADOAN 1981: 26-27; DA RIF 1984: 100-105; PACCAGNELLA1984: 209-231 84; ROMEI 1987: 9-35 (spec. pp. 9-21); PADOAN 1988 (1994); MILANI 1989(2000); P. VESCOVO, Dal crocevia dell’«Anconitana», in VESCOVO 1996: 65-111, alle pp.100-106; LIPPI 2000 (2003): 225-227 (con bibliografia); TOMASIN 2000; PACCAGNELLA2002; DE MARTIN 2003/2004: 1-4; BOCCHI 2004; CECCHINATO 2005 (spec. pp. 196-199);CARROLL 2009: 61-63, 66, 126.

2.2. Emendazione

La mano di M è la stessa che ha esemplato nelle carte precedenti il testo delParlamento «in trascrizione straordinariamente corretta, certamente assai vici-na all’autore» (PADOAN 1981: 26); mentre nel nostro caso «il giudizio sulla cor-rettezza è [...] limitato dalla brevità del testo trascritto» (ibidem). Registro, insostanziale accordo con PADOAN 1981: 27, i punti in cui è opportuno interve-nire sul testo di M 85. – § 5 favelare e strafozare de la lengua ! strafozare de la lengua: il primo verbopare effettivamente di troppo, e dipende forse dal favellare che si trova pocodopo («sdoppiamento per anticipazione» secondo PADOAN 1981: 175).– § 6 zenza ! senza: zenza non ha attestazioni nel CORPUS PAVANO.– § 11 sarae mosche ! arae mosche: si ha sarae «per attrazione dell’analogo cheprecede quasi immediatamente» (PADOAN 1981: 27). La locuzione è semprecostruita con il verbo avere (cfr. CORPUS PAVANO), fatte salve due eccezioni:Prima Oratione secondo il ms. Veronese 1636 § 15 «Mo sì che int’i fuossi no geven utilitè? No, gi è mosche!» (poziori le lezioni del ms. Veronese 36 § 16 «No,gi ha mosche!» e della stampa Alessi § 15 «No, i g’ha mosche!»: ricavo i datidal CORPUS PAVANO, di cui rispetto i criteri di trascrizione); REGONÒ F4v «Mo

84 Del manoscritto si occupa anche il precedente § 2 (pp. 179-208), che da esso pubblica duetesti bergamaschi, Le sentencie perse e La devota oratió del beat Cresimà. Un testo pavano tra-mandato parzialmente dal manoscritto, il Contrasto di Sacoman e Cavazon, è stato pubblicatonella sua integrità sulla base del codice Landau Finaly 13 della Biblioteca Nazionale Centraledi Firenze da BOCCHI 2004.85 Al § 5 «favelare fiorentinesco moscheto» è corretto da PADOAN 1981: 27 in «favelare fio-rentinesco e moscheto»: il sintagma con coordinazione è in effetti il più diffuso (cfr. CORPUSPAVANO), ma prudenza è imposta dai casi di Vaccaria 1075 «recòrdate che ’l bisogna che tefaèli moscheto fiorentinesco, perché a’ he dito a quelù che ’l fatore no è de sti paesi» e Raso-namento § 11 «faellare in fiorentinesco moschetto» (anch’esso corretto da Padoan). Preferi-sco quindi non correggere.

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nota al testo

de no so que tele / se a’ no m’inganno, tutte d’oro fin / no vi ha-ggi an’ fattofare un bolzachin? / No le xe mosche».– § 12 dasche a muere la mia lengua no per dosento fiorentinesche ! dasché a’ nomuerè la mia lengua per dosento fiorentinesche: il testo tràdito pare indifendibilee l’intervento sembra necessario a garantire il senso; inutile il confronto conIntermedio e Rasonamento, nei quali il paragone con il fiorentinesco è caduto.– § 19 per la puta don vene ancuo ! per la putana don’ vene ancuò: «per laputana don’ vene ancuò» (e simili) è espressione pluriricorrente in Ruzante (cfr.I 1), mentre non si hanno esempi simili con puta in nessun autore pavano (cfr.CORPUS PAVANO). Puta sarà il risultato di un fraintendimento del copista (menoconvincente pensare a un piccolo intervento di censura).– § 19 a sbraosare mea ! a’ sbraosarè, moa: ZORZI 682-683 e PADOAN 1981: 82-83 conservano a testo mea traducendo ‘meglio’, ma la forma non ha riscontrinel CORPUS PAVANO e nei testi più tardi controllati; né mea offre significati sod-disfacenti per il contesto. Preferisco pensare con qualche cautela a un trascor-so di penna per moa, variante di moia attestata ad es. a I 22.

La presente edizione tiene conto delle varianti interlineari dovute alla stessamano che ha trascritto il testo e delle cospicue aggiunte marginali dovute a unamano successiva e derivate da un testo vicino a quello da cui attingono l’Inter-medio e il Rasonamento 86. Tali aggiunte, ignorate nell’edizione di PADOAN 1981(che ne fa cenno a p. 27), si leggono anche nell’edizione di MILANI 1989 (2000).

3. Intermedio d’una comedia de Ruzante alla Pavana (V)

3.1. Descrizione

Verona, Biblioteca Civica, mss. 1635-1636, poligr. 168.2, busta 55a/10. Cartaceo, primametà sec. XVI, mm 220 x 160, cc. I + 71 + I 87. Le cc. 1-49 contengono la Historia di Phi-

86 Da ultimo, CARROLL 2009: 62 nota 60 ha dedicato qualche osservazione a queste note mar-ginali: «That Beolco was also responsive to changing historical circumstances is confirmed bythe additions in the margin to the XI 66 fragment of the Moscheta, which indicate that thecopyst took account of updates being made by the author, including details showing that warhad begun. These marginalia having also generally been ignored by scholars, there is no syste-matic study of them, a project which the present author is currently undertaking».87 I due manoscritti, legati insieme, hanno una numerazione recente a matita da 1 a 71 in bassoa destra; il ms. 1635 ha una numerazione antica da 1 a 49 in alto a destra; il ms. 1636 ha unaparziale numerazione antica: da 1 a 3 e da 1 a 6 in corrispondenza delle cc. 50-52 e 58-63 dellanumerazione moderna. Cinque fascicoli: I (cc. 1-28); II (cc. 29-31 [ms. 1635] e 69-71 [ms.1636]); III (cc. 32-49); IV (cc. 50-57); V (cc. 58-68, ma una carta è stata tagliata tra le attuali67 e 68). Per le filigrane l’esame autoptico conferma quanto osservato da LIPPI 2000 (2003):229: il fascicolo IV ha una filigrana con cappello e contromarca PB (BRIQUET n° 3501, a. 1545;per il tipo cfr. anche BRIQUET nn° 3413-3418, anni 1528-1549); il fascicolo V ha una filigranacon angelo racchiuso da un cerchio sormontato da stella senza contromarca (per il tipo cfr.BRIQUET n° 645 [Vicenza, 1535 e 1546] e n° 646, [Padova, 1541; Vicenza, 1537 e 1540-1548]).

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nota al testo

leto Veronese pubblicata su questo manoscritto da Biadego; le cc. 50-67 testi ruzantiani(vedi descrizione dei fascicoli); le cc. 69-71 (c. 68 è bianca) una serie di testi poetici vol-gari e latini.Fascicolo IV: cc. 50r-56r: Sa la Caccia (Lettera all’Alvarotto); cc. 56v-57: bianche.Fascicolo V: cc. 58r-59v: Intermedio d’una comedia de Ruzante alla Pavana (intermezzoderivante dal prologo della prima Moschetta); cc. 60r-67v: Sprolico d(e) Ruzante fatto alCardinale Cornaro nella Inclyta Città di Vinegia (Prima Oratione); c. 68: bianca (una cartaoriginariamente posta tra le attuali 67 e 68 è stata tagliata).

BIBLIOGRAFIA: G. BIADEGO, Catalogo descrittivo dei manoscritti della Biblioteca Comuna-le di Verona, Verona, Stab. Tipografico G. Civelli, 1892, pp. 138-139, n° 208; L. CORFI-NO, Historia di Phileto Veronese, per c. di G. Biadego, Livorno, Giusti, 1899, pp. VII-XXVII (l’unico cenno sul manoscritto a p. IX nota 1); E. LOVARINI, Per l’edizione criti-ca del Ruzzante (1953), poi in LOVARINI 1965: 144-145; ZORZI 1967: 1619; PADOAN 1978:50-51; PADOAN 1981: 28; MILANI 1989 (2000); LIPPI 2000 (2003): 228-229 (con biblio-grafia); CARROLL 2009: 56-61, 65-66, 70-71, 114 88.

3.2. Emendazione

Esatta l’osservazione di PADOAN 1981: 28 che il testo «è trascritto con esterio-re diligenza, ma gli errori evidenti non sono rari». Di séguito l’elenco degliinterventi, limitati ai casi strettamente necessari escludendo quelli ipotizzabilisulla base di un confronto di V con i testi di Egloga-Moschetta e Rasonamento 89.– § 3 el serae an si con’ miegio mi ! el serae an si con’ miegio che mi: intervengocosì sulla base dei testi di M (§ 3) e R (§ 3), nonostante l’intera espressione siatutt’altro che chiara (cfr. commento al testo dell’Egloga-Moschetta).– § 6 guarni cu(m) a fen gnu dalle ville ! guardè cum’ a’ sen gnu dalle ville:

88 CARROLL 2009: 70-71 ritiene di poter identificare il compilatore di V con Paolo Alvarottosulla base del riscontro con una dichiarazione d’Estimo vergata dall’Alvarotto molto più tardi,nel 1562.89 L’elenco delle correzioni è dunque sensibilmente ridotto rispetto a quello ricavabile daPADOAN 1981: 28 e dall’apparato del testo di PADOAN 1981: 185-191. Molte volte, infatti,Padoan interviene sul testo facendo valere rigidamente l’autorità di M o di R1551: ad es. al § 5«no cerché de strafare» non è da correggere sulla base di M e R1551 «no çerché <mé> de stra-fare» (nulla garantisce che la lezione originale non sia quella dell’Intermedio e che il mè nonsia una particella pletorica introdotta dal copista del codice Marciano o da chi allestì il testo astampa del Rasonamento); similmente al § 10 «andessan tutti com’ a’ sem nassù» non è da cor-reggere in «andessan tutti <cossì> com’ a’ sem nassù», e al § 11 «cum’ a fago mi» non è dacorreggere in «cum’ a fago <mo> mi». Altrove è la veste linguistica dell’Intermedio a essereoggetto di correzione (un caso di un certo rilievo segnalato alla fine di questo paragrafo): cosìl’avversativa ma, certo poco ‘genuina’ dal punto di vista del pavano, viene sempre corretta daPadoan in mo (cfr. l’apparato in PADOAN 1981: 187) e la forma adesché, effettivamente del soloms. Veronese 1636 anche nella Prima Oratione (CORPUS PAVANO), è corretta in adasché, esclu-siva nei testi pavani. Mi pare però che in questo caso, come in quelli dell’Egloga marciana edel Rasonamento, la scelta di fornire un’edizione per ognuno dei testi dispensi dalla necessitàdi ricorrere a procedimenti contaminatori come questi: ogni testimone può e deve essere pre-sentato nella propria veste, anche linguistica e formale, fatte salve le correzioni strettamentenecessarie sul piano della sostanza.

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nota al testo

guarni (o guarnì), incomprensibile e privo di pezze d’appoggio, è il risultato diun guasto prodottosi per cattiva comprensione del segmento che in R § 6 reci-ta «vardé cun’ a’ seón nu dalle ville!» (guardé nelle aggiunte marginali di M).Fen in luogo di sen potrebbe dipendere dal tentativo non riuscito – addebita-bile al copista di V o alla sua fonte – di aggiustare il passo ormai incomprensi-bile dopo il passaggio da guardè a guarni.– § 6 che strotte ! che per strette: l’integrazione e la correzione sono necessa-rie per il senso del testo (cfr. anche le altre redazioni).– § 8 gie aniegi in la rechie ! gi aniegi in le rechie.– § 8 a ve an guarniegi ! a’ ve fè an’ guarniegi: PADOAN 1981: 187 stampasenza intervenire «avé an guarniegi». Ma il confronto con Rasonamento § 8 econ altre analoghe espressioni (§ 7 «a’ ve fè fare e tagiare»; § 8 «a’ ve fè ficaregi aniegi in le rechie») suggerisce piuttosto che si tratti di lacuna da integrare;inoltre la quinta persona del presente indicativo di avere è sempre aì e mai avèin pavano (cfr. qui anche § 6 e CORPUS PAVANO).– § 8 va ten pì large ! ve ten pì larghe.– § 8 gi ha del naturale ! le ha del naturale: il riferimento è alle femene; cfr.anche il testo di Rasonamento § 8. – § 11 ande sel va da un lo ande ! s’el va da un lò andè: il primo ande dipen-de da erronea anticipazione del secondo e rende il testo incomprensibile.

A parte vanno segnalate tre forme eliminate nel testo di PADOAN 1981 90: si trat-ta di caodo ‘caldo’ (§ 9), aotro ‘altro’ (§ 10) e aoltro (§ 11, con grafia di com-promesso), che testimoniano la vocalizzazione di l. Il fenomeno è ignoto alpavano e al padovano, mentre ha varie attestazioni in area veronese, sia in testiantichi (BERTOLETTI 2005: 178-180 e note relative, soprattutto 443), sia in testirinascimentali (nei sonetti di Sommariva aotre ‘altre’, saotare ‘saltare’, mao ‘mal’due volte, aotare ‘altare’, sàodo ‘saldo’, sàoto ‘salto’) 91. Tali forme vanno dunqueconservate e possono considerarsi indizio d’origine veronese per la mano,unica, che ha esemplato i testi ruzantiani del codice.

90 PADOAN 1981: 189 al § 11 (qui 9) stampa caldo relegando caodo in apparato; ai §§ 12 e 14(qui 10 e 11) stampa altro senza nessun’altra segnalazione. Nella Nota al testo, a p. 28, segna-la caodo tra gli errori del testo veronese.91 MILANI 58 v. 15, 70 v. 9, 72 v. 3 e 78 v. 12, 76 v. 3, 86 v. 1, 86 v. 2. Già MILANI 1989 (2000):180 osservava che «si possono imputare al copista dell’Intermedio alcuni tipici veronesismiriscontrabili nel testo (aotro, caoldo [sic], gnu)». Per la grafia aoltro, in cui la conservazionegrafica della l coesiste con la o che ne è l’esito vocalico, si veda l’esempio analogo – nel qualetuttavia l è forse corretta su o – di aol ‘al’ in BERTOLETTI 2005: 180.

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4. Rasonamento de Ruzante

4.1. Venezia, Alessi, 1551 (R1551)

4.1.1. Descrizione

c. A1r: TRE ORATIONI | DI RUZZANTE RECITA | TE IN LINGUA RUSTI= | CAALLI ILLUSTRIS(SIMI) | Signori Cardinali Cor= | nari e Pisani | Con uno ragiona-mento et uno sprolico, insie | me co(n) una lettera scritta allo Alvarotto | per lo istessoRuzzante tutte ope- | re ingegniose, argute, et di ma | raviglioso piacere, non | più stam-pate. | Con Gratia e Privilegio. | IN VINETIA appresso Stefano de Alessi in calle | dellaBissa, all’insegna del Cavalletto. | MDLI.Colofone: In Venetia appresso Bartholomeo | Cesano. MDLI 92.Formula collazionale: 8°; A-H4; cc. 32Contenuto: A1r: titolo. A2r: PRIMA ORATIO- | NE DI M(ESSER) ANGELO BEOL-CHO, | DITTO RUZZANTE, AL RE= | VERENDISSIMO CAR= | DINAL CORNA=| RO VECCHIO. C1v: IL FINE DELLA PRIMA | ORATIONE. C2r: SECONDAORA- | TIONE DE RUZZANTE AL= | LO ILLUSTRISSIMO SI= | GNOR FRAN-CESCO | CORNARO CAR= | DINALE. D2v: IL FINE DELLA SECONDA | ORA-TIONE. D3r: TERZA ORATIO- | NE DI RUZZANTE AL | ILLUSTRISSIMO SI= |GNOR CARDINAL | PISANI. E4v: IL FINE DELLA TERZA | ORATIONE. F1r:RASONAMENTO | DE RUZANTE. F2v: IL FINE. F3r: SPROLICO DE | RUZANTE.F4r: IL FINE. F4v: LITTERA DE RUZ | ZANTE A MESSIER MAR= | CO ALVA-ROTTO. H3r: IL FINE. H3v: colofone. H4r-v: bianco. Titolo corrente: nessuno.Richiami: A4v: Pavan B4v: nostre C4v: questo? D4v: consa F4v: pra G4v: man Tipi: Corsivo di Colonia 82. Iniziali parlanti: A2r P (forse il Poeta 93); C2r Q (Quirino aCavallo: cfr. PETRUCCI NARDELLI 1991: tavola II); D3r R (rabdomante col bastone inmano); F1r O (fauno sdraiato: non sono in grado di identificare l’immagine); F3r E(Ercole che smascella il leone); F4v M (Mercurio con ali ai piedi e caduceo: cfr. 1.1.1). Carta: filigrana con àncora descritta per M1551

94; a c. G3 di L lettera M di contromarcadiversa da quella segnalata sopra (cfr. BRIQUET n° 531 [Reggio Emilia e Mantova, entram-be 1542]); a c. B4 di R contromarca con due A maiuscole riscontrata anche per M1551.Esemplari noti 95: Brescia, Biblioteca Civica Queriniana, 10a M.VI.5.(7) (= B; MAGLIANI1999: 109 n° 5) 96; Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, 25.13.I 0022/03 (= M1)

97;

92 Edizione registrata da RHODES 1988 (1991): 154 n° 7.93 Cfr. CALMO Saltuzza 220-221 nota 19 (dove si rilevava anche la parziale somiglianza a un’i-niziale con Piramo e Tisbe); propendo per il Poeta, non solo perché la figura è coronata conalloro, ma anche perché ha di fronte un vulcano, tradizionale simbolo dell’ispirazione poetica(irriso da Orazio nell’Ars Poetica, vv. 464 ss. «[...] Deus inmortalis haberi / dum cupit Empe-docles, ardentem frigidus Aetnam / insiluit»).94 Ben visibile nei fascicoli B, D, E, F, H di L; A, C, D, E, F, H di R.95 L’esemplare di R1551 segnalato dalla versione in linea di Edit16 presso la Biblioteca Teatraledel Burcardo di Roma non esiste.96 Legato con l’esemplare di M1551 siglato B: cfr. nota 8 al § 1.1.1.97 Legato con l’esemplare di M1551 siglato M3, di proprietà del cardinal Durini: cfr. Il fondo Car-dinal Durini alla Biblioteca Nazionale Braidense. Catalogo dei libri a stampa cit., p. 389 n° 2299e nota 11 al § 1.1.1.

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Milano, Biblioteca Livia Simoni, Museo teatrale alla Scala (= M2); Padova, BibliotecaCivica, B.P. 4331 (= P; MAGLIANI 1999: 109 n° 5, esemplare mutilo di c. H4); Roma,Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana 92 K 20 8 (= R1); Treviso,Biblioteca Civica, V.17.L.13 (= T; MAGLIANI 1999: 109 n° 5); Venezia, Biblioteca dell’I-stituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti, II 2 H 15/6 (= V) 98. Berkley, Bancroft Library(= Be: MELVYL); London, British Library, T 1853.(1) (= L: STC It. 86); Paris, Bibliothè-que Nationale, Yd 4287 e (= Par); Rouen, Bibliothèque Municipale (= Ro: CCF); Weimar,Herzogin Anna Amalia Bibliothek (= W: KVK); Wien, Österreichische Nationalbi-bliothek (IA, IV 9). Esemplari esaminati e collazionati: L (assunto a base di collazione), B, M1, Par (su foto-copia da microfiche), R.

4.1.2. Collazione e emendatio degli esemplari di R1551

Limitatamente agli esemplari esaminati, la collazione non rivela varianti di nes-sun tipo 99. In due casi il testo presenta una lezione su cui occorre intervenire 100: – § 10 salegari ! salgari: salegari non ha attestazioni nel CORPUS PAVANO.– § 11 se volesse an’ mi faellare in fiorentinesco moschetto e dire io mi le sono chea’ no vuogio dire che le no sonerano bon a’ no ’l saerae fare? ! se volesse an’ mifaellare in fiorentinesco moschetto e dire «io mi le sono» – che a’ no vuogio dire –che, le no sonerae bon? A’ no ’l saerae fare?: sonerano di R1551 dipenderà da unaconfusione con il precedente sono; se si volesse conservarla, per la sua desinenzala forma andrebbe considerata ‘moschetta’ e stampata dunque tra sergenti, ma intal modo mi pare non sarebbe possibile ricavare una frase di senso compiuto 101.

98 Edizioni del Cinquecento possedute dall’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti cit., p. 135n° 242.99 Il confronto tra esemplari è quasi inevitabilmente infruttuoso per un testo tanto breve(ragione per la quale non si è ritenuto necessario eseguirlo sistematicamente su tutti i pezzinoti). Uno studio e una collazione accurati di tutti gli esemplari sopravvissuti di questa prin-ceps spettano a chi preparerà l’edizione delle Orationi e della Lettera all’Alvarotto. Fin d’oraandrà comunque notato che in tutti gli esemplari esaminati direttamente occorrono numero-si errori nella numerazione delle pagine: 23 invece di 13; dopo 20 (= ultima carta del fascico-lo E) 25, 26, 27, 28 (fascicolo F); seguono di nuovo 25, 26, 27, 28 (fascicolo G); 31, 32, 33(fascicolo H; c. H4 bianca dunque senza numerazione). Probabilmente a questo fatto allude,seppure in maniera incompleta, l’indicazione sintetica di RHODES 1988 (1991): 154 n° 7 «ff.28, 31-33».100 Anche per il Rasonamento le scelte di Padoan sollevano perplessità simili a quelle espostealla nota 89 (l’intera serie degli interventi è deducibile dall’apparato in PADOAN 1981: 193-197; come per l’Intermedio è evidente la propensione a ritoccare il testo sulla base degli altridue testimoni). Mi limito qui a due esempi indicativi: al § 6 rocento non necessita d’essere cor-retto in roceto (roçeto in Padoan), perché forme con la n sono attestate dalle fonti vocabolari-stiche e da altri testi pavani e settentrionali di poco posteriori (cfr. il commento a Egloga § 6,e si tenga conto che l’etimo è pur sempre RECENS). Allo stesso § 6 non si capisce perché pighes-son debba essere normalizzato in piegasson (variante preferita anche dalle stampe successive aR1551), avendosi in questo caso un esito normale sia in pavano che in padovano come la ridu-zione di un gruppo vocalico al primo elemento dopo consonante + L (così in pino ‘pieno’, fime‘fiume’ ecc.): pigarse anche in Vaccaria, p. 1145 § 100; pigarme e pigarse nella rimeria postru-zantiana (CORPUS PAVANO).101 Si attaglia bene a questo passo l’osservazione di MILANI 1989 (2000): 188 nota che «le diffe-

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nota al testo

4.2. Venezia, Alessi, 1554 [1555] (R1554 [1555])

4.2.1. Descrizione

c. a1r: TRE ORATIONI DI | RUZZANTE RECITATE | IN LINGUA RUSTICA | ALLIILLUSTRIS. | Signori Cardinali Cor= | nari, & Pisani. | Con uno ragionamento & unosprolico, in- | sieme con una lettera scritta allo Alva- | rotto per lo istesso Ruzante tutte |opere ingeniose, argute, & | di maraviglioso pia- | cere, non più | stampate. | Con gratia& Privilegio. | IN VINEGIA, appresso Stephano di Alessi, alla Libraria | del Cavalletto,Al Fontego de i Todeschi, in Calle della Bissa. | 1554.Colofone: In Venetia, appresso Stephano di Alessi, alla | Libraria del Cavalletto, al fon-tego | de i Todeschi 102.Formula collazionale: 8°; A-D8; cc. [1] 30 [1].Contenuto: A1r: titolo. A2r: PRIMA ORATIONE | DI M. ANGELO BEOLCHO, |DITTO RUZZANTE, | Al Reverendissimo Cardinal | Cornaro vecchio. B1v: IL FINEDELLA PRIMA | ORATIONE. B2r: SECONDA ORATIONE | DE RUZZANTEALLO IL- | LUSTRISSIMO SIGNOR | FRANCESCO COR= | naro Cardinale. B6v: ILFINE DELLA SECONDA | ORATIONE. B7r: TERZA ORATIONE | DI RUZZAN-TE, | Al Illustrissimo Signor Car- | dinal Pisani. C4v: IL FINE DELLA TERZA | ORA-TIONE. C5r: RASONAMENTO | DE RUZANTE. C6v: IL FINE. C7r: SPROLICODE RUZZANTE. C8r: IL FINE. C8v: LITTERA DE RUZ- | ZANTE A MESSIERMAR- | CO ALVAROTTO. D7r: IL FINE. D7v: colofone. D8r-v: bianco.Titolo corrente: ORATIONE | DI RUZZANTE; RASONAMENTO | DI RUZZANTE;SPROLICO | DI RUZZANTE; LITTERA | DI RUZZANTE.Richiami: A2r: quigi A2v: sche A3r: re che A3v: utilite? A4r: ceffi A4v: le femene? A5r:si gi A5v: dire; A6r: Nale A6v: gie A7r: orben= A7v: La A8r: cossì A8v: Pava, B1r: ra B2r:a vu B2v: ello B3r: alber= B3v: scapò B4r: e da B4v: che ve B5r: meni B5v: te pigore, B6r:gnosso B6v: TERZA B7r: ra que B7v: farae B8r: saorio B8v: vel C1r: vostra C1v: de anareC2r: lea C2v: desse C3r: e po C3v: un C4r: ro= C4v: RASO= C5r: ben, C5v: mettere C6r:sarae C6v: Sprolico C7r: te C7v: ge buoni C8v: natu= D1r: to, D1v: que D2r: de D2v:que D3r: pò D3v: quattro, D4r: cazza, D4v: do D5r: ben D5v: quel D6r: te no D6v: tento,Tipi: Corsivo di Colonia 82. Iniziali parlanti: A2r P (Procuste: cfr. 1.1.1); B2r Q (quattroevangelisti, di cui sono riprodotti i simboli); B7r R (scena di raccolta delle messi; nonsono in grado di identificare il soggetto); C5r O (Oloferne decapitato da Giuditta); C6rE (l’iniziale parlante non è stata inserita: al suo posto una E maiuscola); C8v M (Mosèriceve le tavole della legge).Carta: alle cc. B5, B8, C5, C8, D5 e D8 dell’esemplare di Bassano [1554] e alle cc. B8,D6 e D7 dell’esemplare di Bologna [1555] filigrana con àncora descritta per M1551; sianell’esemplare di Bassano che in quello di Bologna il fascicolo A è stampato su cartadiversa (più spessa di quella degli altri fascicoli), la cui filigrana non è visibile se non perun frammento a c. A5 dell’es. di Bassano e a c. A6 dell’es. di Bologna.[1554] Esemplari noti: Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio 103; Firenze,

renti versioni del moscheto mostrano tre diversi tentativi di interpretare un passo poco chiaro».102 Edizione registrata da RHODES 1988 (1991): 157 n° 157 e attribuita all’officina di Vincen-zo Valgrisi. Rhodes ignora l’esistenza dell’emissione con data 1555 (avvertiva a p. 150 nota 1di non aver potuto svolgere le proprie ricerche in Italia).103 Edizioni del Cinquecento, catalogo a c. di R. Del Sal cit., n° 1075.

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Biblioteca Nazionale Centrale, Palat. 12.5.2.46VII (catalogo a schede del Fondo Palatino);Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Dramm. 489.7 e 288.1 (MAGLIANI 1999: 115 n°12). Cambridge, University Library (ADAMS II 166 n° 982); Rouen, BibliothèqueMunicipale (CCF).Esemplari esaminati: Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, 70.A.18.1 (su cuiè stata condotta la collazione).[1555] Esemplari noti: Bergamo, Biblioteca mons. Giacomo Radini Tedeschi. Fondo delClero di S. Alessandro in Colonna; Bologna, Biblioteca Universitaria (catalogo a schede);Bologna, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio; Padova, Biblioteca Civica, B.P. 3764(MAGLIANI 1999: 118 n° 16); Padova, Biblioteca del Seminario Vescovile (Opac dellaProvincia di Padova); Roma, Biblioteca Teatrale del Burcardo; Torino, Biblioteca cen-trale della Facoltà di lettere e filosofia dell’Università degli studi di Torino; Venezia,Biblioteca Nazionale Marciana, Comm. 288.1 (MAGLIANI 1999: 118 n° 16); Venezia,Biblioteca di Casa Goldoni; Vicenza, Biblioteca Civica Bertoliana, R.N.3.g14 (MAGLIA-NI 1999: 118 n° 46). Berlin, Staatsbibliothek (IA, IV 11); Wien, Österreichische Natio-nalbibliothek (IA, IV 11). Esemplari esaminati: Bologna Biblioteca Universitaria A V Caps. 267.1 (su cui è statacondotta la collazione); Roma, Biblioteca Teatrale del Burcardo, Ed. Cinq. 136, fondo R.Forges Davanzati acquisito dalla SIAE, a c. A1v timbro della Libreria Francesco Perrel-la di Napoli (fotocopia).

4.2.2. Collazione del testo critico con R1554 [1555]

6 pighesson] piegasso(n); 6 butterae] buttarae; 8 aniegi] anegi; 8 e le guerre (secondavolta)] i soldè a le guerre; 9 travesso via] traesso via; 9 stratuto nuovo] stratuto novo; 10salegari] salgari; 10 vêrghe] veerge; 12 Spagnaruoli] Spagnaroli.

La formula R1554 [1555] indica che, nell’àmbito della stessa edizione, alcuni esem-plari hanno sul frontespizio la data 1554, altri la data 1555: questi ultimi nonappartengono dunque a una diversa edizione, bensì a un’emissione contempo-ranea (cfr. § 1.2.2 anche per la bibliografia). Gli esemplari datati 1554 e 1555differiscono infatti dal testo di M1551 negli stessi punti e presentano la stessadistribuzione del testo nelle carte (diversa da quella di M1551). Nonostante labrevità del Rasonamento è possibile individuare almeno tre caratteristichemateriali che apparentano gli esemplari con diverse date: l’iniziale parlante èdanneggiata nello stesso modo sia nella parte superiore che in quella inferioredella cornice; a p. 42 (c. C5v, settima riga, § 5) dige ha la g danneggiata; a p. 43(c. C6r, settima riga, § 8) adasche ha la seconda a più piccola e visibilmenteschiacciata rispetto alla prima.

4.3. Venezia, Farri, 1561 (R1561)

4.3.1. Descrizione

c. a1r: TRE | ORATIONI | DI RUZZANTE, RECITATE | IN LINGUA RUSTICA,ALLI | ILLUSTRIS. SIGNO. CAR | DINALI, CORNARI, | ET PISANI. | Con unoragionamento, & uno sprolico, insieme con | una lettera scritta allo Alvarotto, per lo

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nota al testo

istesso | Ruzante, tutte opere ingeniose, argu- | te, e di maraviglioso piacere. | IN VINE-GIA, APPRESSO | DOMENICO DE FARRI. | M. D. LXI. Colofone: IN VINEGIA, APPRESSO | DOMENICO DE FARRI. | M. D. LXI.Formula collazionale: 8°; A-D8; cc. [1] 30 [1]. Contenuto: A1r: titolo. A2r: PRIMA ORATIONE | DI M. ANGELO BEOLCHO, |DETTO RUZZANTE. | Al Reverendissimo Cardinal | Cornaro vecchio. B1v: IL FINEDELLA PRIMA | ORATIONE. B2r: SECONDA ORATIONE DE | RUZZANTEALLO ILLUSTRIS- | SIMO SIGNOR FRANCESCO | CORNARO CARDINALE.B6v: IL FINE DELLA SECONDA | ORATIONE. B7r: TERZA ORATIONE | DI RUZ-ZANTE | Al Illustrissimo Signor Car- | dinal Pisani. C4v: IL FINE DELLA TERZA |ORATIONE. C5r: RASONAMENTO | DE RUZZANTE. C6v: IL FINE. C7r: SPRO-LICO DE | RUZZANTE. C8r: IL FINE. C8v: LITTERA DE RUZZANTE | A MES-SIER MARCO | ALVAROTTO. D7r: IL FINE. D7v: colofone. D8: bianca.Titolo corrente: ORATIONE | DI RUZ(Z)ANTE; RASONAMENTO | DI RUZANTE;SPROLICO | DI RUZZANTE; LITTERA | DI RUZ(Z)ANTE. Richiami: A2r: quigi A2v: sche A3r: re che A3v: utilite? A4r: ceffi A4v: le femene? A5r:si gi A5v: dire: A6r: nale A6v: giè A7r: orben- A7v: La A8r: cossi A8v: Pava, B1r: rà B2r:a vu B2v: ello B3r: alber- B3v: ben B4r: e da B4v: che ve B5r: meni B5v: te piegore B6r:gnosso B7r: ra que B7v: farae B8r: saorio B8v: vel C1r: vostra C1v: de anare C2r: ea C2v:desse C3r: e po C3v: un C4r: ro- C5r: ben, C5v: mettere C6r: sarae C6v: Sprolico C7r: teC7v: ge buoni C8v: natu D1r: to, D1v: que D2r: de D2v: que D3r: pò D3v: quattro D4r:cazza, D4v: do D5r: ben D5v: quel D6r: te no D6v: cento,Tipi: Come M1561. Iniziali: dubito che si tratti di iniziali ‘parlanti’ e restano molti dubbisulla decifrazione delle immagini ornamentali: A2r P (putti che giocano?); B2r Q (unuomo con cappello seduto tocca qualcosa: il legno dell’esemplare padovano è moltorovinato); B7r R (putto/angelo seduto con un fascio?); C5r O (putto che suona un cornood olifante?); C6r E come quella di M1561; C8v M come quella di M1561. Carta: nei fascicoli A e D dell’esemplare padovano filigrana dell’àncora simile a quelladescritta per M1551; nei fascicoli B e C cerchi concentrici che racchiudono forse una crocecon le braccia strombate, come in M1561 (disegno non ricostruibile: cfr. § 1.3.1).Esemplari noti: Bergamo, Biblioteca Civica A. Mai, Cinq. 1.361 (MAGLIANI 1999: 131 n°34) 104; Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Misc. Capretta 1839.5 (catalogo a schededel Fondo Palatino); Padova, Biblioteca Civica, B.P. 3767 (MAGLIANI 1999: 131 n° 34);Pordenone, Biblioteca Civica; Rovigo, Biblioteca dell’Accademia dei Concordi, Silv.33.5.27 (MAGLIANI 1999: 131 n° 34). Chicago, University Library (STC It.-Usa, I204 105); Madrid, Biblioteca Nacional 106; Williamstown, Chapin Library (IA, IV 12). Esemplari esaminati: Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Misc. Capretta 1839.5 (sucui è stata ripetuta la collazione); Padova, Biblioteca Civica, B.P. 3767 (su cui è stata con-dotta la collazione).

104 CHIODI 1973: 45.105 Forse lo stesso esemplare registrato da BREGOLI RUSSO 1984: 157 n° 541.106 Catalogo colectivo de obras impresas en los siglos XVI al XVIII existentes en las bibliotecasespañolas, Madrid, Ministerio de educacion y ciencia – Direccion general de archivos y biblio-tecas – Biblioteca Nacional, 1972, II (letra B), n° 837.

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nota al testo

4.3.2. Collazione del testo critico con R1561

2 tuor] tuore; 3 zà ben fatto] ze ben fatto; 3 andare col me’] anare col me; 4 celegatto]celegato; 4 cun’ si a’ foessé] con si a foesse; 4 cosa ch’a’ faesse] consa cha faesse; 4 diraemi] dire mi; 6 e de tante fatte] de tante fatte; 6 cun’ aì ficò] con hai ficò; 6 cun’ a’ seon]co(n) a seon; 6 pighesson] piegasson; 6 butterae] buttarae; 7 le cose] le cosi; 8 aniegi]anegi; 8 malletto] maletto; 8 agno muo’] a agno muo; 9 travesso] traesse; 9 stratuto] sta-tuto; 9 chi foesse ben vestìo] chel foesse ben vestio; 9 volesse straffare] volesse straffar;10 salegari] salgari; 10 seon nassù] seom nassu; 10 vêrghe] veerge; 11 sonerà] sonarano;12 giomenta (seconda volta), giomente] giumenta, giumente.

4.4. Venezia, Bonadio, 1565 (R1565)

4.4.1. Descrizione

c. a1r: TRE | ORATIONI | DI RUZZANTE, | RECITATE IN | LINGUA RUSTICA, |alli illustriss(imi) Sig(nori) Cardinali, | Cornari e Pisani. | CON UNO RAGIONAMENTO | &uno sprolico, insieme con una lettera scritta allo | Alvarotto, per lo istesso Ruzante, | tutteopere ingeniose, argute, | e di maraviglioso piacere. | IN VENETIA. | Appresso GiovanniBonadio. | 1565.Colofone: assente.Formula collazionale: 8°; A-D8; cc. [1] 31.Contenuto: a1r: titolo. A2r: PRIMA ORATIONE | DI M(ESSER) ANGELO BEOL-CHO, | DETTO RUZZANTE. | Al reverendissimo Cardinal | Cornaro vecchio. B1v: ILFINE DELLA PRIMA | ORATIONE. B2r: SECONDA ORATIONE | DI RUZZAN-TE, | Allo illustrissimo Signor Francesco | Cornaro Cardinale. B6v: IL FINE DELLASECONDA | ORATIONE. B7r: TERZA ORATIONE | DI RUZZANTE. | Al illustrissi-mo Signor Cardi- | nal Pisani. C4v: IL FINE DELLA TERZA | ORATIONE. C5r:RASONAMENTO | DE RUZZANTE. C6v: IL FINE. C7r: SPROLICO | DE RUZ-ZANTE. C8r: IL FINE. C8v: LITTERA DE RUZ- | zante a Messier Marco | Alvarotto.D7r: IL FINE. D7v: marca di Giovanni Bonadio 107. D8r-v: bianco. Titolo corrente: ORATIONE | DI RUZZANTE; RASONAMENTO | DI RUZZANTE.;SPROLICO | DI RUZZANTE.; LITTERA | DI RUZZANTE. Richiami: A2r: quigi A2v: sche A3r: re che A3v: utilite? A4r: cessi, A4v: le femene? A5r:si gi A5v: dire: A6r: nale A6v: giè A7r: orben A7v: La A8r: cossi A8v: Pava B1r: rà B2r:a vu B2v: ello B3r: alber- B3v: ben B4r: e da B4v: che ve B5r: se da B5v: tena B6r: gnos-so B7r: ra que B7v: farae B8r: saorio B8v: vel C1r: vostra C1v: de anare C2r: lea C2v:desse C3r: e po C3v: un C4r: ro- C5r: ben. C5v: mettere C6r: sarae C7r: te C7v: ge buoniC8v: natu D1r: to, D1v: que D2r: de D2v: que D3r: po’ D3v: quattro D4r: cazza D4v: doD5r: ben D5v: quel D6r: te no D6v: tento. Tipi: cfr. la descrizione di M1565.Carta: alle cc. 22-23 dell’esemplare londinese «cercle qui traverse ou sourmonte un traitetoilé» (BRIQUET, nn° 3077 e 3083-3091, per lo più in documenti dell’Italia settentriona-le negli anni Cinquanta del Cinquecento; nessuno a Venezia); alle cc. 6, 14, 32 filigranadel cappello (prossima a BRIQUET n° 3467, Venezia 1570). Esemplari noti: Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Nencini 1.5.6.5 (catalogo a sche-

107 Se ne veda la descrizione al § 1.4.1.

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nota al testo

de del Fondo Palatino); Milano, Biblioteca Livia Simoni, Museo teatrale alla Scala; Mila-no, Biblioteca Nazionale Braidense, Racc. Dram 02056/007 (catalogo in linea); Orvieto,Biblioteca Comunale Luigi Fumi; Padova, Biblioteca Civica, B.P. 1175.I (MAGLIANI1999: 137 n° 42); Padova, Biblioteca del Seminario Vescovile (Opac della Provincia diPadova); Parma, Biblioteca Palatina. Sezione Musicale; Roma, Biblioteca NazionaleCentrale Vittorio Emanuele II (catalogo in linea); Roma, Biblioteca del Burcardo; Roma,Biblioteca Hertziana; Venezia, Biblioteca del Museo Correr, Op. P.D.25619 (MAGLIANI1999: 137 n° 42). Aix en Provence, Bibliothèque Méjanes (CCF); Chicago, NewberryLibrary (STC It.-Usa, I 204); London, British Library (STC It. 86); Nancy, BibliothèqueMunicipale (CCF); Toronto, University Library (STC It.-Usa, I 204); Wien, Universitäts-bibliothek (IA, IV 13). Esemplari esaminati: British Library, 11715 b 65 7 (su cui è stata eseguita la collazione);Biblioteca Teatrale del Burcardo, Ed. Cinq. 134 (fotocopia, su cui è stata ripetuta la col-lazione).

4.4.2. Collazione del testo critico con R1565

2 sì la vuole muare] si vuole muare; 2 tuor] tuore; 3 questori] questore; 3 andare col me’]anare col me; 4 celegatto] celegato; 4 cun’ si a’ foessé] con si a foesse; 4 cosa ch’a’ faes-se] consa cha faesse; 4 dirae mi] dire mi; 6 e de tante fatte] de tante fatte; 6 cun’ aì ficò]con hai ficò; 6 con’ è pumi] come pumi; 6 pighesson] piegasso(n); 6 butterae] buttarae;8 aniegi] anegi; 9 travesso] traesso; 9 stratuto nuovo] statuto novo; 9 chi foesse benvestìo] e chel foesse ben vestio; 9 volesse straffare] volesse straffar; 10 salegari] salgari;10 vêrghe] veerge; 11 moschetto] moscheto; 11 sonerà] sonarano; 12 giomenta (tutte levolte), giomente] giumenta, giumente.

4.5. Vicenza, Greco, 1584 (R1584)

4.5.1. Descrizione

c. a1r: TRE | ORATIONI | DI RUZANTE, | RECITATE IN | LINGUA RUSTICA, | AlliIllustrissimi Signori Cardinali Cor- | nari, & Pisani. | Con un ragionamento, & uno spro-lico, insieme | con una lettera scritta allo Alvarotto per | lo istesso Ruzante. Tutte opereinge- | niose, argute; e di maraviglioso | piacere. | PARTE OTTAVA. Colofone: assente (a c. C9v marca: cfr. § 1.5.1).Formula collazionale: 12°; A-C12; cc. [1] 32 [3].Contenuto: c. A2r PRIMA | ORATIONE | DI M. ANGELO | BEOLCHO, | DETTORUZANTE. | Al Reverendissimo Cardinal | Cornaro vecchio. A10r: SECONDA | ORA-TIONE | DI RUZANTE, | Allo Illustrissimo Signor Francesco | Cornaro Cardinale. B3r:IL FINE DELLA | seconda Oratione. B3v: TERZA | ORATIONE | DI RUZANTE. |All’Illustrissimo Signor Cardi- | nal Pisani. B9r: IL FINE DELLA | Terza Oratione. B9v:RASONAMENTO | DE RUZANTE. B11v: IL FINE. B12r: SPROLICO | DE RUZAN-TE. C1v: IL FINE. C2r: LITTERA | DI RUZANTE, | A Messier Mar- | co Alvarot- | to.C9r: IL FINE.Titolo corrente: ORATIONE | DI RUZANTE; RASONAMENTO | DI RUZANTE;SPROLICO | DI RUZANTE; LITTERA | DI RUZANTE.Richiami: A2r: mo? A2v: ca- A3r: tussi A3v: chio? A4r: roes- A4v; da A5r: suò A5v: sipiaA6r: tia A6v: sto A7r: var A7v: de- A8r: che A8v: la, A9r: belle A10r: son A10v: si A11r:

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nota al testo

gia- A11v: vana A12r: stra- A12v: rae B1r: una B1v: à B2r: an B2v: Na. B3v: lo B4r: ma-B4v: à B5r: fià, B5v: sup- B6r: dio. B6v: rò, B7r: de B7v: vegne B8r: va B8v: e dè B9v: raeB10r: dalle B10v: lesse B11r: pì B12r: co- B12v: Vn C1r: sare C2r [ma sulla stampa: A2]:Voi C2v: farei C3r: to. C3v: paro- C4r: che C4v: màn C5r: no C5v: sco- C6r: me- C6v:schiap- C7r: zo. C7v: pre C8r: darà C8v: di.Tipi: cfr. M1584. Iniziali ‘parlanti’: A10r Q (Quirino a cavallo: PETRUCCI NARDELLI 1991:tavola II); B3v R (re seduto in trono); B9v O (Orfeo viene aggredito dalle Baccanti men-tre suona la lira; per Orfeo in altre iniziali parlanti cfr. PETRUCCI NARDELLI 1991: 23 e38); B12r E (Enea porta in spalla Anchise); C2r M (forse Marte con Venere: cfr. § 1.5.1).Carta: alle cc. C1 e C2 dell’esemplare bolognese àncora racchiusa in un cerchio; parte dicerchio sormontato da una croce con bracci ornati da rombi alle estremità (cc. B5 e B6)e contromarca con P maiuscola (c. B12; non meglio precisabile: cfr. § 1.5.1). Esemplari noti: Bologna, Biblioteca Universitaria (catalogo a schede); Napoli, Bibliote-ca Nazionale Vittorio Emanuele III (e biblioteche che conservano l’intera edizioneGreco: cfr. la descrizione di M1584). Esemplari esaminati: Bologna, Biblioteca Universitaria, A V Caps. 253.10 (mutilo delleprime nove carte); Pisa, Biblioteca Universitaria, H.b.13.26 (su cui è stata eseguita la col-lazione).

4.5.2. Collazione del testo critico con R1584

1 vò] vuò; 1 a l’incontrario] all’incontrario; 2 quigi] quiggi; 2 sì la vuole] si vuole; 2 etuor la Fiorentinesca] om.; 3 co’ miegio] con miegio; 3 a’ i no l’intende] i no l’intende; 3dà piasere] se da piasere; 3 questori] questoro; 3 andare] anare; 4 celegatto] celegato; 4cun’ si a’ foessé] con se à foessè; 4 friegi] frieggi; 4 uno apiasere] un’apiasere; 4 cosach’a’] consa ch’à; 5 carezà] carrezà; 5 con’ a’ ve saerae] com a ve sarae; 5 e si a’ no ve] ese a no ve; 5 a faellare fiorentinesco] fiorentinesco; 5 ch’el n’è] che el n’è; 6 con’ a’ faz-zon] com a fazzòm; 6 formagio] fromagio; 6 abia rocento] habbia rocento; 6 saoriti] sao-ritti; 6 cun’ aì ficò] com haì ficcò; 6 con’ è pumi] com’è pumi; 6 cun’ a’ seon] con à seòn;6 aessan] haessàm; 6 pighesson] piegassòm; 6 ale man] alle man; 6 saoriti] saoritti; 6 cosesnaturale] conse snaturale; 6 ghe se pò] se ghe po; 7 con’ a’ fé vu] com à fè vù; 7 ch’a’no ve] che a no ve; 7 guarniegi] guarnieggi; 7 cose dertamen] conse dertamen; 7 cosa dalsnaturale] consa dal snaturale; 8 aniegi in le regie] anieggi in le reggie; 8 guarniegi] guar-nieggi; 8 dibia] dibbia; 9 avì piasere] haì piasere; 9 sia scavezzè] sea scavezzè; 9 traves-so] traèsso; 9 zenuogi] zenuòggi; 9 vorae] vorrae; 9 stratuto] stratutto; 9 saoriti] saorit-ti; 9 chi foesse] ch’el foèsse; 9 ch’a’ ’l foesse] ch’el foèsse; 9 si la foesse] se la foesse; 9andar via] anar via; 10 cosa del snaturale] consa del snaturale; 10 osiegi] osieggi; 10 sale-gari] salgari; 10 gabie] gabbie; 10 co’ miegio] con miegio; 10 andasson] anassòn; 10 seonnassù] seòm nassù; 10 vêrghe] veerghe; 11 sonerà] sonarano; 12 n’è pì schietto] no è pìschietto; 12 giomenta (tutte le volte), giumente] giume(n)ta, giume(n)te; 13 andar drio]anar drio; 13 quel om] quell’hom; 13 andar fuora] anar fuora.

4.6. Vicenza, Eredi Perin, 1598 (R1598)

4.6.1. Descrizione

c. a1r: TRE | ORATIONI | DI RUZANTE, | Recitate in lingua Rustica, | Alli Illustrissi-mi Signori Cardinali | Cornari, & Pisani. | Con un Ragionamento, e un Sprolico, insieme

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nota al testo

con una | Lettera scritta all’Alvarotto, per l’istesso Ruzante. | Tutte opere ingeniose, argu-te, e di maraviglioso piacere. | In Vicenza, Per gli Heredi di Perin Libraro. | Con licentiade’ Superiori [1598] 108. Colofone: assente.Formula collazionale: 8°; A-C8 D4; cc. [1] 27 109.Contenuto: A2r: PRIMA | ORATIONE | DI M. ANGELO | BEOLCHO, | DETTORUZANTE. | Al reverendiss. Cardinal Cornaro Vecchio. A8r: Il fine della Prima Ora-tione. A8v: SECONDA | ORATIONE | DI RUZANTE, | Allo Illustrissimo Signor Fran-cesco | Cornaro Cardinale. B5r: Il fine della seconda Oratione. B5v: TERZA | ORA-TIONE | DI RUZANTE, | Allo Illustrissimo Signor Car- | dinal Pisani. C2r: Il fine dellaterza Oratione. C2v: RASONAMENTO | DI RUZANTE. C4r: IL FINE. C4v: SPRO-LICO | DE RUZANTE. C5v: IL FINE. C6r: LETTERA | DI RUZANTE, | A MessierMarco Alvarotto. D4v: IL FINE.Titolo corrente: ORATIONE | DI RUZANTE; LETTERA | DI RUZANTE 110; SPRO-LICO | DI RUZANTE.Richiami: A2r: che A2v: ne A3r: Pa- A3v: paese A4r: E quelle A4v: sti A5r: dire, A5v: veA6r: com A6v: morto, A7r: no A7v: mi- A8r: sere B1r: se B1v: gior B2r: si pola, B2v: doB3r: trip- B3v: per- B4r: gnan B4v: A vo- B5v: na B6r: vattene B6v: ben B7r: se- B7v: imà-B8r: d’agni B8v: sperìto C1r: stro C1v: negùn C2v: ch’a C3r: a straffè C3v: crìu C4v: laC5r: E az- C6r: te C6v: ha- C7r: quellù, C7v: l’ar- C8r: tirè C8v: le D1r: què. D1v: na D2r:la D2v: tro, D3r: pì, D3v: de D4r: g[uir]lo 111.Tipi: cfr. M1598.Carta: a c. 29 P maiuscola con trifoglio della contromarca (cfr. 1.6.1); a c. 22 P maiuscola(qui il trifoglio si direbbe assente) con àncora non racchiusa in un cerchio: cfr. almenodi massima BRIQUET n° 523 (Reggio Emilia 1551; ma qui l’occhiello della P non è rivol-to verso l’àncora, che non è racchiusa da un cerchio). Stesso disegno nell’esemplarebolognese anche a c. 22 nella stampa dei Due dialoghi. Esemplari noti: Bologna, Biblioteca Universitaria (catalogo a schede); Firenze, Bibliote-ca Nazionale Centrale (e biblioteche che conservano l’intera edizione Perin: cfr. ladescrizione di M1598). Esemplari esaminati: Bologna, Biblioteca Universitaria, V FF XI 351-9 (su cui è stata ese-guita la collazione).

4.6.2. Collazione del testo critico con R1598

1 vò] vuò; 1 a l’incontrario] all’incontragio; 2 guarde] guardo; 2 quigi] quiggi; 2 sì lavuole] si vuole; 2 e tuor la Fiorentinesca] om.; 3 cancaro (tutte le volte)] cancabaro; 3 co’miegio] con miegio; 3 de la Tralia] della Tralia; 3 a’ i no l’intende] i no l’intende; 3 dàpiasere] se dà piasere; 3 con’ dise] com dise; 3 con’ fa questori] com fa questoro; 3 anda-re] anare; 4 celegatto] celegato; 4 che a’ si’ chialò] ch’a’ si’ chialò; 4 cun’ si a’ foessé] comse a foessè; 4 friegi] frieggi; 4 uno apiasere] un’apiasere; 4 con’ cosa ch’a’] com consa

108 Per la marca cfr. § 1.6.1.109 Con errori di numerazione delle carte nel fascicolo D, che presenta anziché la sequenza 25,26, 27, 28 la sequenza 25, 27, 29, 31.110 Per errore il titolo corrente LETTERA | DI RUZANTE si trova anche alle cc. C2v-C4r checontengono in realtà il Rasonamento.111 Sull’esemplare bolognese le lettere uir del richiamo sono assenti.

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nota al testo

ch’a; 5 con’ a’ ve saerae] com a ve sarae; 5 e si a’ no ve] e se a no ve; 5 a faellare fioren-tinesco] fiorentinesco; 5 e sì a’ ghe fé] e si ghe fè; 5 con’ a’ fazzon] com a fazzom; 6 for-magio] fromagio; 6 abia rocento] habbia rocento; 6 e de tante fatte] de tante fatte; 6 cun’aì ficò] com haì ficcò; 6 con’ è pumi] com è pumi; 6 cun’ a’ seon] com a seòm; 6 aessan]haessàm; 6 pighesson] piegassòm; 6 ale man] alle man; 6 saoriti] saoritti; 6 cose snatu-rale] conse snaturale; 6 cancaro] cancabaro; 6 ghe se pò] se ghe po; 6 pizzigare] pizze-gare; 7 con’ a’ fé vu] com a fè vù; 7 ch’a’ no ve] che a no ve; 7 ch’a’ ve fé fare] ch’a vefare; 7 guarniegi] guarnieggi; 7 cancari] cancabari; 7 fazanto] fazzanto; 7 cose dertamen]conse dertamèn; 7 cosa dal snaturale] consa dal snaturale; 7 cancaro] cancabaro; 8 anie-gi in le regie] anieggi in le reggie; 8 potta del cancaro.] om.; 8 La n’è zà] Poh la n’è zà; 8guarniegi] guarnieggi; 8 ca de sora] che de sora; 8 le è strette] l’è strette; 8 dibia] dib-bia; 8 adasché] daschè; 8 cancaro] cancabaro; 8 e con’ gi è pì gruossi] e com gi è pìgruòssi; 9 tagiar] tagiare; 9 avì piasere] haì piasere; 9 sia scavezzè] sea scavezzè; 9 tra-vesso] traèsso; 9 zenuogi] zenuòggi; 9 vorae] vorrae; 9 saoriti] saoritti; 9 ch’a’ ’l] che’l; 9si la foesse] se’l foesse; 9 no vegnisse] uo vegnisse; 9 andar via] anar via; 10 cosa del sna-turale] consa del snaturale; 10 osiegi] osieggi; 10 salegari] salgari; 10 gabie] gabbie; 10co’ miegio] con miegio; 10 ferdo] ferdo e la vergogna; 10 andasson] anassòm; 10 con’ a’seon nassù] com a seòm nassù; 10 ch’a’ ’l foesse] che’l foesse; 10 in nu per nu] nù pernù; 10 vêrghe] veerghe; 10 inganerae] ingannerae; 11 con’ a’ vi’] com a vì; 11 con’ a’faghe] com a faghe; 11 le no sonerà] la no sonarano; 12 n’è pì schietto] no è pì schietto;12 giomenta (tutte le volte), giomente] giumenta, giumente; 12 con’ dise] co dise; 12 can-caro (tutte le volte)] cancabaro; 12 alle] a le; 13 andar drio] anar drio; 13 quel om] quellhom; 13 da bel mo’] da bel muò; 13 andar fuora] anar fuora; 13 muare de lengua] mnarede lengua; 14 seon] seòm.

4.7. Vicenza, Amadio, 1617 (R1617)

4.7.1. Descrizione

c. a1r: TRE | ORATIONI | DI RUZANTE, | Recitate in lingua Rustica, | A gli Illustris-simi Signori Cardinali | Cornari, & Pisani. | Con un Ragionamento, e un Sprolico, insie-me con una | Lettera scritta all’Alvarotto, per l’istesso | Ruzante. | Tutte opere ingeniose,argute, & di mara- | viglioso piacere. | IN VICENZA, | Appresso Domenico Amadio.MDCXVII. | Con licenza de’ Superiori 112.Colofone: assente.Formula collazionale: 8°; A-C8 D4; cc. [1] 27 113.Contenuto: A2r: PRIMA | ORATIONE | DI M. ANGELO | BEOLCHO, | DETTORUZANTE. | Al reverendissimo Cardinal Cornaro | vecchio. A8r: Il fine della PrimaOratione. A8v: SECONDA | ORATIONE | DI RUZANTE, | Allo Illustrissimo SignorFrancesco | Cornaro Cardinale. B5r: Il fine della seconda Oratione. B5v: TERZA | ORA-TIONE | DI RUZANTE, | Allo Illustrissimo Signor Cardinal | Pisani. C2r: Il fine dellaterza Oratione. C2v: RASONAMENTO | DI RUZANTE. C4r: IL FINE. C4v: SPRO-

112 La marca di Amadio è identica a quella dell’edizione Greco: cfr. § 1.5.1.113 Con errori di numerazione delle carte nel fascicolo D: l’esemplare bolognese è mutilo dellecarte D1 e D4, ma – proprio come in R1598 – le carte D2 e D3 recano i numeri 27 e 29 anziché26 e 27.

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nota al testo

LICO | DE RUZANTE. C5v: IL FINE. C6r: LETTERA | DI RUZANTE, | A MissierMarco Alvarotto. D4v: IL FINE.Titolo corrente: ORATIONE | DI RUZANTE; LETTERA | DI RUZANTE 114; SPRO-LICO | DI RUZANTE.Richiami: A2r: che A2v: ne A3r: Pa- A3v: paese A4r: E quelle A4v: sti A5r: dire, A5v: veA6r: com A6v: morto, A7r: no A7v: mi- A8r: sere B1r: se B1v: gior B2r: si pola, B2v: doB3r: trip- B3v: per- A4r: entro (sic) B4v: A vo- B5v: na B6r: vattene B6v: ben B7r: se-B7v: imà- B8r: d’agni B8v: sperìto C1r: stro C1v: negùn C2v: ch’a C3r: a straffè C3v: crìuC4v: la C5r: E az- C6r: te C6v: veano C7r: quellù, C7v: l’ar- C8r: tirè C8v: le D1r: que.D1v: na D2r: la D2v: tro, D3r: pì, D3v: de D4r: g[uir]lo. I richiami sono identici a quel-li di R1598 salvo che a c. B4r (qui contrassegnata per errore A4r, sia sull’esemplare bolo-gnese che su quello londinese), dove si trova il richiamo entro al posto di gnan, e a c. C6vdove si trova veano al posto di ha- 115.Tipi: cfr. M1598.Carta: alle cc. B2 B3 e D2 dell’esemplare bolognese àncora racchiusa in un cerchio sor-montato da un trifoglio; altrove (c. B1 e ultima carta dell’opuscolo bolognese, corri-spondente all’ultima carta in assoluto della silloge Amadio: cfr. nota 116) àncora non rac-chiusa in un cerchio e ornata da un trifoglio: nessun esempio in BRIQUET, MAZZOLDI ePICCARD Anker; per il tipo racchiuso nel cerchio MOSIN, p. 63: «this type [...] is typicalof the first half of the seventeeth century, and is hardly ever found after 1650»; accantoagli esempi nn° 1983 e ss. provenienti soprattutto dai paesi slavi, cfr. n° 2160 (stampaveneziana degli Habiti di Giacomo Franco, 1610). Alle cc. B3, C, D2, D4 dell’esempla-re londinese àncora racchiusa in un cerchio (probabilmente sormontato da un trifoglio,per quanto permette di vedere un frammento a c. A1); alle cc. A6, B5, C7 contromarcacon lettere A C e trifoglio (cfr. MOSIN nn° 2030-2046). Esemplari noti: Bologna, Biblioteca Universitaria (catalogo a schede); Padova, Bibliote-ca del Seminario Vescovile (Opac della Provincia di Padova); Venezia, Biblioteca Nazio-nale Marciana, Misc. 144.15; biblioteche che conservano l’intera edizione Amadio: cfr.la descrizione di M1617. Esemplari esaminati: Bologna, Biblioteca Universitaria, V Caps. 153.17 (su cui è statacondotta la collazione) 116; British Library, 12331 aaa 16 (sui cui è stata ripetuta la colla-zione).

4.7.2. Collazione del testo critico con R1617

1 vò] vuò; 1 a l’incontrario] all’incontragio; 2 guarde] guardo; 2 contrafare] contrafar; 2quigi] quiggi; 2 sì la vuole] si vuole; 2 e tuor la Fiorentinesca] om.; 3 cancaro (tutte levolte)] cancabaro; 3 agnom] agnòn; 3 co’ miegio] con miegio; 3 de la Tralia] della Tra-

114 Confronta nota 110: l’errore ha valore congiuntivo con R1598.115 Anche la coincidenza pressoché totale dei richiami dimostra che R1617 (e probabilmente l’in-tera edizione Amadio) è stata composta ricalcando forma per forma la precedente R1598, concui condivide il formato in 8° (l’edizione Greco era in 12°).116 L’esemplare bolognese è mutilo delle cc. D1 e D4 e raccoglie pochi fogli sfuggiti allo smem-bramento della silloge Amadio: di questa – in coda al testo che fa propriamente parte di R1617

– si trovano infatti le prime carte (frontespizio della silloge, dedica a Vespasiano Zuglian eavvertenza ai lettori) e l’ultima carta (sul recto: Soneto di Ruzante; sul verso l’Ordine delleopere, che menziona Piovana, Anconitana, Rhodiana, Vaccaria, Fiorina, Moschetta, Due Dialo-ghi, Dialogo, Tre Orationi).

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nota al testo

lia; 3 a’ i no l’intende] i no l’intende; 3 dà piasere] se dà piasere; 3 con’ dise] com dise;3 con’ fa questori] com fa questoro; 3 andare] anare; 4 celegatto] celegato; 4 che a’ si’chialò] ch’a si chialò; 4 cun’ si a’ foessé] com se a foessè; 4 friegi] frieggi; 4 uno apiase-re] un’apiasere; 4 con’ cosa ch’a’] com consa ch’a; 5 con’ a’ ve saerae] com a ve sarae; 5e si a’ no ve] e se a no ve; 5 a faellare fiorentinesco] fiorentinesco; 5 e sì a’ ghe fé] e sighe fè; 6 con’ a’ fazzon] com a fazzòm; 6 formagio] fromagio; 6 abia rocento] habbiarocento; 6 e de tante fatte] de tante fatte; 6 cun’ aì ficò] com haì ficcò; 6 con’ è pumi]com è pumi; 6 cun’ a’ seon] com a seòm; 6 aessan] haessàm; 6 pighesson] piegassòm; 6ale man] alle man; 6 saoriti] saoritti; 6 cose snaturale] conse snaturale; 6 cancaro] can-cabaro; 6 cussì frisie] così frisie; 6 ghe se pò] se ghe po; 6 pizzigare] pizzegare; 7 con’ a’fé vu] com a fè vù; 7 ch’a’ no ve] che a no ve; 7 guarniegi] guarnieggi; 7 cancari] canca-bari; 7 fazanto] fazzanto; 7 cose dertamen] conse dertamèn; 7 cosa dal snaturale] consadal snaturale; 7 cancaro] cancabaro; 8 aniegi in le regie] anieggi in le reggie; 8 potta delcancaro] om.; 8 la n’è zà] poh la n’è zà; 8 guarniegi] guarnieggi; 8 ca de sora] che de sora;8 le è strette] l’è strette; 8 dibia] dibbia; 8 adasché] daschè; 8 cancaro] cancabaro; 8 econ’ gi è pì gruossi] e com gi è pì gruòssi; 9 tagiar] tagiare; 9 avì piasere] haì piasere; 9sia scavezzè] sea scavezzè; 9 travesso] traesso; 9 zenuogi] zenuoggi; 9 vorae] vorrae; 9saoriti] saoritti; 9 ch’a’ ’l] che’l; 9 si la foesse] se ’l foesse; 9 no vegnisse] uo vegnisse; 9andar via] anar via; 10 cosa del snaturale] consa del snaturale; 10 osiegi] osieggi; 10 sale-gari] salgari; 10 gabie] gabbie; 10 co’ miegio] con miegio; 10 ferdo] ferdo e la vergogna;10 andasson] anassòm; 10 con’ a’ seon nassù] com a seòm nassù; 10 ch’a’ ’l foesse] che’l foesse; 10 in nu per nu] nù per nù; 10 vêrghe] veerghe; 10 inganerae] ingannerae; 11con’ a’ vi’] com a vì; 11 con’ a’ faghe] com a faghe; 11 vezù] vezo; 11 le no sonerà] la nosonarano; 12 n’è pì schietto] no è pì schietto; 12 giomenta (tutte le volte), giomente] giu-menta, giumente; 12 no è pì bello (seconda volta)] mo è pì bello; 12 con’ dise] co dise;12 cancaro (tutte le volte)] cancabaro; 12 alle] a le; 13 andar drio] anar drio; 13 quel om]quell’hom; 13 da bel mo’] da bel muò; 13 andar fuora] anar fuora; 13 muare de lengua]menare la lengua; 14 seon] seòm.

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CRITERI DI EDIZIONE

Dato che tutte le stampe successive a M1551 sono descriptae (così M1554 [1555], M1561,M1565) o rimaneggiate più o meno energicamente (M1584, M1598 e M1617), questaedizione si basa sulla princeps adottando i seguenti criteri 1:1. sono modellati sull’uso attuale separazione e unione delle parole 2, maiusco-le e minuscole, diacritici, punteggiatura, h diacritico e distribuzione di u e v 3;2. per convenzione ij > i; et, & > e; ß > ss; -cie- postconsonantico > -ce-;3. è mantenuta l’oscillazione tra consonanti semplici e geminate;4. è conservato il trigramma chi per l’affricata palatale sorda;5. è conservato que 4; per omogeneità con perché si è stampato perqué univer-bato (come nell’edizione di GIANCARLI);6. le preposizioni articolate pavane e bergamasche sono state stampate intel,

1 I criteri dipendono in buona parte da quelli esposti in CALMO Saltuzza 242-243. Sulla neces-sità di basarsi sulla princeps val la pena di citare l’osservazione di PACCAGNELLA 2005: 188 che«nell’edizione critica di Ruzante bisogna considerare le stampe principes nel loro valore di vul-gata non solo in forza del prestigio e dell’autorevolezza che gli derivano dalla diffusione ma“per il fatto che queste rappresentano di per sé un processo di divulgazione e di fissazione lin-guistica”» (tra virgolette parole di Gianfranco Folena).2 Avverto che: (1) non sono univerbate le preposizioni articolate, a eccezione di digi ‘degli’ I54 dove la chiusura di de in di, se non è un errore, consiglia l’univerbazione; (2) sono distintiper convenzione ch’el (e qu’el I 55, II 21, III 118, III 134) con el soggetto e che ’l con ’l ogget-to o articolo (sulla genesi di queste forme cfr. L. VANELLI, Da “lo” a “il”: storia dell’articolo defi-nito maschile singolare in italiano e nei dialetti settentrionali [1992], ora in EAD., I dialetti ita-liani settentrionali nel panorama romanzo. Studi di sintassi e morfologia, Roma, Bulzoni, 1998,pp. 169-214).3 Un’eccezione solo apparente è costituita dalla forma uuogi (I 23), nella quale la grafia uu-non può essere trascritta vu-, dato che esprime senz’altro un suono semivocalico.4 Sull’opportunità di conservare que si pronunciava già LOVARINI 1965: 158. Tracce del man-tenimento del nesso labiovelare di QUID interrogativo sono documentate per l’Italia setten-trionale dalle carte AIS 1113 (‘Cosa ne fareste?’) e 1600 (‘Perché taci?’): per la distribuzione dique nel testo della Moschetta cfr. Pr. 1.

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criteri di edizione

intun e così via; si è optato per l’univerbazione anche nel caso di alcune altreforme bergamasche (indol I 24, I 28, I 34, III 95, IV 11; intola III 95) 5;7. una lineetta separa i pronomi enclitici soggetto dai verbi cui si riferiscono;8. gli omografi sono così distinti, per quanto possibile: a prep. / a’ pron.; aì ‘avete’ / aî ‘aiuti’ (Diè m’aî); an particella interrogativa / an’ ‘anche’;arà ‘avrà’ / ara’ ‘avrei’; ca ‘che’ (berg. III 57, pav. III 134) e ‘piuttosto che’ (< QUAM) / ca’‘casa’; chi pron. / chì ‘qui’; co ‘con’ / co’ ‘quando’ ‘come’ (e sim.); con ‘con’ / con’ ‘quan-do’ ‘come’ (e sim.); de prep. / dè ‘deve’ / de’ ‘dai’, ‘date’; d’i ‘dei’ / dì ‘giorno’ / di’ ‘dici’‘dite’ ‘di’’ / dî ‘dovete’; diea ‘dicevo’, ‘diceva’ / dîea ‘doveva’; diesse ‘dicesse’ / dîesse‘dovessi’ (e per omogeneità dîese ‘dovessi’ I 1), ‘dovesse’; dighe ‘dico’ / dîghe ‘devo’; dissé‘direste’ (V 3) / dîssé ‘dovreste’ (V 37); divi ‘dicevi’ (III 1) / dîvi ‘dovevi’ (III 84); e cong./ è ‘sei’, ‘è’; fè ‘fece’, ‘fai’ / fe’ ‘fede’; fiè ‘volta’, ‘volte’ / fie’ ‘feci’, ‘fece’; fo ‘fu’ (berg.,pav.) / fo’ ‘fuori’ (berg.); he ‘ho’ / hè ‘hai’; in prep. / in’ ‘ne’ (< INDE); me pron. / mè ‘mai’(o rafforz.) / me’ ‘mio’; mo ‘ma’ / mo’ ‘ora’, ‘proprio’ (avv.); muò ‘mutato’ / muo’ ‘modo’;o cong. / o’ ‘dove’; on ‘uomo’ / on’ ‘dove’; po ‘poi’ (ma dapo’ solo Pr. 14) / pò ‘può’ / po’‘poco’; puo ‘poi’ / può ‘puoi’ (III 141, III 142, IV 20), ‘può’ / puo’ ‘poco’; qui ‘qui’ 6 e‘chi’ 7 / quî ‘quelli’; sarae ‘sarebbe’ / sârae ‘saprei’; se ‘se’ (pron. e cong.) / sè ‘so’, ‘sai’(solo III 72) / se’ ‘sei’ (III 24); si ‘se’ (cong.) / sì ‘sì’, ‘così’ / si’ ‘sei’, ‘siete’; so ‘so’ / so’‘suo’; sto ‘questo’ / stò ‘stato’ (part. pass.); suò ‘sudato’ (II 6) / suo’ ‘suoi’; tuò ‘togli’ /tuo’ ‘tuoi’; ve pron. / ve’ ‘vedi’; vì ‘vite’ / vi’ ‘vedi’, ‘vedete’; vivi agg. / vîvi ‘vedevi’; vorrà‘vorrà’ / vorra’ ‘vorrei’; vuò ‘vuole’, ‘vogliono’ / vuo’ ‘voglio’, ‘vuoi’;9. la desinenza di quinta persona del presente indicativo dei verbi di primaconiugazione è sempre stampata -é per distinguere queste voci dai participipassati (andé ‘(voi) andate’ / andè ‘andati’, ‘andate’) e in un caso dal passatoremoto (fé ‘(voi) fate’ / fè ‘fece’); per omogeneità la stessa soluzione si è adot-

5 L’univerbazione appare preferibile, soprattutto per la complessità di casi come quelli delbergamasco indol e del corrispettivo – assente nella Moschetta – indel. Che forme simili deri-vassero dall’unione delle due preposizioni in + de è stato sostenuto ad es. da E. MONACI, Cre-stomazia italiana dei primi secoli, nuova ed. riveduta e aumentata per c. di F. Arese, Roma,Società Editrice Dante Alighieri, 1955, p. 633 § 393. La questione è stata riconsiderata da V.FORMENTIN, Antico napoletano inde ‘in’, in Testi e linguaggi per Paolo Zolli, Modena, Mucchi,2001, pp. 9-17, in specie sulla scorta di A. CASTELLANI, Testi sangimignanesi del secolo XIII edella prima metà del secolo XIV, Firenze, Sansoni, 1956, pp. 26-29. Formentin ha chiarito chein napoletano antico la e, in sintagmi come inde llà e inde Spagnia, non è la vocale della pre-posizione de, bensì una vocale prostetica regolarmente sviluppatasi innanzi a consonante dop-pia iniziale (pp. 14-15); ha quindi ipotizzato che la sequenza nd risulti dalla dissimilazione dinn (pp. 16-17: a tale dissimilazione avrebbe fatto séguito l’eventuale reinterpretazione di indcome in + d(e)) e ha proposto di estendere questa spiegazione all’Italia settentrionale, dove èugualmente documentabile il rafforzamento fonosintattico di n (V. FORMENTIN, Un caso digeminazione fonosintattica negli antichi volgari e nei moderni dialetti settentrionali, in Antichitesti veneti, a c. di A. Daniele [= «Filologia Veneta» VI], Padova, Esedra, 2002, pp. 26-40).Per la situazione del Veneto cfr. anche BERTOLETTI 2005: 218-219 e nota 551, con rimandi aROHLFS, III 858 e 859 e a ZAMBONI 1974: 50. Diversa la ricostruzione di NOCENTINI 2003, checontro l’ipotesi tradizionale ha proposto di riconoscere nella e del toscano nel(lo) non un con-tinuatore della i breve di ILLUM, ma della e di INDE, etimo che sarebbe in grado di giustifica-re anche la sequenza nd in forme come indel(lo).6 In bergamasco (II 21).7 In pavano (IV 2).

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criteri di edizione

tata per le quinte persone di congiuntivo presente e imperfetto (abié, sipié; cres-sé, vossé, agiassé) 8;10. per il bergamasco si noti in particolare che: gli infiniti tronchi hanno accen-to e apostrofo (menà’), sono accentate le vocali riuscite finali dopo caduta di-n (orbé, fació, mà), si conserva l’oscillazione tra le grafie gn e ng che esprimo-no l’esito palatalizzato di -NNI finale (agn I 36, affang I 34) 9.

Inoltre, nell’edizione dei testi tramandati da manoscritti:1. sono sciolte direttamente a testo le abbreviazioni 10;2. per convenzione mph > nf in triomphare > trionfare (Egloga § 16) etriompherè > trionferè (Egloga § 19);3. per il testo dell’Egloga, ritoccato in vari punti, è stata allestita una fascia diapparato così costruita: parole, lettere o segni interpuntivi cassati sono traparentesi graffa; \ / racchiude aggiunte interlineari o marginali della stessamano che ha esemplato il testo;4. le aggiunte marginali al testo dell’Egloga vergate da un’altra mano sonosegnalate nel corpo del testo da \\ //. Vista la complessiva difficoltà di lettura ela presenza di lacune, per ogni segmento si offre in calce una trascrizione nellaquale: a) il segno | indica a capo; b) i punti tra tonde indicano le lettere illeggi-bili; c) il corsivo indica le lettere visibili sotto luce ultravioletta; d) le parentesiquadre contengono le lettere illeggibili ma integrabili exempli gratia sulla basedel testo dell’Intermedio e del Rasonamento.

8 Per -é desinenza di quinta persona del presente indicativo cfr. ad es. le scelte editoriali diSTUSSI 1965: XXXVI e BERTOLETTI 2005: 277. Quanto alle voci del congiuntivo imperfetto varicordato che secondo WENDRINER § 121 p. 73 esse conservano in pavano la vocale tonicadella desinenza -ETIS, che però è normalmente soggetta a metafonesi (TOMASIN 2004: 101).9 Criteri desunti nella sostanza da CORTI 1974 (1989); altri rinvii in CALMO Saltuzza 243 punto 12.10 Per il testo dell’Intermedio avverto che la congiunzione che nei testi a stampa ha sempre laforma con’ ‘come’ ‘quando’ si presenta scritta a piene lettere cun al § 3, cum ai §§ 3, 7, 8, 11bis,con al § 3 e com al § 10: nei casi (§§ 4, 6 ter, 8, 11) in cui il manoscritto presenti cu si è quin-di trascritto cum’ (con apostrofo diacritico perché sia ben chiara l’identità di funzione rispet-to a con’), e per uniformità, in mancanza di esempi a tutte lettere, si sono trascritti cum anchei due casi di cu preposizione ai §§ 6 e 10. Da ultimo si noti che su ‘sono’ del § 3 è stato tra-scritto sum sulla base dell’esempio a tutte lettere del § 4.

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INDICE DELLE PAROLE E DEI FENOMENI LINGUISTICI ANNOTATI

[E = Egloga-Moschetta; Int = Intermedio; R = Rasonamento; (b) = bergamasco; * =forme non documentate nel testo; - = sintagma o locuzione; l = proverbio; =fenomeno linguistico annotato; ! = rinvio ad altra forma. Quando una locuzionecompare identica nella sostanza in E, Int e R si dà il testo di E rinviando tra quadreai corrispondenti passi di Int e R che divergono per qualche caratteristica formale]

aa introduttore di infinito retto da verbi percettivi Pr. 2

a’sintassi del clitico a’ Pr. 17

abavò Pr. 15, III 64abirare III 98acolegò III 99*accuorare I 16*adarse I 23, V 7*afaturare I 1 (due volte)*agiare I 3, I 9, I 10, I 43, III 10 (due volte), V 68

congiuntivo presente tipo agiaga I 10albuol (b.)

- battezat al a. d’i porz IV 15altaro

- la no sarà segura inchina drio l’a. II 18, no te serè segura inchina drio l’a. II 41- a’ te vegnirè amazzare inchina drio l’a. IV 8

alturio III 8 (due volte)- cigare a. V 49

amigol l’è puoco a cattarse n’a., mo l’è ben assè a saerlo tegnire I 23

amor- per la bell’a. de Dio V 68

ampo’ V 37

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indice delle parole annotate

andare- a. drio Int 13, R 13

doppio imperativo tipo va’ vi’ I 1anem (b.)

- fà’ ù bó a. I 24, fa’ un bó a. I 24anemo

- fare bon a. IV 20, che te faghi bon a. V 53anemoso IV 2anore III 89, III 119, IV 54apicò III 4, III 24, IV 2arbitro

- libro a. I 1*archiapare I 54 (quattro volte), I 56, II 22, III 3, III 63ardigió (b.)

- a’ no catti ol bus de l’a. de la cengia III 53*arivare V 48armiliare III 3, III 24arparare I 54arpasare III 3arpassar II 41arpossare V 89*arsunare Int 4*asegiare I 68asen (b.) I 30, II 21 (quattro volte)*asiare V 53*assentò

- assentè zò Pr. 18asta IV 12; ! schina*as(s)unare E 4, R 4*at(t)endere III 134, E 6, Int 6, R 6aventurat (b.) I 32

balestrà V 10*banca II 6*bandera (b.) IV 1*bandinel(l)a E 7, Int 7, R 7 bardel(l)a (b.) III 49

- ficà’ ù chiod in la b. III 51*barella IV 14*bastonà V 10; ! orbo*battezà’ (b.) IV 15; ! albuolbec(c)o Pr. 8, I 1, II 41bello

- de b. II 23bensà V 66beretta I 56, IV 2; ! raso

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indice delle parole annotate

beschia (b.) III 43, III 57*bianco

- bianchi e russi E 6, Int 6, R 6bissa buova V 66*boarolo II 4boca V 39, E 13; ! *cervellobon III 83, IV 10 (due volte)borsa (b.) III 95; ! sangoborsatto I 60borsetto I 54, E 18; ! tagiarebotta III 134, V 66, E 7botta2

l puoca b. amazza pur un V 53botto

- de b. IV 61*braosarìa IV 2; ! *sbraosarìabraoso IV 2brazzo

- a’ no si’ da me’ b. I 37*brigare

- la fa e la briga Pr. 3*brigà

- de brighè Pr. 2, I 7bruò

- fé un b., perqué agnun n’abie I 41brùsema E 6*brustolare Int 9, R 9bus (b.) III 53, IV 1; ! ardigió, inzegnbuttar

- s’a’ t’i dîesse far b. fuora per gi uogi via IV 6

ca - c. sì che I 56, I 58, IV 23, V 53, V 56, V 61, cassì che R 9

ca’- c. de muro IV 8, IV 16

cagare- a’ ’l fago cagar stropiegi II 22- l’arà tanta paura ch’el cagherà da per tutto IV 2- se no ch’a’ te i farè c. per gi uogi via IV 2

cagasangue II 22*calcagno

- i pagheron de calcagni V 4*calza Pr. 1, E 9, Int 9, R 9; ! impegòcamisa

- a’ he tanta legrezza, che la c. me sta tanto erta dal culo I 54camp (b.) I 24, II 21, III 97, IV 1

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indice delle parole annotate

can III 4, III 24, IV 2- che le to’ carne no sea magnè da i cani III 98

cancaro; ! potta, puttana, sangue- ch’el ghe magne el c. III 72- c. i magne III 18- c. me magne III 3, III 24- c. ne magne III 24- c. te magne I 1, III 98- a’ faghe el c. ch’a’ ve magne vu e la vostra noella III 100

canolò IV 8cantaon

- ch’a’ farè che le to’ spale sonerà ale de c. IV 4canton V 48cao

- a’ son ben in c. III 24- c. de soldò de squara IV 14

caoponso- de c. I 54

Capo- «Pacientiorum», disse C. I 68

carezà- che vu uomeni ve drecessé per c. bona E 5 [Int 5, R 5]

cargare V 48*carne III 98; ! cancarniero E 12 (due volte), Int 12 (tre volte), R 12 (tre volte)

- a’ ghe la cacciè in lo c. I 54, ghe la cazzerè in lo c. II 23 (due volte)- a’ ghe l’he pur ficà in lo c. III 24

carta- a’ v’in’ farè na c. I 22

castron III 98, E 12, Int 12 (due volte), R 12 (due volte)*cattà’ (b.) III 53cat(t)are Pr. 6, Pr. 14, I 1 (tre volte), I 7, I 23 (due volte), II 3, II 11, II 14, II 23, III12, III 24, IV 2, V 3, V 53 (due volte), V 61, V 65, V 77, V 84

- quigi [...] ch’i cerca quello ch’i no vorrae c. II 23cattivo

l sempre mè a un c. el gh’in’ vuò uno e mezo II 23celegat(t)o

l el dà pì piasere un c. in sen ca tri in le ciese Int 4 [E 4, R 4]celibrio IV 32; ! cilibriocengia (b.) III 53; ! ardigió*cercare

- *c. a usso a usso III 4*cervello

- butarme i cerviegi in boca V 39che

- c. sì che Int 9

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chiuso di chi ‘ipotetico’ III 140

chialò Pr. 14, I 1, I 54, II 15, III 22, III 42, III 60, III 98 (tre volte), III 147, IV 43,V 16, E 14, V 44, V 48, V 53 (quattro volte), E 4, V 33, E 15 (due volte), E 17 (duevolte), E 19, Int 2, Int 4, Int 14, R 4 (due volte)

- de c. via I 7, III 8chialòndena Pr. 10 (due volte), Pr. 11, Pr. 14

- de c. Pr. 3*chiavare Int 9chiod (b.) III 51; ! bardellacielo

- lomè c. e sponton III 10ciera

- l’aea na ciera maletta I 56*ciesa E 4, Int 4, R 4; ! celegat(t)ocigare III 52, III 134, V 49, V 53 (due volte), V 86; ! alturiocilibrio I 23; ! celibrio*cimegare I 54cita Pr. 16*cizzolare III 134cò (b.) IV 31, IV 35; ! pedoch

- I Bergamaschi ha bé gros ol c. IV 1coa

- a’ crezo ch’a’ foesse inzenderò quando Satanasso se pettenava la c. I 1- a’ me vuo’ tirare la c. in le gambe V 66

cogómbaro III 24comiegia Pr. 11comielia Pr. 11comieria E 14compagnia I 17, III 89, III 144

- c. de sant’Antuognio III 134*compire

- a’ la vuo’ far compìa III 8*conciare V 66cont (b.)

- a quel c. IV 7conzà’ (b.) IV 1conzare IV 57, V 53 (due volte); ! defferientiaconzarla III 132, III 133, III 134 (cinque volte), III 148, V 66*conzò III 134coraella IV 2corazzina IV 2, V 23coresì (b.) I 30cornachió (b.) IV 7*corno

- far i cuorni Pr. 9

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- a’ me tagierè ben i cuorni II 41costió (b.); ! custió

- fà’ c. IV 1costion; ! custion

- far c. IV 2 (due volte), a’ faghe c. IV 2, a’ he fatto c. pì ca no fè mè Trulio V 53 *còt(t)ola E 7, Int 7, R 7*cottoro

- a’ le di’ pur cottore co’ a ve ghe mettì III 150covrire III 24criare III 98cristian I 1, I 16, I 54, II 32, III 15, III 21, III 23, III 44, III 105, V 64

- c. de Dio III 31, III 35crivello I 64, III 10crosara V 42, V 45, V 53, V 64, V 66 (due volte)crose Pr. 15; ! dare

- farme la c. con la lengua V 66crosta Pr. 17cul(l)o I 54, II 19, E 1, R 1; ! camisa, impegò, mondocuore

- un c. me dise [...] e n’altro me dise I 1, II 23- el no gh’è c. che [...] II 23- a’ te vuo’ magnare del c. IV 2, a’ te vuo’ magnare el c. IV 2

custió (b.)- fà’ c. I 65, I 67

custion- far c. Pr. 15, I 66, a’ faghe c. IV 2; ! costion

cuzzolon - in c. III 99

*dà’ (b.) III 95 (due volte), IV 35dare I 10, I 54 (tre volte), III 1, III 3, III 94, IV 2 (due volte), V 7, V 9, V 36, V 53(due volte), V 59, V 66, V 85, E 11, E 19

- *d. in la Crose Pr. 15- *d. incontro I 15

costrutto dare di III 12darondella dan dan I 54dasché V 2, V 38, Int 12, R 12defferientia

- d., che la no se posse conzare IV 57dente

- d. de ravolò I 23- a’ no sârae cavare i d. fuora d’intun ravo I 60

*deroina III 98; ! potta- te par che le me corre drio le deroine? V 53

deroinare- ve volì-vu d. de sto mondo IV 49, v’andarì a d. del mondo IV 59

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deroinò- d. del mondo I 1, III 134

*derzare III 83; ! massariaDes (b.)

- al sang de D. I 24, al sango de D. I 63*descolare I 1; ! vero*desconire I 1desfrizere IV 2 (due volte)desgratiò Pr. 6, Pr. 8, I 1 (due volte), I 23, III 24 (tre volte), III 71, III 79, III 81despetto

- al so’ d. I 1*destegolare V 66destramezare Pr. 15desvegnùa I 31*devedà’ (b.) IV 35*devisare

- m’è deviso I 60, m’è ben deviso II 32Diè

- se D. m’aî II 26, II 30Dio V 68; ! amor

- se D. m’aî I 60*dire

- co’ dise questù I 1, I 5 (due volte), con’ dise questù I 1 (tre volte), II 8- co’ disse questù I 7, con’ disse questù I 23, I 68, I 72, II 1, II 4, III 56, III 96, V 53

gerundio del tipo diganto Pr. 2 diridondella I 54Domene III 9; ! pottaDomino

- D. dominanto I 23dovrà’ (b.) I 24*dreçare E 5; ! carezà*driciare Int 5; ! carezàdrio Int 13, R 13; ! andare

- de d. via IV 2

e; ! mane paraipotattico I 6e coordinatore di modo finito e infinito V 3

era I 22caduta di v- I 22

fació (b.)- fà’ i f. I 24

*fal(l)are I 60, V 55 (due volte), E 16; ! *provierbiofantasia II 6; ! sborare

- f. de femene I 23, III 134

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fante- déghe da bevere al f. III 63

fare- que me fa a mi? III 36, III 96, que ve fa mo’ a vu […]? III 108, che me farae ami? Int 4, [R 4]

uso di fare ‘vicario’ I 1, III 83, III 85, IV 49, V 3fagandola e altre locuzioni con clitico la di valore neutro I 54fare causativo: con soggetto incassato introdotto da a III 24; con doppio

accusativo II 22tipo sintattico ‘fu fatto beffe di loro’ Pr. 1, Pr. 5, III 36, III 56, III 64, III 81,

III 99, IV 38, V 13, E 8, E 18, Int 8, R 8*farla I 54; ! *compirefastibio III 3, III 62, V 53; ! suppafastidiosa (b.) III 45, III 57fastubio III 86, E 17fat(t)o

- de f. Pr. 2, Pr. 6, Pr. 18, I 51, II 6 (due volte), III 134, V 66 (tre volte), E 2, Int9, R 9- el f. me’ Pr. 13, III 36, i fatti mie’ III 141- fatti vostri de vu II 33

*fàvero I 1, I 11faze III 1fe’

- a la ffe’ IV 12, alla ffe’ I 33 (due volte), a la f. I 4, III 66, alla fe’ I 62, III 72,III 74, III 96 (due volte), V 53, Int 4 (due volte), R 4- alla f. reale Int 4, R 4- per la to’ cara f. III 141, per la vostra cara f. Pr. 8

femena; ! fantasia- con’ fie’ la buona f. I 60l Bià quella ca’ che ha bona f. E 16

ferdo- ara’ abù f. III 1

Ferrarese I 1fersura III 85*fiapo E 6fierezza

- che la natura faghe [...] la so’ fierezza IV 2*figiolo

- figiuoli de paura I 20filatuoria Pr. 10fiò

- tiré mo’ el f. a vu V 25fiorentinesco E 2, Int 2, R 2

- f. moscheto E 5 [R 11]; f. e moscheto Int 5 [Int 11, R 5]formai (b.)

- e mi só andat col f. piasentì IV 1

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fornasa- a’ scotto con’ fa na f. I 1

forno- f. d’i massari V 48

forza - o per f. o, con’ disse questù... I 72- l’è f. IV 2

*fracassà’ (b.) III 49, III 51fredìo V 29*freghezare I 31fregò I 31frezare E 15frisia I 31, R 6frison II 22frufante III 24; ! furfantefùmego V 27fuogo

- f. imbampà I 1fuora V 5, V 39; ! largafuossi Pr. 16, I 1, III 1, V 5furegagia E 18furfante III 71 (due volte); ! frufantefuria

- a f. rusticorum liberamum Dominum Pr. 15

*galdere I 18, III 4, III 36, III 69*gamba V 66; ! coa*garbinella III 113, III 134 (tre volte), V 66garbòi (b.) I 24generatió (b.)

- d’ogni g. I 30giomenta R 12 (due volte) giumenta Int 12 (due volte)goernare I 1, II 6, III 136, V 10, V 44, R 5gonel(l)a II 11, II 14, II 23 (due volte), III 3 (due volte), III 24 (tre volte), IV 2, IV58, E 5, E 10, Int 5, Int 10, R 5, R 10governà’ (b.) I 42 (due volte), III 39, III 45, IV 1governare III 148, E 5, Int 5gozzo

- no ghe vego g. V 5gramego

- faellé per g. II 11, faellerà per g. II 22, faella mo’ […] per g. III 24, parlar per g.III 24

gramo I 1grella IV 2Griguolo, san

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- féghe dire le messe de san G. IV 46groppera (b.) III 43gros (b.) II 21grosso I 54, III 84guagi

- g. mi II 40*guagnelo

- per sti santi Dè guagnili I 31, e la formula sospesa per sti santi... III 88guanno E 6guardare II 22 (cfr. storto)

- s’a’ no guardasse per altri ca per ti IV 32*guarnello E 7, E 8, Int 7, Int 8, R 7, R 8guastare Pr. 3, II 3, III 22, V 87

icz V 17, V 19, V 21Ieson V 59*imbaterse

- se me’ compare s’imbatesse a vegnire IV 2- mal imbattua V 77

*impagà’ (b.) II 21impegò

- i dè avere an’ igi i. le calze Pr. 1- a’ saerì se arì i. el culo II 19

impensare I 1*impolare I 1, IV 2incendore I 1inchin

- i. a st’ora III 142- i. da mo’ I 1

inchina Pr. 18, I 19, I 66, II 18, II 41, IV 8 (due volte), IV 12, IV 61- i. da mo’ IV 20- per i. da mattina V 57

inderto IV 2, E 10, Int 10, R 10inorcò I 1 (tre volte), V 78insanguanà’ (b.) IV 21*insorire E 13inspirità V 77intervegnì’ (b.) I 24intravegnì’ (b.) I 24intravegnire I 60, III 101, III 148, V 41, V 64, E 14, Int 14, R 14*intrigamet (b.) I 34invelò III 99 (due volte), III 117, III 119invò III 134 (due volte), V 66inzegn (b.)

- drizzà’ l’i. I 24- un i. che ’s fica per ogni bus IV 1

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inzeregò IV 12io

- i. mi II 25 (due volte), II 27, II 29, II 35, II 37, E 11, R 11iomenta E 12

lana- pì sbattù che no fo mè l. I 1

lanza (b.)- a’ corraref po la l. I 24- lanzi spezzadi IV 1

larga- alla l. de fuora V 5- de fuora alla l. V 39

*largo E 8, Int 8, R 8lasagnon V 61lassà’ (b.) II 21; ! *vendettaLazaro I 7, III 88; ! sanguelecà’ (b.) II 21; ! tagierlegrezza I 54; ! camisalengua V66, E 5; ! crose, strafozareletàgnie Pr. 15* ’lioso

- dente ’liosi co’ è na speciarìa I 23loa

- mal de la l. III 72lomè I 1 (due volte), I 23, I 60, II 6, III 10, III 24, III 90, III 134, IV 12lomentare I 1longo

- de l. via II 23- a l. via V 8, V 14

lozado II 37*lugiego I 7; ! nose

madesì II 1magia I 1magnare IV 2 (due volte); ! cuoremagon E 6, Int 6, R 6maistra

- gran m. I 5mal III 72; ! loa*malabiare Pr. 14

- anar [...] malabianto per lo mondo I 1, andar malabianto IV 59male

- far m. III 71- ha abù per m. III 3 III 102

man

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l chi mena le m. s’agiaga I 43- a m. dretta III 31- a sta m. III 24, V 16- e man III 72, V 66; coordinazione mediante e man III 72

maneg (b.) I 50manego

- bon m., e miegio soramanego IV 16Marà (b.)

- va’ co’ andè ol pret da M. IV 39*marchetto I 54Mare I 2, III 36martorel (b.) IV 15massaria

- el besogna che mi te vaghe derzando in m. III 83- quella che ten drezò l’omo in m. E 16

*massaro V 48; ! fornomat(t)ez(z)uola III 1, III 3, III 62, III 90mè

- m. pì in vita d’agni I 14- m. pì, que m. n’ha fin I 16, m. pì, che m. n’ha fin III 61

me’- per m. l’usso V 67

megiaro V 53megio; ! miegio

- co’ m. E 3megiolaro IV 24, IV 26mente

- dar m. II 22, da’ m. III 98menù IV 16; ! ravazzolomerda

- sì, m., compare! III 119- sì, la m., compare! III 150- mo sì, compare m.! III 152

*messa IV 46; ! Griguolomessetello I 19met (b.); ! mente

- dà’ m. IV 39metter

- m. su I 23, m’ha mettù su III 72mezo

tipo mezo un bò I 54miegio; ! megio

- co’ m. R 3, R 10, con’ m. Int 3mo’

- da bel m. E 13, Int 13 (due volte), R 13 (due volte)moa I 22, I 70 (due volte), II 23, III 52, III 62 (due volte), III 143 (due volte), V 10,

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V 89, E 15, E 19*molarghe E 11molesin III 36; ! sonzamomisuolo I 72mondo; ! deroinare, deroinò

- roesso m. I 1, III 98- el m. è tutto voltò col culo in su E 1 [Int 1]

monestiero III 24monicella

- A’ porè ben cantare: «Doh m.»! III 24*montare IV 38; ! zamara

- la m’è sì montò questa, ch’a’ me l’arecorderè in vita d’agni III 134*mosca

- No, arae mosche! E 11, Int 11, R 11moschet(t)o E titolo, E 2, E 5, E 14, Int 5, Int 11, R 5, R 11; ! fiorentinescomuro IV 8, IV 16; ! ca’musa

l trista quella m. che no sa cattar una scusa I 1muzzare Pr. 14, I 15, I 23, II 41, III 102, III 134, V 23 (due volte), V 53 (due volte),V 66, V 86muzzarola II 37

natura Pr. 4 (due volte), Pr. 9, Pr. 14, E 16naturale E 1 (due volte), E 3 (due volte), E 11, Int 1 (due volte), Int 3, Int 11

- a tegnirse con el so’ n. dertamen, com dise la leza, «delecta de triche sesso» E 3[Int 3, R 3]

negot (b.) I 24, II 21negota (b.) II 21nobise

- per n. I 54noella Pr. 14, I 23, I 56, I 60, II 11, II 22, II 23, III 3, III 99, III 100, III 107, III112, III 113 (due volte), III 148, III 149, V 4, V 40, V 66

- fare n’altra bella noella III 3, fare la bella n. III 63- mala noella II 23

nogara I 7nose

- le n. lugieghe I 7novo

- ben pì da n. I 31nu

- n. per n. E 10, Int 10 (due volte), R 10 (due volte)

*ocatto V 3*ochio

uuogi e grafia uu- I 23olire I 7

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om(o)- da o. III 148- a om per om Int 4

ontiera III 72, III 99, Int 1, Int 4; ! vontieraopinion; ! pinion

- femena d’o. III 134*orbarse IV 56 (due volte)orbéntena I 5, E 1, Int 1, R 1orbo

- bastonè da o. V 10orco V 86ordegn (b.)

- a’ ’m voi conzà’ l’o. co essa dona Bettia IV 1ordegno III 140ovrare III 140

pà (b.) IV 23; ! Steffen*pagare V 4; ! *calcagno*paire

- che te farano che pairàno lo vino V 56 (in contesto moschetto)paletta V 53; ! zenuogiopal(l)o E 11 (tre volte)

- uomeni [...] da p. I 19parola

- far parole Pr. 17, a’ he fatto parole II 23patanostro V 53; ! patarnuostropatarina I 11; ! zodìapatarnuostro III 98; ! patanostropatto

- a bel p. IV 60paura I 20, IV 2; ! *cagare, *figioloPavan IV 59pe’

- a p. II 6, III 24, III 134, V 33, V 53, V 66- de so’ pe’ E 10, Int 10, R 10

peca- a’ no me muoverè de p. IV 12

pedoch (b.)- a’ ’t cazzerò i p. del cò IV 31

pel (b.)- a’ no possi stà’ in la p. IV 1

*pena- portar le pene III 3

*pénola- guanno la strenze senza pénole E 6

perdonanza III 68 (due volte), III 70, V 66

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indice delle parole annotate

perzòntena Pr. 16, IV 56, E 4, E 11, Int 11, Int 13, R 11, R 13pessetolo V 53pesta III 24pestolese II 18petta

- dar la p. a gi altri III 113pianton

- a’ me scorzerè a muo’ un p. V 66piasentì (b.) IV 1; ! formai*piasere

l ognom va drio a quel che ghe piase pì E 3 [Int 3, R 3]*picagio I 60*pignolò E 7, Int 7, R 7pil (b.)

- fà’ stà’ bas ol p. III 41pinion; ! opinion

- de p. II 6, III 134- femena de p. III 24- t’hè pur fatta la to’ p. III 24

pire- p. p. p. I 2, p. p. I 2

*pissare- a’ ve pisserè in gi uogi I 68

plaza (b.)- in p. II 21

polenta- a’ vorrae zò que toco doventasse p. de fatto I 51

polir IV 12; ! schinapolmon I 1poltró (b.) I 36, I 71, II 21 (quattro volte)poltron Pr. 8, II 23, III 4, III 24 (tre volte), III 36, IV 2 (tre volte), IV 53, IV 58, V53

l l’è miegio viver p. ca morir valentomo IV 55ponta

- daghe pur de p. e de roerso I 54- ponti, straponti (b.) IV 1

*porz (b.) IV 15; ! albuolposta

- a vostra p. I 22, a so’ p. V 53- a p. de dinari V 53

pot(t)a I 72, II 22, II 23, III 82, III 136, III 140, III 149, V 4, V 10, V 40, V 53, V57, E 17

- p. ch’a’ no dighe male... III 134- p. del cancaro I 1, I 54, III 90, III 134, IV 22, V 11, V 13, V 34, V 61 (due volte),V 66, E 8, Int 8, R 8- p. de chi te fè II 41, III 24, III 64, III 134, IV 8, V 84

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indice delle parole annotate

- p. de chi ve fè III 107, V 2, V 14, V 38, V 40, V 63- p. de Domene III 9- p. de la deroina III 98- p. de l’intendere III 52- p. de qua, p. de là II 22- p. d’i balurdi III 58

prepuosito R 14; ! propuositopret (b.) IV 39; ! Maràprima

- alla p. IV 9 (b.), V 53, V 66propuosito Int 14*provare Pr. 3*provierbio

- i provierbi non falla mè E 16pulitan II 35put(t)ana

- p. del cancaro IV 2, IV 10, V 58 - p. del vivere I 23- p. mo’ del vivere I 1- la p. on’ l’è vegnù ancuò I 1- la p. do’ ’l vene ancuò IV 2- la p. don’ vini ancuò IV 6- la p. don’ vene ancuò E 19

quano II 23quarello V 39quatrì (b.)

- fina un q. III 97que

distribuzione di que Pr. 1uso del doppio complementatore I 23

rabiore I 1Rago II 23raisuola I 23raso

- una beretta così r. via I 56ravazzolo

- pì menù che no fo mè r. pesto IV 16ravo I 60; ! denteravolò I 23; ! dentereale Int 4, R 4; ! fe’*rebutarse Pr. 19*reffuare I 23*reffudà’ (b.) I 36regonò

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indice delle parole annotate

- a’ sarae mo’ r., con’ disse questù, la noizza III 56*regratià’ (b.) III 7regratiar III 141, III 142relusenta (b.) I 30remission

- senza r. III 12, V 48rezetto

- de bon vin che abia qualche puo’ de r. E 6 [Int 6, R 6]*Rilientia Pr. 19

vostre Rilientie de vu: ridondanza dello specificatore Pr. 19dissimilazione r-r > l-r Pr. 19riduzione del dittongo ie > i Pr. 19

*rivà’ (b.) III 55rivare Pr. 4, Pr. 18, III 52, III 56rivare2 III 83rocento R 6; ! rezettorocetto Int 6; ! rezettoroesso I 1, III 98; ! mondo

- tanto de r. I 18Rolando I 1, I 54

- R. da i stari I 54- a’ no farae pase co R. IV 38

rosà E 10rosegore I 1*rosso E 6, Int 6, R 6; ! *biancoruella V 37, V 38, V 53 (due volte), V 61, V 65, V 66*rusticus Pr. 15; ! furia

sacente Pr. 10, I 54, III 63plurali maschili in -e Pr. 10

sacento III 88saere

distribuzione di sè e so Pr. 11salbegura E 10sale

- a’ me desfago con’ fa s. in menestra I 7*salgaro E 10, Int 10, R 10sango (b.) I 30, I 63, I 71, IV 21

- ti m’hè dat indol s. a dam intola borsa III 95sangue

- al s. del cancaro I 54 (due volte), I 56, I 64, I 72, II 22, II 23, III 3 (due volte),III 24, III 72, III 76, III 98, III 151, IV 12, IV 14, V 53, V 86, E 18, Int 3, Int6, R 3, R 6- al s. de san Lazaro I 7, III 88- el s. me bogie co’ fa l’aosto un tinazzo de mosto I 23

sanitè I 4

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indice delle parole annotate

santarella II 4sanzarin I 54; ! zanzarinsaore III 69; ! vessa*sa(v)oret(t)o E 6 (due volte), Int 6 (due volte), Int 9, R 6 (due volte), R 9Satanasso I 1; ! coasbagiaffaore Pr. 12*sbagiaffare II 2*sbagiaffarìa III 150*sbalcio E 8; ! *sbalzo*sbalzo Int 8, R 8; ! *sbalcio*sbat(t)ere III 36, III 103, III 104, III 105, III 117, IV 2 (due volte), V 55 (due volte)sbertezare III 72 (due volte), III 74, III 75sborà’ (b.) I 24sborare

- s. le vostre fantasie II 6*sborire IV 30sbraosà’ (b.) IV 1sbraosare I 54 (tre volte), II 22 (due volte), E 19*sbraosarìa III 36; ! *braosarìa

plurali in -rì di sostantivi in -rìa III 36*sbregà’ (b.) IV 23*sbregare IV 8, IV 34sbrindolare R 9*sbusare I 64, III 10scagaruola V 66scagno II 6, III 83 scalmanò III 3scaltrìo Pr. 10, I 54, III 63*scapare

- *s. su I 23, I 54, IV 2*scapogiare

- a’ m’he scapogià n’ongia V 13scàrdoa IV 2scaremuzza (b.) I 42*scarpa

- quigi que cerca si gi ha rotte le scarpe II 23scarpà’ (b.) IV 25, IV 27, IV 29*scavez(z)are Int 9, R 9scazzafazzo; ! sgacafasso, sgasafazo

- a s. R 1schina

- a’ no te vuo’ lomè polir la s. co st’asta IV 12schiona V 55schiopetto V 27*scorientia Int 6, R 6; ! *scoriençia*scoriençia E 6; ! *scorientia

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indice delle parole annotate

scorozzò IV 12 (due volte)*scor(r)ezzò III 106, III 136*scorzare V 66; ! piantonscozzonò I 54, II 23se

se ‘ottativo’ I 60, II 26, II 30segiello I 31*seguro II 18, II 41; ! altarosempitè II 4sempre

- s. mè Pr. 1, I 1, I 23 (due volte), I 54, II 1, II 4, II 23, III 24 (due volte), III 83,III 85 (tre volte), III 113, III 134, V 53

sentareindicativo futuro di I e II pers. del tipo senteresi III 98

serore III 24, III 26, III 72 (due volte), III 78, V 77servisio

- far un s. III 83- a’ ve farae cossì vontiera un s. E 4 [Int 4]

sesso E 3, Int 3; ! naturalesexo R 3; ! naturale*sfendùo I 31sfiabezare I 22 (due volte)sgacafasso; ! scazzafazzo, sgasafazo

- a s. E 1sgambacàvera I 54*sganghire I 1*sgangolire III 98*sgaregiare I 7sgasafazo; ! scazzafazzo, sgacafasso

- a s. Int 1sgnicar III 3*sgrandezare IV 2*sgrignare II 23sgrintolare V 23*sgrisaruola V 11sguazzà’ (b.) I 24sì

- ca s. IV 23 (b.), IV 31 (b.), che s. IV 30- ca s. ch(e) I 56, I 58, V 53, V 56, V 61, che s. che Int 9- mè s. I 54, I 56, I 60, III 98, III 119, IV 12, V 53, V 57

Signoria- Vostra S. II 25

sitta I 2, I 16slongare

l te la può s., ma no fuzire IV 20*smaruzzare V 66

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indice delle parole annotate

smassarizare E 16smattare IV 32*smerdarella III 24*smorezare Pr. 17snaturale Pr. 5, Pr. 6, Pr. 7, Pr. 8, Pr. 10, Pr. 11, R 1 (due volte), R 3 (due volte)soghetta III 98sold (b.)

- ol mester dol s. I 24*sonare IV 4, IV 8, V 66sono V 53sonza

- pì molesin che fè mè s. III 36sora

- vuò stare s. de tutti II 6- sté s. de mi III 21

soramanego IV 16; ! manegospagnaruol(l)o II 23, E 3, E 11, E 12, Int 12, R 12spagnuola IV 2*spal(l)a IV 4; ! cantaon

- l’ha buone spalle III 73*spartire IV 52spasemo V 53*spassezare IV 2spedo V 58 (in contesto moschetto)spataffio III 24spessegare I 54 (due volte), IV 2spingarda IV 8*spiochiare I 7spontignare III 85, III 134sponton II 23, III 10, III 12, IV 16sprolegare Int 2stà’ (b.) III 41, IV 1; ! pil e pel

- u to’ par me fa s. I 61, a’ ’m ghe volea fà’ s. IV 1stabilitè

- na fuogia che n’ha s. I 23stampa

- stampè tutte in su na s. Pr. 4stare II 6, III 21; ! sora

- ben stagano II 25- che m’in’ sta a mi? III 109

*staro I 54; ! RolandoSteffen (b.)

- a’ ’t darò dol pà de sà S. per ados IV 23stentare III 98stizzar I 1stizzo I 58

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indice delle parole annotate

stoc (b.) IV 9storto

- guardare per s. II 22strabùseno V 53strafozare E 9

- s. de la lengua E 5*stramezare IV 20, IV 56 (due volte)*strapassare III 98strapelamento I 1, I 7*straponta (b.) IV 1; ! *pontastratagiare E 7; ! tagiarestravaliò III 30, V 57, V 66strazza II 6*strenzere E 6; ! *pénola*stretta E 6, Int 6, R 6*stretto E 8, Int 8, R 8

- stretta de natura E 16*stropello II 22; ! cagarstrucò III 85Strupia, val (b.)

- a’ ’l voi fà’ deventà’ da val S. II 21subit (b.)

- de subit IV 1superbiosa II 6suppa

- te me n’hè dò na s. de fastibio III 62*sustare Pr. 14, Pr. 17

tagiare Int 7, II 41; ! *corno- a’ he fatto vista che un m’abi tagiò el borsetto I 54, el me fo tagiò el borsetto E 18- t. e stratagiare E 7- sti tosatti fantuzati che se fa t. in le neghe de drio le calze E 9 [Int 9, R 9]

tagier (b.)- com s’el m’aves trovat a lecà’ i so’ tagier II 21

Talia II 35, E 3, Int 3 (cfr. anche Tralia)tegnire

- a’ no me posso t. de no far costion IV 2- chi m’arae tegnù ch’a’ n’aesse sbregò? IV 34- a’ no ve tegno da manco com se fossé mie’ friegi e mie serore E 4 [Int 4, R 4]

perifrasi verbale tegnire + participio passato III 85*tirare Pr. 4, Pr. 6, Pr. 9, Pr. 10, V 25; ! fiòtirirella I 54 (due volte)trà’ (b.) I 55, IV 1trag (b.)

- fà’ ù bel t. o deter o fo’ I 24Tralia I 66, R 3; ! Talia

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indice delle parole annotate

trare Pr. 17, II 23, E 18, E 19- trarme de qualche balestra in coste IV 2

trentacosti (b.) IV 15*trepare III 3triche E 3; ! naturaletrionfare E 17, E 19trique Int 3, R 3; ! naturale*trognare IV 8, V 27*tron III 130Trulio V 53; ! costiontruozo V 33

- te sarissi bon ti a penzerme zò del t. IV 10*tuore

- tuove via I 53 (due volte)- tuor su E 10, Int 10, R 10

umana- spittare la u. dal cielo III 129

uno- a u. V 42, V 43

valentom (b.) I 24, II 21 (due volte)valentomo I 54 (tre volte), IV 2, IV 53, IV 55; ! poltronvegnire

imperativo di II pers. del tipo viè III 66a’ ve vegnerè a tuorve, verbo a ristrutturazione con doppio clitico I 19

*vendetta (b.)- a’ no voi lassà’ li vendetti de drè a me’ fioi II 21

vergù (b.) I 24vero

- a’ me se descolerae v. in la panza I 1- a’ son pì rotto che no fì v. pesto I 11

vers (b.)- ti no canti v. che ’m plasi III 91

vessal se ti si’ fatto la v. te te galderè anche el saore III 69

vessiga V 66*vessinare V 26via

via rafforzativo di avverbio I 7viaz(z)uola V 30, V 55, V 57vissinello V 66vista

- a’ he fatto v. I 54 (due volte), far vista III 3- fo v. (b.) I 59

vita

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indice delle parole annotate

- in v. d’agni I 23, I 60, III 65, III 134- mè pì in v. d’agni I 14

vita2 III 12volere

uso pleonastico di volere Pr. 6indicativo presente di II pers. tipo vuosi I 54

voltarla III 148vontiera IV 20, E 1, E 4, R 4; ! ontiera

zà (b.) III 43*zaffo V 3zamara

- crezi ch’a’ ’l m’è montò la z. IV 38zanco I 1zanzarin II 22; ! sanzarin*zapare I 68zenuogio

- paletta del z. V 53zò

- da z. III 139zocco III 83, III 85zodìa

- z. patarina I 11zodiazza I 7*zonzere V 88*zotta

l an’ de le zotte va a marìo I 29zòzzolo

- que guagneriè-gi? Z. II 23, tuò su mo’ quel che t’hè guagnò: z. III 24, t’hèguagnò z. III 63

*zucàro E 6*zuese R 13zugare III 82*zuse Int 13

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BIBLIOGRAFIA

Le opere di Ruzante sono citate con il titolo seguito dal numero di pagina: è intesoche La Pastoral, La Prima Oratione, Una lettera giocosa si citano dall’edizione diPADOAN 1978; I Dialoghi e La Seconda Oratione si citano dall’edizione di PADOAN1981; la Moschetta e i suoi ‘prologhi’ si citano dalla presente edizione; tutte le altreopere dall’edizione di ZORZI 1967. Per le citazioni da opere dialettali contenute inmanoscritti o edizioni antiche sono state indicate tra quadre la segnatura o la collo-cazione dell’esemplare di riferimento e sono stati seguiti i criteri di trascrizioneesposti nella Nota al testo § 5.

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INDICE DEI NOMI

Insieme ai nomi di persona (in maiuscoletto quelli di scrittori, stampatori antichi e personag-gi storici), l’indice registra anche i titoli di opere anonime (in corsivo); per i poeti pavani si èindicato dove possibile il cognome anagrafico oltre alla cosiddetta lomenagia. Come d’abitu-dine sono segnalati con la lettera n i riferimenti che si trovano in nota, e si intende che solo innota stanno tutti i nomi scrutinati per le pp. 87-251, che contengono i testi ruzantiani anno-tati. Sono esclusi il nome di Ruzante, i nomi di editori e i nomi propri che compaiano in tito-li di libri e articoli, a eccezione di quelli compresi nelle descrizioni bibliografiche analitichedella Nota al testo.

Acocella, Mariantonietta, 51nAdams, Herbert Mayow, 273, 313, 351Adorno, Theodor Wiesegrund, 26nAgeno, Franca ! Brambilla AgenoAgostini, Tiziana, 130, 196, 199, 203, 351,

363, 376ALCEO, 68nALESSI, Stefano di, 9, 39, 75 e n, 82n, 97n,

263 e n, 264 e n, 265n, 272, 275n, 276n,306, 310, 312, 371

Alessio, Franco, 135, 351Alessio, Gian Carlo, 376Alessio, Giovanni, 360ALIGHIERI ! DANTEAlinei, Mario, 91Alonge, Roberto, 18n, 351Altieri Biagi, Maria Luisa, 216, 352ALVAROTTO, Marco Aurelio, 93, 310, 312-

316, 318-320ALVAROTTO, Paolo, 309nAMADIO, Domenico, 264, 269n, 282, 289n,

297 e n, 319 e n, 320 e nAMASEO, Gregorio, 95, 105Amati, Girolamo, 223

ANACREONTE, 68nANDREINI, Giovanni Battista, 12n, 111, 114,

189, 193, 352Andreose, Alvise, 116Angelini, Franca, 20, 22, 23n, 65, 69n, 82,

154, 352ANGIOLIERI, Cecco, 136Antetomaso, Ebe, 266nAntonelli, Giuseppe, 62n, 352Aquilecchia, Giovanni, 95ARCHILOCO, 68nArese, Felice, 324nARETINO, Pietro, 44, 45 e n, 46, 77n, 78, 79,

89, 93-95, 101, 102, 104, 107, 108, 110,116, 117, 125, 130, 135, 140, 141, 144,150, 151, 162, 168, 195, 196, 203, 204,217, 352

ARIOSTO, Ludovico, 9, 28n, 40 e n, 43 e n,44, 49, 51, 52n, 53 e n, 54 e n, 55 e n, 56e n, 57 e n, 58n, 59 e n, 60 e n, 61, 62 en, 70 e n, 80n, 81, 83, 107, 113, 119, 125,131, 132, 139, 140, 142, 143, 146, 149,150, 152, 155, 156, 219, 233, 236, 237,241, 352

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Belloni, Gino, 98, 135, 353, 376Bellosi, Giuseppe, 153BELLUORA (Belluora dei Bragagnitti da Villa-

tora), 91, 114, 137, 140, 164, 167, 195,216, 222, 234, 353

BELO, Francesco, 107, 130, 135, 156, 164,353

Benincà, Paola, 97, 158, 183, 269n, 353, 354Benzoni, Gino, 19n, 354, 376Beretta, Carlo, 135Berger, Cécile, 364Bernardi, Ulderico, 365Bernardi Perini, Giorgio, 135BERNINI, Gian Lorenzo, 99, 123, 133, 354BERTEVELLO DALLE BRENTELLE, 91, 126,

155, 167, 222, 354Bertini, Ferruccio, 71n, 354Bertoletti, Nello, 87, 148, 268, 309 e n, 325n,

354Bertoni, Giulio, 37n, 138Bessi, Rossella, 367Bettarini, Rosanna, 370Bettini, Maurizio, 70n, 354BEVILACQUA, Bonifacio (II), 44nBiadego, Giuseppe, 308Bianco, Furio, 95, 354Bibbia istoriata padovana, 87, 89, 94, 97, 113,

119, 120, 125, 126, 128, 139, 153, 155-157, 160, 169, 173, 176, 177, 183, 213,221, 224, 229, 234, 236, 237, 354

Bibbia volgare toscana, 198BIBBIENA (IL), 89, 101, 113, 117, 119, 126,

133, 139, 165-168, 190, 198, 354Bidler, Rose M., 111, 214, 354Billanovich, Eugenio, 365Billanovich, Myriam, 365Blasucci, Luigi, 132Blok, Anton, 91Boas, Marcus, 134, 135BOCCACCIO, Giovanni, 79n, 112, 113, 115,

120, 124, 144, 160, 165, 169, 184, 204,210, 354

Bocchi, Andrea, 98, 125, 156, 269, 306 e n,354

Boerio, Giuseppe, 88-91, 93-98, 100-104,106-108, 111, 113, 114, 116, 118, 120,121, 124-135, 137-142, 144-146, 148,149, 155, 156, 158-161, 163-169, 171-180, 182, 186-193, 196-200, 202, 203,205, 206, 208-216, 218-226, 229-238,242, 244, 246, 250, 268, 354

Boggione, Valter, 360

380

indice dei nomi

ARNAUT DANIEL, 96Artale, Elena, 105Ascoli, Graziadio Isaia, 104, 148, 204, 237,

352Asor Rosa, Alberto, 352ASSONICA, Carlo, 165Atti del Podestà di Lio Mazor, 90, 95, 219,

224, 363AZIO, Giovanni Antonio, 95

Bacchi della Lega, Alberto, 145Bachtin, Michail, 136, 352BAFFO, Giorgio, 95, 133, 227, 325Bainton, Roland H., 147BALDOVINI, Francesco, 98, 119, 134, 163,

244, 352Balduino, Armando, 53nBallarini, Marco, 265nBalsamo, Luigi, 283nBANCHIERI, Adriano, 117, 265nBandini, Fernando, 103, 352, 365, 371Baratto, Mario, 17 e n, 19 e n, 20n, 21n, 22n,

23n, 26 e n, 42n, 49n, 62n, 63n, 92, 352,353

BARBARIGO, Sante, 304nBarbato, Marcello, 93Barberi Squarotti, Giorgio, 362Barberis, Corrado, 365Barbero, Alessandro, 110Barbieri, Edoardo, 274n, 275n, 353Barbieri, Franco, 352, 357Barbieri, Torquato, 283nBarbone, Antonio, 353Baretta, Giuseppe, 266nBARGAGLI, Girolamo, 105, 107, 125, 130,

204, 353Barthes, Roland, 24nBartlett, Kenneth R., 17n, 29n, 362BASILE, Giambattista, 12n, 98, 103, 117, 126,

129, 140, 144, 147, 149, 160, 175, 189,190, 193, 214, 218, 227, 234, 353

Bastiaensen, Michael, 362Battaglia, Salvatore, 362Battisti, Carlo, 360Beccaria, Gian Luigi, 100, 102, 109, 116,

125, 136, 150, 152, 222, 353Becherer, Anneliese, 267nBEGOTTO, 103BELANDO, Vincenzo, 190, 201, 353Bellò, Emanuele, 90, 97, 101, 103, 116, 120,

121, 126, 127, 129, 131, 132, 134, 140,141, 192, 353

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381

indice dei nomi

Böhm, Anna, 71n, 354BOIARDO, Matteo Maria, 51, 106, 185, 236,

355Bolelli, Tristano, 371BOLLA, Bartolomeo, 106, 115, 134, 144, 147,

149, 200, 201, 355Bombi, Raffaella, 358BONADIO, Giovanni, 278 e n, 282n, 315BONAGURO, Teodoro ! TUODARO BUGONA-

ROBongrani, Paolo, 52nBONVESIN DA LA RIVA, 87, 134, 135Borghi Cedrini, Luciana, 136BORGOGNI, Girolamo, 234Borlenghi, Aldo, 355, 357, 359-363, 365,

370, 373Borsellino, Nino, 18n, 19n, 76n, 77n, 152,

353, 355, 362Bortolan, Domenico, 87, 91, 93, 94, 96-98,

100-103, 106-108, 110-112, 116, 121,127, 128, 132, 134, 135, 139, 140, 142,148, 153, 155, 157, 167, 170, 176, 178,179, 182, 191, 193, 195, 197, 205, 208,209, 212, 213, 215, 217, 219, 221, 223,229, 231, 232, 236, 237, 244, 246, 250,355, 372

Bortoletti, Francesca, 10n, 355Boscolo, Giorgio, 90, 94, 97, 102-104, 111,

116, 120, 121, 126-128, 130-132, 134,140, 141, 157, 164, 192, 235, 236, 367

BOSELLI, Giovan Maria, 96BOTERO, Giovanni, 230Botta, Patrizia, 263n, 355Bracchi, Remo, 114, 231Braccini, Mauro, 217Bragantini, Renzo, 374BRAGHIN CALDIERA D’I FORABUSI DA BOL-

ZAN ! CALDERARIBramanti, Vanni, 149Brambilla, Alberto, 133Brambilla Ageno, Franca, 107, 114, 170, 355Branca, Vittore, 79n, 354, 360Bregoli Russo, Mauda, 273n, 277n, 284n,

291n, 314n, 355Breschi, Giancarlo, 358BRESCIA, Girolamo, 282nBREVIO, Giovanni, 67nBRICCIO, Giovanni, 113, 116, 200Briquet, Charles-Marie, 265n, 279, 283, 290,

298, 307n, 310, 315, 318, 320, 355Broggini, Romano, 373Bronzini, Giovan Battista, 161

Brugnolo, Furio, 363Brunet, Jean-Charles, 266 e n, 273, 284, 355Bruni, Francesco, 175, 373Bruni, Robert L., 359Brusegan, Marcello, 278nBulesca (la), 146, 200Buovo d’Antona. Cantari in ottava rima

(1480), 105, 109, 120, 210, 355BUSI, Aldo, 68nBUZZACCARINI, Antonio ! BERTEVELLO

DALLE BRENTELLE

Caillois, Roger, 216Cairo, Laura, 290n, 298n, 355CALDERARI, Giovan Battista, 94, 102, 103,

106, 109, 114, 115, 119, 122, 128, 134,135, 137, 139, 148, 150, 155, 162, 164,171, 176, 178, 182, 199, 202, 231, 234,238, 250, 270n, 355

Cale, Morana, 70nCalendoli, Giovanni, 18, 20, 92, 351, 353,

356, 358, 361, 366, 371, 375, 377CALMO, Andrea, 12n, 29, 30n, 31 e n, 32, 35

e n, 36, 66, 67, 88-92, 94, 95, 97, 98,100-102, 104-106, 108-116, 118-128,130-132, 135, 138-141, 144-146, 148-156, 158, 160-162, 164, 166, 169, 170,172, 173, 176-178, 185, 189, 191-193,196, 197, 200, 201, 204, 206, 208, 209,211, 212, 214, 215, 217-219, 221, 224,225, 229, 230, 232-234, 236, 238, 242,244, 265, 273, 310n, 323n, 325n, 356

CAMPANI, Niccolò, 90, 101, 115, 132, 135,176, 179, 356

Campioni, Rosaria, 359Camporesi, Piero, 115, 144, 160, 356, 359Canova, Andrea, 365Canova, Mauro, 23n, 39, 45n, 48, 55n, 76n,

101, 356Cantari d’Aspramonte, 95Capnist, Gianni, 365Cappelli, Adriano, 42nCapra, Antonella, 364Caravana (la), 14n, 134, 144, 182, 197, 198,

356CARÀVIA, Alessandro, 199, 204, 216, 223Carletti, Ercole, 367CARO, Annibal, 12n, 89, 101, 191, 198, 356Carroll, Linda L., 11n, 29n, 74n, 76n, 80n,

81n, 82n, 233, 251, 306, 307n, 308 e n,356, 357

Caruso Carlo, 51n

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382

indice dei nomi

lata Gaudio d’Amore, 144Commedia di Saltafosso e Marcolina, 189,

191, 198Contin, Liliana, 357Contini, Gianfranco, 37n, 88, 91, 105, 119,

121, 156, 180, 357, 358Contò, Agostino, 104, 358Contrasto di Sacoman e Cavazzon, 306n, 354Contrasto di Tonin e Bighignol, 67, 218, 358CORFINO, Lodovico, 308Corgnali, Giovanni Battista, 367CORNARO, Alvise, 14 e n, 40, 92, 120, 121,

140, 243, 358CORNARO, Francesco, 305, 308, 310, 314-

316, 318, 319CORNARO, Marco, 305, 308, 310, 314-316,

318, 319CORNAZZANO, Antonio, 95, 116CORNER, Benedetto, 196Corniali degli Algarotti, Marco Antonio, 266nCorominas, Joan, 176, 203, 236, 358Coromines ! CorominasCORREGGIO, Niccolò da, 51, 52 e n, 146,

147, 149, 154, 156, 358Cortelazzo, Manlio, 65, 87, 89, 91, 93-97,

100, 102-104, 106-112, 114, 116-123,125-128, 130, 131, 134, 135, 137, 139,140, 142, 144-146, 148, 149, 151, 152,155, 156, 158, 159, 164, 169, 172, 173,175-177, 179, 180, 182, 189-193, 195-200, 202, 203, 205, 206, 208-210, 212-214, 216, 218-220, 223, 225, 226, 229,231, 234-238, 244, 354, 358, 360, 365,367

Corti, Maria, 30n, 36, 37n, 152, 153, 202,325n, 358

COSTABILI, Paolo, 297nCotronei, Bruno, 218, 358Crispo, Filippo, 358Cristofari, Maria, 77n, 281n, 289n, 304n,

305n, 306, 358Croatto, Enzo, 94, 95, 106, 235, 359Croce, Benedetto, 15n, 17 e n, 18, 147, 150-

152CROCE, Giulio Cesare, 89, 91, 97, 99, 117,

119, 127, 133, 136, 137, 144, 146, 147,156, 158, 160, 175, 186, 189, 190, 192,209, 222, 229, 230, 233-235, 246, 359

Crouzet Pavan, Elisabeth, 64n, 197, 209, 359Cruciani, Fabrizio, 362Crystal, Billy, 13nCrystal, David, 13

Casadei, Alberto, 40n, 42, 43 e n, 44, 132,237, 357

Casadio, Gilberto, 100, 101, 357Casale, Olga Silvana, 191, 352Casalegno, Giovanni, 360Casella, Angela, 352Castellani, Arrigo, 324nCASTIGLIONE, Baldassarre, 126, 196, 357Catalano, Michele, 40, 43 e nCatelli, Nicola, 376CATENACCIO DA ANAGNI, 135Caterini, Francesco, 199CATONE IL CENSORE, 134CATULLO (Gaio Valerio Catullo), 235Cavalli, Marco, 68nCAVASSICO, Bartolomeo, 88, 89, 94, 128, 130,

131, 141, 149, 178, 198, 218, 219, 221,231, 357

Cazzani, Pietro, 359CECCHI, Gianmaria, 91, 116, 156, 157, 204,

221, 357Cecchinato, Andrea, 108, 208, 306, 357CECCO D’I RONCHITTI, 107CECCON D’I PARAVIA DA MONTESELLO !

MARCHESINICecini, Nando, 264nCESANO, Bartolomeo, 264n, 265nCeserani, Remo, 352CHEREA, 77nChiabò, Maria, 353, 361, 371Chiesa, Mario, 66n, 67, 187, 208, 214, 230,

233, 305n, 357, 361Chiodi, Luigi, 277n, 290n, 314n, 357Christenson, David M., 74nCian, Vittorio, 304n, 357Ciavolella, Massimo, 354CICERONE (Marco Tullio Cicerone), 215CIECO DA FERRARA, Francesco, 204Cifoletti, Guido, 358CINI, Giovan Battista, 15nCiociola, Claudio, 30n, 357CITOLINI, Alessandro, 129, 190, 191, 198,

203, 212, 357Cocchiara, Giuseppe, 100, 123, 124, 357COGLIA (IL), 40n, 55Colla, Angelo, 357COLLENUCCIO, Pandolfo, 71nColotti, Mariateresa, 191Coltro, Dino, 102, 222, 357Coluccia, Giuseppe, 58n, 62 e n, 357Comboni, Andrea, 37n, 38n, 357Comedia nova de Notturno Napolitano intito-

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383

indice dei nomi

Cudini, Piero, 359

DA CAGLI, Bernardino Pino, 265nDA CASTELLO, Paolo, 88, 104, 114, 120, 128,

191, 222DAGLI ORZI, Galeazzo, 120, 359D’Agostino, Alfonso, 117, 211, 359DAL CARRETTO, Galeotto, 51DALL’AGOCCHIE, Giovanni, 129D’ALVIANO, Bartolomeo, 304nD’AMBRA, Francesco, 107, 125, 137, 142,

147, 175, 221, 231, 359Damiani, Maria Rosa, 137D’Amico, Silvio, 82nDA MORTEGLIANO, Bortolo, 203D’Ancona, Alessandro, 109, 359Daniele, Antonio, 37n, 41n, 63n, 66n, 77n,

121, 124, 156, 324n, 354, 359, 368DANTE, 136DA PISTOIA, Giovanni, 266nDA PONTE, Lorenzo, 9, 113Da Pozzo, Giovanni, 53n, 79nDa Rif, Bianca Maria, 35n, 66 e n, 67, 68n,

72n, 103, 118, 126, 130, 142, 146, 189-191, 198-200, 305n, 306, 359, 369

D’Ascia, Luca, 147Davico Bonino, Guido, 351Dazzi, Manlio, 161, 162, 359De Bosio, Gianfranco, 376, 377De Bujanda, Jesus Maria, 297nDe Capitani, Patrizia, 25n, 29n, 359Decaria, Alessio, 352DEGLI ALVAROTTI, Marco Aurelio, 93Delcorno Branca, Daniela, 355DE’ LIBERI, Fiore, 129della Chà, Lorenzo, 113Della Corte, Federico, 117, 227, 360DELLA PORTA, Giovan Battista, 13n, 90, 101,

197, 199, 360DELLA ROVERE, Guidubaldo, 55ndella Terza, Dante, 355DELLA VEDOVA, Gasparo, 304nDEL MORO, Angela, 77nDel Negro, Piero, 352Del Sal, Renata, 273n, 312nDEL TUFO, Giovan Battista, 191De Luca, Antonio, 57ndel Valle Ojeda Calvo, Maria, 82nDe Martin, Roberta, 275n, 306, 360De Mauro, Tullio, 362De Robertis, Domenico, 104, 108, 115, 136,

360

DE ROSA, Loise, 93, 132Dersofi, Nancy, 360DE SÁ DE MIRANDA, Francisco, 93De Sandre Gasparini, Giuseppina, 184DE’ SOMMI, Leone, 50 e nDesperata, testamento e Transito de Gratios

da Berghem, 110De Ventura, Paolo, 81n, 360Devota oratió del beat Cresimà, 306nDíaz-Mas, Paloma, 372Dieci Tavole dei Proverbi, 122, 137, 189, 200,

209Di Girolamo, Costanzo, 367Di Manzano, Francesco, 204Dionisotti, Carlo, 21n, 360Disticha Catonis, 134, 135Di Venuta, Maria, 353Doglio, Federico, 353, 361, 371DOLCE, Ludovico, 71n, 279nDomini, Silvio, 97, 139, 172, 180, 181, 186,

217, 221, 229, 231, 244, 250, 360DONATO (Elio Donato), 50D’Onghia, Luca, 108, 109, 118, 132, 160,

165, 173, 180, 188, 234, 264n, 284, 356,360

DONI, Antonfrancesco, 93, 132, 141, 149,195, 204, 282n, 360

Doria, Mario, 170, 221, 222, 360D’Orto, Alfredo, 352DOSSI, Carlo, 93DOVIZI, Bernardo ! BIBBIENA (IL)Drusi, Riccardo, 353, 359, 360, 376Duckworth, George Eckel, 24nDurante, Francesco, 53nDURINI, Angelo Maria, 266n, 310n

Egloga di Morel, 113, 128, 142, 163, 219,222, 224

Egloga di Ranco e Tuognio e Beltrame, 36, 65e n, 66 e n, 67, 72n, 103, 118, 126, 146,199

ERASMO DA ROTTERDAM, 101, 147, 234ERCOLE II D’ESTE, 40, 41, 41n, 43Erspamer, Francesco, 234Esopo veneto, 87, 88, 146, 156, 185, 360EVANZIO, 50

Fagioli Vercellone, Guido, 265nFAGNANI, Antonietta, 265nFAGNANI, Federico, 265nFahy, Conor, 263n, 265n, 267n, 360Faloppa, Federico, 109

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384

indice dei nomi

Frotola de tre vilani, 108, 173, 188, 360Frugoni, Chiara, 110FRUGONI, Francesco Fulvio, 12nFrye, Northrop, 18nFulzio, Aldo, 360Fusco, Fabiana, 358Fusillo, Massimo, 70n, 72 e n, 73n, 362

GAGLIARDI, Giuseppe ! ROVIGIÒGAISMAIR, Michael, 95GALILEI, Galileo, 81nGaltarossa, Massimo, 64, 180, 206, 362Garavelli, Enrico, 275nGarbero Zorzi, Elvira, 353Garbini, Adriano, 194GAROFALO, Girolamo, 43, 44GARZONI, Tommaso, 189Gasperetti, Andrea, 147, 216Gaunt, Simon, 132GELLI, Giovan Battista, 130, 169, 170, 205,

220, 221, 237, 362Ghinassi, Ghino, 107, 362GIAMBULLARI, Pier Francesco, 162GIANCARLI, Gigio Artemio, 29, 32, 34 e n,

35, 36, 67, 95, 98, 99, 103, 105, 110, 112,116-118, 126, 127, 130, 132, 134, 135,139, 143, 146, 147, 152, 160, 161, 164,170, 175, 189, 190, 192, 195, 198, 199,205, 206, 209, 212, 215, 216, 219, 221-223, 237, 239, 270n, 323, 362

GIANNOTTI, Donato, 45n, 46n, 79n, 118,221, 362

Gibellini, Piero, 376Ginzburg, Carlo, 101, 124GIORGIO III (re d’Inghilterra), 266n, 284nGIORGIO IV (re d’Inghilterra), 266nGIOVIO, Paolo, 145Girard, René, 23nGIRAUDOUX, Jean, 71nGirotto, Carlo Alberto, 264n, 273nGIUSTINIAN, Leonardo, 162Gizzi, Chiara, 150GOLDONI, Carlo, 190, 362GONZAGA, Federico, 43nGrabher, Carlo, 17n, 57n, 64n, 68, 76n, 77n,

162, 362Graesse, Jean George Théodore, 266, 273,

277, 279, 291, 298, 362Grafton, Anthony, 67nGrayson, Cecil, 62n, 362GRAZZINI, Antonfrancesco ! LASCA (IL)GRECO, Giorgio, 97, 124, 264n, 268, 281n,

Fanfani, Pietro, 143Farè, Paolo A., 371Farrell, Joseph, 361FARRI, Domenico, 276 e n, 314Fassò, Andrea, 95Favaretto, Lorena, 360Ferguson, Ronald, 17n, 19n, 41n, 45n, 55n,

70n, 229, 361Ferrari, Saverio, 284nFerrero, Ernesto, 123, 361Ferroni, Giulio, 21n, 23n, 28n, 40n, 42, 54n,

57 e n, 60, 61, 70n, 354, 361FIACCHI, Luigi, 352Fido, Franco, 115, 120, 360, 361FIESOLANO BRANDUCCI ! BALDOVINIFIGARO (TUOGNO FIGARO DA CRESPAORO),

89, 93-95, 98, 102, 104, 105, 108-111,113, 115, 116, 119, 127, 128, 135-137,149, 155, 159, 167, 169, 173, 177, 181,187, 197, 202, 206, 210, 221, 222, 225,227, 244, 361

Fiocco, Giuseppe, 92, 361FIRENZUOLA, Agnolo, 89, 91, 103, 130, 170,

192, 214, 221, 361Fletcher, William, 284nFlorence, Melanie, 132Floriani, Piero, 101Folena, Gianfranco, 11, 13n, 76n, 103, 106,

114, 161, 221, 323n, 354, 361, 364, 366,371, 375

FOLENGO, Teofilo, 12n, 59n, 66n, 67, 68n,82n, 87, 89, 93, 97, 102, 104, 106, 107,112, 118, 120, 125, 126, 130, 135, 141,144, 146, 148, 162, 164, 172, 185, 187,189, 191, 193-195, 201, 203, 208, 210,214, 230, 233, 234, 237, 361

Fontana, Bartolomeo, 42n, 43nFontana, Laura, 135Foresti, Fabio, 137Formentin, Vittorio, 93, 114, 128, 132, 153,

324n, 361Forni, Pier Massimo, 374FORZATÈ, Claudio ! SGAREGGIOFraenkel, Eduard, 140, 146, 194Franceschetti, Antonio, 17n, 29n, 119, 137,

362FRANCESCO D’ESTE, 43FRANCO, Giacomo, 232, 320Frasnedi, Fabrizio, 368Frau, Giovanni, 367Friedrich, Otto, 133FRIZZI, Antonio, 44n

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385

indice dei nomi

282n, 283n, 284 e n, 289n, 317, 319n,320n

GRENVILLE, Thomas, 284nGrewe, Andrea, 160, 362Griffante, Caterina, 273nGritti, Valentina, 40n, 58n, 59n, 62n, 131, 352Guarino, Raimondo, 10n, 24n, 39, 362Guerrazzi, Domenico, 227Guglielminetti, Marziano, 356GUGLIELMO IX D’AQUITANIA, 165Guidotti, Angela, 71n, 362

Harris, Neil, 263n, 267n, 283n, 362Harris, Philippe Rowland, 266n, 284nHarvey, Ruth, 132Historia nova de barzelette capitoli strambot-

ti & el Pater noster di vilani [...], 134Holtus, Gunter, 370Hubbard, Catherine, 266nHubbard, Margaret, 68nHyller Giglioli, Enrico, 199, 217, 362

IMBRIANI, Vittorio, 125Ineichen, Gustav, 128, 237, 363, 373Ingannati (gli), 106, 117, 130, 133, 135, 139,

150, 152, 159, 184, 188, 205, 219, 363Innocenti, Luciana, 358Iovinelli, Alessandro, 70nISABELLA D’ESTE, 40n, 42Isella, Dante, 14n, 87, 94, 95, 122, 125, 140,

363

Jaberg, Karl, 351Jenkins, Harold, 161Joppi, Vincenzo, 117Jud, Jakob, 351

Keller, Emil, 102Keller, Otto, 136Kleist, Heinrich von, 71nKramer, Johannes, 370

LANDO, Ortensio, 14 e nLapa, Rodrigues, 93Lapucci, Carlo, 114, 363LASCA (IL) 12n, 82n, 107, 125, 130, 137, 146,

169, 196, 363Lazard, Sylviane, 95Lazzari, Marco, 266nLazzerini, Lucia, 34 e n, 88, 105, 112, 117,

130, 132, 135, 167, 205, 206, 215, 270n,356, 362, 363

LEGACCI, Pierantonio, 90, 126, 165, 168,192, 198, 202, 363

LENZO DURELLO, 137LEONE X, 80nLEONI, Giovan Battista, 265nLevi Pisetzky, Rosita, 231Lichtenhahn, Anna, 101, 363Lindberger, Örjan, 71nLindsay, Wallace Martin, 70nLIONARDO DI SER AMBROGIO ! MESCOLINOLippi, Emilio, 88, 119, 121, 127, 143, 162,

202, 205, 306, 307n, 308, 351, 363, 376Lo Basso, Luca, 112Lobera, Francisco J., 372Lohse, Rolf, 70nLommi, Antonella, 369Loporcaro, Michele, 373Lovarini, Emilio, 17n, 24n, 37n, 39, 44n,

81n, 91, 92, 99, 100, 103, 108, 111, 112,115, 120, 122, 124, 126, 129, 130, 134,135, 139, 149, 152, 161, 173, 176, 185,191, 194, 212, 221, 223, 226, 237, 264n,268, 270, 304n, 306, 308, 323n, 364,376, 377

Luciani, Paola, 362Lurati, Ottavio, 91, 94, 153, 178, 364Luzio, Alessandro, 59n

MACHIAVELLI, Niccolò, 19, 28n, 58n, 67n,132, 141

MAGAGNÒ, 87, 88, 94, 98, 102, 103, 105,106, 108-110, 112, 113, 115, 116, 119,120, 123, 125-128, 132, 134, 135, 137,140, 141, 146, 148, 150, 155, 157, 164,167, 169-171, 176, 178, 181, 182, 187,189, 191, 194, 197, 201-203, 211, 215-217, 221, 222, 225, 227-231, 234, 235,237, 270n, 364

MAGANZA, Giovan Battista ! MAGAGNÒMAGGI, Carlo Maria, 14 e n, 94Magliani, Mariella, 263n, 264n, 265n, 273,

275n, 277n, 278n, 279, 282n, 283, 284,290, 291, 298, 310, 311, 313, 314, 316,364

Malicki, Marian, 291nManfredini, Gigi, 263nMANGANELLI, Giorgio, 70nManganello (il), 113, 172, 210, 364MANTOVANO, Publio Filippo, 71n, 105, 119,

144, 147, 167, 194, 364Marano Festa, Olga, 94MARCABRU, 132

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386

indice dei nomi

MESCOLINO, 113, 134Messedaglia, Luigi, 124, 365MESSISBUGO, Cristoforo da, 40 e n, 41 e n,

42 e n, 44, 48n, 82, 83, 189Meyer Lübke, Wilhelm, 371MICHIEL, Antonio ! STRAZZÒLA (LO)Migliorini, Bruno, 87, 89, 90, 94, 97, 100,

102, 103, 106, 107, 111, 116, 120, 121,126, 130-132, 134, 135, 141, 149, 150,168, 170, 178, 191-193, 197, 200, 203,210, 213, 216-219, 224, 225, 231, 366

Milani, Marisa, 10, 12n, 14n, 15, 16n, 21n,39, 46, 47, 48 e n, 75n, 76n, 77n, 82n,95, 97, 102, 105-107, 109, 114-116, 118,121, 122, 124, 130, 131, 134, 135, 137,142, 145, 146, 148, 152, 155, 158, 164,167, 172, 178, 180, 189, 193, 203, 228,233, 235-237, 245-247, 268-270, 306-308, 309n, 311n, 358, 366

Miniussi, Aldo, 360Mistral, Frederic, 167MOLIÈRE (Jean-Baptiste Poquelin), 71nMonaci, Ernesto, 324nMONDINI, Tomaso, 114, 203MONOSINI, Angelo, 189Montagnani, Cristina, 236, 376Montese, Giovanni, 282n, 289n, 366Monteverdi, Angelo, 87, 88, 91, 127, 366Morbiato, Luciano, 264nMORELLO, Giacomo, 82n, 108, 120, 121,

155, 234, 265nMoretti, Cesare, 104Morlicchio, Elda, 363Mortier, Alfred, 11n, 44n, 92, 106, 122, 198,

203, 226, 236, 266 e n, 273, 277 e n, 306,366

Mosin, Vladimir, 290, 320, 367Mota, Carlos, 372Motti e facezie del piovano Arlotto, 12n, 95,

204, 371Munari, Franco, 140Musatti, Cesare, 273Muscetta, Carlo, 355Mussafia, Adolfo, 98, 111, 157, 164, 199,

211, 214, 216, 218, 367Mussini Sacchi, Maria Pia, 42n, 51n, 52n,

355, 358, 374, 375, 377Mutinelli, Fabio, 125, 149, 367

Naccari, Riccardo, 90, 94, 97, 102-104, 111,116, 120, 121, 126-128, 130-132, 134,140, 141, 157, 164, 192, 235, 236, 367

Marcato, Carla, 105, 155, 203, 216, 229, 236,364, 373

Marcato, Gianna, 13n, 16n, 364Marcheschi, Daniela, 21n, 110, 127, 134,

193, 200, 364MARCHESINI, Lucio, 98, 108, 109, 112, 134,

137, 139, 142, 162, 164, 176, 181, 183,187, 195, 230, 234-236, 246, 270n, 364

Mariazo a la fachinescha, 37nMarini, Paolo, 195Mariti, Luciano, 136, 364Marotti, Ferruccio, 50nMAROZZO, Achille, 129Marra, Melania, 107, 365Marshall, John, 132MARTIN LUTERO, 101Martines, Lauro, 21n, 160, 365MARTINI, Francesco di Giorgio, 81nMartinori, Edoardo, 125, 195, 365Mascarate alla bulesca, 35n, 130Mascharate alla Bulescha de un Bravazzo chia-

mato Figao [...], 189, 199Maschi, Roberta, 216Masini, Francesca, 116Massobrio, Lorenzo, 360Matte Blanco, Ignacio, 23nMattezini et sonetti alla Venetiana de Panta-

lon d’i Bisognosi, 109Mauron, Charles, 23n, 365Mazzaro, Stefano, 87, 100, 104, 114, 128,

142, 151, 185, 195, 219, 365Mazzi, Curzio, 356Mazzoldi, Leonardo, 265, 283, 290, 320, 365Mazzoleni, Marco, 107, 365Mazzucchi, Pio, 90, 97, 100-104, 106-108,

120, 121, 126, 127, 131, 132, 134, 139,140, 148, 155, 161, 164, 170, 172, 177,182, 192, 193, 200, 206, 208-210, 213,216-219, 221-224, 365

MEDICI, Lorenzino de’, 125, 137, 143, 175,221, 365

Melchiori, Giorgio, 126Mellini, Gian Lorenzo, 354Menato, Marco, 264n, 278n, 365MENATO FRACCAORE, 116Menegazzo, Emilio, 92, 104, 108, 122, 152,

195, 365Mengaldo, Pier Vincenzo, 14nMENO BEGUOSO, 224, 231, 235, 241, 365MENON (Menon d’i Spinziforte), 108Mercuri, Simonetta, 185Merlini, Domenico, 96

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387

indice dei nomi

Paradisi, Paola, 305n, 369Parenti, Alessandro, 132Parodi, Ernesto Giacomo, 152Pascual, José A., 176, 203, 236, 358Pasero, Nicolò, 161, 165Pasetti, Lucia, 71nPasqualigo, Cristoforo, 30, 106, 108, 189,

235, 237, 369Paterson, Linda, 132Patriarchi, Gasparo, 89, 108, 114, 115,

125, 127, 131, 135, 137, 142, 156, 157,161, 165, 169-172, 176-178, 180, 187,195, 197, 200, 208, 210, 212, 213, 215-219, 221-226, 229-231, 238, 244, 250,369

Pedroni, Matteo M., 217Pellegrini, Giovan Battista, 87, 89, 90, 94,

97, 100, 102, 103, 106, 107, 110-113,116, 120, 121, 128, 131, 132, 134, 135,139, 141, 142, 144, 148, 149, 154, 163,168, 170, 171, 178, 191-193, 197, 200,203, 210, 213, 216-219, 222, 224, 225,231, 360, 366, 369-371, 373

Pellegrini, Rienzo, 216Pellegrini, Silvio, 95, 144Pelliciardi, Ferdinando, 371Penello, Nicoletta, 116, 216Penzig, Otto, 12nPeri, Angelo, 103PERIN, Anna, 289nPERIN, Pietro, 289nPerocco, Daria, 353, 359, 360Peron, Gianfelice, 356PERRUCCI, Andrea, 221Persiani, Bianca, 113, 126, 134, 135, 176,

205, 370Pertile, Lino, 26n, 370, 374Perusko, Tatiana, 70nPescia, Lorenza, 373Pesenti, Tiziana, 282n, 370PETRARCA, Francesco, 195, 370Petrocchi, Giorgio, 352Petrolini, Giovanni, 189, 370Petrucci, Armando, 153Petrucci, Livio, 114Petrucci Nardelli, Franca, 265, 277n, 283,

310, 317, 370Pfister, Max, 363Pianca, Arrigo, 88-91, 94, 97, 101-103, 121,

126, 131, 134, 140, 141, 370Piccard, Hans, 265n, 298, 320, 370Piccat, Mario, 110, 370

Nardo, Dante, 71n, 367NEGRI, Giovan Francesco, 99, 115, 126, 367NEGRO, Marin, 209, 216, 367NELLI, Pietro, 101Nencia da Barberino, 115, 367Nicolini, Fausto, 201NIEVO, Ippolito, 89Nimis, Jean, 364Ninni, Alessandro Pericle, 100, 106, 109,

120, 124, 129, 181, 193, 197-200, 212,216, 219, 222-224, 229, 367

Nisbet, Robin G.M., 68nNOBILI, Francesco de’ ! CHEREANocentini, Alberto, 324n, 367Novati, Francesco, 96, 129, 132Novella del Grasso legnaiuolo, 69nNunziale, Sennen, 367

ODDI, Sforza, 118, 137, 152, 185, 199, 200,367

Oldcorn, Anthony, 370, 374Oliveira Barata, José, 71n, 367Oniga, Renato, 354, 359ORAZIO (Quinto Orazio Flacco), 68n, 310nOrioles, Vincenzo, 358ORIOLO, Bartolomeo, 109, 116, 125, 126,

140, 367Orlando, Francesco, 19n, 23n, 367Ossola, Carlo, 216

Paccagnella, Ivano, 15 e n, 27, 30n, 31n, 36 en, 37n, 39, 53n, 66n, 75, 76 e n, 81n,241, 264n, 304n, 305n, 306, 323n, 360,363, 364, 366-368, 373

Padoan, Giorgio, 9, 16 e n, 17n, 19n, 24,37n, 39, 40, 41 e n, 42, 44, 45, 46 e n, 49e n, 53 e n, 55n, 62, 64n, 67, 68n, 75n, 76e n, 77 e n, 79n, 80 e n, 81 e n, 83, 95,96, 105, 121, 124, 129, 133, 141, 154,160, 166, 191, 195-198, 205, 221, 227,228, 230, 232, 233, 235, 236, 241, 304n,305n, 306 e n, 307, 308 e n, 309 e n,311n, 351, 354, 368, 369, 376, 377

Paduano, Guido, 23n, 24nPajello, Luigi, 95, 101, 108, 137, 149, 161,

164, 175, 178, 193, 200, 205, 208, 210,212, 213, 216, 218, 219, 221, 222, 369

Pallabazzer, Vito, 211, 369Panciera, Walter, 289nPanizzi, Antonio, 284nPARABOSCO, Girolamo, 12n, 97, 105, 112, 123,

133, 151, 161, 190, 198, 234, 279n, 369

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388

indice dei nomi

Pvlon matt, 98-100, 104, 109, 113, 115, 119,190, 371

Quaresima, Enrico, 139, 149, 153, 159, 164,168, 170-172, 175, 177, 178, 181, 182,191, 193, 203, 205, 210, 218, 221, 222,224, 229, 231, 371

Questa, Cesare, 194Quilici, Piccarda, 290n, 298n, 355Quondam, Amedeo, 357

RAGONA, Anton Maria ! REGONÒRaimondi, Ezio, 28nRaja, Gino, 95Rajna, Pio, 161Rak, Michele, 353Ramat, Paolo, 372Rank, Otto, 70n, 73n, 371RAO, Cesare, 12n, 196Rapisardi, Giovanni, 129Raponi, Nicola, 266nRatti, Enrico, 194RAVA, Agostino ! MENONREA, Domenico, 52n, 53nREDRIZATI, Fausto, 38nREGONÒ (Tuogno Regonò dalla Guizza de

Vigian), 93, 110, 115, 125, 164, 170, 181,212, 227, 228, 297n, 306, 371

Reinhardstoettner, Karl von, 71nRENATA DI FRANCIA, 40, 41 e n, 42, 43Rhodes, Dennis E., 264n, 272n, 275n, 282n,

297n, 310n, 311n, 312n, 371Ricca, Davide, 173, 372RICCIO, Daniel, 189Rico, Francisco, 372Ricottini Marsili-Libelli, Cecilia, 282nRIGHELLI, Francesco, 136Rigobello, Giorgio, 88, 91, 94, 95, 100-105,

107, 108, 111-113, 115, 118, 120, 122,123, 127, 129-135, 138-140, 144-146,148, 149, 155, 157, 159, 161, 164, 166,170, 172, 184, 191, 193-195, 197-202,206, 208, 210, 212-214, 216-219, 221-224, 226, 229-231, 234, 236, 238, 372

Rigutini, Giuseppe, 143Rime alla venitiana, dove trovarete un Capi-

tolo e una Barzeleta in Sdruzolo [...], 120RIPA, Polidoro, 65nRITIO ! RICCIORizzolatti, Piera, 216Robustelli, Cecilia, 146, 160, 372Roggia, Carlo Enrico, 132

PICCOLOMINI, Alessandro, 91, 118, 130, 152,159, 165, 169, 371

Picone, Michelangelo, 24nPierazzo, Elena, 360Pieri, Piero, 152, 371Pigafetta, Antonio, 199Pinagli, Palmiro, 238PINCETTA (IL), 189PINO, Modesto ! Caravana (la)Piovan, Francesco, 373Pirona, Giulio Andrea, 95-97, 100, 102, 168,

211, 231, 367Pirovano, Donato, 234PISANI, Francesco, 310, 312-319Pisani, Vittore, 369Pirrotta, Nino, 82nPittaluga, Stefano, 71n, 371PITTARINI, Domenico, 98, 115, 203, 210,

236, 371Placucci, Michele, 153, 216PLAUTO (Tito Maccio Plauto), 51, 58n, 70n,

71n, 73n, 74n, 194, 354Plomteux, Hugo, 136POLIZIANO, Angelo, 185POLO, Marco, 12POMPONAZZI, Pietro, 101PORTA, Carlo, 140Porta, Giuseppe, 114Povoledo, Elena, 82nPovolo, Claudio, 289nPrati, Angelico, 90, 94, 97, 102-104,

106-108, 116, 120, 125, 126, 128, 129,131, 132, 134, 135, 140-142, 153, 155,157, 159, 166, 168-170, 172, 175, 177,178, 180, 184, 186, 193, 195, 197, 201,203, 208-211, 213, 215, 216, 218, 221,222, 229-232, 234, 236, 238, 244, 250,371

Pratissoli, Valter, 283nPreto, Paolo, 352, 357Procaccioli, Paolo, 14n, 69nPropp, Vladimir Jakovlevic, 222Prosperi, Adriano, 101Proverbii attiladi novi e belli, quali l’huomo

non se ne debbe mai fidare, 96PROUST, Marcel, 67PUBLILIO SIRO, 133Pugliese, Silvia, 305nPullè, Francesco Lorenzo, 189Puppa, Paolo, 20, 23n, 69n, 361, 371Puppi, Lionello, 92Pusterla, Fabio, 125

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389

indice dei nomi

SAVORGNAN, Antonio, 95SAVORGNAN, Gerolamo, 117Sbricaria (la), 209Sbriccoli, Mario, 65 e n, 359, 373SCALIGGERI DALLA FRATTA, Camillo ! BAN-

CHIERIScandellari, Armando, 215SCAPUZZO, 93, 109, 111, 128, 177, 373Scarsella, Alessandro, 372, 377Schiavon, Chiara, 49n, 63n, 172, 198, 356,

357, 359, 360, 362, 368, 373, 376, 377Schweickard, Wolfgang, 363Scopel, Marina, 115, 373Scorrano, Luigi, 28nScrivano, Riccardo, 56nSECCHI, Niccolò, 265nSegarizzi, Aldo, 188, 373Segre, Cesare, 17n, 55n, 62n, 76n, 107, 362,

373Sella, Pietro, 126, 373Selmi, Elisabetta, 264n, 373Selmin, Francesco, 115Sentencie perse, 37n, 306nSeragnoli, Daniele, 362Serés, Guillermo, 372Servolini, Luigi, 282nSESTOLA, Girolamo da ! COGLIA (IL)SGAREGGIO (Sgareggio Tandarelo da Calci-

nara), 12n, 89, 103, 104, 114, 117, 119,130, 134, 148, 163, 164, 194, 195, 202,212, 221-223, 227, 231, 235, 374

Shaaber, Matthias Adam, 266, 277, 374SHAKESPEARE, William, 126, 161Simeone, Maria Nicoletta, 282n, 289n, 374Simiani, Carlo, 222Simionato, Umberto, 199Sirri, Raffaele, 13nSkubic, Mitja, 138, 374SOMMARIVA, Giorgio, 142, 237, 268, 309Sommariva, Grazia, 374Sorrento, Luigi, 105, 107, 374Spaggiari, Barbara, 96Spaggiari, William, 51nSPERONI, Sperone, 266nSpezzani, Pietro, 97, 113, 114, 116, 152, 186,

200, 203, 221, 374SPINELLI, Girolamo ! CECCO D’I RONCHIT-

TIStanghellini, Menotti, 126, 198, 363Stäuble, Antonio, 353Stefani, Luigina, 71n, 364Stella, Angelo, 55n, 107, 135, 351

Rohlfs, Gerhard, 144, 223, 224, 228, 324n,372

Roic, Sanja, 70nROJAS, Fernando de, 147, 216Rolant Furius de mesir Lodevis di Arost stra-

mudat in lengua bergamasca, 209Roma, Elisa, 372Romagnoli, Sergio, 353Romano, Angelo, 89Romano, Ruggiero, 96, 177, 372Romei, Danilo, 77n, 146, 304n, 305n, 306,

372Ronchi, Gabriella, 352Roos, Paolo, 134Rosamani, Enrico, 221, 250, 372Rosati, Giampiero, 24nRossebastiano Bart, Alda, 372Rossi, Massimiliano, 362Rossi, Vittorio, 123, 214, 356Rouch, Monique, 359ROVIGIÒ (Rovigiò Bon Magon da le Valle de

Fuora), 13n, 90, 94, 95, 98, 103-105,108, 110, 111, 113, 115, 126, 136, 151,163, 169, 194, 206, 216, 221, 225, 229,235, 372

Ruffato, Cesare, 210, 218Ruffini, Franco, 51n, 372Ruggiero, Guido, 372Ruiz Arzallúz, Íñigo, 372

SACCHETTI, Franco, 227SAGREDO, Giovanni, 234Salem Elsheikh, Mahmoud, 363Sallach, Elke, 141, 145, 172, 208, 218, 372Salvadori, Tommaso, 199, 217, 372Salvi, Giampaolo, 183Salvioni, Carlo, 87-91, 94, 98, 100, 102, 104-

106, 110, 112, 114, 115, 118, 120, 121,125, 126, 128, 136, 141, 142, 148, 151,162-164, 169, 173, 175-178, 185, 191,192, 195, 196, 216, 219, 221-225, 234,357, 372, 373

Sambin, Paolo, 98, 135, 353, 373Sánchez Miret, Fernando, 367Sandal, Ennio, 264n, 278n, 365SANNAZARO, Iacobo, 234Sansone, Giuseppe E., 95, 144Santagata, Marco, 26n, 373Santoli, Vittorio, 161Santoro, Ciro, 369SANUDO, Marin, 116, 117, 148, 156, 304nSARPI, Paolo, 81n

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390

indice dei nomi

VALGRISI, Vincenzo, 264n, 272n, 276n, 312nVALMARANA, Alvise ! FIGAROVanelli, Laura, 183, 269n, 323n, 354, 375VANNOZZO, Francesco di, 219Varanini, Giorgio, 238Varasi, Elena, 352VARCHI, Benedetto, 190Varese, Claudio, 71nVARESE, Fabio, 122Varon milanes de la lengua de Milan, 95Varvaro, Alberto, 238VASARI, Giorgio, 190Vatteroni, Sergio, 359Vecchio, Paola, 373VECELLIO, Cesare, 233, 376Vellucci, Giuseppe, 351, 353, 356, 361, 366,

368, 371, 375, 377Veneziani, Paolo, 96VENIER, Lorenzo, 79n, 142, 190, 376Veniexiana (la), 221, 376Ventura, Angelo, 180, 376Venuti, Tarcisio, 117, 204, 376Verlato, Zeno Lorenzo, 363Vescovo, Piermario, 12 e n, 15n, 17n, 18n,

20n, 48, 49n, 50 e n, 51n, 52 e n, 64n,69n, 71n, 77 e n, 82n, 92, 183, 234,264n, 305n, 306, 353, 354, 356, 359,360, 362, 368, 369, 373, 375, 376

Vicario, Federico, 105, 116VICENTE, Gil, 93Vidossi, Giuseppe, 94, 97, 103, 104, 109,

119, 121, 136, 157, 167, 176, 194, 197,199, 200, 204, 219, 222, 376, 377

Vigolo, Maria Teresa, 365VILLABRUNA, Vittore, 94, 197, 203, 217Vincent, Nigel, 115Viola, Raffaello, 377VIRGILIO (Publio Virgilio Marone), 228VISCONTI, Gasparo, 51, 52, 185, 377VITALI, Bernardino, 44Vitali, Fernanda, 71n, 377Vittori, Giordano, 360

Wagner, Max Leopold, 221, 222Walther, Hans, 96, 135Wartburg, Walther von 361Wendriner, Richard, 91, 98, 101, 108, 128,

138, 155, 183, 224, 268-270, 325n, 377Wiese, Berthold, 162

Zaccarello, Michelangelo, 377ZAFFETTA ! DEL MORO

Stewart, Pamela, 360Stoppato, Lorenzo, 37nStoppelli, Pasquale, 67, 141, 263n, 363, 374STRASCINO (LO) ! CAMPANISTRAZZÒLA (LO), 125, 188, 203, 209STRICCA (LO) ! LEGACCIStussi, Alfredo, 89n, 106, 126, 127, 146, 152,

204, 271n, 325n, 374Syska-Lamparska, Rena A., 360, 370, 374

TACCONE, Baldassarre, 51, 150, 374Tagliavini, Carlo, 367Tanara, Vincenzo, 145n, 194n, 217nTanda, Nicola, 71n, 374Tavani, Giuseppe, 93Telve, Stefano, 146TERENZIO (Publio Terenzio Afro), 51Termanini, Stefano, 18, 55n, 69n, 375Tesi, Riccardo, 368THIENE, Marco ! BEGOTTOTinto, Alberto, 265n, 276n, 283n, 375Tiraboschi, Antonio, 118, 120, 122, 127,

129, 143-145, 165, 167, 174, 175, 190,195-201, 375

Tissoni Benevenuti, Antonia, 42n, 51n, 52n,236, 355, 358, 374, 375, 377

Tobler, Adolf, 135Tomasin, Lorenzo, 93, 98, 111, 124, 126,

127, 141, 150, 219, 221, 230, 270n,271n, 306, 325n, 375, 377

Tomasoni, Piera, 37n, 136, 375TOMMASEO, Niccolò, 374Tonna, Giuseppe, 359Toscan, Jean, 166, 172, 214, 375Toschi, Paolo, 152, 161Trama, Paolo, 28nTRIDAPALE, Giovan Francesco, 43nTrifone, Pietro, 102, 370, 375TRISSINO, Giovan Giorgio, 282nTRON, Nicolò, 182TUODARO BUGONARO, 211, 241, 270n, 355TUOGNO ZAMBON, 91, 94, 103, 110-112, 115,

116, 118, 132, 134, 137, 148, 164, 167,169, 173, 177, 183, 184, 202, 218, 219,227, 238, 270, 375

Tuttle, Edward Fowler, 148, 375

Ugolini, Luigi, 199Ulysse, Georges, 26n, 375Universo, Mario, 92

Valenti, Giovanna, 266n

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391

indice dei nomi

Zaggia, Massimo, 146, 194, 361Zamboni, Alberto, 102, 183, 220, 221, 324n,

365, 377Zampieri, Adriana, 304n, 306, 368, 377Zancani, Diego, 359, 364Zancarini, Jean-Claude, 21n, 377Zanette, Emilio, 90, 96, 97, 101, 103, 134,

140, 141, 148, 170, 181, 182, 184, 235,377

Zanobi, Anna Rita, 266nZanzanelli, Eletta, 283nZappella, Giuseppina, 264n, 278n, 282n,

297n, 365, 377Zatti, Sergio, 352Zemon Davis, Nathalie, 160ZENO, Apostolo, 273n, 284n, 290nZimmermann, Bernhard, 24n

Zironda, Renato, 282n, 289n, 357, 377ZOGIANO ! ZUGLIAN, VespasianoZolli, Paolo, 360Zorzi, Ludovico, 13n, 15n, 17n, 18, 19n, 27,

29n, 44n, 63n, 65, 66n, 67, 73n, 76n,77n, 87, 91-98, 100, 101, 103, 105-116,118, 120-122, 124, 126-138, 140, 141,146-149, 151-154, 157, 158, 161-163,165, 166, 169, 171, 176, 177, 182, 187-190, 194, 196-201, 203, 204, 213, 214,219, 221, 223, 228-233, 235-238, 251,263n, 264n, 268, 270, 304n, 305n, 306-308, 351, 370, 376, 377

ZUGLIAN, Alessandro, 282nZUGLIAN, Vespasiano, 281n, 282n, 289n,

297n, 320nZumkeller, Laura, 266n

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