+ All Categories
Home > Documents > Azione neuroprotettiva del fingolimod

Azione neuroprotettiva del fingolimod

Date post: 02-Dec-2023
Category:
Upload: uniroma
View: 0 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
105
Facoltà di Medicina e Psicologia Corso di laurea in Medicina e Chirurgia AZIONE NEUROPROTETTIVA DEL FINGOLIMOD Relatore Prof. Carlo Pozzilli Correlatore Prof. Ferdinando Nicoletti Tesi di laurea di Luigi di Nuzzo Anno accademico 2011-2012
Transcript

Facoltà di Medicina e PsicologiaCorso di laurea in Medicina e Chirurgia

AZIONE NEUROPROTETTIVA

DEL FINGOLIMOD

Relatore

Prof. Carlo Pozzilli

Correlatore

Prof. Ferdinando Nicoletti

Tesi di laurea di

Luigi di Nuzzo

Anno accademico

2011-2012

 

INDICE  

INTRODUZIONE 4

CAPITOLO PRIMO: IL SISTEMA DELLA SFINGOSINA-1-FOSFATO 9 1.1 Biosintesi e metabolismo della S1P 10 1.2 Recettori della S1P 13 1.3 Effetti fisiologici e fisiopatologici della S1P 17 1.4 Neurobiologia della S1P 23

CAPITOLO SECONDO: FARMACOLOGIA CLINICA DEL FINGOLIMOD 35 2.1 Meccanismo d’azione 36 2.2 Indicazioni cliniche 39 2.3 Controindicazioni 43 2.4 Farmacocinetica e interazioni 44 2.5 Profilo di sicurezza e tollerabilità 47

CAPITOLO TERZO: IL FINGOLIMOD NEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE 54 3.1 Il fingolimod promuove l’integrità della BEE 56 3.2 Effetti del fingolimod sui meccanismi di rimielinizzazione 57 3.3 Il fingolimod modula l’attività dei recettori S1PR espressi dagli astrociti 61 3.4 Il fingolimod protegge i neuroni dal danno ischemico 63 3.5 Effetti del fingolimod sulla neurodegenerazione 67

CAPITOLO QUARTO: IL FINGOLIMOD PROTEGGE I NEURONI DALLA MORTE

ECCITOTOSSICA 72 4.1 Materiali e metodi 75 4.2 Risultati 79 4.3 Discussione 86 4.4 Conclusioni 90

RINGRAZIAMENTI 92

BIBLIOGRAFIA 93

 

 

 

 

 

 

A Valentina

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SOFOCLE, Edipo Re1

                                                        

1 «A guardar ne inducea l’ambigua Sfinge il mal presente, e a trascurar l’occulto».

 

INTRODUZIONE

Il fingolimod (Gilenya,® Novartis Pharma AG) è il primo farmaco a

somministrazione orale approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) e

dall’European Medicines Agency (EMA) per la terapia della sclerosi multipla, nella sua

forma recidivante-remittente (RRMS). La sclerosi multipla è una patologia

demielinizzante del sistema nervoso centrale (SNC) caratterizzata dall’insorgenza

di lesioni (o placche) a distribuzione perivenulare nella sostanza bianca, associate

al danno a carico della barriera ematoencefalica e costituite da cellule

infiammatorie mononucleate, principalmente linfociti T e macrofagi, che

infiltrano il parenchima cerebrale o midollare e inducono demielinizzazione. Con

l’evoluzione delle lesioni si assiste a un’importante proliferazione astrocitaria

(gliosi reattiva) e alla possibilità che si sviluppi un danno assonale, responsabile

della disabilità neurologica irreversibile. La forma più comune di sclerosi multipla

(circa l’85% dei casi) è definita recidivante-remittente ed è caratterizzata da eventi

acuti distinti (recidive), corrispondenti alla formazione di nuove lesioni,

intervallati da periodi di remissione in cui i pazienti sono neurologicamente

stabili. In fase acuta il trattamento è volto alla riduzione della componente

infiammatoria della placca e si basa sulla somministrazione di glucocorticoidi di

sintesi; nelle fasi stazionarie, invece, si effettua una terapia preventiva cronica con

lo scopo di ridurre il rischio di insorgenza di nuovi eventi acuti. I farmaci oggi più

utilizzati nel trattamento della RRMS sono l’interferone-β (IFN-β), il glatiramer

acetato (GA) o copolimero-1 e il natalizumab.

 

Negli studi clinici di fase III, il fingolimod ha dimostrato un’efficacia

maggiore del placebo e dell’IFN-β-1a nel ridurre il numero delle ricadute e nel

prevenire l’aumento del carico lesionale nei pazienti affetti da RRMS1. Inoltre, il

fingolimod sembra superare i limiti principali delle terapie attualmente disponibili:

la sua capacità di modificare l’andamento della patologia è nettamente superiore

rispetto all’IFN-β e al GA e si avvicina molto a quella del natalizumab, oggi

considerato il farmaco in assoluto più efficace nella RRMS; si assume per os e

risolve l’inconveniente della somministrazione parenterale che caratterizza le altre

tre molecole, permettendo una migliore aderenza alla terapia da parte dei pazienti;

al contrario dell’IFN-β il fingolimod non sembra indurre, nei soggetti trattati, la

formazione di anticorpi neutralizzanti che possano comprometterne l’efficacia e

non annovera tra i suoi effetti avversi la sindrome simil-influenzale, risultando

così largamente più tollerato rispetto all’IFN-β; non espone al rischio di

leucoencefalite multifocale progressiva, principale tallone d’Achille del

trattamento con il natalizumab. Per tutti questi motivi, la FDA ha indicato il

fingolimod come il farmaco che modifica l’andamento della malattia da utilizzarsi in

prima scelta per la terapia della sclerosi multipla recidivante-remittente negli

adulti. In Europa le indicazioni ufficiali dell’EMA, sulla cui base l’Agenzia Italiana

del Farmaco (AIFA) ha stabilito il regime di rimborsabilità del fingolimod,

suggeriscono di trattare con questo farmaco esclusivamente i pazienti che si

mostrino resistenti all’IFN-β o che siano affetti da forme di malattia

particolarmente aggressive. Questa differente posizione è in accordo con la

tendenza, tipica della scuola clinica europea, ad assumere un atteggiamento più

prudente rispetto ai colleghi d’oltreoceano nei confronti delle terapie innovative,

rivolgendo un’attenzione maggiore al potenziale rischio, che deriva da un farmaco

di cui non sono ancora disponibili informazioni dettagliate di farmacovigilanza,

piuttosto che al suo comprovato beneficio (Pelletier & Hafler, 2012). Non è

                                                        

1 Per ciò che riguarda la trattazione dettagliata dell’efficacia, delle indicazioni cliniche e del profilo di sicurezza e tollerabilità del fingolimod, si rimanda al capitolo 2 e alla relativa bibliografia.

 

certamente nelle intenzioni di questa tesi esprimere giudizi in merito

all’atteggiamento assunto dagli organi regolatori europei verso l’introduzione in

commercio del fingolimod, anche perché, alla luce degli esiti parziali degli studi di

fase IV2, non può essere considerata una decisione del tutto biasimabile. Quel che

è certo è che, indipendentemente dal suo profilo di sicurezza, il fingolimod è un

farmaco estremamente promettente. Il suo meccanismo d’azione è

prevalentemente di tipo immunologico: come sarà ampiamente trattato nei

capitoli seguenti, il fingolimod non permette ai linfociti T, autoreattivi verso la

mielina, di abbandonare i linfonodi e gli organi linfoidi secondari, impedendo

loro di raggiungere il SNC e riducendo così la neuroinfiammazione.

Tuttavia, l’aspetto più affascinante di questo farmaco è la possibilità di una

sua azione diretta nel SNC, il che lo differenzierebbe da tutte le altre molecole

utilizzate nella terapia della RRMS. Evidenze a supporto di questa ipotesi

derivano da una grossa mole di studi eseguiti, sia in vitro che in vivo, su modelli

animali di patologie del SNC (vd cap. 3). Dal punto di vista clinico, il dato più

incoraggiante riguarda la capacità del fingolimod di ridurre significativamente

l’atrofia cerebrale osservata nei pazienti affetti da sclerosi multipla (Barkhof et al.,

2011; vd anche cap.3). Sulla rivista ufficiale dell’Accademia delle Scienze

americana è stato di recente pubblicato un lavoro in cui si dimostra che l’azione

del fingolimod sul SNC sembra essere condizione necessaria per l’efficacia stessa

del farmaco in un modello murino di sclerosi multipla (Choi et al., 2011). L’idea

che questa molecola possa esercitare un’azione protettiva nei confronti delle

cellule del SNC si traduce, dal punto di vista clinico, nella possibilità di una sua

azione diretta a contrastare i meccanismi di neurodegenerazione che rivestono un

ruolo centrale nella genesi della disabilità neurologica nei pazienti affetti da

sclerosi multipla e da diverse altre patologie che colpiscono il SNC. Il fingolimod

potrebbe dunque essere in grado di modificare profondamente e definitivamente

                                                        

2 Si fa riferimento alle note informative diffuse negli ultimi mesi dalla FDA, EMA e AIFA che riguardano alcuni casi di morte, apparentemente per cause cardiovascolari, in pazienti trattati con il fingolimod. Se ne parlerà diffusamente nel capitolo 2 di questa tesi a cui, ancora una volta, si rimanda.

 

la storia naturale della patologia, non limitandosi solo ad arginarla. Inoltre, questo

potrebbe essere il primo farmaco efficace nel trattamento della forma di sclerosi

multipla primariamente progressiva, in cui la componente infiammatoria ha un ruolo

sicuramente marginale rispetto alla neurodegenerazione3.

In generale, ogni qual volta si debbano valutare eventuali effetti protettivi di

una sostanza sul SNC, viene utilizzato in prima battuta il modello del danno

ischemico. Dal punto di vista pratico si induce un’ischemia, sia essa permanente o

transitoria, in un animale da laboratorio a cui viene somministrata, a tempi

diversi, la molecola di cui si desideri indagare l’efficacia. Il fingolimod non ha

fatto eccezione: in letteratura esistono diversi lavori che dimostrano la riduzione

del danno ischemico, misurata valutando il volume dell’infarto e lo score

neurologico, negli animali che ricevono il farmaco (Hasegawa et al., 2010; Wei et al.,

2011). Nel caso del fingolimod, però, questo modello presenta un bias di fondo:

non si può avere la certezza che la protezione sia effettivamente dovuta ad

un’azione diretta sul parenchima cerebrale oppure derivi semplicemente dalla

riduzione della componente neuroinfiammatoria che il farmaco è in grado di

determinare a causa della sua azione immunomodulante. È questa la principale

critica che viene mossa agli studi di neuroprotezione in vivo del fingolimod e che

può incrinare tutto il discorso portato avanti finora, riducendo l’apparente effetto

diretto della molecola sul SNC a una conseguenza del suo meccanismo d’azione

periferico. Per uscire da questa impasse e per fornire una prova solida degli effetti

neuroprotettivi del farmaco, si è deciso di indagarne l’efficacia in un modello in

vitro di neurodegenerazione, in cui la componente infiammatoria non potesse

avere alcuna influenza. È stata scelta, a questo scopo, la morte neuronale

eccitotossica indotta dalla somministrazione del N-metil-D-aspartato (NMDA) in

colture di cellule corticali miste e neuronali pure. La scelta non è stata casuale,

essendo questo un modello che riproduce fedelmente in vitro i meccanismi di

                                                        

3 A questo proposito, sono attesi i risultati del trial clinico INFORMS in cui il fingolimod è confrontato con il placebo per la terapia della sclerosi multipla primariamente-progressiva.

 

danno neuronale tipici delle patologie neurodegenerative (Choi et al., 1988; Lipton

& Rosenberg, 1994). Tutto ciò rappresenta l’oggetto di questa tesi sperimentale, in

cui si offre la prima dimostrazione dell’esistenza di un effetto protettivo

esercitato dal fingolimod sulle cellule neuronali, aprendo la strada a successive

speculazioni sulle potenzialità di questo farmaco nel trattamento delle patologie

neurodegenerative.

 

CAPITOLO PRIMO

IL SISTEMA DELLA SFINGOSINA-1-FOSFATO

Il fingolimod è il prototipo di una nuova classe di farmaci che modulano

l’attività dei recettori della sfingosina-1-fosfato (S1P). I tentativi di caratterizzazione

della trasduzione del segnale e del ruolo svolto da questi recettori nei diversi

processi cellulari hanno portato alla produzione di un ampio numero di lavori

scientifici che dimostrano il coinvolgimento del sistema della S1P nei meccanismi

di sopravvivenza, proliferazione e differenziamento cellulare; nella regolazione

della motilità e della migrazione delle cellule; nella modulazione

dell’infiammazione e in diversi altri processi biologici nella maggior parte degli

organi e dei sistemi1. Si è dunque ritenuto necessario dedicare un capitolo alla sua

trattazione sistematica, soprattutto per quanto riguarda il suo ruolo all’interno del

SNC, così da permettere la piena comprensione del meccanismo d’azione del

fingolimod e del razionale alla base dello studio sperimentale discusso in questa

tesi.

                                                        

1 Dal 1990 sono stati pubblicati più di tremila lavori scientifici aventi per oggetto la sfingosina e gli sfingolipidi. Per quanto riguarda la trattazione dettagliata del ruolo di queste molecole nella fisiologia e nello sviluppo dei diversi apparati si rimanda ai paragrafi successivi.

 

10 

1.1 BIOSINTESI E METABOLISMO DELLA S1P

La sfingosina è un amminoalcol a diciotto atomi di carbonio (Fig. 1.1), a

catena insatura con un doppio legame in posizione trans, e rappresenta il

principale costituente degli sfingolipidi, importanti componenti delle membrane

cellulari. Sfingomieline, cerebrosidi e gangliosidi sono gli sfingolipidi più rappresentati e

derivano tutti dalla ceramide, a sua volta derivato N-acilico della sfingosina. La

formazione intracellulare di sfingosina può dipendere dal catabolismo degli

sfingolipidi oppure da meccanismi di sintesi de novo: nel primo caso la

sfingomielinasi degrada la sfingomielina a ceramide, a sua volta deacilata a

sfingosina dalla ceraminidasi; in alternativa, la sfingosina è sintetizzata per

condensazione dell’acido palmitico con la serina per opera della serina-C-

palmitoiltrasferasi (Rosen & Goetzl, 2005) (Fig. 1.1). Indipendentemente dalla sua

derivazione, la sfingosina è fosforilata a sfingosina-1-fosfato dalla sfingosina chinasi

(SphK), enzima di cui si conoscono due isoforme: il tipo I (SphK1) e il tipo II

(SphK2). La S1P può a sua volta essere idrolizzata a sfingosina da due fosfatasi

specifiche (SPP1 e SPP2) e, naturalmente, le concentrazioni intracellulari di S1P

dipendono dall’equilibrio tra le reazioni di fosforilazione e di idrolisi. Tra tutti i

metaboliti degli sfingolipidi, la ricerca scientifica ha rivolto la sua attenzione

soprattutto alla S1P, alla sfingosina e alla ceramide che, lungi dall’essere sostanze

a funzione unicamente strutturale, sono in grado di regolare numerose funzioni

all’interno della cellula. Ceramide e S1P giocano, infatti, un ruolo fondamentale

nei meccanismi di sopravvivenza e proliferazione cellulare: il fatto che gli effetti

esercitati dalle due sostanze siano tra loro opposti e che, nella loro sintesi, i due

metaboliti siano dipendenti l’uno dall’altro, ha portato a considerare l’esistenza di

un vero e proprio meccanismo di omeostasi degli sfingolipidi, postulando che

l’equilibrio tra le concentrazioni di S1P e ceramide possa determinare il destino di

una cellula. La fosforilazione della sfingosina da parte della SphK1 promuove la

crescita e la sopravvivenza cellulare, mentre l’attivazione delle fosfatasi sposta

 

11 

l’equilibrio verso la formazione di sfingosina e ceramide, promuovendo così

meccanismi di apoptosi (Takabe et al., 2008). Inoltre, nonostante tradizionalmente

la SphK2 sia considerata un’isoforma pro-apoptotica (Saba & Hla, 2004;

Baumruker et al., 2005), nei tessuti dove questa rappresenta l’isoforma prevalente

di sfingosina chinasi la sua attivazione sembra avere effetti protettivi sulle cellule

(vedi par. 1.4).

 

Figura 1.1 – Formula di struttura e biosintesi della S1P. Modificata da Brinkmann et al., 2010.

La SphK1 è codificata da un gene posto sul braccio lungo del cromosoma

17 (17q25.2), mentre il gene che codifica per la SphK2 è sul cromosoma 19

(19q13.2). Le due isoforme condividono l’80% circa di omologia di sequenza ma

differiscono soprattutto nelle porzioni centrali e negli amminoacidi N-terminali:

la SphK1 manca di un dominio transmembrana, è essenzialmente un enzima a

localizzazione citosolica ed è largamente espressa nel cuore, nella milza e nel

polmone; la SphK2 è l’isoforma maggiormente rappresentata nel rene e nel SNC,

possiede circa 200 amminoacidi N-terminali in più rispetto al tipo I, presenta

diversi domini transmembrana e un dominio di traslocazione nucleare e si

localizza prevalentemente a livello delle membrane e del nucleo (Bryan et al.,

 

12 

2008). Animali knock-out (ko), per una delle due isoforme, hanno sviluppo

normale e si riproducono regolarmente, mentre i doppi ko non sono vitali a causa

di alterazioni severe della neurogenesi e dell’angiogenesi: dunque, per quanto le

singole isoforme di sfingosina chinasi svolgano funzioni univoche e nonostante

differiscano per struttura, localizzazione intracellulare, distribuzione tissutale e

proprietà catalitiche, l’assenza di uno dei due enzimi può essere compensata

dall’attività dell’altro; inoltre, la S1P è certamente una molecola fondamentale nel

guidare il corretto sviluppo embrionale (Takabe et al., 2008).

La SphK1 può essere stimolata da un’ampia varietà di fattori di crescita

(PDGF, EGF, NFG, VEGF, etc.), dal TGF-β, dal TNF-α, da alcune

interleuchine, dal fattore di crescita insulino-simile di tipo I, dall’estradiolo e dalla

prolattina (Bryan et al., 2008). Tutte queste sostanze possono: attivare la SphK1

attraverso la fosforilazione dell’enzima e la sua traslocazione sulla membrana

cellulare, dove risiede il suo substrato e dove sono posti i recettori della S1P;

promuovere l’interazione dell’enzima con altre proteine e, infine, modularne

l’espressione.

Per quanto riguarda la SphK2, l’EGF e l’estere forbolo ne stimolano

l’attività: entrambi attivano ERK1, il quale fosforila la SphK2 in Ser351 e Thr578,

promuovendo così la funzione catalitica dell’enzima. Secondo alcuni autori, la

fosforilazione della SphK2 è catalizzata dalla protein-chinasi D, il che porta alla

sua traslocazione dal nucleo al citoplasma. Infine, il cross-linking del recettore per

le IgE sui mastociti porta all’attivazione di entrambe le isoforme di sfingosina

chinasi, necessarie per la piena funzionalità di questo tipo cellulare (Takabe et al.,

2008).

 

13 

 

Figura 1.2 – Vie di trasduzione del segnale dei recettori S1PR. (Dev et al., 2008).

1.2 RECETTORI DELLA S1P

Come abbiamo visto, la S1P si forma all’interno della cellula. Ci si

aspetterebbe, dunque, che tutti gli effetti esercitati da questa sostanza si svolgano

direttamente nel citoplasma, senza bisogno del coinvolgimento di recettori

transmembrana. Tuttavia, la semplicità non è esattamente un attributo del sistema

della S1P e questo concetto doveva essere chiaro persino a chi ne ha scoperto

l’esistenza, considerando che il nome ‘sfingosina’ deriva dalla Sfinge2. Certamente

la S1P agisce, in parte, all’interno della cellula, soprattutto per quanto riguarda la

regolazione dei processi di sopravvivenza/proliferazione e il controllo dei

meccanismi epigenetici attraverso l’inibizione delle istone-deacetilasi (Halt et al.,

2009). Tuttavia gli effetti più importanti, o comunque i più caratterizzati in

letteratura, sono mediati dall’attivazione di cinque recettori transmembrana

                                                        

2  «In commemoration of the many enigmas which it presents to the enquirer». Così scriveva J. L. W. Thudichum, medico e biochimico tedesco, giustificando l’etimo del termine sfingosina con cui aveva denominato la sostanza da lui stesso scoperta (Hans-Joachim Gabius, The sugar code. Fundamentals of glycosciences, Wiley-Blackwell, 2009).

 

14 

accoppiati a proteine G eterotrimeriche (Chun et al., 2002). Naturalmente, perché

la S1P possa legarsi ai propri recettori, è necessario che questa sia trasferita

all’esterno della cellula dopo la sua sintesi. Sembra che la famiglia dei trasportatori

con cassette di legame per l’ATP (ABC) sia coinvolta in questo meccanismo di

traslocazione (Takabe et al., 2008). Una volta fuori dalla cellula, la S1P può attivare

i propri recettori posti sulla membrana della cellula stessa, oppure può diffondere

a distanza e raggiungere recettori su cellule differenti da quella di origine: i

meccanismi d’azione della S1P, dunque, possono essere di natura autocrina o

paracrina e, complessivamente, questo sistema di segnalazione della S1P viene

definito inside-out (Rosen & Goetzl, 2005; Takabe et al., 2008).

Esistono cinque sottotipi recettoriali della S1P codificati da geni differenti,

siglati S1PR e numerati da 1 a 5. I recettori sono ubiquitari e tutti accoppiati a

diverse isoforme di proteina G eterotrimerica (Chun et al., 2002); l’espressione dei

singoli sottotipi varia a seconda del tipo di cellula considerata.

S1PR1

Il recettore di tipo 1 è accoppiato a proteina Gi/Go e la sua attivazione

determina l’innesco di vie di trasduzione del segnale tipiche di questa isoforma:

inibizione dell’attività dell’adenilato ciclasi, con conseguente riduzione dei livelli

intracellulari di cAMP; attivazione di Ras che porta all’innesco della via delle

MAP chinasi (MAPK); induzione della via della fosfatidilinositolo-3-chinasi

(PI3K); attivazione di alcune isoforme della fosfolipasi C (PLC) (Okamoto et al.,

1998) (Fig. 1.2).

S1PR1 è espresso ovunque nell’organismo e dati provenienti da studi

effettuati su animali ko indicano che questo recettore svolga un ruolo di primaria

importanza nei meccanismi di angiogenesi e maturazione del sistema vascolare,

nella regolazione del sistema immunitario e della funzione endoteliale, nella

secrezione e nel signaling intracellulare dei fattori di crescita (Takabe et al., 2008).

Tuttavia, l’effetto più noto mediato da questo recettore, su cui si basa il

 

15 

meccanismo d’azione stesso del fingolimod (vd cap. 2), si estrinseca a livello

linfocitario: l’egresso del linfocita T dal linfonodo verso i vasi linfatici e le venule

ad alto endotelio è strettamente dipendente dalla S1P. La S1P è concentrata

maggiormente nella linfa e nel sangue rispetto al parenchima linfonodale e il

linfocita migra rispondendo a questo gradiente di concentrazione, uscendo così

dal linfonodo: la risposta linfocitaria alla S1P è mediata dall’attivazione del

recettore di tipo 1 (Hla & Brinkmann, 2011; vd avanti nel testo).

Non va sottovalutato il coinvolgimento delle vie delle MAPK e della PI3K

nella trasduzione del segnale di S1PR1: in quasi tutte le cellule dell’organismo,

l’attivazione di queste due vie promuove i meccanismi di sopravvivenza e

proliferazione e, dunque, gli effetti protettivi che la S1P esercita su diverse linee

cellulari possono, almeno in parte, dipendere dall’attivazione recettoriale.

S1PR2

È l’unico sottotipo su cui non agisce il fingolimod e può segnalare

attraverso Gi/Go, Gq/G11 e G12/13. (Brinkmann et al., 2009; Windh et al., 1999). Di

conseguenza, oltre alle vie di segnalazione già descritte a proposito del recettore

di tipo 1, S1PR2 può portare all’attivazione della via di Rho/ROCK/NF-κB,

all’innesco della via della PLC con formazione di inositolo trifosfato (IP3) e

diacilglicerolo (DAG) e conseguente innalzamento della concentrazione

intracellulare di calcio e attivazione della protein chinasi C (PKC) (Fig. 1.2).

S1PR2 è il recettore della sfingosina-1-fosfato maggiormente espresso a

livello della muscolatura liscia vascolare, dove sembra avere un ruolo nei

meccanismi fisiopatologici dell’aterosclerosi. Gli animali che non esprimono il

recettore di tipo 2 apparentemente non mostrano alterazioni anatomiche o

funzionali ma possono sviluppare crisi epilettiche sporadiche e occasionalmente

letali, in genere tra le tre e le sette settimane di vita: l’assenza di S1PR2 induce

infatti un abbassamento delle soglie di eccitabilità nelle cellule piramidali della

corteccia (Takabe et al., 2008), suggerendo che la S1P possa svolgere un ruolo

 

16 

nella regolazione della trasmissione sinaptica (vd par. 1.4). Infine, l’espressione

del recettore di tipo 2 è fondamentale per il corretto funzionamento del labirinto

acustico e vestibolare (Takabe et al., 2008).

S1PR3

Esattamente come il precedente, è un recettore accoppiato a Gi/Go,

Gq/G11 e G12/13 (Windh et al., 1999) (Fig. 1.2). È ampiamente espresso nel cuore,

nei polmoni, nella milza, nel rene, nell’intestino, nel diaframma e nel sistema

nervoso centrale; sembra regolare diverse funzioni polmonari e tende ad

aumentare la permeabilità delle barriere endoteliali, al contrario del recettore di

tipo 1 (Takabe et al., 2008). Inoltre, l’attivazione di S1PR3 regola la trasmissione e

la plasticità sinaptica nell’area CA3 dell’ippocampo, svolgendo così un ruolo nei

meccanismi di memoria e apprendimento spaziale (Kanno et al., 2010; vd anche

par. 1.4)

S1PR4

È accoppiato a proteina Gi/Go e G12/13, la sua attivazione riduce i livelli

citoplasmatici di cAMP, innesca le vie delle MAPK, PI3K e Rho/ROCK/NF-κB

(Taha et al., 2004) (Fig. 1.2). S1PR4 ha un pattern di distribuzione molto più

ristretto rispetto agli altri sottotipi, essendo presente soprattutto all’interno del

sistema immunitario, dove sembra regolare la produzione di citochine (Takabe et

al., 2008).

S1PR5

Segnala esattamente come il sottotipo precedente (Taha et al., 2004) (Fig.

1.2). È un recettore largamente espresso nella sostanza bianca del SNC e presente

esclusivamente sulla membrana degli oligodendrociti, unico elemento cellulare

che esprime questo sottotipo nel sistema nervoso centrale (Soliven et al., 2011). Gli

oligodendrociti che non esprimono S1PR5 rispondono meno agli effetti della S1P

 

17 

ma non sembrano mostrare alterazioni nella loro capacità di mielinizzare gli

assoni (Takabe et al., 2008).

1.3 EFFETTI FISIOLOGICI E FISIOPATOLOGICI DELLA S1P

Le concentrazioni plasmatiche di sfingosina-1-fosfato sono comprese tra

0.2 e 0.9 µM; essendo molto liposolubile, nel plasma la sostanza viaggia legata

soprattutto all’albumina e alle lipoproteine (Murata et al., 2000). L’ampio legame

alle proteine plasmatiche garantisce la presenza di un reservoir stabile di S1P, che si

rende rapidamente disponibile per il legame ai recettori (Rosen & Goetzl, 2005). Le

concentrazioni tissutali di S1P sono abbondantemente inferiori a quelle

plasmatiche e oscillano intorno a 0.5-0.75 pmol/mg (Takabe et al., 2008): è

evidente, dunque, l’esistenza di un gradiente significativo di sfingosina-1-fosfato

tra plasma e tessuti, cui si è accennato nel paragrafo precedente. Inizialmente si è

creduto che le piastrine, essendo ricche in SphK1 e mancando degli enzimi di

degradazione, fossero la principale fonte di S1P plasmatica. In realtà, le piastrine

tendono a rilasciare sfingosina-1-fosfato quasi esclusivamente durante i processi

di attivazione/aggregazione e gli animali di laboratorio, in assenza di piastrine

circolanti, hanno livelli normali di S1P nel sangue. Un’ipotesi alternativa

considera l’esocitosi della SphK1, da parte delle cellule endoteliali, come

meccanismo principale di formazione di S1P plasmatica: l’enzima si

comporterebbe da chinasi extracellulare, fosforilando la sfingosina circolante.

Tuttavia, dati relativamente recenti dimostrano che la maggior parte della S1P

circolante deriva dagli eritrociti, i quali, esattamente come le piastrine, sono ricchi

in SphK1 e mancano delle fosfatasi e liasi di degradazione. Il dato è confermato

dall’utilizzo dei doppi ko condizionali SphK1/2, animali cioè che non esprimono

i due enzimi negli eritrociti, che presentano bassissime concentrazioni

 

18 

plasmatiche di S1P. Per quanto riguarda la linfa, probabilmente la S1P ivi

presente deriva dall’endotelio dei vasi linfatici (Takabe et al., 2008).

Sopravvivenza, proliferazione e motilità cellulare

Come descritto in precedenza, la S1P promuove i meccanismi di

sopravvivenza e proliferazione cellulare, regola la motilità delle cellule del sistema

immunitario, nonché la migrazione e la differenzazione di un gruppo eterogeneo

di precursori cellulari, svolgendo un ruolo chiave nello sviluppo di diversi organi

e apparati. Naturalmente, tutto ciò potrebbe avere un’implicazione importante

nella patogenesi delle patologie neoplastiche, laddove il sistema della sfingosina-1-

fosfato potrebbe influire sulla crescita, la sopravvivenza, il movimento e

l’invasività delle cellule cancerose. I fibroblasti con aumentata espressione della

SphK1 tendono ad acquisire un fenotipo trasformato e sono in grado di indurre

tumori in topi nudi. Inoltre, lo stesso aumento di espressione della SphK1 è stato

dimostrato in cellule neoplastiche provenienti da diversi tumori umani, quando

comparati con i tessuti sani. In particolare, sembra che l’aumentata attività della

SphK1 protegga le cellule tumorali di adenocarcinoma mammario dall’azione

tossica della doxorubicina e dall’apoptosi indotta dall’etoposide, essendo in parte

responsabile della resistenza ai due chemioterapici (Takabe et al., 2008). La SphK1

e, più in generale, l’intero sistema della sfingosina, possono dunque essere

considerati potenziali target terapeutici in oncologia.

Sistema immunitario

La circolazione dei linfociti T e B naïve tra il sangue e gli organi linfoidi

secondari è mediata dalla sfingosina-1-fosfato: l’attivazione del recettore di tipo 1

espresso dal linfocita, da parte della S1P secreta dalle cellule endoteliali dei vasi

linfatici, permette l’egresso della cellula dal linfonodo (Hla & Brinkmann, 2011)

(Fig. 1.3). Esiste, quindi, un gradiente di S1P tra la linfa e il parenchima

linfonodale, al quale i linfociti rispondono migrando verso le aree a più elevata

 

19 

concentrazione. Quando la cellula naïve è attivata dall’antigene, l’espressione di

S1PR1 è temporaneamente down-regolata (Matloubian et al., 2004), cosicché il

linfocita resti all’interno del linfonodo e possa andare incontro ai meccanismi di

espansione clonale, maturazione dell’affinità e switching isotipico (gli ultimi due,

ovviamente, di pertinenza esclusiva della cellula B). Terminati i processi che

seguono l’attivazione linfocitaria, S1PR1 è nuovamente espresso sulla membrana

cellulare, permettendo al linfocita di rispondere alla S1P e di abbandonare

l’organo linfatico (Hla & Brinkmann, 2011). L’attivazione di S1PR1 da parte della

sfingosina-1-fosfato permette la migrazione linfocitaria perché contrasta e annulla

lo stimolo alla ritenzione del linfocita mediato dal signaling di alcuni recettori

accoppiati a proteina G, tra cui soprattutto il CCR7, ampiamente espresso dalle

cellule T e B naïve e dalle cellule centrali della memoria (Sallusto & Mackay, 2004):

in altre parole, l’espressione del CCR7 è necessaria affinché la S1P possa

stimolare la migrazione linfocitaria. Di conseguenza, i linfociti T periferici e le

cellule periferiche della memoria, che non esprimono il CCR7, escono dal

linfonodo indipendentemente dalla S1P (Hla & Brinkmann, 2011). Dunque, se si

agisce bloccando l’effetto della S1P sui linfociti si otterrà un’immunosoppressione

di tipo centrale che non influenza l’attività delle cellule periferiche, permettendo

così di mantenere intatti i meccanismi di immunosorveglianza al di fuori degli

organi linfoidi: come sarà ampiamente trattato nel capitolo successivo, è

esattamente questo il meccanismo d’azione del fingolimod sul sistema

immunitario.

Indipendentemente dalla regolazione del trafficking linfocitario, la S1P, a

concentrazioni comprese tra 10 e 100 nM, protegge in vitro le cellule T

dall’apoptosi abolendo l’espressione della proteina BAX e promuove le funzioni

effettrici sia dei linfociti T citotossici, sia delle cellule Treg CD24+CD25+. In

assenza di S1P, la funzione soppressiva delle cellule regolatorie declina

progressivamente fino a essere abolita e si ripristina al ristabilirsi delle

concentrazioni fisiologiche di S1P. I meccanismi coinvolti nella regolazione della

 

20 

funzionalità delle Treg comprendono l’aumento della secrezione di IL-10 e

dell’espressione del CTLA4 (Rosen & Goetzl, 2005).

 

Figura 1.3 – La S1P regola il t ra f f i ck ing linfocitario. (Spiegel & Melstein, 2011).

La sfingosina-1-fosfato regola, inoltre, la produzione di citochine, con

effetti che dipendono largamente dal sottotipo recettoriale coinvolto: la

trasduzione del segnale di S1PR4 riduce allo stesso modo la secrezione di IL-4 e

IFN-γ da parte delle cellule del sistema immunitario, mentre aumenta la

produzione di IL-10; di contro, l’attivazione del tipo 1 ha un effetto molto più

marcato su IFN-γ rispetto a IL-4 e non influenza la secrezione di IL-10. Giacché

sui linfociti T helper il signaling di S1PR1 sembra essere dominante, la S1P tende a

polarizzare la differenziazione linfocitaria verso le cellule TH2: di conseguenza,

aumentando la produzione di IgE, si amplificano i meccanismi di attivazione e

degranulazione mastocitaria caratteristici delle reazioni allergiche. Considerando

che i mastociti rappresentano una fonte importante di S1P nel sistema

immunitario, che la sua produzione e la sua secrezione sono stimolate dalle IgE e

che queste cellule esprimono ampiamente i recettori S1PR1 e S1PR2,, è stato

postulato che la S1P possa agire da regolatore della funzione mastocitaria

attraverso un meccanismo autocrino. L’attivazione del recettore di tipo 1

favorisce la chemiotassi verso basse concentrazioni di antigene, mentre la

 

21 

degranulazione IgE-mediata richiede la presenza del recettore di tipo 2;

contemporaneamente, S1PR2 sembra ridurre la chemiotassi attraverso

l’attivazione di Rho e la soppressione del signaling di Rac, senza influenzare

l’espressione di S1PR1 (Rosen & Goetzl, 2005). La S1P regola inoltre la chemiotassi

e il reclutamento degli eosinofili, le sue concentrazioni sono aumentate nel

liquido di lavaggio broncoalveolare di pazienti asmatici esposti all’antigene e i

livelli correlano con l’ipereosinofilia (Takabe et al., 2008). Questa molecola sembra

dunque giocare un ruolo critico nella fisiopatologia delle reazioni allergiche e

potrebbe rappresentare, anche in questo caso, un nuovo target di terapia.

Apparato cardiovascolare

I cardiomiociti esprimono i recettori di tipo 1, 2 e 3 e, tra questi, S1PR1 è il

sottotipo più rappresentato (Means & Brown, 2009). La S1P agisce da regolatore

della frequenza cardiaca (Hla & Brinkmann, 2011): l’attivazione di S1PR1 e, in

minor misura, di S1PR3 ha un effetto cronotropo e inotropo negativo3. Mentre la

riduzione della forza di contrazione potrebbe essere, almeno in parte,

conseguenza dell’azione della S1P sulla muscolatura liscia dei vasi, la riduzione del

cronotropismo sembrerebbe dipendere da un meccanismo puramente

recettoriale, diretto sul muscolo cardiaco: S1PR1, attraverso la subunità α della

proteina Gi, sopprime la produzione di cAMP e riduce l’attivazione della PKA

che fosforila, attivandoli, i canali L voltaggio-dipendenti del Ca2+; inoltre,

esattamente come accade per i recettori muscarinici m2 dell’acetilcolina, la

                                                        

3 I primi studi in vivo volti a investigare il ruolo della S1P nell’apparato cardiovascolare dimostrarono un effetto inotropo negativo ma cronotropo positivo. In seguito, fu evidenziata la capacità della S1P di regolare positivamente il canale IkACh inward rectifier del potassio (vd avanti nel testo) attraverso un meccanismo recettoriale, determinando una riduzione della frequenza cardiaca; lavori successivi hanno confermato questo dato, dimostrando che l’attivazione dei recettori di tipo 3 e 1 ha effetto cronotropo negativo. Tutto ciò acquisisce un’importanza notevole se si considera che uno dei principali effetti avversi del fingolimod è la bradicardia da prima dose. Per approfondire si consiglia la lettura della review di Means e Brown presente in bibliografia.

 

22 

subunità βγ della Gi regola positivamente l’apertura di IKACh4, canale inward rectifier

del potassio che iperpolarizza la cellula, aumentandone così la soglia di eccitabilità

(Means & Brown, 2009).

La S1P ha poi, in generale, un effetto protettivo sul cuore sia in modelli in

vitro che in modelli in vivo di danno cellulare. Colture di cardiomiociti neonatali e

provenienti da animali adulti sono protette dal danno ipossico/ischemico sia

quando la S1P è aggiunta nel mezzo di coltura, sia dalla sua produzione

endogena: la protezione sembra essere mediata dall’attivazione dei recettori

accoppiati a Gi, il che determina l’innesco delle vie delle MAPK e della PI3K; la

S1P è altrettanto efficace nel ridurre il danno da ischemia/riperfusione quando

somministrata per via sistemica in animali da laboratorio (Means & Brown, 2009).

La muscolatura liscia dei vasi, come i cardiomiociti, esprime i sottotipi

recettoriali 1 e 3 che sembrano essere coinvolti nei meccanismi di regolazione del

tono vascolare e della pressione arteriosa. La somministrazione esogena di S1P

causa, come effetto prevalente, l’innalzamento dei valori pressori nel sangue

arterioso, soprattutto attraverso l’attivazione di S1PR3. Tuttavia, alcuni autori

hanno dimostrato che la sfingosina-1-fosfato può avere anche un effetto

vasodilatatorio, probabilmente attraverso la stimolazione dell’eNOS endoteliale

(Hla & Brinkmann, 2011).

Agendo sull’endotelio, la S1P media i processi di migrazione, di angiogenesi

e di formazione delle giunzioni tra le cellule; favorisce l’integrità della barriera

endoteliale e stabilizza i vasi neoformati (Means & Brown, 2009).

Lo sviluppo stesso dell’apparato cardiovascolare dipende criticamente dalla

S1P, come dimostrato dal fatto che gli animali doppi ko per le due isoforme di

sfingosina chinasi non sono vitali, soprattutto a causa di anomalie che interessano

cuore e vasi (Hla & Brinkmann, 2011; Takabe et al., 2008).

Il sistema della S1P ha, dunque, un impatto rilevante nella fisiopatologia

cardiovascolare. Se, da un lato, ciò significa che tutti i farmaci modulatori della

                                                        

4 Eterotetramero costituito dalle subunità principali Kir 3.1 e 3.2.

 

23 

sua attività presentano un profilo di sicurezza da valutare attentamente nei

pazienti con patologie cardiovascolari, va anche considerato che questi stessi

farmaci potrebbero rappresentare uno strumento terapeutico importante in

condizioni patologiche particolarmente rilevanti sotto l’aspetto clinico ed

epidemiologico, come ad esempio l’aterosclerosi: si valuti, a questo proposito,

l’effetto della S1P nel proteggere dal danno endoteliale e nel regolare la fisiologia

delle cellule muscolari lisce.

1.4 NEUROBIOLOGIA DELLA S1P

 

Tutte le cellule che costituiscono il sistema nervoso centrale esprimono i

recettori S1PR (Dev et al., 2008; Soliven et al., 2011). La S1P può dunque regolare

diverse funzioni nel SNC, il che rappresenta il razionale su cui si basano tutti gli

studi sugli effetti del fingolimod nel parenchima cerebrale e midollare, compreso

il nostro, oggetto di questa tesi. Risulta dunque evidente la necessità di una

trattazione sistematica del ruolo svolto dalla S1P in ciascuno dei tipi cellulari che

compongono il sistema nervoso centrale.

Oligodendrociti

Gli oligodendrociti (OLG) sono le cellule che formano la guaina mielinica

nel SNC, esprimono i recettori S1PR1, S1PR3 e sono le uniche cellule del SNC a

esprimere S1PR5 (Dev et al., 2008; Soliven et al., 2011). I processi di formazione

della mielina interessano soprattutto gli ultimi stadi della vita fetale e i primi anni

di vita extrauterina, correlando con lo sviluppo cognitivo. La mielinizzazione

rappresenta, inoltre, un fondamentale meccanismo riparatore nei confronti del

danno assonale e delle lesioni demielinizzanti da sclerosi multipla. Sia durante lo

sviluppo, sia nei processi di riparazione del danno, la formazione della guaina

 

24 

mielinica inizia con la migrazione, la proliferazione e la differenziazione delle

cellule bipolari, progenitori (OPC) degli OLG maturi (Gensert & Goldman, 1997).

Tutte le cellule poste lungo il cammino differenziativo degli OLG esprimono i

recettori S1PR (Coelho et al., 2010). L’attivazione di S1PR5, negli OPC e negli

oligodendrociti giovani, esita in una retrazione transitoria dei prolungamenti

citoplasmatici mediata dall’innesco della cascata di Rho/ROCK, con conseguente

fosforilazione della proteina CRMP25: la S1P potrebbe dunque ridurre

l’arborizzazione degli OLG e, di conseguenza, il numero dei segmenti assonali

mielinizzati dalla singola cellula. Tuttavia, l’effetto descritto si verifica

esclusivamente nei progenitori e nelle cellule giovani, mentre la S1P non induce

cambiamenti morfologici negli oligodendrociti maturi (Coelho et al., 2010).

Attraverso G12/13, S1PR5 è in grado di inibire la migrazione degli OPC (Coelho et

al., 2010; Dev et al., 2008), mentre promuove la sopravvivenza degli OLG maturi

tramite un meccanismo che coinvolge la via della PI3K, attivata dalla subunità βγ

della proteina Gi (Jaillard et al., 2005).

Il sistema della S1P è in grado di modulare la trasduzione del segnale di due

recettori tirosin-chinasici espressi dagli oligodendrociti: il recettore del PDGF e

quello della neurotrofina-3 (NT-3). Il PDGF, secreto da neuroni e astrociti,

modula i meccanismi di sopravvivenza, proliferazione e migrazione degli OLG e

sembra promuovere la formazione di nuova guaina mielinica nelle lesioni

cronicamente demielinizzate (Coelho et al., 2010). All’interno della cellula, questo

fattore di crescita regola il signaling del Ca2+ e incrementa l’apertura e l’espressione

dei canali del potassio Kv 1.5 e 1.6, fondamentali nella regolazione della

proliferazione oligodendrocitaria: entrambi questi meccanismi sono largamente

influenzati dalla S1P (Coelho et al., 2010; Dev et al., 2008). La NT-3 regola la

proliferazione, la sopravvivenza e la differenziazione degli OLG e, a livello

molecolare, una delle più importanti conseguenze del legame di questa molecola

                                                        

5 Collapsing Response Mediated Protein, stimola la polimerizzazione dei microtubuli legandosi alla tubulina. Quando fosforilata dalla chinasi di Rho, si riduce la sua affinità di legame con la tubulina (Ed Manser Rho family GTP-ases. Springer, 2005).

 

25 

con il proprio recettore è la fosforilazione della proteina CREB (c-AMP-response

element binding protein) che, a sua volta, aumenta la sintesi del DNA, induce il

fattore antiapoptotico Bcl-2 e stimola la traslocazione verso la membrana

citoplasmatica della SphK1. L’ipoespressione della chinasi della sfingosina riduce

i livelli di fosforilazione di CREB da parte della NT-3 e, inoltre, la S1P è in grado

di attivare CREB indipendentemente dalla neurotrofina nei progenitori degli

oligodendrociti: il sistema della S1P sembra dunque essere critico per gli effetti

della NT-3 su OPC e OLG6 (Coelho et al., 2010). La riduzione dell’espressione e

dell’attività della SphK1 esita, inoltre, nell’abbattimento dell’effetto protettivo

esercitato dalla NT-3 sugli oligodendrociti. Solo in parte questo meccanismo può

essere spiegato dalla mancata induzione delle proteine antiapoptotiche dovuta alla

ridotta modulazione della trascrizione genica da parte di CREB, che risulta

scarsamente attivato. Probabilmente, la SphK1 influenza i meccanismi di

sopravvivenza/morte oligodendrocitaria a causa della sua funzione regolatoria

nell’omeostasi del sistema della S1P: la scarsa attivazione della chinasi comporta

non soltanto la riduzione di S1P ma, contemporaneamente, l’aumento dei livelli

di sfingosina e ceramide, sostanze considerate infauste per il destino della cellula

(Coelho et al., 2010). Questo aspetto assume un’importanza pregnante negli

oligodendrociti, se si considera l’elevato turnover degli sfingolipidi imposto dai

meccanismi di formazione e mantenimento della guaina mielinica.

Riassumendo, la S1P influenza le più importanti funzioni cellulari degli

OLG e degli OPC: ne regola gli aspetti morfologici, i meccanismi di

sopravvivenza e proliferazione, la motilità e la differenziazione. Non sorprende,

dunque, che un numero consistente di lavori scientifici abbia dimostrato che

l’attivazione dei recettori S1PR promuove i processi di mielinizzazione (Dev et al.,

                                                        

6  I meccanismi attraverso cui NT-3 fosforila CREB sembrano essere, in realtà, due distinti: il primo è caratterizzato dall’innesco della via di Ras/MEK con conseguente fosforilazione di ERK che, a sua volta, è in grado di attivare direttamente CREB; il secondo meccanismo implica la traslocazione in membrana della SphK1 e l’aumento dei livelli di S1P che, come già detto, fosforila CREB sia attraverso ERK, sia tramite l’attivazione del pathway della PKC. Il sistema è ulteriormente complicato dal fatto che ERK e PKC possono agire sia a monte sia a valle rispetto all’attivazione della SphK1. Per ulteriori dettagli si rimanda a Coelho et al., 2010.

 

26 

2008; Miron et al., 2008a e b; Sheridan & Dev, 2012). Tuttavia, considerando i

risultati sperimentali di alcuni altri autori, il ruolo della S1P in questi meccanismi

potrebbe essere marginale: animali che non esprimono il recettore S1PR5 non

presentano difetti di mielinizzazione nel SNC (Jaillard et al., 2005). Non può

comunque essere esclusa l’influenza di questo recettore in patologia umana,

considerando che non sono disponibili dati di letteratura sulla risposta di questi

ko ai modelli di sclerosi multipla (Dev et al., 2008). La complessità e l’incertezza

restano, dunque, attributi caratterizzanti il sistema della S1P anche nel SNC. In

attesa della venuta di un Edipo in grado di sciogliere l’enigma, gli studi sul ruolo

degli sfingolipidi negli oligodendrociti fanno supporre che il fingolimod possa

essere il primo farmaco, efficace nel trattamento della sclerosi multipla, a

influenzare direttamente i processi di riparazione della lesione demielinizzata (vd

cap. 3).

Astrociti

Gli astrociti sono gli elementi gliali più numerosi nel SNC e costituiscono

circa la metà delle cellule contenute nell’encefalo. Classicamente viene loro

attribuito un ruolo trofico e sustentacolare nei confronti dei neuroni, di cui

guidano anche la migrazione durante l’organogenesi e lo sviluppo del SNC; sono,

inoltre, cellule che contribuiscono alla formazione della barriera emato-encefalica.

Tuttavia, il loro ruolo va ben al di là del semplice supporto inerte all’attività

neuronale: l’influenza della glia sulla funzionalità dei neuroni e sulla trasmissione

sinaptica è un argomento di grande interesse nelle neuroscienze, tanto che oggi si

parla sempre più spesso di sinapsi tripartite (bottone pre-sinaptico, dendrite e

astrocita) e si iniziano a considerare gli astrociti come potenziali target di terapie

che abbiano lo scopo di modularne l’attività e la plasticità7. Gli astrociti

                                                        

7 A questo proposito risultano particolarmente interessanti gli studi sull’omeostasi del glutammato nelle patologie caratterizzate dalla formazione di plasticità sinaptiche maladattative, come la tossicodipendenza o il dolore cronico. Con lo scopo di ridurre la trasmissione eccitatoria nelle sinapsi rinforzate patologicamente, si può tentare di aumentare il re-uptake del glutammato da parte degli astrociti o, in

 

27 

esprimono i trasportatori retrogradi di diversi neurotrasmettitori e sono

responsabili di larga parte del re-uptake del glutammato e del GABA; inoltre il

glutammato rilasciato dagli astrociti, attraverso l’antiporto XC-

glutammato/cisteina, è in grado di attivare i suoi recettori metabotropici a

localizzazione pre-sinaptica, modulando così l’attività della sinapsi stessa (Kalivas,

2009); la presenza degli astrociti, infine, sembra essere una condizione necessaria

affinché avvengano i processi di sinaptogenesi (Fei & Sun, 2007).

Caratteristica degli astrociti è la capacità di reagire a stimoli dannosi a carico

del SNC attraverso l’incremento della trascrizione genica, l’aumento delle

dimensioni e del numero dei prolungamenti citoplasmatici, l’ipertrofia e la

proliferazione. Le cicatrici gliali, costituite in larga parte da astrociti reattivi, si

sviluppano spesso in risposta alle lesioni infiammatorie da sclerosi multipla e

sono da sempre considerate un impedimento alla rimielinizzazione e alla

riparazione del danno assonale (Pekny & Nilson, 2005). Tuttavia la gliosi reattiva,

essendo un processo altamente conservato dal punto di vista evoluzionistico,

conferisce probabilmente un vantaggio per la sopravvivenza dell’individuo

colpito da un danno al SNC, esattamente come accade per i processi di

cicatrizzazione negli altri tessuti. In quest’ottica si collocano le evidenze che

dimostrano l’esistenza di effetti protettivi esercitati dagli astrociti in risposta agli

insulti a carico del sistema nervoso (Faulkner et al., 2004), tra cui le lesioni da

sclerosi multipla. A questo proposito, è stato ipotizzato che la natura dell’impatto

astrocitario sulla patogenesi e sui meccanismi di riparazione del danno sia da

considerarsi contesto-dipendente: le variabili più importanti sono rappresentate

soprattutto dallo stadio della malattia, dal microambiente lesionale e

dall’interazione con altri tipi cellulari. In linea generale, gli astrociti reattivi

sembrano avere un effetto benefico in acuto, mentre a lungo termine

impediscono i meccanismi di rigenerazione del SNC (Soliven et al., 2011).

                                                                                                                                                                                        

alternativa, potenziarne il rilascio attraverso lo scambiatore XC- al fine di attivare i recettori metabotropici mGlu2/3 a localizzazione presinaptica che, essendo accoppiati a proteina Gi, spengono l’attività della sinapsi stessa. Per maggiori dettagli si rimanda a Kalivas, 2009.

 

28 

Gli astrociti esprimono S1PR1 e S1PR3 (Dev et al., 2008; Soliven et al., 2011) e,

sorprendentemente, l’espressione di questi recettori è aumentata nelle lesioni da

sclerosi multipla (Van Doorn et al., 2010) (Fig. 1.4). Sembra che lo stimolo

responsabile di questo incremento sia rappresentato dall’ambiente infiammatorio

tipico della lesione attiva, considerando che l’esposizione al TNF-α e al

lipopolisaccaride (LPS), due molecole a spiccata azione pro-infiammatoria, induce

lo stesso aumento di espressione dei due recettori negli astrociti in vitro (Fischer et

al., 2011; Van Doorn et al., 2010). Inoltre, sia nelle lesioni sia dopo l’esposizione

alle citochine in coltura, l’attività e la trascrizione della SphK1 risultano

incrementate (Fischer et al., 2011). Questi dati suggeriscono che la S1P possa

svolgere un ruolo critico nella risposta astrocitaria al danno infiammatorio,

favorendo la trasformazione da cellula quiescente a reattiva: l’attivazione di S1PR1

e S1PR3, cui probabilmente contribuisce la S1P che si forma grazie all’aumentata

attività/espressione della SphK1, promuove la sopravvivenza, la proliferazione e

la migrazione cellulare attraverso la fosforilazione di ERK (via delle MAPK) e

l’innesco della via della PI3K; mobilizza il Ca2+ intracitoplasmatico e induce il

metabolismo dell’acido arachidonico (Bassi et al., 2006; Fischer et al., 2011; Rao et

al., 2003).

Gli astrociti reattivi possono contribuire alla fisiopatologia del danno

neuroinfiammatorio producendo citochine e aumentando la permeabilità della

barriera emato-encefalica (Van Doorn et al., 2010); come già detto, sono anche in

grado di contrastare i meccanismi di riparazione assonale e rimielinizzazione,

attraverso il processo della gliosi reattiva. Considerando quanto detto a proposito

del ruolo della S1P nel promuovere l’attivazione astrocitaria non sorprende che,

in un modello animale di sclerosi multipla, l’assenza del recettore di tipo 1 negli

astrociti abbia un effetto protettivo nei confronti della malattia (Choi et al., 2011).

Tuttavia, non bisogna dimenticare che gli astrociti sono i principali

responsabili del trasporto retrogrado del glutammato, esprimono diversi enzimi

antiossidanti e secernono fattori trofici per i neuroni, quando sono attivati (Van

 

29 

Doorn et al., 2010): tutto ciò è responsabile degli effetti neuroprotettivi esercitati

da queste cellule, di cui si è già accennato e che si pongono apparentemente in

contrasto con quanto appena detto. Se poi si considera che la S1P è in grado di

indurre la secrezione astrocitaria di GDNF (Glial Derived Growth Factor) (Yamagata

et al., 2003), una delle principali molecole neurotrofiche di derivazione gliale, e di

inibire la produzione della chemochina pro-infiammatoria MCP-1 (Soliven et al.,

2011), il quadro si complica ulteriormente: di certo, il sistema della S1P regola

numerose funzioni astrocitarie e la sua modulazione può esitare in un effetto

antinfiammatorio e neuroprotettivo. Resta da definire quale debba essere la

direzione da impartire a questa modulazione, il che non è affatto una questione di

poco conto.

 

Figura 1.4 – S1PR1 e S1PR3 sono up-rego la t i nelle lesioni da sclerosi multipla. (Van Doorn et al., 2010).

 

30 

Barriera ematoencefalica

Le alterazioni della barriera ematoencefalica (BEE) caratterizzano la

fisiopatologia di numerose malattie del SNC, inclusa la sclerosi multipla. La S1P

esercita effetti complessi sulle barriere endoteliali al di fuori del SNC,

promuovendone al tempo stesso l’integrità e la permeabilità a seconda del

sottotipo recettoriale attivato. Sebbene non sia noto come la S1P influenzi la

funzionalità della BEE, il trattamento con il fingolimod sembra proteggerla dal

danno (Soliven et al., 2011).

Microglia e glia radiale

La microglia rappresenta circa il 20% della componente cellulare del SNC,

sebbene i suoi elementi non derivino dalla cresta neurale. Similmente agli

astrociti, le cellule della microglia possono essere attivate dall’esposizione a

stimoli pro-infiammatori e l’espressione dei recettori S1PR1, S1PR2 e S1PR3 è

modulata durante il processo di differenziazione in microglia attivata (Soliven et al.,

2011). La S1P, la cui concentrazione è aumentata nei siti di accumulo microgliale

nelle lesioni del SNC, attivando i propri recettori può guidare la migrazione

cellulare verso i siti di infiammazione, può regolare l’attivazione della microglia e

la secrezione di citochine (Kimura et al., 2007).

Le cellule della glia radiale (o cellule di Cajal-Retzius) sono precursori che

possono dare origine a oligodendrociti, astrociti o neuroni e, durante

l’organogenesi e lo sviluppo del SNC, guidano la migrazione delle cellule

piramidali dalle pareti dei ventricoli cerebrali alla corteccia. Nel cervello fetale

umano, a ventidue settimane di gestazione, la glia radiale della corteccia entorinale

e dell’ippocampo esprime elevati livelli di S1PR5 (Dev et al., 2008) che, in maniera

simile a quanto accade negli oligodendrociti, potrebbe contribuire ai processi di

migrazione cellulare, fondamentali per la corretta organizzazione della corteccia e

 

31 

implicati nella patogenesi dei disordini del neurosviluppo (Moers et al., 2008;

Yokota et al., 2007).

Neuroni

I neuroni esprimono i recettori di tipo 1, 2 e 3 (Dev et al., 2008; Soliven et al.,

2011), che risultano essere attivi nella modulazione della trasmissione e della

plasticità sinaptica. La somministrazione di S1P amplifica, infatti, le correnti

AMPA nelle sinapsi tra le fibre muscoidi e le cellule piramidali dell’area CA3

dell’ippocampo (Kanno et al., 2010) e il suo tono endogeno è critico sia per il

rilascio spontaneo di glutammato sia per la LTP (Long Term Potentiation,

espressione di plasticità sinaptica) (Fig. 1.5). Gli stessi effetti non si registrano,

invece, nell’area CA1 (Kanno et al., 2011). L’ippocampo è una regione cerebrale

critica per la formazione della memoria spaziale, episodica e autobiografica e

coinvolta nella regolazione dell’asse dello stress e nella fisiopatologia dei disturbi

ansioso-depressivi. La soppressione del tono endogeno della S1P in quest’area

esita in un marcato deficit di memoria e apprendimento spaziale e nell’induzione di

un fenotipo ansioso-depressivo negli animali da laboratorio (Akahoshi et al., 2011;

Kanno et al., 2011).

Attraverso l’attivazione di S1PR1, la S1P aumenta l’eccitabilità delle fibre

sensitive periferiche (Xi & Nicol, 2010), mentre sembra esercitare un effetto

inibitorio sui neuroni piramidali corticali (Sim-Selley et al., 2009), tanto è vero che

l’assenza di S1PR2 determina l’insorgenza di crisi motorie spontanee negli animali

da laboratorio (Akahoshi et al., 2011). Questo effetto della S1P sulle fibre di senso

periferiche potrebbe rappresentare un ponte molecolare tra l’infiammazione,

ampiamente regolata dalla S1P, e la sensibilizzazione nocicettiva che caratterizza

il dolore cronico infiammatorio tipico di alcune condizioni patologiche, tra cui

l’artrite reumatoide (Mair et al., 2011; Xi & Nicol, 2010). A sostegno dell’effetto

pro-nocicettivo della S1P, è stato dimostrato il suo effetto sensibilizzante nei

confronti degli stimoli dolorosi termici, soprattutto sulle fibre non-peptidergiche

 

32 

(Mair et al., 2011). Tuttavia, è noto che la somministrazione intratecale di S1P e di

fingolimod è analgesica negli animali da esperimento (Coste et al., 2008a e b).

Questi effetti ambivalenti inducono a ipotizzare che la S1P possa agire in maniera

differente sulla trasmissione sinaptica a seconda del contesto: mentre in periferia

le soglie di stimolazione risultano aumentate, a livello midollare il passaggio dello

stimolo dolorifico è ostacolato dalla presenza della S1P, che potrebbe

direttamente sopprimere la trasmissione sinaptica (Mair et al., 2011; Sim-Selley et

al., 2009) oppure agire attraverso un meccanismo che coinvolge la glia e altri

recettori inibitori (Muscoli et al., 2010).

 

Figura 1.5 – La LTP nelle sinapsi tra le fibre muscoidi e i

neuroni dell’area CA3 dell’ippocampo dipende dal tono

endogeno di S1P. Le registrazioni elettrofisiologiche sono state effettuate su fettine di ippocampo di ratto, in presenza o assenza di HACPT (3 µM, inibitore della SphK1) o di S1P. Ogni LTP è stata indotta dall’applicazione di uno stimolo ad alta frequenza (freccia). Tutti i punti del grafico rappresentano le medie ± S.E.M. dei valori rispetto al basale. (Kanno et al., 2011).

Sono numerose le evidenze che sostengono l’esistenza di un effetto

protettivo sui neuroni esercitato dalla S1P: l’assenza della SphK1 nelle cellule

staminali della cresta neurale ne riduce largamente la sopravvivenza e la

differenziazione, esitando in uno sviluppo non completo dei neuroni unipolari

 

33 

all’interno dei gangli delle radici dorsali e dei nervi cranici (Meng et al., 2011);

l’espressione della SphK2 è aumentata in seguito a ischemia cerebrale e la sua

presenza sembra mediare l’innesco di un meccanismo protettivo endogeno nei

confronti del danno ischemico, com’è dimostrato dalla maggiore estensione

dell’area infartuale negli animali, ko per la chinasi, sottoposti ad ischemia

transiente dell’arteria cerebrale media (Pfeilschifter et al., 2011). A questo proposito,

uno dei modelli sperimentali che più di ogni altro si presta a indagare le funzioni

protettive endogene in risposta agli insulti è il preconditioning, in cui l’esposizione di

un tessuto a uno stimolo potenzialmente nocivo, ma somministrato sotto-soglia,

induce tolleranza nei confronti dello stimolo stesso, o di un altro di natura

diversa, quando questo venga somministrato nuovamente e al di sopra della

soglia minima di danno. Nel SNC il preconditioning si può effettuare, ad esempio,

esponendo l’animale a basse dosi di isoflurano oppure ponendolo in condizioni

di lieve ipossia: in questo modo, l’animale risulterà più protetto dall’induzione di

un successivo danno ischemico, rispetto ai controlli. Ebbene, la protezione

dovuta al preconditioning, sia da isoflurano sia da ipossia, è sorprendentemente

mediata dal sistema della S1P, come dimostrato dal fatto che l’inibizione

dell’attività della SphK2 ne riduce enormemente l’efficacia (Yung et al., 2012).

L’isoflurano è in grado, inoltre, di ridurre il danno neuronale anche quando viene

somministrato durante o dopo un insulto di natura ipossico-ischemica, come

dimostrato in diversi modelli sia in vitro che in vivo. Tra questi, estremamente

interessanti risultano essere i dati di protezione dell’isoflurano nei confronti

dell’ipossia perinatale negli animali, dai quali potrebbe derivare una possibile

applicazione di questo gas anestetico nella terapia delle ipossie neonatali umane.

Esattamente come accade per il preconditioning, anche in questo caso gli effetti

protettivi sembrano essere mediati dalla S1P che, attraverso l’attivazione di

S1PR1, innesca la cascata della PI3K (Zhou et al., 2010), descritta in precedenza

come classica via di protezione cellulare.

 

34 

Il sistema della S1P svolge dunque un ruolo centrale nella fisiologia e nella

fisiopatologia del SNC: ne regola l’ontogenesi, supporta il trofismo delle cellule

che lo compongono, influenza la trasmissione e la plasticità sinaptica e media i

principali meccanismi di protezione endogena dagli insulti. Da ciò nasce la

possibilità che il fingolimod possa esercitare un’azione protettiva diretta nei

confronti della neurodegenerazione, ipotesi ampiamente supportata dai risultati

sperimentali dello studio discusso in questa tesi.

 

35 

CAPITOLO SECONDO

FARMACOLOGIA CLINICA DEL FINGOLIMOD

Se si osservano le formule di struttura del fingolimod (2-amino-2-[2-(4-

octilfenil)etil]propan-1,3-diolo idrocloruro) (Fig. 2.1) e della sfingosina, la loro

somiglianza è immediatamente evidente: a differenziarle solo un anello aromatico

nella catena idrofobica del fingolimod. Gli esperimenti che hanno portato alla

prima sintesi del farmaco non miravano, tuttavia, alla ricerca di un analogo della

sfingosina ma facevano parte di un programma di screening farmacologico su

diverse specie di miceti, con lo scopo di isolare composti immunosoppressori. Di

derivazione fungina sono, infatti, due molecole appartenenti a questa classe e

largamente utilizzate in clinica: la ciclosporina A (CsA) e il tacrolimus, entrambi

inibitori della calcineurina (Adachi & Chiba, 2007). Analizzando il fungo Isaria

sinclairii, componente essenziale di un ‘elisir di eterna giovinezza’ tipico della

medicina tradizionale cinese, i ricercatori sono riusciti a isolare un composto

immunosoppressore 10-100 volte più potente della CsA, denominato ISP-I

(Fujita et al., 1994). Questa molecola, di peso inferiore rispetto alla CsA e al

tacrolimus, presentava diversi aspetti svantaggiosi, tra cui la scarsa solubilità nei

liquidi biologici: semplificandone la struttura e le proprietà farmacologiche si è

giunti alla sintesi del fingolimod (Adachi & Chiba, 2007), molecola di cui si è

 

36 

dunque conosciuta l’efficacia molto tempo prima di riuscire a elucidarne la

farmacodinamica.

 

Figura 2.1 – Formule di struttura della sfingosina,

S1P, fingolimod, fingolimod fosfato e miriocina.

Modificata da Brinkmann et al., 2010.

2.1 MECCANISMO D’AZIONE

Il fingolimod (da qui in avanti indicato anche come FTY720) è un

profarmaco: dopo la sua somministrazione orale è fosforilato in vivo

principalmente dalla SphK2; il fingolimod fosfato (FTY720-P) è un analogo

strutturale della S1P e, esattamente come accade per la sfingosina, questa è la sua

forma biologicamente attiva. FTY720-P si lega a quattro dei cinque recettori della

 

37 

S1P, comportandosi da agonista pieno nei confronti di S1PR1 (0.3 nM), di S1PR4

(0.6 nM) e di S1PR5 (0.3 nM) e da agonista parziale verso S1PR3 (3.1 nM), mentre

non mostra alcuna attività sul sottotipo 2 (>10000 nM) (Aktas et al., 2010;

Brinkmann et al., 2002; Brinkmann et al., 2009).

Come trattato nel capitolo precedente, l’espressione di S1PR1 da parte dei

linfociti è necessaria affinché la S1P possa guidare il loro egresso dai linfonodi e

dagli organi linfoidi secondari (Matloubian et al., 2004). A causa dell’alta affinità del

fingolimod fosfato nei confronti di S1PR1, la somministrazione del farmaco esita

in un’iniziale attivazione del recettore espresso dai linfociti, cui rapidamente segue

la sua internalizzazione1 e, almeno in parte, la degradazione attraverso il sistema

ubiquitina-proteasoma: questo meccanismo è noto in farmacologia con il termine

di antagonismo funzionale e descrive la possibilità che un agonista pieno possa

bloccare la segnalazione di un recettore desensibilizzandolo, comportandosi così

da antagonista. FTY720-P blocca, dunque, il signaling di S1PR1, impedendo ai

linfociti di uscire dal linfonodo e di raggiungere i siti d’infiammazione periferici:

da ciò dipende l’effetto immunosoppressivo del farmaco (Brinkmann et al., 2009;

Oo et al., 2007) (Fig. 2.2). Il blocco della ricircolazione non interessa l’intera

popolazione linfocitaria perché non tutte le cellule T e B escono dagli organi

linfoidi seguendo il gradiente di concentrazione della S1P: l’attivazione di S1PR1,

infatti, è diretta a contrastare il signaling del recettore CCR7, che guida l’homing dei

linfociti verso i linfonodi, impedendone l’uscita. Se il CCR7 non è espresso, la

cellula può abbandonare il parenchima linfonodale indipendentemente dalla

presenza della S1P: in altre parole, l’effetto di FTY720-P è diretto esclusivamente

alle popolazioni linfocitarie che esprimono il recettore CCR7, rappresentate dalle

cellule T e B naïve e dalle cellule T centrali della memoria (TCM). Al contrario, le

cellule effettrici e le cellule T periferiche della memoria (TEM), non esprimendo il

                                                        

1  L’internalizzazione di S1PR1 sembra essere mediata dall’attivazione di GRK2, protein chinasi fondamentale nei meccanismi di fosforilazione recettoriale indotta dagli agonisti. I domini fosforilati del recettore occupato dall’agonista si legano alla β-arrestina, molecola che permette l’endocitosi del recettore (Oo ei al., 2007).

 

38 

CCR7, sono largamente resistenti all’azione del farmaco (Hla & Brinkmann, 2011;

Sallusto & Mackay, 2004; vd anche cap. 1). Nei pazienti trattati con il fingolimod

si osserva una riduzione della conta totale dei linfociti nel sangue periferico ma le

popolazioni interessate sono esclusivamente rappresentate dalle cellule naïve e

dalle TCM, mentre i livelli di linfociti effettori e di TEM risultano nella norma.

Più del 90% dei linfociti T autoreattivi che si accumulano nel SNC nelle lesioni da

sclerosi multipla esprimono il fenotipo TCM e, sotto lo stimolo antigenico locale,

differenziano in cellule effettrici e TEM. Questa differenziazione richiede alte

concentrazioni di antigene che possono essere presenti esclusivamente nella

sostanza bianca del SNC, considerando che si tratta di componenti proteiche

della mielina; nei linfonodi, al contrario, i livelli di antigene self sono scarsi e

l’attivazione delle cellule naïve può esitare esclusivamente nella trasformazione in

TCM. Dunque il fingolimod fosfato, bloccando l’egresso delle TCM e dei linfociti

T naïve dai linfonodi e dagli organi linfoidi secondari, è efficace nel ridurre la

componente neuroinfiammatoria della sclerosi multipla e su questo si basa il suo

meccanismo d’azione (Cohen & Chun, 2011; Pelletier & Hafler, 2012; Pinschewer et

al., 2011).

Non alterando la circolazione delle cellule effettrici e delle TEM, il

fingolimod mantiene inalterate le difese contro i microrganismi patogeni

riducendo il rischio d’insorgenza di infezioni opportunistiche nei pazienti trattati,

il che rappresenta un importante effetto avverso delle terapie con i classici

farmaci immunosoppressori: per usare un aforisma, il fingolimod ritira le armate

ma lascia libere le sentinelle. Inoltre, le TEM ricircolanti potrebbero esercitare un

effetto soppressivo nei confronti delle risposte autoimmunitarie (Pelletier &

Hafler, 2012; Pinschewer et al., 2011).

L’antagonismo funzionale è, tuttavia, un meccanismo largamente

dipendente dal contesto in cui il farmaco agisce. La variabile determinante è

rappresentata dalla riserva recettoriale, ossia dal numero di recettori di riserva

presenti sulla membrana cellulare: all’aumentare della riserva, diminuisce la

 

39 

possibilità che la molecola si comporti da antagonista funzionale, tornando a

rivestire il ruolo del semplice agonista. Per questo motivo, alcuni effetti del

fingolimod al di fuori del sistema immunitario possono dipendere dall’attivazione

di S1PR1, piuttosto che dalla sua desensibilizzazione. Infine, è possibile che la

quota di recettori internalizzati ma non degradati possa continuare a segnalare

dall’interno della cellula, attivando gli stessi pathway dei recettori posti in

membrana (Verzijl et al., 2010).

 

Figura 2.2 – Il fingolimod induce l’internalizzazione degli S1PR1 espressi dai linfociti,

bloccandone l’egresso dai linfonodi. Modificata da Pelletier & Hafler, 2012.

2.2 INDICAZIONI CLINICHE

L’efficacia del fingolimod nella sclerosi multipla recidivante-remittente è

stata valutata in due ampi studi clinici di fase III, randomizzati e condotti in

doppio cieco. Il trial FREEDOMS (FTY720 Research Evaluating Effects of Daily Oral

therapy in Multiple Sclerosis) ha raccolto i dati di 1272 soggetti affetti da RRMS cui è

stato somministrato il fingolimod (0.5 o 1.25 mg/die per os) o il placebo per due

 

40 

anni consecutivi. La valutazione dei pazienti si è basata sull’esame clinico e sul

punteggio EDSS (Extended Disability Status Scale, scala universalmente utilizzata

per la stadiazione clinica della malattia), sul numero delle eventuali ricadute e sul

quadro lesionale visibile alla risonanza magnetica. Il principale end-point delle

terapie croniche nella RRMS è la riduzione del rischio d’insorgenza di nuove

recidive: complessivamente, il numero di ricadute annuali registrato nello studio è

stato di 0.18 nei pazienti trattati con il fingolimod 0.5 mg, 0.16 con 1.25 mg e 0.4

con il placebo, il che corrisponde a una riduzione, rispettivamente, del 54 e del

60% verso i soggetti non trattati con il farmaco. Per quanto riguarda il carico

lesionale a 6-12-24 mesi, il fingolimod ha ridotto sia il numero e le dimensioni

delle lesioni iperintense nelle immagini T2-pesate, sia l’insorgenza di nuove

placche captanti gadolinio. Infine, la probabilità di progressione della disabilità

neurologica si è assestata al 12.5% nei pazienti trattati con 0.5 mg di FTY720, al

11.5% con 1.25 mg e al 19% nel gruppo del placebo (Kappos et al., 2010; Pelletier

& Hafler, 2012). Nello studio TRASFORMS (Trial assessing Injectable Interferon

Versus FTY720 Oral in relapsing-Remitting Multiple Sclerosis), 1292 soggetti affetti da

RRMS sono stati trattati con il fingolimod 0.5 o 1.25 mg/die oppure con 30 µg a

settimana di IFN-β-1a per un anno. Sebbene alcuni pazienti arruolati in questo

trial fossero stati già sottoposti al trattamento con l’interferone, introducendo così

un bias nella strutturazione dello studio, la disponibilità di dati di efficacia

confrontati verso un comparatore diretto hanno ampiamente supportato

l’immissione in commercio del farmaco. Per quanto riguarda i risultati, il numero

di ricadute annuali si è attestato a 0.16 e 0.2 nei gruppi che hanno ricevuto,

rispettivamente, 0.5 e 1.25 mg di fingolimod e a 0.33 nei soggetti trattati con

IFN-β-1a; gli esami di risonanza magnetica hanno confermato i dati del

FREEDOMS (Fig. 2.3), mentre nessuna differenza è stata riscontrata tra i gruppi

rispetto alla progressione della disabilità neurologica (Cohen et al., 2010; Pelletier &

Hafler, 2012).

 

41 

Sulla base di questi convincenti risultati, nel settembre del 2010, la FDA ha

approvato l’utilizzo di 0.5 mg/die di fingolimod come farmaco che riduce la frequenza

delle recidive cliniche e ritarda l’aggravarsi della disabilità neurologica nei pazienti adulti

affetti da RRMS (NDA 02257). Come già accennato nell’introduzione a questa

tesi, in Europa la posizione dell’EMA si discosta da quella della FDA,

considerando il fingolimod come farmaco di seconda linea. Le indicazioni

ufficiali ne impongono l’utilizzo, in monoterapia, come farmaco modificante la

malattia nella RRMS a elevata attività nei seguenti gruppi di pazienti adulti: i)

soggetti resistenti alla terapia con IFN-β, definiti come coloro che non hanno

risposto a un ciclo terapeutico completo e adeguato (normalmente almeno un

anno di trattamento) con questo farmaco. I pazienti devono aver avuto almeno

una recidiva nell’anno precedente mentre erano in terapia e presentare almeno

nove lesioni iperintense in T2 alla RM o almeno una lesione captante gadolinio.

Un paziente non responder può anche essere definito come colui che presenta,

rispetto all’anno precedente, un tasso di recidive invariato o aumentato o che

presenta recidive gravi; ii) pazienti con RRMS grave a evoluzione rapida, definita

da due o più recidive disabilitanti in un anno e con una o più lesioni captanti

gadolinio alla RM o con un aumento significativo del carico lesionale in T2

rispetto a una RM recentemente effettuata (Gilenya: EPAR – Product Information).

La posizione ufficiale degli organi regolatori europei è segno di un

atteggiamento di prudenza nei confronti dell’utilizzo del farmaco derivante dalla

scarsità di informazioni di sorveglianza post-marketing, soprattutto riguardo il

rischio di complicanze infettive e cardiovascolari secondarie al trattamento (vd

par. 2.5). Inoltre, un numero sostanziale di pazienti affetti da RRMS risponde

molto bene ai farmaci di prima linea, il cui profilo di sicurezza e tollerabilità è

ampiamente noto. Tuttavia, considerando la maggior efficacia delle terapie che

agiscono sulla regolazione del trafficking delle cellule immunitarie (fingolimod e

natalizumab), sarebbe opportuno abbassare la soglia di passaggio alle terapie di

seconda linea, utilizzandole appena si manifestino i segni di un danno

 

42 

permanente al SNC. Infine, la scelta tra il fingolimod e il natalizumab dovrebbe

basarsi principalmente sulla presenza degli anticorpi anti-virus JC nel siero del

paziente2 (Pelletier & Hafler, 2012).

 

Figura 2.3 – Efficacia del fingolimod, confrontato con l’IFN-β , nella sclerosi multipla. Il numero delle ricadute annuali, nei diversi bracci dello studio, è stato normalizzato per gruppo di studio, nazionalità, eventuali relapse nei due anni precedenti e per grado di disabilità neurologica dei pazienti (A). In B, sono mostrate le curve di Kaplan-Meier del tempo d’insorgenza della prima ricaduta dopo l’inizio del trattamento; in percentuale sono indicate le proporzioni dei pazienti liberi da relapse. (p<0.001 vs. interferone, in entrambi i casi). (Cohen et al., 2010).

                                                        

2 Il virus JC è l’agente eziologico della leucoencefalite multifocale progressiva, complicanza mortale del trattamento con il natalizumab. Il rischio di svilupparla è direttamente correlato alla positività per gli anticorpi diretti contro questo microrganismo, il che rappresenta dunque un valido strumento di screening (Gorelik et al., 2010).

 

43 

2.3 CONTROINDICAZIONI

Le linee-guida americane non riportano alcuna controindicazione all’utilizzo

del farmaco, fatta eccezione per la gravidanza (NDA 02257). Al contrario, l’EMA

elenca alcuni limiti assoluti per l’inizio della terapia con il fingolimod, la maggior

parte dei quali riguardano il potenziale rischio di gravi infezioni opportunistiche.

In particolare, sono esclusi dalla somministrazione del farmaco: i pazienti con

diagnosi di immunodeficienza primitiva o secondaria e gli immunocompromessi

in generale, inclusi coloro che siano in trattamento con terapie

immunosoppressive concomitanti o precedenti; i soggetti affetti da gravi infezioni

attive, acute o croniche; i pazienti con diagnosi di tumore maligno in fase attiva,

almeno finché non sia chiaro il ruolo del fingolimod nella genesi delle patologie

neoplastiche. Infine, la grave compromissione della funzionalità epatica e,

ovviamente, l’ipersensibilità al farmaco e/o agli eccipienti rappresentano

controindicazioni assolute (Gilenya: EPAR – Product Information).

Il fingolimod ha dimostrato un effetto teratogeno negli animali da

laboratorio e non esistono dati riguardanti il suo utilizzo in donne gravide. Il

farmaco è dunque classificato nella fascia C delle categorie di rischio e il suo

utilizzo è controindicato in gravidanza. Questa deve essere obbligatoriamente

esclusa prima dell’inizio della terapia e, qualora la donna restasse incinta durante il

trattamento, ne è mandatoria la sospensione; l’utilizzo di un contraccettivo è

raccomandato durante tutta la terapia e nei due mesi successivi a un’eventuale

interruzione. Il fingolimod è escreto nel latte materno degli animali da laboratorio

a concentrazioni 2-3 volte superiori rispetto a quelle rilevate nel plasma: le donne

in trattamento con il farmaco, dunque, non devono allattare (Gilenya: EPAR –

Product Information; Pelletier & Hafler, 2012).

 

44 

2.4 FARMACOCINETICA E INTERAZIONI

Dopo la sua somministrazione orale, il fingolimod compare nel plasma con

una cinetica relativamente lenta, raggiungendo il picco di concentrazione dopo

circa 12-16 ore e una biodisponibilità del 93% (Kovarik et al., 2004a; NDA 02257).

L’assorbimento attraverso il tratto gastrointestinale può essere mediato anche

dalla circolazione linfatica, esattamente come accade per gli sfingolipidi presenti

nella dieta. La Cmax dopo una singola somministrazione si assesta a 0.65-1.1

ng/ml e non è influenzata dal cibo (Kovarik et al., 2004a e b). Nonostante l’emivita

sia intorno ai 7 giorni, il farmaco si assume quotidianamente; le concentrazioni

plasmatiche allo steady-state, che si raggiunge dopo 1-2 mesi di terapia

continuativa, sono circa dieci volte maggiori della Cmax dopo la singola

somministrazione. Il legame alle proteine plasmatiche è avido (>99.7%) e ciò non

sorprende, data la struttura intensamente lipofilica del fingolimod: particolare

attenzione va dunque posta ai possibili fenomeni di spiazzamento verso alcuni

farmaci che condividono la stessa caratteristica, quali ad esempio i FANS, i

dicumarolici, le sulfaniluree e i barbiturici. Il fingolimod si distribuisce in tutti i

tessuti, supera brillantemente la BEE, la barriera ematoplacentare ed è escreto nel

latte materno; il volume di distribuzione è ampiamente superiore a 1000 L

(Kovarik et al., 2004a e b; NDA 02257).

Il metabolismo del fingolimod segue diverse vie, tra cui è ovviamente

considerata la bioattivazione nella forma fosforilata. Tuttavia, l’eliminazione del

farmaco avviene soprattutto a livello epatico attraverso reazioni di fase I

catalizzate da isoforme del citocromo P450: l’iniziale idrossilazione del metile

terminale della catena idrofobica è seguita dalla rapida trasformazione del

metabolita in acido carbossilico, il quale subisce il normale processo di β-

ossidazione. L’isoforma principalmente coinvolta nel catabolismo del fingolimod

è il CYP4F2, con contributi minori da parte del CYP4F3B, CYP2D6, CYP2E1,

CYP3A4 e CYP4F12 (Jin et al., 2010). Il CYP4F2, enzima che metabolizza altre

 

45 

sostanze a struttura lipidica come la vitamina K, presenta un polimorfismo in

posizione V433M che ne riduce l’attività catalitica e che potrebbe determinare

l’incremento dell’AUC del fingolimod nei pazienti portatori della mutazione (Mc

Donald et al., 2009). Il ketoconazolo, antifungino a struttura azolica, è un farmaco

noto per la sua capacità di inibire diverse isoforme del citocromo P450, tra cui il

CYP4F2: la co-somministrazione con il fingolimod esita in un aumento della

biodisponibilità di quest’ultimo, con un incremento dell’AUC di circa il 70% e

conseguente aumento del rischio di effetti avversi (Jin et al., 2010; Kovarik et al.,

2009; NDA 02257). Al contrario, la lovastatina aumenta l’espressione dell’enzima

(Hsu et al., 2007) e, se somministrata con il fingolimod, potrebbe ridurne

l’efficacia.

Nei pazienti con insufficienza renale o epatica lieve-moderata non è

necessario alcun aggiustamento del dosaggio, sebbene sia opportuno uno stretto

monitoraggio durante la terapia (NDA 02257; Pelletier & Hafler, 2012).

L’insufficienza epatica grave (Child-Pugh classe C) aumenta di circa il 50%

l’esposizione del paziente al fingolimod (ma non alla sua forma fosforilata),

incrementandone la tossicità: per questo motivo, nelle linee-guida ufficiali

dell’EMA, è considerata controindicazione assoluta all’uso del farmaco (Gilenya:

EPAR – Product Information).

Interazioni

Si è già detto a proposito dell’interazione tra il fingolimod e i farmaci che,

potenzialmente, ne alterano il metabolismo. Le indicazioni ufficiali dell’EMA

considerano, in questo gruppo, anche le sostanze che possono inibire l’isoforma

3A4 del citocromo P450 (es. inibitori delle proteasi dell’HIV, antifungini azolici e

alcuni macrolidi come la claritromicina), nonostante in letteratura si dimostri un

ruolo assolutamente marginale del CYP3A4 nel metabolismo del fingolimod (Jin

et al., 2010); al tempo stesso, la possibile interazione con la lovastatina viene

completamente ignorata (Gilenya: EPAR – Product Information).

 

46 

L’inizio del trattamento con il fingolimod induce una riduzione della

frequenza cardiaca verso cui si sviluppa una rapida tolleranza (vd par. 2.5):

considerando che la bradicardia è un fattore predisponente all’insorgenza delle

torsioni di punta, va posta un’attenzione particolare ai pazienti in terapia con

farmaci che possano allungare il QT, tra cui soprattutto gli antiaritmici di classe Ia

e di classe III (NDA 02257). Inoltre, è assolutamente opportuna un’accurata

valutazione del rapporto rischio/beneficio nei pazienti che assumono sostanze in

grado di indurre bradicardia indipendentemente dal fingolimod, quali ad esempio

i β-bloccanti, i Ca2+antagonisti e gli stessi antiaritmici di classe Ia e III (Gilenya:

EPAR – Product Information).

Come accade per tutte le terapie immunosoppressive, la co-

somministrazione di vaccini può risultare meno efficace e andrebbe effettuata

almeno due mesi dopo l’eventuale interruzione del trattamento con il farmaco.

Bisogna, inoltre, considerare che l’utilizzo di vaccini vivi attenuati può indurre

l’insorgenza di infezioni e dovrebbe essere attentamente evitato (Gilenya: EPAR –

Product Information; NDA 02257).

I farmaci antineoplastici, immunosoppressivi e immunomodulanti non

devono essere somministrati a pazienti in trattamento con il fingolimod, a causa

dei possibili effetti additivi sul sistema immunitario. Inoltre, si consiglia un

periodo di wash-out dai farmaci a lunga durata d’azione (es. natalizumab,

mitoxantrone) prima di intraprendere il trattamento. Nella scheda tecnica

pubblicata dall’EMA si afferma che l’utilizzo contemporaneo dei glucocorticoidi

di sintesi, somministrati per brevi cicli, non aumenta il rischio di infezioni

opportunistiche (Gilenya: EPAR – Product Information). Tuttavia, due casi di morte

durante il trattamento con il fingolimod si sono verificati in soggetti che, dopo

essere stati sottoposti a terapia con il metilprednisolone a causa dell’insorgenza di

recidive da sclerosi multipla, hanno contratto infezioni da herpes virus che sono

state loro fatali. (Cohen et al., 2010).

 

47 

2.5 PROFILO DI SICUREZZA E TOLLERABILITÀ

La maggior parte delle informazioni riguardo il profilo di sicurezza del

fingolimod deriva dagli studi di fase III precedentemente descritti, considerando

che la sorveglianza post-marketing sul farmaco è, per ovvie ragioni, ancora alla sua

infanzia (Pelletier & Hafler, 2012). In linea generale, il fingolimod è una sostanza

ben tollerata. Il rapporto rischio/beneficio è sicuramente migliore quando il

farmaco viene somministrato 0.5 mg/die, dosaggio con il quale è stato approvato

dagli organi regolatori per l’utilizzo clinico (Cohen & Chun, 2011). Prima

dell’inizio della terapia, è necessario effettuare alcuni accertamenti sul paziente

per escludere la presenza di fattori di rischio, soprattutto di natura

cardiovascolare, che potrebbero favorire l’insorgenza degli effetti avversi del

farmaco. Gli esami suggeriti nelle linee-guida ufficiali includono: l’emocromo

completo con formula leucocitaria e la misurazione dei livelli delle transaminasi e

della bilirubina, in considerazione, rispettivamente, della linfopenia e

dell’aumento della concentrazione plasmatica degli enzimi di danno epatico

indotti dalla somministrazione del fingolimod; la determinazione del titolo degli

anticorpi anti-virus zoster e, nel caso questi siano assenti, la somministrazione del

vaccino contro la varicella almeno un mese prima dall’inizio del trattamento;

l’esame elettrocardiografico, soprattutto se in anamnesi sono presenti fattori di

rischio personali o familiari; la spirometria, in soggetti affetti da patologie

broncopolmonari (Gilenya: EPAR – Product Information; NDA 02257; Pelletier &

Hafler, 2012). Attualmente, gli organi regolatori sconsigliano fortemente di

somministrare il farmaco ai pazienti con storia di patologie cardiovascolari o

cerebrovascolari e a coloro che siano in terapia con farmaci in grado di alterare la

conduzione cardiaca. Se il clinico dovesse ritenere assolutamente necessario il

trattamento con il fingolimod, è opportuno richiedere una consulenza

cardiologica in modo da stabilire il corretto monitoraggio cui sottoporre il

 

48 

paziente e il passaggio a terapie che abbiano un impatto meno violento sulla

funzionalità del cuore (EMA 254587/2012). Questa posizione è il risultato della

revisione cui è stato sottoposto il fingolimod in seguito alla registrazione di alcuni

casi di morte, apparentemente per cause cardiovascolari, dopo la

somministrazione del farmaco (vd avanti nel testo).

Per quanto riguarda il ricorso alla visita specialistica dermatologica e

oculistica, queste sono consigliate unicamente ai soggetti con fattori di rischio

accertati per l’insorgenza di edema maculare o di neoplasie cutanee anche se, nella

pratica clinica, si tende a considerarle di routine (Pelletier & Hafler, 2012).

Durante la prima somministrazione del farmaco i parametri vitali del

paziente devono essere monitorati ogni sessanta minuti per una finestra

temporale non inferiore alle sei ore, attraverso l’esecuzione di un

elettrocardiogramma e la misurazione della pressione arteriosa. Nei soggetti che

presentino effetti cardiaci clinicamente importanti, il monitoraggio deve essere

prolungato fino alla risoluzione del problema. In particolare, se ne considerano

criteri validi per la prosecuzione: un valore di frequenza cardiaca inferiore ai

quaranta battiti al minuto al termine delle sei ore, oppure una sua riduzione sotto

i venti battiti al minuto rispetto al basale; l’insorgenza di un blocco

atrioventricolare di secondo grado tipo Mobitz I, che persiste al termine del

monitoraggio di routine; la comparsa, in qualsiasi momento dopo la

somministrazione del farmaco, di bradicardia sintomatica e di blocco

atrioventricolare di secondo (tipo Mobitz II) e terzo grado, di nuova insorgenza

(EMA 254587/2012; Nota Informativa AIFA del 30/01/2012).

Dopo l’inizio della terapia, il paziente deve essere valutato clinicamente ogni

mese con lo scopo di indagare la risposta al trattamento e l’eventuale comparsa di

effetti avversi. L’emocromo, la funzionalità epatica e i valori di bilirubina nel

plasma devono essere misurati con cadenza trimestrale; un videat oculistico è

consigliato dopo tre mesi dalla prima somministrazione e, successivamente, ogni

sei mesi; inoltre, è suggerito un annuale controllo dermatologico. L’eventuale

 

49 

interruzione della terapia non richiede la titolazione in basso del dosaggio. In ogni

caso, la ripresa della somministrazione dopo più di due settimane prevede

l’esecuzione dello stesso monitoraggio descritto per l’inizio del trattamento

(Pelletier & Hafler, 2012).

Eventi avversi

Due pazienti sono morti durante la sperimentazione clinica del farmaco,

entrambi arruolati nel gruppo che riceveva 1.25 mg/die di fingolimod nello

studio TRASFORMS. In un caso, la morte è stata causata da un’infezione

primitiva disseminata da virus varicella-zoster in un paziente che era stato

esposto, durante il trattamento con glucocorticoidi per una ricaduta della malattia,

al contatto con un bambino affetto da varicella; il secondo soggetto è deceduto in

seguito a un’encefalite erpetica e, anche in questo caso, aveva subito un

trattamento con il metilprednisolone. Se da un lato va considerato che, in

entrambi i casi, i pazienti erano stati contemporaneamente trattati con altri

farmaci immunosoppressori, il meccanismo d’azione del fingolimod e l’aumentata

insorgenza di infezioni erpetiche nei soggetti trattati (vd avanti nel testo)

inducono a interpretare i decessi come conseguenze dirette dell’azione del

farmaco (Cohen et al., 2010).

I primi dati di farmacovigilanza riportano quindici casi di morte improvvisa,

o comunque inaspettata, in pazienti sottoposti a terapia con il fingolimod. Si

tratta soprattutto di soggetti precedentemente affetti da patologie cardiovascolari

in cui non è stato possibile determinare con certezza il ruolo giocato dal farmaco

nel decesso. Il 12 dicembre 2011 la Novartis ha comunicato agli organi regolatori

internazionali l’esistenza di un caso di morte improvvisa sopraggiunta nelle

ventiquattr’ore successive alla prima somministrazione del fingolimod.

Nonostante non siano stati registrati eventi simili negli studi clinici, il farmaco ha

dimostrato la capacità di alterare la conduzione cardiaca (vd avanti nel testo e cfr.

anche cap. 1), soprattutto nelle ore successive alla prima dose: alla luce di tutto

 

50 

ciò, l’EMA ha deciso di intraprendere una revisione del profilo di sicurezza del

fingolimod al fine di accertare l’effettiva superiorità dei benefici clinici rispetto al

rischio di eventi avversi. Gli esiti di tale revisione, pubblicati nell’aprile del 2012,

hanno confermato il parere positivo sull’utilizzo del farmaco espresso in sede di

approvazione, imponendo contemporaneamente una sorveglianza più stretta sul

paziente durante la prima somministrazione e definendo più precisamente la

posizione da assumere rispetto ai soggetti con rischio cardiovascolare (EMA

254587/2012; Nota Informativa AIFA del 30/01/2012; vd anche l’inizio di questo

paragrafo).

Effetti avversi sul sistema immunitario

Negli studi clinici di fase III, il tasso di infezioni registrato è stato

lievemente maggiore nei soggetti in terapia con il fingolimod (soprattutto con la

dose di 1.25 mg/die), rispetto ai gruppi del placebo e dell’IFN-β. Sebbene siano

stati descritti alcuni casi gravi, per la maggior parte (93%) si è trattato di patologie

lievi sostenute soprattutto da virus herpes. È stato riportato anche un modesto

aumento dell’incidenza di infezioni delle vie aeree inferiori nei pazienti trattati

con il farmaco e arruolati nel trial FREEDOMS (Cohen et al., 2010; Kappos et al.,

2010).

Effetti avversi cardiovascolari

Il fingolimod, come risulta intuibile da quanto detto in precedenza, è in

grado di alterare i meccanismi di conduzione cardiaca. Nell’1-3% dei pazienti

trattati si verifica una bradicardia transiente e dose-dipendente che raggiunge il

picco massimo a 4-5 ore di distanza dalla prima somministrazione del farmaco: la

maggior parte dei soggetti sono asintomatici, non richiedono alcun intervento

terapeutico e la riduzione della frequenza cardiaca non scende al di sotto dei 20

battiti/minuto rispetto ai valori basali; l’effetto inizia a dissolversi dopo 6 ore e si

risolve entro 24. In una minoranza di casi è possibile osservare una bradicardia

 

51 

sintomatica, caratterizzata dall’insorgenza di confusione mentale, palpitazioni,

dispnea e dolore toracico, che può proseguire fino al blocco atrioventricolare di

primo o secondo grado (<1% dei soggetti). Negli studi clinici non è stato rilevato

alcun caso di sincope, mentre durante la sorveglianza post-marketing si sono

verificati casi di morte cardiaca improvvisa, come già detto (Cohen et al., 2010;

Kappos et al., 2010; Pelletier & Hafler, 2012). Molto probabilmente, questi effetti

sono conseguenti all’attivazione del recettore S1PR1 espresso dai cardiomiociti, il

che esita in un effetto cronotropo negativo; la loro rapida scomparsa potrebbe

dipendere dalla desensibilizzazione recettoriale indotta dal farmaco (Koyrakh et al.,

2005; per approfondire si rimanda, inoltre, a quanto detto nel cap. 1 a proposito

della regolazione della funzionalità cardiaca da parte della S1P). Il fingolimod

tende, infine, ad aumentare la pressione arteriosa sistolica e diastolica, come

osservato nell’arco di due anni di trattamento (Pelletier & Hafler, 2012).

Effetti avversi oftalmologici

In meno dell’1% dei pazienti il farmaco può causare l’insorgenza di edema

maculare. Nella maggior parte dei casi osservati durante gli studi clinici, si è

trattato di un effetto transitorio e asintomatico, diagnosticato attraverso la visita

oftalmologica e scomparso nell’arco di qualche mese dopo l’interruzione della

terapia. La patogenesi è sostanzialmente ignota: è possibile che si tratti di una

conseguenza degli effetti del fingolimod sui recettori della S1P espressi dalle

cellule endoteliali nei vasi (Cohen & Chun, 2011; Pelletier & Hafler, 2012).

Effetti avversi respiratori e aspecifici

Alcuni soggetti trattati hanno manifestato sintomi respiratori e, sebbene il

tasso di incidenza di tosse e dispnea sia molto simile tra i gruppi trattati con il

farmaco e i controlli, sono stati registrati casi di abbandono degli studi clinici a

causa dell’insorgenza di dispnea inspiegata. Il fingolimod induce una lieve

diminuzione (intorno al 3%), dose-dipendente, dei valori del FEV1 e della

 

52 

diffusione del monossido di carbonio (DLCO), che insorge entro un mese

dall’inizio del trattamento e si mantiene successivamente stabile, salvo risolversi

dopo l’interruzione della terapia (Cohen & Chun, 2011; Gilenya: EPAR – Product

Information). Anche in questo caso, gli effetti del farmaco potrebbero essere dovuti

alla modulazione dei recettori S1PR espressi dalle cellule muscolari lisce e dalle

barriere endoteliali (Pelletier & Hafler, 2012).

Altri effetti avversi associati all’utilizzo del fingolimod sono rappresentati da

cefalea, influenza, diarrea e disturbi gastrointestinali, dolore lombo-sacrale ed

elevazione transitoria asintomatica degli enzimi di danno epatico (Cohen & Chun,

2011).

Potenziali rischi della terapia

Come ampiamente discusso nel capitolo precedente, la S1P è coinvolta nella

regolazione dei meccanismi di proliferazione e differenziazione cellulare. È

dunque possibile che una molecola in grado di modularne i recettori possa

influenzare questi processi ed esporre al rischio d’insorgenza di patologie

neoplastiche (Cohen & Chun, 2010; Pelletier & Hafler, 2012). Tra i pazienti arruolati

negli studi clinici e sottoposti al trattamento con il fingolimod, si sono verificati

casi di carcinomi basocellulari cutanei, melanomi e carcinomi della mammella: i

tumori della cute sono insorti a distanza di qualche mese dall’inizio del

trattamento e tutti, compresi i melanomi, erano in fase iniziale e sono stati

rimossi chirurgicamente; i due casi di carcinoma mammario sono stati

diagnosticati, rispettivamente, 4 e 11 mesi dopo la prima somministrazione del

farmaco (Cohen et al., 2010). In base a questi dati non è ovviamente possibile

trarre conclusioni sull’eventuale ruolo favorente, o addirittura causale, del

fingolimod verso i processi di trasformazione maligna. Bisogna poi considerare

che alcuni tumori sono insorti anche in soggetti che appartenevano agli altri

bracci dei due studi clinici: in particolare, nel gruppo placebo del trial INFORMS

il numero dei casi riscontrati è risultato superiore rispetto a quanto rilevato tra i

 

53 

pazienti in trattamento con il farmaco (Kappos et al., 2010). Inoltre, le neoplasie

sono state diagnosticate a distanza forse troppo ravvicinata dalla prima

somministrazione perché questo possa aver svolto un ruolo determinante nella

patogenesi. Tuttavia, non siamo autorizzati a escludere che questa possibilità

esista e che, soprattutto nel lungo termine, il trattamento con il fingolimod possa

effettivamente rappresentare un fattore di rischio per l’insorgenza dei tumori

maligni. Esiste dunque un’area d’ombra e di incertezza intorno al profilo di

sicurezza e tollerabilità del fingolimod che include, oltre al rischio neoplastico e a

quello cardiovascolare, le possibili conseguenze della sua azione

immunomodulante: l’insorgenza di infezioni erpetiche disseminate e localizzate al

SNC (che hanno causato la morte dei due soggetti durante gli studi clinici) e la

possibilità, non ancora esclusa definitivamente, della leucoencefalite multifocale

progressiva come possibile effetto avverso della terapia. Queste, insieme agli

effetti del farmaco sul sistema riproduttivo, sono questioni ancora aperte che

necessitano di indagini approfondite e che potranno essere risolte esclusivamente

attraverso un’attenta osservazione post-marketing dell’utilizzo clinico del farmaco

(Pelletier & Hafler, 2012).

 

54 

CAPITOLO TERZO

IL FINGOLIMOD NEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE

La sclerosi multipla è una patologia considerata, universalmente, a

eziopatogenesi autoimmune, in cui l’infiltrazione focale di cellule T e B

autoreattive determina un danno a carico della mielina e degli assoni. Su questa

base, gli sforzi della ricerca scientifica sono stati indirizzati verso il tentativo di

disegnare strumenti terapeutici in grado di ridurre l’infiammazione all’interno del

SNC (Kipp & Amor, 2012). I risultati raggiunti sono sicuramente molto buoni e,

talora, eccellenti per quanto riguarda la capacità di contrastare efficacemente la

fase recidivante-remittente della malattia che, nella maggior parte dei casi, ne

caratterizza il periodo iniziale. Tuttavia, questo approccio si è dimostrato

largamente insufficiente nell’ostacolare la progressione della patologia: circa il

65% dei pazienti, infatti, entra nella fase secondariamente progressiva, in cui la

disabilità neurologica tende ad accumularsi e diviene irreversibile. Il danno

assonale diffuso, la gliosi reattiva e la degenerazione delle cellule neuronali con

accumulo di proteina τ iperfosforilata caratterizzano questa fase e si associano

alle aree di demielinizzazione già presenti; la neuroinfiammazione sfuma in

un’attivazione diffusa della microglia e, più in generale, in una profonda

alterazione della sostanza bianca, governata da un precario equilibrio tra la

 

55 

produzione di fattori tossici e il tentativo di riparazione del danno da parte degli

oligodendrociti (Compston & Coles, 2008). Nella storia naturale della sclerosi

multipla, dunque, l’infiammazione è destinata a lasciare il posto ai meccanismi

che sostengono i processi di neurodegenerazione: così, i farmaci a meccanismo

d’azione esclusivamente immunomodulante non possono essere in grado di

contrastare l’andamento progressivo della patologia verso la disabilità neurologica

permanente, perché privi della capacità di intervenire direttamente sui fattori

appena descritti (Kipp & Amor, 2012). Da numerosi studi presenti in letteratura, si

evince che il fingolimod potrebbe essere una sostanza efficace sia nel ridurre la

neuroinfiammazione, sia nell’ostacolare la progressione della malattia, agendo

direttamente all’interno del SNC. FTY720 è perfettamente in grado di

attraversare la BEE grazie alla sua struttura lipofilica e può agire sulle cellule che

costituiscono il SNC perché tutte esprimono sia i recettori della S1P, target del

farmaco, sia le isoforme della SphK necessarie alla sua fosforilazione (Foster et al.,

2007; vedi capitoli precedenti) (Fig. 3.1). Come già ampiamente trattato, la S1P è

in grado di modulare diverse funzioni nell’ambito del SNC: tra queste sono

comprese la maturazione, la migrazione e la proliferazione degli oligodendrociti,

l’attivazione astrocitaria, la sopravvivenza e la protezione dal danno neuronale (vd

cap. 1), meccanismi direttamente coinvolti nei processi neurodegenerativi.

Giacché la S1P agisce su questi fattori, soprattutto attraverso l’attivazione dei suoi

recettori transmembrana, il fingolimod ha tutte le caratteristiche per fare

altrettanto.

In questo capitolo si tratterà dunque l’aspetto più affascinante del farmaco,

che configura l’esistenza di una sua azione volta a contrastare la disabilità

neurologica progressiva causata dalla sclerosi multipla e apre la strada alla

possibile estensione dell’applicazione clinica ad altre patologie neurodegenerative.

Per conferire un approccio (il più possibile) clinico alla trattazione e perché

questa assuma una funzione propedeutica alla comprensione del lavoro

sperimentale discusso nel capitolo successivo, si è deciso di esaminare gli effetti

 

56 

del farmaco sui processi fisiopatologici piuttosto che sulle singole cellule,

evitando così inutili e tediose ripetizioni rispetto a quanto detto, nel cap. 1, a

proposito del sistema della S1P.

 

Figura 3.1 – Targe t cellulari del fingolimod nel SNC. (Pelletier & Hafler, 2012).

3.1 IL FINGOLIMOD PROMUOVE L’INTEGRITÀ DELLA BEE

Le cellule endoteliali, che costituiscono la componente principale della

BEE, sono autonomamente in grado di fosforilare il fingolimod nella sua forma

attiva. Il trattamento con il farmaco favorisce la formazione delle giunzioni

intracellulari e, di conseguenza, riduce la permeabilità della barriera. Questo

meccanismo sembra essere mediato dall’attivazione del recettore S1PR1

 

57 

normalmente espresso dall’endotelio e sembra contribuire all’efficacia clinica del

fingolimod nei modelli animali della patologia (Miron et al., 2008a).

3.2 EFFETTI DEL FINGOLIMOD SUI MECCANISMI DI RIMIELINIZZAZIONE

Nonostante il danno assonale e la morte neuronale siano considerate

caratteristiche importanti della fisiopatologia della sclerosi multipla, la

demielinizzazione ne rappresenta la componente patognomonica (Kipp & Amor,

2012). Nel SNC dell’adulto persiste un contingente di cellule precursori degli

oligodendrociti (OPC) in grado di migrare verso le lesioni demielinizzate,

circondarle e fungere da fonte principale di elementi maturi che possano

ricostituire la guaina mielinica persa (Compston & Coles, 2008; Gensert & Goldman,

1997). La rimielinizzazione è considerata fondamentale per la restaurazione

dell’integrità funzionale del complesso assone-mielina e della conseguente

capacità di condurre l’impulso nervoso; inoltre, giacché gli assoni demielinizzati

vanno sovente incontro a danno e costituiscono il primum movens dei processi

neurodegenerativi, la mancata rimielinizzazione sembra essere direttamente

correlata al loro sviluppo (Kipp & Amor, 2012). Si tratta di un meccanismo

relativamente complesso che ha inizio con la proliferazione degli OPC, la loro

migrazione verso le lesioni demielinizzate, la differenziazione in oligodendrociti

maturi (OLG) e, infine, la loro interazione con l’assone e la conseguente

formazione della nuova guaina mielinica (Franklin et al., 2008). Molteplici ed

eterogenei possono essere gli elementi che ne favoriscono l’instaurarsi e la

progressione, tra cui: fattori intrinseci agli OPC/OLG, inclusa la modulazione

epigenetica del programma di espressione genica; meccanismi esterni di

derivazione astrocitaria, microgliale e neuronale, come suggerisce l’importanza del

sistema delle semaforine, proteine iper-espresse dalla glia nelle lesioni

 

58 

demielinizzate, nel guidare la migrazione degli OPC (Shen et al., 2008; Williams et

al., 2007). Sebbene non sia chiaro perché non si manifesti in tutti i pazienti con la

stessa intensità, la rimielinizzazione è considerata parte integrante della storia

naturale della patologia. Le cosiddette ‘placche-ombra’, visibili nelle immagini di

risonanza magnetica, ne rappresentano il correlato diagnostico (Kipp & Amor,

2012).

Il fingolimod fosfato è in grado di proteggere gli OPC e gli OLG in coltura

dall’apoptosi indotta da deprivazione trofica, attraverso l’attivazione (e non, in

questo caso, la desensibilizzazione) dei recettori S1PR accoppiati a Gi: la

promozione della sopravvivenza sembra essere mediata dall’innesco delle vie

delle MAPK e della PI3K che, come descritto nei capitoli precedenti,

rappresentano classici pathway di protezione cellulare. Inoltre, gli OPC sono

protetti dal farmaco anche nei confronti del danno mediato dalle citochine pro-

infiammatorie e dall’attivazione microgliale, una condizione che ricalca più da

vicino il microambiente delle lesioni neuroinfiammatorie (Coelho et al., 2007; Jung

et al., 2007). Il fingolimod induce, poi, cambiamenti ciclici nella morfologia di

entrambi i tipi cellulari regolandone, in maniera dose- e tempo-dipendente,

l’elaborazione delle membrane e del citoscheletro (Miron et al., 2008b e c).

Questi dati, tuttavia, non dimostrano alcun effetto del fingolimod sui

meccanismi di rimielinizzazione: per far questo, bisogna spostarsi su un piano più

vicino alla fisiopatologia delle lesioni demielinizzanti, utilizzando modelli animali

studiati sia in vitro sia in vivo. Tra i primi, la demielinizzazione indotta dal

trattamento con la lisofosfatidilcolina è uno dei più rappresentativi e il fingolimod

si è dimostrato in grado indurre una quota significativa di rimielinizzazione in

fettine organotipiche di cervelletto esposte a questa sostanza (Miron et al., 2010)

(Fig. 3.2). Avvicinandosi ulteriormente alla patologia umana, si è indagata

l’efficacia del farmaco trattando gli animali da laboratorio con il cuprizone,

molecola che induce lesioni demielinizzanti nella sostanza bianca del corpo

calloso: in questo modello, in cui la rimielinizzazione spontanea è largamente

 

59 

insufficiente per ottenere la reversione del fenotipo, il fingolimod riduce

sensibilmente la quota di demielinizzazione (Kim et al., 2011).

 

Figura 3.2 – Efficacia del fingolimod nell’indurre rimielinizzazione in fettine di cervelletto trattate

con la lisofosfatidilcolina. Immagini rappresentative di fettine cerebellari demielinizzate (14 DIV Ctrl) e trattate con il fingolimod 100 pmol/L per 14 giorni dopo il trattamento con la sostanza demielinizzante (14 DIV Fingolimod); analisi immunoistochimica effettuata con un anticorpo contro la proteina basica della mielina (rosso) e contro la NFM degli assoni (verde) (A). In B: quantità di mielina presente, espressa come area di immunostaining, nelle fettine di controllo (14 DIV Ctrl) e in quelle trattate con il farmaco a due concentrazioni diverse. *p<0.05 vs. i valori di controllo (14 DIV Ctrl). In C: fettine demielinizzate e trattate

 

60 

con 100 pmol/L di fingolimod, per 14 giorni dopo l’aggiunta di lisofosfatidilcolina, viste al microscopio elettronico. Aree di rimielinizzazione indicate dalle frecce. In E: microscopia ottica con colorazione blu di Toluidina. La demielinizzazione è indicata dalle punte delle frecce, mentre le frecce intere indicano le aree di rimielinizzazione conseguenti al trattamento con il fingolimod. In D: stessa colorazione di E, fettine trattate con il fingolimod dopo la demielinizzazione. Con la lettera N è indicato un neurone, con la O un oligodendrocita ed entrambi appaiono sani e funzionali. Le frecce indicano aree di rimielinizzazione. (Miron et al., 2010).

Esistono in letteratura alcuni dati che contrastano quanto finora esposto,

descrivendo l’inefficacia del farmaco nei modelli di demielinizzazione appena

discussi (Hu et al., 2011). Ferma restando l’importanza delle variabili legate al

contesto in cui si eseguono gli esperimenti, è possibile che, soprattutto nei

modelli in vitro, sia fondamentale il ruolo giocato dal fingolimod nel processo di

differenziazione degli OPC verso gli oligodendrociti maturi formanti mielina: è

dimostrato, infatti, che il farmaco può favorirlo esclusivamente in presenza della

NT-31, esercitando, al contrario, un effetto inibitorio quando questo agisca senza

il supporto della neurotrofina (Coelho et al., 2007; Hu et al., 2011). Il

microambiente in cui è indagato l’effetto del farmaco e, soprattutto, la scelta del

modello possono dunque largamente influenzare la riproducibilità dei risultati

ottenuti. In ogni caso, il fingolimod possiede tutte le caratteristiche necessarie per

essere una molecola in grado di regolare i complessi meccanismi alla base dei

processi di rimielinizzazione. Sebbene siano necessari ulteriori studi di laboratorio

al fine di caratterizzarne l’efficacia e il meccanismo d’azione, il monitoraggio delle

‘placche-ombra’ nei soggetti trattati a lungo con il farmaco potrebbe

rappresentare un valido strumento per la valutazione di questi effetti dal punto di

vista clinico.

                                                        

1  Per ciò che riguarda i meccanismi di cross-talk tra la S1P e la NT-3 si rimanda al capitolo 1, con particolare riferimento alla nota 6.

 

61 

3.3 IL FINGOLIMOD MODULA L’ATTIVITÀ DEI RECETTORI S1PR ESPRESSI DAGLI

ASTROCITI

Il trattamento di colture astrocitarie con FTY720-P esita in un aumento

della fosforilazione di ERK all’interno delle cellule. Questo effetto, dovuto

all’attivazione del recettore di tipo 1, si estrinseca in maniera dose-dipendente e a

basse concentrazioni del farmaco, con un plateau raggiunto a 10nM (Osinde et al.,

2007). L’innesco della via delle MAPK, di cui la proteina ERK fa parte, ha

ovviamente un significato stimolatorio nei confronti della proliferazione cellulare

e rappresenta un pathway centrale nella trasformazione degli astrociti da cellule

quiescenti a reattive. Nonostante la gliosi reattiva sia universalmente considerata

un evento sfavorevole per il recupero da un danno a carico del SNC (vd cap. 1), il

ruolo degli astrociti reattivi non coinvolti nella formazione delle cicatrici è poco

conosciuto. Studi recenti suggeriscono che queste cellule possano giocare un

ruolo nei meccanismi di protezione oligodendrocitaria e neuronale, nei processi

di rimielinizzazione e nel favorire la rigenerazione assonale (Faulkner et al., 2004;

Pekny & Nilsson, 2005; vd anche cap. 1), oltre alla loro nota capacità di rinforzare

la BEE (Miller, 2005). La promozione dell’attivazione astrocitaria potrebbe,

dunque, essere considerata un effetto benefico all’interno SNC, contribuendo

all’efficacia del farmaco nella sclerosi multipla.

Tuttavia, i risultati di uno studio pubblicato sulla rivista ufficiale

dell’Accademia delle Scienze americana si pongono totalmente in contrasto con

questa ipotesi. Con lo scopo di valutare gli effetti del fingolimod sulla

componente astrocitaria, il gruppo di Ji Woong Choi e Jerold Chun della

University of California ha creato animali ko condizionali per S1PR1 negli astrociti,

eliminando il recettore in queste cellule ma preservandone l’espressione altrove.

Negli animali è stata indotta l’Encefalomielite Autoimmune Sperimentale (EAE)2,

                                                        

2 L’EAE è indotta attraverso l’immunizzazione dell’animale verso le componenti proteiche della mielina (MOG, PLP, MBP). L’antigene viene iniettato insieme a un adiuvante, tipicamente costituito da micobatteri della tubercolosi inattivati (CFA, Complete Freund’s Adjuvant), che ha la funzione di stimolare la

 

62 

modello di sclerosi multipla largamente utilizzato in laboratorio, ed è stato

avviato il trattamento con il farmaco, valutando la sua efficacia attraverso l’analisi

dello score neurologico. L’effetto terapeutico del fingolimod nell’EAE è noto da

tempo e si è normalmente manifestato nei topi wild-type utilizzati in questo lavoro

come controlli. Al contrario, il farmaco si è mostrato praticamente inefficace nel

migliorare i sintomi neurologici nei ko condizionali. Inoltre, questi animali hanno

sviluppato una forma di EAE nettamente più lieve rispetto ai controlli,

suggerendo che l’assenza di S1PR1 negli astrociti possa avere, di per sé, un ruolo

protettivo nei confronti della malattia. Così, l’efficacia terapeutica del fingolimod

in questo modello di sclerosi multipla sembra dipendere criticamente

dall’espressione del recettore nelle cellule astrocitarie; giacché l’assenza di S1PR1

migliora le condizioni cliniche degli animali, l’effetto del farmaco deve

necessariamente basarsi sull’internalizzazione e degradazione e non

sull’attivazione recettoriale (Choi et al., 2011) (Fig. 3.3). Questi dati correlano con

la possibilità che il signaling della S1P sia ampiamente coinvolto nei meccanismi di

attivazione astrocitaria e nella formazione della gliosi reattiva, soprattutto

considerando che l’espressione dei recettori S1PR è indotta dagli stimoli pro-

infiammatori ed è up-regolata nelle lesioni da sclerosi multipla (Fischer et al., 2011;

Van Doorn et al., 2010; vd anche cap. 1). Ancora una volta, si intuisce quanto

complessa e ancora poco conosciuta sia la neurobiologia della S1P e dei suoi

modulatori. Definire con precisione la natura degli effetti del fingolimod nel SNC

è estremamente indaginoso, soprattutto considerando che l’incertezza caratterizza

persino l’interpretazione dei processi fisiopatologici (vedi, ad esempio, quanto

detto a proposito della gliosi reattiva), indipendentemente dal ruolo del farmaco.

Tuttavia questi effetti esistono e, alla luce di quanto finora detto, sembrano

addirittura fondamentali per l’efficacia terapeutica del farmaco.

                                                                                                                                                                                        

risposta immunitaria cellulo-mediata. Dopo circa 9-12 giorni, l’animale sviluppa una patologia caratterizzata dall’insorgenza di una paralisi ascendente che, a seconda della variante di EAE utilizzata, può assumere un andamento progressivo oppure recidivante-remittente, fungendo da modello sperimentale di sclerosi multipla (Costantinescu et al., 2011).

 

63 

 

Figura 3.3 – L’espressione di S1PR1 negli astrociti è critica per l’efficacia del fingolimod

nell’EAE. In E: score neurologico degli animali, ko condizionali per il recettore nei neuroni, immunizzati e trattati con FTY720 (Synapsin-Cre + FTY720) confrontati con i propri littermate (+FTY720) (n=7, fingolimod 3 mg/kg/die). In F: riduzione della conta periferica linfocitaria, a 24 ore dal trattamento con il farmaco, negli stessi gruppi di animali rappresentati in E (n=6). In G: score neurologico degli animali, ko condizionali per il recettore negli astrociti, immunizzati e trattati con FTY720 (GFAP-Cre+FTY720) confrontati con i propri littermate (+FTY720) (n=7, fingolimod 3 mg/kg/die). In H: riduzione della conta periferica linfocitaria, a 24 ore dal trattamento con il farmaco, negli stessi gruppi di animali rappresentati in G (n=6). (Choi et al., 2011).

 

3.4 IL FINGOLIMOD PROTEGGE I NEURONI DAL DANNO ISCHEMICO

La prima dimostrazione degli effetti protettvi del fingolimod nei confronti

del danno da ischemia-riperfusione, nel parenchima epatico e renale, risale a più

di dieci anni fa. Partendo da queste evidenze e considerando che l’ischemia

cerebrale rappresenta un modello ampiamente utilizzato per la valutazione degli

effetti neuroprotettivi di una sostanza, diversi gruppi di ricerca hanno indagato

l’efficacia del farmaco negli animali sottoposti a ischemia permanente o

transitoria dell’arteria cerebrale media (MCAO o t-MCAO), giungendo a risultati

incoraggianti e largamente replicabili. Il fingolimod, somministrato dopo la

 

64 

riperfusione dell’arteria nella t-MCAO, si è dimostrato efficace nel ridurre il

volume dell’infarto e nel migliorare lo score neurologico degli animali a 24 e a 72

ore di distanza dall’occlusione. Nei modelli di ischemia permanente, l’effetto si

manifesta anche quando il farmaco è somministrato 4 ore dopo l’evento,

assumendo così un importante significato traslazionale (Czech et al., 2009;

Hasegawa et al., 2010; Wei et al., 2011) (Fig. 3.4). Negli animali trattati, si dimostra

un aumento della fosforilazione di ERK e Akt nella corteccia irrorata dall’arteria

cerebrale media; lo stesso avviene dopo la somministrazione di un agonista

(SEW2871) del recettore S1PR1, mentre non si manifesta quando il fingolimod è

co-somministrato con il VPC23019, antagonista dei sottotipi 1 e 3. Inoltre, il

SEW2871 mima gli effetti del fingolimod sul volume d’infarto e sullo score

neurologico, che risultano completamente obliterati dal VPC23019 (Hasegawa et

al., 2010). Così, la neuroprotezione, riscontrabile anche in microscopia ottica

attraverso la riduzione del numero delle figure apoptotiche nell’area infartuata

(Wei et al., 2011), sembra essere mediata dall’attivazione del S1PR1 espresso dai

neuroni.

Tuttavia, giacché il farmaco si è mostrato inefficace nel proteggere i neuroni

in vitro dalla tossicità da glutammato e da perossido d’idrogeno (Wei et al., 2011),

alcuni autori dubitano dell’esistenza di un suo effetto neuroprotettivo e

propongono meccanismi d’azione alternativi. Di certo, FTY720 non ristabilisce il

flusso sanguigno dopo l’occlusione e non riduce la temperatura corporea, due

effetti che rappresentano, rispettivamente, l’unica opzione terapeutica

attualmente disponibile in clinica e uno dei principali strumenti protettivi nei

modelli animali di ischemia (Wei et al., 2011). L’infiltrazione leucocitaria nel

parenchima cerebrale caratterizza l’evento ischemico, come conseguenza del

danno a carico della barriera ematoencefalica (Yilmaz et al., 2006). I leucociti

stravasati sono in grado di danneggiare il tessuto attraverso diversi meccanismi,

tra cui la formazione di specie radicali dell’ossigeno, la secrezione di citochine

pro-infiammatorie e il rilascio di enzimi citotossici. Inoltre, i radicali liberi

 

65 

prodotti dai neutrofili contribuiscono a danneggiare l’endotelio della BEE, con

conseguente aumento della permeabilità vascolare e formazione dell’edema

vasogenico. Il fingolimod, grazie alla sua azione immunomodulante, riduce la

quota di linfociti e neutrofili in grado di infiltrare l’area ischemica ed è efficace nel

contrastare la formazione dell’edema post-ischemico, sia attraverso la

modulazione dei recettori S1PR espressi dall’endotelio vascolare, sia ostacolando

l’attivazione dei neutrofili. Il trattamento con il farmaco riduce, poi, l’espressione

dell’integrina ICAM-1 sulle cellule endoteliali, fondamentale per i meccanismi di

rolling e di adesione che precedono la diapedesi leucocitaria. Così, FTY720

potrebbe proteggere dal danno ischemico contrastando la neuroinfiammazione,

piuttosto che esercitando un effetto neuroprotettivo diretto (Wei et al., 2011).

 

Figura 3.4 – Il fingolimod riduce l’area infartuata e migliora lo s core neurologico degli animali

dopo l’occlusione dell’arteria cerebrale media. Ampia lesione cortico-striatale negli animali di controllo nettamente ridotta dal trattamento con FTY720 1mg/kg i.p. (A) (n=10; colorazione di Nissl). In B il volume della lesione è espresso come valore medio ± SD, la significatività statistica è stata misurata con il test t di Student. In C il deficit neurologico è stato valutato con una scala a 5 punti. La significatività statistica è stata valutata con il test di Mann-Whitney. (Czech et al., 2009).

 

66 

Utilizzando i modelli animali in vivo è sostanzialmente impossibile

discriminare quale sia il meccanismo d’azione del farmaco nell’ischemia ed

escludere definitivamente le altre ipotesi, sia perché non si possono isolare i

diversi processi coinvolti nella fisiopatologia del danno ischemico, sia perché

probabilmente il meccanismo non è univoco. L’efficacia della molecola potrebbe

essere il frutto di molteplici effetti estrinsecati a vari livelli e, sebbene sia certo che

la componente immunomodulante sia coinvolta, non si può escludere l’esistenza

di un’azione diretta sui neuroni sulla base del modello di tossicità in vitro descritto

in precedenza, considerandone i limiti che lo caratterizzano (vd cap. successivo). I

risultati sperimentali discussi in questa tesi supportano ampiamente l’ipotesi

neuroprotettiva, descrivendo l’effetto del farmaco in una condizione in cui la

componente infiammatoria non è assolutamente coinvolta (vd cap. 4).

Sfortunatamente, esiste un gran numero di molecole che si mostrano

efficaci negli studi pre-clinici di ischemia ma che falliscono miseramente in

terapia (Wei et al., 2011). Nel 1999 sono state pubblicate le raccomandazioni della

Stroke Therapy Academic Industry Roundtable (STAIR) che contengono alcune linee-

guida su cui basare gli studi sull’ischemia, al fine di selezionare più rigorosamente

i farmaci da introdurre nella sperimentazione clinica. La sostanza neuroprotettiva

ideale dovrebbe essere efficace in due specie animali e almeno in due laboratori

differenti che utilizzino diversi modelli sperimentali di ischemia transiente e

permanente; il farmaco deve migliorare il quadro istologico e comportamentale e

il suo effetto deve mantenersi anche quando la somministrazione sia effettuata a

distanza di alcune ore dall’evento ischemico (STAIR, 1999). Il fingolimod,

indipendentemente da quale sia il meccanismo d’azione, sembra soddisfare i

requisiti minimi di efficacia e potrebbe, dunque, rappresentare un farmaco

rivoluzionario nel trattamento di una patologia estremamente diffusa e

limitatamente aggredibile.

 

67 

3.5 EFFETTI DEL FINGOLIMOD SULLA NEURODEGENERAZIONE

I gangliosidi, dei quali la sfingosina costituisce la principale componente

strutturale, sono sfingolipidi ampiamente presenti nelle membrane delle cellule

neuronali; la loro espressione varia nelle diverse regioni del SNC e si modifica

durante i processi di ontogenesi e di invecchiamento (Hagen et al., 2011; He et al.,

2010). Alcune patologie da accumulo lisosomiale sono caratterizzate dal deposito

di queste sostanze all’interno dei tessuti, tra i quali il SNC rappresenta una sede

elettiva: esempi sono la malattia di Tay-Sachs, la malattia di Sandhoff e la malattia

di Niemann-Pick di tipo A e B, caratterizzate da ritardo mentale, crisi convulsive,

demenza e progressiva disabilità neurologica nelle forme a esordio tardivo.

L’accumulo dei gangliosidi all’interno dei neuroni è in grado, dunque, di alterare

lo sviluppo del SNC e di causarne la progressiva degenerazione. Al di là delle rare

gangliosidosi genetiche, alterazioni nell’espressione e nella funzionalità degli

enzimi coinvolti nel metabolismo dei gangliosidi sono state dimostrate nella

malattia di Alzheimer (AD), suggerendo che gli intermedi metabolici di queste

complesse strutture lipidiche possano giocare un ruolo nei processi di

neurodegenerazione (Hagen et al., 2011). Dal punto di vista anatomopatologico,

l’AD è un’amiloidosi cerebrale (β-fibrillosi) caratterizzata dalla formazione di

placche amiloidi, in cui si evidenzia l’accumulo del peptide β-amiloide (Aβ) in

forma oligomerica, e di grovigli neurofibrillari costituiti dalla proteina τ

iperfosforilata. L’Aβ è considerata una molecola a significato patogenetico, in

grado di indurre apoptosi nei neuroni attraverso un meccanismo ancora

largamente sconosciuto (Hardy & Selkoe, 2002). In vitro, l’Aβ sembra innescare i

meccanismi di morte neuronale, in parte, alterando l’equilibrio tra la sintesi e la

degradazione della ceramide e della S1P (He et al., 2010), due molecole che

esercitano effetti opposti sulla sopravvivenza cellulare (vd cap. 1). Nel tessuto

 

68 

cerebrale dei pazienti affetti da AD, è stato dimostrato l’aumento dell’attività della

sfingomielinasi, enzima che idrolizza la sfingomielina e porta alla formazione

della ceramide, molecola ad attività pro-apoptotica. Al tempo stesso, i livelli

intracellulari di S1P risultano marcatamente ridotti, probabilmente a causa di

un’ipofunzionalità delle due isoforme di SphK (He et al., 2010). L’aumentata

attività catalitica della sfingomielinasi correla positivamente con l’accumulo di Aβ,

mentre la ceramide può, di per sé, aumentarne la produzione stabilizzando

l’attività della β-secretasi (BACE-1) (He et al., 2010).

La cis-4-metilsfingosina (cimes) è un analogo metabolicamente stabile della

sfingosina che, quando aggiunto in colture neuronali, viene rapidamente

fosforilato dalla SphK II e induce apoptosi. La cimes fosforilata si accumula

all’interno delle membrane del reticolo endoplasmatico (ER, dove la SphK II è

principalmente localizzata) e il suo signaling coinvolge diverse proteasi specifiche

dell’ER: la cimes attiva la caspasi-12 che, a sua volta, cliva la pro-caspasi-9 con un

meccanismo indipendente dalla funzionalità mitocondriale; l’attivazione della

caspasi-12 sembra essere catalizzata dalla calpaina, proteasi che,

conseguentemente all’innalzamento dei livelli intracellulari di Ca2+, indotto dalla

cimes, trasloca dal citosol all’ER. Oltre all’attivazione della caspasi-12, la calpaina

cliva la subunità regolatoria p35 della chinasi ciclina-dipendente di tipo 5

(CDK5), trasformandola in una proteina iperattiva. La CDK5 è fondamentale per

il corretto sviluppo del SNC ma la sua attivazione incontrollata caratterizza

diverse patologie neurodegenerative: la neurotossicità di questa chinasi sembra

essere mediata dall’iperfosforilazione della proteina τ e/o dalla riattivazione del

ciclo cellulare ed entrambi questi meccanismi sono indotti dal trattamento con la

cimes. L’accumulo di τ iperfosforilata caratterizza i grovigli neurofibrillari

dell’AD, mentre la riattivazione del ciclo cellulare nei neuroni e l’innesco del

pathway pro-apoptotico delle caspasi, in maniera mitocondrio-indipendente, sono

elementi caratteristici della tossicità indotta dal peptide Aβ (Copani et al., 2006;

Hagen et al., 2011). Così, il sistema della S1P potrebbe mediare diversi meccanismi

 

69 

neurodegenerativi, rappresentando l’elemento di connessione tra le alterazioni del

metabolismo dei gangliosidi e la morte neuronale.

Quae cum ita sint, la modulazione dei recettori S1PR potrebbe influire sulla

neurodegenerazione. A questo proposito, le evidenze partono da un’osservazione

clinica rilevante: il fingolimod riduce il tasso di atrofia cerebrale nei pazienti affetti

da RRMS, indipendentemente dall’attività della malattia (Barkhof et al., 2011). La

perdita di tessuto cerebrale, visibile agli esami di risonanza magnetica, interessa

sia la sostanza bianca sia la sostanza grigia e potrebbe rappresentare, almeno in

parte, il correlato macroscopico della degenerazione assonale e della morte

neuronale, conseguenti alla demielinizzazione (Chard et al., 2002). Così, l’atrofia

può essere interpretata come la manifestazione tangibile della progressione della

patologia, che risulta efficacemente contrastata dal farmaco.

Al fine di indagare gli effetti della molecola in diversi modelli di

neurodegenerazione e di caratterizzarne, laddove possibile, il meccanismo

d’azione, è necessario operare un percorso inverso rispetto al solito, passando

dalla clinica al laboratorio. La somministrazione orale giornaliera di FTY720

migliora, in maniera dose-dipendente, l’outcome neurologico degli animali

sottoposti a contusione del midollo spinale (SCI) (Norimatsu et al., 2012). Oltre al

danno immediato dovuto al trauma, lo SCI è caratterizzato da una complessa

cascata di eventi secondari che contribuiscono largamente alla degenerazione

tissutale e al progressivo deterioramento clinico. Questo insulto ‘secondario’,

costituito da alterazioni vascolari, ischemia, propagazione di radicali liberi,

eccitotossicità e infiammazione, è responsabile della necrosi e dell’apoptosi di

neuroni e glia, con conseguente demielinizzazione e danno assonale. L’effetto

protettivo del farmaco è diretto verso questi meccanismi, non potendo

ovviamente agire nei confronti dell’insulto fisico: il fingolimod riduce la

permeabilità vascolare, ostacola la formazione delle aree di gliosi reattiva ma non

sembra esercitare alcuna attività sull’infiltrato infiammatorio precoce e

sull’attivazione microgliale. Ciò suggerisce, in aggiunta al mantenimento

 

70 

dell’efficacia del farmaco in topi immunodeficienti, che il beneficio derivante dal

trattamento sia, almeno in parte, indipendente dall’azione immunomodulante,

rafforzando l’ipotesi di un effetto diretto nel SNC (Norimatsu et al., 2012).

 

Figura 3.5 – Il fingolimod riduce l’estensione dell’area di demielinizzazione dopo la

contusione del midollo spinale. In A: micrografie rappresentative di due sezioni midollari, colorate con l’eriocromo cianino, ottenute 28 a distanza di 28 giorni dalla lesione da animali trattati (+) o non trattati (-) con FTY720. La barra corrisponde a 500 µm. In B: quantificazione della rimielinizzazione nelle colonne dorsali, in aree craniali e caudali rispetto alla lesione, dopo il trattamento con il farmaco o in sua assenza. I valori sono espressi come medie ± S.E.M. **p<0.01 e ***p<0.001 vs. gli animali non trattati con FTY720 (analisi della varianza a due vie + test di Bonferroni).

Il fatto che il fingolimod non si sia mostrato efficace nel migliorare

l’andamento della patologia in una forma di EAE ‘secondariamente progressiva’

(Al-Izki et al., 2011) contrasta solo apparentemente con quanto finora esposto.

Se, infatti, il farmaco mantiene la capacità di contrastare la progressione quando

somministrato all’esordio clinico, la mancanza di un effetto neuroprotettivo della

terapia intrapresa tardivamente dimostra, seppur in maniera indiretta, che la sola

funzione immunomodulante del farmaco non è sufficiente a modificare la storia

naturale della malattia (Al-Izki et al., 2011). Se così non fosse, la neuroprotezione

 

71 

dovrebbe manifestarsi indipendentemente dal momento di inizio della

somministrazione, esattamente come avviene per l’effetto immunosoppressivo.

Tuttavia, nonostante la mole di lavori pubblicati e le speculazioni

scientifiche più o meno eleganti, è impossibile descrivere con precisione quale sia

il meccanismo d’azione alla base degli effetti protettivi del farmaco,

discriminando tra la componente antinfiammatoria e la neuroprotezione, se si

utilizzano unicamente modelli animali in vivo. Sebbene questi riproducano

abbastanza fedelmente gli aspetti peculiari della patologia umana, non si prestano

all’indagine dettagliata dei singoli effetti molecolari di una sostanza, giacché ricchi

di variabili difficilmente controllabili. Ferma restando la convinzione che siano

molteplici ed eterogenei i meccanismi che contribuiscono all’efficacia del

fingolimod verso i processi degenerativi del SNC, l’unica via per caratterizzare

l’esistenza di un suo effetto protettivo diretto sulle cellule neuronali è utilizzare

un modello in vitro in cui la componente neuroinfiammatoria non abbia alcuna

rilevanza. Considerando che sul dualismo tra questi due effetti si basano tutte le

critiche e gli scetticismi nei confronti della presunta azione anti-

neurodegenerativa del farmaco, dimostrare l’esistenza dell’uno

indipendentemente dall’altro significa fornire basi solide per successive

speculazioni che abbiano lo scopo di estendere l’applicazione clinica del

fingolimod ad altre patologie neurologiche (compresa, ovviamente, la sclerosi

multipla primariamente-progressiva). Tale è stato il fine che ci si è posto nel

disegnare il progetto di ricerca qui discusso, i cui risultati saranno oggetto del

quarto e ultimo capitolo di questa tesi sperimentale.

 

72 

CAPITOLO QUARTO

IL FINGOLIMOD PROTEGGE I NEURONI CORTICALI DALLA

MORTE ECCITOTOSSICA

«L’incertezza ha generato scompiglio».

V. MAJAKOVSKIJ, In morte di Esenin

Nella maggior parte delle patologie neurologiche, inclusa la sclerosi

multipla, il danno neuronale è in parte mediato dall’eccessiva stimolazione dei

recettori ionotropici del glutammato. Il glutammato è il principale

neurotrasmettitore eccitatorio e la sua interazione con i propri recettori media le

più importanti funzioni neurologiche, tra cui la memoria, l’apprendimento, le

capacità motorie e quelle sensoriali; inoltre, la trasmissione glutammatergica è

responsabile dei meccanismi di plasticità sinaptica. L’attivazione massiva dei

recettori al glutammato può, tuttavia, danneggiare o uccidere i neuroni attraverso

un meccanismo, definito eccitotossicità, che viene considerato comune a tutte le

condizioni neurodegenerative (Choi, 1988; Lipton & Rosenberg, 1994). Esistono tre

diversi recettori ionotropici del glutammato: AMPA, Kainato e NMDA1. Sebbene

l’attivazione degli AMPA possa contribuire, il danno eccitotossico è

                                                        

1 Tutti questi recettori prendono il nome dai propri ligandi: l’α-ammino-3-idrossi-5-metil-4-isossazolo propionato per gli AMPA, l’acido kainico per i kainato e l’N-metil-D-aspartato per gli NMDA. Si tratta di canali permeabili ai cationi e, sebbene gli eponimi derivino da altre molecole, l’endocoide è per tutti il glutammato.

 

73 

principalmente mediato dall’apertura dei canali NMDA, permeabili al Na+ e al

Ca2+ (Choi, 1985). L’aumento dell’influsso di Ca2+ all’interno della cellula, oltre ad

alterare il potenziale di membrana, esita nell’attivazione di alcuni enzimi, tra cui

fosfolipasi, proteasi, protein-fosfatasi, protein-chinasi C (PKC) e sintasi

dell’ossido nitrico (NOS). All’attivazione della fosfolipasi A2 (PLA2) segue la

formazione di acido arachidonico (AA) e dei suoi metaboliti: l’AA potenzia le

correnti NMDA e riduce il re-uptake di glutammato dagli astrociti; durante il

metabolismo dell’AA si generano radicali liberi che possono, a loro volta,

incrementare l’attività della PLA2, generando un circolo vizioso che alimenta la

tossicità e porta a morte il neurone per digestione enzimatica e perossidazione

delle membrane. Inoltre, l’ingresso di calcio può attivare le endonucleasi con

conseguente coartazione e frammentazione della cromatina, processo

caratteristico dell’apoptosi (Lipton & Rosenberg, 1994).

Giacché l’esposizione al glutammato può essere estremamente pericolosa

per le cellule neuronali e, al tempo stesso, la trasmissione glutammatergica è

fondamentale per il funzionamento del sistema nervoso, è necessario che esista

un meccanismo di controllo serrato delle concentrazioni extracellulari

dell’amminoacido. Il glutammato è largamente più concentrato nel citoplasma

(circa 10 mM) rispetto al liquido extracellulare (0.6 µM), grazie alla costante

attività dei trasportatori attivi e passivi: considerando che il rischio di danno

eccitotossico è elevato quando i livelli extracellulari salgono intorno a 2-5 µM,

minime variazioni nelle concentrazioni possono portare a conseguenze disastrose.

Inoltre, se ogni singola cellula contiene 10 mmol/litro di glutammato, la morte di

un solo neurone mette a rischio tutti i vicini, il che spiega il motivo per il quale

l’eccitotossicità rappresenta una forma di danno comune a tutte le lesioni del

sistema nervoso. La ridotta funzione dei trasportatori retrogradi (o il loro

funzionamento inverso) e il rilascio vescicolare dalle cellule vicine a quelle

danneggiate possono essere considerate ulteriori fonti di glutammato che si

accumula durante i processi patologici (Lipton & Rosenberg, 1994).

 

74 

Ciodetto, l’eccitotossicità in coltura è considerata un modello estremamente

utile per studiare la neurodegenerazione, giacché riproduce in vitro uno dei

principali meccanismi di morte neuronale (Choi et al., 1990; Choi, 1993; Bruno et al.,

2001). Inoltre, si tratta del modello più adatto per lo scopo di questa tesi, cioè

quello di dimostrare l’esistenza di un effetto neuroprotettivo del fingolimod

indipendente dall’immunomodulazione (vd capp. precedenti). Il coinvolgimento

dei recettori S1PR nella trasmissione sinaptica è suggerito dalla dimostrazione di

un loro ruolo nella regolazione dell’eccitabilità neuronale, nella trasmissione degli

stimoli sensitivi e nella modulazione della funzione e della plasticità sinaptica

nell’area CA3 dell’ippocampo (vd cap. 1 e relativa bibliografia). Dunque, un

farmaco che modula l’attività degli S1PR possiede le caratteristiche necessarie per

influenzare l’eccitotossicità.

In precedenza, è stato indagato l’effetto del fingolimod nei confronti della

tossicità neuronale indotta dall’esposizione al glutammato o al perossido

d’idrogeno e il farmaco sembra non esercitare alcuna protezione (Wei et al., 2011).

Si tratta, tuttavia, di un modello in cui la neurotossicità da glutammato (aggiunto a

concentrazioni di 100 µM in colture corticali) potrebbe non essere dovuta

all’attivazione dei recettori NMDA ma ad altri meccanismi, tra cui l’inversione

dell’antiporto glutammato/cistina con conseguente deplezione del glutatione

intracellulare e danno cellulare ossidativo (Albrecht et al., 2010). Dunque, si è

deciso di valutare l’efficacia di FTY720, FTY720-P e della S1P in colture corticali

miste murine (costituite da neuroni e glia) e in colture neuronali pure di topo e

ratto (costituite quasi esclusivamente da neuroni) esposte a concentrazioni

tossiche di N-metil-D-aspartato (NMDA), agonista ad alta affinità dei recettori

NMDA, da cui ne deriva l’eponimo stesso. L’attivazione massiva degli NMDA

esita con certezza nel danno eccitotossico, eliminando il bias della possibile

esistenza di meccanismi di tossicità alternativi. Le tre sostanze sono risultate

neuroprotettive quando aggiunte in coltura 18-20 ore prima del pulse eccitotossico

con NMDA e l’effetto sembra essere mediato dall’attivazione del recettore

 

75 

S1PR1, come dimostrato dall’utilizzo di un agonista selettivo e da sostanze che ne

bloccano il signaling. I risultati discussi in questa tesi offrono, dunque, la prima

dimostrazione dell’esistenza di un effetto protettivo, diretto sulle cellule

neuronali, esercitato dal fingolimod e dal suo metabolita attivo, il fingolimod

fosfato.

4.1 MATERIALI E METODI

FTY720 e FTY720-P sono stati gentilmente forniti da Novartis Pharma

(Basilea, Svizzera). La S1P e il W146, antagonista selettivo del recettore S1PR1,

sono stati acquistati da Avanti Polar Lipids (Alabaster, Alabama), mentre tutte le

altre sostanze sono state ottenute da Sigma-Aldrich (Milano).

Gli animali sono stati stabulati con un ritmo luce/buio di 14/10 ore, l’acqua

e il cibo sono stati forniti ad libitum. Tutti gli esperimenti sono stati condotti

secondo le normative italiane ed europee in materia di protezione degli animali

utilizzati ai fini sperimentali.

Colture di astrociti corticali

Le colture pure di astrociti sono state utilizzate per la realizzazione delle

colture corticali miste e per gli esperimenti effettuati con il mezzo condizionato

gliale. Le cortecce, ottenute da topi di ceppo CD1 a 1-3 giorni di vita post-natale,

sono state incubate per 15 minuti in tripsina immediatamente dopo la dissezione.

Successivamente, sono state centrifugate e piastrate su piastre da 24 pozzetti

ciascuna (Primaria, Falcon; Bredford, MA, USA) con una densità di due emisferi

per piastra, utilizzando un mezzo preparato con l’Eagle’s Minimum Essential

Medium (MEM) arricchito di glucosio (22 mM), NaHCO3 (28 mM) siero bovino

fetale (10%), siero equino (10%), glutammina (2mM) e penicillina/streptomicina

(100 U/ml - 100 µg/ml). Le colture sono state incubate a 37 °C in un’atmosfera

 

76 

umidificata contenente il 5% di CO2 e nutrite ogni 3-4 giorni con il MEM

arricchito finché non hanno raggiunto la confluenza, dopo circa 10-14 giorni in

vitro. Per gli esperimenti e per la successiva preparazione delle colture corticali

miste sono stati utilizzati esclusivamente astrociti confluenti.

Colture corticali miste

Le colture corticali miste, contenenti sia neuroni che astrociti, sono state

preparate utilizzando cortecce dissezionate da feti murini (ceppo CD1) al

14esimo-16esimo giorno di gestazione. Con una densità di 4 emisferi per piastra,

le cortecce sono state piastrate su piastre da 24 pozzetti ciascuna (Primaria,

Falcon; Bredford, MA, USA), contenenti uno strato di astrociti confluenti. Il

mezzo di piastratura utilizzato aveva la stessa composizione di quello descritto in

precedenza. Le colture sono state incubate a 37 °C in un’atmosfera umidificata

contenente il 5% di CO2 e, dopo 3-5 giorni in vitro, la crescita gliale è stata inibita

con l’aggiunta di citosina arabinoside (ARA-C, 5 µM). Il nutrimento delle cellule è

stato garantito cambiando il mezzo di coltura due volte a settimana, utilizzando

una soluzione identica a quella di piastratura ma priva del siero bovino fetale. Per

gli esperimenti sono state utilizzate esclusivamente colture mature, a 13-14 giorni

in vitro.

Colture pure di neuroni corticali

Le colture pure, contenenti quasi esclusivamente neuroni corticali, sono

state ottenute da topi o ratti al 15esimo giorno di vita intrauterina. Dopo la

dissezione, effettuata rapidamente in una soluzione priva di Ca2+ e Mg2+ e

contenente glucosio, saccarosio e NaHCO3, le cellule sono state piastrate su

dischi di 35 mm di diametro (Nunc, Rochestrer, NY) o su piastre da 24 pozzetti

(Falcon; Bredford, MA, USA) precedentemente ricoperti di poli-D-lisina (100

µg/ml) e laminina (2 µg/ml), con una densità di 2 x 106 cellule/disco o pozzetto.

I mezzi di piastratura erano costituiti da DMEM/Ham’s F12 (ratti) o da

 

77 

Neurobasal-A e B27 (topi), arricchiti dalle seguenti sostanze: albumina sierica

bovina (10 mg/ml), insulina (10 µg/ml), transferrina (100 µg/ml), putrescina

(100 µM), progesterone (20 nM), selenio (30 nM), glutammina (2 mM), glucosio

(6 mg/ml) e penicillina/streptomicina (100 U/ml - 100 µg/ml). L’ARA-C (5 µM)

è stata aggiunta 18 ore dopo la piastratura per evitare la proliferazione della glia

ed è stata mantenuta per 3 giorni prima del cambio di mezzo. Questo metodo ha

permesso la realizzazione di colture neuronali pure per il 99%, come dimostrato

dall’analisi immunocitochimica per la proteina gliale acida fibrillare (GFAP) e

dalla fluorocitometria per la proteina associata ai microtubuli di tipo 2, specifica

per i neuroni (per ulteriori dettagli, si rimanda a Copani et al., 1999).

Esposizione ai farmaci

Le colture corticali miste e neuronali pure sono state esposte a differenti

concentrazioni di NMDA disciolto, a temperatura ambiente, in una soluzione

tampone realizzata con l’acido 4-2-idrossietil-1-piperazinil-etansolfonico

(HEPES) e contenente le seguenti sostanze: NaCl (120 mM), KCl (5.4 mM),

MgCl2 (0.8 mM), CaCl2 (1.8 mM), HEPES (20 mM) e glucosio (15 mM). Dopo

10 minuti dall’aggiunta di NMDA, le cellule sono state lavate con il MEM

arricchito di glucosio (22 mM) e di NaHCO3 (28 mM) e incubate a 37 °C per le

successive 20 ore.

Nella maggior parte degli esperimenti, la S1P, FTY720, FTY720-P e/o

W146, 8-Br-cAMP (analogo non metabolizzabile del cAMP), LY294002

(inibitore della via della PI3K), PD98059 (inibitore della via delle MAPK) sono

stati aggiunti in coltura 18-20 ore prima del pulse eccitotossico e lavati via

immediatamente prima dell’aggiunta di NMDA. In altri casi, le cellule sono state

esposte a FTY720 e FTY720-P durante il pulse o, in alternativa, subito dopo,

rimanendo nel mezzo per le successive 20 ore. La tossina della pertosse (PTX,

inibitore del signaling delle proteine Gi) è stata aggiunta alle colture 12 ore prima

della S1P, FTY720 e FTY720-P.

 

78 

In alcuni esperimenti, le colture di astrociti confluenti sono state trattate per

30 minuti con FTY720-P (1 µM), con successivo estensivo lavaggio del farmaco.

Diciotto ore dopo, il mezzo condizionato gliale (GCM) è stato raccolto e

immediatamente trasferito nelle colture corticali miste, 18 ore prima o

immediatamente dopo l’aggiunta di NMDA.

Valutazione della morte neuronale

Nelle colture corticali miste, il danno neuronale è stato valutato 20 ore dopo

il pulse eccitotossico attraverso la misurazione dei livelli di lattato deidrogenasi

(LDH) nel mezzo, utilizzando un kit disponibile in commercio (Roche

Diagnostic GmbH, Mannheim, Germany) e, dopo la colorazione con trypan blue,

esaminando le cellule con il microscopio a contrasto di fase (20x).

Per quanto riguarda le colture pure, la morte neuronale è stata quantificata,

sempre a distanza di 20 ore, con il saggio colorimetrico MTT: le cellule sono state

incubate con 0.9 mg/ml di bromuro di 3-(4,5-dimetiltiazol-2-il)-2,5-

difeniltetrazolio (MTT) per 2 ore a 37 °C e, successivamente, è stata aggiunta una

soluzione al 20% di dodecilsolfato di sodio, mantenuta per un’ora nel mezzo. La

formazione di formazano è stata valutata tramite un lettore, con un’assorbanza di

560 nm.

Misurazione del livelli di cAMP nelle cellule

Le colture corticali miste, pre-trattate con la S1P, FTY720 e FTY720-P per

18 ore a concentrazioni di 1 µM, sono state lavate due volte con la soluzione di

Locke (154 mM NaCl, 5.6 mM glucosio, 5 mM HEPES, 1.3 mM CaCl2, 3.6 mM

NaHCO3, a pH 7.4) e incubate per 20 minuti con 0.5 mM di IBMX, inibitore

delle fosfodiesterasi. Successivamente, le cellule sono state esposte al forskolin 10

µM e, laddove necessario, FTY720-P è stato aggiunto un minuto prima.

L’incubazione è stata interrotta tramite l’aggiunta di PCA 0.4 N. Le cellule sono

poi state distaccate meccanicamente dai pozzetti, esposte agli ultrasuoni,

 

79 

centrifugate e il sovranatante è stato conservato a -20 °C. Il giorno in cui è stato

effettuato il saggio, il PCA è stato neutralizzato con il carbonato di potassio e i

livelli di cAMP sono stati misurati attraverso un saggio radio-immunologico

(Perkin Elmer, Milano).

4.2 RISULTATI

FTY720, FTY720-P e la S1P sono neuroprotettivi in colture corticali miste

Le colture, ottenute piastrando i neuroni su un monostrato di astrociti

confluenti, sono state trattate per 10 minuti con NMDA e la morte neuronale è

stata quantificata 20 ore dopo: l’analisi microscopica dopo colorazione con trypan

blue ha mostrato che l’eccitotossina ha ucciso i neuroni lasciando intatti gli

astrociti. L’effetto tossico del NMDA è risultato concentrazione-dipendente, con

una EC50 intorno a 70 µM, ed è stato completamente abolito dalla co-

applicazione del MK-810 (1 µM), antagonista dei recettori NMDA, dimostrando

inequivocabilmente che la morte neuronale è stata causata da un’attivazione

recettoriale massiva. Per ottenere una tossicità che coinvolgesse il 70-80% dei

neuroni in coltura, NMDA è stato utilizzato a concentrazioni di 100 µM.

Quando il fingolimod, il fingolimod fosfato e la S1P sono stati aggiunti 18-

20 ore prima del pulse eccitotossico e lavati via immediatamente prima

dell’applicazione di NMDA, hanno mostrato un effetto neuroprotettivo.

L’efficacia di FTY720 e FTY720-P ha dimostrato un andamento concentrazione-

dipendente, raggiungendo il plateau a 10 nM; la S1P è risultata inattiva a

concentrazioni intorno a 1 nM, mostrandosi ugualmente efficace ma meno

potente degli altri farmaci (Fig. 4.1A-C). Tra tutti, FTY720-P si è mostrato in

grado di proteggere i neuroni corticali quando applicato 30 minuti, 1 ora o 18 ore

 

80 

prima dell’aggiunta di NMDA, mentre ha perso progressivamente la sua efficacia

all’incrementare delle concentrazioni dell’eccitotossina (Fig. 4.1E).

 

Figura 4.1 – Il pre-trattamento delle colture con S1P, FTY720 e FTY720-P protegge i neuroni

dalla morte eccitotossica. In A e C, i farmaci sono stati applicati 18-20 ore prima dell’aggiunta di NMDA 100 µM e sono stati estensivamente lavati via prima del pulse eccitotossico; in D, FTY720-P è stato aggiunto 30 minuti, 1 ora o 18 ore prima di NMDA; in E, FTY720-P (sempre in pre-trattamento per 18 ore) è stato utilizzato contro NMDA a concentrazioni crescenti. I valori sono espressi in % di tossicità da NMDA e rappresentano le medie ± S.E.M. di 6-9 determinazioni da 2-3 esperimenti indipendenti. *p<0.05 vs. il rispettivo controllo (Ctrl) (analisi della varianza a una via + PLSD di Fischer in A e D; test t di Student in E). La tossicità è stata quantificata valutando i livelli di LDH nel mezzo.

In altri esperimenti, FTY720 e FTY720-P sono stati combinati con NMDA

per la durata del pulse eccitotossico o, alternativamente, aggiunti in coltura subito

 

81 

dopo e mantenuti nel mezzo per le successive 20 ore. In entrambe le condizioni,

il fingolimod fosfato ha mantenuto la sua attività neuroprotettiva, seppure con

un’efficacia inferiore (circa il 20-40% di protezione) rispetto alle condizioni

esposte in precedenza (Fig. 4.2). Al contrario, FTY720 non si è mostrato

protettivo (Fig. 4.2).

 

Per tentare di caratterizzare il meccanismo d’azione, si è deciso di utilizzare i

farmaci nelle condizioni in cui avessero mostrato l’efficacia maggiore: FTY720,

FTY720-P o la S1P sono dunque stati aggiunti 18-20 ore prima dell’applicazione

Figura 4.2 – Solo la forma fosforilata del fingolimod è neuroprotettiva quando applicata durante o

immediatamente dopo l’aggiunta di NMDA. FTY720 e FTY720-P sono stati aggiunti alle colture durante i 10 minuti di pulse eccitotossico e poi lavati via estensivamente (A) o, in alternativa, immediatamente dopo il pulse e mantenuti nel mezzo per le successive 20 ore (B). I valori sono espressi in % di tossicità da NMDA e rappresentano le medie ± S.E.M. di 6-9 determinazioni da 2-3 esperimenti indipendenti. *p<0.05 vs. il rispettivo controllo (Ctrl) (analisi della varianza a una via + PLSD di Fischer).

 

82 

di NMDA. La neuroprotezione sembra essere mediata dai recettori S1PR, giacché

è risultata largamente attenuata dalla PTX (10 ng/ml, applicata 12 ore prima dei

farmaci), sostanza in grado di abolire il signaling dei recettori accoppiati a proteine

Gi (Fig. 4.3A). Inoltre, l’antagonista selettivo di S1PR1 (W146) ha amplificato, di

per sé, la tossicità indotta da NMDA ed ha abrogato l’effetto protettivo dei

farmaci (Fig. 4.3B). Tutto ciò suggerisce che la neuroprotezione sia dovuta

all’attivazione dei recettori della S1P. A seconda del contesto, della dose e del

tempo di esposizione, il fingolimod fosfato può attivare gli S1PR o comportarsi

da antagonista funzionale, inducendone la desensibilizzazione (vd cap. 2). Nel

nostro caso, l’esposizione delle cellule per 18 ore alla S1P, a FTY720 e a FTY720-

P non ha alterato la capacità dei recettori di inibire la formazione di cAMP

stimolata dal forskolin (pathway canonico delle proteine Gi, come descritto nel

cap. 1) (Fig. 4.4), suggerendo l’assenza di un meccanismo di desensibilizzazione.

Questi dati, combinati con l’effetto tossico di W146, indicano che sia l’attivazione

dei recettori (e non la desensibilizzazione) a mediare l’effetto neuroprotettivo dei

farmaci.

 

Figura 4.3 – La neuroprotezione dei farmaci è attenuata dalla tossina della pertosse (PTX) e

richiede l’attivazione dei recettori S1PR. In A, le colture sono state pre-trattate con la PTX per 12 ore e successivamente incubate con la S1P, FTY720 e FTY720-P (tutti 1 µM) 18 ore prima del pulse eccitotossico. In B, W146 è stato applicato 30 minuti prima della S1P, di FTY720 e di FTY720-P. I valori sono espressi in % di tossicità da NMDA e rappresentano le medie ± S.E.M. di 6 (A) o 9 (B)

 

83 

determinazioni da 2-3 esperimenti indipendenti. p<0.05 (analisi della varianza a una via + PLSD di Fischer) vs. i rispettivi valori di controllo (Ctrl) (*) o vs. i valori rispettivi ottenuti in assenza di W146 (#).

Gli S1PR sono accoppiati a diverse vie di signaling intracellulare, tra cui

l’inibizione dell’attività dell’adenilato ciclasi e l’attivazione delle vie delle MAPK e

della PI3K (vd cap. 1). Per esaminare il coinvolgimento di questi pathway nel

meccanismo di protezione, le colture sono state trattate per 18 ore con FTY720-

P in presenza di un analogo non metabolizzabile del cAMP (8-Br-cAMP, 0.5

mM), di un inibitore della MAPK (PD98059, 10 µM) oppure di LY294002 (1

µM), inibitore della PI3K. 8-Br-cAMP si è mostrato debolmente protettivo di per

sé e non ha influenzato l’effetto del farmaco, mentre LY294002 e PD98059 ne

hanno abolito l’efficacia, suggerendo un coinvolgimento delle due principali vie di

protezione cellulare (Fig. 4.5).

 

Figura 4.4 – Il trattamento con la S1P, FTY720 e FTY720-P non induce la desensibilizzazione del

recettore S1PR1. Le colture sono state trattate con i farmaci per 18 ore e il signaling del recettore è stato valutato misurando l’abilità di FTY720-P di inibire la formazione di cAMP stimolata dal forskolin. I valori sono espressi come medie ± S.E.M. di 6 determinazioni da 2 esperimenti individuali. *p<0.05 (analisi della varianza a una via + PLSD di Fischer) vs. i rispettivi valori di controllo (Ctrl), ottenuti dalle colture non trattate con i farmaci.

 

84 

 

Figura 4.5 – La neuroprotezione di FTY720-P è mediata dall’attivazione della via delle MAPK e

della PI3K. FTY720-P e/o 8-Br-cAMP, LY294002 o PD98059 sono stati applicati alle colture 18 ore prima del NMDA. I valori sono espressi come medie ± S.E.M. di 6 determinazioni da 2 esperimenti individuali. p<0.05 (analisi della varianza a una via + PLSD di Fischer) vs. i rispettivi valori di controllo (Ctrl) (*) o vs. i rispettivi valori ottenuti in assenza di FTY720-P (ad esempio, NMDA+FTY720-P vs. NMDA da solo e NMDA+FTY720-P+8-Br-cAMP vs. NMDA+8-Br-cAMP) (#).

La neuroprotezione del fingolimod fosfato non dipende da un meccanismo di interazione glia-

neuroni

Per indagare il ruolo dei recettori S1PR espressi dalla glia nell’effetto

protettivo del fingolimod, le colture pure di astrociti sono state trattate con

FTY720-P o con il suo veicolo2 per 30 minuti. In seguito, il farmaco è stato

lavato via e le cellule sono state incubate per 18 ore nel MEM arricchito di

glucosio e di NaHCO3. Il mezzo di coltura così ottenuto (mezzo condizionato

gliale, GCM) è stato poi trasferito nelle colture corticali miste e mantenuto per 18

ore prima dell’aggiunta di NMDA o, in alternativa, è stato applicato subito dopo

il pulse eccitotossico e mantenuto per le successive 20 ore. Quando aggiunto

prima del NMDA, il GCM non è risultato protettivo verso l’eccitotossicità,

indipendentemente dalla sua provenienza: in altre parole, il trattamento degli

                                                        

2  FTY720-P è stato sciolto in dimetilsulfossido e HCl: per garantire l’uniformità delle condizioni sperimentali, tutte le cellule sono state esposte a questa soluzione (veicolo), con o senza il farmaco.

 

85 

astrociti con il farmaco non ha esercitato alcuna protezione sui neuroni (Fig. 4.6).

Nel caso dell’applicazione successiva al pulse, il mezzo raccolto dalle colture

astrocitarie di controllo si è mostrato lievemente protettivo, esattamente come lo

è stato quello proveniente dalle cellule trattate con FTY720-P (Fig. 4.6),

suggerendo che la neuroprotezione del farmaco non dipende da un meccanismo

di interazione glia-neuroni.

 

Figura 4.6 – L’effetto protettivo del fingolimod fosfato non richiede un meccanismo di

interazione glia-neuroni. FTY720-P è stato applicato agli astrociti in coltura per 30 minuti e poi lavato via estensivamente. Il mezzo condizionato gliale (GCM), prelevato 18 ore più tardi, è stato trasferito nelle colture corticali miste 18 ore prima (Pre-NMDA) o immediatamente dopo (Post-NMDA) il pulse eccitotossico. I valori sono espressi come medie ± S.E.M. di 6 determinazioni da 2 esperimenti individuali. *p<0.05 (analisi della varianza a una via + PLSD di Fischer) vs. i rispettivi valori ottenuti nelle colture non trattate con il GCM (Ctrl).

FTY720 e FTY720-P sono protettivi in colture pure di neuroni corticali

Lo studio è stato esteso alle colture neuronali pure di topo e di ratto

trattate, rispettivamente, con 45 e 300 µM di NMDA per 10 minuti: queste

concentrazioni di eccitotossina hanno garantito una vasta morte neuronale,

quantificata sia attraverso il saggio MTT, sia misurando i livelli di LDH nel

mezzo. Il pre-trattamento con FTY720-P (1 µM) per 18 ore ha protetto i neuroni

corticali murini dalla morte eccitotossica (Fig. 4.7A) e un livello di

 

86 

neuroprotezione simile è stato garantito, con gli stessi tempi di esposizione, da

FTY720 e FTY720-P nei neuroni di ratto (Fig. 4.7B). In entrambi i casi, l’effetto

è stato abolito dalla co-applicazione di W146 che, ancora una volta, è risultato

leggermente tossico di per sé (Fig. 4.7B).

 

Figura 4.7 – Il pre-trattamento delle colture neuronali pure con FTY720 e FTY720-P protegge

dall’eccitotossicità. I farmaci sono stati aggiunti alle colture 18 ore prima dell’applicazione di NMDA 45 µM (colture murine, A) o 300 µM (colture di ratto, B) ed estensivamente lavati via subito prima del pulse. I valori, espressi come % di tossicità da NMDA, rappresentano le medie ± S.E.M. di 9 determinazioni da 3 esperimenti indipendenti. In A, p<0.05 (test t di Student) vs. i rispettivi controlli (Ctrl) ottenuti in assenza di FTY720-P; in B, p<0.05 (analisi della varianza a una via + PLSD di Fischer) vs. i rispettivi controlli (Ctrl) ottenuti in assenza di FTY720 e FTY720-P (*) o vs. i valori basali ottenuti in assenza di W146 (#). La tossicità è stata valutata tramite il saggio MTT e la misurazione dei valori di LDH nel mezzo.

4.3 DISCUSSIONE

I risultati descritti offrono la prima dimostrazione diretta di un effetto

neuroprotettivo del fingolimod e del suo metabolita attivo nei confronti della

morte eccitotossica, un processo che contribuisce ampiamente alla fisiopatologia

delle malattie neurodegenerative acute e croniche (vd l’introduzione al presente

capitolo e la relativa bibliografia). Nella maggior parte degli esperimenti, sono

state utilizzate le colture corticali miste, un modello in vitro che preserva

 

87 

l’interazione fisiologica tra neuroni e astrociti e che risulta ampiamente utilizzato

per lo studio dell’eccitotossicità (Bruno et al., 2001; Choi et al., 1990; Choi, 1993).

Esponendo le cellule a NMDA per 10 minuti e valutando la morte neuronale a

distanza di 20 ore, si è potuta condurre un’analisi dei meccanismi di

neuroprotezione agenti prima, durante o dopo il pulse eccitotossico. FTY720,

FTY720-P e la S1P non hanno mai amplificato la tossicità da NMDA,

indipendentemente dalle concentrazioni e dalla tempistica di esposizione. Al

contrario, tutti i farmaci si sono mostrati altamente protettivi quando applicati 18-

20 ore prima dell’aggiunta dell’eccitotossina.

Il fingolimod è convertito in fingolimod fosfato dalla SphK II ed è

ampiamente dimostrato che la maggior parte degli effetti biologici del farmaco sia

mediata dalla sua forma fosforilata (vd cap. 2): FTY720-P interagisce con 4 dei 5

recettori S1PR, come discusso in precedenza. Nelle nostre condizioni, la

neuroprotezione sembra essere largamente mediata dai recettori della S1P,

giacché è risultata attenuata dalla somministrazione della PTX e abrogata da

W146, antagonista selettivo di S1PR1. Il coinvolgimento degli S1PR correla

perfettamente con la ridotta potenza della S1P rispetto agli altri farmaci,

considerandone la minore affinità nei confronti dei recettori (Brinkmann et al.,

2002).

Tuttavia, esiste la possibilità che altri meccanismi, indipendenti dagli S1PR,

possano contribuire all’efficacia dei farmaci. Ad esempio, alte concentrazioni di

FTY720 possono agire direttamente all’interno della cellula, regolando il

metabolismo della ceramide (Berdyshev et al., 2009) e inibendo l’attività della PLA2

(Payne et al., 2007). Inoltre, la S1P è in grado di inibire le istone deacetilasi (Hait et

al., 2009), interferendo con i processi eccitotossici (Leng & Chuang, 2006; Leng et

al., 2008; Ma & D’Mello, 2011; Meisel et al., 2006). Sebbene gli esperimenti descritti

in questa tesi non siano stati disegnati in modo da esplorare gli effetti non

recettoriali dei composti in esame, il reclutamento di meccanismi intracellulari

potrebbe spiegare il particolare andamento a U rovesciata della curva dose-

 

88 

risposta di FTY720, che mostra una perdita parziale dell’efficacia neuroprotettiva

a concentrazioni maggiori di 100 nM (vd Fig. 4.1A).

Per ciò che riguarda il meccanismo d’azione, una questione importante

riguarda il dualismo attivazione-desensibilizzazione recettoriale, il quale

caratterizza la farmacodinamica del fingolimod. Fisiologicamente, gli S1PR sono

attivati da basse concentrazioni di S1P (nell’ambito del nM), mentre risultano

desensibilizzati quando salgono i livelli della molecola: questo meccanismo è

critico nella regolazione dell’egresso linfocitario dai linfonodi e dagli altri organi

linfoidi secondari. FTY720-P agisce da super-agonista (o antagonista funzionale)

dei recettori S1PR, bloccando l’uscita dei linfociti attraverso la desensibilizzazione

di S1PR1 (vd capp. 1 e 2). Tuttavia, la desensibilizzazione di un recettore è

efficace nel bloccarne il signaling solo in condizioni di bassa riserva recettoriale e,

al tempo stesso, esistono numerose evidenze in letteratura di effetti farmacologici

del fingolimod mediati dall’attivazione degli S1PR (vd capp. 2 e 3). Nelle nostre

condizioni, il pre-trattamento con FTY720, FTY720-P e con la S1P non ha

desensibilizzato i recettori, giacché l’inibizione della sintesi del cAMP, via

canonica di trasduzione del segnale degli S1PR, è stata mantenuta durante la

somministrazione dei farmaci; inoltre, l’antagonista selettivo del S1PR1 (W146) si

è mostrato in grado di inibirne l’effetto protettivo. È logico, dunque, concludere

che la neuroprotezione rappresenti una diretta conseguenza dell’attivazione dei

recettori della S1P, almeno nel contesto sperimentale in cui si è operato. Infine,

l’amplificazione della tossicità da NMDA esercitata da W146 suggerisce che la

S1P endogena sia in grado proteggere dalla morte neuronale eccitotossica,

sebbene non possa essere esclusa la presenza di un effetto off target del farmaco.

Nel tentativo di identificare le vie intracellulari responsabili dell’azione

neuroprotettiva, ci si è focalizzati sull’inibizione dell’adenilato ciclasi e

sull’attivazione delle vie delle MAPK e della PI3K. L’inibizione della formazione

di cAMP non sembra avere alcun ruolo, considerando che l’8-Br-cAMP non ha

influenzato l’effetto di FTY720-P. Al contrario, questo è stato abolito

 

89 

dall’inibizione farmacologica delle altre due cascate di trasduzione, le quali

rappresentano le più importanti vie di protezione nella maggior parte delle cellule,

inclusi i neuroni.

FTY720 e FTY720-P sono stati aggiunti alle colture a tempi differenti

rispetto al pulse eccitotossico, con lo scopo di definire la finestra temporale

dell’effetto protettivo. La forma fosforilata del farmaco ha mantenuto la sua

efficacia sia in pre- che in post-trattamento, mentre FTY720 non ha esibito

alcuna azione protettiva quando è stato applicato durante o immediatamente

dopo l’aggiunta di NMDA (cfr Wei et al., 2011). A questo proposito, è noto che i

neuroni in coltura possono essere protetti dagli antagonisti dei recettori NMDA

fino a trenta minuti dopo l’applicazione dell’eccitotossina (Hartley & Choi, 1989),

suggerendo che il glutammato endogeno possa continuare ad attivare i propri

recettori in questa finestra temporale, contribuendo alla morte neuronale. Così, la

protezione risulta massima quando l’attivazione degli S1PR precede il pulse

eccitotossico, mentre un’ampia frazione della tossicità resta incontrastata quando

i farmaci sono aggiunti più tardivamente. Questa ipotesi spiegherebbe anche la

ridotta efficacia del fingolimod rispetto al suo metabolita attivo, considerando il

tempo necessario affinché FTY720 sia forsforilato all’interno della cellula e,

successivamente, trasportato all’esterno per poter attivare i recettori. Ovviamente,

tutto ciò resta sul piano speculativo e richiede ulteriori studi sperimentali per

poter essere dimostrato inequivocabilmente.

Come già trattato nel capitolo precedente, gli S1PR espressi dagli astrociti

giocano un ruolo chiave nel determinare l’efficacia terapeutica del fingolimod in

un modello di EAE, mentre i recettori neuronali non sembrano essere coinvolti

(Choi et al., 2011). Negli astrociti, la S1P stimola la produzione di NGF e GDNF

(Furukawa et al., 2007; Yamagata et al., 2003), molecole note per la loro capacità di

proteggere le cellule neuronali dall’eccitotossicità (Frim et al., 1993; Kume et al.,

2000; Lam et al., 1998; Mattson et al., 1995; Nicole et al., 2001; Shimohama et al., 2003;

Wong et al., 2005). Dunque, si è deciso di indagare se i recettori gliali della S1P

 

90 

fossero coinvolti nei meccanismi di neuroprotezione dei farmaci in esame:

FTY720 e FTY720-P si sono mostrati in grado di proteggere i neuroni in colture

pure, in assenza degli astrociti; i mezzi condizionati prelevati dalle colture

astrocitarie di controllo e da quelle trattate con il fingolimod fosfato si sono

mostrati ugualmente neuroprotettivi. Di conseguenza, si può concludere che

l’efficacia dei farmaci dipende, almeno in parte, dal coinvolgimento degli S1PR

espressi dai neuroni. Per dar forza a questa ipotesi, sarebbe utile indagare l’effetto

delle sostanze in colture miste ottenute da animali ko condizionali per gli S1PR

nei neuroni o negli astrociti.

4.4 CONCLUSIONI

L’esistenza di un effetto neuroprotettivo in un modello in vitro di

neurodegenerazione suggerisce la possibilità che il fingolimod possa contrastare

l’andamento naturale delle patologie neurologiche, indipendentemente dalla sua

azione immunomodulante. Considerando l’importanza dei processi degenerativi

del SNC nell’evoluzione della sclerosi multipla, si potrebbe trattare del primo

farmaco, disponibile in commercio, in grado di modificare profondamente la

storia naturale della malattia, ostacolando l’instaurarsi e il progredire della

disabilità neurologica irreversibile. Inoltre, il fingolimod potrebbe essere efficace

nella forma di sclerosi multipla primariamente-progressiva, caratterizzata da una

quota imponente di neurodegenerazione e da una scarsissima risposta terapeutica

ai farmaci normalmente utilizzati nella RRMS.

Gli studi sul sistema della S1P sono ancora in fase iniziale e, sebbene la

letteratura sia particolarmente vasta, siamo ancora lontani dalla caratterizzazione

molecolare di tutti i suoi effetti, soprattutto nel SNC. Si tratta, infatti, di un

sistema strutturalmente complesso (i lipidi sono sostanze difficili da studiare,

 

91 

anche dal punto di vista strettamente tecnico), il cui particolare meccanismo di

signaling sembra essere coinvolto in un gruppo estremamente eterogeneo di

processi cellulari, sebbene la sua funzione sia stata descritta in tempi

relativamente recenti. Ciò conduce a un’enorme produzione di dati sperimentali

la cui interpretazione, viziata dalla scarsa conoscenza del sistema, porta a risultati

spesso fortemente contrastanti tra loro.

In questo quadro di incertezza si colloca la farmacologia del fingolimod, la

cui descrizione dettagliata risulta ampiamente indaginosa e, per il momento,

largamente incompleta: per questo motivo, tutto ciò che riguarda il meccanismo

d’azione, nel nostro studio sperimentale, resta a un livello puramente speculativo.

Tuttavia, quel che è certo è che il farmaco ha dimostrato la capacità di proteggere

i neuroni in un modello che ricostruisce in vitro un meccanismo fisiopatologico

fondamentale nelle patologie neurodegenerative. Questo dato, unito alle

incoraggianti evidenze provenienti dagli studi effettuati sui modelli animali e dalla

sperimentazione clinica, getta le basi per la sua possibile applicazione terapeutica

in malattie che risultano spesso resistenti ai pochi presidi terapeutici disponibili in

commercio. Considerando l’ottimo profilo di tollerabilità, e mantenendo il giusto

riserbo sulla sicurezza in attesa di informazioni più dettagliate di

farmacovigilanza, il fingolimod rappresenta, ad oggi, il farmaco più promettente

in ambito neurologico.

 

92 

RINGRAZIAMENTI

Lo studio sperimentale discusso in questa tesi è stato svolto interamente

all’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli (IS), di cui desidero ringraziare la direzione

scientifica per avermi permesso di lavorare, senza vincolo alcuno, all’interno dei

suoi laboratorî.

Grazie al Prof. Carlo Pozzilli per avermi accettato come suo tesista e per avermi

dato la possibilità di frequentare a lungo gli ambulatori del suo Centro Sclerosi

Multipla.

Grazie al mio Maestro, il Prof. Ferdinando Nicoletti, per avermi fatto innamorare

della ricerca, perché dalle sue lezioni ho capito quale sarebbe stato il mio futuro.

Grazie ai Professori Giuseppe Battaglia e Valeria Bruno per avermi accolto nel

loro gruppo di ricerca.

Grazie a Ciccio, Matteo, Fabio e Martina per l’amicizia e l’ospitalità, per i consigli,

per gli articoli dei giornali locali, per le corse verso Roccapipirozzi, per le serate

passate, tra pizza e birra, a combattere la noia di un piccolo paese nella provincia

più sperduta d’Italia.

Grazie a Mara, di cui invidio lo straordinario talento, per aver curato la copertina.

E grazie, infinitamente grazie a Gemma e Luisa che, semplicemente, mi hanno

insegnato tutto.

 

93 

BIBLIOGRAFIA

Adachi K, Chiba K (2007) FTY720 story. Its discovery and accelerated development of sphingosine-1-

phosphate agonists as immunomodulators based on reverse pharmacology. Perspect. Medicine Chem. 6, 11-

23.

Akahoshi N, Yshizaki Y, Yasuda H, Murashima YL, Shinba T, Goto K, Himi T, Chun J, Ishii I (2011)

Frequent spontaneous seizures followed by spatial working memory/anxiety deficits in mice lacking

sphingosine-1-phosphate receptor 2. Epilepsy Behav. 22, 659-665.

Aktas O, Küry P, Kieseier B, Harung HP (2010) Fingolimod is a potential novel therapy for multiple

sclerosis. Nat. Rev. Neurol. 6, 373-382.

Al-Izki S, Pryce G, Jackson SJ, Giovannoni G, Baker D (2011) Immunosuppression with FTY720 is

insufficient to prevent secondary progressive neurodegeneration in experimental autoimmune

encephalomyelitis. Mult. Scler. 17, 939-948.

Albrecht P, Lewerenz J, Dittmer S, Noack R, Maher P, Methner, A (2010) Mechanisms of oxydative

glutamate toxicity: the glutamate/cystine antiporter system xc- as a neuroprotective drug target. CNS

Neurol. Disord. Drug Targets 9, 373-382.

Barkhof F, Cohen J, Montalbàn X, Comi G, Zhang-Auberson L, Holdbrook F, Francis G, de Vera A

(2011) Fingolimod (FTY720) reduces brain volume loss over 12 months compared with intramuscolar

interferon beta-1a: subgroup analyses of TRSFORMS data based on inflammatory disease activity. 5th

Joint triennal congress of the European and Americas Committees for treatment and Research in Multiple Sclerosis.

Amsterdam, The Netherlands 2011.

Bassi R, Anelli V, Giussani P, Tettamanti G, Viani P, Riboni L (2006) Sphingosine-1-phosphate is

released by cerebellar astrocytes in response to bFGF and induces astrocyte proliferation through Gi-

protein-coupled receptors. Glia 53, 621-630.

Baumruker T, Bomancin F, Billich A (2005) The role of sphingosine and ceramide kinases in

inflammatory response. Immunol. Lett. 96, 175-185.

 

94 

Berdyshev EV, Gorshkova I, Skobeleva A, Bittman R, Lu X, Dudek SM, Mirzapoiazova T, Garcia JG,

Natarajan V (2009) FTY720 inhibits ceramide synthases and up-regulates dihydrosphingosine-1-

phosphate formation in human lung endothelial cells. J. Biol. Chem. 284, 5467-5477.

Brinkmann V, Davis MD, Heise CE, Albert R, Cottens S, Holf R, Bruns C, Prieschl E, Baumruker T,

Hiestand P, Foster CA, Zollinger M, Lynch KR (2002) The immune modulator FTY720 targets

sphingosine-1-phosphate receptors. J. Biol. Chem. 277, 21453-21457.

Brinkmann V (2009) FTY720 (fingolimod) in multiple sclerosis: therapeutic effects in the immune and

central nervous system. Br. J. Pharmacol. 158, 1173-1182.

Bruno V, Battaglia G, Copani A, D’Onofrio M, Di Iorio P, De Blasi A, Melchiorri D, Flor PJ, Nicoletti F

(2001) Metabotropic glutamate receptor subtypes as targets for neuroprotective drugs. J. Cereb. Blood Flow

Metab. 21, 1013-1033.

Chard DT, Griffin CM, Parker GJM, Kapoor R, Thompson AJ, Miller DH (2002) Brain atrophy in

clinically early relapsing-remitting multiple sclerosis. Brain 125, 327-337.

Chi XX and Nicol GD (2010) The sphingosine-1-phosphate receptor, S1PR1, plays a prominent but not

exclusive role in enhancing the excitability of sensory neurons. J. Neurophysiol. 104, 2741-2748.

Choi DW (1988) Glutamate neurotoxicity and diseases of the nervous system. Neuron 1, 623-634.

Choi DW (1985) Glutamate neurotoxicity in cortical cell cultures is calcium dependent. Neurosci. Lett. 58,

293-297.

Choi DW, Monyer H, Giffard RG, Goldberg MP, Christine CW (1990) Acute brain injury, NMDA

receptors, and hydrogen ions: observations in cortical cell cultures. Adv, Exp. Med. Biol. 268, 501-504.

Choi DW (1993) NMDA receptors and AMPA/Kainate recepors mediate parallel injury in cerebral

cortical cultures subjected to oxygen-glucose deprivation. Prog. Brain Res. 96, 137-143.

Choi JW, Gardell SE, Herr DR, Rivera R, Lee CW, Noguchi K, Teo ST, Yung YC, Lu M, Kennedy G,

Chun J (2011) FTY720 (fingolimod) efficacy in an animal model of multiple sclerosis requires astrocyte

sphingosine-1-phosphate receptor 1 (S1P1) modulation. Proc. Natl. Acad. Sci. USA. 108, 751-756.

 

95 

Chun J, Goetzl EJ, Hla T, Igarashi Y, Lynch KR, Moolenaar W, Pyne S, Tigyi G (2002) International

union of pharmacology. XXXIV. Lysophospholipid receptor nomenclature. Pharmacol. Rev. 54, 265-269.

Coelho RP, Payne SG, Bittman R, Spiegel S, Sato-Bigbee C (2007) The immunomodulator FTY720 has a

direct cytoprotective effect in oligodendrocyte progenitors. JPET 323, 626-635.

Coelho RP, Saini HS, Sato-Bigbee C (2010) Sphingosine-1-phosphate and oligodendrocytes: from cell

development to the treatment of multiple sclerosis. Prostaglandins Other Lipid Mediat. 91, 139-144.

Cohen JA, Barkhof F, Comi G, Hartung HP, Khatri BO, Montalbàn X, Pelletier J, Capra R, Gallo P,

Izquierdo G, Tiel-Wilck K, de Vera A, Jin J, Stites T, Wu S, Aradhye S, Kappos L (2010) Oral fingolimod

or intramuscolar interferon for relapsing multiple sclerosis. N. Engl. J. Med. 362, 402-415.

Cohen JA and Chun J (2011) Fingolimod’s efficacy and adverse effects in multiple sclerosis. Ann. Neurol.

69, 759-777.

Compston A and Coles A (2008) Multiple sclerosis. Lancet 372, 1502-1517.

Constantinescu CS, Farooqi N, O’Brien K, Gran B (2011) Experimental autoimmune encephalomyelitis

(EAE) as a model for multiple sclerosis (MS). Br. J. Pharmacol. 146, 1079-1106.

Copani A, Condorelli F, Caruso A, Vancheri C, Sala A, Giuffrida Stella AM, Canonico PL, Nicoletti F,

Sortino MA (1999) Mitotic signaling by beta-amyloid causes neuronal death. FASEB J. 13, 2225-2234.

Copani A, Hoozemans JJM, Caraci F, Calafiore M, Haastert ESV, Veerhuis R, Rozemuller AJM, Aronica

E, Sortino MA, Nicoletti F (2006) DNA Polymerase-β is expressed early in neurons of Alzheimer’s

disease brain and is loaded into DNA replication forks in neurons challenged with β-amyloid. J. Neurosci.

26, 10949-10957.

Coste O, Pierre S, Marian C, Brenneis C, Angioni C, Schmidt H, Popp L, Geisslinger G, Scholich K

(2008a) Antinociceptive activity of the S1P-receptor agonist FTY720. J. Cell Mol. Med. 12, 995-1004.

Coste O, Brenneis C, Linke B, Pierre S, Maeurer C, Becker W, Schmidt H, Gao V, Geisslinger G,

Scholich K (2008b) Sphingosine-1-phosphate modulates spinal nociceptive processes. J. Biol. Chem. 283,

32442-32451.

Czech B, Pfeilschifter W, Mazaheri-Omrani N, Strobel MA, Kahles T, Neumann-Haefelin T, Rami A,

Huwiler A, Pfeilschifter J (2009) The immunomodulatory sphongosine-1-phosphate analog FTY720

 

96 

reduces lesion size and improves neurological outcome in a mouse model of cerebral ischemia. Biochem.

Biophys. Res. Commun. 389, 251-256.

Dev KK, Mullerhausen F, Mattes H, Kuhn RR, Bilbe G, Hoyer D, Mir A (2008) Brain sphingosine-1-

phosphate receptors: implication for FTY720 in the treatment of multiple sclerosis. Pharmacol. Ther. 117,

77-93.

EMA 254587/2012 Questions and answers on the review of Gilenya – Outcome of a procedure under

Article 20 of regulation (EC) No 726/2004.. Disponibile online al sito:

http://www.ema.europa.eu/ema/index.jsp?curl=pages/medicines/human/public_health_alerts/2012/04

/human_pha_detail_000059.jsp&mid=WC0b01ac058001d126#

Fauci AS, Kasper DL, Longo DL, Braunwald E, Hauser SL, Jameson JL, Loscalzo J (2009) Harrison.

Principi di medicina interna. 17esima edizione. McGraw-Hill.

Faulkner JR, Herrmann JE, Woo MJ, Tansey KE, Doan NB, Sofroniew MV (2004) Reactive astrocytes

protect tissue and preserve function after spinal cord injury. J. Neurosci. 24, 2143-2155.

Fischer I, Alliod C, Martinier N, Newcombe J, Brana C, Pouly S (2011) Sphingosine kinase 1 and

sphingosine-1-phosphate receptor 3 are functionally upregulated in astrocytes under pro-inflammatory

conditions. PLoS One 8, e23905.

Foster CA, Howard LM, Schweitzer A, Persohn E, Hiestand PC, Balatoni B, Reuschel R, Beerli C,

Schwartz M, Billich A (2007) Brain penetration of the oral immunomodulatory drug FTY720 and its

phosphorylation in the central nervous system during experimental autoimmune encephalomyelitis:

consequences for mode of action in multiple sclerosis. J. Pharmacol. Exp. Ther. 323, 469-475.

Franklin RJ and French-Costant C (2008) Remyelination in the CNS: from biology to therapy. Nat. Rev.

Neurosci. 9, 839-855.

Frim DM, Yee WM, Isacson O (1993) NGF reduces striatal excitotoxic neuronal loss without affecting

concurrent neuronal stress. Neuroreport 4, 655-658.

Furukawa A, Kita K, Toyomoto M, Fuji S, Inoue S, Hayashi K, Ikeda K (2007) Production of nerve

growth factor enhanced in cultured mouse astrocytes by glycerophospholipids, sphingolipids, and their

related compounds. Mol. Cell. Biochem. 305, 27-34.

Gabius HJ (2009) The sugar code. Fundamentals of glycosciences. Wiley-Blackwell.

 

97 

Gensert JM, Goldman JE (1997) Endogenous progenitors remyelinate demyelinated axons in the adult

CNS. Neuron 19, 197-203.

Gorelik L, Lerner M, Bixler S et al. (2010) Anti-JC virus antibodies: implications for PML risk

stratification. Ann. Neurol. 68, 295-303.

Gilenya: EPAR-Product Information. Disponibile online al sito:

www.ema.europa.eu/docs/en_GB/document_library/EPAR__Product_Information/human/002202/W

C500104528.pdf

Hagen N, Hans M, Hartmann D, Swandulla D, van Echten-Deckert G (2011) Sphingosine-1-phosphate

links glycosphingolipids metabolism to neurodegeneration via a calpain-mediated mechanism. Cell Death

and Differentiation 18, 1356-1365.

Hait NC, Allegood J, Maceyka M, Strub GM, Harikumar KB, Singh SK, Luo C, Marmostein R, Kordula

T, Milstien S, Spiegel S (2009) Regulation of histone acetylation in the nucleus by sphingosine-1-

phosphate. Science 326, 366.

Hardy J and Selkoe DJ (2002) The amyloid hypothesis of Alzheimer’s disease: progress and problems on

the road to therapeutics. Science 297, 353-356.

Hartley DM and Choi DW (1989) Delayed rescue of N-methyl-D-aspartate receptor-mediated neuronal

injury in cortical cultures. J. Pharmacol. Exp. Ther. 250, 752-758.

Hasegawa Y, Suzuki H, Sozen T, Rolland W, Zhang JH (2010) Activation of sphingosine-1-phosphate

receptor-1 by FTY720 is neuroprotective after ischemic stroke in rats. Stroke 41, 368-374.

He X, Huang Y, Li B, Gong CX, Schuchman EH (2010) Deregulation of sphingolipid metabolism in

Alzheimer’s disease. Neurobiol. Aging 31, 398-408.

Hei F, Sun YE (2007) Glial cells more than support cells? Int. J. Biochem. Cell Biol. 39, 661-665.

Hla T and Brinkmann V (2011) Sphingosine-1-phosphate (S1P): physiology and the effects of S1P

receptor modulation. Neurology 76, S3-S8.

Hsu MH, Savas Ü, Griffin KJ, Johnson EF (2007) Regulation of human cytochrome P450 4F2 expression

by sterol regulatory element-binding protein and lovastatin. J. Biol. Chem. 23, 5225-5236.

 

98 

Hu Y, Lee X, Ji B, Guckian K, Apicco D, Pepinsky RB, Miller RH, Mi S (2011) Sphingosine-1-phosphate

receptor modulator fingolimod (FTY720) does not promote remyelination in vivo. Mol. Cell. Neurosci. 48,

72-81.

Jaillard C, Harrison S, Stankoff B, Aigrot MS, Calver AR, Duddy G, Walsh FS, Pangalos MN, Arimura N,

Kaibuchi K, Zalc B, Lubetzki C (2005) Edg8/S1P5: an oligodendroglial receptor with dual function on

process retraction and cell survival. J. Neurosci. 25, 1459-1469.

Jin Y, Zollinger M, Borell H, Zimmerlin A, Patten CJ (2010) CYP4F enzymes are responsible for the

elimination of fingolimod (FTY720), a novel treatment of relapsing multiple sclerosis. Drug Metab. Dispos.

39, 191-198.

Jung CG, Kim HJ, Miron VE, Cook S, Kennedy TE, Foster CA, Antel JP, Soliven B (2007) Functional

consequences of S1P receptor modulation in rat oligodendroglial lineage cells. Glia 55, 1656-1667.

Kalivas PW (2009) The glutamate homeostasis hypothesis of addiction. Nat. Rev. Neurosci. 10, 561-572.

Kanno T, Nishizaki T, Proia RL, Kajimoto T, Jahangeer S, Okada T, Nakamura S (2010) Regulation of

sinaptic strenght by sphingosine-1-phosphate in the hippocampus. Neuroscience 171, 973-980.

Kanno T and Nishizaki T (2011) Endogenous sphingosine-1-phosphate regulates spontaneous glutamate

release from mossy fiber terminals via S1P3 receptor. Life Sci. 89, 137-140.

Kappos L, Radue EW, O’Connor P, Polman C, Hohlfeld R, Calabresi P, Selmaj K, Agoropoulou C, Leyk

M, Zhang-Auberson L, Burtin P (2010) A placebo-controlled trial of oral fingolimod in relapsing multiple

sclerosis. N. Engl. J. Med. 362, 387-401.

Kimura A, Ohmori T, Ohkawa R, Madoiwa S, Mimuro J, Murakami T, Kobayashi E, Hoshino Y, Yatomi

Y, Sakata Y (2007) Essential roles of sphingosine-1-phosphate/S1P1 receptor axis in the migration of

neural stem cells towards a site of spinal cord injury. Stem Cells 25, 115-124.

Kipp M and Amor S (2012) FTY720 on the way from the base camp to the summit of the mountain:

relevance for remyelination. Mult. Scler. 18, 258-263.

Kovarik JM, Schmouder R, Barilla D, Wang Y, Kraus G (2004a) Single-dose FTY720 pharmacokinetics,

food effect, and pharmacological responses in healthy subjects. Br. J. Clin. Pharmacol. 57, 586-591.

 

99 

Kovarik JM, Schmouder R, Barilla D, Riviere GJ, Wang Y, Hunt T (2004b) Multilple-dose FTY720:

tolerability, pharmacokinetics, and lymphocyte responses in healthy subjects. J. Clin. Pharmacol. 44, 532-

537.

Kovarik JM, Dole K, Riviere GJ, Pommier F, Maton S, Jin Y, Lasseter KC, Schmouder RL (2009)

Ketoconazole increseases fingolimod blood levels in a drug interaction via CYP4F2 inhibition. J. Clin.

Pharmacol. 49, 212-218.

Kume T, Nishikawa H, Tomioka H, Katsuki H, Akaike A, Kaneko S, Maeda T, Kihara T, Shimohama S

(2000) p75-mediated neuroprotection by NGF against glutamate cytotoxicity in cortical cultures. Brain

Res. 852, 279-289.

Lam HH, Bhardwaj A, O’Connel MT, hanley DF, Traystman RJ, Sofroniew MV (1998) Nerve growth

factor rapidli suppresses basal, NMDA-evoked and AMPA-evoked, nitric oxide synthase activity in rat

hippocampus in vivo. Proc. Natl. Acad. Sci. U.S.A. 95, 10926-10931.

Leng Y and Chuang DM (2006) Endogenous alpha-synuclein is induced by valproic acid through hystone

deacetylase inhibition and participates in neuroprotection against glutamate-induced excitotoxicity. J.

Neurosci. 26, 7502-7512.

Leng Y, Liang MH, Ren M, Marinova Z, Leeds P, Chuang DM (2008) Synergistic neuroprotective effects

of lithium and valproic acid or other hystone deacetylase inhibitors in neurons: roles of glycogen synthase

kinase-3 inhibition. J Neurosci. 28, 2576-2588.

Lipton SA and Rosenberg PA (1994) Mechanism of disease: excitory amino acids as a final common

pathway for neurologic disorders. N. Engl. J. Med. 330, 613-622.

Ma C and D’Mello SR (2011) Neuroprotection by histone deacetylase-7 (HDAC7) occurs by inhibition of

c-jun expression through a deacetylase-independent mechanism. J. Biol. Chem. 286, 4819-4828.

Mair N, Benetti C, Andratsch M, Leitner MG, Costantin CE, Camprubì-Roles M, Quarta S, Biasio W,

Kuner R, Gibbins IL, Kress M, Haberberger RV (2011) Genetic evidence for involvement of neuronally

expressed S1P1 receptor in nociceptor sensitiation and inflammatory pain. PLoS One 2, e17268.

Majakovskij V, A piena voce. Mondadori, 2000.

Manser E (2005) Rho-family GTPases. Springer.

 

100 

Matloubian M, Lo CG, Cinamon G, Lesneski MJ, Xu Y, Brinkmann V, Allende ML, Proia RL, Cyster JG

(2004) Lymphocyte egress from thymus and peripheral lymphoid organs is dependent on S1P receptor 1.

Nature 427, 355-360.

Mattson MP, Lovell MA, Furukawa K, Markesbery WR (1995) Neurotrophic factors attenuate glutamate-

induced accumulation of peroxydes, elevation of intracellular Ca2+ concentration, and neurotoxicity and

increase antioxidant enzyme activities in hippocampal neurons. J. Neurochem. 98, 1019-1031.

Meisel A, Harms C, Yildirim F, Bösel J, Kronenberg G, Harms U, Fink KB, Endres M (2006) Inhibition

of hystone deacetylation protects wild-type but not gelsolin-deficient neurons from oxygen/glucose

deprivation. J. Neurochem. 98, 1019-1031.

McDonald MG, Rieder MJ, Nakano M, Hsia CK, Rettie AE (2009) CYP4F2 is a vitamin K1 oxidase: an

explanation for altered warfarin dose in carriers of the V433M variant. Mol. Pharmacol. 75, 1337-1346.

Means CK and Brown JH (2009) Sphingosine-1-phosphate receptor signaling in the heart. Cardiovasc. Res.

82, 193-200.

Meng H, Yuan Y, Lee VM (2011) Loss of sphongosine kinase 1/S1P signaling impairs cell growth and

survival of neurons and progenitor cells in the developing sensory ganglia. PLos One 6, e27150.

Miller G (2005) Neuroscience. The dark side of glia. Science 308, 778-781.

Miron VE, Schubart A, Antel JP (2008a) Central nervous system-directed effect of FTY720 (fingolimod).

J. Neurol. Sci. 15, 13-17.

Miron VE, Hall JA, Kennedy TE, Soliven B, Antel JP (2008b) Cyclical and dose-dependent response of

adult human mature oligodendrocytes to fingolimod. AJP 173, 1143-1152.

Miron VE, BSc, Jung CG, Kim HJ, Kennedy TE, Soliven B, Antel JP (2008c) FTY720 modulates human

oligodendrocyte progenitors process extension and survival. Ann Neurol. 63, 61-71.

Miron VE, Ludwin SK, Darlington PJ, Jarjour AA, Soliven B, Kennedy TE, Antel JP (2010) Fingolimod

(FTY720) enhances remyelination following demyelination of organotypic cerebellar slices. AJP 176,

2682-2694.

 

101 

Moers A, Nümberg A, Goebbels S, Wettschureck N, Offermanns, S (2008) Galpha12/Galpha13

deficiency causes localized overmigration of neurons in the developing cerebral and cerebellar cortices.

Mol. Cell Biol. 28, 1480-1488.

Muscoli C, Doyle T, Dagostino C, Bryant L, Chen Z, Watkins LR, Ryerse J, Bieberich E, Neumman W,

Salvemini D (2010) Counter-regulation of opioid analgesia by glial-derived bioactive sphingolipids. J.

Neurosci. 30, 15400-15408.

NDA 02257-FDA approved labeling text for Gilenya (fingolimod) capsules. 21 settembre 2010.

Disponibile online al sito: www.accessdata.fda.gov/drugsatfda_docs/label/2010/022527s000lbl.pdf 

Nicole O, Ali C, Docagne F, Plawinski L, MacKenzie ET, Vivien D, Buisson A (2001) Neuroprotection

mediated by glial cell line-derived neurotrophic factor: involvement of a reduction of NMDA-induced

calcium influx by the mitogen-activated protein kinase pathway. J. Neurosci. 21, 3024-3033.

Norimatsu Y, Ohmori T, Kimura A, Madoiwa S, Mimuro J, Seichi A, Yatomi Y, Hoshino Y, Sakata Y

(2012) FTY720 improves functional recovery after spinal cord injury by primarily nonimmunomodulatory

mechanisms. Am. J. Pathol. 180, 1625-1635.

Nota Informativa AIFA del 30/01/2012: Potenziamento del monitoraggio cardiovascolare all’inizio del

trattamento con Gilenya (fingolimod) in pazienti con sclerosi multipla recidivante-remittente. Disponibile

online al sito: aifa-neuro.agenziafarmaco.it/dhpc_gilenya.pdf

Okamoto H, Takuwa N, Gonda J, Okazaki H, Chang K, Yatomi Y, Shigematsu H, Takuwa Y (1998)

EDG1 is functional a sphingosine-1-phosphate receptor that is linked via Gi/o to multiple signaling

pathways, including phospholipase C activation, Ca2+ mobilization, Ras-Mitogen-activated protein kinases

activation, and adenylate cyclase inhibition. J. Biol. Chem. 42, 27104-27110.

Oo ML, Thangada S, Wu MT, Liu CH, Macdonald TL, Lynch KR, Lin CY, Hla T (2007)

Immunosuppressive and anti-angiogenic sphingosine-1-phosphate receptor-1 agonists induce

ubiquitinylation and proteasomal degradation of the receptor. J. Biol. Chem. 282, 9082-9089.

Osinde, M, Mullerhausen F, Dev KK (2007) Phosphorylated FTY720 stimulates ERK phosphorylation in

astrocytes via S1P receptors. Neuropharmacology 52, 1210-1218.

Payne SG, Oskeritzian CA, Griffiths R, Subramanian P, barbour SE, Chalfant CE, Milstien S, Spiegel S

(2007) The immunosuppresant drug FTY720 inhibits cytosolic phospholypase A2 independently of

sphingosine-1-phosphate receptors. Blood 109, 1077-1085.

 

102 

Pelletier D, Hafler DA (2012) Fingolimod for multiple sclerosis. N. Engl. J. Med. 366, 339-347.

Pinschewer DD, Brinkmann V, Merkler D (2011) Impact of sphingosine-1-phosphate on immune

outcomes. Neurology 76, S15-S19.

Pfeilschifter W, Czech-Zechmeister B, Sujak M, Mirceska A, Koch A, Rami A, Steinmetz H, Foerch C,

Huwiler A, Pfeilschifter J (2011) Activation of sphingosine kinase 2 is an endogenous protective

mechanism in cerebral ischemia. Biochem, Biophys, Res. Commun. 413, 212-217.

Rao TS, Lariosa-Willingham KD, Lin FF, Palfreyman EL, Yu N, Chun J, Webb M (2003)

Pharmacological characterization of lysophospholipid receptor signal transduction pathways in rat

cerebrocortical astrocytes. Brain Res. 990, 182-194.

Rosen H and Goetzl EJ (2005) Sphingosine-1-phosphate and its receptors: an autocrine and paracrine

network. Nat. Rev. Immunol. 5, 560-570.

Saba JD and Hla T (2004) Point-counterpoint of sphingosine-1-phosphate metabolism. Circ. Res. 94, 724-

734.

Sallusto F and Mackay CR (2004) Chemoattractants and their receptors in homeostasis and inflammation.

Curr. Opin. Immunol. 16, 724-731.

Shen S, Sandoval J, Swiss VA et al. (2008) Age-dependent epigenetic control of differentiation inhibitors

is critical for remyelination efficiency. Nat. Neurosci. 11, 1024-1034.

Sheridan GK and Dev KK (2012) S1P1 receptor subtype inhibits demyelination and regulates chemokine

release in cerebellar slice cultures. Glia 60, 382-392.

Shimohama S, Ogawa N, tamura Y, Akaike A, Tsukahara T, Iwata H, Kimura J (1993) Protective effect of

nerve growth factor against glutamate-induced neurotoxicity in cultured cortical neurons. Brain Res. 632,

296-302.

Sim-Selley LJ, Goforth PB, Mba MU, Macdonald TL, Lynch KR, Milstien S, Spiegel S, Satin LS, Welch

SP, Selley DE (2009) Sphingosine-1-phosphate receptors mediate neuromodulatory functions in the CNS.

J. Neurochem. 110, 1191-1202.

Sofocle, Le Tragedie. Zanichelli, 1926.

 

103 

Soliven B, Miron V, Chun J (2011) The neurobiology of sphingosine-1-phosphate signaling and

sphingosine-1-phosphate receptor modulators. Neurology 76, 9-14.

STAIR (1999). Recommendations for standards regarding preclinical neuroprotective and restorative drug

development. Stroke 30, 2752-2758.

Taha TA, Argraves KM, Obeid LM (2004) Sphingosine-1-phosphate receptor specificity versus functional

redundancy. Biochim. Byophis. Acta. 1682, 48-55.

Takabe K, Paugh SW, Milstein S, Spiegel S (2008) “Inside-out” signaling of sphingosine-1-phosphate:

therapeutic targets. Pharmacol. Rev. 60, 181-195.

Van Doorn R, Horssen JV, Verzijl D, Witte M, Ronken E, Van Het Hof B, Lakeman K, Dijkstra CD,

Van Der Valk P, Reijerkerk A, Alewijnse AE, Peters SLM, De Vries HE (2010) Sphingosine-1-phosphate

receptor 1 and 3 are upregulated in multiple sclerosis lesions. Glia 58, 1465-1476.

Verzijl D, Peters SLM, Alewijnse AE (2010) Sphingosine-1-phosphate receptors: zooming in on ligand-

induced intracellular trafficking and its functional implications. Mol. Cells 29, 99-104.

Wei Y, Yemisci M, Kim HH, Yung LM, Shin HK, Hwang SK, Guo S, Qin T, Alsharif N, Brinkmann V,

Liao JK, Lo EH, Waeber C (2011) Fingolimod provides long-term protection in rodent models of

ischemia. Ann. Neurol. 69, 119-129.

Williams A, Platon G, Aigrot MS, Belhadi A, Théaudin M, Petermann F, Thomas JL, Zalc B, Lubetzki C

(2007) Semaphorine 3A and 3F: key players in myelin repair in multiple sclerosis? Brain 130, 2554-2565.

Windh RT, Lee Mj, Hla T, An S, Barr AJ, Manning DR (1999) Differential coupling of the sphingosine-1-

phosphate receptors Edg-1. Edg-3 and H218/Edh-5 to the Gi, Gq, and G12/13 families of heterotrimeric G

proteins. J. Biol. Chem. 39, 27351-27358.

Wong LF, Ralph GS, Walmsley LE, Bienemann AS, Parham S, Kingsman SM, Uney JB, Mazarakis ND

(2005) Lentiviral-mediated delivery of Bcl-2 or GDNF protects against excitotoxicity in the rat

hippocampus. Mol. Ther. 11, 89-95.

Yamagata K, Tagami M, Torii Y, Takenaga F, Tsumagar S, Itoh S, Yamori Y, Nara Y (2003) Sphingosine-

1-phosphate induces the production of glial cell line-derived neurotrophic factor and cellular proliferation

in astrocytes. Glia 41, 199-206.

 

104 

Yilmaz G, Arumugam TV, Stokes KY, Granger DN (2006) Role of T lymphocytes and interferon-gamma

in ischemic stroke. Circulation. 113, 2105-2112.

Yokota Y, Gashghaei HT, Han C, Watson H, Campbell KJ, Anton ES (2007) Radial glia dependent and

independent dynamics of interneuronal migration in the developing cerebral cortex. PLoS One 2, e794.

Yung LM, Wei Y, Qin T, Wang Y, Smith CD, Waeber C (2012) Sphingosine kinase 2 mediates cerebral

preconditioning and protects the mouse brain against ischemic injury. Stroke 43, 199-204.

Zhou Y, Lekic T, Fathali N, Ostrowski RP, Martin RD, Tang J, Zhang JH (2010) Isoflurane

posttreatment reduces neonatal hypoxic-ischemic brain injury in rats by the sphingosine-1-

phosphate/phosphatidylinositol-3-kinase/Akt pathway. Stroke 41, 1521-1527.

In copertina: disegno di Mara Pavonio.

 

105 


Recommended