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Pontificia Università Lateranense – Centro
Lateranense di Alti Studi
Fondazione
Centesimus Annus - Pro Pontifice
XIII Corso biennale in Dottrina Sociale della Chiesa
CHARITAS
LE VIRTÙ ECOLOGICHE DI S. FRANCESCO DI PAOLA
dott.ssa Angelina Marcelli
ANNO ACCADEMICO 2014/2015
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Indice Abbreviazioni ............................................................................................................................. 3 Introduzione ................................................................................................................................ 4 1. La crisi ecologica e la Dottrina Sociale della Chiesa tra accuse e nuova evangelizzazione .. 6 2. Le virtù ecologiche e le orme dei Santi ................................................................................ 10 3. La Calabria, patria di san Francesco di Paola, terra di fede e di contraddizioni .................. 15 4. Un chiaro messaggio d’amore .............................................................................................. 18 5. La relazione armoniosa con il creato: il bosco, la grotta e l’orto ......................................... 24
5.1 Una vocazione accolta e benedetta ................................................................................. 25 5.2 La spiritualità eremitica e la natura ................................................................................ 27 5.3 Aspetti relazionali ........................................................................................................... 29
6. Il dominio sulle forze della natura ........................................................................................ 34
6.1 La forza dell’amore e della persuasione: il fuoco........................................................... 36 6.2 Provvidenza e pace: le sorgenti e il mare ....................................................................... 39 6.3 Pietre vive ....................................................................................................................... 43 6.4 Antonella e Martinello: la tenerezza verso gli animali ................................................... 47
7. L’uso delle erbe: amore verso i fratelli, ascolto e creatività ................................................. 51 Appendice: In pellegrinaggio sulle orme di Francesco alla ricerca dell’ecologia integrale ..... 60 Bibliografia ............................................................................................................................... 62
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Abbreviazioni
ANONIMO = Vita di San Francesco di Paola scritta da un discepolo anonimo suo
contemporaneo. La versione consultata e citata è quella curata da N. Lusito e
pubblicata nel 1967
CCC = Catechismo della Chiesa Cattolica
CDSC = Compendio di Dottrina Sociale della Chiesa
CPC = Processo Cosentino (1512-1513), seguito dal numero identificativo del teste*.
CPT = Processo Turonense (1513), seguito dal numero identificativo del teste*.
PA = Processo di Amiens (1513) **.
PCal = Processo Calabro (1516-1518), seguito dal numero identificativo del teste***.
t. = teste
* Il testo del Processo è stato consultato in I codici autografi dei processi Cosentino e Turonense per la canonizzazione di S. Francesco di Paola (1512-1513), Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 1964. ** Processo di Amiens: Processus Ambianensis, in Acta Sanctorum Aprilis, Antuerpiae, 1675, pp. 120-122. Il processo è un documento molto breve perché raccoglie soltanto la testimonianza di Antonio de Gerane, originario di Paterno. *** Il testo del Processo è stato consultato nell’edizione curata da Malvina Fiorini Morosini: Processo Calabro per la canonizzazione di S. Francesco di Paola, Cittàcalabriaedizioni, Soveria Mannelli, 2010.
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Introduzione
L’enciclica sociale Laudato si’ di papa Francesco ha posto tutta l’umanità di fronte alla
necessità di compiere un serio cammino di conversione ecologica integrale. Uomini e donne,
sia individualmente che come comunità, sono chiamati a confrontarsi con la tradizione
cristiana per riscoprire e dare un senso profondo a quella vocazione che vuole tutti custodi
responsabili del creato.
Ispirandosi a san Francesco d’Assisi, il Pontefice ha cercato di attingere dalla storia del
cristianesimo dei modelli edificanti che possano aiutare a concepire una relazione equilibrata
tra l’uomo e l’ambiente. Tra questi esempi, sicuramente si può annoverare anche san
Francesco di Paola (1416-1507), figlio di una regione piena di contraddizioni e padre di una
spiritualità e di un Ordine monastico diffusosi in tutta Europa.
Pur essendo intriso, per diversi aspetti, della spiritualità del Patrono d’Assisi, Francesco di
Paola maturò una relazione del tutto originale con il creato, evidente più nelle opere che nelle
parole. Il concetto di ecologia integrale è particolarmente evidente in questa esperienza
storica, nella quale Charitas – il motto dell’Ordine dei Minimi – è declinato inestricabilmente
in tutte le sue forme di amore verso Dio, verso il prossimo e verso tutte le creature. Francesco
è un uomo che ha tracciato per il cristiano un cammino di perfezione percorribile e i prodigi
compiuti, che talvolta “spaventano” il lettore incredulo, altro non sono che la dimostrazione di
quanto alte possano essere le vette della spiritualità minima.
L’occasione offerta dai recenti insegnamenti magisteriali sull’ecologia integrale, ha
dunque suggerito l’opportunità di una riflessione “nuova” sul Santo calabrese e sulle sue virtù
ecologiche, che muova da un’analisi mirata delle fonti primarie, in primo luogo le
testimonianze rese ai processi di canonizzazione.
I processi per la canonizzazione vennero istruiti e compiuti tra il 1512 e il 1518, dunque
pressappoco a distanza di cento anni dalla nascita del Paolano, ed è normale che a deporre
siano stati spesso dei testimoni indiretti, o persone più giovani rispetto al Frate, che lo hanno
conosciuto quando già aveva fama di santità. I testi sono prevalentemente laici – vi sono
anche sacerdoti, ma raramente confratelli del Santo – che hanno potuto assistere a fenomeni
5
prodigiosi e che li attestano come meglio hanno potuto, lasciando ai posteri descrizioni e
dettagli di inestimabile valore storico.
Desidero ringraziare di vero cuore docenti e organizzatori dei corsi di Dottrina Sociale
della Chiesa della Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice per aver pianificato con ogni
premura lezioni, che sono state per me fonte di arricchimento spirituale e culturale.
Pur essendo l’unica responsabile di quanto scritto in questa tesina, voglio esprimere un
vivo ringraziamento alla comunità dell’Ordine dei Minimi di Paola, e in modo speciale al
correttore, padre Gregorio Colatorti, per avermi guidata in questo cammino di riscoperta della
spiritualità di san Francesco di Paola e per avermi messo a disposizione le fonti.
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1. La crisi ecologica e la Dottrina Sociale della Chiesa tra accuse e nuova
evangelizzazione
La crisi ecologica è diventata ormai un problema globale che necessita di soluzioni
urgenti, invocate ormai da più parti1. Si tratta di un’emergenza che non lascia indifferenti
neanche le periferie del mondo, che spesso, loro malgrado, sono costrette a scontare lo
sfruttamento sfrenato di sistemi economici che hanno sistematicamente consumato risorse e
deteriorato l’ambiente, incuranti di aver innescato un processo di autodistruzione che graverà
su questa e sulle generazioni future. In queste periferie, i danni ambientali hanno una duplice
sostanza negativa: una dovuto all’inquinamento in sé, che una volta prodotto difficilmente e
faticosamente trova soluzione e un’altra perché ad esso non è neppure corrisposto un processo
di crescita o di sviluppo. Il più delle volte ha il sapore della beffa: subire i gravi costi
ecologici, che hanno pesanti ripercussioni sull’uomo, senza avere i mezzi economici per
potervi fare fronte.
Ecco perché papa Francesco ha raccomandato con forza la necessità di una conversione
ecologica “che comporta il lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesú nelle
relazioni con il mondo che li circonda”2. L’uomo, per vocazione, ha degli obblighi precisi nei
confronti della sfera ecologica: deve avere cura del creato, ovvero deve essere in grado di
individuare il valore che Dio ha voluto conferire a ogni creatura e trattarla come dono di Dio,
da utilizzare per glorificarLo e per soddisfare le necessità dell’uomo, non qualsiasi capriccio
consumistico3. “Vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio – ci avverte papa
1 E. GARLASCHELLI, G. SALMERI, P. TRIANNI (a cura di), Ma di’ soltanto una parola…,Economia, ecologia, speranza per i nostri giorni, Educatt, Milano, 2013; A. QUADRIO CURZIO, R. ZOBOLI (a cura di), Ambiente e dinamica globale. Scienza, economia e tecnologia a confronto, Il Mulino, Bologna, 1995. 2 Laudato si’, n. 217. Interessante il commento di P. CANZIANI, Una conversione ecologica globale, in G. NOTARSTEFANO (a cura di), Abiterai la terra. Commento all’enciclica Laudato si’, Ave, Roma, 2015, pp. 37-50. 3 Cfr. F. FELICE e P. ASOLAN, Appunti di Dottrina sociale della Chiesa. I cantieri aperti della pastorale sociale, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2008, p. 126.
7
Francesco - é parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e
nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana”4.
In base all’antropologia cristiana, l’uomo, imago Dei, assume su di sé la responsabilità di
prendersi cura dell’universo5. Dopo che Dio ebbe creato cielo e terra e benedetto l’uomo e la
donna, si legge in Genesi 1,28, che fu loro data autorità su tutte le cose: “siate fecondi e
moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del
cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra”6.
Il soggiogare e il dominare del versetto biblico hanno dato origine a molti
fraintendimenti, soprattutto in ambienti scientifici e anti-religiosi.
Nel mondo scientifico, la crisi ecologica è stata accostata ad una crisi etica e proprio per
questo motivo l’analisi si è soffermata a considerare anche le possibili responsabilità delle
religioni nell’atteggiamento di un uomo sfruttatore indiscriminato di risorse. La polemica
esplose a Washington, nel 1966, in occasione dell’incontro annuale dell’Associazione
americana per il progresso della scienza, allorquando lo storico Lynn White, relazionando
sulle “Radici storiche della nostra crisi ecologica”, espresse le sue perplessità sul
condizionamento delle credenze religiose sullo sfruttamento della natura7. Sotto accusa finì
proprio la teologia ebraico-cristiana, ritenuta responsabile di aver forgiato il dualismo tra
l’uomo e la natura. Secondo White, la corrente occidentale del cristianesimo sarebbe stata
“colpevole” di una rivoluzione culturale radicalmente antropocentrica, che avrebbe favorito
l’affermazione della figura dell’uomo che domina e soggioga la natura. L’articolo di White, la
cui visione del cristianesimo appare fin troppo semplicistica, suscitò comunque grande
interesse8 e il dibattito sulle presunte origini cristiane della crisi ecologica si animò in
ambienti accademici tipicamente anti-religiosi9.
Il pensiero cristiano – effettivamente talvolta non recepito - ha sempre considerato il ruolo
dell’uomo nel creato in maniera diversa10. Il dominio non va inteso in un’accezione assoluta
che implica il potere dispotico dell’uomo sulla natura, ma va considerato come sinonimo di 4 Laudato si’, n. 217. 5 Cfr. G. NOTARSTEFANO, Il paradigma della custodia, in ID (a cura di), Op. cit., pp. 113-122. 6 Cfr. M. ROSENBERGER, L' albero della vita - Dizionario teologico della spiritualità del creato, EDB, Bologna 2006. 7 L. WHITE, Historical roots of our ecological crisis, in «Science Magazine», 155, 1967; tradotto in italiano con il titolo Le radici storico-culturali della nostra crisi ecologica, in «Il Mulino», 2, 1973. 8 R.L. MEANS, Why worry about nature?, in «Saturday Review», 2 dicembre 1967. 9 Sulla disputa che ne seguì cfr. L. MAZZINGHI, “Dominate la terra!”: la vocazione dell’uomo e il problema ecologico, in «Quaderni della Segreteria generale della CEI», anno XII, n.15, maggio 2008, p. 12. 10 L. MAZZINGHI, Op. cit., Sull’attuale dibattito su antropocentrismo e biocentrismo, si veda L. ALICI, Natura e persona: lo “sguardo diverso” di papa Francesco, in G. NOTARSTEFANO (a cura di), Op. cit., pp. 51-58.
8
responsabilità. Sempre nel libro della Genesi, infatti, al versetto 2,15 si legge che “Il Signore
Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse”,
espressione che esclude che il testo sacro abbia voluto dare all’uomo il potere della
prevaricazione ecologica e che al contrario evoca un privilegio, una possibilità di sviluppo
offerta all’uomo11.
Nella Laudato si’ (2015), la prima enciclica sociale ad avere ad oggetto la cura del creato,
papa Francesco puntualizza: “Anche se è vero che qualche volta i cristiani hanno interpretato
le Scritture in modo non corretto, oggi dobbiamo rifiutare con forza che dal fatto di essere
creati a immagine di Dio e dal mandato di soggiogare la terra si possa dedurre un dominio
assoluto sulle altre creature”12. Dunque il cristiano deve riscoprirsi custode del creato e
“custodire – precisa il Pontefice – vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare,
vigilare. Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura. Ogni
comunità può prendere dalla bontà della terra ciò di cui ha bisogno per la propria
sopravvivenza, ma ha anche il dovere di tutelarla e garantire la continuità della sua fertilità
per le generazioni future”13.
Nell’ultima enciclica, sebbene, come è stato detto, sia la prima ad avere ad oggetto la cura
della casa comune, si possono scorgere diversi elementi di continuità rispetto al passato, a
cominciare proprio dal concetto di “ecologia umana”, la cui paternità spetta a Giovanni Paolo
II14 (Centesimus annus) e a cui Bergoglio fa eco con quello di “ecologia integrale”, che
ingloba anche l’ “ecologia sociale” auspicata da Benedetto XVI (Caritas in veritate). Il tema,
avvertito in tutta la sua gravità, è stato particolarmente a cuore a papa Bergoglio fin dall’inizio
del suo pontificato15.
La Chiesa, anche negli anni ormai trascorsi, non è rimasta insensibile alla “crisi
ecologica”, perché vi ha sempre scorto il segno di una crisi di valori16. Nell’enciclica Mater et
Magistra (1961), Giovanni XXIII denunciava lo squilibrio tra crescita demografica, sviluppo
economico e disponibilità di risorse e invitava al rispetto della vita dell’uomo e della sua
11 F. FELICE e P. ASOLAN, Op. cit., pp. 53-57. 12 Laudato si’, n. 67. 13 Ibidem. 14 Per il pensiero ecologico in san Giovanni Paolo II cfr. A. GIORDANO, S. MORANDINI, P. TARCHI, La creazione in dono, Giovanni Paolo II e l’ambiente, EMI, Bologna, 2005. 15 Uno dei primi interventi in cui fu evidente la sensibilità ecologica di papa Francesco è stata l’Udienza generale del 5 giugno 2013, in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente promossa dalle Nazioni Unite. Consultata in: http://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2013/documents/papa-francesco_20130605_udienza-generale.html. 16 Cfr. G. VIGINI (a cura di), Una ecologia per l’uomo. La Chiesa, il creato, l’ambiente, Medusa, Milano, 2014.
9
dignità, da favorire con l’interscambio di risorse e capitali tra le popolazioni del mondo. La
necessità di un ordine morale capace di regolare i rapporti di convivenza tra cittadini e
istituzioni fu poi ulteriormente ribadita nella Pacem in terris (1963) e nella Gaudium et spes
(1965).
Anche Paolo VI, nella Octogesima adveniens, di fronte alla minaccia di una possibile crisi
nucleare, intuì il “potere distruttivo totale” di un ambiente inquinato e di una profonda crisi
sociale. La continuità magisteriale17 è evidente proprio nei diversi punti di contatto tra la
Laudato si’e la Caritas in veritate, nella quale il Papa emerito spiegava come il degrado
ambientale fosse strettamente correlato “alla tenuta morale della società” e che dunque non è
possibile risolvere problemi di ecologia ambientale con incentivi o disincentivi economici,
senza auspicare ad uno sviluppo umano integrale, impossibile se “non si rispetta il diritto alla
vita e alla morte naturale, se si rende artificiale il concepimento, la gestazione e la nascita
dell'uomo, se si sacrificano embrioni umani alla ricerca”18. Sulla stessa lunghezza d’onda,
papa Bergoglio fonde nel suo concetto di “ecologia integrale” la dimensione ambientale,
insieme a quella economica, sociale e spirituale, in antitesi a quel relativismo pratico di un
uomo consumista, estremo e ossessivo, che, in nome del soddisfacimento dei propri interessi
contingenti, è disposto ad accettare aborto, vendita d’organi, sperimentazioni genetiche,
abbandono degli anziani, sfruttamento sessuale dei bambini e, in generale, tutto ciò che si
traduce nella prevaricazione dei forti sui deboli. La soluzione del problema antropologico,
secondo papa Francesco, risiede nella riscoperta della “legge morale” che l’uomo porta
“inscritta nella propria natura”. In questa direzione, il Pontefice asserisce che “non è sano un
atteggiamento che pretenda di cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi
con essa” poiché, spesso la “logica di dominio sul proprio corpo si trasforma in una logica a
volte sottile di dominio sul creato”19.
17 Si segnalano in particolare, per il pontificato di Giovanni Paolo II le encicliche Sollecitudo rei socialis (30 dicembre 1987), Centesimus annus (1 maggio1991), e Evangelium Vitae (25 marzo 1995), nonché i Discorsi in occasione della XXIII Giornata mondiale della pace (1990) e quello rivolto ai partecipanti al convegno Ambiente e salute (1997); l’argomento trova piena trattazione nel magistero di Benedetto XVI con la Caritas in Veritate (29 giugno 2009). 18 Caritas in veritate, n.51. 19 Laudato si’, n. 155.
10
2. Le virtù ecologiche e le orme dei Santi
Nella Centesimus annus, Giovanni Paolo II avvertiva la necessità di avviare un processo
di conversione ecologica globale che facesse attenzione a “salvaguardare le condizioni morali
di un’autentica ecologia umana”20. Per giungere a quest’obiettivo, papa Francesco ha
riproposto delle linee di spiritualità ecologica della tradizione cristiana, affinata in venti secoli
di esperienze personali e comunitarie, una “mistica” capace di animare delle virtù ecologiche
che aiutino a vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio21.
Tra queste virtù, innanzitutto vi sono la gratitudine e la gratuità, ovvero “un
riconoscimento del mondo come dono ricevuto dall’amore del Padre, che provoca come
conseguenza disposizioni gratuite di rinuncia e gesti generosi anche se nessuno li vede o li
riconosce”22.
La solidarietà, il sentirsi in comunione universale con tutte le creature, è un obiettivo cui
tendere, poiché “il mondo non si contempla dal di fuori ma dal di dentro, riconoscendo i
legami con i quali il Padre ci ha unito a tutti gli esseri”23. Altre virtù ecologiche sono la
creatività e l’entusiasmo, che scaturiscono dalla corretta individuazione del ruolo dell’uomo
nel creato,24 nonché il senso di responsabilità, che gli deriva dalla sua fede25. Inoltre, il
cristiano che voglia seguire un cammino di conversione ecologica, seguendo le indicazioni
tracciate dal Pontefice, dovrebbe crescere nella sana umiltà e felice sobrietà, ovvero nella
capacità di godere con poco, accogliendo la tradizione religiosa che suggerisce che “meno è
piú”, nella semplicità che consente di gustare le piccole cose nella gioia26.
20 Centsimus annus, n. 38. 21 Laudato si’, nn. 216-217. 22 Ivi, n. 220. 23 Ivi, nn. 14, 162, 210, 220, 227, 232. Interessante, a questo proposito della comunione universale, sono gli studi di M. KEHL, Creazione. Uno sguardo sul mondo, Queriniana, Brescia 2012 e ID., “E Dio vide che era cosa buona”. Una teologia della creazione, Queriniana, Brescia, 2009, con particolare riferimento al concetto di con-creaturalità: tutto ciò che non è Dio è creatura. Tale considerazione, però, non deve spingere verso eccessi opposti, poiché vi è una certa “differenza qualitativa” in termini di dignità tra le creature, come ad esempio tra animali e persone. Cfr. J.P. LIEGGI, Il fondamento trinitario della responsabilità dell’uomo nei confronti della natura. Il paradigma della “syn-taxis”, in E. GARLASCHELLI, G. SALMERI, P. TRIANNI (a cura di), Ma di’ soltanto una parola…,Economia, ecologia, speranza per i nostri giorni, Educatt, Milano, 2013. 24 Sulla creatività cfr. F. FELICE e P. ASOLAN, Op. cit., p. 56. 25 Laudato si’, n. 220. 26 Laudato si’, nn. 221, 222, 224.
11
Un programma di vita, un paradigma quello tracciato da papa Francesco, molto
impegnativo proprio perché integrale, in quanto nella casa comune tutto è connesso e
interdipendente.
Di fronte alle difficoltà di mettere in pratica un cammino di conversione ecologica
integrale, le figure dei Santi, seppur vissuti in epoche molto lontane, sembrano confortare
l’uomo di oggi indicandogli delle orme sicure da seguire. Primo fra tutti san Francesco
d’Assisi, indicato come modello di perfetto ecologismo tanto dal mondo laico che cattolico.
Lo stesso White, dopo aver accusato il cattolicesimo di aver moralmente autorizzato l’uomo a
“dominare” e “soggiogare” il creato, suggerì il Poverello come esempio di equilibrio nella
relazione tra l’uomo e la natura. Erroneamente ritenne la visione di san Francesco come
alternativa al Cristianesimo, per aver contrapposto alla supremazia dell’uomo sul creato la
“democrazia” tra tutte le creature di Dio. Per questo, lo storico suggeriva, come poi avvenne,
che san Francesco d’Assisi fosse proclamato patrono degli ecologisti.
Nel 1979, infatti, Giovanni Paolo II elevò a patrono dei “cultori dell’ecologia” san
Francesco d’Assisi, in quanto annoverato “tra i santi e gli uomini illustri che hanno celebrato
la natura quale dono meraviglioso di Dio al genere umano”27. La bolla Inter Sanctos pone
l’accento sul fatto che Francesco “ebbe […] un profondo apprezzamento per tutte le opere del
Creatore e, quasi mosso da ispirazione divina, compose il bellissimo Cantico delle Creature”.
Ed è proprio la spiritualità francescana espressa nel Cantico delle Creature a costituire il
cuore di tutta l’enciclica scritta dal primo Papa nella storia a portare volutamente il nome
dell’Assisiate.
La Laudato si’, infatti, porta il sigillo della sensibilità di san Francesco d’Assisi28, “un
esempio bello e motivante”, che permea tutto il magistero di papa Bergoglio. Su questo
componimento poetico ci sono stati infiniti commenti, molti dei quali sottolineano la gioia, lo
stupore, la lode e la contemplazione, quasi dimentichi delle condizioni nelle quali versava il
Santo quando la compose. Nel 1224, il Poverello d’Assisi giaceva ammalato nella chiesetta di
San Damiano, afflitto, tra le altre, da una malattia agli occhi che lo costringeva a stare in
penombra. Era, dunque, alla fine della sua esistenza fisica quando lasciò in eredità al mondo
dei versi che, nonostante l’attesa imminente di sorella morte, sono esplosione di gioia,
celebrazione delle bellezze della creazione, segno di una incontenibile musicalità interiore,
27 GIOVANNI PAOLO II, Bolla Inter Sanctos (29 novembre 1979). 28 Cfr. G. POLIDORO, L’ispirazione francescana nell’enciclica, in G. NOTARSTEFANO (a cura di), Op. cit., pp. 59-67.
12
che ancora oggi non cessano di essere fonte d’ispirazione per chi si accosta ad essi con umiltà
e docilità.
L’esperienza singolare dei Santi, il loro originale percorso compiuto dall’immanenza alla
trascendenza, possono essere un ausilio alla crisi ecologica di oggi. Ad esempio, a proposito
del Francescanesimo, è stato osservato come esso possa “diventare il fermento di una
rivoluzione pacifica delle coscienze e dei comportamenti, per risanare l’ambiente e poter
giungere alla grande fraternità cosmica di cui sembriamo carenti”29.
Papa Francesco invita i cristiani ad attingere alla “grande ricchezza della spiritualità
cristiana generata da venti secoli di esperienze personali e comunitarie”, quale “magnifico
contributo da offrire allo sforzo di rinnovare l’umanità”30. Anche quando invita l’uomo a
prendere coscienza della sua vocazione di custode responsabile della casa comune, non come
qualcosa di opzionale o di secondario, addita il modello di san Francesco d’Assisi per
proporre “una sana relazione col creato come una dimensione della conversione integrale
della persona”31. In particolare, il Papa ricorda come proprio grazie all’armonia che aveva con
tutte le creature e al perseguimento della riconciliazione universale, il Poverello aveva
riottenuto lo stato di innocenza originaria32.
Le orme dell’Assisiate emergono visibilmente soprattutto quando papa Francesco vuole
sottolineare l’importanza di affrontare la crisi ecologica con una certa “apertura verso
categorie che trascendono il linguaggio delle scienze esatte o della biologia e ci collegano con
l’essenza dell’umano”33.
“Entrava in comunicazione con tutto il creato” – ricorda il Papa a proposito del suo Santo
protettore, il quale riconosceva in ogni creatura una comune origine -, “per lui qualsiasi
creatura era una sorella, unita a lui con vincoli di affetto”. “Questa convinzione non può
essere disprezzata come un romanticismo irrazionale, perché influisce sulle scelte che
determinano il nostro comportamento. Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza
questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se non paliamo più il linguaggio della fraternità
e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del
29 J.A. MERINO, Francesco di Assisi e l’ecologia, Edizioni Messaggero Padova, Padova, 2010, p. 7. Si veda anche L. BOFF, Grido della Terra, grido dei poveri. Per una ecologia cosmica, Cittadella, Assisi, 1996. 30 Laudato si’, n. 216. 31 Ivi, n. 218. 32 Ivi, n. 66. 33 Ivi, n. 11.
13
dominatore, del consumatore [...] Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò
che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea”34.
La tradizione cristiana è particolarmente ricca di “esempi belli e motivanti” che hanno
tanto da dire in campo ecologico, a iniziare dai Padri del deserto, da san Francesco d’Assisi o
da san Benedetto da Norcia. Ve ne sono moltissimi altri che hanno avuto marcate virtù
ecologiche declinate in quanti modi la Grazia ha voluto manifestarsi. Si può partire dalla
sublimazione della cura della terra nello spagnolo sant’Isidoro l’agricoltore (1070 ca – 1130),
contadino per nascita e per necessità, nominato patrono dei campi. In vita ha sempre lavorato
e pregato, affrontando senza un lamento le fatiche dei campi, poiché in esse vedeva
l’adorabile volontà di Dio. La tradizione, tra gli altri, gli attribuisce il “miracolo del pozzo”:
grazie alle sue preghiere le acque di un pozzo salirono al punto tale da poter salvare un bimbo
che vi era caduto dentro35. Via via, si può arrivare fino alla dotta Ildegarda di Bingen (1098-
1179), la “sibilla del Reno”, musicista, artista, scrittrice, drammaturga, teologa, profetessa, ma
anche una eccezionale naturalista; una suora controcorrente e anticonformista che diede un
notevole contributo alle scienze naturali con il Physica, o Libro delle medicine semplici, e il
Causae et curae, o Libro delle medicine composte, due trattati enciclopedici che racchiudono
il sapere medico e naturalistico del tempo. Ildegarda è anche l’autrice di Viriditas, nel quale
disquisisce del rapporto filosofico tra l’uomo e la natura, nell’ambito del quale viriditas è un
termine che la Santa utilizza per evocare l’energia creativa della Vita presente in natura grazie
al soffio di Dio36.
In questa schiera di santi, si erge anche la figura di Francesco di Paola (1416-1507), un
gigante della santità, che visse misticamente la relazione con la natura, le cui virtù ecologiche
saranno approfondite in questo lavoro.
Pur appartenendo ad epoche ormai remote, riflettere sulle esperienze – tanto immanenti
quanto trascendenti - dei Santi non serve solo a guardarsi indietro per compiere una
anacronistica indagine ecologica, che nella migliore delle ipotesi possa far giungere alla
conclusione che ci sono stati periodi in cui la relazione tra uomo e ambiente era più
34 Ibidem. 35 S. CANALE, Vita di S. Isidoro agricoltore dedicata alla santità di nostro signore Benedetto XIV pontefice massimo, Stamperia Giannini, Roma, 1756; R. GIORGI, Santi, Mondadori Electa Editore, Milano 2002, p. 215. 36 M. FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI, In una aria diversa. La sapienza di Ildegarda di Bingen, Mondadori, Milano, 1992; E. GOLDSMITH, Alleanza cosmica. Riconnettere natura, società e spiritualità, A.H. KING-LENZMEIER, Ildegarda di Bingen. La vita e l’opera, Gribaudi, Milano, 2004.
14
equilibrata; il vissuto dei Santi spinge a guardare avanti, ma soprattutto proietta nella
dimensione spazio-temporale dell’Oltre.
15
3. La Calabria, patria di san Francesco di Paola, terra di fede e di contraddizioni
Parlare di Calabria, ovunque nel mondo, evoca un’immediata associazione con la mafia o,
all’opposto, con qualche santo, san Francesco di Paola prima di tutti. Quando san Giovanni
Paolo II nel 1984 scese in Calabria per la visita pastorale, rimase colpito dal contrasto che si
avverte in tutta la regione: da una parte la bellezza della natura, le qualità della gente e una
storia di fede senza pari e dall’altra soprusi e sperequazioni. “Una terra forte, [caratterizzata
da] un complesso di fattori negativi accumulati dalle circostanze e dagli uomini”37. A
Giovanni Paolo II non sfuggì come “a confronto con regioni analoghe dell’Italia e
dell’Europa, la Calabria non si colloc[asse] in un posto elevato della scala delle ricchezze di
ordine materiale” a cui aggiunse la triste constatazione che “gli uomini hanno talvolta finito di
distruggere quanto la natura aveva risparmiato”38. La responsabilità dell’azione umana,
dunque, è sempre stata l’origine dei mali di questa regione, che è “terra di contrasti: alla
ricchezza di alcuni fa riscontro la ristrettezza, quando non addirittura la povertà, di non
pochi”39. E pur sapendo bene quali fossero i mali della Calabria, nei suoi discorsi, carichi di
incoraggiamento, si coglie un profondo senso di stupore. Giunto all’aeroporto di Lamezia il
Pontefice si ritrovò in “questa terra meravigliosa, che con le verdi montagne si slancia verso il
cielo e in gran parte del suo perimetro s’affaccia sul limpido mare Mediterraneo” e osservò
come questa regione, “posta con i suoi monti fra l’immensità del cielo e quella del mare, si
direbbe che spinga spontaneamente all’elevazione verso Dio”40. Solo chi ha osservato da
vicino questa terra può rendersi conto delle bellezze naturali di cui Dio le ha fatto dono, e solo
chi ha avuto modo di visitarla, animato da una particolare sensibilità, può capire perché in
essa, nel corso della storia, si sia “sviluppata una straordinaria fioritura di centri eremitici e di
monasteri, disseminati qua e là, sulle montagne e tra i boschi”41. Dopo oltre vent’anni da
questa visita, la Calabria continua a chiedere lavoro, legalità, rispetto per i poveri, maggiore
37 GIOVANNI PAOLO II, Discorso Visita pastorale in Calabria, (5 ottobre 1984). 38 Ibidem. 39 Ibidem. 40 Ibidem. 41 Ibidem.
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tensione per il bene comune. In visita pastorale in Calabria, Benedetto XVI ha trovato davanti
a sé una “terra sismica non solo dal punto di vista geologico, ma anche da un punto di vista
strutturale, comportamentale e sociale; una terra, - ha sottolineato il Papa - dove i problemi si
presentano in forme acute e destabilizzanti; una terra dove la disoccupazione è preoccupante,
dove una criminalità spesso efferata ferisce il tessuto sociale, una terra in cui si ha la continua
sensazione di essere in emergenza”42. Esattamente dopo trent’anni dalla visita di Giovanni
Paolo II, papa Francesco, avvertendo un forte richiamo proveniente da tristissimi fatti di
cronaca, si è recato in Calabria, esattamente a Cassano allo Jonio, da dove ha comminato la
scomunica a tutti i mafiosi, “adoratori del male”43.
Insomma, sembra che la Calabria in questi ultimi trent’anni non sia riuscita ad affrontare e
vincere tutte le sfide che le si sono poste per attuare un reale processo di rinnovamento.
Oggi questa regione ha un Santo in più, san Nicola da Longobardi44, e tanti problemi
ancora irrisolti e talvolta sottovalutati. I problemi ambientali sono proprio tra questi.
Certamente sono in molti a pensare che, tra tutti, quello ambientale non sia tra i più urgenti.
Eppure, la sapienza della Chiesa afferma che la crisi ecologica non è scindibile dalla crisi
sociale, poiché “il libro della natura è uno e indivisibile”45.
Bisognerebbe accostarsi alla presenza di san Francesco di Paola con maggiore
consapevolezza, rispetto e fedeltà per il messaggio d’amore di cui ha reso partecipe il popolo
di Dio. Non soltanto invocazione, ma imitazione!: questo ha suggerito Giovanni Paolo II.
Per tanti, Francesco di Paola è solo un Santo che ha fatto (e ancora continua a fare)
miracoli e che ha istituito un Ordine e costruito conventi. E poco importa se non si riflette più
sulle virtù di quel Ragazzino penitente e austero, che, sentendo una forte vocazione, si
immerse nella natura e tra boschi, grotte e fiumi imparò a riconoscere la volontà di Dio; di
quel giovane Frate, che consacrò tutta la sua vita all’amore verso il Creatore e verso il
prossimo; di quell’umile Vecchio coerente, costretto a recarsi alla corte del re di Francia per
amore della Chiesa, che seppe rifiutare ogni agio per trovare ristoro solo nell’Amore. Non si
può dire di essere seguaci di san Francesco senza considerare anche le virtù ecologiche di
42 BENEDETTO XVI, Omelia Visita pastorale a Lamezia Terme e a Serra San Bruno (9 ottobre 2011). 43 FRANCESCO, Omelia Visita Pastorale a Cassano all’Jonio (21 giugno 2014). 44 San Nicola da Longobardi, al secolo Giovanni Battista Saggio (1650-1709), è stato un religioso oblato dell’Ordine dei Minimi di san Francesco di Paola, ed è stato canonizzato il 23 novembre 2014. Cfr. A. BELLANTONIO, Più in alto delle aquile. San Nicola da Longobardi (1650-1709), San Paolo, Cinisello Balsamo, 2014. 45 Caritas in Veritate, n. 51.
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questo uomo che amò e rispettò profondamente la natura e che riuscì a vedere in ogni creatura
un dono d’amore del Creatore.
Bisognerebbe correre con la mente a Lui, quando, inermi, osserviamo le acque del mare,
le stesse che sono state solcate dal suo venerato mantello46, diventare teatro di morte di
centinaia e centinaia di clandestini, deposito di carrette del mare che rilasciano sostanze
tossiche. Il fuoco, amico docile nelle mani di Francesco, è diventato strumento della volontà
incendiaria di criminali che ogni anno distruggono ettari di bosco. L’orto e il bosco, sfondo
naturale del suo impegno lavorativo quotidiano, potrebbero diventare alimentazione nociva
sulle nostre tavole se non si dà il giusto peso alla crisi ecologica.
C’era una relazione trascendente tra Francesco e la natura sulla quale bisogna riflettere,
impressa nella memoria dei luoghi in cui visse. Ci sono delle virtù di che ben dovrebbero
essere note ai suoi devoti. Ci sarebbe bisogno di osservare il creato con gli occhi di questo
buon Frate, che è stato capace di cogliere il ritmo e la logica della creazione. Charitas, regola
di vita del Paolano e dei suoi seguaci, è la sintesi di una perfetta relazione basata sull’amore
con Dio, con il prossimo, ma anche con il Creato. Al contrario, la crisi ecologica denota il
rapporto malato tra l’uomo, custode del creato, e Dio creatore, la relazione conflittuale tra
persona e natura, ma anche il legame irresponsabile tra la generazione di oggi e quella di
domani.
Richiamare il mondo all’esperienza di san Francesco di Paola in questo particolare
momento storico non vuole essere un manifesto di lotta ecologista, di chi è solo contro gli
abusi ambientali. Essere soltanto contro, vuol dire rinunciare a trovare soluzioni, vuol dire
restare soffocati in una spirale di odio, vuol dire perdere di vista il bene. Non è questo
l’insegnamento di san Francesco.
46 La tradizione e tutta l’iconografia ci hanno consegnato l’immagine del prodigioso transito di Francesco sulle acque dello stretto di Messina a bordo del mantello. Gli aspetti storici saranno approfonditi nel par. 6.2.
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4. Un chiaro messaggio d’amore
“Terra forte”, “terra di contrasti”, ma anche “terra meravigliosa”, la Calabria è stata
interpretata da Giovanni Paolo II soprattutto come “terra di fede”, che è stata “culla di molti
santi, qualcuno di statura spirituale non comune”. Il riferimento è chiaramente rivolto a chi è
“conosciuto nel mondo dal nome di una delle vostre più belle cittadine”, ovvero Francesco di
Paola, sintesi di quanto di buono ci sia in Calabria: “il santo della charitas, della penitenza,
della parola coraggiosa e franca”47. Un uomo “vissuto lontano dai libri ma vicino a Dio –
questo è il breve profilo pronunciato dal Pontefice nell’omelia durante la concelebrazione
eucaristica del 5 ottobre 1984 - Egli fu davvero uno di quei piccoli che Dio introduce alla
conoscenza delle sue cose nascoste. Francesco di Paola – continua ancora il Pontefice - non fu
certo un dotto, e tuttavia egli conobbe a perfezione la scienza dei santi e seppe penetrare nei
cuori più e meglio di quei dotti teologi, che non di rado ricorrevano a lui per avere risposte
chiarificatrici nei loro dubbi e nelle loro perplessità. Lui piccolo, anzi minimo come amò
qualificare sé e i suoi figli, meritò di essere maestro dei grandi della terra, e ciò grazie alla
luce che Dio riversava nella sua anima, assetata di lui”48.
Ai cittadini di Paola, ma per estensione a tutti i devoti del Santo, Giovanni Paolo II ha
rivolto un invito e un augurio – ripetuto più volte -, che se ben inteso dovrebbe rappresentare
un programma di vita da accogliere con grande serietà d’intenti: “sappiate incarnare in voi le
virtù che hanno reso grande san Francesco”.
Rileggere questo discorso sarebbe utile per inchiodare ciascuno alle proprie responsabilità
di devoto49:
San Francesco è stato additato al mondo come un eremita che praticava estenuanti
penitenze e mortificazioni, un uomo di Dio; ma egli era anche un uomo semplice,
schietto, che avvicinava i poveri, che lavorava e dava lavoro nel suo convento agli
47 GIOVANNI PAOLO II, Discorso Visita pastorale in Calabria, (5 ottobre 1984). Ancora prima di Giovanni Paolo II, Paolo VI disse ai vescovi calabresi e lucani: “Il fiorire nel corso del secolo XV di un santo della statura di un Francesco di Paola e il movimento spirituale che da lui prese inizio costituiscono una eloquente conferma della presenza nell’anima popolare di una vena ricca di linfa cristiana autentica”. Cfr. PAOLO VI, Discorso ai Vescovi della Basilicata e della Calabria in visita «ad limina apostolorum» (26 maggio 1977). 48 GIOVANNI PAOLO II, Omelia Concelebrazione eucaristica per i Religiosi e le Religiose (5 Ottobre 1984). 49 GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai cittadini di Paola (5 ottobre 1984).
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altri. Voi lo sentite giustamente come uno di voi, con le caratteristiche proprie di
questa vostra regione: la tenacia, la laboriosità, la semplicità, l’attaccamento alla fede
avita. Ovunque egli è stato, nelle grandi corti del tempo (a Napoli, Roma, Tours in
Francia), ha portato le virtù di questo popolo ed è stato l’immagine di ciascuno di voi.
Oggi sono qui per dirvi: sappiate incarnare in voi le virtù che hanno reso grande
san Francesco, in modo che con forza possiate debellare il male sociale, che agli occhi
di molti talvolta oscura l’immagine di questa laboriosa regione. Se saprete essere tra
voi aperti e sinceri, se avrete il coraggio di cancellare l’omertà, che lega tante persone
in una sorta di squallida complicità dettata dalla paura, allora miglioreranno i rapporti
tra le famiglie, sarà spezzata la tragica catena di vendette, tornerà a fiorire la
convivenza serena, e questa generosa terra apparirà, quale essa è, la terra di san
Francesco, la terra in cui fiorisce la carità e il perdono.
[…]
E vorrei ancora affidare alla protezione di san Francesco da Paola, vostro patrono,
tutti coloro che in questa città soffrono per la disoccupazione, per la mancanza di
lavoro. Sono stato subito attratto dalla lunga schiera di persone qui presenti che
manifestano per chiedere un bene: il lavoro. Vi auguro che presto sia risolto questo
grande problema umano e sociale, importante per tutta la vostra patria, ma importante
soprattutto per la vostra Calabria, per la vostra città, per le vostre famiglie, per le
vostre persone, per i vostri giovani, per i vostri figli. È l’augurio che vi faccio in questo
momento, cioè all’inizio della mia permanenza nella vostra città.
Protegga quanti a lui si rivolgono con spontanea confidenza, poiché lo vedono
come un santo vicino a loro, che dà fiducia, col quale è possibile esprimersi nella
lingua materna e dialettale, che infonde coraggio e speranza. San Francesco è stato in
vita un difensore dei poveri contro i soprusi dei potenti del tempo, e ha sempre
restituito a tutti serenità, salute e coraggio. Ora dal cielo ottenga per la sua Calabria la
serenità, la concordia degli animi, il rispetto della persona umana e aiuti a sconfiggere
la piaga dei sequestri, la violenza e gli altri mali funesti che travolgono la società
odierna e ottenga il lavoro per tutti.
Prima di Giovanni Paolo II, già nel 1977 Paolo VI aveva augurato ai vescovi calabresi e
lucani: “Continui ad agire per mezzo vostro San Francesco di Paola, che a difesa dei poveri e
degli oppressi non temette di elevare la sua voce, denunziando apertamente le malversazioni
dei potenti”.50
50 PAOLO VI, Discorso ai Vescovi della Basilicata e della Calabria in visita «ad limina apostolorum» (26 maggio 1977).
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L’umile penitente, il casto eremita, il potente intercessore, il taumaturgo, il riformatore,
l’ambasciatore di pace, l’amico della natura; si potrebbe continuare a lungo cercando di
enumerare tutti gli aspetti della personalità e della spiritualità di san Francesco di Paola (27
marzo 1416-2aprile 1507), ma la sintesi è una: charitas, amore. Amore divino che si è
straordinariamente rivelato in tutti i 91 anni di vita terrena di Francesco Martolilla, e che non
ha mai smesso di manifestarsi fino a oggi51.
Comunque la si voglia raccontare, qualunque sia l’aspetto da voler privilegiare, l’esistenza
di san Francesco è indiscutibilmente straordinaria. Basti solo riflettere sui dati più essenziali.
Nato a Paola, un piccolo villaggio feudale calabrese, finì i suoi giorni a Tours, centro
nevralgico della prestigiosa monarchia francese: una distanza enorme per il XV secolo, che
unisce due realtà estremamente differenti.
Giacomo e Vienna, chiamarono il loro figlio Francesco per devozione al Santo d’Assisi,
alla cui intercessione si erano affidati dopo molti anni di matrimonio e a cui fecero voto
quando il bimbo, appena nato, mostrò una grave malformazione a un occhio. Francesco
crebbe in un ambiente semplice e molto devoto. Appena adolescente, per sciogliere il voto, fu
accompagnato dai genitori nel convento francescano di San Marco Argentano, dove passò un
anno come oblato svolgendo ogni umile servizio. Al termine del periodo, nonostante i frati gli
avessero chiesto di restare, manifestò il desiderio di recarsi ad Assisi per chiedere ancora una
volta al suo Santo protettore, di poter comprendere la sua vocazione. Il pellegrinaggio si
rivelò un’esperienza di forte tensione spirituale.
Passò da Roma, poi sostò sulla tomba del Serafico, e di ritorno fece tappa anche a Loreto,
cuore della fede mariana, e a Montecassino, centro di spiritualità monastica. Proprio nella
città eterna, secondo i biografi, si verificò un avvenimento di grande intensità che indirizzò le
scelte future del giovane. Francesco, infatti, rimase molto contrariato per via dell’eccessivo
fasto del corteo di un cardinale incrociato per strada, al quale disse risolutamente: “Gli
apostoli di Gesù Cristo non andavano in giro con tanto lusso”. Il porporato, spiazzato dalla
fermezza di quell’acuto rimprovero, si giustificò dicendo che lo sfarzo era necessario per
garantire visibilità e prestigio alla Chiesa. Evidentemente non fu convincente. Tornato a
51 Per avere un quadro esatto della vita e delle opere di san Francesco di Paola cfr.: D. DE ROSA, San Francesco di Paola. Mistico e riformatore del suo tempo, Jaca Book, Milano, 2013; A. GALUZZI, Origine dell’Ordine dei Minimi, Libreria editrice della Pontificia Università Lateranense, Roma, 1967; G. FIORINI MOROSINI, S. Francesco di Paola. Vita, personalità, opera, Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 2006. Il corposo testo di G. ROBERTI, S. Francesco di Paola. Storia della sua vita, Curia generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 1963, è particolarmente indicato per chi volesse approfondire anche lo studio delle fonti.
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Paola, la volontà di Dio era più chiara e la decisione era ormai presa: Francesco “voleva fare
l’eremita”.
Era ancora adolescente, ma con ferma determinazione si ritirò nei luoghi dove ora sorge il
Santuario. Lì cercava la contemplazione nella solitudine di una grotta. Lì Dio si rivelò e lui
rispose donandosi completamente.
Il Signore, tuttavia, sconvolse i suoi propositi di un’ascetica vita solitaria e lo spinse verso
gli altri. Dopo circa cinque anni di solitudine, Francesco e i primi compagni che si
affiancarono a lui52, attratti da quello stile di vita austero, iniziarono la costruzione del
romitorio di Paola (altri ne sorsero in seguito a Paterno Calabro, Spezzano, Corigliano e
Milazzo) per accogliere i fedeli che, numerosi, accorrevano al povero eremita per ottenere
intercessione. Ma gli imprevedibili progetti di Dio erano tutt’altro che compiuti. Ciò che
inizialmente era un semplice movimento penitenziale divenne una congregazione riconosciuta
dalla Chiesa, in seguito denominata Ordine dei Minimi (che si distinse per l’annuncio della
conversione e per la vita quaresimale perpetua), rapidamente diffusosi in tutta Europa.
Il nostro umile Frate, che aveva maturato una scelta radicale di Dio, non era certo meno
incline all’amore verso il prossimo, manifestato nella preghiera, nell’accoglienza, nella
solidarietà e nel coraggio di alzare la voce verso i potenti, che vessavano poveri e indifesi con
politiche oppressive. Prese posizione netta e decisa verso chi gestiva il potere per proprio
tornaconto e non per servire il bene comune, tanto da essere considerato in alcuni frangenti
una minaccia dallo stesso re di Napoli, Ferrante d’Aragona. Francesco a corte era ritenuto un
personaggio scomodo, impertinente, che fomentava il malcontento e che probabilmente
istigava la gente alla ribellione53. In realtà era soltanto molto amato dalla sua gente, che
vedeva in lui una fonte di ispirazione divina e un modello di vita improntata sulla giustizia e
sulla pace. E in effetti, cercava piuttosto l’unione e la pace, specialmente tra i prìncipi
cristiani, preoccupato com’era di una possibile invasione musulmana in Europa (e in effetti,
l’avanzata turca sfociò nella conquista di Costantinopoli nel 1453).
La sua fama di santità si diffuse rapidamente e così, mentre lui pregava e si mortificava
per i problemi del suo tempo, il Signore lo usava come strumento dispensatore di ogni grazia.
Notizie di numerose guarigioni e di altrettanti segni prodigiosi echeggiarono ovunque nel
52 Sulle origini dell’Ordine dei Minimi Cfr. A. GALUZZI, Origine…cit. e tutti gli altri studi poi raccolti in ID., Studio sull’origine dell’Ordine dei Minimi (a cura di M. SENSI), Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 2009. Sulle origini del monastero di Paola cfr. F. RUSSO, Il Santuario-Basilica di Paola. Monografia storica e guida illustrata, Edizioni Santuario Basilica san Francesco di Paola, Paola, 1966 53 G. ROBERTI, Op.cit., pp.307 e ss.
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Regno e giunsero fino in Francia. Molto malato, il re Luigi XI invitò a corte l’eremita
calabrese, dal quale sperava di ottenere una miracolosa guarigione fisica. Francesco rifiutò
anche quando la richiesta gli arrivò dal re Ferrante, ma Luigi XI non si arrese e si rivolse al
Papa. Sisto IV, vide in quella richiesta un’occasione diplomatica unica, che non si lasciò
sfuggire e così impose all’umile religioso di recarsi in Francia.
Francesco amò la Chiesa fino alla totale abnegazione di sé. Vistosi recapitare il mandato
d’obbedienza del Papa, suo malgrado, si abbandonò alla volontà di Dio e partì. Aveva circa
67 anni, era esattamente il maggio 1483, quando il bonhomme – come presero a chiamarlo i
francesi - giunse a Tours insieme ad alcuni confratelli.
Luigi XI non ottenne la guarigione fisica che tanto sperava – non era questa la volontà di
Dio, gli spiegò Francesco -, ma ottenne la conversione. Morì con il conforto dell’ormai
anziano frate, al quale il re affido la guida spirituale del figlio (Carlo VIII).
Saggio e prudente, Francesco restò fedele alla sua vocazione di vita quaresimale e non
cedette mai alle lusinghe che la vita di corte offriva. Molti riconobbero in lui la chiara
impronta penitenziale di Giovanni Battista. Non le parole, ma la condotta cristiana
straordinariamente coerente richiamava a conversione chiunque entrasse in contatto con lui.
Dopo una brevissima malattia, Francesco morì il Venerdì Santo, era il 2 aprile del 1507,
circondato dall’amore dei suoi confratelli, lasciando loro in eredità una Regola, considerata
luce per i penitenti, e un esempio di vita santamente vissuta.
Francesco, fin dall’adolescenza, aveva avuto un amore incondizionato per la natura, nella
quale celebrava la presenza di Dio, che intravedeva nella profondità della terra, nelle creature
e nelle cose. Fin da ragazzo, quando scelse un cammino di eremitaggio, si era ritirato in un
luogo ove si potevano contemplare tutte le bellezze della natura: una montagna lussureggiante
attraversata dal fiume Isca, voce del canto mistico della creazione, che scorre veloce verso il
mare, in cui lo sguardo può perdersi da quell’altezza. Un paesaggio che, come ha avuto modo
di osservare anche Giovanni Paolo II, spinge spontaneamente all’elevazione verso Dio, tanta è
la sua bellezza.
In questa splendida pagina del libro della natura, Francesco ha sigillato il suo amore per il
Signore e, soltanto inizialmente, gli unici testimoni furono i suoi amici animali, le sue erbe e
poi il fuoco, l’acqua, il mare, il vento, le pietre. Il Signore, in cambio di quella totale e pura
dedizione, sempre in quel luogo ancora impregnato della presenza di entrambi, ha affidato a
Francesco un’infinità di doni, tra cui anche il dominio sulle forze della natura.
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E’ bello credere che quei luoghi conservino la memoria, che abbiano un’identità. Ogni
storia di amicizia tra l’uomo e Dio – spiega efficacemente papa Francesco – si sviluppa
sempre in uno spazio geografico, destinato a diventare un segno molto personale, una parte
della propria identità54. Ogni creatura è portatrice del linguaggio dell’amore di Dio e
dev’essere per questo che in quei luoghi privilegiati nei quali Francesco di Paola si è
incontrato con Dio – soprattutto il suo paese natìo, ma anche Paterno, Tours e tutti gli altri
ove passò e costruì le sue case – le anime più sensibili, quelle che godono di una
“consanguineità spirituale”55 avvertono un calore particolare56. Giovanni Paolo II ne rimase
stupito: “È significativo che il nostro incontro avvenga presso questo santuario, in cui tutto ci
parla di un uomo che seppe donarsi senza riserve a Dio, trovando in tale incondizionata
consacrazione di sé la sorgente sempre zampillante di una carità inesausta verso i fratelli”57.
Il potere dell’Uomo di Dio, alle cui preghiere tutto si conforma alla volontà di Dio, ha una
forza d’attrazione tale che nessuno può restarne escluso, se non gli indifferenti.
Allora, sarebbe bello inoltrarsi, per quanto possibile, nella storia di Francesco di Paola,
cercare di mettere a fuoco le virtù ecologiche che maturò e di cui c’è tanto bisogno oggi nel
mondo. Solo un’avvertenza: una delle principali doti di san Francesco è l’umiltà e
probabilmente proprio per umiltà san Francesco non si è mai svelato completamente in questi
600 anni. I documenti a disposizione dello storico non sono tantissimi, ma una cosa è certa:
“se vorrete contemplare la condotta impregnata di virtù e le opere prodigiose dell’Uomo di
Dio – queste sono le parole di un discepolo anonimo -, vedrete costantemente come tutti gli
elementi della natura gli obbedivano e lo servivano”58. Questa forza d’attrazione che scaturiva
dal dominio che Francesco esercitava sul creato, dalle sue virtù, dai suoi carismi e dalla sua
creatività aveva un unico obiettivo: portare le anime a riconoscere e accettare la volontà di
Dio.
54 Laudato si’, n. 84. 55 L’espressione è di Giovanni Paolo II. 56 Anche solo per curiosità, a tal proposito si possono leggere le recensioni che i pellegrini rilasciano in rete. 57 GIOVANNI PAOLO II, Omelia Concelebrazione eucaristica per i Religiosi e le Religiose (5 Ottobre 1984). Il giorno successivo, pur non essendo previsto nel programma della visita pastorale, il Papa ritornò a Paola e osservò: “Venendo in Calabria, ho pensato che forse il luogo più importante fosse Reggio Calabria, forse Catanzaro, forse Cosenza, ma vedo che il luogo più importante è quello dove è san Francesco di Paola. Non ho saputo questo prima, ma venendo qui lo vedo e lo vedo anche in questa circostanza, che il Papa, per la seconda volta, deve venire qui, in questo santuario. Ieri era la prima volta, e oggi sono dovuto tornare da Cosenza per recitare il Rosario che, tramite la Radio vaticana, il Papa recita nel primo sabato del mese e viene diffuso in tutto il mondo. Così, vedo che il punto più importante è quello dove si trova san Francesco di Paola”. GIOVANNI
PAOLO II, Parole di Giovanni Paolo II ai fedeli dopo la recita del Rosario (7 ottobre 1984). 58 ANONIMO, cap. XV, p. 61.
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5. La relazione armoniosa con il creato: il bosco, la grotta e l’orto
Il capitolo della vita di san Francesco di Paola più misterioso è sicuramente quello
trascorso nella grotta e probabilmente è anche quello più interessante ai fini della maturazione
delle virtù ecologiche.
Come già anticipato sommariamente, compiuti i 15 anni, Giacomo e Vienna spiegarono al
figlio il voto a cui si erano legati. L’Anonimo59 – così tradizionalmente si suole citare il
discepolo che scrisse la prima memoria biografica su Francesco da Paola, riferisce che il
ragazzo accettò di buon grado di vestire il saio francescano come oblato. La meta fu il
convento di San Marco Argentano, probabilmente scelto dai coniugi Martolilla per via della
presenza di padre Antonio Paparico di Catanzaro, che avevano conosciuto anni prima, quando
il francescano svolgeva le funzioni di guardiano della SS. Annunziata di San Lucido, a pochi
chilometri da Paola60.
Indubbiamente questo anno votivo fu particolarmente costruttivo per il ragazzo, che,
seppure destinato alle mansioni più umili, certamente avrà avuto modo di riflettere sulla sua
59 Cfr. ANONIMO, Vita di San Francesco di Paola scritta da un discepolo anonimo suo contemporaneo, 1502. Il testo originale, Libellus de vita et miracoli S. Francisci de Paula, è stato pubblicato per la prima volta dai Bollandisti in Acta Sanctorum, apr. t.I, Antverpiae, 1665. Il bollandista p. Daniele Papebroch, avendo trovato una copia in francese di questo succinto documento, ritenne che l’autore fosse per l'appunto un religioso francese. Più tardi, padre Giuseppe Perrimezzi trovò una copia antecedente a quella consultata dal Papebroch e dopo attenti studi ritenne di poter affermare che l’autore era Lorenzo delle Chiavi o Clavense, un religioso minimo originario di Terra della Regina, in provincia di Cosenza, che iniziò a dettare la sua testimonianza, in italiano, che il suo padre fondatore era ancora vivo (G. PERRIMEZZI, Vita S. Francisci de Paula Minimorum ordinis institutoris scripta ab Anonymo eiusdem sancti discipulo eique coaevo, Pars I, Notae, pars II, Dissertationes, Roma, 1707). La biografia fu poi completata dopo la morte di quest’ultimo e tradotta prima in francese e poi in latino. La versione italiana la si deve a N. LUSITO (a cura di), Vita di San Francesco di Paola scritta da un discepolo anonimo suo contemporaneo, Paola, 1967. Il volumetto ora si può anche consultare in G. COZZOLINO (a cura di), Alla sorgente del carisma di S. Francesco di Paola. Le fonti Minime, Edizioni Minime, Lamezia terme, 2002. Le conclusioni del padre Perrimezzi, furono poi messe in discussione da padre A. GALUZZI, Origini…cit., p. 7, il quale però non nega affatto il valore storico del testo, che resta pur sempre una preziosa fonte primaria, soprattutto per le informazioni che fornisce sull’infanzia e sull’adolescenza del Santo. Il documento, seppur scritto per esaltare le virtù di Francesco di Paola, appare veritiero, coerente e in sostanziale concordanza con altre fonti. 60 Cfr. A. GALUZZI, Origini…cit., p. 15 e G. ROBERTI, Op.cit., p. 79. Il padre Antonio fu anche la prima guida spirituale del giovane oblato.
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vocazione e probabilmente anche di approfondire vita e virtù di san Francesco d’Assisi, verso
il quale mantenne sempre un’autentica devozione.
5.1 Una vocazione accolta e benedetta
Compiuto il pellegrinaggio ad Assisi, il giovane Paolano, all’incirca sedicenne61, aveva le
idee chiare: ritirarsi in vita solitaria. L’Anonimo, anche se molto succintamente, svela dettagli
molto interessanti:
Con l’intenzione determinata di menare una vita solitaria, si ritirò in un podere di
suo padre, distante quasi un chilometro da Paola. I genitori gli procuravano il
necessario. Ma, per il gran numero della gente che passava di là, non gli era possibile
attendere agevolmente al servizio di Dio; perciò se ne allontanò, per ritirarsi in un altro
podere molto solitario messogli a disposizione da una sua congiunta. Ivi, trovando una
zappa atta a scavare la terra, cominciò a scavare e ne ricavò una piccola grotta o
capannuccia, capace di ospitare il suo corpicciuolo. Indi, coi mezzi dei genitori, costruì
una bella chiesetta, con tre celle o camerette; e vi rimase per lungo tempo, senz’altra
abitazione, digiunando, pregando e disciplinandosi62.
Una prima riflessione che emerge leggendo questo testo, riguarda la famiglia. Da queste
poche righe emerge tutto l’amore e la dedizione della famiglia Martolilla, stretta attorno alla
vocazione di questo ragazzo che ha il fermo proposito di servire Dio, seppur in una maniera
straordinaria63. Hanno discernimento e lo prendono sul serio, lo benedicono, lo assecondano,
continuano a prendersi cura di lui pur rispettando profondamente le decisioni del ragazzo.
Prima il papà, poi un’altra non precisata parente, mettono a sua disposizione i luoghi in cui
poter perfezionare la sua esperienza eremitica. Gli procurano il necessario, che per Francesco
è veramente poco, considerando che non si ciba se non di vegetali, forse gli metteranno a
disposizione qualche utensile o qualche indumento, ma non di più. La famiglia, inoltre,
61 Le fonti storiche non danno certezza sull’anno esatto in cui Francesco si ritirò a vita eremitica. ANONIMO, cap. II, p. 7, dice chiaramente che a quindici anni andò a San Marco Argentano e che quindi, dopo un anno, iniziò la sua esperienza eremitica. Diversamente, il teste Giovanni Antonachio (CPC, t. 6), dice che Francesco aveva 13 anni quando iniziò l’anno votivo. Cfr. G. FIORINI MOROSINI, S. Francesco…cit., p. 37. Secondo gli studi compiuti da padre Galuzzi, il viaggio sarebbe databile 1430. Cfr. A. GALUZZI, Origine…cit., p. 17. 62 ANONIMO, cap. III, pp. 8-9. 63 Secondo A. GALUZZI, Origini…cit., p. 21, la scelta dell’eremitaggio, in quei tempi e in quei luoghi, non era un fatto del tutto eccezionale. La sensibilità eremitica in Francesco potrebbe essersi radicata non solo a seguito della visita ai monaci di Monteluco durante il pellegrinaggio verso Assisi, ma anche dalla radicata presenza in Calabria di movimenti eremitici sin dal VI secolo. D. DE ROSA, San Francesco di Paola. Mistico …cit., p. 28.
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continua ad essere per Francesco una presenza discreta e sicura anche dopo, quando desiderò
iniziare la costruzione della Chiesa64.
Il reverendo Giovanni Antonachio, il testimone paolano più anziano al Processo
Cosentino, descrive finanche il momento del distacco di Francesco dalla famiglia. Il prelato
ha non meno di 9565 anni quando rilascia la sua deposizione e testimonia di aver conosciuto
tutti i Martolilla – sebbene non faccia mai cenno alla sorella Brigida – e di sapere come si
erano svolti gli avvenimenti legati alla vocazione del suo concittadino. In particolare dice che
di ritorno dal pellegrinaggio ad Assisi, “fra Francesco, senza entrare nell’abitato, andò a
stabilirsi in un romitorio”66. Dunque, nessuna esitazione: neanche tornò a casa, fosse anche
per prendere qualcosa di suo e nemmeno salutò gli amici, tant’è che lo stesso Antonachio
chiese ai genitori dove fosse Francesco e come risposta si sentì dire: “Ha voluto restare fuori
dal paese, perché intende vivere da eremita”67. Una risposta, questa, che isolatamente presa
potrebbe sembrare quasi distaccata, e che invece, alla luce di quanto descritto dall’Anonimo,
conferma ulteriormente l’amore incondizionato di questi genitori per il Signore, al quale
molto volentieri hanno affidato il figlio68.
Il secondo punto su cui riflettere prendendo in esame il testo dell’Anonimo è la scelta del
luogo. Secondo la tradizione – ma non vi è alcun riferimento storico – il primo podere in cui
Francesco si ritirò, pare fosse una vigna69. Il luogo era evidentemente in vista e ciò
rappresentava un problema per il giovane Francesco che ottenne di poter vivere nel luogo ove
poi sorse il Santuario: un bosco.
Il terzo elemento-cardine è la grotta, che lui stesso scavò, e che è particolarmente cara ai
devoti del Santo. Si tratta di una rientranza in una pietra, che, data la vicinanza con il fiume, è
molto umida: è angusta e sapendo che Francesco stava lì “digiunando, pregando e
64 G. FIORINI MOROSINI, S. Francesco…cit., p. 51. 65 Nella testimonianza dice che dacché lui ricordi – ovvero da 95 anni – la Calabria è terra cristiana. Considerando che la deposizione viene rilasciata nel 1512, se ne desume che l’Antonachio sia nato circa nel 1417, quindi è coetaneo di Francesco. E’ molto probabile che siano stati amici fin dall’infanzia, poiché in più riprese avvalora quanto riferisce sottolineando che “fu presente, vide e sentì”. Dunque, pur considerando la veneranda età del teste e la conseguente non perfetta memoria per i dettagli, sembra che la testimonianza sia attendibile. 66 CPC, t. 6. 67 Ibidem. 68 G. ROBERTI, Op.cit., pp. 104-106. 69 Cfr. I. TOSCANO, Della vita, virtù, miracoli ed Istituto di S. Francesco di Paola, fondatore dell’Ordine dei Minimi, Stamperia d’Ignatio de’ Lazari, Roma, 1658, cap. VII, p’. 38; F. VICTON, Vita, et miracula S.P. Francisci a Paula, sui saeculi Thaumaturgi, Ordinis Minimorum institutoris, typis Guilelmi Facciotti, Roma, 1625, cap. V, p. 12, citati da G. ROBERTI, Op. cit., p. 105.
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disciplinandosi”, suscita un’immediata tenerezza e conferisce un significato immediato e
tangibile alla parola “minimo”.
5.2 La spiritualità eremitica e la natura
Il ritiro di San Francesco in una grotta è stato interpretato come un richiamo alla grotta di
Betlemme, dove venne al mondo Gesù, così come può ricondurre idealmente alla grotta della
deposizione, che accolse il corpo del Salvatore prima della resurrezione. Inoltre, l’ingresso di
Francesco nella grotta è apparso come una chiara scelta di mantenere le distanze dal mondo,
per seguire Cristo penitente nel deserto, e scoprire e accogliere la volontà del Padre mediante
il digiuno e la preghiera. La grotta, ancora, può essere quel luogo in cui pregare il Padre nel
segreto, il luogo dove rientrare in se stessi e restare in contatto con la Trinità70.
Francesco visse isolato dal mondo per circa quattro o cinque anni. Secondo il Roberti, il
senso di questa vita austera e penitente è quello della protesta “alle aberrazioni e alle
contaminazioni della falsa rinascenza nel secolo XV”, al fine di “ridestare le salutari energie
della penitenza cristiana, per combattere l’invadente sensualismo, e ricondurre gli uomini alla
divina bellezza della virtù, all’acquisto della vera perfezione morale”71. Utilizzando le stesse
parole del Fiorini Morosini, questo primo periodo di eremitaggio del giovane Francesco può
essere sintetizzato come la “volontà di una consacrazione piena e definitiva al Signore,
desiderio di solitudine e di preghiera intensa, penitenza rigorosa, impegno di giovare agli altri
per un cammino di ritorno al Signore”72.
70 Il ritiro eremitico nella grotta di Paola è stato un aspetto molto indagato soprattutto da padre Galuzzi e sotto molti punti di vista. Questi dedicò gran parte della sua carriera di storico accademico a indagare le origine dell’Ordine dei Minimi, di cui fu anche Padre Generale. Molti di questi studi rimasti sono stati ora raccolti in A. GALUZZI, Studio sull’origine dell’Ordine dei Minimi (a cura di M. SENSI), Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 2009. Ugualmente interessanti, sono gli studi di G. FIORINI MOROSINI, S. Francesco di Paola e il suo movimento penitente nella Chiesa del XV secolo, in AA.VV., S. Francesco di Paola. Chiesa e società del suo tempo. Atti del convegno internazionale di studio, Paola, 20-24 maggio 1983, Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 1984, pp. 124-154; ID., L’esperienza della grotta nella spiritualità di San Francesco di Paola, Edizioni del Santuario, Paola, 1988. Infine, sempre a questo aspetto è stato dedicato il convegno del 2000, i cui contributi sono stati raccolti e pubblicati in AA.VV., L’eremita Francesco di Paola viandante e penitente. Atti del Convegno Internazionale di Studio. Paola 14-16 Settembre 2000, Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 2006. 71 G. ROBERTI, Op. cit., p. 44-45. 72 G. FIORINI MOROSINI, S. Francesco di Paola. Vita, personalità, opera, Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 2006, p. 53.
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Niente di più condivisibile, e tuttavia la riflessione non può fermarsi qui. La figura di
Francesco è stata spesso accostata a quella dei Padri del deserto, “anacoreti della prima
comunità cristiana, che [hanno disprezzato il mondo], hanno praticato le austerità e le
penitenze corporali, vivendo al di fuori del contesto urbano, nel deserto, soli con Dio
circondati dalla natura”73.
Lo stesso padre Roberti osserva come Francesco abbia trascorso questi primi anni sì “tra i
rigori della mortificazione”, ma anche circondato dal “sorriso della natura”74.
Il contatto con la natura non è così scontato per un eremita. In una riflessione
particolarmente interessante, il monaco camaldolese Lorenzo Saraceno osserva come nella
tradizione orientale dei Padri del deserto, l’eremos era il luogo dell’ascesi, della separazione
dal mondo, del combattimento spirituale, ma anche della privazione dei beni della natura,
quindi un “non luogo”, “innaturale”, “infecondo” caratterizzato da zone fisicamente aride e
desertiche75. Diversamente, gli eremiti medievali di tradizione occidentale76 hanno come
scenario un ambiente naturale decisamente diverso da quello medio-orientale, per cui, già a
partire dal V-VI secolo, è frequente trovare l’eremita su di un’isola, in campi verdeggianti, ma
soprattutto in boschi e foreste. Così, pur restando intatto il concetto di deserto come luogo del
ritiro e della contemplazione, lo scenario fisico è radicalmente mutato, ed è caratterizzato
piuttosto da “un eccesso di naturalità, di fecondità smisurata e disordinata”77. Il monaco
eremita della tradizione occidentale nel Medioevo è un homo selvaticus, “selvaggio, naturale
e in quanto tale non solo un po’ rozzo, ma anche essenziale, solitario che basta a se stesso”; è
un monaco che affronta un combattimento spirituale, grazie al quale la naturalità radicale e
indistinta del bosco si trasforma in una selva edenica, nella quale regna l’armonia della
creazione ricomposta78.
Dunque, l’eremita che nell’isolamento della grotta anacoretica cerca l’armonia interiore e
il dominio delle proprie passioni, per un dono di grazia dello spirito, riesce a trasformare la
foresta, disordinata e selvaggia in una sorta di paradiso terrestre ove può ricomporre la
73 A. GALUZZI, San Francesco di Paola seguace dei Padri del deserto, in ID., Studio sull’origine dell’Ordine dei Minimi (a cura di M. SENSI), Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 2009, p. 39. 74 G. ROBERTI, Op. cit., p. 105. 75 L. SARACENO, Un giardino nel cuore del mondo. Solitudine e comunione nella cella eremitica, in E. GARLASCHELLI, G. SALMERI, P. TRIANNI (a cura di), Ma di’ soltanto una parola…,Economia, ecologia, speranza per i nostri giorni, Educatt, Milano, 2013, p. 112. 76 Cfr. J. LE GOFF, Il deserto-foresta nell’Occidente medievale, in ID., Il meraviglioso e il quotidiano nell’Occidente medievale, Laterza, Bari, 1983, pp. 27-35. 77 L. SARACENO, Op. cit., p. 113. 78 Ibidem.
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bellezza originaria della natura. Così, come nel racconto biblico, egli si pone al centro della
creazione e cura e custodisce una natura, che gli resta sottomessa, riparando allo strappo che
l’uomo aveva operato nel suo rapporto con il creato, quando cominciò a mettere in
discussione l’aspetto trascendente delle cose79.
L’armonia del creato implica quella interdipendenza tra le creature che è voluta da Dio:
nessuna creatura basta a se stessa, ma ha bisogno delle altre perché si completino a vicenda80.
Ecco perché, così come accadde splendidamente in san Francesco d’Assisi, “quando ci si
rende conto del riflesso di Dio in tutto ciò che esiste, - dice papa Francesco - il cuore
sperimenta il desiderio di adorare il Signore per tutte le sue creature e insieme ad esse”, e
proprio dalla scoperta dello Spirito vivificante presente in ognuna di esse, scaturiscono le
virtù ecologiche81.
5.3 Aspetti relazionali
L’aspetto relazionale e l’interdipendenza tra le creature possono generare dei
fraintendimenti, tali che errori si sostituiscano ad altri errori. Papa Francesco, infatti, avverte
che le creature non sono equiparabili; che all’uomo spetta sempre un valore peculiare e al
contempo una tremenda responsabilità; che non si deve giungere a divinizzare la terra82.
Con queste premesse si può compiere un ulteriore passo in avanti e considerare l’aspetto
relazionale tra l’uomo e la natura. La spiritualità benedettina e quella francescana non
lasciano emergere un semplice uso strumentale delle creature, quanto piuttosto una
comunione. Francesco d’Assisi nel suo Cantico si rivolge all’acqua, al sole o alla luna con
espressioni familiari: fratello, sorella, madre. Questi appellativi, dati a realtà subumane,
esprimono ammirazione e rispetto e si basano sull’intuizione della paternità universale di Dio
che porta a valorizzare il vincolo fraterno con la creazione83. Studi ermeneutici hanno messo
in evidenza come il Serafico abbia utilizzato scientemente delle relazioni parentali per
esprimere il legame con gli elementi naturali, attribuendo l’appellativo di “madre” solo alla
terra (che chiama anche “sorella”), verso la quale esprime sentimenti di venerazione e
79 Cfr. CDSC, n. 464. 80 CCC, n. 340 81 Laudato si’, nn. 87, 88. 82 Ivi, n. 90. 83 J.A. MERINO, Op. cit., pp. 25-26.
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dipendenza, che sono più sfumati e relativizzati nell’affetto fraterno, dove prevale
l’ammirazione e il rispetto84.
La “comunione cosmica” sperimentata e cantata dall’Assisiate si ritrova perfettamente
anche in san Francesco di Paola. Riflettendo sulla relazione speciale che Francesco di Paola
ebbe con la natura, il padre Galuzzi osservò che “se per ecologia o mondo della natura si
intende e la centralità dell’uomo nel contesto del creato e il recupero dell’idilliaco rapporto
uomo-natura-ambiente, allora con forza bisogna dire che l’eremitismo è la forma più alta di
vita sociale, poiché la fuga del mondo offre la condizione ideale per una vita immedesimata in
Dio”85. Dunque, già la scelta dell’eremitismo è significativa nella vita del Santo e dà già un
chiaro segnale di una scelta radicale all’insegna dell’amore verso il creato.
Cosa sia accaduto esattamente nella grotta e al di fuori di essa nei primi anni di stretto
eremitaggio non è dato conoscere. Sappiamo tuttavia che il Santo ha praticato tanta penitenza,
ha digiunato, ha pregato e sappiamo anche che la grotta per Francesco resterà sempre il luogo
privilegiato del suo incontro con il Signore. Da quanto ci è noto del seguente periodo del
cenobitismo, però, possiamo capire bene quali siano stati i frutti di quel periodo eremitico:
l’esaltazione del candore battesimale che si manifestò nel potere sugli elementi della natura86.
“Il rapporto di Francesco – come ha argomentato il padre Galuzzi - è diretto a tutti gli
elementi della natura, che gli ubbidivano, restaurando quella gerarchia della creazione che il
peccato aveva infranto”87.
La sua relazione con la natura appare perfetta fin da subito e si manifesta con prodigi che
attirano l’interesse di un numero sempre crescente di persone e di seguaci. Ha acquisito
vincoli fraterni con le altre creature, dialoga con esse, si sostiene grazie alla natura, poiché suo
unico cibo sono le erbe, tant’è che spesso viene definito herbarius88. In tutti gli altri luoghi in
cui Francesco si reca per costruire eremi, cerca sempre di riprodurre gli stessi scenari: la
grotta, la foresta, la fonte d’acqua e l’orto, sono gli elementi indispensabili.
84 Ivi, pp. 23, 26. 85 A. GALUZZI, L’ecologia in San Francesco da Paola, in ID., Studio sull’origine dell’Ordine dei Minimi (a cura di M. SENSI), Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 2009, p. 119. 86 G. ROBERTI, Op. cit., p. 582. 87 A. GALUZZI, L’ecologia…cit., p. 121-22. 88 A. GALUZZI, Il contributo dato da San Francesco di Paola per la comprensione della penitenza nella Chiesa, in ID., Studio sull’origine dell’Ordine dei Minimi (a cura di M. Sensi), Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 2009, p. 43. L’alimentazione sobria e austera quali elementi essenziali dell’ascetismo di San Francesco di Paola sono stati ampiamente trattati da D. DE ROSA, San Francesco di Paola il profeta dell’essenziale, Editoriale progetto 2000, Cosenza, 2015. Il riferimento all’uso del termine herbarius è in CPC, t. 72.
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Anche quando fu costretto a recarsi in Francia, ormai anziano, continuò a condurre la sua
vita senza mai tradire le sue regole di vita. Nella testimonianza di Leonardo Barbier, uno dei
frati di comunità con Francesco di Paola nel convento di Plessiz-lés-Tours, si legge che “alle
volte, secondo il tempo, si recava nell’orto vicino, munito di zappa o altro arnese per
dissodare la terra con le proprie mani per l’intera giornata, e, quando si stancava, entrava in un
piccolo tugurio, formato come una specie di mezzo forno, coperto di salici, munito di croce,
rivolto verso il cielo, quivi si ritirava, facendo attenzione che nessuno lo scorgesse e verso
sera ne usciva, di nascosto, entrando nella sua cella”89. La vita di corte e l’avanzare dell’età
non avevano minimamente scalfito il suo propositum eremitico. I beninformati che
frequentavano la corte francese raccontano che “qualche volta […] si nascondeva in un
cespuglio folto e inaccessibile del parco di Plessis, a tutti ignoto”, dove rimaneva anche per
tre giorni di fila90. Nascosto relativamente. Raccontano i biografi, infatti, che la scoperta di
una grotta nel parco di Tours fu di grande conforto per l’anziano frate, che vi accorreva per
intrattenersi in preghiera.
Non stupisce che il cammino di conversione di Luigi XI sia iniziato proprio dopo aver
assistito ad uno di questi momenti di intimità che il frate ebbe in questa grotta di Plessis-les-
Tours. Fu Anna, la primogenita del re, ad accorgersi del piccolo angolo di paradiso e vide
Francesco in estasi, sollevato da terra e tutto raggiante. Anna chiamò il padre, che riuscì a
vedere anche lui diverse volte le estasi del bonhomme e così si convinse che era davvero un
uomo di Dio91.
Oltre alla grotta, un altro elemento fondamentale del convento è l’orto, un altro luogo
carico di trascendenza. Se ne parlerà ampiamente più avanti, ma in questa sede sia sufficiente
porre attenzione al significato che Francesco dava al lavoro della terra, così come lo possiamo
scorgere dalla Protoregola, di incerta datazione, ma di sicura espressione del pensiero del
Santo92. Solo qualche breve cenno sul documento potrà essere utile per coglierne criticamente
il senso e il valore. I primi seguaci che vollero seguire le orme dell’eremita paolano si
89 CPT, t. 38. 90 CPT, t. 52. Cfr. G. ROBERTI, Op. cit., p. 414, che dalla descrizione, riportata anche da diversi biografi, riconosce come si fosse ricostruito una grotta somigliante a quella di Paola e di Paterno. Cfr CPT, t. 38. 91 G. FIORINI MOROSINI, S. Francesco di Paola. Vita, personalità, opera, Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 2006, p. 208. 92 A. GALUZZI, La “protoregola” dell’Ordine dei Minimi, in ID., Studio sulle origini…cit., p. 230. Il documento porta la data del 1474. Il Galuzzi ritiene che tale data non corrisponda al vero e, dopo aver condotto accurati studi presso l’Archivio Segreto Vaticano, ritiene che si debba posticipare di dieci anni, quindi al 1484, quando Francesco chiese a Innocenzo VIII l’approvazione di una Regola.
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aggregarono intorno al 145093 e dopo circa vent’anni, cominciò l’iter burocratico per
l’approvazione ufficiale del nuovo Ordine che si era creato attorno alla figura di Francesco di
Paola, le cui prime tappe fondamentali furono la costituzione Decet nos, datata 1471, e la
successiva approvazione da parte di Sisto IV nel 1474 con la Sedes Apostolica94.
Successivamente, a Francesco fu chiesto di stendere una Regola, e probabilmente una delle
prime versioni fu proprio la Protoregola, che però fu ritenuta troppo “originale” e quindi mai
approvata dalla Chiesa95. Il documento, per molti aspetti simile a un correttorio, rappresenta
un codice di vita comunitaria molto austera, con specifiche notazioni sulle funzioni di ciascun
frate; vi sono continui richiami alla povertà, all’obbedienza, al digiuno, alla preghiera, alle
veglie; colpisce soprattutto per la severità delle pene comminate nell’ipotesi di mancata
osservanza delle regole.
Tuttavia, ad un certo punto del documento si scorge la descrizione della funzione di
giardiniere, che appare come una sorta di privilegio in tanta austerità. Nella Protoregola,
infatti, si legge che “qualcuno tra i frati sia giardiniere, il quale si occuperà con piena
diligenza di coltivare e di provvedere a tutte le cose che appartengono al giardino. […] e al
detto giardiniere non sia dato altro ufficio da fare che di mantenere il detto giardino. E può
prendere la refezione a tutte le ore ciò che non fanno gli altri frati, sia a tavola con gli altri
frati o no, a causa dell’occupazione del giardino”96. Insomma, tutte le regole di vita
comunitaria, quali mangiare con puntualità in refettorio insieme ai confratelli, attendere a una
o più funzioni, sono sospese per il giardiniere, che deve dedicarsi totalmente all’orto, deve
seguirne i ritmi, anche a costo di modificare i propri.
L’orto, così come il bosco, sono i luoghi ove Francesco presta la sua opera di instancabile
lavoratore ed è proprio in questo contesto che si può scorgere una relazione pacificata e di
rispetto reciproco tra l’uomo e la natura. Nei racconti di molti testimoni escussi durante i
processi canonici, non sono sfuggiti alcuni dettagli: Francesco lavorava moltissimo, in
93 Tale data si ricava dalla costituzione Decet nos del 1471 a firma del vescovo Pirro Caracciolo Pisquizi, che rappresenta la magna charta dell’ordine dei Minimi. Cfr. A. GALUZZI, Origini…cit., pp. 55-68. 94 A. GALUZZI, La “protoregola” …cit., pp. 222-227. 95 Ivi, p. 228. L’approvazione della Regola fu per Francesco fonte di particolare preoccupazione per via dell’inserimento del quarto voto di vita quaresimale. 96 Il testo originale della Protoregola, in francese, si trova a Parigi, Bibl. Arsenal, ms. 2272; qui è stata utilizzata la trascrizione di A. GALUZZI, La “protoregola” …cit., pp. 234-255; il virgolettato è a p. 246. Per gli altri frati era previsto che, suonata la campana, si recassero subito in refettorio; in caso contrario gli sarebbe stata sottratta la pietanza e lasciato a pane e vino. Ivi, p. 242. Fare l’ufficio di un altro comportava tre giorni di disciplina.
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condizioni talvolta molto gravose, eppure non appariva mai stanco o affaticato. Talvolta la
pioggia non lo bagnava97. Ma c’è di più.
Il nobile cosentino Francesco Florio era un assiduo frequentatore di frate Francesco ai
tempi in cui questi dimorava a Paterno per la costruzione del convento, attratto dalla fama di
santità del Minimo. Si recava spesso a trovarlo e lo osservava con stupore. Racconta la grande
naturalezza con cui si addentrava nei boschi e in ogni luogo impervio, camminando sulle
spine senza farsi male. Lo descrive come un gran lavoratore, che spesso e volentieri trascorre
il tempo a spaccare pietre per erigere conventi, vestito di un saio logoro e sdrucito. Ma non gli
sfuggono alcuni dettagli: “Aveva le mani più morbide e delicate del miglior signore di città,
[…] la sua persona odorava come erba fresca; i capelli poi apparivano come fili d’oro; i piedi,
pur incedendo nudi erano, come le mani, delicati e morbidi, come se avesse sempre calzato le
scarpe” 98.
“Camminava scalzo – osservava il paolano Antonio Zarlo – ma conservava i piedi bianchi
e belli come se calzasse le pianelle”99. E ciò era vero “d’inverno come anche di estate”,
aggiunge Pietro Polita100. Il reverendo don Carlo Pirro di San Lucido, testimoniò che
Francesco “dava giù con la mazza, zappava, cavava pietre e le sue mani restavano gentili e
morbide come quelle di un signore nato, […] aveva indosso sempre un abito logoro
direttamente sopra le carni ed emanava un profumo particolare con il volto ad ogni ora sereno
e allegro”101.
97 PCal, t. 114. Racconta ser Nicola Privari, decano di Catanzaro, che mentre era in costruzione il convento di Paterno sopraggiunse una pioggia torrenziale. Tutti gli operai cercarono ricovero, mentre Francesco continuò a lavorare sotto la pioggia, finita la quale “trovarono il beato Francesco in alcun modo bagnato, come se mai avesse piovuto”. 98 CPC, t. 4. 99 CPC, t. 30. 100 CPC, t. 31. 101 CPC, t. 57. Le testimonianze che riportano questo particolare sono numerose. Ad esempio, Anche Andrea Rossano di Paola (CPC, t. 24) riferì che fra Francesco “andava scalzo anche sopra le spine nei boschi”. Testimonianza dello stesso tenore anche Antonio Magliarisio di Paola (CPC, t. 25), Bartoluccio Pecoraro di Paola (CPC, t. 43), Pirro Antonio di Sica (CPC, t. 61); Bernardino Florio di Paterno (CPC, t. 64); Neapolo Verallo di Paterno (CPC, t. 65); Francesco Coco di Paterno (CPC, t. 72); Raucio Parisi di Paterno (CPC, t. 74); sorella Giovanna Caputo di Paterno (CPC, t. 75), ANONIMO, cap. VII, p. 20.
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6. Il dominio sulle forze della natura
Ubbidienza fida, e che non puoi? T’ubbidisce Natura, e l’Foco gela a la virtù, che al tuo fervor si svela; è mirabile Iddio ne’ Servi suoi.102
Quando un cristiano ha bisogno di discernere cosa sia bene e cosa sia male legge il
Vangelo. Papa Francesco l’ha fatto per tutti, riprendendo nella sua enciclica tutti i passi che
mettono in risalto l’atteggiamento di Gesù nei confronti del creato103. “Il Signore poteva
invitare gli altri ad essere attenti alla bellezza che c’é nel mondo, perché Egli stesso era in
contatto continuo con la natura e le prestava un’attenzione piena di affetto e stupore. Quando
percorreva ogni angolo della sua terra, si fermava a contemplare la bellezza seminata dal
Padre suo, e invitava i discepoli a cogliere nelle cose un messaggio divino”104. La regalità di
Gesù nei confronti delle forze della natura suscitava un immenso stupore in chi gli stava
accanto, come nel caso della tempesta sedata, che fa esclamare ai suoi discepoli impauriti:
“Chi è mai costui al quale i venti e il mare obbediscono?” (Mt 8,27) E’ una domanda retorica,
evidentemente, e al contempo un’implicita rivendicazione della natura divina di Gesù, al cui
cospetto le forze della natura si sottomettono.
Questo stesso stupore dei discepoli emerge chiaramente anche dalle deposizioni rilasciate
dai testimoni interrogati durante i processi canonici per il riconoscimento della santità di
Francesco di Paola105. Il conte di Arena e Stilo, nella supplica inoltrata al Pontefice per
102 Passaggio di una poesia di F.F. FRUGONI, I Fasti del miracoloso San Francesco di Paula descritti dal padre lettore Francesco Fulvio Frugoni, Combi e La Noù, Venezia, 1668, par. III, p. 475, CLXXI, nella quale si vuole cantare la meraviglia per il miracolo compiuto nella calcara, dove il fuoco divampava, mentre Francesco ne entrava e usciva illeso dopo averla riparata. 103 Laudato si’, nn. 96 e ss. I passi citati sono: Lc 12,6; Mt 6,26 ; Mt 13,31-32; Mt 8,27. 104 Laudato si’, n. 97. 105 Riguardo al processo Cosentino cfr. P. ADDANTE, Il processo cosentino e turonense a Francesco di Paola: ricerche storico-critiche, Centro ricerche storico-filosofiche, Bari, 1979; Sullo svolgimento dei processi cfr. P. ADDANTE, San Francesco e i testimoni del processo cosentino, in AA.VV., Fede, pietà, religiosità popolare e San Francesco di Paola. Atti del II Convegno Internazionale di Studio, Paola 7-9 dicembre 1990, Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 1992, pp. 206-258. A. GALUZZI, Origine dell’Ordine dei Minimi, Roma, 1967, pp. XII-XIII. S. CORRADINI, Il processo di canonizzazione di S. Francesco di Paola alla luce della odierna normativa, in AA.VV., L’eremita Francesco di Paola viandante e penitente. Atti del Convegno
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ottenere la canonizzazione del beato Francesco da Paola, che la gente venerava già come
Santo, ha dei passaggi particolarmente interessanti. Il nobile asserisce di essere certo che
Francesco fosse un uomo particolarmente gradito a Dio poiché “pose tutte le cose sotto i suoi
piedi, i pesci del mare e gli uccelli del cielo, le pecore e i buoi tutti e anche le greggi del
campo” 106. Riassume la sua fama di santità per via dei numerosi episodi miracolosi: “i morti
risuscitarono, i lebbrosi furono mondati, le donne sterili partorirono” e aggiunge anche che a
Francesco “la natura ribelle si piegò docile” 107. “Al suo comando, […], gli alberi sono fioriti
e hanno prodotto frutti e non solo la natura ha obbedito, quanto essa è stata annientata, nel
fuoco che ha perso il vigore, e nelle fonti che sono sgorgate in luoghi aridi e tuttora gettano
acqua”108.
Sono numerosissime le testimonianze di uomini e donne che si rivolgono all’Uomo di Dio
con la stesso timore che hanno gli apostoli, ovvero che la natura incontrollabile prenda il
sopravvento. Vedono il mare in tempesta, un fiume inguadabile, il fuoco che avanza, le rocce
che precipitano dalla montagna e, sentendosi minacciati e fragili, si rivolgono al buon Frate.
Può sembrare paradossale, ma tra Francesco e la natura c’era quasi un vero e proprio dialogo;
e ciò che convince è proprio la risposta della natura. Una risposta docile e ubbidiente,
talmente tempestiva da fugare nei testimoni qualunque dubbio che potesse dipendere da altro
se non dalla grazia di Dio. In molte narrazioni si riesce a cogliere esattamente questo
cambiamento dalla paura, frutto della “poca fede”, alla certezza, che matura nello spazio di
pochissimo tempo. Come i discepoli di Emmaus, i testimoni di questi processi accorrono nei
luoghi ove venivano raccolte le informazioni utili per la canonizzazione del Paolano, per
raccontare ciò che avevano visto o udito, e di come qualche particolare – che sia stato lo
spezzare del pane, una preghiera, un prodigio – abbia loro aperto gli occhi e fatto vedere la
presenza del Cristo Risorto.
Internazionale di Studio, Paola 14-16 Settembre 2000, Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 2006, pp. 284-94. 106 Lettere dell’Illustre Signore, Don Giovanni Francesco di Arena, Conte di Arena e di Stilo, inviate al Beatissimo Signore Leone Pontefice Massimo, 17 dicembre, 1516, consultato in M. FIORINI MOROSINI (a cura di), Processo Calabro per la canonizzazione di S. Francesco di Paola, Cittàcalabriaedizioni, Soveria Mannelli, 2010, p. 87 107 Ibidem. 108 Ibidem.
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6.1 La forza dell’amore e della persuasione: il fuoco
La prima volta che la “vampa” fu avvistata correva l’anno 1416, giorno 27 marzo, giorno
in cui venne al mondo un bambino destinato a cambiare il volto della Calabria. La leggenda
narra che mentre donna Vienna stava partorendo il suo bambino, i vicini poterono vedere sulla
casa delle lingue di fuoco, un fuoco ardente d’amore che avrebbe trovato dimora nel cuore di
Francesco di Paola109. Il venerabile don Francesco Mottola, affezionato devoto del Frate110,
sigillò il suo amore nella “leggenda aurea” 111, un componimento letterario particolarmente
ispirato che spiega in prosa il significato allegorico del fuoco, essenza stessa del Paolano.
La vedi quella vampa lassù? Il bimbo guardò con la pupilla tesa; no, mamma, rispose. Fu così che la gente di Paola, apprese che il santo era morto. I bimbi lo dissero ai bimbi e le mamme alle mamme che la fiamma non ardeva più, l’Isca non cantava più, scendendo al mare, la sua canzone sacra. Il santo l’aveva promesso: finchè sarò vivo, anche andando in Francia, lascerò qui la “vampa” di san Francesco. Era apparsa la prima volta, quando Francesco era nato e l’aveva arroventato; ma appariva sul suo volto: e quando pregava gli splendeva negli occhi, e quando parlava la parola sprizzava faville, e quando operava nell’anima e nelle cose lasciava i segni lucenti del fuoco. […] - La vedi la fiamma lassù -: no, mamma! Quella sera a Paola fu una serata di pianto: il Santo era morto! Lo seppero tutti, prima che la notizia arrivasse dalla Francia.
La “leggenda aurea”, tramandata dagli anziani, dice che la fiamma non è del tutto spenta,
anzi, in Calabria, ovunque vi sono semi di fiamma, che solo occhi innocenti possono
scorgere112.
Il fuoco può essere fonte di calore, se tenuto a distanza, ma può diventare una minaccia
molto pericolosa se non lo si tiene a bada; nonostante questo, Francesco non dimostra alcun
timore del fuoco, anzi, instaura con esso una sorta di alleanza e, per questo non stupisca che
Francesco di Paola è meglio noto – in lingua inglese – come fire handler. 109 L’apparizione prodigiosa di lingue di fuoco sulla casa natale del Santo è riportata nell’agiografia di Paolo REGIO, Vita et miracoli et morte di S. Francesco di Paola descritta dal reverendo sacerdote Paolo Regio Dottor Teologo napolitano, Horatio Salviano, Napoli, 1577 ed è attestata da una lunga tradizione iconografica. Cfr. P. AMATO, Imago Ordinis Minimorum. La magia delle incisioni 1525-1870, Ordine dei Minimi, Roma, 2007, vol. I, pp.74, 160; G. Roberti, Op. cit.,, p.65. 110 Cfr. F. MILITO, Don Mottola, devoto di San Francesco, in , in AA.VV., Fede, pietà, religiosità popolare e San Francesco di Paola. Atti del II Convegno Internazionale di Studio, Paola 7-9 dicembre 1990, Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 1992, pp. 738-750. 111 Cfr. F. MOTTOLA, Faville della lampada, Edizioni Paoline, Torino, 1955, pp. 77-82. 112 G. GRILLO, Le bastonate di Francesco, Centro Editoriale Cattolico, Vigodarzere, 1997, pp. 6-9.
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Tra i prodigi più noti e più rappresentati vi è quello della fornace ardente, ampiamente
testimoniato nelle fonti. Quando Francesco stava costruendo il convento nella sua città natale,
fu allertato dagli operai, che avevano notato che la fornace nella quale cuocevano la calce
stava cedendo per la violenza del fuoco. Il buon frate li rasserenò e li inviò a fare una pausa
per rifocillarsi. Un testimone riferisce le parole esatte che disse Francesco: “Non abbiate, per
carità, a preoccuparvi; andate pure e fate colazione”113. Quando tornarono sul posto videro
solo che il Frate si stava pulendo le mani e che la fornace era stata “rimessa in sesto,come se
non ci fosse mai stata alcuna crepa o lesione visibile”114.
Il fuoco gli obbedisce prodigiosamente anche su materie non infiammabili. Ad esempio,
donna Polisena Cingona racconta di essersi recata nei luoghi dove san Francesco stava
erigendo il convento di Paola e di aver scorto il frate mentre stava facendo il bagno ad un
ammalato115. Sennonché, per riscaldare l’acqua, invece di dar fuoco alla legna, accese delle
pietre. “Fra Francesco le prese con le sue mani nude; - testimonia la signora - erano quelle
pietre accese e fumiganti come tizzoni accesi, tenendole in mano, e […] le mani di fra
Francesco non ne avvertivano benché minimamente il fuoco e le portava senza suo danno
come fossero rose”116.
Tenere a bada il fuoco è per lo stesso Francesco un segno forte con il quale vuole
rivendicare la sua appartenenza a Dio verso chi vuole mettere in discussione il suo stile di vita
quaresimale. Un esempio molto significativo vide coinvolto il frate francescano Antonio
Scozzetta, di cui si parlerà diffusamente più avanti117; ad un caso analogo assistette don Carlo
Pirro, sacerdote di San Lucido. Questi era stato inviato a Paola dall’arcivescovo Pirro, per far
da guida ad un altro sacerdote, inviato dal papa Paolo II per indagare sulla condotta di vita
dell’Eremita paolano. Francesco stupì fin da subito il delegato pontificio dimostrando di
sapere addirittura da quanti anni avesse preso messa. Il Canonico prese poi a criticare lo stile
di vita austero del frate e quasi lo offese dicendogli: “intanto la fate e potete sostenerla in
quanto siete contadino, ma se foste nobile non potreste farlo”. Era inverno e c’era del fuoco
nella stanza dove i due si erano appartati. Francesco, inizialmente confermò di essere un
113 CPC, t. 18 114 Tratto dalla deposizione di Giovanni Antonachio, in CPC, t. 6. L’episodio è riportato anche nelle deposizioni di Antonio d’Alessio di Paola (CPC, t. 16), testimone presente ai fatti, da Nicola Caruso di Paola, (CPC, t. 18). Cfr. CPC, t. 86; PCal, tt. 34, 92, 121. 115 In diverse testimonianze si ha traccia di queste opere di misericordia operate dal santo Paolano, che trattiene gli ammalati in convento e li accudisce in prima persona. CPC, t. 47. 116 CPC, t. 35 117 Infra, par. 7.
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“uomo di campagna e rozzo”. Poi, però, si chinò e dal braciere con le mani prese dei carboni
ardenti, li mostrò all’ospite e osservò: “Guardate, se non fossi contadino, non potrei fare
questo”. Il messaggio era chiaro: un contadino, per quanto rozzo possa essere, non può
compiere simili prodigi senza una particolare grazia. A quel punto, il sacerdote, pentito, mutò
atteggiamento e gli baciò ripetutamente l’abito, che era il segno del suo stile di vita118.
Don Giovanni Antonachio – testimone di cui si è già fatta menzione – raccontò di aver
accompagnato da san Francesco un confratello sacerdote che si dimostrava scettico sulle virtù
taumaturgiche del frate119. Dopo una breve discussione, a voler dimostrare che la relazione tra
l’uomo e le altre creature era amicale, prese in mano un carbone ardente, lo strinse forte e lo
trattenne per qualche tempo, quasi a voler fugare ogni dubbio, e gli disse ancora: “Questo
fuoco perché è stato creato da Dio se non per obbedire all’uomo?”120.
Sempre lo stesso testimone, che insiste molto sul dominio che Francesco esercitava sul
fuoco, raccontò come il buon Frate avesse incaricato un suo confratello di scaldare delle fave
per sfamare Mastro Antonio. Il giovane, però, dimenticò di accendere il fuoco sotto la
pignatta, così, giunta l’ora della colazione, andarono in cucina e, visto il cibo crudo, Mastro
Antonio e don Giovanni si misero a ridere. San Francesco, invece, si avvicinò e sollevò il
coperchio della pignatta e i testimoni si accorsero che il contenuto era bollente e fumante.
Ricontrollarono anche dopo aver mangiato: la cenere era fredda121.
Racconta ancora Bernardino Pugliano di Paterno che lui stesso appiccò un fuoco non
molto distante dal bosco in cui Francesco raccoglieva legna per la costruzione del convento;
le fiamme cominciarono ad avanzare velocemente in direzione del Frate. A quel punto
Francesco si rivolse al fuoco con queste parole: “Fuoco, per carità, brucia ciò che è tuo, ma
non invadere la nostra legna”. Il fuoco ubbidì arretrando immediatamente122.
E’ ancora l’Antonachio ad affermare che un giorno, recatosi al convento di Paola per
partecipare alla santa messa, si accorse che non c’era fuoco per accendere le candele
sull’altare. Il testimone aveva controllato di persona che tra i carboni non c’era niente che
ardesse, ma quando andò Francesco, prese dei tizzoni e “soffiatoci sopra, con il semplice
118 CPC, t. 57. 119 Questa deposizione sarà ripresa e approfondita nella prossima sezione. 120 CPC, t. 6. 121 Ibidem. 122 CPC, t. 97.
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alitare i carboni divennero fiammanti, potendo così accendersi la candela con cui celebrar
Messa”123.
Il fuoco accompagna tutta la vita del Santo, dalle prime “vampe” fino all’ultimo prodigio
compiuto da Francesco nella sua vita terrena. Il buon Frate cominciò ad aggravarsi la
domenica delle Palme e una febbre “tenace e maligna” lo rese particolarmente debole.
Nonostante la debolezza da novantunenne moribondo, volle celebrare come di consueto la
riconciliazione del giovedì santo. Al suo capezzale erano giunti confratelli da ogni provincia e
nazione, quando a un certo punto, mentre stavano parlando del voto di digiuno quaresimale,
gli assi che sostenevano il braciere presero fuoco. Francesco si alzò e con le mani nude prese
il braciere per rimetterlo a posto e disse ai suoi confratelli: “In verità vi dico che a chi ama
Dio non è difficile mantenere quanto ha promesso, più di quanto sia difficile a me tenere in
mano questo fuoco”124. Ancora una volta, il messaggio del fuoco giunse al cuore di tutti i
frati, che “si prostrarono ai piedi del beato Padre e promisero che avrebbero osservato il
suddetto voto fino alla morte. Subito si inchinarono tutti, l’uno verso l’altro, per abbracciarsi,
chiedendosi reciprocamente perdono nel gesto della Riconciliazione. Egli abbracciò tutti con
grande carità e, quasi stesse sul punto di partirsene, li benedì paternamente”125.
6.2 Provvidenza e pace: le sorgenti e il mare
Così come il fuoco, le qualità dell’acqua possono essere mutevoli. E’ una componente
essenziale in natura e Francesco d’Assisi la considera una sorella utile, umile, preziosa e
casta; la mancanza d’acqua può mettere in discussione la stessa vita umana, può diventare
motivo di discordia, può rappresentare un pericolo. Così, mentre san Francesco d’Assisi canta
le qualità della natura già pacificata con l’uomo, in san Francesco di Paola possiamo osservare
da vicino come avviene questa pacificazione. Spulciando nelle fonti è possibile osservare
come Francesco di Paola – che dal 1943 è patrono della gente di mare d’Italia126 - intervenga
come strumento provvidenziale per mettere pace tra l’uomo e la natura.
123 CPC, t. 6. Episodi analoghi in CPC, tt. 7; 9; 14. 124 CPT, t. 38. Il testimone è il trentaquattrenne Leonardo Barbier, un frate minimo, che professò e visse nel convento di Plessiz-lés-Tours insieme a Francesco. 125 Ibidem. 126 G. ROBERTI, Op. cit., pp. 669-677; Su questo e su tutti gli altri patronati cfr. R. BENVENUTO, I patronati di S. Francesco nei Regni di Napoli e di Sicilia (1630-1738), in AA.VV., Fede, pietà, religiosità popolare e San
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L’acqua, utile e preziosa, è sempre stata una presenza importante nella vita di Francesco,
che fin da giovane scelse per l’eremitaggio un luogo attraversato da un fiume scrosciante. In
diverse circostanze, la mancanza dell’acqua portò Francesco a pregare intensamente affinchè
si manifestasse la provvidenza divina.
A Paola, lungo la via dei miracoli che fiancheggia la vecchia basilica, i pellegrini che
giungono per contemplare i luoghi del Santo, sostano immancabilmente davanti alla
“cucchiarella”, si piegano per terra, prendono un mestolo – sempre lo stesso, utilizzato da tutti
indistintamente – e bevono, con fede, chiedendo grazie. E’ una sorgente d’acqua – così recita
l’iscrizione – “che il santo fece sgorgare con il tocco del suo bastone e in cui risuscitò la trota
Antonella”. Le fonti documentali non ci dicono niente di questa sorgente d’acqua, ma
rappresenta uno di quei prodigi perenni che si possono ammirare a Paola: l’acqua mantiene
sempre lo stesso livello. I Francesi, nel 1806, tentarono di prosciugarla, ma dovettero
constatare come nella stessa giornata l’acqua fosse rientrata esattamente come prima127. Si
può soltanto ipotizzare che questa sorgente sia la stessa da cui la comunità dei Minimi
attingeva acqua, ma soprattutto quella che fu utilizzata da Francesco per compiere diversi
prodigi, come quello della resurrezione di pesci128. E’ possibile che parli dell’acqua della
“cucchiarella” Fabiano Senatore di Paterno, in quale al processo di canonizzazione affermò
che un giovane ormai sfigurato dalla lebbra fu portato da Francesco per ricevere la grazia
della guarigione. “Va’ – lo esortò il frate – lavati in quell’acqua che è davanti al convento e il
Signore ti guarirà”129. E così avvenne.
Altre testimonianze storiche attestano come grazie all’intercessione di Francesco fossero
state trovate delle sorgenti d’acqua. Ad esempio, quando Francesco giunse a Paterno per
costruire il convento, sollecitato dai residenti, “con un piccolo bastone, ordinò agli operai e
alle maestranze di scavare la terra in tre punti; cosa che essi fecero: ora in un punto trovarono
le pietre adatte per preparare la calce e fare la costruzione, in un altro trovarono la sabbia e nel
terzo l’acqua”130.
Francesco di Paola. Atti del II Convegno Internazionale di Studio, Paola 7-9 dicembre 1990, Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 1992, pp. 751-842. 127 F. RUSSO, Il Santuario-Basilica di Paola. Monografia storica e guida illustrata, Edizioni Santuario Basilica San Francesco di Paola, Paola, 1966, p. 199. Il Russo, tuttavia, non cita la fonte di questo episodio, ma dice solo “la storia ci fa sapere…”. 128 Vedi par. 6.4. 129 CPC, t. 70. 130 PA. Cfr. PCal, t. 115.
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Il discepolo Anonimo riferisce di qualcosa di simile avvenuta in Francia. Pare, infatti, che
un orefice di Grenoble avesse potuto vedere “la sorgente fatta scaturire dal buon Padre con le
sue preghiere in luogo dove non erano riusciti prima a trovare acqua”131.
L’intervento provvidenziale di Francesco viene osservato soprattutto in condizioni
avverse. A Donna Sancia, che aveva corso un forte pericolo guadando un fiume in piena,
Francesco spiegò – così riportano i Bollandisti - che “operando il bene non doveva temere”132.
Un modo, questo, che vuole mettere in relazione la buona condotta delle persone con una
sorta di rispetto da parte della natura. E che le forze della natura si calmino di fronte alle virtù
di un giusto si può scorgere ancora di più nei confronti del mare in tempesta.
Baldascino d’Alfani al processo calabro testimoniò che nelle acque di Paola una nave
salpata da Lipari si trovò nel bel mezzo di una tempesta. Nel vedere l’imbarcazione in
difficoltà, gli abitanti del luogo attirarono l’attenzione del buon Frate dicendogli: “Molti
cristiani che sono in quel legno stanno per affondare!”. Francesco allora fu visto affacciarsi da
una finestra del convento e, tracciando il segno della croce, urlò: “Gesù! Gesù!”.
Immediatamente il mare si calmo e, sebbene la nave perse buona parte del suo carico, gli
uomini a bordo toccarono terra illesi133.
Un episodio particolarmente celebre è quello che vide Francesco, suo malgrado, dover
abbandonare la Calabria e dirigersi alla corte di Francia. Il reverendo Ermolao Frasca, di Stilo,
depose al processo Calabro qualcosa di “stupefacente a udirsi”, un fatto che gli fu raccontato
da Gerolamo Gariant. Questi, insieme a Francesco e ad altri frati, si era imbarcato a Napoli
alla volta di Roma per poi fare meta in Francia. Giunti ad Ostia il mare cominciò ad
ingrossarsi, tanto che i marinai stessi furono presi da forte timore e chiesero a Francesco di
pregare affinché la tempesta si placasse134. Luigi Galisio, marinaio a bordo, disse che quando
ormai tutto sembrava perduto, Francesco – non dice esattamente come – fu condotto a terra,
dopodiché “si ritirò dietro una siepe, e si mise a pregare Dio. E durante la preghiera la stessa
trireme riprese a galleggiare e navigò il fiume, fino a essere fuori pericolo”135.
131 ANONIMO, cap. XII, p. 42. Sulle sorgenti d’acqua sgorgate per intercessione di san Francesco cfr. PCal, t. 95. 132 PCal, t. 109. 133 PCal, t. 95. 134 PCal, t. 26. Secondo questa la versione, Francesco e uno dei suoi discepoli “si lanciarono tra le acque, e con le spalle si misero a spingere il naviglio, e poi gli fecero guadagnare un luogo sicuro”. 135 PCal, t. 85. Il reverendo Stefano Lancea (CPT, t. 53), di origini paolane, testimoniò a Tours (trovandosi di passaggio per aver fatto il cammino di Santiago), dicendo di non aver conosciuto san Francesco, ma di aver saputo da alcuni marinai che quando si trasferì in Francia su invito del re Luigi XI, “placò il mare infuriato sulla rotta della nave sulla quale si trovava, mentre all’intorno era tutta una tempesta. Altri episodi testimoniano la
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Ancora più celebrato fra tutti i prodigi finora raccontati è il miracoloso transito di
Francesco lungo lo Stretto di Messina, privo di alcun mezzo. La tradizione e l’iconografia ci
hanno tramandato l’episodio, condito di un particolare – e cioè che Francesco avrebbe
traghettato sul suo mantello - che però non trova riscontro nelle testimonianze escusse per i
processi canonici136.
Negli atti, infatti, è riportata la testimonianza di Pandolfo Barone da Soreto, che riferisce
“per sentito dire”137, e quella di don Bernardino, figlio di Cola Banaro, il quale era presente ai
fatti138. Entrambi i testimoni raccontarono che Francesco insieme ad altri due frati si trovava
sulla spiaggia di Catona – località nei pressi di Reggio Calabria - e pregò un marinaio di
traghettarli fino in Sicilia, a Messina. “Pagami, monaco, ed io ti trasporterò”, chiarì da subito
il barcaiolo. “Per carità, non porto denaro con me”, rispose Francesco, che – stante a quanto
attesta il discepolo Anonimo – non toccava denaro dall’età di quindici o sedici anni139.
Riprovò ancora una volta a chiedere il servizio all’uomo di mare e di fronte ad un ulteriore
diniego, il Frate si accomiatò dicendo: “Per carità, perdonatemi fintanto che io mi allontano
fino a lì”. A quel punto Francesco “si allontanò da loro a distanza del lancio di una pietra,
pregò, alzò gli occhi in cielo e fece il segno della Croce sul mare insieme a un suo compagno
e attraversò il mare come se camminasse sulla terraferma”140.
Con o senza mantello, da solo o in compagnia di un confratello, sta di fatto che questo
prodigio, più di altri, ha colpito l’immaginazione degli artisti, ha toccato la sensibilità dei
poeti e dei musicisti e ha inciso nella devozione dei fedeli.
Il celebre musicista Franz von Liszt compose un andante maestoso per raccontare sui tasti
del pianoforte la Leggenda, dal titolo San Francesco da Paola cammina sulle acque (si tratta
della seconda leggenda; la prima, un allegretto, Liszt l’aveva dedicata a S. Francesco d’Assisi
che predica agli uccelli) e artisti del calibro di Rubens, Velasquez, Goia, Tintoretto, Luca
protezione di Francesco sui mari. Cfr, CPT, t. 36 (il comandante di una nave butta nel mare in tempesta una candela donatagli da Francesco e subito ci fu bonaccia). 136 Il padre G. ROBERTI, Op. cit., p. 241, riferisce però di un documento, conservato presso l’archivio di Milazzo, che invece attesta come Francesco avesse oltrepassato lo Stretto sul mantello e portando con sé un confratello. 137 PCal, t. 9. 138 In base alla testimonianza di don Bernardino, san Francesco con il suo seguito e il padre, che a sua volta era insieme ad altre persone, tutte citate negli atti (e tutte decedute alla data del processo), si erano già incontrati in un valico e il Frate aveva compiuto un prodigio sotto i loro occhi trovando del pane fresco proprio nella bisaccia di Cola, che assicurava di non avere niente, con il quale si sfamarono tutte e due le comitive. Cfr. PCal, t. 22. 139 ANONIMO, cap. IV, p. 12. 140 PCal, t. 22. Il racconto di Pandolfo Barone differisce leggermente. Negli atti si legge: “pregò e benedisse il mare. E in quell’istante videro il beato Francesco camminare solo sulle onde e così per quella parte attraversò il mare verso la Sicilia”. Cfr. PCal, t. 9.
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Giordano e Mattia Preti impressero nelle loro tele il prodigio, che ha anche un posto
privilegiato nella Galleria delle Carte geografiche dei musei vaticani, voluta da papa Gregorio
XIII e realizzata dal geografo Ignazio Danti tra il 1580 e il 1585.
“Meraviglia non è, se ‘l Mar spumante non ti sommerge, e ti tragitta illeso, che chi colpe
non ha, non è pesante”; sono questi i versi conclusivi scritti da Giuseppe Battista, poeta
pugliese, nel 1670 e dedicati a San Francesco da Paola passa il mare di Cicilia sul proprio
mantello.
A differenza da tutti gli altri prodigi finora raccontati, in questo si notano delle “assenze”.
Non c’è pericolo per la vita di alcuno, il mare non è in tempesta e per giunta i testimoni non
sanno cosa il Frate dovesse andare a fare a Messina141. Possono solo cogliere una certa
“urgenza” da parte di Francesco che deve andare in Sicilia, in un modo o nell’altro, e la
grettezza del marinaio. E poi c’è la risposta docile del mare, che accorda a Francesco ciò che
il barcaiolo gli ha negato.
Pio XII, rievocando questo prodigio, lo ha così interpretato: “Lo zelo della gloria di Dio e
la carità verso il prossimo lo sospingono; la povertà volontaria e l’austerità, abbracciate come
norma di vita, lo accompagnano; una sconfinata fiducia in Dio lo sorregge: tutto ciò in
un’aura di semplicità e umiltà, proprie di chi crede con fermezza nella parola di Cristo: «Se
avrete tanta fede quanto un granello di senapa, potrete dire a questo monte: spostati di qui a là,
ed esso si sposterà, e nulla vi sarà impossibile»”142.
6.3 Pietre vive
La costruzione dei conventi ha assorbito una parte consistente della vita di san Francesco,
anzi possiamo dire che a partire dalla grotta di Paola e fino agli ultimi giorni trascorsi in
Francia, direttamente o indirettamente seguì le comunità che si erano formate alla sua sequela.
Si dedicò con ogni premura alla edificazione della Chiesa, tanto spirituale, quanto materiale.
141 Francesco, a seguito di continue insistenze da parte degli solani, pare che stesse andando a Milazzo per erigere un convento. Cfr. G. ROBERTI, Op. cit., pp. 234 e ss; P. DALENA, I viaggi di San Francesco di Paola, in AA.VV., L’eremita Francesco…cit., pp. 217-219. Circa l’esegesi delle fonti storiche volte a chiarire la datazione e lo scopo del viaggio di Francesco in Sicilia cfr. R. BENVENUTO, San Francesco di Paola e il mare, in I. AUSILIA (a cura di), I Santuari e il mare, Edipuglia, Bari, 2014, pp. 255-273; ID., San Francesco di Paola. Eremita e fondatore dei Minimi, Velar, Gorle, 2012; G. COZZOLINO, San Francesco di Paola e il miracolo del passaggio dello Stretto di Messina. “…e attraversò il mare come se camminasse su terraferma”, Editoriale progetto 2000, Cosenza, 2014; G. FIORINI MOROSINI, San Francesco…cit., p. 140. 142 Pio XII, Radiomessaggio nel 450° del transito di san Francesco di Paola (16 giugno 1957). Il versetto citato è Mt 7,20.
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Spendeva ogni sua forza – sia da giovane, che in età più avanzata – per accelerare il
completamento delle opere di fondazione dei conventi, laddove la gente ne faceva richiesta e
non mancava di vigilare affinché nessuno si facesse male143.
Uomini e donne, a centinaia, si recavano nei luoghi ove sapevano ci fosse Francesco,
mossi dalla curiosità o dalla necessità, e per un motivo o per un altro tutti rimanevano
conquistati e edificati per le sue parole, ma soprattutto per le sue opere. In moltissimi, poi,
restavano per prestare volontariato nella costruzione dei conventi144. Appena cominciò la
costruzione della Chiesa a Paola – attesta il discepolo Anonimo – anche molte donne si resero
partecipi dell’opera, sia con offerte in denaro sia trasportando pietre, “nonostante che
vestissero di seta”. E man mano che queste lavoravano, Francesco parlava con loro,
esortandole a rispettare il sacramento del matrimonio e invitandole a maggiore sobrietà.
Grazie a queste “sante esortazioni” – continua l’Anonimo – “ottenne la rinuncia allo strascico
delle vesti e ad altre vanità femminili”145.
Anche a Paterno accorrevano a lui centinaia di persone ogni giorno, ai quali “predicava,
spiegando il Vangelo” e poi, terminati i suoi discorsi invitava tutti a partecipare ai lavori di
costruzione del convento146, facendo trasportare legna o pietre, a seconda della necessità147.
Poteva capitare, talvolta, che i lavori potessero causare qualche fastidio ai vicini, ma tutto
passava in secondo piano. Al di sotto del convento di Paola operava un mulino ove, a causa
dei lavori, cadeva della terra, che non consentiva di azionare le macine. Il proprietario,
Francesco Carbonello, si recò al convento per reclamare, ma gli fu detto che doveva
pazientare per parlare con il buon Frate. Trascorsa oltre un’ora, l’uomo fu preso dalla collera e
si lanciò su per le scale per incontrare Francesco nella sua cella. Tuttavia, man mano che
saliva udiva “voci e melodie soavissime, come da un coro di angeli scesi dal cielo” e così,
preso da “una gioia indefinibile”, fece il percorso a ritroso e, svanita del tutto la sua ira, sostò
in chiesa per ringraziare Dio di quel particolare privilegio. Quando, di lì a poco, fu raggiunto
dal sant’uomo, senza che questi parlasse, il mugnaio disse: “Padre, del mulino non ne
143 Nonostante incidenti e imprevisti, nessuno mai fu danneggiato dalle opere di costruzione. In un incidente rimase coinvolto Francesco stesso, travolto da un grosso arnese caduto a valle. Il colpo gli causò l’uscita della giuntura del femore nella parte anteriore. Gli operai che lo soccorsero lo trovarono a terra privo di sensi e lo portarono in Convento. Francesco disse loro: “Per carità, e necessario che fratel corpo stia così per trenta o quaranta giorni”, passati i quali guarì. ANONIMO, cap. X, p. 29. 144 CPC, t. 60. 145 ANONIMO, cap. IV, p. 10. 146 CPC, t. 4. 147 Cfr. CPC, t. 42: il testimone Antonio Edoardo di Paola guarì dopo aver zappato per circa due ore con Francesco.
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parliamo proprio; fate comodamente ciò che intendete fare, e il mulino se ne vada pure a mare
con tutte le sue macine e con quanto v’ha dentro!”148.
I lavori di cantiere prevedevano attività particolarmente faticose e talvolta anche
pericolose, ma sempre interveniva san Francesco, che addirittura impartiva ordini alle pietre,
le quali smettevano di obbedire alla legge di gravità per sottomettersi all’Uomo di Dio.
Mastro Pietro Genovese, mentre lavorava alla costruzione del monastero di Paola,
raccontò che un enorme masso si era staccato e stava per travolgere quanti lavoravano di
sotto. Francesco “fece subito il segno della croce in direzione del masso che scendeva e
invocò il nome di Gesù Cristo, e immediatamente il masso si fermò, arrestando la sua corsa
nella caduta” 149.
Il nobiluomo Giovanni Franco di San Lucido, tra i vari episodi che intese testimoniare,
narrò anche di essere andato a Paola quando Francesco stava costruendo la Chiesa. Questi,
appena visto il giovane gli disse: “Giovannino, per carità, vieni e prendiamo una pietra
ciascuno da servire per la chiesa da edificare”. Entrambi si recarono al fiume e trovarono una
pietra di circa un quintale, difficile da portare per una sola persona. Per una seconda volta
Francesco si rivolse al giovane dicendo: “ Prendi questa pietra, per carità, e portala sul luogo
dove sorgerà la chiesa”. Di fronte alla riluttanza del ragazzo, il buon frate lo esortò per una
terza volta a farsi carico del masso: “Sì, ti dico: prendilo per carità, e vedrai che potrai!”. Poi
Francesco fece sulla pietra il segno della croce e gliela caricò sulle spalle e il ragazzo la portò
a destinazione senza alcuno sforzo150.
Dinamica analoga viene riportata da un altro nobile sanlucidano, Giovanni della Rocca, al
quale Francesco chiese di portare al cantiere due travi che i buoi non erano riusciti a
trasportare. “Qui ci debbono essere due travi rimaste l’altro ieri, perché i buoi non poterono
trasportare per il luogo impervio; - osservò Francesco mentre si inerpicava su per i monti con
il ragazzo - andiamoci noi, per carità, e scendiamoli giù in pianura”. Giovanni rise per questa
richiesta, ritenuta umanamente impossibile da accondiscendere e Francesco lo riprese con
queste parole: “Per carità, quanta poca fede avete!”. Allora il ragazzo, invocando l’amore di
Dio, chiese al Frate di caricargli la trave sulle spalle. E così, Giovanni con una trave sulle
spalle e Francesco con l’altra sotto il braccio “come se fosse un fuscello”, scesero dai
148 CPC, t. 36. L’episodio è testimoniato al processo dal nobile Giacomo Carbonello, figlio del defunto proprietario del mulino, da cui aveva udito il racconto appena successo il fatto. 149 CPC, t. 14. 150 CPC, t. 58.
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monti151. Ancora, Pasquale Gatto di Paterno attesta come durante la costruzione dell’eremo di
Paterno una grossa pietra ostruiva il passaggio della conduttura dell’acqua. Gli operai
osservarono che se avessero spostato con le zappe il macigno, che si trovava in pendio,
avrebbero causato molti danni e messo in pericolo la gente che viveva a valle. Francesco
invocò la grazia di Dio, e “la pietra fu vista muoversi dolcemente verso la parte sottostante,
lasciando libero il posto, attraverso il quale doveva passare l’acqua e si arrestò”152. Un’altra
volta ancora, mentre gli operai lavoravano alla costruzione del convento di Paterno, una pietra
si staccò dalla rupe e prese a scendere rapidamente verso la valle; allora Francesco disse:
“Sorella nostra pietra, dove te ne vai?” e questa si fermò153.
Altrettanto prodigioso sembra quanto raccontato da Antonio de Gerane di Figline. Ai
tempi della costruzione del convento di Paola un grosso masso si staccò dalla cima della
montagna e sembrava volesse travolgere proprio il convento. Allertato dalle maestranze,
Francesco si inginocchiò davanti al crocifisso e “prostrato con la faccia fino a terra, pregò Dio
con preghiere a lui consuete”. La pietra arrestò la sua corsa e rimase in equilibrio. Così
sospesa la pietra rimase a lungo, tanto che i passanti ne rimanevano stupiti e si fermavano ad
osservare il prodigio. In seguito, la roccia fu utilizzata per la costruzione del convento
stesso154.
Ma la pietra che sicuramente stupisce il lettore oltre ogni aspettativa, è quella che fu
utilizzata per la sua sepoltura. Una volta morto, il Frate venne inumato nella terra nuda in un
luogo molto prossimo al fiume Cher, che era soggetto a frequenti esondazioni. La comunità
dei Minimi di Plessiz-lés-Tours, allora, a distanza di circa dieci giorni, decise di riesumare il
corpo per deporlo in un sarcofago di pietra. L’operazione avvenne alla presenza di molti
testimoni, tra cui Giovanni Bourdichon, l’artista che era stato convocato per fare un calco, il
quale assicurò come il corpo fosse incorrotto e addirittura poté accostare la sua guancia a
quella del Santo, gli toccò il volto per poterlo poi ritrarre in ogni particolare155. Il dettaglio su
cui riflettere, però, è un altro, per giunta osservato e testimoniato da diversi presenti, tra cui la
151 CPC, t. 59. 152 CPC, t. 68. 153 CPC, t. 74. 154 PA. 155 CPT, t. 1. Il Bourdichon effettivamente ritrasse il volto di san Francesco in una tela nota come “Vera Effigie”. Cfr. P. AMATO, Imago Ordinis…cit., pp. 23-27. Il corpo incorrotto del Frate fu visto e testimoniato anche da Giovanna Bonhomme, CPT, t. 14; Martino Moreau, CPT, t. 40; donna Caterina Jousseta, CPT, t. 47; Tommaso Jacob, CPT, t. 49; e Caterina de Loyon (CPT, t. 26), che affermò come durante la traslazione guarì miracolosamente una bambina.
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Contessa d’Angoulême, ovvero il miracolo della pietra. La storia di questa tomba di pietra è
del tutto singolare156.
Nella parrocchia di Bellan, a distanza di circa una lega dal convento dei Minimi di Tours,
lungo una strada pubblica, ed esattamente nel centro di una “croce”, ovvero un quadrivio,
giaceva una pietra di grandissime dimensioni, di proprietà di un catechista. Questi aveva
intenzione di utilizzare quella pietra come abbeveratoio per animali, e, nel vano tentativo di
spostarla dalla strada pubblica al luogo prescelto, impiegò addirittura diciotto paia di buoi, che
neppure riuscirono a smuoverla. Quando Anna di Francia, signora di Beaijeu, gli chiese se
fosse disposto a venderla per usarla come tomba di Francesco di Paola, il catechista rispose
che l’avrebbe donata se solo qualcuno fosse riuscito a rimuoverla157.
Così, probabilmente senza sapere della “testardaggine” di quella pietra, i Minimi
incaricarono Francesco Laurens insieme ad altri cinque uomini158, di recarsi in quel luogo per
caricare quella pietra, che sembrava delle dimensioni perfette per accogliere il corpo del
bonhomme. Infatti, questo blocco di pietra era “scavata a mò di sepolcro vero e proprio, molto
lungo quanto la misura di una persona di considerevole statura”159. Il cocchiere lo sapeva
bene, poiché, racconta un altro testimone, lui stesso si era sdraiato nell’incavo della pietra per
verificarne la lunghezza160.
Come se niente fosse, quei pochi uomini caricarono la pietra sulla loro quadriga trainata
da una coppia di buoi e neanche si sarebbero accorti di aver preso parte a qualcosa di
prodigioso se la gente del luogo, festante, non li avesse informati di tutti i tentativi provati per
riuscire in un’impresa che sembrava impossibile. Così quella pietra poté compiere la sua
missione e Francesco riposare su una pietra, così come aveva fatto per tutta la vita..
6.4 Antonella e Martinello: la tenerezza verso gli animali
San Francesco manifestava un amore profondo verso gli uomini, ma anche verso gli
animali, con i quali ebbe un rapporto assai armonioso.
156 La storia è stata ricostruita facendo ricorso alle seguenti testimonianze: CPT, tt. 1, 7, 8, 157 CPT, t. 14. 158 Il cocchiere Carlo Chepault confermò che la pietra fu trasportata da cinque uomini, ovvero lui, Laurens, Giovanni Beaumont, un certo Ivonetto e Giovanni Thoreau. Cfr. CPT, t. 8. 159 CPT, t. 7. 160 CPT. t. 8.
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Negli atti dei processi canonici vengono citati molti esempi di questa “amicizia”. Un
testimone racconta che mentre alcune persone stavano esponendo al Frate le necessità di un
ammalato, “un uccelletto […], svolazzando, andò ad appollaiarsi sulla spalla del Beato
Francesco; ed egli lo prese e lo pose nella manica del proprio saio”161.
Rispettava profondamente gli animali e non era disposto a tollerare che venissero
maltrattati. Ad esempio, mentre si stava costruendo il convento, i frati furono impressionati da
vespe, le quali, “al rimuover le pietre cominciarono a stridere molto acutamente”, e si dettero
alla fuga. Francesco prese quelle vespe e le portò nel bosco vicino al convento162. Aveva detto
loro: “Sorelle mie, non vi dispiaccia di cambiar casa, perché questa dev’esser distrutta,
bisognando il materiale per la casa del Signore”163. Anche quando si stava costruendo il
convento di Tours, di notte veniva visto mentre “prendeva serpenti e li portava fuori del
Convento, senza riportarne alcun male; non voleva che si uccidessero né queste né altre bestie
velenose, qualunque esse fossero”164.
Gli animali sembrano cercare riparo nella casa di Francesco e in tanti lo notano e lo
testimoniano ai processi. Filippo Camigliano, ad esempio, raccontò che un giorno alcuni
cacciatori avevano avvistato un capro, il quale, datosi alla fuga, si rifugiò nell’area del
convento di Paola del Frate. E aggiunge: “sebbene [i cani] si fossero accorti che la preda si
trovava lì dentro, non osarono avanzare oltre per catturarlo, addirittura ritornarono
indietro”165. Alcuni giovenchi selvatici, appena catturati dal testimone Giacomo Mantone, si
sottoposero al giogo dietro invito dei confratelli di Francesco ,“come se […] fossero stati
domati da almeno dieci anni”, affinchè trasportassero alcune travi al cantiere di Paterno dove
il Frate stava costruendo il convento166.
La pietà di Francesco verso le bestie è davvero grande. Racconta ad esempio il paolano
Bartolo Perri167 che chiese la grazia a san Francesco per il suo bue, che aveva “un occhio
sfigurato, tutto bianco, con il quale non vedeva da oltre un mese”. Di fronte alla povera bestia,
il Frate guardò a terra e individuò un’erba che “cresceva sotto i suoi piedi, davanti al
convento” e con l’applicazione del succo di questa erba il bue guarì immediatamente.
161 PCal, t. 97. 162 ANONIMO, cap. V, p. 15. 163 G. ROBERTI, Op. cit., p. 583. L’Autore non cita la fonte del virgolettato. 164 ANONIMO, cap. XIV, p. 54. 165 PCal, t. 1. 166 PCal, t. 86. 167 CPC, t. 10.
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Mastro Pietro Genovese168 raccontò che un tale, giunto a Paola da Rende, portò in dono a
fra Francesco dei pesci d’acqua dolce “infilzati per la gola”. Questi, presi i pesci nelle sue
mani esclamò: “Guardate come avete imprigionati questi poveri esseri” e, rimessi in acqua,
ripresero vita e i testimoni “versarono lacrime di gioia e gridarono al miracolo”169.
Francesco, tuttavia, pur provando, evidentemente, un tenero affetto verso gli animali non
perde di vista la loro funzione e talvolta, suo malgrado, lascia che questi siano sacrificati per
le esigenze dell’uomo. Il discepolo Anonimo riferisce che camminando nei boschi, il frate si
imbatté in un piccolo cerbiatto che cercava di sfuggire ai cacciatori. Francesco intimò a tutti
di non toccarlo o di fargli del male e come segno di riconoscimento gli fece un taglio
all’orecchio. Cresciuto, il cervo riconosceva la cella del frate e si rifugiava lì ogni qualvolta
veniva inseguito, leccava il saio “facendogli festa come a suo difensore”. Tuttavia, di fronte
alle richieste degli operai che non avevano cosa mangiare, si rassegnò a sacrificarlo170.
La tradizione tramanda anche altri episodi, tanto cari alla devozione popolare, tra cui la
risurrezione della trota Antonella, nella “cucchiarella”, e quella di Martinello, come soleva
chiamare un agnellino che lo seguiva sempre171.
Antonella, secondo i racconti, veniva accudita personalmente da frate Francesco con
particolare predilezione. Un giorno, la trota abboccò all’amo di un ecclesiastico che la portò a
casa sua per mangiarla. Francesco, che in maniera soprannaturale era al corrente
dell’accaduto, inviò a riprendere il pesce a casa del sacerdote un suo confratello, il quale
glielo riportò in frantumi. “Povera Antonella, ecco a che ti ha ridotto la tua golosità!”, disse
Francesco mentre gettava i pezzi nella “cucchiarella” e poi aggiunse: “Per carità, ritorna a
vivere!”172. La trota, sempre secondo i racconti tramandati, riprese a vivere, per poi morire
esattamente lo stesso venerdì santo in cui spirò san Francesco.
Egualmente tenera e prodigiosa è la storia di Martinello. Era accaduto che alcuni operai
che stavano lavorando alla costruzione del convento di Paola, presi dalla fame, uccisero il
docile animale e ne gettarono i resti nella fornace. Tuttavia, messo al corrente del fatto,
Francesco non si scompose e disse che Martinello era così ubbidiente che sarebbe comunque
168 CPC, t. 14. 169 Lo stesso prodigio è testimoniato anche da Luca Catarro di Paola (CPC, t. 15), il quale sostiene che Francesco abbia detto: “Perché mai avete messo in prigione questi poveri animaletti?”. 170 ANONIMO, cap. V, p. 14. 171 La storia di Antonella e Martinello non ha attendibilità storica, ma sono comunque episodi riportati da quasi tutti i biografi del Santo. G. ROBERTI, Op. cit., pp. 146-50. 172 G. ROBERTI, Op. cit., p. 150.
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accorso al suo richiamo. E così, sentendosi chiamato dal suo amato padrone, Martinello uscì
vivo e festante dalla fornace173.
173 Ivi, pp. 146-47. L’Autore sottolinea come il fatto non trovi alcuna rispondenza nelle fonti, ma solo nella tradizione orale, trascritta dai primi biografi. Solo a titolo di esempio, si veda P. CONTI, Storia compendiosa della vita, delle virtù e de’ miracoli di S. Francesco da Paola, patriarca e fondatore della Religione de’ Minimi, Stamperia di Lelio della Volpe, Bologna, 1726, p. 30.
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7. L’uso delle erbe: amore verso i fratelli, ascolto e creatività
[Sposa] O boschi e folte selve
piantate dalla mano dell’Amato! O prato verdeggiante
di fiori smaltato! Ditemi se attraverso voi è passato.
Mille grazie versando
passò, di fretta, per queste radure, e, guardandole,
con la sola sua figura vestite le lasciò di bellezza
(San Giovanni della Croce, Cantico Spirituale)
L’apertura di Francesco verso l’alterità è stata evidente fin qui, ma non abbastanza.
Chiunque si sia accostato a lui ha sempre trovato ascolto, conforto e sostegno. Giovanni Paolo
II ha parlato di “carità inesausta verso i fratelli, […] li ascoltava con disponibilità, chiariva i
loro dubbi, a volte risolveva anche i loro problemi col miracolo, sempre, accomiatandoli,
lasciava in loro quella contentezza e pace - dicono le fonti - che vale molto più dei beni
materiali e della stessa salute” 174.
Francesco, dunque, esercitava un potere di attrazione notevole sulla gente principalmente
per il senso di Dio che si riusciva a cogliere stando vicino a lui, ma anche per le guarigioni
che riusciva ad operare, molte volte utilizzando erbe del suo orto175.
Il ricorso ad erbe per finalità curative fa parte della tradizione medievale e monastica e
dunque non è di per sé un fatto eccezionale176. Anche la medicina nel periodo considerato non
poteva che essere definita come un “complesso sciamanico”177, praticato, soprattutto in aree
rurali, da dilettanti: vecchietti, mediconi, conoscitori di semplici (erbe benefiche) e
174 GIOVANNI PAOLO II, Omelia Concelebrazione eucaristica per i Religiosi e le Religiose (5 Ottobre 1984). 175 A. GALUZZI, Il “propositum” dell’eremita Francesco di Paola nella Chiesa del secolo XV, in ID., Studio sull’origine …cit., p. 65. 176 F. CARDINI, Nostalgia del paradiso. Il giardino medievale, Laterza, Roma, 2002; A.K. KÜHNEMANN, Guarire con la medicina naturale : erbe, infusi, decotti, tinture, unguenti, antiche ricette e segreti dei conventi, Piemme, Casale Monferrato, 1991; E.B. MACDOUGALL (a cura di), Medieval Gardens, Dumbarton Oaks Trustees for Harvard university, Washington, 1986; R. SCHILLER, Le cure miracolose di Suor Ildegarda, Piemme, Casale Monferrato, 1995; 177 C. LÉVI-STRAUSS, Anthropologie structurale, Plon, Parigi, 1977.
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levatrici178. I medici veri, cioè quelli che avevano compiuto studi universitari, non potevano
che essere pochi in Calabria, giacché le facoltà di medicina più vicine erano a Salerno e a
Napoli179.
Non si può certo escludere180, ma sembra davvero inverosimile, che Francesco di Paola
avesse in qualche modo approfondito conoscenze sull’uso delle erbe per finalità mediche o
che avesse particolari interessi scientifici a riguardo, sembra piuttosto che il miracolo sia
riconducibile a doni soprannaturali del Santo, o almeno così lo hanno inteso i testimoni181.
Alcuni esempi chiariranno quanto sia complesso da interpretare l’uso delle erbe per
finalità curative nell’attività taumaturgica del Paolano.
Quando Antonio Catalana insieme ad altri parenti portarono la piccola Giulia, “cieca al
cento per cento”, a Paterno, “Fra Francesco si trovava nell’orto; si chinò in terra e prese
alcune foglie di una certa erba, ponendole sugli occhi della piccina, la quale fu subito guarita
e riacquistò la vista”182. Anche la mano di Margherita Tudesca183 e gli occhi albinizzati del
figlioletto di Giovanni Varachello184 guarirono dopo che Francesco vi pose sopra “una certa
erba”. Ancora, il figlio di Galvano Plantedi aveva le gambe storpie e furono sanate con delle
canne spaccate a metà e riscaldate185. In alcuni casi era lo stesso Francesco a curare i malati al
convento. Donna Bella, moglie di Giovanni Brogni, testimoniò al processo cosentino che al
marito cadde addosso della pece bollente, che gli sfigurò il viso. L’uomo fu immediatamente
portato in convento, dove san Francesco, che “non aveva potuto avere notizia del fatto”, stava
178 J. LE GOFF (a cura di), L’uomo medievale, Laterza, Roma-Bari, 1987, p. 17. 179 G. COSMACINI - M. MENGHI, Galeno e il galenismo. Scienza e idee della salute, Franco Angeli, Milano, 2012, p. 125. L’Italia aveva, però, una discreta tradizione medica, grazie a facoltà di medicina sorte soprattutto nel Centro-Nord. Maggiori approfondimenti in J. AGRIMI – C. CRISCIANI, Malato, medico e medicina nel Medioevo, Loescher, Torino, 1980. Addirittura, nel XIII secolo ad alcuni regnanti vennero riconosciute virtù taumaturgiche, attestate dall’immagine del Cristo medico. Ad esempio, studi storici affermano che Enrico III guariva dalla scrofala e che il Re di Castiglia era considerato un esorcista. Cfr. J. LE GOFF, Il re medievale, Giunti, Firenze, 2012, pp. 48-50. 180 P. DE LEO, Le erbe del Santo. Nell’orto di Francesco di Paola, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004, p. 21. 181 Così come lo descrivono i testimoni dei Processi, Francesco non appare certo come un uomo di cultura, anche se non del tutto analfabeta. A questo proposito cfr. R. BENVENUTO, (a cura di), Lettere di San Francesco di Paola, Edizioni del Santuario, Paola, 2008; ID., La duplice messa all’Indice delle lettere di S. Francesco di Paola, in AA.VV., L’eremita Francesco di Paola viandante e penitente. Atti del Convegno Internazionale di Studio, Paola 14-16 Settembre 2000, Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 2006, pp. 365-411. Alcune lettere hanno contribuito a mettere in luce la dinamica di formazione del Secondo Ordine di claustrali. Cfr. M.A. MARTÌN, Le sorelle dell’Ordine dei Minimi. Origini Regola Identità, Falco Editore, Cosenza, 2010. 182 CPC, t. 22. Il testimone che raccontò il miracolo della piccola Giulia Catalana si chiamava Giovanni Stutzio, di Paola. Questi racconta anche della guarigione miracolosa del suo ginocchio, avvenuta dopo che san Francesco adoperò “una certa erba, che mangiano i porci” e gli diede il consiglio: “Abbi fede in Dio”. La guarigione della piccola Giulia è anche riportata nella testimonianza di Luca Zandella (CPC, t. 23). 183 CPC, t. 46. 184 CPC, t. 47. 185 CPC, t. 66.
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già preparando un trito con una certa erba, che spalmò immediatamente sulle scottature. Il
frate trattenne con sé l’ustionato per otto giorni nel convento di Paola, dopodiché “lo rimandò
a casa, guarito completamente senza alcuna cicatrice, come se niente avesse avuto a subire”.
186 Anche quando si trasferì in Francia era una usanza distribuire a dame e damigelle “una
grande quantità di erbe del suo orticello e queste erbe non finivano mai”. Ma l’aspetto più
sorprendente - osserva Caterina Ayroldi - era che “a cogliere quelle erbe erano proprio le
damigelle, come se chi coltivava quell’orto avesse fatto delle preghiere per questo”, quasi
come se volesse dare indicazione di una pratica ascetica187. 188
Si potrebbero riempire pagine e pagine di casi analoghi, nei quali i malati riacquistarono la
salute dopo aver applicato le erbe consigliate dal Santo189.
Sono stati svolti degli studi storici molto interessanti sulle “erbe del Santo” - quali
sambuco, filidrizza, assenzio, centuria, ortiche, ginestra e molte altre - volte ad appurare se
vi fosse una certa coerenza tra le patologie trattate e i rimedi naturali proposti190, ma che
comunque non inficiano il valore soprannaturale dei miracoli191.
Raccontati in questi termini – ovvero estrapolando dalle fonti soltanto la guarigione e il
rimedio utilizzato -, si capisce bene perché in tanti lo considerassero un erbaiolo, un guaritore
o un impostore. Infatti, la fama di santità di Francesco diffusasi a macchia d’olio, suscitava
nei più scettici qualche perplessità. Al processo canonico, Bernardino Florio racconta come
Antonio Scozzetta, frate francescano, “uomo dabbene e di vita intemerata”, fosse giunto a
Paterno per predicare e di come nei suoi discorsi usasse criticare lo stile di vita di Francesco.
Nel racconto di Antonio de Gerane, originario di Paterno e unico testimone del processo di
Amiens, pare che la disputa fosse sorta proprio perché “era opinione comune che una grande
moltitudine di gente […] si recava da Francesco per essere sanata. Egli ad alcuni di loro dava
erbe, ad altri biscotti e pane, ad altri arance, sempre dopo averli benedetti”192. Proprio per
queste guarigioni avvenute per mezzo di espedienti, i medici della regione si sentirono lesi nei
186 CPC, t. 12. 187 CPT, t. 52. La testimone si chiama Caterina Ayroldi di Tours, vedova di Giovanni Paulmier, maestro d’armi della milizia armata e presidente del senato del parlamento di Grenoble. 188 189 Si vedano i miracoli testimoniati in: CPC, tt. 74; 91; 92; 93; 94; CPT, tt. 6; 29; 30; PCal, tt. 43, 96. 190 In molti casi, pare che vi sia un uso scientemente consapevole delle erbe. P. DE LEO, Le erbe…cit., p. 21. Lo stesso storico afferma anche che “in ogni caso, se non ebbe una conoscenza diretta, la ebbe certamente per affinità elettiva”. 191 G. FIORINI MOROSINI, S. Francesco…cit., p. 88. Il discepolo Anonimo, nella sua biografia, aveva sostenuto che quanto suggerito da Francesco ai malati fosse “contrario all’arte medica”, poiché fosse chiaro che “Dio è il medico supremo, sia del corpo sia dell’anima”. Cfr. ANONIMO, cap. XIII, pp. 51-52. 192 PA.
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propri interessi dal fatto che questo Frate si addentrasse in campi non di sua competenza.
Così, “mossi da odio e da rancore a causa del loro mancato guadagno”, incaricarono Scozzetta
di redarguire il Paolano. Francesco Coco, pure lui di Paterno, il quale aveva ascoltato il
racconto direttamente da Scozzetta, aggiunse che questi aveva provocato il buon frate con
queste esatte parole: “Alcuni vi reputano un uomo probo, altri un erbivendolo”193. Antonio de
Gerane aggiunge alla scena molti altri particolari. Disse che quando i due si trovarono soli,
Scozzetta aggredì verbalmente Francesco dicendogli: “Con quale autorità guarisci gli
ammalati, distribuendo loro erbe e altri cibi, dopo averli benedetti? Queste cose non ti
competono”194. Tuttavia, vedendo il religioso tremante per il freddo, Francesco non rispose
alla domanda che gli era stata rivolta, ma reagì prendendosi cura di lui. Prese in mano una
brace ardente e disse: “Per carità, padre Antonio, riscaldatevi, perché dovete avere anche voi
freddo!”195. Di fronte a un tale prodigio, il francescano si inginocchiò a terra e gli baciò i piedi
in segno di venerazione196 e affermò: “O regione di Calabria così amata! Certamente sono
felici coloro i quali ripongono fiducia, o Francesco, nelle tue preghiere e nelle tue pratiche
devote”197. Da quel momento la predicazione di Scozzetta cambiò radicalmente, contribuendo
egli stesso a diffondere la fama di santità di Francesco di Paola198.
Dunque Francesco dimostrò inequivocabilmente con il fuoco l’origine delle sue virtù.
Inoltre, nella dinamica del prodigio non è soltanto determinante la santità del Frate e la sua
volontà di intercedere; anche la fede del malato è conditio sine qua non. Come ebbe modo di
sottolineare padre Galuzzi, il “sistema di guarigione” cui ricorreva Francesco, non risultava
benefico per gli elementi usati: “presupponeva la fede necessaria”199.
Don Giacomo di Tarsia, signore di Belmonte, si recò a Paola per ottenere la guarigione di
una gamba piagata che gli impediva di camminare, dopo essersi invano rivolto ai migliori
medici del circondario200. Per fede, accettò di curarsi come suggerito da Francesco, cioè
193 CPC, t. 72. 194 PA. 195 CPC, t. 64. Il base agli atti del Processo di Amiens, pare che Francesco abbia risposto “Scaldatevi un po’ e dopo ti risponderò su ciò che mi hai detto”. Secondo l’ANONIMO (cap. VI, p. 17) le parole di san Francesco sono state: “Riscaldatevi, fratello! E’ necessario che si compia la volontà di Dio”. 196 CPC, t. 64. 197 PA. 198 CPC, t. 72; PA. 199 A. GALUZZI, L’ecologia …cit., p. 122. 200 Il medico in questione era realmente molto famoso per aver sperimentato il metodo autoplastico. Cfr. G. IACOVELLI, Il miracolo della sanità in S. Francesco di Paola fra taumaturgia e medicina popolare, in AA.VV., Fede, pietà, religiosità popolare e San Francesco di Paola. Atti del II Convegno Internazionale di Studio, Paola 7-9 dicembre 1990, Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 1992, p. 271.
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applicando sulla ferita polvere presa dalla cella dello stesso frate e un’erba, detta “unghia
cavalla”. Il barone constatò la guarigione strada facendo, lasciando nello stupore anche i
medici che lo avevano avuto in cura. Addirittura un chirurgo di Cosenza provò ad utilizzare la
stessa erba nella cura di altri malati, senza ottenere alcun giovamento e così fu chiaro che la
guarigione di don Giacomo fosse avvenuta per intercessione del Paolano201.
In diverse altre circostanze, l’uso delle erbe viene fortemente consigliato, ma poi è
evidente come non sia determinante per l’ottenimento della guarigione. Ad esempio, Chiara
Carbonello era rimasta paralizzata e venne portata dai familiari al convento di Paola. San
Francesco, appena li vide, li asperse con acqua santa e consigliò loro “di raccogliere delle
ortiche, di cuocerle e di metterle sulle mani della paziente, una volta tornati a casa”. Tuttavia,
lui stesso temporeggiò intrattenendoli. La giovane si fece mettere a terra dalla donna di
servizio per poter fare i suoi bisogni, e senza applicare le ortiche si trovò in piedi guarita202.
Un caso molto particolare è quello raccontato da Pietro Cestaro, di Paola, il quale, feritosi
ad un occhio, corse a Paterno. San Francesco ordinò ad un frate di prendere dell’assenzio, di
ridurlo in polvere e di applicarla sull’occhio. A questo punto, Pietro mosse un’interessante
osservazione: “Ma, Padre, di questa erba bianca, che Voi dite, a Paola se ne trova in
abbondanza; c’è bisogno di portarla di qua?”. “Voglio che porti questa erba di qua e abbi
buona fede”, rispose il frate. L’uomo non se lo fece ripetere, raccolse l’assenzio e prese la
strada del ritorno, ma guarì senza farne uso203.
Francesco non dice mai che la guarigione avviene solo per le proprietà dell’erbaggio
consigliato, ma dà importanza all’ubbidienza dei malati, in quanto atto di fede. Quando gli
viene portata la sorella di Antonio Zarlo, sofferente per un male al collo che le impediva
finanche di sollevare la testa, san Francesco lo invita a portargli un’erba, detta “centauria”,
che cresceva vicino alla fornace della calce e dice loro: “porta [l’erba] qui da me, sperando
che, se voi avrete fede nel Signore, Egli vi farà la grazia”. Lui stesso tritò l’erba con una pietra
e ne pose un pizzico sotto il naso della malata, la quale si addormentò. Al suo risveglio, dopo
un’ora, era guarita204.
Ancora, donna Perna Signorello di Paola, racconta di essere stata portata dalla madre al
convento per ottenere la guarigione da un brutto male, chiamato “muro”, che le gonfiava tutta
201 CPC, t. 1. Gli avvenimenti sono testimoniati da don Galeazzo di Tarsia, figlio di Giacomo, e dal loro domestico, Francesco de Marco, quest’ultimo testimone diretto dei fatti (CPC, t. 2). 202 CPC, t. 36. Dello stesso tenore le testimoniane in CPC, tt. 69, 74, 76. 203 CPC, t. 27. 204 CPC, t. 30. La guarigione tramite uso di alcune piante è testimoniata anche in CPC, tt. 77, 84.
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la faccia e il petto. San Francesco consigliò loro diversi medicamenti, ma la madre,
impossibilitata a procurarsi quanto suggerito, gli disse: “per carità; basterebbe che voi la
toccaste con il solo vostro abito e mia figlia sarà guarita”. Sorridendo, san Francesco accostò
un lembo della sua tonaca alla ragazza, che la mattina dopo si trovò perfettamente guarita205.
Un episodio analogo è raccontato anche dal nobiluomo Luigi Schentemo di Paola, il cui
nipote guarì al solo contatto con gli indumenti indossati dal Frate. Disse esattamente che
“appena toccati [gli abiti] il ragazzo cominciò a ridere e a scherzare; si eresse su se stesso e
prese a camminare”206.
Non mancano, nei processi, casi in cui la guarigione avvenne anche senza ricorso ad
alcuna erba. Roberto de Burgis207 e sua moglie si recarono a Paterno per chiedere
l’intercessione del Frate affinché guarisse la mano inferma di lui. La donna, insistendo, vinse
la ritrosia del marito, che non credeva che l’intervento di Francesco potesse ridare vita alla
sua mano destra, paralizzata e deforme da ormai due anni, con la conseguente inattività
lavorativa. Quando i coniugi giunsero a destinazione, lo trovarono nell’orto, sotto una quercia
e gli chiesero “un qualche rimedio” che potesse guarire l’uomo. Evidentemente era noto che il
frate faceva ricorso a medicamenti a base di erbe, ma questa volta non diede alcun consiglio
del genere e l’uomo si trovò guarito la notte seguente. E’ interessante notare, però, come il
Santo, in questo caso, sottolineò l’importanza della mano di quell’uomo, che agiva per il bene
della Chiesa. Il de Brugis – che al momento di deporre al processo canonico mostrava ancora i
segni di quella deformità guarita – si qualificò come “buono scrittore di libri ecclesiastici”.
Quando Francesco gli prese la mano ancora inferma, disse solo “Peccato! ad avere così la
mano, la quale tanto bene deve ancora fare!”. E così, quando il de Burgis nella notte si
accorse di essere stato sanato, “con somma gioia, si levò in camicia da notte, come si trovava,
e volle provare a scrivere; impugnava la penna perfettamente come prima e così per tutti i
suoi anni residui, fino ad oggi, pur in età avanzata”. Il giorno dopo volle andare nuovamente a
Paterno per ringraziare il frate in un’esplosione di gioia e questi, ancora una volta, si mostrò
misericordioso verso quell’uomo a cui disse: “Va’ e scopa adesso casa tua, cioè la tua
coscienza, e, sii un buon cristiano”208.
205 CPC, t. 45. 206 CPC, t. 53. 207 CPC, t. 5. 208 Ibidem.
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A conclusione opposta si dovrebbe giungere considerando la testimonianza del nobile
Giacomo Curto di Paterno, in base al quale l’uso di medicine naturali era essenziale per la
guarigione. Questi attesta di essersi recato da frate Francesco per chiedere intercessione per
sua cognata, donna Angela di Figline, in fin di vita a causa di un blocco renale. Lo trovò nel
bosco e gli espose i fatti. Vale la pena di seguire il racconto del testimone, perché è uno dei
pochi casi in cui Francesco appare in difficoltà: si stringe nelle spalle e si scusa perché “ non
sapeva cosa dirgli o che cosa dargli, lì, lontano dal convento, dove aveva qualcosa di utile per
l’ammalata”. Da queste parole emerge chiaramente come il Frate desse una grande
importanza allo strumento naturale utilizzato, e anche come attribuisse particolari qualità
proprio alle erbe che lui coltivava in convento, luogo a lui particolarmente caro. Il racconto
però continua. “Sempre stringendosi nelle spalle […] con sincera umiltà, distese le mani per
terra e colse un cespo di fragole ai piedi di una quercia”, lo ripulì e lo inviò alla malata
“perché ne gustasse per devozione”. Giacomo restò assolutamente sbigottito da quel gesto,
che gli parve prodigioso. Infatti, aveva osservato bene e non aveva visto né radici né erba da
cui potessero spuntare le fragole, “che erano già mature da potersi mangiare; non solo, ma,
guardandosi d’attorno, quello non era terreno adatto per tale frutto”. Ad ogni modo, mangiate
le fragole, la donna guarì naturalmente209.
Da molti altri episodi contenuti nei processi si ha la chiara percezione che Francesco non
utilizzasse erbe a caso, anche se, ancora una volta, non si può ridurre il suo intervento a quello
di un semplice fitoterapista.
Racconta il testimone Antonachio come una volta Francesco stesse discutendo con un
sacerdote forestiero sulle proprietà mediche di una certa erba. L’ospite restò stupito di tanta
certezza e ne chiese spiegazioni. Le parole esatte che utilizzò nella sua risposta sono: “Non
sapete voi che a coloro che servono Dio perfettamente e osservano i suoi comandamenti, le
erbe, spontaneamente, per loro natura, rivelano le loro virtù?”210. Indubbiamente si potrebbe
pensare che il testimone novantacinquenne, sebbene presente ai fatti, abbia potuto ricordare
male, ma questo principio è davvero molto innovativo, perché dà luce alla relazione tra Lui e
le erbe. Da una parte Francesco, che ha rotto con il peccato per diventare perfetto servitore di
Dio e dall’altra le creature che hanno un ruolo attivo: sono loro, “spontaneamente” e “per loro
natura”, a rivelare a Francesco le proprie virtù. Dunque, è come se stesse dicendo che lui
conosce le qualità terapeutiche delle piante perché esse stesse gliele svelano in maniera 209 CPC, t. 88. 210 CPC, t. 6.
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trascendente e che questo dialogo avviene perché il perfetto servo di Dio è capace di ascoltare
tutti, erbe comprese.
Gianni Iacovelli ha tentato di affrontare un’analisi metodologica dell’attività guaritrice di
san Francesco in base alla quale sono emersi alcuni elementi essenziali: malattia grave e
incurabile, pietà per le sofferenze e riconoscimento della necessità di un intervento miracoloso
del Frate; secondo l’Autore,gli strumenti usati per la guarigione sono: preghiera, invito alla
fede e l’uso di “un mezzo intermediativo”, ossia piante o altro; ricorso alle erbe che, secondo
lo storico della medicina, rappresenta l’elemento più originale dell’attività taumaturgica di
Francesco211.
A questo schema descrittivo, alquanto efficace, bisognerebbe aggiungere la volontà di
Dio, che è sottointesa, ma che vale la pena di evidenziare e che si comprende meglio
considerando l’opera complessiva di Francesco, affinchè sia chiaro che non assecondava certo
la guarigione delle persone per compiacerle, ma, come usava ripetere, per dar corso alla
volontà di Dio.
Quando, infatti, si parla di san Francesco, si pensa sempre ai numerosi miracoli ottenuti
per sua intercessione, mentre si tende a sorvolare su tutti quegli episodi (invero molto pochi
rispetto alle guarigioni) in cui il buon Frate non corrispose alle aspettative dei fedeli,
limitandosi a profetizzare il loro ineluttabile destino; uno su tutti la mancata guarigione di re
Luigi XI. Eppure questi aveva smosso la diplomazia europea pur di averlo a corte e aveva
sperimentato ogni mezzo per accattivarsi i favori del buon Frate. Tuttavia, stando alle
cronache, Francesco usava rispondere sempre che la sanità e la vita del re, come quella di
chiunque altro, era nelle mani di Dio212. Disse di no anche all’amico Luigi de Paladinis, che
chiedeva la grazia per il suo figliolo malato, rispondendogli: “Iddio, nostro Signore, lo vuole
presso di sé”213. Di fronte alla richiesta di intercedere per due fratelli malati mandò a dire:
“Per quello che si chiama Luca, il Signore s’è benignato di fargli già la grazia, per l’altro, cioè
Nicola, il Signore lo vuole con sé; quindi andar potete, perché Luca guarirà, a Nicola poi
direte che provveda a tener pulita la casa, cioè la coscienza”214.
211 G. IACOVELLI, Il miracolo della sanità in S. Francesco di Paola fra taumaturgia e medicina popolare, in AA.VV., Fede, pietà, religiosità popolare e San Francesco di Paola. Atti del II Convegno Internazionale di Studio, Paola 7-9 dicembre 1990, Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 1992, pp. 273 e 279. 212 Cfr. G. ROBERTI, Op. cit., p. 407. 213 CPC, t. 4. 214 CPC, t. 10. Casi analoghi in PCal, tt. 24 e 97 e CPT, t. 20.
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Dunque una costante c’è, ed è il compimento della volontà di Dio, essenza dell’agire di
Francesco, cui si uniforma di volta in volta. In tutte queste narrazioni, più che la regolarità,
emerge la creatività di questo umile uomo di Dio, che risponde fedelmente alle sollecitazioni
dello Spirito, assecondandone la creatività. In quest’ottica, l’erba utilizzata da Francesco si
può considerare come uno strumento mistico di guarigione, che ha sicuramente una sua
dignità creaturale, ma che va contestualizzata nel messaggio universale d’amore che il Santo
ha diffuso con le sue opere.
A tal proposito, Giovanni Paolo II – non è sfuggito a Daniele De Rosa215 - ha osservato
come Francesco di Paola, pur non essendo dotto, sia stato un perfetto conoscitore della
scienza, ma non quella comune quanto piuttosto la “scienza dei santi”216. Concetto,
quest’ultimo, che individua quell’insieme di intuizioni dei misteri del Dio vivente, di
sapienza, di doni dello Spirito Santo, che diventano punto di riferimento del pensiero
teologico217.
215 D. DE ROSA, San Francesco di Paola. Mistico …cit., p. 65. 216 GIOVANNI PAOLO II, Omelia Concelebrazione eucaristica per i Religiosi e le Religiose (5 Ottobre 1984). Tale aspetto è stato approfondito da D. DE ROSA, San Francesco di Paola. Mistico …cit., pp. 65 e ss. 217 BENEDETTO XVI, Udienza Generale (21 ottobre 2009). Il discorso sulla “scienza dei santi” è riferito a san Bernardo di Chiaravalle.
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Appendice: In pellegrinaggio sulle orme di Francesco alla ricerca dell’ecologia integrale
Non abbiate paura di sognare cose grandi!
papa Francesco
Dopo aver in qualche modo osservato da vicino la relazione tra san Francesco e il creato,
non resta che da interrogarsi su come sia possibile, oggi, perseguire l’obiettivo della
conversione ecologica integrale. E’ necessario riprendere contatto con la natura e con la
propria coscienza, interrogarsi sulla propria vocazione di custodi del creato e sulle
responsabilità che ciascuno ha in questa crisi ecologica.
Quando Francesco, da ragazzino, ebbe bisogno di discernimento, si mise in viaggio,
seguendo il richiamo dei luoghi ove riteneva che maggiore sarebbe stato il richiamo spirituale.
Allo stesso modo, si potrebbe concepire un pellegrinaggio “ecologico” nei luoghi di san
Francesco di Paola, per riappropriarsi delle proprie radici e della propria identità di cristiani;
un’esperienza accattivante, per certi versi, che sia in grado di coniugare il contatto con la
natura con la crescita spirituale.
Un pellegrinaggio così concepito dovrebbe avere i tempi necessari per il silenzio e per
l’ascolto al fine di fare esperienza di interiorità, senza tralasciare gli aspetti della socialità e
dell’arricchimento culturale
Nei pellegrinaggi, il senso della mèta deve corrispondere all’annuncio della risurrezione.
L’arrivo al Santuario di Paola, dunque, dovrebbe essere presentato non come il luogo ove
Francesco costruì la chiesa e fece tanti miracoli, quanto piuttosto come il luogo in cui un
uomo, trascorrendo anni in penitenza, preghiera e digiuno, nel silenzio e nell’ascolto, ha
incontrato il Risorto e ha accettato di compiere la volontà divina, divenendo così santo. La
meta può essere intesa anche in chiave sacramentale: eucaristia e riconciliazione.
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Percorsi ecologici
1. L’orto di san Francesco:
Accurate ricerche storiche e botaniche dovrebbero individuare le erbe coltivate dal Santo.
Si dovrebbe poi individuare il luogo ove Francesco si dedicava alla cura delle piante e
ripristinarlo. Si potrebbe creare così un giardino didattico di colture biologiche.
2. Percorso nei boschi
Ripercorrere gli itinerari compiuti da Francesco, a iniziare dal percorso Paola-Paterno.
3. La risalita dell’Isca
Giungere al Santuario risalendo dal mare attraverso il torrente Isca
4. La via del fuoco
Catechesi, laboratori artistici, eventi culturali
Tali percorsi dovrebbero essere concepiti con le seguenti finalità: - prendere contatto con
la natura - rispettare la natura e l’uomo stesso attraverso la cura della terra e la corretta
alimentazione; - sperimentare il lavoro manuale come pratica ascetica; - rispondere al
consumismo con il volontariato; - mettersi in cammino alla ricerca della volontà di Dio; -
sottomettere il corpo allo spirito.
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