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Charitas. Le virtù ecologiche di S. Francesco di Paola

Date post: 25-Nov-2023
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1 Pontificia Università Lateranense – Centro Lateranense di Alti Studi Fondazione Centesimus Annus - Pro Pontifice XIII Corso biennale in Dottrina Sociale della Chiesa CHARITAS LE VIRTÙ ECOLOGICHE DI S. FRANCESCO DI PAOLA dott.ssa Angelina Marcelli ANNO ACCADEMICO 2014/2015
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Pontificia Università Lateranense – Centro

Lateranense di Alti Studi

Fondazione

Centesimus Annus - Pro Pontifice

XIII Corso biennale in Dottrina Sociale della Chiesa

CHARITAS

LE VIRTÙ ECOLOGICHE DI S. FRANCESCO DI PAOLA

dott.ssa Angelina Marcelli

ANNO ACCADEMICO 2014/2015

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Indice Abbreviazioni ............................................................................................................................. 3 Introduzione ................................................................................................................................ 4 1. La crisi ecologica e la Dottrina Sociale della Chiesa tra accuse e nuova evangelizzazione .. 6 2. Le virtù ecologiche e le orme dei Santi ................................................................................ 10 3. La Calabria, patria di san Francesco di Paola, terra di fede e di contraddizioni .................. 15 4. Un chiaro messaggio d’amore .............................................................................................. 18 5. La relazione armoniosa con il creato: il bosco, la grotta e l’orto ......................................... 24

5.1 Una vocazione accolta e benedetta ................................................................................. 25 5.2 La spiritualità eremitica e la natura ................................................................................ 27 5.3 Aspetti relazionali ........................................................................................................... 29

6. Il dominio sulle forze della natura ........................................................................................ 34

6.1 La forza dell’amore e della persuasione: il fuoco........................................................... 36 6.2 Provvidenza e pace: le sorgenti e il mare ....................................................................... 39 6.3 Pietre vive ....................................................................................................................... 43 6.4 Antonella e Martinello: la tenerezza verso gli animali ................................................... 47

7. L’uso delle erbe: amore verso i fratelli, ascolto e creatività ................................................. 51 Appendice: In pellegrinaggio sulle orme di Francesco alla ricerca dell’ecologia integrale ..... 60 Bibliografia ............................................................................................................................... 62

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Abbreviazioni

ANONIMO = Vita di San Francesco di Paola scritta da un discepolo anonimo suo

contemporaneo. La versione consultata e citata è quella curata da N. Lusito e

pubblicata nel 1967

CCC = Catechismo della Chiesa Cattolica

CDSC = Compendio di Dottrina Sociale della Chiesa

CPC = Processo Cosentino (1512-1513), seguito dal numero identificativo del teste*.

CPT = Processo Turonense (1513), seguito dal numero identificativo del teste*.

PA = Processo di Amiens (1513) **.

PCal = Processo Calabro (1516-1518), seguito dal numero identificativo del teste***.

t. = teste

* Il testo del Processo è stato consultato in I codici autografi dei processi Cosentino e Turonense per la canonizzazione di S. Francesco di Paola (1512-1513), Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 1964. ** Processo di Amiens: Processus Ambianensis, in Acta Sanctorum Aprilis, Antuerpiae, 1675, pp. 120-122. Il processo è un documento molto breve perché raccoglie soltanto la testimonianza di Antonio de Gerane, originario di Paterno. *** Il testo del Processo è stato consultato nell’edizione curata da Malvina Fiorini Morosini: Processo Calabro per la canonizzazione di S. Francesco di Paola, Cittàcalabriaedizioni, Soveria Mannelli, 2010.

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Introduzione

L’enciclica sociale Laudato si’ di papa Francesco ha posto tutta l’umanità di fronte alla

necessità di compiere un serio cammino di conversione ecologica integrale. Uomini e donne,

sia individualmente che come comunità, sono chiamati a confrontarsi con la tradizione

cristiana per riscoprire e dare un senso profondo a quella vocazione che vuole tutti custodi

responsabili del creato.

Ispirandosi a san Francesco d’Assisi, il Pontefice ha cercato di attingere dalla storia del

cristianesimo dei modelli edificanti che possano aiutare a concepire una relazione equilibrata

tra l’uomo e l’ambiente. Tra questi esempi, sicuramente si può annoverare anche san

Francesco di Paola (1416-1507), figlio di una regione piena di contraddizioni e padre di una

spiritualità e di un Ordine monastico diffusosi in tutta Europa.

Pur essendo intriso, per diversi aspetti, della spiritualità del Patrono d’Assisi, Francesco di

Paola maturò una relazione del tutto originale con il creato, evidente più nelle opere che nelle

parole. Il concetto di ecologia integrale è particolarmente evidente in questa esperienza

storica, nella quale Charitas – il motto dell’Ordine dei Minimi – è declinato inestricabilmente

in tutte le sue forme di amore verso Dio, verso il prossimo e verso tutte le creature. Francesco

è un uomo che ha tracciato per il cristiano un cammino di perfezione percorribile e i prodigi

compiuti, che talvolta “spaventano” il lettore incredulo, altro non sono che la dimostrazione di

quanto alte possano essere le vette della spiritualità minima.

L’occasione offerta dai recenti insegnamenti magisteriali sull’ecologia integrale, ha

dunque suggerito l’opportunità di una riflessione “nuova” sul Santo calabrese e sulle sue virtù

ecologiche, che muova da un’analisi mirata delle fonti primarie, in primo luogo le

testimonianze rese ai processi di canonizzazione.

I processi per la canonizzazione vennero istruiti e compiuti tra il 1512 e il 1518, dunque

pressappoco a distanza di cento anni dalla nascita del Paolano, ed è normale che a deporre

siano stati spesso dei testimoni indiretti, o persone più giovani rispetto al Frate, che lo hanno

conosciuto quando già aveva fama di santità. I testi sono prevalentemente laici – vi sono

anche sacerdoti, ma raramente confratelli del Santo – che hanno potuto assistere a fenomeni

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prodigiosi e che li attestano come meglio hanno potuto, lasciando ai posteri descrizioni e

dettagli di inestimabile valore storico.

Desidero ringraziare di vero cuore docenti e organizzatori dei corsi di Dottrina Sociale

della Chiesa della Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice per aver pianificato con ogni

premura lezioni, che sono state per me fonte di arricchimento spirituale e culturale.

Pur essendo l’unica responsabile di quanto scritto in questa tesina, voglio esprimere un

vivo ringraziamento alla comunità dell’Ordine dei Minimi di Paola, e in modo speciale al

correttore, padre Gregorio Colatorti, per avermi guidata in questo cammino di riscoperta della

spiritualità di san Francesco di Paola e per avermi messo a disposizione le fonti.

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1. La crisi ecologica e la Dottrina Sociale della Chiesa tra accuse e nuova

evangelizzazione

La crisi ecologica è diventata ormai un problema globale che necessita di soluzioni

urgenti, invocate ormai da più parti1. Si tratta di un’emergenza che non lascia indifferenti

neanche le periferie del mondo, che spesso, loro malgrado, sono costrette a scontare lo

sfruttamento sfrenato di sistemi economici che hanno sistematicamente consumato risorse e

deteriorato l’ambiente, incuranti di aver innescato un processo di autodistruzione che graverà

su questa e sulle generazioni future. In queste periferie, i danni ambientali hanno una duplice

sostanza negativa: una dovuto all’inquinamento in sé, che una volta prodotto difficilmente e

faticosamente trova soluzione e un’altra perché ad esso non è neppure corrisposto un processo

di crescita o di sviluppo. Il più delle volte ha il sapore della beffa: subire i gravi costi

ecologici, che hanno pesanti ripercussioni sull’uomo, senza avere i mezzi economici per

potervi fare fronte.

Ecco perché papa Francesco ha raccomandato con forza la necessità di una conversione

ecologica “che comporta il lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesú nelle

relazioni con il mondo che li circonda”2. L’uomo, per vocazione, ha degli obblighi precisi nei

confronti della sfera ecologica: deve avere cura del creato, ovvero deve essere in grado di

individuare il valore che Dio ha voluto conferire a ogni creatura e trattarla come dono di Dio,

da utilizzare per glorificarLo e per soddisfare le necessità dell’uomo, non qualsiasi capriccio

consumistico3. “Vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio – ci avverte papa

1 E. GARLASCHELLI, G. SALMERI, P. TRIANNI (a cura di), Ma di’ soltanto una parola…,Economia, ecologia, speranza per i nostri giorni, Educatt, Milano, 2013; A. QUADRIO CURZIO, R. ZOBOLI (a cura di), Ambiente e dinamica globale. Scienza, economia e tecnologia a confronto, Il Mulino, Bologna, 1995. 2 Laudato si’, n. 217. Interessante il commento di P. CANZIANI, Una conversione ecologica globale, in G. NOTARSTEFANO (a cura di), Abiterai la terra. Commento all’enciclica Laudato si’, Ave, Roma, 2015, pp. 37-50. 3 Cfr. F. FELICE e P. ASOLAN, Appunti di Dottrina sociale della Chiesa. I cantieri aperti della pastorale sociale, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2008, p. 126.

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Francesco - é parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e

nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana”4.

In base all’antropologia cristiana, l’uomo, imago Dei, assume su di sé la responsabilità di

prendersi cura dell’universo5. Dopo che Dio ebbe creato cielo e terra e benedetto l’uomo e la

donna, si legge in Genesi 1,28, che fu loro data autorità su tutte le cose: “siate fecondi e

moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del

cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra”6.

Il soggiogare e il dominare del versetto biblico hanno dato origine a molti

fraintendimenti, soprattutto in ambienti scientifici e anti-religiosi.

Nel mondo scientifico, la crisi ecologica è stata accostata ad una crisi etica e proprio per

questo motivo l’analisi si è soffermata a considerare anche le possibili responsabilità delle

religioni nell’atteggiamento di un uomo sfruttatore indiscriminato di risorse. La polemica

esplose a Washington, nel 1966, in occasione dell’incontro annuale dell’Associazione

americana per il progresso della scienza, allorquando lo storico Lynn White, relazionando

sulle “Radici storiche della nostra crisi ecologica”, espresse le sue perplessità sul

condizionamento delle credenze religiose sullo sfruttamento della natura7. Sotto accusa finì

proprio la teologia ebraico-cristiana, ritenuta responsabile di aver forgiato il dualismo tra

l’uomo e la natura. Secondo White, la corrente occidentale del cristianesimo sarebbe stata

“colpevole” di una rivoluzione culturale radicalmente antropocentrica, che avrebbe favorito

l’affermazione della figura dell’uomo che domina e soggioga la natura. L’articolo di White, la

cui visione del cristianesimo appare fin troppo semplicistica, suscitò comunque grande

interesse8 e il dibattito sulle presunte origini cristiane della crisi ecologica si animò in

ambienti accademici tipicamente anti-religiosi9.

Il pensiero cristiano – effettivamente talvolta non recepito - ha sempre considerato il ruolo

dell’uomo nel creato in maniera diversa10. Il dominio non va inteso in un’accezione assoluta

che implica il potere dispotico dell’uomo sulla natura, ma va considerato come sinonimo di 4 Laudato si’, n. 217. 5 Cfr. G. NOTARSTEFANO, Il paradigma della custodia, in ID (a cura di), Op. cit., pp. 113-122. 6 Cfr. M. ROSENBERGER, L' albero della vita - Dizionario teologico della spiritualità del creato, EDB, Bologna 2006. 7 L. WHITE, Historical roots of our ecological crisis, in «Science Magazine», 155, 1967; tradotto in italiano con il titolo Le radici storico-culturali della nostra crisi ecologica, in «Il Mulino», 2, 1973. 8 R.L. MEANS, Why worry about nature?, in «Saturday Review», 2 dicembre 1967. 9 Sulla disputa che ne seguì cfr. L. MAZZINGHI, “Dominate la terra!”: la vocazione dell’uomo e il problema ecologico, in «Quaderni della Segreteria generale della CEI», anno XII, n.15, maggio 2008, p. 12. 10 L. MAZZINGHI, Op. cit., Sull’attuale dibattito su antropocentrismo e biocentrismo, si veda L. ALICI, Natura e persona: lo “sguardo diverso” di papa Francesco, in G. NOTARSTEFANO (a cura di), Op. cit., pp. 51-58.

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responsabilità. Sempre nel libro della Genesi, infatti, al versetto 2,15 si legge che “Il Signore

Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse”,

espressione che esclude che il testo sacro abbia voluto dare all’uomo il potere della

prevaricazione ecologica e che al contrario evoca un privilegio, una possibilità di sviluppo

offerta all’uomo11.

Nella Laudato si’ (2015), la prima enciclica sociale ad avere ad oggetto la cura del creato,

papa Francesco puntualizza: “Anche se è vero che qualche volta i cristiani hanno interpretato

le Scritture in modo non corretto, oggi dobbiamo rifiutare con forza che dal fatto di essere

creati a immagine di Dio e dal mandato di soggiogare la terra si possa dedurre un dominio

assoluto sulle altre creature”12. Dunque il cristiano deve riscoprirsi custode del creato e

“custodire – precisa il Pontefice – vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare,

vigilare. Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura. Ogni

comunità può prendere dalla bontà della terra ciò di cui ha bisogno per la propria

sopravvivenza, ma ha anche il dovere di tutelarla e garantire la continuità della sua fertilità

per le generazioni future”13.

Nell’ultima enciclica, sebbene, come è stato detto, sia la prima ad avere ad oggetto la cura

della casa comune, si possono scorgere diversi elementi di continuità rispetto al passato, a

cominciare proprio dal concetto di “ecologia umana”, la cui paternità spetta a Giovanni Paolo

II14 (Centesimus annus) e a cui Bergoglio fa eco con quello di “ecologia integrale”, che

ingloba anche l’ “ecologia sociale” auspicata da Benedetto XVI (Caritas in veritate). Il tema,

avvertito in tutta la sua gravità, è stato particolarmente a cuore a papa Bergoglio fin dall’inizio

del suo pontificato15.

La Chiesa, anche negli anni ormai trascorsi, non è rimasta insensibile alla “crisi

ecologica”, perché vi ha sempre scorto il segno di una crisi di valori16. Nell’enciclica Mater et

Magistra (1961), Giovanni XXIII denunciava lo squilibrio tra crescita demografica, sviluppo

economico e disponibilità di risorse e invitava al rispetto della vita dell’uomo e della sua

11 F. FELICE e P. ASOLAN, Op. cit., pp. 53-57. 12 Laudato si’, n. 67. 13 Ibidem. 14 Per il pensiero ecologico in san Giovanni Paolo II cfr. A. GIORDANO, S. MORANDINI, P. TARCHI, La creazione in dono, Giovanni Paolo II e l’ambiente, EMI, Bologna, 2005. 15 Uno dei primi interventi in cui fu evidente la sensibilità ecologica di papa Francesco è stata l’Udienza generale del 5 giugno 2013, in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente promossa dalle Nazioni Unite. Consultata in: http://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2013/documents/papa-francesco_20130605_udienza-generale.html. 16 Cfr. G. VIGINI (a cura di), Una ecologia per l’uomo. La Chiesa, il creato, l’ambiente, Medusa, Milano, 2014.

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dignità, da favorire con l’interscambio di risorse e capitali tra le popolazioni del mondo. La

necessità di un ordine morale capace di regolare i rapporti di convivenza tra cittadini e

istituzioni fu poi ulteriormente ribadita nella Pacem in terris (1963) e nella Gaudium et spes

(1965).

Anche Paolo VI, nella Octogesima adveniens, di fronte alla minaccia di una possibile crisi

nucleare, intuì il “potere distruttivo totale” di un ambiente inquinato e di una profonda crisi

sociale. La continuità magisteriale17 è evidente proprio nei diversi punti di contatto tra la

Laudato si’e la Caritas in veritate, nella quale il Papa emerito spiegava come il degrado

ambientale fosse strettamente correlato “alla tenuta morale della società” e che dunque non è

possibile risolvere problemi di ecologia ambientale con incentivi o disincentivi economici,

senza auspicare ad uno sviluppo umano integrale, impossibile se “non si rispetta il diritto alla

vita e alla morte naturale, se si rende artificiale il concepimento, la gestazione e la nascita

dell'uomo, se si sacrificano embrioni umani alla ricerca”18. Sulla stessa lunghezza d’onda,

papa Bergoglio fonde nel suo concetto di “ecologia integrale” la dimensione ambientale,

insieme a quella economica, sociale e spirituale, in antitesi a quel relativismo pratico di un

uomo consumista, estremo e ossessivo, che, in nome del soddisfacimento dei propri interessi

contingenti, è disposto ad accettare aborto, vendita d’organi, sperimentazioni genetiche,

abbandono degli anziani, sfruttamento sessuale dei bambini e, in generale, tutto ciò che si

traduce nella prevaricazione dei forti sui deboli. La soluzione del problema antropologico,

secondo papa Francesco, risiede nella riscoperta della “legge morale” che l’uomo porta

“inscritta nella propria natura”. In questa direzione, il Pontefice asserisce che “non è sano un

atteggiamento che pretenda di cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi

con essa” poiché, spesso la “logica di dominio sul proprio corpo si trasforma in una logica a

volte sottile di dominio sul creato”19.

17 Si segnalano in particolare, per il pontificato di Giovanni Paolo II le encicliche Sollecitudo rei socialis (30 dicembre 1987), Centesimus annus (1 maggio1991), e Evangelium Vitae (25 marzo 1995), nonché i Discorsi in occasione della XXIII Giornata mondiale della pace (1990) e quello rivolto ai partecipanti al convegno Ambiente e salute (1997); l’argomento trova piena trattazione nel magistero di Benedetto XVI con la Caritas in Veritate (29 giugno 2009). 18 Caritas in veritate, n.51. 19 Laudato si’, n. 155.

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2. Le virtù ecologiche e le orme dei Santi

Nella Centesimus annus, Giovanni Paolo II avvertiva la necessità di avviare un processo

di conversione ecologica globale che facesse attenzione a “salvaguardare le condizioni morali

di un’autentica ecologia umana”20. Per giungere a quest’obiettivo, papa Francesco ha

riproposto delle linee di spiritualità ecologica della tradizione cristiana, affinata in venti secoli

di esperienze personali e comunitarie, una “mistica” capace di animare delle virtù ecologiche

che aiutino a vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio21.

Tra queste virtù, innanzitutto vi sono la gratitudine e la gratuità, ovvero “un

riconoscimento del mondo come dono ricevuto dall’amore del Padre, che provoca come

conseguenza disposizioni gratuite di rinuncia e gesti generosi anche se nessuno li vede o li

riconosce”22.

La solidarietà, il sentirsi in comunione universale con tutte le creature, è un obiettivo cui

tendere, poiché “il mondo non si contempla dal di fuori ma dal di dentro, riconoscendo i

legami con i quali il Padre ci ha unito a tutti gli esseri”23. Altre virtù ecologiche sono la

creatività e l’entusiasmo, che scaturiscono dalla corretta individuazione del ruolo dell’uomo

nel creato,24 nonché il senso di responsabilità, che gli deriva dalla sua fede25. Inoltre, il

cristiano che voglia seguire un cammino di conversione ecologica, seguendo le indicazioni

tracciate dal Pontefice, dovrebbe crescere nella sana umiltà e felice sobrietà, ovvero nella

capacità di godere con poco, accogliendo la tradizione religiosa che suggerisce che “meno è

piú”, nella semplicità che consente di gustare le piccole cose nella gioia26.

20 Centsimus annus, n. 38. 21 Laudato si’, nn. 216-217. 22 Ivi, n. 220. 23 Ivi, nn. 14, 162, 210, 220, 227, 232. Interessante, a questo proposito della comunione universale, sono gli studi di M. KEHL, Creazione. Uno sguardo sul mondo, Queriniana, Brescia 2012 e ID., “E Dio vide che era cosa buona”. Una teologia della creazione, Queriniana, Brescia, 2009, con particolare riferimento al concetto di con-creaturalità: tutto ciò che non è Dio è creatura. Tale considerazione, però, non deve spingere verso eccessi opposti, poiché vi è una certa “differenza qualitativa” in termini di dignità tra le creature, come ad esempio tra animali e persone. Cfr. J.P. LIEGGI, Il fondamento trinitario della responsabilità dell’uomo nei confronti della natura. Il paradigma della “syn-taxis”, in E. GARLASCHELLI, G. SALMERI, P. TRIANNI (a cura di), Ma di’ soltanto una parola…,Economia, ecologia, speranza per i nostri giorni, Educatt, Milano, 2013. 24 Sulla creatività cfr. F. FELICE e P. ASOLAN, Op. cit., p. 56. 25 Laudato si’, n. 220. 26 Laudato si’, nn. 221, 222, 224.

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Un programma di vita, un paradigma quello tracciato da papa Francesco, molto

impegnativo proprio perché integrale, in quanto nella casa comune tutto è connesso e

interdipendente.

Di fronte alle difficoltà di mettere in pratica un cammino di conversione ecologica

integrale, le figure dei Santi, seppur vissuti in epoche molto lontane, sembrano confortare

l’uomo di oggi indicandogli delle orme sicure da seguire. Primo fra tutti san Francesco

d’Assisi, indicato come modello di perfetto ecologismo tanto dal mondo laico che cattolico.

Lo stesso White, dopo aver accusato il cattolicesimo di aver moralmente autorizzato l’uomo a

“dominare” e “soggiogare” il creato, suggerì il Poverello come esempio di equilibrio nella

relazione tra l’uomo e la natura. Erroneamente ritenne la visione di san Francesco come

alternativa al Cristianesimo, per aver contrapposto alla supremazia dell’uomo sul creato la

“democrazia” tra tutte le creature di Dio. Per questo, lo storico suggeriva, come poi avvenne,

che san Francesco d’Assisi fosse proclamato patrono degli ecologisti.

Nel 1979, infatti, Giovanni Paolo II elevò a patrono dei “cultori dell’ecologia” san

Francesco d’Assisi, in quanto annoverato “tra i santi e gli uomini illustri che hanno celebrato

la natura quale dono meraviglioso di Dio al genere umano”27. La bolla Inter Sanctos pone

l’accento sul fatto che Francesco “ebbe […] un profondo apprezzamento per tutte le opere del

Creatore e, quasi mosso da ispirazione divina, compose il bellissimo Cantico delle Creature”.

Ed è proprio la spiritualità francescana espressa nel Cantico delle Creature a costituire il

cuore di tutta l’enciclica scritta dal primo Papa nella storia a portare volutamente il nome

dell’Assisiate.

La Laudato si’, infatti, porta il sigillo della sensibilità di san Francesco d’Assisi28, “un

esempio bello e motivante”, che permea tutto il magistero di papa Bergoglio. Su questo

componimento poetico ci sono stati infiniti commenti, molti dei quali sottolineano la gioia, lo

stupore, la lode e la contemplazione, quasi dimentichi delle condizioni nelle quali versava il

Santo quando la compose. Nel 1224, il Poverello d’Assisi giaceva ammalato nella chiesetta di

San Damiano, afflitto, tra le altre, da una malattia agli occhi che lo costringeva a stare in

penombra. Era, dunque, alla fine della sua esistenza fisica quando lasciò in eredità al mondo

dei versi che, nonostante l’attesa imminente di sorella morte, sono esplosione di gioia,

celebrazione delle bellezze della creazione, segno di una incontenibile musicalità interiore,

27 GIOVANNI PAOLO II, Bolla Inter Sanctos (29 novembre 1979). 28 Cfr. G. POLIDORO, L’ispirazione francescana nell’enciclica, in G. NOTARSTEFANO (a cura di), Op. cit., pp. 59-67.

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che ancora oggi non cessano di essere fonte d’ispirazione per chi si accosta ad essi con umiltà

e docilità.

L’esperienza singolare dei Santi, il loro originale percorso compiuto dall’immanenza alla

trascendenza, possono essere un ausilio alla crisi ecologica di oggi. Ad esempio, a proposito

del Francescanesimo, è stato osservato come esso possa “diventare il fermento di una

rivoluzione pacifica delle coscienze e dei comportamenti, per risanare l’ambiente e poter

giungere alla grande fraternità cosmica di cui sembriamo carenti”29.

Papa Francesco invita i cristiani ad attingere alla “grande ricchezza della spiritualità

cristiana generata da venti secoli di esperienze personali e comunitarie”, quale “magnifico

contributo da offrire allo sforzo di rinnovare l’umanità”30. Anche quando invita l’uomo a

prendere coscienza della sua vocazione di custode responsabile della casa comune, non come

qualcosa di opzionale o di secondario, addita il modello di san Francesco d’Assisi per

proporre “una sana relazione col creato come una dimensione della conversione integrale

della persona”31. In particolare, il Papa ricorda come proprio grazie all’armonia che aveva con

tutte le creature e al perseguimento della riconciliazione universale, il Poverello aveva

riottenuto lo stato di innocenza originaria32.

Le orme dell’Assisiate emergono visibilmente soprattutto quando papa Francesco vuole

sottolineare l’importanza di affrontare la crisi ecologica con una certa “apertura verso

categorie che trascendono il linguaggio delle scienze esatte o della biologia e ci collegano con

l’essenza dell’umano”33.

“Entrava in comunicazione con tutto il creato” – ricorda il Papa a proposito del suo Santo

protettore, il quale riconosceva in ogni creatura una comune origine -, “per lui qualsiasi

creatura era una sorella, unita a lui con vincoli di affetto”. “Questa convinzione non può

essere disprezzata come un romanticismo irrazionale, perché influisce sulle scelte che

determinano il nostro comportamento. Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza

questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se non paliamo più il linguaggio della fraternità

e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del

29 J.A. MERINO, Francesco di Assisi e l’ecologia, Edizioni Messaggero Padova, Padova, 2010, p. 7. Si veda anche L. BOFF, Grido della Terra, grido dei poveri. Per una ecologia cosmica, Cittadella, Assisi, 1996. 30 Laudato si’, n. 216. 31 Ivi, n. 218. 32 Ivi, n. 66. 33 Ivi, n. 11.

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dominatore, del consumatore [...] Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò

che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea”34.

La tradizione cristiana è particolarmente ricca di “esempi belli e motivanti” che hanno

tanto da dire in campo ecologico, a iniziare dai Padri del deserto, da san Francesco d’Assisi o

da san Benedetto da Norcia. Ve ne sono moltissimi altri che hanno avuto marcate virtù

ecologiche declinate in quanti modi la Grazia ha voluto manifestarsi. Si può partire dalla

sublimazione della cura della terra nello spagnolo sant’Isidoro l’agricoltore (1070 ca – 1130),

contadino per nascita e per necessità, nominato patrono dei campi. In vita ha sempre lavorato

e pregato, affrontando senza un lamento le fatiche dei campi, poiché in esse vedeva

l’adorabile volontà di Dio. La tradizione, tra gli altri, gli attribuisce il “miracolo del pozzo”:

grazie alle sue preghiere le acque di un pozzo salirono al punto tale da poter salvare un bimbo

che vi era caduto dentro35. Via via, si può arrivare fino alla dotta Ildegarda di Bingen (1098-

1179), la “sibilla del Reno”, musicista, artista, scrittrice, drammaturga, teologa, profetessa, ma

anche una eccezionale naturalista; una suora controcorrente e anticonformista che diede un

notevole contributo alle scienze naturali con il Physica, o Libro delle medicine semplici, e il

Causae et curae, o Libro delle medicine composte, due trattati enciclopedici che racchiudono

il sapere medico e naturalistico del tempo. Ildegarda è anche l’autrice di Viriditas, nel quale

disquisisce del rapporto filosofico tra l’uomo e la natura, nell’ambito del quale viriditas è un

termine che la Santa utilizza per evocare l’energia creativa della Vita presente in natura grazie

al soffio di Dio36.

In questa schiera di santi, si erge anche la figura di Francesco di Paola (1416-1507), un

gigante della santità, che visse misticamente la relazione con la natura, le cui virtù ecologiche

saranno approfondite in questo lavoro.

Pur appartenendo ad epoche ormai remote, riflettere sulle esperienze – tanto immanenti

quanto trascendenti - dei Santi non serve solo a guardarsi indietro per compiere una

anacronistica indagine ecologica, che nella migliore delle ipotesi possa far giungere alla

conclusione che ci sono stati periodi in cui la relazione tra uomo e ambiente era più

34 Ibidem. 35 S. CANALE, Vita di S. Isidoro agricoltore dedicata alla santità di nostro signore Benedetto XIV pontefice massimo, Stamperia Giannini, Roma, 1756; R. GIORGI, Santi, Mondadori Electa Editore, Milano 2002, p. 215. 36 M. FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI, In una aria diversa. La sapienza di Ildegarda di Bingen, Mondadori, Milano, 1992; E. GOLDSMITH, Alleanza cosmica. Riconnettere natura, società e spiritualità, A.H. KING-LENZMEIER, Ildegarda di Bingen. La vita e l’opera, Gribaudi, Milano, 2004.

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equilibrata; il vissuto dei Santi spinge a guardare avanti, ma soprattutto proietta nella

dimensione spazio-temporale dell’Oltre.

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3. La Calabria, patria di san Francesco di Paola, terra di fede e di contraddizioni

Parlare di Calabria, ovunque nel mondo, evoca un’immediata associazione con la mafia o,

all’opposto, con qualche santo, san Francesco di Paola prima di tutti. Quando san Giovanni

Paolo II nel 1984 scese in Calabria per la visita pastorale, rimase colpito dal contrasto che si

avverte in tutta la regione: da una parte la bellezza della natura, le qualità della gente e una

storia di fede senza pari e dall’altra soprusi e sperequazioni. “Una terra forte, [caratterizzata

da] un complesso di fattori negativi accumulati dalle circostanze e dagli uomini”37. A

Giovanni Paolo II non sfuggì come “a confronto con regioni analoghe dell’Italia e

dell’Europa, la Calabria non si colloc[asse] in un posto elevato della scala delle ricchezze di

ordine materiale” a cui aggiunse la triste constatazione che “gli uomini hanno talvolta finito di

distruggere quanto la natura aveva risparmiato”38. La responsabilità dell’azione umana,

dunque, è sempre stata l’origine dei mali di questa regione, che è “terra di contrasti: alla

ricchezza di alcuni fa riscontro la ristrettezza, quando non addirittura la povertà, di non

pochi”39. E pur sapendo bene quali fossero i mali della Calabria, nei suoi discorsi, carichi di

incoraggiamento, si coglie un profondo senso di stupore. Giunto all’aeroporto di Lamezia il

Pontefice si ritrovò in “questa terra meravigliosa, che con le verdi montagne si slancia verso il

cielo e in gran parte del suo perimetro s’affaccia sul limpido mare Mediterraneo” e osservò

come questa regione, “posta con i suoi monti fra l’immensità del cielo e quella del mare, si

direbbe che spinga spontaneamente all’elevazione verso Dio”40. Solo chi ha osservato da

vicino questa terra può rendersi conto delle bellezze naturali di cui Dio le ha fatto dono, e solo

chi ha avuto modo di visitarla, animato da una particolare sensibilità, può capire perché in

essa, nel corso della storia, si sia “sviluppata una straordinaria fioritura di centri eremitici e di

monasteri, disseminati qua e là, sulle montagne e tra i boschi”41. Dopo oltre vent’anni da

questa visita, la Calabria continua a chiedere lavoro, legalità, rispetto per i poveri, maggiore

37 GIOVANNI PAOLO II, Discorso Visita pastorale in Calabria, (5 ottobre 1984). 38 Ibidem. 39 Ibidem. 40 Ibidem. 41 Ibidem.

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tensione per il bene comune. In visita pastorale in Calabria, Benedetto XVI ha trovato davanti

a sé una “terra sismica non solo dal punto di vista geologico, ma anche da un punto di vista

strutturale, comportamentale e sociale; una terra, - ha sottolineato il Papa - dove i problemi si

presentano in forme acute e destabilizzanti; una terra dove la disoccupazione è preoccupante,

dove una criminalità spesso efferata ferisce il tessuto sociale, una terra in cui si ha la continua

sensazione di essere in emergenza”42. Esattamente dopo trent’anni dalla visita di Giovanni

Paolo II, papa Francesco, avvertendo un forte richiamo proveniente da tristissimi fatti di

cronaca, si è recato in Calabria, esattamente a Cassano allo Jonio, da dove ha comminato la

scomunica a tutti i mafiosi, “adoratori del male”43.

Insomma, sembra che la Calabria in questi ultimi trent’anni non sia riuscita ad affrontare e

vincere tutte le sfide che le si sono poste per attuare un reale processo di rinnovamento.

Oggi questa regione ha un Santo in più, san Nicola da Longobardi44, e tanti problemi

ancora irrisolti e talvolta sottovalutati. I problemi ambientali sono proprio tra questi.

Certamente sono in molti a pensare che, tra tutti, quello ambientale non sia tra i più urgenti.

Eppure, la sapienza della Chiesa afferma che la crisi ecologica non è scindibile dalla crisi

sociale, poiché “il libro della natura è uno e indivisibile”45.

Bisognerebbe accostarsi alla presenza di san Francesco di Paola con maggiore

consapevolezza, rispetto e fedeltà per il messaggio d’amore di cui ha reso partecipe il popolo

di Dio. Non soltanto invocazione, ma imitazione!: questo ha suggerito Giovanni Paolo II.

Per tanti, Francesco di Paola è solo un Santo che ha fatto (e ancora continua a fare)

miracoli e che ha istituito un Ordine e costruito conventi. E poco importa se non si riflette più

sulle virtù di quel Ragazzino penitente e austero, che, sentendo una forte vocazione, si

immerse nella natura e tra boschi, grotte e fiumi imparò a riconoscere la volontà di Dio; di

quel giovane Frate, che consacrò tutta la sua vita all’amore verso il Creatore e verso il

prossimo; di quell’umile Vecchio coerente, costretto a recarsi alla corte del re di Francia per

amore della Chiesa, che seppe rifiutare ogni agio per trovare ristoro solo nell’Amore. Non si

può dire di essere seguaci di san Francesco senza considerare anche le virtù ecologiche di

42 BENEDETTO XVI, Omelia Visita pastorale a Lamezia Terme e a Serra San Bruno (9 ottobre 2011). 43 FRANCESCO, Omelia Visita Pastorale a Cassano all’Jonio (21 giugno 2014). 44 San Nicola da Longobardi, al secolo Giovanni Battista Saggio (1650-1709), è stato un religioso oblato dell’Ordine dei Minimi di san Francesco di Paola, ed è stato canonizzato il 23 novembre 2014. Cfr. A. BELLANTONIO, Più in alto delle aquile. San Nicola da Longobardi (1650-1709), San Paolo, Cinisello Balsamo, 2014. 45 Caritas in Veritate, n. 51.

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questo uomo che amò e rispettò profondamente la natura e che riuscì a vedere in ogni creatura

un dono d’amore del Creatore.

Bisognerebbe correre con la mente a Lui, quando, inermi, osserviamo le acque del mare,

le stesse che sono state solcate dal suo venerato mantello46, diventare teatro di morte di

centinaia e centinaia di clandestini, deposito di carrette del mare che rilasciano sostanze

tossiche. Il fuoco, amico docile nelle mani di Francesco, è diventato strumento della volontà

incendiaria di criminali che ogni anno distruggono ettari di bosco. L’orto e il bosco, sfondo

naturale del suo impegno lavorativo quotidiano, potrebbero diventare alimentazione nociva

sulle nostre tavole se non si dà il giusto peso alla crisi ecologica.

C’era una relazione trascendente tra Francesco e la natura sulla quale bisogna riflettere,

impressa nella memoria dei luoghi in cui visse. Ci sono delle virtù di che ben dovrebbero

essere note ai suoi devoti. Ci sarebbe bisogno di osservare il creato con gli occhi di questo

buon Frate, che è stato capace di cogliere il ritmo e la logica della creazione. Charitas, regola

di vita del Paolano e dei suoi seguaci, è la sintesi di una perfetta relazione basata sull’amore

con Dio, con il prossimo, ma anche con il Creato. Al contrario, la crisi ecologica denota il

rapporto malato tra l’uomo, custode del creato, e Dio creatore, la relazione conflittuale tra

persona e natura, ma anche il legame irresponsabile tra la generazione di oggi e quella di

domani.

Richiamare il mondo all’esperienza di san Francesco di Paola in questo particolare

momento storico non vuole essere un manifesto di lotta ecologista, di chi è solo contro gli

abusi ambientali. Essere soltanto contro, vuol dire rinunciare a trovare soluzioni, vuol dire

restare soffocati in una spirale di odio, vuol dire perdere di vista il bene. Non è questo

l’insegnamento di san Francesco.

46 La tradizione e tutta l’iconografia ci hanno consegnato l’immagine del prodigioso transito di Francesco sulle acque dello stretto di Messina a bordo del mantello. Gli aspetti storici saranno approfonditi nel par. 6.2.

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4. Un chiaro messaggio d’amore

“Terra forte”, “terra di contrasti”, ma anche “terra meravigliosa”, la Calabria è stata

interpretata da Giovanni Paolo II soprattutto come “terra di fede”, che è stata “culla di molti

santi, qualcuno di statura spirituale non comune”. Il riferimento è chiaramente rivolto a chi è

“conosciuto nel mondo dal nome di una delle vostre più belle cittadine”, ovvero Francesco di

Paola, sintesi di quanto di buono ci sia in Calabria: “il santo della charitas, della penitenza,

della parola coraggiosa e franca”47. Un uomo “vissuto lontano dai libri ma vicino a Dio –

questo è il breve profilo pronunciato dal Pontefice nell’omelia durante la concelebrazione

eucaristica del 5 ottobre 1984 - Egli fu davvero uno di quei piccoli che Dio introduce alla

conoscenza delle sue cose nascoste. Francesco di Paola – continua ancora il Pontefice - non fu

certo un dotto, e tuttavia egli conobbe a perfezione la scienza dei santi e seppe penetrare nei

cuori più e meglio di quei dotti teologi, che non di rado ricorrevano a lui per avere risposte

chiarificatrici nei loro dubbi e nelle loro perplessità. Lui piccolo, anzi minimo come amò

qualificare sé e i suoi figli, meritò di essere maestro dei grandi della terra, e ciò grazie alla

luce che Dio riversava nella sua anima, assetata di lui”48.

Ai cittadini di Paola, ma per estensione a tutti i devoti del Santo, Giovanni Paolo II ha

rivolto un invito e un augurio – ripetuto più volte -, che se ben inteso dovrebbe rappresentare

un programma di vita da accogliere con grande serietà d’intenti: “sappiate incarnare in voi le

virtù che hanno reso grande san Francesco”.

Rileggere questo discorso sarebbe utile per inchiodare ciascuno alle proprie responsabilità

di devoto49:

San Francesco è stato additato al mondo come un eremita che praticava estenuanti

penitenze e mortificazioni, un uomo di Dio; ma egli era anche un uomo semplice,

schietto, che avvicinava i poveri, che lavorava e dava lavoro nel suo convento agli

47 GIOVANNI PAOLO II, Discorso Visita pastorale in Calabria, (5 ottobre 1984). Ancora prima di Giovanni Paolo II, Paolo VI disse ai vescovi calabresi e lucani: “Il fiorire nel corso del secolo XV di un santo della statura di un Francesco di Paola e il movimento spirituale che da lui prese inizio costituiscono una eloquente conferma della presenza nell’anima popolare di una vena ricca di linfa cristiana autentica”. Cfr. PAOLO VI, Discorso ai Vescovi della Basilicata e della Calabria in visita «ad limina apostolorum» (26 maggio 1977). 48 GIOVANNI PAOLO II, Omelia Concelebrazione eucaristica per i Religiosi e le Religiose (5 Ottobre 1984). 49 GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai cittadini di Paola (5 ottobre 1984).

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altri. Voi lo sentite giustamente come uno di voi, con le caratteristiche proprie di

questa vostra regione: la tenacia, la laboriosità, la semplicità, l’attaccamento alla fede

avita. Ovunque egli è stato, nelle grandi corti del tempo (a Napoli, Roma, Tours in

Francia), ha portato le virtù di questo popolo ed è stato l’immagine di ciascuno di voi.

Oggi sono qui per dirvi: sappiate incarnare in voi le virtù che hanno reso grande

san Francesco, in modo che con forza possiate debellare il male sociale, che agli occhi

di molti talvolta oscura l’immagine di questa laboriosa regione. Se saprete essere tra

voi aperti e sinceri, se avrete il coraggio di cancellare l’omertà, che lega tante persone

in una sorta di squallida complicità dettata dalla paura, allora miglioreranno i rapporti

tra le famiglie, sarà spezzata la tragica catena di vendette, tornerà a fiorire la

convivenza serena, e questa generosa terra apparirà, quale essa è, la terra di san

Francesco, la terra in cui fiorisce la carità e il perdono.

[…]

E vorrei ancora affidare alla protezione di san Francesco da Paola, vostro patrono,

tutti coloro che in questa città soffrono per la disoccupazione, per la mancanza di

lavoro. Sono stato subito attratto dalla lunga schiera di persone qui presenti che

manifestano per chiedere un bene: il lavoro. Vi auguro che presto sia risolto questo

grande problema umano e sociale, importante per tutta la vostra patria, ma importante

soprattutto per la vostra Calabria, per la vostra città, per le vostre famiglie, per le

vostre persone, per i vostri giovani, per i vostri figli. È l’augurio che vi faccio in questo

momento, cioè all’inizio della mia permanenza nella vostra città.

Protegga quanti a lui si rivolgono con spontanea confidenza, poiché lo vedono

come un santo vicino a loro, che dà fiducia, col quale è possibile esprimersi nella

lingua materna e dialettale, che infonde coraggio e speranza. San Francesco è stato in

vita un difensore dei poveri contro i soprusi dei potenti del tempo, e ha sempre

restituito a tutti serenità, salute e coraggio. Ora dal cielo ottenga per la sua Calabria la

serenità, la concordia degli animi, il rispetto della persona umana e aiuti a sconfiggere

la piaga dei sequestri, la violenza e gli altri mali funesti che travolgono la società

odierna e ottenga il lavoro per tutti.

Prima di Giovanni Paolo II, già nel 1977 Paolo VI aveva augurato ai vescovi calabresi e

lucani: “Continui ad agire per mezzo vostro San Francesco di Paola, che a difesa dei poveri e

degli oppressi non temette di elevare la sua voce, denunziando apertamente le malversazioni

dei potenti”.50

50 PAOLO VI, Discorso ai Vescovi della Basilicata e della Calabria in visita «ad limina apostolorum» (26 maggio 1977).

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L’umile penitente, il casto eremita, il potente intercessore, il taumaturgo, il riformatore,

l’ambasciatore di pace, l’amico della natura; si potrebbe continuare a lungo cercando di

enumerare tutti gli aspetti della personalità e della spiritualità di san Francesco di Paola (27

marzo 1416-2aprile 1507), ma la sintesi è una: charitas, amore. Amore divino che si è

straordinariamente rivelato in tutti i 91 anni di vita terrena di Francesco Martolilla, e che non

ha mai smesso di manifestarsi fino a oggi51.

Comunque la si voglia raccontare, qualunque sia l’aspetto da voler privilegiare, l’esistenza

di san Francesco è indiscutibilmente straordinaria. Basti solo riflettere sui dati più essenziali.

Nato a Paola, un piccolo villaggio feudale calabrese, finì i suoi giorni a Tours, centro

nevralgico della prestigiosa monarchia francese: una distanza enorme per il XV secolo, che

unisce due realtà estremamente differenti.

Giacomo e Vienna, chiamarono il loro figlio Francesco per devozione al Santo d’Assisi,

alla cui intercessione si erano affidati dopo molti anni di matrimonio e a cui fecero voto

quando il bimbo, appena nato, mostrò una grave malformazione a un occhio. Francesco

crebbe in un ambiente semplice e molto devoto. Appena adolescente, per sciogliere il voto, fu

accompagnato dai genitori nel convento francescano di San Marco Argentano, dove passò un

anno come oblato svolgendo ogni umile servizio. Al termine del periodo, nonostante i frati gli

avessero chiesto di restare, manifestò il desiderio di recarsi ad Assisi per chiedere ancora una

volta al suo Santo protettore, di poter comprendere la sua vocazione. Il pellegrinaggio si

rivelò un’esperienza di forte tensione spirituale.

Passò da Roma, poi sostò sulla tomba del Serafico, e di ritorno fece tappa anche a Loreto,

cuore della fede mariana, e a Montecassino, centro di spiritualità monastica. Proprio nella

città eterna, secondo i biografi, si verificò un avvenimento di grande intensità che indirizzò le

scelte future del giovane. Francesco, infatti, rimase molto contrariato per via dell’eccessivo

fasto del corteo di un cardinale incrociato per strada, al quale disse risolutamente: “Gli

apostoli di Gesù Cristo non andavano in giro con tanto lusso”. Il porporato, spiazzato dalla

fermezza di quell’acuto rimprovero, si giustificò dicendo che lo sfarzo era necessario per

garantire visibilità e prestigio alla Chiesa. Evidentemente non fu convincente. Tornato a

51 Per avere un quadro esatto della vita e delle opere di san Francesco di Paola cfr.: D. DE ROSA, San Francesco di Paola. Mistico e riformatore del suo tempo, Jaca Book, Milano, 2013; A. GALUZZI, Origine dell’Ordine dei Minimi, Libreria editrice della Pontificia Università Lateranense, Roma, 1967; G. FIORINI MOROSINI, S. Francesco di Paola. Vita, personalità, opera, Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 2006. Il corposo testo di G. ROBERTI, S. Francesco di Paola. Storia della sua vita, Curia generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 1963, è particolarmente indicato per chi volesse approfondire anche lo studio delle fonti.

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Paola, la volontà di Dio era più chiara e la decisione era ormai presa: Francesco “voleva fare

l’eremita”.

Era ancora adolescente, ma con ferma determinazione si ritirò nei luoghi dove ora sorge il

Santuario. Lì cercava la contemplazione nella solitudine di una grotta. Lì Dio si rivelò e lui

rispose donandosi completamente.

Il Signore, tuttavia, sconvolse i suoi propositi di un’ascetica vita solitaria e lo spinse verso

gli altri. Dopo circa cinque anni di solitudine, Francesco e i primi compagni che si

affiancarono a lui52, attratti da quello stile di vita austero, iniziarono la costruzione del

romitorio di Paola (altri ne sorsero in seguito a Paterno Calabro, Spezzano, Corigliano e

Milazzo) per accogliere i fedeli che, numerosi, accorrevano al povero eremita per ottenere

intercessione. Ma gli imprevedibili progetti di Dio erano tutt’altro che compiuti. Ciò che

inizialmente era un semplice movimento penitenziale divenne una congregazione riconosciuta

dalla Chiesa, in seguito denominata Ordine dei Minimi (che si distinse per l’annuncio della

conversione e per la vita quaresimale perpetua), rapidamente diffusosi in tutta Europa.

Il nostro umile Frate, che aveva maturato una scelta radicale di Dio, non era certo meno

incline all’amore verso il prossimo, manifestato nella preghiera, nell’accoglienza, nella

solidarietà e nel coraggio di alzare la voce verso i potenti, che vessavano poveri e indifesi con

politiche oppressive. Prese posizione netta e decisa verso chi gestiva il potere per proprio

tornaconto e non per servire il bene comune, tanto da essere considerato in alcuni frangenti

una minaccia dallo stesso re di Napoli, Ferrante d’Aragona. Francesco a corte era ritenuto un

personaggio scomodo, impertinente, che fomentava il malcontento e che probabilmente

istigava la gente alla ribellione53. In realtà era soltanto molto amato dalla sua gente, che

vedeva in lui una fonte di ispirazione divina e un modello di vita improntata sulla giustizia e

sulla pace. E in effetti, cercava piuttosto l’unione e la pace, specialmente tra i prìncipi

cristiani, preoccupato com’era di una possibile invasione musulmana in Europa (e in effetti,

l’avanzata turca sfociò nella conquista di Costantinopoli nel 1453).

La sua fama di santità si diffuse rapidamente e così, mentre lui pregava e si mortificava

per i problemi del suo tempo, il Signore lo usava come strumento dispensatore di ogni grazia.

Notizie di numerose guarigioni e di altrettanti segni prodigiosi echeggiarono ovunque nel

52 Sulle origini dell’Ordine dei Minimi Cfr. A. GALUZZI, Origine…cit. e tutti gli altri studi poi raccolti in ID., Studio sull’origine dell’Ordine dei Minimi (a cura di M. SENSI), Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 2009. Sulle origini del monastero di Paola cfr. F. RUSSO, Il Santuario-Basilica di Paola. Monografia storica e guida illustrata, Edizioni Santuario Basilica san Francesco di Paola, Paola, 1966 53 G. ROBERTI, Op.cit., pp.307 e ss.

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Regno e giunsero fino in Francia. Molto malato, il re Luigi XI invitò a corte l’eremita

calabrese, dal quale sperava di ottenere una miracolosa guarigione fisica. Francesco rifiutò

anche quando la richiesta gli arrivò dal re Ferrante, ma Luigi XI non si arrese e si rivolse al

Papa. Sisto IV, vide in quella richiesta un’occasione diplomatica unica, che non si lasciò

sfuggire e così impose all’umile religioso di recarsi in Francia.

Francesco amò la Chiesa fino alla totale abnegazione di sé. Vistosi recapitare il mandato

d’obbedienza del Papa, suo malgrado, si abbandonò alla volontà di Dio e partì. Aveva circa

67 anni, era esattamente il maggio 1483, quando il bonhomme – come presero a chiamarlo i

francesi - giunse a Tours insieme ad alcuni confratelli.

Luigi XI non ottenne la guarigione fisica che tanto sperava – non era questa la volontà di

Dio, gli spiegò Francesco -, ma ottenne la conversione. Morì con il conforto dell’ormai

anziano frate, al quale il re affido la guida spirituale del figlio (Carlo VIII).

Saggio e prudente, Francesco restò fedele alla sua vocazione di vita quaresimale e non

cedette mai alle lusinghe che la vita di corte offriva. Molti riconobbero in lui la chiara

impronta penitenziale di Giovanni Battista. Non le parole, ma la condotta cristiana

straordinariamente coerente richiamava a conversione chiunque entrasse in contatto con lui.

Dopo una brevissima malattia, Francesco morì il Venerdì Santo, era il 2 aprile del 1507,

circondato dall’amore dei suoi confratelli, lasciando loro in eredità una Regola, considerata

luce per i penitenti, e un esempio di vita santamente vissuta.

Francesco, fin dall’adolescenza, aveva avuto un amore incondizionato per la natura, nella

quale celebrava la presenza di Dio, che intravedeva nella profondità della terra, nelle creature

e nelle cose. Fin da ragazzo, quando scelse un cammino di eremitaggio, si era ritirato in un

luogo ove si potevano contemplare tutte le bellezze della natura: una montagna lussureggiante

attraversata dal fiume Isca, voce del canto mistico della creazione, che scorre veloce verso il

mare, in cui lo sguardo può perdersi da quell’altezza. Un paesaggio che, come ha avuto modo

di osservare anche Giovanni Paolo II, spinge spontaneamente all’elevazione verso Dio, tanta è

la sua bellezza.

In questa splendida pagina del libro della natura, Francesco ha sigillato il suo amore per il

Signore e, soltanto inizialmente, gli unici testimoni furono i suoi amici animali, le sue erbe e

poi il fuoco, l’acqua, il mare, il vento, le pietre. Il Signore, in cambio di quella totale e pura

dedizione, sempre in quel luogo ancora impregnato della presenza di entrambi, ha affidato a

Francesco un’infinità di doni, tra cui anche il dominio sulle forze della natura.

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E’ bello credere che quei luoghi conservino la memoria, che abbiano un’identità. Ogni

storia di amicizia tra l’uomo e Dio – spiega efficacemente papa Francesco – si sviluppa

sempre in uno spazio geografico, destinato a diventare un segno molto personale, una parte

della propria identità54. Ogni creatura è portatrice del linguaggio dell’amore di Dio e

dev’essere per questo che in quei luoghi privilegiati nei quali Francesco di Paola si è

incontrato con Dio – soprattutto il suo paese natìo, ma anche Paterno, Tours e tutti gli altri

ove passò e costruì le sue case – le anime più sensibili, quelle che godono di una

“consanguineità spirituale”55 avvertono un calore particolare56. Giovanni Paolo II ne rimase

stupito: “È significativo che il nostro incontro avvenga presso questo santuario, in cui tutto ci

parla di un uomo che seppe donarsi senza riserve a Dio, trovando in tale incondizionata

consacrazione di sé la sorgente sempre zampillante di una carità inesausta verso i fratelli”57.

Il potere dell’Uomo di Dio, alle cui preghiere tutto si conforma alla volontà di Dio, ha una

forza d’attrazione tale che nessuno può restarne escluso, se non gli indifferenti.

Allora, sarebbe bello inoltrarsi, per quanto possibile, nella storia di Francesco di Paola,

cercare di mettere a fuoco le virtù ecologiche che maturò e di cui c’è tanto bisogno oggi nel

mondo. Solo un’avvertenza: una delle principali doti di san Francesco è l’umiltà e

probabilmente proprio per umiltà san Francesco non si è mai svelato completamente in questi

600 anni. I documenti a disposizione dello storico non sono tantissimi, ma una cosa è certa:

“se vorrete contemplare la condotta impregnata di virtù e le opere prodigiose dell’Uomo di

Dio – queste sono le parole di un discepolo anonimo -, vedrete costantemente come tutti gli

elementi della natura gli obbedivano e lo servivano”58. Questa forza d’attrazione che scaturiva

dal dominio che Francesco esercitava sul creato, dalle sue virtù, dai suoi carismi e dalla sua

creatività aveva un unico obiettivo: portare le anime a riconoscere e accettare la volontà di

Dio.

54 Laudato si’, n. 84. 55 L’espressione è di Giovanni Paolo II. 56 Anche solo per curiosità, a tal proposito si possono leggere le recensioni che i pellegrini rilasciano in rete. 57 GIOVANNI PAOLO II, Omelia Concelebrazione eucaristica per i Religiosi e le Religiose (5 Ottobre 1984). Il giorno successivo, pur non essendo previsto nel programma della visita pastorale, il Papa ritornò a Paola e osservò: “Venendo in Calabria, ho pensato che forse il luogo più importante fosse Reggio Calabria, forse Catanzaro, forse Cosenza, ma vedo che il luogo più importante è quello dove è san Francesco di Paola. Non ho saputo questo prima, ma venendo qui lo vedo e lo vedo anche in questa circostanza, che il Papa, per la seconda volta, deve venire qui, in questo santuario. Ieri era la prima volta, e oggi sono dovuto tornare da Cosenza per recitare il Rosario che, tramite la Radio vaticana, il Papa recita nel primo sabato del mese e viene diffuso in tutto il mondo. Così, vedo che il punto più importante è quello dove si trova san Francesco di Paola”. GIOVANNI

PAOLO II, Parole di Giovanni Paolo II ai fedeli dopo la recita del Rosario (7 ottobre 1984). 58 ANONIMO, cap. XV, p. 61.

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5. La relazione armoniosa con il creato: il bosco, la grotta e l’orto

Il capitolo della vita di san Francesco di Paola più misterioso è sicuramente quello

trascorso nella grotta e probabilmente è anche quello più interessante ai fini della maturazione

delle virtù ecologiche.

Come già anticipato sommariamente, compiuti i 15 anni, Giacomo e Vienna spiegarono al

figlio il voto a cui si erano legati. L’Anonimo59 – così tradizionalmente si suole citare il

discepolo che scrisse la prima memoria biografica su Francesco da Paola, riferisce che il

ragazzo accettò di buon grado di vestire il saio francescano come oblato. La meta fu il

convento di San Marco Argentano, probabilmente scelto dai coniugi Martolilla per via della

presenza di padre Antonio Paparico di Catanzaro, che avevano conosciuto anni prima, quando

il francescano svolgeva le funzioni di guardiano della SS. Annunziata di San Lucido, a pochi

chilometri da Paola60.

Indubbiamente questo anno votivo fu particolarmente costruttivo per il ragazzo, che,

seppure destinato alle mansioni più umili, certamente avrà avuto modo di riflettere sulla sua

59 Cfr. ANONIMO, Vita di San Francesco di Paola scritta da un discepolo anonimo suo contemporaneo, 1502. Il testo originale, Libellus de vita et miracoli S. Francisci de Paula, è stato pubblicato per la prima volta dai Bollandisti in Acta Sanctorum, apr. t.I, Antverpiae, 1665. Il bollandista p. Daniele Papebroch, avendo trovato una copia in francese di questo succinto documento, ritenne che l’autore fosse per l'appunto un religioso francese. Più tardi, padre Giuseppe Perrimezzi trovò una copia antecedente a quella consultata dal Papebroch e dopo attenti studi ritenne di poter affermare che l’autore era Lorenzo delle Chiavi o Clavense, un religioso minimo originario di Terra della Regina, in provincia di Cosenza, che iniziò a dettare la sua testimonianza, in italiano, che il suo padre fondatore era ancora vivo (G. PERRIMEZZI, Vita S. Francisci de Paula Minimorum ordinis institutoris scripta ab Anonymo eiusdem sancti discipulo eique coaevo, Pars I, Notae, pars II, Dissertationes, Roma, 1707). La biografia fu poi completata dopo la morte di quest’ultimo e tradotta prima in francese e poi in latino. La versione italiana la si deve a N. LUSITO (a cura di), Vita di San Francesco di Paola scritta da un discepolo anonimo suo contemporaneo, Paola, 1967. Il volumetto ora si può anche consultare in G. COZZOLINO (a cura di), Alla sorgente del carisma di S. Francesco di Paola. Le fonti Minime, Edizioni Minime, Lamezia terme, 2002. Le conclusioni del padre Perrimezzi, furono poi messe in discussione da padre A. GALUZZI, Origini…cit., p. 7, il quale però non nega affatto il valore storico del testo, che resta pur sempre una preziosa fonte primaria, soprattutto per le informazioni che fornisce sull’infanzia e sull’adolescenza del Santo. Il documento, seppur scritto per esaltare le virtù di Francesco di Paola, appare veritiero, coerente e in sostanziale concordanza con altre fonti. 60 Cfr. A. GALUZZI, Origini…cit., p. 15 e G. ROBERTI, Op.cit., p. 79. Il padre Antonio fu anche la prima guida spirituale del giovane oblato.

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vocazione e probabilmente anche di approfondire vita e virtù di san Francesco d’Assisi, verso

il quale mantenne sempre un’autentica devozione.

5.1 Una vocazione accolta e benedetta

Compiuto il pellegrinaggio ad Assisi, il giovane Paolano, all’incirca sedicenne61, aveva le

idee chiare: ritirarsi in vita solitaria. L’Anonimo, anche se molto succintamente, svela dettagli

molto interessanti:

Con l’intenzione determinata di menare una vita solitaria, si ritirò in un podere di

suo padre, distante quasi un chilometro da Paola. I genitori gli procuravano il

necessario. Ma, per il gran numero della gente che passava di là, non gli era possibile

attendere agevolmente al servizio di Dio; perciò se ne allontanò, per ritirarsi in un altro

podere molto solitario messogli a disposizione da una sua congiunta. Ivi, trovando una

zappa atta a scavare la terra, cominciò a scavare e ne ricavò una piccola grotta o

capannuccia, capace di ospitare il suo corpicciuolo. Indi, coi mezzi dei genitori, costruì

una bella chiesetta, con tre celle o camerette; e vi rimase per lungo tempo, senz’altra

abitazione, digiunando, pregando e disciplinandosi62.

Una prima riflessione che emerge leggendo questo testo, riguarda la famiglia. Da queste

poche righe emerge tutto l’amore e la dedizione della famiglia Martolilla, stretta attorno alla

vocazione di questo ragazzo che ha il fermo proposito di servire Dio, seppur in una maniera

straordinaria63. Hanno discernimento e lo prendono sul serio, lo benedicono, lo assecondano,

continuano a prendersi cura di lui pur rispettando profondamente le decisioni del ragazzo.

Prima il papà, poi un’altra non precisata parente, mettono a sua disposizione i luoghi in cui

poter perfezionare la sua esperienza eremitica. Gli procurano il necessario, che per Francesco

è veramente poco, considerando che non si ciba se non di vegetali, forse gli metteranno a

disposizione qualche utensile o qualche indumento, ma non di più. La famiglia, inoltre,

61 Le fonti storiche non danno certezza sull’anno esatto in cui Francesco si ritirò a vita eremitica. ANONIMO, cap. II, p. 7, dice chiaramente che a quindici anni andò a San Marco Argentano e che quindi, dopo un anno, iniziò la sua esperienza eremitica. Diversamente, il teste Giovanni Antonachio (CPC, t. 6), dice che Francesco aveva 13 anni quando iniziò l’anno votivo. Cfr. G. FIORINI MOROSINI, S. Francesco…cit., p. 37. Secondo gli studi compiuti da padre Galuzzi, il viaggio sarebbe databile 1430. Cfr. A. GALUZZI, Origine…cit., p. 17. 62 ANONIMO, cap. III, pp. 8-9. 63 Secondo A. GALUZZI, Origini…cit., p. 21, la scelta dell’eremitaggio, in quei tempi e in quei luoghi, non era un fatto del tutto eccezionale. La sensibilità eremitica in Francesco potrebbe essersi radicata non solo a seguito della visita ai monaci di Monteluco durante il pellegrinaggio verso Assisi, ma anche dalla radicata presenza in Calabria di movimenti eremitici sin dal VI secolo. D. DE ROSA, San Francesco di Paola. Mistico …cit., p. 28.

26

continua ad essere per Francesco una presenza discreta e sicura anche dopo, quando desiderò

iniziare la costruzione della Chiesa64.

Il reverendo Giovanni Antonachio, il testimone paolano più anziano al Processo

Cosentino, descrive finanche il momento del distacco di Francesco dalla famiglia. Il prelato

ha non meno di 9565 anni quando rilascia la sua deposizione e testimonia di aver conosciuto

tutti i Martolilla – sebbene non faccia mai cenno alla sorella Brigida – e di sapere come si

erano svolti gli avvenimenti legati alla vocazione del suo concittadino. In particolare dice che

di ritorno dal pellegrinaggio ad Assisi, “fra Francesco, senza entrare nell’abitato, andò a

stabilirsi in un romitorio”66. Dunque, nessuna esitazione: neanche tornò a casa, fosse anche

per prendere qualcosa di suo e nemmeno salutò gli amici, tant’è che lo stesso Antonachio

chiese ai genitori dove fosse Francesco e come risposta si sentì dire: “Ha voluto restare fuori

dal paese, perché intende vivere da eremita”67. Una risposta, questa, che isolatamente presa

potrebbe sembrare quasi distaccata, e che invece, alla luce di quanto descritto dall’Anonimo,

conferma ulteriormente l’amore incondizionato di questi genitori per il Signore, al quale

molto volentieri hanno affidato il figlio68.

Il secondo punto su cui riflettere prendendo in esame il testo dell’Anonimo è la scelta del

luogo. Secondo la tradizione – ma non vi è alcun riferimento storico – il primo podere in cui

Francesco si ritirò, pare fosse una vigna69. Il luogo era evidentemente in vista e ciò

rappresentava un problema per il giovane Francesco che ottenne di poter vivere nel luogo ove

poi sorse il Santuario: un bosco.

Il terzo elemento-cardine è la grotta, che lui stesso scavò, e che è particolarmente cara ai

devoti del Santo. Si tratta di una rientranza in una pietra, che, data la vicinanza con il fiume, è

molto umida: è angusta e sapendo che Francesco stava lì “digiunando, pregando e

64 G. FIORINI MOROSINI, S. Francesco…cit., p. 51. 65 Nella testimonianza dice che dacché lui ricordi – ovvero da 95 anni – la Calabria è terra cristiana. Considerando che la deposizione viene rilasciata nel 1512, se ne desume che l’Antonachio sia nato circa nel 1417, quindi è coetaneo di Francesco. E’ molto probabile che siano stati amici fin dall’infanzia, poiché in più riprese avvalora quanto riferisce sottolineando che “fu presente, vide e sentì”. Dunque, pur considerando la veneranda età del teste e la conseguente non perfetta memoria per i dettagli, sembra che la testimonianza sia attendibile. 66 CPC, t. 6. 67 Ibidem. 68 G. ROBERTI, Op.cit., pp. 104-106. 69 Cfr. I. TOSCANO, Della vita, virtù, miracoli ed Istituto di S. Francesco di Paola, fondatore dell’Ordine dei Minimi, Stamperia d’Ignatio de’ Lazari, Roma, 1658, cap. VII, p’. 38; F. VICTON, Vita, et miracula S.P. Francisci a Paula, sui saeculi Thaumaturgi, Ordinis Minimorum institutoris, typis Guilelmi Facciotti, Roma, 1625, cap. V, p. 12, citati da G. ROBERTI, Op. cit., p. 105.

27

disciplinandosi”, suscita un’immediata tenerezza e conferisce un significato immediato e

tangibile alla parola “minimo”.

5.2 La spiritualità eremitica e la natura

Il ritiro di San Francesco in una grotta è stato interpretato come un richiamo alla grotta di

Betlemme, dove venne al mondo Gesù, così come può ricondurre idealmente alla grotta della

deposizione, che accolse il corpo del Salvatore prima della resurrezione. Inoltre, l’ingresso di

Francesco nella grotta è apparso come una chiara scelta di mantenere le distanze dal mondo,

per seguire Cristo penitente nel deserto, e scoprire e accogliere la volontà del Padre mediante

il digiuno e la preghiera. La grotta, ancora, può essere quel luogo in cui pregare il Padre nel

segreto, il luogo dove rientrare in se stessi e restare in contatto con la Trinità70.

Francesco visse isolato dal mondo per circa quattro o cinque anni. Secondo il Roberti, il

senso di questa vita austera e penitente è quello della protesta “alle aberrazioni e alle

contaminazioni della falsa rinascenza nel secolo XV”, al fine di “ridestare le salutari energie

della penitenza cristiana, per combattere l’invadente sensualismo, e ricondurre gli uomini alla

divina bellezza della virtù, all’acquisto della vera perfezione morale”71. Utilizzando le stesse

parole del Fiorini Morosini, questo primo periodo di eremitaggio del giovane Francesco può

essere sintetizzato come la “volontà di una consacrazione piena e definitiva al Signore,

desiderio di solitudine e di preghiera intensa, penitenza rigorosa, impegno di giovare agli altri

per un cammino di ritorno al Signore”72.

70 Il ritiro eremitico nella grotta di Paola è stato un aspetto molto indagato soprattutto da padre Galuzzi e sotto molti punti di vista. Questi dedicò gran parte della sua carriera di storico accademico a indagare le origine dell’Ordine dei Minimi, di cui fu anche Padre Generale. Molti di questi studi rimasti sono stati ora raccolti in A. GALUZZI, Studio sull’origine dell’Ordine dei Minimi (a cura di M. SENSI), Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 2009. Ugualmente interessanti, sono gli studi di G. FIORINI MOROSINI, S. Francesco di Paola e il suo movimento penitente nella Chiesa del XV secolo, in AA.VV., S. Francesco di Paola. Chiesa e società del suo tempo. Atti del convegno internazionale di studio, Paola, 20-24 maggio 1983, Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 1984, pp. 124-154; ID., L’esperienza della grotta nella spiritualità di San Francesco di Paola, Edizioni del Santuario, Paola, 1988. Infine, sempre a questo aspetto è stato dedicato il convegno del 2000, i cui contributi sono stati raccolti e pubblicati in AA.VV., L’eremita Francesco di Paola viandante e penitente. Atti del Convegno Internazionale di Studio. Paola 14-16 Settembre 2000, Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 2006. 71 G. ROBERTI, Op. cit., p. 44-45. 72 G. FIORINI MOROSINI, S. Francesco di Paola. Vita, personalità, opera, Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 2006, p. 53.

28

Niente di più condivisibile, e tuttavia la riflessione non può fermarsi qui. La figura di

Francesco è stata spesso accostata a quella dei Padri del deserto, “anacoreti della prima

comunità cristiana, che [hanno disprezzato il mondo], hanno praticato le austerità e le

penitenze corporali, vivendo al di fuori del contesto urbano, nel deserto, soli con Dio

circondati dalla natura”73.

Lo stesso padre Roberti osserva come Francesco abbia trascorso questi primi anni sì “tra i

rigori della mortificazione”, ma anche circondato dal “sorriso della natura”74.

Il contatto con la natura non è così scontato per un eremita. In una riflessione

particolarmente interessante, il monaco camaldolese Lorenzo Saraceno osserva come nella

tradizione orientale dei Padri del deserto, l’eremos era il luogo dell’ascesi, della separazione

dal mondo, del combattimento spirituale, ma anche della privazione dei beni della natura,

quindi un “non luogo”, “innaturale”, “infecondo” caratterizzato da zone fisicamente aride e

desertiche75. Diversamente, gli eremiti medievali di tradizione occidentale76 hanno come

scenario un ambiente naturale decisamente diverso da quello medio-orientale, per cui, già a

partire dal V-VI secolo, è frequente trovare l’eremita su di un’isola, in campi verdeggianti, ma

soprattutto in boschi e foreste. Così, pur restando intatto il concetto di deserto come luogo del

ritiro e della contemplazione, lo scenario fisico è radicalmente mutato, ed è caratterizzato

piuttosto da “un eccesso di naturalità, di fecondità smisurata e disordinata”77. Il monaco

eremita della tradizione occidentale nel Medioevo è un homo selvaticus, “selvaggio, naturale

e in quanto tale non solo un po’ rozzo, ma anche essenziale, solitario che basta a se stesso”; è

un monaco che affronta un combattimento spirituale, grazie al quale la naturalità radicale e

indistinta del bosco si trasforma in una selva edenica, nella quale regna l’armonia della

creazione ricomposta78.

Dunque, l’eremita che nell’isolamento della grotta anacoretica cerca l’armonia interiore e

il dominio delle proprie passioni, per un dono di grazia dello spirito, riesce a trasformare la

foresta, disordinata e selvaggia in una sorta di paradiso terrestre ove può ricomporre la

73 A. GALUZZI, San Francesco di Paola seguace dei Padri del deserto, in ID., Studio sull’origine dell’Ordine dei Minimi (a cura di M. SENSI), Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 2009, p. 39. 74 G. ROBERTI, Op. cit., p. 105. 75 L. SARACENO, Un giardino nel cuore del mondo. Solitudine e comunione nella cella eremitica, in E. GARLASCHELLI, G. SALMERI, P. TRIANNI (a cura di), Ma di’ soltanto una parola…,Economia, ecologia, speranza per i nostri giorni, Educatt, Milano, 2013, p. 112. 76 Cfr. J. LE GOFF, Il deserto-foresta nell’Occidente medievale, in ID., Il meraviglioso e il quotidiano nell’Occidente medievale, Laterza, Bari, 1983, pp. 27-35. 77 L. SARACENO, Op. cit., p. 113. 78 Ibidem.

29

bellezza originaria della natura. Così, come nel racconto biblico, egli si pone al centro della

creazione e cura e custodisce una natura, che gli resta sottomessa, riparando allo strappo che

l’uomo aveva operato nel suo rapporto con il creato, quando cominciò a mettere in

discussione l’aspetto trascendente delle cose79.

L’armonia del creato implica quella interdipendenza tra le creature che è voluta da Dio:

nessuna creatura basta a se stessa, ma ha bisogno delle altre perché si completino a vicenda80.

Ecco perché, così come accadde splendidamente in san Francesco d’Assisi, “quando ci si

rende conto del riflesso di Dio in tutto ciò che esiste, - dice papa Francesco - il cuore

sperimenta il desiderio di adorare il Signore per tutte le sue creature e insieme ad esse”, e

proprio dalla scoperta dello Spirito vivificante presente in ognuna di esse, scaturiscono le

virtù ecologiche81.

5.3 Aspetti relazionali

L’aspetto relazionale e l’interdipendenza tra le creature possono generare dei

fraintendimenti, tali che errori si sostituiscano ad altri errori. Papa Francesco, infatti, avverte

che le creature non sono equiparabili; che all’uomo spetta sempre un valore peculiare e al

contempo una tremenda responsabilità; che non si deve giungere a divinizzare la terra82.

Con queste premesse si può compiere un ulteriore passo in avanti e considerare l’aspetto

relazionale tra l’uomo e la natura. La spiritualità benedettina e quella francescana non

lasciano emergere un semplice uso strumentale delle creature, quanto piuttosto una

comunione. Francesco d’Assisi nel suo Cantico si rivolge all’acqua, al sole o alla luna con

espressioni familiari: fratello, sorella, madre. Questi appellativi, dati a realtà subumane,

esprimono ammirazione e rispetto e si basano sull’intuizione della paternità universale di Dio

che porta a valorizzare il vincolo fraterno con la creazione83. Studi ermeneutici hanno messo

in evidenza come il Serafico abbia utilizzato scientemente delle relazioni parentali per

esprimere il legame con gli elementi naturali, attribuendo l’appellativo di “madre” solo alla

terra (che chiama anche “sorella”), verso la quale esprime sentimenti di venerazione e

79 Cfr. CDSC, n. 464. 80 CCC, n. 340 81 Laudato si’, nn. 87, 88. 82 Ivi, n. 90. 83 J.A. MERINO, Op. cit., pp. 25-26.

30

dipendenza, che sono più sfumati e relativizzati nell’affetto fraterno, dove prevale

l’ammirazione e il rispetto84.

La “comunione cosmica” sperimentata e cantata dall’Assisiate si ritrova perfettamente

anche in san Francesco di Paola. Riflettendo sulla relazione speciale che Francesco di Paola

ebbe con la natura, il padre Galuzzi osservò che “se per ecologia o mondo della natura si

intende e la centralità dell’uomo nel contesto del creato e il recupero dell’idilliaco rapporto

uomo-natura-ambiente, allora con forza bisogna dire che l’eremitismo è la forma più alta di

vita sociale, poiché la fuga del mondo offre la condizione ideale per una vita immedesimata in

Dio”85. Dunque, già la scelta dell’eremitismo è significativa nella vita del Santo e dà già un

chiaro segnale di una scelta radicale all’insegna dell’amore verso il creato.

Cosa sia accaduto esattamente nella grotta e al di fuori di essa nei primi anni di stretto

eremitaggio non è dato conoscere. Sappiamo tuttavia che il Santo ha praticato tanta penitenza,

ha digiunato, ha pregato e sappiamo anche che la grotta per Francesco resterà sempre il luogo

privilegiato del suo incontro con il Signore. Da quanto ci è noto del seguente periodo del

cenobitismo, però, possiamo capire bene quali siano stati i frutti di quel periodo eremitico:

l’esaltazione del candore battesimale che si manifestò nel potere sugli elementi della natura86.

“Il rapporto di Francesco – come ha argomentato il padre Galuzzi - è diretto a tutti gli

elementi della natura, che gli ubbidivano, restaurando quella gerarchia della creazione che il

peccato aveva infranto”87.

La sua relazione con la natura appare perfetta fin da subito e si manifesta con prodigi che

attirano l’interesse di un numero sempre crescente di persone e di seguaci. Ha acquisito

vincoli fraterni con le altre creature, dialoga con esse, si sostiene grazie alla natura, poiché suo

unico cibo sono le erbe, tant’è che spesso viene definito herbarius88. In tutti gli altri luoghi in

cui Francesco si reca per costruire eremi, cerca sempre di riprodurre gli stessi scenari: la

grotta, la foresta, la fonte d’acqua e l’orto, sono gli elementi indispensabili.

84 Ivi, pp. 23, 26. 85 A. GALUZZI, L’ecologia in San Francesco da Paola, in ID., Studio sull’origine dell’Ordine dei Minimi (a cura di M. SENSI), Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 2009, p. 119. 86 G. ROBERTI, Op. cit., p. 582. 87 A. GALUZZI, L’ecologia…cit., p. 121-22. 88 A. GALUZZI, Il contributo dato da San Francesco di Paola per la comprensione della penitenza nella Chiesa, in ID., Studio sull’origine dell’Ordine dei Minimi (a cura di M. Sensi), Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 2009, p. 43. L’alimentazione sobria e austera quali elementi essenziali dell’ascetismo di San Francesco di Paola sono stati ampiamente trattati da D. DE ROSA, San Francesco di Paola il profeta dell’essenziale, Editoriale progetto 2000, Cosenza, 2015. Il riferimento all’uso del termine herbarius è in CPC, t. 72.

31

Anche quando fu costretto a recarsi in Francia, ormai anziano, continuò a condurre la sua

vita senza mai tradire le sue regole di vita. Nella testimonianza di Leonardo Barbier, uno dei

frati di comunità con Francesco di Paola nel convento di Plessiz-lés-Tours, si legge che “alle

volte, secondo il tempo, si recava nell’orto vicino, munito di zappa o altro arnese per

dissodare la terra con le proprie mani per l’intera giornata, e, quando si stancava, entrava in un

piccolo tugurio, formato come una specie di mezzo forno, coperto di salici, munito di croce,

rivolto verso il cielo, quivi si ritirava, facendo attenzione che nessuno lo scorgesse e verso

sera ne usciva, di nascosto, entrando nella sua cella”89. La vita di corte e l’avanzare dell’età

non avevano minimamente scalfito il suo propositum eremitico. I beninformati che

frequentavano la corte francese raccontano che “qualche volta […] si nascondeva in un

cespuglio folto e inaccessibile del parco di Plessis, a tutti ignoto”, dove rimaneva anche per

tre giorni di fila90. Nascosto relativamente. Raccontano i biografi, infatti, che la scoperta di

una grotta nel parco di Tours fu di grande conforto per l’anziano frate, che vi accorreva per

intrattenersi in preghiera.

Non stupisce che il cammino di conversione di Luigi XI sia iniziato proprio dopo aver

assistito ad uno di questi momenti di intimità che il frate ebbe in questa grotta di Plessis-les-

Tours. Fu Anna, la primogenita del re, ad accorgersi del piccolo angolo di paradiso e vide

Francesco in estasi, sollevato da terra e tutto raggiante. Anna chiamò il padre, che riuscì a

vedere anche lui diverse volte le estasi del bonhomme e così si convinse che era davvero un

uomo di Dio91.

Oltre alla grotta, un altro elemento fondamentale del convento è l’orto, un altro luogo

carico di trascendenza. Se ne parlerà ampiamente più avanti, ma in questa sede sia sufficiente

porre attenzione al significato che Francesco dava al lavoro della terra, così come lo possiamo

scorgere dalla Protoregola, di incerta datazione, ma di sicura espressione del pensiero del

Santo92. Solo qualche breve cenno sul documento potrà essere utile per coglierne criticamente

il senso e il valore. I primi seguaci che vollero seguire le orme dell’eremita paolano si

89 CPT, t. 38. 90 CPT, t. 52. Cfr. G. ROBERTI, Op. cit., p. 414, che dalla descrizione, riportata anche da diversi biografi, riconosce come si fosse ricostruito una grotta somigliante a quella di Paola e di Paterno. Cfr CPT, t. 38. 91 G. FIORINI MOROSINI, S. Francesco di Paola. Vita, personalità, opera, Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 2006, p. 208. 92 A. GALUZZI, La “protoregola” dell’Ordine dei Minimi, in ID., Studio sulle origini…cit., p. 230. Il documento porta la data del 1474. Il Galuzzi ritiene che tale data non corrisponda al vero e, dopo aver condotto accurati studi presso l’Archivio Segreto Vaticano, ritiene che si debba posticipare di dieci anni, quindi al 1484, quando Francesco chiese a Innocenzo VIII l’approvazione di una Regola.

32

aggregarono intorno al 145093 e dopo circa vent’anni, cominciò l’iter burocratico per

l’approvazione ufficiale del nuovo Ordine che si era creato attorno alla figura di Francesco di

Paola, le cui prime tappe fondamentali furono la costituzione Decet nos, datata 1471, e la

successiva approvazione da parte di Sisto IV nel 1474 con la Sedes Apostolica94.

Successivamente, a Francesco fu chiesto di stendere una Regola, e probabilmente una delle

prime versioni fu proprio la Protoregola, che però fu ritenuta troppo “originale” e quindi mai

approvata dalla Chiesa95. Il documento, per molti aspetti simile a un correttorio, rappresenta

un codice di vita comunitaria molto austera, con specifiche notazioni sulle funzioni di ciascun

frate; vi sono continui richiami alla povertà, all’obbedienza, al digiuno, alla preghiera, alle

veglie; colpisce soprattutto per la severità delle pene comminate nell’ipotesi di mancata

osservanza delle regole.

Tuttavia, ad un certo punto del documento si scorge la descrizione della funzione di

giardiniere, che appare come una sorta di privilegio in tanta austerità. Nella Protoregola,

infatti, si legge che “qualcuno tra i frati sia giardiniere, il quale si occuperà con piena

diligenza di coltivare e di provvedere a tutte le cose che appartengono al giardino. […] e al

detto giardiniere non sia dato altro ufficio da fare che di mantenere il detto giardino. E può

prendere la refezione a tutte le ore ciò che non fanno gli altri frati, sia a tavola con gli altri

frati o no, a causa dell’occupazione del giardino”96. Insomma, tutte le regole di vita

comunitaria, quali mangiare con puntualità in refettorio insieme ai confratelli, attendere a una

o più funzioni, sono sospese per il giardiniere, che deve dedicarsi totalmente all’orto, deve

seguirne i ritmi, anche a costo di modificare i propri.

L’orto, così come il bosco, sono i luoghi ove Francesco presta la sua opera di instancabile

lavoratore ed è proprio in questo contesto che si può scorgere una relazione pacificata e di

rispetto reciproco tra l’uomo e la natura. Nei racconti di molti testimoni escussi durante i

processi canonici, non sono sfuggiti alcuni dettagli: Francesco lavorava moltissimo, in

93 Tale data si ricava dalla costituzione Decet nos del 1471 a firma del vescovo Pirro Caracciolo Pisquizi, che rappresenta la magna charta dell’ordine dei Minimi. Cfr. A. GALUZZI, Origini…cit., pp. 55-68. 94 A. GALUZZI, La “protoregola” …cit., pp. 222-227. 95 Ivi, p. 228. L’approvazione della Regola fu per Francesco fonte di particolare preoccupazione per via dell’inserimento del quarto voto di vita quaresimale. 96 Il testo originale della Protoregola, in francese, si trova a Parigi, Bibl. Arsenal, ms. 2272; qui è stata utilizzata la trascrizione di A. GALUZZI, La “protoregola” …cit., pp. 234-255; il virgolettato è a p. 246. Per gli altri frati era previsto che, suonata la campana, si recassero subito in refettorio; in caso contrario gli sarebbe stata sottratta la pietanza e lasciato a pane e vino. Ivi, p. 242. Fare l’ufficio di un altro comportava tre giorni di disciplina.

33

condizioni talvolta molto gravose, eppure non appariva mai stanco o affaticato. Talvolta la

pioggia non lo bagnava97. Ma c’è di più.

Il nobile cosentino Francesco Florio era un assiduo frequentatore di frate Francesco ai

tempi in cui questi dimorava a Paterno per la costruzione del convento, attratto dalla fama di

santità del Minimo. Si recava spesso a trovarlo e lo osservava con stupore. Racconta la grande

naturalezza con cui si addentrava nei boschi e in ogni luogo impervio, camminando sulle

spine senza farsi male. Lo descrive come un gran lavoratore, che spesso e volentieri trascorre

il tempo a spaccare pietre per erigere conventi, vestito di un saio logoro e sdrucito. Ma non gli

sfuggono alcuni dettagli: “Aveva le mani più morbide e delicate del miglior signore di città,

[…] la sua persona odorava come erba fresca; i capelli poi apparivano come fili d’oro; i piedi,

pur incedendo nudi erano, come le mani, delicati e morbidi, come se avesse sempre calzato le

scarpe” 98.

“Camminava scalzo – osservava il paolano Antonio Zarlo – ma conservava i piedi bianchi

e belli come se calzasse le pianelle”99. E ciò era vero “d’inverno come anche di estate”,

aggiunge Pietro Polita100. Il reverendo don Carlo Pirro di San Lucido, testimoniò che

Francesco “dava giù con la mazza, zappava, cavava pietre e le sue mani restavano gentili e

morbide come quelle di un signore nato, […] aveva indosso sempre un abito logoro

direttamente sopra le carni ed emanava un profumo particolare con il volto ad ogni ora sereno

e allegro”101.

97 PCal, t. 114. Racconta ser Nicola Privari, decano di Catanzaro, che mentre era in costruzione il convento di Paterno sopraggiunse una pioggia torrenziale. Tutti gli operai cercarono ricovero, mentre Francesco continuò a lavorare sotto la pioggia, finita la quale “trovarono il beato Francesco in alcun modo bagnato, come se mai avesse piovuto”. 98 CPC, t. 4. 99 CPC, t. 30. 100 CPC, t. 31. 101 CPC, t. 57. Le testimonianze che riportano questo particolare sono numerose. Ad esempio, Anche Andrea Rossano di Paola (CPC, t. 24) riferì che fra Francesco “andava scalzo anche sopra le spine nei boschi”. Testimonianza dello stesso tenore anche Antonio Magliarisio di Paola (CPC, t. 25), Bartoluccio Pecoraro di Paola (CPC, t. 43), Pirro Antonio di Sica (CPC, t. 61); Bernardino Florio di Paterno (CPC, t. 64); Neapolo Verallo di Paterno (CPC, t. 65); Francesco Coco di Paterno (CPC, t. 72); Raucio Parisi di Paterno (CPC, t. 74); sorella Giovanna Caputo di Paterno (CPC, t. 75), ANONIMO, cap. VII, p. 20.

34

6. Il dominio sulle forze della natura

Ubbidienza fida, e che non puoi? T’ubbidisce Natura, e l’Foco gela a la virtù, che al tuo fervor si svela; è mirabile Iddio ne’ Servi suoi.102

Quando un cristiano ha bisogno di discernere cosa sia bene e cosa sia male legge il

Vangelo. Papa Francesco l’ha fatto per tutti, riprendendo nella sua enciclica tutti i passi che

mettono in risalto l’atteggiamento di Gesù nei confronti del creato103. “Il Signore poteva

invitare gli altri ad essere attenti alla bellezza che c’é nel mondo, perché Egli stesso era in

contatto continuo con la natura e le prestava un’attenzione piena di affetto e stupore. Quando

percorreva ogni angolo della sua terra, si fermava a contemplare la bellezza seminata dal

Padre suo, e invitava i discepoli a cogliere nelle cose un messaggio divino”104. La regalità di

Gesù nei confronti delle forze della natura suscitava un immenso stupore in chi gli stava

accanto, come nel caso della tempesta sedata, che fa esclamare ai suoi discepoli impauriti:

“Chi è mai costui al quale i venti e il mare obbediscono?” (Mt 8,27) E’ una domanda retorica,

evidentemente, e al contempo un’implicita rivendicazione della natura divina di Gesù, al cui

cospetto le forze della natura si sottomettono.

Questo stesso stupore dei discepoli emerge chiaramente anche dalle deposizioni rilasciate

dai testimoni interrogati durante i processi canonici per il riconoscimento della santità di

Francesco di Paola105. Il conte di Arena e Stilo, nella supplica inoltrata al Pontefice per

102 Passaggio di una poesia di F.F. FRUGONI, I Fasti del miracoloso San Francesco di Paula descritti dal padre lettore Francesco Fulvio Frugoni, Combi e La Noù, Venezia, 1668, par. III, p. 475, CLXXI, nella quale si vuole cantare la meraviglia per il miracolo compiuto nella calcara, dove il fuoco divampava, mentre Francesco ne entrava e usciva illeso dopo averla riparata. 103 Laudato si’, nn. 96 e ss. I passi citati sono: Lc 12,6; Mt 6,26 ; Mt 13,31-32; Mt 8,27. 104 Laudato si’, n. 97. 105 Riguardo al processo Cosentino cfr. P. ADDANTE, Il processo cosentino e turonense a Francesco di Paola: ricerche storico-critiche, Centro ricerche storico-filosofiche, Bari, 1979; Sullo svolgimento dei processi cfr. P. ADDANTE, San Francesco e i testimoni del processo cosentino, in AA.VV., Fede, pietà, religiosità popolare e San Francesco di Paola. Atti del II Convegno Internazionale di Studio, Paola 7-9 dicembre 1990, Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 1992, pp. 206-258. A. GALUZZI, Origine dell’Ordine dei Minimi, Roma, 1967, pp. XII-XIII. S. CORRADINI, Il processo di canonizzazione di S. Francesco di Paola alla luce della odierna normativa, in AA.VV., L’eremita Francesco di Paola viandante e penitente. Atti del Convegno

35

ottenere la canonizzazione del beato Francesco da Paola, che la gente venerava già come

Santo, ha dei passaggi particolarmente interessanti. Il nobile asserisce di essere certo che

Francesco fosse un uomo particolarmente gradito a Dio poiché “pose tutte le cose sotto i suoi

piedi, i pesci del mare e gli uccelli del cielo, le pecore e i buoi tutti e anche le greggi del

campo” 106. Riassume la sua fama di santità per via dei numerosi episodi miracolosi: “i morti

risuscitarono, i lebbrosi furono mondati, le donne sterili partorirono” e aggiunge anche che a

Francesco “la natura ribelle si piegò docile” 107. “Al suo comando, […], gli alberi sono fioriti

e hanno prodotto frutti e non solo la natura ha obbedito, quanto essa è stata annientata, nel

fuoco che ha perso il vigore, e nelle fonti che sono sgorgate in luoghi aridi e tuttora gettano

acqua”108.

Sono numerosissime le testimonianze di uomini e donne che si rivolgono all’Uomo di Dio

con la stesso timore che hanno gli apostoli, ovvero che la natura incontrollabile prenda il

sopravvento. Vedono il mare in tempesta, un fiume inguadabile, il fuoco che avanza, le rocce

che precipitano dalla montagna e, sentendosi minacciati e fragili, si rivolgono al buon Frate.

Può sembrare paradossale, ma tra Francesco e la natura c’era quasi un vero e proprio dialogo;

e ciò che convince è proprio la risposta della natura. Una risposta docile e ubbidiente,

talmente tempestiva da fugare nei testimoni qualunque dubbio che potesse dipendere da altro

se non dalla grazia di Dio. In molte narrazioni si riesce a cogliere esattamente questo

cambiamento dalla paura, frutto della “poca fede”, alla certezza, che matura nello spazio di

pochissimo tempo. Come i discepoli di Emmaus, i testimoni di questi processi accorrono nei

luoghi ove venivano raccolte le informazioni utili per la canonizzazione del Paolano, per

raccontare ciò che avevano visto o udito, e di come qualche particolare – che sia stato lo

spezzare del pane, una preghiera, un prodigio – abbia loro aperto gli occhi e fatto vedere la

presenza del Cristo Risorto.

Internazionale di Studio, Paola 14-16 Settembre 2000, Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 2006, pp. 284-94. 106 Lettere dell’Illustre Signore, Don Giovanni Francesco di Arena, Conte di Arena e di Stilo, inviate al Beatissimo Signore Leone Pontefice Massimo, 17 dicembre, 1516, consultato in M. FIORINI MOROSINI (a cura di), Processo Calabro per la canonizzazione di S. Francesco di Paola, Cittàcalabriaedizioni, Soveria Mannelli, 2010, p. 87 107 Ibidem. 108 Ibidem.

36

6.1 La forza dell’amore e della persuasione: il fuoco

La prima volta che la “vampa” fu avvistata correva l’anno 1416, giorno 27 marzo, giorno

in cui venne al mondo un bambino destinato a cambiare il volto della Calabria. La leggenda

narra che mentre donna Vienna stava partorendo il suo bambino, i vicini poterono vedere sulla

casa delle lingue di fuoco, un fuoco ardente d’amore che avrebbe trovato dimora nel cuore di

Francesco di Paola109. Il venerabile don Francesco Mottola, affezionato devoto del Frate110,

sigillò il suo amore nella “leggenda aurea” 111, un componimento letterario particolarmente

ispirato che spiega in prosa il significato allegorico del fuoco, essenza stessa del Paolano.

La vedi quella vampa lassù? Il bimbo guardò con la pupilla tesa; no, mamma, rispose. Fu così che la gente di Paola, apprese che il santo era morto. I bimbi lo dissero ai bimbi e le mamme alle mamme che la fiamma non ardeva più, l’Isca non cantava più, scendendo al mare, la sua canzone sacra. Il santo l’aveva promesso: finchè sarò vivo, anche andando in Francia, lascerò qui la “vampa” di san Francesco. Era apparsa la prima volta, quando Francesco era nato e l’aveva arroventato; ma appariva sul suo volto: e quando pregava gli splendeva negli occhi, e quando parlava la parola sprizzava faville, e quando operava nell’anima e nelle cose lasciava i segni lucenti del fuoco. […] - La vedi la fiamma lassù -: no, mamma! Quella sera a Paola fu una serata di pianto: il Santo era morto! Lo seppero tutti, prima che la notizia arrivasse dalla Francia.

La “leggenda aurea”, tramandata dagli anziani, dice che la fiamma non è del tutto spenta,

anzi, in Calabria, ovunque vi sono semi di fiamma, che solo occhi innocenti possono

scorgere112.

Il fuoco può essere fonte di calore, se tenuto a distanza, ma può diventare una minaccia

molto pericolosa se non lo si tiene a bada; nonostante questo, Francesco non dimostra alcun

timore del fuoco, anzi, instaura con esso una sorta di alleanza e, per questo non stupisca che

Francesco di Paola è meglio noto – in lingua inglese – come fire handler. 109 L’apparizione prodigiosa di lingue di fuoco sulla casa natale del Santo è riportata nell’agiografia di Paolo REGIO, Vita et miracoli et morte di S. Francesco di Paola descritta dal reverendo sacerdote Paolo Regio Dottor Teologo napolitano, Horatio Salviano, Napoli, 1577 ed è attestata da una lunga tradizione iconografica. Cfr. P. AMATO, Imago Ordinis Minimorum. La magia delle incisioni 1525-1870, Ordine dei Minimi, Roma, 2007, vol. I, pp.74, 160; G. Roberti, Op. cit.,, p.65. 110 Cfr. F. MILITO, Don Mottola, devoto di San Francesco, in , in AA.VV., Fede, pietà, religiosità popolare e San Francesco di Paola. Atti del II Convegno Internazionale di Studio, Paola 7-9 dicembre 1990, Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 1992, pp. 738-750. 111 Cfr. F. MOTTOLA, Faville della lampada, Edizioni Paoline, Torino, 1955, pp. 77-82. 112 G. GRILLO, Le bastonate di Francesco, Centro Editoriale Cattolico, Vigodarzere, 1997, pp. 6-9.

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Tra i prodigi più noti e più rappresentati vi è quello della fornace ardente, ampiamente

testimoniato nelle fonti. Quando Francesco stava costruendo il convento nella sua città natale,

fu allertato dagli operai, che avevano notato che la fornace nella quale cuocevano la calce

stava cedendo per la violenza del fuoco. Il buon frate li rasserenò e li inviò a fare una pausa

per rifocillarsi. Un testimone riferisce le parole esatte che disse Francesco: “Non abbiate, per

carità, a preoccuparvi; andate pure e fate colazione”113. Quando tornarono sul posto videro

solo che il Frate si stava pulendo le mani e che la fornace era stata “rimessa in sesto,come se

non ci fosse mai stata alcuna crepa o lesione visibile”114.

Il fuoco gli obbedisce prodigiosamente anche su materie non infiammabili. Ad esempio,

donna Polisena Cingona racconta di essersi recata nei luoghi dove san Francesco stava

erigendo il convento di Paola e di aver scorto il frate mentre stava facendo il bagno ad un

ammalato115. Sennonché, per riscaldare l’acqua, invece di dar fuoco alla legna, accese delle

pietre. “Fra Francesco le prese con le sue mani nude; - testimonia la signora - erano quelle

pietre accese e fumiganti come tizzoni accesi, tenendole in mano, e […] le mani di fra

Francesco non ne avvertivano benché minimamente il fuoco e le portava senza suo danno

come fossero rose”116.

Tenere a bada il fuoco è per lo stesso Francesco un segno forte con il quale vuole

rivendicare la sua appartenenza a Dio verso chi vuole mettere in discussione il suo stile di vita

quaresimale. Un esempio molto significativo vide coinvolto il frate francescano Antonio

Scozzetta, di cui si parlerà diffusamente più avanti117; ad un caso analogo assistette don Carlo

Pirro, sacerdote di San Lucido. Questi era stato inviato a Paola dall’arcivescovo Pirro, per far

da guida ad un altro sacerdote, inviato dal papa Paolo II per indagare sulla condotta di vita

dell’Eremita paolano. Francesco stupì fin da subito il delegato pontificio dimostrando di

sapere addirittura da quanti anni avesse preso messa. Il Canonico prese poi a criticare lo stile

di vita austero del frate e quasi lo offese dicendogli: “intanto la fate e potete sostenerla in

quanto siete contadino, ma se foste nobile non potreste farlo”. Era inverno e c’era del fuoco

nella stanza dove i due si erano appartati. Francesco, inizialmente confermò di essere un

113 CPC, t. 18 114 Tratto dalla deposizione di Giovanni Antonachio, in CPC, t. 6. L’episodio è riportato anche nelle deposizioni di Antonio d’Alessio di Paola (CPC, t. 16), testimone presente ai fatti, da Nicola Caruso di Paola, (CPC, t. 18). Cfr. CPC, t. 86; PCal, tt. 34, 92, 121. 115 In diverse testimonianze si ha traccia di queste opere di misericordia operate dal santo Paolano, che trattiene gli ammalati in convento e li accudisce in prima persona. CPC, t. 47. 116 CPC, t. 35 117 Infra, par. 7.

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“uomo di campagna e rozzo”. Poi, però, si chinò e dal braciere con le mani prese dei carboni

ardenti, li mostrò all’ospite e osservò: “Guardate, se non fossi contadino, non potrei fare

questo”. Il messaggio era chiaro: un contadino, per quanto rozzo possa essere, non può

compiere simili prodigi senza una particolare grazia. A quel punto, il sacerdote, pentito, mutò

atteggiamento e gli baciò ripetutamente l’abito, che era il segno del suo stile di vita118.

Don Giovanni Antonachio – testimone di cui si è già fatta menzione – raccontò di aver

accompagnato da san Francesco un confratello sacerdote che si dimostrava scettico sulle virtù

taumaturgiche del frate119. Dopo una breve discussione, a voler dimostrare che la relazione tra

l’uomo e le altre creature era amicale, prese in mano un carbone ardente, lo strinse forte e lo

trattenne per qualche tempo, quasi a voler fugare ogni dubbio, e gli disse ancora: “Questo

fuoco perché è stato creato da Dio se non per obbedire all’uomo?”120.

Sempre lo stesso testimone, che insiste molto sul dominio che Francesco esercitava sul

fuoco, raccontò come il buon Frate avesse incaricato un suo confratello di scaldare delle fave

per sfamare Mastro Antonio. Il giovane, però, dimenticò di accendere il fuoco sotto la

pignatta, così, giunta l’ora della colazione, andarono in cucina e, visto il cibo crudo, Mastro

Antonio e don Giovanni si misero a ridere. San Francesco, invece, si avvicinò e sollevò il

coperchio della pignatta e i testimoni si accorsero che il contenuto era bollente e fumante.

Ricontrollarono anche dopo aver mangiato: la cenere era fredda121.

Racconta ancora Bernardino Pugliano di Paterno che lui stesso appiccò un fuoco non

molto distante dal bosco in cui Francesco raccoglieva legna per la costruzione del convento;

le fiamme cominciarono ad avanzare velocemente in direzione del Frate. A quel punto

Francesco si rivolse al fuoco con queste parole: “Fuoco, per carità, brucia ciò che è tuo, ma

non invadere la nostra legna”. Il fuoco ubbidì arretrando immediatamente122.

E’ ancora l’Antonachio ad affermare che un giorno, recatosi al convento di Paola per

partecipare alla santa messa, si accorse che non c’era fuoco per accendere le candele

sull’altare. Il testimone aveva controllato di persona che tra i carboni non c’era niente che

ardesse, ma quando andò Francesco, prese dei tizzoni e “soffiatoci sopra, con il semplice

118 CPC, t. 57. 119 Questa deposizione sarà ripresa e approfondita nella prossima sezione. 120 CPC, t. 6. 121 Ibidem. 122 CPC, t. 97.

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alitare i carboni divennero fiammanti, potendo così accendersi la candela con cui celebrar

Messa”123.

Il fuoco accompagna tutta la vita del Santo, dalle prime “vampe” fino all’ultimo prodigio

compiuto da Francesco nella sua vita terrena. Il buon Frate cominciò ad aggravarsi la

domenica delle Palme e una febbre “tenace e maligna” lo rese particolarmente debole.

Nonostante la debolezza da novantunenne moribondo, volle celebrare come di consueto la

riconciliazione del giovedì santo. Al suo capezzale erano giunti confratelli da ogni provincia e

nazione, quando a un certo punto, mentre stavano parlando del voto di digiuno quaresimale,

gli assi che sostenevano il braciere presero fuoco. Francesco si alzò e con le mani nude prese

il braciere per rimetterlo a posto e disse ai suoi confratelli: “In verità vi dico che a chi ama

Dio non è difficile mantenere quanto ha promesso, più di quanto sia difficile a me tenere in

mano questo fuoco”124. Ancora una volta, il messaggio del fuoco giunse al cuore di tutti i

frati, che “si prostrarono ai piedi del beato Padre e promisero che avrebbero osservato il

suddetto voto fino alla morte. Subito si inchinarono tutti, l’uno verso l’altro, per abbracciarsi,

chiedendosi reciprocamente perdono nel gesto della Riconciliazione. Egli abbracciò tutti con

grande carità e, quasi stesse sul punto di partirsene, li benedì paternamente”125.

6.2 Provvidenza e pace: le sorgenti e il mare

Così come il fuoco, le qualità dell’acqua possono essere mutevoli. E’ una componente

essenziale in natura e Francesco d’Assisi la considera una sorella utile, umile, preziosa e

casta; la mancanza d’acqua può mettere in discussione la stessa vita umana, può diventare

motivo di discordia, può rappresentare un pericolo. Così, mentre san Francesco d’Assisi canta

le qualità della natura già pacificata con l’uomo, in san Francesco di Paola possiamo osservare

da vicino come avviene questa pacificazione. Spulciando nelle fonti è possibile osservare

come Francesco di Paola – che dal 1943 è patrono della gente di mare d’Italia126 - intervenga

come strumento provvidenziale per mettere pace tra l’uomo e la natura.

123 CPC, t. 6. Episodi analoghi in CPC, tt. 7; 9; 14. 124 CPT, t. 38. Il testimone è il trentaquattrenne Leonardo Barbier, un frate minimo, che professò e visse nel convento di Plessiz-lés-Tours insieme a Francesco. 125 Ibidem. 126 G. ROBERTI, Op. cit., pp. 669-677; Su questo e su tutti gli altri patronati cfr. R. BENVENUTO, I patronati di S. Francesco nei Regni di Napoli e di Sicilia (1630-1738), in AA.VV., Fede, pietà, religiosità popolare e San

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L’acqua, utile e preziosa, è sempre stata una presenza importante nella vita di Francesco,

che fin da giovane scelse per l’eremitaggio un luogo attraversato da un fiume scrosciante. In

diverse circostanze, la mancanza dell’acqua portò Francesco a pregare intensamente affinchè

si manifestasse la provvidenza divina.

A Paola, lungo la via dei miracoli che fiancheggia la vecchia basilica, i pellegrini che

giungono per contemplare i luoghi del Santo, sostano immancabilmente davanti alla

“cucchiarella”, si piegano per terra, prendono un mestolo – sempre lo stesso, utilizzato da tutti

indistintamente – e bevono, con fede, chiedendo grazie. E’ una sorgente d’acqua – così recita

l’iscrizione – “che il santo fece sgorgare con il tocco del suo bastone e in cui risuscitò la trota

Antonella”. Le fonti documentali non ci dicono niente di questa sorgente d’acqua, ma

rappresenta uno di quei prodigi perenni che si possono ammirare a Paola: l’acqua mantiene

sempre lo stesso livello. I Francesi, nel 1806, tentarono di prosciugarla, ma dovettero

constatare come nella stessa giornata l’acqua fosse rientrata esattamente come prima127. Si

può soltanto ipotizzare che questa sorgente sia la stessa da cui la comunità dei Minimi

attingeva acqua, ma soprattutto quella che fu utilizzata da Francesco per compiere diversi

prodigi, come quello della resurrezione di pesci128. E’ possibile che parli dell’acqua della

“cucchiarella” Fabiano Senatore di Paterno, in quale al processo di canonizzazione affermò

che un giovane ormai sfigurato dalla lebbra fu portato da Francesco per ricevere la grazia

della guarigione. “Va’ – lo esortò il frate – lavati in quell’acqua che è davanti al convento e il

Signore ti guarirà”129. E così avvenne.

Altre testimonianze storiche attestano come grazie all’intercessione di Francesco fossero

state trovate delle sorgenti d’acqua. Ad esempio, quando Francesco giunse a Paterno per

costruire il convento, sollecitato dai residenti, “con un piccolo bastone, ordinò agli operai e

alle maestranze di scavare la terra in tre punti; cosa che essi fecero: ora in un punto trovarono

le pietre adatte per preparare la calce e fare la costruzione, in un altro trovarono la sabbia e nel

terzo l’acqua”130.

Francesco di Paola. Atti del II Convegno Internazionale di Studio, Paola 7-9 dicembre 1990, Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 1992, pp. 751-842. 127 F. RUSSO, Il Santuario-Basilica di Paola. Monografia storica e guida illustrata, Edizioni Santuario Basilica San Francesco di Paola, Paola, 1966, p. 199. Il Russo, tuttavia, non cita la fonte di questo episodio, ma dice solo “la storia ci fa sapere…”. 128 Vedi par. 6.4. 129 CPC, t. 70. 130 PA. Cfr. PCal, t. 115.

41

Il discepolo Anonimo riferisce di qualcosa di simile avvenuta in Francia. Pare, infatti, che

un orefice di Grenoble avesse potuto vedere “la sorgente fatta scaturire dal buon Padre con le

sue preghiere in luogo dove non erano riusciti prima a trovare acqua”131.

L’intervento provvidenziale di Francesco viene osservato soprattutto in condizioni

avverse. A Donna Sancia, che aveva corso un forte pericolo guadando un fiume in piena,

Francesco spiegò – così riportano i Bollandisti - che “operando il bene non doveva temere”132.

Un modo, questo, che vuole mettere in relazione la buona condotta delle persone con una

sorta di rispetto da parte della natura. E che le forze della natura si calmino di fronte alle virtù

di un giusto si può scorgere ancora di più nei confronti del mare in tempesta.

Baldascino d’Alfani al processo calabro testimoniò che nelle acque di Paola una nave

salpata da Lipari si trovò nel bel mezzo di una tempesta. Nel vedere l’imbarcazione in

difficoltà, gli abitanti del luogo attirarono l’attenzione del buon Frate dicendogli: “Molti

cristiani che sono in quel legno stanno per affondare!”. Francesco allora fu visto affacciarsi da

una finestra del convento e, tracciando il segno della croce, urlò: “Gesù! Gesù!”.

Immediatamente il mare si calmo e, sebbene la nave perse buona parte del suo carico, gli

uomini a bordo toccarono terra illesi133.

Un episodio particolarmente celebre è quello che vide Francesco, suo malgrado, dover

abbandonare la Calabria e dirigersi alla corte di Francia. Il reverendo Ermolao Frasca, di Stilo,

depose al processo Calabro qualcosa di “stupefacente a udirsi”, un fatto che gli fu raccontato

da Gerolamo Gariant. Questi, insieme a Francesco e ad altri frati, si era imbarcato a Napoli

alla volta di Roma per poi fare meta in Francia. Giunti ad Ostia il mare cominciò ad

ingrossarsi, tanto che i marinai stessi furono presi da forte timore e chiesero a Francesco di

pregare affinché la tempesta si placasse134. Luigi Galisio, marinaio a bordo, disse che quando

ormai tutto sembrava perduto, Francesco – non dice esattamente come – fu condotto a terra,

dopodiché “si ritirò dietro una siepe, e si mise a pregare Dio. E durante la preghiera la stessa

trireme riprese a galleggiare e navigò il fiume, fino a essere fuori pericolo”135.

131 ANONIMO, cap. XII, p. 42. Sulle sorgenti d’acqua sgorgate per intercessione di san Francesco cfr. PCal, t. 95. 132 PCal, t. 109. 133 PCal, t. 95. 134 PCal, t. 26. Secondo questa la versione, Francesco e uno dei suoi discepoli “si lanciarono tra le acque, e con le spalle si misero a spingere il naviglio, e poi gli fecero guadagnare un luogo sicuro”. 135 PCal, t. 85. Il reverendo Stefano Lancea (CPT, t. 53), di origini paolane, testimoniò a Tours (trovandosi di passaggio per aver fatto il cammino di Santiago), dicendo di non aver conosciuto san Francesco, ma di aver saputo da alcuni marinai che quando si trasferì in Francia su invito del re Luigi XI, “placò il mare infuriato sulla rotta della nave sulla quale si trovava, mentre all’intorno era tutta una tempesta. Altri episodi testimoniano la

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Ancora più celebrato fra tutti i prodigi finora raccontati è il miracoloso transito di

Francesco lungo lo Stretto di Messina, privo di alcun mezzo. La tradizione e l’iconografia ci

hanno tramandato l’episodio, condito di un particolare – e cioè che Francesco avrebbe

traghettato sul suo mantello - che però non trova riscontro nelle testimonianze escusse per i

processi canonici136.

Negli atti, infatti, è riportata la testimonianza di Pandolfo Barone da Soreto, che riferisce

“per sentito dire”137, e quella di don Bernardino, figlio di Cola Banaro, il quale era presente ai

fatti138. Entrambi i testimoni raccontarono che Francesco insieme ad altri due frati si trovava

sulla spiaggia di Catona – località nei pressi di Reggio Calabria - e pregò un marinaio di

traghettarli fino in Sicilia, a Messina. “Pagami, monaco, ed io ti trasporterò”, chiarì da subito

il barcaiolo. “Per carità, non porto denaro con me”, rispose Francesco, che – stante a quanto

attesta il discepolo Anonimo – non toccava denaro dall’età di quindici o sedici anni139.

Riprovò ancora una volta a chiedere il servizio all’uomo di mare e di fronte ad un ulteriore

diniego, il Frate si accomiatò dicendo: “Per carità, perdonatemi fintanto che io mi allontano

fino a lì”. A quel punto Francesco “si allontanò da loro a distanza del lancio di una pietra,

pregò, alzò gli occhi in cielo e fece il segno della Croce sul mare insieme a un suo compagno

e attraversò il mare come se camminasse sulla terraferma”140.

Con o senza mantello, da solo o in compagnia di un confratello, sta di fatto che questo

prodigio, più di altri, ha colpito l’immaginazione degli artisti, ha toccato la sensibilità dei

poeti e dei musicisti e ha inciso nella devozione dei fedeli.

Il celebre musicista Franz von Liszt compose un andante maestoso per raccontare sui tasti

del pianoforte la Leggenda, dal titolo San Francesco da Paola cammina sulle acque (si tratta

della seconda leggenda; la prima, un allegretto, Liszt l’aveva dedicata a S. Francesco d’Assisi

che predica agli uccelli) e artisti del calibro di Rubens, Velasquez, Goia, Tintoretto, Luca

protezione di Francesco sui mari. Cfr, CPT, t. 36 (il comandante di una nave butta nel mare in tempesta una candela donatagli da Francesco e subito ci fu bonaccia). 136 Il padre G. ROBERTI, Op. cit., p. 241, riferisce però di un documento, conservato presso l’archivio di Milazzo, che invece attesta come Francesco avesse oltrepassato lo Stretto sul mantello e portando con sé un confratello. 137 PCal, t. 9. 138 In base alla testimonianza di don Bernardino, san Francesco con il suo seguito e il padre, che a sua volta era insieme ad altre persone, tutte citate negli atti (e tutte decedute alla data del processo), si erano già incontrati in un valico e il Frate aveva compiuto un prodigio sotto i loro occhi trovando del pane fresco proprio nella bisaccia di Cola, che assicurava di non avere niente, con il quale si sfamarono tutte e due le comitive. Cfr. PCal, t. 22. 139 ANONIMO, cap. IV, p. 12. 140 PCal, t. 22. Il racconto di Pandolfo Barone differisce leggermente. Negli atti si legge: “pregò e benedisse il mare. E in quell’istante videro il beato Francesco camminare solo sulle onde e così per quella parte attraversò il mare verso la Sicilia”. Cfr. PCal, t. 9.

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Giordano e Mattia Preti impressero nelle loro tele il prodigio, che ha anche un posto

privilegiato nella Galleria delle Carte geografiche dei musei vaticani, voluta da papa Gregorio

XIII e realizzata dal geografo Ignazio Danti tra il 1580 e il 1585.

“Meraviglia non è, se ‘l Mar spumante non ti sommerge, e ti tragitta illeso, che chi colpe

non ha, non è pesante”; sono questi i versi conclusivi scritti da Giuseppe Battista, poeta

pugliese, nel 1670 e dedicati a San Francesco da Paola passa il mare di Cicilia sul proprio

mantello.

A differenza da tutti gli altri prodigi finora raccontati, in questo si notano delle “assenze”.

Non c’è pericolo per la vita di alcuno, il mare non è in tempesta e per giunta i testimoni non

sanno cosa il Frate dovesse andare a fare a Messina141. Possono solo cogliere una certa

“urgenza” da parte di Francesco che deve andare in Sicilia, in un modo o nell’altro, e la

grettezza del marinaio. E poi c’è la risposta docile del mare, che accorda a Francesco ciò che

il barcaiolo gli ha negato.

Pio XII, rievocando questo prodigio, lo ha così interpretato: “Lo zelo della gloria di Dio e

la carità verso il prossimo lo sospingono; la povertà volontaria e l’austerità, abbracciate come

norma di vita, lo accompagnano; una sconfinata fiducia in Dio lo sorregge: tutto ciò in

un’aura di semplicità e umiltà, proprie di chi crede con fermezza nella parola di Cristo: «Se

avrete tanta fede quanto un granello di senapa, potrete dire a questo monte: spostati di qui a là,

ed esso si sposterà, e nulla vi sarà impossibile»”142.

6.3 Pietre vive

La costruzione dei conventi ha assorbito una parte consistente della vita di san Francesco,

anzi possiamo dire che a partire dalla grotta di Paola e fino agli ultimi giorni trascorsi in

Francia, direttamente o indirettamente seguì le comunità che si erano formate alla sua sequela.

Si dedicò con ogni premura alla edificazione della Chiesa, tanto spirituale, quanto materiale.

141 Francesco, a seguito di continue insistenze da parte degli solani, pare che stesse andando a Milazzo per erigere un convento. Cfr. G. ROBERTI, Op. cit., pp. 234 e ss; P. DALENA, I viaggi di San Francesco di Paola, in AA.VV., L’eremita Francesco…cit., pp. 217-219. Circa l’esegesi delle fonti storiche volte a chiarire la datazione e lo scopo del viaggio di Francesco in Sicilia cfr. R. BENVENUTO, San Francesco di Paola e il mare, in I. AUSILIA (a cura di), I Santuari e il mare, Edipuglia, Bari, 2014, pp. 255-273; ID., San Francesco di Paola. Eremita e fondatore dei Minimi, Velar, Gorle, 2012; G. COZZOLINO, San Francesco di Paola e il miracolo del passaggio dello Stretto di Messina. “…e attraversò il mare come se camminasse su terraferma”, Editoriale progetto 2000, Cosenza, 2014; G. FIORINI MOROSINI, San Francesco…cit., p. 140. 142 Pio XII, Radiomessaggio nel 450° del transito di san Francesco di Paola (16 giugno 1957). Il versetto citato è Mt 7,20.

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Spendeva ogni sua forza – sia da giovane, che in età più avanzata – per accelerare il

completamento delle opere di fondazione dei conventi, laddove la gente ne faceva richiesta e

non mancava di vigilare affinché nessuno si facesse male143.

Uomini e donne, a centinaia, si recavano nei luoghi ove sapevano ci fosse Francesco,

mossi dalla curiosità o dalla necessità, e per un motivo o per un altro tutti rimanevano

conquistati e edificati per le sue parole, ma soprattutto per le sue opere. In moltissimi, poi,

restavano per prestare volontariato nella costruzione dei conventi144. Appena cominciò la

costruzione della Chiesa a Paola – attesta il discepolo Anonimo – anche molte donne si resero

partecipi dell’opera, sia con offerte in denaro sia trasportando pietre, “nonostante che

vestissero di seta”. E man mano che queste lavoravano, Francesco parlava con loro,

esortandole a rispettare il sacramento del matrimonio e invitandole a maggiore sobrietà.

Grazie a queste “sante esortazioni” – continua l’Anonimo – “ottenne la rinuncia allo strascico

delle vesti e ad altre vanità femminili”145.

Anche a Paterno accorrevano a lui centinaia di persone ogni giorno, ai quali “predicava,

spiegando il Vangelo” e poi, terminati i suoi discorsi invitava tutti a partecipare ai lavori di

costruzione del convento146, facendo trasportare legna o pietre, a seconda della necessità147.

Poteva capitare, talvolta, che i lavori potessero causare qualche fastidio ai vicini, ma tutto

passava in secondo piano. Al di sotto del convento di Paola operava un mulino ove, a causa

dei lavori, cadeva della terra, che non consentiva di azionare le macine. Il proprietario,

Francesco Carbonello, si recò al convento per reclamare, ma gli fu detto che doveva

pazientare per parlare con il buon Frate. Trascorsa oltre un’ora, l’uomo fu preso dalla collera e

si lanciò su per le scale per incontrare Francesco nella sua cella. Tuttavia, man mano che

saliva udiva “voci e melodie soavissime, come da un coro di angeli scesi dal cielo” e così,

preso da “una gioia indefinibile”, fece il percorso a ritroso e, svanita del tutto la sua ira, sostò

in chiesa per ringraziare Dio di quel particolare privilegio. Quando, di lì a poco, fu raggiunto

dal sant’uomo, senza che questi parlasse, il mugnaio disse: “Padre, del mulino non ne

143 Nonostante incidenti e imprevisti, nessuno mai fu danneggiato dalle opere di costruzione. In un incidente rimase coinvolto Francesco stesso, travolto da un grosso arnese caduto a valle. Il colpo gli causò l’uscita della giuntura del femore nella parte anteriore. Gli operai che lo soccorsero lo trovarono a terra privo di sensi e lo portarono in Convento. Francesco disse loro: “Per carità, e necessario che fratel corpo stia così per trenta o quaranta giorni”, passati i quali guarì. ANONIMO, cap. X, p. 29. 144 CPC, t. 60. 145 ANONIMO, cap. IV, p. 10. 146 CPC, t. 4. 147 Cfr. CPC, t. 42: il testimone Antonio Edoardo di Paola guarì dopo aver zappato per circa due ore con Francesco.

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parliamo proprio; fate comodamente ciò che intendete fare, e il mulino se ne vada pure a mare

con tutte le sue macine e con quanto v’ha dentro!”148.

I lavori di cantiere prevedevano attività particolarmente faticose e talvolta anche

pericolose, ma sempre interveniva san Francesco, che addirittura impartiva ordini alle pietre,

le quali smettevano di obbedire alla legge di gravità per sottomettersi all’Uomo di Dio.

Mastro Pietro Genovese, mentre lavorava alla costruzione del monastero di Paola,

raccontò che un enorme masso si era staccato e stava per travolgere quanti lavoravano di

sotto. Francesco “fece subito il segno della croce in direzione del masso che scendeva e

invocò il nome di Gesù Cristo, e immediatamente il masso si fermò, arrestando la sua corsa

nella caduta” 149.

Il nobiluomo Giovanni Franco di San Lucido, tra i vari episodi che intese testimoniare,

narrò anche di essere andato a Paola quando Francesco stava costruendo la Chiesa. Questi,

appena visto il giovane gli disse: “Giovannino, per carità, vieni e prendiamo una pietra

ciascuno da servire per la chiesa da edificare”. Entrambi si recarono al fiume e trovarono una

pietra di circa un quintale, difficile da portare per una sola persona. Per una seconda volta

Francesco si rivolse al giovane dicendo: “ Prendi questa pietra, per carità, e portala sul luogo

dove sorgerà la chiesa”. Di fronte alla riluttanza del ragazzo, il buon frate lo esortò per una

terza volta a farsi carico del masso: “Sì, ti dico: prendilo per carità, e vedrai che potrai!”. Poi

Francesco fece sulla pietra il segno della croce e gliela caricò sulle spalle e il ragazzo la portò

a destinazione senza alcuno sforzo150.

Dinamica analoga viene riportata da un altro nobile sanlucidano, Giovanni della Rocca, al

quale Francesco chiese di portare al cantiere due travi che i buoi non erano riusciti a

trasportare. “Qui ci debbono essere due travi rimaste l’altro ieri, perché i buoi non poterono

trasportare per il luogo impervio; - osservò Francesco mentre si inerpicava su per i monti con

il ragazzo - andiamoci noi, per carità, e scendiamoli giù in pianura”. Giovanni rise per questa

richiesta, ritenuta umanamente impossibile da accondiscendere e Francesco lo riprese con

queste parole: “Per carità, quanta poca fede avete!”. Allora il ragazzo, invocando l’amore di

Dio, chiese al Frate di caricargli la trave sulle spalle. E così, Giovanni con una trave sulle

spalle e Francesco con l’altra sotto il braccio “come se fosse un fuscello”, scesero dai

148 CPC, t. 36. L’episodio è testimoniato al processo dal nobile Giacomo Carbonello, figlio del defunto proprietario del mulino, da cui aveva udito il racconto appena successo il fatto. 149 CPC, t. 14. 150 CPC, t. 58.

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monti151. Ancora, Pasquale Gatto di Paterno attesta come durante la costruzione dell’eremo di

Paterno una grossa pietra ostruiva il passaggio della conduttura dell’acqua. Gli operai

osservarono che se avessero spostato con le zappe il macigno, che si trovava in pendio,

avrebbero causato molti danni e messo in pericolo la gente che viveva a valle. Francesco

invocò la grazia di Dio, e “la pietra fu vista muoversi dolcemente verso la parte sottostante,

lasciando libero il posto, attraverso il quale doveva passare l’acqua e si arrestò”152. Un’altra

volta ancora, mentre gli operai lavoravano alla costruzione del convento di Paterno, una pietra

si staccò dalla rupe e prese a scendere rapidamente verso la valle; allora Francesco disse:

“Sorella nostra pietra, dove te ne vai?” e questa si fermò153.

Altrettanto prodigioso sembra quanto raccontato da Antonio de Gerane di Figline. Ai

tempi della costruzione del convento di Paola un grosso masso si staccò dalla cima della

montagna e sembrava volesse travolgere proprio il convento. Allertato dalle maestranze,

Francesco si inginocchiò davanti al crocifisso e “prostrato con la faccia fino a terra, pregò Dio

con preghiere a lui consuete”. La pietra arrestò la sua corsa e rimase in equilibrio. Così

sospesa la pietra rimase a lungo, tanto che i passanti ne rimanevano stupiti e si fermavano ad

osservare il prodigio. In seguito, la roccia fu utilizzata per la costruzione del convento

stesso154.

Ma la pietra che sicuramente stupisce il lettore oltre ogni aspettativa, è quella che fu

utilizzata per la sua sepoltura. Una volta morto, il Frate venne inumato nella terra nuda in un

luogo molto prossimo al fiume Cher, che era soggetto a frequenti esondazioni. La comunità

dei Minimi di Plessiz-lés-Tours, allora, a distanza di circa dieci giorni, decise di riesumare il

corpo per deporlo in un sarcofago di pietra. L’operazione avvenne alla presenza di molti

testimoni, tra cui Giovanni Bourdichon, l’artista che era stato convocato per fare un calco, il

quale assicurò come il corpo fosse incorrotto e addirittura poté accostare la sua guancia a

quella del Santo, gli toccò il volto per poterlo poi ritrarre in ogni particolare155. Il dettaglio su

cui riflettere, però, è un altro, per giunta osservato e testimoniato da diversi presenti, tra cui la

151 CPC, t. 59. 152 CPC, t. 68. 153 CPC, t. 74. 154 PA. 155 CPT, t. 1. Il Bourdichon effettivamente ritrasse il volto di san Francesco in una tela nota come “Vera Effigie”. Cfr. P. AMATO, Imago Ordinis…cit., pp. 23-27. Il corpo incorrotto del Frate fu visto e testimoniato anche da Giovanna Bonhomme, CPT, t. 14; Martino Moreau, CPT, t. 40; donna Caterina Jousseta, CPT, t. 47; Tommaso Jacob, CPT, t. 49; e Caterina de Loyon (CPT, t. 26), che affermò come durante la traslazione guarì miracolosamente una bambina.

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Contessa d’Angoulême, ovvero il miracolo della pietra. La storia di questa tomba di pietra è

del tutto singolare156.

Nella parrocchia di Bellan, a distanza di circa una lega dal convento dei Minimi di Tours,

lungo una strada pubblica, ed esattamente nel centro di una “croce”, ovvero un quadrivio,

giaceva una pietra di grandissime dimensioni, di proprietà di un catechista. Questi aveva

intenzione di utilizzare quella pietra come abbeveratoio per animali, e, nel vano tentativo di

spostarla dalla strada pubblica al luogo prescelto, impiegò addirittura diciotto paia di buoi, che

neppure riuscirono a smuoverla. Quando Anna di Francia, signora di Beaijeu, gli chiese se

fosse disposto a venderla per usarla come tomba di Francesco di Paola, il catechista rispose

che l’avrebbe donata se solo qualcuno fosse riuscito a rimuoverla157.

Così, probabilmente senza sapere della “testardaggine” di quella pietra, i Minimi

incaricarono Francesco Laurens insieme ad altri cinque uomini158, di recarsi in quel luogo per

caricare quella pietra, che sembrava delle dimensioni perfette per accogliere il corpo del

bonhomme. Infatti, questo blocco di pietra era “scavata a mò di sepolcro vero e proprio, molto

lungo quanto la misura di una persona di considerevole statura”159. Il cocchiere lo sapeva

bene, poiché, racconta un altro testimone, lui stesso si era sdraiato nell’incavo della pietra per

verificarne la lunghezza160.

Come se niente fosse, quei pochi uomini caricarono la pietra sulla loro quadriga trainata

da una coppia di buoi e neanche si sarebbero accorti di aver preso parte a qualcosa di

prodigioso se la gente del luogo, festante, non li avesse informati di tutti i tentativi provati per

riuscire in un’impresa che sembrava impossibile. Così quella pietra poté compiere la sua

missione e Francesco riposare su una pietra, così come aveva fatto per tutta la vita..

6.4 Antonella e Martinello: la tenerezza verso gli animali

San Francesco manifestava un amore profondo verso gli uomini, ma anche verso gli

animali, con i quali ebbe un rapporto assai armonioso.

156 La storia è stata ricostruita facendo ricorso alle seguenti testimonianze: CPT, tt. 1, 7, 8, 157 CPT, t. 14. 158 Il cocchiere Carlo Chepault confermò che la pietra fu trasportata da cinque uomini, ovvero lui, Laurens, Giovanni Beaumont, un certo Ivonetto e Giovanni Thoreau. Cfr. CPT, t. 8. 159 CPT, t. 7. 160 CPT. t. 8.

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Negli atti dei processi canonici vengono citati molti esempi di questa “amicizia”. Un

testimone racconta che mentre alcune persone stavano esponendo al Frate le necessità di un

ammalato, “un uccelletto […], svolazzando, andò ad appollaiarsi sulla spalla del Beato

Francesco; ed egli lo prese e lo pose nella manica del proprio saio”161.

Rispettava profondamente gli animali e non era disposto a tollerare che venissero

maltrattati. Ad esempio, mentre si stava costruendo il convento, i frati furono impressionati da

vespe, le quali, “al rimuover le pietre cominciarono a stridere molto acutamente”, e si dettero

alla fuga. Francesco prese quelle vespe e le portò nel bosco vicino al convento162. Aveva detto

loro: “Sorelle mie, non vi dispiaccia di cambiar casa, perché questa dev’esser distrutta,

bisognando il materiale per la casa del Signore”163. Anche quando si stava costruendo il

convento di Tours, di notte veniva visto mentre “prendeva serpenti e li portava fuori del

Convento, senza riportarne alcun male; non voleva che si uccidessero né queste né altre bestie

velenose, qualunque esse fossero”164.

Gli animali sembrano cercare riparo nella casa di Francesco e in tanti lo notano e lo

testimoniano ai processi. Filippo Camigliano, ad esempio, raccontò che un giorno alcuni

cacciatori avevano avvistato un capro, il quale, datosi alla fuga, si rifugiò nell’area del

convento di Paola del Frate. E aggiunge: “sebbene [i cani] si fossero accorti che la preda si

trovava lì dentro, non osarono avanzare oltre per catturarlo, addirittura ritornarono

indietro”165. Alcuni giovenchi selvatici, appena catturati dal testimone Giacomo Mantone, si

sottoposero al giogo dietro invito dei confratelli di Francesco ,“come se […] fossero stati

domati da almeno dieci anni”, affinchè trasportassero alcune travi al cantiere di Paterno dove

il Frate stava costruendo il convento166.

La pietà di Francesco verso le bestie è davvero grande. Racconta ad esempio il paolano

Bartolo Perri167 che chiese la grazia a san Francesco per il suo bue, che aveva “un occhio

sfigurato, tutto bianco, con il quale non vedeva da oltre un mese”. Di fronte alla povera bestia,

il Frate guardò a terra e individuò un’erba che “cresceva sotto i suoi piedi, davanti al

convento” e con l’applicazione del succo di questa erba il bue guarì immediatamente.

161 PCal, t. 97. 162 ANONIMO, cap. V, p. 15. 163 G. ROBERTI, Op. cit., p. 583. L’Autore non cita la fonte del virgolettato. 164 ANONIMO, cap. XIV, p. 54. 165 PCal, t. 1. 166 PCal, t. 86. 167 CPC, t. 10.

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Mastro Pietro Genovese168 raccontò che un tale, giunto a Paola da Rende, portò in dono a

fra Francesco dei pesci d’acqua dolce “infilzati per la gola”. Questi, presi i pesci nelle sue

mani esclamò: “Guardate come avete imprigionati questi poveri esseri” e, rimessi in acqua,

ripresero vita e i testimoni “versarono lacrime di gioia e gridarono al miracolo”169.

Francesco, tuttavia, pur provando, evidentemente, un tenero affetto verso gli animali non

perde di vista la loro funzione e talvolta, suo malgrado, lascia che questi siano sacrificati per

le esigenze dell’uomo. Il discepolo Anonimo riferisce che camminando nei boschi, il frate si

imbatté in un piccolo cerbiatto che cercava di sfuggire ai cacciatori. Francesco intimò a tutti

di non toccarlo o di fargli del male e come segno di riconoscimento gli fece un taglio

all’orecchio. Cresciuto, il cervo riconosceva la cella del frate e si rifugiava lì ogni qualvolta

veniva inseguito, leccava il saio “facendogli festa come a suo difensore”. Tuttavia, di fronte

alle richieste degli operai che non avevano cosa mangiare, si rassegnò a sacrificarlo170.

La tradizione tramanda anche altri episodi, tanto cari alla devozione popolare, tra cui la

risurrezione della trota Antonella, nella “cucchiarella”, e quella di Martinello, come soleva

chiamare un agnellino che lo seguiva sempre171.

Antonella, secondo i racconti, veniva accudita personalmente da frate Francesco con

particolare predilezione. Un giorno, la trota abboccò all’amo di un ecclesiastico che la portò a

casa sua per mangiarla. Francesco, che in maniera soprannaturale era al corrente

dell’accaduto, inviò a riprendere il pesce a casa del sacerdote un suo confratello, il quale

glielo riportò in frantumi. “Povera Antonella, ecco a che ti ha ridotto la tua golosità!”, disse

Francesco mentre gettava i pezzi nella “cucchiarella” e poi aggiunse: “Per carità, ritorna a

vivere!”172. La trota, sempre secondo i racconti tramandati, riprese a vivere, per poi morire

esattamente lo stesso venerdì santo in cui spirò san Francesco.

Egualmente tenera e prodigiosa è la storia di Martinello. Era accaduto che alcuni operai

che stavano lavorando alla costruzione del convento di Paola, presi dalla fame, uccisero il

docile animale e ne gettarono i resti nella fornace. Tuttavia, messo al corrente del fatto,

Francesco non si scompose e disse che Martinello era così ubbidiente che sarebbe comunque

168 CPC, t. 14. 169 Lo stesso prodigio è testimoniato anche da Luca Catarro di Paola (CPC, t. 15), il quale sostiene che Francesco abbia detto: “Perché mai avete messo in prigione questi poveri animaletti?”. 170 ANONIMO, cap. V, p. 14. 171 La storia di Antonella e Martinello non ha attendibilità storica, ma sono comunque episodi riportati da quasi tutti i biografi del Santo. G. ROBERTI, Op. cit., pp. 146-50. 172 G. ROBERTI, Op. cit., p. 150.

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accorso al suo richiamo. E così, sentendosi chiamato dal suo amato padrone, Martinello uscì

vivo e festante dalla fornace173.

173 Ivi, pp. 146-47. L’Autore sottolinea come il fatto non trovi alcuna rispondenza nelle fonti, ma solo nella tradizione orale, trascritta dai primi biografi. Solo a titolo di esempio, si veda P. CONTI, Storia compendiosa della vita, delle virtù e de’ miracoli di S. Francesco da Paola, patriarca e fondatore della Religione de’ Minimi, Stamperia di Lelio della Volpe, Bologna, 1726, p. 30.

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7. L’uso delle erbe: amore verso i fratelli, ascolto e creatività

[Sposa] O boschi e folte selve

piantate dalla mano dell’Amato! O prato verdeggiante

di fiori smaltato! Ditemi se attraverso voi è passato.

Mille grazie versando

passò, di fretta, per queste radure, e, guardandole,

con la sola sua figura vestite le lasciò di bellezza

(San Giovanni della Croce, Cantico Spirituale)

L’apertura di Francesco verso l’alterità è stata evidente fin qui, ma non abbastanza.

Chiunque si sia accostato a lui ha sempre trovato ascolto, conforto e sostegno. Giovanni Paolo

II ha parlato di “carità inesausta verso i fratelli, […] li ascoltava con disponibilità, chiariva i

loro dubbi, a volte risolveva anche i loro problemi col miracolo, sempre, accomiatandoli,

lasciava in loro quella contentezza e pace - dicono le fonti - che vale molto più dei beni

materiali e della stessa salute” 174.

Francesco, dunque, esercitava un potere di attrazione notevole sulla gente principalmente

per il senso di Dio che si riusciva a cogliere stando vicino a lui, ma anche per le guarigioni

che riusciva ad operare, molte volte utilizzando erbe del suo orto175.

Il ricorso ad erbe per finalità curative fa parte della tradizione medievale e monastica e

dunque non è di per sé un fatto eccezionale176. Anche la medicina nel periodo considerato non

poteva che essere definita come un “complesso sciamanico”177, praticato, soprattutto in aree

rurali, da dilettanti: vecchietti, mediconi, conoscitori di semplici (erbe benefiche) e

174 GIOVANNI PAOLO II, Omelia Concelebrazione eucaristica per i Religiosi e le Religiose (5 Ottobre 1984). 175 A. GALUZZI, Il “propositum” dell’eremita Francesco di Paola nella Chiesa del secolo XV, in ID., Studio sull’origine …cit., p. 65. 176 F. CARDINI, Nostalgia del paradiso. Il giardino medievale, Laterza, Roma, 2002; A.K. KÜHNEMANN, Guarire con la medicina naturale : erbe, infusi, decotti, tinture, unguenti, antiche ricette e segreti dei conventi, Piemme, Casale Monferrato, 1991; E.B. MACDOUGALL (a cura di), Medieval Gardens, Dumbarton Oaks Trustees for Harvard university, Washington, 1986; R. SCHILLER, Le cure miracolose di Suor Ildegarda, Piemme, Casale Monferrato, 1995; 177 C. LÉVI-STRAUSS, Anthropologie structurale, Plon, Parigi, 1977.

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levatrici178. I medici veri, cioè quelli che avevano compiuto studi universitari, non potevano

che essere pochi in Calabria, giacché le facoltà di medicina più vicine erano a Salerno e a

Napoli179.

Non si può certo escludere180, ma sembra davvero inverosimile, che Francesco di Paola

avesse in qualche modo approfondito conoscenze sull’uso delle erbe per finalità mediche o

che avesse particolari interessi scientifici a riguardo, sembra piuttosto che il miracolo sia

riconducibile a doni soprannaturali del Santo, o almeno così lo hanno inteso i testimoni181.

Alcuni esempi chiariranno quanto sia complesso da interpretare l’uso delle erbe per

finalità curative nell’attività taumaturgica del Paolano.

Quando Antonio Catalana insieme ad altri parenti portarono la piccola Giulia, “cieca al

cento per cento”, a Paterno, “Fra Francesco si trovava nell’orto; si chinò in terra e prese

alcune foglie di una certa erba, ponendole sugli occhi della piccina, la quale fu subito guarita

e riacquistò la vista”182. Anche la mano di Margherita Tudesca183 e gli occhi albinizzati del

figlioletto di Giovanni Varachello184 guarirono dopo che Francesco vi pose sopra “una certa

erba”. Ancora, il figlio di Galvano Plantedi aveva le gambe storpie e furono sanate con delle

canne spaccate a metà e riscaldate185. In alcuni casi era lo stesso Francesco a curare i malati al

convento. Donna Bella, moglie di Giovanni Brogni, testimoniò al processo cosentino che al

marito cadde addosso della pece bollente, che gli sfigurò il viso. L’uomo fu immediatamente

portato in convento, dove san Francesco, che “non aveva potuto avere notizia del fatto”, stava

178 J. LE GOFF (a cura di), L’uomo medievale, Laterza, Roma-Bari, 1987, p. 17. 179 G. COSMACINI - M. MENGHI, Galeno e il galenismo. Scienza e idee della salute, Franco Angeli, Milano, 2012, p. 125. L’Italia aveva, però, una discreta tradizione medica, grazie a facoltà di medicina sorte soprattutto nel Centro-Nord. Maggiori approfondimenti in J. AGRIMI – C. CRISCIANI, Malato, medico e medicina nel Medioevo, Loescher, Torino, 1980. Addirittura, nel XIII secolo ad alcuni regnanti vennero riconosciute virtù taumaturgiche, attestate dall’immagine del Cristo medico. Ad esempio, studi storici affermano che Enrico III guariva dalla scrofala e che il Re di Castiglia era considerato un esorcista. Cfr. J. LE GOFF, Il re medievale, Giunti, Firenze, 2012, pp. 48-50. 180 P. DE LEO, Le erbe del Santo. Nell’orto di Francesco di Paola, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004, p. 21. 181 Così come lo descrivono i testimoni dei Processi, Francesco non appare certo come un uomo di cultura, anche se non del tutto analfabeta. A questo proposito cfr. R. BENVENUTO, (a cura di), Lettere di San Francesco di Paola, Edizioni del Santuario, Paola, 2008; ID., La duplice messa all’Indice delle lettere di S. Francesco di Paola, in AA.VV., L’eremita Francesco di Paola viandante e penitente. Atti del Convegno Internazionale di Studio, Paola 14-16 Settembre 2000, Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 2006, pp. 365-411. Alcune lettere hanno contribuito a mettere in luce la dinamica di formazione del Secondo Ordine di claustrali. Cfr. M.A. MARTÌN, Le sorelle dell’Ordine dei Minimi. Origini Regola Identità, Falco Editore, Cosenza, 2010. 182 CPC, t. 22. Il testimone che raccontò il miracolo della piccola Giulia Catalana si chiamava Giovanni Stutzio, di Paola. Questi racconta anche della guarigione miracolosa del suo ginocchio, avvenuta dopo che san Francesco adoperò “una certa erba, che mangiano i porci” e gli diede il consiglio: “Abbi fede in Dio”. La guarigione della piccola Giulia è anche riportata nella testimonianza di Luca Zandella (CPC, t. 23). 183 CPC, t. 46. 184 CPC, t. 47. 185 CPC, t. 66.

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già preparando un trito con una certa erba, che spalmò immediatamente sulle scottature. Il

frate trattenne con sé l’ustionato per otto giorni nel convento di Paola, dopodiché “lo rimandò

a casa, guarito completamente senza alcuna cicatrice, come se niente avesse avuto a subire”.

186 Anche quando si trasferì in Francia era una usanza distribuire a dame e damigelle “una

grande quantità di erbe del suo orticello e queste erbe non finivano mai”. Ma l’aspetto più

sorprendente - osserva Caterina Ayroldi - era che “a cogliere quelle erbe erano proprio le

damigelle, come se chi coltivava quell’orto avesse fatto delle preghiere per questo”, quasi

come se volesse dare indicazione di una pratica ascetica187. 188

Si potrebbero riempire pagine e pagine di casi analoghi, nei quali i malati riacquistarono la

salute dopo aver applicato le erbe consigliate dal Santo189.

Sono stati svolti degli studi storici molto interessanti sulle “erbe del Santo” - quali

sambuco, filidrizza, assenzio, centuria, ortiche, ginestra e molte altre - volte ad appurare se

vi fosse una certa coerenza tra le patologie trattate e i rimedi naturali proposti190, ma che

comunque non inficiano il valore soprannaturale dei miracoli191.

Raccontati in questi termini – ovvero estrapolando dalle fonti soltanto la guarigione e il

rimedio utilizzato -, si capisce bene perché in tanti lo considerassero un erbaiolo, un guaritore

o un impostore. Infatti, la fama di santità di Francesco diffusasi a macchia d’olio, suscitava

nei più scettici qualche perplessità. Al processo canonico, Bernardino Florio racconta come

Antonio Scozzetta, frate francescano, “uomo dabbene e di vita intemerata”, fosse giunto a

Paterno per predicare e di come nei suoi discorsi usasse criticare lo stile di vita di Francesco.

Nel racconto di Antonio de Gerane, originario di Paterno e unico testimone del processo di

Amiens, pare che la disputa fosse sorta proprio perché “era opinione comune che una grande

moltitudine di gente […] si recava da Francesco per essere sanata. Egli ad alcuni di loro dava

erbe, ad altri biscotti e pane, ad altri arance, sempre dopo averli benedetti”192. Proprio per

queste guarigioni avvenute per mezzo di espedienti, i medici della regione si sentirono lesi nei

186 CPC, t. 12. 187 CPT, t. 52. La testimone si chiama Caterina Ayroldi di Tours, vedova di Giovanni Paulmier, maestro d’armi della milizia armata e presidente del senato del parlamento di Grenoble. 188 189 Si vedano i miracoli testimoniati in: CPC, tt. 74; 91; 92; 93; 94; CPT, tt. 6; 29; 30; PCal, tt. 43, 96. 190 In molti casi, pare che vi sia un uso scientemente consapevole delle erbe. P. DE LEO, Le erbe…cit., p. 21. Lo stesso storico afferma anche che “in ogni caso, se non ebbe una conoscenza diretta, la ebbe certamente per affinità elettiva”. 191 G. FIORINI MOROSINI, S. Francesco…cit., p. 88. Il discepolo Anonimo, nella sua biografia, aveva sostenuto che quanto suggerito da Francesco ai malati fosse “contrario all’arte medica”, poiché fosse chiaro che “Dio è il medico supremo, sia del corpo sia dell’anima”. Cfr. ANONIMO, cap. XIII, pp. 51-52. 192 PA.

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propri interessi dal fatto che questo Frate si addentrasse in campi non di sua competenza.

Così, “mossi da odio e da rancore a causa del loro mancato guadagno”, incaricarono Scozzetta

di redarguire il Paolano. Francesco Coco, pure lui di Paterno, il quale aveva ascoltato il

racconto direttamente da Scozzetta, aggiunse che questi aveva provocato il buon frate con

queste esatte parole: “Alcuni vi reputano un uomo probo, altri un erbivendolo”193. Antonio de

Gerane aggiunge alla scena molti altri particolari. Disse che quando i due si trovarono soli,

Scozzetta aggredì verbalmente Francesco dicendogli: “Con quale autorità guarisci gli

ammalati, distribuendo loro erbe e altri cibi, dopo averli benedetti? Queste cose non ti

competono”194. Tuttavia, vedendo il religioso tremante per il freddo, Francesco non rispose

alla domanda che gli era stata rivolta, ma reagì prendendosi cura di lui. Prese in mano una

brace ardente e disse: “Per carità, padre Antonio, riscaldatevi, perché dovete avere anche voi

freddo!”195. Di fronte a un tale prodigio, il francescano si inginocchiò a terra e gli baciò i piedi

in segno di venerazione196 e affermò: “O regione di Calabria così amata! Certamente sono

felici coloro i quali ripongono fiducia, o Francesco, nelle tue preghiere e nelle tue pratiche

devote”197. Da quel momento la predicazione di Scozzetta cambiò radicalmente, contribuendo

egli stesso a diffondere la fama di santità di Francesco di Paola198.

Dunque Francesco dimostrò inequivocabilmente con il fuoco l’origine delle sue virtù.

Inoltre, nella dinamica del prodigio non è soltanto determinante la santità del Frate e la sua

volontà di intercedere; anche la fede del malato è conditio sine qua non. Come ebbe modo di

sottolineare padre Galuzzi, il “sistema di guarigione” cui ricorreva Francesco, non risultava

benefico per gli elementi usati: “presupponeva la fede necessaria”199.

Don Giacomo di Tarsia, signore di Belmonte, si recò a Paola per ottenere la guarigione di

una gamba piagata che gli impediva di camminare, dopo essersi invano rivolto ai migliori

medici del circondario200. Per fede, accettò di curarsi come suggerito da Francesco, cioè

193 CPC, t. 72. 194 PA. 195 CPC, t. 64. Il base agli atti del Processo di Amiens, pare che Francesco abbia risposto “Scaldatevi un po’ e dopo ti risponderò su ciò che mi hai detto”. Secondo l’ANONIMO (cap. VI, p. 17) le parole di san Francesco sono state: “Riscaldatevi, fratello! E’ necessario che si compia la volontà di Dio”. 196 CPC, t. 64. 197 PA. 198 CPC, t. 72; PA. 199 A. GALUZZI, L’ecologia …cit., p. 122. 200 Il medico in questione era realmente molto famoso per aver sperimentato il metodo autoplastico. Cfr. G. IACOVELLI, Il miracolo della sanità in S. Francesco di Paola fra taumaturgia e medicina popolare, in AA.VV., Fede, pietà, religiosità popolare e San Francesco di Paola. Atti del II Convegno Internazionale di Studio, Paola 7-9 dicembre 1990, Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 1992, p. 271.

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applicando sulla ferita polvere presa dalla cella dello stesso frate e un’erba, detta “unghia

cavalla”. Il barone constatò la guarigione strada facendo, lasciando nello stupore anche i

medici che lo avevano avuto in cura. Addirittura un chirurgo di Cosenza provò ad utilizzare la

stessa erba nella cura di altri malati, senza ottenere alcun giovamento e così fu chiaro che la

guarigione di don Giacomo fosse avvenuta per intercessione del Paolano201.

In diverse altre circostanze, l’uso delle erbe viene fortemente consigliato, ma poi è

evidente come non sia determinante per l’ottenimento della guarigione. Ad esempio, Chiara

Carbonello era rimasta paralizzata e venne portata dai familiari al convento di Paola. San

Francesco, appena li vide, li asperse con acqua santa e consigliò loro “di raccogliere delle

ortiche, di cuocerle e di metterle sulle mani della paziente, una volta tornati a casa”. Tuttavia,

lui stesso temporeggiò intrattenendoli. La giovane si fece mettere a terra dalla donna di

servizio per poter fare i suoi bisogni, e senza applicare le ortiche si trovò in piedi guarita202.

Un caso molto particolare è quello raccontato da Pietro Cestaro, di Paola, il quale, feritosi

ad un occhio, corse a Paterno. San Francesco ordinò ad un frate di prendere dell’assenzio, di

ridurlo in polvere e di applicarla sull’occhio. A questo punto, Pietro mosse un’interessante

osservazione: “Ma, Padre, di questa erba bianca, che Voi dite, a Paola se ne trova in

abbondanza; c’è bisogno di portarla di qua?”. “Voglio che porti questa erba di qua e abbi

buona fede”, rispose il frate. L’uomo non se lo fece ripetere, raccolse l’assenzio e prese la

strada del ritorno, ma guarì senza farne uso203.

Francesco non dice mai che la guarigione avviene solo per le proprietà dell’erbaggio

consigliato, ma dà importanza all’ubbidienza dei malati, in quanto atto di fede. Quando gli

viene portata la sorella di Antonio Zarlo, sofferente per un male al collo che le impediva

finanche di sollevare la testa, san Francesco lo invita a portargli un’erba, detta “centauria”,

che cresceva vicino alla fornace della calce e dice loro: “porta [l’erba] qui da me, sperando

che, se voi avrete fede nel Signore, Egli vi farà la grazia”. Lui stesso tritò l’erba con una pietra

e ne pose un pizzico sotto il naso della malata, la quale si addormentò. Al suo risveglio, dopo

un’ora, era guarita204.

Ancora, donna Perna Signorello di Paola, racconta di essere stata portata dalla madre al

convento per ottenere la guarigione da un brutto male, chiamato “muro”, che le gonfiava tutta

201 CPC, t. 1. Gli avvenimenti sono testimoniati da don Galeazzo di Tarsia, figlio di Giacomo, e dal loro domestico, Francesco de Marco, quest’ultimo testimone diretto dei fatti (CPC, t. 2). 202 CPC, t. 36. Dello stesso tenore le testimoniane in CPC, tt. 69, 74, 76. 203 CPC, t. 27. 204 CPC, t. 30. La guarigione tramite uso di alcune piante è testimoniata anche in CPC, tt. 77, 84.

56

la faccia e il petto. San Francesco consigliò loro diversi medicamenti, ma la madre,

impossibilitata a procurarsi quanto suggerito, gli disse: “per carità; basterebbe che voi la

toccaste con il solo vostro abito e mia figlia sarà guarita”. Sorridendo, san Francesco accostò

un lembo della sua tonaca alla ragazza, che la mattina dopo si trovò perfettamente guarita205.

Un episodio analogo è raccontato anche dal nobiluomo Luigi Schentemo di Paola, il cui

nipote guarì al solo contatto con gli indumenti indossati dal Frate. Disse esattamente che

“appena toccati [gli abiti] il ragazzo cominciò a ridere e a scherzare; si eresse su se stesso e

prese a camminare”206.

Non mancano, nei processi, casi in cui la guarigione avvenne anche senza ricorso ad

alcuna erba. Roberto de Burgis207 e sua moglie si recarono a Paterno per chiedere

l’intercessione del Frate affinché guarisse la mano inferma di lui. La donna, insistendo, vinse

la ritrosia del marito, che non credeva che l’intervento di Francesco potesse ridare vita alla

sua mano destra, paralizzata e deforme da ormai due anni, con la conseguente inattività

lavorativa. Quando i coniugi giunsero a destinazione, lo trovarono nell’orto, sotto una quercia

e gli chiesero “un qualche rimedio” che potesse guarire l’uomo. Evidentemente era noto che il

frate faceva ricorso a medicamenti a base di erbe, ma questa volta non diede alcun consiglio

del genere e l’uomo si trovò guarito la notte seguente. E’ interessante notare, però, come il

Santo, in questo caso, sottolineò l’importanza della mano di quell’uomo, che agiva per il bene

della Chiesa. Il de Brugis – che al momento di deporre al processo canonico mostrava ancora i

segni di quella deformità guarita – si qualificò come “buono scrittore di libri ecclesiastici”.

Quando Francesco gli prese la mano ancora inferma, disse solo “Peccato! ad avere così la

mano, la quale tanto bene deve ancora fare!”. E così, quando il de Burgis nella notte si

accorse di essere stato sanato, “con somma gioia, si levò in camicia da notte, come si trovava,

e volle provare a scrivere; impugnava la penna perfettamente come prima e così per tutti i

suoi anni residui, fino ad oggi, pur in età avanzata”. Il giorno dopo volle andare nuovamente a

Paterno per ringraziare il frate in un’esplosione di gioia e questi, ancora una volta, si mostrò

misericordioso verso quell’uomo a cui disse: “Va’ e scopa adesso casa tua, cioè la tua

coscienza, e, sii un buon cristiano”208.

205 CPC, t. 45. 206 CPC, t. 53. 207 CPC, t. 5. 208 Ibidem.

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A conclusione opposta si dovrebbe giungere considerando la testimonianza del nobile

Giacomo Curto di Paterno, in base al quale l’uso di medicine naturali era essenziale per la

guarigione. Questi attesta di essersi recato da frate Francesco per chiedere intercessione per

sua cognata, donna Angela di Figline, in fin di vita a causa di un blocco renale. Lo trovò nel

bosco e gli espose i fatti. Vale la pena di seguire il racconto del testimone, perché è uno dei

pochi casi in cui Francesco appare in difficoltà: si stringe nelle spalle e si scusa perché “ non

sapeva cosa dirgli o che cosa dargli, lì, lontano dal convento, dove aveva qualcosa di utile per

l’ammalata”. Da queste parole emerge chiaramente come il Frate desse una grande

importanza allo strumento naturale utilizzato, e anche come attribuisse particolari qualità

proprio alle erbe che lui coltivava in convento, luogo a lui particolarmente caro. Il racconto

però continua. “Sempre stringendosi nelle spalle […] con sincera umiltà, distese le mani per

terra e colse un cespo di fragole ai piedi di una quercia”, lo ripulì e lo inviò alla malata

“perché ne gustasse per devozione”. Giacomo restò assolutamente sbigottito da quel gesto,

che gli parve prodigioso. Infatti, aveva osservato bene e non aveva visto né radici né erba da

cui potessero spuntare le fragole, “che erano già mature da potersi mangiare; non solo, ma,

guardandosi d’attorno, quello non era terreno adatto per tale frutto”. Ad ogni modo, mangiate

le fragole, la donna guarì naturalmente209.

Da molti altri episodi contenuti nei processi si ha la chiara percezione che Francesco non

utilizzasse erbe a caso, anche se, ancora una volta, non si può ridurre il suo intervento a quello

di un semplice fitoterapista.

Racconta il testimone Antonachio come una volta Francesco stesse discutendo con un

sacerdote forestiero sulle proprietà mediche di una certa erba. L’ospite restò stupito di tanta

certezza e ne chiese spiegazioni. Le parole esatte che utilizzò nella sua risposta sono: “Non

sapete voi che a coloro che servono Dio perfettamente e osservano i suoi comandamenti, le

erbe, spontaneamente, per loro natura, rivelano le loro virtù?”210. Indubbiamente si potrebbe

pensare che il testimone novantacinquenne, sebbene presente ai fatti, abbia potuto ricordare

male, ma questo principio è davvero molto innovativo, perché dà luce alla relazione tra Lui e

le erbe. Da una parte Francesco, che ha rotto con il peccato per diventare perfetto servitore di

Dio e dall’altra le creature che hanno un ruolo attivo: sono loro, “spontaneamente” e “per loro

natura”, a rivelare a Francesco le proprie virtù. Dunque, è come se stesse dicendo che lui

conosce le qualità terapeutiche delle piante perché esse stesse gliele svelano in maniera 209 CPC, t. 88. 210 CPC, t. 6.

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trascendente e che questo dialogo avviene perché il perfetto servo di Dio è capace di ascoltare

tutti, erbe comprese.

Gianni Iacovelli ha tentato di affrontare un’analisi metodologica dell’attività guaritrice di

san Francesco in base alla quale sono emersi alcuni elementi essenziali: malattia grave e

incurabile, pietà per le sofferenze e riconoscimento della necessità di un intervento miracoloso

del Frate; secondo l’Autore,gli strumenti usati per la guarigione sono: preghiera, invito alla

fede e l’uso di “un mezzo intermediativo”, ossia piante o altro; ricorso alle erbe che, secondo

lo storico della medicina, rappresenta l’elemento più originale dell’attività taumaturgica di

Francesco211.

A questo schema descrittivo, alquanto efficace, bisognerebbe aggiungere la volontà di

Dio, che è sottointesa, ma che vale la pena di evidenziare e che si comprende meglio

considerando l’opera complessiva di Francesco, affinchè sia chiaro che non assecondava certo

la guarigione delle persone per compiacerle, ma, come usava ripetere, per dar corso alla

volontà di Dio.

Quando, infatti, si parla di san Francesco, si pensa sempre ai numerosi miracoli ottenuti

per sua intercessione, mentre si tende a sorvolare su tutti quegli episodi (invero molto pochi

rispetto alle guarigioni) in cui il buon Frate non corrispose alle aspettative dei fedeli,

limitandosi a profetizzare il loro ineluttabile destino; uno su tutti la mancata guarigione di re

Luigi XI. Eppure questi aveva smosso la diplomazia europea pur di averlo a corte e aveva

sperimentato ogni mezzo per accattivarsi i favori del buon Frate. Tuttavia, stando alle

cronache, Francesco usava rispondere sempre che la sanità e la vita del re, come quella di

chiunque altro, era nelle mani di Dio212. Disse di no anche all’amico Luigi de Paladinis, che

chiedeva la grazia per il suo figliolo malato, rispondendogli: “Iddio, nostro Signore, lo vuole

presso di sé”213. Di fronte alla richiesta di intercedere per due fratelli malati mandò a dire:

“Per quello che si chiama Luca, il Signore s’è benignato di fargli già la grazia, per l’altro, cioè

Nicola, il Signore lo vuole con sé; quindi andar potete, perché Luca guarirà, a Nicola poi

direte che provveda a tener pulita la casa, cioè la coscienza”214.

211 G. IACOVELLI, Il miracolo della sanità in S. Francesco di Paola fra taumaturgia e medicina popolare, in AA.VV., Fede, pietà, religiosità popolare e San Francesco di Paola. Atti del II Convegno Internazionale di Studio, Paola 7-9 dicembre 1990, Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma, 1992, pp. 273 e 279. 212 Cfr. G. ROBERTI, Op. cit., p. 407. 213 CPC, t. 4. 214 CPC, t. 10. Casi analoghi in PCal, tt. 24 e 97 e CPT, t. 20.

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Dunque una costante c’è, ed è il compimento della volontà di Dio, essenza dell’agire di

Francesco, cui si uniforma di volta in volta. In tutte queste narrazioni, più che la regolarità,

emerge la creatività di questo umile uomo di Dio, che risponde fedelmente alle sollecitazioni

dello Spirito, assecondandone la creatività. In quest’ottica, l’erba utilizzata da Francesco si

può considerare come uno strumento mistico di guarigione, che ha sicuramente una sua

dignità creaturale, ma che va contestualizzata nel messaggio universale d’amore che il Santo

ha diffuso con le sue opere.

A tal proposito, Giovanni Paolo II – non è sfuggito a Daniele De Rosa215 - ha osservato

come Francesco di Paola, pur non essendo dotto, sia stato un perfetto conoscitore della

scienza, ma non quella comune quanto piuttosto la “scienza dei santi”216. Concetto,

quest’ultimo, che individua quell’insieme di intuizioni dei misteri del Dio vivente, di

sapienza, di doni dello Spirito Santo, che diventano punto di riferimento del pensiero

teologico217.

215 D. DE ROSA, San Francesco di Paola. Mistico …cit., p. 65. 216 GIOVANNI PAOLO II, Omelia Concelebrazione eucaristica per i Religiosi e le Religiose (5 Ottobre 1984). Tale aspetto è stato approfondito da D. DE ROSA, San Francesco di Paola. Mistico …cit., pp. 65 e ss. 217 BENEDETTO XVI, Udienza Generale (21 ottobre 2009). Il discorso sulla “scienza dei santi” è riferito a san Bernardo di Chiaravalle.

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Appendice: In pellegrinaggio sulle orme di Francesco alla ricerca dell’ecologia integrale

Non abbiate paura di sognare cose grandi!

papa Francesco

Dopo aver in qualche modo osservato da vicino la relazione tra san Francesco e il creato,

non resta che da interrogarsi su come sia possibile, oggi, perseguire l’obiettivo della

conversione ecologica integrale. E’ necessario riprendere contatto con la natura e con la

propria coscienza, interrogarsi sulla propria vocazione di custodi del creato e sulle

responsabilità che ciascuno ha in questa crisi ecologica.

Quando Francesco, da ragazzino, ebbe bisogno di discernimento, si mise in viaggio,

seguendo il richiamo dei luoghi ove riteneva che maggiore sarebbe stato il richiamo spirituale.

Allo stesso modo, si potrebbe concepire un pellegrinaggio “ecologico” nei luoghi di san

Francesco di Paola, per riappropriarsi delle proprie radici e della propria identità di cristiani;

un’esperienza accattivante, per certi versi, che sia in grado di coniugare il contatto con la

natura con la crescita spirituale.

Un pellegrinaggio così concepito dovrebbe avere i tempi necessari per il silenzio e per

l’ascolto al fine di fare esperienza di interiorità, senza tralasciare gli aspetti della socialità e

dell’arricchimento culturale

Nei pellegrinaggi, il senso della mèta deve corrispondere all’annuncio della risurrezione.

L’arrivo al Santuario di Paola, dunque, dovrebbe essere presentato non come il luogo ove

Francesco costruì la chiesa e fece tanti miracoli, quanto piuttosto come il luogo in cui un

uomo, trascorrendo anni in penitenza, preghiera e digiuno, nel silenzio e nell’ascolto, ha

incontrato il Risorto e ha accettato di compiere la volontà divina, divenendo così santo. La

meta può essere intesa anche in chiave sacramentale: eucaristia e riconciliazione.

61

Percorsi ecologici

1. L’orto di san Francesco:

Accurate ricerche storiche e botaniche dovrebbero individuare le erbe coltivate dal Santo.

Si dovrebbe poi individuare il luogo ove Francesco si dedicava alla cura delle piante e

ripristinarlo. Si potrebbe creare così un giardino didattico di colture biologiche.

2. Percorso nei boschi

Ripercorrere gli itinerari compiuti da Francesco, a iniziare dal percorso Paola-Paterno.

3. La risalita dell’Isca

Giungere al Santuario risalendo dal mare attraverso il torrente Isca

4. La via del fuoco

Catechesi, laboratori artistici, eventi culturali

Tali percorsi dovrebbero essere concepiti con le seguenti finalità: - prendere contatto con

la natura - rispettare la natura e l’uomo stesso attraverso la cura della terra e la corretta

alimentazione; - sperimentare il lavoro manuale come pratica ascetica; - rispondere al

consumismo con il volontariato; - mettersi in cammino alla ricerca della volontà di Dio; -

sottomettere il corpo allo spirito.

62

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