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Christopher Nolan, Un Nuovo Sguardo

Date post: 30-Nov-2023
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Dipartimento dei Beni Culturali: Archeologia, Storia dell’Arte, del Cinema e della Musica Corso di Laurea Triennale in Discipline dell’Arte, della Musica e dello Spettacolo Christopher Nolan Un nuovo sguardo Relatore Laureando Prof. Alessandro Faccioli Raffaele Morini Matricola 1053463 Anno Accademico 2014-2015
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Dipartimento dei Beni Culturali: Archeologia, Storia dell’Arte, del Cinema e della Musica

Corso di Laurea Triennale in

Discipline dell’Arte, della Musica e dello Spettacolo

Christopher Nolan Un nuovo sguardo

Relatore Laureando

Prof. Alessandro Faccioli Raffaele Morini Matricola 1053463

Anno Accademico 2014-2015

Agli audaci,ai pionieri,

ai precursori dei tempi, a tutti coloro che sono andati oltre l’orizzonte,

senza di loro non avremmo visto il futuro.

L’unico vero viaggio verso la scoperta non consiste nella ricerca di nuovi paesaggi,

ma nell’avere nuovi occhi.

Marcel Proust

Indice

Introduzione

Prima parte Prestigiatore di storie - Vita e opere di Christopher Nolan - Primi anni - Following- Memento - Insomnia- The Dark Knight Trilogy - The Prestige- Inception e oltre

Seconda parteStile, temi e motivi - Rompere e creare regole - Rompere gli schemi - Family - Blockbuster d’autore- Labirinti - Creare nuove regole

Terza parte Interstellar - A Brave New World - Origini- La materia narrativa - Un approccio realistico - Influenze culturali - Densità narrativa- Macchine del tempo - Ambizioni - Essere genitori - Solitudine- Il male- La fede nell’uomo - Pionieri

Analisi della sequenza: Alfa e Omega

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Appendici- Filmografia di Christopher Nolan - Scritti e interviste di Christopher Nolan - Tavole

Bibliografia

Sitografia

Filmografia generale

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Introduzione

Nel 2015 Christopher Nolan è stato inserito nella lista delle 100 persone più influenti

del mondo stilata ogni anno dal «Time». Michael Caine presenta Nolan con queste parole:

From Batman Begins to Interstellar, I did six blockbusters in a row with Christopher Nolan. I don’t think I’ve done two blockbusters in a row with any-one else. I used to call him the new David Lean, but he’s not. He’s the Christopher Nolan. Aside from being a brilliant director, he’s a brilliant screenwriter with an element of surprise and an intelligence that’s quite extraordinary. Just when you think that’s where we’re going, he says, «Let’s go over there».Christopher is very secretive, and each film has a code title. He had us call Incep-tion by the name Oliver’s Arrow. On the set, no matter how hot it is, he wears an overcoat and sips tea all day. You wouldn’t be able to pick him out as the director. There’s no shouting and screaming—he’s a very quiet gentleman. If you get it wrong, you just do it again. It’s like working with a philosopher.1

Pochissimi registi hanno creato una narrazione così potente e originale da caratterizzare

un’intera generazione, ancor meno quelli che si sono imposti nel mercato. Christopher Nolan

è con tutta probabilità l’autore più rappresentativo del nuovo secolo. Passato nel giro di

pochissimo tempo dalle produzioni indipendenti del cinema inglese ai blockbuster americani

con incassi da milioni di dollari. Le sue opere hanno raccolto gli apprezzamenti trasversali di

tutta la critica. L’arditezza e la forza dei suoi racconti sono stati tali da farli entrare di diritto

nella Storia del cinema. La filmografia di Nolan può essere assunta ad esempio della pro-

duzione del nuovo millennio con film che hanno saputo anticipare temi e reinventare generi,

a partire da Memento fino ad arrivare Interstellar, passando dalla trilogia del Cavaliere oscuro,

The Prestige e Inception. Leonard Shelby, il detective Dormer, Bruce Wayne, Borden e Angier, i

due Cobb, Cooper, sono personaggi che hanno lasciato un segno indelebile nell’anima dello 2

spettatore.

Accostandosi, anche per la prima volta, a un’opera di Christopher Nolan si percepisce

subito di avere di fronte uno sguardo nuovo, profondamente diverso da quello di qualsiasi al-

tro autore contemporaneo. Con i suoi film ha coniugato con successo cinema d’autore e

blockbuster, ardite riflessioni sulla realtà e puro intrattenimento, mostrando a tutti che una

Michael Caine, Christopher Nolan, «Time», 16 aprile 2015 1

http://time.com/3822892/christopher-nolan-2015-time-100/

Sia in Following che in Inception abbiamo un personaggio con lo stesso nome, ed entrambi fanno i ladri.2

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terza via non solo è possibile ma desiderabile ed estremamente funzionale. Oggi Nolan, gra-

zie ai suoi lavori, è uno degli autori con più indipendenza dell’intero mercato hollywoodiano,

l’unico a potersi permettere budget da centinaia di milioni di dollari senza dover scendere a

compromessi con una casa di produzione.

Il cinema di Nolan parla del nostro tempo ma il suo è uno sguardo così profondo da

prescindere dalla nostra epoca. Quegli elementi, che consideriamo a noi peculiari, vengono

analizzati così minuziosamente da mostrarci gli universali che sottendono. Il suo è un lavoro

che vuole andare oltre i confini del cinema, della produzione e del racconto tradizionali.

Nolan esplora, immagina, prova continuamente nuovi approcci senza dimenticare il punto di

arrivo del suo lavoro: il pubblico in sala. La maestria e la naturalezza con cui riesce a dom-

inare il suo mezzo lascia senza parole.

Porsi di fronte all’opera di Christopher Nolan può essere disarmante. A guidare la mia

analisi è stato il profondo e sincero desiderio di trasmettere ad altri la bellezza, la bontà e sin-

cerità che ho trovato nel suo lavoro. Le pagine che seguono sono divise in tre parti. La prima

è una veloce panoramica sulla carriera e le opere del regista. La seconda, invece, cerca di in-

dividuare i caratteri peculiari del suo stile, i temi ricorrenti e i motivi con cui li rappresenta.

Particolare attenzione è stata dedicata anche al modo con cui Nolan realizza i sui film dato la

forte discontinuità rispetto al panorama produttivo hollywoodiano. La terza, e ultima parte, è

un’attenta e dettagliata analisi di Interstellar, un’opera che è punto di arrivo di molte delle rif-

lessioni iniziate nei film precedenti. Al contempo questo film è l’iniziatore di un nuovo corso

che esplora argomenti e situazioni fin ora sconosciute a Nolan. 3

Nelle appendici sono presenti tre documenti che ho ritenuto fondamentale riportare per intero essendo fonti 3

dirette, essenziali per un qualsiasi approccio al pensiero di Nolan, in particolare riguardo ad Interstellar.

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PRIMA PARTE

Prestigiatore di storieVita e opere di Christopher Nolan

I film sono soggettivi, alcuni ti piacciono, altri no. Ma la cosa che per me è assolutamente fondamentale è che quando vado al cinema,

pago e mi siedo a guardare un film, voglio sentire che le persone che hanno fatto il film pensino che sia il miglior film del mondo,

che vi abbiano riversato tutto e lo amino realmente. Anche se io non sono d’accordo con quello che hanno fatto, voglio sentire la sincerità.

E quando non succede, è come se stessi sprecando il mio tempo.4

Christopher Nolan

Primi anni

Christopher Jonathan James Nolan nasce il 30 luglio 1970 a Londra da padre inglese e

madre americana. Secondo di tre fratelli trascorre l’infanzia spostandosi tra Londra e Chica-

go dove passa interi pomeriggi al cinema a vedere le grandi produzioni hollywoodiane per poi

raccontare i film agli amici oltreoceano. Dimostra fin da subito un interesse per le immagini

in movimento girando all’età di sette anni piccoli cortometraggi con la Super 8 del padre, a

undici sapeva già di voler intraprendere la carriera di regista.

Si forma prima al Haileybury and Imperial Service College poi si iscrive all’University

College di Londra, che all’epoca offriva ai suoi alunni una Steenbeck per montare i film e

telecamere 16 mm. Contrariamente alle aspettative non frequenta un corso impostato sul-

l’immagine, ma preferisce studiare la letteratura che «gli sembrava allora ben più capace di

innovare le strutture narrative, superando certe rigidità delle sceneggiature classiche». Du5 -

rante gli anni del college muove i primi passi verso il grande schermo. Diventa presidente del-

l’Union’s Film Society, gira tre cortometraggi e conosce Emma Thomas, sua futura moglie e

produttrice. Il primo lavoro, Tarantella (1989), è un racconto surreale che viene trasmesso an-

che dalla PBS (Public Broadcasting Service), un’emittente indipendente americana. Il secondo

Personal Quotes, «IMDb», 2015 4

http://www.imdb.com/name/nm0634240/bio?ref_=nm_ql_dyk_1#quotes

Matteo Treleani, Christopher Nolan, in «Mymovies», 2015 5

http://www.mymovies.it/biografia/?r=17035

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è Larceny (1995) con cui inizia il sodalizio con l’attore Jeremy Theobald che durerà fino al suo

primo lungometraggio. Terzo e più importante lavoro è Doodlebug (1997) il corto in cui Nolan

inizia a giocare con i doppi. Siamo in una stanza dove un uomo cerca di uccidere un insetto,

per poi scoprire che quell’insetto non è altro che se stesso. Oltre ai chiarissimi rimandi a Kaf-

ka, in questi 3 minuti possiamo già cogliere la volontà di giocare con le strutture che gover-

nano la storia, in questo caso quelle spaziali. Questo percorso porterà il regista a creare

metastrutture narrative in continuo dialogo con il loro contenuto.

Following

Following è l’esordio al lungometraggio di Nolan. Il budget di 6000 dollari viene speso

quasi esclusivamente per la pellicola 16 mm in bianco e nero. Attori e collaboratori sono ami-

ci e colleghi del regista che lo aiutano durante il tempo libero. Potendo girare solo nel fine set-

timana la lavorazione dura più di un anno. Il film esce nel 1998, partecipa a vari festival dove

viene accolto con entusiasmo vincendo tra gli altri il Tiger Award al Rotterdam International

Film Festival e il Black and White Award al Slamdance Film Festival. La storia ruota attorno 6

a Bill, un aspirante scrittore in cerca di idee che passa le giornate a pedinare casualmente

delle persone fino a quando non si imbatte in un elegante ladro di appartamenti di nome

Cobb che lo coinvolge nel suoi affari.

A segnare la storia, un classico quanto efficace noir con tanto di sorpresa finale, è il

montaggio non lineare della vicenda. Nolan ci racconta i fatti principali tralasciando i det-

tagli, che ci rivelano cosa sta accadendo veramente, mostrandoli solo nello scioglimento fi-

nale, un assaggio di quello che farà in The Prestige qualche anno più tardi. Qui Nolan inizia a

costruire il suo cinema, non ha ancora acquisito la sicurezza narrativa dei suoi film più maturi

ma inizia già quell’incessante opera di decostruzione narrativa che arriva fino a Interstellar. Le

novità sono già tutte qui, pronte a crescere ed esplodere nei film successivi. Quello che manca

è l’intelaiatura, uno schema nella struttura narrativa in grado di mettere ordine alle varie par-

ti, altrimenti slegate tra loro. Basterà aspettare solo due anni per avere un film come Memento,

che fa della struttura il suo elemento più significativo.

Nolan ha inoltre vinto il premio alla miglior regia al Newport Film Festival e il Best Film Feature al San Fran6 -cisco Film Festival. Following viene proiettato anche ad Hong Kong dove il regista arriva persino a chiedere dei finanziamenti per il suo prossimo film.

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Memento

Raggiunta una certa fama nel circuito festivaliero, Nolan riesce a uscire dall’autopro-

duzione entrando nel mercato professionale. Memento (2000) è tratto da un racconto breve del

fratello Jonathan, Memento Mori, che successivamente collaborerà alla stesura di molti dei suoi

film. Il protagonista è Leonard Shelby (Guy Pearce), un uomo che in seguito a un incidente è

incapace di assimilare nuovi ricordi. La sua esistenza è vissuta in un eterno presente il cui uni-

co scopo è trovare l’assassino di sua moglie, un certo John G. Per aggirare il suo handicap

Leonard escogita un complesso sistema di appunti, foto e tatuaggi con cui ricorda a se stesso

chi è e cosa deve fare. A spiazzare lo spettatore non è tanto la condizione del protagonista ma,

ancora una volta, l’intreccio della storia. Memento è raccontato al contrario: ogni scena che

vediamo è sempre successiva a quelle che vedremo dopo. In questo modo lo spettatore, non

sapendo cosa sia accaduto prima, prova la stessa sensazione di smarrimento del protagonista.

Il film è un’indagine sulla mente, la memoria e il corpo di Leonard, in pratica su tutto ciò che

lo identifica come persona. Dopo qualche scena iniziamo a capire quanto sia facile manipo-

lare Leonard, la pellicola stessa si rivela inaffidabile quanto i tatuaggi e i post-it del protago-

nista. Lo spettatore è spinto a interrogarsi sui meccanismi della propria mente fino a sollevare

dubbi sul testo filmico come mezzo di riproduzione del reale. In Memento i tradizionali schemi

narrativi vengono infranti. Il regista proseguirà queste sperimentazioni sul linguaggio in tutti i

suoi lavori, anche se non arriverà mai all’arditezza di questo film preferendo soluzioni ibride e

più accessibili al grande pubblico. Memento viene presentato alla Mostra del Cinema di

Venezia dove diventa fin da subito un caso. All’uscita nelle sale, grazie al passaparola degli

spettatori, ottiene un discreto successo commerciale trasformandosi in un cult. Riceve due

candidature ai premi Oscar, per la miglior sceneggiatura originale e il miglior montaggio,

senza riuscire a vincerne nessuno. Con quest’opera Nolan esce dal cinema indipendente im-

ponendosi all’attenzione del grande pubblico e di Hollywood. Sono i primi passi verso un

percorso che nel giro di pochi anni lo porterà al centro del sistema produttivo americano.

Insomnia

Dopo il successo di Memento, Nolan viene salutato come una rivelazione e tutti sono an-

siosi di vedere la sua nuova opera. In molti si aspettano un film originale che ricalchi i temi e

motivi che l’hanno portato alla ribalta della scena internazionale. Nolan spiazza tutti e accetta

di dirigere per la Warner Bros. il remake di un thriller svedese. Insomnia (2002) è solo il suo 7

Insomnia (1997) di Erik Skjoldbjærg 7

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terzo lungometraggio e ha già la possibilità di lavorare con attori del calibro di Al Pacino,

Robbie Williams, Hilary Swank. Il rischio di trasformarsi in un mero esecutore incapace di

imporre la propria visione è dietro l’angolo. Nolan tuttavia ha idee molto chiare su quello che

vuole ottenere da questo progetto. Prende fin da subito in mano la sceneggiatura facendo sua

la storia, creando piccole sfumature, lavorando sui dettagli, complicando e ampliando il mate-

riale di partenza. Il film che ne esce è molto più intenso, incisivo e complesso dell’omonimo

svedese.

Will Dormer (Al Pacino) è un famoso e rispettato detective che viene chiamato in Alaska

per risolvere l’omicidio di una giovane ragazza. In un agguato teso all’assassino, Will uccide il

suo collega Hap, non capendo se accidentalmente o meno. Walter Finch (Robin Williams), il

colpevole, assiste a tutta la scena e ricatta Dormer facendo emergere gli scheletri dall’armadio

del detective. Da questo momento inizia per Will un tormento interminabile aggravato dal

sole di mezzanotte che gli impedisce di dormire. Nolan trasforma le sicurezze del film origi-

nale nelle insicurezze e nei dubbi che affliggono i suoi personaggi . L’immagine fredda e

cristallina del cinema nordico si trasforma in una luce plumbea, ampliata ulteriormente da

una leggera sovraesposizione della pellicola. Il sole di mezzanotte e la nebbia impenetrabile

dell’Alaska diventano veri e propri personaggi, perfetti controcampi visivi del tormento (la

luce) e dei dubbi (la nebbia) del detective Dormer. A dominare l’interesse del regista sono i

paesaggi della mente con cui Nolan porta avanti alcuni dei sui temi più cari come la vendetta,

l’angoscia, il confine tra illusione e realtà, andando nelle zone d’ombra dove la semplice divi-

sione tra bene e male perde di significato. Nolan ci consegna un sottile thriller psicologico

combattuto con arguzia tra due menti e attori superbi.

The Dark Knight Trilogy

Appena saputo che la Warner Bros. voleva rilanciare il franchising di Batman Nolan si

mette subito al lavoro per ottenere il progetto. I primi materiali che presenta alla Warner fan-

no subito capire la diversità del suo approccio. Nolan vuole allontanarsi dalle atmosfere pop e

gotiche di Tim Burton e Joel Schumacher a favore di una rappresentazione più realistica,

cupa e drammatica. Proprio per prendere le distanze dai film precedenti Nolan propone un

reboot dell’intera saga azzerando completamente la narrazione e facendola partire dall’inizio.

Batman Begins esce nel 2005 e sarà il primo capitolo di una fortunatissima trilogia. La sceneg-

giatura, come in tutti capitoli successivi, si basa sulla tradizione apocrifa dei fumetti ad opera

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di autori come Frank Miller, Alan Moore, Dennis O’Neil e Jeph Loeb. Il racconto del primo 8

capitolo si concentra sugli anni giovanili di Bruce Wayne dove vengono esplorati i traumi e i

fatti che lo portano a diventare Batman. Nolan compie scelte coraggiose che lo distanziano

molto dal genere: riduce al minimo gli effetti in CGI preferendo la live action, si preoccupa di

creare un universo credibile, introducendo tematiche rimaste finora sconosciute che fanno

assomigliare Batman più ad un vigilante che ad un supereroe. Infine, cosa mai vista in un

cinecomic, Batman compare solo dopo un’ora di proiezione. Ad interessare Nolan non è tan-

to la figura del supereroe ma sopratutto quella di Bruce Wayne, l’uomo dietro la maschera.

Bruce è il vero perno su cui ruota e avanza tutta la saga nolaniana, Batman non ha nessun

potere se non la sua ricchezza. Cristian Bale interpreta un uomo insicuro, incapace di trovare

la sua strada e affrontare le sue paure. Batman Begins raccoglie un ottimo successo di critica e

di pubblico portando Nolan per la prima volta in testa al botteghino con un incasso di 370

milioni di dollari.

Nel 2008 esce il secondo capitolo The Dark Knight. Nolan porta avanti il percorso in-

trapreso con Bruce Wayne, questa volta ad attenderlo non ci saranno solo le sue paure ma il

caos fatto persona. Il Joker porta Batman sull’orlo della sua dissoluzione trasformandolo in un

Cavaliere oscuro costretto a scendere a patti con i propri principi. Il viaggio che Nolan ci pro-

pone va ancora più in profondità del capitolo precedente creando una narrazione corale dove

i vari personaggi si contrappongono in modo sempre nuovo. Il tema del doppio assume qui

un’importanza centrale, alla maschera di Batman vengono contrapposte quelle del Joker e di

Due Facce. I travestimenti sono innumerevoli da quelli dello stesso Joker che diventa infer-

miera, poliziotto e clown a quelli di Bruce, Alfred, Gordon e Rachel che indossano maschere

di menzogne davanti ai loro cari per proteggerli dal dolore. Joker destabilizza l’intera nar-

razione, sorprendendo lo spettatore con la sua inventiva e brutalità. Bruce dovrà dare fondo a

tutte le sue capacità per sgominarlo, il prezzo che pagherà per farlo sarà pesantissimo. A

costruire la storia intervengono tanti altri temi come quello dell’inganno, la pazzia, il caso,

l’anarchia. Un labirinto di personaggi, fatti e situazioni tenuto insieme da un sapiente mon-

taggio parallelo. La narrazione potente e densa, il ritmo sincopato, la magistrale interpre-

tazione di Heath Ledger nei panni del Joker fanno di quest’opera il più importante film

supereroistico di tutti i tempi. «La regia di Nolan è un’infinita, vertiginosa sorgente d’inven-

zioni filmiche e formali, capace di scandire un mondo rigidamente codificato con il grimaldel-

Tra le opere a cui Nolan si è ispirato per la sua saga ricordiamo: Batman: Anno uno di Frank Miller, Batman: Il 8

lungo Halloween di Jeph Loeb, Batman: The Killing Joke di Alan Moore, Batman: La vendetta di Bane e Batman: Sfida al demone entrambi di Chuck Dixon, Il ritorno del cavaliere oscuro di Frank Miller e infine la saga di Batman: Knightfall.

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lo del linguaggio». Questa pellicola ha saputo andare oltre il confine del genere creando un’9 -

opera senza tempo e nel tempo, il nostro, raccontandone i mali, le paure e le speranze. Al bot-

teghino The Dark Knight supera il miliardo di dollari e viene osannato dalla critica. Dopo tanto

successo sembra davvero difficile poter creare una continuazione all’altezza.

La trilogia si chiude nel 2012 con The Dark Knight Rises che, sebbene non raggiunga gli

apprezzamenti del capitolo precedente, ne è una degna conclusione. Nolan, reduce dalla re-

gia di Inception, crea una narrazione altrettanto sofisticata dove i salti spazio-temporali a cui ci

sottopone il montaggio sono davvero ardui. Di fronte a noi abbiamo uno scenario molto di-

verso da quello dei capitoli precedenti. Sono passati otto anni dalla morte di Harvey Dent,

Bruce Wayne non si fa più vedere in città, tutti i criminali sono rinchiusi ad Arkham: Gotham

sembra non avere più bisogno di Batman. Sullo sfondo però si addensano nubi scure, è in ar-

rivo una tempesta che riporterà alla luce fantasmi sepolti nel passato. Il nemico questa volta è

Bane, nuovo volto della Setta delle Ombre, che dopo appena un’ora di film mette fuori gioco

Batman e getta Gotham nell’anarchia più totale. Il resto della pellicola è una faticosa risalita

dagli abissi, la storia di una città e un uomo che perdono tutto, persino la loro identità per poi

poterla ritrovare. Una perfetta chiusura, densissima di collegamenti ai film precedenti, che

porta a compimento il percorso di Bruce Wayne, ora finalmente libero dalle sue paure e ca-

pace di iniziare una nuova vita lontano da Gotham e dal suo passato.

The Dark Knight Trilogy ha ridefinito le regole del genere imponendo uno sguardo realista

nel cinecomic. Gli effetti speciali live action, come le ricostruzioni dal vero, i modelli in scala e i

trucchi ottici, prendono il posto del green screen per creare immagini più coinvolgenti e realis-

tiche. Acquista nuova importanza la psicologia dell’eroe, non più cavaliere incorruttibile ma

un uomo nel cui animo si celano mostri più spaventosi di quelli che deve combattere. Il Bat-

man di Nolan ha dato l’inizio ad un revival dell’intero genere, fagocitando una grossa fetta del

cinema mainstream e non. Al di là di alcune prove interessanti (Chronicle, Watchmen), all’oriz-

zonte non si è visto ancora nessuna opera in grado di raggiungere la stessa profondità e

potenza della trilogia nolaniana.

The Prestige

Dopo il successo di Batman Begins Nolan propone un suo progetto alla Warner: la traspo-

sizione di The Prestige dall’omonimo romanzo di Christopher Priest. Spesso trascurato nella

sua filmografia, The Prestige (2006) è forse il film più personale di Nolan. La vicenda ruota at-

Massimo Zanichelli, Christopher Nolan, Il tempo, la maschera, il labirinto, Edizioni Bietti, Milano, 2015 pag. 1389

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torno alla sfida di due illusionisti, Robert Angier e Alfred Borden. Entrambi desiderosi di rag-

giungere l’immortalità attraverso la fama, applicano anima e corpo in questo intento, fino a

sacrificare la loro stessa vita. Come ha ben sottolineato Leonardo Gandini, con The Prestige

Nolan mette a fuoco «il DNA del cinema […]: l’esorcismo della morte e la duplicazione». 10

Attraverso la lotta tra i due illusionisti Nolan instaura una profonda riflessione sulle origini del

cinema e sulle sue peculiarità più profonde. Gli spettacoli di magia, insieme a decine di altre

attrattive come la lanterna magica, il Mondo nuovo, lo zootropio, il teatro ottico e quello delle

ombre, affollavano le fiere di fine ottocento e sono i diretti antenati delle proiezioni cine-

matografiche. Per parlare del cinema Nolan non ne racconta l’origine ma la sua preistoria, il

mondo da cui ha preso forma. L’intero film, diviso in tre atti come un numero di magia (la

promessa, la svolta e il prestigio), è un inganno adoperato ai danni dello spettatore costretto a

scorrere la pellicola alla ricerca di quegli indizi in grado di dargli la soluzione del puzzle. A

stupire non sono i fatti in sé, quanto il modo in cui vengono raccontati: la narrazione è la più

grande arma che un regista abbia a disposizione. Con The Prestige Nolan si dimostra ancora

una volta un ‘prestigiatore di storie’ in grado di dominare ogni aspetto del suo mezzo, con-

segnandoci una narrazione densa, ingegnosa ed elegante.

Inception e oltre

Dieci anni dopo Memento Nolan torna al cinema con un soggetto totalmente originale.

Un film meditato ed elaborato da tempo, che non ha voluto girare prima di aver raggiunto

l’autonomia e le capacità produttive necessarie. Dopo l’enorme successo di The Dark Knight,

riceve dalla Warner un budget di 160 milioni per realizzarlo. Inception (2010) ha per protago-

nista un altro ladro di nome Cobb, lo stesso nome del personaggio di Following. Cobb tuttavia

è un ladro molto particolare: estrae informazioni dal subconscio entrando nei sogni delle per-

sone. Nolan mette in scena un racconto sull’onirico dandogli la profondità di un libro di

Borges e l’azione di un film di 007. La costruzione della pellicola, per quanto complessa, è

impeccabile. In Inception motivi più cari al regista prendono dimensioni esponenziali. I labirin-

ti, l’incertezza del reale, l’identità, formano un’intricatissima rete di incastri e scatole cinesi.

Come The Prestige anche Inception può essere letto in chiave metacinematografica. La squadra

di Cobb è organizzata come produzione cinematografica: Cobb è il regista, Arthur è il pro-

duttore esecutivo, Arianna è lo scenografo, Eames è l’attore, Saito è lo studio e Fischer è il

Leonardo Gandini, Il DNA del cinema in Roy Menarini (a cura di), Cinema senza fine, Un viaggio cinefilo attraverso 25 10

film, Mimesis, Milano, 2014, pag. 93

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pubblico. L’intero film è un tentativo di innesto allo spettatore al quale viene instillata l’idea 11

che la realtà che lo circonda non è reale, una cosa molto simile a quello che accade nel film.

Ecco dispiegata in tutta la sua grandezza la potenza del cinema, capace di intrattenere e far

sognare ma, più di ogni altra cosa, cambiare il nostro sguardo sulla realtà.

Inception è probabilmente il film più riuscito di Nolan in grado di creare una narrazione

perfettamente chiusa in se stessa e al contempo ricchissima di rimandi. Lo sguardo di Nolan è

sempre critico, multiforme, perfettamente conscio del mezzo con cui lo veicola. Il regista

vuole farci riflettere sulla natura stessa del cinema, dei sogni, della nostra realtà, mostrandoci

come queste tre componenti siano talmente simili da poter essere confuse. Inception vende

biglietti per più di 800 milioni di dollari, un’impresa ragguardevole visto il tema inusuale. La

conquista e il distacco da Hollywood può dirsi finalmente compiuto.

Dopo aver chiuso la saga del Cavaliere oscuro nel 2012, Nolan continua il percorso in-

iziato con The Prestige e Inception. Non dovremmo aspettare molto prima che la manipolazione

dello spazio-tempo narrativo si traduca in un tentativo che rispetti la fisica del nostro univer-

so. Per spingersi ai limiti delle nostre quattro dimensioni la destinazione non poteva che essere

lo sconfinato spazio interstellare. Interstellar è l’ultimo capitolo di un ideale trilogia che Massi-

mo Zanichelli ha chiamato «dell’eterno ritorno». Nolan indaga il tempo nelle sue varie 12

forme come metro narrativo (The Prestige), percettivo (Inception) e umano (Interstellar). Tuttavia la

quarta dimensione rimane per il regista soprattutto uno strumento fondamentale per l’arte

cinematografica. Con questi racconti Nolan ci mostra che il tempo, se ben utilizzato, è in

grado di ingannare non solo lo spettatore ma la morte stessa.

Oggi Nolan è un punto imprescindibile nel panorama cinematografico mondiale, ogni

suo film è atteso da milioni di persone. La Warner ha trasformato il regista stesso in un fran-

chising cinematografico. Con solo nove film all’attivo è stato in grado di imporsi con racconti

e immagini fuori dall'ordinario riscrivendo generi (The Dark Knight Trilogy) e inventandone di

nuovi (Inception, Memento). Il suo è un modo di intendere e fare il cinema diverso da ogni altro.

Jeff Jensen, 'Inception': Behind the scenes of a movie about movies and the mind of its maker, «Entertainment Weekly», 24 11

luglio 2010 http://www.ew.com/article/2010/07/24/behind-the-scenes-of-inception-a-movie-about-movies%25e2%2580%2594and-the-mind-of-its-maker

Massimo Zanichelli, Christopher Nolan, Il tempo, la maschera, il labirinto, Edizioni Bietti, Milano, 2015 12

pag. 231

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SECONDA PARTE

Stile, temi e motivi Rompere e creare regole

Dunque lo stile è una forma, ma una forma quasi naturale, organica, che partecipa dello Zeitgeist e riflette lo spirito della collettività

concentrato in un individuo.13

Vincenzo Buccheri, Lo stile cinematografico

Jameson nella sua Logica culturale del tardo capitalismo individua nell’oggetto artistico post-

moderno quattro caratteristiche: 14

- mancanza di profondità a favore di un’estetica della pura superficie;

- lo stile è assente mancando una soggettività forte;

- nell’indebolimento della prospettiva storica, tutto è schiacciato nel presente;

- all’arte è negato qualsiasi orizzonte interpretativo, relegandola a pura sensazione.

Questi quattro punti ci consentono di vedere per antitesi quanto il lavoro di Nolan si

discosti dal panorama cinematografico contemporaneo:

- I racconti e i personaggi che Nolan ci mostra sullo schermo vengono da molto lon-

tano. Essere profondi significa andare all’origine delle dinamiche e delle questioni per poter

poi tornare indietro e dire qualcosa di nuovo che nessun altro ha ancora detto. Ciò non vuol

dire che l’aspetto visivo venga ignorato, anzi. Al contrario di altri che concentrano l’atten-

zione solo sulle immagini, Nolan tocca questo aspetto solo dopo un lungo processo che

parte dai nodi profondi della vicenda. Nei suoi lavori ogni elemento che vediamo sottende

sempre un’idea e una riflessione.

- The Prestige, The Dark Knight Trilogy, Inception, Interstellar prima di essere dei blockbuster

con incassi da milioni di dollari sono film di Christopher Nolan, con tutta la forza di un au-

tore che è in grado di imporre la propria visione nel mercato. Le sue opere sono un’autenti-

ca espressione dalla sua personalità, del suo io, in altre parole del suo stile.

Vincenzo Buccheri, Lo stile cinematografico, Carocci, Roma, 2010, pag. 1813

Fredric Jameson, Postmodernismo, ovvero la logica culturale del tardo capitalismo, Fazi, Roma, 2007 (ed. orig. Postmod14 -ernism, or, the Cultural Logic of Late Capitalism, Duke University Press, Durham,1991)

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- Se scorriamo rapidamente la filmografia di Nolan potremmo pensare che la sua poeti-

ca si occupi solo dell’oggi e non saremmo molto lontani dal vero. La contemporaneità è

sempre stata una sua cifra caratteristica, tuttavia il presente che ci racconta non è mai a se

stante, slegato dal passato o incurante del futuro. Basterebbe citare The Prestige o parlare di

come la trilogia del Cavaliere oscuro getti continuamente ponti sul passato, in Interstellar poi

vedremo quanto è importane e decisivo per Nolan il confronto con la Storia. In fondo se si

vuole davvero raccontare cosa succede oggi è indispensabile sapere cosa è successo ieri.

- Le sensazioni e le emozioni che lo spettatore prova di fronte alla pellicola sono sempre

veicolo verso i contenuti del film e mai fine a se stesse. Nolan riempie continuamente le im-

magini di significato, interpreta e fa sua la realtà che lo circonda, così come deve fare lo

spettatore quando si pone di fronte a una sua opera. Interpretare dopotutto significa

tradurre in termini intelligibili qualcosa di oscuro e complesso, il che sembra essere proprio

la sua missione.

Quello di Nolan è uno sguardo nuovo che si traduce in una continua invenzione visiva e

narrativa. Vediamo allora quali sono gli elementi che costruiscono il suo stile, quali i temi che

affronta e i motivi con cui li rappresenta.

Rompere gli schemi

Nolan ha sempre avuto una naturale predisposizione a infrangere le regole. Fin dai suoi

primi film ha sempre disatteso le aspettative del pubblico tanto da costruire su questo parte

del proprio successo. Nel fare un remake di un film o il reboot di una saga sono i punti di discon-

tinuità a dare valore e forza alla nuova opera. Non rispettare le regole tuttavia non significa

non conoscerle. Ogni allontanamento dalla norma, che sia dentro il film o nella sua pro-

duzione, è una scelta consapevole e ragionata che punta a portare lo spettatore là dove il reg-

ista vuole che sia. Facciamo un esempio: si sono scritti fiumi di inchiostro su Memento, ma in

pochi sono stati in grado di sottolineare l’elemento più significativo, tanto era semplice e natu-

rale. La fabula raccontata al contrario permette a Nolan l’impossibile: immedesimare lo spet-

tatore in un protagonista senza memoria. Sebbene sia una rottura del piano narrativo, non

appare come tale allo spettatore, completamente irretito nel giogo del regista. Rompere gli

schemi implica un impegno: creare qualcosa di migliore di ciò che si è distrutto. Una sfida

costantemente ricercata e fin ora quasi sempre vinta.

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Family

Scorrendo velocemente la filmografia del regista anche l’occhio più distratto noterà che

molti nomi sono una presenza costante. Emma Thomas, che ha prodotto tutti i suoi film dai

tempi di Doodlebug, è diventata sua moglie. Suo fratello Jonathan collabora costantemente nel-

la stesura delle sceneggiature. I legami familiari tuttavia non finiscono qui. Lo zio John Nolan

compare in alcuni ma non trascurabili ruoli, i cugini Miranda Nolan e Tom Nolan hanno 15

delle piccole comparse. Anche i figli fanno la loro parte: Oliver Nolan è la neonata figlia di

Alfred Borden in The Prestige, Magnus Nolan è il piccolo James Cobb in Inception e la sorella,

Rory Nolan è la bambina che guarda l’esplosione atomica in The Dark Knight Rises, Flora

Nolan invece veste i panni di una migrante in Interstellar. Uscendo dalla ristretta cerchia dei 16

familiari, la collaborazione più lunga e proficua è sicuramente quella con Michael Caine, pre-

sente in ben sei dei nove lungometraggi diretti dal regista. A volte si ha l’impressione che i

ruoli e la storia siano state appositamente elaborate per far entrare Caine nel cast. Altro attore

che ritorna nella filmografia nolaniana è Christian Bale, interprete di Bruce Wayne nella

trilogia del Cavaliere oscuro e Alfred Borden in The Prestige. Lo stesso si può dire per molti al-

tri interpreti come Marion Cotillard, Joseph Gordon-Levitt e Anne Hathaway. Passando al

comparto tecnico le cose si fanno, se possibile, ancora più drastiche.

Famosa è ormai la collaborazione tra il direttore della fotografia Wally Pfister che ha

girato tutti i film di Nolan ad eccezione di Interstellar. La sua fotografia è uno dei tratti più 17

distintivi del cinema nolaniano: immagine nitida, colori ricchi, ombre profonde. «Nolan ha

un uomo dietro la macchina da presa che sa esattamente come catturare le immagini che de-

scrive, e Pfister ha un regista appassionato come lui di uno specifico modo di fare cinema». 18

Film dopo film, Pfister e Nolan sono cresciuti insieme, artisticamente e tecnicamente. Da una

fotografia modesta come quella di Memento alle sfida di Inception, con sequenze entrate a pieno

In Following è il detective che conduce l’interrogatorio, nella trilogia del Cavaliere oscuro è un membro del 15

consiglio di amministrazione della Wayne Enterprise.

Nolan gira i sui film sotto falsi titoli di produzione che includono i nomi dei figli: ‘Flora’s Wedding’ (Batman 16

begins), ‘Rory’s First Kiss’ (The Dark Knight), ‘Oliver’s Arrow’ (Inception), ‘Magnus Rex’ (The Dark Knight Rises), ‘Flo-ra’s Letter’ (Interstellar).

Collabora con Nolan dai tempi di Memento mentre prima la fotografia era curata dallo stesso regista. Per Inter17 -stellar Nolan ha dovuto affidarsi a Hoyte Van Hoytema visto che Pfister ha preferito debuttare come regista in Trascendence.

Ian Buckwalter, The Reason Christopher Nolan Films Look Like Christopher Nolan Films, «The Atlantic», 23 luglio 18

2012http://www.theatlantic.com/entertainment/archive/2012/07/the-reason-christopher-nolan-films-look-like-christopher-nolan-films/260087/

"19

titolo nella storia del cinema. Quello del direttore della fotografia è un lavoro importante, an-

che se spesso relegato ai margini e fuori dai riflettori dei red carpet. È grazie a questi profes-

sionisti che registi e correnti artistiche hanno trovato gli strumenti per esprimere le loro poet-

iche. 19

Se Pfister cura l’immagine del film, a comporre la colonna musicale troviamo prima

David Julyan (Doodlebug, Following, Memento, Insomnia, The Prestige) e poi Hans Zimmer (The Dark

Knight Trilogy, Inception, Interstellar), con il quale il regista ha stretto una profonda e proficua col-

laborazione. Anche qui la sperimentazione musicale, il sound pastoso e profondo, attraversato

da linee melodiche semplici, hanno creato il ‘marchio di fabbrica’ della loro collaborazione. 20

Il primo lavoro su Batman Begins, al quale a partecipato anche James Newton Howard, ha in-

fluenzato molta musica del decennio. I toni cupi, la commistione tra orchestra classica e stru-

menti elettronici, sono oggi ampiamente usati nel panorama hollywoodiano. Zimmer e

Nolan non hanno creato niente di nuovo, piuttosto portano al grande pubblico una tendenza

che era ai margini del panorama musicale. I lavori successivi sulla colonna sonora proseguono

queste sperimentazioni formali. Per realizzare il tema del Joker in The Dark Knight sono state

utilizzate solamente due note che si sovrappongono l’una sull’altra creando una tensione in-

terminabile. Il suono, stridulo e sgradevole, è stato ottenuto con un’unica e tesissima corda di

violoncello. In Interstellar Zimmer porta dentro lo spartito musicale rumori ambientali. Usa il

vento legandolo alle canne di un organo, un’ottima soluzione formale per un film che vuole

coniugare epica e intimismo. Infine il tema di Inception è forse una delle intuizioni più geniali

della loro collaborazione. Il regista, per ragioni estetiche e di contenuto, vuole inserire Non, Je

Ne Regrette Rien di Edith Piaf nel film. La canzone, utilizzata come ‘calcio’ nei vari livelli del

sogno, viene rallentata del 70% e fatta risuonare da un’intera orchestra da Hans Zimmer cre-

ando il movimento di apertura del film (Half Remembered Dream). Il testo della canzone, «No,

non rimpiango niente! Né il bene che mi hai fatto né il male, tutto questo mi è indifferente»,

esprime perfettamente il rapporto tra Cobb e la sua ex moglie Mal. Nel sogno inoltre il 21

tempo scorre molto più lentamente che nella realtà, esattamente come la musica che ascolti-

A tal proposito può vedere Vision of Light di Arnold Glassman, Todd McCarthy e Stuart Samuels dove attra19 -verso interviste ai più famosi e influenti direttori della fotografia del 900 si ripercorrono le orme di un lavoro tanto nascosto quanto importante.

Matt Patches, Brothers in BRONG: How Hans Zimmer and Christopher Nolan Make the Boldest Scores in Hollywood, 20

«Grantland», 7 novembre 2014 http://grantland.com/hollywood-prospectus/brothers-in-brong-how-hans-zimmer-and-christopher-nolan-make-the-boldest-scores-in-hollywood/

Per ironia della sorte Marion Cotillard, che interpreta Mal in Inception, appena quattro anni prima aveva in21 -terpretato ne Le vien en rose proprio Edith Piaf, la cantante del brano.

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amo. Nolan e Zimmer con questa intuizione formale agiscono in profondità nel testo filmico,

creando una perfetta coerenza tra forma e contenuto.

Altro nome significativo è il montatore Lee Smith chiamato per la prima volta in Bat-

man begins, da cui Nolan non si è più separato. I montaggi serrati che lo hanno reso famoso

nascono anche da questa collaborazione. L’elenco potrebbe proseguire ancora molto, dal di-

rettore degli effetti visivi Paul Franklin, il primo a visualizzare un buco nero scientificamente

accurato, allo scenografo Nathan Crowley che ha creato le architetture, gli ambienti e gli

oggetti di scena di molti suoi film. La scelta di lavorare con un gruppo omogeneo e costante

ha permesso a Nolan di confezionare prodotti molto ben riconoscibili. È il suo stile, ma anche

quello della crew che ha messo assieme. Questo approccio mette sia il regista che i suoi collab-

oratori in una posizione privilegiata. Da una parte Nolan conosce i pregi e difetti della troupe,

permettendogli di accentuare o attenuare aspetti specifici, dall’altra gli artisti e i tecnici sanno

molto bene cosa il regista si aspetta da loro. In tutto questo si crea un generale clima di fiducia

che mette ogni persona nelle migliori condizioni per lavorare. È davvero difficile nelle grandi

produzioni mantenere il controllo su ogni aspetto del film, lasciando al contempo che ogni

componente del team possa dare il suo originale contributo al progetto. La scelta di Nolan 22

di affidarsi alle stesse persone, riducendo al minimo il numero dei collaboratori, permette di

andare incontro a entrambe le esigenze creando una sorta di famiglia allargata. Ritorna al

centro l’idea di cinema inteso come un prodotto artigianale collettivo ideato e guidato dal reg-

ista.

Un altro punto fermo per Nolan è il suo totale rifiuto a girare in digitale: per lui un film

deve essere girato in pellicola. L’immagine granulosa e ricca di dettagli della superficie fo-

tografica è una parte imprescindibile della sua estetica. Una scelta che è in profonda contro23 -

tendenza rispetto al mercato. Oggi la maggior parte dei film è girata in digitale, non solo per

l’abbattimento dei costi e le facilità nella lavorazione, ma perché girare in digitale permette di

inserire gli effetti in CGI, ormai onnipresenti, direttamente nel file master. Qui andiamo a

toccare un altro punto importante. Nolan gira ogni ripresa dal vero, riducendo al minimo

l’uso della computer graphics. Questa scelta parte da un assunto molto chiaro: se si vuole

coinvolgere lo spettatore bisogna immergerlo il più possibile nel mondo del racconto. Il digi-

Nolan non gira mai con una seconda unità me segue personalmente ogni ripresa del film.22

A tal proposito si guardi il documentario di Christopher Kenneally Side by Side dove attraverso una serie di 23

interviste ai maggiori cineasti contemporanei si indaga l’incontro/scontro tra il cinema analogico e quello digi-tale. Tra gli intervistati troviamo: Cameron, Lynch, Rodriguez, Scorsese, Boyle, Fincher, Soderbergh, e lo stesso Nolan.

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tale, da una parte ci avvicina alla realtà dandoci immagini molto definite, dall’altra ce ne al-

lontana con la CGI creando figure piatte e artificiose. Scegliere di affidarsi agli effetti in live

action permette sia all’attore che allo spettatore di immergersi in uno scenario reale e di mag-

gior impatto emozionale.

Nolan persegue questo realismo della rappresentazione privilegiato il formato IMAX al

tradizionale 35mm anamorfico. Questo formato offre una qualità dell’immagine di gran 24

lunga superiore allo standard 4k digitale. L’IMAX viene proiettato in apposite sale con

schermi molto grandi e impianti audio di qualità superiore. Una scelta opposta rispetto al

mercato che invece preferisce affidarsi al 3D. Nolan ha sempre rifiutato di girare in stereo-

scopia criticando la bassa qualità e luminosità dell’immagine, aspetti che lui invece ritiene es-

senziali per una buona visione del film. Vediamo quindi che la scelta di affidarsi alla pellicola,

non solo è coerente con il suo modo di lavorare, ma risponde a precise esigenze estetiche. Per

difendere la propria visione ha dovuto combattere non poco. La Warner ha fatto parecchie

pressioni perché The Dark Knight Rises fosse distribuito anche in 3D per aumentare i profitti sul

singolo biglietto. Il rifiuto di Nolan è stato categorico, addirittura per Interstellar la Paramount

ha posticipato la sua conversione al digitale per poter produrre il film. Dobbiamo dire che,

grazie anche all’opera di Nolan, la foga della terza dimensione ora si è notevolmente affievoli-

ta. Molti registi che prima si erano buttati su questa tecnologia ora preferiscono girare in

IMAX. Nel giro di qualche anno, sulla scia del successo di The Dark Knight e Inception, il 70mm

è passato da ricercato e costoso formato per documentari e parchi di divertimento a punta di

diamante delle produzioni di hollywoodiane. Mission: Impossible - Ghost Protocol, Star Trek Into

Darkness, The Hunger Games: Catching Fire, fino al prossimo Star Wars: The Force Awakes sono solo

alcuni dei film che hanno scelto di girare alcune sequenze in IMAX. Sarà interessante vedere

cosa accadrà in futuro.

La capacità di imporre le proprie scelte, come quella del formato con cui girare e dis-

tribuire la propria pellicola, ci dimostrano come Nolan abbia un invidiabile controllo sui suoi

lavori. La grandissima maggioranza dei registi, anche quelli più affermati, fanno fatica a

IMAX, da Image MAXimum, è un sistema di ripresa e proiezione cinematografico che utilizza come suppor24 -to una pellicola con fotogrammi a 15 forature grandi 70mm e disposti orizzontalmente. L’obiettivo di questa tecnologia è quello di aumentare considerevolmente la risoluzione che passa da un equivalente digitale di circa ≈6K della pellicola 35mm ai ≈18K dell’IMAX 70mm. Questo formato di ripresa è estremamente costoso, diffi-cile da lavorare e distribuzione avendo bisogno di strutture appositamente dedicate. Le sale IMAX hanno schermi alti almeno 16 metri e il pubblico grazie alla maggiore risoluzione può stare molto più vicino allo schermo. Le poltrone sono solitamente disposto in una sala con forte pendenza creando un muro di fronte allo schermo. In questi modo, complice anche l’aspect ratio molto basso, l’angolo di visione dello spettatore va prati-camente a coincidere con quello dello schermo. L’immersione nel film è totale. Sito ufficiale: imax.com.

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difendere le proprie idee. Per realizzare i suoi progetti Nolan ha fin da subito avuto bisogno di

grandi quantità di denaro e un apparato produttivo in grado di sostenerlo. Per ora ha sempre

avuto l’ultima parola, il final cut, su ogni suo progetto. Questa indipendenza è stata coltivata

nel tempo, essenzialmente attraverso tre strategie. Per prima cosa Nolan, insieme alla moglie

Emma Thomas, ha creato una società di produzione, la Syncopy Films, per co-produrre 25

tutte le sue pellicole e avere il controllo diretto dei finanziamenti. La Syncopy, inoltre, è pro-

prietaria di tutti i diritti cinematografici delle opere originali di Nolan. Questo ha permesso ai

Nolan di porsi di fronte alle mayor in una posizione privilegiata e di avere sotto controllo ogni

fase della produzione del film. Il suo è un percorso intrapreso da molti altri registi come

Spielberg, Lucas, Scott che hanno la loro società di produzione. La seconda strategia che

Nolan mette in atto grazie all’aiuto della moglie è un intelligente gestione dei finanziamenti.

Emma Thomas ha capito molto presto, come ha dichiarato in un’intervista su «Rolling

Stone», che «Se dai una scusa alla casa di produzione per mettere le mani sul progetto lo hai

perso. L’abbiamo visto accadere. Nel momento in cui superi il budget, perdi il controllo cre-

ativo che un regista ossessivo come Chris ha bisogno. Lui è sempre molto strategico su

questo». Per realizzare sia Inception che Interstellar è stato utilizzato meno denaro di quanto ot-

tenuto a inizio produzione. Nolan ha così restituito alla Warner una sostanziosa somma di

denaro, permettendogli di avere un’ulteriore arma se quest’ultima lo spingesse ad apportare

qualche modifica al film. Infine Nolan, da quando è stato chiamato per dirigere Insomnia, ha 26

sempre lavorato con la Warner Bros. Tra il regista e la casa di produzione si è formato un

rapporto saldissimo, che non è stato scalfito nemmeno dalla tragedia di Aurora dove la Warn-

er ha fatto quadrato intorno al regista e al film. Quando poi Nolan ha manifestato l’inten27 -

zione di dirigere la sceneggiatura di Interstellar, scritta dal fratello per la Paramount, ha fatto in

modo che la Warner entrasse a far parte del progetto. Quest'ultima per ottenere i diritti di

distribuzione internazionali ha ceduto alla Paramount i diritti di due franchising, Friday the

13th e South Park, andando contro molti suoi interessi. La rinuncia ai ricavi sicuri, consistenti e

duraturi di due saghe già avviate per un film originale di Nolan, ci mostra quanto sia impor-

Il nome Syncopy deriva da sincope termine medico per indicare una perdita di coscienza transitoria. Il logo è 25

un vero labirinto in cui dalla prima lettera, attraversando tutta la parola, è possibile uscire nell’ultima.

Alcuni no che Nolan ha imposto alla Warner hanno fatto il giro della rete come il rifiuto di pulire il suono in 26

alcune sequenze di The Dark Knight Rises e Interstellar dove nelle proiezioni di prova alcuni spettatori lamentavano di non comprendere bene i dialoghi nelle sequenze d’azione. Il suo no più duro è sicuramente il rifiuto di dirigere un sequel della trilogia del Cavaliere oscuro.

'Dark Knight' Director Christopher Nolan Calls Aurora Shooting 'Unbearably Savage’, «Rolling Stone», 21 luglio 2012 27

http://www.rollingstone.com/movies/news/dark-knight-director-christopher-nolan-calls-aurora-shooting-un-bearably-savage-20120721

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tante per la Warner averlo con sé. L’insieme di queste tre cose, avere una propria casa di pro-

duzione, il controllo dei costi e la fiducia della Warner, fa di Nolan uno dei pochi registi ad

entrare in uno studio con un’idea e uscirne con 200 milioni per realizzarla. 28

Blockbuster d’autore

È davvero sorprendente la quantità e la qualità del materiale che Nolan mette assieme

nei suoi lavori. Riesce a maneggiare materiale estremamente complesso e ottenere al contem-

po una narrazione chiarissima. La facilità con cui inserisce in un singolo racconto una gran

quantità di riflessioni e rende questi contenuti accessibili al grande pubblico, è qualcosa che

non si era mai visto al cinema, non a questi livelli almeno. Il lavoro su Batman ne è un esem-

pio paradigmatico. Nolan prende un’icona della cultura pop per trasformarla in un Cavaliere

Oscuro, quello di Miller e Moore, ma anche il suo Bruce Wayne, l’uomo dietro la maschera

tormentato dai fantasmi della mente. Un’icona perfettamente aggiornata allo stato dei tempi,

che esorcizza e mette in scena i timori e le speranze del nuovo millennio.

Riuscire a mettere assieme il meglio del cinema mainstream con quello d’autore è pos-

sibile solo se si ha una grande consapevolezza del proprio mezzo. Il cinema è un’arte ma an-

che un prodotto inserito all’interno di un mercato e che, pertanto, per incassare deve soddis-

fare le esigenze del pubblico. Profondamente conscio dei destinatari della sua opera e del sis-

tema economico che lo sostiene Nolan sente continuamente la necessità di confrontarsi con lo

spettatore, come nel cinema classico, dove quest’ultimo è sempre al centro della narrazione.

Questo è forse uno dei motivi per cui i sui film ottengono sempre una buona risposta dal pub-

blico. Nolan fa entrare lo spettatore in un universo complesso ma si preoccupa di prenderlo

per mano, senza lasciare nulla al caso. Quello di Nolan è un cinema molto personale, ma che

non dimentica il sistema produttivo e i destinatari della sua opera.

La più grande attrazione del cinema nolaniano sono sempre i suoi racconti. La storia è

il fulcro centrale da cui si irradiano tutte le decisioni successive, l’adesione delle immagini ai

loro contenuti è costante. Basti prendere un suo qualsiasi film per vedere come tutto sia final-

izzato al racconto: è quasi impossibile trovare sequenze o immagini fine a loro stesse. Il suo

non è un cinema che trova la forza nella superficie dell’immagine, ad attrarre e sedurre è

quello che accade dentro. Nel sottotesto dei suoi film si nasconde sempre un universo di temi

e motivi, il rischio di questa ricchezza è quello di portare lontano il pubblico. Eppure in ogni

Tom Shone, Christopher Nolan: the man who rebooted the blockbuster, «The Guardian», 4 novembre 201428

http://www.theguardian.com/film/2014/nov/04/-sp-christopher-nolan-interstellar-rebooted-blockbuster

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sequenza ci troviamo di fronte a un punto, delimitato nello spazio e nel tempo, intimo e per-

sonale, dove tutte le spinte narrative trovano una sintesi quasi miracolosa. Pensiamo al mo-

mento in cui in Interstellar Murph capisce che il fantasma della sua stanza era suo padre. I libri

che cadono, il codice morse, le coordinate della NASA, le mietitrebbie impazzite, il drone

fuori controllo, l’orologio, tutto trova il suo posto. Tuttavia non è il semplice incastro di un

film poliziesco, a creare quel momento e quell’intuizione concorrono moltissimi altri elementi:

le parole di Cooper sull'essere padri, «Quando diventi genitore sei il fantasma del futuro dei

tuoi figli», la testardaggine di Tom di rimanere alla fattoria, il legame profondo che lega

Murph a suo padre, impossibile se Cooper non avesse lasciato la NASA, infine il viaggio del-

l’Endurance, maledetto da Cooper e da sua figlia, con tutti quegli incidenti senza i quali non

avremmo avuto un lieto fine. Intorno a questo momento orbita l’intero film ma non ne senti-

amo la pesantezza o la presunzione, è tutto perfettamente logico e naturale. Per quanto possa

essere complesso l’universo narrativo che abbiamo di fronte in Nolan, al centro di tutto ri-

mane ben saldo lo spettatore.

Labirinti

Ogni regista ha un suo modo di girare, una sua estetica dell’inquadratura. Nolan non

sfugge a questa regola. Sicuramente uno degli elementi che lo ha distinto fin da subito è il

montaggio. Una narrazione sostenuta che gli permette di trattare storie complesse e ricche di

contenuti. Temi, idee e personaggi tuttavia non rimangono schiacciati e trovano il tempo e lo

spazio per aprirsi e svilupparsi. Le vittime di questo processo sono i tempi morti e i passaggi

di scena, quasi sempre immediati, costringono lo spettatore a salti notevoli: un momento pri-

ma la scena è in India, quella successiva a Gotham. Nolan non mostra mai più di quanto sia

necessario. Il montaggio non è solo veloce ma si articola in modi sempre nuovi: Memento è una

storia montata al contrario, Inception il racconto in parallelo di cinque livelli di realtà, in The

Prestige e Following flashback e flashforward si rincorrono tra loro, Interstellar gioca con spazio-

tempo del nostro universo, il montaggio non fa altro che inseguire il registra. All’inizio può

essere disorientante ma si percepisce subito la tensione generata sul piano narrativo. La

grande mole di informazioni che lo spettatore deve gestire in Nolan è il motivo per cui, appe-

na si finisce un suo film, si sente subito la necessità di guardarlo di nuovo, per andare a cer-

care quello che prima ci era sfuggito.

Lo spazio e il tempo sono elementi centrali in Nolan, anche se la sua tendenza è sempre

quella di farli esplodere. La narrazione lineare è superata da un complesso intreccio che non

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risponde più alle leggi della fisica ma a quelle della mente. Le distanze sono annullate da un

taglio di montaggio. Parigi, Los Angeles, Hong Kong, Mombasa, Londra, Tokyo sono tutte

raggiungibili in un attimo. È lo spazio virtuale della rete che abbatte ogni distanza e confine.

Nolan rappresenta la nostra contemporaneità dove siamo allo stesso tempo ovunque e da nes-

suna parte. Lo sfondo dove si sviluppa la storia è una parte essenziale per accedere ai con-

tenuti della pellicola, in particolare le architetture intese come spazio artificiale costruito dal-

l’uomo che ordina il mondo in base alle sue idee. Pensiamo ad Inception dove l’ambiente del

sogno è generato dalla nostra mente, i palazzi e le città che vediamo sono diretta emanazione

del nostro subconscio. La natura è spesso fuggita, combattuta e Nolan trova nella città, spazio

antropocentrico per eccellenza, lo scenario ideale. L’ambiente urbano costituisce lo fondo di

tutti i suoi film ad eccezione di Interstellar, dove la terra, lo spazio, i pianeti che incontriamo

sono luoghi inospitali che mettono a dura prova l’esistenza dell’uomo.

A fare da contraltare allo spazio c’è la quarta dimensione della nostra realtà. Il tempo è,

forse, l’elemento più misterioso e inseguito dal regista. Per lui è tutto: la chiave del suo cine-

ma, delle sue storie, lo strumento attraverso cui ingannare e stupire lo spettatore. «Il tempo»

come ci ricorda Amelia in Interstellar «è relativo, può allungarsi e restringersi ma non può scor-

rere all’indietro». Nolan, per liberarsi da queste catene, lo percorre come una dimensione

spaziale, saltando avanti e indietro nella storia. I suoi intrecci fatti di anticipazioni, cammini a

ritroso, ellissi, ci consegnano uno spazio e un tempo esplosi, decostruiti, che lo spettatore deve

riassemblare come un puzzle. Quello che abbiamo di fronte tuttavia non è un’immagine caot-

ica e dominata dal disordine. Nolan fornisce allo spettatore tutte le coordinate di cui ha

bisogno per muoversi in questa nuova realtà. Memento, The Prestige, Inception, Interstellar sono tut-

ti attraversati da schemi e strutture che non solo sorreggono i temi e la narrazione, ma diven-

tano essi stessi elemento imprescindibile per accedere ai contenuti più profondi della pellicola.

Il percorso a ritroso di Leonard Shelby in Memento è tanto nel tempo quanto nella sua memo-

ria. John Cutter all’inizio di The Prestige ci spiega che un numero di magia si divide in tre atti,

la promessa, la svolta, il prestigio. Il film si dividerà esattamente allo stesso modo, seguendo le

stesse logiche e trucchi del numero di magia. In Inception Cobb e il suo team cercano di in-

serire un’idea nella mente del loro obiettivo. Nell’inquadratura finale è il regista stesso a instil-

lare nello spettatore il dubbio che il mondo che lo circonda non sia reale, la stessa cosa che

Cobb aveva fatto alla moglie portandola al suicidio. Infine Interstellar dove la storia si chiude su

se stessa come un cerchio, lo stesso che ricongiunge padre e figlia. Memento, The Prestige, In29 -

A tal proposito si legga l’analisi della sequenza Alfa e Omega.29

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ception, Interstellar sono metanarrazioni che trovano in se stesse la loro giustificazione e di-

mostrazione. Se spazio e tempo sono i muri con cui Nolan costruisce i suoi labirinti, vediamo

ora quali sono i temi che li popolano.

Il suo sguardo inquieto è sempre alla ricerca di immagini insolite: città che prendono

forma sotto i nostri occhi, onde alte come montagne, wormhole, buchi neri, campi di lampa-

dine. Quella di Nolan è una ricerca di paradossi visivi come mise en abyme, labirinti dove l’oc-

chio dello spettatore si può perdere alla ricerca dei trucchi e delle citazioni che Nolan

nasconde nella suo opere, racconti pieni di scatole cinesi pronte per essere aperte. Lo spetta-

tore è libero di scegliere quali elementi mettere assieme, a quali delle tante possibilità credere.

La vendetta, l'ossessione, l'inganno, rimorsi, le maschere, i doppi, il confine tra sogno e realtà,

sono tutti temi che tornano continuamente.

Leonard, il detective Dormer, Bruce Wayne, Cobb, Cooper hanno molto in comune. 30

Ognuno di loro è ossessionato da qualcosa, che sia la vita di uno sconosciuto, l’assassino della

propria moglie, creare il numero di magia più spettacolare di tutti i tempi, assicurare alla gius-

tizia i criminali, o il desiderio di esplorare l’ignoto. Irrimediabilmente chiusi in loro stessi, i

protagonisti di Nolan sono incapaci di dialogare con altre persone, avvolti in uno strato di ap-

atia che li trasforma in reietti della società nonostante ne intreccino le fila. Vivono in una loro

personale realtà, quella della loro mente, popolata dai rimorsi e dalle paure. Le circostanze

però li costringono ad agire. L’uomo di Nolan è sempre in una posizione estrema, dettata

dalle contingenze o volutamente cercata. La sua è una crisi, messa in scena dalle maschere

che indossa o dai doppi che rappresenta, una crisi che dal protagonista si estende fino a per-

vadere l’intero universo narrativo e oltre, arrivando ad intaccarne la struttura. I suoi narratori

sono inaffidabili, non capiamo se quello che vedono sia reale o frutto della loro mente. La re-

altà cede volentieri il posto all’onirico, alla finzione, a dimensioni altre e lontane. Questo rap-

porto tra sogno e realtà è usato da Nolan per analizzare, ampliare e ridefinire i confini del suo

mezzo. The Prestige, Inception e Interstellar sono tutti racconti che indagano il confine del visibile

e del narrabile, in altre parole del cinema stesso. Nolan porta alle estreme conseguenze la

manipolazione del suo dispositivo chiedendosi cosa sia il cinema e cosa possa fare.

Infine eccoci al labirinto, metafora del mondo e immagine della contemporaneità, den-

tro il quale ogni altro tema si sviluppa. L’idea del labirinto ha sedotto artisti, scrittori e ar-

In molti hanno tra Nolan e suoi personaggi cercando di rintracciarvi parte della sua biografia. Ad eccezione di 30

un furto in appartamento di cui è stato vittima ai tempi del college Nolan, per quanto ci è dato sapere, vive fe-licemente in compagnia della moglie dei figli. I suoi protagonisti al contrario sono quasi sempre vedovi e alla ricerca dei propri figli. Su questi elementi il massimo che possiamo rintracciare è la paura di Nolan di poter perdere i suoi affetti. Tuttavia nessuno di noi può mai dire cosa si nasconde nell’animo di uomo.

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chitetti di ogni epoca, un oggetto perfetto su cui cimentare la propria inventiva. Per Nolan il

labirinto è insieme un luogo da esplorare e popolare. A formare il dedalo di vie delle opere

nolaniane troviamo paradossi visivi e narrativi come la scala di Penrose o il loop del viaggio

nel tempo. Le prove più dure rimangono le scelte: come nel labirinto dove dobbiamo decidere

quale svolta seguire, nelle vicende dei film i personaggi devono scegliere quale decisione

prendere e farsi carico delle conseguenze che questa comporta. I suoi protagonisti sono sem-

pre vittime di questi dedali, che siano quelli della mente (Memento, Inception), della magia e del-

la fama (The Prestige) o dello spazio (Interstellar). Tutti combattono contro il labirinto in cui sono

entrati. Cercano la via d’uscita, quella che permetta loro di trovare ordine nel caos e dare sen-

so alle loro azioni. Questo è per Nolan il labirinto: un quesito a cui cercare una risposta. La

soluzione è proprio davanti ai nostri occhi, dobbiamo solo avere l’intelligenza di seguire gli

indizi sparsi lungo la pellicola.

Creare nuove regole

In questo capitolo abbiamo visto come Nolan costruisca le sue storie, come le popoli e le

racconti. Con il passare del tempo e dei film emerge sempre più chiaramente una sua precisa

idea del cinema. Per realizzare questa idea ha dovuto superare convenzioni e abbattere molti

muri, sia nel modo di realizzare un film, che in quello di raccontarlo. Al loro posto ha creato

nuovi e più funzionali approcci, agili sovrastrutture in grado di piegarsi in base alle esigenze

del racconto e della produzione. Ora è possibile rintracciarne uno schema ricorrente in grado

di fornirci una più ampia comprensione dell’artista e del suo cinema. Il desiderio di stupire, la

volontà di dare al pubblico un racconto che vada più in là del testo filmico, l’ambizione degli

intenti, l’inventiva della forma, la forza dei contenuti, l’abilità del racconto e la determi-

nazione nel realizzarlo, sono tutti elementi a cui Nolan ci ha abituato nel corso della sua car-

riera e dei quali ora non sapremmo fare a meno. Il tempo ci dirà cosa e quanto della sua

opera verrà portato avanti nel cinema. I primi e più acerbi frutti si sono già mostrati e aspet-

tano solo di essere raccolti.

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TERZA PARTE

InterstellarA Brave New World

Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse:

il cielo stellato sopra di me, e la legge morale dentro di me.Kant, Critica alla ragion pratica

Un tempo per la meraviglia alzavamo al cielo lo sguardo sentendoci parte del firmamento, ora invece lo abbassiamo preoccupati di far parte del mare di fango.

Cooper in Interstellar

Un anno prima prima dell’uscita nelle sale di Interstellar viene distribuito il teaser trailer

del film. Su una suite di Hans Zimmer ci vengono mostrate alcune immagini della storia 31

degli Stati Uniti: le tempeste di sabbia che negli anni trenta tormentavano le grandi pianure

centrali, i primi aerei a superare la barriera del suono, l’uomo che mette piede sulla luna, fino

allo Space shuttle che rientra per l’ultima volta sulla Terra. Un trailer molto diverso dal solito,

senza quasi materiale originale, dove si vede pochissimo ma si dice molto. Il testo letto da

McConaughey è una lettera aperta allo spettatore, una dichiarazione d’intenti in piena rego-

la.

Ci siamo sempre contraddistinti per la capacità di superare l’impossibile. E consideriamo quei momenti, quei momenti in cui osiamo puntare in alto, infrangere barriere, raggiungere le stelle, conoscere l’ignoto. Consideriamo questi momenti come le nostre più gloriose conquiste. Ma abbiamo perso tutto questo, o forse abbiamo solo dimenticato che siamo ancora pionieri e abbiamo appena iniziato e che le nostre maggiori conquiste non possono essere alle nostre spalle, che il nostro destino è sopra di noi.

Questo pezzo intitolato Day One è stato scritto ancor prima che la produzione del film fosse iniziata. Nolan, 31

che considera la colonna sonora una parte fondamentale del suo cinema, desiderava poter lavorare al film facendosi guidare dalla musica. Chiede dunque a Zimmer una giornata del suo tempo lasciandogli un foglio spiegandogli quello che per lui era il centro emotivo del film: il rapporto padre/figlia. Nessun accenno sul genere o dettagli della trama. La sera Zimmer presenta a Nolan un semplice pezzo al pianoforte che diventerà poi uno dei temi principali della colonna sonora e una sorta di bussola artistica nella lavorazione del film. A tal proposito si legga il testo in appendice sulla colonna sonora di Interstellar.

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Se Inception è stato un punto di svolta della cinematografia nolaniana, Interstellar è il pri-

mo grande salto verso una nuova direzione. Fantasmi, strani fenomeni naturali, fattorie e

campi di mais, un futuro distopico, fino ad arrivare ai remoti vuoti dello spazio interstellare,

qualcosa di davvero mai visto nel cinema di Christopher Nolan.

Origini

Il primo decennio del nuovo millennio è segnato dal drastico ridimensionamento del

cinema di fantascienza. Gli attacchi dell’11 settembre hanno reso inappropriato questo genere

in un momento in cui la realtà aveva superato di gran lunga l’immaginazione. Il vuoto, 32

questo abbiamo sentito l’11 settembre, ed è un vuoto durato un intero decennio, un colpo che

abbiamo elaborato, esorcizzato, affrontato e infine superato, ma mai dimenticato. Con l’ec-

cezione della nuova trilogia di Star Wars programmata da tempo, non abbiamo significativi

film genuinamente inscritti a questo genere. Questo non significa che la fantascienza sia spari-

ta, piuttosto ha cambiato forma. Lasciati da parte astronavi e viaggi nello spazio, pellicole

come Minority Report, Eternal Sunshine of the Spotless Mind, Déjà Vu, Children of Men, Next, Source

Code, e lo stesso Inception di Nolan ci mostrano temi e motivi propri della science fiction decli-

nati in modo nuovo, inseriti nella realtà come parte inestricabile di essa. Strumenti e scenari

ipertecnologici vengono lasciati da parte per fare spazio alle idee, ai dubbi e alle paure di

questo periodo. È una fantascienza che preferisce i meandri della mente a quelli dello spazio.

Bisognerà aspettare il 2008 con Wall•E per ridare linfa nuova alle avventure spaziali. L’anno

successivo esce Avatar che con 2,7 miliardi sbanca al botteghino spalancando le porte a una

nuova stagione per la fantascienza. Escono District 9, Elysium, Oblivion, Moon, ma dovremmo

aspettare Alfonso Cuarón, già regista di Children of Men, per avere un film come Gravity, ca-

pace di incassare 600 milioni di dollari e vincere sette Oscar. Era dai tempi di The Lord of the

Rings che non si assisteva ad un simile trionfo di critica e pubblico.

Questo breve excursus ci permette di capire meglio come e con quale forza si inserisce

nel panorama cinematografico un film come Interstellar, non solo per il revival artistico e com-

merciale del genere, ma anche perché diretto da uno dei registi più rappresentativi degli anni

Zero. Si ripensi solo alla trilogia del Cavaliere Oscuro per capire quanto Nolan ha innovato e

anticipato, non solo il genere, ma il cinema tout court. È riuscito Interstellar ad essere all’altezza

di simili aspettative? Molto probabilmente è troppo presto per dirlo. Partiamo quindi dalla

Roy Menarini, Il cinema dopo il cinema, Le Mani, Genova, 2010 32

Leonardo Gandini e Andrea Bellavita (a cura di), Ventuno per undici, Fare cinema dopo l’11 settembre, Le Mani, Geno-va, 2008

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storia, vero cuore pulsante del film, da dove si irradiano i temi, i personaggi e i motivi che lo

muovono.

L’umanità è sull’orlo dell’estinzione, una misteriosa piaga impedisce ogni coltivazione ad eccezione del

mais. Cooper, un ex pilota della NASA, si ritrova a fare l’agricoltore insieme a suo cognato e i figli Tom e 33

Murph, che crede di avere un fantasma dietro la sua libreria. Nella fattoria cominciano a succedere cose strane e

seguendo segni lasciati dalla gravità, Cooper e Murph scoprono l’ultima base della NASA ancora attiva. Il

professor Brand, vecchio amico di Cooper, rivela loro che presto la piaga ucciderà anche il mais. L’unica sper-

anza di sopravvivenza per l’uomo è lo spazio. Brand inviata Cooper a seguire sua figlia Amelia in una mis34 -

sione interstellare a bordo dell’Endurance per trovare un nuovo pianeta per l’umanità. Cooper, anche se tormen-

tato dalle sue responsabilità di genitore, alla fine accetta. La missione si rivela un fallimento, i pianeti poten-

zialmente abitabili sono in realtà trappole mortali. Il penultimo pianeta è quello dove è stato mandato in

avanscoperta il dr. Mann che, compreso il proprio destino di morte, cerca di impossessarsi dell’Endurance e

scappare, finisce invece per morire e distruggere metà della navicella spaziale. Cooper, dopo aver ripreso il con35 -

trollo dell’astronave, è costretto a staccare il proprio modulo finendo così inghiottito in un buco nero per permette

ad Amelia di raggiungere l’ultimo pianeta. Nel frattempo nella terra Murph, diventata assistente del professor

Brand, cerca di risolvere l’equazione dei campi gravitazionali che potrebbe permettere all’umanità rimasta sulla

terra di salvarsi. Cooper entrato nel buco nero non muore ma finisce in una realtà pentadimensionale attraverso

cui può comunicare con la stanza di Murph (era lui il suo fantasma). Scorrendo i vari momenti nel tempo trova

il modo di trasmette a sua figlia i dati quantistici del buco nero permettendole così di risolvere l’equazione.

Cooper si risveglia in una stazione spaziale dove, lui ancora giovane, incontra Murph ormai prossima alla

morte. Padre e figlia si salutano e Cooper riprende il suo viaggio per raggiungere Amelia, rimasta sola in un

pianeta sconosciuto. 36

I nomi sono sempre un fattore importante per Nolan. Cooper in inglese significa riparare. Tra tutti i rimandi 33

possibili, dallo ‘scienziato’ Sheldon Cooper di The Bing Bang Theory al brillante detective Dale Cooper di Twin Peaks passando per l’anziana Rachel Cooper di The Night of the Hunter, il nome del protagonista sembra essere soprattutto omaggio a Gleen Cooper (1953). Autore della fortunata serie di Will Piper, Gleen Cooper mette al centro dei suoi racconti una libreria i cui libri gettano ponti tra passato e futuro, la stessa cosa che accade nel film.

Anche qui non un nome qualunque ma quello di Amelia Earhart, l’aviatrice statunitense che dopo vari record 34

morì tentando di attraversare il pacifico sulla rotta più lunga. Una sorta di anticipazione di quello che accade ad Amelia Brand, l’unica ad aver raggiunto il pianeta più lontano nel quale si prepara ad un lungo sonno di iber-nazione.

In Absulte Zero, un graphic novel che fa da prequel al film, Nolan racconta gli anni di solitudine del dr. Mann. 35

Christopher Nolan & Sean Gordon Murphy, Revealed: The Lost Chapter of Interstellar, «Wired», 18 novembre 2014 http://www.wired.com/2014/11/absolute-zero/

Per orientarsi nei vari segmenti temporali e spaziali che Nolan intreccia nel film si faccia riferimento alla 36

Timeline della Tavola 9 dove attraverso un’opportuna rappresentazione grafica si può cogliere la complessità e l’ambizione della narrazione.

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La materia narrativa

Per me l’esplorazione spaziale è sempre stata l’ultima frontiera.È l’estremità dell’esperienza umana e ci porta a definire il nostro posto nell’universo.37

Christopher Nolan

Il progetto di Interstellar, come per Inception, arriva da molto lontano. Scritto inizialmente

per Steven Spielberg dal fratello Jonathan Nolan, la storia racconta di una spedizione spaziale

per raggiungere un altro pianeta e salvare l’umanità sull’orlo dell’estinzione. L’impressione,

leggendo la prima sceneggiatura, è di trovarsi di fronte a un blockbuster ripieno di tutti i

cliché del genere: robot fuori controllo, una storia d’amore impossibile, viaggi indietro nel

tempo fino a una scena di sesso a gravità zero. Un racconto decisamente lontano da quello 38

che ci siamo trovati di fronte al cinema. Nolan riscrive quasi tutta la sceneggiatura trasfor-

mando il progetto in qualcosa di più ambizioso e complesso. Alcuni elementi che fanno in-

travvedere la destinazione iniziale sono rimasti, ma a destare interesse sono le differenze. È su

questi punti che possiamo misurare le intenzioni del regista.

Il cambiamento più importante riguarda il centro emotivo del film: nella prima sceneg-

giatura ruotava interamente intorno a Cooper. Nolan decide invece di esplorare il rapporto

padre-figlia. È la prima volta che in un suo film il protagonista non è irrimediabilmente chiu-

so nel proprio io, incapace di comunicare con gli altri e di costruire un rapporto duraturo e

sincero, in cui l’unico punto di confronto non sia se stesso o il proprio antagonista. Se prima a

muovere la storia erano le spinte interiori, ora Nolan esce allo scoperto per dare forma e pro-

fondità ai rapporti umani, mai così importanti come in questo film. Un percorso iniziato con

The Prestige e Inception, in cui a muovere la vicenda è il desiderio di un padre di rivedere i suoi

figli, lo stesso motore di Interstellar. In Inception non c’è un vero e proprio antagonista, il perico-

lo più grande è rappresentato dai fantasmi nella mente di Cobb, ombre che prendono la for-

ma della sua ex moglie Mal. Vediamo dunque come la dinamica interiore del protagonista si

trasformi in un’analisi del rapporto con la moglie. Il successivo The Dark Knight Rises continua

questo percorso, a minare l’azione di Bruce Wayne è la sua incapacità di relazionarsi con gli

altri e fidarsi di loro. Alla fine Wayne abbandona il ruolo del vigilante e lascia la città nelle

mani dei cittadini per cominciare una nuova vita. Murph e Cooper proseguono questo per-

corso, si fideranno di una promessa, per quanto impossibile possa essere.

Dichiarazione fatta nel documentario The science of Interstellar (2014) di Gail Willumsen37

La sceneggiatura originale di Jonathan Nolan è disponibile su «Scribd» 38

http://www.scribd.com/doc/186682938/Interstellar-Script

"32

Un approccio realistico

Se volessimo leggere Interstellar alla luce dell’11 settembre le tempeste di polvere non 39

sarebbero altro che l’onda lunga del crollo delle torri. Non è solo la polvere ad averci colpito

quel giorno, è stata la forza delle immagini registrate da chi era presente e poi moltiplicate

all’infinito dai canali televisivi. Questa immagine in presa diretta, sporca, dichiaratamente

vera ha catturato il cinema, compresa la science fiction. Cronicle, Cloverfield, Apollo 18, fino ad

arrivare a Europa Report ne sono un chiaro esempio.

Interstellar ha un inizio davvero inusuale, nessuno si sarebbe aspettato che un film costato

160 milioni di dollari sarebbe partito con delle interviste ad anziani signori. Ecco la fame di

realtà: quella che ha mosso gli anni Zero ed è passata per Gravity fino a ridefinire l’immagine

della fantascienza rendendola molto simile a un documentario, una finzione che pretende di

essere presa per vera. Di Interstellar colpisce proprio la sua estrema verosimiglianza visiva, sci-

entifica e narrativa, anche se queste ultime due richiedono tempo per essere colte. Nolan lo

dichiara fin dall’inizio: «Perché non esaminiamo le possibilità reali? Perché non guardiamo

alla scienza ufficiale?». Un desiderio che lo ha spinto a volere Kip Thorne come produt40 41 -

tore esecutivo. Si lavora per creare uno scenario e una storia più vicini possibili alla realtà fisi-

ca, spingendo le teorie relativistiche fino a un punto di non ritorno e poi ancora più in là. Tut-

to questo a un patto: se la materia narrativa fosse diventata troppo complicata per lo spetta-

tore si doveva manipolarla per renderla più intelligibile. Alla fine, anche grazie alle numerose

spiegazioni sparse nel film, non è stato necessario.

Il design, aspetto decisivo in questo genere, si adegua a questo approccio realistico, rin-

unciando a scenari e tecnologie invasive per confondersi nello sfondo degli eventi. La storia e

la tecnologia che vi compaiono sono inseriti in un periodo storico difficilmente inquadrabile.

La fattoria, il pick-up, persino i vestiti e i computer vengono ‘spenti’ dall’interno e sembrano

provenire più dal passato che dal futuro. Ogni orpello tecnologico viene accuratamente nor-

malizzato e depotenziato. Si perde nell’immediato il fascino delle nuove tecnologie, ma allo

stesso tempo si creano icone, incuranti del passare del tempo. A riprova di questo basti

guardare le locandine del film costruite sul profilo di una fattoria, un pick-up e un padre che

Roy Menarini, Il cinema dopo il cinema, Le Mani, Genova, 2010 39

Dichiarazione fatta nel making of del film e nella clip Costruire un buco nero disponibile du «YouTube»40

https://www.youtube.com/watch?v=MfGfZwQ_qaY

Kip Thorne è un fisico teorico statunitense specializzato in astrofisica, uno dei massimi esperti della relatività 41

generale e in particolare della gravità. Secondo le sue teorie sarebbe possibile viaggiare nel tempo attraverso wormhole, piegature dello spazio-tempo che permettono di passare da una parte all’altra dell’universo.

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abbraccia sua figlia (Tavole 1, 2 e 4). Dopo l’uscita del film i fan sulla rete si sono dilettati nel

creare poster e materiale originale per celebrare il film (Tavole 3, 5, 6, 7 e 8). Qui ad emerg-

ere non sono tanto le sequenze spettacolari del film ma le idee che ne sono alla base come la

libreria, il legame tra la terra e spazio, il tempo. Chi guarderà il film fra dieci anni non sarà

costretto ad accettare strani oggetti che noi oggi consideriamo futuribili, ma ne coglierà la

funzione e il significato in termini narrativi. L’astronave ne è un chiaro esempio. Costruita su

linee dure e funzionali, ogni parte dell’Endurance, dalla cabina di pilotaggio ai moduli che la

compongono fino ad arrivare alle tute degli astronauti, è un’intelligente commistione tra

un’astronave dei nostri giorni e una nave militare. Guardando le sequenze nello spazio real42 -

izzate attraverso la combinazione di riprese in live action, miniature e computer graphics, in-

sieme ad accorgimenti stilistici, come legare la cinepresa IMAX all’astronave e farla sembrare

una GoPro, si ha davvero la sensazione che siano andati là fuori a girare. Nonostante sia un

film di fantascienza non c’è nulla che sa di artificioso, sarà davvero interessante vedere fra 20

anni quanto poco saranno invecchiate queste immagini.

Un discorso a parte invece meritano i robot: nessuna forma umanoide ma un rettangolo

grigio con due schermi altrettanto anonimi e quadrati che trasmettono codici di program-

mazione. Il monolite nero di 2001 si trasforma in un Marine con uno spiccato senso dell’hu-

mour. TARS, acronimo di star (stella), si pone in diretta contrapposizione all’occhio rosso di

Hal 9000, ribaltando l’immagine che da allora in poi ha sempre caratterizzato i robot: la pos-

sibilità che possano sopraffarci e un giorno sostituirci. La tecnologia in Interstellar non ha nes-

suna connotazione negativa, il male è annidato in ben altri luoghi.

Torniamo invece alle immagini. Quando l’azione si sposta negli spazi interstellari Nolan

ci regala immagini difficili da dimenticare: l’attraversamento del wormhole è una delle se-

quenze più riuscite del film. L’IMAX ci offre una sensazione immersiva davvero stupefacente.

Qui Nolan si dimostra ancora una volta un abile compositore di immagini trasformando una

sequenza che poteva facilmente diventare un puro spettacolo pirotecnico in un momento top-

ico del film legandolo indissolubilmente alla storia. Nonostante le ricostruzioni grafiche pos-

sano sembrare il frutto della genialità del comparto visivo, la realizzazione di queste immagini

ha richiesto un impegno e un approccio più ampi. Nel making of del film possiamo vedere

come il modello digitale per la rappresentazione del wormhole e dei buchi neri sia ricavato

dalle equazioni matematiche di Kip Thorne, il supervisore scientifico e produttore esecutivo

L’influenza di film come The Right Stuff e Alien è evidente.42

"34

della pellicola. Paul Franklin, il supervisore degli effetti visivi, ha dovuto inventare nuovi sis43 -

temi di rappresentazione e dopo un lunghissimo lavoro di programmazione e rendering il

risultato ha lasciato stupefatto lo stesso Thorne, che per la prima volta ha potuto ‘vedere’ un

buco nero. Questo risultato ha permesso di far passi avanti anche nella ricerca scientifica, fino

alla scrittura di due relazioni sulle lenti gravitazionali: una per la comunità degli astrofisici e

l’altra per quella della computer graphics. È ancora fantascienza? 44

Non potevamo essere più lontani dagli effetti caleidoscopi di 2001 fatti di sgargianti li-

nee colorate. Ora abbiamo davanti la rappresentazione della realtà fisica più verosimile che

siamo riusciti a produrre. Questo non ci dice solo che la tecnica ha fatto passi da gigante, è

cambiato anche il nostro approccio alla realtà, insieme alle aspettative del pubblico.

Influenze culturali

Sono cresciuto in un’epoca di grande fantascienza, nella quale il sogno di ogni bambino era diventare astronauta, per cui mi hanno sempre attratto le questioni scien-

tifiche e filosofiche riguardanti i viaggi nello spazio. Blade Runner, Star Wars, 2001: A Space Odyssey sono pietre miliari non solo dello sci-fi, ma del cinema stesso. Se oggi il

termine ‘film di genere’ è diventato riduttivo è perché spesso ci si riferisce a filoni così codificati da aver perso la forza dirompente che avevano un tempo. Ciò che cerco di

fare è creare dei moderni equivalenti che parlino con la stessa potenza di allora.45

Christopher Nolan

Per Nolan «la fantascienza non è una fattispecie [del cinema] ma l’essenza stessa». Il 46

vero cuore del cinema è la capacità di creare nuovi mondi in cui l’unico limite è la fantasia.

La science fiction è il genere che meglio ha saputo interpretare questa vocazione. Fin dai

tempi de Le Voyage dans la Lune di Méliès per passare da Frau in Mond di Lang, 2001: A Space

Odyssey di Kubrick, Blade Runner di Scott e arrivare a Gravity di Cuarón la fantascienza ha for-

nito al cinema un terreno fertile e libero per ampliare gli orizzonti narrativi e visivi della pelli-

cola. Nolan per poter portare avanti questo percorso torna indietro e pesca a piene mani dal

passato.

Interstellar è costruito come un orologio, una macchina di precisione con centinaia di

meccanismi collegati fra loro, le commistioni sono talmente tante e il materiale così ricco che

Interstellar, Warner Home Video, Blu-ray Disc, 1 aprile 201543

Oliver James, Eugénie von Tunzelmann, Paul Franklin and Kip Thorne, Visualizing Interstellar's Wormhole, 44

«American Journal of Physics», 24 marzo 2015 http://dx.doi.org/10.1119/1.4916949

Cit. in Angela Bosetto, Il cielo stellato sopra di noi, «Rivista del cinematografo», n° 11 novembre 2014, pag. 3045

Anton Giulio Mancino, Il fantasma della scienza, «Cineforum», n°540, novembre 2014, pag. 3446

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non si può dire di aver visto veramente Interstellar se non lo si è rivisto almeno una volta, tra i

vari ingranaggi un’infinità di rimandi, influenze, citazioni. Ci concentreremo su quelle princi-

pali e più utili ad ampliare le nostre prospettive di analisi.

In un’intervista a «Empire» Christopher Nolan cita cinque film che lo hanno profon-

damente influenzato nella realizzazione di Interstellar. Il primo è 2001: A Space Odyssey. Il 47

capolavoro di Kubrick è un punto di confronto imprescindibile per chiunque si cimenti con il

genere, una pellicola che ha saputo capitalizzare il clima culturale di un’epoca, emblematica

ne è la data d’uscita, 1968. L’odissea di Kubrick ci riempie di meraviglia ma è un’emozione

fredda, non c’è nessun evento che ci scaldi il cuore, è un gioco intellettuale che lascia fuori le

emozioni. Qualcuno può giustamente obbiettare che Kubrick non ha bisogno si simili trucchi

e ha ragione, qui misuriamo piuttosto una profonda differenza: Kubrick riempie lo spazio di

immagini lontane ed eteree, Nolan lo avvicina riempiendolo di umanità, passione e sentimen-

to. Al contrario di chi ha cercato di scimmiottare lo stile di 2001 qui il desiderio di Nolan è

riportarne in vita lo spirito esplorando nuovi orizzonti, narrativi e visivi. E se Kubrick poneva

domande, Nolan cerca risposte. Ecco perché 2001 sarà sempre irraggiungibile: una doman48 -

da è perfetta, assoluta, eterna, una risposta invece è un qui e ora, parziale e suscettibile di crit-

ica.

Il secondo film è The Right Stuff di Philip Kaufman che racconta, con un’attenzione doc-

umentaristica, le vicende che portarono un gruppo di piloti americani dall’infrangere la bar-

riera del suono a partecipare alle prime missioni nello spazio. Un film che mostra un deside-

rio inscindibile dall’essere umano: superare i propri limiti. L’arco narrativo attraversa gener-

azioni perché qui quello che interessa al regista è raccontare la sfida senza tempo che questi

uomini incarnano, un elemento profondamente radicato nel sogno americano. Tutto questo

filtra in Interstellar andando a connettersi a un universo molto più ampio di temi. È questo film

di Kaufman a dare al regista l’azione di cui ha bisogno. Nolan lega ogni sua riflessione alla

dinamica emotiva dei personaggi che si traduce in azione narrativa, le parole non sono sem-

plicemente pensate e dette ma agite nella struttura filmica. Prendiamo in considerazione

questa frase pronunciata dal dr. Mann prima di svelare le sue vere intenzioni a Cooper:

Lei sa perché non potevamo mandare delle macchine nelle nostre missioni, vero Cooper? Una macchina non improvvisa bene. Perché non si può programmare la paura della morte. Il nostro istinto di sopravvivenza è la nostra più grande fonte

Dan Jolin, Five Films You Should See Before Interstellar, «Empire», Novembre 2014 47

http://www.empireonline.com/features/five-films-to-watch-before-interstellar

Silvio Danese, Ecce Spazio, «Rivista del Cinematografo», gen.-feb. 2014, pag. 4648

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di ispirazione. Prendiamo lei come esempio: un padre con un istinto di soprav-vivenza che si estende ai propri figli. Per la ricerca sa quale sarà l'ultima cosa che lei vedrà prima di morire? I suoi figli. I loro volti. In punto di morte la sua mente spingerà ancora un po' di più per sopravvivere. Per loro, Cooper.

Quella che può apparire una suggestiva riflessione fine a se stessa non è altro che una

velata anticipazione del finale. Nolan qui non si limita a descriverlo: lo carica ulteriormente di

significato. Questo metodo di lavoro gli permette di affrontare temi complessi rendendoli più

accessibili a un pubblico abituato all’azione più che alla riflessione.

Il terzo film è Alien. Dei cinque che Nolan cita è quello che più può apparirci fuori pos-

to: non ci sono alieni in Interstellar. Ridley Scott con il suo film ha fatto molto di più che un

semplice fanta-horror, ha dato anche una nuova immagine delle navicelle spaziali. Ritorni-

amo a quelle idee di funzionalità di cui parlavamo, un set sporco, usurato, che ricorda vaga-

mente una base militare più che un’astronave. Anche la luce di Interstellar ne risente distaccan-

dosi fortemente dai film precedenti dovuta anche al cambio del direttore della fotografia. Per

la prima volta manca Wally Pfister, con Nolan dai tempi di Memento, che ha preferito dirigere

Transcendence. Al suo posto viene chiamato Hoyte Van Hoytema (The Fighter, Tinker Tailor Soldier

Spy, Her). La pulizia visiva rimane ma perde quella levigatezza distaccata per diventare più

materica e pastosa. I colori si fanno caldi e tendenti all’ocra. Anche le immagini dello spazio

ci regalano sfumature inaspettate. Ai toni saturati e bluastri a cui il digitale ci ha abituato

viene preferita un’immagine più naturale e sfumata. A colpire di più lo spettatore che ritorna

a vedere un film in pellicola è la ricchezza della texture, una superficie pulsante e in continuo

cambiamento dove i sali d’argento che la compongono spostano la loro disposizione ad ogni

frame. Al contrario, in un proiettore digitale i pixel rimangono fermi creando un’immagine

più definita ma anche molto più statica. Ci sono cose che un computer non è in grado di ri-

creare, e torniamo così ad Alien, dove alla CGI viene preferito un pupazzo in carne ed ossa.

Il quarto film che Nolan prende in causa è Close Encounters of the Third Kind, una pellicola

che ha segnato profondamente l’immaginario cinematografico. L’America rurale, la piccola

comunità cittadina, i fatti strani e inspiegabili che cominciano ad accadere, la curiosità del

protagonista che finisce per incappare in un progetto top secret del governo: tutti elementi che

sono stati ripresi e rielaborati dal cinema americano fino ad arrivare intatti ad Interstellar, 49

pronti per essere utilizzati ancora una volta. A Spielberg si deve il merito di aver preso un

genere allora di nicchia come la fantascienza e averlo fatto diventare materia da blockbuster

Spielberg con Close Encounters of the Third Kind dà il via a una prolifica serie di film sul sovra naturale che arriva 49

fino a Super 8 di J.J. Abrams.

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come ha fatto nello stesso anno George Lucas con Star Wars. Entrambi i film si fanno carico di

atteggiamenti irrazionali nei confronti della realtà, ma lo fanno in modo diverso. Lucas attra-

verso la Forza rimanda al misticismo orientale, Spielberg invece lavora sulle emozioni in-

serendole in una dimensione trascendente che proietta nell’altro il divino. Nolan sceglie 50

questo secondo approccio. In lui però l’elemento trascendente non sottende nessuna divinità

se non l’uomo stesso. Un cambio di prospettiva che ci mostra come «il film non rimanda solo

a se stesso, al suo linguaggio, in rapporto con il passato della sua grammatica, ma rimanda

anche a una serie di problematiche attuali di cui la pellicola si fa, consciamente o inconscia-

mente, portatrice.» 51

Il quinto e ultimo film che Nolan cita è Contact. A questa pellicola di Robert Zemeckis

Interstellar è legato a doppio filo, non solo perché ritroviamo Matthew McConaughey sul set e

Lynda Obst alla produzione. Sembra che Nolan riprenda il personaggio interpretato da Mc-

Conaughey lì dove lo aveva lasciato Zemeckis per fargli continuare il viaggio come protago-

nista. Interessanti sono i punti di contatto tra McConaughey e Cooper, entrambi condividono

alcune esperienze: hanno superato i 40 anni, crescono dei figli, si sentono inappropriati nel

proprio lavoro e vogliono dare una forte sterzata alla loro vita, elementi che del resto li acco-

munano in parte allo stesso Nolan. Questa ricerca di affinità tra l’attore e il personaggio che

interpreta è dettata dalla consapevolezza che l’intera storia funziona solo se il rapporto padre

e figlia è credibile. In Contact ritroviamo parte della storia, ad essere ripreso è sopratutto il

tema della fede. Zemeckis lo affronta con un afflato religioso tipicamente americano, un film

sentito ma che già allora appariva forzato e fuori tempo massimo: se mai dovessimo incon-

trare una civiltà extra terrestre la religione sarebbe l’ultima cosa a cui penseremmo oggi.

Nolan affronta questo tema ma va a pescare nel profondo dello spirito statunitense: la fede

come capacità dell’uomo nel determinare il proprio destino. In quest’ottica la preoccupazione

per la vita nell’aldilà lascia il posto al futuro delle giovani generazioni.

A influenzare e ispirare Interstellar concorrono moltissimi altri film che hanno segnato la

storia di questo genere e il nostro immaginario, per esempio non abbiamo parlato di Star

Wars, E.T. the Extra-Terrestrial, Solaris, For all Mankind, Blade Runner, The Black Hole.

Si legga a tal proposito l’illuminante saggio di Paola Dalla Torre, Sognando il futuro, da 2001: Odissea nello Spazio a 50

Inception, Rubbettino, Soveria Mannelli 2012

Ivi, pag. 1151

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Densità narrativa

Durante Interstellar viene più volte citata una poesia di Dylan Thomas che vale la pena di

riportare.

Non andartene docile in quella buona notte, I vecchi dovrebbero bruciare e delirare al serrarsi del giorno; Infuria, infuria, contro il morire della luce. Benché i saggi conoscano alla fine che la tenebra è giusta. Perché dalle loro parole non diramarono fulmini. Non andartene docile in quella buona notte, Infuriati, infuriati, contro il morire della luce.52

Dylan Thomas, In Country Sleep, And Other Poems

Pronunciato prima dal professor Brand e poi ripresa dal dr. Mann possiamo leggere

questi versi in almeno tre modi diversi.

Primo. Con questa poesia il professor Brand accompagna la partenza di Cooper, come

aveva fatto dieci anni prima per le missioni Lazarus, cercando di infondere una spinta che

potesse dar forza e consolazione in un viaggio senza ritorno. Per il professor Brand è una sor-

ta di confessione che cela le sue reali intenzioni. «Benché i saggi conoscano alla fine che la

tenebra è giusta» è un chiaro rimando al bugia racconta perché Cooper e sua figlia Amelia

possano partire. Alla fine diventerà la sua ossessione: «I vecchi dovrebbero bruciare e delirare

al serrarsi del giorno».

Secondo. Il testo pronunciato dal dr. Mann assume un altro significato. «Non andartene

docile in quella buona notte» diventa il grido disperato del suo istinto di sopravvivenza che

non vuole rassegnarsi alla morte, sacrificando il futuro dell’umanità per aver salva la vita. Le

intenzioni iniziali del professor Brand sono completamente ribaltate: il sacrificio per il bene di

tutti si trasforma nell’immolazione dell’intero genere umano. «Infuria, infuria contro il morire

della luce» anticipa la sua dipartita e l’estremo tentativo di Cooper di salvare la missione. In

quel momento Amelia e Cooper sono consapevoli che la fine non solo della loro vita ma quel-

la dell’intera umanità è a un passo.

Dylan Thomas, In Country Sleep, And Other Poems, James Laughlin, Dent, 1952 52

[Do not go gentle into that good night,/Old age should burn and rave at close of day;/Rage, rage against the dying of the light./Though wise men at their end know dark is right,/Because their words had forked no light-ning they/Do not go gentle into that good night.//Good men, the last wave by, crying how bright/Their frail deeds might have danced in a green bay,/Rage, rage against the dying of the light.//Wild men who caught and sang the sun in flight,/And learn, too late, they grieved it on its way,/Do not go gentle into that good night.//Grave men, near death, who see with blinding sight/Blind eyes could blaze like meteors and be gay,/Rage, rage against the dying of the light.//And you, my father, there on the sad height,/Curse, bless, me now with your fierce tears, I pray./Do not go gentle into that good night./Rage, rage against the dying of the light.]

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Terzo. Cooper farà tutto ciò che è umanamente possibile tornare da sua figlia e salvare

non solo lei ma tutti quelli rimasti sulla terra. «Non andartene docile in quella buona notte/

Infuriati, infuriati, contro il morire della luce». Ecco che quella spinta al sacrificio iniziale ri-

torna, ma è una sacrificio completamente nuovo, consapevole, prima combattuto e infine ac-

cettato. Cooper sopravvive ma è dovuto morire come Lazzaro per poter tornare in vita e

come per Lazzaro sarà una vita nuova, in un nuovo mondo. La morte per Thomas è un osses-

sione continua. È fuggita, poi affrontata e combattuta con le armi della sua arte. Interstellar,

oltre alla morte, dà adito a molti altri temi cari a Thomas come la sacralità della natura, il

ciclo della vita, l’infanzia. Queste poche righe ci mostrano la capacità del regista nel manipo-

lare temi e fonti complesse per poi riportarli a nuova vita all’interno del film.

Macchine del tempo

Le citazioni letterarie hanno una parte fondamentale in questo film. Ciò che sembra

aver più affascinato Nolan nei suoi studi letterari è il superamento della linearità del romanzo

a favore di soluzioni più ardite che meglio rappresentano la contemporaneità. Scrittori come

Marquez, Woolf, Proust e Joyce fino ad arrivare a DeLillo e Palahniuk hanno ampliato il rag-

gio d’azione del romanzo indagandone la struttura e sperimentando nuovi approcci. Nolan

vuole tradurre nel linguaggio cinematografico le loro innovazioni. Il cinema in fondo è rimas-

to sostanzialmente legato alla struttura classica del racconto con un intreccio che corrisponde

in buona parte alla fabula. Opere come Memento o The Prestige pongono lo spettatore davanti a

soluzioni narrative inedite e che lo costringono a porsi domande sul dispositivo cine-

matografico. In Interstellar questo profondo retroterra letterario che prima era rimasto ai mar-

gini emerge con forza.

La libreria di Murph ha una posizione centrale, non solo per lo scioglimento della vi-

cenda quale mezzo di comunicazione tra Cooper e la figlia, ma anche come elemento simbol-

ico. Quando Nolan deve scegliere come mettere in contatto la terra e gli astronauti dell’En-

durance opta per un’immagine video sbiadita e disturbata che sembra provenire da un vec-

chio televisore a tubo catodico. Quando invece deve creare un collegamento tra Cooper 53

chiuso nel tesseratto e la figlia Murph preferisce usare dei libri e un orologio. Se l’orologio è

un chiaro rimando alla riflessione sul tempo, l’idea di usare una libreria per comunicare è una

brillante metafora sui libri porte di accesso ad altri mondi. Di come, insomma, gli autori si

Evidente è la citazione a 2001: A Space Odyssey in cui il protagonista entra in una futuristica cabina telefonica 53

per chiamare la famiglia rimasta sulla terra.

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fanno inconsapevolmente carico di messaggi che vanno ben al di là della loro opera. Jonathan

Nolan in un’intervista a «IGN» spiega perché lui e il fratello hanno scelto una libreria come

metafora nel tesseratto.

La cosa bella dei buchi neri è che nessuno in realtà sa cosa c’è oltre l’orizzonte degli eventi. Così ci sembrava giusto che la connessione tra esseri umani - il vero tema centrale del film - doveva avere un luogo e una sequenza che gioca con questa metafora. È il rapporto tra noi e i nostri figli, tra noi e i nostri genitori, la fragilità di tutto questo. Non è un caso che sia una libreria il simbolo di questa sequenza del film, perché non c’è simbolo migliore per la trasmissione delle in-formazioni tra una generazione e quella successiva. Guardate a una qualsiasi li-breria di casa, non importa quanto sia modesta, troverete un libro che contiene il sapere o le idee o una lingua che è vecchia di almeno un migliaio d’anni. È l’idea che gli esseri umani hanno creato un meccanismo per il viaggio nel tempo, per lanciare idee nel futuro, il che è un po’ il loro fine. I libri sono una macchina del tempo.54

Evidente è l’intento del regista di trasformare un semplice mezzo in un elemento alta-

mente significante che concorre alla definizione di se stesso. Qui i libri che formano e 55

cadono dalla libreria nascondono un sottotesto ricco di significati e rimandi. Quali sono

dunque gli autori della libreria di Murph?

Nolan in un’intervista a «Wired» cita nove easter egg nascosti nel film, esponendo 56

brevemente il perché della loro scelta:

- Ian Banks, The Wasp Factory, «Una volta letto, questo testo è qualcosa di indimentica-

bile, di stranamente commovente, un terribile racconto di un ragazzino e suo padre in una

sorta di isolamento»

- T.S. Eliot, Selected Poems, «I concetti di spazio e tempo nella loro massima complessità

sono espressi meglio nelle arti che nelle scienze in senso stretto. Per esempio, i Quattro quartet-

ti di Eliot riescono a stimolare interesse e dibattiti al pari di un qualunque testo scientifico»

- Stephen King, The Stand, «Uno scenario desolante che però ci ricorda che il nostro

punto di vista sugli eventi epocali sarà sempre intimo»

- Thomas Pynchon, Gravity’s Rainbow, «Il titolo più elegante. Di sempre»

Roth Cornet, Interstellar Writer Jonathan Nolan Gives Us The Scoop On Deep Spoilers!, «IGN», 8 novembre 2014 54

http://www.ign.com/articles/2014/11/08/jonathan-nolan-interstellar-spoilers

Non è certo la prima volta che Nolan compie un’operazione di questo genere, spesso nei suoi film il mezzo è il 55

contenuto. In Inception ad esempio trasforma l’intero film, inteso come mezzo di comunicazione del significato, in una metafora sul sogno. Lo stesso discorso si potrebbe fare per Memento o The Prestige.

Jon J. Eilenberg, 9 Easter Eggs From the Bookshelf in Interstellar, «Wired», 2015 56

http://www.wired.com/2014/11/interstellar-murphs-library/

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- Jane Austen, Emma, «Un bellissimo nome per un bellissimo libro (o una bellissima

produttrice)» 57

- Madeleine L’Engle, A Wrinkle in Time, «La mia introduzione all’idea di più dimensioni,

inclusa quella del tesseratto»

- Jorge Luis Borges, Labyrinths, «Il nome dice tutto»

- L.P. Hartley, The Go Between, «Le esperienze dell’infanzia echeggiano nella vita adulta.

Commovente, con una delle più belle frasi di apertura di sempre» 58

- Edwin Abbot, Flatland: A Romance of Many Dimension, «Un tentativo molto leggibile e

rimarchevole per farci cambiare il modo con cui ora guardiamo il mondo attorno a noi»

Basterebbero questi pochi libri per dare spazio a un’ampia analisi sulle influenze, le sug-

gestioni, i richiami che questi testi riverberano sul film. Prendiamo ad esempio il titolo di

Hartley, il racconto su un anziano, Leo Colston, che rileggendo il proprio diario ricompone la

sua adolescenza. Ci parla dell’estate dei suoi tredici anni passata in una villa di campagna

dove suo malgrado è costretto a diventare intermediario (il go-between del titolo) tra due

amanti, una ragazza dell’alta borghesia e un bracciante, coinvolti in una relazione impossibile

per l’epoca. Quando la storia viene alla luce il giovane amante si suicida. Questo fatto segnerà

profondamente Leo per tutta la vita. Il libro si chiude con il ritorno del protagonista, ormai

vecchio, alla villa dove scoprirà che c’è ancora qualcuno ad aspettarlo per consegnare una

missiva d’amore. Già in questo breve riassunto si possono toccare con mano i punti in co-

mune con Interstellar, ma le suggestioni vanno ben al di là della trama. Ad essere ripresa qui

non è solo l’idea di un rapporto a distanza. Il racconto indaga le spinte profonde che concor-

rono a creare il nostro io. Il rapporto tra infanzia e maturità richiamato nel titolo è il vero

cuore pulsante del testo. Esattamente come Leo non è in grado di instaurare una relazione

intima sentendosi responsabile per la morte del giovane, Murph interiorizza il senso di colpa

per la partenza del padre e solo il superamento di questo blocco permetterà alla storia di pro-

cedere e arrivare a una soluzione. Lo straniamento delle emozioni, il rifiuto di costruire un

rapporto stabile e significativo con l’altro abbiamo visto essere una delle costanti del cinema

nolaniano ad essere state superate in Interstellar. «Ero straniero del mondo delle emozioni»

racconta Leo e Nolan nel suo film non fa altro che esplorare questo mondo.

Sua moglie, nonché la produttrice di tutti i suoi film, è Emma Thomas.57

Il libro si apre con questa frase: «Il passato è un paese straniero. Lì, tutto si svolge in modo diverso» nell’origi58 -nale inglese «The past is a foreign country: they do things differently there».

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A essere significativi in Interstellar non sono solo i libri in se stessi ma anche il luogo dove

vengono messi. Quando Cooper colpisce disperato la libreria incapace di fermare la sua

partenza da casa, il libro che cade sul pavimento è Flatland. Quale miglior racconto se non 59

questo per rappresentare il tentativo di Cooper di comunicare tra il tesseratto pentadimen-

sionale in cui è rinchiuso e la realtà tridimensionale della camera di Murph? Oltre al contenu-

to, la posizione e il momento in cui vengono mostrati i testi sono elementi essenziali per com-

prendere il significato nel panorama del film.

La prima inquadratura di Interstellar è una carrellata sulla libreria. I testi sono come una

citazione all’inizio di un libro dove possiamo leggere i seguenti titoli:

- … - Mark Helprin, Winter's Tale (1983) - Martin Amis, Time’s Arrow (1991) - Ted Morgan, Maugham: A Biography (1980) - Isabel Wolff, Out of the blue (2012) - Curtis e Dianne Nelson Oberhansley, Downwinders: An Atomic Tale (2001) - Gabriel Garcia Marquez, One hundred years of solitude (1967) - David Wroblewski, The story of Edgar Sawtelle (2008) - Jeannette Walls, The Glass Castle (2005) - Peace Corps, A life inspired: Tales of Peace Corps Service (2005) - Libro anonimo dal dorso nero - J.B. Priestley, The Doomsday Men (1937) - T.S. Eliot, Selected Poems (2009) - Richard Hooper Pough, Audubon bird guide, Eastern land birds (1949) - H.G. Wells,Time Machine (1895) - José Saramago, Seeing (2004) - Greg Mortenson, David Oliver Relin, Three Cups of Tea (2006) - William Shore (a cura di), Louder than words (1989) - Janet Fitch, White Oleander (1999) - …

Già i titoli parlano con immediata chiarezza e possono essere presi anche solo nel loro

significato letterale (Seeing, Out of the Blue, Time’s Arrow, The Time Machine) altri invece appaiono

decisamente più criptici (Audubon Bird Guide: Eastern Land Birds, Maugham: A Biography). Centrale

è anche il tema del tempo (Winter, Time, Biography, One Hundred Years, Life, Doomsday) che non si

ferma solo alle parole del titolo ma viene esportato in modi diversi nelle singole opere. Da

Flatland è la storia di un quadrato che dopo aver incontrato una sfera cerca di convincere gli altri abitanti del 59

suo mondo bidimensionale dell’esistenza di una terza dimensione.

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segnalare poi come i libri siano esattamente dodici, un numero carico di significati, divisi in

due gruppi da un libro anonimo dal dorso nero. Se dovessimo cercare un elemento che acco-

muna tutti questi libri probabilmente lo potremmo individuare nella capacità degli autori di

cogliere alcuni elementi profondamente umani e perciò senza tempo inserendoli in una forma

nuova e audace, perfetta espressione del proprio Zeitgeist. Niente di nuovo, queste sono le

caratteristiche di ogni buon libro. Qui ad emergere è il desiderio di Nolan nel legare la sua

opera a un universo più ampio, spingere lo spettatore oltre il testo filmico.

I libri presenti nel film sono molti di più di quelli che abbiamo citato fin ora. Di seguito

una lista di tutti i libri a cui è stato possibile risalire partendo dal titolo, autore o a volte 60

persino dall’immagine della copertina. Alcuni di questi vengono solo intravisti nel fondo del61 -

la scena altri invece sono messi in una posizione privilegiata e su questi vale la pena soffer-

marsi.

- Britannica Junior Enciclopedia (ed.1975) - Unabridged Dictionary of the English Language - Laura Ingalls Wilder, Little House in the Big Woods - John Boyne, The Boy in the Striped Pyjamas - Armistead Maupin, The Night Listener - E.B. White, Charlotte’s Web - Sir Arthut Conan Doyle, ? - A. Scoot Berg, Lindbergh - Chad Harbach, The Art of Fielding - Brian Selznick, Wonderstruck - Diana Gabaldon, Drums of Autumn - Lois Lowry, The Willoughbys - James Ellroy, The Big Nowhere - Robert Hughes, The Fatal Shore - Charlotte Armstrong, The Ballon Man - Ayn Rand, The Fountainhead - Frederick Forsythe, The Devil’s Alternative - Herman Melville, Moby Dick - T.S. Elliot, The Waste Land - Carol Gilligan, In a Different Voice: Psychological Theory and Women’s Development

Vale la pena qui ricordare il testo che Eco dedica alle liste dove ci racconta la vertigine degli autori e degli 60

artisti di ogni epoca che, nello spazio apparentemente finito di una lista o di un quadro, desiderano raccogliere l’infinito che li circonda. Umberto Eco, Vertigine della lista, Bompiani, Milano, 2009

Qui devo ringraziare la comunità di nolanfans.com per l’insostituibile aiuto nella ricerca dei testi.61

"44

- Tom Perrotta, Little Children - Pearl S. Buck, The Good Earth - Joyce Carol Oates, Gravedigger’s Daughter - Dave Eggers, Zeitoun - John Connolly, The Reapers - Joyce Carol Oates, We Were the Mulvaneys - Louisa May Alcott, Little Women - John Green, The Fault in Our Stars - Peter Jennings, Todd Brewster, The Century - Katherine Dunn, Geek Love - Eva Hoffman, Exit into History: A Journey Through the New Eastern Europe - Gail Goodwin, Flora - Josceline Dimbleby, May and Amy - Kate Mosse, Labyrinth - Redmond O’Hanlon, Trawler: A Journey Through the North Atlantic - Betsy Streeter, Silverwood

Due di questi testi, The Willoughbys e The Big Nowhere, vengono messi in una posizione di

rilievo. Sono gli unici due titoli che si possono vedere dal retro della libreria. Il primo com-

pare nella sequenza in cui Cooper guarda se stesso abbandonare la figlia. Ricompare poi

quando Murph, molti anni più tardi, si chiede chi sia il fantasma nella sua libreria e capisce

che è suo padre. The Willoughbys non a caso racconta di quattro bambini che cercano il lieto

fine dopo essere stati, forse, abbandonati dai genitori. The Big Nowhere, invece, lo vediamo nel

punto di svolta, quando Cooper trova un modo per comunicare con Murph e inizia a

trasmettere in codice morse attraverso le lancette dell’orologio. Il libro di Ellroy è un thriller

poliziesco a tinte fosche ambientato a Hollywood. Apparentemente, se vogliamo tralasciare il

titolo, ha poco a che fare con il film, tuttavia la testardaggine del detective nel perseguire i

suoi obbiettivi andando oltre ogni apparente logica ricorda molto quello che Murph dovrà

fare.

Sempre nella seconda parte del film un altro testo appare chiaramente in più di un in-

quadratura. È The Stand, romanzo post-apocalittico scritto da Stephen King. La fine della nos-

tra civiltà e della nostra specie risveglia in ogni scrittore il desiderio di esportare i meccanismi

che fondano e regolano il nostro vivere comune. The Stand racconta di un virus creato in labo-

ratorio e andato fuori controllo. In meno di venti giorni la quasi totalità del genere umano si

estingue, i pochissimi superstiti formano due comunità distinte che presto iniziano a fron-

teggiarsi. I due gruppi sono ben consapevoli che questo scontro li può rendere i padroni in-

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contrastati del pianeta o portarli al completo annientamento. Nella storia, come in Interstellar,

entrano in gioco forze misteriose pronte a proteggere l’uomo da se stesso. Gli scenari post-

apocalittici e distopici come questo hanno conosciuto sempre più fortuna nell’ultimo decen-

nio, sia nella carta stampata che al cinema. Interstellar raccoglie molto di questo retroterra cul-

turale e risponde alla domanda che il libro nel finale pone al lettore: può l’umanità imparare

dai propri errori? King risponde con un laconico «Non lo so». Nolan sembra essere più ot-

timista.

Le citazioni letterarie prendono anche altre forme. Ad esempio il buco nero di Interstellar

è chiamato Gargantua un riferimento ai libri di François Rabelais La vie de Gargantua et de Pan-

tagruel, una satira della società del tempo scritta sotto forma di racconto fantastico. Dai nomi

dei due protagonisti Gargantua e Pantagruel derivano due aggettivi. Il primo, gargantuesco,

significa insaziabile e smisurato, un nome perfetto per un buco nero capace di inghiotte persi-

no la luce. Il secondo, pantagruelico, riferito a un banchetto ne sottolinea la grandezza e vari-

età. Bruce Wayne in The Dark Knight Rises usa proprio questo aggettivo per definire il buffet di

Miranda Tate.

Ambizioni

Ho sempre pensato che se vuoi veramente provare a fare un grande film, non un buon film, ma un grande film, devi prenderti un bel po’ di rischi.

Inevitabilmente, se si chiama Interstellar e hai a che fare con la vastità dell’universo, dovrà essere il film più grande e ambizioso che tu abbia mai fatto.62

Christopher Nolan

Il peccato mortale di Interstellar è sopra ogni cosa la sua spaventosa ambizione, il suo vol-

er raccontare qualcosa e al contempo tutto. Eppure in questo desiderio di superare se stessi è

racchiuso l’animo stesso del film, senza questa aspirazione non ci sarebbe stata nessuna pelli-

cola. È così rischioso, produttivamente parlando, creare un’opera originale che Hollywood,

soprattutto in momenti di crisi, preferisce partire da opere esistenti e con un fandom già consol-

idato. Interstellar è stato il più grande incasso del 2014 di un’ opera originale, cioè pensata e

realizzata appositamente per il grande schermo, davanti ci sono 9 film tutti sequel, reboot o

adattamenti di altre opere. L’ambizione del racconto, del protagonista e del regista si espande

fino a comprendere l’intero mercato cinematografico. Interstellar è un invito al cinema ameri-

cano a ritrovare coraggio e tentare nuove vie. Anche Nolan ha girato un remake (Insomnia) e

Dichiarazione del regista nel making of Plotting an Interstellar Journey 62

Interstellar, Warner Home Video, Blu-ray Disc, 1 aprile 2015

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con la trilogia del Cavaliere Oscuro ha creato uno dei reboot più amati e riusciti della storia

del cinema. Tuttavia il suo rifiuto di continuare il franchising di Batman e tornare a dirigere

un’opera originale ci dice molto sulla sua idea di cinema.

Essere genitori

L’esplorazione delle relazioni umane, come abbiamo visto all’inizio, sono uno dei grandi

passi avanti di Interstellar. Prima di proseguire é però necessaria una parentesi biografica.

Christopher Nolan ha avuto quattro figli, fatto che lo ha profondamente segnato. Sia in Incep-

tion che in Interstellar i figli dei due protagonisti hanno pressappoco l’età di quelli del regista. In

Interstellar una delle scene dell’esodo dalle campagne la ragazza inquadrata sopra il pick-up è

proprio la figlia del regista Flora Nolan. È un ritorno alla sua infanzia quando il padre, grafi-

co pubblicitario, lavorava diviso tra Londra e Chicago o rimaneva lontano per mesi per

qualche viaggio di lavoro in Africa o Asia, mentre lui e il fratello aspettavano il suo ritorno a

casa. In questo lavoro al cesello fatto di cammei e ricordi d’infanzia Nolan sottolinea ulteri-

ormente il suo coinvolgimento emotivo nella vicenda. Ecco quindi composto l’elemento cen-

trale del film, il rapporto genitori/figli che prende forma attraverso i due protagonisti ma si

espande fino a diventare una riflessione che coinvolge l’intera umanità. Quando Cooper deve

lasciare sua figlia Murph le dice: «Dopo che siete nati voi tua mamma mi ha detto una cosa

che non avevo mai capito. Mi ha detto: "Ora siamo qui solo come ricordi per i nostri figli".

Credo di aver capito che cosa voleva dire. Quando diventi genitore sei il fantasma del futuro

dei tuoi figli». Questa frase, attraverso i mille giochi di specchi, rimandi e citazioni che Nolan

crea, racchiude l’intero film. Il fantasma della libreria, il viaggio di Cooper per salvare

l’umanità, il suo sacrificio e infine il ritorno a casa raccontati in una frase. Cosa significa

dunque essere genitori? «Ricordi per i nostri figli, fantasmi del loro futuro», frase evocativa e

ambigua ma che mostra tutto il limite delle parole. Nolan affida la risposta alla storia e alle

immagini con cui la racconta, il suo è un testo agito.

Murph vive la partenza del padre come un abbandono, una elemento che sembra

tradurre la situazione attuale dove i genitori non hanno più la certezza che i loro figli avranno

un futuro migliore del loro. Le nuove generazioni si sentono tradite e abbandonate a loro

stesse. «Quando diventi genitore una cosa ti è molto chiara. Vuoi che i tuoi figli si sentano al

sicuro. Non puoi dire a una bambina di dieci anni che il mondo sta per finire» confessa

Cooper ad Amelia. Come fare a dare sicurezza se nemmeno tu ne hai? Dietro questa frase si

nasconde la responsabilità e il senso di inadeguatezza che ogni genitore sente per la vita dei

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propri figli. La stessa inadeguatezza dell’equipaggio dell’Endurance nei confronti dell’Uman-

ità. Cooper dovrà scegliere se tornare dai suoi figli o salvare il futuro del genere umano cre-

ando una nuova colonia.

Solitudine

«Non sentirai mai questi messaggi, lo so... Tutti questi messaggi staranno fluttuando lassù, nell'oscu-rità... Lois dice che devo lasciarti andare e allora forse ti sto lasciando andare.

Non so dove sei papà, ma spero che tu sia in pace e... Addio»

Tom Cooper in Interstellar

Kubrick con 2001 voleva dimostrare scientificamente l’esistenza di una civiltà extrater-

restre, Lucas non fa altro che crearne un’epopea e Spielberg con Close Encounters of the Third

Kind ne racconta l’incontro. Nolan non fa nulla di tutto questo. Nel suo universo non c’è

niente là fuori che ci aspetta con le risposte in mano e non poteva che essere così. Troppe cose

sono successe nel nuovo millennio per poter ancora credere alle favole così come le racconta-

va il secolo scorso.

Questa solitudine non è estranea al genere umano ma nuovo è il modo in cui la vivi-

amo. Al nichilismo ereditato dalla postmodernità si unisce l’instabilità sociale, politica ed eco-

nomica di questi anni, la società liquida di Bauman ci ha finalmente consegnato la libertà che

a lungo abbiamo cercato, il prezzo che abbiamo pagato è la mancanza di punti di riferimento.

Tutti i personaggi di Nolan vivono questa precarietà, in Interstellar questo viene portato al-

l’estremo: la specie umana è sull’orlo dell’estinzione, e la nuova generazione sarà l’ultima a

sopravvivere sulla terra: chiunque si sentirebbe disarmato. L’assenza di qualcosa a cui ag-

grapparsi può buttarci nello sconforto, farci vacillare, perire. Cooper non fa nulla di tutto 63

questo, non può permetterselo, ha promesso a sua figlia che sarebbe tornato e sa di essere

l’unica speranza dell’umanità. Non ha scelta e forse nemmeno noi l’abbiamo.

Mancanza, assenza, vuoto. A spingere e tormentare i personaggi di Nolan è questo. In-

terstellar può essere visto come un’enorme elaborazione del lutto, la morte è il personaggio in-

visibile di questo film, fuggita, accettata e infine sconfitta. Qui ritorniamo all’inizio, quando

abbiamo parlato di Interstellar come a un film sulle relazioni umane. Il lutto è il modo attraver-

so cui Nolan introduce queste relazioni, con la loro estrema mancanza. A sciogliere la trama

non è altro che la ricomposizione di queste relazioni. Ecco che ritorna anche la fede, ma è

una fede tutta laica, terrena e profondamente umana: la fiducia nel prossimo.

Interstellar traduce questa instabilità attraverso l’assoluto silenzio delle sequenze nello spazio, che più di ogni 63

nota ci ricorda quanto siamo spaventosamente in pericolo e lontani da casa. Nemmeno Gravity è arrivato a tanto.

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Il male

Tu [Natura] sei nemica scoperta degli uomini, e degli altri animali, e di tutte le opere tue; che ora c'insidii ora ci minacci ora ci assalti ora ci pungi ora ci percuoti ora ci laceri,

e sempre o ci offendi o ci perseguiti; e che, per costume e per instituto, sei carnefice della tua propria famiglia, de' tuoi figliuoli e, per dir così, del tuo sangue e delle tue viscere.

Giacomo Leopardi, Dialogo della Natura e di un Islandese

Amelia Brand: Scienziati, esploratori...è questo che amo. Sai, nello spazio affrontiamo grandi sfide: la morte, ma... non il male.

Cooper: Non credi che la natura sia anche maligna?Amelia Brand: No. Tremenda, spaventosa, ma no, maligna no.

Be', un leone è maligno perché fa a pezzi una gazzella?Cooper: C'è solo quello che ci portiamo.

Nolan, per la prima volta, esplora uno scenario dominato dalla natura, abbandonando

la città che aveva fatto da sfondo a tutti i suoi film precedenti. È una natura terribile quella di

Interstellar: inospitale e spietata sulla terra, selvaggia e desolata sullo spazio. Quando Nolan

decide di raccontare un’ipotetica fine del genere umano non sceglie la catastrofe nucleare o

una causa generata dall’uomo, sceglie una misteriosa piaga che si nutre di azoto. È un’ipotesi

irrealistica che va contro a quanto tutti noi ci aspetteremmo da un disastro planetario. L’uo-

mo è posto di fronte a una natura che lo ha tradito e ora deve ingegnarsi per trovare una

soluzione. Questa scelta non può non sottendere una qualche fiducia nell’essere umano. Il

pensiero comune va invece in tutt'altra direzione, la stragrande maggioranza dei film o rac-

conti apocalittici incolpa l’uomo della sua fine.

Dov’é allora il male in Interstellar? Dove è sempre stato: dentro di noi. Il dr. Mann lo ab-

biamo portato noi nello spazio, la sua è una scelta lucida: mandare in frantumi ogni speranza

di sopravvivenza dell’umanità per salvarsi la vita. Possiamo definire il suo istinto di soprav-

vivenza maligno? Stando alla parole di Amelia la natura non è malvagia e non può esserlo

nemmeno l’istinto primordiale e universale di sopravvivere. Qui non ci sono cattivi o nemici

da abbattere e nemmeno il dr. Mann lo è, non è altro che la rappresentazione dell’egoismo

umano. Il professor Brand nasconde a tutti la verità, Cooper lascia i suoi figli, Murph non

vuole perdonare suo padre, Tom lascia la fattoria mettendo a rischio la vita dei suoi figli,

Amelia non è all’altezza del proprio ruolo: ogni personaggio di Interstellar ha fatto delle scelte,

ma Nolan non le giudica né giuste né sbagliate, le scelte hanno solo delle conseguenze, alcune

saranno del tutto inaspettate e non tutto il male verrà per nuocere. Siamo in una zona grigia

dove la dicotomia manichea ha perso ogni significato.

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Gli anni Zero ci consegnano una nuova immagine del reale che ha come unico punto di

partenza e arrivo l’Uomo con i suoi sentimenti, percezioni e desideri. Il cinema più autentico

di questi anni non desidera rimandare a nulla, non dimostra niente se non se stesso. Quando

raccontiamo la nostra fine in film come The Road, Children of Men, A.I. Artificial Intelligence,

l’unico valore a sopravvivere è la propria umanità, intesa come l’insieme dei caratteri essen-

ziali e distintivi della nostra specie.

La fede nell’uomo

«Dobbiamo arrivare molto al di là della nostra personale esistenza. Dobbiamo pensare non come individui, ma come specie.»

prof. Brand in Interstellar

Interstellar è un film sui limiti dell’uomo: la morte, il tempo, il sacrificio.

Eccoci infine al cuore di tutto il nostro ragionamento: l’uomo. L’unico altro punto di

confronto del protagonista nolaniano è sempre stato se stesso, anche quando viaggia ai confini

dello spazio e del tempo l’unica cosa che trova è l’umanità del futuro. Nel tesseratto Cooper

realizza che non è stata una civiltà aliena a guidarlo fin lì.

TARS: Gli esseri dell'iperspazio stanno chiudendo il tesseratto. Cooper: Ancora non ti è chiaro? Non sono esseri, siamo noi! Quello che io ho fatto per Murph loro lo fanno per me. Per tutti noi. TARS: Le persone non sanno costruire questo.Cooper: No, non ancora. Ma un giorno sì. Non io e te. Ma altre persone. Una civiltà che si è evoluta al di là delle quattro dimensioni che conosciamo.

Non c’è nessun altro, ci siamo solo noi. La soluzione è a portata di mano ma dobbiamo avere fiducia in noi stessi non in una civiltà

aliena o in qualche fantomatico salvatore. L’uomo deve tornare a credere in sé e nelle proprie

capacità. Per quanto buio possa essere il futuro che abbiamo dinnanzi, Nolan ci ricorda che la

più grande risorsa che abbiamo a disposizione saremo sempre noi stessi. In una società apati-

ca e individualista come la nostra, Interstellar è un monito a chi aspetta ogni volta che siano

altri a trovare una soluzione.

Ogni buon film di fantascienza ha posto l’uomo di fronte alle grandi domande dell’e-

sistenza. Sembra che il grande silenzioso vuoto degli spazi interstellari ci spinga a guardarci

nel profondo. Per quanto possano essere improbabili o dolorose le risposte che vi troviamo,

per quanto possiamo essere intelligenti e consapevoli della nostra condizione, abbiamo bisog-

no di credere in qualcosa che sia un dio, una persona o un'idea. Perché allora non credere

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nell’uomo, non è forse quello che ha fatto Dio? Interstellar è la risposta di Nolan a questa do-

manda. Superando l’eterna dualità tra scienza e religione Nolan ci propone una sintesi attra-

verso quella che possiamo definire una ‘nuova religione laica’ fondata sull’uomo.

Pionieri

È come se ci fossimo dimenticati chi siamo, Donald: esploratori, pionieri. Non dei guardiani.

Non mi piace questo far finta di essere tornati dove abbiamo cominciato,io voglio sapere dove siamo, dove stiamo andando.

Cooper in Interstellar

Una delle peculiarità di Christopher Nolan è l’indiscussa capacità di anticipare i tempi,

precorrere nuovi stili e ampliare gli orizzonti cinematografici. Lo abbiamo visto con Inception

che ha aperto la strada a film come In Time, Source Code, Looper, Limitless, Edge of Tomorrow, Lucy.

Con la trilogia del Cavaliere oscuro ha preso un genere fortemente decodificato caricandolo

dello spirito di un intero decennio. Paure, speranze e ossessioni opportunamente filtrate e

messe in scena. È ancora troppo presto per dire quali effetti causerà Interstellar ma è indubbio

che abbia alzato l’asticella. Se prima era impossibile non confrontarsi con 2001, oggi chi vor-

rà confrontarsi seriamente con la fantascienza non potrà che partire da qui.

Pensando agli sterminati vuoti dello spazio, le condizioni estreme, la precarietà e la soli-

tudine di un ipotetico viaggio interstellare tornano alla mente gli argonauti del pacifico che a

bordo delle loro piroghe hanno affrontato l’oceano, colonizzando isole distanti migliaia di

chilometri guidati solo da qualche uccello e dal loro istinto. Oggi tutto questo ci sembra im-

possibile eppure è già successo e succederà ancora. In un futuro in cui l’orizzonte è coperto da

una tempesta di sabbia, Nolan racconta un uomo che ritrova la volontà, il coraggio e quel

desiderio che lo spinge a superare i propri limiti. Essere pionieri significa esplorare, trovare

nuove soluzioni, guardare le cose da un’altra prospettiva, anticipare tempi, stili, tendenze.

Quello di Nolan è uno sguardo nuovo carico di attesa, fiducia e speranza verso il futuro. Lo

stesso sguardo di Cooper mentre si lancia nel vuoto, senza sapere cosa lo aspetta, ma certo

della sua decisione.

È un nuovo e coraggioso mondo che abbiamo appena iniziato ad esplorare.

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Cosa ne verrà fuori non ne ho idea.E dopo tanto correre di qua e di là, eccoci qui:

nel cuore del nulla e della notte. E forse saperlo serve a poco.

Qui, in mezzo alle rovine e al buio, quello che stiamo costruendo poterebbe essere qualsiasi cosa.

Chuck Palahniuk, Soffocare

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Analisi della sequenza: Alfa e Omega

L’inizio e la fine di un film, come in un libro, sono le parti più importanti. Proprio come

nel parlare le pause sono fondamentali per caricare le parole di significato, allo stesso modo

nel running time non avremo mai una pausa così lunga come quella che precede il film o così

carica di significato come quella che lo chiude. Interstellar non fa eccezione. Come tutti i film di

Christopher Nolan inizio e fine si parlano, dialogano tra loro.

Prima ancora di vedere un’inquadratura il film è già iniziato. Durante le sigle della pro-

duzione siamo introdotti alle immagini attraverso la colonna sonora di Hans Zimmer, poche e

semplici note composte dal rumore del vento e suoni indistinti attraverso cui si fanno strada le

canne di un organo. La prima inquadratura è una carrellata su una libreria, davanti ai testi ci

sono dei modelli di astronavi e, mentre compare il titolo del film, della sabbia cade dall’alto

ricoprendo tutto (figura 1). Dissolvenza verso il nero, stacco. Esattamente 15 secondi in cui

sembra che non venga detto nulla, a parte il titolo del film. Facendo più attenzione si possono

leggere i titoli di alcuni libri che compaiono in questo ordine:

- … - Mark Helprin, Winter's Tale (1983) - Martin Amis, Time’s Arrow (1991) - Ted Morgan, Maugham: A Biography (1980) - Isabel Wolff, Out of the blue (2012) - Curtis e Dianne Nelson Oberhansley, Downwinders: An Atomic Tale (2001) - Gabriel Garcia Marquez, One hundred years of solitude (1967) - David Wroblewski, The story of Edgar Sawtelle (2008) - Jeannette Walls, The Glass Castle (2005) - Peace Corps, A life inspired: Tales of Peace Corps Service (2005) - Libro anonimo dal dorso nero - J.B. Priestley, The Doomsday Men (1937) - T.S. Eliot, Selected Poems (2009) - Richard Hooper Pough, Audubon bird guide, Eastern land birds (1949) - H.G. Wells,Time Machine (1895) - José Saramago, Seeing (2004) - Greg Mortenson, David Oliver Relin, Three Cups of Tea (2006) - William Shore (a cura di), Louder than words (1989) - Janet Fitch, White Oleander (1999) - …

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Come all’inizio di un libro troviamo una citazione, qui Nolan usa i libri per introdurre il

film. Un’epifania narrativa e visiva, dove ai contenuti di quei testi fanno da contro altare le

immagini del film.

Dopo il titolo dal nero emerge una voce, femminile, roca, consumata dal tempo. È

un’anziana, Ellen Burstyn, ripresa come in un documentario (figura 2): primo piano, focale

lunga, luce laterale, sfondo scuro. «Mio padre era un agricoltore, come tutti a quell’epoca. 64

Certo non ha cominciato così». Stacco su un campo di grano (figura 3). L’inquadratura è

molto aperta, eppure l’immagine risulta quasi soffocante. L’orizzonte è schiacciato ai limiti

dell’inquadratura, il resto è occupato da un’immensa distesa di mais sferzata dalla sabbia e dal

vento. Un altro stacco, siamo tra le nuvole, la cinepresa è legata a un veicolo, come una Go-

Pro (figura 4). Vediamo Cooper intendo a pilotare (figura 5). Casco, bocchettone per l’aria e

la barra di comando sembrano quelli di un qualsiasi caccia, poi la voce di quello che intuiamo

essere un computer disattiva il fly-by-wire. Cooper perde il controllo (figura 6), un colpo fortis-

simo e di nuovo stacco. Era solo un sogno (figura 7). Ora siamo nella camera di Cooper, la

figlia Murph si è svegliata pensando di aver sentito il suo fantasma e chiede al padre se ha

sognato l’incidente. Un movimento di macchina, sottolineato dalla colonna sonora, ci porta

dalla semi oscurità della stanza (figura 8) all’alba fuori dalla finestra (figura 9) dove i campi di

mais si perdono all’orizzonte. L’interno, indistinto e buio, è spazio della nostra mente abitata

da incubi e fantasmi, l’esterno è bellissimo e spaventoso. Là fuori potremmo trovare la nostra

salvezza come la nostra fine. La scena cambia di nuovo, torna la signora anziana e ci racconta

della piaga, del mais e della polvere (figure 10,11,12). Alla sua voce si aggiungono pian piano

quelle di altri coetanei (figure 13,14,15).

Anziana 1: Il grano era morto. Dopo la piaga abbiamo dovuto bruciarlo. C’era ancora il mais, ettari di mais. Ma c’era soprattutto sabbia. Anziana 2: Non so se riesco a descriverla, era costante. C’era questa continua tempesta di sabbia.Anziana 3: Tagliavamo delle strisce di lenzuola e le mettevamo certe volte sul naso, sulla bocca per respirarne un po’ meno.Anziano 4: Beh, quando apparecchiavamo mettevamo sempre il piatto al contrario. Tazze, bicchieri, mettevamo tutto la contrario.

Queste interviste, ad eccezione di quella fatta a Ellen Burstyn, sono prese direttamente

dal documentario di The Dust Bowl di Ken Burns. Negli anni Trenta l’America centrale è 65

Dietro a quella che scopriremo solo alla fine essere Murph da anziana, è possibile intravedere la libreria del64 -l’inquadratura precedente.

The Dust Bowl, «IMDb», 2012 65

http://www.imdb.com/title/tt2357472/?ref_=ttmc_mc_tt

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attraversata da continue tempeste di sabbia causate dallo sfruttamento del suolo. Il terreno

agricolo veniva arato in profondità e, senza un’adeguata rotazione delle colture, il suolo non

era più in grado di trattenere l’umidità. L’erba non fu più in grado di crescere. Alla prima sic-

cità il suolo diventò una distesa di sabbia, il vento dell’est fece il resto. Enormi nuvole di pol-

vere nera si alzavano in cielo fino ad oscurare il sole, raggiungevano le città della costa per poi

disperdersi in mare. Nel 1934 nel New England cadde neve rossa. Fu il più grande disastro

ecologico causato dall’uomo nella storia del paese. Interstellar è una riproposizione di questo

scenario, aggravato da una piaga che impedisce alla coltivazioni di crescere. C’è una sola ec-

cezione: questa volta la natura ha fatto tutto da sola. È incredibile vedere in un film di fanta-

scienza un panorama così desolante ed estremo per poi scoprire che tutto questo è già ac-

caduto non più di qualche decennio fa. Il film gioca continuamente con questa dialettica tra 66

passato e futuro. La riflessione che Nolan instaura sul tempo inizia già da queste prime im-

magini e continua fino ad affrontane la sua dimensione più ampia: lo spazio che separa le

generazioni.

Nolan pesca a piene mani dalla storia americana e come molti registi europei prima di

lui riesce a coglierne gli elementi più peculiari. La fattoria di Cooper circondata dai campi 67

di mais è un’immagine che viene da lontano, ma che in pochi sono riusciti a rendere con tan-

ta forza. Il sogno americano qui trova la sua dimensione più atavica. Il desiderio di milioni 68

di migranti che arrivano in America cercando una possibilità di riscatto, affrontando sacrifici

e difficoltà immani per vivere in un paese dove tutto può diventare possibile, trova in Interstellar

una piena rappresentazione. Qui la frontiera non è più quella dell’Ovest ma quella dello

spazio. Vengono in mente le parole di John F. Kennedy: «Siamo sul bordo di una Nuova

Frontiera, la frontiera delle speranze incompiute e dei sogni. Al di là di questa frontiera ci

sono le zone inesplorate della scienza e dello spazio». Nolan riparte da un sogno che sembra

essersi perso, eclissato dai problemi e dai timori di oggi.

Il film di Ken Burns non si ferma solo alle devastazioni, racconta la lotta dei contadini

per la sopravvivenza delle loro famiglie. Sono gli anni della Grande depressione ma anche

quelli del New Deal, il nuovo corso, quelli che ridanno slancio e forza a un intero paese.

A tal proposito si veda il confronto a fine capitolo tra le inquadrature di Interstellar e The Dust Bowl per capire, 66

anche visivamente, quanto profonda sia stata l’influenza di questo film.

Alcuni tra i più grandi registi del cinema hollywoodiano che hanno rappresentato e raccontato gli States sono 67

stranieri. Chaplin, Lang, Winder, Murnau, Lubitsch, Hitchcock, il loro sguardo esterno ha saputo dare al cine-ma statunitense un’immagine più lucida e chiara di quanto non fosse in grado di fare da solo.

Franco La Polla, Sogno e realtà americana ne cinema di Hollywood, Il Castoro, 200468

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Cooper è il frutto più maturo di questo spirito, il desiderio di rialzarsi e superare l’impossibile.

I contadini degli anni Trenta sono gli stessi che rivivono in Interstellar. Quando Donald, il

nonno di Murph, pulisce dalla polvere la veranda e poi la cucina compie gli stessi gesti: Nolan

ricalca le stesse immagini. Quella che vediamo è una lotta impari. Cosa può l’uomo di fronte

al vento e alla polvere?

Visivamente a destare attenzione in questa prima sequenza è l’uso di aspect ratio diversi

che vanno del più largo e immersivo 1.44:1 delle inquadrature in IMAX (figura 4) al più clas-

sico 2.32:1 del cinemascope (figura 1). Qui inoltre abbiamo anche il taglio in 16:9 delle in69 -

terviste (figura 3), rimpicciolito e con bande nere in tutti i lati, in modo da staccarsi forte-

mente da tutte le altre inquadrature. Anche la fotografia, ereditata da Burns, è diversa: in

queste inquadrature la luce è più calda, la superficie più granulosa e increspata. Nel corso del-

la pellicola il passaggio tra le riprese in 35 mm e quelle in 70 avviene in modo più fluido, es-

sendo spesso le singole sequenze girate con una sola cinepresa.

Dopo questo prologo, dove il regista ci presenta gli elementi principe della storia, inizia

il primo capitolo del film che come sempre in Nolan si traduce in una scena d’azione, costrui-

ta appositamente per catapultare lo spettatore fin da subito nel mezzo della narrazione. Por-

tando i figli a scuola, Cooper ingaggerà un inseguimento tra i campi con un drone di sorveg-

lianza indiano, nella speranza di recuperare le sue celle solari (figura 16). L’immagine del ve-

livolo senza pilota, braccato e infine preso al laccio per essere riutilizzato per altri scopi, è una

chiara metafora del destino di Cooper: prima pilota costretto a diventare agricoltore, poi as-

tronauta, infine fantasma della figlia. «Deve imparare ad adattarsi Murph, come tutti noi»

dice Cooper alla figlia dispiaciuta nel non vederlo più volare. Adattarsi, volare, andare oltre,

qui c’è già tutto il film. Passano due ore e mezza di corse, lanci e acrobazie prima di arrivare

all’epilogo.

Dopo essere caduto nel buco nero ed essere collassato insieme al tesseratto, Cooper è

solo, fluttuante nello spazio, presumibilmente morto (figura 17). L’ultimo capitolo si apre con

con un primissimo piano di Cooper miracolosamente vivo che si risveglia in una stanza di os-

pedale (figura 18). Aggiornato dal medico sul suo ritrovamento, non domanda nulla. Solo

dopo che ha scostato le tende della finestra e aver visto un quartiere arrotolato su se stesso,

chiede dov’è (figura 19). Impossibile non ricordare Inception, dove Nolan piega e incastra tra

loro gli isolati di un intero quartiere parigino (figura 20). Dopo wormhole, onde alte come

Interstellar - Technical specifications, «IMDb», 2014 69

http://www.imdb.com/title/tt0816692/technical

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montagne, nubi ghiacciate, buchi neri e realtà penta dimensionali, Nolan riprende il panora-

ma rurale che abbiamo visto all’inizio e lo inserisce in uno spazio circolare. Spazio e tempo

vengono stirati fino ad ottenere uno scenario davvero surreale, anche se realistico e possibile.

Cooper ha 124 anni e sua figlia Murph è ancora viva.

Lo spettatore è travolto da questa inaspettata svolta narrativa. Cooper si trova su una

stazione spaziale che porta il suo nome, o per meglio dire quello della figlia. Appena dimesso

viene accompagnato in un museo a cielo aperto, luoghi del ricordo per eccellenza. Monu-

menti che il più delle volte ci appaiono lontani e freddi prendono vita sotto i nostri occhi. I

nomi dei personaggi che abbiamo seguito per tutto il film sono scolpiti nella pietra (figura 21),

ricordati con rispetto e gratitudine. Capiamo che le grandi figure della nostra storia sono per-

sone come noi. Quello che sembra essere uno studente universitario guarda Cooper come un

pezzo di storia vivente, qualcosa che fino al giorno prima era solo nelle pagine della tesina del

liceo. Come il protagonista ci sentiamo spaesati da questo repentino cambio di prospettiva, ed

è proprio qui che Nolan prende per mano lo spettatore per riportarlo a casa, letteralmente.

Nolan carica questa questa sequenza dosando attentamente i campi lunghi. La grandezza

scenografica è solo suggerita, quello che davvero conta è ciò che succede. Dopo un’infilata

della stazione spaziale (figura 22), la cinepresa si volta e ci troviamo di fronte alla fattoria di

Cooper (figura 23). Dietro un campo verde che sale in verticale, davanti, in un monitor, ritro-

viamo le interviste tratte dal documentario di Ken Burns. Rivediamo i volti che hanno aperto

il film e che non riuscivamo a collocare all’interno dell’universo narrativo: ora tutto torna ad

avere un senso. Le parole, che in The Dust Bowl ci parlavano delle tempeste di sabbia degli

anni trenta, acquistano un nuovo significato. Nolan prende un evento relegato nella memoria,

proiettandolo nel nostro futuro per poi superarlo di nuovo. Queste immagini suonano come

un messaggio di speranza: se l’umanità è riuscita a superare momenti terribili, senza quasi

nessun mezzo, dovrà trovare il modo di farlo anche in futuro, per quanto immani saranno le

sfide che dovrà affrontare. «Troveremo una soluzione. Lo abbiamo sempre fatto» ci ricorda

Cooper. Sono davvero pochi i film che fanno chiaramente percepire allo spettatore la sua

partecipazione a quella vasta entità che chiamiamo Umanità.

Dopo aver ricongiunto i fili del racconto, eccoci arrivare al momento più atteso. Cooper

può finalmente riabbracciare Murph e mantenere fede alla sua promessa. Settant’anni prima

un padre ha lasciato sua figlia in lacrime nel letto della sua camera, ora la ritrova di nuovo in

lacrime in un letto di ospedale (figura 24). Il dialogo che segue è un’ideale continuazione di

quello interrotto 92 anni prima.

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Cooper: Ero io, Murph... ero io il tuo fantasma.Murph: Sì, lo so. Ma non mi volevano credere, pensavano che avessi fatto tutto da sola. Ma... io sapevo chi era. Nessuno voleva credermi, ma sapevo che saresti tornato. Cooper: Come?Murph: Perché il mio papà me l'aveva promesso.

Improvvisamente ci rendiamo conto che l’intero viaggio interstellare per salvare

l’Umanità non era altro che il tentativo di un padre di tornare da sua figlia. Di fronte a noi

non abbiamo più Murphy Cooper, la geniale scienziata che ha salvato l’uomo dall’estinzione,

ma una bambina che ha creduto in una promessa. «Ora sono qui Murph, sono qui» le sus-

surra suo padre e Murph, dopo aver atteso questo momento per una vita intera, trova il cor-

aggio di lasciarlo andare. Gli ricorda che quello non è il suo posto: «Nessun genitore dovrebbe

veder morire il propri figli. Tu devi andare». Ecco che il viaggio continua, c’è ancora qualcosa

là fuori pronto ad aspettarlo.

Brand. È rimasta lassù. Attiva la base. Sola, in una galassia sconosciuta. Forse adesso si prepara per un lungo sonno. Alla luce del nostro nuovo Sole. Nella nostra nuova casa.

Con queste parole di Murph vediamo Amelia in una landa deserta seppellire Edmunds

(figura 25). Mentre guarda l’orizzonte si toglie il casco e capiamo che in quel mondo la vita è

possibile (figura 26). Prende un respiro, lungo, profondo, liberatorio. Dall’atra parte Cooper

sale su un ranger e si lancia solo verso l’ignoto, negli occhi un fuoco che arde pieno di deside-

rio e meraviglia (figura 27).

Il cerchio si è chiuso. Siamo alla fine eppure siamo tornati all’inizio, e al contempo il

viaggio continua. È il tempo eterno, né dell’uomo né di Dio, è quello dell’umanità, di tutti noi

che perpetriamo questo miracolo attraverso le generazioni. È un uomo che ha saputo con-

quistare lo spazio, che pensa come specie ma non dimentica la propria umanità.

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Interstellar The Dust Bowl

Appendici

Filmografia di Christopher Nolan

TARANTELLA cortometraggio (1989) Regia Christopher Nolan; soggetto Christopher Nolan.

LARCENY cortometraggio (1995) Regia Christopher Nolan; soggetto Christopher Nolan.

DOODLEBUG cortometraggio (1997) Regia Christopher Nolan (come Chris Nolan); sceneggiatura Christopher Nolan (come Chris Nolan); fotografia Christopher Nolan (come Chris Nolan); scenografia Alberto Mattiussi, Christopher Nolan (come Chris Nolan); montaggio Christopher Nolan (Chris Nolan); musiche David Julyan; interpreti Jeremy Theobald; produttori Steve Street, Emma Thomas; origine Regno Unito; durata 3’. Un uomo, chiuso nella sua camera, cerca di uccidere un insetto. Quando finalmente riesce a vederlo, scopre un se stesso più piccolo intento a colpire qualcosa. Confuso dalla scena lo schiaccia con una scarpa, ma appena si gira verso l’alto vediamo un altro, e questa volta enorme, uomo che a sua volta lo uccide.

FOLLOWING (1998) Regia Christopher Nolan; sceneggiatura Christopher Nolan; fotografia Christopher Nolan; scenografia Tristan Martin; montaggio Gareth Heal, Christopher Nolan; musiche David Julyan; interpreti Jeremy Theobald (Bill), Alex Haw (Cobb), Lucy Russell (la bionda), John Nolan (il poliziotto), Dick Bradsell (lo stempiato), Gillian El-Kadi (proprietario della casa), Jennifer An-gel (cameriera), Nicolas Carlotti (barman); Rebecca James (donna del bar); produttori Christo-pher Nolan, Jeremy Theobald, Emma Thomas; produttore esecutivo Peter Broderick; produzione Next Wave Films, Syncopy (non accreditato); origine Regno Unito; durata 69’. Bill è un aspirante scrittore in cerca di idee. Per raccogliere materiale inizia a pedinare a caso le persone fino a quando non si imbatte in Cobb, un ladro di appartamenti, che lo prende con se insegnandoli i rudimenti del mestiere. Con il passare del tempo Cobb plasma Bill a sua immagine. In uno dei loro colpi Bill conosce una giovane donna chiamata la Bionda della quale si innamora. Frequentandola scopre che è ricattata da un malav-itoso detto lo Stempiato. Bill si offre di aiutarla svaligiando la cassaforte dello Stempiato. Le cose vanno male e Bill uccide un uomo. Tornato dalla Bionda scopre che in realtà questa è in combutta con Cobb che ha architet-tato tutta la storia per sviare i sospetti di un barbaro omicidio verso Bill. Cobb, che segretamente lavora per lo stempiato, uccide la Bionda perché ricattava il suo capo dopo aver assistito ad un omicidio. Bill disperato con-

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fessa tutto alla polizia dove gli viene detto che non c’è nessun brutale omicidio, se non quello della donna e le prove ricadono tutte su di lui.

MEMENTO (2000)Regia Christopher Nolan; soggetto Jonathan Nolan; sceneggiatura Christopher Nolan; fotografia Wally Pfister; scenografia Patti Podesta; montaggio Dody Dorn; costumi Cindy Evans; musiche: David Julyan; interpreti Guy Pearce (Leonard Shelby), Joe Pantoliano (Teddy Gammell), Car-rie-Anne Moss (Natalie), Mark Boone Jr (Burt Hadley), Jorja Fox (Catherine Shelby), Stephen Tobolowsky (Sammy Jankis), Harriet Sansom Harris (signora Jankis), Callum Keith Rennie (Dodd); produttori Jennifer Todd, Suzanne Todd, Elaine Dysinger; produttori esecutivi Aaron Ry-der, Christopher Ball, William Tyrer; produttore associato Emma Thomas; produzione Newmarket Capital Group, Team Todd, I Remember Productions, Summit Entertainment; origine USA; durata 113’. Leonard Shelby, dopo un incidente nel quale muore la moglie, ha perso la capacità di memorizzare nuovi ricor-di. Deciso a trovare il colpevole della morte di sua moglie, per ovviare al suo problema, tatua sul suo corpo tutte le informazioni che riesce a trovare sull’assassino. Teddy, un poliziotto suo amico, e Natalie, una barista, lo aiutano nella ricerca del colpevole. Con il passare del tempo scopriamo che sia Teddy che Natalie usano Leonard: Teddy per uccidere i criminali che lui considera colpevoli e Natalie per vendicarsi della morte di suo marito ucciso dallo stesso Leonard. Nell’epilogo del film scopriamo che in realtà non c’è nessun assassino da trovare. È tutta un invenzione di Leonard che non riusciva a sopportare l’idea di essere stato lui ad aver ucciso la moglie. Dopo che Teddy gli rivela per l’ennesima volta la verità, lo uccide preferendo credere a una bugia pi-uttosto che alla realtà. Passati alcuni minuti Leonard ha dimenticato tutto e riprende la sua ricerca.

INSOMNIA (2002)Regia Christopher Nolan; soggetto Nikolaj Frobenius, Erik Skjoldbjærg; sceneggiatura Hillary Seitz; fotografia Wally Pfister; scenografia Nathan Crowley; montaggio Dody Dorn; costumi Tish Monaghan; musiche David Julyan; interpreti Al Pacino (detective Will Dormer), Martin Donovan (detective Hap Eckhart), Hilary Swank (detective Ellen Burr), Robin Williams (Walter Finch), Maura Tierney (Rachel Clement), Nicky Katt (Fred Duggar), Paul Dooley (capitano Charlie Nyback), Crystal Lowe (Kay Connell), Kerry Sandomirsky (Trish Eckhart); produttori Broder-ick Johnson, Paul Junger Witt, Andrew A. Kosove, Edward McDonnell, Emma Thomas; pro-duttori esecutivi George Clooney, Kim Roth, Charles J.D. Schlissel, Steven Soderbergh, Tony Thomas; produttori associati Ben Cosgrove, Steven P. Wegner; produzione Alcon Entertainment, Witt/Thomas Productions, Section Eight, Insomnia Productions, Summit Entertainment; origine USA/Canada; durata 118’. Will Dormer è un famoso detective di Los Angeles ora indagato, insieme al suo collega Hap Eckhart, per aver inquinato le prove di un caso. I due vengono mandati in Alaska per risolvere l’omicidio di una giovane ragazza. Appena arrivato Will conosce il detective Ellen Burr, una sua ammiratrice che coordina le indagini. In un ag-guato teso all’assassino Will uccide, non si capisce se accidentalmente o meno, il suo collega Hap. Temendo ritorsioni incolpa l’assassino il quale però ha visto tutto e in una telefonata promette di dire tutto alla polizia se non interrompe le indagini. Dormer nel frattempo scopre che il colpevole è Walter Finch, un mediocre scrittore di

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gialli. Inizia così un crescendo di fatti che portano Dormer a uccidere Finch in uno scontro a fuoco. Colpito a morte Dormer convince il detective Burr, che nel frattempo aveva scoperto tutto, a non insabbiare il caso ammo-nendola di non farsi corrompere dal crimine come aveva fatto lui.

BATMAN BEGINS (2005)Regia Christopher Nolan; sceneggiatura Christopher Nolan, David S. Goyer (dai personaggi creati da Bob Kane); fotografia Wally Pfister; scenografia Nathan Crowley; montaggio Lee Smith; costumi Lindy Hamming; musiche James Newton Howard, Hans Zimmer; interpreti Christian Bane (Bruce Wayne/Batman), Michael Caine (Alfred Pennyworth), Liam Neeson (Henri Ducard/Rā’s al Ghūl), Katie Holmes (Rachel Dawes), Gary Oldman (James Gordon), Cillian Murphy (dr. Jonathan Crane/Spaventapasseri), Morgan Freeman (Lucius Fox), Tom Wilkin-son (Carmine Falcone), Rutger Hauer (William Earle), Ken Watanabe (falso Rā’s al Ghūl), Larry Holden (Carl Finch), Gus Lewis (Bruce Wayne bambino), Colin McFarlane (Gillian B. Loeb), Richard Brake (Joe Chill), Mark Boone Jr (Arnold Flass); produttori Larry J. Franco, Charles Roven, Emma Thomas; produttori esecutivi Benjamin Melniker, Michael Uslan; produttore associato Cheryl A. Tkach; produzione Warner Bros., Syncopy, DC Comics, Patalex III Produc-tions Limited, Legendary Pictures (non accreditato); origine USA/Regno Unito; durata 140’. Bruce Wayne, per mano di un criminale, perde giovanissimo entrambi i genitori. Tormentato dai sensi di colpa e dalle paure, viaggia per il mondo cercando di capire il crimine diventando lui stesso un ladro. Rinchiuso in una prigione del Bhutan viene liberato da un personaggio misterioso, Henri Ducard adepto della misteriosa Set-ta delle Ombre. Ducard inizia Bruce all’arte del combattimento facendogli affrontare le sue peggiori paure. Terminato l’addestramento Rā’s al Ghūl, guida della setta, gli chiede di uccidere un criminale. Bruce si rifiuta, brucia il castello e fugge salvando solo il suo mentore, Ducard. Wayne torna a Gotham dove prende il comando dell’azienda fondata del padre, la Wayne Enterprises. Con l’aiuto del suo fedele maggiordomo Alfred e di Lu-cius Fox prende i panni di Batman, un vigilante mascherato da pipistrello che dà la caccia ai criminali della città. Si allea al sergente Gordon e con l’assistente del procuratore, Rachel Dawes, della quale Bruce è in-namorato. Dopo aver incastrato Carmine Falcone, il boss mafioso della città, scopre che il dr Crane, direttore del manicomio di Arkham, sta importando in città una sostanza che una volta inalata scatena il panico. Dietro a questo traffico si nasconde Henri Ducard, il vero Rā’s al Ghūl, arrivato a Gotham per distruggere la città. Dopo aver bruciato la Wayne Manor e portato il disordine nelle strade, Batman lo affronta. Nello scontro Ducard cade dalla sopraelevata e muore. Ritornata la calma, Bruce confessa la sua doppia identità a Rachel che però lo respinge. Nelle strade si mostra un nuovo criminale, Gotham ha ancora bisogno di Batman.

THE PRESTIGE (2006)Regia Christopher Nolan; soggetto Christopher Priest; sceneggiatura Jonathan Nolan, Christopher Nolan; fotografia Wally Pfister; scenografia Nathan Crowley; montaggio Lee Smith; costumi Joan Bergin; musiche David Julyan; interpreti Hugh Jackman (Robert Angier/Gerald Root), Christ-ian Bale (Alfred Borden/Bernard Fallon), Michael Caine (John Cutter), Scarlett Johansson (Olivia Wenscombe), Rebecca Hall (Sarah Borden), Piper Perabo (Julia McCullough), David Bowie (Nikola Tesla), Andy Serkis (Alley), Ricky Jay (Milton), Roger Rees (Owens), W. Mor-gan Sheppard (Merrit), Daniel Davis (giudice), Samantha Mahurin (Jess Borden), Jamie Har-ris (Sullen Warder); produttori Christopher Nolan, Aaron Ryder, Emma Thomas; produttori esecu-

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tivi Christopher Ball, Valerie Dean, Charles J.D. Schlissel, William Tyrer; produttore associato: Jordan Goldberg; produzione: Touchstone Pictures, Warner Bros., Newmarket Productions, Syncopy; origine USA/Regno Unito; durata 130’. Alfred Borden e Robert Angier sono due giovani e ambiziosi illusionisti londinesi decisi a diventare famosi con la loro arte. Durante uno spettacolo la compagna di Angier perde la vita a causa di un nodo troppo stretto fatto da Borden. I due si separano. Angier per vendicarsi cerca di uccidere Borden in uno spettacolo, fallisce ma riesce comunque a ferirgli una mano. I due continuano a sfidarsi a colpi di magia. Angier è meno talentoso di Borden, ma riesce a vendere meglio i suoi spettacoli. Tutto cambia quando Borden presenta un numero sul teletrasporto. Angier è sbalordito e non riesce a capire quale sia il trucco. Ossessionato dal numero del rivale, prima spinge la sua donna tra le sue braccia per spiarlo, poi arriva a sequestrare Fallon, l’inseparabile aiutante di Borden. L’u-nica cosa che riesce a ottenere è un nome: Tesla. Angier parte così per gli Stati Uniti, dove paga Tesla perché gli costruisca una macchina per il trasporto umano. Dopo vari tentativi Tesla riesce ad ottenere una macchina che produce cloni. Angier torna a Londra e mette in scena uno spettacolare numero di magia, il migliore che la città avesse mai visto. Borden per scoprire il trucco, si introduce nel sottopalco dove vede Angier cadere in una vasca e morire soffocato. Borden viene arrestato con l’accusa di omicidio. Disperato nel lasciare la figlia in un orfan-otrofio, accetta di rivelare i suoi trucchi al misterioso lord Caldlow. Quando scopre che in realtà si tratta di Angier, cerca di convincere i secondini della sua innocenza ma viene impiccato ugualmente. Mentre Angier si trova nel suo teatro dalle quinte spunta Borden che gli spara al ventre uccidendolo. Mostrandosi, Borden svela il suo segreto: un fratello gemello (Fallon) con il quale condivideva tutto, scambiandosi le parti ogni giorno. Il teatro brucia insieme alla vasche con tutti i corpi che Angier aveva prodotto nei vari spettacoli.

THE DARK KNIGHT (2008)Regia Christopher Nolan; soggetto Christopher nolan, David S. Goyer (dai personaggi di Bob Kane); sceneggiatura Jonathan Nolan, Christopher Nolan; fotografia Wally Pfister; scenografia Nathan Crowley; montaggio Lee Smith; costumi Lindy Hemming; musiche James Newton Howard, Hans Zimmer; interpreti Cristian Bale (Bruce Wayne/Batman), Michael Caine (Al-fred Pennyworth), Hearth Ledger (Joker), Gary Oldman (James Gordon), Aaron Eckhart (Harvey Dent/Due facce), Maggie Gyllenhaal (Rachel Dawes), Morgan Freeman (Lucius Fox), Eric Roberts (Salvatore Maroni), Chin Han (Lau), Colin McFarlane (Gillian b. Loeb), Cillian Murphy (dr. Jonathan Crane/Spaventapasseri), Anthony Michael Hall (Mike Engel), Melinda McGraw (Barbara Eileen Gordon), Nathan Gamble (Jimmy Gordon), Nestor Car-bonell (Antony Garcia); produttori Christopher Nolan, Charles Roven, Emma Thomas; produt-tori esecutivi Kevin De La Noy, Benjamin Melniker, Thomas Tull, Michael Uslan; produttore asso-ciato Jordan Golberg; produzione Warner Bros., Legendary Pictures, Syncopy, DC Comics; orig-ine USA, Regno Unito; durata 152’. Bruce Wayne si trova ad affrontare il suo nemico più pericoloso: il Joker, un diabolico sociopatico il cui unico scopo sembra essere l’anarchia più assoluta. Ad aiutare Batman saranno il neo commissario Gordon e il nuovo procuratore distrettuale Harvey Dent, fidanzato con Rachel Dawes. Dopo aver rapinato una banca della mafia, Joker convince i criminali della città ad assoldarlo per uccidere Batman. Deciso a seminare disordine Joker uc-cide il giudice del processo contro la mafia, attenta alla vita del commissario Loeb e di Dent, salvato all’ultimo da Batman. Gordon inscena la propria morte e con l’aiuto di Batman cattura il Joker. Rachel e Dent vengono

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sequestrati dalla mafia e il Joker, dopo aver rivelato l’ubicazione degli ostaggi, scappa. Rachel muore in un es-plosione e Dent rimane gravemente ferito perdendo metà della faccia. Dent, furioso per la morte dell’amata, perde il senno diventando a sua volta un criminale. Sequestra e cerca di uccidere la famiglia di Gordon e Bat-man interviene cercando di salvare gli ostaggi. Dent muore e Batman ne esce zoppicante. Per non infangare la reputazione di Dent e far uscire di prigione i criminali che aveva processato, Gordon incolpa Batman della sua morte, trasformandolo in un Cavaliere oscuro.

INCEPTION (2010)Regia Christopher Nolan; sceneggiatura Christopher Nolan; fotografia Wally Pfister; scenografia Guy Hendrix Dyas; montaggio Lee Smith; costumi Jeffrey Kurland; musiche Hans Zimmer; inter-preti Leonardo DiCaprio (Dominic Cobb), Joseph Gordon-Levitt (Arthur), Ellen Page (Arian-na), Tom Hardy (Eames), Ken Watanabe (Mr. Saito), Dileep Rao (Yusuf), Cillian Murphy (Robert Michael Ficher), Tom Berenger (Peter Browning), Marion Cotillard (Mal Cobb), Pete Postlethwaite (Maurice Ficher), Michael Caine (Miles), Lukas Haas (Nash); produttori Christo-pher Nolan, Emma Thomas; produttori esecutivi Chris Brigham, Thomas Tull; produttore associato Thomas Hayslip; produzione Warner Bros. Legendary Pictures, Syncopy; origine USA/Regno Unito; durata 148’. Cobb è un ladro di sogni, si introduce nella mente dei soggetti per conto di ricche multinazionali al fine di es-trarre informazioni ai concorrenti. Mr. Saito, un potente uomo d’affari giapponese, lo assume. Vuole che Cobb innesti nella mente del suo rivale, Robert Ficher, l’idea di smembrare l’impero del padre con il quale non può più competere. In cambio Saito offre a Cobb la possibilità di tornare negli Stati Uniti, dove è ricercato per l’omicidio della moglie. Cobb prepara una squadra con la quale progetta un sogno su tre livelli con i quali in-trodursi sempre più in profondità nella mente di Ficher. La conoscenza di Ficher si rivela militarizzata e il sog-no condiviso da tutta la squadra, si trasforma in una trappola mortale. L’unico modo per uscire è continuare il lavoro. Dopo scontri, trucchi e inseguimenti l’operazione ha successo. Cobb può finalmente tornare dai suoi figli.

THE DARK KNIGHT RISES (2012)Regia Christopher Nolan; soggetto Christopher Nolan, David S. Goyer (dai personaggi creati da bob Kane); sceneggiatura Jonathan Nolan, Christopher Nolan; fotografia Wally Pfister; scenografia Nathan Crowley, Kevin Kavanaugh; montaggio Lee Smith; costumi Roberto Craciunica, Lindy Hemming; musiche Hans Zimmer; interpreti Cristian Bale (Bruce Wayne/Barman), Michael Caine (Alfred Pennyworth), Gary Oldman (James Gordon), Anne Hathaway (Selina Kyle), Tom Hardy (Bane), Marion Cotillard (Miranda Tate/Talia al Ghūl), Joseph Gordon-Levitt (Robin John Blake), Morgan Freeman (Lucius Fox), Nestor Carbonell (Anthony Garcia), Matthew Modine (Peter Foley), Cillian Murphy (dr. Jonathan Crane/Spaventapasseri), Liam Neeson (Rā’s al Ghūl), Josh Pence (Rā’s al Ghūl giovane), Juno Temple (Jen), John Nolan (Douglas Fredricks), William Devane (presidente), Alon Aboutboul (Leonid Pavel); produttori Christopher Nolan, Charles Roven, Emma Thomas; produttori escutivi Kevin De La Noy, Ben-jamin Melniker, Thomas Tull, Michael Uslan; produzione Warne Bros., Legendary Pictures, DC Entertainment, Syncopy; origine USA/Regno Unito; durata 165’. Sono passati otto anni dalla morte di Harvey Dent e Gotham è libera dal crimine organizzato. Bruce Wayne non esce più dal suo castello e Batman viene ricordato con disprezzo per aver ucciso Dent. Selina Kyle, una

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giovane ladra, ruba le impronte di Wayne che vengono usate in un’attacco alla borsa della città dove Bruce perde tutti i suoi averi. Dietro l’attacco si nasconde Bane, nuovo volto della Setta delle Ombre, che fa uscire allo scoperto Batman affrontandolo e spezzandogli la schiena. Bruce viene rinchiuso in una prigione in India dove è costretto a guardare la fine della sua città. Gotham viene attaccata, il sindaco ucciso, il commissario Gordon messo in fuga e la polizia bloccata nei sotterranei della città. Bane minaccia di far esplodere un ordigno nucleare se qualcuno cerca di intervenire. Isolata del resto del paese, Gotham si trasforma presto in una città dominata dall’anarchia e dalla sopraffazione. Bruce, deciso a vendicarsi, si allena per poter uscire di prigione. Una volta scappato, con l’aiuto del giovane detective John Blake, Lucius Fox, James Gordon e Miranda Tate scatena un attacco totale a Bane per impedirgli di far detonare l’ordigno a orologeria. Nello scontro finale Miranda Tate si scopre in realtà figlia di Henri Ducard e in combutta fin dall’inizio con Bane. Dopo aver ucciso sia Miranda che Bane, Batman porta la bomba in mare aperto appena prima della detonazione sacrificandosi per la città. Alfred scoprirà poi che Bruce è riuscito a sopravvivere e vive felicemente insieme a Selina Kyle.

INTERSTELLAR (2014)Regia Christopher Nolan; soggetto Kip Thorne; sceneggiatura Jonathan Nolan, Christopher Nolan; fotografia Hoyte Van Hoytema; scenografie Nathan Crowley; montaggio Lee Smith; costumi Mary Zophres; musiche Hans Zimmer; interpreti Matthew McConaughey (Cooper), Anne Hathaway (Amelia Brand), Jessica Castani (Murphy Cooper), Michael Caine (professor John Brand), John Lithgow (Donald), Casey Affleck (Tom Cooper), Matt Damon (dr. Mann), To-pher Grace (Getty), Wes Bentley (Doyle), Ellen Burstyn (Murphy Cooper anziana), Macken-zie Foy (Murphy Cooper bambina), William Devane (Williams), David Gyasi (Romilly), Wes Bentley (Doyle), Timothée Chalamet (Tom Cooper giovane), Leah Cairns (Lois Cooper); pro-duttori Christopher Nolan, Lynda Obst, Emma Thomas; produttori esecutivi Jordan Goldberg, Jake Myers, Kip Thorne, Thomas Tull; produzione Paramount Pictures, Warner Bros., Leg-endary Pictures, Lynda Obst productions, Syncopy; origine USA/Regno Unito/Canada; durata 169’.

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Scritti e interviste di Christopher Nolan

Films of the Future Will Still Draw People to Theaters by Christopher Nolan, Wall Street Journal, 7 Luglio 2014 70

In the '90s, newly accessible video technology gave adventurous filmmakers (such as Lars von Trier and his colleagues in the filmmaking movement Dogme 95) an unprecedented wedge for questioning the form of motion pictures. The resulting 20-year process of radical technical and aesthetic change has now been co-opted by the very establishment it sought to challenge. Hungry for savings, studios are ditching film prints (under $600 each), while already bridling at the mere $80 per screen for digital drives. They want satellite distribution up and running within 10 years. Quentin Tarantino's recent observation that digital projection is the "death of cinema" identifies this fork in the road: For a century, movies have been defined by the physical medium (even Dogme 95 insisted on 35mm film as the presentation format). Savings will be trivial. The real prize the corporations see is the flexibility of a nonphysical medium.

Movies as Content As streams of data, movies would be thrown in with other endeavors under the reductive term "con-tent," jargon that pretends to elevate the creative, but actually trivializes differences of form that have been important to creators and audiences alike. "Content" can be ported across phones, watches, gas-station pumps or any other screen, and the idea would be that movie theaters should acknowledge their place as just another of these "platforms," albeit with bigger screens and cupholders. This is a future in which the theater becomes what Tarantino pinpointed as "television in public." The channel-changing part is key. The distributor or theater owner (depending on the vital question of who controls the remote) would be able to change the content being played, instantly. A movie's Friday matinees would determine whether it even gets an evening screening, or whether the projector switch-es back to last week's blockbuster. This process could even be automated based on ticket sales in the interests of "fairness." Instant reactivity always favors the familiar. New approaches need time to gather support from audi-ences. Smaller, more unusual films would be shut out. Innovation would shift entirely to home-based entertainment, with the remaining theaters serving exclusively as gathering places for fan-based or branded-event titles. This bleak future is the direction the industry is pointed in, but even if it arrives it will not last. Once movies can no longer be defined by technology, you unmask powerful fundamentals—the timelessness, the otherworldliness, the shared experience of these narratives. We moan about intrusive moviegoers, but most of us feel a pang of disappointment when we find ourselves in an empty theater.

L’editoriale può essere consultato anche nel sito al seguente indirizzo 70

http://www.wsj.com/articles/christopher-nolan-films-of-the-future-will-still-draw-people-to-theaters-1404762696

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The audience experience is distinct from home entertainment, but not so much that people seek it out for its own sake. The experience must distinguish itself in other ways. And it will. The public will lay down their money to those studios, theaters and filmmakers who value the theatrical experience and create a new distinction from home entertainment that will enthrall—just as movies fought back with widescreen and multitrack sound when television first nipped at its heels. These developments will require innovation, experimentation and expense, not cost-cutting exercises disguised as digital "upgrades" or gimmickry aimed at justifying variable ticket pricing. The theatrical window is to the movie business what live concerts are to the music business—and no one goes to a concert to be played an MP3 on a bare stage.

Back to the Future The theaters of the future will be bigger and more beautiful than ever before. They will employ ex-pensive presentation formats that cannot be accessed or reproduced in the home (such as, ironically, film prints). And they will still enjoy exclusivity, as studios relearn the tremendous economic value of the staggered release of their products. The projects that most obviously lend themselves to such distinctions are spectacles. But if history is any guide, all genres, all budgets will follow. Because the cinema of the future will depend not just on grander presentation, but on the emergence of filmmakers inventive enough to command the focused attention of a crowd for hours. These new voices will emerge just as we despair that there is nothing left to be discovered. As in the early '90s, when years of bad multiplexing had soured the public on movies, and a young director named Quentin Tarantino ripped through theaters with a profound sense of cinema's past and an in-stinct for reclaiming cinema's rightful place at the head of popular culture. Never before has a system so willingly embraced the radical teardown of its own formal standards. But no standards means no rules. Whether photochemical or video-based, a film can now look or sound like anything. It's unthinkable that extraordinary new work won't emerge from such an open structure. That's the part I can't wait for.

Day One by Christopher Nolan, Interstellar: Original Motion Picture Soundtrack, WaterTower Music, October 2014

Each successive film I’ve done with Hans, I’ve tried to involve him at an earlier and earlier stage. Adding music to a film doesn’t work for me - it’s the reason I can’t temp a movie (edit using some oth-er movie’s music to be replaced later). To me the music has to be a fundamental ingredient, not a condiment to be sprinkled on the finished meal. To this end, I called Hans before I’d even started work on Interstellar and proposed a radical new approach to our collaboration. I asked him to give me one day of his time. I’d give him an envelope with one page - a page explaining the fable at the heart of my next project. The page would contain no information as to genre or specifics of plot, merely lay out the heart of the movie-to-be. Hans would open the envelope, read it, start writing and at the end of the day he’d play me whatever he’d accomplished. That would be the basis of our score. Hans agreed. I think he shared my frustration with trying to wrangle the mechanics of a massive film right at the tail end of a years-long process of construction - the sheer difficulty of trying to see past what you’ve all built and get back to the beating heart of the story, as a great score must. He under-stood that what I wanted to do was turn his usual process inside out, giving his musical and emotional instincts free reign, so that the seed from which the score would eventually grow would be fused with the narrative at its earliest stage. Such experiments rarely get beyond the chatting phase, but Hans took me at my word, and several months later, he gave me my day, forcing me to start my own creative journey by sitting down to write out my page. I handed it over, and left Hans to his work, trying not to count the hours. At about nine

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p.m. he called. The drive to his studio was pure anticipation. As I sat down on his couch a glance at his screen told me there was a track there, at least three or four minutes of music. He hit play, and I smiled as I heard a deceptively simple piano melody tell me the emotional story I was already strug-gling with on the page. Our peculiar experiment had worked better than either of us could have hoped. Then I had the unique thrill of revealing to a collaborator who had already spoken to the heart of the story that the project was, in fact, a massive science fiction project - the biggest film we’d yet undertaken. Hans was delighted with the disparity between the human intimacy of my one page and the otherworldly thrills of the overall film for which the music would serve as emotional guide. He gave me a CD with the track on it. He’d called it “Day One”. We toyed with the idea of a day two or day three, but somehow we knew that the seed was already planted, and that I and my other collaborators needed to do our part before Hans could go further. I listened to Day One countless times as I worked on the script, and as we shot. It served as my emo-tional anchor, just as it serves as the emotional anchor for the entire complex and thrilling score that Hans went on to create almost two years later. Few artists would so cheerfully have embraced such a direct challenge to their usual working methods- but the productive use of process to inform inspira-tion is one of the many things that I have learned from Hans himself. He is a creator who embraces the thrill and mess of reality’s disregard for abstract intentions - the making of the thing is the thing itself. For Interstellar Hans pulled off the ultimate version of his desire to “sneak up” on his work. It might be this that has made it one of his most intimate and individual scores, even as it takes us across the vastness of space and time.

Jonathan Nolan And Christopher Nolan Interviewed By Jordan Goldberg from Interstellar: The Complete Screenplay, Faber & Faber, Londra, 2014

JG Walter Donohue [Editor at Faber & Faber] wanted me to start off with a question about the term science fiction. He’s never liked the term science fiction; he prefers the term speculative fiction. He believes speculating about the future is a way of revealing the way we live now and providing some kind of order in the way of understanding the chaos of contemporary life. JN For me, that was the whole jumping off point. Originally, Steven Spielberg wanted to do a con-temporary space adventure. I pitched him instead something set fifty years into the future. The reason was that – in the tradition of M.A.S.H. being set in the Korean War but really being about the Viet-nam War – I wanted to do something that reflected what I thought was the current state of human ambition. Which it is to say we congratulate ourselves every day on living in this spectacular moment of technological advancement and progress; we’ve invented the inter net and a variety of ways we can buy stuff online, but we’re not going into space. Measured purely by altitude, the human race peaked fifty years ago. CN But Walter’s question is about the value of speculative fiction – he’s not asking about futurism per se. Science fiction can be contemporary, speculative fiction can be contemporary as well. You set the story in the future so you could address the underlining problems and ideas that are going on in soci-ety right now the way the best speculative fiction does. And this project has always been in that tradi-tion. What’s interesting is that when we came to shoot the film, we went exactly in the opposite direc-tion. So we didn’t allow for any kind of futurism or any kind of difference from contemporary tech-nology and contemporary society. The reason for that is it is more speculative fiction than science fic-tion. You choose what your speculations are about. And I didn’t want to speculate about the color of people’s trousers in the future or what kind of computer screens they’d be using. I think that speaks to the difference between science fiction and speculative fiction just as terminology. JG Where did the specific speculations in Interstellar come from? Like the dust situation? CN For me, the whole dust situation came from looking at Jonah’s original draft and focusing in on the idea of a return to an agrarian society. An agrarian society has a utopian aspect – there’s a simplicity and a kind of wholesomeness associated with it – and I think Jonah’s goal was to stop it from feeling

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dystopian. I really liked that. But what I found interesting was the idea that when you research the kind of farming community that existed in the past, they’re very subject to the elements, they’re sub-ject to the natural disasters. And whilst I think the blight idea was always extremely compelling as a device, it was inherently not very visual because you’re talking about things not growing or dying. We found ways to dramatize it by setting fire to the fields and the like. But I really wanted to get across two ideas with the dust situation. One was a simple way of visualizing the decay of a farming community or the ability to be able to farm. And the other key point is from watching Ken Burns’s documentary The Dust Bowl, which is incredible if you haven’t seen it because it is science fiction. It seems like sci-ence fiction. You cannot believe the images you’re seeing, the real images. The descriptions are heart-breaking and amazing, but you’re looking at pictures and film of things that if you put them in a movie, directly, people wouldn’t believe it. When we do the dust clouds and the dust storms in the film they are toned down from the real imagery because the real imagery would never be believed. And that really happened. JN That’s amazing. CN And I really like the idea of trying to dramatize your inherent blight situation in a sort of disaster movie mode and make it bit more visceral. But do it in a way that has already happened on our plan-et, for real, that has been documented. And that eventually led us to actually incorporate some of Ken’s footage in the film as the real voices talking about the dust with the older Murph. I really like the idea of saying that the most threatening and outlandish visual idea of the first act has already happened in real life. It’s not even under question. JN We’re sort of in this moment in which humans are obsessed that we’ll prove our own undoing – that we’ll poison the planet, we’ll destroy ourselves, and all these things. But I thought it would be more interesting to find a slightly less personal Armageddon, or the idea that the universe obliterates you or the planet turns itself toxic because it doesn’t care about you and me because we’re an accident in outer space. The blight and the dust provided what I thought was a great, impersonal way for the planet to sort of gently suggest that our time here was over. That it was the moment to move on, rather than being something that we had brought on ourselves which, in its own way, feels anthro-pocentric. JG Jonah, in a story like this, there needs to be a certain amount of scientific research. In the begin-ning when you were talking to Kip Thorne, you were in immersed in a slew of complex concepts and ideas. Where did the science end and the imagination begin? JN Well, Kip is simultaneously a brilliant, brilliant scientist, but also a very kindly and patient explain-er of science. He’s of the philosophy that all these grand discoveries that he and his mates have come up with, if they can’t be articulated back to regular people – people like me – then of what use are they? If you can’t share them with the rest of humanity, then have you really discovered anything at all? And so Kip has devoted an enormous amount of his career and his time to trying to make these ideas accessible as his great friend Stephen Hawking has – and to a degree as Albert Einstein did - trying to make sure that these things are things you can hang onto. And in the manner of Einstein – you know, Einstein’s thought experiments ultimately always involved two people on a train, or twin brothers with one headed into space – any attempt to understand general relativity seems to come back to this personal scale because it’s how we see the universe. We are our own instrument for mea-suring the universe – ourselves, our life spans, our senses, and our relationships. And our understand-ing of our mortality is built through those relationships. So Kip – in his books, in his work – has con-centrated on finding ways to relate these things on a human scale. And that inevitably brings you to this view of natural events as they relate to us and our families and our relationships. In terms of prin-ciples guiding us, there are a number of ideas that are common to lots and lots of speculative fiction. Wormholes being one of them. But the main thing here was to try to get all the way underneath the rule-set sufficiently that the experience becomes kind of a tactile one that you feel. I mean, a worm-hole is kind of an inherently alien concept, right? We know nothing in the universe that would allow one to develop naturally. The idea of a wormhole presupposes the idea of a higher order of intelli-gence, so there’s a certain amount of speculation just in that.

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CN There are several key narrative ideas that I put into the script based on passages that Kip had led me to in his book. Those then turned out to be the things that he argued with me the most about whether they would really happen. Laughter. But I found that fascinating because it meant to me that even though he’d written it in a book ten years ago, he was still completely prepared to take it as a fresh story element, and argue about whether or not it could really be. JN Sure. CN And I found that surprising and a little frustrating at first, and then the more I talked to him I re-alized that he approaches these things from a very pure point of view. So it’s not about whether he said it ten years ago or not, it’s about what does he believe now. What does the science tell him. And very often it was about whether he could make the numbers work. Literally. So I would say, ‘Can this happen?’ And he’d say, ‘Well, I’ll do some calculations.’ And when he did the calculations it allowed him to understand that mathematically it was possible, which I guess is kind of the genesis of the whole idea of wormholes because he doesn’t believe they can be naturally occurring, but he believes them as a mathematical possibility based on Einstein’s equations. But I did find that when I came to the project, there was a very, very dense amount of science that he was quite keen on that I had to (laughs) gently pry him away from. JN (laughs) Yeah, sure. CN And we were able to address some very sophisticated scientific concepts in the movie by just sim-plifying – just having fewer elements. I think there were so many things crammed into the original, so many scientific ideas that Kip wanted or that you wanted – JN Yeah, there was an awful lot of stuff that we were trying to cover. Kind of everything … Well, the film’s called Interstellar! Laughter. CN Relative to the original question, though, I definitely tried to not go too far and try to understand the complexities of science because I felt that the audience won’t be able to. I have to understand it a little bit better than the audience does, but you have to be one of them … JN You and I are not terribly keen on research. You do just enough so that you see the possibilities and not the constraints. This was a very different experience for me because I spent so long talking with Kip and reading books. Sometimes these projects go quickly, sometimes they drag on, but this one lasted a bit. I became friends with Kip – we sort of kept talking – and I think all of that helps. There was about a two-month period in 2008 in which I felt confident to say that I felt like I truly understood both special relativity and the theory of general relativity, right? And then the writers’ strike happened and I’ve never understood it since. (Laughs.) Some of these things you can understand on an intellec-tual level, and then hanging out with Kip long enough there are some of these things that you just start to feel are more instinctual. CN And the instinctual ones are the worthwhile ones because the actual ones don’t play for an audi-ence at all, unless they can be summarized as a simple rule that you oppose – like you can’t go faster than the speed of light, or whatever. JG Explain the significance of Murphy’s Law. JN Murphy’s Law is not quite as scientific as – (To CN.) I can’t remember if you and I ever talked about it … CN Well, the way you explain it in the draft – it actually is pretty scientific, funnily enough. JN Yeah, it’s kind of a lot of my speculative bullshit. What was interesting about Murphy’s Law was that I thought it was a fascinating jumping-off point for a theme – CN Well, it’s not speculative bullshit! You mean in terms of it meaning whatever can happen, will happen?

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JN No, that’s not speculative bullshit. CN The other end of it is complete bullshit, and Kip has explained that to me. I left it in the film be-cause I thought it was really good. JN What’s that? CN The scientific idea that Brand expounds that because Miller’s and Mann’s planets orbit a black hole that not enough elements are able to reach them. Kip went with it at first, but then he talked to some of his colleagues, and he’s fairly confident that, in fact, the opposite would be true. But he was okay with me leaving it there because I’m like, ‘Well, first off, she could be wrong.’ And I think, inter-estingly for Kip, that was a major breakthrough because of his understanding of the science – JN (laughing) That the scientist could be wrong! Yeah, totally. CN Yeah, that you can have a character who spouts bullshit, or speculation, or whatever – that that’s okay. Once he got his head around it, he was very comfortable with it. Where we got into a certain amount of trouble and where we really tried to skirt the truth is with the gravitational pull of the black hole, because this orbital angular momentum stuff that it gets into, the way that a black hole would really attract a body, and the way that you wouldn’t fall into it, you would orbit it – they’re just not things that the audience is ever going to be able to understand. That was one of those early things that we said, ‘The way this story is going to work, we’re going to have to view gravity as a stronger force than it really is.’ Or, stronger in its early stages. JN But in turn, when you’d talk to Kip you’d realize that relativity is such an odd thing. The shape of our universe is so bizarre that at certain speeds and locations, time and space do become very unusual. The idea that I was really trying to get to with Murphy’s Law was just that we live in a space in which things are permitted to happen, right? And those are good things or bad things. Death, destruction, but also life. The idea that we’re here on this ball of mud hurtling through space seems to have some-thing to do with our interactions with extra-planetary bodies and cosmic rings – CN I think biologically and historically it’s a very interesting idea, and I do think it’s scientific because it actually relates to osmosis, as simply as that; it’s like, a body in motion with particles going through a membrane because they just will. JN Right. They’ll find a way. CN Exactly. JG Talk about making abstract, complex concepts understandable by finding a way to make them emotional. CN You do have to personalize it. Even if the audience understands it, they aren’t going to care about it. There were two things that really hooked me on the project after reading the early drafts. I mean, I loved the characters. I loved the setting of the first act. But I really loved the moment where Cooper catches up with the messages he’s missed. And I always felt that if you could make that the center piece of everything that happens in the second act – it just is such a powerful thing that anyone could relate to. And there is science behind it, but you’re not thinking about the science at all. You’re actual-ly thinking about your own mortality. You’re thinking about living life as a human being. And that was attractive to me. If you look at what I did with the draft, mostly what I did was take out all of the other stuff in the sec-ond act and just have that scene. I always found that moment to be the most ambitious thing in the project, and the most sort of … extraordinary. JG Walter brought up an interesting point. He said that Flannery O’Connor always said that the most important word when writing is concrete. And for him the concrete thing in this script was the emo-tional core between the parent and the children. CN Yeah. Well, I always felt that was at the heart of the project. My feeling on the development process – which you (JN) were engaged in for many years – is that it doesn’t necessarily allow for choices; that is to say, the stripping down of choices. The development process inherently adds things – adds potential choices – but it’s not a very good process for making the ultimate choices you have to

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make in terms of what to take out. And ultimately, in any moviemaking process, at some stage some-body has to come along – usually it winds up being a director, if somebody’s a writer-director they’ve got a better chance of doing it – and going, ‘Okay, yes you could make this whole other movie. You could make ten other movies, but you can’t make those movies. You’ve got to choose one and follow that line very strongly.’ So what I found in your drafts was this family. And to me, that’s the thing that you follow the whole way. And ultimately what I wound up doing – and I told you after I’d done it be-cause I did not do it on purpose – but I wound up eliminating any kind of alien life from the project. For me, that happened for two reasons. I mean, one was just me following my natural instinct about what I loved about the characters, and the story that I thought was important. The other reason has to do with the problems I have with a lot of popular science fiction films over the years, which is that they don’t necessarily focus in on a momentous event to the degree that they should, and the only way to do that is with the exclusion of other momentous events. JN Sure. CN So, to me the idea that you could find a planet that you could walk around on and talk about liv-ing on is so extreme, that to then also have a scene where somebody encounters alien life – that to me is the next momentous event … JN A whole other movie! CN It’s the difference between screenplays and then the screenplay that you go, ‘Okay now we turn the cameras over on Monday.’ It’s not about taking out things that you think are good – it’s just about a choice of going, ‘You could make any movie out of this. What is it?’ And I talked to you a lot, I re-member, about genre very inarticulately for a very long period of time. Like years. Because I would say I don’t want it to be an adventure story, but it was very difficult to figure out. I think ultimately it was about moving away from it being an action film and going more to – I don’t even know what genre you call, like, Treasure of the Sierra Madre or Greed, or these films that are very much about human beings, and they tend to be quite simple stories. JN A disaster morality tale, or something. Something in that space. CN Yeah, I suppose you do call them adventure movies, but it’s different. It’s different from action-adventure. JN Absolutely. Because Interstellar isn’t about an antagonist. The antagonist is the universe. CN Exactly. JN The antagonist is the void of the vacuum that we live in. CN Yeah. Which is about focus. I mean, one of the things that we did very early on – well, we really did it in the shooting, but when we came to edit, we do the first docking scene on the Endurance, which in all the scripts had been fairly much a throwaway. In my draft, it was one line. But the action takes up a lot of screen time. And I think, without even really talking about it with Lee (Lee Smith, Editor), we realized that if you make that moment important, and difficult, and dangerous, you’re set-ting the tone in terms of just how difficult space is. If you turn the volume down you can put the focus on the mechanics of ‘how do you live in space?’ One of the things we talked a lot about in the sound design is not having sound effects in space. We thought that was going to be this very risky and daring thing to do, but what we discovered was that as soon as you just did it and looked at the film that way, you realized that silence is extremely threatening. It really reminds you at every stage that you just shouldn’t be there. JN You’re automatically reminded of the uninhabitable aspect of that environment. It’s very powerful. JG By no means is this a message film, but it does emphasize the importance of the human impulse to explore, and it hits it pretty hard, particularly in the first act. CN Well, I think that’s a very positive message to have in the first act because it keeps an optimism to things, even though there’s a negative view of ‘where are we now?’ But there’s a real optimism to ex-ploration. It’s like in Star Wars, Luke Skywalker sitting there on Tatooine trying to see what’s out there and eventually he gets his chance. So, it’s an incredibly optimistic thing at the beginning of the film.

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What I brought to it, which actually wasn’t even that fresh an idea because it was something which you talked about years before trying to get it in yourself, was the idea of looping it back in on itself. So the journey returns to where it starts. Because that always seemed the appropriate journey, and I think I tried very hard to make that very literal – very mechanical almost. We loop it back in on itself, and we see the dangers of that kind of exploration. I don’t just mean physic ally, but emotionally. I mean, you go all the way out there, and then you have to come back. JN But you return to find the world has changed. That was the most important thing for me. I think where I began my journey with this film was really with the end. The idea of a man out of his own time. Sort of a time traveller. On some instinctual level we feel that time travel is not possible back-wards. The universe forbids it. You feel that once events move from right to left and we progress for-wards in time, there’s no going back. And there’s something very tragic and sad about that. You can move only in the tragic direction – tragic in the sense that you have to leave people behind, optimistic in the sense that you can glimpse the future. CN Right. JN And as you get older, and certainly as I’ve become a parent, which is this transformative moment and somewhat meaningful for me with this project, because when I started it the relationships between what was then father and son were purely speculative – Chris then changed Murph to a little girl, and then in the interim I had a little girl of my own. So now the emotional wallop of the film is completely different. But even in the short few months since I’ve become a parent, you begin to realize that, as you get older, you become a bit of a passenger in the universe. And I imagine I will probably get to a moment in my life shortly towards the end of it where you just want to keep living because you want to see what happens. What do our children become? What is my little girl going to be doing in forty or fifty years? I mean, the possibilities of that are staggering. And the idea – a very provocative one – that you’d be able to glimpse that on some level, that you’d be able to glimpse where all that is going, is very sad and very alluring all at once. CN It is, but there’s another factor that really feeds into that, which is that pop culture relentlessly speculates about the negative aspects of the continuing human story. So there are all these ideas of apocalyptic thinking. Every generation believes they’re the last generation on Earth. Maybe one gen-eration will eventually be right. I certainly hope it’s not ours. But everyone has always believed that, so there has always been this apocalyptic mode to storytelling. What I really loved about what you’d done with the central concept is that it transcends that. It’s about the way in which human beings adapt and transcend natural movements – apocalyptic-type movements. And that is where the optimism comes in. That’s also where the excitement comes in. Yes, the sadness of leaving Earth is very analogous to the sadness of leaving home. But then you go somewhere and that’s exciting and fascinating. I was just struck by how it had been a long time since I saw movies like the ones that Spielberg was making in the early eighties, late seventies, where you presented a sort of inevitability in life or human evolution or whatever – something that the filmmakers really believed in. Like, if you look at Close Encounters or E.T., or whatever – stuff where you go, ‘Okay, these things are going to happen. What if it hap-pened now? Or what if we could see it happening now? What if we knew it?’ And I just thought that original concept you had that the Earth is the nest and you leave the nest – I’d never seen that pre-sented as positive. I’d never seen that presented as a simple, evolutionary sort of inevitability. Which, to me, the best science fiction films do, or the best speculative fiction films do – they present it as, ‘Yes, this is going to happen. Isn’t it interesting to think about what that would be like?’ It’s actually a lot harder to imagine something positive – a lot harder to imagine what if we have to go beyond where we are? JN That’s the fascinating question of why is it that humans are so obsessed with not just the idea of their own Armageddon, but their own culpability in it. CN Well, I think it’s actually easier to imagine hell than it is to imagine heaven, and I think if you look at paintings or anything else, the descriptions of hell are always more convincing and relatable be-cause they’re exaggerations of human suffering, which is quite tactile. But there’s also massive impor-tance to a generation that is the last human generation. I think every generation has that sort of ego to

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them – if you could ascribe an ego to an entire species. But there’s that idea that we might be the last, and therefore we are the most important. JN The film might be guilty of that, but ultimately not. CN I don’t think it is at all because there’s nobody sitting there going, ‘Yeah, we messed up; this is the end of things.’ They’re all sitting there kind of going, ‘Yeah, we’ll figure it out.’ Part of the problem of where the negativity comes from has happened in the last twenty years with people trying to look in a more cynical way under the surface about motivations for why things happen. So, there’s a very, very powerful belief that innovation comes from war, or human conflict. You know, we only went into space to mess with the Russians or whatever it is. And you go, ‘Okay. There are interesting theories behind that. There are interesting undercurrents that, yes, in the past, might have been overlooked.’ But now people aren’t seeing the wood for the trees. We went to space because it was a cool thing to do. Kennedy sat there and said, ‘Yeah. We should go to the moon.’ I had a very interesting conversa-tion with my friend David Lloyd years ago. We were talking about, in human history who of our times will be remembered? And who will be the most prominent person to be remembered for the last hun-dred years in the way that historical figures are? And if you ask people that question, you know, they’ll say things like Steve Jobs, or whatever. And then you go, no, it’s Neil Armstrong! JN Right. CN And how can it not be Neil Armstrong? If you look five hundred years in the future, it’s like, the first guy who left the earth and landed somewhere else. JN He’s Christopher Columbus minus all the slavery. CN Yes. And whatever things sort of hover around, that stop us from being able to see, will fall away over time, the same way they did for Columbus. JN And that’s how I got the job in the first place. At that moment it absolutely felt – this was my pitch – that the safe bet was in a million years that alien anthropologists would come to Earth and they would find a stick with a piece of polyester on the moon, and they would say, ‘Wow, they almost made it. They got that far.’ So, you wash away all the day-to-day stuff that we get caught up in – this inven-tion or that invention. And it’s like, ‘No.’ That drive to get out, to explore the universe, will be the residue that’s left behind. Armstrong will be the person that people talk about. This is what connects it back, for me, to Murphy’s Law. Murphy’s Law popularly is: if something could go wrong, it will go wrong. The eponymous Murphy was one of a group of rocket engineers working for the Air Force. And he was a grumpy guy, and the rest of the people on the team didn’t like him very much because he was constantly ragging on people. And one day he came back and said, ‘You know, if there was a way for these guys to mess this up, they would.’ And that has been how we remember Murphy’s Law, right? If there’s a way for human beings to mess things up, they will. But another guy there – an engineer by the name of Nichols – had a different take on it. And by his ac-counting, the sentiment – as it was expressed as they were distilling this wisdom of the things going wrong in their testing – was that ‘If something can happen, it will happen.’ It doesn’t have to be a bad thing; it doesn’t have to be a good thing. Humans are capable of both. We’re lucky enough to live in a universe in which both things can happen. And it’s interesting to see how many films and books tend to concentrate on all the terrible things that we can do. The parasitic relationship between innovation and violence and all those sorts of things. And there’s something under it, certainly. But they do tend to ignore the self-evident part too. CN Yeah, exactly. JN We exist. We survived. Hopefully, we will continue to survive, and that is probably a good thing.

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Tavole

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Interstellar - Teaser Poster Interstellar - Official Poster

Interstellar - Official IMAX Poster by Kevin Dart

Interstellar - Fan Art Poster

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Interstellar - Fan Art Poster

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Interstellar Timeline da NolanFans.com 9

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Ultimo accesso ai link: 1 luglio 2015

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Filmografia generale- opere citate -

Le Voyage dans la Lune (1902) di Georges Méliès

Frau in Mond in Mond (1929) di Fritz Lang

2001: A Space Odyssey (1968) di Stanley Kubrick

Solaris (1972) di Andrej Tarkovskij

Star Wars (1977) di George Lucas

Alien (1979) di Ridley Scott

The Black Hole (1979) di Gary Nelson

Blade Runner (1982) di Ridley Scott

E.T. the Extra-Terrestrial (1982) di Steven Spelberg

The Right Stuff (1983) di Philip Kaufman

For all Mankind (1989) di Al Reinert

Vision of Light (1992) di Arnold Glassman, Todd McCarthy e Stuart Samuels

Close Encounters of the Third Kind (1997) di Steven Spielberg

Contact (1997) di Robert Zemeckis

A.I. Artificial Intelligence (2001) di Steven Spielberg

The Lord of the Rings (2001-2003) di Peter Jackson

Minority Report (2002) di Steven Spielberg

Eternal Sunshine of the Spotless Mind (2004) di Michel Gondry

Déjà Vu (2006) di Tony Scott

Children of Men (2007) di Alfonso Cuarón

Le vie en rose (2007) di Olivier Dahan

Next (2007) di Philip K. Dick

Cloverfield (2008) di Matt Reeves

Wall•E (2008) di Andrew Stanton

Avatar (2009) di James Cameron

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District 9 (2009) di Neill Blomkamp

Moon (2009) di Duncan Jones

The Road (2009) di John Hillcoat

Watchmen (2009) di Zack Snyder

The Fighter (2010) di David O. Russell

Apollo 18 (2011) di Gonzalo López-Gallego

Limitless (2011) di Neil Burger

In Time (2011) di Andrew Niccol

Mission: Impossible - Ghost Protocol (2011) di Brad Bird

Source Code (2011) di Duncan Jones

Super 8 (2011) di J.J. Abrams

Tinker Tailor Soldier Spy (2011) di Tomas Alfredson

Chronicle (2012) di Josh Trank

Looper (2012) di Rian Johnson

Side by Side (2012) di Christopher Kenneally

The Dust Bowl (2012) di Ken Burns

Elysium (2013) di Neill Blomkamp

Europa Report (2013) di Sebastián Cordero

Gravity (2013) di Alfonso Cuarón

Her (2013) di Spike Jonze

Oblivion (2013) di Joseph Kosinski

Star Trek Into Darkness (2013) di J.J. Abrams

The Hunger Games: Catching Fire (2013) di Francis Lawrence

Edge of Tomorrow (2014) di Doug Liman

Lucy (2014) di Luc Besson

The Science of Interstellar (2014) di Gail Willumsen

Transcendence (2014) di Wally Pfister

Star Wars: The Force Awakes (2015) di J.J. Abrams

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