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COLLECTIONS / PATRONAGE : DURINI FAMILY - \"Gli interni di Mirabello e Mirabellino fra ieri e oggi:...

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Lo scatto sociale dei quattro fratelli cofeudatari diMonza fu segnato innanzitutto dall’edificazione aMilano del solenne palazzo Durini inaugurato daGiovan Battista nell’anno chiave 1648, disegnato daFrancesco Maria Richini e decorato con uno straordina-rio ciclo di affreschi profani – di Giovan CristoforoStorer, Melchiorre Gherardini, Stefano Montalto edErcole Procaccini – che sarà la fucina del barocco lom-bardo5. Allo stesso tempo, la famiglia si radicò gradual-mente nel territorio infeudato, estendendo il più possi-bile la proprietà fondiaria e creando un sistema organiz-zato di residenze signorili sia urbane che suburbane, leseconde destinate alla “villeggiatura” e alla conduzionedei fondi, distribuite tra i singoli fratelli e insediate neipunti strategici della città e del contado così da garan-tirne il controllo.La mappa del “mecenatismo privato” dei Durini aMonza fra Sei e Ottocento passa proprio attraverso lepoco note residenze della casata, innalzate dalle fonda-menta o più spesso rinnovate, decorate con pitture earricchite di quadrerie. Vediamone, in ordine di acqui-sizione, il corposo elenco: il San Giacomo, sito nella

privilegiata area sud-orientale, villa di fondazione cin-quecentesca rinnovata nel secolo successivo, pervenutagià all’inizio del Seicento a Gian Giacomo Durini conla dote della moglie Angela Civati, e quindi da consi-derarsi pietra angolare dell’insediamento dei Durini aMonza6; il congiunto San Donato, acquistato nel 1644dal figlio Giovan Battista7 (proprietario anche del SanGiacomo); lo storico Castello visconteo, passato coidiritti del feudo dai de Leyva ai Durini dopo il 1648,già abitato da Carlo Francesco, restaurato nel 1696 daGiacomo e ristrutturato dall’omonimo nipote verso il1743, per essere infine demolito nel 1809-148; il colos-sale palazzo di Monza nella centrale piazza delMercato, sull’area dell’attuale palazzo Comunale,acquistato nel 1659 e rinnovato dallo stesso CarloFrancesco9; la Cazzola di Arcore (Vimercate), sortacome casino di caccia cinquecentesco e convertita invilla dal medesimo Giovan Battista Durini non nel1630 ma verso il 1670, il che esclude la paternità delRichini10; e per finire la maestosa villa barocca diMirabello, nella campagna nord verso Vedano, fonda-ta ex novo da Giuseppe Durini nel 1675, che si inseri-

2. Giacinto (?) Santagostino,Ritratto di Carlo FrancescoDurini, conte di Monza

(già Milano, palazzoDurini), Fondazione

Alessandro Durini

3. Agostino Santagostino,Ritratto di Angelo MariaDurini, conte di Monza,

già Milano, palazzo Durini

Le due ville binate di Mirabello e Mirabellino, fonda-te rispettivamente nel Sei e Settecento da due membridella famiglia Durini feudataria di Monza, sono oggidue stelle spente nella galassia del parco di Monza cheruota attorno al perno della villa Reale. Insieme allepreservate decorazioni pittoriche, sono gli antichiinventari dei quadri e degli arredi dispersi, al pari delleriscoperte poesie dedicate alle due dimore dagli amicidel cardinal Durini, a restituirci il clima e le “delizie”che fanno del Mirabello e del Mirabellino due esempiemblematici, ma al contempo singolari, della “villa”signorile lombarda del pieno Barocco, l’uno, edell’Arcadia illuminata di età teresiana, l’altro.Ambienti ornati di bellezza e di gusto, in disarmantecontrasto con lo stato attuale, furono segni di una sta-gione di raffinata civiltà, tramontata a partire dalla finedell’ancien régime traumaticamente scandita dall’occu-pazione napoleonica e dall’incameramento delle dueresidenze nel Regio Parco di Monza nel 1806. In que-st’occasione andremo pervicacemente a riscoprirli,non solo per rievocare una pagina di arte e culturalombarda tanto importante quanto oscurata, ma ancheper incidere sul presente, stimolando attraverso laricerca e lo studio il proseguimento della meritoriacampagna di recupero intrapresa dall’Amministrazionedel parco di Monza.

Antefatti e contesto del Mirabello:mecenatismo dei Durini a Monza

Le premesse del Mirabello rimontano simbolicamente al1648, quando i quattro fratelli Durini figli del ricchissimomercante e banchiere Gian Giacomo (1573 circa-1639),trasferitosi da Como a Milano, acquistarono dai de Leyvala contea di Monza, con il titolo comitale e i diritti annes-si. La conquista del feudo, che i Durini manterranno finoal 1796, fu il risultato di un’oculata “strategia familiare”,intrapresa già dal padre mediante rapporti d’affari intrec-ciati con i de Leyva e acquisti fondiari nel territorio mon-zese (dal 1624)1, e messa a segno dal primogenito, l’intra-prendente Giovan Battista (1612-77), seguito dai fratelliGiuseppe (1624 circa-1701), il futuro fondatore delMirabello, Angelo Maria (1631-85) e Carlo Francesco

(1634 circa-1694)2. Di tutti costoro, a eccezione diGiuseppe, ci sono pervenuti gli originali ritratti a figuraintera3: quello, alla moda vandyckiana, di Giovan Battista(collezione privata) (fig. 1), da ricondursi a Carlo FrancescoNuvolone verso il 1648; l’elegante ritratto di Angelo Maria(collezione privata) (fig. 2) e quello di Carlo Francesco(Fondazione Durini) (fig. 3), entrambi attribuibili ai fratel-li Santagostino attorno al 1680, il primo al più dotatoAgostino e il secondo probabilmente a Giacinto4.

Gli interni di Mirabello e Mirabellino fra ieri e oggi:decorazioni pittoriche e collezioni d’arteCristina Geddo

1. Carlo FrancescoNuvolone, Ritrattodi Giovan BattistaDurini, conte di Monza,già Milano, palazzo Durini

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la maniera lombarda “tenebrosa” dell’Abbiati e delMagnasco con inflessioni giordanesche e neoverone-siane che presagiscono la svolta rococò. A questi acutisi affiancò il basso continuo di una leadership eserci-tata di fatto dalla famiglia dominante sulla politicaartistica della basilica di Monza, e quindi della cittàstessa. Pur ingaggiando a loro volta qualche artistalocale, i Durini sembrano infatti influenzare costante-mente le opzioni della Fabbriceria, orientandola suipittori milanesi da loro preferiti, ricorrenti negliinventari delle collezioni e operosi nelle residenze pri-vate, Mirabello incluso (a partire dalle coppie prota-goniste Montalto-Ercole Procaccini, Legnanino-Castellino, sino ai comprimari Pietro Maggi e GiovanBattista Sassi)22.Nel contesto del mecenatismo dei Durini a Monza, lagrande impresa del Mirabello assicura a GiuseppeDurini (1624 circa-1701)23 un ruolo di primo piano,anche se tutto giocato, diversamente da CarloFrancesco, sul versante privato. Educato a Roma pressoi Gesuiti del Collegio romano, fu l’unico tra i fratelli adabbracciare l’inquieta carriera militare: militò in Fiandrae Germania al servizio di Spagna e Impero, dapprimacome soldato di ventura, poi come capitano, ottenendonel 1648 una compagnia di Corazzieri nello Stato diMilano24. I suoi interessi mecenatizi si esplicheranno piùtardi, e non solo nel Mirabello: a lui spettano infatti il

6. Sebastiano Ricci,La regina Teodolinda pone

la prima pietra dellacollegiata di Monza, dono

di Giacomo Durini (1697),Monza, Duomo

7. Copista inizi sec. XX,Ritratto di Giuseppe Durini,

conte di Monzae fondatore del Mirabello,

Gorla Minore(Varese), Municipio

sce in questo contesto come l’episodio architettonica-mente e artisticamente più rilevante. Ma l’elenco con-tinua nel Sette e Ottocento, con il singolarissimoMirabellino del cardinal Durini (1778), la seicentescaGrassa, acquistata da Giacomo Durini nel 1741 e tra-sformata dal figlio Ercole in forme neoclassiche peropera di Carlo Amati11; e infine con la villa Durini(1815 circa) edificata sempre dall’Amati (che in queglianni restaurava la Cazzola per Luigi Durini) propriosul sito del distrutto Castello visconteo e poi ingloba-ta nella Frette (ora Rinascente)12.Accanto a quello privato, la famiglia feudataria diMonza esercitò anche un mecenatismo propriamentepubblico, volto a beneficio delle istituzioni religiose edella comunità, che risulta più strettamente connessoal ruolo politico e istituzionale da essa rivestito e chesi iscrive nel quadro dei rapporti generalmente armo-niosi fra la città e i suoi signori. I Durini lo esplicaro-no con discreta frequenza e qualche picco, privile-giando le arti plastiche e applicate sulla pittura, e pre-stando un’attenzione particolare alle manifestazionidell’effimero in occasione di matrimoni e funerali,cerimonie civiche o religiose. Di questo sommersocapitolo converrà ricordare almeno tre esempi signifi-cativi. Il primo potrebbe essere il grande ostensoriodel duomo di Monza, un raffinato pezzo di oreficeriatardobarocca ricco di perle e pietre preziose, che,come accertato da un felice ritrovamento d’archivio13,fu realizzato dall’orefice milanese Antonio Grossi nel1688 e offerto in gran parte da Carlo FrancescoDurini, residente nel palazzo di città e con ragionecelebrato dagli storiografi monzesi per le sue doti dipietà e liberalità14. Stringendo un nodo indelebile conMonza, il mecenate fondò nel 1694 il sepolcro dellafamiglia Durini, posto in duomo nell’eminente cap-pella di Teodolinda (già Madonna del Rosario) e oggiscomparso15. Non meno generoso, ma più politico, ilnipote Giacomo nel 1704 abbellì la facciata esternadella porta “de Gradi” o di Agrate16 con “un grande, eben scolpito Medaglione di candido Marmo rappre-sentante a mezzo rilievo S. Giacomo MaggioreApostolo intrecciato di bellissimi rabeschi, e ne’ pila-stri laterali li Stemmi, e di Casa durina, e di Monza”17.Documentato da un acquerello del 1898 (collezioneprivata) (fig. 4) e da fotografie scattate poco primadella demolizione della porta nel 190818, il colossalemedaglione con il patrono della famiglia Durini,datato 170419, risulta tutt’oggi esistente presso la chie-sa dei Santi Giacomo e Donato (fig. 5). Il nobile stileche informa l’elegante figura del santo, a dispettodella corrosione avanzata, sembra molto vicino a quel-lo di Giuseppe Rusnati (1647-1713), il maggior scul-tore lombardo tardobarocco, che per lo stesso com-mittente aveva eseguito qualche anno prima la statuadi San Giacomo per l’ancona della cappella Durininella chiesa milanese di Sant’Angelo a lui intitolata20.Giacomo Durini è anche il protagonista del terzo, piùrinomato episodio del mecenatismo dei Durini a

Monza: la donazione al duomo nel 1697 dello spetta-colare quadrone giovanile del veneziano SebastianoRicci, raffigurante la Regina Teodolinda che pone laprima pietra della basilica di Monza (fig. 6), con loscudo Durini in evidenza, che darà avvio alle Storiedella corona ferrea della navata centrale21. Un colpod’ala per l’ambiente monzese, attestato di norma sullostandard locale; un’opera d’avanguardia, che combina

4. C. Pizzi, Porta de Gradi aMonza, con i rilievi aggiuntida Giacomo Durini (1898),acquerello, collezione privata

5. Giuseppe Rusnati (?),Medaglione con San Giacomoapostolo (1704), Monza,chiesa dei Santi Giacomoe Donato

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in braccio il Bambino rendeva omaggio al titolare di cuiil fondatore portava il nome32. Un documento attestache a quella data erano in loco l’imponente pala d’alta-re di Ercole Procaccini il giovane (1610 circa-1678) raf-figurante la Natività di Maria (fig. 8) e i due dispersilaterali con il Sogno di San Giuseppe e la Madonna eSant’Antonio di Padova con in braccio il Bambino, dedi-cati agli altri due santi cotitolari dell’oratorio33. Eppure

questi dipinti non sono documentati nel dossier sullafabbrica, a differenza dell’ancona marmorea saldata alloscalpellino di origine ticinese Giulio Tencalla nel 1672,insieme alla balaustra a “vasi con sue maniglie sforrati dimarmo biancho”. Al momento della consacrazionedoveva esserci anche il bel paliotto dell’altare in scaglio-la (fig. 9) simulante un intarsio marmoreo dalla vivacepolicromia esaltata dal fondo nero, che nell’esuberantecomposizione floreale, con tulipani, rose, garofanipopolati di uccelletti, si rapporta strettamente alle coevenature morte barocche milanesi di gusto fiammingo-spagnolo prodotte da Vincenzo Volò e dal figlioVicenzino, di cui i Durini possedevano i due pendant suardesia del Castello Sforzesco di Milano34. E così lagrande lunetta in tela sul cornicione del coro raffigu-rante un Concerto angelico (fig. 11), con angioletti can-tori e angeli musici che suonano l’arpa, il liuto, l’orga-no, la viola da gamba, il flauto e il violino, dedicata altema della musica che doveva appassionare GiuseppeDurini e posta proprio di fronte alla cantoria con orga-no35 poi trasformata in tribuna. Invece, non è possibilepronunciarsi sul medaglione della volta descritto in unavisita pastorale del 1754 – non è chiaro se in tela o adaffresco – con una trionfante Vergine assunta sostenutada un coro d’angeli e attorniata da sacri personaggi36.La pala d’altare, restaurata nel 1989-90 e attribuita aErcole Procaccini su basi stilistiche37, è confermataall’artista da un inventario settecentesco che la cita conil nome dell’autore38. Artista prediletto dei Durini,seguito a breve dal Montalto, il Procaccini39 aveva rea-lizzato per la famiglia, oltre agli affreschi del palazzo diMilano (1646-48), ben diciassette opere fra cui due paled’altare, quella del Mirabello e quella, dispersa, delpalazzo di Milano. Proprio quest’ultima, di insolito for-mato quadrato, è stata da me recentemente riconosciu-ta sul mercato milanese nell’inedita Madonna tra SanGiovanni Battista e Sant’Antonio di Padova con in braccioil Bambino (fig. 10), che conserva ancora la preziosacornice originale descritta nell’inventario del 170840. Ildipinto, di soggetto analogo al laterale del Mirabello macon l’aggiunta del Battista protettore del committente, èancorabile all’8 luglio 1648, quando Giovan Battistaotteneva licenza per la celebrazione della messa nellacappella della nuova residenza41. Le due pale Durini,realizzate a distanza di venticinque anni, bene esempli-ficano le fasi estreme del pittore: dai toni cupi e terrosisu cui staccano i pallidi incarnati impastati di ombre delperiodo giovanile ceranesco-procaccinesco, alle formeespanse e svigorite, virate su gamme più fredde e lumi-nose, dell’estrema fase barocca. Giunoniche figure fem-minili, esemplate sui tipi di Giulio Cesare Procaccini,provvedono al bagno di una neonata presa di peso dalMontalto, il più assiduo e duraturo partner di Ercole42,mentre il letto della puerpera e il lucente vasellame dimetalli cesellati rievocano ancora il Cerano. Così, la paladel Mirabello ripristina una grande stagione dell’artelombarda nelle forme paludate e sfibrate di una nobileaccademia.

rimodernamento della “casa da nobile” di Robarello, sulNaviglio Grande fuori Milano25; l’impulso decisivo ad“abellire, et restaurare” la cappella di famiglia inSant’Angelo, finanziata con un contributo di 300 duca-ti (1694 circa); e infine la posa della prima pietra del-l’oratorio monzese intitolato al suo patrono SanGiuseppe, in Porta Nuova (1698)26. Abitò sempre aMilano, in contrada di San Pietro all’Orto, recandosi alMirabello solo per la villeggiatura stagionale. Devoto eparticolarmente legato, come i fratelli, ai cappuccini efrancescani di Monza e Milano, morì quasi ottantennenel 170127. La sua fisionomia, disperso il pregiatissimoritratto che lo mostrava “giovine, e Capitano diCavalli”, ci è trasmessa da una copia otto-novecentesca(Gorla Minore, Varese, Municipio) (fig. 7) desunta pro-babilmente da un disperso ritratto a mezzo busto cheera collocato proprio al Mirabello28.

Il Mirabello di Giuseppe Durini:la campagna decorativa originaria

Il Mirabello di Giuseppe Durini fu progettato daGerolamo Quadrio e edificato sotto la sua direzione dalcapomastro Defendente Muttone nel giro di un decen-nio: precisamente dal marzo 1666 al 1675. Lo attestaun importante mazzo di carte emerso nell’archivioDurini29 contenente la documentazione relativa ai lavo-ri eseguiti nella fabbrica dell’edificio in quell’arco ditempo, ovvero le stime firmate dal Quadrio e i paga-menti effettuati dal Durini. Le notizie trasmesse dalCalvi erano dunque esatte, a eccezione della data d’ini-zio dei lavori, che lo studioso poneva, forse per un refu-so, nel 1656 invece che nel corretto 166630.Villa di architettura singolarmente monumentale chevisualizza un ideale di decoro e solidità analogo a quel-lo di palazzo Durini, il Mirabello preserva ancorasostanzialmente al suo interno l’originario apparatodecorativo seicentesco che copre tutti gli ambienti delcorpo centrale, parzialmente integrato da interventisettecenteschi e ottocenteschi. La campagna decorativaordinata da Giuseppe Durini risponde a un progettounitario e coerente: perciò sarebbe logico attendersiche tanto le pitture del piano terra, quanto quelle delprimo piano, siano state portate a termine entro il1675, quando l’incartamento sulla fabbrica delMirabello fissa la conclusione dei lavori; così per lapala dell’oratorio e lo scalone d’onore, complementonon secondario dell’edificio. Eppure, le medesimecarte documentano solo le pitture del piano nobile. Sitratterebbe allora di un dossier lacunoso, oppure leopere sottaciute sono da ritenersi necessariamente suc-cessive al 1675?L’analisi dell’intero complesso decorativo, per quantoostacolata da problemi di ordine conservativo e scarsa-mente supportata dal lacunoso materiale documenta-rio, è approdata comunque a una serie di risultanze,formulazioni e questioni che si offrono come base per

le future ricerche. Questa la sintesi. Nella decorazionedel Mirabello si individuano fondamentalmente tre fasistilistiche e cronologiche, ciascuna collegabile a undiverso committente e momento della storia dell’edifi-cio: l’originaria fase seicentesca e barocca risalente alfondatore Giuseppe Durini (1670-75 circa), che coprele sale terrene (cinque medaglie) e superiori (sei fregi esei soffitti a rosette del 1670, una medaglia), includen-do anche l’oratorio (pala e arredi del 1673 circa); unaseconda fase settecentesca, esemplificata dalla medagliabarocchetta del vano est (1714 circa), riconducibile aGiovan Battista II Durini, e dalla decorazione proto-neoclassica del cardinal Durini nel salone centrale(1777-78); un’ultima fase ottocentesca riferibile algoverno austriaco del viceré Ranieri, rappresentatadalla due pitture ornamentali neoclassiche del pianter-reno (1830 circa e 1830-40 circa) e da quelle eclettichedel superiore (1854).

L’oratorio (1673)

Il grande oratorio a pianta centrale, ricavato nell’avan-corpo nord della villa, veniva benedetto l’8 settembre1673, “con bonissima Musica, et solennemente”31.“Nascenti Virgini/Ac Divis Josepho et AntonioPatavino Patronis/Anno 1673” si leggeva infatti in un’e-pigrafe marmorea posta sul portale d’ingresso sotto ilportico, dove un’immagine dipinta di San Giuseppe con

8. Ercole Procaccini ilgiovane, Natività di Maria(1673), Mirabello,pala dell’oratorio

9. Paliotto dell’altare inscagliola (1673), particolare,Mirabello, oratorio

10. Ercole Procacciniil giovane, Madonna colBambino tra San GiovanniBattista e Sant’Antoniodi Padova (1648), giàpala dell’oratorio dipalazzo Durini a Milano,mercato antiquario

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nella villa Durini si scopre anche un inedito Marianifigurista, particolarmente vicino al Montalto, il piùassiduo tra i suoi collaboratori, nella caratterizzazionetipologica e nel tocco rapido e disinvolto con cui sonotratteggiate le figure.Per quanto concerne i cassettoni a rosette dipinti a tem-pera, di sei differenti tipologie e colori tante quante lerispettive stanze, oltre che essere tra i rarissimi soffitti“firmati”, possono fornire una prima interessante cam-

pionatura del genere di arredo più diffuso negli interniresidenziali del Seicento, di cui si accusa a tutt’oggi lamancanza di un repertorio. I soffitti del Mirabello,impreziositi da borchiette in stucco dorato, si caratteriz-zano per il vivace gioco cromatico e l’accentuato illusio-nismo ottico, effetto delle ombre portate dei cassettoni,delle finte cornici e delle stesse rosette, a cui si unisce ildecoro barocco delle travi e dei travicelli, con riccioli evolute lumeggiati simulanti un intaglio ligneo. Ma è dif-ficile dire fino a che punto il Mariani personalizzimodelli di ornato sottoposti evidentemente a una fortestandardizzazione.Premesso ciò, conviene procedere a un’attenta ricogni-zione dello stato attuale sulla traccia del Quadrio, chepercorre i locali in senso antiorario a partire dalla primastanza a sud, accessibile dallo scalone. In questa stanza,coperta dalla falsa volta eclettica forata in più punti(fig. 56), è descritto un fregio a monocromo con“Architet(tu)re a prospettiva”, intervallate da quattroPutti sulle pareti longitudinali e da due “Istoriette” suquelle trasversali, di cui è avvistabile solo una medagliaa finto stucco con Profilo virile coronato di alloro. Il sof-fitto originario, costituito da 112 “rose bianche conroversii avinati, il fondo verde”, corrisponde alle scon-ciate margherite bianche di otto petali, alternate arosette di quattro petali tricuspidati, campite su unfondo verde chiaro, visibili da una falla. La fascia api-cale a vista del fregio della stanza successiva, con “qua-tro Paiesi et due Battaglie nelle teste” (fig. 12), consen-te di ricostruire il finto loggiato con una coppia diPaesaggi sulle pareti longitudinali e una Battaglia suquelle trasversali, concepiti come “quadri riportati”secondo il classico schema impaginativo inaugurato daiCarracci nella Galleria di palazzo Farnese (1600) eampiamente diffuso nella decorazione barocca. Unesempio di fregio di questo tipo, vicino nel tempo enello spazio, è nella villa Ghirlanda Silva a CiniselloBalsamo (post 1660), un edificio che mostra sorpren-denti analogie di impianto e di morfologia con ilMirabello53. Il documento non accenna invece alle ottofinte statue monocrome collocate nella loggia, di cuiaffiorano solo le teste, sbozzate da pochi tratti di pen-nello con uno stile quasi compendiario (fig. 13). Il sof-fitto di 112 “rose violete et fondo azzurro” corrispondea quanto attualmente si vede (fig. 12). Fra le Storieentro quadri riportati che compongono il fregio dellastanza d’angolo sud-est, caratterizzato da “ottoMedaglie” e “quat(tr)o Istorie”, anch’esso scialbato perdue terzi, si avvistano dalle falle della volta ottocentesca(fig. 57) una scena con Giove e Giunone, accompagnatadal pavone (fig. 14) e la testina di una divinità femmi-nile su altra parete. L’opulenza della figure femminili, iltratto spigliato e la freschezza cromatica che esibisconoquesti frammenti si allineano alle esperienze barocchedei Nuvolone e soprattutto del Montalto. La coperturaoriginaria di “rose n° 180 con el fondo verde” trovariscontro in due tipi diversi di rosette rosse lumeggiatein bianco e campite su fondo turchese.

12. Giovanni Mariani, Apicedel fregio e soffitto cassettonato

a rosette “violete” su fondoazzurro (1670), Mirabello,

primo piano, sala sud

13. Giovanni Mariani,Testina di statua entro loggia,

particolare del fregio

Il Concerto angelico43 (fig. 11) esibisce invece caratterinuvoloniani, di Giuseppe Nuvolone in particolare(citato nella testa dell’angelo con la viola), rassodati eirrigiditi da un’enfasi plastica e disegnativa che esaltaanatomie e panneggi artificiosi, mentre il colore squil-lante guarda piuttosto ad esempi romani (GiacintoGimignani). È un linguaggio aderente alla linea classi-cista di ispirazione romana promossa a Milano dallaseconda accademia Ambrosiana (riaperta nel 1669 daAntonio Busca), che trova assonanze nell’opera del pit-tore della Riviera d’Orta Giuseppe Zanatta, educatonella bottega nuvoloniana e allievo precocedell’Ambrosiana44; ma non si tratta di lui. È comunqueinteressante notare che a un altro pittore del lagod’Orta legato all’ambiente milanese, Giorgio Bonola, ilfratello di Giuseppe Carlo Francesco Durini affiderà lapala dell’oratorio del palazzo di Monza45.

Fregi e soffitti del piano nobile (1670):un inatteso Giovanni Mariani

L’unico documento emerso relativo alle decorazioni delMirabello è la stima delle pitture eseguite da GiovanniMariani negli ambienti del piano nobile, redatta dalQuadrio il 10 gennaio 1671 (su visita del 6 gennaio),per le quali Giuseppe Durini sborserà 1211 lire nelmarzo successivo46. I lavori del Mariani – soffitti a cas-settoni con rosette e fregi a fascia sottosoffitto con sog-getti figurati frammisti a paesaggi o battaglie – devonodunque ritenersi ultimati entro il termine del 1670, edeseguiti con ogni probabilità nel corso di quell’anno47.Malgrado la stringatezza del testo, unita alle manomis-sioni e alle condizioni allarmanti degli ambienti, è statopossibile riconoscere con esattezza quanto descritto inognuno dei sei locali disposti a U attorno al salone nelcorpo centrale della villa, integrando così le ampie per-dite e le lacune visive con la testimonianza scritta.Come vedremo, i soffitti dovrebbero essere tutti super-stiti, sebbene con qualche danno: tre di essi sono avista, gli altri tre sono coperti da controsoffitti in can-

niccio del secolo XIX, due dei quali ornati da una pre-gevole decorazione eclettica. Peggiore la situazione deifregi: la tinteggiatura stratificata delle pareti ne hacoperti tre per intero e per due terzi gli altri tre, rispar-miandone solo la parte sommitale, offesa da schizzi dimalta e avvistabile a brani attraverso i cedimenti dellevolte ottocentesche. In tali condizioni, sarà necessariauna delicata campagna di restauro, con a monte sceltenon facili, per recuperare integralmente l’originariaconfigurazione seicentesca dell’intero piano nobile. Mane varrebbe la pena: non solo per l’eccezionale omoge-neità stilistica e l’accogliente atmosfera barocca checontraddistingue un ambiente risalente in toto all’epo-ca della fondazione, ma anche perché esso custodisceun rarissimo complesso di opere, di quadratura e difigura, oltre che di pura ornamentazione, del malnotoprospettico milanese Giovanni Mariani (documentatodal 1671 al 1684).Personalità ancora sfuggente, Giovanni Mariani è ilcapostipite di una delle più importanti botteghe fami-liari di quadraturisti attiva a Milano tra la secondametà del Sei e i primi decenni del Settecento, padre diPaolo e del più rinomato Giuseppe, nonché maestrodel celebre Castellino di Monza (anch’egli pittore duri-niano)48. L’Orlandi49, che lo menziona per primo chia-mandolo erroneamente Domenico, innesca una confu-sione non ancora estinta nella letteratura, malgrado lapostulata coincidenza di Domenico con il documenta-to Giovanni50, che riceve ora conferma ulteriore e defi-nitiva dal pagamento del Mirabello a firma “GiovaniMariano”. Distrutte o disperse le opere ricordate dallefonti51, non restano che gli affreschi del santuario diSaronno del 167952 a testimoniare lo stile del Mariani,“Pitore eccellentissimo di Prospettiva et Architettura”,contraddistinto da quella “solida gravezza” che sembrainformare anche i soffitti e i fregi del Mirabello, di undecennio precedenti. Le quadrature di Saronno metto-no in campo un formulario un po’ greve, ma di sicuraefficacia, di medaglioni, busti, rilievi e vedute paesisti-che, analogo a quello dei fregi del Mirabello, per quan-to si può giudicare dai pochi brani oggi visibili. Ma

11. Pittore lombardo ultimoquarto sec. XVII,Concerto angelico,Mirabello, oratorio

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Il fregio della stanza d’angolo opposta, scandito da otto“Paiesi” e “quatro Istorie”, e quello della successiva, analo-go ma “con minor fatt(u)re”, sono oggi completamenteoscurati dalla tinteggiatura marrone, dove traspaiono trac-ce dell’intelaiatura prospettica sottostante. In compenso sicontano ancora, nella prima, i 180 lacunari del soffitto, inbuone condizioni, con carnose rosette a cinque petalialternativamente bianche su fondo verde e rosa su fondogiallo (fig. 15); nella seconda, le 168 rosette azzurre, piut-tosto deperite, identiche nel disegno a quelle “violete” dellaseconda stanza ma con “fondo avinato et fondo trucchinocon travetti verdi”. Nell’ultima stanza, decorata da un fre-gio con cartelle e vasi sulle pareti trasversali, e monocromifigurati su quelle longitudinali, e coperta da 136 “rosebianche con roversii morelini”, non resta quasi nulla. Illocale è stato diviso da un tramezzo in due vani non comu-nicanti, interamente scialbati, di cui solo il primo, angustoe inagibile, conserva a vista, in pessime condizioni, l’origi-nario soffitto cassettonato, celato invece da un controsof-fitto nell’altro vano raggiungibile dall’ala nord della villa.Nulla trapela, infine, della “mezzafinestra” sul pianerotto-lo dello scalone e dell’antiporta nella loggia allora apertasulla fronte54, che completavano le quadrature compiutedal Mariani al Mirabello secondo la stima del 1671.I soffitti a cassettoni decorati del piano nobile sono iprimi, ma non gli unici, realizzati nella villa. Anche l’ap-partamento di pertinenza padronale dell’ala sud accessi-

bile dalla prima rampa dello scalone, oggi interamentecontrosoffittato, doveva essere originariamente copertoda lacunari lignei dipinti a rosette, come testimoniereb-be un malridotto frammento seicentesco visibile da unafalla nella stanza comunicante con la torretta. Il crolloparziale del controsoffitto a canniccio ottocentesco nellastanza adiacente ha invece messo a nudo un più chiaro earioso cassettonato, ornato da lanceolate margherite rosae azzurre su fondo bianco con una doppia coroncina difoglioline, di carattere chiaramente settecentesco, chepotrebbe collegarsi ai lavori di rimodernamento compiu-ti dal cardinal Durini in quest’area della residenza.

I medaglioni barocchi del pianterreno (ante 1675?)

Sette pregevoli medaglioni a fresco, entro lineari corni-ci a stucco, ornano le volte del salone d’onore e delle seistanze che gli fanno corona al pianterreno della villa.Recuperati, per quanto possibile, nel corso della recentecampagna di restauri (dal 1997)55, si offrono a una let-tura unicamente stilistica e iconografica, non essendosupportati da documenti56.Il medaglione quadrilobato del salone (fig. 16) rappre-senta un’allegoria morale che vede interagire la Discordia,personificata dalla donna anguicrinita scacciata dal puttocon un ramo d’ulivo, e la Pace, coronata d’ulivo, che

16. Stefano Danedi detto ilMontalto e collaboratore, LaPace e la Concordia trionfanosulla Discordia, Mirabello,

pianterreno, salone centrale

14. Giovanni Mariani,Giunone col pavone (1670),particolare del fregio,Mirabello, primo piano,sala d’angolo sud-est,parete ovest

15. Giovanni Mariani, Travee soffitto cassettonato a rosettebianche su fondo verde e rosasu fondo giallo (1670),Mirabello, primo piano,sala d’angolo nord-est

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mezzati da rosette, di cui affiora il disegno preparatorio:la sagoma delle rosette, identica a quella del soffitto acassettoni della prima stanza, farebbe ipotizzare unnuovo intervento del prospettico Mariani.

La collezione di Giuseppe Durini

La raccolta d’arte che Giuseppe Durini aveva riunitoal Mirabello, registrata in un prezioso Libro de’ mobi-li… del 168865, collazionabile al più preciso inventa-

rio del 1708, annoverava qualche statua e centoven-ticinque quadri concentrati quasi totalmente neilocali del corpo centrale della villa, dove ogni caminoaveva la sua “caminera” dipinta a paese con figure eanimali, e in parte nell’ala sud accessibile dallo scalo-ne, dove si trovava la “stanza del Conte Padrone”sobriamente ornata da un Cristo e da due piccoli rami“a figurine” di gusto fiammingo. A differenza dellecollezioni dei palazzi di Milano e di Monza, ricche didipinti d’autore di storia sacra e profana, quella delMirabello era composta quasi esclusivamente da ano-nimi paesaggi con macchiette, cui si univano le pro-spettive, le nature morte e qualche battaglia, unifor-mandosi a una norma del collezionismo sei-settecen-tesco che attribuiva alle quadrerie di campagna uncarattere essenzialmente decorativo e di consonanzatematica con l’ambiente circostante66. Fra i rarissimiquadri a tema profano, tutti di grandi dimensioni, sisegnalano “Due quadri grandi a figure” conl’Innocenza riconosciuta del Montalto e il Pastor fidodi “Ercole Procacino”67, collocati nella “galleria disopra”, insieme a quattro statue di “marmo bastardo”,con un “Un Moro, et una Mora” e “Un Bacco et unHercole”. Con questo importante pendant trattodalla favola pastorale tragicomica di Battista Guarini,Giuseppe rilancia anche nella collezione delMirabello la coppia duriniana Montalto-Procaccini, ariprova dell’elevata sincronia e omogeneità di gustoche ispira le scelte dei fratelli Durini. Il “sallone dabasso”, elevato su due piani e fasciato dalla balconataper i musici, secondo la consueta tipologia della salada ballo lombarda sei-settecentesca, era ornato daotto “Carte de paesi” e da quattro “Busti di marmobastardo con oro”. Nell’inventario del 1734 le “carte”risultano sostituite da grandissimi Paesaggi con figure,ma restano i busti di Giuseppe Durini, descritti piùprecisamente come “Quatro statue di terra cotta deImperatori Romani, parte dorate, parte bronzate”68, equindi identificabili a tutta evidenza con i quattrobusti in creta attualmente collocati nel sottoporticodella cappella (figg. 23, 24, 25, 26), che sono anchegli unici pezzi a noi pervenuti della collezione origi-naria del Mirabello.

18. Federico Bianchi, Io,Giove e Giunone, Mirabello,

pianterreno, sala nord

19. Federico Bianchi,Diana e le ninfe (?),

Mirabello, pianterreno,sala d’angolo nord-est

respinge le armi pestando scudo e spada, e stringe lamano alla Concordia, identificata sia dal fascio di spigheretto dal putto in volo e dal genio alato accucciato nellobo destro, sia dalla cornucopia, elementi allusivi allaprosperità che sempre accompagna la convivenza pacifi-ca. Il tema è dunque La Pace e la Concordia trionfano sullaDiscordia, un ideale tanto più significativo se messo inrelazione alla carriera militare del committente. Si colgo-no nell’affresco evidenti caratteri montaltiani: allo stileassai caratterizzato di Stefano Danedi detto il Montalto(1612-90)57 alludono infatti le tipologie dei puttini, dellatesta tondeggiante e scorciata della Pace, e di quella pate-tica della Discordia (non esente da un ricordo delloStorer), così come la postura della Pace e i panneggi sca-vati da profonde pieghe irregolari. Tuttavia, nei volti piùtorniti e nella procace figura della Concordia, sensibile adesempi nuvoloniani, manca il vigore e la nervosa sicurez-za esecutiva che Giovanni Stefano esibisce ancora all’al-tezza degli affreschi di Porlezza (1670-77 circa)58, tanto dafar presumere l’intervento di un collaboratore, dovendosiescludere anche per ragioni di cronologia la paternità delpiù morbido fratello Giuseppe59.Accanto al Montalto non poteva mancare ErcoleProcaccini, la cui mano si indovina d’acchito nel meda-glione della stanza sud con Mercurio e Minerva (fig. 17),dialoganti in una posa speculare esaltata dal gioco deidrappi svolazzanti dall’effetto cartaceo. I tratti caratteri-stici del pittore si colgono con chiarezza nel profilo sfug-gente di Mercurio e nel risalto plastico-anatomico delnudo, rilevato dall’ombra netta del braccio. La morte diErcole nel 167860 fornisce un prezioso termine antequem per l’esecuzione di quest’affresco, troppo vicinoalla data di chiusura della fabbrica per non indurci asupporlo eseguito entro il 1675, e in concomitanzaalmeno con l’affresco del Montalto.Le altre quattro medaglie, assegnabili tutte alla stessamano, illustrano una sequenza antitetica di soggettimitologici: Io, Giove e Giunone (fig. 18), tema moraleg-giante sull’amore extraconiugale scoperto e punito dalconiuge ingannato; la casta Diana e le ninfe61 (fig. 19),votate alla passione androgina per la caccia che nonammette divagazioni amorose; Venere-Flora e le treGrazie o Allegoria della Primavera (fig. 20), stagione del-l’amore sensuale e della fertilità; Saturno con un figlio(fig. 21). Le condizioni di deperimento di questi affre-schi, che affliggono in particolare i medaglioni total-mente “spellati” di Giove e Saturno62, pongono problemidi lettura stilistica. Reiterate riflessioni orientano tutta-via definitivamente sulla paternità di Federico Bianchi(1630-35 circa-1706), pittore operoso nelle residenzelombarde spesso in compagnia del Montalto e delProcaccini, come nel palazzo Arese Borromeo di CesanoMaderno63. Allo stile accademizzante di orientamentoemiliano del Bianchi rimandano, infatti, il nitido dise-gno e i volumi levigati e torniti da un modellato chiaro-scurale semplificato, come pure le gradevoli fisionomiefemminili e il tipo del Giove, ricorrente nel repertoriodell’artista. Il Saturno è esemplato, tramite un’incisione,

sul modello carraccesco del Plutone di Agostino oggi allaGalleria Estense di Modena64; negli altri affreschi si col-gono richiami al Busca (la matronale Giunone) e alMontalto (la Grazia nuda alle spalle di Venere), indici diuna datazione non avanzata nel percorso del Bianchi,apparentemente contraddetta solo dall’impronta legna-ninesca del volto di Venere (grandi occhi e boccucciavioletta), con riscontri nelle figure femminili della cap-pella XIII del Sacro Monte d’Orta (1694) dove ilBianchi incontra il Legnanino. Anche il misurato rigoredelle composizioni e soprattutto i panneggi solidi e seg-mentati (ben evidenti nella Grazia di profilo) sembranoprecedere la fase più sciolta e drammatica del Bianchi,fortemente segnato dall’influenza di Filippo Abbiati apartire dal 1683.In conclusione, se la datazione stilistica di questi affre-schi si assestasse, come pare, sull’ottavo decennio,agganciandosi all’ante quem del 1678 (Mercurio eMinerva), allora prenderebbe forza l’ipotesi che l’inte-ro ciclo pittorico del pianterreno, malgrado non figurinel dossier sulla fabbrica, sia stato realizzato in conco-mitanza dal Montalto, dal Procaccini e dal Bianchientro il termine del 1675.La medaglia con Aurora e il carro del Sole del vestiboloest, che a differenza delle altre è in eccellente stato diconservazione, non fa corpo con il gruppo esaminato,perché è opera, come vedremo, già settecentesca.L’anomalia è duplice, perché a legare con gli affreschidel pianterreno, agganciandosi alla stessa campagnadecorativa, è un frammentario medaglione seicentescoaffrescato nel vano corrispondente al piano superiorecon una Figura femminile librata in volo (Aurora?) (fig.22) che evoca i modi di Federico Bianchi. La volta in cuiè incastonato questo medaglione, databile dopo il 1671non essendo menzionato nella stima del Quadrio, eraornata da una prospettiva a lacunari ottagonali infram-

17. Ercole Procacciniil giovane, Mercurioe Minerva (ante 1678),Mirabello, pianterreno,sala sud

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tra in una serie di manufatti in ferro battuto riferititutti al secolo XVII72. Si deve perciò concludere, perrispondere al quesito iniziale, che le opere seicenteschepertinenti alla fondazione della villa sono ben piùnumerose di quelle documentate nell’incartamentodell’archivio Durini.

L’integrazione barocchetta (1714?)

L’affascinante figura dell’Aurora (fig. 27) conservaancora una turgidezza seicentesca, intrecciando unostretto dialogo con le contigue medaglie di FedericoBianchi, ma la scioltezza pittorica dei putti e la visionedel carro del Sole dissolto nella luce spirano un’ariadecisamente barocchetta. La mano dell’anonimo fre-scante è indiscutibilmente quella di Pietro Maggi(circa 1660-ante 1738), che ha lasciato la sua sigla nel-l’ovale appuntito e con lo sguardo reclino della dea,coincidente con quello di Giunone nelle Nozze diErcole ed Ebe della galleria di palazzo Durini e ricor-rente nel repertorio fisionomico dell’artista. Lo siritrova, in particolare, in un gruppo di dipinti databi-li intorno al 1710 – il Sogno di Elena della Quadreriadel duomo di Milano, la Sant’Anna e Maria bambinadella chiesa milanese di Santa Maria del Carmine el’Angelo custode della collegiata di Borgomanero73 – chesi pongono in evidente sintonia stilistica con l’affrescodel Mirabello. Altrettanti, se non maggiori punti dicontatto offrono due notevoli ex pale d’altare, realizza-te probabilmente in anni non distanti, di autore incer-to ma da ascriversi senza dubbio al catalogo dell’arti-sta: l’inedita Madonna col Bambino, San Giuseppe, SanCassiano e Sant’Ignazio di Lojola del santuario dellaMadonna di San Cassiano a Cameri (Novara), con

rispondenze tra la Madonna e l’Aurora oltre che neiputti, e la discussa Immacolata Concezione dellaPinacoteca di Brera74, in cui l’Eterno librato nella lucerichiama singolarmente l’effetto trascolorante dell’ae-rea quadriga di Apollo, un brano che rimedita profi-cuamente l’affresco milanese di Sebastiano Ricci inSan Bernardino alle Ossa (1694). Come tutte questeopere di qualità sostenuta, l’Aurora del Mirabelloesemplifica il passaggio del Maggi dalla robusta manie-ra abbiatesca degli esordi a un lezioso barocchettoaccademizzante di impronta bolognese, debitore delRicci e del Legnanino, che involverà presto in formepiù corsive e farraginose già avvistabili negli affreschidi palazzo Durini. Su queste basi, non dovremmoallontanarci dal vero facendone cadere l’esecuzione nelquinquennio 1710-15.L’incendio che, a detta del Calvi, devastò l’edificionel 1714, e la festa allestita nella villa per le nozze diGiovan Battista Durini con Isabella Archinto, cele-brate il 10 ottobre 171575, rappresenterebbero leoccasioni ideali per un riassetto totale dell’apparta-mento terreno, felicemente completato con l’aggiun-ta della nuova medaglia. Si spiegherebbe così anche ildivario fra lo stato di conservazione dell’Aurora equello degli affreschi contigui, presumibilmente dan-neggiati dalle fiamme, nonché il restauro dellaVenere-Flora in cui sembra riconoscibile proprio lamano del Maggi76. L’integrazione barocchetta andràattribuita all’iniziativa dello sposo Giovan Battista(1685-1734), personaggio mondano, raffinato colle-zionista e attento conoscitore dell’arte contempora-nea, che avrebbe poco dopo affidato allo stessoMaggi l’aggiornamento al nuovo gusto degli internibarocchi di palazzo Durini77.Nella divisione dell’asse ereditario di Giacomo Durinifra i cinque figli maschi, a cui si pervenne dopo vent’an-ni di vacanza nel 1726, la proprietà del Mirabello fudivisa equamente in due metà fra il primogenito GiovanBattista (parte sud) e il cadetto Giuseppe (parte nord),fondatore del ramo secondogenito e padre del noto car-dinale78. Come l’omonimo prozio, Giuseppe II Durini(1687-1757) fu l’unico dei fratelli a seguire la carrieramilitare, fino al grado di capitano di fanteria (1712),morendo poi per una banale caduta da cavallo79. Un belritratto inedito alla moda internazionale lo raffigura inarmatura, in coppia con quello della moglie CostanzaBarbavara (collezione privata) (figg. 28-29), entrambiprovenienti dall’eredità del cardinale e collocati in origi-ne proprio al Mirabello80. Dipinti con un taglio allafrancese e una vistosa influenza di Hyacinthe Rigaud,che ispira anche il trattamento artificioso delle stoffe ric-che di luminescenze, i due anonimi ritratti, situabilidopo le nozze del 1723, possono essere attribuiti alritrattista ticinese attivo per le corti d’Europa CarloFrancesco Rusca (1693-1769), la cui attività milaneseresta ancora da riscoprire81.Nel 1748 Giuseppe rileverà la proprietà dell’interoMirabello, acquistandone la metà rimanente dai nipoti

22. Federico Bianchi (?),Lacerti di figura mitologica;

Giovanni Mariani (?),Prospettiva a lacunari e

rosette, tracciato affiorantesu una vela (post 1671),Mirabello, primo piano,

vano est

Posti su mensole recanti i nomi degli imperatori effi-giati, abrasi a eccezione di “IMP. TIBERIV[S]ROM.”, i busti del Mirabello non sono in realtà ritrat-ti storici ma piuttosto esuberanti interpretazionibarocche dell’antico, un pot-pourri di corazze rinasci-mentali, fibule medievali, chiome e cimieri barocchi,che la perduta pittura a finto bronzo lumeggiato a orodoveva esaltare in una suggestiva chiave antichizzante.È difficile quindi recuperare l’identità dei personaggi,anche se il guerriero giovane con la borgognotta leo-nina (fig. 23) farebbe pensare ad Alessandro Magno,mentre quello paffuto e flaccido (fig. 26) richiamaTiberio Nerone, in apparente accordo con l’iscrizione.Fratture e nasi frantumati non impediscono di coglie-re il talento e la spiccata personalità di quest’ignotoplasticatore lombardo attratto dal Bernini, che misce-la con bizzarro estro barocco elementi colti di prove-nienza romana e tratti di irriverente realismo nella tra-dizione dei Sacri Monti (non senza qualche affinitàcon Dionigi Bussola). Il suo stile si caratterizza per l’e-spressività caricata delle teste e per gli effetti di esa-sperato pittoricismo del modellato, che ha la freschez-za di un bozzetto.L’esame della decorazione seicentesca del Mirabellosegnata dalla personalità del fondatore non può rite-nersi concluso senza un cenno allo scalone d’onore ealla ringhiera del balcone dell’ala sud. In arenaria trafo-rata e scolpita, la sontuosa balaustra dello scalone (vedifig. 23 a pag. 64) è formata da coppie di poderosi gira-li d’acanto culminanti nel fiore centrale e chiusa alleestremità da pilastrini originariamente sormontati dafigure grottesche, una delle quali bifronte (Giano?),trafugate negli anni ottanta e non più recuperate69. Ilvigore plastico e la fluidità di movimento, con cui ètradotto un partito decorativo squisitamente classico,ne denunciano il carattere pienamente barocco. Purmantenendo la peculiarità dell’acanto, lo scalone delMirabello può essere tipologicamente accostato a treesemplari tardobarocchi dall’intreccio vegetale piùsnodato, quelli dei palazzi Landriani a Milano eBelcredi a Pavia, oltre che della villa Ghirlanda Silva aCinisello Balsamo (post 1660)70. Malgrado non siadocumentato nel dossier sulla fabbrica, lo scalone siaggancia quindi stilisticamente agli anni della fonda-zione della villa, e l’accenno alla “scala grande” nellastima delle pitture del Mariani del 167171 sembradarne puntuale conferma.Il medesimo documento ci assicura che a quella dataesisteva già la “ferrata del parapetto del poggiolo chegira intorno la sala”, tinteggiata dallo stesso Mariani.Con la sua perdita, il tratto di ringhiera del ballatoiodell’ala sud verso il giardino (vedi fig. 26 a pag. 67)resta l’unico ferro battuto superstite dell’anticoMirabello. Caratterizzata da un’elegante trina di volu-te e meandri terminanti a ricciolo, che si dilata nellagrande farfalla centrale formata da due girali allacciati,la ringhiera utilizza una fortunata tipologia decorativamodulare di origine certamente barocca, che si incon-

20. Federico Bianchi(restaurato da PietroMaggi?), Venere-Flora ele tre Grazie o Allegoriadella Primavera,Mirabello, pianterreno,sala d’angolo sud-est

21. Federico Bianchi,Saturno e un figlio,Mirabello, pianterreno,sala sud-ovest

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Giacomo e Giuseppe Stefano, figli di Giovan Battista82.Passata così alla linea secondogenita, la residenza è divi-sa nel 1777 tra il cardinal Durini e il fratello Carlo chevi aveva anche operato degli interventi migliorativi; solonel 1784 il cardinale riscatterà per sé l’intera proprietàdel Mirabello83.

Il Mirabello e il Mirabellino del cardinal Durini

Nella fase di transizione fra Arcadia e Illuminismo,Rococò e Neoclassicismo, il Mirabello vive la sua sta-gione più memorabile con il cardinale Angelo MariaDurini (1725-96)84, uomo colto e appassionato dipoesia, impenitente poeta latino affiliato all’Arcadiaromana, dotato di una personalità travolgente e voca-ta al mecenatismo.Nominato cardinale, il Durini rientra in Lombardianell’estate del 1776, ritirandosi a vita privata dopo unabrillante carriera diplomatica trascorsa fra Roma,Parigi, Malta, Varsavia e Avignone. Un inedito ritrattoproveniente dal Mirabello (Gorla Minore, Municipio)(fig. 30) lo rappresenta in occasione della nomina conla porpora cardinalizia, impreziosita dalla croce-gioiel-lo e dal fine pizzo della cotta resi con abilità miniato-ria, e con il volto ancora giovanile quasi sovrapponibi-le a quello inciso nel 1776 da Antonio Capellan per laserie cardinalizia85, che da esso probabilmente deriva.Nel corso dei vent’anni successivi il cardinale divideràil suo tempo tra l’intensissima attività di sostegno evalorizzazione della cultura, la feconda produzionepoetica d’occasione, e le cure prodigate alle residenzedi Mirabello e poi di Balbiano, vissute come proiezio-ne di sé, culle degli otia e teatro della vita letteraria emondana da lui attivata. Nelle “accademie duriniane”del Mirabello, animate dal venerato Parini e dal predi-letto Balestrieri, in testa all’intero gruppo degli ex

Trasformati che trovarono nel Durini un nuovoImbonati, si conversava e si recitava in dialetto mila-nese, in italiano e più volentieri in latino, con l’inten-to di rivitalizzare la cultura classica in controtendenzacon l’Illuminismo. Doveva trattarsi di riunioni piutto-sto informali, accompagnate da banchetti prelibatiinnaffiati dal buon vino delle vigne del Mirabello86, inuna cornice conviviale ben rispondente allo stile di vitadel cardinale ma anche memore dei cosiddetti déjeu-ners savants del re di Polonia Stanislao AugustoPoniatowski87, il cui mecenatismo illuminato dovetteessere di esempio e di stimolo al Durini dagli annidella nunziatura polacca (1766-72).Al suo ritorno, il cardinale rinnova, riarreda e ampliail Mirabello (senza alterarne la fisionomia seicentesca),riplasmando anche il parco circostante, e contempora-neamente innalza sull’altura che lo fronteggia unanuova più piccola villa battezzata il Mirabellino88, arti-colata secondo un analogo ma invertito schema a U ecollegata alla maggiore mediante un prospettico viale.Il “disegno [è] del Sig. Galliori celebre Architetto, ilquale ha saputo eseguire a meraviglia le idee dell’Em.oSig.r cardinale”, come attesta nel 1782 il barnabitaFrancesco Mainoni, confermando il riferimento tradi-zionale a Giulio Galliori89. Il Durini inaugura qui ilsistema delle ville binate collegate nello spazio, diffe-renziate per dimensioni e funzioni – come sarà per ilBalbiano e il “Balbianino” –, secondo una concezio-ne originale elaborata probabilmente sulla traccia diesempi esteri, come il Belvedere superiore e inferioredi Vienna90, ma anche il grande e il piccolo Trianondi Versailles.Le opere del cardinale, enunciate in un’importante epi-grafe oggi scomparsa91, trovano una eco immediata neicomponimenti del Balestrieri e in quelli, rinvenuti inquest’occasione, dell’arcivescovo di Milano GiuseppePozzobonelli92, arcade come lui e sensibile poeta latino,

23, 24, 25, 26. Plasticatorelombardo ultimo quarto sec.XVII, Quattro busti di“imperatori” (ante 1688),terrecotte, Mirabello,sottoportico nord

27. Pietro Maggi, Aurorae il carro del Sole (ca. 1714),

Mirabello, pianterreno,vano est

tettrice (accanto allo scudo Durini), con Pegaso,Mercurio, il Tempo, e sullo sfondo una villa identifi-cabile proprio con il Mirabellino, che consente didatare il dipinto al 1778 circa. Lo stile, già transitanteverso il Neoclassicismo sulla traccia di Martin Knoller,con esilità ed eleganze da miniatura ma capace di un’a-cuta individuazione ritrattistica, ha tratti in comunecon quello del lombardo Paolo Borroni tali forse darendere plausibile una sua candidatura104. L’interessedel dipinto è anche di carattere documentario, perchériproduce la facciata originaria del Mirabellino (fig.33), purtroppo snaturata dal rimaneggiamento otto-centesco. La sua fisionomia trova sostanzialmenteriscontro nel progetto di villa, identificabile appuntocon il Mirabellino, esibito dal cardinale stesso in uninteressante, anche se modesto, ritratto che ci è notosolo in fotografia (già Milano, palazzo Durini)105 (fig.34). Il frontone mistilineo del coronamento centrale,

l’attico ornato da statue e la balconata mediana sonoelementi riscontrabili anche nella facciata documenta-ta dalla nota incisione di Francesco Bellemo del 1808(su disegno di Gaspare Galliari e Jean-Baptiste Bosioper le figure)106 (fig. 4 a pag. 35), ma non l’ampia sca-linata di accesso, l’oculo o il medaglione entro il fron-tone (con l’arma di famiglia?) e soprattutto il portico atre arcate su colonne ioniche, riscoperte nel corso del-l’attuale restauro107.Dunque, negli stessi anni in cui il Piermarini innalzaper gli arciduchi (ospiti abituali del Durini) la vicinavilla Arciducale poi Reale (1777-80)108, prototipodella nuova residenza di campagna neoclassica, il car-dinale opta per lo stile più aggraziato e tradizionaledel barocchetto teresiano, corretto però da un classi-cheggiante richiamo palladiano, meglio adatto a tra-durre l’idea di un raffinato rifugio estivo109 per sé e perpochi intimi, di una “delizia” con funzione evasiva econtemplativa che fosse quasi la materializzazione diun sogno arcadico.

Gli “Uomini illustri” del salone del Mirabello

La decorazione pittorica che il cardinal Durini fa ese-guire nel salone centrale del Mirabello110 ha il valore diun manifesto del pensiero e degli ideali etici e cultura-li del padrone di casa. Il Durini opta per un soggettodi gloriosa tradizione classica e umanistica, gli Uominiillustri, mettendo in scena nel salone d’onore, fulcroarchitettonico e simbolico della residenza e ambientedi rappresentanza sociale per eccellenza, un severopantheon figurato o una galleria dipinta di statue dipersonaggi esemplari del mondo antico e moderno,evocati anche come incitamento alla virtù. Il pantheondel Mirabello è un monumento alla “Cultura” toutcourt, ma soprattutto la celebrazione dei “classici”della letteratura, dell’arte e della scienza, in altre paro-le gli “auctores” che fondavano la cultura del cardinalee che erano conservati in pregiate edizioni nella suafamosa biblioteca collocata nell’ala sud della villa, dalui donata l’ultimo anno di vita con scelta illuminataalla Biblioteca di Brera111.Un’intelaiatura architettonica illusionistica, impostatasu una sequenza di edicole che accolgono i personaggi,riveste l’intero salone, conservando il preesistente meda-glione seicentesco (fig. 35). Le pareti laterali ospitanosedici edicole a timpano triangolare, disposte su dueordini separati dalla balconata mediana e scandite dasemicolonne toscane all’inferiore e da paraste ioniche alsuperiore. Due nicchie a padiglione con busti affiancatida coppie di bassorilievi occupano la parete di fondo.Bucrani, fregi a bassorilievo (totalmente abrasi) e unavolta costolonata a lacunari con rosette, completanol’apparato decorativo del salone, giocato su una sugge-stiva bicromia di verde (il fondo) e di viola (le sculturee il marmo antico delle paraste), impreziosita dal fintooro dei fregi e degli elementi decorativi. È un’architet-

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che risultano determinanti anche per fissare la cronolo-gia dei lavori. Già nell’autunno del 1777, quando com-pone El Mirabell 93, il Balestrieri decanta sia ilMirabellino, “frut del pensà fin,/Del pensà grandios deSoa Eminenza”, che i “noeuv abbelliment” delMirabello, fra i quali “L’arma Durinna” in cima alpalazzo (scomparsa) e “el nomm suj port”, le due affac-ciate sullo scalone con incisa la scritta “ANG. MAR.CARD. DURINI/AN. D. MDCCLXXVI” (vedi fig. 24 a pag.65), anno della nomina cardinalizia ma anche dell’ini-zio dell’impresa. I lavori erano proseguiti con fervorel’anno successivo, come constata il Balestrieri nella pri-mavera del 177894, tanto al Mirabello quanto alMirabellino, che ormai poteva dirsi compiuto anchenei dettagli con la collocazione della “ringhera” sulladistrutta balconata e dell’“iscrizion” affissa sulla faccia-ta. È probabile che quest’ultima coincida con una delledue epigrafi scomparse relative al Mirabellino95 e chefosse incisa nella parte martellata dell’elegante lapideneoclassica con ghirlanda retta da protomi leonine,coerente con lo stile della villetta, oggi nell’atrio delloscalone del Mirabello (fig. 31). Altre epigrafi docu-mentano interventi successivi al Mirabello: la realizza-zione della tribuna dell’oratorio nel 1780, con una deli-ziosa transenna in pietra a losanghe allacciate da rosel-line (lapide sulla controfacciata, l’unica superstite)96

(vedi fig. 28 a pag. 68); la costruzione nel 1781 di unacisterna per l’irrigazione del giardino che convogliava leacque piovane attraverso un sistema di canalizzazione;e perfino la statua di un cane molosso posto a guardiadella dimora nel 179097. La geniale trasformazione della

scuderia del braccio sud in biblioteca è attestata inveceda altre fonti98, mentre non vi è nulla che documentil’unica opera decorativa realizzata dal cardinale alMirabello: l’importante galleria di Uomini illustridipinta nel salone d’onore della villa.La corrispondenza poetica tra il Durini e ilPozzobonelli conferma la cronologia dei lavori avvia-ti nel 1776 al biennio 1777-78. Affascinato dalla bel-lezza del sito e delle due dimore, visitate nella primametà del 1777, l’eminente arcivescovo le celebra inversi99. L’anno successivo il Durini lo invitava, consuccesso, a visitare il Mirabellino appena compiuto100.A suggello dell’amicizia, l’arcivescovo gli lasciava neltestamento del 1783 un pregiatissimo tavolo di pietredure101, che il Durini collocherà, come vedremo, pro-prio nella villetta.I componimenti del Balestrieri e del Pozzobonelli, seb-bene in forme diverse, proiettano il cardinale e le sueville in una dimensione ideale e arcadica, dando origi-ne al mito del Mirabello e del Mirabellino, abitate dalpoeta-mecenate caro ad Apollo e alle Muse102.Emblematico di questo clima di esaltazione poetica,ammirazione sincera e adulazione è un prezioso, pic-colo dipinto inedito raffigurante l’Apoteosi del cardinalDurini in Parnaso (collezione privata)103 (fig. 32), dovel’eroe Durini è glorificato come poeta, ma anche comeprotettore delle arti. L’iconografia, arricchita e perso-nalizzata rispetto ai modelli canonici di Raffaello eMengs (villa Albani, 1760), rappresenta il cardinaleche compone ispirato incoronato da Apollo, in com-pagnia delle nove muse assistite da Minerva loro pro-

138

28. Carlo Francesco Rusca,Ritratto di Giuseppe Durini,conte di Monza e proprietariodel Mirabello (post 1723),collezione privata

29. Carlo Francesco Rusca,Ritratto della moglie contessaCostanza Barbavara Durini(post 1723),collezione privata

30. Pittore lombardo ultimoquarto sec. XVIII, Ritratto di

Angelo Maria Durinicardinale (ca. 1776), Gorla

Minore (Varese), Municipio

141

31. Lapide neoclassicacon iscrizione smantellata(ca. 1777-78)Mirabello, atrio scalone

140

tura stilisticamente coerente con quella del Mirabellinodi Giulio Galliori, ma più ricca di riferimenti all’antico,espressione particolarmente interessante di un insolitoneoclassicismo sperimentale, piuttosto distante da quel-lo canonico allora esordiente a opera del Piermarini.I nomi latinizzati dei diciotto personaggi, dipinti incapitale sul basamento delle singole statue, consento-no di conoscere le identità degli Uomini illustri rap-presentati, ma cinque di essi sono andati perduti, acausa di lacune, abrasioni e dell’apertura di porte incorrispondenza di due figure. I personaggi sono rag-gruppati per professione in serie di quattro su ciascu-na parete, divisi in coppie dalla porta centrale (fig. 36,tavola unica), e se letti da destra a sinistra, risultanoordinati in una sequenza fondamentalmente cronolo-gica. Al pianterreno figurano, a destra, la serie icono-grafica dei classici della letteratura italiana, coronatidi alloro: (da destra) Dante (“DANTES”) e Petrarca(“PETRARCHA”), Boccaccio (“[BO]CATIVS”) e Ariosto(“AREOSTVS”); in fondo, due poeti riscoperti e pub-blicati dal Durini, anch’essi laureati ma rappresentatiin busto: Simon Simonide (“SIMONIDE”) eSigismondo Boldoni (“BOLDONVS”); a sinistra, laserie degli artisti o meglio i classici dell’arte: Leonardo(LEONA A VINTIO”) e Raffaello (“RA[PHAEL]VRBINAS”), artista anonimo e Michelangelo(“MICHELANGELVS”). Al piano balconata, si affaccia-no, a destra: i classici della letteratura greca: due poetianonimi, Aristofane (“ARISTO[ ]”) ed Euripide(“EVR[IP]IDE[S]”); a sinistra, la serie degli scienziati: (dasinistra) anonimo e Galileo (“GALILAEV[S]”), Cartesio(“CARTES”) e anonimo.La pittura a tempera del salone ci è giunta in uno statolarvale, dovuto allo sgretolamento della pellicola che ha

comportato la perdita di buona parte della superficiedipinta. Il delicato intervento di restauro, attuato neglianni 2003-2005, ha recuperato quanto possibile la pit-tura originale e ricucito le lacune, portando la decora-zione a una buona leggibilità globale112. Privata cosìdello strato superficiale, la pittura del salone svela l’usodi un’inconsueta tecnica pittorica: dopo aver sovrappo-sto al bianco di fondo una o più campiture di coloridiversi (il giallo e il viola nelle figure, il verde nelle archi-tetture, il giallo e il marrone negli ori), il pittore ha rica-vato a graffito il disegno, per poi riprenderlo almeno inparte a pennello nella stesura definitiva oggi irrimedia-bilmente perduta. La qualità formale dei personaggi,delineati con tratto imperito e approssimativo, sembramediocre. Il fatto non sorprende quando si constata chesono stati dipinti dalla stessa mano che ha realizzato learchitetture, quella cioè di un uno specialista di pro-spettive, un quadraturista privo di particolari cognizio-ni in fatto di figure. Il valore primario della decorazionerisiede comunque nel tema e nell’iconografia, l’aspettoche più di tutto doveva importare al committente e cheè stato pienamente soddisfatto.L’idea di tramandare le effigi degli “Uomini illustri”,fondata sull’esaltazione del valore dell’individuo, vanta-va una nobile e consolidata tradizione risalente almondo classico, che aveva incontrato straordinaria for-tuna con l’Umanesimo e il Rinascimento. Il modelloconsiderato esemplare era il “Museo gioviano”, la copio-sissima raccolta universale riunita sul lago di Como dal-l’umanista Paolo Giovio nella prima metà delCinquecento113, che fu fatta copiare da Cosimo I deMedici (dal 1552) e da Federico Borromeo (dal 1610),dando origine alle importanti iconoteche degli Uffizi edell’Ambrosiana114. Tutto questo era ben noto al cardi-

32. Pittore lombardo ultimoquarto sec. XVIII, Apoteosi

del cardinal Durini inParnaso (ca. 1778),collezione privata

33. Il Mirabellino(fronte est), Apoteosi del

cardinal Durini in Parnaso,particolare

34. Pittore lombardoultimo quarto sec. XVIII,Ritratto del cardinal Durini

con un progetto di villa(il Mirabellino) (ca. 1776),già Milano, palazzo Durini

143142

re menzionato dal medesimo Pozzobonelli nel suoEruditissimo viro del 1777119. Da qui dovette dunquescaturire l’idea degli Uomini illustri del Mirabello,dove il cardinale riproporrà tale quale la serie degliscienziati e probabilmente anche la coppia dei poetigreci rimasti senza nome.Ogni singola serie offre spunti degni di nota. In quel-la dei letterati greci, il personaggio dall’aspetto piùarcaico, con una lunga capigliatura inanellata e gliocchi dilatati, risponde bene all’iconografia tradiziona-le di Omero120, codificata anche nel Parnaso diRaffaello; mentre il compagno trova un riscontro per-suasivo nella testa di Sofocle disegnata da Rubens sullabase di un marmo antico e incisa da Paul Ponce nel1638121 (fig. 38), in cui va forse riconosciuta la fontediretta della pittura del Mirabello. Quanto adAristofane, è curioso osservare che il ritratto non rap-presenta il personaggio indicato (sempre barbato) mail suo corrispondente romano, Menandro, come dimo-stra il confronto con l’incisione tratta da un bustoantico edita da Charles Paul Landon nel 1807122. Unoscambio comunque comprensibile tra i due campionidella Commedia, l’Antica e la Nuova. Non è senzaimportanza che il cardinale, acuto conoscitore dellaletteratura sia latina che greca, nella silloge delMirabello favorisca la seconda, escludendo la prima.Nell’ambito della letteratura greca egli mostra di privi-legiare l’epica, impersonata dal “padre” Omero, e i duegeneri letterari della drammaturgia classica, la tragediae la commedia, rappresentate rispettivamente dai duemaggiori tragici del periodo attico, Sofocle edEuripide, e da Aristofane.Nella serie degli scienziati, i due anonimi che affianca-no Galileo e Cartesio123 possono recuperare la propriaidentità grazie al riscontro palmare, il primo, con unanonimo ritratto di Nicolò Copernico inciso a Parigi nel-l’avanzato Settecento124 (fig. 39), e il secondo con unritratto di Isaac Newton di Jan van der Bank (1726) inci-so alla maniera nera da John Faber il giovane125.L’introduzione della categoria degli scienziati nella sele-zione del Mirabello è quella che dà il segno dei tempi,ponendosi in sintonia con l’Illuminismo che aveva ria-bilitato dalla condanna di una Chiesa oscurantista ilsistema copernicano eliocentrico, portando in auge l’a-stronomo polacco, insieme a Galileo. Il cardinale nonaderiva a una moda: gli scienziati ritratti erano infattitutti ben rappresentati nella sua biblioteca, che include-va anche un Elogio del Newton (1778) coevo al salonedel Mirabello.Le altre due serie, dei letterati e degli artisti, sono cer-tamente più scontate e tradizionali, ma è interessantenotare come si aggancino ai modelli preesistenti, utiliz-zando sempre fonti prevalentemente incisorie. La seriedei letterati italiani era rappresentata al completo sianel Museo gioviano, che nelle copie federicianedell’Ambrosiana126, ma il pittore del Mirabello se neavvale solo per Dante, desunto chiaramente dalla stam-pa pubblicata dal Giovio negli Elogia (1577), che ripro-

duce l’esemplare gioviano oggi al Museo Civico diComo, e per Boccaccio, ripreso in controparte tramiteun’incisione127. Per Petrarca usa un’altra fonte, forse ilParnaso di Raffaello.Il grande interesse che il cardinale nutriva per l’arte eper gli artisti si riflette nella posizione eminente con-ferita a questa categoria nel pantheon del salone, dovei classici dell’arte fronteggiano quelli della letteratura.Non mancavano precedenti illustri a cui attingere,quali la Galleria degli Uffizi, dotata di uno specificosettore dedicato agli artisti128, e le xilografie realizzateda Cristofano Coriolano per illustrare l’edizione giun-tina delle Vite del Vasari del 1568. A quest’ultimarisultano connessi il ritratto di Michelangelo, oggipoco più che una chiazza informe, presentato con gliattributi delle tre arti maggiori nelle quali eccelse (latavolozza, una testa scolpita e un compasso)129, e quel-lo di Leonardo, che regge la tavolozza e il martello. Ilprofilo dell’artista con la curiosa berretta è trattoinfatti da una delle incisioni derivate dalla xilografiavasariana, a sua volta esemplata su un fortunato pro-totipo non identificato, diverso da quello gioviano130.Per Raffaello è stata invece utilizzata un’incisionedesunta dall’autoritratto della Scuola di Atene 131. Lavisione toscanocentrica del Vasari è ormai superatanella serie del Mirabello, così che accanto alla glorio-sa triade rinascimentale compare anche, e doverosa-mente, il grande Tiziano, riconoscibile grazie al con-fronto con il maturo Autoritratto degli StaatlicheMuseen di Berlino divulgato attraverso copie o inci-sioni, che ne è il prototipo132.La Galleria degli Uomini illustri del salone d’onore èdunque l’eccezionale testimonianza di un precoce revi-val umanistico calato in pieno Illuminismo, legata a unapersonalità di grande spessore culturale come quella delcardinale Durini, che riesce a comporre una sillogeesemplare della cultura occidentale fra antico e moder-no, talmente classica da risultare ancora attuale.

La collezione del cardinal Durini al Mirabelloe al Mirabellino

“Soa Eminenza.../No l’ha mai guardaa a spesa, e chìl’ha unii/I fattur pù scialos di forester.../Gh’è ‘l gustantigh, la bizzarria moderna”. Così il poeta meneghinonel suo El Mirabell (1777), tenendo dietro all’eccelsodistico elegiaco dell’Eruditissimo Viro del Pozzobonelli(1777), che descrive gli arredi e le raffinate suppelletti-li di provenienza straniera del Mirabello, fra cui glistipi inglesi intarsiati d’avorio ed ebano, le applique inbronzo dorato di Parigi, la preziosa porcellana sassone,per non parlare dei dipinti e delle incisioni di testecoronate. Le testimonianze poetiche trovano confermanell’Inventario dei “mobili” del Mirabello steso allamorte del cardinale dal 29 settembre 1796133, fontepreziosa ancorché laconica, che registra tuttavia unacollezione depauperata dei pezzi migliori, trasferiti

nal Durini, che tuttavia per i ritratti del salone utilizzacon discrezione i modelli gioviani.Nel finto pantheon degli Uomini illustri del Mirabelloil cardinale inserisce un elemento personale e distinti-vo, come una sigla. È la presenza inattesa di duedimenticati poeti di lingua latina connessi al mecena-tismo editoriale del Durini: il polacco SzymonSzymonowicz (latinizzato in Simonide) (1558-1629),scoperto in un fondo di biblioteca e pubblicato a suespese a Varsavia nel 1772, e il comasco SigismondoBoldoni (1597-1630), ritrovato e riedito nel 1776(con la Descriptio Larii Lacus di Paolo Giovio) duran-te il soggiorno avignonese115. Dal ritratto del Boldoniinciso dal Veyrier per il libro del Durini (fig. 37),desunto a sua volta dall’acquaforte di Stefano dellaBella per il poema eroico La caduta de’ Longobardi 116, èripreso chiaramente il busto dipinto del poeta coma-sco. Il 1776, l’anno stesso in cui il cardinale rientra inLombardia e avvia i lavori al Mirabello, deve quindi

essere considerato un termine post quem per la data-zione della Galleria degli Uomini illustri, che risulta giàcompiuta nel 1778, quando il Pozzobonelli componeil Somnium nel quale si rintraccia una preziosa men-zione della pittura del salone: “…pictos/Mirari heroas,vatesque sophosque, vetusta/Quos aetas praesensquetulit…”117. Ma vi è di più. Gli Uomini illustri delMirabello si collegano singolarmente a un documentoemerso tra le carte del Durini, che nel novembre del1775 acquista da un mercante tedesco residente aVarsavia un pregiatissimo manufatto di oreficeria inmetallo dorato e cesellato, ornato da medaglioni smal-tati o dipinti in porpora e grigio raffiguranti, non acaso, una serie di ritratti di Uomini illustri. Al centrofiguravano gli scienziati Copernico, Galileo, Cartesio eNewton; ai lati, coppie di poeti antichi e moderni:Omero e Sofocle, Virgilio e Petrarca, Pierre Corneille ePietro Metastasio, Lucrezio ed Epicuro, papa Alessandroe John Milton118. Il pezzo era di tale importanza da esse-

35. Pittore lombardoultimo quarto sec. XVIII,Quadratura architettonicacon la galleria statuariadegli Uomini illustri(ca. 1777-78),Mirabello, salone centrale

145144

incisioni a bulino con ritratti di rinomati personaggidella storia francese recente oggi in collezione privata,bene esemplificati dal potentissimo finanziere SamuelBernard, inciso nel 1729 da Pierre Imbert Drevet da unmagnifico ritratto d’apparato di Hyacinthe Rigaud137

(fig. 41), emblematico dello spirito del grand siècle.Oltre ai francesi, il Durini possedeva una collezione dipiù di cento ritratti d’inglesi illustri138, pur non essendonoto un suo viaggio a Londra. Deve invece annoverarsitra i souvenir del soggiorno polacco il prestigioso volu-me in folio della Recueil d’estampes d’après les plus célèbrestableaux de la Galerie Royale de Dresde (1753), di certoacquistato a Dresda nel settembre del 1772, dove ilDurini sostò sulla via del ritorno in patria139, visitandoevidentemente la celebre collezione dei re di Polonia efacendo incetta delle celebri “porcellane sassoni” dellamanifattura reale di Meissen. Sempre al Mirabello il car-dinale aveva esposto, staccandole dal volume, le tavoleincise con i capolavori di “Classici Autori” e i ritratti deireali di Polonia (collezione privata), gli unici pervenutidi tutta la serie: il virtuoso bulino con il ritratto diFederico Augusto III di Jean-Joseph Baléchou (1749),

desunto dal sontuoso modello del Rigaud dipinto aParigi nel 1715 e tuttora nella Pinacoteca di Dresda (fig.42), e quello di Maria Gioseffa d’Austria di Jean Daullédal ritratto di Louis Silvestre conservato a Versailles(1737)140 (fig. 43).Tra le stampe italiane, un gruppo di incisioni romanetestimonia la passione del cardinale per i classici delRinascimento e l’approdo naturale di questo gusto all’e-purato neoclassicismo canoviano. Ne inaugurano lasequenza i “quattro Trionfi descritti dal Petrarca”, suoautore prediletto, senza dubbio coincidenti con la serieincisa tra il 1748 e il 1750 da Silvestro Pomarede (su dise-gno di Giovanni Antonio Buti) da modelli di Bonifaciode’ Pitati allora ritenuti di Tiziano, ovvero la Morte, laGloria (fig. 44), il Tempo e la Divinità, di cui il Durininon a caso aveva tradotto in latino gli ultimi due141.Seguono le centottantasei “Teste” incise di “Raffaeled’Urbino ed altri Classici Autori”, la Scuola di Atene e laDisputa del Sacramento dalle Stanze Vaticane di Raffaelloincise da Giovanni Volpato (su disegno di GiuseppeCades) nei più recenti anni 1775-84142, e per finire l’inci-sione di Raphael Morghen (su disegno di Stefano

dopo il 1787 a Balbiano nella nuova residenza del car-dinale sul lago di Como.Negli ambienti rinnovati o nuovi del Mirabello e delMirabellino, il cardinale aveva dunque allestito una col-lezione d’arte strettamente legata ai suoi soggiorni este-ri e alle sue passioni culturali, dominata in maniera net-tissima dal tema del ritratto: non solo di uomini celebridel passato e del presente, ma anche di reali o statisti, diparenti e amici, e soprattutto dei poeti e letterati lom-bardi da lui ammirati e protetti. “Quanc retratt da pertutt d’ommen de zimma,/D’ommen i pù famos?”, nota-va il Balestrieri, arrivando a definire il Mirabello “Ontempiett della gloria”.Non mancavano gli antichi maestri ma aveva la megliol’arte contemporanea, rappresentata da una pletora di“carte”, ovvero disegni, pastelli e stampe (“Chì gh’è operfaa a pastell, chì stamp con sù/Quell, che pò fà el bol-lin”), ma soprattutto dai busti, che l’Illuminismo stavariportando in auge e investendo di nuove idealità, pron-tamente accolte dal Durini.Andiamo con ordine. Il “gust antigh” era rappresentatodal prestigioso lotto di quadri del Seicento lombardo

pervenutogli in eredità dalla grande collezione del ramoprimogenito della famiglia, di cui facevano parte, adesempio, il giovanile Ecce Homo dello Zoppo daLugano oggi in collezione privata e i due deliziosi pen-dant ottogonali di Carlo Francesco Nuvolone raffigu-ranti Gesù Bambino e San Giovannino e Due putti involo con ghirlanda di fiori oggi alla Pinacoteca TosioMartinengo di Brescia (fig. 40), che il cardinale avevacollocato nell’oratorio del Mirabello134. Il gruppo eredi-tato era stato notevolmente accresciuto dal Durini,come annota lui stesso, con acquisti effettuati all’asta aMilano e in occasione dei numerosi viaggi all’estero, inOlanda, a Vienna, Parigi e Marsiglia135. Ma ancora unamisteriosa “cassa Quadri” approdava al Mirabello daGenova nel 1778136.Vi era poi il grosso contingente delle stampe, radunateper lo più nella “Galerietta” e ampiamente documenta-te nell’inventario, che può essere ricondotto in granparte ai soggiorni diplomatici del prelato in Francia e inPolonia. Da Parigi in particolare, dove il Durini si eraformato accanto allo zio nunzio di Francia e dove si sen-tiva di casa, proviene senz’altro un gruppo di finissime

36. Pittore lombardo ultimoquarto sec. XVIII, Galleriastatuaria degli Uomini illustri(ca. 1777-78), Mirabello,salone centrale. Da sinistra,in alto, gruppo degliScienziati, parete nord:Niccolò Copernico, GalileoGalilei, Cartesio, IsaacNewton; gruppo dei Poetigreci, piano balconata,parete sud: Euripide,Aristofane, Sofocle, Omero (?);da sinistra, in basso, gruppodegli Artisti, parete nord:Michelangelo, Tiziano,Raffaello, Leonardo; coppiadei Poeti editi dal cardinalDurini, parete est:Sigismondo Boldoni,Simonide; gruppo dei Poetiitaliani, pianterreno, paretesud: Ariosto, Boccaccio,Petrarca, Dante

147146

posticipata rispetto ai ritratti riferibili al 1776 (figg. 30,34) sembra trovare conferma nel volto più appesantitodel cardinale, che si rapporta in maniera stringente alritratto delle Civiche Raccolte di Monza (vedi fig.occhiello di sezione), anch’esso collocato al Mirabello149.È questo forse il miglior ritratto del Cardinal Durini fraquelli pervenuti, capace di rendere con qualche effica-cia, nonostante il minimalismo dei mezzi pittorici, lapersonalità carismatica del personaggio, e insieme la suacarica umana. L’anonimo autore, quasi certamente lostesso del ritratto della madre del cardinale (fig. 45),sembra guardare con attenzione al noto ritratto diDomenico Balestrieri di Antonio Perego (Pavia, colle-zione privata) (fig. 48).Il ritratto del Balestrieri è il cuore di una rete di riferi-menti letterari e affettivi che lega il poeta al suo pro-tettore nella cornice ideale del Mirabello, dov’era col-locato150. Il Balestrieri è raffigurato nell’atto di com-porre il sonetto Trovandem al Mirabell, con accanto iprimi due tomi delle Rime toscane e milanesi dedicati alDurini (1774 e 1776), presenti anche nel ritrattomonzese del cardinale, e i tre della GerusalemmeLiberata travestita in lingua milanese (1772), che il

medesimo Durini aveva donato a papa ClementeXIV151. Il dipinto è menzionato ancora in fieri dalpoeta nel suo El Mirabell, composto con il sonetto nel-l’autunno del 1777 (Rime toscane, e milanesi, 1778,IV). Al ritratto dell’amico rimpianto il cardinale dedi-cherà versi toccanti nella sua raccolta in morte delBalestrieri (1780), svelando il nome del pittore152. Lascelta di Antonio Perego (notizie dal 1766 al 1790) perun ritratto del Balestrieri appare quasi scontata, anzipoteva averla suggerita il poeta stesso, perché il pittoreera stato adottato come ritrattista ufficiale dalla cer-chia intellettuale della Milano illuminista (sua è lanota Accademia dei Pugni del 1766)153. Ai suoi com-mittenti doveva essere gradito uno stile che coniugavail naturalismo del Ceruti con un moderno disincantodi gusto internazionale, fino a esiti di stilizzazione.Così nel Balestrieri, dove però la buffa figura fisica delpoeta, con gli occhi volpini affondati nella pinguedine,attinge una dignità morale capace di testimoniare l’in-telligenza e l’impegno di una generazione.Lo scambio di cortesie tra il poeta e il suo mecenateera cominciato qualche anno prima. Come ci informail Balestrieri nel componimento All’istess che ha desi-deraa el mè retratt, lui stesso gli aveva donato nel 1774un disegno destinato al Mirabello “Faa, quand gh’evaintenzion da stampà in quart/La raccolta di lacremsora on Gatt”, da riconoscersi nel ritratto del giovaneBalestrieri con il gatto morto disegnato da FerdinandoPorta e inciso da Gaetano Bianchi per la nota raccol-ta poetica del 1741 attualmente conservato allaBiblioteca Ambrosiana154.L’aspetto più “illuminato” della raccolta mirabellianaera il mitico pantheon del cardinale, la collezione dibusti di glorie passate ma soprattutto viventi, andatatotalmente dispersa e così difficile a ricostruirsi su basiscientifiche. Un racconto misterioso si è rivelato unachiave preziosa per penetrare nella sala dei busti dellavilla con gli occhi di un testimone e assistere dal vivo alsuo farsi. Si tratta del Somnium sive dialogus statuarum(1784) del gesuita Guido Ferrario155, insigne latinistaed epigrafista protetto dal cardinale, che trae occasioneda una visita dell’autore nel 1782 alla “villulam... ele-gantiarum sedem” di Attico, dietro il quale si nascondeevidentemente il Durini. Questi, a sua insaputa, ne fafoggiare in argilla il ritratto da un “Plastes egregius”, dicui si tace il nome, collocandolo poi in un’amplissima“aula” o galleria, da lui aggiunta alla dimora, accanto aibusti di Alessandro Magno (in alabastro), Balestrieri,Metastasio e Mecenate, nel quale il Durini si identifica-va156. Il riferimento alla galleria statuaria del cardinalDurini è trasparente, e la coincidenza della piccola villacon il Mirabellino, dove scopriamo collocato ilpantheon che immaginavamo al Mirabello – situato nelbraccio sud contrapposto a quello nord della cappella,quasi un tempio laico e uno sacro157 – troverà fra breveprecise conferme.Il nome del misterioso “Plastes egregius” ci è rivelato dalDurini stesso in un epigramma inedito, steso di getto al

37. F. Veyrier, Ritrattodi Sigismondo Boldoni,controfrontespizio del Lariuspubblicato dal Duriniad Avignone nel 1776

38. Paul Ponce, su disegnodi Pieter Paul Rubens,Busto di Sofocle, da unmarmo antico (1638),bulino, Milano,Civica Raccoltadelle Stampe Bertarelli

39. Incisore francesce secondametà sec. XVIII, Ritrattodi Niccolò Copernico, bulino,Milano, Civica Raccoltadelle Stampe Bertarelli

Tofanelli) del Monumento funebre a Clemente XIII in SanPietro del Canova (inaugurato il 6 aprile 1792), che ilDurini ricevette da Roma direttamente dal committente,il senatore Abbondio Rezzonico nipote del papa, e cheispirò il suo libretto di versi a elogio del capolavoro e delloscultore, paragonato a Fidia e a Michelangelo143.Con il rientro definitivo in Lombardia, il cardinale ral-lenta l’attività collezionistica per dedicarsi a quellamecenatizia, divenendo committente di opere d’arte esoprattutto di ritratti, su tela e più volentieri in busto.Il salone degli Uomini illustri, illuminato da un grandelampadario in cristallo di trenta braccia, ospitava consorpresa i busti in gesso del mecenate Principe AlbericoXII Barbiano di Belgioioso, legato al governo austriaco ein rapporto col Durini, con la moglie Anna Ricciardad’Este, il fratello Conte Ludovico e la figlia BarbaraLitta 144. Fra i ritratti di parenti che tappezzavano unastanza del pianterreno, confluiti ai discendenti e da essirecentemente donati al Comune di Gorla Minore145,c’era anche il gustoso ritratto dell’anziana CostanzaBarbavara, che mostra orgogliosamente una miniaturacon l’effigie del figlio porporato146 (fig. 45), databile inprossimità della nomina cardinalizia del 1776. Non

priva di qualità, anche se rigida e descrittiva, l’opera nonignora il coevo modello della Francesca MandelliArconati Visconti di Pietro Paolo Pessina (Milano, Ca’Granda), ma nelle ombre nette del volto e nel caratteregeometrizzante del panneggio si avvicina meglio alPozzobonelli del malnoto Giacomo Antonio Bergomi(ivi), forse una traccia attributiva da approfondire147.Nello stesso ambiente figurava inoltre una coppia dibusti in terracotta della stessa Barbavara e del figlio car-dinale (figg. 46-47), già precedentemente pervenuta alComune di Gorla con altri due busti della medesimaserie148. Un naturalismo schietto e sintetico (con nota-zioni realistiche come le vene a fior di pelle), il vivacepittoricismo del ritratto femminile e una resa quasiistantanea dei soggetti caratterizzano questi busti, nonancora toccati dalla svolta neoclassica. Sono opera di unignoto plasticatore su cui torneremo, di livello noneccelso ma capace di estrarre con forza il carattere delpersonaggio. Il busto dell’anziana contessa è esemplatosul modello del ritratto a olio, ricalcato anche nei detta-gli dell’acconciatura: da qui il sospetto che sia operapostuma, commissionata dal cardinale in ricordo dellamadre scomparsa nel febbraio del 1779. Una datazione

40. Carlo FrancescoNuvolone, Due putti in

volo con ghirlanda di fiori,Brescia, PinacotecaTosio Martinengo

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Franchi (1731-1806), in un busto in marmo di Carraradestinato al Mirabellino e inviato il 4 luglio 1783 al car-dinale, che lo ringraziava in versi latini163. Del marmo sisono perse le tracce, mentre il modello in gesso, che ilVerri dovette tenere per sé, va identificato senza dubbiocon quello documentato nella villa Verri di Ornago dauna fotografia del 1913164 (fig. 49). In questo bustoeccellente, dove l’ideale neoclassico sposa quello delRinascimento toscano, il Verri è rappresentato in vestedi antico filosofo, secondo i nuovi canoni estetici che ilFranchi imponeva allora a Milano dalla cattedra di scul-tura dell’Accademia di Brera, con il sostegno del gover-no, del Verri e del Parini165

Il rapporto tra il Verri e il Durini sembra suggellato da uninedito, bellissimo disegno attribuito a Martin Knoller,conservato nel fondo Durini del Gabinetto dei Disegnidel Castello Sforzesco di Milano (fig. 50), che ritrae ilVerri in chiave più umana, registrando, increspato dallamalinconia, l’orgoglio dell’intellettuale, insignito nelnovembre del 1783 della croce di cavaliere di SantoStefano d’Ungheria, appuntata sulla marsina, dopo averdato alle stampe il primo tomo della sua Storia di Milano,inviato al Durini (forse il libro appoggiato sul tavolino)166.Nel foglio, che miscela al naturalismo lombardo un deli-

cato idealismo alla Batoni e il rigore classicista delloKnoller, mitigati da una stesura vaporosa di improntarococò sensibile ai valori di luce e atmosfera, va ricono-sciuto con ogni probabilità lo studio preparatorio per unimportante ritratto anonimo già in collezione SormaniAndreani noto solo da una riproduzione fotografica, dovel’effigiato, con vistosa variante rispetto al disegno, mostraproprio il volume della Storia di Milano con il dorso inevidenza167, convalidando per entrambe le opere una data-zione al termine del 1783. Il dipinto, informato a unavisione più obiettiva sintonizzata sul modello ritrattisticoparmense di Baldrighi e Ferrari, si conferma a pieno tito-lo, almeno a giudicare dalla fotografia, della mano del pit-tore prediletto dei Verri, Francesco Corneliani (1742circa-1814), a cui è stato riferito in modo non concorde,sulla base dei persuasivi riscontri con il ritratto del padreGabriele Verri del 1782 (Lurago d’Erba, villa SormaniAndreani Verri) e con quello di Giulio Beccaria del 1789(Milano, Museo Manzoniano). La paternità dell’oliolegittima quindi l’assegnazione del disegno, stilisticamen-te plausibile, al Corneliani, di cui costituirebbe l’unicatestimonianza grafica allo stato attuale delle conoscenze.Il Verri era un acuto conoscitore anche in fatto di scul-tura e pittura, mentre il Durini non sembra partico-

41. Pierre Imbert Drevet,da Hyacinthe Rigaud(1725-26), Ritratto diSamuel Bernard, finanzieree consigliere di Stato (1729),bulino, collezione privata

42. Jean-Joseph Baléchou,da Hyacinthe Rigaud(1715), Ritratto diFederico-Augusto III, elettoredi Sassonia e re di Polonia(1749), bulino,collezione privata

43. Jean Daullé, da LouisSilvestre le Jeune (1737),Ritratto della moglie MariaGioseffa d’Austria, reginadi Polonia (ca. 1749),bulino, collezione privata

Mirabellino, dedicato allo scultore e al busto: Ad PlastenD. Pantanellium 158. Si tratta di Sebastiano Pantanelli (?-1792), uno scultore pesarese quasi oscuro, formatosi aRoma e attivo in patria e a Modena, di cui non era fino-ra sospettabile un’attività lombarda159. Dagli elogi entu-siastici del Ferrari e del Durini si direbbe che ilPantanelli fosse lo scultore prediletto del cardinale, dalquale dovrebbe aver ricevuto più di un incarico. La scar-sa conoscenza dell’artista offre un ventaglio di confron-ti limitato, ma dalle mie indagini risulta praticabile l’i-potesi di una sua paternità per i quattro busti in terra-cotta di Gorla (figg. 46-47), una traccia importante perl’individuazione di altre opere.Nel 1783 si aggiungevano i busti di Giuseppe Parini ePietro Verri, e nel 1784 quello di un politico esemplare,il presidente del Senato marchese Giovanni CorradoOlivera 160. Il busto del Parini, ancora da identificare,venne posto dal cardinale sopra la preziosa mensa aintarsio o mosaico marmoreo a lui legata dalPozzobonelli, collocata proprio al centro della galleriadel Mirabellino, con una lunga epigrafe dedicatoriadatata 18 luglio 1783 e rimasta fra le carte inedite delDurini161. Quanto al Verri, malgrado il suo radicalismoilluminista vicino alle idee dei philosophes che il Duriniaveva sempre osteggiato, il cardinale gli riservò un postod’onore nel suo pantheon dei grandi contemporanei.Dalla corrispondenza Verri-Durini edita e inedita162

risulta infatti che lo storico, su richiesta del Durini, siera fatto ritrarre dal suo scultore preferito, Giuseppe

44. Silvestro Pomarede,su disegno di Giovanni

Antonio Buti, da BonifacioVeronese, Trionfo della Fama

(1750), bulino, Milano,Civica Raccolta

delle Stampe Bertarelli

151150

st’ultimo alla nipote nel 1795, il Durini allestirà in unasala terrena del Mirabello un piccolo pantheon, piùfamiliare e omogeneo, formato da sette busti in terracot-ta dei Lumi lombardi contemporanei172. Oltre ai giàincontrati Balestrieri e Ferrari, vi figuravano un secondobusto del Parini 173, il poeta satirico milanese Gian CarloPasseroni, il filosofo sensualista Carlo Castone della Torredi Rezzonico, segretario dell’Accademia di Belle Arti diParma, l’erudito gesuita Gerolamo Tiraboschi, direttoredella Biblioteca Estense di Modena e autore della prima

Storia della letteratura italiana, lo scienziato barnabitamilanese Paolo Frisi. L’intera serie è oggi dispersa, manon escludo che il Parini possa essere identificato con unanonimo busto in creta del poeta (collezione privata)174,che ricorda anche nel dettaglio della vena pulsante sullatempia lo stile efficace e sintetico del ritratto del CardinalDurini di Gorla (fig. 47), opera riferibile, a mio giudizio,a Sebastiano Pantanelli: l’attribuzione dovrebbe quindiinvestire anche il Parini. La personalità dello scultores’impone, malgrado il busto sia chiaramente ispirato a

45. Pittore lombardo ultimoquarto sec. XVIII, Ritrattodella contessa CostanzaBarbavara Durini con unaminiatura del figlio cardinale(ca. 1776), Gorla Minore(Varese), Municipio

46. Sebastiano Pantanelli (?),Busto della contessaCostanza Barbavara Durini(ca. 1778-80),terracotta dipinta(in fase di pulitura), GorlaMinore (Varese), Municipio

47. Sebastiano Pantanelli (?),Busto del cardinale AngeloMaria Durini (ca. 1778-80),terracotta dipinta, GorlaMinore (Varese), Municipio

larmente esigente sotto questo profilo, mostrandosianzi disposto ad accogliere i suggerimenti o le sceltedei suoi protetti. Così, dopo il Perego e il Franchi,lavora per il mecenate anche il pittore preferito delVerri, Francesco Corneliani, che per il suo mélange diclassicismo e sensualità barocchetta doveva piaceremolto al cardinale. Si apprende infatti da una testimo-nianza coeva che “il Corneliani [travagliò] specialmen-te pel Card. Durini, che molto impiegollo ad abbellirela propria villa detta il Mirabello”, notizia convalidatada un foglio volante su cui è annotato un esborso dilire 600 a favore del “Corneliani Pit(tor)”, senza ulte-riori indicazioni168. Nella villa del pittore non vi è trac-cia, ma tra le rime manoscritte dell’accademia degliAffidati di Pavia è affiorata un’inedita elegia latina diCesare Bernago, dal titolo Il Mirabello del CardinaleDurini: di cui prendesi a descrivere l’amena situazione, ele rare pitture in esso contenute”169. Vi si descrive informe poeticamente indeterminate un ciclo di “tabel-lae” con soggetti allegorici rievocanti la figura diVenere, ragionevolmente collegabili al Corneliani,tanto più che l’artista era rinomato per le sue allegoriemoraleggianti di difficile decifrazione che nel caso delMirabello dovremmo immaginare ideate dal mecenate.Il Durini veniva ammesso, per meriti letterari, nellaprestigiosa accademia degli Affidati di Pavia il primogennaio 1788170, data da considerarsi un punto di rife-rimento per la cronologia dell’elegia del Bernago, equindi del ciclo pittorico del Corneliani. Esattamentequell’anno i deputati del duomo di Monza commis-sionavano al pittore la pala per la cappella diSant’Antonio Abate171, incarico dietro al quale si indo-vina un suggerimento del Durini, che in tal modo

avrebbe proseguito l’antica tradizione di advisor dellafamiglia feudataria di Monza.Ma torniamo al pantheon del cardinale. Approntata unanuova galleria lapidaria a Balbiano nel 1790, trasferen-dovi i busti più pregiati del Mirabellino, e donato que-

48. Antonio Perego,Ritratto del poeta Domenico

Balestrieri (1777-78),Pavia, collezione privata

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49. Giuseppe Franchi,Busto di Pietro Verri (1783),gesso, già Ornago, villa Verri

50. Francesco Corneliani (?),Ritratto di Pietro Verri(1783), disegno a pennaacquerellato, Milano,Civico Gabinettodei Disegni delCastello Sforzesco

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distinte della storia dell’edificio. Alla fase più antica, senon originaria, deve appartenere l’elegante decorazio-ne a monocromo su fondo azzurro nella stanza norddel corpo centrale della villa (fig. 52), ormai pallidissi-ma, imperniata sui motivi squisitamente neoclassici,repertoriati da Giocondo Albertolli nel 1787, dellaverga con un intreccio di pampini e uva alternata aquella con due serpenti affrontati (il caduceo diMercurio). L’ariosità dell’impaginato e la sensibilitàdella condotta pittorica fanno pensare a una realizza-zione nella cerchia del maestro entro lo scorcio delSettecento: dunque una commissione risalente al car-dinal Durini, ormai convertito al nuovo stile domi-nante nei più complessi ornati a stucco dell’Albertollistesso nella villa Arciducale, o tutt’al più alla nipoteCostanza, che detenne la villa fra il 1795 e il 1806.La decorazione monocroma in grigio e blu dell’adia-cente salone a tre campate voltate a crociera, ricavatodalla chiusura dell’originario portico precedente il1806182, a cui si associa stilisticamente quella in verdedella contigua stanza sud, esibisce un repertorioarcheologico di “cammei” con centauri e putti, ciascu-no con una diversa arma da caccia, cariatidi, girali epalmette, sfingi, caratteristico dello stile Impero, anchenelle forme stilizzate e bidimensionali con cui è appli-cato. La lunga durata della moda Impero ravvivata dairevival pompeiani del quarto-quinto decenniodell’Ottocento183, il sentore neogotico dell’impagina-zione e dei grifoni affrontati dei lunettoni e il tema

della caccia farebbero propendere per un momentoforse coincidente con la riforma tardo-neoclassica del-l’architettura dell’edificio184. Le decorazioni appaionotuttavia integralmente ridipinte da modesta mano inepoca abbastanza recente185, e questo penalizza il giudi-zio critico.La documentazione d’archivio pervenutaci sui lavoricompiuti nella villa sotto gli austriaci, per quantolacunosa, contiene un interessante dossier circa ilrestauro e la decorazione pittorica del “salone dellecacce” nell’ala sud186 (l’ex galleria dei busti del cardi-nal Durini), oggi invisibile. Fra l’autunno del 1831 ela primavera successiva il capomastro e appaltatore deilavori Pietro Crivelli, su progetto del Tazzini, esegue ilrifacimento del tetto, la ricostruzione del soffitto informa di volta arcuata e la nuova intonacatura dellepareti per ospitare una pittura, realizzata nell’estatedel 1832, con “colori minerali ed impastati a calce”duraturi e inalterabili, dal malnoto paesaggistaGiuseppe Clerici187 e dall’oscuro Luigi Crivelli per leparti di ornato (“fiori, verdure nonché l’intelleraturache racchiude il dipinto a Paesaggio”). Il bozzetto,presentato il primo luglio 1831 dal meglio noto spe-cialista di paesaggi Lorenzo Macchi188, prevedeva unavolta “a cielo aperto” con “volatili diversi” e paretipercorse da un pergolato (“Berceau”) che introduceva“dei Paesaggi da dipingersi dal vero e da prendersi neicontorni del R. Parco”, con parapetto ornato “a ver-dure ed a fiori diversi pure da studiarsi dal vero”. IlClerici preparò studi dal vero presi non dal parco ma“dalle migliori situazioni della Lombardia”, secondo lavolontà dello stesso arciduca Ranieri (dispaccio vice-reale del 17 luglio 1831), al quale furono sottopostiper l’approvazione.L’aspetto attuale del salone, coperto da un basso con-trosoffitto piano, è quello di una squallida rimessa, maun restauro mirato avrebbe buone probabilità di ripor-tare alla luce la decorazione documentata, che siannuncia particolarmente felice se analoga al terzo epi-sodio pittorico preservato in una piccola stanza nell’a-diacente blocco sud della villa (fig. 53). Virata su unabicromia di rosa e verde-azzurro, questa decorazioneapre la volta su un cielo percorso da un esile pergolatoe bordato da una fascia vegetale, scandita da grandicespugli di fiori e animata da variopinti pappagallini euccelletti esotici. La precisione disegnativa e la perspi-cuità pittorica della florida natura morta, verosimil-mente studiata dal vero, si leggono bene nell’ottica delBiedermeier189, ma gli effetti di stilizzazione e bidimen-sionalità cromatica del giardino del Mirabellino sem-brano incomprensibili senza una suggestione dell’artegiapponese. La pittura trova un confronto significativoin un soffitto della non lontana villa Giulini CasatiStampa di Soncino ad Arcore (Vimercate)190, attribuibi-le probabilmente allo stesso abile decoratore, forse ilpaesaggista Giuseppe Clerici (o l’ornatista LuigiCrivelli) intervenuto qui in un momento verosimil-mente contiguo a quello del salone delle cacce.

51. Giacomo Frey, daGiuseppe Franchi (1791),Busto di Giuseppe Parini(1791), bulino, Milano,

Civica Raccoltadelle Stampe Bertarelli

quello marmoreo nel portico di Brera, donato dalFranchi al poeta nel 1791 e inciso da Giacomo Frey conuna dedica al cardinal Durini “novo maecenati”175 (fig.51). Ed è sempre, non a caso, nel 1791 che il Parini con-segna ai posteri la figura esemplare del Durini mecenatecon l’ode bellissima La gratitudine 176. Qui, in un passag-gio vibrato, il poeta evoca il privato pantheon del cardi-nale creato tra le mura del Mirabellino, assegnandogli ilsignificato etico-civile più alto in polemica con l’indiffe-renza delle pubbliche istituzioni: “Ecco ne’ segni scul-ti/Quei che del nome lor la patria ornaro /…E quelleglorie a la città rivela,/Ch’ella a sè stessa ingiurïosa cela”.

Decorazioni ottocentesche

Il cardinale si spegneva nella primavera del 1796, pocoprima che l’occupazione napoleonica cancellasse il suovecchio mondo con un colpo di spugna. L’anno prece-dente, il 7 luglio 1795, aveva donato il Mirabellino,con “tutti li mobili”, alla nipote Costanza Durini e almarito Giuseppe Trivulzio, mentre il Mirabello, tocca-to in sorte nel 1802 al nipote Giacomo Durini, venivaacquistato nel 1804 dal conte Carlo Vimercati diSanseverino177. Nel 1806 le due residenze venivanoinglobate nel napoleonico Regio Parco di Monza perordine del vicerè d’Italia Eugenio di Beauharnais, ederano quindi rilevate dal Demanio178. Sotto i francesi,fra il 1807 e il 1813 il Mirabellino, a differenza delMirabello degradato a magazzino di cereali e attrezziagricoli, vivrà una nuova stagione d’oro, divenendo ladimora privata della coppia vicereale, dopo che ilBeauharnais ne fece dono alla giovane sposa AugustaAmalia di Baviera, ribattezzandolo quindi “VillaAugusta” come già nella stampa del 1808179 (vedi fig. 7a pag. 99).Con il ritorno del governo austriaco subentrato anchenell’amministrazione del parco di Monza (1814-59) el’insediamento in villa Reale del viceré del RegnoLombardo-Veneto, l’arciduca Ranieri, le due ville riac-quistarono una precisa funzione d’uso: il Mirabello fudestinato a residenza di campagna per funzionari gover-nativi (negli anni 1833-37 ospitò anche il marescialloRadetsky)180, mentre il Mirabellino fu usato come casi-no di caccia abitato da un “capitano delle cacce” e vil-leggiatura estiva della corte stessa. In quest’ottica le dueville vennero restaurate e parzialmente modificate informe neoclassiche negli anni trenta per opera dell’ar-chitetto Giacomo Tazzini, soprintendente delleFabbriche di Corte. Il Mirabellino sarà poi gravementedanneggiato nel Novecento da una ristrutturazioneeffettuata negli anni trenta per farne la sede della colo-nia elioterapica “Arnaldo Mussolini” del parco.Delle tante statue che ornavano la dimora del cardina-le, dei marmi della cappella dedicata all’AngeloCustode suo protettore181, degli arredi, oggi nulla èrimasto. In compenso sussistono ancora alcune signifi-cative testimonianza pittoriche, riconducibili a fasi

155

54. Decorazione neoclassica(ca. 1830), particolare,Mirabello, pianterreno,

sala d’angolo sud-est

55. Decorazione Imperoa vasi antichi, secondo

quarto sec. XIX, Mirabello,pianterreno, sala sud

56. Luigi Scrosati(e bottega?), Decorazione

eclettica (1854), Mirabello,primo piano, sala sud-ovest

57. Luigi Scrosati(e bottega?), Decorazione

eclettica (1854),Mirabello, primo piano,

sala d’angolo sud-est

154

schierando contro un cielo che ha perduto l’azzurro ori-ginario una natura morta di vasi antichi affiancati dacespugli di fiori. All’anfora attica o al cratere rosso-neroche dominano le singole composizioni si uniscono vasidi varia tipologia, spesso colorati e con decori in oro,che richiamano piuttosto il raffinato vasellame neoclas-sico e Impero ispirato all’antico. Proprio lo scarso rigo-re filologico, coniugato all’ambientazione naturalistica,sembra fare delle nature morte di soggetto squisitamen-te neoclassico del Mirabello un caso di romantico revi-val archeologico.I due importanti interventi pittorici ottocenteschi suicontrosoffitti della prima e della terza stanza del pianonobile (figg. 56-57) – tali da snaturarne violentementela fisionomia seicentesca, senza tuttavia distruggerla, eoggi, come si è visto, deturpati da squarci e crolli – risul-tano messi in atto nel 1854, nel contesto di un piano diriqualificazione e rinnovamento degli interni delMirabello. Vanno infatti collegati a una pratica di quel-l’anno relativa alla “ricostruzione dei plafoni a cannettenell’Appartamento nobile del R. Palazzo di Mirabello”,“colle relative dipinture da estendersi anche alle pareti didiverse stanze”192. Si tratta di due trompe-l’oeil a tempe-

ra, di notevole impatto scenico e raffinata gamma cro-matica, emblematici del nuovo stile eclettico sollecitatodallo storicismo romantico, che proprio nella primametà degli anni cinquanta il geniale decoratore d’inter-ni Luigi Scrosati (1815-69) andava imponendo nelleresidenze milanesi e lombarde193. E all’artista stessorimanda, oltre ai caratteristici bouquet di fiori colorati eun po’ sfatti, il fantasioso pastiche di ispirazione neogo-tica della prima stanza, con il centrale motivo morescoe i medaglioni dalle cornici cuneiformi, del tutto similia quelle della sala di lettura della villa Amalia a Erba(ante 1853). Un ulteriore richiamo è nell’illusionisticaprospettiva neobarocchetta della stanza d’angolo culmi-nante nell’azzardo di una cupola a padiglione aperta sulcielo tramite un diaframma a ragnatela, che trova unsorprendente parallelo nella galleria d’ingresso della villaCusani Tittoni a Desio, parte di un variegato comples-so ornamentale riferito al genere dello Scrosati ma forseproprio suo194. Per le volte del Mirabello, ineccepibilianche nell’esecuzione benché non ai vertici spessoriscontrabili nella produzione dell’artista milanese, sipuò quindi proporre la paternità dello Scrosati, con undubitativo intervento della bottega.

La casa d’Austria ha lasciato tracce importanti del suopassaggio anche in alcuni ambienti del Mirabello. Dueinterventi, non invasivi, integrano l’apparato decorativodel pianterreno con pitture ornamentali stese sulle voltedella grande stanza d’angolo di Venere e di quella diMercurio. La prima, felicemente recuperata dal recenterestauro con il sacrificio di una successiva ornamenta-zione eclettica (1997)191, è una ricca ed elegante decora-zione neoclassica dipinta a monocromo su fondo giallocanarino a imitazione dello stucco (fig. 54). Una tramadi girali d’acanto si organizza attorno ai tondi con amo-rini musici delle lunette, ciascuno con un diverso stru-mento musicale, e alle ricche candelabre vegetali che

coprono le velette e i pennacchi della volta sopra il cor-nicione. È un partito decorativo codificato e divulgatodai repertori della scuola d’ornato dell’Albertolli a par-tire dagli anni Ottanta del Settecento fino al 1840 circa,in forme via via più irrigidite per influenza del gustoImpero. Il decoro del Mirabello è più prossimo alle for-mulazioni degli anni Venti dell’Ottocento, bene esem-plificate dagli interni della Biblioteca Braidense diGaetano Vaccani. L’intervento deve quindi connettersial rimaneggiamento neoclassico della facciata, compiu-to verso il 1830. A qualche tempo dopo dovrebbe risa-lire la decorazione della stanza di Mercurio (fig. 55),che copre le quattro vele di contorno al medaglione

52. Cerchia di GiocondoAlbertolli, Decorazioneneoclassica, fine sec. XVIII,particolare, Mirabellino,pianterreno, corpo centrale,sala nord

53. Pittore lombardosecondo quarto sec. XIX(Giuseppe Clerici o LuigiCrivelli ?), Decorazione agiardino (ca. 1832-35),Mirabellino, pianterreno,saletta corpo sud

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11 Nobile 1978-1979, pp. 79-112; Langé, Süss 1987, pp. 77, 124, 168nota 45, pp. 144, 217 n. 77, figg. 126-128, 170 (con i progettidell’Amati).12 Langé, Süss 1987, pp. 124, 168 nota 44, p. 216 n. 66, figg. 143-145,222 (progetti dell’Amati). Caratterizzata da un’aggettante “rotonda”cilindrica merlata, a ricordo di “un precedente castello” da identificar-si con quello visconteo, demolito giusto nel 1814, per la coincidenzasia del sito che dei proprietari. Lo conferma una guida ottocentesca,dove si afferma che sulle vestigia delle mura del castello “si erge il palaz-zo degli illustri Conti Durini” (Antichità e siti…, 1838, p. 35). Non èfacile riconoscere le linee neoclassiche della villa nell’edificio ecletticodelle telerie Frette, costruito alla fine dell’Ottocento e sistemato nel1911 (Profumo 2002, p. 431), affiancato da due torri cilindriche chericordano la “rotonda” dell’Amati e il preesistente castello.13 ASMi, Fondo Religione, p.a., cart. 2566; Venturelli 1992, pp. 58-60.L’ostensorio (alto 67 cm) era stato supposto milanese ma datato allaseconda metà del sec. XVIII (Sambonet 1989, pp. 74-93, fig. 118).14 Per i numerosi e pregiati doni e legati con cui beneficò le chiese diMonza e per il sepolcro, vedi Geddo 2000-2001, I, pp. 34-35, 156 n.5, p. 163 doc. 8 (con dettagliato regesto del testamento del 30 luglio1694: ASMi, Fondo Notarile, notaio Giuseppe Lecchi, filza 33944).15 Frisi 1794, III, p. 243 nota 16: “Nel mezzo di questa vasta Cappellatrovasi il Sepolcro degli Ecc.mi Conti Durini Regii Feudatari di Monzae sua corte, col seguente Epitafio: “CAROLVS FRANCISCVS DVRINVS/EX

COMITIBVS MODOETIAE/VIR PROFVSA IN PAVPERES/AC PEREGRINOS CHA-RITATE/ERGA BASILICAM HANC INSIGNEM/ATQUE ALIA/CELEBERRIMI

ISTIVS OPPIDI/TEMPLA/LARGE MVNIFICVS/SIBI ET COMITIBVS FEVDATA-RIIS/CONSANGVINEIS SVIS/SEDEM HANC PLACIDAE QVIE-TIS/COLLOCAVIT/DONEC ILLVM NOVISSIMAE TVBAE/CANTVS EXCI-TET/DECESSIT OCTAVO IDVS NOVEMBRIS/ANNO MDCLXXXXIV”.16 Posta tra via de Gradi e via Bergano, e contigua a vari possedimentiDurini fra cui il San Giacomo.17 Burocco 1731-1745, pp. 213-214; vedi anche Campini 1770, III, p. 198.18 Fossati 1964, fig. a p. 48; Merati 1966, pp. 88-89, fig. 102. La demo-lizione fu deliberata con l’obbligo di restituire al Comune il SanGiacomo e gli altri rilievi di valore storico.19 Con l’iscrizione “SANCTO IACOBO MAIORI/COMES FEVDATARIVS/ANN.MDCCIIII”. Il rilievo è probabilmente in marmo di Candoglia, dallavenatura grigio-rosata.20 Per la cappella Durini vedi Mosconi, Olgiati 1972, pp. 82-84, tavv.XXVII-XXX; Geddo 2001, pp. 54-56 e 66 nota 58, figg. 28-29, e Geddo2006. Sempre per Giacomo il Rusnati scolpì anche il sontuoso tavolo conTre putti che scoprono l’arma Durini che ho rintracciato presso laFondazione Durini e attribuito allo scultore (Geddo 2001, p. 56, fig. 31).21 ASMi, Fondo Notarile, notaio Giuseppe Lecchi, filza 33948, 22 giu-gno 1697; Ridella s.d. [1976], pp. 33-36; Geddo 2001, pp. 57-58, fig.32. Il Campini (1768, II, p. 26) accenna a una tardiva insoddisfazione delpittore “il quale tuttavia vi trovò che biasimare dopo alcuni anni che erasitratenuto in Venezia”. Il dipinto, depositato nella basilica nel 1697 in pre-visione di essere donato, dovrebbe essere stato spedito da Venezia, ma nonsi può escludere che sia stato eseguito al termine del soggiorno milanesedel Ricci (1694-96) e trattenuto per circa un anno nel palazzo del feuda-tario da dove proveniva. Sul periodo lombardo del Ricci e i suoi collezio-nisti vedi Camesasca, Bona Castellotti, Geddo 1996, pp. 354-355, anni1694-96, 1695, 1697, e passim (testo di C. Geddo); Museo d’ArteAntica…, 1999, III, pp. 269-274 nn. 667-668 (schede di C. Geddo).22 Sulle pitture del duomo di Monza vedi Coppa, La pittura delSeicento..., 1989, I, pp. 231-271.23 Geddo 2000-2001, I, pp. 154-155 n. 3 e 161-162 doc. 2.24 G. Sitoni di Scozia, Nobilium Durinorum Modoetiae ComitumGenealogica Monumenta, 1723, pp. 5, 7, 9, 12 (AD2, titolo I, cart. 1,fasc. 15); Calvi ad vocem Durini..., 1875, I, tav. I.25 La villa di Robarello aveva una facciata in cotto con portale e un’al-tra porticata prospiciente il Naviglio, una corte a portico girato sudiciotto colonne di pietra, e dieci locali sia al pianterreno che al supe-riore, più quattro mezzani (AD1, Eredità diverse, cart. 1.1.8, RelazioneCusani, 1726). Nel dossier del Mirabello figura anche una stima dei“vivi” forniti per la casa di Robarello dallo scalpellino Antonio Rossi(AD1, cart. 1.5.5, 9 febbraio 1675), a riprova della contemporaneitàdei lavori nelle due ville. I pochi quadri di Robarello inventariati nel1708 (Geddo 2001, pp. 78-79) rappresentavano soggetti devozionali,nature morte e paesi, dipinti di genere.26 Campini 1770, III, p. 59; Il donativo risulta da un suo testamentoincompleto, s.d. [circa 1694] (AD2, titolo VI, gr. 3°, cart. 1, fasc. 6).27 Calvi, erroneamente, lo dice defunto il primo febbraio 1771, mentresi spense a Milano “d’anni 75” il primo febbraio 1701, come risulta

dall’atto di morte (ASMi, Fondo Popolazione, p.a., cart. 146). L’annodi nascita si ricava dal testamento del 5 dicembre 1643, in cuiGiuseppe, in procinto di partire per la guerra in Belgio, si dichiara ven-tenne (ASMi, Fondo Notarile, notaio Giovan Battista Aliprandi, filza27524), notizia che trova conferma nell’atto del 22 febbraio 1649 (ivi,filza 27532) dove si riferisce che Giuseppe è divenuto maggiorennecompiendo 20 anni nel 1644.28 I due ritratti di Giuseppe sono inventariati nel 1708, senz’autorecome di norma: Geddo 2001, p. 75 n. 100, p. 109 nota 34 (il primo);p. 86 n. 376, p. 102 n. 319 (il secondo). La copia (olio su tela, 64 ×41 cm) reca a tergo sulla tela di rifodero l’iscrizione otto-novecentesca“C.TE GIUSEPPE DURINO/CAPITANO DI CORAZZA/1637”, riportata pro-babilmente dal dipinto originale, travisandone però la data che dovevaessere 1657 o 1667. Essa fa serie con le copie a mezzo busto dei ritrat-ti degli altri tre fratelli Durini (Gorla Minore, Municipio), riprese daglioriginali qui pubblicati ed eseguite dal medesimo copista (il pittoreAntonio Durini (?) [1853-1934]).29 AD1, Mirabello. Confini, Mappa territoriale, mazzo senza custodia,cart. 1.5.5: “Mirabello 1666 al 1675. Fabbrica ossia Casa da Nobile,ossia Palazzo. Costruzione del Medesimo, spese etc. sotto la Direzione,dissegno, e manoduzione dell’Ingegnere Sig.r Geronimo Quadrio inco-minciata l’anno 1666 e terminata nel 1675”. Ho rinvenuto l’incarta-mento nell’estate 2003, segnalandone i dati emergenti a Laura Di Bellae Laura Lazzaroni, per la loro tesi, e cedendo loro per il presente volu-me l’intera documentazione, ad eccezione del foglio sulle pitture.30 Calvi ad vocem Durini..., 1875, I, tav. I. Nel sito sul quale nel 1666fu avviata la fabbrica, già denominato “Mirabello”, esisteva una “Casada Nobile, e da massaro”, che Giuseppe Durini aveva acquistato dalmilanese Francesco Ghislanzoni il 30 aprile 1652 e che dovette esserein buona parte demolita per lasciar posto alla nuova costruzione. L’areainiziale, consistente in 75 pertiche di terreno, fu ampliata in direzionesud-ovest (verso Monza) con acquisti successivi di vigne e vignoli, finoa raggiungere nell’arco di vent’anni l’estensione di 327 pertiche di ter-reno (AD1, cart. 1.5.5, “Mirabello 1666 al 1675…”; per l’acquisto del1652 vedi anche ASMi, Fondo Notarile, notaio Giovan Battista Croce,filza 30577; Nobile 1978-1979, pp. 143-144, 176 nota 5).31 AD2, titolo I, cart. 1, fasc. 12; Geddo 2001, p. 47. Il progetto inpianta dell’oratorio, approvato dalla Curia milanese nel 1671, è con-servato in due esemplari: quello del Fondo spedizioni diversenell’ASDMi (Maderna 1984, p. 130, fig. 122) e quello dell’archivioDurini (AD2, titolo I, cart. 1, fasc. 12).32 Sia l’epigrafe che la pittura sono documentate dalla visita pastoralecondotta nel 1754 dal visitatore regionario monsignor Antonio Verri(ASDMi, Visite pastorali alle pievi milanesi, pieve di Desio, vol. XXIX,pp. 436-440, 439).33 Nell’atto di consacrazione del 1673 si dichiara che l’oratorio, “pia, &larga munificentia Illustrissimi Domini Comitis Josephi Durini nuper-rime eleganter constructo”, è dotato di “sacris Iconiis” (AD2, titolo I,cart. 1, fasc. 15). La pala, i laterali e altri pezzi oggi dispersi che arre-davano l’oratorio sono annotati nell’inventario del 1708 (Geddo 2001,p. 85 nn. 357-361).34 Geddo 2001, p. 91 n. 37, p. 114 nota 104; Museo d’Arte Antica…,1999, III, pp. 269-274 nn. 667-668 (schede di L. Beltrame).35 “Super Janua constitutum fuit organum, cui subest odeum musico-rum ex ligno depicto, et auro interlinito” (ASDMi, Visite pastorali…,1754, vol. XXIX, p. 348).36 ASDMi, Visite pastorali…, vol. XXIX, p. 348. La pittura dovrebbecorrispondere al “Quadro ovato nel mezzo della volta della Chiesarapp(resentan)te la Gloria”, citato in un inventario del Mirabello databi-le fra il 1734 e il 1749 (AD2, titolo VI, gr. 5°, cart. 2, fasc. 2), che sem-bra alludere a una tela incastonata nella volta piuttosto che a un affresco.37 Coppa 1995, pp. 90-91, figg. 11-12.38 Inventario de’ Mobili di Mirabello, s.d. [1734-49] (basato sulla Stimacompiuta dal pittore Giovan Battista Sassi nel 1725): “…la Nativitàdella B(eat)a V(ergine) di Ercole Procaccino”, di braccia 5 × 3 (AD2,titolo VI, gr. 5°, cart. 2, fasc. 2), con l’elevata stima di lire 200, preci-pitata a lire 50 nell’inventario del 1796 al n. 163. Sul dipinto vediGeddo 2001, pp. 47, 65 nota 26, p. 85 n. 357 e nota 85.39 Il catalogo attuale di Ercole Procaccini (vedi Abelli 1992, pp. 359-368) è suscettibile di incremento, anche solo ad una prima indaginebibliografica. La sua mano è riconoscibile, ad esempio, nel notevoleConcerto angelico nella sacrestia della chiesa milanese di San Vittore alCorpo (Colombo 1999, p. 39, fig. 14, come Martino Cignaroli), nelPiccolo Mosè e la prova dei carboni ardenti del Museo Civico di Novara(Tomea Gavazzoli 1987, p. 434 n. 390, tav. a p. 93, scheda di F.M.Ferro, come “Maestro lombardo di metà Seicento”), nelle Due madri

Note

Sono grata al professor Mauro Natale, che ha seguito dal 1999 la tesidi dottorato da cui è tratto in parte questo studio (Geddo 2006); allecontesse Carlangela e Rita Durini di Monza Ajmone Cat, per la gene-rosa collaborazione cordialmente prestata alle mie ricerche sul cardinalDurini; al conte Teobaldo Durini di Monza, per l’accesso all’archivioDurini del ramo primogenito e l’assistenza alle mie consultazioni.Nelle note che seguono ho dovuto rinviare spesso al mio contributo suiDurini del 2001, per ragioni di economia e di documentazione sugliinventari lì pubblicati (1708 e 1734). Per una più ampia analisi riman-do a Geddo 2006, e al libro che seguirà, frutto di ricerche bibliografi-che e d'archivio sistematiche.1 ASCMi, Fondo Famiglie, Durini, cart. 626; Nobile1978-1979, pp.39-40, 55-56 nota 5.2 Sulla famiglia Durini vedi il basilare albero genealogico del Calvi advocem Durini..., 1875, I, pp. 1-5, tavv. I, II, III e Supplemento, sem-plificato, riveduto e aggiornato in Geddo 2001, pp. 68-71, e gli arti-coli di Forte 1933, pp. 22-24; Forte, Monza e i Durini. L’eredità...,1934, pp. 26-28; Forte, Monza e i Durini. Saggezza..., 1934, pp. 21-24. Per i singoli membri della famiglia, oltre al Calvi e alle voci delDizionario Biografico degli Italiani (1993, XLII), vedi Geddo 2000-2001, I, pp. 153-160, 161-168 (con testamenti e inventari).3 Geddo 2001, p. 52 e nota 49, p. 76 n. 139, p. 109 nota 40, p. 74 n.81, p. 108 nota 28, p. 75 n. 106, p. 109 nota 37; riprodotti come ano-nimi in Forte, Monza e i Durini. Saggezza..., 1934, pp. 21-24.4 Il Carlo Francesco Durini (olio su tela, 215 × 112 cm), con estese ridi-pinture, è infatti accostabile ai ritratti di Bartolomeo Arese (1669) e diGiuseppe Lampugnani (1694) di Giacinto Santagostino conservati allaCa’ Granda di Milano (Ospedale Maggiore…, 1986, figg. 64, 106). Ilritratto del Museo del Duomo di Monza (Coppa, I dipinti..., 1989, II,p. 164 n. 35) è la copia di quello in esame (vedi Geddo 2001, p. 109nota 37). I due ritratti Durini possono essere proficuamente confron-tati anche con quelli Borromeo della galleria della Rocca di Angera,eseguiti dai fratelli Santagostino nel 1677 (vedi Natale 2000, p. 144).Per identificazioni e aggiunte al catalogo dei due pittori, vedi Geddo2001, p. 114 nota 102, e Geddo s.d. [2005].5 Per palazzo Durini, alienato dai discendenti nel 1921 e attualmentein possesso dei Caproni di Taliedo, vedi Bascapé 1980; Geddo 2001,pp. 42-47, figg. 2-9 e 41-44 (con bibliografia precedente).6 Sconciato da interventi inconsulti, il San Giacomo, “grandiosa villadegli Ecc.mi Conti Durini, fuori la Porta d’Agrate” (Frisi 1794, III, p.97), è tuttavia preservato nella sua struttura originaria tardo-cinque-centesca, riformata in epoca barocca. È scomparso lo stemma Durinidipinto sull’ala ovest (documentato da Nobile 1978-1979, p. 37) masopravvivono testimonianze pittoriche del primo e del secondoSeicento: l’Oculo prospettico con testine di angioletti (Langé, Süss 1987,fig. 40), affrescato sulla volta dell’atrio che immetteva alla sacrestia, etre malconci frammenti staccati dal fregio che decorava il salone versoil giardino con lo Stemma Durini affiancato da Putto che si specchia ePutto che si pettina, in cui sembra di cogliere lo stile di FedericoBianchi, attivo contemporaneamente al Mirabello. La ricca quadreria,inventariata nel palazzo nel 1708 e nel 1734 (Geddo 2001, pp. 82-84,99-102), comprendeva, oltre a svariate serie di nature morte, animaliselvatici, scene di caccia e “busti di donne”, qualche notevole quadro disoggetto sacro (fra cui un grande San Giacomo Apostolo) e un nucleo didipinti verosimilmente acquistati a Roma e a Venezia (una grandeveduta di San Pietro a Roma e tre vedute veneziane con cerimoniedogali). La pala dell’oratorio dedicato a San Giacomo raffigurava laMadonna col Bambino tra San Giovanni Battista e San Giacomo. Sullavilla vedi Campini 1770, III, pp. 251-253; Calvi ad vocem Durini...,1875, I, tav. I; Nobile 1978-1979, pp. 35-62; Langé, Süss 1987, pp.40-43 e 77-78, p. 166 note 22-25, p. 217 n. 90, figg. 40-43; Repishti,Süss 2000, pp. 19-20 e 51-52, figg. 17-18 e 66-70, e la nota anonimaacquaforte settecentesca con il “Prospetto di Monza preso dalla partedella Villa Durina detta il S. Giacomo”.7 Venduto al Durini dal conte Francesco Rabia, si presenta oggi comeun agglomerato di case decaduto alla pari del San Giacomo, ma iden-tificabile nel suo impianto originario. Il grande oratorio (ora abitato),con facciata a capanna del 1877 prospiciente la via, fu eretto forse daGiovan Battista II tra il 1708 e il 1713, e comunque prima del 1726,quando è detto “di fabrica moderna” (AD1, cart. 6.2.4, RelazioneCusani, 1726). Di linea barocchetta è infatti la cornice della finestrasuperstite nell’abside, dove si innesta la “casa da massaro”. In occasio-ne del rinnovamento la vecchia pala con Cristo nell’Orto, inventariatanel 1708 (Geddo 2001, p. 85 n. 349), fu sostituita con altra raffigu-

rante la Madonna col Bambino tra San Giovanni Battista e il titolare SanDonato. Fra i non numerosi quadri che decoravano la dimora all’iniziodel Settecento (Geddo 2001, pp. 84-85) figurava una serie di undiciSibille. Sul San Donato vedi Campini 1770, III, pp. 252-253; Nobile1978-1979, pp. 63-78.8 Il trecentesco castello eretto da Azzone Visconti era ubicato tra l’at-tuale largo Mazzini e il Lambro. Oltre al restauro del palazzo ducale ealla sistemazione del giardino, Giacomo Durini nel 1696 fece affigge-re sull’arco d’ingresso esterno le medaglie marmoree con le effigi delfondatore Galeazzo Visconti, del re di Spagna Filippo IV, che ai Duriniaveva concesso la rocca, e del regnante Carlo II, con due stemmi Durinie l’epigrafe dedicatoria: “ARCEM A GALEATIO VICECOM(ITE) CONDI-TAM/A PHILIPPO IV ACCEPTAM/REGNANTI CAROLO II/DURINI MODOE-TIAE COMITES DICANT/ANNO MDCIIIIC”. Giacomo II, rinnovando l’in-tero edificio (1743 circa), vi ricavò perfino un teatro interno (nel 1746il pavimento crollò per l’eccesso di spettatori) e fece dipingere sullafronte del portico le armi Visconti, della città di Monza, Durini ed’Adda, con al centro lo stemma della futura imperatrice Maria Teresa.Sul castello di Monza, trascurato dagli studi moderni, vedi Burocco1731-1745, p. 213; Campini 1770, III, pp. 149-164; Frisi 1794, I, p.201; Antichità e siti…, 1838, pp. 31-35; Merati 1966, pp. 80-84, figg.88, 91; documentato dalla bella acquaforte di Giulio Cesare Bianchi,1771 circa (Frisi 1794, I, p. 124, tav. IX).9 Del palazzo, di cui trovo cenno solo in Repishti, Süss 2000, p. 20, fig.20, si è persa memoria. Il suo corpo trasversale separava la vasta piazzadel Mercato da quella di San Michele (oggi piazze Trento e Trieste, eCarducci), come risulta dalla mappa catastale del 1721 in cui è indicatocome “Palazzo Durini” (riprodotta in Merati 1966, p. 78, fig. 88). La suafronte irregolare è avvistabile in alcune fotografie del primo Novecento(Fossati 1964, figg. a pp. 20, 27). Fu demolito per lasciar spazio al nuovopalazzo Comunale, innalzato nel decennio 1926-36 (Profumo 2002, p.432). Di proprietà del Ducato di Milano, il palazzo Durini di Monza fuacquistato all’asta da Carlo Francesco il primo dicembre 1659, con l’of-ferta di lire 6 467 (AD1, Fondi. Monza, Case. Piazza del Mercato, con-trada, Palazzo, cart. 1.1.2). Provvisto di diciannove locali al pianterrenoe altrettanti al superiore, tre porticati, un oratorio, corte nobile, giardinoe stalla per dodici cavalli (ivi, stima del 23 giugno 1659), l’edificio erastato precedentemente adibito a caserma per le pessime condizioni.L’onerosa opera di restauro e ammodernamento, già avviata dall’affittua-rio Giovanni Vazquez de Coronado castellano di Milano, fu portata acompimento dal Durini, che nel 1660 acquistò le migliorie già effettua-te (portale, balaustra in ceppo della loggia, camini, ecc.) dopo averle fattestimare dall’architetto del Mirabello, Gerolamo Quadrio. Il palazzo diMonza all’inizio del Settecento conteneva una collezione prestigiosa ericca di autori, esemplata su quella del palazzo di Milano (Geddo 2001,pp. 79-81 e 96-99). In città i Durini possedevano inoltre varie case datein affitto, concentrate soprattutto nel borgo di porta de Grate, e alcuneosterie, come quella “del Moro” e l’“osteria nuova” detta anche “Casadella Famiglia” situate presso il palazzo sul Mercato.10 A quanto riferisce la nota epigrafe ottocentesca interna alla villa, laCazzola (ora proprietà Gallarati Scotti) fu costruita per i Cazzola daPellegrino Tibaldi e convertita in villa di campagna (“ruris in usum”)da Francesco Maria Richini per Giovan Battista Durini nel 1630. Inrealtà, il Durini acquistò la Cazzola nel 1669, ristrutturandola subitodopo, quando Francesco Maria Richini era già defunto (AD1,Eredità. Divisioni Co. Gius.e, e Carlo Fr. Zii e Co. Giacomo Nip.e1686 al 1697, cart. 9.5.3). Al mecenate devono essere attribuite anchele superstiti pitture seicentesche degli interni, fra cui il fregio pro-spettico con Architetture del salone al primo piano con soffitto a pas-sasotto (Langé, Süss 1987, fig. 36). Non molto resta dell’antica deco-razione barocca e forse barocchetta, “deliri borromineschi” eliminatiin gran parte dall’Amati nel restauro del 1812 e poi ripristinati in stileneorococò nel 1894, anche nella cappella. Quella seicentesca fu sosti-tuita da Luigi Durini con un nuovo oratorio disegnato sempredall’Amati nel 1815 (AD1, Cazzola d’Arcore. Beni stabili, acquisti,possessi, ragioni, Oratorio, Inventari, cart. 1.5.3, con progetto apenna acquerellato in rosa). La quadreria che arredava la dimora(Geddo 2001, pp. 88-89) includeva solo soggetti profani: naturemorte di fiori e frutta, una serie di quattordici tele con Tappeti conarmi e strumenti e un’altra di sei grandi Mori con cani; la pala d’altareoriginaria raffigurava la Madonna col Bambino, Sant’Antonio diPadova e Sant’Eurosia. Sulla Cazzola vedi Ville e Castelli…, 1907, pp.667-673 (scheda di G. Carotti); Bagatti Valsecchi, Cito Filomarino,Süss 1978, I, pp. 36-39 e 456 n. 49, figg. a pp. 40-47 (scheda di A.Gnetti); Langé, Süss 1987, pp. 62-64, 72, 124 e 166 nota 35, p. 214n. 6, figg. 11, 34, 36-38, 46-48, 211-212, 243.

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72 Il balcone di casa Mainoni a Milano e i cancelli delle CivicheRaccolte d’arte di Milano, del castello di Sant’Angelo Lodigiano(Lodi), del castello Visconti Castelbarco Albani di Cislago, Varese(Mezzanotte, Bascapé 1958, fig. a p. 331; Baccheschi, Levy 1966, tavv.25 e 28; Langé 1968, fig. a p. 264).73 Bona Castellotti 1986, figg. 438-439; Caprara 1990, pp. 775-776. Ilcatalogo del Maggi è suscettibile di notevoli ampliamenti: gli va resti-tuito, ad esempio, un dipinto con La Speranza e la Fede (olio su tela99,5 × 77,5 cm), passato per Christie’s a Londra (11 dicembre 1992,lotto 397) come opera della cerchia del Legnanino.74 Già assegnato a Luigi Scaramuccia, il dipinto è stato più ragionevol-mente avanzato al primo ventennio del Settecento e attribuito condubbio a Pietro Gilardi (Pinacoteca di Brera…, 1989, pp. 408-409 n.285, scheda di S. Zuffi). Proviene forse dalla chiesa milanese di SanVincenzo in Prato, dove il Latuada (1737, III, ed. 1996, p. 247) ricor-da una pala del Maggi di identico soggetto. L’Immacolata ha notevolitangenze con l’Apparizione dell’Eterno a Sant’Anna e Maria bambina inSant’Alessandro a Milano. Sulla tela di Cameri, della quale nulla si sa,mi riprometto di tornare.75 Calvi ad vocem Durini..., 1875, I, tav. I; Nobile 1978-1979, pp.156-157.76 I fiori di Venere e quelli di Aurora si direbbero dipinti dalla stessaagile mano e con la medesima tavolozza. Al Maggi dovrebbero quindiattribuirsi anche i ritocchi e le ridipinture rilevabili in altre parti del-l’affresco, nei nudi poco convincenti della Grazia a destra (con vistosaamplificazione della spalla, se non si tratta di un “pentimento”) e diVenere, e nel contorno rosseggiante della spalla della dea, analogo aquello di Aurora.77 Sull’attività di mecenate-collezionista di Giovan Battista e sugli affreschidel Maggi in palazzo Durini vedi Geddo 2001, pp. 58-63, figg. 41-44.78 ASMi, Fondo Notarile, notaio Domenico Pusterla, filza 3926, 29ottobre 1726; AD1, Eredità diverse, cart. 1.1.8; AD1, Eredità.Divisioni: Co. Gio. Batt.a, Carlo Franc.o, Giuseppe, Ercole, ed AngeloM.a Fr.elli q. Co. Giacomo, 1709 al 1728, cart. 6.2.4, con allegata la“Relazione” dell’ingegner Francesco Cusani del 28 ottobre 1726, in cuiil Mirabello è stimato lire 106 421, la cifra più alta di tutti gli immo-bili Durini dopo il palazzo di Milano.79 Campini 1767, I, pp. 43, 97. Fu sepolto con solenni esequie nellatomba di famiglia nel duomo di Monza.80 Inv. 1796 n. 99 (vedi nota 133), senza autore ma con la buona stimadi 60 lire. Olio su tela, 99 × 74 e 98 × 73,5 cm. Iscrizioni otto-nove-centesche sul retro “Conte/GIANBATTISTA DURINI/1600” e“Con.ssa/GIOVANNA RUFFINO/ARCHINTO 1600”, che suggerisconoidentificazioni erronee con Giovan Battista Durini e Isabella AnnaArchinto (sposi nel 1715). In realtà, l’effigiato non può essere altri cheGiuseppe Durini perché è l’unico militare della famiglia all’epoca delritratto, mentre l’effigiata è confrontabile positivamente con il ritrattodell’anziana Costanza Barbavara qui pubblicato.81 Sul Rusca, riscoperto da Riboldi 1903, pp. 104-114, si rinvia allostudio di Federica Bianchi, in corso di pubblicazione, che mi confer-ma l’attribuzione. Il pittore operò a Torino, in Svizzera, a Venezia, inGermania e Inghilterra, stabilendosi infine a Milano (dagli anni qua-ranta). I ritratti Durini sono troppo precoci per cadere nel periodomilanese, ma nulla vieta che il pittore abbia fatto precedenti viaggi aMilano, città di cui parla positivamente in una lettera al fratello del1737. Nel ritratto del Maresciallo Schulemburg inciso a Venezia daMarco Pitteri, stilisticamente prossimo ai ritratti Durini, egli è detto“med[iolanensis]. Se la fotografia non m’inganna, il ritratto del ConteGiacinto Alari (1688-1753) già nella villa Alari a Cernusco sulNaviglio (Tencajoli 1906, p. 884, fig. a p. 779, come Pietro Longhi;Coppa 1984, pp. 54-55, come Antonio Francesco Biondi?), è uncapolavoro del Rusca milanese.82 AD1, cart. 1.5.5. Il prezzo sborsato il 16 luglio 1748 è di lire 26666.13.83 Nel “Transonto de’ stabili…” del 1777, a proposito del Mirabello siaccenna alle “migliorie di Fabbrica, e seramenti fatti in esso dal Sig.rConte D.n Carlo” (AD2, titolo VI, gr. 12, cart. 11, fasc. 7). Il passag-gio di proprietà è stipulato da una scrittura privata dell’ottobre 1784,in cui il cardinal Durini cede al fratello il San Donato e altri beni mon-zesi in suo possesso, “desiderando… di godere in sua libera disposizio-ne ed in assoluta proprietà il palazzo di Mirabello e le terre ivi adja-centi…” (ivi, fasc. 6).84 Sul cardinal Durini, in generale, vedi lo studio base del Marchesi1904, pp. 51-142. Inoltre, per la figura storica vedi Raponi 1993, pp.195-200, e Raponi 1996, pp. 11-37; per i rapporti con Balestrieri eParini, Riva 1901, pp. 773-792, e Benvenuti 1996, pp. 39-74; per le

villeggiature e i giardini, Ricci 1996, pp. 75-96; per la figura di mece-nate e collezionista d’arte, Geddo 2000-2001, I, pp. 62-110 e 247-256; Id. 2006; Id., Il Cardinale..., in corso di pubblicazione; Id., Unarcadien éclairé..., in corso di pubblicazione.85 Olio su tela, 97,5 × 74 cm. La mozzetta risulta integralmente ridi-pinta. È probabilmente identificabile con il ritratto “in piedi” (inv.1796 n. 479, vedi nota 133). L’incisione è alla RB, segn. RI p. 64 15.86 In una letterina autografa al cardinale del primo aprile 1780, ilBalestrieri elogia “i broccoli del Mirabello... ottimi e squisiti” (AD2,titolo II, gr. 7°, cart. 16, fasc. 2). Le recite poetiche ricordate nelle poe-sie dello stesso Balestrieri e del Pozzobonelli (vedi oltre) sono semprecalate nel contesto di brindisi e banchetti. Mandorle, pistacchi, zaffe-rano, “droghe fine”, “lasagnole” e “macharoni”, acquistati dal “NonzioDurini” l’11 luglio 1773, dovevano servire per un pranzo al Mirabello(AD2, titolo VI, gr. 12°, cart. 11, fasc. 6).87 Grzeluk 1983, pp. 135-150. Dal 1772 Stanislao Augusto tenevaincontri conviviali settimanali con intellettuali e politici (i cosiddetti“déjeuners de jeudi”), e separatamente con pittori e architetti (i “déjeu-ners de mercredi”), gratificando i convitati del giovedì con una galleriadi ritratti a pastello di Louis Marteau. Il re aveva innescato la rinascen-za letteraria polacca e la formazione del primo neoclassicismo dettoanche “stile Stanislao Augusto”, chiamando a corte artisti parigini e ita-liani attivi negli appartamenti del Castello Reale e nel palazzoUjazdówski del parco Lazienki.88 Sulla villa vedi Nobile 1978-1979, pp. 273-293; Bagatti Valsecchi,Süss 1989, pp. 106-109, figg. 98-106; Ricci 1996, p. 82 e passim.89 Mainoni s.d. [1782], p. 8 nota 2 (a un’ode dedicata al Durini, checertamente il Parini aveva letto: All’Eminentissimo Mecenate. Ode).Questa è la fonte da cui il Marchesi 1904, p. 82, ha attinto il nome del-l’architetto.90 Nobile 1978-1979, p. 282, giudizio condiviso da Bagatti Valsecchi,Süss 1989, pp. 105-106, e Ricci 1996, p. 85 e nota 20.91 Ferrari 1791, II, p. 30 n. XXXIX: “ANG. M. CARDINALIS

DVRINIVS/VILLAE MIRABELLAE/AEDIFICIO ORNATV ACCESSV

INTROITV/ADSPECTV PROSPECTV/AVCTIS AMPLIATISQVE AD DIGNITA-TEM/HIC E REGIONE EIVS/VILLVLAM MIRABELLINI/DOMINANTEM IN

PLANITIEM/EXTREMAQVE INSVBRIAE/A FVNDAMENTIS POSVIT/OCIO

GENIOQVE EIVS”.92 Raccolti e presentati da Felice Milani in questo volume nella silloge IlMirabello e il Mirabellino nelle poesie di Domenico Balestrieri e GiuseppePozzobonelli a cui si rinvia anche per le prossime citazioni. Il nodoDurini-Balestrieri-Mirabello, dopo le indagini del Riva 1901, passim, edel Marchesi 1904, pp. 87-89, è stato trattato più ampiamente inGeddo 2000-2001, pp. 77-82 e note 120-134; Id. 2006. Ma benmeglio ha potuto fare, accogliendo il mio invito, lo specialista Milani.93 Balestrieri 1778, IV, pp. 141-150.94 All’Eminentissem Scior Cardinal Angel Maria Durin. Quartinn rezzi-taa alla soa tavola al Mirabell in occasion d’on bellissem invit l’ann pas-saa el dì 24 de giugn, in Balestrieri 1779, V, pp. 21-30.95 Al Mirabellino alludono sia l’epigrafe riportata alla nota 91, sia quel-la che segue: “BONO GENIO/HOSPITIVM/MIRABELLI

MIRABELLINI/GRATIAE TRANSVOLATAE/VOBIS HIC ETIAM/SEDEM AMABI-LEM/DESTINAT/ANG. M. CARD.: DVRINIVS” (Ferrari 1791, II, p. 493 n.DCCCLXXI). Tuttavia, non offrono certezze le collocazioni indicatedal Ferrari per le due epigrafi, rispettivamente “Apud Modoetiam” e“Villula designata in altero Mirabellae prospectu ad Umbronem fl.(Lambro)”.96 Documentata anche nel Ferrari 1791, II, p. 496 n. DCCCLXXVI, èstata divulgata in una trascrizione scorretta.97 Ferrari 1791, II, p. 498 n. DCCCLXXIX, p. 536 n. DCCCCXL.98 Il “sito di scuderia in volta in tre navi ridotta per libreria” è rilevatocon chiarezza nella descrizione dell’ingegnere Ferrante Giussani, alle-gata alla vendita al Demanio del Mirabello (ASMi, Fondo Notarile,notaio Carlo Bonifacio Reina, filza 46635, primo dicembre 1806;Nobile 1978-1979, pp. 171 e 174).99 G. Pozzobonelli, Eruditissimo Viro Angelo Mariae Durino CardinaliAmplissimo Pro suavissimo Poeseos dono Ioseph Cardinalis Puteobonellus, s.d.[1777] (BA, ms. S.P. 6/13 G, fasc. 2, ff. 134r-135r, D1) – accolto conentusiasmo dal Durini, s.d. [1777] – cui seguirà il Somnium, s.d. (ivi, fasc.7A, ff. 395-400r), entrambi qui pubblicati e tradotti a cura di Milani.100 Durini s.d. [1778]. Il Pozzobonelli accetterà l’invito, come si dedu-ce da una lettera (16 settembre 1795) in cui il Durini rammenta la visi-ta dell’arcivescovo al Mirabellino e alla “nuova Cappella, che io avevodi fresco eretta…” in “quella mia villuccia” (AD2, titolo II, gr. 7°, cart.8, fasc. 5). Il Somnium, che contiene un richiamo esplicito alMirabellino, dovrebbe essere stato composto in seguito a questa secon-

(soggetto non identificato) di collezione privata (Bossaglia 1994, p.188, fig. 2, come bozzetto di Giulio Cesare Procaccini). Il Compiantosu Cristo morto della chiesa dei Santi Bernardo e Giuseppe diRescaldina (Milano) recentemente attribuitogli (Zani 1996, p. 30, fig.9) è da girare, a mio parere, su Carlo Innocenzo Torriani.40 Olio su tela, 138 × 134 cm. Mobili, arredi, dipinti antichi e del secoloXIX…, Il Ponte, Milano, 1° dicembre 2004, lotto 755 (come “Maestrolombardo del sec. XVII – Ercole Procaccini [Attr.]”). Inventario 1708:“…L’Ancona rappresentante la B(eata) V(ergine) M(aria) con ilBambino, S(an) Gio(vanni) Batt(ist)a, et S(an) Ant(oni)o da Padovacon cornice nera, et fili e fiori adorati di mano di Ercole Procacino”(Geddo 2001, pp. 77 n. 171, 110 nota 62). Le misure coincidono conquelle riportate nella Stima del Sassi del 1725 (AD2, titolo VI, gr. 5°,cart. 2, fasc. 2: once 28 × 28, equivalenti a 137 × 137 cm ca.), che lavaluta ben 300 lire, 100 in più di quella del Mirabello. La pala fu rimos-sa dalla cappella prima del 1734 e sostituita con una copia dal Montaltoraffigurante Cristo morto e le quattro Marie (Geddo 2001, p. 93 n. 97),ma dovette esservi ricollocata dopo il 17 febbraio 1752, come dispostoin morte dal conte Ercole Durini, che l’aveva ricevuta in eredità (AD1,cart. 8.5.8, priva di intestazione): “Che il Quadro dipinto con UnaVergine e bambino e due Santi cioè S(an) Gio(vanni) Batt(ist)a eS(ant’)Ant(oni)o del Procaccino sia riposto nell’Oratorio della casa diMilano, perché sia mantenuto in venerazione £ 50”.41 AD2, titolo I, cart. 1, fasc. 15; Geddo 2001, pp. 46, 51, 66 nota 43.42 Vedi, ad esempio, il Bambino della Presentazione al Tempio nelSantuario di Treviglio (riprodotto in Tirloni 1984, p. 452 n. 59, fig. ap. 429). Negli stessi anni del Mirabello i due pittori realizzano in cop-pia le Storie di Marta e Maddalena in Santa Marta a Porlezza del 1670-77 circa (Magni 1986, pp. 146-152, figg. 2, 9, 11).43 Geddo 2001, p. 47 e fig. 10, con una cauta proposta attributiva afavore di Giuseppe Zanatta e una presumibile datazione al 1673 circa.Il dipinto, ignorato nell’inventario del 1708, è citato in quelli post1734 (“1 Quadro sopra Altare mezzo ovato”) e del 1796 (n. 180.1/2),e descritto nella visita pastorale del 1754 (ASDMi, Visite pastorali…,vol. XXIX, p. 437).44 Un più accurato controllo e il riscontro con le opere presumibil-mente coeve alla lunetta del Mirabello, non riprodotte nella bibliogra-fia sull’artista, mi consente ora di escludere l’ipotesi Zanatta.45 Geddo 2001, p. 80 n. 256, p. 112 nota 81.46 AD1, cart. 1.5.5, “Mirabello 1666 al 1675…”.47 La data di avvio dei lavori è comunque successiva al febbraio 1668,quando sono stimati i soffitti lignei realizzati dal falegname CarloCassina (ivi).48 Sui Mariani vedi la messa a punto di Paola Venturelli 1989, pp. 212-215.49 Orlandi ed. 1753, p. 233.50 Venturelli 1989, p. 213. Domenico e Giovanni Mariani sono catalo-gati come pittori distinti anche nel Thieme, Becker 1930, XXIV, p. 94,ma già lo Zani 1823, parte I, XIII, p. 44, aveva pensato a una identifi-cazione, unendo i due nomi in un’unica voce: “Mariani Domenico, oGiovanni”, pittore di architetture e di ornati attivo a Milano verso il1680 e padre di Giuseppe.51 La pittura nel coro della demolita chiesa di San Domenico aCremona (Domaneschi 1767, p. 110, di scarsa eleganza secondo l’au-tore); le opere nel palazzo Ducale di Milano (1679 e 1683-84), con-dotte in parte con il Montalto nel ruolo di figurista, in parte dal soloMariani anche come pittore di figura (Venturelli 1989, pp. 213-214 enote 21-24); le due Architetture con macchiette delle quadrerie settecen-tesche Parravicini e Pertusati assegnate al “Mariano vecchio”, senzadubbio Giovanni (Coppa, La Villa Visconti..., 1989, p. 173 n. 196;Bona Castellotti 1991, p. 80 e nota 48).52 Venturelli 1989, p. 213 e nota 18; Sala 1995, I, pp. 277-278, 323 enote 108-110; illustrazioni in Spiriti 1996, figg. 20-22 e 24. Le pro-spettive del Mariani coprono la controfacciata e le volte delle navatelaterali completate con Angeli e Santi di vari pittori fra cui FedericoBianchi e Montalto, convocati anche al Mirabello.53 Guerci 2000, pp. 66-68 (con figg.). Le analogie si estendono ancheai soffitti a rosette (vedi fig. a p. 68).54 L’esistenza di una loggia superiore si desume dalla stima delle pietredel 16 febbraio 1669, dove si citano “Due colonne all’ordine superio-re del portico con base et capitello alla Jonica” (AD1, cart. 1.5.5,“Mirabello 1666 al 1675…”).55 Il restauro dei medaglioni è stato compiuto dal Laboratorio diRestauro di Lainate, sotto la direzione della Soprintendenza ai BeniArchitettonici di Milano (Marina Rosa).56 I medaglioni del Mirabello sono stati pubblicati integralmente inGeddo 2001, pp. 47-48 e 60, figg. 11-12 e 36-40 (tratto dal più este-

so Geddo 2000-2001, I, pp. 37, 39, 134-135), dove, oltre all’identi-ficazione dei soggetti, ho attribuito il medaglione centrale a StefanoMontalto, Mercurio e Minerva a Ercole Procaccini, Aurora e il carro delSole a Pietro Maggi, proponendo per gli altri quattro affreschi assaidanneggiati un dubitativo riferimento alla bottega di Pietro Maggi,(in Geddo 2000-2001, I, p. 135, avevo invece sospeso l’opzione traMaggi e Federico Bianchi: “Il più grave stato di deperimento deglialtri riquadri impedisce di avanzare proposte attributive attendibili.Essi sembrano contraddistinti da un carattere più arcaizzante, conattinenze con Federico Bianchi, benché non manchino analogie colMaggi”). Per gli stessi affreschi sono stati espressi altri due riferimentiattributivi: Anna Maria Nobile (1978-1979, p. 163), nella sua tesieccellente ma più attenta agli aspetti architettonici, ha avanzato ilnome di Giovanni Antonio Cucchi (1690-1771), divulgato poi daBagatti Valsecchi, Süss 1989, p. 104, fig. 88, e Repishti, Süss 2000,pp. 113-115, figg. 202-206; Dell’Omo (2000 [2001], pp. 58-59 enota 22), confrontandosi con Frangi, ha attribuito indistintamentetutte le medaglie del Mirabello (ma non si cita il Saturno) a FedericoBianchi, “con aiuti?”, collocandole senza commento tra il penultimoe l’ultimo decennio del Seicento.57 Malgrado la presenza di due monografie (Tirloni 1984; BanderaGregori 1985), non è raro incontrare opere dei Montalto tra gli anonimi:ad esempio, le quattro Sante martiri ottagonali della sala capitolare delduomo di Monza, Agata, Apollonia, Lucia e Barbara, di cui l’ultima sicu-ramente di Giuseppe (Coppa, I dipinti..., 1989, II, pp. 158, 165 nn. 59-62, figg. 174 e 175, come Pittore lombardo del sec. XVII).58 Magni 1986, pp. 146-152, figg. 1, 3-8, 10 e 12-13.59 Un intervento, stilisticamente plausibile, di Giuseppe Danedi obbli-gherebbe a situare l’affresco del Mirabello prima del 1670, quando l’ar-tista risulta già defunto (Spiriti 1999, p. 59). All’esiguo catalogo delfratello del Montalto è stato trasferito l’intero ciclo pittorico delPalazzo Civico di Novara, 1661-64 circa (Geddo 2001, pp. 43-44, 64nota 15), già assegnato a Stefano. Nella bottega dei Montalto era atti-vo anche il figlio di Stefano, Andrea, che ha lasciato due medaglioniquadrilobati nella chiesa di Santa Maria del Carrobbiolo, 1696-1707(Colombo, Marsili 1997, pp. 75-76, 105, fig. 14), ben più rigidi e fiac-chi del nostro.60 Caprara 1997, p. 43 nota 54.61 L’ampia lacuna dell’affresco ha purtroppo cancellato il volto dellafigura assisa sulle nubi, armata di arco e faretra, che credo debba iden-tificarsi con la dea della caccia.62 I due affreschi erano totalmente alterati a causa delle lacune e di unatriviale ridipintura novecentesca, asportata in occasione del restauro,come risulta dalla documentazione fotografica conservata in sede.63 Spiriti 1999, p. 55, fig. 13. Sul Bianchi vedi essenzialmente Bossaglia1968, p. 82; Caprara 1997, pp. 35-44; Zani 1998, pp. 21-36, eMonaco 1998, pp. 73-95; spigolature attributive in Geddo 2001, p.115 nota 117.64 Riprodotto in Cera 1982, tav. 5.65 AD1, cart. 1.5.5, “Libro de’ mobili et arnesi di Casa che si ritrovanoal Mirabello adì 15 Luglio 1688”, ff. 25-29 (legato in pergamena). Imobili del Mirabello sono poi registrati nell’inventario di GiacomoDurini del 1708 (Geddo 2001, pp. 85-88), in quello di Giovan BattistaDurini del 1734, per la metà a lui spettante (ivi, pp. 102-104),nell’“Inventario de’ Mobili di Mirabello”, s.d. [1725(?)], nella “Nottade’ mobili esistenti in Mirabello a norma dell’Inventario del 1725” deldicembre 1748 (AD1, Eredità. Inventarj dei Beni Mob. Immob. SenzaData, cart. 1.1.4), nell’“Inventario de’ Mobili di Mirabello”, s.d. [1734-48] (AD2, titolo VI, gr. 5°, cart. 2, fasc. 2) e infine nell’inventario del1796 (vedi nota 133).66 Questo è quanto ho dedotto da uno spoglio di inventari lombardo-veneti (vedi Geddo 1998, pp. 105-113).67 “Libro de’ mobili…”, 1688; Geddo 2001, p. 87 n. 407, p. 112 nota86. I due dipinti, di once 36 × 48, valutati la notevole somma di lire172, toccarono a Giuseppe Durini (“Inventario de’ Mobili diMirabello”, s.d. [1734-48]). Il Pastor fido, riscattato nell’Ottocento dalramo primogenito della famiglia, è riconoscibile probabilmente in unagrandissima tela malamente riprodotta nel 1966 come opera delTiepolo (A quanto ammonta il patrimonio della Fondazione Durini?, in“ABC”, 6 novembre 1966, 45, fig. a p. 54).68 Geddo 2001, p. 102 n. 314.69 Citate da Nobile 1978-1979, p. 148, che le documentò con fotografie.70 Per i primi due vedi Mezzanotte, Bascapé 1958, fig. a p. 860;Bascapè, Perogalli 1964, p. 231; per il terzo vedi Ville e castelli…,1907, fig. a p. 609; Guerci 2000, p. 55, figg. a pp. 56-57.71 AD1, cart. 1.5.5, “Mirabello 1666 al 1675…”.

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Durini nel 1683.147 Per i due ritratti, documentati rispettivamente al 1775 e 1783, vediOspedale Maggiore…, 1986 n. 134, tavv. 159 e 162, n. 141, tav. 172.148 Inv. 1796 n. 118 (vedi nota 133), in serie con un busto disperso dellozio Cardinale Carlo Francesco Durini, vescovo di Pavia, e accanto ad unatesta della scienziata milanese Maria Gaetana Agnesi, probabile calco diquella di Giuseppe Franchi del 1781. Terracotta dipinta, rispettivamen-te 80 × 42 e 81 × 54 cm. Iscrizioni identificative incise sui rispettivibasamenti: “CONST. BARBAVARA/CONTESSA DVRINA” e “ANGELVS

MARIA/CARD. DVRINVS”. L’originaria patinatura giallo canarino attesta-ta dall’inventario è ora ricoperta da una pesante ridipintura ottocente-sca color avorio. Appartengono allo stesso anonimo plasticatore gli altridue busti non inventariati, analoghi ma di minori dimensioni, anch’es-si databili 1776-80. Il primo è un ritratto giovanile idealizzato della stes-sa Costanza Barbavara dedicatole dal figlio cardinale; il secondo raffigu-ra il Cardinale Oberto Terzaghi, arciprete del duomo di Monza e poiarcivescovo di Milano (1195-96). Terracotta dipinta, rispettivamente 63× 44 e 71 × 44 cm. Iscrizioni sui rispettivi basamenti: “COSTANZA

BARBAVARIA/CONT. DURINIAR MATRI/ANG. CARD. FILIUS” e “VBERTVS

TERZAGVS ARCHIEPISCOPVS/MED.I.NI ET CARD.AR INNOCEN. III”).149 Olio su tela, 100 × 75 cm. Catalogato come anonimo in Caramel1981, p. 37 n. 254, tav. 254 (scheda di G. Anzani). Iscrizione sulla let-tera: “Al Em.mo Sig.r Sig.r P.R./[ ] Cardinale Don/[Angelo] MariaDurini/A’ Mirabello”; sui dorsi dei due libri: “RIME T./EMIL./DI/BALEST/T. I” e “RIME T./E MIL./DI BAL/II”. Identificabile pro-babilmente con inv. 1796 n. 482 o 483 (vedi nota 133). Il ritrattodonato dal Durini, con la sua biblioteca, alla Braidense (Zumkeller1991, p. 281 n. 1.111, fig. a p. 99) si rivela essere una copia di quellodi Monza.150 Inv. 1796 n. 25 (vedi nota 133). Olio su tela, 92 × 75 cm. Mazzocca,Morandotti 1999, pp. 226-227 n. 25, tavv. a pp. 78-79 (scheda di A.Morandotti); Geddo 2000-2001, I. pp. 79-83; Id. 2003, n. 12. Ildipinto è stato reso noto da Morandotti: Dante Isella ne ha identifica-to l’autore per riscontro con l’incisione trattane da Giacomo Mercoliper Carcano 1780; Felice Milani lo ha collegato al ritratto citato dalBalestrieri in El Mirabell (Balestrieri 1778, IV, p. 150), da cui la data-zione al 1777-78.151 A Soa Santitaa Clement Dezzemquart/Cont ona copia dellaGerusalemm del Tass/travestida in Milanes, in Balestrieri 1774, I, p. 207(Geddo 2000-2001, I, p. 81 e nota 133).152 Nel primo degli epigrammi sul ritratto (Durini s.d. [1780], pp. 29,32-33 nn. VI, XIII, XIV; vedi indipendentemente Geddo 2000-2001,I, p. 80 e note 128-129; 2003, n. 12, e Milani 2001, p. CV): “CerneBALESTRERI ut sacrum os, oculique renident,/Morsque manu doctivicta silet PEREGHI!”.153 Su Antonio Perego, pittore in via di riscoperta, vedi Morandotti, Inmargine..., 1999, II, p. 1014 e nota 40; Id., In una biblioteca..., 1999,p. 73; G. Ricci, ivi, p. 246 n. 96, fig. a pag. 187; Morandotti 2000, II,pp. 1054-1055, figg. 8-9; C. Geddo, in Museo d’Arte Antica..., 2000,IV, pp. 184-190 nn. 953-954, con proposte di attribuzione al Perego(il Giovinetto Trivulzio di collezione privata, per confronto con ilBalestrieri, l’“Inclita Nice” e la Margherita Pallavicino AttendoloBolognini del Castello Sforzesco). Il “Peragh, pittor famos” aveva fatto“oun quadreatt col carbon bianc” (ante 1784) per il pavese CarloChedini, membro dell’accademia dialettale pavese della Basletta(Milani, 1996, p. 39 e nota 162).154 Balestrieri 1774, I, p. 199; Balestrieri 1741, p. XXIII (Geddo 2000-2001, I, pp. 80-81 e nota 130). Il disegno dell’Ambrosiana (F 255 inf.n, 2290: matita nera su carta bianca, 112 × 68 mm) è catalogato inBarigozzi Brini, Bossaglia 1973, p. 59 n. 80 (con l’inesatto riferimentoall’incisione dei Rimm milanes del 1744).155 Ferrari 1784 (ried. in Ferrari 1791, pp. 189-203). In proposito vedi indi-pendentemente Geddo 2000-2001, I, pp. 102-104, e Milani 2001, p. CVI.156 Gli stessi busti sono citati dal Marchesi 1904, p. 95, nella galleria delBalbiano, non sappiamo sulla base di quale fonte. Del Metastasio, cono-sciuto personalmente a Vienna nel 1767 (ivi, p. 71), il Durini possedevaanche una “Medaglia d’Argento dorato” (inv. 1796, fra i “Capi preziosi”).157 La galleria destinata all’esposizione dei busti, che il cardinale dovetteinnestare alla villa compiuta nel 1778 (Ferrari 1784, p. 10: “...in aula,quam villulae [Atticus] adjecit amplissimam…”), corrisponde probabil-mente al “Salone in due usci e dieci portine, volta di canne” citato al n.29 nella descrizione del Giussani del 1806 (ASMi, Fondo Notarile, filza46635, 6 dicembre 1806), poi detto “Salone delle cacce”, identificabilecon il vano rettangolare dell’ala sud oggi alterato.158 AD2, titolo II, gr. 7°, cart. 14, fasc. 3.159 Nel manoscritto del pesarese Domenico Bonamini gli sono riferiti

una statua di Clemente XIV a Urbania e tre opere marmoree a Pesarotuttora in loco: i due Angeli all’altare della Beata Michelina nella chie-sa di San Francesco (ora Madonna delle Grazie), la bella statua delConte Annibale degli Abbati Olivieri posta nella Biblioteca Oliverianada lui fondata (1791-92) e il mezzo busto sul monumento funebredello stesso Olivieri nella chiesa di San Giacomo, 1792 (Bonamini s.d.[sec. XVIII], tomo I, f. 335v). Sulle ultime due vedi Brancati 1976, pp.134-139, tavv. IV-VI. Il Campori 1855, pp. 343-344, vi aggiunge unastatua dello stesso papa in Sant’Angelo in Vado (Pesaro) e quattro bustiper il Teatro anatomico di Modena, accennando anche ai “non pochibusti... in terra cotta de’ quali non giova serbar memoria”. Le opere diPantanelli e i risultati delle mie ricerche (Geddo 2006) saranno pub-blicati in altra sede.160 Ferrari 1785, p. 21. Da un sonetto dell’abate Luigi Rovelli “sopra ilBusto del Signor Marchese Presidente Corrado, poco prima della di luiinfermità e morte fatto lavorare dall’Eminentissimo Sig. CardinaleDurini, ed esporre nella splendidissima Galleria di Mirabellino suaVilla presso Monza”.161 AD2, titolo II, gr. 7°, cart. 14, fasc. 3: “Hancce MensamMarmoream/Affabré/Pretiosis tessellatam Lapillis/Sibi/Ab Josepho Puteo-bonello/S.R.E. Cardinali/Archiepiscopo Mediolanensi/Legatam/ParinianoSimulacro/sustinendo/Destinavit, Despondit, Devovit/Ang. CardinalisDurinius/Secutus exemplum/Alexandri Macedonis./Qui, quum inter spo-lia Darii Persarum Regis/Unguentorum Scrinium coepisset/Auro,Gemmisque, ac Margaritis pretiosum,/Varios ejus usus/Amicis demon-strantibus/(Quando pudebat Unguenti/Bellatorem/Non indecoro pulveresordidum)/Immò herculés, inquit/Librorum Homeri custodiae detur/Utpretiosissimum Humani Animi Opus/Quam maximé divitiScrinio/Servaretur//Sub Divini Parini/Simulachrum Laureatum/Quodvisitur in medio Aulae maximae/Villae Mirabellinianae.//AdspiceParinum, quem Saecula nostra tulerunt;/Ut discant fastus ponere Priscasuos./Mirabellini. Die XVIII Mensis Julii Anni/MDCCLXXXIII”.162 Nell’archivio Durini si conservano cinque lettere del Verri (1777-86), tutte pubblicate dal Marchesi 1904, pp. 84-87; (AD2, titolo II,gr. 7°, cart. 12, fasc. 62), eccetto quella in latino (ivi, cart. 13, fasc. 6);nell’archivio Verri, presso la fondazione Raffaele Mattioli per la Storiadel pensiero economico di Milano (che ho potuto consultare con agiograzie a Giorgio Panizza e Barbara Costa), si trovano sette lettere ine-dite del Durini (cart. 270, fasc. 17).163 La lettera del Verri è anch’essa edita dal Marchesi 1904, pp. 84-87.I tre componimenti (non datati) inviati al Verri dal Durini dalMirabellino, di cui uno dedicato al Franchi, si intitolano: Post donomissum ab Excellentissimo D.no Comite Petro Verro Egregium Ipsius simu-lacrum; Ad Eundem Excellentissimum Comitem Epigramma; AdDominum N.N. Franchium Scultorem huius aetatis Principem (archivioVerri, cart. 270, fasc. 17).164 Conservata nel Fondo Novati della Società storica lombarda,Milano, busta 49, fasc. 197. Il busto è stato reso noto Morandotti1998, pp. 275-277, con fig., che lo ha collegato ad una nota del Verrial Beccaria (circa 1782), in cui lo storico accenna ai busti ideati dalFranchi per sé e per l’amico (Capra 1996, pp. 610-611). È stato iden-tificato con il modello del busto citato nella corrispondenza Verri-Durini da Geddo 2000-2001, I, pp. 87-90, e Panizza 2004, p. XI, fig.in controfrontespizio.165 Sul Franchi vedi essenzialmente Musiari 1995, pp. 7-11, eMorandotti 1998, pp. 272-277 (per il rapporto col Verri).166 Inv. 2340 C 39. Penna a inchiostro bruno, acquerellature marroni, contracce di matita, su carta bianca controfondata; 375 × 263 mm (375 ×287, col controfondo). In alto: “CONTE/PIETROVERRI/STORICO”; iscrizioni fasulle sui dorsi dei volumi; sul verso, amatita di mano novecentesca: “M. Knoller?/38”, attribuzione accoltasenza riserve nella scheda inventariale. Il disegno proviene verosimil-mente dall’eredità del cardinale, al quale potrebbe averlo donato lo stes-so Verri. Per il conferimento dell’onorificenza vedi Bianchi 1803, pp.212-213 e nota.167 Sul Corneliani e sul rapporto Verri-Corneliani, vedi essenzialmenteBianchi 1995, pp. 435-446; Morandotti 1996, pp. 73-83; Panizza1996, pp. 113-126; Morandotti, In margine…, 1999, II, pp. 1003-1111, passim. Il ritratto del Verri è riprodotto in Verga 1931, p. 360(come anonimo); sul dorso del volume si legge chiaramente “P.VERRI/STORIA/DI/MILANO/TOM[O]/I”. L’attribuzione alCorneliani, già affacciata in Il ritratto italiano…, 1910, p. 21, è soste-nuta da Bianchi 1995, p. 438, mentre Morandotti 1996, p. 97 nota 71,preferisce non pronunciarsi sulla base della fotografia.168 AD2, titolo II, gr. 12°, cart. 16, fasc. 2. Il foglio non è datato maalcuni indizi lo orienterebbero sullo scorcio degli anni ottanta.

da visita, e quindi nel 1778.101 Bona Castellotti 1991, p. 95. Il Pozzobonelli aveva formato una raracollezione monotematica di paesaggi e vedute tuttora conservata allaGalleria Arcivescovile di Milano (ivi, pp. 91-111), fondamentalmenteantitetica a quella del Durini.102 La letteratura contemporanea è ricca di riferimenti encomiastici alledue ville del Durini: il Frisi 1794, I, pp. 132-133, ad esempio, le ricor-da come “l’oggetto del buon gusto, il Tempio della erudizione, e l’av-venturosa e sacra quiete delle patrie e straniere Muse…”.103 Olio su tela, 75 × 100 cm. Il dipinto è ancora in prima tela.104 Sul vogherese Borroni (1749-1819), più tardi attivo come ritrattistaper l’aristocrazia milanese, vedi Bono 1985.105 Riprodotto in Tencajoli 1907, fig. a p. 963.106 L’acquaforte acquerellata è pubblicata a colori in Repishti, Süss2000, p. 105, fig. 185.107 Diretto da Marina Rosa per la Soprintendenza ai Beni Architettonicidi Milano.108 Vedi de Giacomi 1999.109 Dallo spoglio della corrispondenza superstite in AD2 si deduce cheil Durini trascorreva l’estate al Mirabellino, l’inverno probabilmente aMerate, e il resto dell’anno al Mirabello.110 Cenni sulla pittura, allora quasi illeggibile ma correttamente colle-gata al cardinal Durini, in Nobile 1978-1979, pp. 161-163; BagattiValsecchi, Süss 1989, pp. 103-104, figg. 85, 90; Geddo 2000-2001, I,pp. 74-75.111 Sull’argomento vedi Marchesi 1904, pp. 105-107; Zumkeller 1991,pp. 98-109, 281-283; Zanobi, Valenti 2003; Giuseppe Colombo inquesto volume.112 Il restauro del salone, condotto dall’impresa Arte e Restauro diPadova, è stato diretto da Gionata Rizzi, sotto la sorveglianza dellaSoprintendenza ai Beni Architettonici di Milano (Marina Rosa). Perun rendiconto dei lavori, vedi la relazione illustrata di Rizzi su pannel-li conservati in sede.113 Sul “Museo gioviano” vedi essenzialmente Rovelli 1928; De Vecchi1977, pp. 88-93; Fasola 1985, pp. 169-180.114 Per la serie gioviana degli Uffizi vedi Prinz 1979, pp. 603-664; perquella dell’Ambrosiana vedi Marcora 1981, pp. 91-122; Jones 1997,pp. 285-332.115 Szymonowicz 1772; Boldoni 1776. Vedi anche Marchesi 1904, pp.74-75, 92-93.116 L’incisione nel controfrontespizio del Boldoni 1776, è firmata edatata “Veyrier sculp. AVEN. 1776” (vedi l’esemplare braidense segn.25.13.M.16 o la stampa della RB, segn. RI. p. 24 99); per il prototipo,siglato “SDBella” vedi RB, segn. R. TRI. p. 5 72. Al ritratto delBoldoni il Durini dedica l’epigramma In effigiem Sigismundi Boldonii(Boldoni 1776, p. 4). Dal canto quarto de La caduta de’ Longobardi,riedito dal Durini, potrebbero essere tratti i soggetti dei due bassorilie-vi che affiancano il busto, oggi quasi illeggibili.117 Vedi note 99 e 100.118 AD2, titolo II, gr. 7°, cart. 17, fasc. 1. Si tratta di una “Nota” dipagamento per l’oggetto descritto, datata Varsavia 12 novembre 1775e firmata George Gotthold Heckel, scritta in tedesco con una grafia diardua decifrazione.119 “Fulget ubique aurum, vatesque sophosque vicissim/Egregios refe-runt scutula picta viros” (vedi note 92 e 99).120 Torna bene anche il confronto con il busto di Omero tratto da unoriginale ellenistico e diffuso in varie copie e versioni, fra cui quelle delMuseo Capitolino di Roma e del Louvre (Charbonneaux, Martin,Villard 1971, pp. 294-297, fig. 320).121 Bodard 1977, p. 111 nota 230 (scheda di R. Mezzetti), parte dellaserie di dodici busti antichi incisi su disegno di Rubens. L’esemplarequi pubblicato è conservato alla RB, segn. RI. m. 74 74.122 Landon 1807, IX, tav. 110; per Aristofane e Menandro vedi inoltrele incisioni, anch’esse tratte da marmi antichi, di Bellori 1685, II, tavv.45, 55, e Landon, 1805, V, tav. 50.123 I ritratti di Galileo e Cartesio sono connessi rispettivamente al notoritratto di Justus Sustermans agli Uffizi, 1636 (Gli Uffizi…, 1979, p.530 n. P1650) e a quello di Frans Hals (1649), perduto ma diffusoattraverso incisioni e copie, come quella del Louvre (de Lavergnée,Foucart, Reynaud, 1979, p. 66 n. 1317).124 RB, segn. RI. p. 50 35, rapportabile a un dipinto cinquecentesco delMuseo Nazionale di Thorn. Durante il soggiorno polacco, il Duriniscrisse la poesia In sphaeram Nicolai Copernici, in Durini 1768, I, p. 282.125 RB, segn. RI. m. 30 20.126 Jones 1997, Catalogo II, pp. 285-332 nn. 98, 241, 44, 22.127 Per Dante vedi Giovio 1577, fig. a p. 10; per il prototipo di Como

vedi Jones 1997, fig. 88; per la copia dell’Ambrosiana, ivi, p. 302 n. 98,fig. 23. Per Boccaccio vedi la copia dell’esemplare gioviano di Cristofanodell’Altissimo agli Uffizi (Gli Uffizi…, 1979, p. 612 n. Ic70).128 La raccolta di Cosimo I già prima del 1568 comprendeva il nucleodegli artisti, poi eccezionalmente sviluppato, con le effigi di Leonardo,Michelangelo, Tiziano e Dürer.129 Vasari 1568, ed. 1967, VII, fig. a p. 97.130 Vasari 1568, ed. 1967, III, fig. a p. 382; Alberici, Chirico De Biasi1984, p. 105 n. 126 (scheda di M. Chirico De Biasi); Ciardi, Sisi 1997,pp. 77-78 n. 1.5, pp. 81-83 nn. 1.8, 1.9 (schede di F. Tognoni). Per ilritratto gioviano, replicato per l’Ambrosiana e per gli Uffizi, ivi, pp. 75-76 n. 1.4.131 I modelli potrebbero essere l’incisione di Paolo Fidanza (1757, I,tav. I) o quella disegnata da Carlo Maratti (RB, segn. m. 35 35:“Carol. Marattus Inven. et delin./Romae apud Frey”), ispirate allastessa fonte iconografica.132 Valcanover 1978, n. 443, tav. LII. Il Tiziano del Mirabello derivaprobabilmente dal bulino settecentesco di Pietro Antonio Pozzi sudisegno di Giovan Domenico Campiglia (RB, segn. vol. CC 77), doveil pittore è volto a destra e regge una tavolozza.133 ASMI, Fondo Notarile, notaio Giuseppe Agostino Mauri, filza 46952, 14 ottobre 1796; inventario inedito, segnalato in Nobile 1978-1979, pp. 167, 179 nota 23, trascritto in Geddo 2000-2001, I, pp.247-256 e note 685-713, sarà edito in versione integrale annotata inGeddo, Un contributo..., in corso di pubblicazione. Per brevità saràcitato d’ora innanzi come “inv. 1796”.134 Per il primo vedi Geddo 2001, pp. 50, 75 n. 121, p. 109 nota 39,fig. 17; per i due pendant del Nuvolone, ivi, pp. 52, 77 n. 159, p. 110nota 55, figg. 23-24, e inv. 1796 n. 172. I tre dipinti facevano parte dellotto ereditato dallo zio Ercole Durini nel 1760 circa (AD2, titolo VI,cart. 10, fasc. 2).135 “Notta de’ Quadri comprati alla Tromba del Sig. Abb(a)te Canonicod(ell)a Scala P(resen)ti”, s.d. [1759-77]; “Notta de’ Quadri compratida me in diversi tempi”, s.d. [circa 1779] (AD2, titolo VI, cart. 10,fasc. 2).136 AD2, titolo II, gr. 7°, cart. 13, fasc. 3.137 Bulino, 615 × 420 mm. Catalogato in Didot, 1876, pp. 98-99 n. 11.138 Inv. 1796, nn. 861-862 (vedi nota 133).139 Inv. 1796, nn. 859-860 (vedi nota 133). La tappa a Dresda, nonnota agli storici del Durini, è attestata da una lettera da Varsavia diTaddeo Lipski del 12 settembre 1772, che gli chiede riscontro dell’ar-rivo nella città sassone (AD2, titolo II, gr. 7°, cart. 13, fasc. 7).140 Bulino, 620 × 410 mm circa ciascuno (rifilati lungo i bordi). IlFederico Augusto III è catalogato in Visages…, 1997, pp. 264-265 (sche-da di A. James).141 Inv. 1796 n. 639 (vedi nota 133). RB, segn. Art m. 29 63: bulino,348 × 500 mm; vedi Chiari 1982, pp. 168-169 nn. 199-202. Per le tra-duzioni vedi Durini, 1969, II, pp. 34-50.142 Inv. 1796 n. 859. RB, segn. Art. cart. f.s. 2 22, 24: acquaforte ebulino, rispettivamente 567 × 741 e 569 × 743 mm. Catalogate inMarini 1988, pp. 138-139 nn. 218-219, figg. a pp. 143-144 (schededi G. Marini).143 Durini 1792. Identificabile con uno dei “Depositi di due Ponteficiin S(an)to Pietro” (inv. 1796 n. 859); vedi nota 133. Acquaforte e buli-no; vedi Pezzini Bernini, Fiorani, 1993, pp. 99-100 n. S3, fig. a p. 99(scheda di G. Pezzini Bernini); Honour 1993, p. 14. La “scattola conil Rame del Deposito di Clemente XIII” è annotata l’11 agosto 1792in una lista di spese dall’agente romano del Durini (AD2, titolo II, gr.7°, cart. 13, fasc. 1). Il 29 settembre successivo il cardinale CarloRezzonico ringraziava il Durini per il libro di versi (ivi, cart. 12, fasc.1); il 17 ottobre Andrea Luigi de Carli gli riferiva di aver visto presso ilFranchi a Brera l’incisione del Morghen, che aveva lasciato insoddi-sfatto il committente (ivi, cart. 13, fasc. 7).144 Inv. 1796 n. 154 (vedi nota 133). I primi due dovevano essere calchidei busti marmorei di Giuseppe Franchi, rispettivamente del 1789 e1780; il terzo del busto di Giuseppe Ceracchi del 1790, tutti in colle-zione privata (vedi Mazzocca 2001, p. 517, figg. 34-35, p. 510, fig. 9).Tra i carmi dedicati dal cardinale ai Belgioioso vedi Durini, 1777 (inmorte di Anna Ricciarda) e Durini s.d. (al principe Alberico).145 La donazione al Comune di Gorla Minore di trentun ritratti dimembri della famiglia Durini, incluso il gruppo proveniente dal cardi-nale, è stata effettuata il 21 gennaio 2004 dalla famiglia Durini AjmoneCat del ramo secondogenito.146 Inv. 1796 n. 122 (vedi nota 133). Olio su tela, 77,5 × 60 cm. L’iscrizioneotto-novecentesca sul retro, “C.SA MARGHERITA/VISCONTI/1700”, identi-fica erroneamente l’effigiata con Margherita Visconti, sposa di Giacomo

162

169 Biblioteca dell’Università di Pavia, Mss. Ticinensia, 533, cart. 1, n. 16trascritta e commentata in Geddo 2000-2001, I, pp. 92-93 e nota 164.170 Patente di ammissione in AD2, titolo II, gr. 7°, cart. 2, fasc. 27.171 Coppa, La pittura del Seicento..., 1989, I, p. 266.172 Inv. 1796, n. 132 (vedi nota 133).173 Anche il Marchesi 1904, p. 99, ne ricorda due, uno al Mirabello e unoal Balbiano.174 Reso noto in Mazzocca, Morandotti, 1999, p. 223 n. 19, fig. a p.64, da Fernando Mazzocca, che lo suppone di originaria provenienzaSerbelloni, collegandolo al busto del Franchi a Brera (1791) e datan-dolo agli anni 1800-10. È alto 66 cm.175 RB, segn. RI. 232 79: bulino, 295 × 200 mm. Iscrizioni: in basso fuorimargine: “Jos. Franchi in marm. Fecit – Jac. Freij del. et inc. /ANGELO

DVRINIO CARD. AMPLISS./NOVO MAECENATI/HANC IOSEPHI PARINI NOVI

FLACCI/EFFIGIEM IACOBVS IAC. N. FREY DEDICAT”. Questa stampa pro-viene dalla collezione del cardinale, come accerta la nota di possesso inbasso a matita: “Durini Angelo”, il primogenito dei tre nipoti eredi.176 Parini 1975, pp. 149-163.177 Per la donazione del Mirabellino vedi ASMi, Fondo Notarile, notaioGiovanni Antonio Crivelli, filza 46195; Maria Teresa Terzaghi ringra-zia il cardinale per il dono fatto alla figlia in una lettera dell’agosto1795 (AD2, titolo II, gr. 9°, cart. 19, fasc. 9). Per i passaggi di proprietàdel Mirabello (che il cardinale aveva affittato a Francesco Fossati e fra-telli dal 19 novembre 1793) vedi AD2, titolo VI, gr. 11°, cart. 15, fasc.20; ASMi, Fondo Notarile, notaio Luigi Formenti della Croce, filza49502, 15 maggio 1805 (Nobile 1778-1779, p. 169 e nota 26). Il 6ottobre 1797 si avviava la divisione dell’eredità del cardinale fra i trenipoti Angelo, Giacomo e Francesco (AD2, titolo VI, gr. 11°, cart. 15,fasc. 14, con allegata la descrizione degli stabili dei periti ingegneriCarlo Bellinzaghi e Giuseppe Lavelli). L’acquisto del Mirabello, stipu-lato l’8 giugno 1804 (tramite Agostino Maddaleni), è messo a punto il15 maggio 1805, quando si pattuisce il prezzo di lire 169 200, con l’ag-giunta di lire 3 604 per un gruppo di mobili (fra cui, sembra, i quat-tro busti di Imperatori ).178 ASMi, Fondo Notarile, notaio Carlo Bonifacio Reina, filza 46635,rispettivamente primo e 6 dicembre 1806 (segnalato da Nobile 1778-1779, p. 170 e nota 27, p. 284 e nota 13). Il Mirabello è ceduto dalVimercati di Sanseverino per lire 198 789.16.16; il Mirabellino daGiuseppe Trivulzio per lire 70 000. Alle due compravendite sono alle-gate le relative descrizioni del perito ingegner Ferrante Giussani.179 Pillepich 1999, pp. 104-105 n. 90: “Veduta della Villa Augusta nelrecinto del Real Parco di Monza/Dedicata a S. A. I. la Ser.maPrincipessa Augusta Amalia di Baviera Vice-Regina d’Italia”. Vedianche Mezzotti 1841, pp. 14-15.180 Mezzotti 1841, p. 38: “alcuni anni orsono, minacciando l’edificio dirovinare venne decorosamente riparato…”; Bagatti Valsecchi, Süss1989, p. 105.181 Nella descrizione del Giussani (23 giugno 1806) si citano “trenta-cinque statue di Chiepo gentile” sullo “spalto” verso il Mirabello, una“vasca con due statue e due grifoni” al centro della corte verso la stra-da, l’“altare di lustro e balaustra” della cappella (ASMi, Fondo Notarile,filza 46635, 6 dicembre 1806). Il Durini stesso riferisce l’intitolazionedella cappella nella citata lettera del 16 settembre 1795 (AD2, titolo II,gr. 7°, cart. 8, fasc. 5); è stata smantellata anche l’iscrizione incisa sulla

lapide del portale, che doveva recare il nome del titolare.182 Descrizione del Giussani del 1806: “n. 20 sala ove fu otturato il porti-co con sei portine ed uscio in volta reale”; le due stanze adiacenti chedovrebbero corrispondere a quelle decorate, sono indicate come “da letto”ai nn. 19 e 21 (ASMi, Fondo Notarile, filza 46635, 6 dicembre 1806).183 Esempi nella linea di gusto della volta del Mirabellino si trovano, fragli altri, nella villa Toffetti Monticelli Ulrich a Besana in Brianza, fon-data verso il 1835-40, e nella villa Cornaggia Medici a Inzago (BagattiValsecchi, Cito Filomarino, Süss 1978, I, fig. a p. 168; Perogalli, Favole1967, fig. a p. 347).184 Vedi i progetti del Tazzini e l’incisione tratta dal Sanquirico (circa1830), che riproduce la facciata est precedente l’intervento, anche segià privata del frontone barocchetto (Bagatti Valsecchi, Süss 1989, pp.111-113, figg. 102-105).185 Nobile 1978-1979, p. 290, li definisce “affreschi ottocenteschirecentemente rifatti”, confermando la mia impressione.186 ASMi, Fondo Genio Civile, cart. 2985, “Monza. Parco, Mirabellino,Salone detto delle Cacce, Opere di Fabbrica e di Dipintura”.187 Pittore milanese, allievo dell’Accademia di Brera dove espose nel 1826,1827 e 1830 tre lavori fra cui un piccolo bassorilievo in cera con ilCenacolo di Leonardo (Atti della Cesarea…, 1826, p. 48; 1827, p. 45; 1830,p. 49; Saur 1998, XIX, p. 533). Il Clerici aveva operato anche nel palazzodel conte Belgioioso, come informa il capomastro Crivelli proponendoloper la pittura del Mirabellino (ASMi, ivi, lettera dell’8 ottobre 1831).188 Paesaggista e in seguito vedutista, attivo a Milano, fu allievodell’Accademia di Brera dove espose dal 1812 al 1832 (Atti dellaCesarea…, fasc. 1812, p. 59; 1832, p. 66; Esposizione de’ grandi…,1827, p. 11 nn. 77-78). Vedi Gozzoli, Rosci 1975, pp. 47-48, p. 51nota 14 (testo di M.C. Gozzoli).189 Sul Biedermeier vedi Vienne 1815-1848…, 1985.190 Bagatti Valsecchi, Cito Filomarino, Süss 1978, I, fig. a p. 31.191 Documentata in Bagatti Valsecchi, Süss 1989, pp. 98-99, fig. 83,oltre che in un dossier sui restauri conservato in sede, era caratteriz-zata da una compresenza di elementi neogotici (la volta tappezzata dicroci e stelle dorate) e rocaille (i motivi floreali delle lunette).192 ASMi, Fondo Genio Civile, cart. 2985, “Lavori diversi”. Per questi lavo-ri, affidati per la parte muraria al capomastro Giuseppe Oggioni,l’Ispettorato alle Fabbriche del Parco di Monza proponeva un preventivodi spesa (accettato) di lire 1 605.42 (corrispondenza del marzo-aprile1854). Si arguisce che il progetto decorativo doveva essere più ampio diquanto poi effettivamente realizzato nell’appartamento nobile; la campa-gna di rifacimento dei soffitti a canniccio potrebbe essersi estesa all’ala sud.193 Sull’attività di decoratore dello Scrosati vedi Zatti 1998, pp. 113-130, e Zatti 1999, pp. 19-25, autrice di una tesi monografica sull’ar-gomento. Fra le residenze decorate dallo Scrosati, purtroppo scarsa-mente illustrate (a eccezione della casa Poldi Pezzoli), c’è anche la vici-na villa Litta di Vedano al Lambro (1851-55). Le due volte delMirabello sono state lette nell’ambito del “neobarocco ottocentesco”,con riferimenti al quadraturismo dei Galliari, da Nobile 1978-1979,pp. 163-164, e accostate ai modi dello Scrosati da Bagatti Valsecchi,Süss 1989, didascalia della fig. 89 a p. 101.194 Per i confronti con villa Erba, vedi Balzaretti 1964, p. 81, tav. XVII,figg. 41-43; per quelli con villa Cusani Tittoni, vedi Bagatti Valsecchi,Cito Filomarino, Süss 1978, I, fig. a p. 82.

Il documento inedito qui pubblicato, stralciato da un piùcorposo fascicolo (AD1, Mirabello. Confini, Mappa ter-ritoriale, mazzo senza custodia, cart. 1.5.5), contiene lastima delle pitture compiute nella residenza da GiovanniMariani, redatta dall’architetto progettista della villaGerolamo Quadrio il 10 gennaio 1671 (su visita del 6gennaio), con in calce la ricevuta del pagamento firmatadal pittore il 14 marzo successivo. Si tratta dell’unicodocumento relativo alle decorazioni pittoriche delMirabello da me rintracciato nell’archivio Durini, e il suointeresse è accresciuto dal fatto che le opere menzionate(fregi e soffitti a rosette) sono tuttora riconoscibili, seb-bene in gran parte celate da interventi successivi, neilocali al primo piano del corpo centrale della villa. Perquanto succinta, la descrizione dell’architetto sembraesatta, a eccezione delle “118” rosette rilevate nel soffittodella penultima stanza che sono in realtà 168.

Mirabello 1666 al 1675.Fabbrica ossia Casa da nobile, ossia Palazzo. Costruzionedel medesimo, spese etc. sotto la direzione, dissegno, emanoduzione dell’Ingegnere Sig(no)r Geronimo Quadrioincominciata l’anno 1666 e terminata nel 1675.

[…]1671. 10 genn(ar)o

Per quanto ha fatto il Sig(no)r Gio(vanni) Marriano diPittura nella Casa del Mirabello dell’Ill(ustrissi)moSig(no)r Co(nte) Gioseppe Durrino, conforme si visitòda me Ing(egne)re infras(crit)to per ordene et alla pre-senza d’esso Sig(no)r Conte adì 6 gen(na)ro corrente.P(e)r ha(ver) fatto il freggio di chiaro e scuro con diver-si ornamenti d’Architet(tu)re a prospettiva nella stanzasup(erio)re aparo alla scala grande, qual fregg(i)o è fattocon ripparto de quat(tr)o Puttini ne’ fianchi et dueIstoriette in ottavo nelle teste. Il Cielo di d(ett)a stanza:

rose bianche con roversii avinati, il fondo verde, forma-no d(et)te rose n° 112.Stanza di mezzo seguente alla sud(det)ta versoMezzog(ior)no: freg(gi)o conf(orm)e al sud(det)to, moltogentile, con quatro Paiesi et due Battaglie nelle teste; ilCielo in giusta quantità conf(orm)e il sud(det)to, conrose violete et fondo azzurro, resta molto alegro.Stanza di cantone con otto Medaglie et Cornice che vireligha sopra: vi sono quat(tr)o Istorie ma fiacche; ilCielo è con rose n° 180 con el fondo verde.Altra stanza di cantone verso Tram(onta)na, con Cielo inquantità conf(orm)e il sud(det)to et il fregg(i)o ripartitoa Paiesi n° 8 et quatro Istorie, le figure molto fiacche.Altra stanza che resta sup(erio)re alla Galleria: freg(gi)oconf(orm)e a’ sud(detto) ma con minor fatt(u)re. Cieloin rose n° 118, fondo avinato et fondo trucchino contravetti verdi.Altra stanza verso corte per scontro la scala: fregg(i)o conCartelle che hanno certi vasi ben concertati nelle teste, etne’ fianchi chiari e scuri ma deboli per le figure. Il Cieloin rose n° 136, rose bianche con roversii morelini.Vi è la finta dell’Antiporto sotto al porticho, et la mez-zafinestra sop(r)a l’Antiporto al reppiano delle scale.Per quali tutte pitt(u)re, essendosi fatti a tutta spesa de’colori del d(et)to Sig(no)r Mariano, et ancho dice haverfatto dar la tinta alla ferrata del parapetto del poggioloche gira intorno la sala et alt(r)o detto fatto, dico permio par(e)re pottersegli dare per sua mercede lire mille-ducento undeci Imp(eria)li, dico de £ 1211 s.- d.-Dato in Mil(an)o questo dì 10 gen(nar)o 1671.

I(eronimo) Quadrio Ing(egnier) Coleg(iat)o di Mil(ano)

adì 14 marzo 1671sono lire 1211 che io o riceputo dal Ill(ustrissi)moSig(no)r Conte Giosefo Dur(in)o per compl(et)o pacha-me(nt)o conforme ala sudeta stima io Giovani Mariano[…]

174

Stima e pagamento delle pitture eseguiteda Giovanni Mariani al Mirabello

a cura di Cristina Geddo


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