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Da San Vito al «Fanfulla»: Guglielmo De Toth (1830-1900) patriota, poeta e giornalista, «Atti...

Date post: 07-May-2023
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Atti dell’Accademia “San Marco” di Pordenone, 16 (2014) ISBN: 97888 904107 7 2 905 DA SAN VITO AL «FANFULLA»: GUGLIELMO DE TOTH (1830-1900) PATRIOTA, POETA E GIORNALISTA Stefania Miotto «…perché non t’occupi seriamente, esclusivamente di letteratura e di poesia? L’alito del Genio passò sulla tua fronte; hai l’ispirazione nel cuore, la primavera nel cervello, i tuoi migliori studi finora furono i letterarii; non io ma tutti ti acclamano poeta. Perché cerchi un’altra via, quando già batti la vera?». 1 A esortare il giovane amico Guglielmo De Toth (fig. 1) era l’irredenti- sta triestino Costantino Ressman, 2 che gli scriveva nel marzo 1854 da Pari- gi. La lettera, ritrovata insieme ad altre missive nell’abitazione padovana del destinatario, gli avrebbe fruttato di lì a poche settimane l’arresto ad opera della polizia austriaca; il giudizio, invero generoso, sulle sue poten- zialità letterarie, conteneva però una felice intuizione... Guglielmo Ferdinando De Toth era nato a San Vito al Tagliamento il 7 ottobre 1830. 3 Il padre Francesco, appartenente ad una nobile famiglia ungherese gravemente compromessa con la rivoluzione magiara, svestita la divisa di capitano degli Ussari aveva preso in moglie nel 1828 una friulana, 1 Cfr. G. STEFANI, Studenti di Padova (lettere giovanili di Costantino Ressman), Trieste 1952. 2 L’irredentista Costantino Ressman (Trieste 1832-Parigi 1899), laureatosi in Legge nel 1853 presso l’ateneo patavino, dove aveva stretto amicizia con il De Toth, percorse in seguito una rapida carriera diplomatica, ricoprendo il ruolo di consigliere d’ambascia- ta a Londra (1878-1882), ambasciatore a Costantinopoli (1890) e quindi a Parigi (1893-1895). 3 Archivio Storico Diocesano di Pordenone (d’ora in poi, ASDPn), Archivio Parroc- chiale di San Vito al Tagliamento, Registro battesimi 1817-1844, ad diem. Su Guglielmo De Toth solo scarne notizie sono contenute in Mille protagonisti per 12 secoli nel Friuli Occidentale, Pordenone 2000, ad vocem, che a sua volta riprende R. ZOTTI, S. Vito nella storia. Uomini e famiglie notabili, Sacile 1926, 61. Ad opera della scrivente, una prima raccolta di dati è stata resa nota in: S. MIOTTO, Frammenti di Risorgimento: i sanvitesi Rosa e Guglielmo De Toth, «La Loggia», n.s. 15 (2011), 83-98. La figura del giornalista non compare nel recente monumentale Nuovo Liruti. Dizionario Biogra- fico dei Friulani, 3. L’Età contemporanea, a cura di C. SCALON, C. GRIGGIO, G. BERGA- MINI, Udine 2011. Negli atti e nelle pubblicazioni il cognome presenta più varianti (De Toth, Thot, Tot).
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Atti dell’Accademia “San Marco” di Pordenone, 16 (2014)ISBN: 97888 904107 7 2 905

DA SAN VITO AL «FANFULLA»:

GUGLIELMO DE TOTH (1830-1900)

PATRIOTA, POETA E GIORNALISTA

Stefania Miotto

«…perché non t’occupi seriamente, esclusivamente di letteratura e di

poesia? L’alito del Genio passò sulla tua fronte; hai l’ispirazione nel cuore,

la primavera nel cervello, i tuoi migliori studi finora furono i letterarii; non

io ma tutti ti acclamano poeta. Perché cerchi un’altra via, quando già batti

la vera?».1

A esortare il giovane amico Guglielmo De Toth (fig. 1) era l’irredenti-

sta triestino Costantino Ressman,2 che gli scriveva nel marzo 1854 da Pari-

gi. La lettera, ritrovata insieme ad altre missive nell’abitazione padovana

del destinatario, gli avrebbe fruttato di lì a poche settimane l’arresto ad

opera della polizia austriaca; il giudizio, invero generoso, sulle sue poten-

zialità letterarie, conteneva però una felice intuizione...

Guglielmo Ferdinando De Toth era nato a San Vito al Tagliamento il

7 ottobre 1830.3 Il padre Francesco, appartenente ad una nobile famiglia

ungherese gravemente compromessa con la rivoluzione magiara, svestita la

divisa di capitano degli Ussari aveva preso in moglie nel 1828 una friulana,

1 Cfr. G. STEFANI, Studenti di Padova (lettere giovanili di Costantino Ressman), Trieste 1952.

2 L’irredentista Costantino Ressman (Trieste 1832-Parigi 1899), laureatosi in Legge nel 1853 presso l’ateneo patavino, dove aveva stretto amicizia con il De Toth, percorse in seguito una rapida carriera diplomatica, ricoprendo il ruolo di consigliere d’ambascia-ta a Londra (1878-1882), ambasciatore a Costantinopoli (1890) e quindi a Parigi (1893-1895).

3 Archivio Storico Diocesano di Pordenone (d’ora in poi, ASDPn), Archivio Parroc-chiale di San Vito al Tagliamento, Registro battesimi 1817-1844, ad diem. Su Guglielmo De Toth solo scarne notizie sono contenute in Mille protagonisti per 12 secoli nel

Friuli Occidentale, Pordenone 2000, ad vocem, che a sua volta riprende R. ZOTTI, S.

Vito nella storia. Uomini e famiglie notabili, Sacile 1926, 61. Ad opera della scrivente, una prima raccolta di dati è stata resa nota in: S. MIOTTO, Frammenti di Risorgimento:

i sanvitesi Rosa e Guglielmo De Toth, «La Loggia», n.s. 15 (2011), 83-98. La figura del giornalista non compare nel recente monumentale Nuovo Liruti. Dizionario Biogra-

fico dei Friulani, 3. L’Età contemporanea, a cura di C. SCALON, C. GRIGGIO, G. BERGA-

MINI, Udine 2011. Negli atti e nelle pubblicazioni il cognome presenta più varianti (De Toth, Thot, Tot).

Atti dell’Accademia “San Marco” di Pordenone, 16 (2014)ISBN: 97888 904107 7 2906

Stefania Miotto, Da San Vito al «Fanfulla»: Guglielmo De Toth (1830-1900) patriota, poeta e giornalista

Anna Moretti, che era nata a Udine e risiedeva da tempo con la famiglia a

Casarsa.4 Impiegato in qualità di cancelliere nella Regia Pretura, il barone

De Toth si stabilì con la sua sposa a San Vito al Tagliamento, dove nacque-

ro e furono battezzati i figli Rosa e Guglielmo. In seguito, sempre in quali-

tà di cancelliere, ottenne il trasferimento alla Pretura di Tolmezzo, dove

videro la luce i figli Matilde, Elisa e Francesco.5 Nel gennaio 1842 venne

nominato «protocollista degli esibiti» nel Tribunale di prima istanza in Pa-

4 Il matrimonio tra Francesco Toth quondam Stefano, «nato il giorno 17 ottobre 1792 in Giongios Regno d’Ungaria, ora domiciliato in S. Vito» e Andriana Anna Maria Moretti quondam Maurizio, nata a Udine il 4 marzo 1806, venne celebrato a Casarsa il 30 aprile 1828 (ASDPn, Archivio Parrocchiale di Casarsa, Registro matrimoni 1786-1845, 40v-41r).

5 Matilde si unì in matrimonio con Osvaldo Vian (1851), Elisa con Antonio Gianese (1860) e Francesco con Eleonora Vannini di Udine (1880). Da quest’ultima unione nacque Paolo De Toth (1881-1965), che divenne un conosciuto sacerdote antimoder-nista (si veda il profilo tracciato da M. INVERNIZZI in Voci per un “Dizionario del

Pensiero Forte”, a cura di G. CANTONI, Piacenza 1997, 239-244).

1. Guglielmo De Toth

Atti dell’Accademia “San Marco” di Pordenone, 16 (2014)ISBN: 97888 904107 7 2 907

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dova, città in cui ebbe i natali l’ultima figlia, Agata.6 Dal capoluogo patavi-

no, negli ultimi mesi del 1846, si spostò infine con la famiglia a Venezia,

trovando impiego prima come auditore, poi come registrante al Tribunale.

Qui il giovane Guglielmo frequentò il Liceo “Santa Caterina” (poi deno-

minato “Marco Foscarini”), dove fu condiscepolo di Paulo Fambri; allo

scoppio della rivoluzione veneziana del 1848, i due si ritrovarono commili-

toni nell’arma d’artiglieria, rafforzando in quei drammatici eventi la loro

amicizia, mediante la quale il Fambri ebbe modo di conoscere Rosa, sorel-

la primogenita di Guglielmo, che sposò nel 1852.7

Scomparso frattanto il padre Francesco nel marzo 1851, Guglielmo si

era trasferito con la madre, i fratelli e le sorelle a Padova. Iscrittosi con

poca convinzione alla Facoltà politico-legale,8 aveva stretto amicizia con il

compositore padovano Achille Galli e con un gruppo di studenti – oltre al

già citato Ressman, il dalmata Emilio Vecchietti, Francesco Gabrielli di

Pirano e i triestini Antonio Valdoni, Alessandro Zencovich e Pietro Rusco-

ni – tra i quali serpeggiava in modo manifesto l’avversione nei confronti

dell’oppressivo potere asburgico.

Agli studi di legge preferiva tuttavia di gran lunga l’esercizio poetico.

La prima opera di cui abbiamo notizia è un poemetto giocoso in sestine,

La Ballerina,9 sull’amore non corrisposto per una danzatrice, che gli prefe-

risce un ricco rivale:

Ma qui passa un Poeta; e sì l’ammalia

Il riso di quell’inclita fanciulla,

Che in arcadico stil, bello di getto,

Ex abrupto le spiffera un sonetto,

Ove in un vasto mar d’erudizione

Stemprò la terra, ed annegò le stelle…

6 Il luogo di nascita dei figli di Francesco De Toth e Anna Moretti è stato reperito presso l’Archivio Municipale di Venezia (d’ora in poi, AMVe), Scheda Famiglia 1857, Castello 3212. La coppia ebbe anche un’altra figlia, Elisabetta Maria, nata il 1 aprile 1834 (ASDPn, Archivio Parrocchiale di San Giovanni di Casarsa, Registro battesimi

1777-1855, ad diem) e presumo scomparsa in tenera età.7 S. MIOTTO, Frammenti di Risorgimento, 83.8 Il De Toth frequentò i primi due anni accademici, dal 1851 al 1853, abbandonando

poi gli studi senza giungere al conseguimento della laurea. Queste informazioni, come quelle relative a Raimondo Brenna (nota 30) mi sono state gentilmente fornite dal dott. Francesco Piovan dell’Archivio Generale di Ateneo dell’Università degli Studi di Padova, che ringrazio per la consueta disponibilità.

9 La Ballerina. Sestine di G. Toth, Padova 1853.

Atti dell’Accademia “San Marco” di Pordenone, 16 (2014)ISBN: 97888 904107 7 2908

Stefania Miotto, Da San Vito al «Fanfulla»: Guglielmo De Toth (1830-1900) patriota, poeta e giornalista

Forse credea coi versi il gocciolone,

Il vuoto compensar delle scarselle!

Ma mentre i suoi talenti ei pone in mostra

Un nuovo battaglier scende alla giostra.

Lo squattrinato verseggiatore si vendica immaginando di ritrovare la

ballerina, dopo qualche tempo, abbandonata dall’amante e caduta in po-

vertà; infine, «triste conforto alle gioje perdute è il disinganno», poiché

sottoposte «all’inclemente vetro» del binocolo, le corteggiatissime protago-

niste dei palcoscenici non riescono a mascherare i loro difetti:

Ma le mie Ballerine? – Oh! i cannocchiali

Per le tapine fecero l’effetto

Che faranno per me certi cotali

Prestando al terzo, al quarto il mio libretto

Che intanto dai libraj langue avvilito

Più di certe ragazze da marito.

La composizione reca la dedica «Al Dr. Francesco-Costantino Res-

sman di Trieste. Documento d’amicizia»; nel suo viaggio per Parigi, il trie-

stino ne aveva recapitato una copia alla redazione del periodico letterario

milanese «Il Crepuscolo», confidando in una benevola recensione di cui

non abbiamo ulteriori notizie. Nei mesi seguenti Guglielmo inviò al Res-

sman anche alcune traduzioni di poesie di Victor Hugo, una pubblicazione

dedicata questa volta «A Francesco Gabrielli di Pirano acclamato dottore

in ambe le leggi. Documento d’esultanza»10 e altri versi composti per la

laurea in medicina dell’amico Zencovich. Insomma, la scarsa attitudine per

l’ambito giuridico lo portava a impiegare in altro modo il suo tempo, va-

gheggiando un futuro letterario o artistico con la frequentazione dell’Ac-

cademia di Venezia, e infiammandosi in avventate discussioni politiche

contro l’Austria. La polizia, avvertita che il giovane pronunciava «discorsi

imprudenti mantenendo anche una sospetta corrispondenza con qualche

suo amico di sentimenti liberali», lo teneva d’occhio da tempo: il 6 maggio

1854 l’abitazione padovana di De Toth venne perquisita ed egli fu arresta-

to e condotto alle carceri politiche di San Matteo; stessa sorte toccò a

Galli e Valdoni, mentre gli altri amici vennero sottoposti a rigorosa sorve-

10 Passere solitario: fantasie di V. Hugo, versione di G. Tóth, Padova 1854.

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glianza.11 Processato a Mantova per «crimine di alto tradimento»,12 il No-

stro fu assolto, ma nel frattempo si era rafforzata in lui la convinzione di

abbandonare definitivamente gli studi giuridici per dedicarsi alla letteratu-

ra, cui si sentiva maggiormente inclinato.

Fallito il tentativo di fondare a Padova un giornale letterario, che pare

dovesse intitolarsi «Servosuo», per qualche tempo fu a Trieste; quivi, salvo

improbabili omonimie, riprese a dare alle stampe qualche componimento

poetico d’occasione, in cui – messi momentaneamente da parte gli accenti

antiaustriaci – si dedicava alla celebrazione di eventi legati al progresso

nelle comunicazioni. Risale a questo periodo l’ode composta per il Con-

gresso ferroviario germanico,13 che si tenne in città nel settembre 1858 con

l’arrivo da tutto l’Impero di delegati della Società delle Ferrate, che gestiva

i collegamenti dell’Austria-Ungheria. Un evento significativo per l’econo-

mia della città giuliana, poiché l’apertura della linea ferroviaria che colle-

gava Trieste a Vienna, inaugurata l’anno precedente, aveva dato enorme

impulso all’attività portuale: grazie ai nuovi collegamenti su rotaia, nell’ar-

co di dodici mesi le merci in transito triplicarono, passando a 3 milioni di

quintali movimentati nel 1858.

Nello stesso anno, si costituì a Trieste un comitato che intendeva dedi-

care un monumento a Giuseppe Ressel, sfortunato inventore dell’applica-

zione dell’elica alla navigazione a vapore, scomparso qualche mese addie-

tro. Nel 1829 il piroscafo “Civetta”, su cui l’ispettore forestale boemo ap-

passionato di imbarcazioni stava testando l’elica, era riuscito a percorrere

11 G. STEFANI, Studenti di Padova, 4. Francesco Gabrielli mantenne il proprio atteggia-mento antiaustriaco anche dopo il rientro a Pirano: nel 1861 era fra i venti deputati della Dieta istriana che, invitati ad eleggere rappresentanti al Parlamento di Vienna, decisero di votare con la parola «Nessuno», esprimendo in tal modo la ribellione dell’Istria nei confronti dell’autorità imperiale asburgica.

12 Gli atti del processo sono conservati presso l’Archivio di Stato di Mantova, Imperial

Regia Corte Speciale di Giustizia in Mantova. Processi 1854-1857, 8/18. Cfr. inoltre A.

TAMARO, Storia di Trieste, 2 voll., Roma 1924, II, 389, 402; G. STEFANI, Studenti di Pa-

dova, Trieste 1952; ID., Cavour e la Venezia Giulia. Contributo alla storia del problema

adriatico durante il Risorgimento, Firenze 1955.13 G. TOTH, Trieste e il congresso ferroviario germanico. Ode, Trieste 1858. Per accogliere

degnamente i delegati delle società ferroviarie, venne data alle stampe anche una guida della città, a firma di quattro illustri uomini d’impresa e di cultura: il medico e scrittore Saul Formiggini, lo storico e giurista Pietro Kandler, il barone Pasquale Revoltella e il barone, avvocato e consigliere comunale Giovan Battista Scrinzi; la guida uscì dai rinomati torchi della Tipografia del Lloyd Austriaco in diecimila copie, in quattro edizioni e lingue diverse, italiano, tedesco, inglese e francese (Tre giorni a

Trieste, Trieste 1858).

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cinque miglia nel golfo triestino con quaranta passeggeri a bordo, alla ve-

locità di sei nodi: l’esperimento fu però interrotto dallo scoppio di un tubo

a vapore e la polizia ne vietò la prosecuzione per ragioni di sicurezza. Nel

decennio successivo la propulsione ad elica sarebbe diventata di uso comu-

ne e molte nazioni rivendicarono la paternità dell’invenzione, mentre Res-

sel non ottenne in vita alcun riconoscimento dei propri meriti. Nell’ambito

delle iniziative con cui Trieste cercava tardivamente di risarcire la memoria

dell’inventore, si inserisce anche una poesia composta dal Nostro,14 data

alle stampe dalla tipografia del Lloyd austriaco, che aveva appena pubbli-

cato ad opera del comitato una biografia di Ressel:15 l’auspicato monumen-

to, tuttavia, ebbe realizzazione solo qualche anno dopo a Vienna, davanti

al Politecnico.

Maggiore attenzione fu riservata dalla città al promotore del Canale di

Suez Ferdinand de Lesseps, attorno alla cui figura si concentrò il connubio

tra finanza e ceti armatoriali, con il consenso di Comune, Lloyd, Camera di

Commercio, Assicurazioni, stampa e opinione pubblica.16 Per omaggiare il

breve soggiorno del diplomatico francese a Trieste, nel febbraio 1859 il

banchiere Pasquale Revoltella diede un ballo nelle sale del suo nuovo ed

elegante palazzo, aperto al pubblico per la prima volta, festa cui partecipò

anche l’arciduca Massimiliano d’Asburgo; nell’occasione fu esposto anche

il bozzetto in gesso del gruppo scultoreo Il Taglio dell’Istmo di Suez, che lo

scultore Pietro Magni, presente al ballo, stava realizzando per l’ambizioso

proprietario dell’edificio. Ancora una volta De Toth, che già precedente-

mente aveva dedicato a Lesseps un’ode, pubblicata nell’«Osservatore trie-

stino» il 17 novembre 1857, quando l’imprenditore era giunto in città diret-

to a Costantinopoli, rinnovò l’omaggio con un’altra poesia celebrativa nel

14 ID., Giuseppe Ressel primo applicatore dell’elica alla navigazione a vapore. Polimetro, Trieste 1858.

15 Biografia di Giuseppe Ressel intendente forestale presso l’I.R. Marina da guerra, in-

ventore dell’applicazione dell’elice alla navigazione a vapore pubblicata per cura di un

comitato formatosi all’oggetto di onorare la memoria di lui coll’erigergli un monumen-

to, Trieste 1858.16 G. CERVANI, Il “Voyage en Egypte” (1861-1862) di Pasquale Revoltella, Trieste 1962,

passim. Sul ruolo del banchiere nell’impresa dell’istmo di Suez, cfr. Pasquale Revol-

tella, 1795-1869: sogno e consapevolezza del cosmopolitismo triestino, Catalogo della mostra (Trieste), a cura di M. MASAU DAN, Tavagnacco 1996; G. CERVANI, L’impresa

della realizzazione e l’apertura del canale di Suez, in L’assicuratore Giuseppe de Mor-

purgo (1816-1898): banchiere, benefattore, uomo politico, Trieste 1998, XLIV-XLIX. Si veda anche il catalogo, in corso di stampa, della mostra Trieste-Suez. Storia e mo-

dernità nel Voyage en Egypte di Pasquale Revoltella, Trieste 2012.

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medesimo quotidiano.17 Abbiamo notizia anche di versi apparsi nel perio-

dico «L’Anello», fondato nel 1856 dal giovane giornalista Emilio Treves,

che intercettava il favore della gioventù patriottica triestina.18 La voce

stessa della Patria esercitava tuttavia un richiamo sempre più forte sul No-

stro: come molti, egli si arruolò volontario nei “Cacciatori delle Alpi” di

Garibaldi nella campagna del 1859.19

Dopo l’armistizio di Villafranca, Guglielmo non poteva certo rientrare

a Trieste o nel Veneto rimasto sotto il dominio asburgico. Una sua poesia,

composta in occasione del secondo anniversario della morte di Daniele

Manin, stampata a Bologna, potrebbe indicare un forzato esilio in Emilia.20

Nel carme egli invita in primo luogo le giovinette di Felsina a simulare,

sulla terra ove «Dormon fra l’ombre pie della Certosa, / Espïate di lacrime,

le sante / Ceneri d’Ugo», un altare che ricordi quelle, rimaste ancora in

terra straniera, del capo dell’insurrezione veneziana: il riferimento è a pa-

dre Ugo Bassi, combattente sia per la Repubblica di San Marco che per

quella Romana, fucilato dagli Austriaci nell’agosto del 1849 e sepolto nel

cimitero della Certosa di Bologna. La poesia ricorda sia lo sfortunato Da-

niele Manin che il figlio Giorgio:21«Accanto al padre /Oppugnator di Me-

stre, è il giovincello / Che l’angoscia infantil delle bombarde /Grandinanti

a ruina ha ritemprato / Di cruenti battesmi a San Martino», alludendo alla

partecipazione di questi, appena diciassettenne, all’insurrezione veneziana

e, dopo l’intermezzo dell’esilio in Francia insieme al genitore, alla campa-

gna del 1859 appena conclusa. A lui e a Giorgio Merryweather,22 nipote

17 A Ferdinando De Lesseps Promotore del Bosforo di Suez. Ode, «Osservatore triesti-no», 17 novembre 1857; Al Cavaliere Ferdinand De Lesseps Promovitore del Canale

de’ due mari, ivi, 26 febbraio 1859.18 M. GRILLANDI, Treves, Torino 1977, 103. Il periodico «L’Anello» uscì per tre volte

alla settimana dal 17 novembre 1856 al 1 marzo 1858.19 G.G. CORBANESE, Il Friuli, Trieste e l’Istria: grande atlante storico-cronologico compa-

rato, III. Il Friuli, Trieste e l’Istria nel periodo napoleonico e nel Risorgimento, Udine 1995, 342, 445, 447.

20 Si tratta della poesia Il 22 Settembre, versi, Bologna 1859. Ho potuto leggere una ri-produzione della stessa, di cui risulta un unico esemplare conservato presso la Biblio-teca Universitaria di Pisa, grazie alla squisita cortesia della dott.ssa Lucia Baroni, che ha preso a cuore la mia ricerca.

21 Cfr. M. GOTTARDI, Manin, Giorgio, in Dizionario Biografico degli Italiani, 69, Roma 2007, 44-46.

22 Giorgio Guglielmo Merryweather, nipote di Daniele Manin e anch’egli partecipe all’insurrezione veneziana, dopo il ritorno degli Austriaci nel 1849 fu imbarcato con altri profughi e inviato in esilio a Corfù. Cfr. E. MICHEL, Esuli italiani nelle isole Ionie

(1849), «Rassegna Storica del Risorgimento» XXXVII, I-IV (1950), 323-352: 334.

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«del Grande che Venezia rimpiange», entrambi patrioti dell’Indipendenza

italiana, è indirizzata la dedica accorata del Nostro esule, che esorta a non

abbandonare la lotta per liberare Venezia: «Armi, o fratelli! San Michele

aduna / La messe d’un martirio invendicato: / Espïamlo perdio!...Sulla la-

guna / Avrem gli auspici e il fato».

L’anno successivo, per un ritardo di poche ore, De Toth «non poté, con

suo grande rammarico, partecipare alla spedizione dei Mille»23 nella quale

si era arruolato lo stesso indomito Giorgio Manin; giunse invece in Sicilia

con la spedizione Medici, con il grado di capitano, «e non mancò ad alcuno

dei fatti d’armi, fino a Gaeta». Passato poi nell’esercito regolare, partecipò

alla campagna per la repressione del brigantaggio; nel 1866 si arruolò nuo-

vamente per la liberazione del Veneto e venne nominato capitano nel 10°

Reggimento volontari.24 Ad un episodio accaduto in Trentino, a margine dei

fatti d’arme della Terza Guerra d’Indipendenza, fa riferimento il gustoso

racconto Niobe che si rende noto in Appendice.

Frattanto si era sposata anche la sorella minore di Guglielmo, Agata,

convolata a nozze con il veneto Raimondo Brenna, figura sulla quale con-

verrà soffermarci.25 Nel decennio successivo alla nascita di questi, avvenuta

a Treviso nel 1833, il padre Guglielmo Brenna, originario di Milano, si era

trasferito con la famiglia a Venezia.26 Nella città lagunare aveva iniziato una

lunga carriera in qualità di segretario del Teatro della Fenice, stringendo

Il giovane era figlio di una sorella di Daniele Manin, Ildegarde (le cui vicende d’a-more ispirarono l’Edmenegarda di Giovanni Prati), e del britannico Giorgio Merryweather, che aveva eletto Venezia a propria residenza; a introdurlo nella fami-glia Manin era stato lo stesso Daniele, che nel 1821 aveva preso da lui lezioni d’in-glese. Cfr. Daniele Manin intimo. Lettere, diari e altri documenti inediti, a cura di M. BRUNETTI, P. ORSI, F. SALATA, Roma 1936, 22.

23 G. CANDIANI, Dieci anni di vita della Casa di Turate per i veterani ed invalidi delle

guerre nazionali. Cronistoria documentata, Milano 1910, 118.24 T. PATERAS, Considerazioni strategiche sulla campagna d’Italia del 1866, Napoli 1866,

12 Appendice.25 Su Raimondo Brenna (1833-1905): C. RINALDI, I deputati friulani a Montecitorio

nell’età liberale (1866-1919). Profili biografici, Udine 1979, 105-107; S. MIOTTO, Fram-

menti di Risorgimento, 86-87, 95-96 (29-36).26 AMVe, Scheda Famiglia 1857, S. Marco 2975. Guglielmo Brenna, nato a Milano (par-

rocchia di San Babila), e Maria Angela Antoniazzi di Fontanelle di Treviso si erano sposati nel capoluogo della Marca il 22 febbraio 1830; vissero per alcuni anni a Tre-viso, dove nacquero i figli Raimondo Pietro Cipriano (1831-1832), il nostro Raimon-do (Andrea Cipriano) ed Emma. A Venezia, dove si trasferirono nel 1843, ebbero poi i natali le figlie Giulia e Ida, e i maschi Ettore ed Ettore Giovanni, entrambi scom-parsi in tenera età.

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Stefania Miotto, Da San Vito al «Fanfulla»: Guglielmo De Toth (1830-1900) patriota, poeta e giornalista

con Giuseppe Verdi sin dall’Ernani una lunga amicizia, rinsaldata da nume-

rose lettere e visite a Busseto.27 Non stupisce dunque che Raimondo, anco-

ra giovinetto, avesse composto il melodramma in tre atti Ferdinando Cor-

tez, musicato dal maestro Francesco Malipiero per la stagione 1850-1851

del medesimo teatro veneziano, accolto con favore dal pubblico e con pa-

role di elogio dalla critica.28 Ancor più precocemente si manifestò lo spirito

patriottico del ragazzo: nel dicembre 1847, allievo del ginnasio “San Gio-

vanni Laterano”, insieme al compagno di studi Augusto Merryweather –

fratello del già ricordato Giorgio – veniva trovato in possesso di poesie di

«tenore liberale» dall’attenta polizia austriaca.29

Divenuto avvocato,30 la cospirazione gli costò l’arresto da parte degli

Austriaci nel giugno 1859 e il carcere a Josephstadt, insieme al padre Gu-

glielmo. Ritornato a Venezia nell’agosto dello stesso anno in seguito ad

un’amnistia, Raimondo lasciò presto la città per Milano, dove entrò a far

parte del Comitato politico centrale veneto;31 poco tempo dopo si trasferì

a Torino. Era già nel capoluogo sabaudo nel gennaio 1860, quando si pre-

sentò a Cavour, insieme ad altri due avvocati (Antonio Brinis e Gian Gior-

gio Marangoni, suo futuro cognato) per consegnare una raccolta di firme

27 Guglielmo Brenna ricoprì la carica di Segretario del Teatro della Fenice dal 1843 al 1859 e dal 1867 alla stagione 1881-1882; alle sue mansioni aggiungeva l’attività, peral-tro non ostacolata dalle consuetudini del tempo, di agente e mediatore teatrale. Nell’epistolario del Maestro di Busseto conservato presso l’Istituto Nazionale di Studi Verdiani di Parma sono presenti 23 lettere scritte da Brenna a Verdi tra il 1843 e il 1856 e 16 lettere scritte da Verdi a Brenna dal 1843 al 1850. Cfr. M. CONATI, La

bottega della musica: Verdi e la Fenice, Milano 1983; Ernani ieri e oggi: atti del conve-

gno internazionale di studi (Modena, 9-10 dicembre 1984), Parma 1987.28 Così ne «La Fama del 1851. Rassegna di Scienze, Lettere, Arti, Industria e Teatri» X,

17 (1851), 66. Il Ferdinando Cortez venne rappresentato per la prima volta presso il Teatro della Fenice il 18 febbraio 1851, precedendo di tre settimane il Rigoletto di Giuseppe Verdi.

29 Carte segrete e atti ufficiali della polizia austriaca in Italia dal 4 giugno 1814 al 22

marzo 1848, 3 voll., Capolago 1851-1852, III, 401.30 Iscritto all’Università di Padova dal 1850 al 1853, quindi all’incirca negli stessi anni

di Guglielmo De Toth, Raimondo Brenna si laureò in Giurisprudenza soltanto nel 1857.

31 Cfr. Carteggio Cavalletto-Meneghini (1865-1866), a cura di F. SENECA, Padova 1967, 39 (22). Ai primi di ottobre del 1859 Arpalice Manin, sorella di Daniele e Ildegarde, incaricò il Brenna di consegnare personalmente un biglietto di ringraziamento al patriota e letterato milanese Carlo Tenca: con ogni probabilità Raimondo lasciava Venezia, per trasferirsi a Milano, proprio in quei giorni. Cfr. Carteggio inedito Tenca-

Camerini, a cura di I. DE LUCA, Milano-Napoli 1973, 510.

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in favore dell’annessione di Venezia al Piemonte.32 Con ogni probabilità il

resto della famiglia Brenna lo raggiunse pochi mesi dopo; lì nel gennaio

1863 scomparve la madre Maria Angela Antoniazzi.33 Dopo il 1866 Gugliel-

mo Brenna tornò a Venezia, dove riprese brillantemente il suo ruolo di

segretario teatrale fino alla stagione 1881-1882; Raimondo, che a Torino

aveva diretto la «Gazzetta Piemontese»34 assumendo quindi le redini dell’a-

genzia di stampa Stefani,35 la prima della penisola, nel 1865 si trasferì a

Firenze alla guida del quotidiano la «Nazione». Si candidò quindi al Parla-

mento del Regno nel collegio di San Vito al Tagliamento, ottenendo 338

preferenze grazie «ai vincoli di consanguineità con rispettabile famiglia di

Casarsa»,36 per l’appunto quella della moglie Agata De Toth (per inciso,

alle medesime elezioni uno zio materno di Agata, Giovanni Battista Mo-

retti, veniva eletto nel collegio di Udine).37 La carriera politica di Brenna

conobbe però una brusca battuta d’arresto nel 1869 con lo scandalo della

Regìa dei tabacchi (l’allora Monopolio), il primo del neonato Regno d’Ita-

lia, nel quale fu coinvolto insieme al cognato Paulo Fambri, anch’egli dive-

nuto nel frattempo deputato ed autorevole esponente della Destra.38 Per

sanare il disavanzo pubblico, aggravato dalle spese belliche del 1866, il

governo aveva deciso di appaltare la suddetta Regìa ad ambienti finanzia-

ri privati, suscitando da subito nella Sinistra, guidata da Crispi, sospetti di

corruzione ai danni dello Stato; in particolare, scalpore provocò la lettera

che Raimondo Brenna aveva inviato al Fambri (con la sciagurata frase

«vediamo di guadagnare quattrini»), sottratta da mano ignota all’incauto

destinatario e furbescamente esibita da Francesco Crispi alla Commissione

32 Cfr. Il carteggio Cavour-Nigra dal 1858 al 1861, III. La cessione di Nizza e Savoia e le

annessioni dell’Italia Centrale, Bologna 1928, 8. L’avvocato veneziano Giovanni Gior-gio Marangoni, esule a Torino dopo il suo coinvolgimento nell’insurrezione del 1848 come giovane praticante nello studio legale di Daniele Manin, divenne cognato di Raimondo Brenna sposando la sorella Ida.

33 Biblioteca Civica di Padova (d’ora in poi, BCPd), Archivio Alberto Cavalletto, Serie

10. Necrologi, 38 (Brenna Antoniazzi Maria Angela).34 Cfr. I documenti diplomatici italiani 1861-1870, I. 8 gennaio-31 dicembre 1861, Roma

1952, 387, 578.35 Cfr. S. LEPRI, F. ARBITRIO, G. CULTRERA, L’agenzia Stefani da Cavour a Mussolini.

Informazione e potere in un secolo di storia italiana, Firenze 2001, 80-84.36 G. GIUSSANI, Ricordi di elezioni politiche in Friuli, «La Patria del Friuli», 5 marzo 1897.37 Giambattista Moretti (1809-1879) era fratello di Anna, madre dei De Toth; per un

profilo del deputato udinese: cfr. L. CARGNELUTTI, Moretti Giovanni Battista, avvoca-

to, in Nuovo Liruti, 3.III, 2380.38 Cfr. L. LEVI SANDRI, Il giallo della Regìa, Roma 1983; S. TURONE, Politica ladra. Storia

della corruzione in Italia 1861-1992, Roma-Bari 1992, 6-29.

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d’inchiesta. Tra le voci che si diffusero nella concitazione di quei giorni vi

era inoltre il sospetto che a ferire il deputato Cristiano Lobbia, vittima di

un’aggressione la notte precedente la sua deposizione in aula a fianco di

Crispi, fosse stato Candido Fioravanti, domestico del Fambri.39 La relazione

prodotta dalla Commissione dichiarò che la partecipazione economica dei

due cognati alla Regìa, avvenuta dopo la votazione, non poteva essere giu-

dicata illecita. «Nondimeno» aggiungeva «é facile avvertire a quanti sospet-

ti possa dar luogo una partecipazione assunta da un deputato pochi giorni

dopo la votazione di una legge». L’assoluzione lasciò comunque un’ombra

pesantissima sulla reputazione del Brenna, determinando la sua mancata

rielezione, nonostante un’accorata lettera aperta Agli elettori del Collegio

di San Vito al Tagliamento (1869) stampata presso la tipografia del «Gior-

nale di Napoli» del canevese Eugenio Chiaradia,40 alla quale collaborava in

quegli anni il nostro Guglielmo De Toth:41 presenza spiegabile forse con

l’intreccio di rapporti di parentela, poiché il Chiaradia aveva sposato Giulia

Brenna, sorella di Raimondo.

Ritiratosi dalla politica attiva, Raimondo si dedicò da allora all’avvo-

catura; nonostante l’ombra della pubblica riprovazione, Fambri tornò inve-

ce alla Camera, sempre sedendo a Destra, nel 1870-1874 e poi ancora nel

1876-1880.

E a Roma novella capitale si spostò anche Guglielmo De Toth: trovò

impiego come redattore del giovane quotidiano «Fanfulla», primo organo

di stampa realizzato da uomini non di partito, e ne divenne una storica

“penna”.42 Per quasi un trentennio firmò la «Cronaca politica» con lo pseu-

39 L’affermazione era sfuggita dalla bocca innocente del figlioletto di Brenna, Gugliel-mo; si trattava delle parole di un bambino, che tuttavia era di casa dagli zii Fambri (G.A. STELLA, I misteri di via dell’Amorino, Milano 2012, 174). Guglielmo Brenna (†1906) di Raimondo, laureatosi in Giurisprudenza, divenne redattore del periodico «L’Opinione» e fu in corrispondenza con Carducci.

40 Su Eugenio di Simone Chiaradia (Caneva, 1835-Napoli, 1900): cfr. S. MIOTTO, La

diaspora dei Chiaradia. Una famiglia canevese dal Risorgimento all’Italia unita, «La Loggia», n.s. 14 (2011), 137-153.

41 Un non meglio precisato «De Tot emigrato veneto», che propongo di identificare con il Nostro, risulta infatti «collaboratore» del «Giornale di Napoli» diretto dal Chiara-dia in R. MOSCATI, Riordinamenti del R. Archivio di Stato di Napoli. Le carte del

Gabinetto di Questura (1861-1882), «Archivi: archivi d’Italia e rassegna internaziona-le degli archivi» III, 1 (1936), 7-26: 18.

42 Il quotidiano «Fanfulla» nacque a Firenze il 17 giugno 1870, ad opera di Francesco De Renzis, Giuseppe Augusto Cesana e Giovanni Piacentini; nel 1871, con lo sposta-mento della capitale, si trasferì a Roma, dove fu attivo fino al 10 dicembre 1899. Tra le sue firme più celebri ricordiamo Yorick (Pietro Coccoluto Ferrigni), Collodi (Car-

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2. Lettera autografa di Guglielmo de Toth. Padova, Biblioteca Civica, Archivio Al-berto Cavalletto, Serie 7, Epistolario, 2336 (De Toth, G.).

donimo Don Peppino, che divenne ben presto la sua unica denominazione;

meno frequentemente, usava anche Rusticus, nome dietro il quale si cela-

vano talvolta altri redattori del periodico.43 Espressione della Destra stori-

ca, di posizioni moderate, il quotidiano fu un modello di giornalismo colto,

elegante e arguto: faceva «scuola di polemica educata e con la penna for-

bita dei Collodi, degli Yorick, dei Fantasio insegnava agli italiani a scrivere

con garbo».44 Con l’avvento al potere della Sinistra nel 1876 passò all’op-

posizione, aggiungendo tre anni dopo un supplemento letterario settimana-

le, il «Fanfulla della Domenica», che annoverò tra i suoi collaboratori

Giosue Carducci, Luigi Capuana, Matilde Serao, Gabriele D’Annunzio.

lo Lorenzini), Fantasio (Ferdinando Martini), E. Caro (Baldassarre Avanzini), Ugo (Ugo Pesci).

43 Cfr. N. BERNARDINI, Guida della stampa periodica italiana, Lecce 1890, 237, 244; G.

PASSANO, Dizionario di opere anonime e pseudonime in supplemento a quello di Ga-

etano Melzi, Ancona 1887, 256.44 R. GARZIA, Matilde Serao, Rocca San Casciano 1916, 37.

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L’unico indizio di un rapporto non interrotto con Trieste è dato dalle «Cor-

rispondenze romane», che De Toth inviò tra il 1876 e il 1877 al direttore

del quotidiano «Nuovo Tergesteo» Ugo Sogliani, suo intimo da lunghi anni,

il quale «ci teneva tantissimo, come a titolo d’onore».45 Non è un caso, dun-

que, che il giornale triestino offrisse quale omaggio ai suoi associati l’Al-

manacco del Fanfulla, aprendo la campagna per gli abbonamenti del 1877.46

Gli articoli di Don Peppino per il «Fanfulla» si caratterizzarono da

subito per una prosa «dotta, scintillante, fresca, a volte arguta e caustica,

sempre interessante e piacevole».47 Valga a esempio un articolo del 1885,

dall’evocativo titolo di Statolatria.48

Vuol essere infatti una bella generazione, questa che vien su tirata a gin-

nastiche materiali e intellettuali, che possono riscaldare, ma non dare fibra

a chi non ne ha, appetto a quei vecchi venuti su senza ginnastiche, ma

tutti fibra e gagliardia, esercitate per conto proprio con quel senso d’indi-

vidualità che indirizza i caratteri alle forti cose. Gli è che, venuti al mondo senza trovare una libertà bell’e fatta, essi ne andarono in cerca, e se ne fecero, più che una regola di vita una ragione superiore ad ogni interesse.[…] Ebbene, rifatevi un po’ indietro e studiate, nei varii casi che si presen-tarono, l’opera sociale della Camera. Non ha avuto che un pensiero: sosti-tuire lo Stato all’individuo; soffocare sotto la provvidenza officiale ogni iniziativa privata; abolire il self government in pro dell’onnipotenza dello Stato. Non ha proclamato il diritto all’inerzia contenuto nella formula: panem et circenses, ma poco ci manca! Infatti non si produce un bisogno locale che non si creda necessario imporre allo Stato l’obbligo di provve-dervi. […] Ora la dottrina dell’onnipotenza dello Stato – scrive l’onorevo-le Minghetti – ‘mi sembra che oggi minacci fortemente di prevalere. Ora se l’azione dello Stato diventa così grande da infiacchire e spegnere il vi-gore dell’individuo (e ciò non sarebbe nuovo nella storia) io sono disposto a combattere questa eccessiva ingerenza’. La combatta, onorevole Min-ghetti, la combatta alacremente. É il dirizzone del giorno; dobbiamo ad

45 A. BOCCARDI, Memorie triestine. Figure della vita e dell’arte, Trieste 1922, 171, 176 (è detto erroneamente Giuseppe Totti). Il primo numero del «Nuovo Tergesteo» com-parve il 2 marzo 1876; dopo la chiusura del quotidiano, avvenuta il 10 giugno 1877, Sogliani si spostò a Milano, dove divenne collaboratore di Emilio Treves alla rivista settimanale «L’Illustrazione Italiana».

46 C. PAGNINI, I giornali di Trieste dalle origini al 1959, Milano 1959, 234. L’altro omaggio a scelta degli abbonati era la Strenna dell’Illustrazione italiana.

47 Così la descrisse lo storico direttore del «Fanfulla» Baldassarre Avanzini, nel ricordo di Don Peppino tratteggiato per il «Corriere d’Italia», 4 marzo 1900.

48 Statolatria, «Fanfulla», 19-20 maggio 1885.

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esso quelle processioni non di famelici, ma di arruffoni che vanno sotto il

balcone dei municipi a gridare: pane e lavoro! E tali processioni sono

semplicemente il plebiscito che proclama lo Stato provveditore generale

d’ognuno che non voglia darsi la briga di provvedere a sé stesso.

Quando ormai il silenzio avvolgeva la Capitale non era raro sentir ri-

echeggiare i discorsi del Nostro, incorreggibile nottambulo, «comme don

Quichotte se battait avec les moulins à vent».49 Alieno ad una gestione

oculata del denaro,

aveva uno stipendio fisso, ma in realtà non viveva che di anticipi fantasti-

ci e di debiti. Verso l’ora del pranzo, si faceva anticipare cinque lire sopra

un mese ipotetico: poi prendeva la moglie e il figliolo, li portava in un’o-

steria di Trastevere e spendeva lire sei: così che costituiva una lira di de-

bito e sempre avanti così. Ma tutti, anche i creditori, gli volevano un gran

bene.50

Proverbiale era poi la sua sordità, cui fanno menzione più testimoni

dell’epoca. Ugo Pesci, tra i più noti redattori del «Fanfulla», racconta che

nei mezzanini dello stabile in piazza di Montecitorio, dove aveva sede il

giornale, capitava spesso, tra gli altri, il corpulento Paulo Fambri, il quale

«faceva traballare i pavimenti e intontiva tutti quando alzava la voce per

farsi udire da suo cognato Guglielmo De Toth, Don Peppino, sordo come

una talpa».51 Così il fondatore del «Capitan Fracassa» Luigi Arnaldo Vas-

sallo, nel descrivere l’andirivieni caotico di persone alla redazione del

«Fanfulla», ricordava l’usciere, spesso intento a gridare nell’orecchio del

Nostro il nome di qualche seccatore; per tutta risposta

Don Peppino, con un vocione che si sentiva sin da piazza Colonna, urlava:

– Disèghe che no ghe son!

Tanto che il pudico onesto usciere, tornando in anticamera, stimava più

decoroso esprimersi così:

– Ha detto che non c’è.52

49 C. HUGO, Rome en 1886. Les choses et les gens, Roma 1886, 198.50 L.A. VASSALLO, Gli uomini che ho conosciuto, Milano 1918, 27.51 U. PESCI, I primi anni di Roma capitale (1870-1878), Firenze 1907, 480.52 Ibid.

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L’abitudine ad un tono di voce decisamente elevato gli procurò più

d’un imbarazzo. Una sera d’estate, seduto con parecchi amici «ad un tavo-

lino esterno del Caffè Colonna, dalla parte di Montecitorio, andava sgolan-

dosi proprio contro il suo giornale per non so quale torto patito o preteso

(forse uno di quelli anticipi sopra mesate oramai fantastiche…)» e a chi

cercava di farlo ragionare rispondeva battagliero:

– Ve digo e ve replico che al Fanfulla i xe tuti visi de forca.

Disgrazia volle che proprio in quel mentre l’Avanzini attraversasse la

piazza e raccogliesse l’amorosa dichiarazione; sì che dirigendosi a Don

Peppino e battendogli famigliarmente sulla spalla: Preparati la fune – gli

disse con la sua imperturbabile calma – perché tu sei il più bello di tutti.

Il De Toth che era convinto di non aver oltrepassato, parlando, il diapason

ordinario e che non potea certo escir in gara con l’Apollo del Belvedere53

rimase, a detta dei testimoni, mortificato dalla replica fulminante del

suo direttore.

E forse la stessa sordità contribuì al progressivo isolamento del gior-

nalista. Alquanto singolare appare, ad esempio, l’assenza della sua firma

nella pubblicazione commemorativa della sorella Rosa, prematuramente

scomparsa nel 1880, raccolta alla quale parteciparono con i loro scritti nu-

merosissime personalità della cultura dell’epoca, legate da rapporti di stima

e affetto con il vedovo Paulo Fambri, da Ruggiero Bonghi a Vittorio Im-

briani, Angelo De Gubernatis, Luigi Luzzatti, Andrea Maffei, la giovane

Matilde Serao, per citarne alcuni.54

Stanco di Roma, dove a suo dire non aveva raccolto che dispiaceri,

De Toth si rivolse in quegli anni al deputato veneto Alberto Cavalletto,

chiedendogli umilmente «una parola di raccomandazione» (fig. 2) per

53 L’aneddoto è contenuto in F.E. MORANDO, Luigi Arnaldo Vassallo (Gandolin) e i suoi

amici, Bologna 1928, 185 (è chiamato erroneamente Giuseppe De Toth, segno che il vero nome di battesimo, oscurato dallo pseudonimo, era ignoto ai più).

54 Cfr. Funeraria Rosa De Toth Fambri XXII ottobre MDCCCLXXX, Venezia 1880; Funeraria Rosa De Toth-Fambri 1880-1882, Milano 1882. L’elenco e un breve profilo degli autori che contribuirono alle due pubblicazioni è contenuto in S. MIOTTO, Fram-

menti di Risorgimento, 83-98. Il 26 maggio 1885 Fambri si risposò con Rita Levi, unione dalla quale nacque Elena, che si laureò in Medicina e durante il Ventennio fu nominata direttrice dell’Istituto Fascista di Medicina Sociale.

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3. Inaugurazione della Casa Militare di Turate, «La Domenica del Corriere», 26 marzo 1899.

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ottenere la direzione del quotidiano patavino «L’Euganeo» rimasta va-

cante, incarico che gli venne negato.55

Sempre più distante dalla comprensione della vita politica italiana, nel

1895 il vecchio combattente suggeriva provocatoriamente al Ministro degli

Esteri Alberto Blanc di non invadere la Tripolitania, bensì di pagarla al

Sultano.56

Il glorioso «Fanfulla» intanto diradava le sue uscite, preludio all’immi-

nente chiusura. Nell’agosto 1899 De Toth si ritirò nella Casa Militare di

Turate, aperta solo pochi mesi prima per dare ricovero ai veterani delle

guerre nazionali (fig. 3), dove si spense il 20 febbraio 1900.57 Ormai circon-

dato dai fantasmi di una memoria ancora lucidissima, nelle ultime settima-

ne «passava a Turate ore ed ore, sotto i grandi viali, a recitare versi di

Dante e Orazio, rievocando quei solenni amici che non lo avevano mai

abbandonato, né sui campi di battaglia, né nelle carceri, come in ogni ora

della sua vita».58

Dopo l’esperienza patriottica e le sue inevitabili delusioni, il giornali-

smo, l’allontanamento dagli amici e dagli affetti più cari, il cerchio si chiu-

deva nuovamente con la poesia, non più foriera di giovanili illusioni ma

fino all’ultimo giorno consolatrice degli affanni terreni.

55 BCPd, Archivio Alberto Cavalletto, Serie 7, Epistolario, 2336 (De Toth, G.). La lette-ra non è datata, tuttavia il periodo è facilmente circoscrivibile: il quotidiano «L’Eu-ganeo» nacque infatti nel 1882 dalla formazione di una società per azioni che aveva acquistato il «Giornale di Padova» (Alberto Cavalletto faceva parte del comitato esecutivo) e l’incarico di direttore restò vacante in due occasioni, nel gennaio 1884 e nel luglio 1888. Il giornale chiuse definitivamente il 15 aprile 1891 (cfr. S. CELLA, Il

giornalismo padovano dal 1866 al 1915, Padova 1967, 22-24; I. LEDDA, G. ZANELLA, I

periodici di Padova 1866-1926: liberali, radicali, socialisti, Padova 1973, 84).56 Cfr. A. DEL BOCA, Gli Italiani in Libia. Tripoli bel suol d’amore 1860-1922, Roma-

Bari 1986, 21 (67).57 Guglielmo fece domanda di ammissione alla Casa Militare di Turate nel maggio 1899;

in essa dichiarava di avere un figlio impiegato alle Poste in Palermo, coniugato con tre figli, e di non avere altro reddito che lo stipendio di 90 lire mensili. La domanda venne accettata, dopo visita medica, nell’agosto dello stesso anno e il De Toth fu il 24° veterano ammesso alla struttura. Deceduto il 20 febbraio 1900, Guglielmo fu accompagnato il giorno successivo nel cimitero di Turate, con l’orazione funebre del prof. Amati, uno dei tre fondatori della Casa Militare. I numerosi brevetti militari e le attestazioni presentate all’atto della domanda (tra cui quella del generale Carlo Alberto Radaelli e dei capitani Ferrari e Luigi Bosi, deputati al Parlamento) furono restituiti al figlio Giulio, che nel 1929 risultava dimorante a Senigallia. Per queste informazioni sono debitrice al dott. Samuel Rimoldi (Segreteria Casa Militare Um-berto I di Turate) che colgo l’occasione per ringraziare della squisita cortesia.

58 G. CANDIANI, Dieci anni di vita della Casa di Turate, 119.

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APPENDICE

Niobe*

Fu una caccia spietata: una caccia da pelli-rosse affamati.

Le povere bestioline fatte cieche dallo spavento spiccavano certi salti, che pareva-

no voli e andavano a dar del capo contro gli alberi dell’orto e contro il muro di

cinta.

In questa ridda paurosa una fra esse mi capitò fra le gambe. Avrei potuto spacciar-

la senza fatica; ma cedendo a un senso di compassione, la raccolsi adagino adagino,

la tolsi in braccio, che parevo una balia col suo lattante al petto e presi la via dell’u-

scita.

– Signor capitano – mi disse un volontario un po’ infarinato di mitologia – sono

quattordici, come i figli di Niobe: Latona è vendicata.– Bravo! – risposi – ma Niobe dov’è? Se l’appetito non ha legge, una legge qualun-que deve difendere quella poveretta nella sua proprietà manomessa. Questi conigli sono suoi; forse li tirava su per venderli e mettere in serbo quattro spiccioli per la dote. «À la guerre comme à la guerre» dicevano i francesi nel 1859, spopolando allegramente i pollai; ma noi siamo italiani, e la guerra la vogliamo fare da persone bennate e soprattutto rispettose del VII comandamento. Chiamate la ragazza, chia-mate la Niobe, che la voglio risarcire del danno sofferto.Il giovane volontario obbedì e fatto il saluto poco militarmente – figuratevi, la mano che portò alla visiera del berretto sosteneva per gli orecchi uno dei conigli della caccia – entrò nel tugurio gridando:– Ehi, di casa! Il capitano vi domanda; il capitano vi pagherà le vostre bestiole.

* * * *

Due righe di spiegazione:S’era alla vigilia della sperata ripresa delle ostilità nel Trentino. Alla vigilia di quell’«Obbedisco!» per Garibaldi più glorioso d’una vittoria.E noi si marciava per entrare in linea con gli altri.

* Il racconto che qui si ripropone integralmente, pubblicato nel «Fanfulla», fu ripreso dal periodico genovese «Il Sole nascente» I, 2, 7-8 ottobre 1893, che si scusava con il giornale romano di essere entrato metaforicamente nel suo giardino e aver colto «uno degli splendidi suoi fiori, di cui è tanto ricco, per offrirlo alle nostre lettrici». Il titolo si riferisce ironicamente al mito di Niobe, figlia del re lido Tantalo e sposa del tebano Anfione: poiché, fiera della sua numerosa prole, si vantava di essere superiore a La-tona, la dea si vendicò facendole uccidere tutti i quattordici figli. Dante la inserì tra i superbi nel canto XII del Purgatorio.

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Stefania Miotto, Da San Vito al «Fanfulla»: Guglielmo De Toth (1830-1900) patriota, poeta e giornalista

Noi, del 10.o reggimento volontari, durante il primo periodo della campagna, ave-

vamo avuto nei floridi paeselli delle rive del Garda i nostri ozi di Capua e si stava

lì, mani in mano, inseguendo con gli occhi l’Uskoc, il padrone delle acque, che ci

mandava ogni tanto qualche cannonata. Svaghi di villeggiatura.

Al cessare della sospensione d’armi era, o parea dovesse venire anche il nostro

giorno di fuoco. Lasciate le rive del Garda non senza una maledizione all’Uskoc, il

tristo bombardatore di Gargnano, arrivammo in linea gli ultimi. Gli ultimi, nella

parabola del Vangelo sono i primi: è un bel vantaggio, ma il fatto è che i primi – si

capisce, i primi in ordine di marcia – avevano fatto repulisti d’ogni cosa. Pane, vino,

cacio: ricordi vaghi, induzioni preistoriche.

Ci posero a campo a due miglia al di là di Ponte Caffaro. Come se ci avessero po-

sti a campo nel bel mezzo del Sahara: nulla di nulla, cioè una fame ch’era un tutto

ben desolante.

I miei volontari, battendo la campagna dei lanzichenecchi, erano riusciti a scoprire

in un orto, annesso ad un povero tugurio, una conigliera. E la strage degli innocen-

ti fu compiuta.

* * * *

Ma ecco il volontario mitologo in compagnia della Niobe.

La teneva per mano, quasi facendole dolce violenza, ritrosa, come parea essere, a

presentarmisi.

Che fiore di ragazza! Alta, complessa, con gli occhi in lagrime, ricordava lo stupen-

do colosso della figlia di Tantalo, che avevo già ammirato nei Musei del Vaticano.

«O Niobe, con che occhi dolenti

Vedevo io te…

Tra sette e sette tuoi figliuoli spenti!»

Mettete conigli in luogo di figlioli e avrete la riproduzione viva della Niobe, quale

Dante la vide figurata sul pavimento di non so più quale girone del suo Purgatorio.

Mi sentii vinto a quella visione d’un dolore, che pur non sapevo spiegarmi, e invidiai

i conigli morti, che avevano potuto destarlo.

– Via, figliola, non piangere – le dissi – cosa possono valere le tue bestiole?

Mi rispose con un gruppo di singhiozzi, che le strozzavano la parola.

– Parla, su, che ne sarai contenta.

– Quatt… ahi! Quattro fiorini, signore.

Io misi mano alla borsa e:

– Ecco, un bel mezzo marengo d’oro. Ti piace? Vedi, che ha dei luccicori di stella!

Voi altri, qui, non avete che della cartaccia; anche noi, in Italia, siamo da quattro

mesi alla carta, ma qualche marengo per consolare, innocentemente, veh! le belle

ragazze del Trentino, le nostre sorelle nel santo nome della Patria, l’abbiamo ancora.

Quest’accenno alla politica non pare la toccasse gran che. Ne rimasi mortificato un

po’ per me, che avevo sciupato invano il mio fervorino patriottico, e un po’ per

essa, che non ci aveva capito nulla. Oh i conigli, i conigli! Se que’ rosicchianti hanno

Atti dell’Accademia “San Marco” di Pordenone, 16 (2014)ISBN: 97888 904107 7 2924

Stefania Miotto, Da San Vito al «Fanfulla»: Guglielmo De Toth (1830-1900) patriota, poeta e giornalista

essi pure una mitologia, quella non ha certo la sua Niobe. Ed io, che… Ma la colpa

era del mio volontario che l’aveva ingenuamente evocata.

* * * *

Per tagliar corto, le mostrai un’altra volta il mezzo marengo tenendolo fra l’indice

e il pollice della mano dicendole:

– Dunque lo vuoi?

– Sì, sì; ma i conigli, i conigli!...

– I conigli, mia bella… Ecco, se tu fossi quella ch’io mi imaginavo, saresti figlia di

Tantalo, re mitologico famoso per la sua sete e per la sua fame eternamente insa-

ziate nell’Averno. Ebbene, i miei soldatini rossi da ventiquatt’ore penano del sup-

plizio di quel re là. I tuoi conigli – che siano benedetti… in fricassea! – li trarranno

di supplizio.

– Ma erano quattordici – essa rispose.

Ed io:

– Quattordici? No. Eccoti questo, che è ancor vivo.

E le porsi il mio.

Non credo che la madre vera del giudizio di Salomone siasi ripresa in collo con più

ardenza d’amore il figlio, quando le fu restituito. Forse temendo ch’io volessi ri-

prendermi quella mia parte del bottino, fuggì senza dirmi: grazie! del disco aureo

ch’era andato a popolare il deserto della tasca del suo grembiale. Io rimasi il tutto

rimminchionito: ma, pensando al mezzo marengo, gli mandai il biblico augurio:

Cresci e ti moltiplica e popola le povere tasche della mia Niobe montanina.

S’è egli avverato l’augurio? Chi lo sa! Ma l’altra sera, vedete caso! mi sono imbat-

tuto girandolando, in una signora alta, complessa, con gli occhi… non in lagrime,

anzi pieni di indicibili sensazioni, che mi riprodusse nella memoria la illusione

mitologica del 1866. Giovane ancora, non poteva essere la mia montanina. Avrei

voluto parlarle e offrirle magari… un coniglio in fricassea nel giardino del mio buon

amico Tito, in via Zucchelli. Ma il suo contegno superbamente sdegnoso a vista me

ne rattenne. Seguitai la mia strada mormorando fra denti in greco: – «O Niobe,

figlia di Tantalo, odi la mia voce nunzia di…».

Il verso dice: di sventura. No, la sventura non la tocchi la nuova mia Niobe, che se

non è figlia di Tantalo, mi lasciò a ogni modo tantalizzato. Questa volta fui io che

feci da coniglio.

Don Peppino

Atti dell’Accademia “San Marco” di Pordenone, 16 (2014)ISBN: 97888 904107 7 2 925

Stefania Miotto, Da San Vito al «Fanfulla»: Guglielmo De Toth (1830-1900) patriota, poeta e giornalista

Riassunto

Il contributo ricostruisce le vicende biografiche, la produzione poetica giovanile e

l’attività giornalistica di Guglielmo De Toth, figura ingiustamente dimenticata.

Nato a San Vito al Tagliamento nel 1830, De Toth partecipò all’insurrezione vene-

ziana del 1848 e alle campagne per l’Indipendenza, conoscendo anche il carcere

asburgico a Mantova. Dopo la pubblicazione di alcune opere poetiche giovanili,

trasferitosi a Roma si dedicò al giornalismo: per quasi un trentennio fu una celebre

firma del periodico «Fanfulla», nelle cui pagine era conosciuto da tutti con lo pseu-

donimo Don Peppino. Cognato dei deputati Paulo Fambri e Raimondo Brenna,

ebbe contatti con esponenti politici e intellettuali di rilievo dell’Italia post-unitaria.

In Appendice al contributo si pubblica il racconto Niobe, in cui De Toth rievoca un

aneddoto personale della campagna del 1866 con la prosa colta, brillante e arguta

che caratterizza la sua scrittura.

Abstract

This contribution deals with Guglielmo De Toth, an unjustly forgotten figure of the

period of the Italian unification, investigating his life, his early poems and his work

as a journalist.

De Toth was born in San Vito al Tagliamento in 1830. He took part in the uprisings

in Venice in 1848 and in the campaigns for Italian independence, experiencing also

a period of detention in Mantua under the Habsburg rule. After publishing some

early poems, he moved to Rome and worked as a journalist: for almost thirty years,

he wrote as columnist for the periodical “Fanfulla”, gaining popularity under the

pseudonym Don Peppino. Also being the brother-in-law of the deputies Paulo Fam-

bri and Raimondo Brenna, De Toth got to know several politicians and high-profile

scholars of the newly-unified Italy.

De Toth’s short story Niobe is provided in the Appendix of this paper. In this narra-

tion, De Toth recalls an episode from his own experience in the campaign of 1866.

He uses his most typical well-read, witty and brilliant prose, which is regarded as the

cornerstone of his writing style.


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