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Delegittimazione degli ebrei nella stampa fascista del 1938

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Delegittimazione degli ebrei nella stampa fascista del 1938 Marcella Ravenna e Alessandra Roncarati Il termine antisemitismo, eufemi- smo del termine tedesco Judenhass che significa odio degli ebrei, fu coniato da Wilhelm Marr, giornali- sta di Amburgo, nel 1879. Diversa- mente dal termine antigiudaismo, esso denomina, secondo modalità non religiose, l’avversione nei con- fronti degli ebrei. Nell’uso comune, esso denota una tradizione compo- sita di credenze stereotipiche nei confronti degli ebrei, sedimentate nel corso dei secoli nella cultura di numerosi paesi, e che si sono mani- festate e continuano a manifestarsi in forme via via diverse in rapporto alle differenti contingenze storiche. Se è univocamente riconosciuto che gli effetti distruttivi dell’antisemitismo nazifascista hanno stimolato in modo decisivo gli psicologi sociali a studiare il pre- giudizio (Duckitt, 1992), le forme di espressione di questo pervasivo e duraturo fenomeno sociale nei confronti degli ebrei, non sono state in complesso altrettanto investigate nel corso del tempo. Accanto all’articolato corpus di contributi psico- analitici, che a partire dall’analisi di Sigmund Freud (1913) sulla radice inconscia dell’antisemitismo, si sono successivamente focalizzati sull’origine individuale di tale fenomeno, sugli effetti della propaganda impiegata dal nazifascismo, e più recentemente su questioni inerenti l’identità ebraica (vedi in proposito i saggi contenuti nel volume a cura di Bertani e Ranchetti, 1999), in ambito psicosociale gli imponenti sforzi di ricerca compiuti nell’immediato dopoguerra, sono giunti a 473 PSICOLOGIA SOCIALE n. 3, settembre-dicembre 2008 Scopo di questo studio è di cogliere le peculiarità della propaganda antiebraica veicolata nel 1938 dal Corriere Padano. Tramite analisi di archivio, e in riferimento agli studi di Bar-Tal (2000) sulla delegittimazione, alla tassonomia di pregiudizio di Glick e Fiske (2001) e a numerosi contributi in ambito storico, esso si propone di rilevare, sia le credenze delegittimanti a proposito degli ebrei, sia le tipologie di pregiudizio e di antisemitismo in esse rintracciabili. L’analisi del contenuto sui 172 articoli selezionati, oltre a confermare la validità delle credenze individuate da Bar-Tal, ha messo in luce ulteriori credenze di natura dinamica. I prin- cipali risultati mostrano l’impiego marcato di cre- denze che incrementano la distanza dall’outgroup, il prevalere di forme di pregiudizio di invidia e di antisemitismo politico e nazionale.
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Delegittimazione degli ebreinella stampa fascistadel 1938

Marcella Ravenna e Alessandra Roncarati

Il termine antisemitismo, eufemi-smo del termine tedesco Judenhass che significa odio degli ebrei, fu coniato da Wilhelm Marr, giornali-sta di Amburgo, nel 1879. Diversa-mente dal termine antigiudaismo, esso denomina, secondo modalità non religiose, l’avversione nei con-fronti degli ebrei. Nell’uso comune, esso denota una tradizione compo-sita di credenze stereotipiche nei confronti degli ebrei, sedimentate nel corso dei secoli nella cultura di numerosi paesi, e che si sono mani-festate e continuano a manifestarsi in forme via via diverse in rapporto alle differenti contingenze storiche.

Se è univocamente riconosciuto che gli effetti distruttivi dell’antisemitismo nazifascista hanno stimolato in modo decisivo gli psicologi sociali a studiare il pre-giudizio (Duckitt, 1992), le forme di espressione di questo pervasivo e duraturo fenomeno sociale nei confronti degli ebrei, non sono state in complesso altrettanto investigate nel corso del tempo. Accanto all’articolato corpus di contributi psico-analitici, che a partire dall’analisi di Sigmund Freud (1913) sulla radice inconscia dell’antisemitismo, si sono successivamente focalizzati sull’origine individuale di tale fenomeno, sugli effetti della propaganda impiegata dal nazifascismo, e più recentemente su questioni inerenti l’identità ebraica (vedi in proposito i saggi contenuti nel volume a cura di Bertani e Ranchetti, 1999), in ambito psicosociale gli imponenti sforzi di ricerca compiuti nell’immediato dopoguerra, sono giunti a

473PSICOLOGIA SOCIALE � n. 3, settembre-dicembre 2008

Scopo di questo studio è di cogliere le peculiarità della propaganda antiebraica veicolata nel 1938 dal Corriere Padano. Tramite analisi di archivio, e in riferimento agli studi di Bar-Tal (2000) sulla delegittimazione, alla tassonomia di pregiudizio di Glick e Fiske (2001) e a numerosi contributi in ambito storico, esso si propone di rilevare, sia le credenze delegittimanti a proposito degli ebrei, sia le tipologie di pregiudizio e di antisemitismo in esse rintracciabili. L’analisi del contenuto sui 172 articoli selezionati, oltre a confermare la validità delle credenze individuate da Bar-Tal, ha messo in luce ulteriori credenze di natura dinamica. I prin-cipali risultati mostrano l’impiego marcato di cre-denze che incrementano la distanza dall’outgroup, il prevalere di forme di pregiudizio di invidia e di antisemitismo politico e nazionale.

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spiegare l’antisemitismo come espressione di tendenze profonde della personalità (Adorno, Frenkel-Brunswik, Levinson e Sanford, 1950). Una svolta decisiva rispet-to al prevalere di spiegazioni psicodinamiche e psicopatologiche è indubbiamente costituita dai lavori di Allport (1954) che hanno spostato il focus sul ruolo dei processi di pensiero normali nel produrre stereotipi e pregiudizi. In riferimento agli anni del fascismo e del nazismo, mentre alcuni studi recenti hanno approfon-dito i contenuti dell’ideologia della razza propugnati dal nazismo e dal fascismo (Volpato, 2001; Capozza e Volpato, 2004) così come le credenze veicolate dalla stampa fascista di élite (Volpato e Durante, 2003), l’antisemitismo trasmesso da mezzi di comunicazione più popolari, come stampa e programmi radiofonici, non è stato altrettanto studiato (Collotti, 2003). Proprio dell’antisemitismo veicolato dalla stampa negli anni del fascismo ci occuperemo nell’indagine presentata in questo articolo. Se il nostro principale intento è di precisare le peculiarità dell’an-tisemitismo fascista secondo un approccio psicosociale, ci interesas però anche fornire un utile punto di riferimento per verificare se tali peculiarità sono tuttora rintracciabili nel pregiudizio antiebraico presente nella società italiana e sulla scena internazionale.

1. Immagini, credenze e miti dell’antisemitismo moderno

In via preliminare possiamo dire che, se fino agli anni ’20 l’antisemitismo non ebbe un peso rilevante nella vita politica italiana, è soprattutto nel decennio successivo che inizia ad essere posta con forza, analogamente a quanto accadeva in numerosi altri paesi, l’esistenza di un così detto «problema ebraico». È questa un’espressio-ne, largamente impiegata sia nella stampa dell’epoca che nella storiografia sull’ar-gomento, che ci sembra indispensabile precisare ai fini di questo studio. Ciò che all’epoca veniva definito «problema ebraico» è infatti strettamente connesso a quel lungo processo di emancipazione che fra il 1790 ed il 1919 ha via via tra-sformato gli ebrei delle diverse nazioni europee in cittadini con pieni diritti. La fuoriuscita dal «ghetto» ha gradualmente prodotto, da parte degli ebrei, crescenti spinte all’integrazione e al miglioramento delle condizioni di vita che si sono al-tresì intrecciate con la tensione a salvaguardare la propria identità culturale e le relazioni con i correligionari della diaspora (Bartov, 2006). Nei profondi sconvol-gimenti sociali prodotti in Europa dai processi di modernizzazione, gli ebrei, che apparivano sempre più «indistinguibili» dai gentili (non vivevano più nei ghetti, non indossavano segni di riconoscimento, non erano soggetti a restrizioni nell’am-bito delle professioni; Bartov, 2006; Luzzatto Voghera, 2007), vennero identifica-ti, sia come responsabili delle sofferenze vissute da vasti strati di popolazione, sia come coloro che avevano maggiormente beneficiato delle trasformazioni in atto. D’altra parte, nell’ottica delle maggioranze, il convergere delle identità collettive verso un’idea di Nazione, coesa ed omogenea, entrava in evidente contrasto con

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un’immagine degli ebrei come gruppo transnazionale, cosmopolita, estraneo alle culture nazionali, scarsamente patriottico e, in quanto tale, potenziale «nemico» o «straniero interno» (Arendt, 1948; Luzzatto Voghera, 1994, 2007; Bidussa e Levis Sullam, 2005; Bartov, 2006). Tali espressioni di antisemitismo nazionalista si intrecciarono con altre credenze ostili di tipo «economico», secondo cui gli Ebrei erano assetati di potere, impiegavano potenti strategie di controllo finan-ziario, corrompevano in modo occulto tramite il danaro, costituendo pertanto il prototipo dell’arricchimento borghese, ottenuto sfruttando improduttivamente il lavoro altrui. Emerge, in altre parole l’icona astratta, artificiale e carica di elementi negativi dell’«ebreo capitalista» (Luzzatto Voghera, 2007). Una terza forma di an-tisemitismo di tipo «politico-culturale», raffigura gli ebrei come presenti in modo sproporzionato nella politica, nell’economia e nella cultura; come turbatori, sov-vertitori e disgregatori delle tradizioni, dei valori e dell’ordine sociale delle società europee. In questa chiave gli ebrei sono identificati come promotori dei peggiori aspetti della modernità anticristiana, quali socialismo, massoneria, anticlericali-smo, arte degenerata e fautori di quelle attività cospirative rivolte a dominare il mondo e a coinvolgere le nazioni in guerre fratricide. Quest’ultima teoria del complotto, già presente a fine ottocento nel repertorio antiebraico, fu rafforzata negli anni ’20 dalla diffusione dei Protocolli dei Savi di Sion1. A ciò va aggiunta una quarta forma di antisemitismo di tipo «biologico-razziale», che avvalendosi del contributo di diverse scienze dell’epoca, biologia, antropologia, eugenetica e demografia, si concentra sull’idea di una differenza costitutiva delle razze e di una gerarchia razziale che diventerà il fondamento delle legislazioni antiebraiche degli anni ’30. In questa ottica l’ebreo non è quindi solo un nemico nazionale, ma anche un nemico che può contaminare la purezza della razza (Finzi, 1997). Il darwinismo sociale, che ispirò notevolmente l’ideologia della purezza della razza propugnata dal nazionalsocialismo, sosteneva il primato dell’ereditarietà rispetto all’ambiente, assumendo che, non solo i tratti fisici, ma anche quelli sociali, fosse-ro trasmessi su base ereditaria (Ravenna, 2004). Va tuttavia osservato che a queste forme di antisemitismo, spesso tra loro variamente intrecciate, fa comunque da sfondo l’antigiudaismo religioso, frutto di un retaggio secolare e diffuso in modo pervasivo a livello popolare, che accusa gli ebrei di negare la divinità di Cristo, di essere responsabili della sua uccisione e che si collega ad una serie di miti relativi all’omicidio rituale e alla profanazione dell’ostia (Stefani, 2004).

1 Si tratta di un’opera apocrifa pubblicata per la prima volta in Russia nel 1903 su un quotidiano di estrema destra. Presenta la supposta trascrizione di un incontro segreto in cui un gruppo di anziani ebrei discutendo dello stato di decadenza del mondo prodotto dal liberalismo, proponeva di porvi rimedio tramite il controllo occulto della politica, della finanza fino a definire un nuovo ordine fon-dato sul potere ebraico (Bidussa e Levis Sullam, 2005). Si vedano in proposito le interessanti analisi proposte da Billig (1991) e da Volpato e Durante (2007).

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2. La svolta antisemita in Italia

Sullo sfondo di questa cultura antiebraica diffusa nelle società europee, nel 1938 fu realizzata la svolta antisemita e razzista del regime fascista che si concretizzò nell’annuncio e nella quasi immediata attuazione di numerosi provvedimenti am-ministrativi nei confronti dei cittadini italiani di religione ebraica (Bidussa e Levis Sullam, 2005). Ciò rappresentò per l’Italia un passaggio cruciale, quello cioè ad un antisemitismo di stato. Al documento del 14 luglio Il fascismo e i problemi della razza (il così detto manifesto degli scienziati), che fornì i criteri per classificare le persone di «razza ebraica», seguirono infatti i primi provvedimenti legislativi ri-guardanti l’espulsione degli ebrei stranieri (1 e 2 settembre) ed il veto a nuovi in-gressi; il censimento speciale del 22 agosto, ma soprattutto il Regio Decreto Legge del 17 novembre n. 1728 Provvedimenti per la difesa della razza italiana. Altri divieti vennero via via introdotti tramite ulteriori provvedimenti amministrativi che si sus-seguirono ben oltre il 1938. Molto sinteticamente, ciò ha comportato che tutti gli italiani di religione ebraica fossero censiti, od obbligati ad auto-denunciarsi, e che l’appartenenza alla «razza ebraica» venisse menzionata nei certificati anagrafici e di lavoro. Essi furono espulsi dalle scuole e dalle università, da cariche, funzioni ed impieghi pubblici (Sarfatti, 2005).

Tale importante momento di svolta fu accompagnato da un’intensa campagna di preparazione psicologica per diffondere e radicare, nella popolazione, quell’an-tisemitismo politico e razziale che fino ad allora era assai debole in Italia (Matard Bonucci, 2005). L’obiettivo dell’élite dominante era di portare l’antisemitismo in ogni campo affinché la persecuzione diventasse un fatto «necessario» agli occhi degli Italiani (De Felice, 1961).

Ciò si collegava ad un’idea, attualmente del tutto superata, che mass media e stampa costituissero agenti d’influenza molto potenti nell’orientare le conoscenze del-le persone e la loro interpretazione degli eventi e, pertanto, nel costruire in modo deli-berato il consenso (Mazzara, 2000). Studi recenti sul ruolo della stampa nel veicolare pregiudizio e razzismo, abbandonando infatti l’idea che il target sia soggetto passivo d’influenza, si sono invece concentrati, sia sulle strategie con cui i media influenzano i modi in cui soggetti attivi organizzano le proprie conoscenze, sia sulle modalità con cui le informazioni sono trasmesse. Così, secondo Van Dijk (1987), l’impiego da parte della stampa di informazioni filtrate in base alle posizioni dell’ingroup e di specifiche strategie di presentazione di fatti e notizie riferite all’outgroup, strutturano i «modelli mentali» e le conoscenze delle persone nei confronti di determinati gruppi sociali che ne influenzeranno i giudizi, le azioni e le interazioni nei confronti di tali gruppi (Villa-no, 2002). D’altra parte lo stesso linguaggio impiegato dai mass media nel comunicare fatti riguardanti differenti out group, evidenzia specifiche distorsioni sistematiche a svantaggio degli outgroup (Maass, Corvino e Arcuri, 1994).

Il 1938 segna dunque, per gli ebrei italiani, l’avvio di un periodo di esclusione morale e sociale dalla vita del paese che durerà ben sette anni e che, da una prima

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fase di «persecuzione dei diritti», sfocerà fra il 1943 e il 1945 in una vera e propria «persecuzione delle vite» (Bidussa, 1994; Sarfatti, 2000). Se il periodico «La Difesa della Razza» rappresenta il prototipo della campagna antisemita fascista, e come tale, è stato oggetto di notevole attenzione anche in ambito psicosociale (Volpato e Durante, 2003), assai maggiore fu in realtà l’impatto esercitato da altri e più dif-fusi strumenti di propaganda, quali la stampa ed i messaggi radiofonici (De Felice, 1961).

3. Obiettivi

Interessati a cogliere le peculiarità della propaganda indirizzata a vasti settori dell’opinione pubblica e fortemente ancorata agli accadimenti della vita reale, pro-prio nell’anno in cui furono promulgate le leggi razziali, ci siamo riferiti ad un quo-tidiano dell’epoca, il «Corriere Padano», che fu pubblicato dal 1925 fino al 1945. Il «Corriere Padano» fu fondato da Italo Balbo, sia per consolidare il consenso al Fa-scismo da parte della piccola e media borghesia, sia per mantenere vivo il rapporto tra provincia e nazione (Sitti e Previati, 1976; Folli, 1980), sia, infine, per sostenere e valorizzare iniziative culturali realizzate a livello locale (Ferrara). Nel 1931 la tira-tura giornaliera di questo giornale fu stimata in quarantamila copie. Poiché questa indagine è stata realizzata nel quadro delle iniziative promosse nel Giorno della Memoria 2006 per approfondire specifici aspetti della vita quotidiana negli anni delle leggi razziali a Ferrara, si è ritenuto interessante optare per un quotidiano ad alta diffusione locale com’è appunto il «Corriere Padano».

Un primo obiettivo della nostra indagine è pertanto di cogliere le credenze vei-colate a proposito degli ebrei nel «Corriere Padano», tramite la comparazione con quelle fasciste più elitarie («La Difesa della Razza»). In linea con quanto ipotizzato da De Felice (1961), la nostra previsione è che le posizioni verso gli ebrei veicolate dalla stampa quotidiana, in virtù del loro intreccio con la vita reale, risultino più marcatamente negative e «violente» rispetto a quelle proposte dalla stampa di élite. Come secondo obiettivo intendiamo rilevare le forme di pregiudizio e di antisemiti-smo rintracciabili in tali credenze, facendo riferimento, sia al lavoro di Glick (2002), che ai nuclei dell’antisemitismo moderno più sopra considerati (Burrin, 2004; Ca-pozza e Volpato, 2004; Volpato e Durante, 2003; Glick, 2002).

Per individuare i contenuti delle credenze ci siamo riferiti ad un processo psi-cosociale fondamentale nella genesi dei fenomeni di esclusione morale (Opotow, 1990), quello della delegittimazione, qui considerato nella prospettiva di chi la attua. Tale processo, che si origina per lo più nei conflitti fra i gruppi sociali, con-siste nel definire un gruppo in base a categorie sociali estremamente negative che consentono di escluderlo dai confini entro cui generalmente si applicano i criteri di giustizia e di equità (Bar-Tal, 1989; Opotow, 1990). Esso produce l’esclusione permanente del gruppo delegittimato che può giungere fino all’annientamento di

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quest’ultimo. Nel corso di questo processo sono generalmente impiegate etichette che presentano contenuti estremamente negativi, salienti e unici come base per la categorizzazione, che si accompagnano ad emozioni negative intense e che sono sostenute da specifiche norme sociali. Il fatto che queste credenze articolino com-ponenti cognitive, affettive e comportamentali (indicando le condotte dannose del gruppo delegittimato) le rendono pertanto assai diverse sia dagli stereotipi che dalle etichette denigratorie (Carnaghi e Maass, 2006). Bar-Tal (1990) sulla base di diverse fonti, ma non tramite specifici approcci di ricerca, ha individuato cinque credenze delegittimanti: deumanizzazione, emarginazione, tratti personali negati-vi, etichette politiche, confronto fra gruppi2. Successivamente il lavoro di Volpato e Durante (2003), sulla rivista «La Difesa della Razza», oltre ad avere identifica-to ulteriori credenze delegittimanti che sono riportate nella tabella 1, mostra che quelle maggiormente presenti negli articoli del 1938-39 sono riferite alla segrega-zione, all’assenza di caratteristiche fondamentali per l’ingroup ed alla numerosità dell’outgroup.

Circa il tipo di pregiudizio rintracciabile nelle credenze riferite agli ebrei, ab-biamo invece considerato il modello proposto da Glick e Fiske (2001) secondo cui il contenuto degli stereotipi riferiti ad un outgroup dipende dalla struttura delle relazioni che intercorrono fra i gruppi. Tali relazioni si articolano su due dimensio-ni fondamentali: status socio-economico (alto vs. basso) e tipo di interdipendenza (cooperativa vs. competitiva). Ognuna di queste dimensioni a sua volta predice due specifiche qualità stereotipiche: competenza e calore percepito. Così, mentre lo status definisce chi è percepito come competente/incompetente, l’interdipendenza specifica invece, se un gruppo è percepito come caloroso/non caloroso. L’interazio-ne fra status (alto vs. basso) ed interdipendenza (competitiva vs. cooperativa), arti-cola specifiche relazioni tra i gruppi, che predicono quattro forme di pregiudizio di cui le ultime due a carattere ambivalente: di ammirazione, di invidia, paternalistico e di disprezzo. Il pregiudizio di ammirazione, espresso dai gruppi subordinati verso quelli dominanti, si manifesta quando le relazioni intergruppi sono cooperative e quando ingroup e outgroup sono contraddistinti da status elevato; il pregiudizio di invidia è invece espresso dall’ingroup nei confronti dei gruppi che hanno succes-so sul piano socio-economico e sono percepiti come competitori (gli uomini, gli ebrei). Tale forma di pregiudizio consente all’ingroup di attribuire agli outgroup stereotipi marcatamente negativi e di legittimare forme di discriminazione e di violenza estrema (segregazione, sterminio). Il pregiudizio paternalistico si produce invece quando le relazioni tra i gruppi sono cooperative e gli outgroup sono carat-terizzati da uno status relativamente più basso rispetto a quello dell’ingroup. Esso è espresso dai gruppi dominanti verso quelli subordinati e riflette l’aspettativa che questi ultimi siano incompetenti e calorosi. Tale atteggiamento riflette, inoltre, il desiderio dei gruppi dominanti di «addomesticare» e sfruttare quelli subordinati,

2 I contenuti che specificano tali credenze sono illustrati nella parte relativa ai risultati.

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secondo modalità che possono giungere fino alla schiavitù. Si tratta di una forma di pregiudizio ritenuta benevola dai gruppi dominanti in quanto spesso associata ad emozioni positive, come la pietà, indicative di vicinanza ai membri dei gruppi con status basso (Glick e Fiske, 2001; Glick, 2002). Il pregiudizio di disprezzo, infine, costituisce la forma più ostile di pregiudizio. È manifestata dai gruppi dominanti nei confronti di quelli a basso status che sono percepiti come non competenti e non calorosi (ad esempio i poveri e coloro che ricevono sussidi). Anche se tali gruppi non sono visti come una minaccia, possono però essere percepiti come un danno alle risorse sociali e pertanto divenire oggetto di forme di esclusione, segregazione e sterminio.

Queste quattro forme di pregiudizio rappresentano tuttavia dei prototipi, in quanto nella vita sociale i gruppi sono oggetto di differenti combinazioni di pregiu-dizio. Come osserva in proposito Glick (2002), i Nazisti manifestavano nei confronti degli ebrei una combinazione di disprezzo e invidia. L’antisemitismo nazista non en-fatizzava infatti solo un’immagine degli ebrei come ambiziosi e potenti cospiratori, ma paradossalmente anche quella che li caratterizzava come pigri e sporchi parassiti (pregiudizio di disprezzo). Tale concezione degli ebrei come parassiti, se rinforza-va il loro status di minaccia (pregiudizio di invidia), consentiva però ai tedeschi di sentirsi non solo pieni di risentimento, ma anche superiori. L’applicabilità della tassonomia proposta da Glick e Fiske (2001) è stata, d’altra parte, recentemente ve-rificata da Volpato, Durante e Cantone (2004) in uno studio sugli articoli pubblicati dalla rivista «La Difesa della Razza» fra il 1938 ed il 1943. Mentre nel caso degli ita-liani (ingroup) è stata rilevata un’immagine positiva corrispondente al pregiudizio di ammirazione, verso gli ebrei è stato invece rintracciato un pregiudizio di invidia; nei confronti degli africani, si è riscontrato un atteggiamento paternalistico ed infine verso i meticci una forma di pregiudizio di disprezzo.

Circa le forme di antisemitismo veicolate dal Corriere Padano, ci siamo invece riferite a quei recenti contributi di tipo storico che distinguono fra l’antigiudaismo cristiano e medioevale, prettamente a carattere religioso, e l’antisemitismo politico, economico e razziale, tipici del XIX e XX secolo, su cui ci siamo precedentemente soffermate (Luzzatto Voghera, 1994; 2007; Bidussa e Levis Sullam, 2005; Burrin, 2004; Matard Bonucci, 2005; Stefani, 2004).

4. Metodologia

Per realizzare gli obiettivi più sopra delineati, abbiamo ritenuto pertinente predi-sporre una ricerca di archivio, una metodologia che consente, cioè, di analizzare materiali e dati già esistenti e pertanto di studiare in profondità i processi psicologi-ci nel loro contesto culturale e storico. Abbiamo poi optato per la tecnica dell’anali-si del contenuto in quanto, a differenza di quella narrativa che si focalizza sui modi in cui le informazioni sono veicolate tramite la costruzione sequenziale di un testo,

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essa consente di cogliere gli aspetti semantici, che nel nostro caso sono costituiti dalle credenze (Contarello e Volpato, 2002).

Operativamente, abbiamo proceduto a selezionare tutti gli articoli pubblicati sul «Corriere Padano» del 1938 (visibili su microfilm) che contenevano espressioni (aggettivi, sostantivi, verbi, frasi) riferite agli ebrei. Gli articoli fra gennaio e dicem-bre 1938 risultano in totale 172, in prevalenza trafiletti (N = 110) e pubblicati per lo più in prima pagina (29.1%), in ottava (27.9%) ed in quinta (16.3%). Come si può osservare in figura 1, se fino al mese di luglio il numero di articoli/trafiletti risulta assai contenuto, è soprattutto fra agosto e dicembre che essi presentano un forte incremento.

Ogni articolo, dopo essere stato duplicato su materiale cartaceo tramite foto-copia dei microfilm selezionati, è stato sottoposto ad analisi del contenuto. Nello specifico, le 518 espressioni riferite agli ebrei individuate nei 172 articoli considerati sono state codificate in 11 credenze o categorie delegittimanti sovra-ordinate. Come si può osservare in tabella 1, sette di tali categorie, e in specifico deumanizzazione, tratti di personalità negativi, etichette politiche, confronto fra gruppi, numerosità e segregazione sono state suddivise al loro interno in ulteriori sotto-categorie. Circa le categorie individuate, mentre le prime cinque coincidono con quelle di Bar-Tal (1990), altre (numero: 9,10,11) sono riferite alle integrazioni recentemente proposte da Volpato e Durante (2003), ed altre ancora (numero: 6,7,8) sono state sviluppate induttivamente da noi, sulla base del materiale a nostra disposizione. Analogamente a Volpato e Durante (2003), anche in questo studio abbiamo infatti individuato al-cune modalità ricorrenti e costanti di descrivere gli ebrei, non comprese nei modelli citati, che ci hanno indotte ad introdurre nuove categorie/credenze delegittimanti. Nella tabella 1 sono riportate le credenze riferite ai tre modelli.

25

20

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Sett

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Nov

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e

Dic

embr

e

6.4

2.9

0 0.61.7

0.62.9

14

16.7

9.3

22.1 22.8

FIG. 1. Articoli e trafiletti pubblicati sul «Corriere Padano» nel 1938 che contengono espressioni riferite agli ebrei (distribuzione delle percentuali).

Delegittimazione degli ebrei nella stampa fascista del 1938 481

La classificazione dei termini e delle espressioni rilevate in categorie (che da ora in poi denomineremo anche con il termine «credenze»), è stata effettuata da due giudici indipendenti che non conoscevano lo scopo di questo studio ed il cui grado di accordo è risultato molto elevato (K di Cohen = .87). I disaccordi sono stati risolti tramite discussione.

5. Risultati

Le credenze maggiormente rilevate negli articoli presi in esame si riferiscono alla segregazione (28.4%), ovvero all’applicazione di misure discriminatorie e restrittive, atte ad isolare/separare gli ebrei dalla vita sociale ed economica. In tale categoria si riportano anche notizie di azioni di protesta e di boicottaggio, avvenute in altri paesi, nei confronti degli ebrei (tabella 1). Abbiamo qui incluso anche altri riferi-menti relativi a varie ipotesi di espatrio e di deportazione (in Madagascar, Russia,

TAB. 1. Le credenze delegittimanti individuate da Bar-Tal ed in successive ricerche

Bar-Tal(1990)

Volpato e Durante(2003)

Ravenna e Roncarati (modello per il

presente studio)

Credenzedelegittimanti

DeumanizzazioneEmarginazioneTratti di personalità negativiEtichette politicheConfronto di gruppo

DeumanizzazioneEmarginazioneTratti di personalità negativiEtichette politicheConfronto di gruppoAssenza di caratteristi-che fondamentali perl’ingroupUso degli ebrei per delegittimare altri gruppiNumerosità degli ebreiSegregazioneDifferenze fra ingroup e outgroup come datidi fatto

DeumanizzazioneEmarginazioneTratti di personalità negativiEtichette politicheConfronto di gruppoAssenza di caratteristi-che fondamentali perl’ingroup

Numerosità degli ebreiSegregazione

Danni prodotti dagli ebreiAzioni di autodifesa degli ebreiAzioni di difesa contro gli ebrei

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Guaina, Palestina), sulle quali il dibattito politico internazionale risultava, in quella fase, piuttosto acceso.

Ampiamente utilizzate sono inoltre le etichette politiche, ove gli ebrei sono categorizzati in gruppi politici considerati come inaccettabili da chi delegittima (16.6%). Si osserva qui maggiormente l’associazione fra ebrei, capitalismo, mas-soneria ed organizzazioni internazionali, che non quella fra ebrei, comunismo ed antifascismo. Lo status attribuito agli ebrei, presumibilmente per la fuga di estesi gruppi di essi dall’oppressione e dalla povertà dei paesi del Nord e dell’Est Europa, è quello di stranieri e di senza patria, pure se compare anche quello di fuggiaschi, profughi, emigranti.

Seguono credenze centrate sulle azioni di difesa auspicate dal gruppo domi-nante contro gli ebrei (8.1%), allo scopo di evitarne/contrastarne l’infiltrazione, di respingerne le minacce corrosive, ponendoli in condizione di non nuocere. Lo slogan impiegato era infatti «discriminare, non perseguitare». Vanno inoltre citate le credenze relative alla numerosità degli ebrei (7.9%), sia in Italia che in altri paesi, presumibilmente favorite dai censimenti realizzati a partire dall’agosto 1938, per quantificarne l’entità nelle varie zone del paese ed in alcune professioni e che si è sovente concretizzata in vere e proprie liste di ebrei e di professionisti. Altre cre-denze assegnano agli ebrei tratti di personalità negativi (7.7%), rappresentandoli soprattutto come diffamatori, settari, approfittatori, falsi, traditori o come persone senza carattere, inetti, fannulloni e caratterizzandoli in termini razziali (ovvero di razza ebraica).

Tramite la deumanizzazione, i membri di un gruppo sono etichettati come inu-mani o subumani e cioè come possessori di tratti differenti da quelli che contraddi-stinguono la specie umana. Fra le credenze indicative di deumanizzazione (7.3%), abbiamo incluso le descrizioni che enfatizzano la diversità razziale degli ebrei ri-spetto ad altre popolazioni, ma anche quelle che li rappresentano, in un linguaggio prettamente sanitario, come un’infezione o una malattia dilagante, come un veleno o quelle che li spersonalizzano tramite l’impiego del termine «elementi». A parte pochissimi cenni alle sanguisughe, l’associazione degli ebrei ad animali nocivi risul-ta praticamente assente.

Tramite il confronto fra gruppi (6.9%), è attribuita al gruppo delegittimato un’etichetta che simbolizza ciò che vi è di più indesiderabile e minaccioso per il gruppo dominante. In rapporto al materiale raccolto il prototipo del male, della cattiveria e della malvagità ci è sembrato coincidere con l’idea degli ebrei quali «in-vasori» in ogni ambito della vita collettiva.

Circa l’emarginazione, in base alla quale i membri di un gruppo sono caratte-rizzati come violatori delle norme sociali condivise, alcuni fatti di cronaca, per lo più riguardanti singoli ebrei, sono stati impiegati per dimostrarne le caratteristi-che delinquenziali e criminose (6.6%), specie in ambito economico (commercio clandestino di valuta, investimenti illegali), ma anche nel promuovere gli espatri clandestini.

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TAB. 2. Tipo di categorie delegittimanti e sottocategorie rilevate nei 172 articoli del «Corriere Padano» del 1938 (distribuzione delle frequenze e delle percentuali)

Categorie delegittimanti n. % Sottocategorie e termini testuali

1) Deumanizzazione 38 7.3 Inumani (di razza stranieri, idra – 14); sovraumani (geni del male – 3); piaga (infezione dilagante – 7); spersonalizzati (elemento ebraico – 14)

2) Emarginazione 34 6.6 Delinquenti (assassinio, follia sanguina-ria, commercio clandestino – 34)

3) Tratti di personalità negativi 40 7.7 Tratti negativi (prepotenti, calunniatori, settari, parassiti, senza carattere – 21); beni posseduti (carichi di quattrini, ric-chi – 4); caratteristiche razziali (di razza ebraica – 15)

4) Etichette politiche 86 16.6 Capitalisti/massoni (34); comunisti (filo-bolscevichi, sovversivi, antifascisti – 18); stranieri (senza patria – 19); fuggiaschi (rifugiati, profughi – 15)

5) Confronto fra gruppi 36 6.9 Invasori (si diffondono, penetrano – 18); confronti (stato potente vs. minoranza esigua/chi combatte e muore vs. chi pas-sivamente incassa – 18)

6) Danni prodotti dagli ebrei 29 5.6 Conseguenze negative (corrompo-no, corrodono, perturbano, attentano, distruggono – 29)

7) Azioni di difesa dell’ingroup contro gli ebrei

42 8.1 Azioni (evitare, contrastare, sanzionare, reagire, respingere le minacce, messi in condizione di non nuocere – 42)

8) Azioni di autodifesa degli ebrei 15 29 Azioni (chiedono di emigrare, vendica-re i correligionari, cerimonie religiose – 15)

9) Abitudini indicative della vera natu-ra degli ebrei

10 1.9 Commercio (come tendenza della loro vera natura, la vera anima internaziona-lista, gravita per i suoi profondi istinti verso l’internazionalismo – 10)

10) Numerosità degli ebrei 41 7.9 In un paese/regione/città (24); nel bol-scevismo (6); nelle professioni, nei pos-sedimenti (11)

11) Segregazione 147 28.4 Autosegregazione (non si assimilano – 6); segregazione (porli ai margini, boicot-taggio, manifestazioni, isolarli, separarli – 98); espulsione/deportazione (tenere chiuse le frontiere, Russia come terra promessa, Guaina, Madagascar – 43)

Totale 518 100

Nota: I numeri riportati tra parentesi indicano la frequenza con cui le sottocategorie com-paiono nel corpus degli articoli esaminati.

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Abbiamo inoltre rilevato credenze riferite ai danni prodotti dagli ebrei (5.6%) in termini di infiltrazione nella vita economica (creando disagio nelle contrattazioni, paralizzando l’economia, attentando alla saldezza finanziaria), di influenze negative e perturbatrici esercitate sulla pubblica opinione (una delle accuse è, ad esempio, di avere introdotto forme di pensiero anticristiane) e di quell’elevata promiscuità sociale, ritenuta pericolosa per l’integrità della razza.

6. Discussione e conclusioni

Questo lavoro ha analizzato secondo una prospettiva psicosociale le credenze de-legittimanti nei confronti degli ebrei, rilevate negli articoli del «Corriere Padano» del 1938 con lo scopo di precisarne le peculiarità e le connessioni con le diverse componenti dell’antisemitismo moderno. In via preliminare, va notato che l’am-pio spazio dedicato dal «Corriere Padano» alla «questione ebraica» nella seconda metà del 1938, costituisce già un primo elemento di influenza, in quanto induce i lettori ad attribuire a tale questione particolare rilevanza (McCombs e Shaw, 1993). Passando alle credenze da noi individuate, se esse costituiscono ulteriore conferma della validità del modello originariamente proposto da Bar-Tal (1990), non coinci-dono però completamente con quelle recentemente rilevate da Volpato e Durante (2003). Mentre infatti non abbiamo riscontrato riferimenti all’uso degli ebrei per delegittimare altri gruppi e a differenze fra ingroup e outgroup come dati di fatto, abbiamo invece rilevato tre ulteriori credenze connesse ai danni prodotti dagli ebrei, alle azioni di difesa contro gli ebrei e ad azioni di autodifesa degli ebrei. Queste ulti-me credenze ci paiono di natura prettamente dinamica, in quanto riferite proprio al processo di delegittimazione che è operato dall’ingroup nei confronti dell’out-group in una situazione di conflitto (Bar-Tal, 1990). I riferimenti ai danni provocati dall’outgroup implicano infatti la percezione di una minaccia molto concreta per l’esistenza dell’ingroup che richiede, pertanto, specifiche «azioni di difesa» in grado di produrre conseguenze negative per l’outgroup, pure se sono riportate, da parte di quest’ultimo, fragili reazioni di autodifesa. L’enfasi sui sentimenti di minaccia suscitati dall’outgroup si può, d’altra parte, cogliere anche nelle credenze riferite alla segregazione. Analogamente a quanto rilevato da Volpato nell’analisi di «La Difesa della Razza» (del 1938), anche il «Corriere Padano» mostra infatti la mas-sima attenzione per misure volte ad incrementare la distanza fra ebrei e non ebrei tramite, appunto, la «segregazione». Il «Corriere Padano» diverge tuttavia da «La Difesa della Razza», sia per un più consistente ricorso ad etichette politiche che propongono un’equivalenza fra ebrei, sete di potere e solidarietà transnazionale, sia per il rilievo alle azioni di contrasto della maggioranza verso la disgregazione socio-economica prodotta dagli ebrei nelle nazioni che li «ospitano», così come più sopra osservato. L’enfasi del «Corriere Padano» sulla minaccia rappresentata dagli ebrei, ci pare confermi che le posizioni veicolate dalla stampa quotidiana, proprio

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perché incitano implicitamente ed esplicitamente azioni di contrasto, risultino più marcatamente discriminatorie rispetto a quelle della stampa di élite.

In rapporto alla tassonomia proposta da Glick e Fiske (2001), Glick (2002), il tipo di pregiudizio veicolato dalle credenze da noi individuate, in linea con quanto rilevato da Volpato e coll. (2004), si concentra soprattutto su quello di invidia che, come abbiamo visto, ha carattere ambivalente ed è impiegato per legittimare forme di discriminazione estrema. Esso coincide quindi solo in parte con quello nazista che enfatizzava un’immagine degli ebrei, sia come ambiziosi e potenti cospiratori (indicativa appunto di un pregiudizio d’invidia), sia paradossalmente come pigri e sporchi parassiti (pregiudizio di disprezzo).

Passando alle forme di antisemitismo rintracciabili nelle credenze rilevate, esse appaiono soprattutto di tipo politico e nazionale, centrato cioè sulla teoria del complotto e sulla concezione degli ebrei come nemici e corruttori della nazione. A proposito dell’antisemitismo razziale che si può cogliere nelle credenze riferite alla deumanizzazione, esso risulta di fatto assai debole e si organizza principalmente sull’idea di una diversità razziale, ove non è tuttavia mai esplicito il riferimento ad una inferiorità biologica degli ebrei. Da notare inoltre, che sono qui del tutto as-senti i riferimenti alle caratteristiche fisiche associate in modo stereotipico al corpo dell’ebreo. Ciò sottolinea pertanto una certa diversità dei contenuti della propagan-da fascista rispetto a quelli nazisti (Capozza e Volpato, 2004). Passando all’antisemi-tismo religioso, di gran lunga il più sedimentato culturalmente, esso risulta qui pra-ticamente assente. Ciò sembrerebbe pertanto testimoniare il bisogno dell’ideologia fascista di ancorare le proprie strategie di propaganda soprattutto a quelle forme di antisemitismo, politico, economico e nazionale che si erano strutturate nel periodo successivo all’assimilazione.

Se quest’indagine mostra dunque analogie e differenze nelle credenze delegitti-manti proposte ad un pubblico colto e ad uno comune (ove queste ultime risultano più discriminatorie), diversamente da quanto rilevato da Glick (2002), il pregiudi-zio veicolato dal «Corriere Padano» si concentra più sulla superiorità degli ebrei che non sulla loro inferiorità o su entrambe. Nonostante le intenzioni, la propa-ganda esaminata diffonde e radica pertanto un antisemitismo più di tipo politico/economico che razziale ed inoltre, non fa in alcun modo leva su quello a carattere religioso.

È evidente che questo studio esplorativo limitato al 1938 è in grado di cogliere solo parte dei contenuti dell’antisemitismo fascista veicolati dal «Corriere Pada-no». Prevediamo pertanto, come possibile evoluzione di questa indagine, di potere giungere a meglio precisare gli elementi dinamici dell’antisemitismo fascista tramite l’analisi comparata degli articoli pubblicati in altre annate (ad esempio il 1936, che precede la svolta delle leggi razziali, e il 1943 in cui ha inizio la «persecuzione delle vite») e l’impiego di procedure di analisi dei dati più sofisticate (ad esempio, Spad-N). Considerando poi che le credenze ed i temi proposti nei discorsi antisemiti si organizzano intorno a nuclei che tendono a perpetuarsi ed a ripresentarsi sotto for-

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me anche diversificate nel corso del tempo, un’ulteriore evoluzione di questo studio potrebbe indirizzarsi a verificare, quanto le credenze rilevate nel «Corriere Padano» del 1938, siano tuttora presenti nei modi in cui le persone attualmente pensano e veicolano, tramite il linguaggio, informazioni a proposito degli ebrei. A tale fine ci sembrerebbe particolarmente utile e pertinente un’ approccio multi metodo (Cam-pbell e Fiske, 1959) in grado di coniugare l’analisi di archivio sulle credenze delegit-timanti del periodo fascista, allo studio di come gli ebrei sono attualmente percepiti, tramite misure di astrazione del linguaggio. Ciò consentirebbe infatti di verificare se l’intuizione rintracciabile in ambito storico (Luzzatto Voghera, 2007) circa la progressiva astrattezza dell’immagine dell’ebreo, e l’interessante ipotesi avanzata da Maass, Montalcini e Biciotti (1998), secondo cui gli stereotipi nel corso di estesi periodi temporali diventano più astratti (e pertanto più difficili da modificare), sia già rilevabile nell’arco di sessant’anni.

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