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F. Manfredi, Paesaggi, progetti d’autore. Calabria e Sicilia, Alinea Editrice, Florence 2010

Date post: 24-Jan-2023
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Alla mia nonna per i suoi primi 100 anni.

PAESAGGI,PROGETTI D’AUTORECalabria e Sicilia. Fabio Manfredi

INDICE

7 Il difficile viaggio di G. Mastorna - Franco Zagari

13 Paesaggi che cambiano - Daniela Colafranceschi

17 Sguardi inter e trans disciplinari - Joan Noguè

23 Introduzione: note preliminari

Progetti d’autore

31 Calabria e Sicilia

75 L’opera contemporanea (.90.10)

111 Conversazioni

127 Una storia recente (.80.90) Paesaggi, riflessioni

141 Sei paesaggi in cerca di autore

157 A colloquio con l’Observatori del Paisatge de la Catalunya

165 Altri paesaggi d’autore

189 Lo sguardo largo - Gianpiero Donin

193 Bibliografia

203 Crediti

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IL DIFFICILE VIAGGIO DI G. MASTORNAFRANCO ZAGARI

Fabio Manfredi percorre una via difficile, si propone di raccogliere una collezione di spazi pubblici contemporanei realizzati nel nostro Mezzogiorno nei quali sia riconoscibile il carattere di un’opera, nel senso più estensivo di questo termine, una architettura voluta da una committenza e elaborata da un autore. Progettare uno spazio pubblico per il nostro tempo vuol dire toccare uno degli aspetti più gravi della crisi dell’habitat contemporaneo, cercare nuove qualità di centralità per contrastare insostenibili condizioni di marginalità. Il primo problema dello spazio pubblico contemporaneo è di esportare qualità di centralità nelle periferie, dando ai servizi caratteri rappresentativi e doti accentuate di accoglienza e di comfort. Manfredi parte dal desiderio di vedere quanto anche da noi si sia fatto negli ultimi venti anni, come in molti altri paesi d’Europa, con realizzazioni che siano sensibili verso una rinnovata esigenza di decoro della città, mosse con progetti animati da un programma avanzato, che sia anche e soprattutto consapevole di una figurazione contemporanea.

La ricerca di Manfredi dicevo che è difficile, non tanto nell’orientarsi in una geografia diffusa di numerosi casi, quanto nel trarne un bilancio. Molti di questi progetti infatti risultano come atti mancati, sono spazi spesso originali, spesso coerenti nella loro scrittura, ma con una forte enunciazione di un programma e di uno statuto moderno che difficilmente arriva al pubblico. Così molti, pur recenti, si presentano abbandonati – non solo dalla gente ma dagli amministratori che li hanno voluti e dagli stessi progettisti - e in

stato di rovina, astratti e metafisici, per lo più deserti. Manfredi si propone di dimostrare che, nonostante tutto, anche da noi l’architettura contemporanea esiste e ha un suo canto.Non sono pochi gli esempi, raccolti in una collezione che vede presenti molte firme note dell’architettura italiana. Ma il quadro, attraverso bellissime fotografie dello stesso autore che spesso non a caso hanno loro stesse un accento metafisico, esibisce come una falsa partenza, l’architettura ha agito spesso senza un mandato chiaro fondato su una concertazione pubblica, le opere sono state disposte e abbandonate a loro stesse come oggetti di arredo, il giorno stesso della conclusione dei lavori, senza nessuna idea riguardo a una adozione da parte della comunità, né a responsabilità di manutenzione.Sembra esserci stata una astrazione troppo forte nel volere e nel realizzare questi spazi, come se le amministrazioni e gli autori avessero voluto essere supplenti dei desideri e delle necessità di chi li avrebbe poi usati e questa interpretazione non avesse potuto essere più infelice e meno corrispondente. Non solo: sembra che i primi a voltare le spalle a queste opere e a rimuoverle siano stati proprio sindaci e architetti, quasi fossero installazioni la cui vera funzione era di raggiungere rapidamente uno stato di moderna rovina. Questo quadro certamente conviene a quanti condividono la critica reazionaria del Principe Carlo, di un fallimento generale del moderno rispetto alla città e al paesaggio. Che dire?

Il problema non è di linguaggio ma di approccio. Io direi che questo lavoro di scavo onesto e impietoso è straordinariamente utile. Se esibisce dei fallimenti questi infatti sono comunque documenti di una intenzione che guai se non si fosse avanzata, la necessità e il dovere di ogni generazione di esprimere paesaggi del proprio tempo, con linguaggi e poetiche che stabiliscano un anello fra malinconia e speranza, consapevolezza del proprio passato e visione del futuro, tradizione e sviluppo. Manfredi cerca, in fondo, le ragioni dell’arte nella scena pubblica del nostro tempo, a qualsiasi costo,

IL DIFFICILE VIAGGIO DI G. MASTORNA 9

e fa bene a farlo. Non a caso questa sua missione è partita dal cinema, perché per eccellenza arte pubblica, sul quale Manfredi si è lungamente soffermato per raccogliere in tanta devastazione che ha travolto il nostro habitat nella più grande stagione di urbanesimo della storia dell’umanità un sentimento colto di ciò che è e potrebbe essere il paesaggio italiano. Manfredi in questa vicenda mi ha fatto spesso pensare a G. Mastorna, quel personaggio di Fellini che è stato protagonista di più sceneggiature mai arrivate al termine, e di un libro (riedito da Quodlibet, 2008) che descrive un aldilà che si scopre del tutto simile alla vita e di cui, come la vita “fino all’ultimo capiamo ben poco”. Il personaggio in fondo altri non è che Marcello (Mastroianni) in Otto1/2, che invece poi arriva a un esito felice, almeno per lo spettatore, anche se il suo percorso è stato molto sofferto.

Il vuoto maggiore di governo è dovuto alla non comprensione del fatto che oggi la crisi del paesaggio è almeno altrettanto grave di quella dell’ambiente, che gli avvenimenti accadono con tempi e modi che non sempre (quasi mai) la pianificazione riesce a prevedere, e che sono le comunità partecipi dei paesaggi che sono ormai il vero soggetto committente, sempre più al centro della scena, e dove c’è un ritardo non importa, se ancora non lo sono, presto lo saranno. Il problema è allora di porre gli attori delle trasformazioni del territorio in stretta dialettica comunicazione fra loro. Manfredi dimostra con questa collezione di atti che sono volta a volta eroici o patetici che comunque vi è stata da parte dell’architettura una risposta generosa alla necessità di un momento dove si è dovuto camminare sull’acqua, improvvisando tutto, perché era la cultura generale del paese ad essere in ritardo. Ora sappiamo meglio che la prima cosa da fare è di scegliere pochi obiettivi mirati, saper azionare dei sistemi discreti di riqualificazione che abbiano la forza di indurre spontaneamente altre risorse; intervenire anche solo con alcuni sistemi. Poco male se questa generazione ha costruito con eroica difficoltà degli spazi che di fatto sono risultati effimeri, al punto di essere fragili e revocabili come installazioni temporanee. Queste opere pubbliche saranno

state utilissime se sapremo trarne un insegnamento. L’utilità di questa sperimentazione è comunque molto alta, perché rappresenta, ricorda, una esigenza insopprimibile della nostra società, quella di nutrire un proprio disegno avanzato dell’habitat. La prima cosa da fare è integrare, smontare e rimontare vecchie abitudini, saper scegliere e saper coinvolgere. La prima cosa da fare è di attivare dei laboratori e dei tavoli di concertazione, che sono tanto più efficaci quanto le scelte di governo sono più decise e illuminate.

Buon progettista, dotato di uno humour ben temperato, aperto al dialogo fra architettura e paesaggio, cinefilo accanito, Manfredi si è esposto non poco personalmente in questo viaggio scomodo quanto appassionato, condotto con la rigorosa continua interlocuzione con Daniela Colafranceschi. Ne abbiamo discusso insieme più volte, ora è il lettore che deve entrare in fabula, sono sicuro che capirà e apprezzerà.

Franco ZagariArchitetto paesaggista, Professore Ordinario di Architettura del Paesaggio e coordinatore del Dottorato di Ricerca in Architettura dei Parchi, dei Giardini e Assetto del Territorio presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria.

PAESAGGI CHE CAMBIANO DANIELA COLAFRANCESCHI

Questo libro presenta una dimensione del progetto di paesaggio nelle geografie del nostro meridione (le regioni di Calabria e Sicilia), abbraccia un arco temporale relativo agli ultimi 20 anni e presenta 40 opere ed altrettanti autori.E’ uno studio che ‘misura’ un ambito tematico chiave per il progetto di paesaggio: quello dello spazio pubblico come ‘strategia’ nel processo di sviluppo e riqualificazione urbana, e offre una ricerca rilevante per la qualità e quantità delle esperienze raccolte come per la poca diffusione che queste hanno avuto. Fabio Manfredi struttura un importante repertorio comparativo di opere, sintomi, indizi, attitudini, anche nell’intento di sottolineare e promuovere politiche di sensibilizzazione e intervento nel paesaggio in Calabria e Sicilia; lo visita mantenendo una angolazione progettuale in linea con i principi della CEP – Convenzione Europea del Paesaggio - e con il valore culturale che le sue definizioni ci richiedono, ormai urgentemente, di adottare: il recupero di un senso di identità, di appartenenza, di ‘luogo’, che passa proprio nell’adozione di misure specifiche finalizzate non solo alla gestione e al suo sviluppo ma soprattutto al riconoscimento del paesaggio come patrimonio culturale, e da qui al valore e alle potenzialità che il progetto offre ed esprime nel generare per questi luoghi centralità ed attività economica.

L’indagine che qui si presenta è svolta sul campo, è diretta e originale e si avvale, oltre al ricco data base di casi studio, anche di interviste e dialoghi con autori e critici, comunque referenti di questa ricerca, che ne hanno

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ampliato l’orizzonte di studio.A questo molto ha contribuito l’esperienza di ricerca condotta da Fabio Manfredi presso l’Observatori del Paisatge de Catalunya – prestigiosa istituzione di ricerca, sviluppo e gestione del paesaggio - che ha completato una sua formazione metodologica e critica verso le questioni del paesaggio applicato alla realtà mediterranea.

Gli approfondimenti e le angolazioni scelte dimostrano una consapevolezza critica e l’acquisizione dei contenuti culturali e interdisciplinari del tema. Le ampie ricognizioni, le originali rassegne fotografiche sono accompagnate da letture critico-interpretative dei processi in atto nelle due regioni, dove Fabio Manfredi evidenzia e sottolinea quella valorizzazione delle vocazioni dei “luoghi in attesa di autore” cioè inespresse ma potenzialmente presenti, che attendono il progetto come significazione di identità, capace di concedere e innescare processi di riqualificazione se non di ‘qualificazione’ di quei territori. Sono paesaggi da ‘scrivere’ e scoprire, un ambito di ricerca concettuale, interpretativo oltre che geografico, perché riguarda dimensioni di contesti difficili, ibridi, critici; temi che alimentano un ripensamento della dimensione progettuale degli esterni, degli spazi residuali, negletti, di quelli vuoti o ‘tra’ altri, ma anche delle piazze nelle nuove città di fondazione (o ri-fondazione), di centri urbani consolidati, delle strade, delle corti o dei giardini interni ad edifici istituzionali.L’intervenire nel quotidiano per costruire nuovi linguaggi espressivi, lavorare in ambienti ‘poveri’ con risposte anche minime ma efficaci, interpretare la tradizione con la sperimentazione, trovare nelle forme, nella luce, nella materia, nel dettaglio poesia e complessità.

Lo sguardo con cui Fabio Manfredi visita e presenta le opere pone la questione dell’attitudine ‘moderna’ del fare paesaggio, al centro del piú ampio dibattito sul progetto contemporaneo degli ‘esterni’ della città, non solo per il meridione d’Italia – di cui si occupa direttamente – ma per la dimensione mediterranea come referente più generale anche per dimensioni

di conoscenze ed esperienze specifiche morfologiche e fenomenologiche ormai radicate nella nostra cultura.Come gli autori qui presenti interpretano in forme di paesaggio i valori e la cultura di queste terre? Quale la loro capacità evocatrice nel progetto? Sono solo alcune delle domande che alimentano l’indagine, condotta come il racconto di un viaggio affrontato da Fabio Manfredi nella sua grande propensione e sensibilità verso l’ascolto’ di un luogo, delle sue qualità, nevralgie e potenzialità.Con lui, una ‘cassetta dei ferri’, dove cinema, fotografie, testi letterari, dialoghi con autori e artisti sono serviti ad alimentare il confronto, ad accompagnare ed arricchire di interpretazione, attitudini, punti di vista e percezioni la ‘registrazione’ dell’ identità contemporanea di queste terre e di questi luoghi: il progetto di paesaggio d’autore che apre a problematiche sul piano teorico e applicativo - non ultimo relativamente lo sviluppo delle sue caratteristiche estetico/compositive e scientifico/ambientali - come valori ad esso complementari.Questo libro, dunque, rileva ed enfatizza quelle attitudini progettuali piú direttamente inerenti la definizione di un nuovo statuto disciplinare per la progettazione del paesaggio.Fabio Manfredi indaga i vari livelli su cui questo patto tra natura e cultura incontra nuove sintesi di progetto, accogliendo in questo lavoro prospettive, immagini, concetti, pensieri, forme e sentimenti di chi – non sempre paesaggisti – ha voluto di questa geografia regalare un proprio punto di vista.Sono le molteplici espressioni di un lessico che trova nella mediterraneità la sintesi di funzioni e contraddizioni dello spazio calabrese e siciliano odierno, dell’uso che se ne va reclamando e dei distinti aspetti e livelli sociali a cui si rivolge.

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Daniela Colafranceschi Architetto, Dottore in Progettazione Architettonica e Professore Ordinario di Architettura del Paesaggio dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria.

MIRADAS INTER Y TRANSDISCIPLINARIASJOAN NOGUÉ

Conocí a Fabio Manfredi a raíz de su estancia como investigador en el Observatori del Paisatge de la Catalunya, en su sede técnica de Olot, una pequeña ciudad catalana localizada en el Prepirineo oriental y a unos 150 Km de Barcelona. El estar alejados de la gran metrópolis plantea algunas dificultades logísticas, no sólo para los miembros del Observatotio, sino también para aquellos que nos visitan y que, a menudo, no entienden muy bien por qué decidimos libremente situarnos tan lejos de la capital. Sin embargo, este emplazamiento tiene también sus ventajas, entre ellas la posibilidad de concentrarse mucho más en las tareas a desarrollar, al poder evitar aquellos elementos distorsionadores tan propios de las dinámicas metropolitanas. Por otra parte, este ambiente de trabajo y de recogimiento facilita las relaciones personales, puesto que el trato con los investigadores que nos visitan se vuelve, inevitablemente, más cálido y directo.

Fabio fue uno de los investigadores que, como tantos otros, llegaron a Olot después de un largo viaje desde Barcelona en transporte público y con una expresión de cierto desconcierto y desorientación. Sin embargo, pasaron los días, y su nivel de integración con el resto del personal del Observatorio y su grado de implicación con las tareas del mismo fue ‘in crescendo’ hasta confundirse con un miembro más del staff. Participaba en los debates, se sumaba a las excursiones y salidas de campo por toda Cataluña, compartía nuestros retos e incertidumbres en el proceso de elaboración de Los catálogos de paisaje y, sobre todo, iba saboreando con el tiempo el aislamiento físico (que no mental) autoimpuesto. Y todo ello gracias a su

SGUARDI INTER E TRANS DISCIPLINARI JOAN NOGUÉ

Ho conosciuto Fabio Manfredi a seguito del suo periodo di studio presso l’Observatori del Paisatge de la Catalunya, nella sua sede tecnica di Olot, una cittadina catalana situata nei monti prepirenei orientali a circa 150 chilometri da Barcellona. Il suo trovarsi lontana dalla grande metropoli pone certamente alcune difficoltà logistiche non solo per i membri dell’Osservatorio ma anche per coloro che vengono a visitarci e che spesso non capiscono bene perché abbiamo scelto liberamente di stabilirci così lontano dalla capitale. Questa posizione tuttavia ha anche i suoi vantaggi: la possibilità di concentrarsi bene sul lavoro e sui distinti compiti da svolgere e da sviluppare, il poter evitare quegli elementi distraenti propri delle dinamiche metropolitane; d’altra parte, questo ambiente di lavoro e di raccoglimento facilita le relazioni personali: il rapporto con i ricercatori e gli studiosi che vengono a trovarci si rende, infatti, più diretto e caloroso.

Fabio è stato uno dei ricercatori che, come tanti altri, dopo un lungo viaggio da Barcellona su un mezzo pubblico, è arrivato ad Olot con una espressione di sconcerto e disorientamento; tuttavia, con il passare dei giorni, il suo livello di integrazione con il personale dell’Osservatorio e il suo grado di implicazione con le istanze e i compiti da assolvere è andato crescendo fino a confondersi come un membro in più dello staff di questa istituzione. Partecipava ai dibattiti, si aggregava alle uscite e ai sopralluoghi sul campo realizzati in tutta la Catalogna, condivideva le nostre sfide e incertezze nel processo di elaborazione dei Cataloghi del paesaggio e, soprattutto andava

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capacidad de trabajo, a sus ganas de aprender, a su espíritu innovador, a su habilidad por franquear las barreras disciplinares.Al leer este libro, que tiene su origen en una fantástica Tesis Doctoral del mismo autor, reconocí de inmediato al Fabio Manfredi que conocí a raíz de su estancia en el Observatorio del Paisaje y con quien tuve ocasión de convivir y trabajar durante un tiempo. Se trata de un libro sugerente e innovador, de un texto capaz de explorar diversos registros simultáneamente: del cine a la fotografía, pasando, evidentemente, por la arquitectura, entre otras artes y disciplinas. Esa versatilidad no es nada fácil ni corriente y, sin embargo, considero que es una condición imprescindible para entender el contexto de las 40 obras analizadas y localizadas en Calabria y Sicilia.El autor se propone, en efecto, analizar varias decenas de proyectos de paisaje en el espacio público materializados en las dos regiones antes mencionadas entre 1990 y 2010. Me parece especialmente interesante el ejercicio intelectual al que nos invita Fabio, porque, en última instancia, no se trata tanto de un análisis de la obra per se, sino de la obra en su contexto. Tanto el texto como las fotografías realizadas por Fabio Manfredi nos sugieren una gran cantidad de preguntas: ¿Han triunfado estos proyectos como espacios de sociabilidad? ¿Han contribuido a generar nuevas relaciones sociales? ¿Tienen todos ellos algo en común, más allá del espacio y del tiempo en el que se circunscriben? El autor explora estas cuestiones nada fáciles y, para ello, se sirve también de la ayuda que le proporcionan otros registros, como el cine. La ‘mirada’ que sobre el paisaje calabrés y siciliano tienen los directores de cine estudiados en la investigación de Fabio Manfredi completa la propia del arquitecto del paisaje y contribuye a que éste se acostumbre a explorar ‘otros’ territorios, aparentemente incógnitos e invisibles, pero fundamentales para entender el contexto de la obra.

Estamos, en definitiva, ante un libro relevante por múltiples razones: por considerar la intervención en el espacio público como estrategia de desarrollo y regeneración urbana, por ahondar en el gran papel del contexto

assaporando con il tempo quell’isolamento fisico (non certo mentale) autoimposto. Tutto questo grazie alla sua capacità di lavoro, al suo desiderio di apprendere, al suo spirito innovatore, alla sua abilità di affrancarsi da barriere disciplinari.Nel leggere questo libro, che prende le mosse da una fantastica Tesi di Dottorato dello stesso autore, ho ritrovato immediatamente quel Fabio Manfredi che trascorse un periodo all’Osservatorio del Paesaggio e con il quale ebbi occasione di convivere e lavorare durante qualche tempo.Si tratta di un libro suggestivo e innovatore, di un testo capace di esplorare diversi registri simultaneamente: del cinema, della fotografia, passando evidentemente per l’architettura, altre arti e discipline. Questa qualità versatile non è affatto facile né scontata e, tuttavia reputo sia una condizione imprescindibile per capire il contesto delle 40 opere analizzate e localizzate tra Calabria e Sicilia.L’autore si propone, di fatto, di analizzare varie decine di progetti di paesaggio e spazi pubblici, realizzati nelle due regioni tra il 1990 e il 2010. Mi sembra particolarmente interessante l’esercizio intellettuale a cui ci invita Fabio, perché, in definitiva, non si tratta tanto di un’analisi dell’opera ‘in sé’, quanto piuttosto dell’opera nel suo contesto. Sia il testo che le fotografie realizzate da Fabio Manfredi ci inducono ad una grande quantità di domande: hanno avuto successo questi spazi come spazi della socialità? Hanno contribuito a generare nuove relazioni sociali? Hanno tra loro qualcosa in comune al di là dello spazio e del tempo in cui si circoscrivono? L’autore si pone queste questioni, per niente facili e, per farlo, si serve anche dell’aiuto che gli forniscono altri ‘registri’, come quello del cinema. Lo sguardo che hanno sul territorio calabrese e siciliano i registi studiati e trattati nella ricerca di Fabio Manfredi nel completare il suo, che è proprio di un architetto del paesaggio, contribuisce a potenziare l’esplorazione di ‘altri’ territori apparentemente incogniti e invisibili eppure fondamentali per intendere il contesto a cui l’opera appartiene.

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en la comprensión de la obra, por ser capaz de aplicar a un mismo paisaje miradas inter y transdisciplinarias, por la mediterraneidad de su perspectiva. Es una gran satisfacción para el Observatori del Paisatge de la Catalunya que el autor del mismo sea uno de los investigadores más lúcidos con que hemos contado en nuestra institución.

Joan NoguéDirector del Observatori del Paisatge de la Catalunya y Catedrático de Geografía Humana de la Universidad de Girona.

Siamo in definitiva davanti ad un libro rilevante per molteplici ragioni: per il considerare l’intervento nello spazio pubblico come una strategia di sviluppo e rigenerazione urbana, per voler approfondire l’importante ruolo del contesto nella comprensione dell’opera, per essere capace di applicare ad uno stesso paesaggio sguardi ‘inter’ e ‘trans’ disciplinari, per la mediterraneità della prospettiva che offre.E’ una grande soddisfazione per l’Observatori del Paisatge de la Catalunya che l’autore sia uno dei ricercatori più lucidi su cui abbiamo potuto contare nella nostra Istituzione.

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Joan NoguéDirettore dell’Observatori del Paisatge de la Catalunya e Professore Ordinario di Geografia Umana dell’Università di Girona.

INTRODUZIONE: NOTE PRELIMINARI

In Calabria e Sicilia.Progetti, autori, paesaggi, paesaggi in cerca di un autore.Questo studio si muove attraverso dimensioni differenti, indagando attitudini, comportamenti, intuizioni legate al progetto di paesaggio in un’area geografica specifica: quella di Calabria e Sicilia.È una ricerca critica che tenta di individuare – anche attraverso strumenti di lettura che sconfinano dal campo disciplinare dell’architettura e del paesaggismo – idee e valori assunti dai progetti e interpretati dai loro autori.L’esito, come spesso succede in uno studio di questo tipo, è simile ad un viaggio.Un viaggio nel progetto d’autore in primo luogo, ma anche un viaggio nel paesaggio in cerca di un autore, in attesa di essere letto, scoperto, interpretato, progettato; perché Calabria e Sicilia sono innanzitutto paesaggi in attesa.La ricerca, che si inserisce nel più ampio dibattito sul ruolo del progetto del ‘vuoto’ e sulla riqualificazione urbana attraverso lo spazio pubblico, nasce anzitutto dalla mancanza di un repertorio specifico relativo a quanto negli ultimi anni si sia prodotto e, inoltre, dall’esigenza di farvi confluire le informazioni che contesto, progetto e autori d’eccezione, anche lontani dall’architettura, suggeriscono per questo territorio.Nel corso della stesura del lavoro si è progressivamente costatato quanto lo stato dell’arte registrasse un repertorio ancora esiguo di opere e rendesse inoltre evidente la poca fortuna a cui il progetto spesso è andato incontro nonostante la sua qualità.

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Lo sguardo critico si è allora andato ampliando, cercando nelle testimonianze dirette ragioni e risposte di una condizione esplicita e nevralgica.Di progetto e paesaggio, ‘parlano’ i protagonisti Franco Zagari, Vincenzo Latina, Aurelio Cantone, gli studiosi Joan Nogué e Pere Sala; in forma indiretta, gli scrittori Roberto Alaymo e Pedrag Matvejević, i registi Emanule Crialese, Marco Tullio Giordana, Roberta Torre, sulla difficoltà dell’architetto di parlare al pubblico, sul ruolo pedagogico dell’esperto di paesaggio, sull’apparente incapacità dell’architettura a diventare parte effettiva della città.Seppure siano molti i ‘problemi aperti’ che forse necessiterebbero di un maggior approfondimento, si è tentato di sottolineare in questo lavoro come l’architettura del paesaggio in Calabria e Sicilia meriti di essere trattata in modo specifico. Le opere fin qui realizzate, infatti, non hanno conquistato uno spazio nelle pagine delle riviste e nel dibattito contemporaneo: sono architetture che, per essere comprese e valorizzate, vanno rilette - anzi lette nella maggior parte dei casi - nel contesto paesaggistico, culturale e sociale in cui si inseriscono.Proprio questo contesto difficile, ibrido, critico è stato il principale referente e fondamentale committente per il progetto di paesaggio.La riqualificazione urbana attraverso lo spazio pubblico assume qui un valore differente perché differenti sono le esigenze, le opportunità, le risorse, diversa la predisposizione e l’attitudine al cambiamento.“L’Italia del sud”, afferma Daniela Colafranceschi1, “non si dispone come spazio della modernità”, ma il contesto quotidiano, povero, ‘lento’ ha suggerito soluzioni differenti: l’elaborazione della tradizione attraverso la sperimentazione, le operazioni minime e l’impiego dei materiali disponibili, l’uso della luce come materia e del cielo come fonte di ispirazione, l’orografia come supporto, a volte l’arte figurativa come tema centrale.Per Franco Zagari – come sosterrà nell’intervista che segue –“Sperimentare, sperimentare, sperimentare, è quello che dobbiamo fare e convincere di fare, a cominciare da una riflessione più avanzata sul rapporto fra i luoghi e la modernità”, mentre Vincenzo Latina ritiene che “Non siano efficaci

né lo sperimentalismo esasperato che ‘somministra’ e riproduce su vasta scala oggetti eccezionali, né la pacata ripetizione dell’esperienza maturata, la quale per lo più genera, a priori, delle ‘ricette’ precostituite per ogni contesto”. Sul tema specifico del progetto contemporaneo di paesaggio, in definitiva, la ricerca ‘scopre’ una preziosa eterogeneità di linguaggi e di soluzioni.

Il libro si divide in due parti: Progetti d’autore che affronta il tema specifico del progetto in queste due regioni, nell’ambito contemporaneo e nella sua storia recente; Paesaggi, riflessioni, che offre delle letture del territorio calabrese e siciliano, soffermandosi sulle occasioni che il contesto offre all’interpretazione del progetto, attraverso cinema, testi letterari, dialoghi con autori, artisti, fornendo nuove percezioni dell’’identità’ attuale di questa realtà.

La prima parte, Calabria e Sicilia, è una ricognizione delle realizzazioni più recenti – in termine di spazi pubblici, in ambito urbano e non – eseguite dal 1990 ad oggi.Si presentano quaranta opere, tutte di questo ultimo ventennio, con l’intenzione di fornire un repertorio il più possibile ampio, riflesso dei molti linguaggi espressivi che le architetture esprimono e di un ampio spettro di soluzioni possibili: progetti, realizzazioni, ipotesi.L’indagine è anche un’indagine fotografica, svolta ‘in presa diretta’, alla ricerca di progetti noti e/o ancora poco considerati da pubblicazioni e riviste.38 sono gli autori: Massimiliano Fuksas, Doriana Fuksas, Cannatà&Fernandes, Studio Associato Borzì Cantone Ortoleva, Vito Corte, Alessandro Tagliolini, Francesco Taormina, Franco Zagari, Aurelio Cantone, Terri Agrì, Marcella Aprile, Roberta Collovà, Teresa La Rocca, Pierangelo Traballi, Gianfranco Tuzzolino, Antonino Mangagliotta, Vincenzo Latina, Enrico Anello, Vincenzo Gioffrè, Giovanni Gioffrè, Carmela Agostino, Gae Aulenti, Marina Tornatora, Valerio Morabito, Antonio Dattilo, Marco Navarra,

INTRODUZIONE: NOTE PRELIMINARI 25

Marcello Guido, Aldo Li Bianchi, Attilio Nesi, Mario Pisani, Francesco Cellini, Maurizio Oddo, Marcello Maltese, Architrend Associati, Italo Rota, Sud’arch, Pasquale Culotta, Giovanni Laganà.

Ne L’opera contemporanea si offre un’analisi critica delle realizzazioni, un punto di vista sulle attitudini del progetto, su quanto la produzione contemporanea ha inciso e significato, sul contesto come referente continuo di questa realtà.

In Conversazioni ci si è posti, tra le altre, delle domande chiave per la questione disciplinare: Quale è l’attitudine più idonea di fare progetto di paesaggio per lo spazio pubblico in Calabria e Sicilia? Quali sono le qualità del contesto assunte dal progetto? Quanto le tendenze attuali internazionali ne sono referenti? È possibile delineare un alfabeto, dei denominatori comuni, ricorrenti nel progetto dello spazio pubblico? Quali materiali rispondono più di altri a queste attitudini?L’indagine sui progetti trattati si completa così con un ‘forum’ virtuale tra alcuni dei protagonisti presenti nel libro2, che hanno risposto direttamente alle questioni su cui si muove la ricerca.

La storia recente è il capitolo dove si é trattato di Gibellina, Salemi e Cefalù’ come tre laboratori ‘en plain air’, esperienze che nel decennio 1980-90 hanno rappresentato la “primavera dell’architettura siciliana”3. Sono considerate una vicenda a sé nella storia dello spazio pubblico in Calabria e Sicilia, perché appartengono ad una fase che si è conclusa e di cui si è già trattato ampiamente nelle pubblicazioni di settore nel corso dell’ultimo decennio.

Nella seconda parte del libro, Sei paesaggi in cerca di un autore rappresentano altrettanti ‘luoghi’ in attesa di un progetto, come sei suggerimenti forniti dal contesto: 1.il paesaggio naturale, 2.la città di provincia, 3.le città di mare, 4.la periferia, 5.le porte delle città, 6.lo spazio

pubblico e semipubblico.Sei temi percorsi “con lo sguardo di chi va a sorprendere e con entusiasmo vuole continuare a indagare e a scoprire, piuttosto che di un ricercatore analitico con un suo preciso approccio metodologico” 4.

A colloquio con l’Observatori del Paisatge de la Catalunya sintetizza l’esperienza svolta presso l’istituzione scientifica, di cui questo studio si è arricchito. È stata la possibilità di confrontarsi con uno strumento di lettura del paesaggio che è particolarmente complesso ma anche innovativo come quello del Catalogo del Paesaggio Catalano. Il direttore dell’Osservatorio, Joan Nogué, e il responsabile del Catalogo, Pere Sala, hanno espresso alcune considerazioni sul tema affrontato dalla ricerca e in generale sul valore della percezione nello studio del paesaggio, molto utile all’identificazione di quei valori identitari e culturali della nostra realtà geografica.

Altri paesaggi d’autore è una raccolta di ‘immagini’ dal mondo del cinema.“Il cinema è per l’architettura uno straordinario mezzo di indagine della città e del paesaggio. La sua elaborazione digitale di spazi e di luoghi ci fornisce un’idea di paesaggio che finisce per raccontare di suggestioni e di intuizioni che non possono non modificare o condizionare la nostra interpretazione del paesaggio” 6.

1 Daniela Colafranceschi, “Viaggi e paesaggi in Sicilia”, in Leonardi Maria Giovanna, L’architettura del paesaggio in Sicilia, Dario Flaccovio Editore, Palermo 2006 2 Franco Zagari, Vincenzo Latina, Aurelio Cantone3 Antonio Angellillo, “Verso una primavera siciliana?”, in Casabella n.617, novembre 19944 Paolo L. Bürgi, “Dal luogo al paesaggio”, in Franco Zagari, Questo é paesaggio. 48 definizioni, Gruppo Mancosu Editore, Roma 2006)5 AA.VV., “Movies”, in www.architettura.supereva.it

INTRODUZIONE: NOTE PRELIMINARI 27

PR

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1. Massimiliano Fuksas, Piazza Margherita, Acquappesa, Cosenza, 1990-1993

2. Cannatà&Fernandes, Piazza Nicolas Green, Melicucco, Reggio Calabria, 1990

3. Studio Associato Borzì Cantone Ortoleva, Piazza Arcidiacono, Riposto, Catania, 1990

4. Vito Corte, Giardino degli aromi, Erice, Trapani, 1990-2000

5. Alessandro Tagliolini, Parco Delle Terme, Sciacca, Agrigento, 1991-1995

6. Francesco Taormina, Sistemazione Strada Palazzi, Pollina, Palermo, 1991-1998

7. Franco Zagari, Piazza Matteotti, Catanzaro, 1992

8. Aurelio Cantone, Parco Delle Kentie, Riposto, Catania, 1993-1996

9. Marcella Aprile, Roberta Collovà, Teresa La Rocca, Parcheggio Case Di Stefano, Gibellina, Trapani, 1996-1997

10. Pierangelo Traballi, Piazza Regina Margherita, Alimena, Messina, 1996-1997

11. Gianfranco Tuzzolino, Antonino Mangagliotta, Piazza Kennedy, Porto Empedocle, Agrigento, 1997-1998

12. Gianfranco Tuzzolino, Antonino Mangagliotta, Sistemazione via Biancorosso, Cammarata, Agrigento, 1997-1998

13. Vincenzo Latina, Corte ai Bottari, Siracusa, 1997-2001

14. Enrico Anello, Calvario, Giuliana, Palermo, 1998

15. Vincenzo Gioffrè, Giovanni Gioffrè, Cimitero, Bagnara Calabra, Reggio Calabria, 1998

16. Carmela Agostino, Piazza Giardino della Pace, Caulonia, Reggio Calabria, 1999

17. Carmela Agostino, Ampliamento Cimitero, Caulonia, Reggio Calabria, 1999

18. Gae Aulenti, Piazza Ciullo, Alcamo, Trapani, 1999-2003

19. Marina Tornatora, Piazza sul torrente Ierapotamo, Polistena, Reggio Calabria, 2000

20. Valerio Morabito, Antonio Dattilo, Piazzetta Amendola, Condofuri, Reggio Calabria, 2000

CALABRIA E SICILIA

21. Marco Navarra, Parco Lineare, San Michele di Ganzaria, Caltagirone, Catania, 2000

22. Marcello Guido, Piazzetta Toscano, Cosenza, 2000

23. Pierangelo Traballi, Lungomare, Erice, Trapani, 2000-2001

24. Aldo Li Bianchi, Piano S. Antonio, Geraci Siculo, Palermo, 2001-2002

25. Massimiliano Fuksas, Doriana Fuksas, Giardini Etnapolis, Catania, 2001-2006

26. Attilio Nesi, Piazza Indipendenza, Fuscaldo, Cosenza, 2002

27. Vincenzo Latina, Sistemazione Ronco Cassari, Siracusa, 2002-2004

28. Mario Pisani, Piazza Sprovieri, Acri, Cosenza, 2003

29. Francesco Cellini, Piazza C. Rizzone, Modica, Ragusa, 2003

30. Maurizio Oddo, Marcello Maltese, Piazza belvedere e giardino, Triscina, Trapani, 2003-2004

31. Marco Navarra, Giardino Arena del Tempio, San Michele di Ganzaria, Catania, 2003-2004

32. Architrend Associati, Giardini Iblei, Ragusa, 2003-2007

33. Italo Rota, Lungomare Foro Italico, Palermo, 2003-2005

34. Aurelio Cantone, Terri Agrì, Sagrato di Madonna del Piano, Grammichele, Catania, 2004

35. Vincenzo Latina, Giardino Artemide, Siracusa, 2004-2005

36. Francesco Taormina, Porta Urbana, Pollina, Palermo, 2004-2005

37. Gianfranco Tuzzolino, Antonino Margagliotta, Riqualificazione del centro storico, Cammarata, Agrigento, 2004-2006

38. Sud’arch, Riqualificazione aree pubbliche esterne del Palazzo Mesiani, Bova, Reggio Calabria, 2005

39. Pasquale Culotta, Sistema delle piazze, Castelvetrano, Palermo, 2005-2007

40. Giovanni Laganà, Via Marina Alta, Condofuri, Reggio Calabria, 2008

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CALABRIA E SICILIA 33

1. Massimiliano Fuksas, Piazza Margherita, Acquappesa, Cosenza, 1990-1993Una piazza sopraelevata, sorretta da una grande struttura di piloni in acciaio segna l’accidentale oro-grafia del sito come un importante landmark nel paesaggio.È un vero e proprio collegamento verticale per la città di Acquappesa.La piazza costituisce un sovrappasso per la strada sottostante - in alcuni punti alto anche sei metri - e, nello stesso tempo, un elemento di connessione con un’altra parte di città più bassa, dove inizial-mente doveva essere realizzato un parco.

2. Cannatà&Fernandes, Piazza Nicolas Green, Melicucco, Reggio Calabria, 1990Un muro di contenimento in travertino bianco rita-glia dalle strade limitrofe la superficie necessaria per la nuova Piazza Nicolas Green.È uno spazio per la sosta e la meditazione. Fanno parte integrante del muro una panchina, una fon-tana, una lapide commemorativa delle vittime di guerra.Il progetto risolve le differenze di quote tra le strade ed integra una scalinata preesistente alla stregua di un frammento archeologico.

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4. Vito Corte, Giardino Degli Aromi, Erice, Trapani, 1996-1997Su un’area molto vasta, posta tra Erice e Trapani, il progetto trasforma un campo prima utilizzato a discarica in un giardino di profumi per la sosta e lo svago.Un lungo muro giallo ocra, orientato secondo gli assi cartesiani con andamento rettilineo, articola la disposizione di serre, giardini d’inverno, aree espo-sitive, bar e sala conferenze. È un percorso aromatico attraverso la Piazza-Corte di Aranci Amari, con siepi d’asparago e un lungo roseto accompagnati da sette piccole fontane che tracimano acqua fino alla Stanza dello Scirocco dove si incontra una grande fontana ricca di ninfee ed edera.

3. Studio Associato Borzì Cantone Ortoleva, Piazza Arcidiacono, Riposto, Catania, 1990Un cordolo d’intonaco giallo ocra torna a definire uno spazio di risulta sul lungomare di Riposto, divi-dendo l’area in due ambiti differenti: uno sistemato a verde ed uno pavimentato in pietra locale, per of-frire una piccola piazza ad una quota più bassa.La Piazza Arcidiacono è raccordata gradualmente agli ambiti pedonali preesistenti ed è completata da una seduta ricavata sullo stesso cordolo.L’intonaco ocra e le ceramiche con cui la seduta è rivestita esplicitano il carattere ‘povero’ ed estrema-mente contenuto dell’intervento.

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6. Francesco Taormina, Sistemazione Strada Palazzi, Pollina, Palermo, 1991-1998Muri in calcestruzzo lisciato acquerellato e sofisti-cate scale metalliche trasformano il tracciato sco-sceso di una vecchia trazzèra in un percorso pano-ramico che torna a collegare parti di città altrimenti separate tra loro. Pochi elementi, ma utilizzati come un repertorio di componenti in sequenza, ridefiniscono lo spazio pubblico e si confrontano con la particolare orogra-fia del paese di Pollina: tappeti omogenei di diverso materiale, pavimentazioni con intervalli impressi da liste e regolati, muri sottolineati da profili metallici che nascondono e svelano in successione porzioni di paesaggio, un albero di bronzo simbolo della col-tivazione locale. Poco distante una torre di ingres-so, che funge da belvedere e da porta urbana.

5. Alessandro Tagliolini, Parco Delle Terme, Sciacca, Agrigento, 1991-1995Ai pini secolari e alla pineta preesistente, che ca-ratterizza questa area di Sciacca, sono affiancate nuove specie vegetali e nuovi percorsi in acciotto-lato con uno schema planimetrico molto semplice e lineare; al centro una fontana a tre livelli in traver-tino di Alcamo, che accoglie un sistema di canali sospesi funzionali al movimento dell’acqua, e una cavea in calcarenite gialla. Entrambe ricordano la forma triangolare dell’isola di Sicilia.

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8. Aurelio Cantone, Parco Delle Kentie, Riposto, Catania, 1993-1996Un ex vivaio di Riposto è trasformato in un giardino botanico con la realizzazione di un annesso tropica-rio e di un erbario per la cura di piante che necessi-tano di trattamenti particolari e studi scientifici.Gli edifici di acciaio e vetro esplicitano il tema ‘artifi-ciale’ del giardino, così come tutti gli elementi di ar-redo: la recinzione in ferro, la copertura dell’erbario, le kentie metalliche dell’ingresso. Persino le nuove specie vegetali piantate nel giardino sono tutte allo-gene e non autoctone.

7. Franco Zagari, Piazza Matteotti, Catanzaro, 1992Una successione di elementi e di stili riconferiscono ad un’area centrale della città di Catanzaro l’identità che, con il tempo, aveva smarrito.Piazza Matteotti è luogo privilegiato per il passeggio e la socializzazione, sottolineato ora da nuova pa-vimentazione in granito e travertino che riproduce motivi di arte figurativa. Completano la piazza: una scala come punto emergente dove salire, sedersi e apprezzare lo spazio dall’alto, le linee isocrone di un grande orologio solare, elemento di richiamo nelle ore notturne e un nuovo sistema di illumina-zione.

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10. Pierangelo Traballi, Piazza Regina Margherita, Alimena, Messina, 1996-1997Un piano in pietra, modellato e ritmato da gradini di differente larghezza, torna a collegare le diverse quote di Piazza Regina Margherita e si configura come importante spazio pubblico adiacente la chie-sa di Alimena.Un unico materiale per la pavimentazione, per i gra-dini, per gli spessi cordoli che delimitano lo spazio, rende la piazza un vero ‘piano’, modellato e adatta-to alla morfologia complessa del sito.

9. Marcella Aprile, Roberta Collovà, Teresa La Rocca, Parcheggio Case Di Stefano, Gibellina, Trapani, 1996-1997Un articolato sistema di corti, spianate esterne, viali pedonali, percorsi interni e reti di sentieri mettono in relazione il paesaggio naturale con gli spazi esterni delle Case Di Stefano, la masseria riconvertita dagli stessi autori a centro culturale in seguito al sisma del 1968. ‘Un terreno costruito’, una collina artificiale realizza-ta con il materiale di riporto dello scavo, protegge il parcheggio da una vista ravvicinata e si configura come parte integrante della topografia naturale.

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11. Gianfranco Tuzzolino, Antonino Mangagliotta, Piazza Kennedy, Porto Empedocle, Agrigento, 1997-1998La piazza è un importante ‘polmone’ pubblico nel tessuto urbano di Porto Empedocle, un grande in-vaso vuoto, pavimentato in marmette di cemento e ricorsi di pietra locale, versatile e flessibile.Nella parte più interna si raccorda con una rampa ad una differente quota della città e i muri - parapetti e sostegni della rampa - visivamente mitigano le altezze degli edifici che si stagliano sul retro come quinta scenografica dello spazio.

12. Gianfranco Tuzzolino, Antonino Mangagliotta, Sistemazione Via Biancorosso, Cammarata, Agrigento, 1997-1998La riqualificazione di un ambito importante del centro storico di Cammarata avviene attraverso la sistemazione di una delle strette strade che si iner-picano nel tessuto urbano.La Via Biancorosso viene sottolineata da semplici ma significativi ricorsi in pietra bianca, che si inne-stano nella pavimentazione in acciottolato comune al resto del centro storico; una trama di linee che, oltre a riordinare quote e dislivelli, permette di sve-lare angoli panoramici e piccoli spazi di sosta.

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13. Vincenzo Latina, Corte ai Bottari, Siracusa, 1997-2001L’intervento si propone di ‘svuotare’ le vecchie corti di un isolato del centro storico di Ortigia, per mol-to tempo utilizzate come discarica, e restituire loro una identità di spazio pubblico.Un contrafforte strutturale in pietra arenaria recu-perata dalle macerie, una pavimentazione in pietra lavica e arenaria e una serie di micro-interventi per le risalite agli edifici che si affacciano sulla corte ri-convertono lo spazio e rivelano tracce e relazioni occultate dalla stratificazione millenaria.

14. Enrico Anello, Calvario, Giuliana, Palermo, 1998Una lunga gradinata in pietra conduce nel luogo simbolico dell’ascesa sul Golgota, dove, su un po-dio, sono collocate le croci del Calvario in legno che rappresentano Cristo e i due ladroni.I materiali - iroko, castagno e ciliegio -, l’assenza di assi di simmetria, la presenza del podio, i piani de-gradanti che collegano il Calvario al contesto circo-stante accentuano il verticalismo e simboleggiano la drammaticità della Crocifissione.

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16. Carmela Agostino, Piazza Giardino Della Pace, Caulonia, Reggio Calabria, 1999È un giardino ‘a costo zero’, caratterizzato da linee semplici ed essenziali, realizzato con materiali eco-nomicamente sostenibili e facilmente reperibili sul mercato locale.Una pavimentazione in cemento a grana grossa e giunti di dilatazione in traverse di legno e ricorsi in porfido disegnano un suolo ‘moderno’ su cui insi-stono pochi elementi di arredo: delle sedute, una passerella e una pergola trasversale a tagliare il sistema, tutto assemblato con traverse di legno e giunti in ferro.

15. Vincenzo Gioffrè, Giovanni Gioffrè, Cimitero, Bagnara Calabra, Reggio Calabria, 1998Accanto a terrazzamenti coltivati a zibibbo di fron-te allo scenario delle isole Eolie e dello Stretto, il progetto consiste nell’ampliamento e ristrutturazio-ne del cimitero esistente con la realizzazione di un muro di cinta, di un cancello di ingresso, di un pic-colo edificio servizi, di quattro stecche di loculi. L’in-tervento è minimale: muri intonacati di bianco con una griglia regolare di fori quadrati che contengono delle croci in marmo Rosso Verona ed un corona-mento di mattoni posti a coltello. Il tema della croce destrutturata ispira anche il disegno del cancello in profilati di acciaio verniciato sempre di rosso bruno. I loculi sono elementi plastici in calcestruzzo con una sezione a ‘fungo’, libera citazione al raziona-lismo.

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17. Carmela Agostino, Ampliamento Cimitero, Caulonia, Reggio Calabria, 1999Uno spazio precedentemente pianeggiante è tra-sformato in un’area a tre livelli come ampliamento del cimitero storico di Caulonia.Nel riferimento diretto alle tecniche costruttive dei terrazzamenti contadini, i nuovi loculi in cemento armato fanno da contenimento ai terrapieni e gene-rano un nuovo spazio; con un andamento irregolare creano i tre livelli del giardino-cimitero collegati da percorsi e rampe realizzate in mattoni di cotto.I giardini sono spazi liberi lasciati dalle pavimenta-zioni, pensati per essere aggredititi dalla vegetazio-ne spontanea autoctona.

18. Gae Aulenti, Piazza Ciullo, Alcamo, Trapani, 1999-2003Tappeti di pavimentazione di diversa tessitura con-vergono nella piazza municipio di Alcamo, sottoli-neando l’intersezione e l’andamento delle differenti trame urbane che trovano proprio qui il loro punto di incontro.Gli arredi urbani dal design minimale e sofisticato - i dissuasori, i sistemi di illuminazione - ridefiniscono l’unità d’insieme, ristabiliscono la relazione tra gli edifici e marcano le pertinenze dello spazio pubbli-co.

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19. Marina Tornatora, Piazza Sul Torrente Ierapotamo, Polistena, Reggio Calabria, 2000La piazza di Polistena è un elemento di ricucitura tra due tessuti urbani di età diversa e di differente sviluppo, divisi dalla presenza del torrente Jerapo-tamo.Una modellazione orizzontale del suolo, attraver-so elementi lapidei, configura la nuova architettura come una scultura adagiata sul fondo esistente di asfalto, uno spazio di piani d’acqua e di pietra de-limitati da bordi a rilievo. Gli zampilli e la cascata vengono accolti e scanditi dai cigli lapidei, ma l’ac-qua invade comunque lo spazio rompendo la rigida e architettonica giacitura della piazza.

20. Valerio Morabito, Antonio Dattilo, Piazzetta Amendola, Condofuri, Reggio Calabria, 2000 Campi di tessiture diverse (asfalto, acciottolato, marmette di cemento) delimitati e sottolineati da una trama di ricorsi in pietra, disegnano un pavi-mento che ridefinisce l’identità ad un’area irrisolta nel tessuto urbano di Condofuri. Pochi gli elementi di arredo utilizzati: una panchina-copertura per la fermata dell’autobus, altre sedute che guardano verso la città e non al paesaggio na-turale che si lasciano invece alle spalle.

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22. Marcello Guido, Piazzetta Toscano, Cosenza, 2000Grandi lastre in vetro e ferro tutelano e valorizza-no un contesto archeologico nel centro storico di Cosenza, generato dai bombardamenti dell’ultimo conflitto bellico e lasciato abbandonato. Come schegge crollate dal cielo, proteggono lo scavo sot-tostante, si poggiano sugli edifici circostanti, orga-nizzano lo spazio a piazza rendendo fruibile l’area, confrontandosi con il patrimonio architettonico sen-za mimetismi, ’faccia a faccia’, nell’uso di materiali e linguaggi espressivi moderni.

21. Marco Navarra, Parco Lineare, San Michele Di Ganzaria, Caltagirone, Catania, 2000Una vecchia linea ferrata, costruita nei primi del ‘900 per collegare alcuni centri minori dell’entroter-ra siciliano, viene trasformata in un parco lineare, un percorso che attraversa la campagna da Calta-girone a San Michele di Ganzaria.Un nastro colorato di asfalto sull’ex tracciato ferro-viario disegna una pista ciclabile con bande colora-te che le conferiscono movimento, ritmo, tensione, intensificandosi in punti di particolare interesse o di intersezione con altri percorsi.

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24. Aldo Li Bianchi, Piano S. Antonio, Geraci Siculo, Palermo, 2001-2002Il ‘piano’ è una piazza che si configura come un grande vuoto nella geometria irregolare del tessuto urbano, alle pendici dei monti Geraci.La sua giacitura inclinata, che lo rende eccezionale belvedere sulla città arroccata sulla roccia basaltica delle montagne, viene sottolineata da una nuova pavimentazione in pietra arenaria che risolve i rac-cordi con le differenti quote del contesto, incastran-dosi tra macigni emergenti di roccia.Un solo sedile in pietra, rivolto alle emergenze ar-chitettoniche del centro storico, rivendica il ruolo meditativo e contemplativo dell’intervento.

23. Pierangelo Traballi, Lungomare, Erice, Trapani, 2000-2001Due elementi, il muro di contenimento e il marcia-piede, senza soluzione di continuità ridisegnano il bordo del litorale di Erice.Il rivestimento del muro in pietra calcarea di grandi dimensioni, una pavimentazione e il suo bordo ri-alzato da un filare di blocchi della stessa pietra, si ripetono per quasi un chilometro lungo la spiaggia, a proteggere la strada dall’invasione periodica della sabbia e a configurare una nuova passeggiata.Scale e rampe in legno si attaccano al sistema ri-gido del lungomare e permettono di collegare la sua quota a quella più bassa della sabbia, dove la vegetazione rada prevista dal progetto ripropone il sistema dunale di un tempo.

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26. Attilio Nesi, Piazza Indipendenza, Fuscaldo, Cosenza, 2002È una terrazza sul mare la nuova Piazza Indipen-denza, un belvedere dal quale poter osservare la città e soprattutto la costa su cui è adagiata.Una serie di ‘tappeti’ in travertino si stendono su un pavimento di sampietrini, amplificandone lo spazio e sottolineando la vocazione di punto di osservazio-ne privilegiato del sito.Completano la piazza elementi di arredo in traverti-no bianco: alcune sedute che rivelano esplicitamen-te, nel disegno del loro schienale, la doppia visuale del belvedere (tra il centro storico e il mare), una fioriera e, nel punto più alto, una fontana.Il collegamento tra piazza e strada sottostante è risolto da una rampa appoggiata ai muri di conteni-mento che limitano il centro storico.

25. Massimiliano Fuksas, Doriana Fuksas, Giardini Etnapolis, Catania, 2001-2006L’Etnapolis è un grande centro polifunzionale com-posto da un centro commerciale, multisala, ristoran-ti; un moderno mall commerciale ai piedi dell’Etna, nella periferia di Catania. Il giardino è l’elemento di connessione tra i nuovi e moderni edifici in vetro strutturale serigrafato.Specchi d’acqua, campi di essenze mediterranee, pavimentazioni in pietra lavica, un giardino di ulivi, rappresentano gli elementi che caratterizzano gli esterni del grande parco che si insinua ed invade anche lo spazio occupato dagli edifici.

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28. Mario Pisani, Piazza Sprovieri, Acri, Cosenza, 2003Una saetta, visibile anche di notte con l’utilizzo di fibre ottiche, segna a zig-zag lo spazio antistante la chiesa di Acri; divide la zona del sagrato, pavimen-tata in pietra di Apicerna, dalla passerella pedonale in legno lungo il viale principale; ricuce trasversal-mente aree precedentemente prive di relazioni ma rappresentative per la comunità, spazi privilegiati per la sosta e la socializzazione.Sedute dal design moderno rimarcano la vocazione dello spazio pubblico sia in termini di funzione sia di linguaggio architettonico.

27. Vincenzo Latina, Sistemazione Ronco Cassari, Siracusa, 2002-2004L’intervento si propone di riconnettere il Ronco ai Cassari con lo spazio pubblico già esistente della Corte ai Bottari. La pavimentazione in pietra lavi-ca ed arenaria adottata nel precedente intervento viene scelta in continuità anche per il Ronco. La sua trama attraversa un ripristinato vano voltato, un dammuso, nodo dell’attraversamento, e restituisce continuità tra i due ambiti.Analogamente a quanto successo per la Corte, il Ronco è stato liberato dalle macerie accumula-te nell’area in decenni di abbandono; gli esterni degli edifici che si affacciano sul cortile sono stati sgombrati dai volumi abusivi e le pareti ripulite con intonaco rosso; il collegamento con le pertinenze private è stato ripristinato con una nuova scala in metallo.

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29. Francesco Cellini, Piazza C. Rizzone, Modica, Ragusa, 2003Una rotatoria stradale, importante cerniera del si-stema urbano storico della città di Modica, viene trasformata in fontana.La fontana emerge dal marciapiede anulare come un dosso rivestito in ciottoli e pietra lavica che, con lo spesso velo d’acqua che gli scorre sopra, diventa in controluce un elemento visibile e di richiamo.La composizione scenica viene completata da una scultura del ragusano Enzo Assenza che riproduce le sembianze di una fanciulla bagnante.

30. Maurizio Oddo, Marcello Maltese, Piazza Belvedere e Giardino, Triscina, Trapani, 2003-2004Un piano leggermente inclinato è una piazza belve-dere verso il mare e, nello stesso tempo, la copertu-ra di un sistema di servizi e attrezzature.Le bucature ricavate nel pavimento della piazza permettono di collegare visivamente i differenti li-velli dell’articolato spazio pubblico.Con movimenti di terra e terrazzamenti, l’interven-to prende spunto dalla caratteristica morfologia del luogo, tra la strada e il mare. Il sistema è articolato dalla sequenza di spazi ver-di, percorsi, essenze arboree e viali alberati talvolta preesistenti, configurandosi come un’area attrezza-ta sul mare.

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31. Marco Navarra, Giardino Arena Del Tempio, San Michele Di Ganzaria, Catania, 2003-2004Questa opera rappresenta una tappa del Parco Li-neare tra Caltagirone e San Michele di Ganzaria.È un teatro all’aperto, una struttura per concerti, manifestazioni, spettacoli teatrali, che sfrutta lo sce-nario collinare del sito come scenografia naturale.La cavea e la gradinata, integrate e mimetizzate con il contesto, sono ottenute mediante una mo-dellazione artificiale del terreno sorretta da muri di cemento armato rivestiti in pietra di Nicosia.

32. Architrend Associati, Giardini Iblei, Ragusa, 2003-2007Un muro rivestito in pietra locale delimita una corte, adiacente agli storici Giardini Iblei, pensata come spazio per esposizioni di sculture all’aperto. È il supporto per i servizi, contiene i bagni, il punto in-formazioni, un bar e sostiene un percorso sopra-elevato in acciaio e vetro che permette di vedere dall’alto la pineta del giardino storico e la più re-cente pavimentazione di ricorsi di pietra e tappeti verdi disegnata da Francesco Cellini. Il muro, che si configura come quinta al giardino, ‘contiene’ an-che le sedute, all’ombra degli alberi e della stessa struttura.

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34. Aurelio Cantone, Terri Agrì, Sagrato di Madonna del Piano, Grammichele, Catania, 2004Un nuovo suolo di terra stabilizzata e ricorsi in pie-tra torna a definire il Sagrato di Madonna del Piano, luogo di uno dei più importanti riti religiosi di Gram-michele, da anni aperto a continui interventi e rima-sto incompiuto.Nuovi percorsi, nuovi piazzali, un muro di conteni-mento che allontana la scarpata e genera un se-condo invaso, un abbeveratoio preesistente e un sedile per gli officianti il rito religioso perpendicolare all’asse della chiesa, ricompongo la storia e regola-no la singolare funzione di questo luogo.

33. Italo Rota, Lungomare Foro Italico, Palermo, 2003-2005Un grande ‘mare verde’ a diretto contatto con la spiaggia è un parco attrezzato che restituisce alla città di Palermo la vista e la fruibilità del suo mare.Una sequenza di grandi parterre verdi e un siste-ma di dissuasori in ceramica che regolano i percor-si, conferiscono unità d’insieme al grande spazio; sedute disposte a divano su tappeti di cemento, molteplici ambiti per lo svago e il gioco trasforma-no un’area, per molto tempo non utilizzata, in un moderno e accogliente parco urbano. Una sofisticata illuminazione di sfere ad aria sorret-te da steli metallici, che riproduce al buio la sensa-zione di un’atmosfera lunare, rende fruibile il parco anche nelle ore notturne.

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35. Vincenzo Latina, Giardino Artemide, Siracusa, 2004-2005Il Giardino Artemide è un tassello del più ampio si-stema di riqualificazione del sotterraneo sito arche-ologico di Artemision, nell’isola di Ortigia.L’opera consiste in un percorso-recinto sopraele-vato, sostenuto da una struttura di contenimento in acciaio corten e rete metallica montata a secco e riempita di ghiaia.La struttura è pensata per essere contaminata dal-la vegetazione spontanea, libera di crescere tra la ghiaia e di spuntare ciclicamente dai pannelli di corten.

36. Francesco Taormina, Porta Urbana, Pollina, Palermo, 2004-2005Parte integrante del sistema di riqualificazione del-la strada Palazzi, la Porta rappresenta l’ingresso al centro storico di Pollina.Belvedere, porta urbana, è soprattutto la soglia de-gli spazi pubblici interni, della piazza e delle princi-pali vie, distinte per sagrati e percorsi lineari da una pavimentazione di lastre ritmate dalla medioevale teoria dei numeri di Fibonacci. La porta vera e propria è un architrave in calce-struzzo, affiancato da una sfera di pietra e da un albero in bronzo dal carattere allegorico e scultoreo insieme.

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37. Gianfranco Tuzzolino, Antonino Margagliotta, Riqualificazione Del Centro Storico, Cammarata, Agrigento, 2004-2006Come sistema di riqualificazione formale e funzio-nale per la fruizione del paesaggio, il progetto si sviluppa in tre direzioni differenti: la costruzione di un nuovo teatro belvedere, la riqualificazione delle strade principali che si affacciano sul centro storico di Cammarata, la realizzazione dei collegamenti tra il centro e il Castello Medioevale con i suoi giardini storici.L’opera riorganizza globalmente lo spazio pubblico urbano con una serie di interventi, pavimentazioni, scale, trasformandolo integralmente in un belvede-re panoramico.

38. Sud’arch, Riqualificazione aree pubbliche esterne del Palazzo Mesiani, Bova, Reggio Calabria, 2005Con la cura di uno scavo archeologico, le aree esterne al vecchio Palazzo Mesiani di Bova - edi-ficio del XIII secolo, ora centro culturale - vengono recuperate e riconvertite a spazio pubblico. La va-lorizzazione delle antiche pavimentazioni in pietra, insieme alle nuove realizzate con i materiali di sca-vo, le balaustre in ferro poste dove il salto di quota risultava eccessivo, rendono praticabile un’area che il tempo aveva relegato a spazio abbandonato. Le murature assumono funzione di memoria storica e, puntualmente rinforzate laddove del muro rima-neva solo l’impronta, si convertono in elementi di seduta.

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40. Giovanni Laganà, Via Marina Alta, Condofuri, Reggio Calabria, 2008Lungo la ferrovia che divide il mare dalla città, la Via Marina Alta viene trasformata in un importante spazio pubblico, a metà tra piazza e percorso.Con una scansione di campi di materiali diversi – cemento chiaro e cemento scuro, gres grigio e nero - la passeggiata si articola attraverso un ritmo di co-lori, sfumature, finiture. Al sistema delle pavimentazioni si aggiunge quello delle asole di vegetazione spontanea e delle sedute in calcestruzzo bianco. I materiali utilizzati, le solu-zioni tecniche scelte, come quelle della barriera di protezione e delimitazione della linea ferrata rea-lizzata con reti para-neve o del sistema di illumina-zione che sfrutta e rivisita la struttura dei lampioni esistenti, evidenziano la necessità di confrontarsi con un budget limitato ed esiguo.

39. Pasquale Culotta, Sistema delle Piazze, Castelvetrano, Palermo, 2005-2007Per ridisegnare il Sistema delle Piazze, una volta cuore pulsante della città di Castelvetrano, il pro-getto recupera, in termini urbani e culturali, le piaz-ze Umberto I, Cavour e Carlo D’Aragona, dove si affacciano edifici storici ed istituzionali. Una pavimentazione in materiale lapideo, segnata dalle linee di scolo delle acque, il sofisticato sistema di illuminazione su piedistallo, che diffonde la luce in maniera graduale e differenziata a seconda delle manifestazioni o delle attività che vi svolgono, am-biti per la sosta con sedute in travertino e sistemi di risalita per risolvere le differenti quote, riconferisco-no unitarietà all’ampio e articolato spazio pubblico.

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L’OPERA CONTEMPORANEA (.90.10)

Quaranta progetti d’autore in Calabria e Sicilia come quaranta interpretazioni diverse di uno stesso paesaggio.Un paesaggio eccezionale come referente, per la sua storia, per il suo territorio, frutto di stratificazione millenaria innanzitutto, ma anche per le sue molte, moltissime emergenze attuali.Un paesaggio dove è difficile parlare di contemporaneità e dove molto spesso la spinta all’innovazione è frenata da una passato - e anche un presente - troppo ingombranti.Un paesaggio che storicamente suggerisce un patto di simbiosi con la natura, un rispetto profondo nei confronti del genius loci, una particolare diffidenza nel riscrivere un luogo per una atavica esigenza a non sfidare la natura in qualunque forma essa si presenti.

Dopo la “primavera dell’architettura siciliana”1 nel decennio 1980-90 e le molte sperimentazioni fatte da un gruppo di progettisti illuminati tra la Valle del Belice e Cefalù, lo scenario contemporaneo, come avverte Luigi Prestinenza Puglisi, appare indubbiamente più eclettico e variegato, “una babele creativa”2 determinata, in parte, dalla formazione eterogenea dei nuovi autori e in parte dalla parallela affluenza di progettisti ‘stranieri’.L’innovazione, la ricerca linguistica, la sperimentazione internazionale, le nuove tendenze di progettazione urbana alla scala del parco, del giardino, dello spazio pubblico, non hanno, tuttavia, superato un modello per lo più ancora tradizionale; il progetto rimane legato ‘a modi ed usi’ fortemente contestualizzati, con la tradizionale ricerca di equilibro tra locale e globale che si traduce in Calabria e Sicilia in una rielaborazione di temi, segni e

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memorie dell’architettura classica in chiave sperimentale.Tecniche costruttive e materiali locali, elementi vernacolari, fonti letterarie e storiche, tradizioni, riti e miti assunti a “patrimonio materiale”3 da reinterpretare, da trasferire su un programma di progetto. Una tendenza a guardare al territorio fortemente stratificato, altamente manipolato, come ad un luogo da cui attingere, “alla ricerca del punto di vista privilegiato, alla scoperta di micro paesaggi e di prospettive che li rendano unitari, localizzando e verificando la ‘scala visuale e tattile’ che il luogo offre e, in parallelo consultare la memoria, i nomi dei luoghi, i racconti e le leggende locali, indagare sulle sue storie, nella sua storia. Analizzando l’esistente per scoprire l’uso dei luoghi che è stato occultato dal logorio del quotidiano ed è sul punto di scomparire.” (Bernard Lassus, “Análisis inventivo”, in Daniela Colafranceschi, Landscape+100 palabras para habitarlo, GG, Barcellona 2007)

Uno sguardo dunque da parte degli autori che qui si presentano, che va al di là del sedime dell’intervento, aprendosi ai contesti e alle città, coinvolgendo la storia e l’archeologia, ma anche i modi d’essere dell’uomo, cercando di far parlare così cose altrimenti mute.

Alessandro Tagliolini, Parco delle Terme, Sciacca, Agrigento. Il parco - vincitore nel 2000 del premio AIAPP/ACER Pietro Porcinai - recupera i temi e i motivi del giardino storico siciliano e le tecniche di sfruttamento delle acque in Sicilia.All’interno del giardino preesistente di ulivi e pini secolari, affiancato da nuove specie di Sophora japonica, Schinus molle, Cycas revoluta e palme, si inseriscono una fontana a tre livelli e una cavea.Il sistema di canali sospesi, che mette in movimento l’acqua della fontana, è citazione colta e sofisticata del tipico sistema di trasporto delle acque nei campi agricoli.Nel silenzio di un parco urbano dal carattere straordinariamente rurale, l’acqua prima rumoreggia cadendo dai canali sopraelevati, poi si calma e

Aurelio Cantone, Terri Agrì, Sagrato di Madonna del Piano, Grammichele, 2004

scorre da un piano all’altro della fontana, scivolando su un fondo di ciottoli che riproduce il tipico suono delle fiumare siciliane. La fontana in travertino d’Alcamo e la cavea in calcarenite gialla sono l’introduzione artificiale di un elemento solido, dal rigore geometrico, che trova ispirazione più nell’architettura del vicino Teatro Popolare di Giuseppe e Alberto Samonà che nel contesto squisitamente naturale in cui si inseriscono; riferimento che non ne compromette la fusione, la perfetta simbiosi tra natura e artificio, tipica del giardino storico siciliano (L’Orto Botanico, i Giardini della Zisa, e la Villa Giulia a Palermo, le settecentesche ville di Bagheria o il Giardino Bellini di Catania).Gli attenti e scrupolosi trapianti di alberature che hanno reso possibile la sopravvivenza di molteplici esemplari centenari, e le nuove specie ornamentali, evidenziano l’oculatezza e la sapienza posta in interventi estremamente complessi, in cui varie discipline del paesaggio si incontrano ed interagiscono.“Alberi, architetture e sculture diventano così protagonisti di uno spettacolo suggestivo dove l’acqua, col gioco dei riflessi o con la plasticità dei getti e delle cascate, rivendica valori dinamici e semantici a cui la composizione dell’intero paesaggio sembra sottomettersi.”(Alessandro Tagliolini, “Il Parco delle Terme a Sciacca”, in Baldan Zenoni-Pilteo G. (a cura di), Intorno al giardino, Guerini e Associati, Milano 1993)

Vincenzo Latina, Corte ai Bottari e Sistemazione Ronco Cassari, Siracusa.La sistemazione di un isolato interno al tessuto di Ortigia - l’isola centro storico di Siracusa - è l’occasione per recuperare tracce, sistemi, reperti, memorie, che la stratificazione secolare ha cancellato.Il progetto recupera l’antico sistema urbanistico a ‘stringae’ costituito da strade strette tre metri, orientate tutte in senso est-ovest, che scandiscono gli isolati ancora visibili solo in alcune zone di Ortigia. Il sito che in un passato recente ha funzionato come discarica, è stato utilizzato come una vera e propria cava; i lavori di scavo e demolizione

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hanno infatti inevitabilmente portato alla luce reperti e materiali dimenticati, riutilizzati come materiali da costruzione. In seguito alle operazioni di demolizione, la necessaria realizzazione di un contrafforte strutturale, a consolidamento e ripristino della muratura esistente, si traduce in una quinta scenografica della corte; realizzata in pietra arenaria e con un sofisticato disegno che riprende tecniche costruttive e motivi di un tempo trascorso, evidenziando una sensibilità esecutiva, una conoscenza dei materiali e delle pratiche che fanno parte dell’arte del costruire in Sicilia, degli intagliatori e degli scalpellini di pietra; allo stesso tempo esaltazione della stratificazione millenaria di Siracusa e del suo centro storico, della sovrapposizione e della contaminazione tra stili, linguaggi, tecniche costruttive.

In dimensioni geografiche così fortemente contestualizzate come quelle siciliane e calabresi, si ripropone spesso il tema del rapporto tra nuovo e antico, quando l’antico è storico e archeologico quindi di pregio come nel caso di Ortigia, e quando invece non lo è più perché il tempo ne ha svilito le sua qualità. Il progetto dello spazio pubblico si propone qui più come ‘restauro’, come ricostruzione di relazioni, di tracce e di sistemi che il tempo ha cancellato, per tornare a conferire ‘continuità’ e identità ad ambiti altrimenti anomali ed estranei tra loro.

Roberto Collovà descrive l’attività del “costruire in Sicilia”4:“In Sicilia più che altrove, è dominante il sentimento tragico dell’avvicendarsi delle cose, l’attività del costruire finisce per coincidere con l’attività stessa del restaurare.[…]Catastilosi e anastilosi sono i poli tra i quali il destino si gioca.”

Una reinterpretazione del contesto storico, perciò, rispettosa ma non per questo debole o rinunciataria, lontana dalla ‘non progettualità’ o dalla

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Marco Navarra, Parco Lineare, San Michele di Ganzaria, Caltagirone, 2000

falsificazione imitativa; una reinterpretazione che spesso trova la soluzione nell’operazione minima, in quella di “evocare sensazioni ed effetti straordinari con il minimo sforzo”5 per usare le parole di Franco Zagari; interventi, come li definisce Latina, “silenziosi”, che evitano elementi altisonanti ma non per questo “manifestazioni di debolezza o timidezza”6.

“Opere che mantengono e promuovono la vitalità che hanno saputo cogliere tutt’intorno a loro. Valorizzando percorsi e tracce della storia urbana, ormai sepolti dall’incuria e dall’indifferenza. Recuperando materiali dispersi, soggetti al rischio di andare perduti. Sapendo di leggere dietro il logorio imposto da un uso eccessivo, significati da disvelare e da proteggere. Il riferimento costante alla storia e al tempo vissuto dalle preesistenze sulle quali hanno operato, non ha mai prodotto una spinta alla riesumazione, è stata stimolo per una interpretazione capace di arricchire lo scenario di nuovi valori.”(Eugenio Vassallo, “Conservazione, Costruzione”, in Cornoldi Adriano, Rapposelli Marco (a cura di), Restauri’ Iblei, Il Poligrafo, Padova 2007)

Marco Navarra, Parco lineare, Caltagirone, San Michele di Ganzaria, Catania.Un nastro colorato di asfalto sull’ex tracciato ferroviario tra Caltagirone e San Michele di Ganzaria é una pista ciclabile che, adagiandosi sull’orografia collinare di questa parte di Sicilia, attraversa manufatti rupestri, beni monumentali e ambientali, paesaggi agrari, alla riscoperta di valori paesaggistici e storici.Un’opera minimalista - che si è guadagnata nel 2003 la Medaglia d’oro all’Architettura Italiana della Triennale di Milano -, molto forte come spesso le opere concettuali sanno essere, straordinariamente vicina alla Land art, che premia innanzitutto il paesaggio naturale da cui trae ispirazione e di cui temporaneamente fa parte.Al progetto, infatti, è stato dato un tempo; le bande dell’asfalto tinteggiate a colori forti sono ormai, a distanza di qualche anno dall’inaugurazione,

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scolorite e poco visibili; i cipressi e gli altri arbusti piantati in sequenza costante sul bordo del nastro, le altre specie vegetali arbustive lungo le scarpate, garantiscono un paesaggio cromatico ed olfattivo che si costruisce nel tempo e che nel tempo si modifica. Le case cantoniere dell’ex ferrovia, recuperate come padiglioni, sono delle scatole attraverso le quali guardare il paesaggio.“Le facciate tutte uguali, ripetute ogni due chilometri, appena movimentate da leggeri volumi, come delle quinte, costruiscono un inesauribile catalogo di linee d’orizzonte che ritagliano immagini imprevedibili.”(Marco Navarra, In WalkaboutCITY. Il paesaggio riscritto. Un parco lineare tra Caltagirone e Piazza Armerina, Biblioteca del Cenide Edizioni, Cannitello 2002)

Il paesaggio mediterraneo e il suo rapporto con la storia suggeriscono un valore al tempo; l’architettura riflette su questioni rilevanti come l’attenzione alla durata, all’invecchiamento, al rapporto con la stratificazione.Sono evidentemente lontane le sperimentazioni fatte in tal senso da Gilles Clément7 nel Giardino Planetario, nel Giardino in Movimento e nel suo concetto di Terzo Paesaggio; il segno artificiale è una prerogativa nel progetto nel sud d’Italia; è più che altro un processo (dell’artificiale) aperto alla contaminazione, legato all’utilizzazione di materiali e tecniche costruttive predisposte all’invecchiamento e all’aggressione. Materiali vegetali che ripropongono temi e motivi ciclici, alterni, sempre diversi, sinonimo di trasformazione perenne, ma soprattutto calcestruzzo, pietra arenaria, acciaio corten, materiali disponibili, economicamente sostenibili che, razionalmente, in maniera diversa, tengono conto della misura del tempo.

La precarietà del paesaggio, anche quello costruito delle città, quello deturpato dei quartieri autocostruiti, delle case abusive e dell’abbandono permanente, suggerisce il sofisticato ‘non finito’ di molte opere che si adagiano e si mimetizzano all’‘indeterminato’ che le circonda,

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immediatamente e costantemente fuse col paesaggio e con questa sua condizione di sospensione.

Vincenzo Latina, Giardino Artemide, Siracusa.L’intervento gioca sul rapporto labile tra natura ed artificio in funzione della variabile tempo. Nel punto più alto dell’isola di Ortigia, dove i greci innalzarono il tempio ionico dedicato alla dea Artemide, sono stati realizzati degli elementi utili ad ospitare ciclicamente la natura, come “strumenti predisposti ad accogliere la flora naturale del luogo” 8. La struttura di contenimento del percorso-recinto sopraelevato che caratterizza il giardino riesce a valorizzare da una parte le specie vegetali esistenti sull’area, tra cui prevale l’Ailanthus altissima (albero del cielo), e dall’altra a sfruttare l’invadenza delle specie arboree che ciclicamente sbucano attraverso la ghiaia contenuta dal cretto di rete metallica e panneli di corten.“Un’offerta ad Artemide che nell’immaginario mitologico é rappresentata come la dea vergine della fertilità, protettrice delle belve feroci, dei boschi e delle ninfee” 8.L’acciaio e la rete metallica montati a secco rispecchiano il carattere ‘non finito’ di quest’opera, a metà tra sito archeologico, luogo abbandonato e della contaminazione. Sono un sistema che non compromette la fertilità del sito, la spontaneità della vegetazione infestante e quella della stratificazione millenaria che ha cancellato ed occultato ogni traccia archeologica, riservando al luogo una sorte di spazio rifiutato, derelitto, che ora torna a vivere il suo carattere mitologico e fortemente evocativo.

Sempre alla logica del ‘non finito’ possono essere ricondotti altri spunti progettuali, come quelli delle case senza tetto, dei vuoti delimitati da quinte, recinti e muri spessi che, in queste realtà, sono caratteri frequenti del paesaggio urbano.Spazi contemplativi e mistici che hanno trovato la loro espressione più

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Cannatà&Fernandes, Piazza Nicolas Green, Melicucco, 1990

poetica nei lavori di Francesco Venezia del decennio precedente, nei Giardini Segreti e nel Museo a Gibellina.“Architettura che si ruderizza già all’atto della costruzione, forse già addirittura durante la fase del progetto, come istintiva difesa nel naturale tentativo di adattamento ai luoghi” 9.

Il muro é una citazione della tradizione costruttiva locale, elemento che é sempre stato considerato l’atto fondativo del progetto; nell’architettura mediterranea i pieni hanno sempre prevalso sui vuoti.La ricerca progettuale di Pasquale Culotta e Giuseppe Leone si é orientata spesso su questi temi, codificando, verso la fine degli anni 80, la “monomaterità colorata”10.Nello spazio pubblico si ripropone dunque la ‘architettonica’ massa muraria, che utilizza la luce come materia, alla ricerca di effetti di luci ed ombre che si traducono a volte in spazi metafisici e surreali.Spesso il muro, proprio come quello di una casa, ha le sue bucature che, come finestre, permettono di svelare in successione porzioni di panorama e scorci di paesaggio.

Cannatà&Fernandes, Piazza Nicolas Green, Melicucco, Reggio Calabria.Nel piccolo centro calabrese di Melicucco è stato realizzato uno spazio pubblico che rivendica il ruolo sociale della piazza come luogo di incontro e di socializzazione, nonché di riposo.Lo spazio necessario alla piazza è stato ricavato dalle strade che perimetrano l’area con la posa in opera di un muro che, oltre alle sue evidenti funzioni strutturali, funge anche da contenimento, da elemento di chiusura dello spazio pubblico.È una parete spessa, bianca, in pietra di travertino, che ‘racchiude’ il ricordo per le vittime della Grande Guerra a cui la piazza è dedicata e che, sfruttando le ombre nitide e la luminosità che il paesaggio calabrese offre, crea uno spazio surreale ma al tempo stesso di tranquillità e di pace.

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Qui una panchina, la fontana e la lapide commemorativa giocano un ruolo decisivo nella valorizzazione dello spazio.La fessura praticata nel muro, che non intende incorniciare alcun brano di paesaggio, contribuisce ad enfatizzare questa situazione e a svelare - se ce ne fosse ancora bisogno - lo spessore dell’elemento contenitore. Una scalinata preesistente viene integrata alla nuova realizzazione alla stregua di un frammento archeologico, evidenziando così in maniera netta il rapporto tra il nuovo e l’antico, tra il presente e il passato.

Gianfranco Tuzzolino, Antonino Margagliotta, Riqualificazione del centro storico, Cammarata, Agrigento.A Cammarata, paese che sorge alle pendici dell’omonima montagna, in un’area del tessuto urbano particolarmente accidentata dal punto di vista orografico, adiacente ai bastioni del Castello medioevale, il progetto riorganizza lo spazio pubblico e l’intera sistemazione di un’area considerata terrazza privilegiata sul paesaggio circostante insieme all’adiacente teatro belvedere: una scatola stereometrica cava, costituita da una serie di piani delimitati da muri bianchi che raccordano le varie quote del giardino e del teatro ipogeo nascosto nella scatola.Gli spessi recinti dal rivestimento calcareo, forati da bucature panoramiche, permettono di raccordare visivamente i vari livelli del giardino e di creare uno stretto rapporto del visitatore con il paesaggio naturale.Vista dall’esterno questa è un’architettura incastonata tra le rocce. Apparentemente un edificio, in realtà è uno spazio fatto di muri e piani che assumono la roccia come elemento della composizione, come parte integrante del progetto, riferimento diretto all’intervento del Fronte a Mare di Cefalù di Pasuale Culotta e Giuseppe Leone.La riqualificazione prevede anche la sistemazione degli accessi e dei collegamenti alla viabilità urbana e alle funzioni adiacenti, risolta con una rampa in acciaio che collega il teatro al preesistente giardino del Castello, e con la definizione di nuovi ambiti pedonali, insieme a sistemi di affaccio e di sosta.

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Massimiliano Fuksas, Piazza Margherita, Acquappesa, 1990-1993

È un’attitudine del progetto quella di trarre spunto dall’orografia accidentale del paesaggio, urbano o rurale che sia; a volte configurandosi come “un’espressione topologica, profondamente contestuale“11 ovvero come un’architettura mimetica nei confronti del contesto, altre volte esprimendosi con l’invenzione di nuove topografie che ricalcano e stravolgono l’arbitrarietà del contesto; in altri casi, ancora, l’atteggiamento esplicita una geometria come traduzione ‘architettonica’ dell’orografia, determinando artificiali “zolle di paesaggio” 12. Massimiliano Fuksas, Piazza Margherita, Acquappesa, Cosenza.La conformazione di Acquappesa, un piccolo centro sulla costa tirrenica cosentina che ha il suo nucleo storico arroccato a 80 metri sul livello del mare, fattore comune a molti altri centri calabresi, suggerisce l’invenzione di una imponente struttura in acciaio che ‘sostiene’ la piazza.L’aspetto della struttura, tra l’avveniristico e l’incompiuto, è decisamente visibile dalla superstrada Salerno-Reggio Calabria tra la città e la linea di costa, rappresentando effettivamente un vero e proprio Land mark nel territorio.L’ampia ‘terrazza sul mare’, che la struttura offre alla città, è una vasta piazza pedonale su cui, in netto contrasto con la struttura in acciaio dal carattere temporaneo, insistono elementi classici di arredo urbano (sedute, sistemi di illuminazione, un monumento) tutti con funzione di dissuasori, a garantire l’assoluta pedonalizzazione dell’area.Se a valle, nella parte bassa, l’imposta dell’impalcatura con i grandi piloni di acciaio dichiara l’audace scelta progettuale, sulla piazza, dove insistono anche edifici di particolare interesse storico, l’aspetto avveniristico lascia il posto ad un ‘ambiente’ più familiare dal carattere domestico: un ‘normale’ solaio in lamiera grecata e calcestruzzo armato, rivestito in pietra locale, pensato per il riposo degli anziani.

Massimiliano Fuksas, Piazza Margherita, Acquappesa, 1990-1993 L’OPERA CONTEMPORANEA 93

Marco Navarra, Giardino Arena del Tempio, San Michele di Ganzaria, 2003-2004

Marco Navarra, Giardino Arena del Tempio, San Michele di Ganzaria, Catania.È un teatro all’aperto in cui il linguaggio si diversifica rispetto al percorso ciclabile del parco, di cui costituisce un tassello, mantenendone però quel carattere sofisticato e concettuale già menzionato. Prendendo spunto dai leggeri rilievi collinari che caratterizzano l’area, sono state realizzare delle modellazioni artificiali del terreno per disegnare l’arena.Sulla cavea del teatro l’intervento appare assolutamente mimetizzato con il contesto ed è difficile intuire l’artificialità dell’operazione (l’unico artificio sembra essere quello del sistema delle sedute in pietra, disposte in maniera libera sul terreno); si palesa invece nel percorso di ingresso, dove i muri in pietra di Nicosia delimitano e sostengono le zolle artificiali.Il rivestimento in pietra dei muri segue un ordine ‘isodomo’ – con pietre rettangolari alte e larghe eguali - che però in alcuni punti si perde, si spacca, lasciando intravedere la superficie grezza del calcestruzzo armato, a sottolineare metaforicamente la ‘forza tellurica’ che ha generato il movimento e determinato la morfologia del luogo.“La lacerazione del rivestimento, che rivela il calcestruzzo bocciardato, mostra il rovescio della pelle esterna, il suo inconscio, il caos magmatico che ha generato la metamorfosi e ha fissato la forma e il colore della roccia”.(Marco Navarra, op. cit., p 85)

Il progetto di paesaggio in Calabria e Sicilia ha anche tratto temi e riferimenti da culture più lontane, ha affrontano tematiche diverse che riflettono maggiormente l’eco di sperimentazioni internazionali.Autori d’eccezione hanno interpretato il tema dello spazio pubblico per il meridione d’Italia in maniera innovativa, ma non per questo rinunciando ad ascoltare i suggerimenti del contesto: pavimentazioni come opere d’arte, sculture architettoniche, operazioni artistiche che si compiono direttamente alla scala del paesaggio sulla scia della Land art.

Marco Navarra, Giardino Arena del Tempio, San Michele di Ganzaria, 2003-2004 L’OPERA CONTEMPORANEA 95

Franco Zagari, Piazza Matteotti, Catanzaro, 1992

Franco Zagari, Piazza Matteotti, Catanzaro.A Catanzaro, laddove ai primi del novecento la Piazza Indipendenza caratterizzava il luogo cardine di aggregazione e rappresentazione di una comunità e dove in tempi più recenti la stratificazione di una edilizia anonima e banale ha privato di qualità e di senso anche lo spazio pubblico, viene realizzata nel 1992 la nuova Piazza Matteotti. La piazza è una successione di materiali, elementi e stili, “un urlo” - come l’ha definita Zagari - “in una città che da tempo non scommetteva sull’architettura”. Presenta una pavimentazione in granito nero assoluto d’Africa a righe lucide e fiammate con la sovrapposizione di un motivo in parte pop e in parte optical in travertino e un orologio solare con le sue linee isocrone disegnate a terra: è innanzitutto il progetto di un suolo, di cui il sito necessitava, un piano su cui passeggiare, perché la passeggiata è pratica cara alla gente del sud e la piazza all’inizio del secolo ne era un luogo dedicato. Il supporto dal disegno astratto della pavimentazione, come un quadro, è dunque l’elemento unificatore dell’intera area ed esplicita il tema dell’interpretazione poetica del sito, della risposta concettuale che suggerisce al suo autore. È un’operazione semplice, ma eclatante al tempo stesso, che questo luogo, privo di identità e non più rappresentativo, richiedeva e suggeriva.

Aurelio Cantone, Parco delle Kentie, Riposto, Catania.Nell’ex vivaio, trasformato con il progetto in orto botanico, esistevano specie vegetali di pregio: ottanta esemplari di Howea forsteriana (le kentie) e numerosi cespugli di Strelitzia augusta. Il carattere suggerito al parco, nonostante le preesistenze, è quello di un giardino artificiale.Le pensiline d’ingresso, la recinzione in ferro, la copertura dell’edificio del tropicario, sono elaborazione delle forme naturali di una foglia.Le grandi pensiline in ferro e lamiera, che formano la copertura dell’ingresso,

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si ispirano al disegno delle kentie e vengono disposte in filari con passo regolare in esatta analogia a quelle naturali ospitate nel giardino: sono elemento di richiamo che caratterizzano il progetto e ne raccontano apertamente i contenuti. Al carattere tecnologico ed artefatto degli ‘arredi’ e degli edifici in acciaio e vetro si affiancano temi e motivi che sono propri dell’architettura locale: pavimentazioni in pietra lavica e mattoni, intonaco giallo ocra nei rivestimenti murari.

Italo Rota, Lungomare Foro Italico, Palermo.La realizzazione del lungomare di Palermo rappresenta indubbiamente uno degli interventi più importanti degli ultimi anni; per entità, sforzo economico e difficoltà gestionali, paragonabile forse agli interventi che si sono susseguiti nel corso degli anni novanta a Barcellona nell’intento di riportare la città sul mare o ancora alla riqualificazione del Fronte a mare di Cefalù, operata da Culotta e Leone alla fine degli anni ottanta.L’obiettivo è stato dunque quello di riconquistare il mare, per una realtà dove - come a Palermo - per anni ne è stata occultata persino la vista.Tra lo storico quartiere della Kasba e la spiaggia è stata liberata una importante area, fino a poco tempo fa occupata da istallazioni, praticamente stabili, di attività commerciali e ludiche, dedicata alla realizzazione di una nuova superficie verde, vero e proprio parco attrezzato a diretto contatto con il mare: una pista ciclabile, un castello-labirinto per bambini, attrezzature per lo sport, servizi di ogni genere.L’elemento unificatore, oltre naturalmente al tappeto verde, è il sistema delle sculture ceramiche, realizzate dagli artigiani locali, che prendono ispirazione dalle opere di Francesco Laureana conservate in questa città nel Palazzo Abatellis.Le sculture sono dissuasori, Land mark, sofisticati elementi di arredo urbano che conferiscono all’intera area un carattere di distensione e tranquillità, paragonabile a quello dei grandi parchi del nord Europa, con la solarità tipica del clima mediterraneo di Sicilia.

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In una città, o meglio in una regione, dove la linea di costa è sempre stata oggetto di abusivismi e brutture cementificate di ogni genere, il Foro Italico interpreta il tema del fronte a mare in maniera originale, con un utilizzo generoso della vegetazione, con la realizzazione di un parco che parla di storia, di tradizione eppure estremamente innovativo nella sua concezione e nel suo linguaggio espressivo.

Massimiliano Fuksas, Giardini Etnapolis, Catania.L’elemento fondatore, attorno al quale si incentra il disegno del grande centro polifunzionale, è quello dell’immenso giardino di pietra lavica, di acqua, ghiaia, ulivi e varie essenze arbustive che interessa e pervade tutta l’area, insinuandosi e contaminando anche lo spazio occupato dagli edifici.Il rapporto anomalo tra questi (volumi assolutamente moderni in vetro strutturale serigrafato, apparentemente fuori contesto) e il giardino, è regolato dalla luce, vero elemento componente centrale del progetto.Le facciate in vetro blu riflettono sulle loro superfici il giardino sottostante, l’acqua dei laghi restituisce come uno specchio l’azzurro del cielo, le facciate serigrafate degli edifici, gli ulivi e le altre essenze vegetali, in un rimando continuo di riflessi e giochi di luce assolutamente suggestivo.La pavimentazione in pietra lavica su cui poggiano gli edifici è trattata come una lama sottile, in alcuni punti addirittura ‘sospesa’ sull’acqua dei laghi e in altri configurata come un percorso-passerella che conduce alle distese morbide dei cespugli di lavanda e allo splendido giardino di ulivi a ridosso del limite dell’area al di là dei laghi. Più che attraverso l’uso dei materiali ‘di Sicilia’, come la pietra lavica e le essenze mediterranee, la vera vocazione del luogo si esprime proprio attraverso l’uso originale e innovativo della luce.

Alcuni interventi recenti sembrano concettualmente ‘distanti’ dal contesto; in realtà indagano attitudini e relazioni differenti, forse in forme meno esplicite e dirette ma certamente significative, nell’adozione di una sperimentazione

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di nuovi linguaggi espressivi al servizio di un luogo, per una realtà che sembra aprirsi alla contemporaneità con inerzia e difficoltà.

In conclusione, quaranta interpretazioni da parte di autori di paesaggio, per questa geografia del Sud; punti di vista diversi, personali, che riflettono, tutti, un carattere ‘sensibile’ e ‘critico’, che rappresentano un panorama molteplice di soluzioni, idee, spunti che lo stesso contesto offre al progetto.Anche se indubbiamente sono rilevabili temi comuni e motivi ricorrenti, è difficile tuttavia parlare di regionalismo o di scuole, laddove è invece riscontrabile una preziosa eterogeneità.

La produzione recente, però, se paragonata al resto del mondo, è piuttosto scarsa.Luigi Prestinenza Puglisi nota che la sola “Sicilia ha un territorio di 25.708 kmq, ha una estensione che si avvicina a quella di stati quali il Belgio o l’Olanda […] Conta nove provincie con numerose città”13. Quaranta opere d’autore, dunque, realizzate in vent’anni in un’area geografica così grande, non rappresentano certo un risultato invidiabile. La guida all’architettura contemporanea della sola Barcellona14, recentemente edita dall’Amministrazione comunale della Città, conta 217 realizzazioni di cui 61 solo di spazi pubblici.Umberto Eco avrebbe suggerito in questo caso di indagare sul perché di tale mancanza di “fonti primarie”15, ma il tema non è stato affrontato in questo studio, per non addentrarsi in problematiche che forse riguardano meno l’ambito disciplinare dell’architettura e del paesaggio e forse non attengono al solo caso specifico di Calabria e Sicilia.

Aspetto invece rilevante è quello dello scarso successo riscontrato dalle opere qui presentate e dalla difficoltà – per molte realizzazioni - a divenire ‘pezzo’ e parte di città e ambiti urbani.Come già detto, lo studio svolto è stato realizzato ‘in presa diretta’. I progetti

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sono stati visitati, permettendoci di verificarne lo stato anche a distanza di qualche anno dalla loro inaugurazione. Lo scenario è apparso molto deludente: molte opere risultano abbandonate o, nelle migliori delle ipotesi, decisamente poco vissute. Nonostante la qualità indiscussa di molte di queste architetture, per i motivi precedentemente esposti, per la sofisticata interpretazione del contesto che ne ha rappresentato la genesi, nella maggior parte dei casi esse non hanno raccolto il consenso di parte dell’opinione pubblica.“La lezione sul nuovo lungomare di Reggio Calabria”16 esposta da Franco Zagari è emblematica in tal senso.

“È un’opera di grande successo popolare, uno spazio pubblico che ha letteralmente cambiato il rapporto tra la città e il mare, diventando il luogo privilegiato del tempo ludico d’estate e nelle ricorrenze particolari.[…]Non è bello – arredi in falso Ottocento, pavimentazioni a motivo un po’ banali, piante da matrimonio in pompa – ma funziona a meraviglia, piace al pubblico. Il suo anacronismo linguistico rispetto a qualsiasi paragone europeo è nel disegno e nel repertorio dell’arredo urbano, ma non è detto che si tratti di un ritardo, si tratta forse di uno stile che ha la sua ispirazione formale nel mondo parallelo dei media, la televisione e la pubblicità. È una vera lezione per architetti e paesaggisti, un po’ amara, di dover prendere atto dell’esatta corrispondenza di questo progetto a un immaginario collettivo, non avanzato ma concreto e vitale, e rendersi conto di non saper parlare al pubblico.”

Sempre sullo stesso argomento Mario Manganaro scrive:“Sembra che l’architettura abbia difficoltà a diventare parte effettiva della cittá, o si estranea isolandosi o si mette troppo in evidenza ottenendo lo stesso effetto se non addirittura in certi casi si contrae o si autoriduce,

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quasi per nascondersi, annullandosi in una sorta di silenzioso e magico minimalismo.Tuttavia non si vuole con questo affermare che l’architettura, che rispetta l’esistente e si adatta al luogo in modo originale, non svolga alcuna funzione attiva. Anzi è come una voce, temporaneamente rimasta nascosta (sotterranea), che aspetta di essere portata alla luce, per essere ascoltata insieme a tutte le altre con la sua forza e con la sua ampia gamma di sfumature.L’architettura difficilmente può avere da sola un ruolo trainante e non può sostituirsi ad azioni collettive che spettano ad altre discipline o meglio ad un insieme di azioni collettive di livello più ampio, sociale, politico e culturale.” 17

1 Antonio Angelillo, “Verso una primavera siciliana?”, in Casabella n.617, Novembre 1994

2 Luigi Prestinenza Pugliesi, “Breve guida dell’architettura contemporanea nella Sicilia Orientale”, in A10 n.1

3 Vincenzo Latina, “Architettura contemporanea e Antico”, in Cornoldi Adriano, Rapposelli Marco (a cura di), ‘Restauri’ Iblei, Il Poligrafo, Padova 2007

4 Roberto Collovà, Costruire in Sicilia, in Cornoldi Adriano, Rapposelli Marco (a cura di), ‘Restauri’ Iblei, Il Poligrafo, Padova 2007

5 Franco Zagari, L’architettura del giardino contemporaneo, Mondadori De Luca, Roma1988

6 Vincenzo Latina, “Nuovo e Antico”, in Cornoldi Adriano, Rapposelli Marco (a cura di), ‘Restauri’ Iblei, Il Poligrafo, Padova 2007

7 Gilles Clément, Manifesto del Terzo paesaggio, (a cura) di F. De Pieri, Quodlibet, 2005; Alessandro Rocca (a cura di), Gilles Clément. Nove Giardini Planetari, 22publishing, 2007

8 Vincenzo Latina, “Il Giardino di Artemide nell’isola di Ortigia”, in Cornoldi Adriano, Rapposelli Marco (a cura di), ‘Restauri’ Iblei, Il Poligrafo, Padova 2007

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9 Mario Manganaro, Per Gibellina, Biblioteca del Cenide, Cannitello (RC) 200610 Antonino Saggio, “Percorsi di architettura. la qualità della progettazione. Speciale

Sicilia” in Costruire n.130, marzo 1994, Abitare Segesta, Milano11 Franco Purini, “Un’avvincente narrazione”, in Oddo Maurizio, Architettura

Contemporanea in Sicilia, Corrao Editore, Trapani 200712 Marco Navarra, In WalkaboutCITY. Il paesaggio riscritto. Un parco lineare tra

Caltagirone e Piazza Armerina, Biblioteca del Cenide Edizioni, Cannitello 2002

13 Luigi Prestinenza Puglisi, “Breve guida dell’architettura contemporanea nella Sicilia Orientale”, in A10

14 Giacomo Guidoni Delbene, Proyecto BCN, Ajuntament de Barcelona, 200815 Umberto Eco, Come si fa una tesi di laurea, Bombiani, Milano 200016 Franco Zagari, “La lezione del Lungomare di Reggio Calabria”, in Questo é

paesaggio. 48 definizioni, Gruppo Mancosu Editore, Roma 200617 Mario Manganaro, ibidem.

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CONVERSAZIONI

Vincenzo Latina, Aurelio Cantone e Franco Zagari sono tre ‘protagonisti’ che in più occasioni hanno esplicitato personali intuizioni, approcci, metodologie attraverso la pubblicazione di contributi e saggi e la loro ricca attività progettuale.Rispondendo ad alcune domande ‘costruiscono’ un dibattito che da diversi angoli disciplinari propone una riflessione estemporanea a chiarimento di questioni aperte da questo studio, evidenziando l’attitudine all’eterodossia delle loro risposte.La lettura dell’identità del luogo attraverso la ‘cartina tornasole’ del progetto, la strutturazione dello spazio pubblico, gli elementi che lo scandiscono, i materiali che lo concretizzano, i riferimenti ‘esterni’ di un repertorio attuale in Europa e nel Mondo: questi gli argomenti affrontati nella conversazione.

Quale è l’attitudine più idonea di fare progetto di paesaggio per lo spazio pubblico in Calabria e Sicilia?

Franco Zagari: Sono tormentato da diversi nuovi spazi pubblici di Reggio Calabria, tanto brutti e banali quanto ben vissuti dai reggini. Mi chiedo: ma sapremo fare veramente bene il nostro mestiere noi? Torno ora, dopo quindici anni, a progettare il completamento di piazza Matteotti a Catanzaro. Quella piazza, che immaginai come un “urlo” dopo quaranta anni senza un segno di architettura in quella città, sono convinto che per quanto abbia diviso la

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gente, sia stata sempre vissuta con molta intensità. Ne hanno parlato in tutto il mondo; mi ha portato fortuna ma credo che abbia fatto onore alla città. Ora non ci sarà certo da urlare ancora, il tema è molto affascinante, si parla di completamento ma questo luogo è così suggestivo che la città non finirà mai di costruirlo; niente paura, la prossima volta non sarò io… Caro Fabio, l’attitudine più idonea è il senso della durata di un’opera nel tempo, l’effetto economico sulla rivalutazione degli immobili è tale che la durata va a volte in obsolescenza il giorno stesso della inaugurazione… Pensare gli spazi pubblici come installazioni effimere itineranti, non cambierebbe il loro disegno, da noi così lapideo e assertivo?Sperimentare, sperimentare, sperimentare, questo è quello che dobbiamo fare e convincere di fare, a cominciare da una riflessione più avanzata sul rapporto fra i luoghi e la modernità. Ho sempre pensato che in Calabria, nonostante un quadro legislativo in formazione molto recente, sarebbe impossibile avere un miracolo come l’osservatorio di Cardada di Bürgi: sarebbe un ecomostro fuori legge. Il compito di proteggere il nostro paesaggio storico coincide con il compito di perpetrarne la qualità nel tempo presente; l’uno senza l’altro denotano una comunità priva di memoria, di equilibrio e di progetto. La dialettica fra luogo e modernità spesso è molto conflittuale, ma è ineludibile. Ove questa qualità di paesaggio già esista, ha necessità di essere protetta. Ma il tema è come questa qualità indispensabile per l’habitat possa oggi riprodursi, se e come la società contemporanea sappia produrre paesaggi. Infatti, dove questa qualità non sia presente, bisognerà saper cogliere delle vocazioni latenti, che determinati luoghi ‘sensibili’ hanno, a evolvere in questo senso per equilibrare momenti di particolare afasia del territorio. In alcuni casi bisognerà saperla inventare dal nulla. La vita di un paesaggio esistente, latente o futuribile ha bisogno di una visione colta di cui vi sia consapevolezza nel comune sentimento della gente, di un’azione politica e tecnica costante, di un disegno partecipato, insomma di un progetto.Lo spazio pubblico è un tema legato alle nuove centralità di cui la città che ormai è infinita ha disperatamente bisogno (Aldo Bonomi). Ma la sfida deve

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superare uno spazio pubblico retorico. Guarda quanti spazi abbandonati o sottovissuti nella tua collezione di progetti per queste due regioni! Bisogna cercare nuovi temi dove vi è la massima emergenza sociale: il ciclo sporco della città, che è diventato quasi uno stato di guerra, il risparmio dell’energia, lo stoccaggio e il trattamento dei rifiuti, le servitù delle grandi arterie di traffico, dei cimiteri, delle aree militari e della protezione civile, il recupero delle aree produttive dismesse, le cave, ecc. Pensiamo a quanto c’è da fare, alla prevenzione delle frane e delle inondazioni, a sistemi energetici alternativi, al ripristino di aree di cave e di cantiere, alla riqualificazione delle fiumare, alla bonifica di aree portuali e industriali, agli interventi di forestazione, alle discariche, ai depuratori, agli inceneritori. Tutto ciò è trattato a compartimenti stagni, contro ogni logica che vorrebbe integrare in un disegno queste risorse territoriali, rilevantissime per suoli e per finanziamenti impegnati.

Vincenzo Latina: L’attitudine più idonea ed efficace per chi si occupa di paesaggio penso che sia la ‘porosità’. Nel caso specifico è intesa come la rilevante inclinazione di cogliere come ‘strumenti’ del progetto i caratteri del paesaggio e farli interagire con il progetto del nuovo. Immagino la porosità simile a quella delle spugne marine, del tufo o delle tante insenature delle coste del Mediterraneo. Una porosità che assorbe e cede, una osmosi continua di culture, popoli e civiltà. Penso che una condizione eccezionale di paesaggio tra Calabria e Sicilia sia determinata anche dalla ‘frontalità’ e dal continuo ‘riverbero’, per cui quello che accade da una parte si riflette inevitabilmente sull’altra. All’architetto è richiesta anche un’altra importante attitudine (che ahimè oggi manca a tanti) la ‘generosità’ di ascolto del contesto. Da tale atteggiamento si possono trarre appropriate risposte alla comprensione del paesaggio.

Aurelio Cantone: Credo sia la scelta di voler, in prima istanza, rinvenire insieme i caratteri originari del luogo ed i processi innescati che hanno prodotto l’assetto di questo, le sue particolari qualità, in special modo quelle

latenti, ed i connotati che ‘danno forma’ al sito. La volontà di avvicinarsi alla sua stratificazione per individuare luoghi ed elementi, tracciati ed allineamenti, pesi e vuoti da mettere in relazione, da ‘triangolare’ attraverso i nuovi rapporti, relazioni e rimandi che il progetto dovrà istituire. Può dirsi che il progetto di paesaggio per lo spazio pubblico possa partire dal riconoscere ad esso il carattere che il Mediterraneo ha per i geografi quando identificano in esso (mare tra terre) qualsiasi mare che comunica con un oceano e separa continenti o parti di essi, e che in realtà costituisce il tramite delle relazioni e degli scambi tra le genti delle terre che separa, e che dunque ha consentito l’incontro tra culture ed il formarsi di elementi culturali comuni (una nuova cultura).Le città, ed il territorio di Sicilia e Calabria, ma in genere la città europea (salvo la maggior parte delle più recenti trasformazioni di cui sono oggetto, per le quali andrebbero condotte specifiche riflessioni), hanno una storia lunga (nell’accezione della long duree di Fernard Braudel): sono il prodotto di lunghi processi di trasformazione, a volte coerenti col preesistente a volte in contraddizione, a volte in negazione …. Occorre saper individuare tali processi e lavorare con materiali provenienti dalle ‘diverse profondità storiche’, allinearli sullo stesso piano, circoscriverli in ‘insiemi’ secondo parametri di volta in volta individuati rispetto agli obiettivi che la trasformazione si prefigge, e dunque istituire le connessioni, le nuove connessioni, tra questi e quelli che il nuovo fabbisogno richiede.In Sicilia nel tipo di narrazione propria della favola si dice che ‘lu cuntu nun metti tempu’, per significare che nel racconto possono sottrarsi passaggi o intervalli di mesi o anni, si può andare avanti nel tempo e ritornare bruscamente indietro. Allo stesso modo la città può essere letta atemporalmente, così da poter ritrovarvi le più profonde motivazioni, il ‘filo rosso’ che la caratterizza, i suoi caratteri originali, le tracce della sua unitarietà delle sue contraddizioni e delle sue peculiarità, le modalità alle quali fa ricorso per la risoluzione dei problemi.

Quali sono le qualità del contesto referenti per il progetto?

FZ: Molto meglio di me, su di me risponde Luigi Prestinenza Puglisi:“Credo che il lavoro di Zagari oscilli felicemente tra due polarità, sino a riunirle. Da un lato la ricerca di valori autonomi dall’altra il rapporto con il contesto. Conciliare entrambi non è facile: ritmi, pattern e colori avrebbero bisogno, per loro natura, di un supporto astratto, atopico quale potrebbe essere un quadro, una tela. La contestualità richiederebbe, invece, aderenza al luogo e continue rotture del disegno complessivo per un confronto a volte sin troppo puntuale con le singole minute e casuali preesistenze. Zagari, per evitare la frammentazione e la perdita di disegno di un approccio conservativo e notarile, ma allo stesso tempo per non calare dall’alto le proprie figure, cerca di interpretare in senso poetico il contesto. Diventando conservatore dei beni immateriali, cioè delle qualità che il sito vorrebbe esprimere ma proprio perché sommerso da mille episodi empirici, a fatica riesce a manifestare. Questo atteggiamento gli permette di disarenarsi dalle secche di una conservazione pura e semplice, di evitare la mummificazione e l’ipostatizzazione – tanto cara a molta cultura da soprintendenza - dei brani di città nei quali opera e, allo stesso tempo, di rileggerli con quella chiave astratta, concettuale e alla fine suadente che costituisce il proprio tratto specifico. “ Come ascoltare e accogliere – si chiede per le piazze di Saint-Denis - Suger, Robespierre, Simenon e Sengor?” Ecco una domanda tipica del lavoro di Zagari. Si osservi: come ascoltare e accogliere idee astratte, sensazioni”.C’è una necessità che è molto viva in me: di ricordare determinati luoghi, particolarmente belli e interessanti, perché testimoni di valori essenziali della mia appartenenza culturale, un desiderio di nominare e comunicare questi luoghi come un anello eloquente di una mia visione del mondo, un equilibrio in perenne mutamento fra tradizione e evoluzione. Vi è una preziosa complicità che si stabilisce allora fra me e una comunità, che come me di questi luoghi è partecipe - li abita o li visita o semplicemente sa che esistono, non importa - che di volta in volta è quella della mia piazza,

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del mio paese, della mia nazione, del mio pianeta. E’ quando si stabilisce questa consapevolezza fra spazio e società che possiamo parlare di un paesaggio.

VL: Ogni contesto ha delle qualità, anche il luogo che può sembrare più derelitto ha delle potenzialità, la peculiarità principale è quella della ‘attesa’. L’attesa di nuovi inizi. Non credo che siano efficaci sia lo sperimentalismo esasperato che ‘somministra’ e riproduce su vasta scala oggetti eccezionali, sia la pacata ripetizione dell’esperienza maturata la quale per lo più genera, a priori, delle ‘ricette’ precostituite per ogni contesto. Ogni luogo richiede misura e grande sensibilità, da non confondere con timidezza o pacatezza di approccio. La recente esperienza progettuale maturata nell’isola di Ortigia mi ha permesso di intuire come ‘referenti’ nuovi e inattesi spunti progettuali. In un contesto caratterizzato da una millenaria e straordinaria stratificazione sono stati assunti come referenti sia il patrimonio ‘visibile’ che il patrimonio ‘invisibile’ della città. Il patrimonio assunto nel progetto della corte dei Bottari e stato quello ‘visibile’ e ‘materiale’ dello spolio di superstiti flessi murari di edifici antichi incastonati negli edifici più recenti, gli allineamenti e le giaciture degli isolati e i tracciati viari antichi che sono stati assunti e riletti nel progetto in chiave contemporanea. Parte del patrimonio ‘invisibile’ della città è stato assunto nel giardino di Artemide con l’evocazione mitologica del luogo.

AC: Poiché non siamo più in grado di proporre un’ideologia di certezze, un manuale d’uso, le qualità lo sono tutte, non lo è nessuna. Possiamo allora esplorare i modi di comprensione del luogo nel quale il manufatto dovrà trovarsi, possiamo scandagliare i suoi caratteri, che, scogli sommersi, debbono indirizzare la navigazione fornendo l’intervallo delle scelte corrette e possibili che durante la progettazione si ritiene sia corretto assumere.Se dovessi fare un riferimento più strettamente autobiografico al mio ‘metodo’, potrei affermare che tendo ad ‘ascoltare’ il contesto, poi a compiere una introiezione critica (dunque non reiterativa) del suo processo di formazione

e dei suoi caratteri, quindi ad intraprendere percorsi ed operare scelte che in qualche modo tendo a lasciare rintracciabili nel progetto. Questo sia per rendere intelligibile appunto il processo di formazione e di fondazione del progetto, sia per dare a questo diverse valenze (nell’accezione chimica del termine), per renderlo cioè ‘opera aperta’ che consenta diverse decifrazioni e modificazioni.Per inciso debbo dire che rivendico anche, all’interno di scelte di fondo, la possibilità di un percorso non esattamente lineare ed omogeneo, non sempre rigidamente coerente, non privo di correzioni e corruzioni, nel quale hanno cittadinanza distrazioni e tentativi di esplorazioni verso ambiti non preordinati. Ma questa è una riflessione che esula rispetto agli obiettivi sottesi dalle domade.

Quanto le tendenze attuali internazionali ne sono referenti?

FZ: Vi è una grande creatività in molti paesi, e molti giovani stanno venendo alla ribalta. Per me sono molto interessanti in particolare le esperienze dei paesi emergenti, come molti paesi dell’America Latina, che sperimentano spesso con maggiore libertà anche se con mezzi limitati.

VL: Cerco di rifuggire continuamente dalle mode e dalle tendenze contemporanee. Oggi purtroppo si assiste all’annullamento del contesto, per cui molti architetti immaginano soltanto progetti autoreferenziali che propongono nuove visioni attraverso l’inserimento di improbabili land marker. Il progetto, a mio avviso, si deve opporre alla amplificazione e massificazione del contemporaneo design che omologa ogni opera ed evidenzia una patologica incapacità di ‘comunicare’ con l’immediato. Per lo più si tratta di oggetti di design carichi di furore e di ego, prodotti come caffettiere, sono oggetti ‘solitari’ che gli architetti di ‘grido’ propongono in ogni continente. In questo senso, mi viene in mente il progetto vincitore del concorso del Water-front di Reggio

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Calabria. Penso che Zaha Hadid non ha percepito la peculiarità del luogo e che la giuria si è lasciata coinvolgere dal ‘marchio’ di qualità. Il progetto della Hadid sembra una composizione di scatole di latta ammaccate e (immagino) arroventate e abbaglianti, ‘nell’azzurro mare d’agosto’. Simili modelli impazzano nelle grandi metropoli contemporanee. Come dire, Reggio Calabria grande capitale come Tokyo, Miami o Pechino?. Un tale accostamento mi sembra alquanto inappropriato. Il progetto contemporaneo si deve opporre anche all’asservimento delle istituzioni preposte alla tutela e al vincolo che a volte impongono improbabili nostalgiche visioni o meglio delle evasioni pseudo romantiche.

AC: Con franchezza: a questa domanda non so rispondere. Buona parte delle proposte architettoniche che oggi hanno successo e che vengono realizzate e, dunque, che incidono sulle capacità di comprensione dello spazio architettonico ed urbano e modificano la città e il territorio, sono a me incomprensibili, perché così determinatamente dirette verso la captazione di consenso attraverso l‘istigazione alla meraviglia e allo stupore, ottenute con la reiterazione del messaggio rassicurante che l’ambito urbano proposto sia il paradiso. I tanti, troppi tentativi di realizzare la location per i molti ‘Truman Show’, nei quali debbono sottacersi le incoerenze, le asperità, i conflitti delle città, allontanano gran parte della attuale ricerca architettonica dal suo reale confronto con la città, la sua storia, i suoi caratteri, il suo divenire.

È possibile delineare un alfabeto per il suo lavoro; ci sono cioè dei denominatori comuni, ricorrenti nel suo progetto?

FZ: Dice sempre Puglisi: “Ma se l’ascolto ha come input l’immateriale, l’output non può essere che la musicalità. E quello della musicalità credo sia il tratto specifico non solo di questo intervento ma di tutta l’opera di questo progettista così atipicamente italiano. Perché progetta con il vuoto e con le sequenze di colore, perché lavora con il quasi nulla dell’ancora

inespresso, perché ai volumi chiusi preferisce i piani aperti, perché alla tettonica contrappone la ritmica. Un progettista che non esita – come a Piazza Montecitorio a Roma - a disegnare catene in titanio leggerissime, che vibrano attraverso un ondeggiante alternarsi di piccoli curve e che ha il coraggio di introdurre nell’austera seriosità dell’architettura storica shangai in legno e pattern felicemente colorati. Come qui a Saint-Denis dove il disegno di una piazza, dato dal ricordo della posizione dei vecchi stalli, è un pretesto per introdurre una composizione che mi fa pensare alla struttura cromatica di un quadro di Klee o ai tempi di una composizione di Melotti”.

VL: La domanda è molto complessa e richiederebbe vaste e approfondite riflessioni. Dell’alfabeto prendo in prestito due termini molto comuni e opposti, il termine più utilizzato e a mio avviso abusato è la ‘velocità’ e il suo opposto, la ‘lentezza’. Fast vs slow. Molti edifici sono sempre più rappresentati come delle saette architettoniche o dei fluidi; volumi generati da intricate geometrie topologiche concepiti da sofisticate ricostruzioni al computer. Sono per lo più architetture di immediato impatto, come dire delle fast architecture, generate dalla cultura del consumo veloce, sono simili alle globalizzate grandi catene alimentari del fastfood. Penso che si dia poca attenzione ad altre peculiarità della velocità. E’ da annotare che da alcuni anni la cultura alimentare dello slow e del local sta lentamente subentrando al fast e al global delle grandi corporation. La crescita esponenziale delle risorse energetiche ha consigliato anche alle grandi catene alimentari degli Stati Uniti di riscoprire il valore del local , poiché produrre a migliaia di chilometri di distanza da luoghi di consumo richiede ormai dei costi ambientali insostenibili. Anche in Italia ci sono nuove realtà, quelle dei ristoranti che utilizzano prevalentemente prodotti del territorio oggi chiamati a ‘KM 0’. Le nuove emergenze ambientali e la costante penuria di risorse impongono di ripensare la contemporaneità, per cui si dovrà assistere necessariamente ad una inversione di tendenza. Anche l’architettura (che richiede un grande consumo di energia) non potrà più essere assunta come un puro fenomeno di consumo o marketing.

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In architettura come in cucina prediligo la ‘velocità ridotta’. Lo slow è più salutare ed esaltante del fast, è anche più economico per costi ambientali. La velocità in architettura è prevalentemente riferita alla rapidità di esecuzione, consumo e la successiva perdita finale dell’edificio e della memoria collettiva. Sembrano smarriti alcuni valori aggiunti come la ‘permanenza’ e il ‘tempo’. Andare lenti penso che sia una virtù, come scoprire un parco, le sue essenze, gli odori, il peso del proprio corpo e le connesse esperienze multisensoriali.

AC: Italo Calvino in Collezione di sabbia ha scritto che “la dimensione dei paesaggi urbani dominati dal vuoto può ben dirsi una costante mentale italiana e che collega le città ideali rinascimentali a quelle metafisiche di De Chirico”.Dalle riflessioni emerse dalla lettura di questo testo, volendo sistematizzare il mio approccio relativo alla comprensione - per la trasformazione - dello spazio pubblico (che preferisco appellare collettivo: pubblico = di tutti, collettivo = condiviso), ho cercato di individuarne misure e caratteri.Individuo le sue misure attraverso diverse letture: - quantitativa: lo spazio collettivo è tanto più significativo quanto più è frequentato; la dimensione fisica può esaltare l’uso collettivo;- culturale: l’attribuzione di significati nella storia (memoria collettiva), la emblematicità, la elezione di un certo spazio a luogo in cui si concentra la rappresentatività di una comunità;- spaziale e geografica: la localizzazione in rapporto alla città e agli elementi sia d’uso che di peso urbano; - qualitativa (o della ‘solidità’): i caratteri architettonici dello spazio, i rapporti tra gli elementi costituenti, la congruità dello spazio collettivo con il sito e la città, la sua riconoscibilità entro la città.Quindi individuo i caratteri principali che il nuovo intervento dovrà assumere attraverso la codificazione di diversi ‘lucidi’ la cui lettura sovrapposta dovrà essere ricondotta ad unità dalla sintesi progettuale (nella quale non potrà non avere un ruolo anche l’elemento autobiografico).

In tali lucidi si troveranno:il progetto del vuoto:il vuoto come serie di tensioni, di relazioni e di scelte degli elementi al contorno facenti essi stessi parte dell’intervento e partecipanti alla formazione della identità del manufatto. Tali tensioni e relazioni contribuiscono alla più o meno continuità dell’intervento con le consuetudini insediative del luogo. Il progetto del vuoto è il prefigurarsi e lo stabilire le trame delle relazioni tra i manufatti progettati e tra questi ed il contesto.il progetto delle necessità:le necessità come condizioni; tra queste: allineamenti, altezze, tipologie, rapporto vuoto/pieno; ma anche la funzione, l’economia etc.il progetto del suolo: il suolo non come piano indifferente né come stimolatore di suggestioni, ma come sede propria delle prime regole insediative, substrato che contribuisce alla conformazione dell’intervento.il progetto dei riferimenti:i riferimenti come rimandi al corpus disciplinare, a soluzioni ‘riconosciute’, a discorsi già iniziati; o anche (perché no?) a elementi d’affezione, a stilemi propri. il progetto della idea di città:l’idea di città come altro sito col quale l’intervento deve misurarsi per mantenere il confronto e la tensione verso principi, motivazioni e scelte generali (l’architettura non é contestualismo nè scelta contingente), secondo un teoria o quanto meno un discorso.Il progetto del vuoto, delle necessità, del suolo, dei riferimenti, dell’idea di città formano una identità e ‘radicano’ la soluzione architettonica al punto che, se essa non ci fosse più, resterebbero le sue ‘rovine’.E sarà proprio la sua identità, la sua riconoscibilità e definibilità, ad essere materia per altri progetti, ad essere utilizzata per altre riflessioni, occasioni, situazioni o temi, ma anche a consentire ad essere ‘modificata’ da letture di se stessa: caratteristiche dello spazio pubblico, queste, non eludibili.

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Quali materiali rispondono più di altri a queste attitudini?

FZ: Prima che di materiali bisogna parlare di forme. Ma tu lo sai bene, perché non posso dimenticare il tuo meraviglioso lavoro per il nostro progetto delle Rive di Trieste. La fluidità, la flessibilità di uno spazio richiedono una particolare determinazione e misura nel definire il limite con il contesto e con esso il rapporto con l’orizzonte e con il cielo, nel disegnare scenari vegetali e minerali, nel dare eleganza e energia al suolo, nel tracciare canali ottici e percorsi, nel disporre suono e energia. I materiali soft, cioè i vari ordini di vegetazione, sono spesso i più importanti, ma ugualmente l’illuminazione è un campo in grande estensione, man mano che la notte urbana è sempre più bianca. Si aprono dei mondi. Le pavimentazioni e le sedute sono gli argomenti che forse io prediligo. L’acqua mi affascina, ma come è difficile! Dopo Halprin! E dopo Barragàn! E la pubblicità! Quanto è difficile per me nominare uno spazio pubblico più carico di energia, di cinetica bellezza di Times Square, sempre nuovo, sempre diverso, certo è così bello perché è unico, ma non è questa la condizione primaria del paesaggio contemporaneo, la radicale atipicità? Poi, quasi dimenticavo, i campi da skateboard che ho visitato in America (diffidare dai tarocchi) sono l’immagine più bella per chiudere questo nostro colloquio, spazio sublime disegnato dal movimento, superfici digitali purissime, pieghe, ombre e luce come in un panneggio di un’Estasi del Canova. Che fare? A volte continuo a pensare che forse questo mestiere non lo sapremo fare, ma è molto bello.

VL: Non credo nei materiali adatti, tutti i materiali sono seducenti. La mia esperienza spazia dall’utilizzo della pietra, dell’acciaio corten o del plexiglass, per cui, non apprezzo chi si assurge a paladino per la difesa di un prodotto o chi nella sperimentazione si affida sempre ed esclusivamente ad un sistema costruttivo. Più che opera di architetti sembra un’arte di ‘piazzisti’, quasi sempre sponsorizzati dalle industrie. Non credo neanche nella difesa ad oltranza di linguaggi o materiali ‘italici’. I materiali lapidei, il laterizi o i ‘cotti’, di vario genere, non sono a priori prerogativa di qualità.

Ogni esperienza va maturata, la contemporaneità ci dà la possibilità di scegliere e quindi non è contemporaneo soltanto chi utilizza acciaio e vetro o lamiera e invece ‘romantico’ e conservatore chi fa uso della pietra. Sono concetti antiquati e soprattutto distorti.

AC: Credo che tra le righe delle riflessioni precedenti abbia risposto anche a quest’ultima domanda; vorrei allora citare un aneddoto.Leonardo da Vinci aveva progettato un marchingegno per sollevare il battistero di Firenze (qualche anno prima, nel 1455 Aristotele Fioravanti aveva spostato di 13 metri la torre campanaria di S. Maria del Tempio a Bologna) per collocarlo sullo stesso sito, ma su una gradinata perché potesse assumere un maggior ruolo spaziale e prospettico.Al di là della sicura ingegnosità della proposta (i disegni sono andati dispersi) è considerevole il fine: alzare un edificio esistente per migliorare le qualità spaziali dell’edificio stesso e del suo contesto. Questo certamente dimostra la consapevolezza progettuale dei tempi di Leonardo nei confronti della trasformazione della città e del territorio - la volontà di progettare un manufatto, una nuova concezione spaziale, un nuovo tipo di rapporti economici un nuovo mercantilismo, etc.. - riconoscendo un valore in sé all’edificio, che dunque non poteva essere demolito e ricostruito, e ritenendo che andassero comunque modificati i rapporti col contesto, arrivava a pensare di innalzarlo su un basamento di gradini!Dunque i materiali in realtà sono gli ‘atteggiamenti’ che si assumono nel processo analitico-progettuale in relazione al paesaggio, per lo spazio pubblico, il quale col progetto non può non assumere il carattere di palinsesto (nella sua accezione filologica).

P.S.Poiché la mia professione è il fare architetture (con tutto quanto comporta questo ‘fare’ nella nostra realtà, con l’attuale committenza, con l’attuale

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capacità di comprensione della società di una qualità architettonica, con il livello esistente dei vari saperi e le capacità che contribuiscono alla realizzazione di un manufatto), e non il parlarne né tanto meno insegnarla, ho tentato, temo con scarsi risultati, di sistematizzare e generalizzare il mio pensiero che in realtà fatica a delinearsi con chiarezza. Debbo confessare che avrei voluto rispondere soltanto con alcune citazioni, ma l’impegno preso per questo lavoro me lo ha impedito.Mi piace però riportare comunque le parole di altri che ritengo più significative e incisive.Le citazioni sono quattro e soltanto una di un architetto.

“Costruire significa collaborare con la terra, imprimere il segno dell’uomo su un paesaggio che ne resterà modificato per sempre; contribuire inoltre a quella lenta trasformazione che è la vita stessa delle città. Quanta cura per escogitare la collocazione esatta di un ponte e d’una fontana, per dare a una strada la curva più economica che è al tempo stesso la più pura.”

Marguerite Yourcenar in “Memorie di Adriano”

“Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni di un linguaggio; le città sono luoghi di scambio, come spiegano tutti i libri di storia dell’economia, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi.”

Italo Calvino

“Noi siamo così fatti che nel groviglio delle cose vediamo sempre linee e nessi, come i canali di Marte. Io cerco nel passato questi nessi e queste linee, le prolungo al di là del presente e mi par di vedere il futuro.”

Massimo Campigli in “Nuovi scrupoli”

“Disegnare le cose per un luogo specifico come fossero sempre esistite, governate da un rapporto di interdipendenza di ogni elemento e insieme

dal grande spazio aperto su cui si affacciano, senza che questo impedisca l’aggiungersi, lo stratificarsi di altre cose, di altri atti.”

Vittorio Gregotti

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UNA STORIA RECENTE

Gibellina, Salemi e Cefalù hanno rappresentato tre laboratori a cielo aperto, dove nel decennio 1980-90 si è prodotta quella sperimentazione che Antonio Angellillo sulle pagine di Casabella ha intitolato “la primavera dell’architettura siciliana”.Anche se per motivi diversi, le tre città siciliane hanno rappresentato il centro della discussione architettonica di quegli anni.Mentre per Gibellina e Salemi l’opportunità veniva fornita dalla ricostruzione della città in seguito all’ennesimo terremoto che nel 1968 distruggeva la valle Del Belice, a Cefalù le occasioni vennero ‘cercate’ da un gruppo di progettisti che gravitava intorno alla Facoltà di Architettura di Palermo, di cui Pasquale Culotta e Giuseppe Leone rappresentavano la scuola più di avanguardia.A torto o a ragione tali sperimentazioni vengono considerate, a distanza di anni, motivo di riflessione sul progetto di architettura e dello spazio pubblico nella città meridionale.Questo studio non intende indagare su questi aspetti della vicenda né entrare nei criteri che hanno proteso verso una scelta di ricostruzione ex novo di Gibellina o una omeopatica di Salemi né sulla efficacia di tali valutazioni: l’indagine mira all’analisi critica delle opere qui realizzate; una ricognizione delle più importanti di questo decennio, come anticipatrici di linguaggi espressivi che avrebbero influito sulla intera produzione successiva.La desolazione di Gibellina, la difficoltà di ricostruire una città senza storia, la sfida raccolta dagli autori, sono temi ‘abusati’ che forse non attengono l’argomento dello studio.

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Marcella Aprile, Roberto Collovà, Teresa La Rocca, Le Case Di Stefano, Gibellina, 1981-1995

Tuttavia in bibliografia sono riportati i testi più importanti che negli anni hanno affrontato questi aspetti, che sono stati indubbiamente supporto importante di questa ricerca, ma che vengono considerati parte di una bibliografia critica di argomenti che necessiterebbero invece approfondimenti ulteriori.

Gibellina.Tutti i progetti realizzati a Gibellina Nuova - riedificata a 18 km dal centro storico distrutto dal sisma - nascono, ovviamente, privi di un qualsiasi legame con l’esistente; Roberto Collovà, Ludovico Quaroni, Pierluigi Nicolin, Franco Purini, Laura Thermes, Oswald Mathias Ungers, Francesco Venezia e gli artisti Carla Accardi, Joseph Beyus, Alberto Burri, Pietro Consagra, Fausto Melotti, Arnaldo Pomodoro, hanno pensato ad una città su una tabula rasa, senza poter avere nessun riferimento contestuale.Le interpretazioni sono state diverse e il rapporto con il luogo ha trovato sempre forme differenti per concretizzarsi.Le Cinque Piazze di Thermes-Purini, intervento cardine di ricucitura di spazi e relazioni lasciate irrisolte dalle ‘lottizzazioni’ residenziali precedenti, per la loro dimensione, per la loro giacitura che spezza l’allineamento con gli edifici esistenti, per la presenza dei portici, denunciano un atteggiamento di rottura con la tradizione storica delle piazze siciliane.Il progetto reinterpreta il tema della piazza in Sicilia prendendo spunto più dalla monumentalità e dalla concezione dell’architettura classica greca e romana dell’isola, filtrata dalla pittura surrealista, piuttosto che dalla tradizione dello spazio pubblico.Come in un quadro di De Chirico, grandi spazi vuoti delimitati da portici abitati dalle sole ombre che colonne e trabeazioni riportano sul suolo disegnano uno spazio enigmatico, estremo e remoto che apparentemente non lascia tracce di una cultura locale.Differenti sono le risposte delle architetture di Francesco Venezia - i giardini segreti - dove la relazione con il contesto, seppur molto concettuale, è più chiara. I giardini sono spazi intimistici e poetici, che trovano ispirazione nei ruderi

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Alberto Burri, Il Cretto, Gibellina, 1981

della città distrutta dal sisma e non nei tracciati regolatori della nuova Gibellina; sono un’architettura di muri e di case senza tetto dove trovano un posto di rilievo anche materiali, pietre, antichi reperti recuperati dalle macerie.Un linguaggio espressivo essenziale e raffinato: pochi elementi, muri principalmente, una sola seduta, un solo albero, pavimentazioni che raramente arrivano a toccare il muro come in un edificio appena decostruito dal sisma, spazi visibili ma inaccessibili come in un vero giardino segreto.Le architetture di Francesco Venezia riflettono la quiete e la tranquillità del paesaggio siciliano, il suo lato intimistico, ma sono anche citazione della difficoltà e della precarietà del contesto. Uno degli interventi più ‘distanti’, non solo geograficamente, dal laboratorio sperimentale della Città Nuova è quello delle Case di Stefano di Marcella Aprile, Roberto Collovà e Teresa La Rocca.Fondamentalmente un progetto di restauro di un’antica masseria, in cui però l’architettura diventa quinta per lo spazio pubblico e allo stesso tempo meccanismo per riqualificare il paesaggio naturale e agrario del sito.Seppure l’intervento riguardi l’intero complesso, inclusi gli edifici che costituiscono la masseria vera e propria, il progetto è quello della valorizzazione degli spazi vuoti tra di essi: percorsi interni alle mura degli edifici, corti, terrazze, sono pensate per accogliere visivamente il paesaggio, sottolineare brani di territorio. Un caso a sé, invece, è rappresentato dall’opera del Cretto di Alberto Burri, realizzato sulle macerie della vecchia città.È un’opera di Land art, un’opera di paesaggio, un progetto di spazio pubblico, che trasferisce le sue competenze di monumento alla memoria collettiva, a qualcos’altro. Le crepe, ovvero i percorsi ripidi delle vecchie strade, suggeriscono l’angoscia, l’impotenza, lo sgomento per ciò che è avvenuto; in un silenzio assordante, il bianco accecante delle superfici scabre, insieme al cielo azzurro e la luce potente di Sicilia, crea un effetto disorientante.

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Oggi l’inevitabile degrado dei numerosi ciuffi di cespugli che spuntano dalle fessure aperte sulle superfici di cemento, dei rovi spinosi, dei tappezzanti e degli arbusti che premono ai margini della rigida struttura degli isolati cercando caparbiamente di riconquistarne lo spazio, stanno restituendo l’opera al paesaggio che le appartiene, di cui è ormai parte integrante.

Salemi.La riqualificazione del centro storico di Salemi, danneggiato gravemente dal terremoto ma non distrutto irreparabilmente come Gibellina, è avvenuta in maniera più puntuale: le rovine, i resti di muri crollati, i vuoti, gli edifici sventrati, sono stati considerati come materiale da plasmare, su cui intervenire per la riqualificazione del centro storico.La Piazza Alicia e la Chiesa Madre di Álvaro Siza e Roberto Collovà ne rappresentano indubbiamente il fulcro e l’emblema.I ruderi della chiesa vengono utilizzati per la realizzazione della piazza, funzionando da quinta scenografica per l’intero spazio; alcune colonne recuperate vengono ricollocate al loro posto; la base di altre a formare delle sedute sulla piazza sopraelevata che ricalca il perimetro del vecchio edificio; la volta dell’abside invece lasciata volutamente scoperta ad utilizzare il cielo ‘come tetto’. La filosofia dell’intervento di riqualificazione si riflette in tutte le sue parti: negli altri ambiti, la realizzazione di piccoli patii, terrazzi e giardini, elementi di risalita alle vecchie case, coperture dei canali di scolo delle acque, una serie infinita di micro-interventi disseminati lungo tutto il centro storico, in cui il comune denominatore è il colore, il bianco del travertino d’Alcamo, l’essenzialità e il minimalismo del linguaggio espressivo.Un altro importante intervento è stato quello nel Quartiere del Carmine, dove sorgevano il convento e la chiesa omonimi.Sulla falsa riga di quanto avvenuto nella zona della Chiesa Madre, il progetto di Marcella Aprile, Roberto Collovà e Francesco Venezia, prevede la riconversione a parco dell’intera area, con la trasformazione degli edifici residenziali distrutti dal sisma in giardini e piazze, con l’accurata

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Roberto Collovà, Alvaro Siza Vieira, Riqualificazione urbana, Salemi, 1984

demolizione di muri pericolanti e di strutture che occultavano la vista del paesaggio circostante.Il Teatro all’aperto, ricostruito sulla macerie di un edificio crollato, riprende il linguaggio stereometrico e sofisticato degli interventi effettuati dagli stessi autori nelle Case di Stefano a Gibellina: due muri in tufo che racchidono lo spazio adibito alla cavea, una gradinata e un piano inclinato che godono di un panorama unico; dal suggestivo paesaggio agrario che si estende a valle fino all’antico quartiere distrutto.Anche in questo caso gli autori trovano nel paesaggio circostante, compreso quello mistico dei ruderi, la ragione e lo stimolo per il progetto.

Cefalù.La cittadina palermitana è stata il laboratorio privilegiato di Pasquale Culotta e Giuseppe Leone che hanno codificato qui, con numerosissimi interventi, un modo di fare architettura per “monomatericità” che si è diffuso poi su tutta l’isola negli anni a seguire. Architetture ricavate in un unico blocco di materia, in cui il colore assume un valore decisivo, sculture abitate che risentono dell’influenza del movimento moderno e del razionalismo di Le Corbusier in particolare, ma anche della tradizione costruttiva siciliana, storica e recente.Uno degli interventi più importati sullo spazio pubblico è stato quello del Fronte a Mare, dove però stranamente i caratteri della “monomatericità” sono meno evidenti.Un progetto che sfrutta la risorsa naturale per riportare la città sul mare, utilizzando gli scogli della linea di costa e i vecchi bastioni della città come un parco lineare sull’acqua; l’opera si avvicina al paesaggio in maniera rispettosa ma non timida, non rinunciando a toccare le rocce, che qui vengono considerate patrimonio da rispettare a da valorizzare, da cui il progetto trae ispirazione e materiale espressivo.Così le piccole rampe, i gradini, le scalette in ferro, gli ‘innocenti’ passaggi praticati sugli scogli, i numerosi balconi sulle mura, traggono dal paesaggio

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Pasquale Culotta, Giuseppe Leone, Fronte a mare, Cefalù, 1987

di acqua, roccia e vegetazione di Cefalù le componenti espressive per il progetto.Un intervento, invece, in cui viene esplicitata la “monomatericità” colorata della scuola palermitana di Culotta e Leone, è quello di Marcello Panzarella e Leandro Parlavecchio nella Corte delle Stelle.Spazio pubblico all’interno di un edificio, piazza delimitata da muri e setti, finestre che incorniciano il paesaggio, intonaci colorati della tradizione locale, sono i temi che l’opera pone in essere e che diventano così patrimonio da cui attingere per gli interventi futuri.

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Quando sono chiamato a progettare un sito, non lo osservo come se fosse un foglio bianco dove riprodurre qualcosa, dove disegnare un soggetto piacevole o imporre con forza un segno. Anzitutto lo guardo con grande curiosità, più vicina forse a quella di chi va a sorprendere e con entusiasmo vuole continuare a indagare e a scoprire, piuttosto che a quella di un ricercatore analitico con un suo preciso approccio metodologico.Paolo L. Bürgi, “Dal luogo al paesaggio”, in Franco Zagari, Questo é paesaggio. 48 definizioni Gruppo Mancosu Editore, Roma 2006

1. Il paesaggio naturale. Il paesaggio calabrese e siciliano è ambiguo.Innanzitutto perché è “mille cose insieme, non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi”1.Rilievi montuosi e grandi e sconfinate pianure, litorali sabbiosi e potenti rocce a picco sul mare, fiumi e fiumare, isole grandi e piccole, vulcani; è un vocabolario infinito di paesaggi naturali, accostati, sovrapposti, intersecati, che per lunghi tratti appaiono ancora arcaici e primordiali.È un mosaico in cui i tasselli si sono sfumati, diluiti, lasciando intatto il proprio fascino di ‘terre di mezzo’, di mediterraneo creando allo stesso tempo un carattere unico e straordinario.È ambiguo perché è un paesaggio seducente e suggestivo ma allo stesso tempo difficile e ostile, in cui “sotto i fiori è pronta ad apparire la nuda pietra” 2.La straordinaria interazione tra clima, morfologia e vegetazione lascia, infatti, affiorare segni di eventi naturali devastanti, terremoti, maremoti, siccità; è un paesaggio che l’uomo ha cercato spesso e invano di dominare.

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Il piacere degli occhi e la bellezza delle cose nascondono i tradimenti della geologia e del clima, e fanno dimenticare che il Mediterraneo non è mai stato un paradiso offerto gratuitamente al diletto dell’umanità. Qui tutto ha dovuto essere costruito, spesso più faticosamente che altrove. L’antico aratro di legno riesce a malapena a graffiare il terreno friabile e privo di spessore. Basta che piova più della norma perché il suolo, instabile, scivoli come giù per i pendii. La montagna tronca la circolazione, sottrae abusivamente spazio, limita le pianure e i campi spesso ridotti a poche strisce, a miseri pugni di terra; al di là i sentieri in rapida salita, ardui per uomini e animali.[…]Questa lenta, lentissima conquista è finita con il nostro secolo, soltanto ieri.Fernad Braudel, Il Mediterraneo, Bompiani, Milano 2005

Il paesaggio appare incontaminato eppure è fortemente antropizzato. L’uomo lo ha sempre profondamente modificato e modellato, coltivandolo e addomesticandolo con terrazzamenti e muri a secco che lo attraversano come immense opere di Land art, lo ha violentemente plasmato e modellato fin dall’inizio; persino le piante che vi si trovano sono per la maggior parte estranee, anche se ben inserite da sembrare ormai autoctone: la vite, l’arancio dolce arrivano qui in tempi lontani, da altre terre.

Rifare oggi il periplo del Mediterraneo. Quanti motivi di stupore!Quei frutti d’oro tra le foglie verde scuro di certi arbusti - arance, limoni, mandarini, - non ricorda di averli mai visti nella sua vita. Sfido! Vengono dall’Estremo Oriente, sono stati introdotti dagli arabi. Quelle piante bizzarre dalla sagoma insolita, pungenti, dallo stelo fiorito, dai nomi astrusi - agavi, aloe, fichi d’India -, anche queste in vita sua non le ha mai viste. Sfido! Vengono dall’America. Quei grandi alberi dal pallido fogliame che pure portano un nome greco, eucalipto: giammai gli è capitato di vederne di simili. Sfido! Vengono dall’Australia. E i cipressi, a loro volta, sono persiani. Questo per quanto concerne lo scenario.Lucien Fevbre, in ‘Annales’, XII, 29

Nei secoli tracce antropiche e tracce naturali si sono sovrapposte; acquedotti, elettrodotti, autostrade hanno recentemente solcato e inciso il paesaggio naturale, ancora più di quanto non avesse fatto in precedenza la natura stessa, ma “la morfologia potente dei luoghi ha comunque resistito e alla grande scala, l’immagine è ancora di notevole bellezza”3, perché la sovrapposizione secolare di segni e ferite non ne ha compromesso la visibilità.

Raramente si riflette sul fatto che ogni paesaggio ha il suo cielo.In Calabria e Sicilia il cielo è una presenza importante, è, più che altrove, l’altra metà del paesaggio.Nonostante la tipica assenza di nuvole del clima mediterraneo contribuisca a renderlo ancor più intangibile, il cielo calabrese e siciliano, con il suo colore intenso, è un ‘tetto’ incombente sul paesaggio. Nonostante sia fatto di niente “tanto da non sembrare dipingibile se non, ingenuamente e rozzamente, come una superficie azzurra”4, è potente e fortemente presente; una luce forte di contrasti che rende i luoghi irreali, irreale il rapporto con il suolo, le ombre nette, la luminosità nitida. Persino l’architettura classica dei ruderi archeologici, che costella il paesaggio naturale e che a Roma appare potente e cupa, qui è una visione solare, filtrata dal paesaggio, illuminata e plasmata dalla luce metafisica del mediterraneo.

Le apparenze mediterranee non sono solo apparenze. L’estensione dello spazio, la peculiarità del paesaggio, la compattezza d’assieme creano l’impressione che il Mediterraneo sia a un tempo un mondo a sé e il centro del mondo – un mare circondato da terre, una terra bagnata dal mare. Il sole che gli sta sopra e lo illumina generosamente come fosse in cielo solo per amor suo o appartenesse unicamente a esso. […]

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L’effetto dei raggi solari provoca determinati atteggiamenti psicologici, di durata stabile o passeggera. L’apertura e la trasparenza della volta celeste provocano stati di misticismo e paura dell’aldilà.Predrag Matvejevic’, Breviario Mediterraneo, Garzanti, Milano 2006

2. La città di provincia. Il paesaggio urbano contemporaneo non è un paesaggio metropolitano, ha misure differenti. In Calabria e Sicilia le grandi metropoli del mediterraneo5 che racconta e descrive Jean-Francois Troin non esistono: tutte le città sono di medie e piccole dimensioni, sono città di provincia e, in quanto tali, identificate da un diverso quadro sociale e culturale e non solo dalla loro differenza di conformazione e morfologia.Sono comunque città mediterranee, non necessariamente per la loro posizione sul mare o in prossimità della costa, ma perchè condividono con questo ambito geografico i modi di vivere degli abitanti, il tipo di organizzazione urbana, le caratteristiche climatiche.Sono piccole città dove, come in genere succede nel Mediterraneo, affiorano segni di una storia millenaria.Sono frutto di stratificazione di tracce, culture, architetture che i popoli che sul territorio si sono succeduti hanno lasciato a sedimentare e a fondersi con quelle locali; Fenici, Cartaginesi, Greci, Romani, Bizantini, Goti, Arabi e ancora Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Spagnoli; edifici classici greci e romani, castelli, architettura araba, rinascimentale, città barocche.Sono le città decantate da Goethe, oggi in molti casi patrimoni UNESCO dell’Umanità.

Esiste da sempre, nelle città calabresi e siciliane, un rapporto particolare tra il paesaggio urbano e quello naturale.Il paesaggio naturale è sempre visibile e fortemente connotante quello

urbano: il mare innanzitutto, per Siracusa, Palermo; lo Stretto per Messina e Reggio Calabria, ma anche l’Etna per Catania o i paesaggi agrari per molte altre città.Al fascino del paesaggio urbano fa da contrappunto il paesaggio naturale, che per forza di cose ne è parte integrante. Inoltre, più che altrove, il limite tra i due è fittizio. Non è facile, soprattutto nei centri minori, capire dove cominci l’uno e finisca l’altro, perché il tradizionale rapporto tra la città e la natura è più che mai incerto, i modi d’uso della città e le leggi della sua espansione, spesso illegittime, la rendono perennemente in evoluzione e rendono assolutamente indefiniti i suoi limiti.Continuano a crescere quartieri residenziali come sommatorie di elementi autoreferenziali che inevitabilmente lasciano vuoti di natura (o di paesaggio) che diventano oasi di verde spontaneo oppure orti, giardini privati non autorizzati, trasformando il bordo, in alcuni casi non più tanto sottile, in una zona ibrida, stratificata: né città, né ambito naturale.

3. Le città di mare. Il paesaggio naturale è visibile, ma spesso non disponibile.Le coste sono state sottoposte nel corso degli anni alla violenza ‘necessaria’ di opere infrastrutturali come ponti, ferrovie, acquedotti prima, e meta privilegiata delle pratiche abusive, della cosiddetta ‘architettura creativa’ poi. Condizione, questa, che ha reso il rapporto con il mare difficile, se non totalmente negato; sono molti gli ambiti urbani, città o paesi che non hanno un rapporto diretto con il loro mare, per i quali questo funziona solo come straordinario telo di fondo.Le infrastrutture hanno segnato e ferito la linea di costa in maniera irreversibile; nell’attraversare fiumi e torrenti hanno ridotto considerevolmente quell’apporto naturale di detriti che permette ad una spiaggia di mantenere un equilibrio di ripascimento; hanno provocato, in maniera indifferenziata,

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un arretramento della linea di costa esponendo le spiagge al forte rischio di erosione quasi nella loro totalità.

Ponti, ferrovie, acquedotti, viadotti sono quasi sempre paralleli alla linea di costa. Nelle migliori delle ipotesi dividono i nuclei urbani in due - da una parte la ‘marina’ dall’altra il centro -, in molti casi, però, lo spazio che i piloni in cemento armato hanno lasciato è ancora più esiguo. Il risultato è una barriera, vero e proprio limite che occulta la vista del mare e che ne permette la fruizione solo attraverso piccoli e scomodi sottopassaggi. Al di là, lo spazio rimasto, come terra di nessuno (o meglio del Demanio Marittimo), si converte in preda di sciacallaggio edilizio, diventando con il tempo una infinita successione di paesaggi autocostruiti sul mare: vere e proprie ‘bidonville’, costruite con i materiali più improbabili e le tecniche più rapide, case il cui giardino è la stessa battigia; case, binari della ferrovia, case abusive, giardino/battigia: un ritmo continuo e serrato lungo i molti chilometri di costa.

Quel che vedi transitando in velocità sull’autostrada è una fila di case cariate, fatte a somiglianza di una dentatura andata a male. Il dentista ha provato a estrarre qualche dente guasto e, attraverso il varco, a tratti riesci persino a scorgere il mare. Il mare di per sé sarebbe una visione allegra. Ma l’impressione che fanno i varchi è, se possibile, ancora peggiore della pessima edilizia che costituisce la norma del litorale. Perciò i varchi attraverso i quali si può vedere il mare sono dolorosi, perché rappresentano una battaglia perduta.Roberto Alajmo, Palermo è una cipolla, Laterza, Roma 2006

Lo sciacallaggio dell’’architettura creativa’ delle case estive - addirittura seconde case per molte famiglie - a volte è avvenuto senza l’alibi dell’intervento infrastrutturale; semplicemente come “manifestazione della fragilità economica di comunità che trovano nell’edilizia uno dei pochi settori di investimento economico”6.

Si possono distinguere le città turistiche dalle città dei pescatori, anche se, molto spesso, le due tipologie coincidono.Le località turistiche sono numerose; qui, il turismo rimane la risorsa economica più importante. Sono inoltre città che vivono una doppia esistenza: straordinariamente vuote nei mesi invernali, si trasformano in estate in piccole metropoli congestionate da traffico, caos e mille attività occasionali legate ad un uso temporaneo dei loro spazi; impreparate a sopportare il peso del sovraffollamento: mancano strutture ricettive, sistemi di accoglienza, punti di ritrovo e di svago.Si moltiplicano in estate i gazebo di legno, i chioschi con il marchio bene in vista dell’azienda dei gelati, le pagode in plastica, che si convertono nel vocabolario architettonico di componenti effimeri e stagionali.Quelle dei pescatori, altrettanto numerose, sono cittadine in cui il rapporto con il mare è ovviamente strettissimo, dove barche e strumenti per la pesca entrano a far parte stabilmente dell’arredo urbano, tanto in inverno ordinate e raccolte sul lungomare, quanto in estate disposte ad affollare la battigia: gli stenditoi per le reti, le loro pertiche di legno o canne improvvisate infilzate nella sabbia ad ‘attendere’; le reti già pulite ammassate sul lungomare, le barche - in assenza del porto - parcheggiate di fronte alla casa del pescatore come automobili e, su tutto, l’odore della canapa e della stoppa umide.

4. La periferia. La città siciliana e la città calabrese hanno sicuramente una non-qualità diffusa, l’architettura di valore non c’è o è cosa piuttosto rara.Ai centri storici miracolosamente intatti (la Sicilia barocca, i quartieri antichi di Catania, Siracusa, Ragusa già patrimoni UNESCO) si contrappone una più recente pratica edilizia scellerata, che riguarda soprattutto i quartieri più periferici.

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Le costruzioni abusive e interi ambiti edilizi illegali in espansione minacciano oggi la Valle dei Templi di Selinunte su cui sono ormai incombenti.Non lontano dal centro urbano, la legge che più si evidenzia, è quella dell’autocostruzione, dei quartieri totalmente abusivi, delle case senza intonaco, delle palazzine in attesa di completamento.Più le città sono piccole e più la distinzione tra centro e periferia, tra finito e non finito diventa difficile, si confonde, sfuma e risulta quasi impossibile ritrovare dei requisiti di qualità urbana accettabili.“Le periferie sono i luoghi dell’insediamento illegale o cosiddetto spontaneo nei quali l’armatura urbana è spesso assente oppure estremamente povera e semplificata”7, in cui le opere di urbanizzazione primaria e secondaria sono di frequente interventi a posteriori.

L’abusivismo calabrese e siciliano evidenzia un singolare rapporto delle persone con lo spazio pubblico; la tendenza al non finito degli edifici residenziali stupisce ancora più della costruzione illegittima.L’esterno degli edifici è un ambito che sembra non riguardare gli inquilini; riguarda qualcun altro, è di proprietà dello Stato, ed è allo Stato che, nelle logiche di questo fenomeno, viene demandato di occuparsene. Gli interni delle abitazioni, lo spazio dunque privato, viene arredato con molta cura e addirittura sfarzo, mentre l’esterno, che ricade nella sfera pubblica, viene semplicemente tralasciato e attende, nelle migliori delle ipotesi, la legittimità di una nuova sanatoria.

I muri non sono intonacati perché poi ci sarà tempo di intonacarli. I tondini di ferro spuntano dal tetto perché non è detto che un domani non si riesca a realizzare un altro piano per la figlia che si sposa. Le case si lasciano incompiute nelle parti esterne per diversi motivi; alcuni pratici e altri, per così dire, etici. […]E poi c’è il fatto che l’interno è una cosa e l’esterno un’altra. Nell’Isola quel che avviene un passo oltre la soglia di casa è considerato superfluo, se non addirittura volgare. Per rendersene conto basta visitare un condominio. Un condominio

qualsiasi, dove abita anche gente ricca. Se ti capita facci caso: dopo le sei del pomeriggio ogni appartamento avrà un sacchetto di spazzatura poggiato per terra appena fuori dall’uscio.Nelle ore precedenti il sacchetto si è andato riempiendo, fino a quando la brava madre di famiglia si è incaricata di farne una confezione da relegare fuori dalle mura di casa. Appena possibile la spazzatura va messa a carico della comunità, fosse anche solo quella comunità solidale che è il pianerottolo di un condominio. L’immondizia appartiene alla sfera pubblica. La casa deve rimanere inviolata dalle sporcizie del mondo. Roberto Alajmo, Palermo è una cipolla, Laterza, Roma 2006

La casa al sud d’Italia, ma più in generale nel Mediterraneo, ha sempre significato il luogo dell’intimità, della sicurezza, dell’indipendenza; il luogo confortevole dove ripararsi dall’esterno e poter coltivare il ’proprio orto’ lontano da occhi indiscreti; è una casa introversa che riflette, forse, il carattere discreto e riservato di persone che non amano mostrare quello che hanno e che, di riflesso, hanno costruito un territorio che gli somiglia.

Qualche anno fa camminando per le strade di Tropea in Calabria mi domandavo perché mai tutti i palazzotti antichi della piccola città tirrenica avessero conservato sulle facciate i buchi delle impalcature usate per la costruzione. Siccome questi buchi nel frattempo erano diventati altrettanti nidi di uccelli, mi dissi che probabilmente erano stati lasciati proprio per questo, e mi immaginavo squadre di antichi carpentieri e muratori di animo gentile, impegnati nella protezione dei volatili futuri. La verità è molto meno poetica: i buchi sulle facciate volevano significare che i palazzi e palazzotti non erano ‘finiti’ e questo espediente permetteva ai proprietari, soprattutto durante la dominazione spagnola, di evadere le onerose tasse sui fabbricati.Luigi Malerba, Città e dintorni, Mondadori Editore, Milano 2001

La periferia è la città costruita dagli abitanti, un pezzo alla volta, con l’aiuto dei geometri, con la complicità dei funzionari dell’Amministrazione Pubblica, rispecchiando in essa la struttura familiare innanzitutto. Agglomerati urbani

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crescono secondo precise regole clandestine, date dall’intreccio di abitudini e interessi individuali. “La città contemporanea dell’individualismo collettivo in declinazione abusiva”8. Il risultato è un’incredibile stratificazione di elementi, volumi, materiali che colorano il paesaggio urbano della periferia, che, proprio per la sua eterogeneità, finisce per essere connotante; il colore del mattone senza intonaco, della lamiera, del ferro delle armature, finisce per omologare, identificare la periferia, diventa visibile nella quantità, nell’accostamento, nella ripetizione.

Esiste inoltre un’architettura ‘sociale’, in cui la gente si riconosce ed in cui riconosce qualità e appartenenza. È quella delle case colorate giallo ocra, dei pregiati rivestimenti lapidei, del bianco di calce in alcune zone specifiche. Esistono tecniche costruttive, materiali, colori ricorrenti che rendono riconoscibili le città, come le sciagurate pratiche dell’abusivismo edilizio.

Come in un testo letterario di Andrea Camilleri, una semplice espressione lessicale, ripetuta nel tempo e nello spazio, ha la forza di far riconoscere un luogo da un altro, così nel campo dell’architettura, in una certa misura, la stessa espressione formale suggerisce l’appartenenza di un manufatto architettonico ad uno specifico territorio, ad un particolare paesaggio. E così, il volume prismatico conficcato nel suolo, ritagliato da spigoli vivi e con superfici dove prevale il pieno sui vuoti, è una forma diffusa in tutto il territorio siciliano: ma, se le superfici esterne sono in malta silicea, ocra, dalla linea di terra al coronamento, quel volume costruito è proprio del Palermitano; se le pareti sono ricoperte con malta e sabbia vulcanica, azolo nero, la costruzione la ritroviamo nel Catanese; se il prisma è in pietra lavorata con ricorsi orizzontali, è tipico del Ragusano; se il prisma è ricoperto di latte di calce siamo nel Trapanese; ed infine, se la pietra è rasata da malta, il volume si ritrova nel Nisseno e nell’Ennese.Leandro Janni, Paesaggio e architettura in Sicilia, www.antithesi.info

5. Le porte delle città. Le città calabresi e siciliane mostrano il peggio di sé proprio all’entrata.Raramente si arriva in una città e si è accolti da uno scenario paesaggistico organizzato e progettato come ‘benvenuto’.

Stazioni, strade ed autostrade per consuetudine strategica non conducono mai al centro urbano. La buona norma urbanistica dirotta gli accessi inevitabilmente verso la periferia: fenomeno che spiega in parte lo sconcertante biglietto da visita che le città offrono. La sequenza ininterrotta di cartelloni pubblicitari, insegne luminose, centri direzionali ed edifici rappresentativi di aziende e società comune a tutte le periferie urbane, lascia il posto ad una sovrapposizione altra e diversa.La velocità di percorrenza della strada di accesso principale fornisce una serie di frame che danno l’idea della stratificazione infinita di paesaggi che caratterizza le città e soprattutto le periferie: case, case non finite, orti, campagne, case, campagne, orti… un’alternanza di immagini veloce che, nel percorso, lascia intravedere brandelli di paesaggio ancora intatto e potente insieme ad un’architettura di cemento armato, mattoni, blocchi e lamiere; il carattere ibrido del bordo né città, né ambito naturale.

Caso particolare è l’ingresso dal mare. È suggestivo, lascia intravedere l’eterogeneità dei paesaggi costieri, i molti paesaggi che si alternano: golfi, insenature, penisole, baie, rocce, scogliere bianche, grigie o nere, boschi, pinete.

Sono davvero diversi i tipi di suolo sulla riva del mare da un territorio all’altro. E diverso è il modo in cui si percepiscono quando ci si avvicina dal mare, da una distanza più o meno grande, rispetto a quando ci troviamo sulla terraferma, lungo la costa: la terra rossastra fra le pietre, quella grigiastra o cinerina, che sembra appunto come se fosse di pietra (in certi punti è più o meno sabbiosa, e perciò su alcune isole dell’Adriatico la chiamano sabrum, salbun, o più semplicemente terra bianca);[…]

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La vegetazione veste o denuda, cela o smaschera le loro qualità e sembianze, muta le scenografie da una circostanza all’altra. Pedrag Matvejevic, Breviario Mediterraneo, Garzanti, Milano 2006

Purtroppo l’avvicinamento alla riva lascia intravedere anche l’incondizionata aggressione con la quale si è saccheggiato il territorio costiero.Caso emblematico l’ingresso nelle città dall’alto.Arrivare all’Aeroporto dello Stretto di Reggio Calabria o a quello di Punta Raisi di Palermo significa passare dalla visione a grande scala di un paesaggio potente, ricco, dalla bellezza abbagliante - quello a cui ci ha ormai abituato l’occhio del fotografo Yann Arthus Bertrand - a quella più minuta che si percepisce nel percorso di avvicinamento al suolo, che evidenzia complicazioni, contraddizioni, degrado del territorio urbanizzato. Dalla mitica visione dello Stretto al fatiscente quartiere abusivo ormai sanato adiacente l’aeroporto di Reggio Calabria; dall’azzurro turchese della costa settentrionale della Sicilia all’aeroporto ‘incastrato’ tra le rocce a Palermo. Nel passaggio di scala si esplicita tutta l’ambiguità di questa realtà.

6. Lo spazio pubblico e semipubblico. Allo strano rapporto tra le persone e la sfera pubblica della città evidenziato dal fenomeno dell’abusivismo si contrappone il ruolo strategico ed essenziale che assumono la piazza e la strada. Spazi pubblici per eccellenza nella città meridionale, punti di ritrovo, di scambio, e spazi di attestazione di una identità collettiva, trovano spesso il loro successo dalla presenza di particolari attrattive commerciali: caffè, negozi, ristoranti, servizi, che favoriscono l’incontro e la socializzazione, luoghi dove giocare a carte o riposare al fresco di un ombrello, diventando quasi sempre rappresentativi di una comunità.

Lo spazio pubblico è in genere molto frastagliato e interstiziale, le piazze raramente hanno dimensioni generose, mentre la via principale - presente in tutte le città - è il ‘corso’ quando accoglie i migliori negozi della città; è il ‘passio’ quando caratterizza la passeggiata urbana più frequentata. La qualità di questi spazi è sempre carente, marciapiedi stretti, pavimentazioni banali, illuminazioni insufficienti, sedute e sistemi di pergole e coperture completamente assenti. Eppure il successo di questo spazio pubblico dipende da fattori altri, non sempre coincidenti con gli standard di qualità universalmente riconosciuti.

Il vicolo lastricato di pietre volgari, mai uguali, rade e conficcate nella terra battuta una lontana dall’altra, senza alcuna geometria, mai perfettamente appiattite, con qualcuna che resta sollevata e con il rischio di restare inzuppati dagli schizzi d’acqua depositati sotto la pietra schiacciata dal piede incauto. Tanti vecchi aggrappati ad una sedia sgangherata, che si trascinano dietro come il bene più prezioso per fare gruppo con la comunità anziana, all’aperto, negli angoli ombrosi di giorno, nei punti freschi d’estate, nel rifugio della casa più vicina all’arrivo della pioggia invernale.Nino Criaco, Quando i fiori non profumano, La Mongolfiera Editrice Alternativa, Castrovillari (CS) 2002

È l’uso dello spazio pubblico nella città meridionale ad essere interessante; oltre a luogo di incontro, socializzazione e di gioco, la piazza è il luogo del mercato, dei concerti, delle mille manifestazioni religiose che mobilitano il ‘pubblico’ nella sua totalità; spazio polivalente e flessibile, luogo per tutti e di tutti, che in particolari occasioni si trasforma nel centro nevralgico della vita sociale di una città e di una comunità.

Un ruolo importante nella sfera pubblica dell’organismo urbano è riservato alle corti, ai vicoli e agli spazi residuali tra gli edifici dei centri storici ma anche delle periferie; non ancora privati e quindi semipubblici per vocazione, in cui il limite tra il pubblico e il privato è sottile, indefinito e indefinibile; dove

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la soglia di ingresso delle abitazioni assume un ruolo differente, perché differente è il rapporto della persone con l’esterno.Il senso di non-appartenenza lascia il posto ad un senso d’identità molto forte, ad un’idea di qualità domestica e quotidiana, in cui si concretizza una ‘spessa’ stratificazione di attività e di modalità di uso e, naturalmente, di appropriazioni indebite. Le attività ludiche, gli orti, gli stenditoi per la biancheria, le antenne paraboliche delle tv, i parcheggi coperti in lamiera: tutto diventa stabilmente parte integrante dello spazio, ritagliato, recintato gelosamente, come continuazione, all’esterno, della residenza. Spazio che è pubblico ma allo stesso tempo privato.

Porte, e finestre così basse da entrarci alzando appena la gamba, affacciate a pelo della strada, sempre aperte che ci si vede dentro. […]Passare da questo vicolo è come essere invitati a casa d’amici, accomodarsi nel salotto festoso che è la strada, bere, sorseggiare il caffè, assaporare a ogni finestra il gusto delle pietanze sul fuoco e, alla fine della discesa, conoscere i problemi di tutti.[…]Vico Cimino non è brutto, è colorato, è vivo, è pieno di tutte le fantasie di quegli uomini che hanno costruito, con cuore e con la speranza, le proprie case. È un avventura di mille esperienze.Nino Criaco, Quando i fiori non profumano, La Mongolfiera Editrice Alternativa, Castrovillari (CS) 2002

1,2 Fernad Braudel, Il Mediterraneo, Bompiani, Milano 20053 Franco Zagari, Questo é paesaggio. 48 definizioni, Gruppo Mancosu Editore, Roma 20064 Eugenio Turri, Il paesaggio e il silenzio, Marsilio Editori, Venezia 20045 Jean-Francois Troin, Le Metropoli del Mediterraneo, Città di frontiera, città di cerniera, EDISUD, Aix-en-Provence, 19976 Vincenzo Gioffrè, “Marina di Gioiosa Jonica: la riscoperta del paesaggio”, in Celestini Gianni, Gioffrè Vincenzo (a cura di), Architettura del paesaggio a Marina di Gioiosa Jonica, Biblioteca del Cenide, Cannitello (RC) 2005 7 Giampiero Donin, San Sperato a Reggio Calabria Laboratorio per il ‘Quarto Paesaggio’ in Luoghi/non luoghi/superluoghi, Reggio Calabria 2007. 8 Fabrizia Ippolito, Realismi Visionari, www.architettura.supereva.com

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Observatori del Paisatge de la Catalunya, Olot.

Observatori del Paisatge de la Catalunya, Olot.

A COLLOQUIO CON L’OBSERVATORI DEL PAISATGE DE LA CATALUNYA

Spazi pubblici, semipubblici e privati al Sud mettono in risalto il rapporto differente che la popolazione ha instaurato con il proprio paesaggio; un rapporto incerto, distante, freddo in tanti casi, molto stretto in altri.Leggere o cercare di interpretare il paesaggio calabrese e siciliano, capirne le emergenze e le apparenti necessità, passa anche attraverso la comprensione di questo rapporto, attraverso la comprensione dell’idea di paesaggio presso la popolazione che lo vive.

La Convenzione Europea del Paesaggio1 stimola la ricerca in questo senso, suggerendo una nuova sensibilità di lettura, un’attenzione particolare ai nuovi paesaggi da proteggere, “quelli della vita quotidiana, così come percepiti dalla popolazioni”2.Questo studio si è avvalso di una esperienza di tre mesi trascorsi presso l’Observatori del Paisatge de la Catalunya, organismo di indagine e gestione del territorio che, per primo in Europa, ha recepito queste indicazioni e ha accettato la sfida di arrivare alle popolazioni.

L’Osservatorio è un’istituzione pubblica d’avanguardia, un sofisticato istituto di ricerca, un eccezionale mezzo di comunicazione per la sensibilizzazione della società al paesaggio. Ma, innanzitutto, l’Osservatorio è un modo di guardare al paesaggio, complessivo, complementare, in cui indicatori sempre nuovi vengono messi a punto e sovrapposti, per fornire una lettura molto complessa e diversificata.

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Il paesaggio naturale e il paesaggio urbano di questa regione spagnola, degli Alti Pirenei, dei Territori Centrali, della Plana di Lleida, di Terragona, la Regione Metropolitana di Barcellona, il Territorio di Girona, le Terre del Fiume Ebro, sono scandagliati nella scansione e identiificazione delle distinte unità di paesaggio che li compongono. Entità da salvaguardare, proteggere, riconoscere, eppure intangibili.I cataloghi, strumenti approntati per raccogliere e divulgare i risultati ottenuti, sono degli eccezionali strumenti attraverso i quali guardare, interpretare, leggere il paesaggio, da diverse angolazioni, con prospettive e sfaccettature sempre nuove; hanno l’obiettivo di ampliare la conoscenza che la società catalana ha del proprio territorio e contemporaneamente funzionare da supporto fondamentale per l’applicazione della Convenzione Europea.La metodologia applicata si basa sulla concretezza che uno strumento utile alla pianificazione territoriale deve avere, sull’elasticità che la continua evoluzione del paesaggio richiede, ma soprattutto sull’innovazione delle variabili e dei parametri adatti alla ricerca di paesaggi intangibili, immateriali, in cui valori storici, culturali, artistici, letterari confluiscono; una metodologia in cui lo sguardo (visuale ma anche metaforico) ha un ruolo determinate.

Il periodo di studio che, per questo lavoro, si è svolto all’Osservatorio, ha rappresentato l’occasione per venire a contatto con questa speciale sensibilità nel guardare - diversa sicuramente da quella di un architetto o di un paesaggista, se non altro per la sua obiettività - concreta ed innovativa, che riflette un po’ l’idea che sottende questa ricerca, cioè quella di raccontare il paesaggio (e il progetto) sovrapponendo più interpretazioni, più sguardi, guardando a più ‘sistemi’ simultaneamente e da diversi punti di vista. Il Direttore dell’Osservatorio, Joan Nogué e il responsabile dei Cataloghi, Pere Sala, in una conversazione informale, di cui viene riportato qui un breve estratto, hanno espresso delle considerazioni sul tema specifico

trattato dalla ricerca e in generale sul valore della percezione nello studio del paesaggio.

24 settembre 2008, Observatori del Paisatge de Catalunya, Hospici, 8 - Olot.

Joan Nogué: Credo che sia un tema molto interessante. È interessante conoscere il proprio territorio ed è interessante conoscerlo attraverso molti canali.La tua formazione è quella di un architetto, ma è interessante l’apertura che la ricerca ha nei confronti di altri temi, è una ricerca parallela sul progetto e sul paesaggio.

Fabio Manfredi: ho pensato fosse molto importante per un’area geografica depressa come quella di Calabria e Sicilia, studiare il progetto, verificarne lo stato dell’arte, ma anche verificare, attraverso varie esperienze, quale sia nell’attualità il paesaggio non ancora progettato; perché è soprattutto questo il Sud dell’Italia. Oltretutto lo stato dell’arte denuncia come non sempre il progetto abbia vinto; spesso, infatti, esso non ha avuto il riscontro sperato, le persone non vi hanno riconosciuto appartenenza. A tal proposito il catalogo è di sicuro uno strumento innovativo; l’innovazione principale credo stia nella definizione di paesaggi per i quali una definizione ancora non esiste. Ma questi paesaggi coincidono realmente con quelli che la popolazione percepisce?

Pere Sala: A Barcellona, nell’ambito delle Regione Metropolitana, abbiamo realizzato un’inchiesta per confrontare quella che è la conoscenza di un esperto del paesaggio con la percezione della popolazione, chiedendo quali siano gli spazi che si preferiscono, il valore che si attribuisce al paesaggio,

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la percezione della sua trasformazione.Io credo che questo ci aiuti a capire, se sia un primo indizio per riuscire a confrontare queste due percezioni, quella sociale e quella esperta.Ma ancora non so…

FM: Nel catalogo il valore della sovrapposizione di più percezioni è fondamentale. Più interpretazioni dello stesso paesaggio vengono messe in relazione.

PS: In questa parte del nostro studio all’osservatorio, in questo catalogo specifico, si è cercato di captare il valore che la popolazione dà al paesaggio.È solo un inizio, un primo passo, per oggettivare e riportare sulle mappe queste differenti visioni di paesaggio, ma non può considerarsi un metodo universale, se non un primo passo soltanto. Nel catalogo della Regione Metropolitana di Barcellona abbiamo intervistato 1050 persone della zona, dell’Hospitalet, facendo loro la stessa domanda: ”come hanno percepito il cambiamento del paesaggio negli ultimi dieci anni”.La stessa domanda abbiamo rivolto, attraverso il sito web dell’osservatorio, a persone esperte, che conoscono il territorio e il paesaggio della Catalunya, che hanno maggiore sensibilità, maggiore conoscenza.Non conosciamo ancora i risultati di questa indagine, ma io credo che registreremo una preziosa differenza sulla percezione della trasformazione, sugli elementi che determinano la percezione della trasformazione, in una direzione e nell’altra.

JN: Ci aiuta a capire la percezione di paesaggio dell’esperto e quella della popolazione. Tentiamo così di comprendere queste differenze.L’unico modo per intendere realmente la percezione popolare, la percezione della gente, è uno strumento di questo tipo: inchieste, analisi della letteratura popolare, delle poesia popolare, della fotografia popolare, del cinema,

insieme al punto di vista dell’esperto sul campo.La combinazione di tutto questo non dà risultati certi , ma credo che ci dia una approssimazione attendibile .

PS: La società cambia velocemente e cambiano velocemente anche i valori di cui la società si alimenta; alcuni valori risiedono nella storia e nella tradizione ma altri cambiano più velocemente con la globalizzazione.

JN: A tal proposito un’altra sfida che abbiamo accettato è quella di capire la percezione della immigrazione. Hai visto Fabio? Anche a Olot, una piccola città dell’interno della Catalogna, quasi il 20 % della popolazione è di provenienza extracomunitaria e a questo siamo arrivati in meno di 10 anni.E queste persone come percepiscono il paesaggio?È una sfida molto difficile.

FM: Tra tutti gli sguardi, dunque, quello della gente comune avrà sempre più peso nella vostra ricerca?

JN: Si, sicuro.

FM: La distanza tra la visione popolare e quella colta è sempre molto importante, non solo in Calabria in Sicilia. Dovrebbe esserci un riavvicinamento forse.

JN: Esiste anche la questione del tema dell’educazione dello sguardo che bisogna considerare.Perché è possibile, e magari conveniente, che l’esperto del paesaggio svolga anche la sua funzione pedagogica. Non sto pensando all’illuminismo, ad una monarchia illuminata, non mi riferisco a questo, ma alla funzione formativa dell’esperto, al suo compito di contribuire a migliorare la qualità dello sguardo della popolazione.

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Io credo che si possa fare senza entrare in facili paternalismi. FM: La Convenzione d’altra parte lo prevede.

JN: Si, esattamente. La CEP dà molta importanza alla educazione; non solo si sofferma sulla partecipazione pubblica, ma parla appunto di educazione, formazione.Io non credo che la percezione del popolo sia la definitiva, quella vera. Il popolo può avere una visione deformata dall’educazione, dai mass media, anche estetica… La percezione popolare è influenzata da valori non esattamente edificanti come potrebbe essere la nostra rete televisiva Telecinco3.È difficile.

Il paesaggio dunque è quello percepito dalla popolazione e anche quello colto, il paesaggio del contadino, del geografo, dell’architetto.Come si chiede Nogué4, “qual è la differenza tra lo sguardo del contadino, che vive delle risorse e quindi produce paesaggio, e quello di chi lo percepisce solamente, di chi lo visita come turista, di chi lo preserva da ecologista? Come è stato osservato il paesaggio attraverso la pittura, la letteratura, la fotografia?”

La sovrapposizione sperimentata dall’Osservatorio, nell’intento di far dialogare sulla stessa tematica un artista con un pianificatore o un letterato, permette di ottenere più gradi di lettura e di approfondimento, svelare probabilmente la soluzione nelle relazioni tra le cose e perfino nelle loro stesse contraddizioni. È chiaro che è una metodologia complessa, in cui partecipano interviste, forum, indagini e studi fotografici che si effettuano simultaneamente a più livelli e che uno studio come quello oggetto di questa ricerca non può pretendere un tale approfondimento.

L’obiettivo in questo senso è stato quello di leggere il progetto dello spazio pubblico anche attraverso la lettura del paesaggio che è in attesa di diventarlo, individuando, da architetto, le emergenze, rileggendo l’uso dei luoghi, la loro trasformazione e anche, se possibile, avvicinarsi a questo contesto attraverso immagini che, come Telecinco, finiscono per influenzare l’idea della gente comune, probabilmente più di un buon progetto di architettura.Il cinema e la letteratura, interpretazioni ‘colte’ di questi luoghi, come altri paesaggi d’autore, sovrapposti, in analogia con le ‘mappe’ del Catalogo, permettono di ‘fotografare’ Calabria e Sicilia, attraverso una visione più ampia.

1 La Convenzione Europea del Paesaggio è un documento adottato dal Comitato dei Ministri della Cultura e dell’Ambiente del Consiglio d’Europa il 19 luglio 2000, ufficialmente sottoscritto nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze il 20 ottobre 2000. È stata firmata da ventisette Stati della Comunità Europea e ratificata da dieci, tra cui l’Italia nel 2006.2 Convenzione Europea del Paesaggio, “Articolo 1- Definizioni”, “Articolo 2 – Campi di applicazione”.3 Telecinco è un canale televisivo privato, una delle prime TV spagnole per ascolti.4 Joan Nogué, “L’Osservatorio del Paesaggio della Catalogna. Intervista a cura di Maria Rosa Russo” in Franco Zagari. Questo é paesaggio. 48 definizioni, Gruppo Mancosu Editore, Roma 2006

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ALTRI PAESAGGI D’AUTORE

Le piace? Cosa? Il fiume o la sua canzone? Tutti e due. Sono un po’ la stessa cosa. Wim Wenders, Lisbon Story, 1994

In questo capitolo lo studio fornisce altri sguardi d’autore, altre interpretazioni; suggerisce modi diversi di vedere il paesaggio calabrese e siciliano rispetto a quelli ‘ordinari’ dell’architettura e del paesaggismo; semplicemente come punti di vista alternativi. Emanuele Crialese, Giuseppe Tornatore, Roberta Torre, Daniele Ciprì e Franco Maresco, Carlo Carlei, Mimmo Calopresti, Wim Wenders, sono osservatori ‘speciali’, al tempo stesso fruitori ed interpreti dello stesso paesaggio. Come nota Eugenio Turri, i cineasti riproducono una realtà che è fruizione per un gran numero di persone, forniscono intuizioni e suggestioni che finiscono per condizionare la visione altrui; “il cinema ha accresciuto in maniera incalcolabile nell’uomo la coscienza di sé e del suo senso di vivere”1.Quest’ultima parte, nel desiderio di ampliare lo sguardo su questa realtà geografica, raccoglie spunti e immagini - tra le molte a disposizione - tratte dal vasto repertorio della cinematografia.La grande capacità del cinema di raccontare il paesaggio e i modi di abitarlo ci restituisce una diversa sensibilità per la documentazione e l’analisi; per uno studio di questo tipo rappresenta una angolazione critica privilegiata e allo stesso tempo uno straordinario mezzo di indagine, uno strumento utile a comprendere ‘altri’ paesaggi.

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“La lettura dei segmenti filmici, intesa come lettura dei luoghi, si rivela un viaggio in senso ottocentesco, che sia illusorio o reale, spesso molto più proficuo che il recarsi fisicamente in quei luoghi, per coglierne magari solo l’aspetto omologato”.(Antonio Labalestra, Architettura e cinema: percorsi tematici, Rassegna cinematografica presso il Politecnico di Bari).

“Come la fotografia mostra qualcosa di mai visto prima, così anche il cinema spinge lo sguardo ai confini del visibile, rivelando ciò che nello svolgimento reale passerebbe inosservato: il cinema come un dispositivo che ripercorre e potenzia le nostre capacità di percezione del mondo” (Francesco Casetti, “Il cinema come arte, il cinema come medium” in Quaresima L. (a cura di), Il cinema e le altre arti, Marsilio, Venezia 1996).

“I film sono luoghi, case, paesaggi, camere da letto. Sono strade e piazze, cieli e deserti, catapecchie e grattacieli. Sono, non mostrano.”(Gianni Canova, “I luoghi del cinema”, Segnocinema n. 78, marzo-aprile 1996, Ed. Cineforum, Vicenza).

Come scrive Bernardo Secchi, storico e critico cinematografico, se in generale nel cinema “le scene di paesaggio sono momenti di riflessione, nel cinema italiano, o almeno in parte di esso, quello che si appropria dell’eredità neorealista, accade qualcosa di più. Il paesaggio spesso diventa un vero e proprio personaggio, un interlocutore, molte volte uno spietato antagonista nei confronti dei personaggi”2. Non è semplice sfondo, emerge come protagonista. Il Neorealismo Cinematografico, cinema/reportage/documentario, ha raccontato ‘dal vero’ la vita quotidiana di questi paesaggi, contribuendo ad immortalarli nell’immaginario collettivo: Il gattopardo e La terra trema di Luchino Visconti, Paisà di Roberto Rossellini, In nome della legge di Pietro Germi, opere che risentono dell’influenza di Pirandello, di Verga, di Federico De Roberto, Vitaliano Brancati, Ercole Patti, Leonardo Sciascia, Corrado

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Alvaro; luoghi e volti osservati ‘oggettivamente’, pagine di sceneggiatura costruite con le immagini e con i suoni.

La più recente cinematografia italiana, ritorna a ritrarre con straordinario realismo e pungente cinismo la Sicilia e la Calabria di oggi che, almeno nei centri urbani, differiscono dall’immagine di terra ancestrale ed arcaica che letteratura e cinema nel recente passato hanno contribuito a diffondere.

Lampedusa è, per Emanuele Crialese in Respiro (2002), il luogo dove si svolge l’amore segreto e conflittuale tra Pasquale e sua madre Grazia; l’isola è la vera protagonista del film, un personaggio che racchiude tutti gli altri, “una sorta di ancora radicata in ognuno degli isolani”3. Grazia è una donna complicata, strana ed estranea alle regole sociali, è l’isola nell’isola, come Lampedusa; la sua stravaganza, che altrove sarebbe stata etichettata come originalità, qui, ‘lontano dal mondo’, mette in imbarazzo la comunità ed è una malattia da curare. Pasquale è il piccolo cacciatore di uccelli, capo di una banda di ‘picciotti’ che si contende con le bande avversarie quel territorio di caccia polveroso e spoglio.L’isola è selvaggia, arida, terra aperta, terra di conquista, scenario naturalistico di bellezza epica e mitologica, luogo magico e misterioso nella natura e nei suoi abitanti, attuale nelle sue contraddizioni.Il paesaggio è segnato da scheletri di edifici lasciati incompiuti, ‘ecomostri’ come Land mark nel territorio, parte integrante, dagli anni settanta oramai, dello scenario naturalistico e soprattutto dell’immaginario collettivo dei lampedusani; è l’immenso parco per i giochi dei picciotti di tutto il film.Respiro è anche “un poema sul mare e sull’influsso che ha sulle persone che da sempre ci coabitano” 4: il mare è ‘utero materno’ dove inizia e finisce la vita di Grazia, la sua ‘tomba infinita’ dove il marito Pietro porta una scultura della Madonna nella speranza di ottenere il miracolo di riaverla.“La descrizione dell’ambiente in cui si muovono i personaggi e il rapporto che questi hanno con l’isola diventa parte integrante del racconto e i

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dialoghi, spesso parlati in siciliano stretto, contribuiscono ad entrare in questa dimensione” 4.

La Sicilia degli inizi del novecento è l’ambientazione ‘surreale’ di Nuovo Mondo (2006), altra interpretazione di Emanuele Crialese.Ripide salite di montagna segnate da rocce taglienti vengono percorse dai fedeli, con una pietra in bocca, alla ricerca dell’aiuto divino per la scelta del futuro prossimo.Il film racconta di un paesaggio incontaminato, bello e ostile, segnato da chilometriche linee di muri a secco, privo di speranze.Un mondo onirico, ingenuo quanto genuino, che riserva ai suoi abitanti strane patologie, riconducibili a quelle misteriose presenze e a quegli spiriti che da sempre accompagnano la vita dei contadini siciliani.È un paesaggio che coniuga realtà e concretezza a mito e illusione.

Salvatore Mancuso, il protagonista, è uno dei tanti emigranti italiani che vende tutto per la speranza di una vita diversa; non è un eroe ma un uomo semplice che guidato da una lucida coscienza affronta un lungo viaggio attraverso il ‘pericoloso’ oceano, per giungere a New York agli albori del XX secolo.

La mamma di Salvatore: Tutte si sono presentate le anime nostre!Non si danno pace, non ci vogliono fare partire!

Salvatore: Non possono partire con noi queste animuzze?

Mamma: Temono il mare, dicono che ci sono le anime decollate che volano.

Salvatore: Devi convincerle! Cornuto io e chi mi fece pure!Dobbiamo restare qui? Dobbiamo morire qui? Bella vita che facciamo!

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…Pensa che ho paura. Pensa che ho paura! …E restiamo qui!

Salvatore vede e sente presenze inquietanti che scoraggiano il suo viaggio, “ma non ha paura perché fanno parte della sua vita di sempre, sono segni che lui sa leggere perfettamente”5; non cerca grandi fortune, rischia per arrivare ad un nuovo mondo dove i fiumi diventano di latte, dove si può coltivare una terra dalle straordinarie capacità, dove i soldi piovono dagli alberi.

Gianni Amelio racconta del viaggio rocambolesco di un carabiniere Ladro di bambini (1992) che inizia a Milano e finisce a Gela, passando per la Calabria. È “un film sull’Italia e sul suo paesaggio che, per il suo realismo non certo compiacente, si presenta come un film sull’Italia devastata, sconnessa, sfruttata, maltrattata dal degrado urbanistico, culturale, politico, ecologico”.(Fantuzzi Nadia e Gazerro Marialuisa, “Cinema e geografia: la crisi del paesaggio italiano” in Il tetto n. 219-211, gennaio-aprile 1999).

La storia è quella di Rosetta e Luciano, due ragazzi rimasti soli dopo che la madre è stata arrestata per aver spinto alla prostituzione la figlia. I due vengono accompagnati verso un collegio del sud da Antonio, giovane carabiniere calabrese, ma una serie di impreviste circostanze portano il terzetto a girovagare per la Calabria e per la Sicilia. Antonio passeggiando tra i ‘ferri in attesa’ sul tetto della propria casa, diventati nel frattempo preziosi stenditoi per la biancheria, mostra ‘in panoramica’ il paesaggio costiero della sua terra.

Antonio: Io quasi quasi mi ci faccio la casa… hai visto che bello?C’è il mare… e la montagna!E la dietro c’è il paese mio.Adesso però non ci sta nessuno, sono partiti tutti… tutti emigrati, oppure hanno costruito qua sulla costa.

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Quando avevo la tua età qua ci venivo tutti i giorni… a fare il bagno, a piedi.

Fotografie emblematiche della Calabria contemporanea, dell’abusivismo, della violenza delle infrastrutture che dividono il mare dalla città, del terzo paesaggio al bordo della strada; ma è soprattutto il ritratto dell’uso di questo territorio, del rapporto contraddittorio tra i calabresi e il proprio paesaggio, fra straordinarie bellezze naturalistiche e inaudito degrado.

La sorella di Antonio: La casa non è finita, qua sopra non ci faccio salire mai nessuno… mi vergogno.[…]I soldi li abbiamo dovuti spendere tutti per il ristorante… e qua vedi… siamo accampati, come gli albanesi! anzi peggio!Questa è la minestra!Però piano piano questa casa diventerà come dico io!E poi costruiamo sopra, così quando ti sposi la casa ce l’avrai anche tu.

Nell’orto ai bordi della strada, giardino sottratto abusivamente e curato in modo maniacale dalla nonna di Antonio, i due (la nonna e Antonio), si incontrano, ma si sente ben poco di quel dialogo; l’intenso traffico della strada crea un paesaggio sonoro totale che nasconde il rumore del mare che è lì a due passi.In Sicilia altre contraddizioni: la bellezza del barocco di Noto e del suo riconoscibile centro storico fa da contrappunto al vuoto del paesaggio anonimo della periferia di Gela alla fine del film.

Carlo Carlei racconta ne La corsa dell’innocente (1992) la fuga di un bambino dalla mafia attraverso le fatiscenti e abbandonate strutture dell’industria siderurgica di Gioia Tauro, quella che negli anni settanta doveva dare nuova vitalità all’economia del sud e che invece si è rivelata da subito una delle tante cattedrali nel deserto.

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Attraverso tubi, condotti, scale, padiglioni e pontili, si intravede il paesaggio naturale della costa, sacrificato invano in nome dello sviluppo economico.

Analoga la città di Cinisi fotografata da Marco Tullio Giordana ne I cento passi (2000).

Peppino Impastato (il protagonista, seduto con un amico a contemplare dall’alto il paesaggio di Punta Raisi): Sai cosa penso? Che questo aeroporto in fondo non è brutto…

Amico: Ma che cosa dici… Peppino: Visto così dall’alto…Uno sale qua sopra e potrebbe anche pensare che la natura vince sempre, che è ancora più forte dell’uomo. Invece non è così, in fondo tutte le cose, anche le peggiori, una volta fatte, si trovano poi una logica, una giustificazione per il solo fatto di esistere. Fanno le case schifose, con le finestre in alluminio, muri di mattoni finti…Mi stai seguendo? Amico: Eh, ti sto seguendo (poco convinto) Peppino: …i balconcini… La gente ci va ad abitare e ci mette le tendine, i gerani, la televisione… Dopo un po’ tutto fa parte del paesaggio, c’è, esiste, nessuno si ricorda più di com’era prima. Non ci vuole niente a distruggere la bellezza… Amico: Non ti ho capito…Ma allora? Peppino: E allora… invece della lotta politica, la coscienza di classe, tutte le manifestazioni e fesserie, bisognerebbe ricordare alla gente che cos’è la bellezza, aiutarla a riconoscerla e difenderla.

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Amico: La bellezza?!?! (scettico) Peppino: Sì, è importante la bellezza, da quella scende giù tutto il resto. Amico: (ride un po’ incredulo) Che ti sei innamorato pure tu come tuo fratello? Che c’è un’epidemia in famiglia?

Cinisi è un tipico paese siciliano affacciato sul mare, con il consueto bar in piazza, con il solito viale alberato che porta al Municipio e la massa incombente della montagna che si staglia contro il cielo. Schiacciata fra mare e roccia, la città è però a pochi passi dall’aeroporto, fondamentale per il traffico di droga. Qui si è consumata la storia di Peppino Impastato, ribellatosi al padre mafioso e alla cultura del silenzio.

L’abbuffata (2007) di Mimmo Calopresti è un inno alla potenza visiva della Calabria, bellissima, ma ferma e immobile nella sua storia.Diamante è una piccola città sul mare dove tre giovani appassionati di cinema cercano di girare un film con l’aiuto di Neri, un regista in crisi di idee che ama contemplare l’azzurro del paesaggio, isolandosi ostinatamente dagli altri e ascoltando solo se stesso.

Neri: Qui è nato tutto. I greci dicevano che guardare il mare rende belli. Pensate che su questo mare è passato Ulisse.E c’è passato con navi cariche di vino… e chissà quant’altro. […]Lasciatevi abbracciare dalla luce, questo posto è magico, qui può succedere qualunque cosa. Veramente![…]Vedete ragazzi noi possiamo fare arte perché… perché siamo nati qua, siamo cresciuti qua… con questo sole, questo cielo, questo mare, questa luce.

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Ma Gabriele, Marco e Nicola trovano Diamante davvero poco emozionante, “Tutto il giorno a guardare sto mare…” dicono. In effetti la vita dell’intera comunità si svolge a stretto contatto con il mare: Largo Savonarola - la piazza panoramica del bar dove si tiene l’abbuffata gastronomica con il divo Gerard Depardieu che i tre registi e tutto il paese aspettavano per il film -, la spiaggia, il lungomare con la vista sull’isola di Cirella, sono luoghi privilegiati, rappresentativi. I tre giovani iniziano a raccogliere materiale e a filmare: immagini di natura e città che si fondono, del paesaggio indefinito della piccola città di provincia, tra costruito, mare, periferia, campagna. Emblematica la scena della piazza improvvisata a sala cinematografica per le opere di Fellini, con i balconi e le finestre degli edifici contigui come platea riservata; immagini che rimandano ad un’altra opera ancor più poetica in tal senso che è Nuovo Cinema Paradiso (1988) di Giuseppe Tornatore. La piazza di Giancaldo ritratta nel film è la piazza del mercato, degli autobus, dei riti religiosi, delle manifestazioni di ogni tipo, della proiezione del cinematografo sulle facciate delle case offerta agli spettatori rimasti fuori dalla sala.Lo spazio pubblico e le sue originali modalità d’uso sono stati spesso utilizzati da registi e sceneggiatori per raccontare ed identificare il paesaggio urbano del sud. I mercati soprattutto, ma anche le mille manifestazioni religiose che trasformano i luoghi comuni in spazi privilegiati per l’occasione: le strade e la piazza della cattedrale di Cefalù ne Il regista di Matrimoni (2006) di Marco Bellocchio, il lungomare di Noto e le piazze di Ragusa Ibla in Malena (2000) e ne L’uomo delle stelle (1995) di Giuseppe Tornatore, il quartiere palermitano Ballarò in Angela (2002) di Roberta Torre.

Wim Wenders con la sua nota straordinaria capacità di sintonizzarsi con un luogo, racconta in Palermo shooting (2008) il capoluogo siciliano attraverso i suoi spazi ‘aperti’, i suoi antichi quartieri, i luoghi caratteristici. Finn, il protagonista del film, è un grande fotografo tedesco che, in seguito

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ad una crisi esistenziale dovuta ad uno scampato incidente automobilistico, si sposta da Düsseldorf a Palermo per l’ennesimo servizio di successo.In Sicilia immortala, con la sua preziosa camera, la straordinaria vitalità della strada, tra paesaggio quotidiano, intimo e riservato a luogo di attività collettive di ogni tipo, abitato da bizzarri animali domestici come pecore e cavalli; vitale di giorno quanto di notte; i suoni e i rumori della strada diventano eccezioni alla coinvolgente colonna sonora del film.Finn sale su un’altura e, tra una selva di tralicci elettrici e telefonici, immortala dall’alto la “città del grande porto” di cui gli avevano parlato prima del suo viaggio.Pur non è essendo un film sulla città, Palermo shooting - attraverso l’obiettivo del protagonista e il suo controcampo – racconta alle diverse scale di percezione, un paesaggio urbano tanto onirico, misterioso, astratto, quanto reale e vitale.

Giuseppe Tornatore con numerose opere ha fissato oltre i confini nazionali l’idea di un sud ‘da cartolina’ che sa di altri tempi, di nostalgia e di ricordi, che celebra la bellezza e il fascino della Sicilia degli anni quaranta e cinquanta, senza quasi mai raccontare della contemporaneità, di problematiche e contraddizioni che sono attuali. “Il suo cinema è stato veicolo di scenari pittoreschi e di facce commoventi” 6, di paesaggi che non ci sono più.Nuovo cinema paradiso come L’uomo delle stelle o Malena sono racconti ‘solari’ di luoghi ancora intatti e cristallini, dei centri storici di Ragusa Ibla, Modica, Siracusa, uno straordinario repertorio di paesaggi affascinanti e seducenti, su cui affiorano i segni di una storia millenaria.Baarìa (2008), il suo film più recente, racconta attraverso tre diverse generazioni, la vicenda di una famiglia di Bagheria.Sullo sfondo la città cresce e si trasforma, dagli anni venti agli anni ottanta, con lo spettro della mafia e del fascismo, con l’assessore all’urbanistica non vedente che valuta i piani regolatori in ‘plastico’ e li apprezza solo dopo aver intascato l’indispensabile mazzetta.

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Anche nel cinema, come in architettura, è possibile riconoscere, soprattutto negli ultimi anni, una certa eterogeneità di linguaggi e di espressioni, con sperimentazioni che, seppur episodiche, rappresentano uno sguardo innovativo ed alternativo.Lo zio di Brooklyn (1995), Totò visse due volte (1998), Il ritorno di Cagliostro (2003) dei registi palermitani Ciprì e Maresco, sono una visione nera, onirica, grottesca, a tratti blasfema, di una Sicilia emblema della società contemporanea; “ritratti fastidiosi, immagini e situazioni al limite della sopportabilità che raramente il cinema è stato così radicale nel mostrare”7. Il vero protagonista di questo cinema è il paesaggio, un paesaggio apocalittico e derelitto, in cui ruderi, rifiuti, scheletri industriali mostrano una natura selvaggia e scarna al pari dei personaggi che la abitano, “brutti, sporchi e cattivi”, personaggi animaleschi che si muovono sovente in mutande. La città di Palermo è un non-luogo arcaico, neanche facilmente identificabile, nel quale si svolgono le storie, “una periferia assoluta, né primo né terzo né altro mondo”8.

Della stessa matrice e con lo stesso portato di rottura sono i musical di Roberta Torre, Tano da morire (1997) e Sud side stori (2000).Pellicole che ritraggono una città di quartieri fatiscenti e di luoghi negletti, con improbabili mafiosi siciliani come Tano Guarrasi – realmente ucciso in una guerra di mafia nel 1988 -, stravaganti amanti come Toni Giulietto e Romea Wocoubo, assai poco shakespeariani. Una ‘ricognizione’ di Palermo intrisa di irrealismo, di grottesco; il ventre della città, il mercato della Vucciria, le sue strade strette e gli spazi angusti, enfatizzati da rigorose inquadrature frontali, con continui e intriganti frame dai colori accesi e forti. Spazi pubblici vitalizzati da feste religiose e da santi patroni, abitati da famiglie tradizionali e da nuovi nuclei sociali come il gruppo di immigrate di Romea in Sud Side Stori.

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Sono musical-favola quelli di Roberta Torre, si nutrono di miti popolari sbeffeggiati da balletti sgangherati, costumi kitsch, ricostruzioni di interni chiaramente falsate, enfasi dell’autocostruzione, della stratificazione, dell’affascinante eterogeneità della città.

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ALTRI PAESAGGI D’AUTORE 187

LO SGUARDO LARGOGIANPIERO DONIN

Arduo un epilogo su temi e quest’opera per loro natura aperti. Preferibile più semplicemente qualche considerazione e un punto di vista ulteriori. Il percorso di Fabio Manfredi li suggerisce, il suo viaggio li stimola.Sicilia e Calabria, così vicine e così lontane interrotte da uno “Stretto” da secoli baluardo di incomunicabilità, a cavallo fra due continenti che ne hanno fatto la storia. L’autore ambienta qui una ricognizione sul progetto moderno di architettura del paesaggio. La colloca in luoghi che in comune hanno pochi tratti tra i quali uno che ne connota però il dato essenziale per un paesaggista: l’estrema bellezza e pregnanza di significati di una natura forte eppure continuamente vilipesa e come lui dice forse sempre ’ in cerca di autore’. Per il resto vi si caratterizzano più le differenze che le affinità. Persino le loro ‘celebri’ tradizioni malavitose non si somigliano.Eppure Manfredi ne cerca e più volte ne scopre una comune disposizione virtuosa a reagire al ‘progetto d’autore’, all’opera come dice Zagari “ …quando questa è espressione di una volontà, una committenza che si concretizza in uno spazio appunto d’autore”.Filo conduttore un “VIAGGIO”, un odierno “Gran Tour”, con al centro il progetto degli esterni per terre assolate, mediterranee, sotto cieli perennemente azzurri, un progetto come tanti architetti ma anche, registi, fotografi, geografi, giornalisti,e gente comune, lo percepiscono, lo immaginano e lo vivono.28 progetti siciliani, e 12 in Calabria sotto lo sguardo ‘gentile’ ma determinato e indagatore di Fabio Manfredi che ne analizza, senza pregiudizi stilistici, con la delicatezza e il tratto che caratterizzano il suo carattere mite e l’amore profondo per la sua terra, il ruolo e i significati per un Sud che vuole

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cambiare ma che si mostra da sempre poco avvezzo ai cambiamenti. Scarso il panel di opere di paesaggio dice infatti Manfredi, e allora si è reso necessario allargare lo sguardo, cercare temi, punti di vista e riflessioni in più campi. L’autore qui mente, in realtà, caparbiamente, sin dall’inizio della sua ricerca era ben chiara la volontà e l’interesse verso un sguardo ’largo’, per riuscire ad interpolarvi visioni diverse, nel tentativo di scoprirne e capirne le interrelazioni. Quante volte durante le sedute di dottorato nelle quali è la genesi di questo lavoro, Fabio Manfredi ha con malcelata ostinazione difeso la mescola di idee, immagini, atmosfere dei progetti ma anche di spezzoni di film, dialoghi, dipinti, immagini, versi?Quante volte ha dovuto dimostrare che la centralità del progetto non si può praticare se non attraverso il suo confronto con la realtà così come immaginata, sognata e rappresentata da tanti attori e autori e diversi e in diversi campi?Il suo viaggio si è allora popolato di questi personaggi, autori e opere d’autore per coglierne le diverse disposizioni e sensibilità a leggere e interpretare quei luoghi nel tentativo di restituirne la storia vera di eventi puntuali e di quotidianità diffusa. I progetti a volte hanno onorato questo compito a volte meno. Non sempre è stata la loro qualità estetica la ragione di un successo popolare che li ha resi interpreti della aspirazioni di un luogo. A volte i virtuosismi linguistici sono risultati criptici, e gli spazi rimasti deserti e rifiutati . In altri casi una estetica anche banale è stata accolta con entusiasmo da cittadini e visitatori.Una ricognizione allora, quella di Manfredi, non tanto per definire e definirsi in un contesto disciplinare specifico, dotto ed esclusivo, quanto per dimostrare del paesaggio la sua qualità unica di mentore di una storia dei luoghi, la sua disposizione ad essere letto e capito da più parti per le relazioni culturali e umane che vi si stratificano e che sempre può restituire a chi ne sa cercare e con il progetto rievocare i segni e i desideri.E’ tutto questo out dal progetto? E’ forse l’essenza stessa di un progetto come espressione di una volontà che si esplica in azioni e costruzioni di

LO SGUARDO LARGO 191

Gianpiero DoninArchitetto, Professore Ordinario di Architettura del Paesaggio dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, Direttore del Dipartimento OASI.

nuovi paesaggi in cui risiedano i segni della storia e i caratteri della natura.A un certo punto il viaggio inverte la rotta. Fabio Manfredi, gira lo sguardo e punta a Nord del Mediterraneo, alla Spagna, a Barcellona, a Olot . Lì trova rassicuranti conferme.L’osservatorio del paesaggio della Catalogna, istituzione di punta in Europa, lo accoglie e influenza. Lì si attua una ricerca che come Fabio Manfredi vuole per la sua tesi, si basa sulla interrelazione fra diverse componenti e attori nelle trasformazioni dei luoghi nel tempo. Questo del suo lavoro dice Joan Nogué: “ è in definitiva una ricerca rilevante perché è capace di applicare ad uno stesso paesaggio sguardi ‘inter’ e ‘trans’ disciplinari e per la mediterraneità della prospettiva che offre”.Il Dottorato in Architettura dei Parchi e dei Giardini di Reggio Calabria si arricchisce così, con questo libro di un contributo essenziale per la crescita di una coscienza ‘sensibile’ del paesaggio premessa indispensabile per ogni suo necessario cambiamento.

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CREDITI

Tutte le immagini sono di Fabio Manfredi, tranne le seguenti:

Parco Delle Terme, Sciacca, (pag 38-39) tratte da Leonardi Maria Giovanna, L’architettura del paesaggio in Sicilia, Dario Flaccovio Editore, Palermo 2006

Sistemazione Strada Palazzi, Pollina, (pag 38-39) tratte da Mulazzani Marco (a cura di), Almanacco dell’Architettura 1997-1998, Electa, Milano 1998

Piazza Matteotti, Catanzaro, (pag 40-41-96) tratte da Sacchi Livio, Franco Zagari, l’interpretazione del paesaggio, Testo&Immagine, Torino 2003

Parcheggio Case Di Stefano, Ghibellina, (pag 42-43) tratte da Nicolin Pierluigi, Francesco Repishti (a cura di), Dizionario dei nuovi paesaggisti, Skira, Milano 2003

Piazza Regina Margherita, Alimena, (pag 42-43) tratte da Oddo Maurizio, Architettura Contemporanea in Sicilia, Corrao Editore, Trapani 2007

Cimitero, Bagnara Calabra, (pag 48-49) fotografie di Vincenzo Gioffrè

Piazzetta Amendola, Condofuri, (pag 52-53) tratte da Cogliandro Domenico (a cura di), “Lo stretto necessario”, in Parametro n. 244, marzo/aprile 2003

Piazzetta Toscano, Cosenza, (pag 54-55) tratte da AA.VV., Marcello guido. Espressioni contemporanee, Gruppo Mancosu editore, Roma 2007

Piazza Sprovieri, Acri, (pag 60-61) fotografie di Enzo Chimento.

Piazza C. Rizzone, Modica, (pag 62-63) tratte da Gionfriddo Gianfranco, “Fontana a Modica”, in d’Architettura n.30, maggio-agosto 2006

Sagrato di Madonna del Piano, Grammichele, (pag 66-67-78) fotografie di Aurelio Cantone

Porta Urbana, Pollina, (pag 68-69) tratte da Oddo Maurizio, Architettura Contemporanea in Sicilia, Corrao Editore, Trapani 2007

Riqualificazione aree pubbliche esterne del Palazzo Mesiani, Bova, (pag 70-71) tratte da www.sud’arch.it

Le immagini del capitolo Altri paesaggi d’autore sono tratte dai film indicati in didascalia.

CREDITI 203


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