+ All Categories
Home > Documents > Fabio Mariano, - Giorgio di Matteo da Sebenico e il “Rinascimento alternativo” nel ‘400...

Fabio Mariano, - Giorgio di Matteo da Sebenico e il “Rinascimento alternativo” nel ‘400...

Date post: 11-Mar-2023
Category:
Upload: independent
View: 0 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
28
7 GIORGIO DI MATTEO DA SEBENICO E IL RINASCIMENTO ALTERNATIVONEL ’400 ADRIATICO Giorgio di Matteo da Sebenico e il “Rinascimento alternativo” nel ’400 adriatico Fabio Mariano Come nel resto d’Italia, il Rinascimento nelle Marche, si propone attorno al- la metà del XV secolo come un fenomeno culturale spiccatamente urbano, legato sostanzialmente a quei cenacoli intellettuali che le singole corti loca- li erano in grado di attivare, quindi condizionato dalla fortunata ma non oc- casionale presenza di singole personalità politiche di elevata formazione culturale, capaci di calamitare interesse per quell’aggiornamento del lin- guaggio artistico e letterario, perseguito e diffuso allora dagli umanisti e da- gli “antiquari”, che veniva sempre più trasformando i modi di sentire e di pensare la contemporaneità. Ciò avveniva soprattutto attraverso le relazio- ni personali e articolate delle corti con altri centri politici più avanzati e con le nuove, itineranti personalità d’avanguardia che quelle corti riuscivano ad attrarre attorno a sé. Credo sia plausibile ipotizzare – ad esempio – che se Federico di Montefeltro non avesse trascorso quei suoi due fondamentali e formativi anni giovanili di “cattività” nella aggiornatissima corte di Manto- va la storia artistica delle Marche avrebbe preso altri indirizzi. In questo am- bito culturale e sociale è forse quindi anche possibile ipotizzare che Piero della Francesca non avrebbe preso a percorrere la tortuosa via della Bocca Trabaria per condursi dalla sua Sansepolcro sino a Urbino, dove era attrat- to da un contesto culturale particolarmente favorevole a committenze “col- te”. E anche, sembra plausibile che l’accorto e “cortigiano” Leon Battista Al- berti non avrebbe forse avuto interesse ad arrampicarsi dalla comoda pia- nura mantovana fin nel rugoso Montefeltro per svolgere la sua funzione di persuasore occulto di corti assetate delle “novità” dell’Umanesimo, né a suggerire a Federico di fornire una “patente” all’istriano Luciano Laurana come qualificato divulgatore del suo perseguito nuovo linguaggio architet- tonico, se avesse percepito come referente una corte gestita solo da monta- nari mercenari. Parimenti, se Dionisio della colta famiglia mercantile anco- nitana dei Benincasa non avesse intessuto i suoi prestigiosi e interessati con- tatti commerciali e diplomatici con la Serenissima, corroborati tramite il de- terrente della sua vasta flottiglia mercantile – la seconda nell’Adriatico do- po Venezia stessa – forse nessun’altro allora in Ancona avrebbe potuto con- vincere un avviato imprenditore di cave di marmo e appaltatore di raffina- te opere scultoree come Giorgio di Matteo da Sebenico a spostarsi qui per circa un ventennio, prima da Venezia e poi dall’insigne cantiere sebenicen- se della Cattedrale di San Giacomo, dove ricopriva l’incarico prestigioso di protomagister, per portarvi l’ultimo seme di quel “gotico adriatico” che pro- prio nel porto dorico troverà una delle sue principali e ospitali culle. Ma, al di là di facili considerazioni sulla personalizzazione dei fatti della sto- ria, questi non troppo casuali esempi credo possano aiutare a valutare quan- to realmente della cultura artistica nelle Marche, anche nella stagione dell’U- manesimo adriatico, sia stato effetto d’importazione di culture eterogenee. Seppur queste ultime vennero oculatamente selezionate da parte delle locali magistrature private e pubbliche, al momento opportuno e dalle giuste fon- ti, sulla base di una reale necessità, anche emulativa, di valorizzazione della propria immagine. Fatto questo che è pure il segno positivo – va sottolinea- to – di una sensibilità reale dei governanti, collettivamente approvata dalla popolazione, come è spesso dato leggere fra le righe dei documenti d’epoca. 1. Ivan Meštrovi´c (1883-1962), statua di Giorgio di Matteo. Sebenico, catte- drale.
Transcript

7GIORGIO DI MATTEO DA SEBENICO E IL “RINASCIMENTO ALTERNATIVO” NEL ’400 ADRIATICO

Giorgio di Matteo da Sebenico e il“Rinascimento alternativo” nel ’400 adriaticoFabio Mariano

Come nel resto d’Italia, il Rinascimento nelle Marche, si propone attorno al-la metà del XV secolo come un fenomeno culturale spiccatamente urbano,legato sostanzialmente a quei cenacoli intellettuali che le singole corti loca-li erano in grado di attivare, quindi condizionato dalla fortunata ma non oc-casionale presenza di singole personalità politiche di elevata formazioneculturale, capaci di calamitare interesse per quell’aggiornamento del lin-guaggio artistico e letterario, perseguito e diffuso allora dagli umanisti e da-gli “antiquari”, che veniva sempre più trasformando i modi di sentire e dipensare la contemporaneità. Ciò avveniva soprattutto attraverso le relazio-ni personali e articolate delle corti con altri centri politici più avanzati e conle nuove, itineranti personalità d’avanguardia che quelle corti riuscivano adattrarre attorno a sé. Credo sia plausibile ipotizzare – ad esempio – che seFederico di Montefeltro non avesse trascorso quei suoi due fondamentali eformativi anni giovanili di “cattività” nella aggiornatissima corte di Manto-va la storia artistica delle Marche avrebbe preso altri indirizzi. In questo am-bito culturale e sociale è forse quindi anche possibile ipotizzare che Pierodella Francesca non avrebbe preso a percorrere la tortuosa via della BoccaTrabaria per condursi dalla sua Sansepolcro sino a Urbino, dove era attrat-to da un contesto culturale particolarmente favorevole a committenze “col-te”. E anche, sembra plausibile che l’accorto e “cortigiano” Leon Battista Al-berti non avrebbe forse avuto interesse ad arrampicarsi dalla comoda pia-nura mantovana fin nel rugoso Montefeltro per svolgere la sua funzione dipersuasore occulto di corti assetate delle “novità” dell’Umanesimo, né asuggerire a Federico di fornire una “patente” all’istriano Luciano Lauranacome qualificato divulgatore del suo perseguito nuovo linguaggio architet-tonico, se avesse percepito come referente una corte gestita solo da monta-nari mercenari. Parimenti, se Dionisio della colta famiglia mercantile anco-nitana dei Benincasa non avesse intessuto i suoi prestigiosi e interessati con-tatti commerciali e diplomatici con la Serenissima, corroborati tramite il de-terrente della sua vasta flottiglia mercantile – la seconda nell’Adriatico do-po Venezia stessa – forse nessun’altro allora in Ancona avrebbe potuto con-vincere un avviato imprenditore di cave di marmo e appaltatore di raffina-te opere scultoree come Giorgio di Matteo da Sebenico a spostarsi qui percirca un ventennio, prima da Venezia e poi dall’insigne cantiere sebenicen-se della Cattedrale di San Giacomo, dove ricopriva l’incarico prestigioso diprotomagister, per portarvi l’ultimo seme di quel “gotico adriatico” che pro-prio nel porto dorico troverà una delle sue principali e ospitali culle. Ma, al di là di facili considerazioni sulla personalizzazione dei fatti della sto-ria, questi non troppo casuali esempi credo possano aiutare a valutare quan-to realmente della cultura artistica nelle Marche, anche nella stagione dell’U-manesimo adriatico, sia stato effetto d’importazione di culture eterogenee.Seppur queste ultime vennero oculatamente selezionate da parte delle localimagistrature private e pubbliche, al momento opportuno e dalle giuste fon-ti, sulla base di una reale necessità, anche emulativa, di valorizzazione dellapropria immagine. Fatto questo che è pure il segno positivo – va sottolinea-to – di una sensibilità reale dei governanti, collettivamente approvata dallapopolazione, come è spesso dato leggere fra le righe dei documenti d’epoca.

1. Ivan Meštrovic (1883-1962), statuadi Giorgio di Matteo. Sebenico, catte-drale.

8

Anche perché il consenso pubblico per opere dispendiose come quelle archi-tettoniche – abitudinariamente finanziate con nuove gabelle – era ovviamen-te condizione ineludibile per il solido controllo della pace sociale.Proprio intorno al 1450, si intrecciano due visioni artistiche ma un’unica vo-lontà di risposta delle Marche a quanto andava configurandosi nei centrimaggiori dell’Italia della metà del Quattrocento. Le visioni artistiche, nelsenso dei linguaggi con cui esse stesse si manifestarono, non vanno tuttaviaviste in contraddizione “evoluzionistica” fra di loro: ne deriverebbe forseuna visione miope dei processi reali che muovono la storia, non solo quellaartistica. Va invece considerata una verosimile coabitazione “parallela” –questa è in sostanza la nostra tesi – di diversi linguaggi compositivi e figu-rativi i quali, pur senza configurare necessariamente il sintomo di un mino-re o maggiore aggiornamento culturale dei singoli operatori artistici, ne de-nota piuttosto il personale gusto o la volontà di aderire ai desiderata della lo-ro committenza; cui va aggiunta la non secondaria componente culturale lo-cale che caratterizzava la storia dei diversi territori, identificandone le spe-cifiche e perduranti tradizioni.A ben vedere poco divide i due conterranei dalmati, e circa coetanei, Lucia-no Laurana e Giorgio di Matteo. Quest’ultimo non si mostrava affatto igna-ro di quanto di nuovo avveniva allora in Toscana (aveva collaborato o pro-seguito l’opera del fiorentino Michelozzo di Bartolomeo a Ragusa in operecivili e militari); egli ben conosceva infatti il valore della riscoperta dell’ar-chitettura classica, già così diffusa e ancora ben visibile nella sua terra dal-mata, già illirica. Giorgio era peraltro ben cosciente dei problemi prospetticidella rappresentazione visiva che avevano assillato sia il Brunelleschi (cheforse, stando al Vasari, aveva conosciuto) e gli artisti più propriamente defi-nibili come “umanisti”. Si veda, in proposito, il modo allusivamente “pro-spettico” da lui seguito nel progettare le sue note cuvarum (cioè le 13 finte ab-sidiole scolpite all’esterno inferiore delle absidi del duomo sebenicense).Egli inoltre progettava, come loro, per mezzo di modelli lignei per prefigu-rare le sue idee architettoniche; si esercitava anche nell’urbanistica, e lo face-va in modo “razionalista” (si veda il suo impianto delle nuove mura di Pa-go). Solo che Giorgio sentiva in modo diverso le scelte decorative, si fidavaorgogliosamente di quanto delle forme aveva sperimentato sulla pietra d’I-stria, a Venezia presso la bottega dei fratelli Bon, con le sue mani incallite discultore (si veda il suo espressionistico ritratto scolpito dal maestro croatoIvan Meštrovic presso la cattedrale di Sebenico). Ed erano queste forme la-boriose e organiche, che pochi sapevano scolpire con la sua immediatezzaespressionistica, che gli garantivano un acclamato e consolidato monopolioprofessionale. La concatenazione modulare degli ordini architettonici l’ave-va probabilmente osservata nel cantiere della ristrutturazione del Tempiomalatestiano di Rimini, condotto allora dall’umanista L.B. Alberti, dove (nel1454) era stato richiesto di fornire pietre per la cappella di San Sigismondo.I capitelli corinzi “classici” Giorgio ben li conosceva – e non solo per averliosservati nelle Urbino e Gubbio federiciane, dove anche aveva probabilmen-te lavorato o fornito materiali – ma li nascondeva, quasi con imbarazzata pu-dicizia, nei recessi carnosamente fioriti dei suoi eclatanti portali, come anchefece ripetutamente nei suoi monumenti in Ancona. Probabilmente Giorgio,allora non più giovanissimo, non aveva intenzione di cambiare i modi con-solidati del suo facondo mestiere né disperdere il patrimonio artigianale ap-prezzato della sua affollata e remunerativa bottega. Anche a Loreto – il cui Santuario mariano è da sempre luogo di venerazio-ne per i cattolici croati – il rinnovamento partì, nella Basilica, su basi arcai-che: con pilastri “alla salvatica” e planimetria tardogotica, che più da teolo-gi che da architetti fu pensata. A questa, con poche modifiche, si adegueran-no successivamente i maggiori architetti del Rinascimento che vi lavoraro-no, a partire da Giuliano da Maiano, suo probabile progettista, senza perquesto sentirsi oblati di una irrinunciabile aspirazione al “nuovo”.

CRITICA D’ARTE

2. Peristilium del Palazzo di Dioclezia-no. Spalato.

9GIORGIO DI MATTEO DA SEBENICO E IL “RINASCIMENTO ALTERNATIVO” NEL ’400 ADRIATICO

Federico da Montefeltro stesso – è oramai chiaro – aveva una personale pre-dilezione per il gusto del florilegio decorativo, esportato a Urbino dai lapi-cidi padani che tanto a lungo vi durarono, al contrario del “purista” Laura-na che fu costretto a lasciare il cantiere urbinate – alla morte della duchessaBattista Sforza (7 luglio 1472), sua convinta mèntore – seppur tanto ancoravi avrebbe avuto da realizzare secondo il suo vasto progetto. Progetto chevenne invece poi proseguito dal più duttile senese Francesco di GiorgioMartini. Del clima culturale che si respirava in quel mitico palazzo rendescherzosa ragione anche il soprannome dato a un artista fiorentino che la-vorò al prospiciente portale del San Domenico e a lungo alla corte federicia-na: Michele di Giovanni da Fiesole, che fu soprannominato “il greco”, untermine allora contrapposto (come ci rende edotti il Vasari) a quello di “go-tico”, per la sua predilezione per le forme classiche e antiquarie. Credo sia significativo, infine, ricordare che Gentile da Fabriano, che tanto ciparla nelle sue forme un cortese e prezioso linguaggio “gotico” – che avreb-

4. Bartolomeo Bon e coll., Porta dellaCarta (1438-45). Venezia, Palazzo Du-cale.

3. Trabeazione e fregio a festoni ed ero-ti classici. Spalato, Mausoleo di Diocle-ziano (oggi Cattedrale di San Doimo).

10 CRITICA D’ARTE

be forse conquistato i veneziani e i senesi ma non i fiorentini – nel novembredel 1422 si trovava immatricolato a Firenze nella corporazione dei pittori(l’Arte de’ Medici e Speziali) nientemeno che assieme col giovane Masaccio,che già elaborava modelli di forme e contenuti ieratici palesemente antiteti-ci a quelli “sentimentali” del grande pittore marchigiano. Questo propriomentre il Brunelleschi andava elevando già da un anno il suo matematica-mente proporzionato portico nel capolavoro rinascimentale dell’Ospedaledegli Innocenti. Aneddoto questo, che non andrebbe sottovalutato se voglia-mo obbiettivamente comprendere quanto più articolata, complessa e menodeterministica sia stata l’evoluzione verso il linguaggio che chiamiamo, contermine ottocentesco e un po’ romantico, “rinascimentale”. Il “nuovo”, in effetti, andrebbe ricercato non nelle singole forme e nella lorospesso contraddittoria cronologia, bensì nella sua lenta predisposizione neltessuto di relazioni sociali, politiche ed economiche che veniva intessendosi

5. Nanni di Bartolo, portale della Basi-lica di San Nicola (1432-35). Tolentino.

11GIORGIO DI MATTEO DA SEBENICO E IL “RINASCIMENTO ALTERNATIVO” NEL ’400 ADRIATICO

– in modalità non sempre omogenee – nella cultura delle corti e negli am-bienti della committenza.Fu questo tessuto in evoluzione che rese possibile il fiorire nelle Marche, nel-la metà del XV secolo, di un atteggiamento culturale diverso, dal quale sca-turirono pressanti le esigenze di ammodernamento delle corti e delle città,àmbiti nei quali si operava solitamente col consenso e con la partecipazione,senza la quale gli artisti – seppur d’avanguardia – rimangono solitamente ir-rimediabilmente e sterilmente isolati.Va osservato, per inciso, come la corrente “evoluzionistica” della Storia dell’Ar-te, nel suo omologare il giudizio storico a quello estetico, ha teso pervicacemen-te a conferire ai termini cronologici di un evento figurativo un implicito giudi-zio di valore, nel quale sembrerebbe sotteso un immaginario processo ascen-

6. Michelozzo e Donatello, sepolcro diBaldassarre Coscia, antipapa GiovanniXXIII (1424-27). Firenze, Battistero diSan Giovanni.

12 CRITICA D’ARTE

dente di sviluppo qualitativo e di superamento fra quanto è avvenuto “prima”e quanto realizzato “dopo”. Seppure questo criterio presenti l’indubbio valoredi collegare fra di loro avvenimenti e influenze chiarendone le derivazioni re-ciproche, pur tuttavia esso risulta carente nel giudizio di fatti artistici non ne-cessariamente legati fra loro in un rigido schema di pura consequenzialità, re-legando di fatto su piani di presunta inferiorità filoni espressivi locali e regio-nali e personalità artistiche molto individualizzate. Secondo questo criterio ca-talogativo, indubbiamente comodo, difficile risulterebbe collocare e compren-dere fenomeni figurativi più complessi e di ricca articolazione storico-critica co-me quello dell’“Umanesimo adriatico” o, più specificatamente, del “Goticoadriatico” – in pittura e scultura come in architettura – che si colloca a cavallofra un nascente e ancora indefinito processo di avvicinamento agli ideali di ra-

7. Facciata di San Francesco delle Sca-le. Ancona.

13GIORGIO DI MATTEO DA SEBENICO E IL “RINASCIMENTO ALTERNATIVO” NEL ’400 ADRIATICO

zionalità umanistica del Rinascimento e la permanenza contemporanea di unasensibilità “romanticamente” gotica. Quest’ultima specialmente percepibile nelgusto delle committenze di regioni non ancora conquistate dalla cultura “illu-minata” proveniente dalla “fonte” fiorentina rinascimentale. È questo il caso conclamato delle enclàves culturali di Siena, di molte aree pa-dane, indubbiamente di Venezia, della Dalmazia e anche delle Marche: ter-ritori dove la transizione al nuovo sentire e alle conseguenti nuove forme eb-be una non breve gestazione critica. Ciò nonostante Venezia avesse ben co-nosciuto e ospitato noti artisti fiorentini, come Ghiberti, Michelozzo, Nannidi Bartolo, Pietro di Nicolò Lamberti, operanti qui anche in conseguenza del-l’alleanza perseguita dal doge Foscari con Cosimo de’ Medici in funzioneantiviscontea, a partire almeno dal 1425 sino al 1450, quando questi verran-no poi cacciati dalla capitale della Serenissima. Proprio in queste regioni adriatiche – dove il gusto del florilegio gotico per-

8. Facciata della Cattedrale di San Gia-como. Sebenico.

14 CRITICA D’ARTE

manse a lungo in pieno Quattrocento per motivazioni storico-politiche chenon possono ovviamente essere ritenute di mero ritardo culturale – si assi-stette alla circuitazione di una particolare sensibilità figurativa che, sebbenecosciente delle innovazioni costruttive e stilistiche provenienti dalla rilettu-ra dell’antichità classica (frutto degli accurati rilievi archeologici dei monu-menti romani che videro, tra gli altri, appassionatamente impegnati assiemeBrunelleschi e Donatello agli inizi del secolo), sembrava tuttavia non voles-se trarne le immediate conseguenze, attardandosi in un processo di lentametabolizzazione teso a contemperare, senza apparente soluzione di conti-nuità, decorazione tardogotica con i nuovi schemi compositivi razionali diconcatenazione proporzionale degli ordini, di derivazione classica e anti-quaria, riproposti dal nuovo sentire dell’architettura rinascimentale. Senza queste considerazioni preliminari – che sempre più vanno configu-rando in questi ultimi decenni, nella critica più attenta, l’individuazione diuna “cultura adriatica” (intuita e perimetrata già dallo Zampetti sin dal1976) – sarebbe impossibile comprendere figure artistiche complesse ed ecla-tanti come quella preminente di Giorgio di Matteo da Sebenico e di tutta lasua ricca discendenza disciplinare che vide in Dalmazia, a Venezia e in par-ticolare nelle Marche una ricca fioritura artistica che permarrà indenne alme-no sino all’ultimo ventennio del XV secolo.Molteplici furono, come è noto, i rapporti tra la cultura dalmata e quella del-

9. Giorgio di Matteo, battistero (1450-52). Sebenico, Cattedrale di San Giaco-mo.

15GIORGIO DI MATTEO DA SEBENICO E IL “RINASCIMENTO ALTERNATIVO” NEL ’400 ADRIATICO

le città marchigiane rivierasche fra XV e XVI secolo. Per le sue consolidatestrutture portuali – monopolistiche a sud di Venezia – e per le sue attivissi-me relazioni con la mercatura levantina e i suoi porti lo scalo dorico occupòsempre un ruolo centrale nella regione. L’attiva colonia dalmata e più speci-ficatamente ragusea – legata ad Ancona da comuni interessi mercantili anti-veneziani – è testimoniata anche dalla persistenza di cognomi slavi fra imaggiorenti cittadini: i Bonda, gli Sturani, i Gozzi, i Bosdari, i Palunci, i Gon-dola, ecc. Buona parte di queste famiglie furono anche committenti di pre-stigiose opere d’arte e di architettura nella città dorica: e fra tutte basti ricor-dare la famosa Pala del Tiziano in San Domenico, detta ancora dal nome delcommittente, “Pala Gozzi”. Contestualmente molto attiva fu la presenza in-crociata di ottimi artisti dalmati, marchigiani e veneziani fra le due spondein molte commesse di ricche famiglie, prelature e corti marchigiane.Carlo Crivelli, veneziano, giunge nel 1465 a Zara e, nel 1468, sbarca al Portodi Fermo iniziando la sua prolifica produzione nelle Marche. Negli stessi an-ni a Padova (dove giungerà anche Donatello), mentre Mantegna dipinge ilsuo capolavoro nella Cappella Ovetari presso gli Eremitani, l’attenzione deipiù giovani artisti (lo stesso Mantegna, Crivelli, Tura) si coagula attorno al-la bottega locale di Francesco Squarcione, dove convergeranno come “affi-liati” anche molti artisti marchigiani di brillante futuro (Boccati, Nicola diMaestro Antonio, Girolamo e Giovanni da Camerino) che poi torneranno at-

10. Giorgio di Matteo, absidi con cuvaeprospettiche e protomi. Sebenico, Cat-tedrale di San Giacomo.

16 CRITICA D’ARTE

17GIORGIO DI MATTEO DA SEBENICO E IL “RINASCIMENTO ALTERNATIVO” NEL ’400 ADRIATICO

tivi nelle loro terre. Vi giunge anche, nel 1456, il dalmata Giorgio Culìnovic ,detto lo Schiavone, divenendo anch’egli allievo del padovano. Il Culìnovic– una delle più eminenti personalità pittoriche della Dalmazia nel secondoQuattrocento – incontrerà e sposerà Elena (nel 1463), figlia di Giorgio diMatteo, chiudendo simbolicamente un cerchio culturale forse non casuale.Soprassediamo in questo contesto sull’analisi della controversa opera di Lu-ciano Laurana, altro dalmata – tanto grande quanto biograficamente ancoramisterioso – operoso nelle Marche del XV secolo (a Urbino, Pesaro, Senigal-lia), ma esponente convinto del partito rinascimentalista albertiano, al qua-le va senz’altro ricondotta la declinazione formale più ortodossa e puristadell’ispirazione classicista nella regione. Questi esiti ideali e formali, per-meati in lui dall’ideale tardo antico romano – memore dei monumenti ar-cheologici eclatanti delle sue terre, da Salona a Pola – non possono a eviden-za disgiungere la propria derivazione, anche qui, dal riferimento principedel ben conservato Palazzo di Diocleziano a Spalato: il primo vero e confron-tabile “palazzo in forma di città” della classicità. In particolare per il suo pe-ristilium: come esempio di ritmo musicale dei suoi pilastri; per il timpanomistilineo del protiron, o per la volta a botte cassettonata del Tempio di Gio-ve (poi Battistero di San Giovanni): tutti modelli ineludibili del linguaggioarchitettonico degli architetti rinascimentali, ben presenti anche nei riferi-menti dell’Alberti, a Rimini come a Mantova. La formazione artistica del croato zaratino Giorgio di Matteo (1410? – 1473)– o Jurai Matjev Dalmatinac come viene oggi correttamente chiamato daisuoi conterranei – si svolse invece, sin dai suoi inizi, sotto l’ègida culturaledi Venezia, che proprio in quegli anni consolidava il suo dominio politico eamministrativo su tutti quei litorali, unificandone per lunghi secoli leasprezze campanilistiche. Tralasciamo qui le annose, superate e anche inuti-li polemiche sulla origine italiana o croata di Giorgio di Matteo e sulla sualontana discendenza dalla famiglia patrizia degli Orsini di Monterotondo,cognome assunto peraltro postumo dal figlio Paolo soltanto nel 1512, e ac-cettiamo invece, definitivamente, quanto egli stesso volle dire di sé nei do-cumenti: “Magister Georgus lapicida quondam Mathei, de Jadra, habitator Vene-tiarum ad praesens exsistens Sibenici...” (“Giorgio del fu Matteo da Zara, lapi-cida abitante a Venezia e presentemente domiciliato a Sebenico”), come reci-tano gli atti notarili (del 21 e 22 giugno 1441) da lui stipulati coi Procuratori

Nella pagina precedente: 11. Comples-so absidi, transetto, cupola e facciatanord. Sebenico, Cattedrale di San Gia-como.12. Pianta della Cattedrale di San Gia-como. Sebenico. 13. Sezione longitudinale della Catte-drale di San Giacomo. Sebenico.

18 CRITICA D’ARTE

della Fabbriceria del Duomo di San Giacomo nella Cancelleria del Comunedi Sebenico per volere del vescovo Juraj; o quanto egli stesso volle di sua ma-no scolpire nella targa posta sull’estradosso absidale del suo capolavoro se-benicense, dove due putti “baroccheggianti” sorreggono un accartocciatocartiglio, dove si legge tra l’altro: “…HOC OPUS CUVARUM FECIT MAGI-STER GEORGIUS MATHAEI DALMATICUS. 1443”.Il nostro Giorgio nacque quindi a Zara da Matteo nei primissimi anni del XVsecolo, stando alla valutazione della necessaria maturità indispensabile perassumere un gravoso incarico come il vasto cantiere sebenicense. Seppurenon sia da escludere un praticantato giovanile nel lungo cantiere della catte-drale della sua città, possiamo dedurre che la sua formazione culturale e ar-tistica avvenne prevalentemente a Venezia (forse sin da prima del 1430), co-me lapicìda e verosimilmente anche come architetto collaboratore, nei vasticantieri del Palazzo dei Dogi e della Porta della Carta, presso la bottega im-prenditoriale dei fratelli veneziani Giovanni e Bartolomeo Bon. Giorgio diMatteo ottenne nel 1441, a domicilio, la carica di protomagister del prestigiosoe complesso cantiere della cattedrale di San Giacomo a Sebenico (da cui deri-verà il proprio toponimico), consentendoci di presumere quindi, già da allo-ra, una sua sufficiente maturazione di età, di esperienza e di fama professio-nale autonoma, forse anche superiore a quella dei Bon. A Venezia aveva an-che sposato Elisabetta, figlia di Gregorio Del Monte, benestante titolare diuna locale bottega di carpentiere. Egli veniva chiamato a Sebenico per conti-nuare l’opera iniziata, dal 1431, da architetti e lapicidi veneziani, guidati al-meno dal 1435 da Antonio di Pietro Paolo dalle Masegne e da lui poi forzata-mente tralasciata. A Giorgio spetta sicuramente qui la nuova soluzione ag-giunta del transetto inscritto sull’aula originaria tripartita, con l’idea dell’im-posta della cupola ogivale ottagona (di brunelleschiana memoria) su quattropilastroni polilobati, da lui realizzata sino alla cornice corrente interna condoppio filare fogliato; il corpo presbiteriale sopraelevato e quasi terrazzato,col trittico absidale poligonale; quindi forse l’ideazione (se non l’esecuzione,attribuibile invece a Niccolò Fiorentino) della splendida soluzione delle vol-te di copertura delle tre navate, centinate in lastre di pietra curva a vista, abil-mente incastonate senza malta. Quindi, sul lato absidale meridionale dellaCattedrale, egli realizzò ingegnosamente (data la sensibile inclinazione delterreno) la Sagrestia parallelepipeda col sottoposto accesso allo splendido

14. Giorgio di Matteo, pilone absidalenord, fregio a festoni ed eroti. Sebeni-co, Cattedrale di San Giacomo.

19GIORGIO DI MATTEO DA SEBENICO E IL “RINASCIMENTO ALTERNATIVO” NEL ’400 ADRIATICO

Battistero, a pianta circolare quadricora, con volta a cuffie conchigliate dallaricchissima decorazione scultorea. La facciata trilobata, secondo la consuetu-dine veneziana, denuncia il profilo interno delle tre navate centinate. Sor-prende inoltre l’uso del materiale unico strutturale e decorativo (salvo nellaSacrestia), realizzato completamente in calcare dalle cave di Brazzà e di Cur-zola, delle quali Giorgio mantenne la concessione di sfruttamento d’uso perquasi tutte le sue architetture. Tale soluzione materica fa corrispondere so-stanzialmente lo spazio interno al volume esterno del tempio.Anche qui, come in molti altri famosi artisti dalmati del Quattrocento, risal-ta la già citata incombenza culturale dei moduli spaziali desunti dall’osser-vazione diretta dei monumenti romani dell’Illiria. Ma Giorgio ne derivò ri-petutamente anche modelli più strettamente decorativi e figurativi per lesue sculture: come per le ghirlande fitomorfe, per i putti porta festone, le co-lonne scannellate e tortili, da lui diffusi in molte delle sue opere. Come d’al-tro canto derivò l’uso dei conchiglioni absidali dalla tradizione paleocristia-na, anche musiva, osservata nella sua terra (e si veda a riferimento il mosai-co del pavimento absidale destro nella Basilica Eufrasiana di Parenzo), sen-za preconcetto di affiancarli a motivi tipicamente tardogotici, come nelle ar-cheggiature polilobate. Una personalità curiosa e attenta, quindi, quanto li-bera e personalissima nelle scelte di assemblaggio dei modelli: probabilmen-te mai un seguace bensì un artista dalla autonoma creatività.Nei suoi cantieri Giorgio ebbe almeno tre validi collaboratori di alto livello. Ilpiù significativo fu certamente il fiorentino Niccolò di Giovanni Cocari (?),detto Niccolò Fiorentino (Grassina di Bagno a Ripoli, 1418 - Sebenico, 1507),probabile discepolo di Donatello a Padova; un artista che proseguirà il magi-stero di Giorgio nella cattedrale sebenicense a partire dal 1475. Niccolò, fu unadelle personalità artistiche più interessanti operanti in Dalmazia nella secon-da metà del XV secolo, almeno dal 1464, da quando cioè il suo nome appareper la prima volta nei documenti come presente a Sebenico (cfr. Hlje, 2002), si-no alla sua morte. Egli, ispirandosi probabilmente alla cerchia di Michelozzo,evidenzia più degli altri due, immergendosi nella contesa epocale della tran-sizione dei linguaggi, di essere in grado di esplicare con un piglio più spicca-tamente rinascimentale le sue commesse architettoniche. Ciò almeno dopo ilsuo exploit artistico nel cenotafio Foscari in Santa Maria Gloriosa dei Frari a Ve-nezia (post 1457), quindi in Dalmazia, nel suo capolavoro della Cappella del

15. Andrea Alessi, fregio a festoni ederoti (1466-67). Traù (Trogir), Cattedra-le di San Lorenzo, Battistero.

20 CRITICA D’ARTE

Beato Giovanni Orsini (contratto del 4 gennaio 1468), collegata alla cattedraledi San Lorenzo a Traù: dove struttura tettonica e decorazione scultorea si mo-strano chiaramente in un contesto integrato di elegante armonia rinascimen-tale. Nelle Marche andrebbe attribuita a lui la statua di San Nicola nel Cappel-lone della Basilica del Santo a Tolentino, e verosimilmente anche la sottostan-te arca marmorea, di gusto albertiano, che tanto ricorda la Tomba Giustinianiin Sant’Andrea della Certosa a Venezia. Come accennato, Giovanni successedi fatto alla conduzione del cantiere della cattedrale sebenicense a Giorgio daSebenico (morto nel 1473) come capomastro della fabbrica. È oramai certo chevadano riferite alla sua guida le soluzioni architettoniche e strutturali chemaggiormente si collegano, nella cattedrale di San Giacomo, al gusto brunel-leschiano della modularità compositiva e della nitidezza degli ordini architet-

16. Navata, volta e tamburo. Sebenico,Cattedrale di San Giacomo.

21GIORGIO DI MATTEO DA SEBENICO E IL “RINASCIMENTO ALTERNATIVO” NEL ’400 ADRIATICO

tonici. In particolare, sembrano oggi riferibili a lui (secondo Štefanac, 1993) ilsistema della copertura delle volte in lastre lapidee e la cupola, che corrispon-derebbe al medesimo sistema della copertura da lui realizzata nella scarsellaabsidale della chiesa di Santa Maria di Valverde a Sebenico (1502-06); mentrealtri (Markovic , 2008) attribuisce specificatamente all’opera di Niccolò tuttoquanto fu realizzato al di sopra del cornicione (incluso) sovrastante l’arco conla scultura di San Girolamo. Queste recenti precisazioni sull’opera di Niccolònella cattedrale sebenicense fanno chiarezza dei possibili dubbi su una tardi-va conversione di Giorgio di Matteo ai pieni moduli classici rinascimentali,che appaiono evidenti nei volumi absidali superiori della chiesa e in evidentecontrasto coi modi tardogotici nelle parti certamente curate da lui, modi que-sti cui invece rimase pervicacemente fedele sino alla sua morte.L’altro discepolo di Giorgio, Andrea Alessi da Durazzo (Lehza,1425 - Sebe-nico,1505), a differenza di Niccolò, fu certamente allievo di Giorgio, data an-che la sua giovane età quando viene citato, per la prima volta, nei suoi can-tieri. Collaborò con Niccolò Fiorentino nel portale della chiesa agostiniana diSanta Maria a Mare nell’isola di San Nicola nelle Tremiti (1474) e nella cita-ta Cappella del beato Giovanni Orsini nella cattedrale di San Lorenzo a Traù(dal 1468); lo troviamo anche citato (1452) nel cantiere della Loggia d’Anco-

17. Cappella del Beato Orsini (architet-tura di Niccolò di Giovanni Fiorentinoe Andrea Alessi,1468-72; statue di Nic-colò di Giovanni, 1482-89). Traù (Tro-gir), Cattedrale di San Lorenzo.

22 CRITICA D’ARTE

na a collaborare con Giorgio nell’esecuzione scultorea della facciata. L’Ales-si appare un valido esecutore di idee da altri concepite, nelle quali appare ar-duo identificare l’individualità creativa.Del terzo collaboratore, Giovanni Pribislavic da Sebenico, conosciamo la suarinuncia al contratto che lo legava al cantiere sebenicense (ottobre 1457) perottemperare ai pressanti impegni contratti con Giorgio per l’esecuzione delportale anconitano di San Francesco delle Scale, confermandoci così l’entitànon indifferente del suo contributo alla chiesa minorita di Ancona.Possiamo tuttavia osservare – mitigato sotto parvenze di scelte formali chesembrano ancora appartenere, nei dettagli decorativi, al naturalismo e al pit-toresco tardogotico come all’espressionismo medievale delle anatomie scul-toree – il covare in Giorgio di Matteo, almeno nei modi, un vigore creativo einterdisciplinare tipico dell’artista del Rinascimento, con una malcelata pre-disposizione a cogliere i valori di grandiosità monumentale dall’arte classi-ca e diffonderli nella sua opera con rara e spregiudicata capacità di sintesicompositiva. Progettista di monumentali spazialità nell’architettura religio-sa col suo capolavoro della cattedrale sebenicense, egli realizzò “moderni”piani urbanistici nella città nuova dell’isola di Pago (1443) contemperando irazionali criteri distributivi della “città ideale” classica con gli aggiornati cri-teri poliorcetici (torri poligonali) della difesa militare antibalistica; edificòcapolavori di architettura civile come nel restauro del Palazzo dei Rettori aRagusa (1464), con Michelozzo; sempre a Ragusa progettò massive ed effica-ci opere di architettura militare (mura, Torre Minceta, Torre di Santa Cateri-na, porta della Ponta). Giorgio anticipò peraltro – con la sua attività di for-nitore di pietra da cava, specialmente da Brazzà, e di oculato appaltatore ge-nerale di vasti cantieri – la figura di architetto-imprenditore che verrà poi ca-nonizzato successivamente dalla famiglia dei Sangallo. Egli svolse anche si-gnificative missioni di uditore diplomatico presso il papa Paolo II (1470), de-notando indubbie doti dialettiche e diplomatiche. Inoltre, come notato, pro-gettava per mezzo di modelli, come ad esempio in quello di terracotta per laSagrestia della cattedrale sebenicense (forma de creta, aprile 1452). Tutte que-ste caratteristiche si possono a buon titolo ascrivere alla sensibilità tipica del-l’architetto rinascimentale. Nello sforzo di elaborazione di un nuovo lin-guaggio in un’epoca di transizione espressiva egli incarnò meglio e più di al-tri, nella sua stessa biografia umana e professionale l’ipotesi di questo scrit-to: l’esistenza cioè di una particolare sfumatura linguistica, a cavallo fra lametà e il terzo quarto del XV secolo – sinora non chiaramente delineata dal-la critica architettonica – che incuneandosi fra Tardogotico e proto Rinasci-mento sfugge a entrambi i due attuali termini classificatori: essa va circo-scritta geograficamente fra gli autonomi poli formativi della Dalmazia, diVenezia e delle Marche (o comunque della costa adriatica), e può esistere sol-tanto in presenza congiunta e inscindibile delle tre locali esperienze cultura-li e operative; quindi, se pur ristrette numericamente a poche figure e opereesemplari, tuttavia queste appaiono ben delineate, individuabili e significa-tive. È questa una particolare sfumatura linguistica che potremmo definirecome una sorta di “Rinascimento alternativo”, all’interno della tematicaumanistica e di una specifica cultura architettonica adriatica.

Non si può negare che le opere realizzate in Ancona da Giorgio di Matteovengano a costituire un capitolo a parte nel contesto della sua attività artisti-ca. Una sorta di seconda età creativa nella quale, in parte, possiamo assiste-re a un ritorno al gusto gotico veneziano, dove viene quasi totalmente elusoogni riferimento alla struttura tettonica degli ordini classici come anche allapurezza della ordinata decorazione di gusto rinascimentale. La stessa com-posizione delle sue tre principali opere in Ancona: La Loggia dei Mercanti,la Chiesa di San Francesco delle Scale e il portale della Chiesa di San Agosti-no, ci riporta agli impianti e alle strumentazioni compositive del tardo goti-

23GIORGIO DI MATTEO DA SEBENICO E IL “RINASCIMENTO ALTERNATIVO” NEL ’400 ADRIATICO

co veneziano, con la sua tripartizione verticalizzante, con l’uso affiancato deipilieri edicolati con statue, i pinnacoli e le guglie medievali, con gli exploitsdei pannelli scultorei a basso od altorilievo incastonati fra un armamentariofantastico di invenzioni plastiche fitomorfe, alle profonde strombature ina-nellate nelle ogive delle porte, sino alle bifore ricamate con gli oculi lobati eai baldacchini pensili.È come se la committenza di Ancona, a distanza di un braccio di mare dalla suaterra, avesse liberato la profonda e autentica natura del Maestro, ne avesse sca-tenato il naturale estro agitato, reso il suo già forte temperamento più sicuro,lontano com’era dal peso morale, impostogli dai Procuratori della Fabbriceriadella Cattedrale di San Giacomo a Sebenico e dal Vescovo, di creare continua-mente un’opera artisticamente nuova, competitiva in quanto “modernamente”aggiornata. E – cercando timidamente di entrare nella psicologia di un grandeartigiano-imprenditore della prima metà del XV secolo formatosi in Dalmaziae nella conservatrice Venezia – possiamo credere che verosimilmente “qualità”

18. Nicolò di Giovanni Fiorentino, Ar-ca di San Nicola (1474). Tolentino, Ba-silica di San Nicola.

per Giorgio significasse forse anche e soprattutto: ricchezza decorativa, varietàdi invenzioni formali e plastiche, tempi di lavorazione e quantità di pietra scol-pita. Forse per lui – che appaltava ma si obbligava anche a scolpire con le suemani – erano questi valori ben più tangibili e soppesabili, molto più che un pro-grammatico “progetto culturale”, che una cristallina “purezza ideologica”, cheuna esibizione snobistica di un aggiornamento stilistico che in realtà solo raricircoli di raffinati connaisseurs delle rare metropoli italiche avrebbero potuto ap-prezzare. Sembra una storia contemporanea ma, a mio avviso, questa potreb-be essere la corretta chiave di lettura della sensibile mutazione artistica di Gior-gio affermata palesemente dai suoi capolavori anconitani, al punto tale da po-ter parlare di una “stagione anconitana” nel catalogo della sua opera. Ad An-cona Giorgio ripropone la sua libertà creativa, la sua crivellesca tensione moto-ria nell’anatomia vivace delle sue statue, e anche la sua scanzonata ironia conle probabilmente realistiche pròtomi sebenicensi riproposte anche qui nel SanFrancesco delle Scale. Così piaceva verosimilmente alla sua committenza civi-le e religiosa, perché questo era ancora il gusto diffuso nella stragrande mag-gioranza delle città italiche del Quattrocento.

Giorgio di Matteo giunse in Ancona negli anni della migliore fortuna com-merciale di quel porto, gli ultimi prima che la caduta di Costantinopoli (29maggio 1453) facesse sentire gli effetti della sua negativa onda lunga suicommerci con l’oriente mediterraneo. Lo chiamò qui il nobile anconitanoDionisio Benincasa – il più facoltoso armatore adriatico fuori Venezia – im-portante al punto di avere l’aggregazione anche a quella cittadinanza graziealla sua positiva attività diplomatica fra i due scali commerciali concorrenti.Sebbene il nome dei Benincasa fosse già parte del ceto influente della cittàdal XIV secolo, è con Dionisio che vengono fondate le grandi fortune finan-ziarie e commerciali della famiglia. Questi, nato agli inizi del XV secolo, pos-sedeva la più importante flotta del porto dorico e anche la nave più grande(“la grande nave nova”) che nel 1430 veniva stimata – prima tra tutte in Do-gana – ben 2.000 scudi. Nel 1440 era stato nominato, dal papa veneziano Eu-genio IV Condulmer, Generale delle Armi pontificie; nel 1449 compare comefiduciario del Banco dei Medici in Ancona; nel 1458 è inviato come amba-sciatore presso Francesco Sforza. Per i servigi presumibilmente da lui resinel miglioramento dei rapporti diplomatici fra Ancona e la Serenissima, ilDoge Francesco Foscari concesse quindi a Dionisio, nel 1446, l’aggregazionealla cittadinanza veneziana; concessione importantissima per la sua attivitàpoiché gli permetteva non solo di svolgere la mercatura nel territorio vene-ziano metropolitano e di terraferma con gli stessi diritti dei cittadini della Se-renissima ma anche di navigare i porti veneziani senza pagare i dazi normal-mente dovuti dai commercianti forestieri.Non sembra difficile ipotizzare che Dionisio Benincasa, in quella occasione,possa essere entrato in contatto personale col grande artista croato, o alme-no averne raccolto la fama già ampiamente consolidata sia coi suoi lavori aVenezia nella Porta dogale e in quella della Scuola di San Marco, sia soprat-tutto a Sebenico dove era stato chiamato per il completamento della Catte-drale. Un incarico, questo, preminente nella sua carriera artistica: così im-portante da lasciare il segno nel suo stesso nome quando lui – zaratino di na-scita – venne d’allora detto “da Sebenico”. È noto poi che, proprio nel 1446,interrotto momentaneamente il vasto cantiere sebenicense, forse a causa del-l’insorgere della peste, fu concesso a Giorgio di tornare a soggiornare a Ve-nezia presso la propria famiglia, aumentando così le possibilità di un suocontatto diretto con Dionisio Benincasa. Sta di fatto che Giorgio giunse in Ancona, chiamatovi dal Benincasa per riu-nificare architettonicamente le facciate delle proprietà immobiliari che la ric-ca famiglia anconitana andava acquistando sulla Via della Loggia (allora“Via Grande”), sul lato occidentale della strada, nel tratto compreso tra il

CRITICA D’ARTE24

Fondaco della Dogana comunale e il sedime dove poi sorgerà il PalazzoTrionfi. Ciò stando alla nota cronaca del Bernabei che così recita: “…nel 1450vel quasi, acapitò in Ancona un degnissimo maestro tagliapietre per nomemaestro Giorgio de Sebenico. Questo lavorando le facciate de Dioniso vici-no ad essa Logia…da sé medesimo pensò fabbricare la facciata de la Logiasì per volontà de honore, como per cupidità de guadagno”. Ora risulta dif-ficile discernere quale fu l’effettiva opera di Giorgio nel palazzo dei Benin-casa, poiché le sopraelevazioni e i rimaneggiamenti subìti nei secoli – sino airecenti rifacimenti stilistici nelle finte finestre gotiche creati dall’architettoGuido Cirilli nei restauri del 1926-28 per l’Istituto Nazionale delle Assicura-zioni (che ne era allora proprietario) – lasciano poco spazio alle ipotesi. So-no però convinto che a lui vada assegnato almeno il bello stemma lapideo, a

GIORGIO DI MATTEO DA SEBENICO E IL “RINASCIMENTO ALTERNATIVO” NEL ’400 ADRIATICO 25

19. Facciata della Loggia dei Mercantidopo i restauri (2003). Ancona.

26 CRITICA D’ARTE

cornice dalmata dentellata con la fiammeggiante arme dei Benincasa,tutt’oggi incastonato nella parete principale. Mentre possiamo intuire unruolo “tecnico-commerciale” svolto dal Maestro come appaltatore delle va-ste forniture di pietra d’Istria per quel lungo prospetto basamentale ad archiogivali, ruolo che egli peraltro svolgerà frequentemente in area adriatica, co-me per il cantiere del Tempio Malatestiano a Rimini (1451) e forse anche perFederico di Montefeltro a Gubbio e a Urbino (1466). La Loggia dei Mercanti doveva esser rimasta allo stato di rustica muratura,dopo i lavori iniziati già nel 1392 su delibera del Consiglio Comunale: “... su-per constructione Lodii dicto Comunis fienda iuxta Palatium Fundaci dicti Comu-nis...” , e portati sino alla copertura del tetto dal maestro Giovanni Pace det-to il Sodo, dal 1443 in poi. Non sappiamo se la vecchia Loggia avesse o me-no una precedente facciata architettonica, rimane il dubbio che le due colon-ne già lavorate “... quale hora se trovano in la dicta logia...” – che, come in-dicato nel contratto dell’ottobre 1451, non dovevano essere computate nel la-voro di Giorgio (e che presumiamo scolpite già a tortiglione ma senza basi ecapitelli) – fossero già parte prevista della precedente facciata, verosimil-mente rimasta interrotta. Fu lo stesso Dionisio Benincasa a sottoporre al giudizio degli Anziani di An-cona il disegno per la facciata della Loggia realizzato da Giorgio e a tutti par-ve molto bello, come ci informa il citato Bernabei, ma le casse comunali nonavevano fondi sufficienti per tale ingente opera pubblica, quindi dovette ga-rantire il finanziamento fideiussorio lo stesso Dionisio e altri facoltosi mer-canti cittadini, i quali si rivalsero del loro credito in rate detratte sulle impo-ste da loro dovute alla Dogana comunale. La convenzione di allogazionedell’opera fu deliberata nella seduta del Consiglio del 22 ottobre 1451, evi-dentemente in assenza di Giorgio, se Dionisio dovette garantire (sotto penadi 100 ducati) che l’artista sarebbe venuto a sottoscrivere il contratto soltan-to entro dicembre di quell’anno. Il compenso di 900 ducati oro fu il più altospuntato da Giorgio per opere in Ancona e anche evidentemente il più van-taggioso, se si confronta con quanto egli riuscì a ottenere per la facciata delSan Francesco delle Scale (660 ducati) e per quella del San Agostino (650 du-cati), opere che non richiesero certo un minor volume di materiale lapideoné un minore impegno scultoreo. II divario fra il costo della Loggia e i sus-seguenti incarichi anconitani fu determinato verosimilmente dal sovraccari-co dei costi generali di impianto della sua attività in Ancona i quali, nei can-tieri successivi, vennero ammortizzati nel tempo e col lavoro. Con un congruo anticipo di 200 ducati, Giorgio si impegnò a mettere in esseretutta la organizzazione necessaria al cantiere, avendo come prima scadenzacontrattuale quella di portare avanti la facciata sino ai parapetti dei balconi en-tro dodici mesi dall’inizio dei lavori. Già nell’aprile del 1452 egli stipula a Se-benico un subappalto col migliore dei suoi collaboratori: Andrea di NicolaAlessi da Durazzo, per l’esecuzione di una buona parte delle opere scultoree,fra cui l’Alessi si impegnava a lavorare le basi e i pulchriores capitelli delle quat-tro colonne tortili che sorreggono l’architrave fogliato del primo ordine dellaLoggia, con la precisa prescrizione che vengano eseguiti a modello di quelli giàeseguiti da Giorgio nel 1444 per le cappelle del San Francesco a Zara e che ave-vano riscosso un evidente successo. Andrea dovrà curare la finitura delle quat-tro statue iscritte nelle edicole dei pilieri, che Giorgio fornirà già sbozzate, oltreall’architrave fogliato corrente del primo ordine e quello di coronamento allagronda; inoltre: le finestre bifore traforate, gli archivolti delle tre porte al pianoterra (che oggi vediamo modificate su disegno manierista del Tibaldi) e il coro-namento dei quattro pilieri. Andrea dovrà predisporre i lavori a Brazzà (oggiBrac), dove Giorgio gestiva la concessione di una “petrera” di buon calcare sindal suo incarico per la Curia sebenicense. Il termine previsto per la consegnaera fissato entro la fine dell’anno, per le parti scolpite fino al cominciare del pri-mo ordine, ed entro due anni dal contratto per il completamento.

27GIORGIO DI MATTEO DA SEBENICO E IL “RINASCIMENTO ALTERNATIVO” NEL ’400 ADRIATICO

La concezione complessiva della Loggia dei Mercanti viene affrontata daGiorgio sulla scorta di un programma iconografico mutuato dalle sue espe-rienze veneziane e in particolare sul tema delle Virtù, già sperimentato nel-la Porta della Carta, alla cui realizzazione egli aveva partecipato direttamen-te, pur se la critica non ne ha ancora definitivamente puntualizzato il suo ap-porto. II tema delle Virtù, ben si adattava a una tipologia architettonica so-stanzialmente “laica” come quella di una Loggia per la mercatura, quindiGiorgio pensò bene di inserire nelle quattro edicole dei pilieri, che ripartisco-no la facciata, le quattro virtù che ben si addicono a un buon mercante cri-stiano. Quindi “... li idoli scultati de statura de homo...” prenderanno le for-me simboliche della Speranza (l’ancora), della Fortezza (la colonna), dellaGiustizia (la bilancia metallica oggi perduta) e, ultima a destra, della carno-samente nuda Carità, alla quale si abbrancano affamati cinque impertinentiputtini alati. Certamente quest’ultima, la più famosa e ammirata, risulta an-che la statua meglio riuscita delle quattro, grazie anche alla sua tipologiasculturale classica, che qui richiama da vicino il modello più noto del Quat-trocento: la “Rea Silvia” realizzata nel 1419 da Jacopo della Quercia, anch’es-sa a grandezza naturale, per il suo capolavoro della Fonte Gaia a Siena. La solida ripartizione architettonica data da Giorgio di Matteo alla Loggiaanconitana, giocata su proporzioni tranquille e meditate, trova slancio nelcoronamento dal quale svettano le quattro cuspidi esagonali oltre il colmodel tetto, le quali – oltre a una implicita funzione compositiva – svolgono inrealtà un meno evidente compito statico, contribuendo con il loro peso a ca-ricare verticalmente le esili spalle delle doppie bifore della Loggia contra-

20. Statua della Carità. Ancona, Loggiadei Mercanti. 21. Statua di Santa Chiara. Ancona,San Francesco delle Scale.

28 CRITICA D’ARTE

standone le spinte orizzontali, costituendo questo un caratteristico espedien-te costruttivo dell’architettura gotica. Notevole, infine, l’intervento – che presumo anch’esso di mano diretta delMaestro – sul pannello centrale della Loggia, dove si impenna terribile e ag-gressivo il cavaliere armato in atto di colpire con “un sopramano di punta”,come ben specificava l’esperto architetto anconitano Giacomo Fontana nellasua nota Relazione a Sisto V del 1588. Questo cavaliere rappresenta il simbo-lo della città dorica e della sua libertà comunale e come tale fu risparmiatodalla martellatura alla quale le truppe napoleoniche occupanti sottoposerotutte le insegne papaline in città alla fine del XVIII secolo.Visto il buon esito della committenza laica per la Loggia di Mercanti, anchela locale comunità religiosa volle fregiarsi dell’opera dell’illustre scultore earchitetto, la cui fama rimbalzava dalla opposta sponda, dal grande cantie-re della Cattedrale sebenicense. I Frati Minori Conventuali lo incaricaronoquindi della realizzazione della facciata della loro trecentesca chiesa anconi-tana di Santa Maria Maggiore, che prenderà da allora il nuovo titolo di SanFrancesco delle Scale. A fornire spunto di questo epiteto toponomastico fuproprio l’inter vento di Giorgio di Matteo che si collocò subito a scala urba-nistica e comunque di arredo urbano, grazie alla ampia scalea monumenta-le a gradini arrotondati che doveva raccordare le quote del sagrato con lasottostante e tangente via del Comune (oggi via Pizzecolli). Vividamente erealisticamente scolpita nel marmo stesso degli ultimi gradini, Giorgio poseuna figura distesa di un religioso nell’atto di rimirare l’opera grandiosa dalui fatta erigere (ma forse si trattava solo di una lastra tombale di recupero).Purtroppo quest’opera, assieme alla lunga scalinata di accesso, fu demolitadall’Ufficio Tecnico Comunale nel primo ventennio del XIX secolo, lascian-doci l’attuale tronca sistemazione che deteriora non poco la visuale del por-tale della chiesa. Non si è potuto sfortunatamente rintracciare l’atto origina-rio di allogazione di quest’opera a Giorgio, ma di questo lavoro si parlaesplicitamente in un compromesso del 6 dicembre 1458, rogato fra Giorgio ei commis sari sovrintendenti dell’opera congiuntamente ai frati committenti,per una controversia sui pagamenti poi vinta dall’artista. II cronista anconi-tano Lando Ferretti riporta che: “..nell’anno 1455... la chiesa di San France-sco delle Scale... fu adornata dalla nobile e dignissima porta composta dimarmi preciosissimi”, anticipando così almeno a quell’anno, se non al pre-cedente, la data del contratto. Esistono anche documenti di patti di subap-palto stipulati tra Giorgio e suoi lavoranti nelle cave di Brazzà (particolar-mente col lapicìda Giovanni Pribislavic da Sebenico) per forniture di gradi-ni in pietra e per un non meglio specificato lavoro di sgrossamento di una“cappa”, che potrebbe essere identificata nel superiore baldacchino del por-tale che protegge il bassorilievo francescano. Questa opera è senza dubbio,tra quelle anconitane, quella che più di ogni altra presenta i tratti caratteri-stici dell’arte del Maestro: diretto è il riferimento nell’impianto architettoni-co alla Porta della Carta di Venezia: il portale centrale con la cornice rettan-golare si impone come a Venezia nel primo ordine compositivo, che viene ri-partito da quello superiore da una ricca cornice doppia mente fogliata su cuisi basa la lunetta a volta gotica col bassorilievo delle Stimmate di San Fran-cesco. L’intero portale, come a Venezia, è inquadrato da due alti pilieri late-rali che contengono le edicole con le quattro statue dei santi (Santa Chiara,San Bernardino, Sant’Antonio da Padova e San Ludovico di Tolosa, dal bas-so in alto e da sinistra a destra). È il trionfo del gotico fiorito, realizzato inuna mirabile e unica soluzione integrativa tra struttura architettonica e de-corazio ni scultoree, che fissa la data definitiva di un’epoca artistica medie-vale, siglata dal genio originale e conclusivo di Giorgio di Matteo, oltre laquale bisogna guardare ai nuovi modelli rinascimentali desunti dalla risco-perta dell’antico. Originariamente il coronamento della facciata – più bassodell’attuale sproporzionamento settecentesco – era concluso da una cimasa

29GIORGIO DI MATTEO DA SEBENICO E IL “RINASCIMENTO ALTERNATIVO” NEL ’400 ADRIATICO

22. Fregio fitomorfo e protomi. Anco-na, San Francesco delle Scale.

polilobàta e mistilinea, nella più consolidata tradizione veneziana che ri-manda ai modelli della Scuola Vecchia di Santa Maria della Misericordia e diSant’Apollinare, o anche alla distrutta facciata del duomo vecchio di Manto-va, già opera di Jacobello e Pier Paolo delle Masegne. Una estrema testimonianza della spregiudicata personalità artistica del Mae-stro croato ci viene dalla sua ultima opera anconitana: il portale di Sant’A-gostino. Lo strumento di allogazione per il rinnovo delle facciate dell’anticaChiesa di Santa Maria del Popolo, risalente al 1338, stipulato fra Giorgio diMatteo e i Frati Agostiniani, è fissato al 28 giugno 1460 e prevedeva un com-penso di 650 ducati d’oro, dei quali 350 pagabili in monete e 300 con la ces-sione di una casa di corrispondente valore. II contratto stabiliva il termine

30 CRITICA D’ARTE

per il completamento della porta in tre anni dalla stipula, prescrivendo chele dimensioni dovessero seguire in larghezza quelle della Chiesa di SanFrancesco delle Scale “...latitudinis ad mensural porta Ecclesia sancti Francisci descalio de Ancona... “, e in altezza giungesse “...usque ad oculum magnum existen-tem in faccie dicta Ecclesia usque ad partem subtaneam dicti oculi.”, fornendocicosi una parziale ma interessante descrizione della preesistente chiesa tre-centesca.Per i colti frati Agostiniani Giorgio aggiorna in parte il suo repertorio goticoveneziano personalmente interpretato, collocando questo suo capolavoro inuna fase finale del suo percorso artistico, caratterizzato qui da un larvato ten-tativo di accogliere nuovamente moduli rinascimentali nel generale schemacompositivo gotico. Anche se non si può dimenticare che – dopo la sua morte– il lavoro della porta fu terminato per opera di lapicìdi di scuola padana cheavevano lavorato a contatto con maestri del Rinascimento, come Francesco diGiorgio nel Palazzo della Signoria di Jesi e in quello del Governo di Ancona. Idue artisti, cui fu allogata (per 250 ducati d’oro dall’agosto del 1493) la conti-nuazione del lavoro di Giorgio, da terminare entro dodici mesi e mezzo, era-no Michele di Giovanni da Milano e Giovanni Veneto, definiti nel documento“ famosissimi lapicidine…”, probabilmente resi noti dai prestigiosi lavori che hosopra citato; a essi fu commissionato circa un terzo della facciata: che eraquanto di incompiuto vi rimaneva. È da sottolineare però che a questi lapici-di si prescriveva di eseguire i completamenti “…sequendo principium et compo-sitionem factam per olim Magistrum Georgium…”, quindi non molto spazio ve-niva lasciato – giustamente – alla loro possibile interpretazione del disegnocompositivo originario del Maestro: “ …designata in quodam carta membranasubscripta”, ossia il progetto su pergamena vistato dal committente, cioè i fra-ti eremitani, ed evidentemente ancora in loro possesso. In effetti solo un occhioallenato e vicino può identificare oggi le parti scolpite da Michele e Giovannida quelle di Giorgio, mentre il loro intervento creativo può con certezza esse-re individuato nelle paraste esterne, su tre ordini, che affiancano i due pilastrirudentati dove, nelle candelabre, appaiono motivi decora tivi oramai moltolontani da quelli di Giorgio, e vicini più al gusto padano e urbinate che ritro-viamo in altri interventi di Michele e di Giovanni a Jesi e ad Ancona. Le quat-tro statue di Santi a tutto tondo, incorniciate nelle edicole sovrapposte dei duepilieri laterali, furono tutte impostate e abbozzate da Giorgio di Matteo – e losi può notare dalla caratteristica plastica torsione del busto della Santa Moni-ca – il quale riuscì anche a portare a finitura i corpi ma non le teste delle duefigure superiori: il Beato Agostino Trionfi a destra e il San Simpliciano a sini-stra. Mentre le due figure inferiori, la Santa Monica e il San Nicola da Tolenti-no, furono rifinite dai due lapicìdi padani con una lavorazione quasi incisoriache fa rimpiangere il plastico scalpello di Giorgio di Matteo. Sopra il corona-mento del baldacchino di Sant’Agostino la quinta teatrale si raccoglie annoda-ta sotto un festone arboreo su cui fiammeggiano sei larghe foglie d’acanto, checi ricordano la soluzione veneziana del portale di Santa Maria dell’Orto.La figura del Padre Eterno rector mundi, che oggi vediamo gal leggiare sgra-ziatamente al centro dell’oculo terminale a festone arbo reo, era originaria-mente posta non all’interno ma a coronamento dell’oculo. Il coronamentodell’antica facciata era mistilineo e, nell’intervento di ristrutturazione delVanvitelli nel 1750, venne sostituito il rosone medioevale con un finestronebarocco. La struttura della facciata venne infine completamente stravoltadopo il 1860, quando il tempio fu annesso al Demanio statale e ridotto a ca-serma. Fu allora che il portale di Giorgio di Matteo venne isolato dal suocontesto artistico, smontato nella sua parte superiore (con indegna prevari-cazione del monumento) per mere ragioni di ristrutturazione interna dell’e-dificio a usi militari, inquadrandolo incassato e decontestualizzato in un ba-nale bassofondo dall’anonimo bugnato ministeriale di stampo casermieroche a tutt’oggi lo umilia.

31GIORGIO DI MATTEO DA SEBENICO E IL “RINASCIMENTO ALTERNATIVO” NEL ’400 ADRIATICO

Nonostante le offese ricevute dal portale, la mano del Maestro croato risalta an-cora prepotentemente nella gran parte di questo estremo capolavoro del goticofiorito. Sarebbe sufficiente a siglarne la paternità l’accesa espressività della sce-na – quasi un tableau vivant – nella quale Sant’Agostino, ruotando drammatica-mente il busto contrapposto ai piedi puntati, come nella statua del Santo nellalunetta del portale principale della Scuola di San Marco a Venezia (che per alcu-ni allo stesso artista potrebbe essere ascritta), stringendo con la destra la perga-mena srotolata delle Sacre Scritture ed esponendo con la sinistra il libro della suaopera contro gli eretici, viene come a illuminarsi man mano che il sipario si al-za con inesorabile lentezza scenica – aiutato da due angeli laterali porta cortina,di classica postura – svelando la Verità Teologica, che sovrasta il panneggio dal-l’alto, annodandolo a sé. Basterebbe l’eccezionale vivezza realistica con cui que-

23. Portale della Chiesa di Sant’Agosti-no. Ancona.

32 CRITICA D’ARTE

sto grande artista riuscì a piegare il marmo al contenuto simbolico del racconto,certo imposto dal committente, per collocare la lunetta di Sant’ Agostino fra ipiù significativi ed emozionanti gruppi scultorei del proto Rinascimento e ricon-durre a sua totale paternità l’ultimo dei capolavori che il “conservatore” Gior-gio di Matteo da Sebenico lasciò in dono a questa città adriatica.

Bibliografia essenziale

Fonti manoscritteBernabei L., Chroneche Anconitane…, Ms. n. 235, Bibl. Com. An., (1492-97).Ferretti L., Dell’Istorie di Ancona Libri Dodeci, Ms. n. 239, Bibl. Com. An., (1532-57).Trascrizione di G. Pichi Tancredi (1667).Fontana G., A Sixto V. Pont. Max. La ristauratione del Porto de Ancona capo di Marca nelMare Adriatico, Ms. Cod. Vat. Lat. 13325, B.A.V. (1588-89).

Opere a stampaKukulijevic G., Matejevic Juraj, in «Slovnik Umjetnikah Jugoslavenskish», Zagreb 1859.Fosco A. G., La Cattedrale di Sebenico e Giorgio Dalmatico suo architetto (con osservazio-ni di Nicolò Tommaseo), Zara 1874.Spadolini E., La Loggia de’ Mercanti in Ancona, Porto Civitanova 1904.Venturi A., La scultura dalmata nel XV secolo, in «L’Arte», I, 1908.Frey D., Der Dom von Sebenico und sein Baumeister Giorgio Orsini, in «Jahrbuch desKunsthistorisches Institutes der K.K. Zentralkommission für Denkmalpflege», VII,Wien 1913.Folnesics H., Studien zur der Architektur Entwicklungsgeschichte und Plastik des XV.Jahrhunderts in Dalmatien, in «Jahrbuch des Kunsthistorischen Istitutes der K.K. Zen-tralkommission für Denkmalpflege», VIII, Wien 1914.

24. Angelo porta cortine. Ancona,Chiesa di Sant’Agostino.25. Statua di Sant’Agostino. Ancona,Chiesa di Sant’Agostino.

33GIORGIO DI MATTEO DA SEBENICO E IL “RINASCIMENTO ALTERNATIVO” NEL ’400 ADRIATICO

Kolendic P., Dokumenti o Andriji Alešiju u Trogiru, in «Arhiv za arbanašku starinu je-zig i arheoligiju», II, Beograd 1924, pp. 70-78.Praga G., Documenti su Giorgio da Sebenico, in «Archivio Storico per la Dalmazia»,LXXI, 1932.Dudan A., Giorgio di Sebenico, i Laurana di Zara e l’arte di Leon Battista Alberti, del Bra-mante e di Raffaello, in «Rivista dalmatica», 16 (1935).Zampetti P., Un artista dalmata del Quattrocento in Ancona: Giorgio da Sebenico, in «Levie d’Italia», 1948.Prijatelj K., Profilo di Giorgio Chulinovich, in «Arte Antica e Moderna», 1960.Fiškovic C., Juraj Dalmatinac, Zagreb, 1963.Fasolo V., Il contributo dei dalmati all’arte italiana: Giorgio Orsini da Sebenico, in «Atti eMemorie della Società Dalmata di Storia Patria», vol. V, Roma 1966, pp. 179-204.Keckemet D., L’influence directe de l’antiquité sur la sculpture de la Renaissance à Split,in «Bulletin du C.I.H.A.», 1969, 1, gennaio-giugno.Chiappini di Sorio I., Proposte e precisazioni per Giorgio da Sebenico, in «Notizie da Pa-lazzo Albani», 3, Urbino 1973.Zampetti P., Padova e Camerino: una congiuntura pittorica del secolo XV, Corso di ricer-ca, Università degli Studi di Urbino, A.A. 1976-77.Markham Schulz A., Niccolò di Giovanni and Venetian Sculpture of the early Renaissan-ce, New York State University Press for the College Art Association of America, 1978.Marasovic T., Diocletian’s palace, Beograd 1982.Fiškovic I., Jurai Dalmatinac u Anconi, in «Peristil», n. 27-28 (1984-1985), Zagreb, pp. 93-146.Mariano F., Architettura militare del Cinquecento in Ancona, Con la trascrizione del Cod.Vat. Lat. 13325 di Giacomo Fontana (1588-89), Urbino 1990.

26. Giorgio di Matteo, Altare di Sant’A-nastasio, scena della Flagellazione(1448). Spalato, Mausoleo (Cattedraledi San Doimo).

34 CRITICA D’ARTE

Mariano F., Il Palazzo del Governo di Ancona, Ancona 1990.Mariano F., Ricerche sui litotipi carbonatici nell’Architettura post-classica delle Marche conparticolare riguardo alla Pietra d’Istria, in Atti del Convegno di studi “La pietra nel-l’Architettura, Strutture e superfici”, (Bressanone 25-28 giugno 1991), Padova 1991,(con G. Cruciani Fabozzi e S. Vannucci)Mariano F., Giorgio di Matteo da Sebenico in Ancona, in: Graciotti, Massa, Pirani (a cu-ra di), Atti del Convegno “Marche e Dalmazia tra Umanesimo e Barocco” (Ancona-Osi-mo, maggio 1988), Reggio Emilia 1992.Štefanac S., Niccolò di Giovanni Fiorentino: il quarto garzone di Donatello?, in «Mitteilun-gen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz», XXXVII, H. 2/3, 1993, pp. 187-210.Prijatelj Pavcic I., Pokušaj identifikacije pojedinih glava Juraj Dalmatica na šibenskoj kate-drali, in «Journal of the Institut of History of Art», Zagreb 1994.Mariano F., La facciata di S. Agostino in Ancona e il suo restauro, in AA.VV., Atti delConvegno “Arte e Spiritualità negli Ordini Mendicanti, II”, Tolentino, Roma 1994.Mariano F., La stagione adriatica del Gotico fiorito, in F. Mariano, L’Architettura nelleMarche. Dall’Età classica al Liberty, Fiesole 1995, pp. 83-88.Štefanac S., Niccolò di Giovanni Fiorentino e l’arca di San Nicola a Tolentino, in «Quader-ni di ricerca storica», 1996, pp. 3-13.AA.VV. (a cura di Dempsey C.), Quattrocento Adriatico: Fifteenth-Century Art of theAdriatic Rim, (Atti del Colloquio, Firenze, 1994), Bologna 1996.Gurrieri F., Michelozzo, primo interprete della cultura brunelleschiana, in Michelozzo.Scultore e architetto (1396-1472) (a cura di G. Morolli), Atti del Convegno (Firenze, 2-5 ottobre 1996), Firenze 1998, pp. 17-20. Štefanac S., L’eredità michelozziana nell’architettura di Niccolò di Giovanni Fiorentino, inMichelozzo. Scultore e architetto (1396-1472) (a cura di G. Morolli), Atti del Convegno(Firenze, 2-5 ottobre 1996), Firenze 1998, pp.297-302. Mariano F., L’immagine della città fortificata nelle Marche del Crivelli e la Rocca di PortoS. Giorgio, in AA.VV., Il patrimonio disperso. Il “caso esemplare di Carlo Crivelli, (Attidelle Giornate di studio - Porto S. Giorgio, 9/11/96), Ripatransone (AP) 1999.Mariano F., Un monumento del Gotico adriatico. La Loggia dei Mercanti di Ancona tra sto-ria e restauro, in «Le Cento Città», n.11, Ancona 2000.Belamaric J., Kipovi s nepoznate kapele Nikole Firentinca u Šibeniku, in «Studije izsrednjoviekovne i renasansne umjetnosti na Jadranu», Spalato 2001, pp. 375-394.HIlje E., Nikola Firentinac u Šibeniku 1464, in «Radovi Instituta za povijest umijetno-sti», n.26, Zagreb 2002, pp.7-18.Mariano F., Le Chiese Agostiniane nelle Marche. Spiritualità, Arte Architettura, Milano 2003.Mariano F., La Loggia dei Mercanti in Ancona e l’opera di Giorgio di Matteo da Sebenico,Ancona 2003.Ivancevic R., Firenticeva katedrala i problem “medufaze”, in «Peristil», n. 46/2003, Za-greb 2004, pp. 49-58.Markham Schulz A., Niccolò di Giovanni Fiorentino e il portale di Santa Maria alle IsoleTremiti, in C. Gelao (a cura di), Scultura del Rinascimento in Puglia, Atti del convegnointernazionale, S. Spirito (BA) 2004, pp. 105 – 125.Markovic P., “Malipierova partija” i izgradnja svetišta šibenske katedrale (1461-1473) –po eci rene sanse u arhitekturi Dalmacij, in Markovi P., Gudelj J. (a cura di), Renesansai Renesanse u umjetnosti Hrvatske, Zagreb 2008, pp. 99-122.

Abstract

The Loggia dei Mercanti is the most significant civil building in Ancona, not just for itsintrinsic artistic value but also as a lay symbol of the successful mercantile activity thatcharacterized the history and development of the Dorian city. Its façade, decorated in the dis-tinctive style known as “Adriatic Gothic” and now restored, is one of the masterpieces of theCroatian sculptor and architect Giorgio di Matteo da Sebenico. His entire body of work is atestimony to just how variegated and complex and how little deterministic was the evolutiontoward what we call the “Renaissance” language, poised between a nascent and still unde-fined process of revival of classical models and the parallel persistence of a “romantically”Gothic sensitivity, out of choice and not cultural backwardness. This last is particularly dis-cernible in the taste of clients in regions not yet won over by the “enlightened” culture ofFlorence, such as Venice, Siena, Ancona and Dalmatia.


Recommended