+ All Categories
Home > Documents > Fattori climatici, sistema ambientale e scelte insediative: il caso di studio di Jure Vetere (S....

Fattori climatici, sistema ambientale e scelte insediative: il caso di studio di Jure Vetere (S....

Date post: 01-Dec-2023
Category:
Upload: unimore
View: 0 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
20
Fattori climatici, sistema ambientale e scelte insediative: il caso di studio di Jure Vetere (S. Giovanni in Fiore - CS) DIMITRIS ROUBIS, MAURIZIO LAZZARI, ANNA MARIA MERCURI Indagini archeologiche, metodologie di studio e contesto territoriale Nella Sila calabrese, a circa cinque chilometri da S. Giovanni in Fiore, è stato promosso, in località Jure Vetere, un programma di ricerche archeologiche che ha consentito di individuare la prima fondazione di un insediamento monastico voluto da Gioacchino da Fiore tra gli ultimi anni del XII secolo e i primi decenni del XIII. Il sito di Jure Vetere è ubicato in una vallata di estrema bellezza paesaggistica della Sila, a 1100 m di altitudine, caratterizzata da acque abbondanti e ricca vegetazione. La valle di Jure Vetere (tav. VII) nascosta fra le montagne, corrisponde a un bacino stretto e allungato, attraversato da corsi d’acqua perenni; al centro della valle si trova la piccola collina su cui insiste il sito archeologico che risulta delimitata a nord dal torrente Pino Bucato e a sud dal percorso del fiume Arvo. I rilievi montagnosi che cingono la zona di Jure Vetere sono coperti da un fitto manto boschivo in prevalenza costituito dal pino laricio. Sui pendii, a quote più basse (lato est valle e oltre), si riscontrano concentrazioni di alberi di quercia, salice e castagno. Erbacee infestanti sono presenti nei terreni privi di vegetazione ad alto fusto mentre nelle zone incolte in prossimità del sito ricorrono arbustive di vario genere. Nel XX secolo - e dunque in tempi recenti - alcuni terreni ubicati sulla collina e nelle immediate vicinanze sono stati coltivati ad uso foraggiero. In base alla lettura incrociata dei dati documentari e dei manufatti archeologici rinvenuti nella sequenza stratigrafica, è certo che le strutture rinvenute sul pianoro di Jure Vetere, relative ad un grande edificio religioso di cui sono state riconosciute due fasi costruttive, siano da mettere in relazione con la fondazione e la breve fase di frequentazione del protocenobio di Gioacchino da Fiore, avvenuta in questo luogo dell’altipiano silano inter frigidissimas alpes, come ricordato dalle fonti. Dall’analisi complessiva del manufatto, elaborata in cinque anni di ricerche (2001-2005) 1 , è apparso evidente come l’ubicazione delle strutture monastiche portate alla luce risponda in pieno ai requisiti 1 FONSECA, ROUBIS, SOGLIANI 2007.
Transcript

Fattori climatici, sistema ambientale e scelte insediative: il caso di studio di Jure Vetere (S. Giovanni in Fiore - CS) DIMITRIS ROUBIS, MAURIZIO LAZZARI, ANNA MARIA MERCURI

Indagini archeologiche, metodologie di studio e contesto territoriale

Nella Sila calabrese, a circa cinque chilometri da S. Giovanni in Fiore, è stato promosso, in località Jure Vetere, un programma di ricerche archeologiche che ha consentito di individuare la prima fondazione di un insediamento monastico voluto da Gioacchino da Fiore tra gli ultimi anni del XII secolo e i primi decenni del XIII. Il sito di Jure Vetere è ubicato in una vallata di estrema bellezza paesaggistica della Sila, a 1100 m di altitudine, caratterizzata da acque abbondanti e ricca vegetazione. La valle di Jure Vetere (tav. VII) nascosta fra le montagne, corrisponde a un bacino stretto e allungato, attraversato da corsi d’acqua perenni; al centro della valle si trova la piccola collina su cui insiste il sito archeologico che risulta delimitata a nord dal torrente Pino Bucato e a sud dal percorso del fiume Arvo. I rilievi montagnosi che cingono la zona di Jure Vetere sono coperti da un fitto manto boschivo in prevalenza costituito dal pino laricio. Sui pendii, a quote più basse (lato est valle e oltre), si riscontrano concentrazioni di alberi di quercia, salice e castagno. Erbacee infestanti sono presenti nei terreni privi di vegetazione ad alto fusto mentre nelle zone incolte in prossimità del sito ricorrono arbustive di vario genere. Nel XX secolo - e dunque in tempi recenti - alcuni terreni ubicati sulla collina e nelle immediate vicinanze sono stati coltivati ad uso foraggiero. In base alla lettura incrociata dei dati documentari e dei manufatti

archeologici rinvenuti nella sequenza stratigrafica, è certo che le strutture rinvenute sul pianoro di Jure Vetere, relative ad un grande edificio religioso di cui sono state riconosciute due fasi costruttive, siano da mettere in relazione con la fondazione e la breve fase di frequentazione del protocenobio di Gioacchino da Fiore, avvenuta in questo luogo dell’altipiano silano inter frigidissimas alpes, come ricordato dalle fonti. Dall’analisi complessiva del manufatto, elaborata in cinque anni di ricerche (2001-2005)1, è apparso evidente come l’ubicazione delle strutture monastiche portate alla luce risponda in pieno ai requisiti

1 FONSECA, ROUBIS, SOGLIANI 2007.

D. Roubis, M. Lazzari, A.M. Mercuri

118

standard per il consueto svolgimento della vita monastica: la vallata di Jure Vetere ben si adatta, dal punto di vista geomorfologico, all’impianto di un monastero per la vicinanza di corsi d’acqua perenni (fiume Arvo e suo affluente), per l’isolamento geografico, per l’areale a vocazione agro-pastorale e per l’abbondanza di aree boschive che consentivano l’approvvigionamento di legname per l’uso quotidiano, come combustibile e come materia prima per le attività edilizie. La periodizzazione dello scavo, unitamente al riconoscimento delle

singole attività2, ha fornito la sequenza cronologica della vita dell’insediamento, integrata da una serie di considerazioni sui diversi aspetti che hanno caratterizzato il territorio in esame nella diacronia. Il primo periodo cronologico (Periodo I), compreso tra l’ultimo decennio del XII sec. e il 1213/1214 circa, si riferisce alle fasi di 1) costruzione, frequentazione e 2) distruzione dell’intero primo edificio ecclesiastico (Corpo di Fabbrica 1: CF 1). Nel secondo periodo (Periodo 2), di breve durata e che non oltrepassa il secondo decennio del XIII sec., si inquadrano gli interventi di restauro, costruzione e frequentazione del secondo e ultimo edificio religioso (Corpo di Fabbrica 2: CF 2), nonché la definitiva dismissione del cantiere. Durante la fine del secondo Periodo hanno luogo, presumibilmente, il definitivo trasferimento della comunità monastica e l’abbandono del sito. È quindi tra il 1215-1216 e il 1220 che l’intera comunità florense cambia definitivamente sede spostandosi nel sito ove è ubicata attualmente l’Abbazia di S. Giovanni in Fiore, luogo senza dubbio più favorevole allo svolgimento della vita monastica. Va subito evidenziato che le indagini sul sito florense sono state

impostate utilizzando l’approccio multidisciplinare che caratterizza il filone di studi di “Archeologia dei paesaggi” (tav. VIII). Nell’ambito delle campagne di indagine condotte sul sito, gli “steps” seguiti sono stati, pertanto, i seguenti: 1) ricerche documentarie; 2) survey intensivo di tutto il territorio; 3) fotointerpretazione; 4) prospezioni georadar, geomagnetiche e/o geoelettriche; 5) scavo archeologico stratigrafico coadiuvato dalla flottazione ad acqua per il recupero dei resti vegetali nonché dallo studio delle caratteristiche strutturali e tipologiche delle unità stratigrafiche murarie e dalle analisi archeometriche e cronotipologiche sui materiali; 6) analisi del territorio limitrofo supportata da ricerche etnoarcheologiche, da cost surface analysis e da prelievi pollinici; è stato inoltre realizzato lo studio geologico e geomorfologico dell’area effettuando campionature con carotaggi finalizzate alla caratterizzazione dei suoli.

2 ROUBIS 2007a, p. 104 ss.

Fattore climatico, sistema ambientale e scelte insediative: il caso di Jure Vetere

119

L’archeologia del paesaggio del sito di Jure Vetere3, grazie all’integrazione dei dati storico-archeologici, etnoarcheologici, geologici e geopedologici, pollinici e botanici nonché archeometrici e di remote sensing, elaborati su base informatica, ha suggerito la costruzione di un modello insediativo, di tipo monastico, che è possibile declinare attraverso modalità specifiche di occupazione del suolo. La gestione informatizzata dei dati e le analisi eseguite utilizzando un sistema informativo GIS hanno dimostrato che, con il crescere della comunità, dovevano essere a disposizione della stessa due principali aree di reperimento delle materie primarie e secondarie necessarie alla vita nel monastero: un bacino interno funzionale allo sfruttamento totale intensivo delle risorse (percorribile in circa 20 minuti), un bacino esterno per le attività lavorative sussidiarie a carattere estensivo (percorribile in un lasso di tempo compreso tra 20 e 60 minuti). L’elaborazione nel GIS delle informazioni geografico-territoriali relative ai diversi tipi di suoli ha inoltre consentito di ipotizzare varie unità ambientali potenzialmente sfruttabili. Grazie a varie procedure informatiche abbiamo ottenuto un’area suddivisa in suoli agricoli, suoli adatti al pascolo di buona qualità o potenzialmente arabili, suoli idonei sia al pascolo che allo sfruttamento dei boschi e suoli non produttivi. Di particolare importanza per l’elaborazione dei dati nel GIS si è

rivelato lo studio condotto sul paleoambiente che circondava il monastero all’epoca della sua fondazione e durante le fasi temporali successive. Con i dati archeologici in nostro possesso è stata realizzata la ricostruzione virtuale del complesso ecclesiastico nel suo contesto paesaggistico4. In ossequio alla dimensione etica e civile di trasmissione della conoscenza, si è voluto affrontare il problema della divulgazione dei dati scaturiti dall’indagine archeologica (tav. IX, 1). La soluzione a tali esigenze è transitata attraverso la ricostruzione virtuale del complesso monastico, condotta con un’attenzione filologica ai dati di scavo volta ad enfatizzare la prima testimonianza di un “medioevo monastico” indagato archeologicamente nella Sila calabrese. Le analisi archeobotaniche su macroresti e polline hanno consentito

di ricostruire l’ambiente ed il paesaggio vegetale del pianoro dove era stato fondato il protomonastero, fornendo i dati necessari per la lettura interpretativa delle dinamiche di sfruttamento del territorio circostante da parte della comunità monastica. Da queste analisi nonché dalla distribuzione spaziale dei suoli nel GIS, si evince che a Jure Vetere i terreni a vocazione pastorale prevalgono rispetto ai suoli adatti all’agricoltura e quindi rivelano un’economia monastica basata

3 ROUBIS 2007b, p. 390 ss. 4 GABELLONE 2007, p. 417 ss.

D. Roubis, M. Lazzari, A.M. Mercuri

120

sull’allevamento. Il sito di Jure Vetere, durante la sua breve fase di frequentazione in età medievale, disponeva di un territorio sfruttabile di limitata estensione, tuttavia in grado di provvedere al sostentamento di una piccola comunità monastica. La vita nel monastero raggiungeva un equilibrio particolarmente precario durante i rigidissimi mesi invernali, quando il sistema di sussistenza fondato quasi esclusivamente sulle provviste, garantiva un livello di autosufficienza appena al di sopra della soglia di collasso. Negli anni immediatamente successivi alla morte dell’abate Gioacchino (e, pertanto, subito dopo il 1202), l’ampliamento della comunità monastica in seguito all’arrivo di nuovi proseliti rese necessario sia assicurare agli stessi un’esistenza in una zona meno rigida dal punto di vista climatico sia garantire l’approvvigionamento di beni alimentari. I problemi incontrati dai monaci sui monti silani, emergono chiaramente dalla lettura delle fonti scritte; a partire dal 1202 nei documenti si accenna, infatti, spesso alle condizioni climatiche avverse che affliggono la zona del monastero di Jure Vetere (flagellato da freddissimi venti invernali) nonché ai ripetuti tentativi di trasferimento della comunità monastica in un luogo più idoneo. Che le difficoltà sopra descritte non invogliassero i monaci a trattenersi nel sito di Jure Vetere è indubbio; il catastrofico incendio del 1213/1214, tuttavia, li scoraggiò ulteriormente. I resti di tale incendio sono stati rintracciati archeologicamente e permettono di dedurre che l’azione del fuoco mise fine alla costruzione dell’edificio ecclesiastico (Corpo di Fabbrica 1). L’evento traumatico diede sicuramente un duro colpo alla vita monastica facendo degenerare una situazione già difficile sul piano ambientale e, probabilmente, anche su quello economico. Trascorso un breve periodo durante il quale fu effettuato il tentativo di ricostruire la chiesa (Corpo di Fabbrica 2), all’incirca nel secondo decennio del XIII sec., i religiosi si trasferirono definitivamente in un’area vicina, altrettanto ricca di risorse naturali che risulta collocata ad una quota inferiore (960 m s.l.m.); tale luogo, senza dubbio più favorevole alla prosperità della comunità florense, corrisponde all’attuale abbazia di S. Giovanni in Fiore.

(D. Roubis)

La ricerca archeopalinologica per la ricostruzione paleoambientale

Lo studio pollinico di campioni prelevati da livelli precedenti e coevi al monastero di Jure Vetere ha contribuito in modo significativo alla ri-costruzione della flora e della vegetazione dell’area nel momento della frequentazione del sito. Il polline presente negli strati archeologici, og-getto di studio dell’Archeopalinologia, è infatti un sensibile strumento di conoscenza dell’ambiente, testimone dell’esistenza delle piante che lo han-

Fattore climatico, sistema ambientale e scelte insediative: il caso di Jure Vetere

121

no prodotto in contesti passati. Di conseguenza, il polline è un buon in-dicatore del paesaggio e del clima esistenti al momento della sua deposi-zione, e lo studio diacronico di serie polliniche permette di conoscere aspetti dell’evoluzione di paesaggio e clima nel tempo. I campioni pollinici sono stati prelevati, durante la campagna di sca-

vo del 2005, da tre serie presenti all’interno dello scavo del monastero medievale (tav. IX, 2). Le analisi eseguite finora, utili a delineare tratti dell’ambiente precedente e coevo alla frequentazione del monastero medievale, sono relative a 5 campioni appartenenti al Periodo 0, cioè la fase pre-monastero, e 4 campioni appartenenti al Periodo I, cioè XII-inizio XIII sec., vale a dire la fase di costruzione del Corpo di Fabbrica 15. Lo stato di conservazione del polline nei diversi campioni ha offer-

to varie informazioni: A) in ogni campione è stato possibile osservare stati di conservazione variabili, con presenza di granuli ben conservati accanto a granuli corrosi o degradati. Ciò può indicare apporti pollinici diversi nei campioni (ad esempio, per trasporto aereo da vegetazione naturale, e per trasporto antropico); B) la presenza di ammassi di polli-ne di taxa diversi, osservati in qualche campione, è evidenza di accu-mulo in posto di fiori o piante che abbiano trattenuto il polline, ad e-sempio sulle foglie; C) la presenza di granuli carbonizzati, con colora-zione scura ed esina in parte destrutturata, indica polline venuto a con-tatto con alte temperature, indicatore di combustione della vegetazione, naturale o più probabilmente intenzionale antropica. Quest’ultimo dato è in accordo con l’osservazione di abbondanti microcarboni in vari livelli6.

Dal punto di vista floristico, gli spettri pollinici sono stati caratteriz-zati da Pinus, Alnus, Castanea e Quercus decidue tra gli alberi. Nel com-plesso, il polline di legnose non ha superato il 50%, indicando una bas-sa copertura boschiva costituita in parte da conifere, in parte da latifo-glie decidue di querceti e boschi riparali. Gli elementi mediterranei, scarsi (1-2%), sono stati osservati solo nei campioni coevi-monastero. Tra le erbacee, sono state osservate più di frequente le Cichorioideae, Gramineae spontanee, Chenopodiaceae, Centaurea nigra tipo, Plantago, Umbelliferae indiff. e Urtica. Molti di questi granuli pollinici sono indi-catori di frequentazione e attività antropica: sia piante erbacee ruderali, nitrofile, o indicatrici di calpestio o pascolo, sia piante coltivate legnose (Castanea, Olea, Juglans) ed erbacee. A Jure Vetere, come di solito avviene nei contesti archeologici,

l’interpretazione dei dati pollinici è complessa, perché deve tener conto sia del contesto archeologico, articolato in spazi e fasi, sia delle diverse

5 MERCURI ET ALII 2007, p. 272 ss. 6 BOSI, ACCORSI 2007, p. 289 ss.

D. Roubis, M. Lazzari, A.M. Mercuri

122

modalità di arrivo del polline nello strato esaminato. Il polline, infatti, arriva solo in parte dalla vegetazione naturale ‘indisturbata’, mentre più spesso è trasportato grazie a una combinazione di cause naturali (per lo più, vento e acqua) e antropiche. Pertanto, lo studio del polline è fon-damentale per ottenere informazioni sul ricoprimento vegetale passato di un territorio, e nello stesso tempo l’immagine di tale paesaggio con-terrà necessariamente le testimonianze dei comportamenti umani che su quel territorio si sono svolti. Pur nella frammentarietà dei dati ottenuti dal Periodo 0, il polline ha

suggerito che già in fase pre-monastica l’ambiente naturale fosse costi-tuito da pinete e querceti caducifogli, con boschi igrofili e zone umide prossimi al sito. Inoltre, l’area era interessata da frequentazione antro-pica, probabilmente, però, in una forma non di tipo stanziale (sono as-senti i cereali), ma di tipo occasionale come per transito di pastori. Nel Periodo I (CF 1), invece, durante l’occupazione stabile del sito,

gli spettri mostrano oltre alle pinete (Pinus), i boschi misti di faggio (Fa-gus) e abete bianco (Abies alba), intercalati a boschi termofili costituiti in prevalenza da querce decidue dove erano diffusi nocciolo (Corylus), ace-ri (Acer campestre tipo), carpini (Carpinus betulus, Ostrya carp./C. orientalis tipo), frassini (Fraxinus excelsior tipo, F. ornus), olmo (Ulmus), tiglio (Ti-lia), corniolo (Cornus mas), ginepro (Juniperus) nelle radure o ai margini, e felce aquilina (Pteridium aquilinum) nel sottobosco. Forse i monaci attua-rono un certo disboscamento, ipotesi in accordo con il calo relativo di copertura boschiva nei dati pollinici, e con i reperti antracologici di Pi-nus, Quercus, Fagus, Fraxinus e Salix/Populus che provano l’utilizzo della legna di questi alberi. Elementi mediterranei sempreverdi, pur scarsi, sono rappresentati da polline di leccio (Quercus ilex), olivo (Olea europea) e pistacchio (Pistacia), mentre mancano i reperti antracologici. Il polline probabilmente proviene dalla vegetazione mediterranea distribuita in una fascia più bassa. Nell’area erano presenti ambienti umidi di una certa estensione legati alla vicinanza del fiume Arvo, con igrofile legno-se (ontani - Alnus, salici - Salix e pioppi - Populus), piante di margine e di prati umidi costeggiavano il corso (cannuccia di palude-Phragmites, lisca/coltellaccio - Typha/Sparganium, ciperaceae - Cyperaceae, giunchi - Juncus sp., almeno in parte ranuncoli-Ranunculus tipo). Era presente an-che la ninfea bianca - Nymphaea cf. alba, legata a un bacino o corso len-to permanente. Durante la frequentazione dei monaci, la tipologia di sfruttamento

del territorio divenne stanziale con coltivazione di cereali e presenza di orti. Ciò è messo in luce da indicatori di campi di cereali, tracce di orti, alberi da frutto, e sinantropiche spontanee. Tra i cereali sono stati iden-tificati granuli pollinici di Hordeum gr. e avena/grano gr. - Ave-

Fattore climatico, sistema ambientale e scelte insediative: il caso di Jure Vetere

123

na/Triticum gr., con minori quantità di miglio-Panicum. Poiché il polline dei cereali ha una bassa rappresentatività e generalmente non è traspor-tato a lunga distanza, la quantità dei cereali nei campioni coevi-monastero (7%) è indicativa della presenza di campi, soprattutto desti-nati a orzo e grano, in stretta vicinanza del monastero. I campi sono pure evidenziati da qualche erbacea commensale/infestante delle coltu-re, come Papaver rhoeas tipo e Aphanes tipo. I cereali sono ben docu-mentati anche da cariossidi carbonizzate di Triticum, Hordeum, Avena e Secale7. Il polline di segale, o perché scarsamente rappresentato, o per-ché la segale era portata in posto e non coltivata in loco, non è stato trovato. Nell’area montuosa di Jure Vetere, però, la segale potrebbe es-sere stata coltivata in quota, giacché questa specie rustica, la cui crescita è stimolata dalle basse temperature, ancor oggi è messa a coltura in aree montane della regione. Le 50 some di segale offerte ai monaci ogni an-no, segnalate dalle fonti storiche, forse provenivano da colture poste a distanza dal monastero, ma ubicate sulla Sila. I dati pollinici testimoniano che il sito di Jure Vetere possedeva un

paesaggio che ancora oggi sembra mantenersi intatto e che nei tratti principali conserva il fascino che già in periodo medievale lo rendeva cornice adatta a un insediamento monastico. Anche il toponimo ‘La Castagna’ ha radici antiche, che i nostri dati suggeriscono essere prece-denti anche alla costruzione del monastero. Il valore culturale di questo luogo, dunque, nasce dalla esistenza di strutture archeologiche ancora incastonate in un suggestivo e conservato scenario paesaggistico.

(A.M. Mercuri)

Analisi pedologiche e paleoclimatiche

L’approccio metodologico utilizzato per questo studio è stato ne-cessariamente di tipo interdisciplinare essendo stati analizzati e correlati dati di diversa natura, quali quelli climatici (piovosità e temperatura), pedologici e geochimici (composizione, spessore, tessitura, porosità, scheletro, pH, CSC, colore, umidità relativa, contenuto in S.O., satura-zione basica, potenzialità dei suoli), petrografici (microscopia ottica), geomorfologici (caratteri orografici, idrografici e morfoevolutivi del paesaggio) ed archeologici (unità stratigrafiche, fonti storiche, datazioni archeologiche su ceramiche ritrovate all’interno di orizzonti pedologi-ci). In particolare, le analisi di laboratorio sono state precedute da un dettagliato rilevamento geomorfologico teso ad evidenziare e descrive-re i principali processi erosivi, di alterazione e deposizione agenti sul sito investigato. Il rilevamento ha permesso di evidenziare i principali

7 FIORENTINO ET ALII 2007, p. 253.

D. Roubis, M. Lazzari, A.M. Mercuri

124

fattori geomorfici ed i processi che controllano l’evoluzione del pae-saggio, legato anche alle condizioni climatiche, e più in particolare all’evoluzione dei suoli presenti sul sito8. Il sito rappresenta un prezioso esempio d’accumulo policiclico di

sedimenti e suoli che costituiscono una registrazione quasi continua degli eventi climatici e storici succedutisi dall’alto medioevo ad oggi. Al fine di definire i processi pedogenetici, geomorfici e paleoclima-

tici, responsabili della formazione dei suoli prima, durante e dopo il pe-riodo d’insediamento della comunità monastica gioachimita è stata condotta un’analisi pedologica basata su una preliminare analisi sedi-mentologica e micromorfologica di tre profili d’una sezione pedologica (tav. IX, 2), e successivamente su analisi chimiche in laboratorio ed os-servazioni al microscopio ottico di alcune sezioni sottili di campioni di orizzonti pedologici riconosciuti sul campo. Le tre sezioni rilevate (SPJV1-3), pur essendo posizionate in trincee distanti pochi metri l’una dall’altra, mostrano l’esistenza di significative variazioni laterali nelle proprietà degli orizzonti. Queste sono legate alla conformazione mor-fologica del substrato, ai processi di infiltrazione, ruscellamento, e se-dimentazione capaci di modellare il versante, ma anche e profonda-mente legate alle attività antropiche, quali i rimaneggiamenti dei suoli e delle macerie, l’uso agricolo dei suoli e la regimazione irrigua dei campi. Le analisi pedologiche di terreno sono state condotte in corrispon-

denza dei fronti di scavo archeologico e di trincee naturali, descriven-done le sezioni secondo le linee guida utilizzate per la redazione delle carte pedologiche della Regione Emilia Romagna (2001). Per quanto concerne la classificazione dei suoli, trattandosi di suoli evolutisi in sito ma anche strettamente legati all’attività antropica di frequentazione del sito, si è ritenuto opportuno adottare due classificazioni, la Soil Taxo-nomy dell’USDA (1998) per i suoli naturali e la New Russian Taxonomy Soil System9 per i suoli antropici o urbani. In particolare, dall’alto verso il basso sono stati complessivamente

distinti sul campo 9 orizzonti pedologici, parte dei quali però non compare in tutti i profili pedologici.

o Un orizzonte “O” continuo in tutta la sezione, dello spessore variabile da 4 a 14 cm, caratterizzato da un’intensa attività bio-logica, determinata da una fitta rete di radici fini di erba medi-ca, da una densità molto bassa ed elevata porosità. Il colore in campo è dark yellowich brown (10YR 4/2), mentre alla capacità di campo grayish brown (5 YR 3/2). La struttura è grumosa friabile ed il limite inferiore è ondulato diffuso. L’orizzonte, dominato

8 LAZZARI ET ALII 2007, pp. 35 ss. 9 LAZZARI ET ALII 2007 2007, p. 41 con bibl.

Fattore climatico, sistema ambientale e scelte insediative: il caso di Jure Vetere

125

da materiale organico, è il risultato della annuale erpicatura del medicaio e di processi che, come la bioturbazione e l’infiltrazione, tendono a sfumare questo orizzonte con il sot-tostante.

o Un orizzonte minerale arato d’un inceptisuolo “Ap” avente uno spessore variabile da 19 a 32 cm continuo, in tutta la se-zione con un limite inferiore ondulato e netto, segnato da una debole soletta di aratura formatosi per la macchinizzazione a-gricola della seconda metà del ’900. Il colore in campo dell’orizzonte è dark yellowish brown (10YR 4/2, mentre alla ca-pacità di campo è dusky yellowish brown 10 YR 2/2). Il contenuto di sostanza organica umificata è elevato, e a causa della rapida ossidazione delle spoglie organiche (eremacusi) è solo in mo-desta parte costituita da residui organici indecomposti. L’attività biologica è moderata, principalmente rappresentata da radici fini d’erba medica. La struttura è grumosa con una densità bassa e porosità elevata. L’orizzonte è caratterizzato dalla formazione di argille neogeniche, lessivage e lisciviazione dei cationi.

o Un orizzonte “E” di un inceptisuolo di circa 37 cm, caratteriz-zato da un colore dark yellowish brown (10YR 4/2), un’attività biologica bassa, principalmente rappresentata da rari fittoni di erba medica, da una struttura granulare, densità e porosità me-die. La macroporosità è lievemente superiore a quella degli o-rizzonti sopra e sottostanti. Il limite inferiore è ondulato diffu-so e l’orizzonte lateralmente tende a rastremarsi fino a sfumare spostandosi dalle sezioni SPJV1-2 verso la SPJV3. Quest’orizzonte minerale, sviluppatosi quando tra il XVII ed il XIX secolo l’edificio monastico registrava i crolli definitivi, po-trebbe registrare un evento climatico a seguito del quale si de-pongono sedimenti aventi una composizione sabbiosa diversa da quella precedente con un basso contenuto di ossidi di ferro. E’ caratterizzato da scarso accumulo di sostanza organica, con traslocazione dell’argilla negli strati sottostanti e lisciviazione dei cationi. La sua velocità di deposizione media può essere stimata in 0,18 cm/a.

o Un orizzonte “Bt” di un inceptisuolo dello spessore variabile da 24 a 54 cm e continuo lungo tutta la sezione, caratterizzato da un’attività biologica molto bassa costituita da rarissimi fitto-ni di erba medica, densità medio-alta e porosità medio–bassa con macroporosità lievemente inferiore a quella dell’orizzonte superiore. L’analisi micromorfologica dei sedimenti suggerisce

D. Roubis, M. Lazzari, A.M. Mercuri

126

la presenza in questo orizzonte di paleosuperfici scabrose e ir-regolari, con linee di scorrimento preferenziale, dove il ruscel-lamento superficiale è condizionato anche dalla presenza di piante erbacee accestite. Il colore in campo è dark yellowish brown (10YR 4/2, mentre alla capacità di campo risulta dusky brown (5YR 2/2). Rispetto l’orizzonte sottostante è apprezza-bilmente più ricco in sabbia fine. L’orizzonte è caratterizzato da un accumulo di sostanza organica ed argilla silicatica illuvia-li, provenienti dagli orizzonti sovrastanti e/o mossesi all’interno dell’orizzonte stesso, nonché dall’accumulo di catio-ni alcalino - alcalino terrosi. L’orizzonte ha un limite inferiore piano netto. Deposto nel periodo compreso tra il XVI e il XVII secolo, si può stimare abbia avuto ha una velocità di de-posizione media annua di 0,24-0,48 cm/a.

o Un orizzonte “AB” a geometria lenticolare e con spessore va-riabile da 19 a 28 cm, caratterizzato da un colore in campo dusky brown (5YR 2/2) e dusky yellowish brown (10 YR 2/2) alla capacità di campo. Tale orizzonte è un mollisuolo che seppelli-sce gli orizzonti sottostanti. È distinto dagli orizzonti sotto-stanti e sovrastanti da limiti piani netti, i quali tendendo a ra-stremarsi fino ad annullarsi in corrispondenza di un orizzonte di suolo urbano (U3) della sezione SPJV3. La densità è alta e la porosità è bassa. È molto povero in scheletro quanto ricco in limo e argilla. Non presenta attività biologica ed è molto scuro a causa dell’abbondante presenza di sostanza organica fossile ben umificata, la cui conservazione potrebbe essere messa in relazione sia ad una rapido seppellimento, ma anche alla pre-senza di condizioni climatiche più fredde ed umide rispetto al-le medie annue precedenti. La presenza di manufatti ceramici e di residui di lavorazione del bronzo ha permesso di riferirlo cronologicamente al periodo compreso tra il definitivo abban-dono dell’insediamento da parte della comunità monastica (ter-zo decennio del XIII sec.) e la comparsa dei primi cedimenti strutturali (XVI sec.). La velocità media di deposizione di que-sto orizzonte si può stimare essere di 0,16 cm/a, contro una media di 0,19 degli orizzonti soprastanti.

o Due orizzonti denominati “U2” e “U3” (urbic, sensu New Rus-sian Soil Taxonomy) coevi e costituiti da materiale di riporto mi-sto a frammenti di malta e suolo, profondamente alterati e pri-vi di carbonato libero, accumulati lateralmente alla struttura monastica principale; tali depositi, a geometria lenticolare, fisi-camente non correlabili e con un limite inferiore piano diffuso,

Fattore climatico, sistema ambientale e scelte insediative: il caso di Jure Vetere

127

furono accumulati successivamente al crollo del primo edificio per l’incendio (CF 1) e l’inizio delle restauro e ricostruzione del secondo cantiere (secondo decennio del XIII sec.: CF 2). Il co-lore varia dal grayish brown (5YR 3/2) dell’U2 al gravish orange (10 YR 7/4) un po’ più rosso degli altri.

o un orizzonte “U1” (urbic) che risulta caratterizzato da un misto di suolo coevo dell’insediamento e sabbia granodioritica me-scolati e compattati. Tale orizzonte costituiva il piano di calpe-stio associato alla frequentazione dell’insediamento (ultimo de-cennio del XII sec.- primo decennio del XIII sec.) e mostra chiari segni di arrossamento (colore) da combustione per effet-to dell’incendio che nel 1213/1214 distrusse la prima struttura (CF 1) (v. supra).

o Infine, un orizzonte “C”, localmente chiamato “sanso”, legato all’alterazione del substrato granodioritico ed in cui sono atte-state, fino ad una profondità massima di 2 m, le fondamenta della struttura monastica. Tale orizzonte minerale, caratterizza-to da un’abbondante presenza di ferro, definiva la superficie erosiva policiclica di un alfisuolo troncato che a sua volta defi-niva il paleopaesaggio coevo dell’insediamento. Il campiona-mento e le analisi di tale orizzonte sono state condotte nella parte alta cercando d’individuare gli elementi diagnostici dei processi geomorfici e pedogenetici ed eventualmente delle in-dicazioni paleoclimatiche coeve del primo insediamento (fine XII sec.: CF 1). L’analisi del colore ha evidenziato una variabi-lità da moderate brown (5 YR 3/4) in campo a moderate yellowish brown (10 YR 5/4) alla capacità di campo. La tessitura è franco-sabbiosa con uno scheletro pressoché assente come per l’orizzonte AB e composto da granuli monomineralici, di quar-zo e feldspato potassico profondamente alterato, indice di una elevata temperatura media annua associata ad elevate escursio-ni termiche. Il contenuto in S.O. e la CSC presentano i valori più bassi di tutto il profilo, con un pH in acqua neutro (7,35-7,44) regolato dalla presenza di caolinite. Nell’ambito dell’orizzonte C spesso si rinvengono dei grossi blocchi roton-deggianti (sferoidal boulders) con diametri variabili da 0,8 a 1,5 m dovuti alla combinazione dell’alterazione chimica con la di-sgregazione meccanica di tipo crioclastica. Tale fenomeno è le-gato alla presenza di discontinuità all’interno dei granitoidi, do-ve le diaclasi o fratture più grandi possono assumere una forma concava concentrica determinando una specie di esfoliazione cipollare.

D. Roubis, M. Lazzari, A.M. Mercuri

128

L’approccio multidisciplinare utilizzato in questo studio ha permes-so di definire e distinguere sul campo gli orizzonti della successione pedologica che caratterizza il sito archeologico di Jure Vetere sulla Sila Grande. Tale successione è definita da 9 orizzonti la cui genesi è legata, come detto in precedenza, a processi naturali e/o antropici. I processi di formazione, messa in posto e pedogenesi dei sedimenti caratteriz-zanti gli orizzonti studiati si sono sviluppati in un lasso compreso tra la fine del XII sec. ed il XX sec.

(M. Lazzari)

Discussione e conclusioni

L’analisi integrata e multidisciplinare, condotta sul sito di Jure Vete-re, ha permesso non solo di correlare la storia dell’insediamento alle diverse fasi evolutive del paesaggio, ma anche alle coeve condizioni climatiche che hanno probabilmente influito sulla permanenza della comunità religiosa sull’altipiano silano. Più in particolare i dati pollinici e pedologici hanno consentito di correlare gli aspetti archeoambientali dell’insediamento monastico con quelli climatici, fortemente condizio-nanti per la vita sul sito, ponendo in evidenza come la fase monastica di Jure Vetere, tra il 1188 e il 1213/1214, cioè dalla fondazione all’incendio sia stata segnata da un cambiamento climatico in senso più umido e più freddo che accentuò ulteriormente le precarie condizioni di vita del monastero. Nei documenti si accenna spesso alle difficoltà della comunità florense causate dalle avverse condizioni climatiche che recavano gravi disagi al monastero di Jure Vetere 10. Durante tale periodo, così come testimoniato da un’ampia letteratu-

ra scientifica, l’Europa è stata interessata da condizioni paleoclimatiche diverse (tav. X, 1). Infatti, il periodo Medievale è noto come Periodo Caldo Medievale (PCM: 800-1300 d.C.; 1000-1200 secondo Lamb)11 perché complessivamente interessato da condizioni climatiche assai calde, stimate per il Centro Europa di ca. 1°C più alte (temperatura media del mese più caldo). Anche se tutti gli studiosi concordano sull’esistenza di questa ‘anomalia climatica’, la discussione sulle tempe-rature raggiunte durante il PCM è aperta e non tutti gli autori ritengono che il clima possa essere stato più caldo dell’attuale. Temporanei raffreddamenti regionali, infatti, possono essere avvenu-

ti su scala decadale. Sintesi su molti dati globali portano ad escludere e-pisodi freddi pluridecadali, e suggeriscono invece la presenza di raffred-damenti di breve durata ed estensione geografica limitata. Ad esempio,

10 SOGLIANI 2007, pp. 29-30 con bibl. 11 MERCURI ET ALII 2007, p. 286 con bibl.

Fattore climatico, sistema ambientale e scelte insediative: il caso di Jure Vetere

129

sulla base di variazioni sincrone nel livello di laghi studiati in Centro Eu-ropa, è stato possibile osservare una fase a basso livello lacustre, corri-spondente a più caldo o arido, tra 850 e 1220 d.C., intervallata da oscil-lazioni in senso relativamente più freddo e umido tra 650 e 850 d.C., e tra 1200 e 1300 d.C. In generale, la fase più calda all’interno del PCM è considerata quella tra 950 e 1045 d.C., mentre quella più umida tra 1200 e 1300 d.C. Nei diagrammi pollinici, quando la definizione delle sequen-ze lo consente, attorno al 1200 d.C. è possibile osservare una deforesta-zione ampia che porta all’aumento dell’erosione dei suoli. Poiché nei diagrammi sono presenti anche indicatori di coltivazioni, in particolare cereali, tale deforestazione è principalmente attribuita all’impatto antro-pico e in parte alle condizioni climatiche. Alla fine del PCM, il deterio-ramento climatico in senso freddo del 1300 d.C., preludio alla Piccola Età Glaciale, portò a un’espansione dei ghiacci sulle Alpi e in nord Eu-ropa, e all’abbandono di coltivazioni mediterranee nelle regioni setten-trionali come ad esempio la vite in Germania, Francia e Inghilterra. Inquadrato in questo contesto generale, dal punto di vista delle anali-

si polliniche, il periodo di vita dei monaci su Jure Vetere tra l’ultimo de-cennio del XII sec. e il 1213/1214, si colloca alla soglia di un deteriora-mento climatico (più umido e più freddo). Questo da un lato portò all’espansione dei boschi a faggio e abete, dall’altro rese verosimilmente la vita del monastero assai difficile sia per la necessità di riscaldarsi sia, probabilmente, per la difficoltà di ottenere buone rese dalle coltivazioni. Pur nella difficoltà insita nella tipologia di campioni esaminati, che nei siti archeologici risentono fortemente della presenza antropica in posto, i dati pollinici hanno offerto qualche elemento utile per inferenze paleo-climatiche: - la fase pre-monastica potrebbe essere stata più calda rispetto a quella monastica perché Fagus e Abies non sono stati trovati. La fase monastica potrebbe essere stata, allora, relativamente più fresca della precedente, consentendo una espansione delle foreste miste a faggio e abete bianco nei campioni coevi al monastero. I già citati problemi di conservazione selettiva dei campioni più antichi, però, rendono puramente ipotetica l’interpretazione. - la presenza nella fase coeva-monastero del polline di mediterranee, e in particolare di olivo può indicare complessivamente una fase climatica calda. In realtà, il polline d’olivo, assieme all’altra mediterranea Pistacia, è stato trovato qui solo in tracce, per cui la crescita in loco di piante è im-probabile. Più probabile, invece, è che l’olivo, non adatto alla coltiva-zione in montagna, durante una fase climatica più calda si sia spostato più in quota portando la sua linea di coltivazione un po’ più in alto degli attuali 900 m s.l.m. Il polline di olivo deve poi aver raggiunto per tra-

D. Roubis, M. Lazzari, A.M. Mercuri

130

sporto aereo, dopo aver volato per ca. 5-10 km, la zona a oltre 1000 m s.l.m. dove sorgeva il monastero. In generale, è utile ricordare che l’olivo, particolarmente sensibile al

freddo, fu più estesamente coltivato durante il Medioevo in tutto il ba-cino del Mediterraneo giungendo fin in Centro Europa. Dal punto di vista delle analisi pedologiche, le condizioni di tempe-

ratura globale (fase calda medievale e piccola età glaciale) hanno certa-mente influito, anche a livello locale, sui processi morfogenetici in atto sul sito studiato ed ancor più sulle condizioni di vivibilità, sussistenza e permanenza dell’insediamento monastico attestato ad una quota di 1100 m s.l.m. e, pertanto, particolarmente sensibile all’escursioni termi-che determinate da condizioni climatiche estreme (tav. X, 1).

Fig. 1 - Jure Vetere: correlazione cronologica tra i dati pedologici e stratigrafico-archeologici con le diverse fasi storico-climatiche relative al periodo studiato (da LAZZARI ET ALII 2007).

Mettendo a confronto le successioni pedologiche studiate e le rela-tive fasi archeologiche (unità stratigrafiche), cronologicamente docu-mentate da reperti archeologici, come per esempio le ceramiche ed i metalli, con la curva dell’andamento della temperatura globale (tav. X, 2 a-b) relativa agli ultimi 1000 anni (valutata rispetto ad una media di

Fattore climatico, sistema ambientale e scelte insediative: il caso di Jure Vetere

131

temperatura calcolata dal 1961 al 1990), emerge una sostanziale corri-spondenza tra le fasi storiche e quelle climatiche (fig. 1). In particolare, proprio durante il periodo d’insediamento della co-

munità gioachimita si registrano dei picchi significativi nella curva delle temperature medie globali (tav. X, 1). Verso la fine del XII sec., infatti, allorquando si registra la prima venuta della comunità monastica sulla Sila Grande, la curva mostra un picco caldo, quindi condizioni ottimali, che, a livello globale, sancisce anche la fine del Periodo Caldo Medieva-le. Chiare evidenze del periodo caldo sono state rilevate in corrispon-denza della parte alta dell’orizzonte C dove sia la colorazione rossastra, legata alla concentrazione degli ossidi di ferro, massima in quest’orizzonte, sia lo scheletro composto da granuli monomineralici, caratteristica che indica un’elevata escursione termica, indicherebbero delle condizioni climatiche più calde dei successivi periodi in cui gli o-rizzonti più giovani mostrano un generale raffreddamento del clima. Dalla fine del primo decennio del XIII sec. iniziano a registrarsi de-

gli inverni molto freddi (tav. X, 2 b) che, secondo quanto riportato da una corrispondenza epistolare tra i monaci ed il Papa Innocenzo III, si estendevano ben oltre i mesi di marzo ed aprile fino a volte ai primi mesi estivi. Durante questo periodo le probabili fonti di sussistenza della comunità religiosa erano fondamentalmente rappresentate dal consumo di cereali e legumi microtermi, adatti a suoli acidi come quelli dell’altopiano silano ed a resistere alle basse temperature, nonché da prodotti derivanti dall’allevamento animale. Già nel terzo decennio del XIII sec. la comunità abbandona defini-

tivamente il sito. Una delle cause più probabili sembrerebbero le rigide condizioni climatiche di cui è rimasta testimonianza in un paleorizzon-te A (AB) caratterizzato da un’alta percentuale di sostanza organica fossilizzata e non completamente degradata a causa di condizioni cli-matiche più fredde ed umide rispetto alle medie annue precedenti. Tali condizioni hanno determinato la diminuzione della velocità delle rea-zioni chimiche che di solito ben si associa a condizioni umide e soprat-tutto a basse temperature. Nei periodi successivi almeno fino a metà del XIX sec. le tempera-

ture medie globali caratterizzano una fase fredda, nota in letteratura come piccola età glaciale, che trova riscontro nei relativi orizzonti pe-dologici che non presentano segni di ossidazione dei minerali ferrosi e sono caratterizzati da bassi tassi di alterazione. Il racconto archeologico delle vicende che hanno caratterizzato il si-

to di Jure Vetere è apparso in conclusione assai denso di dati e di spun-ti di riflessione e oltremodo intrecciato ad un fil-rouge particolare, relati-vo al grande tema dei cambiamenti climatici così attuale ai nostri giorni

D. Roubis, M. Lazzari, A.M. Mercuri

132

e altrettanto dirimente, come si è visto, per le modalità insediative del Medioevo. ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE BOSI G., ACCORSI C.A. 2007, Analisi dei microcarboni nel sito di Jure Vetere: il periodo pre-

monastico e la fase monastica, in FONSECA, ROUBIS, SOGLIANI 2007, pp. 289-292. FIORENTINO G., COLAIANNI G., NOVELLIS D. 2007, Analisi archeobotaniche al Mo-

nastero medievale di Jure Vetere: ricostruzione ambientale e uso delle risorse vegetali, in FONSECA, ROUBIS, SOGLIANI 2007, pp. 243-267.

FONSECA C.D., ROUBIS D., SOGLIANI F. 2007 (a cura di), Jure Vetere. Ricerche arche-

ologiche nella prima fondazione monastica di Gioacchino da Fiore (indagini 2001-2005), Soveria Mannelli.

GABELLONE F. 2007, La ricostruzione virtuale di contesti antichi in archeologia.

Un’esperienza di studio condotta sul sito di Jure Vetere, in FONSECA, ROUBIS, SOGLIANI 2007, pp. 417-424.

LAZZARI M., GALLINI L., ZOTTA C. 2007, L’insediamento monastico gioachimita di Jure

Vetere (Sila Grande) nel contesto geomorfologico e pedoclimatico medioevale, in FONSECA, ROUBIS, SOGLIANI 2007, pp. 35-52.

MERCURI A.M., ACCORSI C.A., BANDINI MAZZANTI M., BOSI G., TREVISAN GRANDI G. 2007, Il paesaggio vegetale di Jure Vetere prima e durante la vita del mo-

nastero medievale sulla base dei primi dati pollinici, in FONSECA, ROUBIS, SOGLIANI 2007, pp. 269-287.

ROUBIS D. 2007a, Ricerche archeologiche a Jure Vetere. Organizzazione delle indagini, strategie

di intervento e scavo stratigrafico, in FONSECA, ROUBIS, SOGLIANI 2007, pp. 87-132. ROUBIS D. 2007b, Archeologia del paesaggio a Jure Vetere: il proto monastero florense e le

sue risorse territoriali, in FONSECA, ROUBIS, SOGLIANI 2007, pp. 389-416. SOGLIANI F. 2007, Il monastero florense da Jure Vetere a S. Giovanni in Fiore: le vicende

storiche, in FONSECA, ROUBIS, SOGLIANI 2007, pp. 23-30.

D. Roubis, M. Lazzari, A.M. Mercuri

D. Roubis, M. Lazzari, A.M. Mercuri

D. Roubis, M. Lazzari, A.M. Mercuri

D. Roubis, M. Lazzari, A.M. Mercuri


Recommended