+ All Categories
Home > Documents > Finanziamento della produzione e \"finance motive\" in Keynes

Finanziamento della produzione e \"finance motive\" in Keynes

Date post: 04-Dec-2023
Category:
Upload: unict
View: 0 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
33
Finanziamento della produzione e "finance motive" in Keynes .:. STEFANO FIGUERA 1. Introduzione La quasi totalità degli studi aventi per oggetto l'analisi monetaria di Keynes ha considerato il concetto della preferenza per la liquidità co- me la categoria analitica di riferimento. Molti, tra coloro che hanno accettato le implicazioni della rivoluzione keynesiana, così come tra quelli che ne hanno negato la validità, hanno posto infatti al centro della loro attenzione la teoria keynesiana relativa alla domanda di scorte liquide. 1 Ciò comporta una delimitazione del campo d'indagine in seno alla produzione keynesiana: l'argomento centrale diviene l'analisi monetaria contenuta nella General Theory (d'ora in poi GT), mentre non costituiscono un punto di riferimento gli scritti antecedenti il 1936 (specie il Traet on Monetary Reform e il Treatise on Money, d'ora in poi TM) o quelli successivi (specie gli articoli apparsi tra il 1937 e il 1939) . Mentre i primi vengono visti come "preparatori" della rivolu- zione keynesiana, e dunque interessanti solo per chi voglia occuparsi D Università degli Studi di Catania, Facoltà di Giurisprudenza, Catania. • Sono grato ai professori Antonio D'Agata, Luigi Giusso e Giovanni Monte- magno e a due anonimi referees per i loro commenti a una precedente versione di que- sto saggio; ovviamente resto il solo responsabile di eventuali errori in esso contenuti. I Nella prospettiva di un riassorbimento nella tradizione teorica neoclassica, la teoria keynesiana della moneta è stata oggetto di rivisitazioni tendenti o a negare la vali- dità di una domanda di moneta a scopo speculativo tendenzialmente infinita o a sottoli- neare come la domanda di moneta a scopo transattivo e precauzionale fosse anch' essa funzione del tasso di interesse (es. Baumol). La spiegazione in clùave microeconomica della teoria monetaria keynesiana è stata poi al centro dell'attenzione studiosi che hanno cercato di microfondare la macroeconomia keynesiana (es. Clower). Moneta e Credito, n. 208, dicembre 1999.
Transcript

Finanziamento della produzione e "finance motive" in Keynes .:.

STEFANO FIGUERA

1. Introduzione

La quasi totalità degli studi aventi per oggetto l'analisi monetaria di Keynes ha considerato il concetto della preferenza per la liquidità co­me la categoria analitica di riferimento. Molti, tra coloro che hanno accettato le implicazioni della rivoluzione keynesiana, così come tra quelli che ne hanno negato la validità, hanno posto infatti al centro della loro attenzione la teoria keynesiana relativa alla domanda di scorte liquide. 1

Ciò comporta una delimitazione del campo d'indagine in seno alla produzione keynesiana: l'argomento centrale diviene l'analisi monetaria contenuta nella General Theory (d'ora in poi GT), mentre non costituiscono un punto di riferimento gli scritti antecedenti il 1936 (specie il Traet on Monetary Reform e il Treatise on Money, d'ora in poi TM) o quelli successivi (specie gli articoli apparsi tra il 1937 e il 1939). Mentre i primi vengono visti come "preparatori" della rivolu­zione keynesiana, e dunque interessanti solo per chi voglia occuparsi

D Università degli Studi di Catania, Facoltà di Giurisprudenza, Catania . • Sono grato ai professori Antonio D'Agata, Luigi Giusso e Giovanni Monte­

magno e a due anonimi referees per i loro commenti a una precedente versione di que­sto saggio; ovviamente resto il solo responsabile di eventuali errori in esso contenuti.

I Nella prospettiva di un riassorbimento nella tradizione teorica neoclassica, la teoria keynesiana della moneta è stata oggetto di rivisitazioni tendenti o a negare la vali­dità di una domanda di moneta a scopo speculativo tendenzialmente infinita o a sottoli­neare come la domanda di moneta a scopo transattivo e precauzionale fosse anch' essa funzione del tasso di interesse (es. Baumol). La spiegazione in clùave microeconomica della teoria monetaria keynesiana è stata poi al centro dell'attenzione de~li studiosi che hanno cercato di microfondare la macroeconomia keynesiana (es. Clower).

Moneta e Credito, n. 208, dicembre 1999.

510 Moneta e Credito

della ricostruzione storica del pensiero di Keynes, ma comunque "superati" dall' opera del 1936, quelli successivi a tale opera sono tutt'al più ritenuti complementari rispetto alla più importante delle opere keynesiane, esplicativi di quanto precedentemente detto, e dun- " que non teoricamente originali.

Al tempo stesso, alcuni studiosi hanno sollevato il problema del­la completezza della costruzione keynesiana in materia monetaria così come essa viene proposta nella GT. Qualche anno fa, Pasinetti (1991, p. 50) così concludeva la sua analisi sui rapporti tra le due principali opere keynesiane:

«Il TM voleva essere la conclusione di un modello teorico ereditato dalla tradizione. La GT doveva essere l'inizio di un nuovo para­digma da costruire. Pertanto la GT non poteva che essere incom­pleta. Ecco quindi il problema: come si devono colmare le lacune? come si deve completare la GT? [ ... ] Le lacune ci sono e bisogna , colmarle, ma per colmarle mi sembra che il messaggio keynesiano sia che bisogna guardare in avanti. Bisogna sviluppare le teorie " compatibili con il nuovo paradigma. Questo è senza dubbio un compito più difficile, ma - mi sembra - molto più consono alle in­tenzioni "rivoluzionarie" del Keynes della GT".

, E questo un punto di vista interessante che solleva interrogativi

su profili teorici non ancora risolti, come quello del rapporto tra il TM e la GT, o gli scritti a questa posteriori.

Sarebbe opportuna a questo scopo, attraverso un'analisi storico­fi lologica, una ricostruzione dell'evoluzione della teoria monetaria di Keynes. L'obiettivo di questo saggio è di più modesta portata, in quanto in questa sede si vuole limitare il campo di indagine a un ar­gomento specifico: il "finance motive". Mi propongo d\ accertare se la trattazione di questo tema, approfondito da Keynes negli anni succes­sivi alla pubblicazione della sua opera principale, rappresenti uno svi­luppo della sua teoria monetaria e se esso si colleghi, e in che modo, con l'analisi contenuta nelle opere precedenti.

Considererò dapprima alcuni punti del dibattito che ebbe luogo negli anni 1937-39, sull'Economie Journal, tra Keynes e altri economi­sti (par. 2), per poi passare all'analisi di alcune interpretazioni del fi­nance keynesiano (par. 3). La riflessione su qualche aspetto della que­stione, oggetto di un dibattito degli anni '80, nonché di dispute più recenti, consentirà di pervenire a una lettura della domanda di finance

Finanziamento della produzione e "finanee moti ve" in Keynes 511

inserita in una visione organica dell'opera keynesiana (par. 4) . Vedre­mo come il riferimento al TM faccia cogliere in una luce nuova l'evoluzione della teoria monetaria di Keynes. Interessanti stimoli in questo senso vengono dalle analisi di Bibow e di Graziani (par. 5).

Dal quadro che emergerà sarà possibile concludere che, se attra­verso gli scritti successivi alla GT Keynes fornÌ elementi importanti per completare il suo edificio teorico, questo sviluppo, non occasiona­le, deve essere visto come strettamente connesso alla prima delle sue grandi opere, quasi a rappresentarne un completamento. L'analisi monetaria keynesiana nel suo complesso consentirà inoltre di meglio cogliere il ruolo essenziale che il sistema bancario svolge in un'economia capitalistica. L'emissione di moneta da parte delle ban­che è infatti, al tempo stesso, strumento per l'avvio e la prosecuzione del processo produttivo e fattore condizionante la distribuzione del reddito.

2. La controversia sulla natura del tasso d'interesse

Subito dopo la pubblicazione della GT Keynes fu impegnato in diver­si dibattiti che gli permisero di sviluppare punti di rilievo attinenti alla . . sua costruZiOne teonca.

Si colloca in quest'ambito il dibattito sulla natura del tasso d'interesse che contrappose Keynes a Ohlin, Robertson e Hawtrey (si veda Shackle 1967). Nell'opera del 1936 Keynes aveva attribuito natu­ra monetaria al tasso d'interesse, in contrasto con la teoria (neoclassi­ca) secondo cui il suo livellb è determinato da domanda e offerta di capitali. Ohlin (1937a), nell'articolo-recensione alla GT, osservò che il tasso d'interesse è il prezzo del credito e il suo livello dipende anche dall'ammontare di credito erogato dal sistema bancario. Egli ricollegò però l'ammontare di credito concesso dalle banche al risparmio ex an­te, rifacendosi cosÌ alla visione tradizionale.

La controversia che ne nacque fu imperniata sull'importanza da attribuire, in vista del finanziamento degli investimenti, all'esistenza di un precedente ammontare di risparmio. Nella visione keynesiana gli investimenti sono un prius rispetto al reddito il quale, a sua volta, assicura ex post un ammontare di risparmio pari agli investimenti. Ro-

t

512 Moneta e Credito

bertson e Ohlin opposero a questa visione l'idea - tipica della teoria neoclassica - secondo la quale il prius è invece il risparmio.

In "Alternative theories of the rate of interest" Keynes (1937a) rilevò la diversità del suo punto di vista rispetto a quello di Ohlin, Robertson e Hicks. A suo avviso l'offerta di credit di cui Ohlin parla­va in nulla differiva dal risparmio e la sua conclusione non era dunque differente da quella neoclassica. Egli rilevò alcuni elementi di ambigui­tà nell'analisi di Ohlin. Uno riguardava la definizione del termine "credito"; cOÌl esso Ohlin si riferiva alla totalità dei prestiti offerti alle imprese da qualunque parte essi venissero, mentre per àltri autori il riferimento era solo ai crediti bancari. Altra confusione nasceva dal fatto che una decisione di investimento può, in alcuni casi, dar luogo a una domanda di moneta prima che esso venga effettuato, che è ben distinta dalla domanda di saldi attivi che scaturisce nel corso della rea­lizzazione dell'investimento. Keynes (1937a, p. 207) obiettò che ogni investimento necessita di un finanziamento che costituisca un "ponte" tra il momento in cui la sua realizzazione è stata decisa e quello in cui essa viene avviata. Egli introdusse cosÌ il concetto di finance distin- -guendolo chiaramente dal risparmio, la cui funzione è invece quella di finanziare ex post gli investimenti.

Negli articoli successivi Keynes chiarÌ ulteriormente il carattere di questo finanziamento iniziale, osservando che la realizzazione degli investimenti non richiede la previa costituzione di un risparmio bensÌ di un atto di finanziamento (jìnance) che si realizza mediante l'immis-,., sione di moneta di credito.2 La differènza tra il finance keynesiano e il -_ credit di Ohlin è netta: il finance è una grandezza non collegabile -risparmio; esso si rinnova costantemente, in quanto è un fondo di rol :: -tazlOne.

All'articolo di Keynes del giugno del 1937 seguirono le di Ohlin, Robertson e Hawtrey pubblicate sull'Economie Journal del, -settembre dello stesso anno. Nell'articolo "The 'ex ante' theory of rate of interest" Keynes (1937b) rispose alle obiezioni di Ohlin, da rite_nute comprensive di quelle degli altri suoi interlocutori, e sottoli­neò le differenze esistenti tra i due modi di vedere. Ciò che n.<OYu'".

2 «Ma il "finance" non ha niente a che fare con il risparmio. Nello stadio in cùi ­processo produttivo è finanziato nessun risparmio netto ha avuto luogo da n"':SUlla

parte, proprio come non vi è stato alcun investimento netto. Il "finance" e Ìm- I peg;no; a finanziare" sono semplici scritture contabili a credito e a debito, che consentono imprenditori di andare avanti tranquillamente» (ibidem, p. 209).

Finanziamento della produzione e "finanee motive" in Keynes 513

mostrò di non condividere è la necessità che il risparmio e l'investimento siano eguali ex ante. A suo avviso non vi è nulla di più certo del fatto che il credito, o il finance richiesto dagli investimenti ex ante, non sia assicurato dai risparmi ex ante. Keynes (1937b, p. 222) lapidariamente concluse:

"Se non vi è un cambiamento nello stato di liquidità, il pubblico può risparmiare ex ante ed ex post ed ex qualsivoglia cosa fino alla nausea, senza minimamente alleviare il problema - a meno che, in­vero, il risultato dei loro sforzi non sia di abbassare il livello di at­tività fino a quello precedente".

Poiché la posizione del prestato re è differente da quella del ri­sparmiatore, ne deriva la necessità dell'intervento di un ulteriore sog­getto che sia in grado di assicurare il finanziamento indispensabile per l'avvio del processo produttivo.

«Il risparmiatore ex ante non ha disponibilità liquida, ma è que­sta che l'investitore ex ante richiede» Keynes (1937b, p. 219) dice ica­sticamente, volendo sottolineare l'impellenza del problema del repe­rimento di un tipo di finanziamento (che potremmo definire "iniziale") ben diverso da quel finanziamento ("finale") degli investi­menti che è assicurato grazie al risparmio formatosi ex posto Il finan­ziamento necessario durante il periodo che va dal momento in cui la decisione di investire è stata presa a quello nel quale l'investimento è eseguito è principalmente assicurato «da specialisti, in particolare dalle banche, che organizzano e gestiscono un fondo di rotazione di mezzi finanziari liquidi» (ivt).

Keynes specificò il carattere peculiare delle banche, cioè in cosa consiste la particolarità della prestazione che esse assicurano. A suo giudizio, l'emissione di finance rappresenta, per la collettività nella sua globalità, una "bookkeeping transaction". Allorché le banche finan­ziano l'attività produttiva esse non attingono a un precedente fondo, ma effettuano un'operazione contabile.

La conclusione di Keynes è che il ruolo delle banche è radical­mente diverso da quello teorizzato dagli economisti suoi contempo­ranei. Nella visione neoclassica, al sistema bancario spettava il ruolo di semplice intermediario; esso, come Hayek (1931) aveva sostenuto nel-

.. la sua polemica con Keynes successiva alla pubblicazione del TM, do­veva limitarsi a trasferire il reddito non consumato dai risparmiatori alle imprese: un'eventuale l.mmlSSlOne di moneta data a prestito, a

514 Moneta e Credito

fronte della quale non vi fosse un corrispondente risparmio, era desti­nata a dar luogo a un processo inflazionistico.

Il ruolo autentico delle banche nel finanziamento della produ­zione non è di trasferire il risparmio in precedenza creato~ bensì di as­sicurare la liquidità necessaria per il processo produttivo. E per questo motivo che il potere nelle mani delle banche è così grande (Keynes 1937a, pp. 210-11).

Keynes si pose in un'ottica non dissimile da quella di Schumpe­ter. Egli riconobbe alle banche un ruolo attivo nella creazione di mo­neta, pur non giungendo a quelle conclusioni che l'economista au­striaco, con estremo rigore, aveva tratto nell'opera del 1912 (Schum­peter 1912). Pur ritenendo fondamentale il ruolo delle banche nel pas­saggio da un dato livello di produzione a uno superiore, Keynes non considerò, in questo contesto, il problema della crescita. Diversamen­te da Schumpeter, egli non si soffermò sul ruolo della creazione mo­netaria nella formazione di risparmio forzato e sul finanziamento de­gli investimenti attraverso i profitti. Il ruolo delle banche è infatti, per lui, soprattutto quello di assicurare un certo ammontare di mezzi li­quidi. Questa liquidità è essenziale per il sistema economico: il proces­so produttivo può essere bloccato per una mancanza di liquidità e non di risparmio.' .

A vendo considerato la domanda di finance tra gli elementi che incidono sul livello del tasso d'interesse, e affinché questo non sia esposto ad artificiose variazioni e non cresca eccessivamente per una forte domanda al settore bancario, Keynes propose una riforma al fine di impedire, prima dell'utilizzazione del finance da parte delle impre­se, una pressione al rialzo sul tasso di interesse praticato dal sistema bancario. Il livello di quest'ultimo sarebbe determinato in base all'ammontare di finance effettivamente utilizzato e non in base all'ammontare concesso (Keynes 1937b, p. 223).

Alla controversia con Robertson è specificamente dedicato l'articolo sul finance del 1938. Robertson aveva osservato che il finan· ce keynesiano rappresentava un ritorno alla teoria dei fondi prestabili.

J «Le banche hanno una posizione centrale nel passaggio da un livello di attività basso a uno più alto [ ... ). Il mercato dell'investimento può congestionarsi per mano canza di liquidità. Esso non può mai essere congestionato per mancanza di risparmio. Questa è la più importante delle mie conclusioni in questo campo» (Keynes 1937b, p. 222). Ohlin (1937a, pp. 225-26) aveva negato che le banche potessero determinare la quantità di moneta in circolazione.

Finanziamento della produzione e "finanee motive" in Keynes 515

Nel suo articolo del 1938, Keynes insistette sulle argomentazioni svi­luppate negli articoli precedenti, affermando che i fondi prestabili so­no una sorta di "misto" (hotchpotch) tra liquidità e risparmio. Di fron­te alla non comprensione di Robertson a proposito della vera natura del finance, la posizione di Keynes fu tanto dura quanto chiara: quella tra il fondo di rotazione destinato a "finanziare" la produzione e il ri­sparmio è un'«incorreggibile confusione» in cui il suo interlocutore è caduto.4 A questo punto Keynes introdusse un altro elemento di diffe­renziazione. Se per le imprese è la liquidità (il finance) che occorre per avviare il processo produttivo, acquista rilevanza tutto ciò che, come il consumo, può assicurare mezzi liquidi agli imprenditori. Il consu­mo assume maggiore importanza rispetto al risparmio poiché esso consente alle imprese di recuperare direttamente la liquidità ricevuta, così da poterla restituire alle banche (si veda Keynes 1938, p. 233).5

Sono dunque due i momenti che, secondo l'analisi keynesiana successiva alla GT, scandiscono la vita delle imprese sotto un profilo finanziario: la concessione del finanziamento necessario all'avvio del processo produttivo e la sua restituzione.

Se questi passaggi sono particolarmente significativi del modo in cui Keynes considerava ilfiriance motive, l'ultimo degli articoli dedica­ti a quest 'argomento (1939) appare decisivo circa la destinazione di questo finanziamento. L'articolo contribuisce a chiarire il pensiero keynesiano e mostra come, a distanza di due anni e in un diverso con­testo, egli ritenesse opportuno ritornare su un concetto che gli stava a cuore. In "The process of capitaI formation" Keynes (1939) trasse spunto dalla nota metodologica a corredo dell'indagine Statistics Re/a­ting to Capitai Formation redatta nel 1938 da una Commissione di esperti per conto della Lega delle Nazioni. In questo scritto egli rico­nobbe di non aver approfondito nella sua opera maggiore il profilo del finanziamento della produzione, ma di aver rimediato al­l'omissione in seguito (Keynes 1937a). Puntualizzò inoltre di aver in­trodotto un concetto che ha lo stesso scopo dei «fondi disponibili per l'investimento», di cui parlava la Commissione, ma per il quale egli preferiva la denominazione di finance. Keynes specificò quindi, in modo chiaro, il significato d~ attribuire a questo termine: «Esso com­prende, in ugual modo, l'utilizzo di fondi di rotazione destinati a fi-

• Cfr. Keynes (1938, pp. 229-33). Si veda anche Keynes (1937a, pp. 208-09) . 5 Al riguardo cfr. Graziani (1985).

516 Moneta e Credito

nanziare la produzione di beni capitali o di beni di consumo o (per esempio) accresciute negoziazioni sul mercato dei titoli» (ibidem, p.283) .

Emerge qui chiaramente come lo stesso Keynes fosse consapevo­le della necessità di portare a compimento l'analisi avviata nella GT e come egli considerasse rilevanti a tale scopo gli scritti di carattere teo­rico del 1937-39.

3. Movente delle transazioni e domanda di finance

Occorre chiarire, a questo punto, se gli scritti sul finance motive rap­presentano un completamento nel senso prospettato da Pasinetti, e dunque un ulteriore sviluppo rispetto alla GT, o se essi non fanno che riproporre elementi già noti dell'analisi keynesiana.

Può forse affermarsi che la domanda difinance del periodo 1937-39 sia riconducibile alla domanda di scorte liquide esposta nella GT? Se sÌ, è evidente che il suo posto va cercato nell'ambito dei tre moven­ti che sono all'origine della domanda di moneta, in caso contrario la sua collocazione va individuata al di fuori di essi.6

La categoria analitica alla quale gli studiosi hanno con più fre­quenza fatto riferimento è la domanda di moneta a fini transattivi. Come è noto, nella sua opera maggiore Keynes (1936, p. 330) definÌ il movente transattivo come il «bisogno di denaro liquido per la nego­ziazione corrente di scambi personali e commerciali». Ora, si è affer­mato (Shackle 1967, p. 201), la domanda difinance deve essere inqua­drata in questo contesto dato che la liquidità a tal titolo richiesta è de­stinata a consentire le transazioni necessarie alla prodJzione di beni (siano essi di consumo o di investimento).

L'idea della domanda di finance come domanda di moneta a sco­po transattivo è stata recepita anche da studiosi il cui intento manife­sto era di restare il più possibile aderenti allo spirito della rivoluzione' " .• keynesiana. Ci soffermeremo ora sui contributi di questi autori - ' ...• esponenti della cosiddetta scuola post-keynesiana - con particolare ri-

6 Kregel (1988, p. 59). Moore (1988, p. 199) ha di recente definito ilfinance come «il quarto motivo per detenere scorte liquide».

Finanziamento della produzione e "finanee moti ve" in Keynes 517

ferimento all'analisi di Davidson che, in alcuni articoli degli anni '60 e in Money and Real World (1972), ha affrontato, in una prospettiva keynesiana, il problema del finanziamento del processo produttivo.7

Secondo Davidson (1972, p. 161), nella GT Keynes, pur fornen­do una spiegazione della domanda di scorte liquide a scopo transatti­vo, ha incoraggiato un'interpretazione che privilegia la domanda di moneta che le famiglie avanzano a questo titolo, prescindendo da quella proveniente dalle imprese. Ciò avrebbe aperto la strada alla rappresentazione proposta da Hansen (<<un esempio ben noto dell'ana­lisi del movente transattivo operata dai Keynesiani Bastardi», come la definisce Davidson), nella quale la domanda di moneta per transazioni può essere tracciata come una semiretta che parte dall'origine degli as­si e la cui pendenza costante è pari a k, l'inverso della velocità di circo­lazione della moneta rispetto al reddito. Dato e considerato costante k, la domanda di moneta a scopo transattivo (LJ sarà il risultato del prodotto del reddito moltiplicato per tale coefficiente (L, = kY).

Secondo Davidson, l'analisi monetaria sviluppata nella GT ri­sente della volontà di semplificazione di Keynes. Essa si differenzia così dalla visione del TM e dagli articoli sul finance nei quali la quanti­tà di moneta per transazioni è funzione delle «spese programmate per consumi e investimenti durante il periodo dei pagamenti» (1972, p. 166). In "Alternative theories of the rate of interest" Keynes (1937a) ha mostrato - egli puntualizza - che il rapporto va stabilito tra la do­manda di moneta per transazioni e la domanda globale. Per compren­dere il ruolo della moneta nel finanziamento della produzione bisogna guardare alle componenti della spesa aggregata (ibidem, p. 168). Sono le variazioni nella propensione alla spesa da parte dei consumatori o degli imprenditori che danno luogo agli spostamenti della funzione di domanda di moneta a scopo di transazione (o di finance).

Ipotizzato che la qu~tità di moneta domandata a scopo tran­sattivo sia una frazione costante della domanda aggregata di beni progettata per ogni livello di reddito, Davidson (1972) individua una funzione di domanda di moneta che è alternativa rispetto a quella di Hansen. Indicando con a e fJ rispettivamente le frazioni (la cui am­piezza dipende dalla frequenza e dallo schema dei pagamenti e degli incassi) della domanda di beni di consumo e di beni di investimento che gli operatori desiderano detenere sotto forma di moneta a scopo

7 Cfr. Davidson (1965, 1967 e 1972).

r ""S

518 Moneta e Credito

transattivo, egli definisce la seguente nuova funzione di domanda di moneta per tranSaZiOni:

U, = et. C + 131 (1)

Se le funzioni di domanda di beni di consumo e di beni di inve­stimento vengono rappresentate nel modo consueto, assumendo per semplicità un andamento lineare, potremo scrivere:

c = al + bI Y I = a2 - b2 i

A questo punto la (1) potrà essere riscritta nel modo seguente:

(2) (3)

L;'= et. al + 13 a2 -13 b2 i + et. blY = et. al + 13 (a2 - b2 i) + et. blY (4)

FIGURA lA

Spesa C'+I'

-----------C+I

45°

Produzione

Domanda di moneta transaniva

A

B

C

o

-­"--Produzione

FIGURA IB

L,

Vr'

La (4) non è altro che l'equazione della curva di domanda di scorte liquide a scopo transattivo considerata come funzione della domanda globale. La rappresentazione grafica della curva di domanda di moneta a scopo di transazioni, Davidson conclude, è simile a quella '· prospettata da Hansen (raffigurata dalla semiretta L, della Figura 1b),: con la differenza che essa non parte dall'origine degli assi ma ha.; , un'intercetta positiva con l'asse delle ordinate. Ma la differenza di ri~" lievo da un punto di vista analitico è rappresentata, egli osserva, dal, diverso legame funzionale tra domanda di moneta per transazioni e reddito. Nella visione di Hansen, k dipende dalla lunghezza del . do di pagamento e l'equazione della domanda di moneta è, indipendente dai parametri di comportamento del settore reale di cui i alle equazioni (2) e (3); essa è dunque stabile al variare di detti parame-, trio Diversa è la situazione della domanda di moneta considerata

'i>

Finanziamento della produzione e "finance motive" in Keynes 519

nell'equazione (4). In questo caso anche se il periodo di pagamento è immutato (cioè a e !3 rimangono costanti), mutamenti nella domanda di beni di consumo o in quella di beni d'investimento si tradurranno in spostamenti nella curva di domanda di moneta.8

Se dunque vi sarà un aumento della domanda globale a seguito di una maggiore domanda di beni di investimento, la curva L 1 si sposte­rà in alto. Ora, l'aumento complessivo della domanda di moneta a scopo transattivo non sarà individuato dalla variazione dell'intercetta di detta curva con l'asse delle ordinate, ma dalla distanza tra l'origi­naria intercetta e la proiezione su questo stesso asse del punto di in­contro tra la nuova L;' e la semiretta che parte dall'origine. Occorrerà, infatti, tener conto anche dell'ulteriore domanda di moneta indotta dall'aumento del reddito che, attraverso il moltiplicatore, si è venuto a determinare. Si può concludere che, allorquando la curva di domanda aggregata si sposta verso l'alto, si verifica un aumento della domanda di moneta da parte delle unità di spesa. Queste tratterranno presso di loro scorte di moneta a scopo transattivo maggiori rispetto a prima, in corrispondenza di ogni livello di reddito. Il finance motive finisce così per fondersi con la domanda di moneta a scopo transattivo e ciò in una prospettiva dinamica.9

Davidson enfatizza a questo punto il ruolo delle banche. Esse possono attuare una politica restrittiva riducendo la disponibilità di finance e comprimendo il livello di produzione. Ne deriva che la cre­scita del capitale reale e del reddito, oltre che dagli animaI spirits, di­pende dall'atteggiamento del sistema bancario e delle istituzioni finan­ziarie e dalla propensione alla liquidità dei privati.

Circa . quest'ultima conclusione si osserva che non è sufficiente supporre un comportamento restrittivo da parte del sistema bancario e delle istituzioni finanziarie, ma che occorre fornirne una valida giu-

8 «È lo spostamento nella funzione L'i indotto da un cambiamento nelle propen­sioni alla spesa che Keynes descriveva quando discuteva del finance motive. Ogni volta che vi è uno spostamento nella funzione di domanda aggregata, vi sarà un concomi­tante spostamento nella scheda della domanda di moneta» (Davidson 1972, p. 169). Davidson richiama le conclusioni alle quali Keynes ~iunse nell'articolo del settembre del 1937, osservando che «ogni "aumento nell'attivita programmata" si risolverà in un aumento della domanda di moneta a ogni livello di produzione» (ivl).

, «Il finance motive dinamico si fonde con il concetto statico di movente per le transazioni. Il finance motive quindi evolve come uno degli elementi dinamici nel mo~ello statico keynesiano; il suo maggior contributo è nell'ambito dell'analisi dello sqUilibrio macroeconomico piuttosto che in quello della statica comparata» (ibidem, p. 170).

520 Moneta e Credito

stificazione. Se il sistema bancario opera razionalmente e si pone co­me obiettivo la massimizzazione del profitto, non vi è motivo che es­so ponga in essere una politica restrittiva quando le iniziative per le quali i finanziamenti vengono richiesti presentano adeguati margini di redditività.

Un ridimensionamento del ruolo del sistema bancario nell'ambi­to di un approccio simile a quello di Davidson è stato proposto da Rousseas. Questi (1996, pp. 56-57) ha analizzato le conseguenze deri­vanti dai differenti comportamenti della banca centrale, a seconda che questa adotti una politica monetaria accomodante o meno, e ha af­fermato che il ruolo delle banche non va esagerato. In situazioni nor­mali, infatti, la domanda ex ante di finanziamenti può essere soddisfat­ta da parte delle imprese attingendo ai fondi propri e alla liquidità fornita dalle banche.

Qualora le banche dovessero adottare una politica monetaria re­strittiva, le imprese potrebbero sopperire alla carenza di finance attra­verso l'autofinanziamento. Se la forma del mercato è oligopolistica, le imprese possono aumentare i profitti (rendendo così possibile l'autofi­nanziamento) attraverso la manovra del mark-up. Appare evidente come, in tal modo, la rilevanza del settore bancario che era stata enfa­tizzata da Davidson venga ridimensionata.

La ricostruzione delfinance keynesiano proposta da,'Davidson fu criticata da Horwich (1966), che negò che questo contributo potesse rappresentare la base per una significativa analisi macroeconomica. lO

Più recentemente, Bibow (1995) ha posto l'accento sui limiti del tenta­tivo di Davidson di introdurre il finance motive in un modello IS/LM al fine di risolvere la contrapposizione tra teoria dei fondi prestabili e teoria della preferenza per la liquidità. Egli ha osservato che tale anali­si, anche se ha il merito di aver sottolineato i limiti del modello IS/LM, può essere considerata un approfondimento della domanda di moneta transattiva piuttosto che una vera analisi delfinance motive.

Un altro autore, Minsky, ha incluso il finance motive nella do­manda di scorte liquide a scopo precauzionale. A suo avviso, la doman­da di moneta a scopo precauzionale e assicurativo può essere soddisfatta attraverso l'immissione da parte del sistema finanziario di quella che egli chiama quasi-moneta. Ciò fa sì che l'offerta di moneta divenga par-

IO Circa la rilevanza di queste critiche si veda Davidson (1967).

Finanziamento della produzione e "finanee moti ve" in Keynes 521

zialmente endogena e che il tasso di interesse appaia determinato dalla domanda e dall'offerta di liquidità (Minsky 1975, p. 101).

Anche la Chick (1983) si è posta su questa linea, collocando la domanda di finanziamento tra i motivi per detenere moneta. Essa ha così parlato del finance come di un terzo movente (dopo quello pre­cauzionale e quello transattivo), distinguendo due diversi modi di in­tendere ilfinance.

a) Un primo modo è quello che ricollega la domanda difinan­ce alla necessità di finanziare quelle spese che non sono "di routine" e che non possono trovare un'adeguata fonte di finanziamento nel red­dito corrente. Per la loro realizzazione, l'ammontare dei saldi mone­tari a scopo precauzionale è insufficiente: da qui l'esigenza di un ricor­so al sistema bancario, il cui ruolo è quello di assicurare (grazie al fi­nance) il finanziamento (in anticipo rispetto alla formazione del ri­sparmio necessario) di una parte della produzione: gli investimenti di importo "considerevole". In questo caso però l'ammontare di finance richiesto non deve essere tale da coprire anticipatamente l'intero am­montare dell'investimento, in quanto è sufficiente che esso consenta l'avvio della sua realizzazione.

Il movente finanziario non rappresenta un motivo per detenere reddito sotto forma monetaria (nel qual caso - dice la Chick - se tenu­to per più di un periodo di reddito, il relativo ammontare di moneta costituirebbe "risparmio") ma per tenere moneta in vista di spese ec­cezionali. Il finance assume rilievo quando si verifica un mutamento nel volume degli investimenti (Chick 1983, p. 318).

In conclusione, le domande di moneta a scopi transattivi e pre­cauzionali sarebbero legate a una situazione di stazionarietà, mentre la domanda di finance sarebbe strettamente legata alla crescita.

b) La seconda ipotesi interpretativa considerata dalla Chick include la domanda di moneta per transazioni nella domanda di mo­neta a scopo di finanziamento. Questa interpretazione - che è anche quella di Davidson - condurrebbe a un'estensione del concetto di fi­nance così da comprendervi la liquidità destinata al finanziamento sia dei consumi sia degli investimenti programmati.

La mediazione tra le due posizioni proposta dalla Chick si basa sulla constatazione che i saldi per transazione sono tenuti in anticipo rispetto ai pagamenti, così da essere connessi alla spesa programmata nello stesso senso in cui lo sono anche i saldi per "finanziamento". La

I )

522 Moneta e Credito

differenza sta nel fatto che mentre i primi non richiedono un partico­lare sforzo per la loro acquisizione (dato che essi scaturiscono dal red­dito o dalle vendite), cosa questa che lascia inalterato il livello del tasso di interesse, ciò non avviene per i secondi (data la loro, intrinseca in­stabilità che deriva dall'instabilità della spesa programmata per inve­stimenti) (ibid., p. 320).

Appare opportuna, in conclusione, una considerazione su un ca­rattere che accomuna le diverse interpretazioni del finance sin qui esaminate: il costante riferimento alla domanda di moneta a scopo transattivo. La domanda di finance sarebbe affiancata o includerebbe il movente delle transazioni.

Una relazione particolare verrebbe così a instaurarsi tra la do­manda di scorte a scopo transattivo, come viene normalmente intesa, e la domanda di finance. L'introduzione del finance motive sarebbe ef­fettuata a fronte di un aumento pianificato dell'attività produttiva, mentre la tradizionale domanda di scorte liquide a scopo transattivo finanzierebbe il corrente livello di produzione.

Ora, se la domanda di finance è da ricollegare a un accrescimento pianificato dell'attività produttiva, ne deriva che in uno stato staziona­rio essa verrebbe a mancare. li In questo caso, come in altre ipotesi in­terpretative prima considerate, sono gli incassi correnti a finanziare la fase successiva della produzione. Il finance sarebbe tutt' al più uno stru­mento che interviene inizialmente e che è poi destinato a finanziare co­stantemente il sistema economico. Il suo ammontare subirebbe semmai degli aggiustamenti solo in corrispondenza di oscillazioni del livello di attività. È senza dubbio vero che alcune espressioni di Keynes fanno pensare che le disponibilità liquide acquisite dalle imprese attraverso la vendita dei beni di consumo possano finanziare la produzione, ma ciò è possibile solo a precise condizioni. È ovvio, infatti, che, se gli incassi

11 È stato osservato a questo riguardo: «Coloro che si proclamano i più fedeli di­scepoli dell'insegnamento keynesiano pensano di poter identificare il "finance moti­ve" con il motivo delle transazioni, con la sola differenza che la domanda di scorte a scopo transattivo è determinata dal livello del reddito corrente, mentre la domanda di . moneta per finanziamento sarebbe determinata dalla decisione di apmentare il livello ' . della spesa. Questo approccio [ ... ] non rispecchia il pensiero di Keynes. Sostenerlo equivarrebbe ad accettare l'idea che la formazione del reddito sia regolata da due mec- . canismi opposti, e precisamente un meccanismo tradizionale per quanto riguarda la determinazione di un livello stazionario del reddito, e un meccanismo alternativo quanto riguarda l'aumento del livello del reddito stesso. Sarebbe difficile QmenUI~I~ una simile asimmetria teorica» (Graziani 1985, pp. 160-61).

Finanziamento della produzione e "finanee motive" in Keynes 523

correnti possono finanziare una nuova produzione, è pur vero che ciò è possibile perché le banche sono disposte a rinnovare il finanziamento. Quando le imprese recuperano la liquidità iniziale (attraverso la vendita di beni di consumo, di titoli o grazie ai profitti), la loro prima cura è sdebitarsi verso le banche, sia per non pagare inutilmente interessi, sia perché il debito va estinto e il suo rinnovo, che sarebbe semplicistico ritenere automatico, va contrattato.

La circostanza che questi interpreti keynesiani abbiano spesso ricondotto il finance motive nell'ambito della domanda di moneta per transazioni non è ca$uale, ma va ricollegata a ben precisi assunti teori­ci di partenza. È stato osservato da Graziani (1985, p. 171) che per la maggior parte degli interpreti del finance keynesiano il modello teori­co di riferimento è lo schema IS-LM. Ora, il modello della Sintesi Neoclassica è un modello di equilibrio economico generale in forma aggregata. In siffatto contesto, il problema del finanziamento della produzione non assume rilevanza dato che esso è riferito a un'econo­mia di scambio nella quale la formazione del reddito ha luogo al mo­mento degli scambi, quando i titolari di beni e servizi si confrontano sul mercato.

4. Nuovi spunti interpretativi da un dibattito degli anni '80

Il dibattito sul finance motive ha ripreso vigore negli anni '80 - assu­mendo il tono di un vivace confronto - per arricchirsi, più recente­mente, di ulteriori contributi.

Fu Asimakopulos a riprendere, in un articolo del 1983, l'interpretazione di Robertson. 12 Egli sostenne che il finance motive era stato introdotto da Keynes soltanto come strumento per finanzia­re gli investimenti e che il suo ruolo era quello di rendere questi pos­sibili in attesa che il dispiegarsi del processo moltiplicativo del reddito desse luogo alla formazione di un corrispondente ammontare di ri­sparmio. Più specificamente, un aumento del finance, finalizzato alla realizzazione di un più elevato livello di investimenti, avrebbe reso il sistema bancario temporaneamente meno liquido, e ciò fino al mo-

12 Cfr. anche Asimakopulos (1985a, 1985b e 1986).

524 Moneta e Credito

mento della formazione di un risparmio di ammontare pari ai nuovi . . . InvestImentI.

Secondo Asimakopulos, l'errore di Keynes nello stabilire i rap­porti tra finance, risparmi e investimenti consistette nella sottovaluta_ zione del tempo necessario per la reintegrazione del finanziamento concesso dalle banche alle imprese per la realizzazione degli investi­menti. L'introduzione del finance come fondo di rotazione era infatti basata sulla speciale assunzione che il moltiplicatore operi in modo istantaneo. Dato che ciò non avviene il finance non può essere consi­derato un fondo di rotazione e l'indipendenza tra risparmi e investi­menti non è assicurata. 13

L'incompatibilità tra l'introduzione del finance e la tesi keyne­siana dell'indipendenza degli investimenti dai risparmi rende meno fecondo l'apporto della GT. In quest'opera, se un carattere "generale" va riconosciuto all'analisi del problema del raggiungi mento del pieno impiego, il profilo dell'indipendenza degli investimenti dai risparmi va invece considerato con specifico riferimento alla sinlazione storica nella quale essa fu scritta, con conseguente ridimensionamento del contributo keynesiano (Asimakopulos 1983, p. 232). Asimakopulos osservò inoltre che se Keynes aveva posto l'accento sul ruolo del fi­nance nei riguardi degli investimenti, egli aveva evidenziato, al tempo stesso, come le imprese debbano soddisfare un'altra esigenza: quella di trasformare il finanziamento bancario a breve in un prestito a lungo termine. Ma su questo aspetto, sfortunatamente, la sua attenzione sa­rebbe stata limitata, dato che egli si concentrò soprattutto sul primo dei due finanziamenti.

Il contributo di Asimakopulos - al quale seguÌ un ampio dibatti­to14

- non consente, a mio avviso, di cogliere alcuni aspetti essenziali

1) Cfr. Asimakopulos (1983, pp. 227-30). A sostegno della propria tesi, Asimako­pulos cita quanto detto in Kaldor (1939).

11 Cfr. Graziani (1984, 1985, 1986, 1991 e 1996b), Snippe (1985), Richardson (1986), Rousseas (1986), Terzi (1986). Richardson criticò la tesi di Asimakopulos, rile­vando come essa tendesse, di fatto, a riabilitare la Legge di Say e ribadì la "generalità" delle analisi di Keynes. Pur sottolineando i limiti dell'analisi del funzionamento del sistema bancario proposta da Asimakopulos, questo autore non ha però fornito, a no­stro avviso, una spiegazione soddisfacente del processo di creazione monetaria. Criti­che ad Asimakopulos sono venute anche da Snippe e da Terzi. Quest'ultimo ha mo-. strato come non sia affatto evidente che, nelle ipotesi prospettate da Asimakopulos, il finance perda la propria natura di fondo di rotazione e le imprese non siano in grado di estinguere il finanziamento iniziale. Una lettura critica dell'interpretazione in que­stione è stata effettuata da Bibow (1995, pp. 657-59).

Finanziamento della produzione e "finanee motive" in Keynes 525

dell'apporto keynesiano in materia monetaria. Come si è constatato, ilfinance è introdotto da Keynes in vista del finanziamento della spesa per consumi come di quella per investimenti. Ridurre la sua rilevanza al solo caso degli investimenti significa svuotarlo della maggior parte del suo valore e porre le premesse per un ulteriore, e forse più grave, fraintendimento. A questo punto Asimakopulos stabilisce una rela­zione tra il finance, il moltiplicatore e la dimensione temporale del circuito del reddito. Così facendo egli finisce per confondere, a mio avviso, i due termini del problema del finanziamento delle imprese: la predisposizione del finance necessario all'avvio e alla prosecuzione del processo produttivo, e il reperimento, sul mercato finanziario, del ri­sparmio destinato a finanziare a lungo termine gli investimenti.

La chiave di lettura dell'interpretazione di Asimakopulos risiede nella sua visione del processo di creazione monetaria. Egli infatti mo­stra di ritenere che questo può aver luogo solo a fronte di un ammon­tare di risparmi esistente presso il sistema bancario. Tuttavia, ed è questo un importante apporto di Keynes, nell'economia capitalistica la moneta è "di credito" e il finance è una "bookkeeping transaction", come affermato negli articoli successivi alla GT e come già anticipato nel TM.

Graziani, criticando coloro che come Asimakopulos hanno ripre­so le tesi di Robertson, ha proposto un'interpretazione nuova nel­l'ambito di una rilettura dell'evoluzione del pensiero monetario di Keynes. 15 Egli ha voluto restituire unitarietà all'edificio teorico keyne­siano, rifiutando quella cesura che è stata spesso individuata tra la GT e le opere anteriori. Graziani ha mostrato come la teoria keynesiana non solo ci fornisce una spiegazione della crisi e dell'incapacità dell'econo­mia capitalistica di uscirne autonomamente, ma ci permette anche di comprendere il funzionamento dell'economia capitalistica, dall'avviò del processo produttivo fino alla distribuzione del reddito. 16

Tra il TM e gli scritti successivi alla GT si snoda il percorso teo­rico di ' Keynes. Mentre nell'opera del 1930 egli ha preso in esame i

15 Sul dibattito fra Graziani e Asimakopulos, cfr. Graziani (1984 e 1986) e Asi­makopulos (1985a e 1986).

16 Si tratta di un elemento che distingue Graziani da altri autori post-keynesiani, come Minsky per il quale, se è vero che l'aspetto monetario della teoria keynesiana è fondamentale, ciò è però rilevante specie con riferimento alla spiegazione della crisi. Cfr. Graziani (1981, 1991 e 1996b).

526 Moneta e Credito

, "

meccanismi di distribuzione del reddito in un'economia capitalistica, negli articoli del periodo 1937-39 egli ha teorizzato il ruolo del finan­ziamento nell'avvio del processo produttivo. Per Graziani, nella GT Keynes fornisce una spiegazione della crisi alla luce del carattere mo­netario dell'economia capitalistica, ricorrendo, per superare le diffi­denze che avevano accolto il TM, anche a categorie più vicine al mon­do concettuale della teoria neoclassica. CosÌ egli avrebbe però posto le basi per quel sostanziale travisamento della sua opera effettuato dalla cosiddetta Sintesi Neoclassica. Secondo Graziani, negli articoli succes­sivi alla GT il finanziamento della produzione è inquadrato in un modello sequenziale che fa del momento dell'immissione iniziale della finanza il presupposto primo per la formazione del reddito. 17

Graziani non ha mancato di rilevare alcune incompletezze o ambiguità dell'analisi keynesiana che non inducono, comunque, a du­bitare delle effettive intenzioni di Keynes allorché prendeva in esame il problema del finance. Non è sufficientemente chiaro, per esempio, se la rilevanza del finance sia da considerare limitata al caso di un'economia dinamica o sia estensibile anche a un'economia staziona­ria. Il fatto che Keynes abbia spesso fatto riferimento al finance a pro­posito di un aumento del livello di produzione favorirebbe l'interpre­tazione secondo la quale esso sarebbe importante solo in un'economia dinamica.

Come abbiamo visto, per Keynes il finance è un fondo di ro­tazione che le imprese ricevono dalle banche all'inizio del processo produttivo e che debbono restituire una volta venduto il prodotto~ . Tale restituzione deve avere luogo indipendentemen~e dal fatto che ' l'ammontare di questo finanziamento sia costante o sia crescente. L'avvio di un nuovo ciclo produttivo richiede pertanto, in ogni ca- ·· .. so, un finanziamento iniziale che il sistema bancario è chiamato a. concedere. 18 . •

17 Cfr. Graziani (1985). L'argomento del finanziamento della produzione in . Keynes è stato ripreso, in ambito italiano, in un dibattito tra Cavalieri e Graziani èir- . ca il valore conoscitivo di alcuni recenti modelli macroeconomici che hanno fatto delò

la teoria keynesiana della moneta un punto di riferimento per la ricostruzione del funzionamento dell'economia capitalistica. Cfr. Graziani (1995 e 1996a) e . (1994 e 1996). .' . ' .

l' «Keynes [ ... ] ha sovente insistito sul fatto che, in un'economia stazionaria, la liquidità necessaria al finanziamento della produzione è fornita da un fondo di rota!:,' zione più o meno costante e costantemente ricostituito grazie alle vendite dei prod.ot­ti. L'esistenza di un fondo di rotazione costante in uno stato stazionario è innegabile';} .

Finanziamento della produzione e "finanee motive" in Keynes 527

Un'altra imprecisione dell'analisi keynesiana del finance concer­ne, secondo Graziani, l'individuazione delle modalità in cui il finan­ziamento della produzione ha luogo. Keynes infatti ritiene che, accan­to al finance concesso dalle banche, un'altra fonte di finanziamento sia rappresentata dall'emissione di nuovi titoli che consentono alle im­prese di recuperare parte della liquidità esistente. In questo modo si presuppone che le esigenze del sistema economico possano essere fi­nanziate attraverso l'aumento della velocità di circolazione di una quantità di moneta data.

Riteniamo, a .questo riguardo, che la consapevolezza del ruolo del sistema bancario e del carattere creditizio della moneta da questo immessa, così come appaiono dagli articoli che abbiamo considerato, sarebbe stata un buon motivo per indurre l'autore della GT a distin­guere, nell'ambito di un'economia capitalistica, la funzione di crea­zione della liquidità (e dunque di finanziamento della produzione) svolta dal sistema bancario, da quella di intermediazione, tipica del si­stema finanziario, e a pervenire alla formulazione di una duplice teo­ria del tasso di interesse.

A proposito dei motivi che potrebbero aver spinto Keynes a in­dicare nel mercato finanziario una possibile fonte di finanziamento accanto al finance assicurato dal sistema bancario, Graziani osserva che con buona probabilità sarà stata determinante la preoccupazione di mantenere un'interpretazione coerente con quella della GT. Qua­lora il sistema bancario fosse stato l'unica fonte del finanziamento ini­ziale, sarebbe stato necessario spiegare la determinazione sia del tasso d'interesse sul mercato monetario sia di quello sul mercato finanzia­rio. Ma ciò non avrebbe probabilmente rappresentato un elemento di forza nella controversia con Ohlin e Robertson, in un momento in cui Keynes intendeva ribadire il carattere monetario del tasso di inte­resse. Questi elementi di ambiguità non possono però far concludere che Keynes non avesse chiaro il quadro del finanziamento della pro­duzione e non distinguesse in modo altrettanto netto il problema del finanziamento della produzione da quello del finanziamento degli in­vestimenti (Graziani 1985, p. 169) .

Ma (ed ecco qualcosa che Keynes avrebbe fatto meglio a precisare), la sua presenza non significa che l'impresa sia affrancata dalla dipendenza dal sistema bancario. [ ... ] Affinché il fondo di rotazione mantenga un livello costante, non è dunque sufficiente che gli incassi coprano le spese monetarie; è in ugual modo necessario che le banche decidano di rinnovare il finanziamento» (Graziani 1985, p. 167).

528 Moneta e Credito

L'interpretazione del finance motive proposta da Graziani spiega più fedelmente, a nostro avviso, il percorso di Keynes in materia di teo­ria monetaria, essendo insoddisfacenti i tentativi - a volte motivati dall'aver assunto come punto di riferimento teorico un modello di equi­librio economico generale - di ricomprendere il finance nella domanda di scorte liquide della GT. In questa ricostruzione, il contributo keyne­siano alla spiegazione del finanziamento del processo produttivo emer­ge in tutta la sua originalità, pur non mancando di presentare alcuni aspetti che avrebbero meritato un ulteriore approfondimento.

Oltre che negli scritti sul finance motive, Keynes ha affrontato l'argomento del finanziamento monetario della produzione nel TM; di quest'opera quindi dobbiamo tener conto per una completa rappre­sentazione del suo apporto alla comprensione del funzionamento dell'economia capitalistica. Nell'opera del 1930 è possibile, come ve­dremo, trovare importanti intuizioni alle quali si raccorda l'analisi monetaria del periodo 1937-39, consentendo così di integrare il qua­dro della spiegazione keynesiana del funzionamento dell'economia capitalistica al di fuori della crisi. Interessanti sollecitazioni in questo senso ci vengono anche dal contributo di Bibow (1995).

5. Finanziamento della produzione e ruolo del sistema bancario nel Treatise on Money

Alcuni aspetti di teoria monetaria sviluppati da Keynes nel TM consen­tono di vedere quest'opera come un presupposto logico degli sviluppi teorici sul finance degli anni 1937-39. 19 In essa, il problema del finan­ziamento della produzione è affrontato in un più ampio contesto.

Va precisato che il finance preso in considerazione nel TM non è quello degli articoli successivi alla GT. Nell'opera del 1930, esaminan­do i fattori che determinano le variazioni del livello dei prezzi, Keynes distingue tra industria e finanza. Ma in questa sede, col termi~ ne finance egli si riferisce a un concetto riconducibile alla domanda di moneta a scopo speculativo della GT. Nel TM, Keynes (1930, p. 106) precisa chiaramente qual è lo scopo della teoria monetari,a: essa deve ,

19 Al riguardo, cfr. Kregel (1988) .

Finanziamento della produzione e "finanee motive" in Keynes 529

chiarire perché si ha un cambiamento del livello dei prezzi e come il sistema si sposta da una posizione di equilibrio a un'altra.

Nel TM Keynes presenta una visione dinamica dell'economia capitalistica (elemento questo che differenzia fortemente quest'opera rispetto alla GT)?O Il processo economico è visto non più come il ri­sultato di un insieme di trattàtive simultanee, ma come la successione di fasi concatenate, la prima delle quali è appunto il finanziamento dell'attività produttiva da parte delle banche.

Keynes osserva nella Prefazione del TM (1930, p. 8) come man­chi un'opera «che tratti sistematicamente e a fondo la teoria e i feno­meni della moneta fiduciaria quale essa esiste nel mondo moderno». E intese colmare questa lacuna.

Dell'analisi monetaria del TM, ciò che va ricondotto al finance motive del 1937-39 è il ruolo delle banche e la possibilità che queste hanno di creare moneta. Quando Keynes afferma che il finance è una bookkeeping transaction egli ha certamente presente quanto esposto diversi anni prima nel TM circa il ruolo delle banche nella creazione monetaria.

Nel TM Keynes criticò l'interpretazione di chi sosteneva che le banche non possono dare a prestito più di quanto sia stato depositato presso di loro dai clienti; sono i prestiti erogati dalle banche che stan­no all'origine dei depositi effettuati dai risparmiatori, non viceversa?! Ogni direttore di banca può considerarsi uno strumento passivo di forze esterne che egli da solo non può controllare ma che contribuisce a determinare con i suoi colleghi. Tali forze, e non i depositanti, sono all' origine del processo di creazione monetaria.

Il ruolo delle banche è duplice. Da un canto la banca può creare, a fronte dei valori che riceve, diritti a ottenere moneta: è il caso dell'intermediazione finanziaria, al quale tanto gli autori classici che i neoclassici si sono riferiti, in cui la creazione di diritti a ricevere mo­neta ha luogo a fronte di un deposito bancario già esistente. D'altro canto essa può emettere moneta attraverso la creazione di crediti su se stessa. Secondo Keynes (1930, pp. 30-31) non vi è nessuna differenza

20 Cfr. Shackle (1967, pp. 232.33). 21 Cfr. Keynes (1930, p, 32), Keynes apprezzò i contributi, circa il ruolo delle

banche nella creazione monetaria, di economisti come Hahn, Withers, Crick e Phil· lips, ma andò ancora più lontano sulla via dell'integrazione tra moneta e produzione in un'economia capitalistica.

r

" "

l'

i: ' ! i

;1

i '

~ l' , . I ,'

I :'

530 Moneta e Credito

tra le due operazioni, perché in entrambi i casi è la banca che crea la moneta mediante le sue scritture contabili.

Se non vi è differenza nella procedura di emissione, è però ben diverso ciò che sta a fronte delle due operazioni. Infatti, nel caso in cui essa è effettuata a fronte del risparmio, la creazione monetaria è vinco­lata dall'ammontare del risparmio precedentemente depositato, men­tre nell'altro caso essa non è soggetta a questa limitazione. Ne deriva, Keynes afferma, che la banca nella propria attività crea sempre deposi­ti a fronte di valori o a fronte di promesse e, al tempo stesso, annulla depositi.

Il quadro complessivo che emerge dà conferma dell'attenzione attribuita da Keynes alla moneta e alle banche (e dunque al finanzia­mento iniziale che, come si è ricordato, deve finanziare quella che egli chiama circolazione industriale distinguendola da quella finanziaria) (1930, pp. 140-41).

L'equilibrio di Keynes non è quello del modello walrasiano dell'equilibrio economico generale, dove le scelte vengono" effettuate simultaneamente e l'ammontare degli investimenti è uguale a quello dei risparmi. Si tratta, al contrario, di un modello in cui gli imprendi­tori determinano l'ammontare degli investimenti senza avere rappor­to con i risparmiatori, dato che è il sistema bancario l'origine del fi­nanziamento necessario (si veda Graziani 1981, p. 229).

Poiché gli imprenditori possono far ricorso al credito bancario e non sono limitati nella loro spesa dal reddito, è molto probabile che l'ammontare dell'investimento sia differente da quello del risparmio e che si abbia una situazione di squilibrio pressoché costante. Questa "stabilità dello squilibrio" è intrinseca all'economia capitalistica.

Keynes ritorna sull'argomento della creazione monetaria e del fi­nanziamento monetario della produzione nel secondo volume del TM, al capitolo XXXI, allorché evidenzia come il sistema bancario possa in­fluenzare il livello dei prezzi e condizionare la formazione dei profitti attraverso la concessione alle imprese di finanziamenti destinati al­l'acquisto di beni di investimento. Egli analizza le politiche monetarie proposte in quegli anni da alcuni studiosi non accademici al fine di evi­tare l'inflazione. I "banchieri", che facevano propria la tesi di un'offerta di moneta esogena, sostenevano che l'emissione monetaria dovesse esse­re limitata dall'ammontare delle riserve fissate dal Tesoro, mentre gli "eretici", su posizioni nettamente endogeneiste, affermavano che le ban­che dovevano immettere l'ammontare di moneta che il sistema econo-

! .

It~;

I) ,:: <,'l'

t;" , ! . (l, ,! ~\ i,'

i~ l'I . i)'! , i f l'"

.... ~:;:.\

'f Il' ' -' ~i:: i d -: .

;e:.~ .. }~ij.~ -'t . ~;' ,,,

Finanziamento della produzione e "finanee motive" in Keynes 531

mico richiedeva. Si tratta di un passaggio interessante che aiuta a mette­re in relazione la visione keynesiana del finanziamento della produzio­ne presentata nell'opera del 1930 con gli sviluppi teorici successivi.

Quali sono le idee principali di questi "eretici" nei riguardi dei quali l'autore del TM non nasconde una certa simpatia? Essi ritengo­no - osserva Keynes (1930, p. 419) - che la moneta sia «il sangue vitale dell'industria» e che se il credito bancario è fornito in modo da soddi­sfare le esigenze del sistema economico, non vi saranno ostacoli al raggiungimento della piena occupazione. Ne deriva che non dovrebbe esservi alcun limite alla creazione monetaria e che, per la natura in­trinseca di quest'ultima, le banche non dovrebbero percepire un com­penso elevato per un'attività che «costa loro poco o nulla». Questo non significa che la creazione monetaria possa essere illimitata. Per questi studiosi le banche devono immettere moneta solo a fronte di un processo produttivo.

Sembrerebbe che gli "eretici" abbiano trovato la "strada per Utopia", ma il loro ragionamento non soddisfa Keynes, e ciò non per­ché egli faccia proprie le considerazioni dei "banchieri". La risposta di questi ultimi è ancora più insoddisfacente. È infatti manifestamente assurda, a suo avviso, l'opinione secondo cui «l'importo del capitale d'esercizio disponibile per l'industria inglese dipenda dall'ammontare dell'oro nei forzieri della Banca d'Inghilterra» (ibidem, p. 420). Ciò che Keynes non condivide della posizione degli eretici è l'idea per la quale «creare credito per soddisfare una genuina domanda di capitale di esercizio non può mai essere un atto inflazionistico; poiché tale credito ha un carattere di assoluta liquidità e viene automaticamente rimborsato quando il processo produttivo è concluso» (ibidem, p. 419). Il loro errore di fondo consiste nel non aver visto che una parte del credito può essere destinata dalle imprese per la produzione di be­ni di investimento ai quali non corrisponde un uguale ammontare di risparmio.22 Essi non hanno colto dunque, in tutte le sue sfaccettature, l'eziologia del processo inflazionistico .

22 «L'errore che gli eretici hanno compiuto va ricercato perciò nel fatto che essi non tengono conto della possibilità dell'inflazione dei profitti. Essi ammettono la na­tura e i mali dell'inflazione dei redditi; percepiscono che anticipare credito all'impren­ditore, non per aumentare la remunerazione dei fattori della produzione ma per per­mettergli di aumentare la loro occupazione e quindi la loro produzione, non e la stes­sa cosa dell'inflazione dei redditi, giacché viene creata nuova ricchezza per un impor­to corrispondente al nuovo credito, ciò che non si può dire per l'inflazione dei reddi­ti; ma essi hanno trascurato l'ultimo termine dell'equazione fondamentale, non han-

532 Moneta e Credito

Keynes distingue a tal proposito tra inflazione dei redditi e in­flazione dei profitti. Il primo caso è quello che si verifica se le banche aumentano il finanziamento alle imprese per remunerare i servizi produttivi in una situazione nella quale il volume della produzione è sempre dato. Ciò provoca un aumento del livello dei prezzi dei beni di consumo. Se, al contrario, le banche concedono un finanziamento alle imprese affinché queste possano acquistare beni di investimento, l'immissione di moneta che deriva dall'acquisto di questi beni diventa la causa di un profitto inflazionistico. In questo caso, dunque, sul mercato dei beni di consumo vi sarà una domanda addizionale da par­te dei lavoratori che hanno partecipato alla produzione dei nuovi beni di investimento con un aumento dei prezzi, e la formazione di profitti di importo pari agli investimenti (sempre che la propensione al con­sumo sia uguale all'unità) .

Tre sono dunque le possibilità di creazione monetaria per Keynes: 1) la creazione che dà luogo a un semplice aumento dei red­diti monetari. Si tratta del caso in cui la remunerazione dei fattori non è legata all'aumento della produzione: questa creazione è la cau­sa dell'inflazione dei redditi; 2) la creazione monetaria effettuata per dare alle imprese la possibilità di acquistare beni di investimento. Es­sa genera un'inflazione dei profitti che permette alle imprese di fi­nanziare questo aumento degli investimenti (è il caso del profitto in­flazionistico di cui parla Schumpeter); 3) la creazione monetaria fina­lizzata alla realizzazione di una produzione la cui composizione sia conforme a quella della domanda. In questo caso l'equilibrio è man­tenuto, i prezzi dei beni di consumo non aumentano e non si ha re­distribuzione del reddito. Solamente in questo caso "la nuova ric­chezza che viene creata» si trova «in forma consumabHe simulta~ neamente con il nuovo potere di spesa assegnato come remunerazio~ ." ne ai fattori della produzione» (1930, p. 421). È la seconda di queste ipotesi - per Keynes - che è sfuggita agli "eretici" e ciò compromette la validità della loro conclusione.

Se questi studiosi non dispongono degli strumenti per evitare il verificarsi di un'inflazione dei profitti, deve pur dirsi che la risposta di

no tenuto conto della possibilità che gli investimenti distanzino il risparmio e che la nuova ricchezza che viene creata non sia in forma consumabile simultaneamente con il nuovo potere di spesa assegnato come remunerazione ai fattori della produzione. Essi non percepiscono che i prezzi possono salire anche se il saggio di remunerazione dei fattori della produzione per unità di prodotto è invariato» (ibidem, p. 421).

, .; '}

Finanziamento della produzione e "finanee motive" in Keynes 533

Keynes alla questione della determinazione della quantità di moneta è espressa in chiave problematica. Mostrandosi consapevole delle difficol­tà esistenti, egli propone un criterio pratico in grado di guidare le ban­che nella creazione monetaria: sarebbe la stabilità del livello dei prezzi a testimoniare l'eventuale inadeguatezza dell'offerta di moneta.2

}

Keynes non è contrario, in definitiva, alla visione del funziona­mento dell'economia capitalistica proposta dagli eretici ma ad alcune sue implicazioni di politica monetaria. Egli non critica l'idea che siano le banche a dar luogo alla creazione monetaria. Ugualmente non muove obiezioni all'.opinione secondo la quale, dato che la moneta è "creata" dalle banche senza far ricorso ad alcunché di preesistente, il tasso di interesse possa essere fissato dal sistema bancario a un livello molto basso. A ben vedere, queste sono idee che si ricollegano a quan­to affermato, nel primo volume del TM, in ordine alla creazione della moneta bancaria. Pur non avendo tratto tutte le conclusioni che dalle sue premesse teoriche potevano derivare, egli fornisce comunque ele­menti importanti per una riflessione sulla natura del tasso di interesse corrisposto alle banche a fronte dell'emissione monetaria.

Appare evidente come, nel TM, sia forte l'attenzione di Keynes per il finanziamento della produzione e come tale opera sia in sintonia con gli sviluppi teorici successivi alla GT.

Nell'opera del 1936 l'angolo visuale mutò e ciò può trovare giu­stificazione negli eventi storici che interessarono le economie occiden­tali a cavallo degli anni '20 e '30; ma questo non costituÌ un progresso della spiegazione keynesiana del funzionamento dell'economia capita­listica fuori della crisi.24 Nella GT l'interesse per il finanziamento del­la produzione ha ceduto il passo a quello per l'analisi della domanda di scorte liquide e del mercato finanziario. L'oggetto dell'analisi mo­netaria keynesiana nell' opera del 1936 è lo studio delle cause dell'in-

23 «Quanto credito debba essere creato per mantenere l'equilibrio è una questione complicata, poiché dipende dal modo in cui il credito viene usato e dal comportamen­to degli altri fattori monetari. Comunque la risposta, per quanto non sia semplice, è precisa e la prova che tale equilibrio sia o non sia effettivamente mantenuto può sem­pre essere rintracciata nella stabilità o meno del livello dei prezzi della produzione complessiva» (Keynes 1930, p. 421).

24 Cfr. Graziani (1981 e 1991). Moore (1988, p. 196), di fronte a tale diversità di posizione, osserva che «una risposta possibile è che gli anni '30 furono ben diversi da­~li anni '20 •. Nella sua Storia dell'analisi economica Schumpeter (1954, p. 1367, nota 5) e particolarmente critico nei riguardi del cambiamento di prospettiva che ha caratte­rizzato la riflessione keynesiana in materia monetaria.

r I I , ;

I !

" I

, ,

I:

.i ; , , l· i

,

534 Moneta e Credito

terruzione del circuito monetario, piuttosto che quello della sua aper­tura attraverso l'immissione di liquidità da parte delle banche.25 Ciò non toglie che, subito dopo, allorché Keynes affrontò il problema del finanziamento della produzione in occasione del dibattito con Ohlin e Robertson, il suo punto di riferimento, seppure implicito, fosse lo schema di funzionamento di un'economia monetaria elaborato nel TM.

L'utilità di un ritorno al TM per una corretta interpretazione dell'evoluzione della teoria monetaria keynesiana è stata ribadita da Bi­bow (1995), che ha offerto elementi per una rilettura del finance motive nell'ambito di una rappresentazione unitaria dell'opera di Keynes. Egli ha avanzato riserve sui risultati del confronto degli anni '80, affermando che la discussione che ha avuto luogo dopo l'intervento di Asimakopu­los, per quanto ricca, è stata poco feconda. Da un canto non sarebbe stata percepita - anche a causa dei riferimenti keynesiani a un preciso contesto istituzionale - l'essenza teorica del finance e, dall'altro, in mancanza di questa consapevolezza, non sarebbero state colte le impli­cazioni logiche che scaturivano da questo nuovo concetto.

Bibow si pone lungo la linea interpretativa che ha ricondotto il finance nell'ambito della domanda di scorte liquide, ma amplia la ri­flessione prendendo come punto di riferimento il complesso dell'opera di Keynes. Muovendo dall'inadeguatezza delle interpreta­zioni di Davidson e di Asimakopulos, egli propone un ritorno ad al­cuni profili specificamente approfonditi da Keynes nel TM.

Secondo Bibow, il concetto di finance - la cui colloçazione teo­rica non può essere fatta a prescindere dalla domanda di rboneta tran­sattiva - va ricollegato alle ipotesi di cambiamento nel processo pro­duttivo.26 Un aumento del livello dell'attività produttiva comporta non soltanto un maggior fabbisogno di moneta a scopo transattivo, ma anche un aumento della moneta richiesta a scopo precauzionale e

25 È questa un'interpretazione ritenuta da alcuni studiosi di Keynes eccessivamen­te riduttiva in quanto attribuirebbe un carattere «particolare» - essendo destinata solo a un'analisi dell'eziologia della crisi - alla più nota delle opere keynesiane. Pasinetti (1991) ha motivato il rifiuto di questa interpretazione alla luce di quanto emerge dai lavori preparatori in vista della pubblicazione della GT.

26 ,<il nocciolo della questione è che il finance motive è un concetto che implica mu· tamento e noi cadremmo in un 'assoluta confusione qualora non considerassimo piena. mente le implicazioni che scaturiscono dai cambiamenti. I cambiamenti prodotti sono innanzi tutto nel livello di reddito e in secondo luogo, sebbene non necessariamente, nella ricchezza» (Bibow 1995, p. 659).

"

Finanziamento della produzione e "finance motive" in Keynes 535

dunque un intervento degli intermediari finanziari, Più particolar­mente - e si tratta di un aspetto non considerato dagli autori della Sin­tesi Neoclassica - un aumento degli investimenti determina un au­mento dello stock di capitale e dunque un incremento della ricchezza detenuta dalla collettività, È per questo "effetto ricchezza" che assume rilievo l'intermediazione finanziaria. 27

Per una corretta comprensione del problema del finance è oppor­tuno non confondere quella che, nel 1930, Keynes chiamava «la duplice funzione dei banchieri» (p. 416). L'attività bancaria, è la tesi sostenuta nel TM (pp. 416-23), dà luogo alla creazione di depositi a risparmio e di depositi-moneta, Attraverso la creazione di questi ultimi, i banchieri svolgono la funzione di fornitori di mezzi di pagamento; quando la lo­ro attività ha per oggetto i depositi a risparmio essi, invece, non fanno altro che trasferire una parte del reddito già formato. A questa duplice distinzione si ricollegherebbe l'analisi monetaria di Keynes presentata negli articoli successivi alla GT sul finance motive. Secondo Bibow (1995, p. 662) dall'ultimo di questi articoli emergono elementi che con~ sentono di stabilire un parallelismo tra la trattazione della domanda di moneta che precede la GT e quella successiva. In "The process of capital formation" (Keynes 1939) il finance viene preso in considerazione con riferimento all'attività intermedi atri ce delle banche. Keynes avrebbe co­sì mantenuto la distinzione tra le due funzioni bancarie operata nel 1930 (finanziamento della produzione e finanziamento degli investi­menti): nell'ipotesi del finanziamento della produzione è il finance dei primi articoli che entra in gi'oco, mentre nel caso del finanziamento de­gli investimenti assume rilievo il finance preso in considerazione nel 1939.

Bibow individua inoltre dei punti di contatto tra l'analisi conte­nuta in questi contributi e quella della GT; la domanda di moneta a scopo precauzionale è, infatti, da lui ricondotta alla seconda delle fun­zioni dei banchieri, ossia all'attività di iritermediazione. Egli sottoli­nea come, alla luce di ciò che Keynes afferma nella GT, la domanda di

27 «Questo mutamento nella ricchezza e i connessi aspetti di portafoglio non sono considerati nella consueta analisi IS/ LM e la loro inclusione rende le cose più complica­te. Tuttavia, l"'effetto ricchezza" deve essere preso in considerazione quando si verifica un investimento netto, dal momento che ciò implica un aumento nello stock di capitale fisico e quindi nella ricchezza, Per effetto ricchezza, mi spiego meglio, io intendo che in qualunque momento l'investimento netto, o piuttosto la sua controparte finanziaria, deve essere detenuta in una qualche forma da qualcuno» (Bibow 1995, p. 659) .

. "

I,

l'

536 Moneta e Credito

attivi monetari per scopi precauzionali aumenti al crescere della ric­chezza. Questa domanda di moneta può essere soddisfatta mediante la seconda delle funzioni dei banchieri di cui si parla nel TM e nell 'articolo del 1939.

Da questa esegesi dei testi keynesiani deriverebbe un amplia­mento, nel più ampio contesto della teoria della preferenza per la li­quidità, del concetto di finance. Esso verrebbe ricollegato al tempo stesso alla domanda di moneta a scopo transattivo e a quella a scopo precauzionale. Anche Bibow, dunque, come Graziani, vuole offrire una rappresentazione unitaria dell'evoluzione della teoria monetaria di Keynes, che parte dal TM per approdare agli articoli pubblicati sull'Economie Joumal passando attraverso la GT. Per lui però il de­nominatore che accomuna le diverse opere keynesiane è la domanda di scorte liquide e non quella di finanziamenti.

L'indubbio interesse dell'interpretazione di Bibow non deve in­durre a equiparare, nell'ambito del contributo di Keynes in teoria mo­netaria, i due momenti nei quali il sistema bancario entra in gioco. Se è vero che la questione del consolidamento del finanziamento finale è ri­levante in quanto è attraverso l'azione degli intermediari che il rispar­mio giunge agli imprenditori, il problema del finance è "originario" per un'economia capitalistica e va distinto dalla domanda di scorte liquide.

Abbiamo già fatto cenno alle perplessità che scaturiscono da un inquadramento del finance nella domanda di moneta a scopo transat­tivo. Si aggiunga che anche nell'ipotesi in cui il finance viene collocato nella domanda di scorte precauzionali si annida il rischio di un perico­loso fraintendimento. Infatti, il finance presentato da Keynes negli ar­ticoli del 1937-39 è un fondo di rotazione che rende possibile l'intero processo produttivo. Esso è il presupposto per l'avvio della produzio­ne e per la conseguente formazione del reddito monetariò. La doman­da di scorte liquide, sia a scopo transattivo sia a scopo precauzionale, è un atto dispositivo del reddito già formato. Essa è dunque logicamen­te, oltre che cronologicamente, successiva all 'atto di finanziamento della produzione. .

Un approccio che equipari le due funzioni o che non tenga con­to della loro diversa rilevanza, oltre a non trovare adeguato riscontro nel dato testuale, priverebbe l'analisi keynesiana di quelle peculiarità che la rendono essenziale per la conoscenza del funzionamento dell'economia capitalistica.

Finanziamento della produzione e "finanee motive" in Keynes 537

6. Note conclusive

Nel paragrafo precedente abbiamo indicato elementi che consentono di "saldare" il finance motive degli anni 1937-39 all'analisi del finan­ziamento della produzione e, più in generale, del funzionamento di un'economia monetaria, proposta nel TM.

L'analisi keynesiana del finanziamento della produzione ha foca­lizzato l'importanza della moneta (e del sistema bancario) nell'avvio del processo produttivo. È la successione di fasi che caratterizza il processo economico che giustifica la centralità della moneta di credito e del finanziamento iniziale nell'economia capitalistica. In sostanza, sembra dirci Keynes, se consideriamo il processo produttivo ab ovo, il risparmio ex ante non esiste e non può dunque finanziare alcunché; da ciò la necessità di qualcosa che permetta l'avvio della produzione, di un finanziamento iniziale. Il finance è un fondo di rotazione destinato all'avvio della produzione, che il sistema bancario per la sua specifica natura rende disponibile.

La distinzione tra i due tipi di finanziamento (della produzione e degli investimenti), che emerge soprattutto dagli articoli del periodo 1937-39 - e che trova nell'analisi monetaria del TM un significativo precedente -, permette una corretta comprensione del funzionamento dell'economia capitalistica e illumina i rapporti tra settore delle ban­che e settore delle imprese.

Keynes, e questa ci sembra una delle indicazioni più significati­ve che riteniamo di offrire a conclusione di questa nostra analisi, fornisce elementi importanti per la determinazione della quantità di moneta che deve finanziare la produzione e per la fissazione del tas­so di interesse da corrispondere a fronte di tale finanziamento, aven­do colto la specifica natura di economia monetaria di produzione dell'economia capitalistica. Se il finance è una "bookkeeping transac­tion" alla quale il sistema bancario dà vita per rendere possibile la produzione, è al momento dell'avvio del processo produttivo che bisogna riferirsi per determinare la quantità di moneta che deve cir­colare nel sistema economico. Non è d'altra parte pensabile, come ribadito nel TM, ricollegare questa grandezza a un elemento esogeno (come per esempio l'oro, o quant'altro, detenuto nei forzieri della banca centrale). Emessa per consentire l'avvio di un dato processo produttivo, una quantità di moneta viene integrata nella produzione

538 Monet. e Credito

dando luogo all'instaurarsi di una relazione che lega il mezzo mone­tario ai beni e servizi prodotti e viceversa. Inoltre, se la creazione monetaria è il risultato di un gioco di scritture contabili, il tasso di interesse pagato a fronte di quest'operazione non può che essere de­terminato in modo diverso da quello sui titoli (o tasso di interesse finanziario); esso non deve remunerare alcun risparmio. Esso deve essere visto piuttosto come il corrispettivo da pagare al sistema ban­cario per aver svolto la funzione monetaria.

Per uno sviluppo della costruzione teorica keynesiana, è vero che occorre guardare in avanti rispetto alla GT (come chiedeva Pasi­netti), e proprio l'analisi degli scritti relativi al finance lo conferma, ma è altrettanto vero che non si può prescindere da un'opera anterio­re, il TM, che chiarisce il funzionamento dell'economia capitalistica fuori della crisi. In questo senso sia gli articoli successivi alla GT che l'opera del 1930 appaiono premesse indispensabili.

BIBLIOGRAFIA

ASIMAKOPULOS, A. (1983), "Kaleeki .nd Keynes on finanee, investment and saving", Cambridgefoumal ofEconomics, voI. 7, pp. 221-33.

ASIMAKOPULOS, A. (1985a), "Finanee, saving and investment in Keynes's eeonomies: a eomment", Cambridgefoumal of Economics, voI. 9, pp. 405-07. ".-

• ASIMAKOPULOS, A. (1985b), "The role of finanee in Keynes's Generàl Theory", Eco· nomic Notes, 3, pp. 5-16.

ASIMAKOPULOS, A. (1986), "Riehardson on Asimakopulos on finanee: a reply", Camo bridgefoumal ofEconomics, voI. lO, pp. 199-201.

Bmow, J. (1995), "Some refleetions on Keynes's 'finanee motive' for the demand for money", Cambridgefoumal ofEconomics, voI. 19, pp. 647-66.

CAVAUERI, D. (1994), "La teoria monetaria della produzione di Keynes e i teorici del circuito: a proposito di un libro di Augusto Graziani", Studi economici, n. 3, pp. 133-52.

CAVALIERI, D . (1996), "Sullo statuto teorico dell'offerta di moneta: un dibattito con Augusto Graziani", Studi economici, n. 2, pp. 99-126.

CHICK, V. (1983), Macroeconomics after Keynes, Philip Allan, Oxford; trad .. it. La ma­croeconomia dopo Keynes, il Mulino, Bologna, 1984.

DAVIDSON, P. (1965), "Keynes' finanee motive", Oxford Economic Papers, no. 1, pp. 47-65.

DA VIDSON, P. (1967), "The importanee of the demand for finanee", Oxford Economic Papers, no. 2, pp. 245-53.

DA VIDSON, P. (1972), Money and the Real World, Maemillan, London.

Finanziamento della produzione e "finanee motive" in Keynes 539

DELEPLACE G. and NELL, E. eds (1996), Money in Motion, Macmillan, London.

GRAZIANI, A. (1981), "Keynes e il Trattato sulla moneta", in A. Graziani, C. Imbria­ni C. e B. Jossa, a cura di, pp. 211-34.

GRAZIANI, A. (1983), "Aspetti della dottrina monetaria di Keynes", Piemonte vivo, pp. 49-66.

GRAZIANI, A. (1984), "The debate on Keynes' finance motive", Economic Notes, no. 1, pp. 5-34.

GRAZIANI, A. (1985), "Le débat sur le 'motif de financement' de J.M. Keynes", Économie appliquée, n. 1, pp. 159-75.

GRAZIANI, A. (1986), "Keynes' finance motive: a reply", Economic Notes, no. 1, pp. 5-9.

GRAZIANI, A. (1991), "Nuove interpretazioni dell'analisi monetaria di Keynes", in J. Kregel, a cura di, pp. 15-42.

GRAZIANI, A. (1995), "A proposito di un articolo di Duccio Cavalieri", Studi econo· mici, n. 1, pp. 181-97.

GRAZIANI, A. (1996a), "Seconda replica al Prof. Cavalieri", Studi economici, n. 2, 1996, pp. 127-37.

GRAZIANI, A. (1996b), "Money as purchasing power and money as a stock of wealth in Keynesian economie thought", in G. Deleplace and E. Nell eds, pp. 139-54.

GRAZIANI A., C. IMBRIANI C. e B. JOSSA, a cura di (1981), Studi di economia keynesia­na, Liguori, Napoli,

GRAZIANI A. e M. MESSORI, a cura di (1988), Moneta e produzione, Torino, Einaudi.

HAYEK, F.A. (1931), Prices and p'roduction, Routledge and Kegan Paul, London; trad. it. Prezzi e produzione, E.S.I,Napoli, 1990.

HAWTREY, R.G. (1937), "Alternative theories of the rate of interest", Economic Jour· nat, September, pp. 436-43 .

HORWICH, G. (1966), "Keynes's finance motive: comment", Oxlord Economic Papers, no. 2, pp. 242-51.

KALDOR, N. (1939), "Speculation and economie stability", Tbe Review 01 Economic Studies, voI. 6, October, pp. 1-27.

KEYNES, J.M. (1930), Treatise on Money, Macmillan, London; ora in Collected Writ· ings, vols V e VI, Macmillan, London 1971; trad. it. Trattato della moneta, Mila­no, Feltrinelli, 1978.

KEYNES, J.M. (1936), Tbe Generai Tbeory 01 Employment, Interest and Money, Macmil­lan, London; trad. il. Teoria generale dell'occupazione dell'interesse e della moneta, UTET, Torino, 1978.

KEYNES, J.M. (1937a), "Alternative theories of the tate of interest", EconomicJoumal, ora in Collected Writings, voI. XIV, Macmillan, London, 1973, pp. 201-15.

KEYNES, J.M. (1937b), "The 'ex ante' theory of the rate of interest", Economic Journat, ora in Collected Writings, voI. XIV, Macmillan, London, 1973, pp. 215-23.

KEYNES, J.M. (1938), "Comment on D.H. Robertson "Mr Keynes and 'Finance'" ", Economic Joumal, ora in Collected Writings, voI. XIV, Macmillan, London, 1973, pp. 229-34.

540 Moneta e Credito

KEYNES, J.M. (1939), "The process of capitai formation", Economie joumal, ora in Collected Writings, voI. XIV, Macmillan, London, 1973, pp. 278-85:

KREGEL, J., (1988), "Il finanziamento in Keynes: dal Trattato alla Teoria generale", in A. Graziani e M. Messori, a cura di, pp. 59-71.

KREGEL, J., a cura di (1991), Nuove interpretazioni dell'analisi monetaria di Keynes, il Mulino, Bologna.

MESSORl, M., a cura di (1988), Moneta e produzione, Einaudi, Torino.

MrNSKY, H.P. (1975), john Maynard Keynes, Columbia University Press, New York; trad. it. Keynes e l'instabilità del capitalismo, Boringhieri, Torino 1981.

MOORE, B. (1988), Horizontalists and Verticalists. The Macroeconomic of Credit Money, Oxford University Press, Oxford.

OHLIN, B. (1937a), "Some notes on the Stockholm theory of saving and investment", Economie journal, June, pp. 221-40.

OHLIN, B. (1937b), "Alternative theories of the rate of interest", Economie joumal, September, pp. 423-27.

PASINETIl, L. (1991), "Dal Treatise on Money alla Generai Theory: continuità o rot­tura?", inJ. Kregel, a cura di, pp. 43-5I.

RICHARDSON D .R. (1986), "Asimakopulos on Kalecki and Keynes on finance, in­vestment and saving", Cambridgejoumal ofEconomics, voI. lO, pp. 191-98.

ROBERTSON, D.H. (1937), "Alternative theories of the rate of interest", Economie jOllmal, September, pp. 428-36.

ROBERTSON, D .H. (1938), "Mr. Keynes and 'Finance"', Economie joumal, June, pp. 314-18.

ROUSSEAS, S. (1986), "The finance motive, Keynes and post Keynesians", Economies et Sociétés, Série Monnaie et Production, n. 3, pp. 189-201.

ROUSSEAS, S. (1996), Post Keynesian Monetary Economics, Macmillan, London.

SCHUMPETER, J.A. (1912), Theorie der wirtschaftlichen Entwicklung, Miinchen und Leipzig, Duncker und Humblot; trad. it. Teoria dello sviluppo economico, Sanso­ni, Firenze, 1973.

SCHUMPETER, J.A. (1954), History of Economie Analysis, Oxford University Press, New York; trad. it. Storia dell'analisi economica, Bollati Boringhieri, Torino, 1990.

SCHUMPETER, J.A. (1996), Trattato della moneta: capitoli inediti, E.S.I., Napoli.

SHACKLE, G .L.S. (1967), The Years of High Theory. Invention and Tradition in Eco· nomic Thought. 1926·1939, Cambridge University Press, Cambridge; trad. it. Gli anni dell'Alta Teoria, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma, 1984.

SNIPPE, J. (1985), "Fin ance, saving and investment in Keynes's economics", Camo bridge joumal ofEconomics, voI. 9, pp. 257-69.

TERZI, A. (1986), "Finance, investment and saving: a comment on Asimakopulos", Cambridgejoumal ofEconomics, voI. lO, pp. 77-80.

l

~ I l

". .' . '.

Note bibliografiche

PAOLO PECORARI, a cura di, Le banche popolari nella storia d'Italia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Venezia, 1999, pp. 236.

Si tratta di un volume che raccoglie gli Atti della quinta giornata di studio "Luigi L uzzatti" per la storia dell'Italia contemporanea, tenutasi a Venezia il 7 novembre 1997. Vi sono comprese quattro relazioni, ordinate approssima­tivamente secondo una scansione tem­porale che ripercorre tutto il periodo intercorrente tra la fondazione della prima banca popolare italiana (quella di Lodi nel 1864) e i nostri giorni, periodo che coincide con quello della nostra storia unitaria.

Alle relazioni di Luigi De Rosa (sul­le banche popolari nell'economia del­l'Italia liberale), Pietro Cafaro (banche popolari e casse rurali tra '800 e '900), Alberto Cova (Le banche popolari tra le due guerre) e Ferruccio Bresolin (Le banche popolari nell'Italia repubblica­na) fanno seguito gli interventi alla ta­vola rotonda sulle "Banche popolari oggi") cui hanno partecipato Tancredi Bianchi, Giovanni B. Alberti) Paolo Biffis, Giorgio Carducci, Paolo Pecora­ri e Aniceto V. Ranieri.

Le analisi riportate nel volume con­sentono di ripercorrere le tappe l! le ra­gioni del successo di questi "picèoli gi­ganti" che hanno accompagnato lo svi­luppo economico del nostro paese, ri­sentendo delle (e contribuendo a de­terminarne le) caratteristiche.

Alcune connotazioni delle banche popolari e il loro ruolo rappresentano una costante di questo secolo e mezzo di storia, altre di minore importanza

Moneta e Credito, n. 208, dicembre 1999.

sono più strettamente legate a partico­lari situazioni storiche.

Tra le prime, il posto più importan­te (almeno dal punto di vista di un economista) è certamente rappresenta­to dal loro essere "banche locali". Sto­ricamente, questa connotazione è ben presente nel fondatore delle banche popolari italiane, Luigi Luzzatti. Come si ricorda più volte nel corso del volu­me, Luzzatti voleva che l'attività di queste banche cooperative fosse allora concentrata nella provincia di insedia­mento e non approvava l'espansione delle stesse fuori dal territorio origina­rio. Come giustamente osserva Pecora­ri (p. 219), Luzzatti aveva una visione «non neutrale» della finanza e, quindi, un'opportuna organizzazione del credi­to avrebbe potuto contribuire allo svi­luppo dell'economia (in questo caso, locale). Attraverso le loro caratteristi· che istituzionali peculiari (su cui si ri­tornerà brevemente più avanti), le ban­che popolari si sono fin dall'inizio can­didate (assieme alle casse di risparmio e alle banche di credito cooperativo, al­lora casse rurali e artigiane) a essere un importante sostegno finanziario dei si­stemi produttivi locali e la stessa artico­lazione territoriale di questa parte del sistema bancario è spiegabile con le di­verse evoluzioni delle varie parti del si­stema produttivo.

Come ricorda Bresolin (p. 124), nel periodo più recente, quello del secondo dopoguerra, «le banche popolari, ' così come le banche di credito cooperativo, rappresentano istituzioni creditizie che contribuiscono significativamente al decollo di quei sistemi locali di impresa che verranno definiti negli anni '80


Recommended