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G. Prisco, A. Guglielmi, Ravvivanti e protettivi, in G. Prisco (a cura di), Filologia dei materiali...

Date post: 26-Nov-2023
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C ome si è accennato, a fronte del feno- meno del rapido sbiancamento dei di- pinti – accuratamente descritto, ma non compreso nelle sue cause profonde – poco dopo lo scavo la corte borbonica adottò, in tempi molto brevi, quello che sembrava un efficace rimedio, ossia l’applicazione di una ‘vernice’, cui seguì, nell’arco di più di due se- coli, la sperimentazione di molti altri prepa- rati. Le loro alterne vicende costituiscono un no- do centrale nella storia del restauro della pit- tura murale antica: lo stretto intreccio tra tec- nica esecutiva, metodi di pulitura e tipo di ravvivante/protettivo proposto, il diritto al segreto dell’invenzione, universalmente rico- nosciuto, la mancanza di qualsivoglia requi- sito professionale dell’inventore, l’empirismo della sperimentazione, sono tutti temi che si ripetono, con poche varianti, nell’arco del XVIII e di gran parte del secolo successivo; a partire dal decennio francese, a questi temi si aggiunge quello del ruolo giocato dalla chi- mica. In questa sede non se ne ripercorrerà l’intera storia, ormai abbastanza conosciuta nelle sue linee generali 1 , e che riguarda peraltro anche le pitture destinate a rimanere in situ, ma ci si limiterà all’esame delle vernici incontrate nel corso della schedatura che abbiamo rite- nuto, in alcuni casi, ricollegabili ad inven- zioni menzionate dalle fonti. Ravvivanti e protettivi 45 Fig. 40 MAN inv. n. 9107, che conserva il dislivello tra i piani. Ravvivanti e protettivi Gabriella Prisco, Antonio Guglielmi 40
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Come si è accennato, a fronte del feno-meno del rapido sbiancamento dei di-

pinti – accuratamente descritto, ma noncompreso nelle sue cause profonde – pocodopo lo scavo la corte borbonica adottò, intempi molto brevi, quello che sembrava unefficace rimedio, ossia l’applicazione di una‘vernice’, cui seguì, nell’arco di più di due se-coli, la sperimentazione di molti altri prepa-rati.Le loro alterne vicende costituiscono un no-do centrale nella storia del restauro della pit-tura murale antica: lo stretto intreccio tra tec-nica esecutiva, metodi di pulitura e tipo diravvivante/protettivo proposto, il diritto alsegreto dell’invenzione, universalmente rico-

nosciuto, la mancanza di qualsivoglia requi-sito professionale dell’inventore, l’empirismodella sperimentazione, sono tutti temi che siripetono, con poche varianti, nell’arco delXVIII e di gran parte del secolo successivo; apartire dal decennio francese, a questi temi siaggiunge quello del ruolo giocato dalla chi-mica. In questa sede non se ne ripercorrerà l’interastoria, ormai abbastanza conosciuta nelle suelinee generali1, e che riguarda peraltro anchele pitture destinate a rimanere in situ, ma cisi limiterà all’esame delle vernici incontratenel corso della schedatura che abbiamo rite-nuto, in alcuni casi, ricollegabili ad inven-zioni menzionate dalle fonti.

Ravvivanti e protettivi 45

Fig. 40 MAN inv. n. 9107, checonserva il dislivello tra i piani.

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Gabriella Prisco, Antonio Guglielmi

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Preme però sottolineare, per quanto attieneai dipinti staccati che, benché si possa esse-re tentati di istituire un parallelo con il ver-nissage cui periodicamente venivano sotto-posti i quadri da cavalletto facenti parte del-le quadrerie moderne, questa ipotesi vascartata per due motivi. In primo luogo, nelcaso delle pitture pompeiane, non si tratta-va di rinnovare uno strato di finitura appo-sto, in origine, dallo stesso autore, come av-veniva per i dipinti su tavola e tela; inoltretale finitura contribuiva, nei quadri moder-ni, a fare scorrere lo sguardo su una superfi-cie piana e indisturbata; viceversa, dei di-pinti murali antichi staccati venne sempreconservata ogni deformazione e dislivellotra i piani, rispettando così lo stato di con-servazione riscontrato al momento del rin-venimento; e se è vero che le stesse modalitàdello stacco – con il gesso colato sul recto amo’ di controforma – facevano sì che ognieventuale irregolarità delle superfici fosseconservata, nulla avrebbe impedito il ripri-stino della planarità degli intonaci in labo-ratorio, una volta asportato il gesso da pre-sa; viceversa, non sembra che questa praticasia stata mai adottata (fig. 40), costringen-do addirittura le officine di falegnameria adadattare le cornici all’andamento dei «beiquadri» (fig. 260).Tuttavia, sia pure con queste differenze, è in-negabile che l’apposizione di un ravvivanteandava nella direzione dell’assimilazione deidipinti murali a quadri da cavalletto2, com-

pletando quel processo di cui l’asportazionedalla parete di origine e l’incorniciatura co-stituivano altrettante tappe3.

LA VERNICEMARICONISu molte delle pitture di più antico rinveni-mento custodite nei depositi è chiaramenteosservabile una vernice – a volte conservatasolo in tracce, a causa dei successivi tentatividi pulitura – di aspetto traslucido, vetroso,contraddistinta da un cretto fitto e sottile eda un forte ingiallimento (figg. 41; 156b) Lastesura è a volte sottilissima (fig. 42), mentrein altri casi si osserva uno strato più spesso,associato a colature (fig. 43); in entrambi icasi si riscontrano cadute della pellicola pit-torica, in particolare in corrispondenza diparti dipinte a corpo (figg. 152; 153). Benché, nelle poche liste circostanziate a noipervenute4, non sia stato purtroppo quasimai possibile riconoscere, a causa della gene-ricità della descrizione, i dipinti sottoposti aquesto trattamento, è plausibile, data la lorocronologia di scavo, istituire un nesso con laprima vernice di cui abbiamo notizia, inven-tata dall’alfiere del re Stefano Mariconi, adot-tata nel 1739 e utilizzata su larga scala fino al17675; quest’ipotesi risulta rafforzata dalleindagini eseguite con tecniche di imagingmulti spettrale, che indicano la presenza diuna vernice a matrice prevalentemente resi-nosa, e confermata dalle analisi chimiche estrumentali, che hanno individuato nei cam-pioni la presenza di terpeni6.

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Fig. 41 Dipinto coperto da unavernice oleo-resinosa. Nellamacrofotografia è visibile il cretto.

Fig. 42 MAN inv. n. 8657,particolare: si apprezza la stesurasottile della vernice oleo-resinosa.

Fig. 43 MAN inv. n. 9894,particolare: colature della verniceoleo-resinosa.

Fig. 44 MAN inv. n. 8555,particolare: si apprezza la stesurairregolare e corposa della verniceoleo-resinosa.

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Benché sembri di poter arguire dalle fontiche la finitura a vernice fosse una prassi ge-neralizzata7, la nostra indagine a campionedimostra che, in realtà, essa non è presente sututti i dipinti compresi tra le date sopra cita-te8. Poiché le medesime fonti istituiscono unchiaro nesso fra verniciatura e disegno9, ab-biamo formulato in un primo tempo l’ipote-si che il trattamento fosse riservato, priorita-riamente, alle pitture prescelte per la pubbli-cazione nei volumi delle Pitture di Ercolano;tuttavia, dei 77 dipinti da noi schedati chepresentano un trattamento con una verniceoleo-resinosa, solo una metà sono stati pub-blicati. Benché non si possa escludere che glialtri dipinti fossero stati verniciati in vista diuna loro futura riproduzione, ovvero ogget-to di disegni e incisioni mai giunti sino a noi,siamo propensi a credere che siano state sot-toposte a questo trattamento prioritaria-mente le pitture la cui leggibilità risultava,dopo lo stacco, compromessa (il che dovevarappresentare la maggioranza dei casi), chefossero destinate o meno alle Antichità. Cisembra che questa ipotesi trovi confermaproprio nella nota polemica che portò, nel1767, alla sospensione di questo preparato:secondo Canart, infatti, a provocare il di-stacco della pellicola pittorica era stata, in unlimitato numero di casi, una seconda stesu-ra, attuata a distanza di tempo dalla prima10

(figg. 186 b-e), finalizzata proprio a poter di-segnare le pitture in un ambiente poco illu-minato; si trattava quindi di dipinti, eviden-temente offuscati al momento della scoper-ta, che avevano ricevuto leggibilità grazie alravvivante, ben prima che le esigenze del di-segnatore La Vega portassero a ripassare lavernice. Non è stato purtroppo finora possi-bile rintracciare i suddetti disegni, e quindi leopere, per verificarne i trattamenti11; di cer-to però non tutte le stesure corpose e caratte-rizzate da colature sono riconducibili a que-sto episodio poiché, come affermava lo stes-so Canart, «[…] le cinque o sei pitture pati-te con la vernice della Mariconi sono le pro-ve fatte al principio nelle quali si diede trop-po carica la vernice […]»12. In verità è proba-bile che anche la testimonianza di Canart,fautore della vernice dell’alfiere siciliano, siada accogliere con prudenza: colpisce adesempio che una pittura con un’elefantessaed un elefantino13, scavata nel 1748, sia rico-perta da uno strato di vernice spesso e conevidenti colature (fig. 44), benché non possaannoverarsi né fra le prime prove, né fra leopere ripassate con la vernice in vista dellapubblicazione, dal momento che non è fraquelle pubblicate nelle Antichità. Ad ogni

modo, alla prassi della verniciatura reiterataa distanza di tempo sembrano riferirsi, annidopo, gli incaricati della selezione dei dipin-ti da trattare con la nuova vernice di AndreaCelestino, quando, descrivendone lo stato diconservazione, accennano in alcuni casi auna «vernice semplice», in evidente contrap-posizione alle ripetute stesure altrove riscon-trate14.Di questo ravvivante non è nota la ricetta,coperta da un «segreto» che diede da vivere alsuo inventore e, dopo la sua morte – avvenu-ta nel 1750 – alla vedova nonché, in seguito,al di lei fratello15; conosciamo però alcuneprescrizioni sul suo utilizzo (la stesura dove-va avvenire non appena compiuto il proces-so di asciugatura dei dipinti; era sconsigliatain presenza di venti di terra, mentre in casodi scirocco bisognava «moderare le pitturecon un’aria di foco»16) e, grazie ad una notaspese, gli ingredienti, ossia resine naturali e«spiriti»17. Poiché però nella medesima notasi accenna anche al trattamento di alcunimosaici, e dal momento che l’intendente diCasa Reale avanzava il sospetto di un dolocompiuto dall’inventore ai danni dell’erario,un recente studio promosso dall’ICR si è pre-fisso il compito di ricostruire sperimental-mente questa vernice, per verificare, tra l’al-tro, pertinenza e compatibilità degli ingre-dienti e attendibilità delle proporzioni18. Ciòè stato possibile grazie ad una preliminare ri-cerca lessicale e al confronto con ricettari coe-vi che contenessero materie prime analoghe;è stata così dimostrata la pertinenza di tuttigli ingredienti alla preparazione della mistu-ra e la ragion d’essere di ciascun componen-te, anche di quelli, come l’ambra (ossia la «ca-robi») cui si è guardato sempre con scettici-smo, a causa della sua scarsa solubilità; anchelo «spirito di rosamarina», che le fonti asseri-scono essere stato utilizzato per lavare le pit-ture, potrebbe essere stato utilizzato dall’uf-ficiale siciliano, insieme all’essenza di spigo –ossia l’olio di lavanda – per agevolare il pro-cesso di dissoluzione di resine dure, come lacopale. Si è infine verificato che l’apparte-nenza di questo preparato alla famiglia dellevernici chiare non vuol dire che esso sia in-colore: al contrario la vernice osservata inprovetta appare, a seconda della ricetta se-guita, più o meno giallo-bruna; tuttavia lastesura di questa su provini preparati ad imi-tazione dell’affresco romano, sui quali è sta-ta riprodotta l’alterazione dovuta a depositisuperficiali di solfato di calcio e successiva-mente invecchiati in camera climatica, ha di-mostrato che il preparato, anche se steso inpiù mani, non lascia percepire visivamente

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un ingiallimento dei colori, bianchi compre-si, ma si limita ad esaltarne il tono. Le indagini sulla vernice originale, se da unlato non sono state in grado di riconoscere –per i limiti connessi al metodo stesso della ri-cerca19 – tutte le resine elencate nella notaspese del 1741, hanno riservato per controqualche sorpresa: in numerosi campioni,provenienti da dipinti databili in un arco ditempo compreso fra gli inizi delle scoperte ei primi anni ’60 del ’700, colpisce la presen-za di olii siccativi, assenti nella suddetta no-ta, che elenca per contro, come si è detto, va-ri olii essenziali. Se ne potrebbe arguire che ledue categorie di solventi siano state utilizza-te, in modo intercambiabile, per sciogliere leresine: poiché le metodologie analitiche at-tualmente in uso non consentono in nessuncaso di rilevare la presenza degli olii essenzia-li, si potrebbe assumere come argumentum exsilentio che, nei casi in cui non risultino alleanalisi olii siccativi, i solventi utilizzati sianostati quelli citati nella nota autografa delMariconi. Ciò salvo a voler ipotizzare che lapresenza degli olii siccativi derivi da pratichemanutentive successive, anche se non docu-mentate.Come si evince dalle fonti questo preparato,in misura assai maggiore dei successivi, va in-teso piuttosto nell’accezione di un ravvivan-te che di un protettivo20: come si è detto21 èinfatti evidente che, negli allestimenti che sisusseguirono nella reggia di Portici, quest’ul-tima funzione era assolta dalla lastra di cri-stallo inserita nella cornice. Alla vernice eraaffidato piuttosto il compito di rialzare il to-no delle tinte, in modo non dissimile dalletanto deprecate secchiate d’acqua con cui icustodi avrebbero, anni dopo, bagnato aPompei le pitture in situ, in occasione dellevisite agli scavi22. Inoltre, cambiando l’indi-ce di rifrazione della luce, essa svolgeva lafunzione di mascherare alla vista i depositi –sia quelli di scavo che i residui del gesso uti-lizzato come controforma per lo stacco –sfuggiti ad operazioni di pulitura il più dellevolte, come si è detto, piuttosto sommarie23

(figg. 8; 12; 155a). L’effetto sui dipinti appena verniciati è benesemplificato dalla descrizione, degli inizi de-gli anni ’50, del pittore N. Cochin: «[…] l’e-spece de vernis qu’on y a appliqué paroît leuravoir rendu leur premier feu, sans leur avoirfait aucun tort»24. Tuttavia gli osservatori piùattenti, come Winckelmann, non lesinavanole critiche, relative all’interazione tra mate-riali costitutivi, materiali di intervento e tec-nica esecutiva: «In quell’epoca si trovò unapersona, che si fece innanzi con una vernice

per conservare quei dipinti, e questa vernicefu subito data a tutti i dipinti ch’erano statiscoperti, e non è più possibile per conse-guenza l’esaminare quale si fosse il metododelle pitture»25. Si rimproverava poi, da parte dello stessoWinckelmann, seguito da molti altri, che «laVernice ha la virtù di staccare i colori a vistad’occhio […]»26. Questa polemica era anco-ra d’attualità nel 1842, quando il sociodell’Accademia di Belle Arti Giuseppe diMattia deprecava che il dipinto col Teseo fos-se «quasi tutto disfatto per cagione del cosìdetto encausto con che fu tempo addietroverniciato»27.

LA VERNICE PADERNICome si è detto, la vernice Mariconi fu so-spesa, nel 1767, perché indiziata di aver cau-sato danni alla pellicola pittorica; tuttavia,nonostante il parere di Francesco De Mura,che riteneva superflua l’applicazione di qual-sivoglia ravvivante28, essa fu sostituita con unaltro preparato, creato dal custode del MuseoErcolanese Paderni, i cui componenti e pro-cedimento erano altrettanto rigorosamentesecretati di quelli del suo predecessore29. Individuare questa vernice sulle opere, in as-senza di qualsivoglia indicazione sulla suacomposizione, non è facile. Inoltre l’attivitàdi Paderni deve essere circoscritta nell’arco didieci anni, dal 1771, epoca dei primi saggi30,al 1781, data della morte; il suo preparatonon ha avuto quindi la diffusione del prece-dente. Un piccolo gruppo di affreschi31, scopertonella prima metà del XVIII secolo, da noi in-dividuato nei depositi, appare trattato conuna vernice di aspetto opaco e coprente, taleda obliterare le immagini (figg. 23; 162a).Essa si è rivelata, alle prove di pulitura, solu-bile in acqua deionizzata32; le indagini ese-guite con tecniche di imagingmulti spettra-le confermano la sua diversità rispetto allavernice Mariconi33 (figg. 162 b, c). Le anali-si chimiche hanno poi portato a riconoscere,nelle sostanze sovrammesse, gomma arabicae resine terpeniche34; sembrando improbabi-le la creazione di una vernice mediante la me-scolanza di tali sostanze, si può ipotizzare chele resine terpeniche costituiscano le traccedella vernice Mariconi, rimossa all’atto dellastesura della nuova vernice a base di gomme. È forte la tentazione di identificare questavernice, come di recente ipotizzato da A.Arrighi e C. Laino35, con quella del Paderni,sulla base della velenosa accusa del padrePiaggio, il responsabile dell’officina deiPapiri: «A me non tocca andar suonando la

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tromba: è colla, è colla, è colla, e dire che faràpiù pregiudizio alle Pitture di quello che hafatto la vernice della vecchia»36. La scelta delle gomme potrebbe derivaredalla convinzione che si fosse di fronte a deidipinti a tempera; pertanto, forse, si ritene-va necessario, dopo il trauma del seppelli-mento e dello scavo, ristabilire la coesionedei pigmenti tramite l’aggiunta di un le-gante organico; questa suggestione ci deri-va da un passo di J.J. Lalande, in viaggio inItalia tra il 1765 e l’anno successivo, che, aproposito dei danni prodotti dalla verniceMariconi, rimpiangeva che non si fosse pas-sato sui dipinti, prima di verniciarli, «ducorps»37.Camillo Paderni, a causa delle suemansioni di custode del museo, era in con-tatto con tutti i visitatori dell’HerculanenseMuseum; pertanto egli avrebbe potuto co-gliere, più facilmente di altri, tali spunti.Questa suggestione necessiterà tuttavia diulteriori indagini che ne confermino la va-lidità, tanto più che, essendo la cronologia

di stacco dei suddetti affreschi precedente al1767, essi non costituiscono una testimo-nianza incontrovertibile dell’operato delPaderni.

ENCAUSTICATURA A CALDODopo la morte di Camillo Paderni, sembrache la ricerca si sia concentrata, per alcuni an-ni, sulla sperimentazione in situ di puliture38

e di ravvivanti39 orientati, entrambi, dallaconvinzione che la tecnica utilizzata in anti-co fosse quella dell’encausto; pertanto nellacasa di Sallustio alcuni ambienti decorativennero sottoposti ad encausticatura nei pri-mi anni del XIX secolo, inizialmente – sem-bra – dal padre Requeno in persona40 e, suc-cessivamente, da Pietro La Vega41. Tali esperimenti sono forse continuati per al-cuni anni, come sembrerebbe dimostrare ilquadro con Narciso ed Eros (fig. 45): il di-pinto, scoperto nella casa di Polibio nel 1808e staccato due anni dopo42, presenta tracce diun protettivo ceroso il cui aspetto suggerisce

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Fig. 45 MAN inv. n. 9382.

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una stesura a caldo43; si può quindi ipotizza-re che l’esperimento sia stato condotto in si-tu, in vista della sua permanenza nel contestodi provenienza, prima che la regina CarolinaMurat lo facesse staccare, forse per il suo mu-seo privato44.

LA VERNICE CELESTINONel frattempo, la ricerca di un protetti-vo/ravvivante per i dipinti staccati non sem-bra sia stata mai del tutto accantonata: infat-ti, fra le dettagliate istruzioni destinate allaseconda Commission des Sciences et desArts, redatte nel 1799, si legge: «Ils s’infor-meront si l’on a essayé pour conserver leurfraicheur un autre expédient que celui de lescouvrir de vernis, expédient qui a causé laruine de plusieurs de ces tableaux dans la col-lection de Portici»45. Forse non casualmente proprio nel decenniofrancese (1806-1815), in cui tanto impulsofu dato alla ricerca applicata, cade la primafase della sperimentazione di un nuovo pre-parato da parte del pittore Andrea Celestino. I numerosi studi dedicati all’argomento ciesimono dal ripercorrerne analiticamentetutte le tappe46; sarà in questa sede sufficien-te ricordare che ad una prima fase, condizio-nata dalla convinzione, chiaramente espres-sa dal pittore, di trovarsi di fronte a degli en-causti, seguirà, dopo una lunga interruzionedegli esperimenti, una loro ripresa, negli an-ni ’20 dell’800; questa seconda fase, culmi-nata nell’adozione ufficiale, nel 1828, dellasua vernice per i dipinti staccati, si accompa-gnerà alla certezza, maturata nel frattempodal Celestino, che tali dipinti fossero esegui-ti a fresco.La scelta della cera come base della sua ‘verni-ce’, tuttavia, se pure può aver preso le mosseda quella che si credeva inizialmente fosse latecnica esecutiva, trova la sua profonda ragiond’essere nella ricerca di un materiale che pe-netri in profondità nella porosità dell’intona-co, onde ‘impaniare’ i sali e impedire così cheessi, veicolati verso la superficie dipinta, necausino lo sbiancamento e cadute di colore;inoltre la cera – come sarà attestato dai chi-mici incaricata di esaminare la vernice – «pre-serva i colori dall’azione igrometrica […] [edalla] azion dell’ossigeno nell’aria, e dell’aci-do carbonico»47. In ciò risiede, a nostro avvi-so – oltre che in una sperimentazione rigoro-sa – la profonda differenza tra il preparato ce-lestiniano e quelli che lo hanno preceduto: al-la valenza di ravvivante – peraltro ancor piùnecessaria che per il passato, stante la neces-sità di una ottimale visibilità dei colori origi-nali, funzionale, agli albori della sperimenta-

zione, anche all’integrazione pittorica48 – si èinfatti aggiunta quella di protettivo. Ne è pro-va la decisione di abolire, nel primo allesti-mento della quadreria antica all’interno delReal Museo Borbonico, i vetri che, fino ad al-lora, avevano protetto i dipinti: la lunga spe-rimentazione aveva infatti sancito l’efficaciadella vernice Celestino contro qualsivoglia«alterazione pel contatto con l’aria […]»49.Il passaggio dall’adozione del nuovo metodoalla sua applicazione su larga scala non eraperò, per motivi economici, facilmente pra-ticabile: oltre alle pitture man mano scoper-te, sulle quali era obbligatorio, come daRegolamento del 1828, passare, dopo la pu-litura dai residui del seppellimento, la verni-ce Celestino50, esisteva il problema del gran-dissimo numero di dipinti – circa 160051 –già musealizzati e ricoperti dalle precedentivernici. Dopo aver verificato, su un primonucleo di 48 opere, i lunghi tempi di lavorooccorrenti (si trattava di rimuovere, ove esi-stenti, le vecchie vernici – alcune «difficili datogliersi» come affermava Andrea Celestinonella sua risentita, ancorché garbata, polemi-ca in relazione alla iniqua valutazione del la-voro del figlio Gaetano52 – nonché di esegui-re la pulitura, a volte condotta con molta ap-prossimazione all’atto del primo restauro), ilrestauratore di vasi Gargiulo, insieme al ca-nonico Andrea De Jorio, fu incaricato di sti-lare un elenco di pitture meritevoli di essereliberate dalle vecchie vernici, ormai degrada-te, per essere poi riverniciate. Si introducevacosì in modo esplicito, anche per i dipintistaccati, quel criterio gerarchico che, neglistessi anni, veniva ad improntare la conser-vazione degli intonaci dipinti lasciati in si-tu53. Infatti – argomenta il controloroCampo – «[…] la maggior parte [scil. dei di-pinti staccati] sebbene tutti preziosi per la ve-nerata antichità, non presentano de’ sogget-ti interessanti, o perché divenuti poco visibi-li, non più suscettibili a ricevere migliora-mento colla nuova vernice»54; e pertanto,scrivono gli incaricati della selezione «[…]abbiamo creduto scegliere in prima quegl’in-tonachi, su i quali, o non vi si era messa in al-tri tempi alcuna Vernice, o tanto poco, danon impedire la loro giornaliera deperizione.L’esperienza ha dimostrato, che se quando lepitture antiche sono scoverte, non vi si ac-corre sollecitamente con qualche ajuto diVernice, o d’Incausto, perdono giornalmen-te in modo da non rimanervi neanche la tra-ma. Per quelle poi, sulle quali prudentemen-te vi si applicò la Vernice semplice, il fatto haprovato, che se questa ci ha reso il gran van-taggio di conservarli tali, quali erano nello

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stato che vi si applicò, atteso la natura de’suoi incredienti [sic], si è ingiallita, ed in con-seguenza ha tradito le tinte primitive del qua-dro. In alcuni di questi, coll’applicazione delpresente incausto i colori sono ritornati al lo-ro primiero bello. Perciò ne abbiamo sceltotra tanti altri quelli, che abbiamo creduto imigliori, e più conservati, a seconda delle di-sposizioni superiori. Abbiamo anche avutoriguardo al modo forte e robusto, col qualesono stati essi dipinti»55.Non sappiamo se a causa della eccessiva mo-le di lavoro, oppure per motivi economici, oancora in conseguenza della strettissima se-quenza operazionale pulitura-verniciatura-

documentazione, anche il disegnatoreMarsigli fu incaricato di pulire i dipinti e,successivamente, di passarvi il «cilestrino»,ossia la vernice di Andrea Celestino56.Il riscontro su opere sicuramente databili eindividuabili grazie alle fonti ci ha permessodi ripercorrere e arricchire il quadro qui so-pra delineato. Sulla Vittoria (fig. 46), unicodipinto riconoscibile della prima fase di spe-rimentazione del nostro pittore, abbiamoinfatti riscontrato non solo una protezione acera, ma alcune integrazioni mimetiche incorrispondenza del campo rosso, in alto sul-la destra57, ma anche dell’ala sinistra (segna-lata da Arditi come gravemente lacunosa),del collo e del viso, dove ricreano l’origina-rio effetto di ombreggiatura; sull’ala il ritoc-co è eseguito in modo tale da non completa-re del tutto l’immagine, ma da suggerirnel’andamento mediante alcune pennellatefluide, che danno l’impressione, a confron-to con le parti originali superstiti, di una ca-duta delle finiture a corpo (fig. 47). Sia latecnica che il colore impiegato – un verdespento, simile a quello dell’altra ala, benconservato tra il fianco e il braccio destro –presuppongono una non comune capacità

di osservazione e conoscenza della pitturamurale di area vesuviana: le lacune delle par-ti nude, dipinte in bianco, sono infatti inte-grate, sulla base di esigue tracce, con una ter-ra verde (fig. 48) che è spesso utilizzata, confunzione di abbozzo, nella pittura romana.Questa grande versatilità nell’imitare aspet-ti della tecnica antica si estende, coerente-mente, alle modalità stesse di composizionee stesura della pellicola pittorica e, poiché al-l’epoca era convinzione di Celestino che sitrattasse di un encausto, con questo metodosono eseguite le sue integrazioni. Queste sa-rebbero a fatica distinguibili, senza l’ausiliodi tecniche di imagingmulti spettrale58 (fig.

161), a conferma della straordinaria capacitàdi mimesi del pittore evidenziata da MicheleArditi.Queste modalità integrative verranno prestoabbandonate, a causa del parere negativodell’Accademia di Belle Arti e della stessa cor-te, e pertanto la ricerca si concentrerà, dopodi allora, sulla sola sperimentazione di unprotettivo. Lo conferma l’osservazione di al-cuni quadri, riconoscibili fra quelli trattatidal figlio Gaetano nel 1828, che rispecchia-no, anche se non sempre puntualmente,quanto descritto nella relativa nota di lavoro:ad esempio l’opera MAN inv. n. 9925 (figg.39; 159 a, b), benché di antico scavo, fu pu-lita per la prima volta nel 1828, per potervistendere il protettivo a base di cera; questodato è stato confermato dalle indagini diimagingmulti spettrale nonché dalle analisichimiche59. Più problematico è l’esito delleindagini sul quadro MAN inv. n. 8965 (fig.49): le analisi chimiche hanno individuato,oltre che la cera, anche piccole quantità di co-lofonia, o trementina veneta, nonché di oliisiccativi, dato confermato dalla fluorescenzariscontrabile dall’esame al microscopio otti-co delle polveri, sia in luce visibile riflessa che

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Fig. 46 MAN inv. n. 8940.

Fig. 47 MAN inv. n. 8940:particolare dell’ala ritoccata adencausto.

Fig. 48 MAN inv. n. 8940:particolare del volto ritoccato adencausto.

Fig. 49 MAN inv. n. 8965.

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in luce UV60. Le riprese del dipinto in UV,viceversa, non evidenziano alcuna fluore-scenza, mentre la macrofotografia del visi-bile61 e le prove di pulitura62 (fig. 50) met-tono in luce il ductus delle pennellate relati-ve a quella che appare come un’unica stesu-ra di protettivo; ciò è in accordo con la te-stimonianza del 1828, che non accenna adalcuna vernice precedente all’intervento.D’altro canto colofonia e/o trementina ve-neta, associate a olii siccativi, non sembra-no essere state utilizzate, come si vedrà frabreve, in un’epoca antecedente alla morte diAndrea Celestino. L’esame di tanti dati con-tradditori ci spinge a programmare ulterio-ri approfondimenti per comprendere il sen-so della compresenza di questi materiali.

LA VERNICE AMODIOMorto Andrea Celestino intorno al 183863,si ritenne a torto che, con lui, fosse andataperduta anche la sua ricetta64; pertanto lasperimentazione di un protettivo ricomin-ciò ex-novo.Il primo a proporre un suo preparato segre-to fu Giuseppe Amodio, restauratore diquadri nel Real Museo Borbonico65. Alcunidocumenti elencano un gruppo di dipintida lui restaurati nel 183966; a fronte delladovizia di particolari con cui vengono de-scritti materiali e procedimenti per l’allesti-mento della carpenteria di supporti, cas-

seforme e cornici, colpisce la mancanza diqualsivoglia accenno ai trattamenti di su-perficie. Di certo la sua vernice rialzava dimolto le tinte, restituendo leggibilità ai di-pinti offuscati, se il controloro Pagano sisentiva in dovere di precisare che «senza l’o-pera della mano artistica che avrebbe forsealterati gli antichi lineamenti, e senza magiadi novelli colori, esse hanno riacquistatal’antica loro bellezza, facendo sparire li di-ciotto secoli di vetustà che le sfigurava»67. Lafortunata circostanza che, nelle note sud-dette, i dipinti siano dettagliatamente de-scritti, ci ha permesso di riconoscere nei de-positi una delle opere, che conserva ancorai trattamenti originali cui venne sottopostasubito dopo la scoperta (fig. 51). Le indagi-ni eseguite sul dipinto in questione hannochiarito, almeno in parte, cosa si celasse sot-to il vincolo del segreto: analizzando uncampione prelevato presso la cornice, al disopra di un lembo di foglia d’oro – perti-nente alla doratura della cornice, pure ese-guita da Amodio – è stata infatti individua-ta una resina ottenuta da conifere – ossia co-lofonia o trementina veneta – in associazio-ne con oli siccativi68; una vernice di tal fat-ta, costituita da materiali estranei a quelliutilizzati, fino a questo momento, sulle pit-ture antiche, si può forse collegare alla suaattività di restauratore prestato all’archeolo-gia, ma avvezzo a tradizioni proprie dei qua-

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Fig. 50 MAN inv. n. 8965:tassello di pulitura.

Fig. 51 MAN sn-7, coperto dallavernice Amodio.

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dri da cavalletto69. Viceversa la presenza dicera, pure segnalata dalla analisi, va associa-ta allo strato non fluorescente che, nella se-zione stratigrafica, copre quello oleo-resi-noso; evidentemente, anni dopo l’apposi-zione della vernice Amodio, è stato steso unnuovo protettivo ceroso.

LE VERNICI DELLA SECONDA METÀ DEL XIXE DELLA PRIMA METÀ DEL XX SECOLOIl limite cronologico di questo nuovo trat-tamento a cera è desumibile dal prosieguodella complessa storia dei protettivi.Morto Amodio nel 1840, scomparve conlui il segreto della sua vernice70. Numerosisi susseguirono, per circa un ventennio, gliesperimenti, limitati però – a quanto ci con-sta – a frammenti di intonaco dipinto, op-pure a pitture in situ71. Unica, dubbia eccezione, l’accenno, in undocumento degli inizi del Novecento, ad untrattamento con «diversi strati di vernice»,ovvero, come si dice in altri documenti coe-vi, con «coppale», che avrebbe interessato,intorno alla metà del secolo XIX, circa lametà dei dipinti del museo, ossia almenomille72; non sono purtroppo noti i metodidi pulitura, che avrebbero potuto indirizza-re verso la presenza di determinate sostanze. Di recente E. Siotto ha riferito del rinveni-mento, nel corso del restauro dell’affrescocon Venere nella conchiglia73, scoperto aPompei nel 1762, di due vernici, la più an-tica delle quali sicuramente presente ancheal di sotto dell’attuale cornice74; quest’ulti-ma è, a nostro avviso, indubitabilmentequella apposta nel 182875. Collegando lafluorescenza agli UV dello strato più anticoalla presenza di una gommalacca, la Siottoistituisce un’equazione con la «coppale» so-pracitata; di conseguenza, il più recentestrato ceroso visibile in sezione sottile vieneda lei ricondotto all’intervento di rimozio-ne di quella vernice a favore di un nuovoprotettivo, come attestano – senza elencareperaltro i singoli dipinti – i documenti diarchivio.In realtà, la sequenza dei trattamenti osser-vati sull’opera sembra quella, canonica, danoi riscontrata su moltissime opere staccateprima della sospensione della verniceMariconi, avvenuta, ricordiamo, solo nel176776: alla suddetta vernice, caratterizzatadalla fluorescenza attribuita, crediamo atorto, ad una gommalacca da noi mai ri-scontrata sulle opere77, si sovrappone, dopouna sommaria rimozione, il protettivo ce-roso di Andrea Celestino.Escluso dunque un trattamento con copale

del dipinto con Venere nella conchiglia, tor-niamo alle nostre fonti. Sembra singolareche, di un trattamento «a copale» così este-so, non vi sia alcuna traccia nei documentidell’epoca; si ha perciò l’impressione che l’i-spettore degli scavi Geremia Di Scanno, au-tore della nota, abbia voluto riferirsi allavernice Mariconi – la più diffusa sugli affre-schi staccati – fraintendendone composi-zione e cronologia: i suoi vistosi fenomenidi viraggio cromatico ben si attagliano in-fatti alla sua descrizione dei dipinti così trat-tati: «[…] deturpati con uno strato di ver-nice coppale che li ingiallì e diede loro falseintonazioni di tinte»78. Dato l’esito insoddisfacente di tutte le pro-ve, nel 1859 si giunse alla risoluzione di tor-nare alla vernice di Celestino79; tuttavia,benché la ricetta, in un primo tempo dataper dispersa, fosse stata nel frattempo ritro-vata, la sua realizzazione, affidata ai chimi-ci Francesco Scarpati e Raffaele Napoli, nonne riproduceva più correttamente il proce-dimento: i saggi, eseguiti su alcune pitturedel museo80, consistettero nella stesura diuna miscela di cera – anziché della cerinaprevista nella ricetta originale, dal momen-to che manca, nella nota spese, l’alcool ne-cessario a ottenerla – e acqua ragia81; inoltreil preparato fu passato «ora a caldo, e ora amedio calore»82, anziché a freddo; infine larigida proporzione tra soluto e solvente erain contrasto con le raccomandazioni diCelestino, che sosteneva la necessità di mo-dularla sulla differente porosità e stato diconservazione degli intonaci83. Poco tempo dopo, ogni esperimento pre-gresso fu azzerato a favore del «meraviglio-so» metodo del professor Piria84, una va-riante meno raffinata della verniceCelestino, poiché prevedeva un preparato,a freddo, costituito da cera sciolta in benzi-na85. Da quest’epoca in poi, fino all’avven-to delle resine sintetiche, fu la cera il com-ponente più utilizzato per la protezione del-le pitture antiche, in situ o musealizzate chefossero86. Ad esempio, tra le migliorie apportate allacollezione delle pitture, nel 1868, si fa men-zione di averle «lavate e ricoperte più voltedi cera, da risuscitarne i colori velati per levernici anteriormente adoperate […]»87.Ancora agli inizi del ’900, in occasione del-la sopra citata campagna di pulitura dei di-pinti che erano stati trattati con il «coppa-le» cui sopra si è accennato88, l’operaio DeSimone fu incaricato, dopo la pulitura,«[…] di distendere sulla cera antica un nuo-vo strato di cera disciolta in benzina»89.

Ravvivanti e protettivi 53

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1 Cfr. CANTILENA 1992, pp. 105-110;D’ALCONZO 2002, pp. 28-33; PRISCO2003, pp. 127-139; SIOTTO 2004, pp.77-88; D’ALCONZO, PRISCO 2005, pp.72-87.2 Sui tentativi di rendere i dipinti mura-li somiglianti a dipinti ad olio, fino aiprimi anni del XIX secolo, si vedaGIACOMINI 2007, p. 95.3 La vernice veniva passata dopo l’appo-sizione della cornice: cfr. ad esempio lanota del 15 giugno 1745 di Voschi aMontealegre in ASN, CRAntica, I inv.,Scavi e Musei, b. 1537, 123.3, pubbli-cata nel Regesto documentario curato daP. Barrella, in CANTILENA, PORZIO2008, p. 256.4 Una lista, risalente al 15 giugno 1745(Voschi a Montealegre, in ASN,CRAntica, f. 1537/123) è stata pubbli-cata in PAGANO 2005, p. 52. Altre tre li-ste, relative all’anno 1764, sono conte-nute in ASN, CRAmministrativa, IIIinv., Conti e cautele, b. 1185, Anno1764, coll. 83, 84, 86, 396, 493.5 Questa notizia, desunta dalle fonti, èconfermata dalle nostre indagini, che cipermettono di affermare che, contraria-mente a quanto si credeva – così ritene-vano, basandosi sulle indagini (cfr.PANCANI, SERACINI, VANNUCCI 1992,pp. 131-132), R. Cantilena (CANTILENA1992, p. 106) e P. Cinti (CINTI 1992, p.116) – anche gli stacchi dal tempio diIside erano stati trattati con la verniceMariconi; la cosa non deve stupire poi-ché, come aveva già notato P.D’Alconzo (D’ALCONZO 2002, p. 63,nota 92) una parte di essi era stata sco-perta prima delle vicende che portaro-no alla sua sospensione: infatti nelle fo-to UV da noi effettuate su alcuni dipin-ti a deposito, è ben visibile, a tratti, la ti-pica fluorescenza gialla dovuta alla pre-senza di sostanze oleo-resinose; questesono state rimosse probabilmente all’at-to dell’applicazione del protettivo a ce-ra che ne ha preso il posto.6 Cfr. in questo stesso volume, rispettiva-mente, M. Cardinali, M.B. De Ruggieri,Caratterizzazione dei ravvivanti e protet-tivi: tecniche di imaging multi spettrale; F.Talarico, Caratterizzazione dei ravvivan-ti e dei protettivi sui dipinti di area vesu-viana: analisi micro-FTIR, GC-MS e dimicroscopia ottica in luce visibile e ultra-violetta.7 Cfr. il rapporto di Joseph Canart alministro Tanucci dell’8 ottobre 1766,in cui si afferma che «queste diligenzepraticate a tutte le pitture ritrovate da27 anni a questa parte, che ben sarannoquasi al n.° di 2000, passate tutte permie mani, tanto riguardo al loro taglio,incassm.to e altro, quanto per la verni-ce alle med. data […]»; il rapporto è sta-to pubblicato integralmente inD’ALCONZO 2002, doc. 34, pp. 113-4.8 Le nostre osservazioni sono conferma-te da una relazione di GaetanoCelestino non datata, ma risalente all’a-prile 1828 (in ASSAN, IV E 3, 7, 1828Dipinti antichi ristaurati e passati di ver-nice dal sig. Celestino secondo il modo dalui trovato. Compenso per tali lavori) cheelenca con precisione quali delle pittu-re affidategli fossero coperte «dall’anti-ca vernice» e quali siano state trattate

per la prima volta; tra queste ultime vene sono alcune staccate negli anni in cuiera in auge la vernice Mariconi.9 Cfr. ad esempio la lettera di Paderni aTanucci del 12 giugno 1760 (ASN,CRAntica, f. 857), pubblicata inSTRAZZULLO 1982b, pp. 234-5.10 Cfr. il rapporto citato a nota 7.Alcune tra le pitture da noi schedatepresentano una stesura spessa e solcatada colature. La sezione stratigrafica delcampione 5 prelevato sull’opera MANsn-1 mostra con chiarezza l’esistenza diuna doppia stesura, la prima parzial-mente asportata all’atto dell’apposizio-ne della successiva (cfr., in questo stessovolume, F. Talarico, Caratterizzazionedei ravvivanti e dei protettivi sui dipintidi area vesuviana: analisi micro-FTIR,GC-MS e di microscopia ottica in lucevisibile e ultravioletta).11 Secondo ALLROGGEN-BEDEL 2003, p.100, esiste un’omonimia tra il direttoredegli scavi e un ignoto disegnatore dicui non sono note le opere.12 Come riferito in una minuta anoni-ma in cui si riassume l’iter della vernice,datata da P. D’Alconzo (D’Alconzo2002, p. 63 e doc. 35, p. 114) al luglio1767.13 MAN inv. n. 8555.14 Cfr. infra, pp. 50-51 e nota 55.15 In realtà il segreto fu svelato, a condi-zione che non fosse divulgato, dalla ve-dova Mariconi alla morte del marito, incambio di un vitalizio; per la vicenda siveda ARRIGHI, LAINO 2007, p. 73, cui sirimanda per la precedente bibliografia;erroneamente il padre Piaggio sostene-va, a distanza di anni, che fosse stato ilMariconi in persona a svelare il segretoal re, che «lo diede in deposito al mar-chese Acciaioli» (il brano autografo è ri-portato in BASSI 1908, pp. 323-4;D’ALCONZO 2002, pp. 64-65). La ri-cetta non è mai stata ritrovata.16 Cfr. il rapporto di Joseph Canart alministro Tanucci, citato a nota 7.17 La nota è stata publicata per la primavolta in RUGGIERO 1885, pp. 70-71.18 ARRIGHI, LAINO 2007, pp. 70-108.19 Per i quali cfr., in questo stesso volu-me, F. Talarico, Caratterizzazione deiravvivanti e dei protettivi sui dipinti diarea vesuviana: analisi micro-FTIR, GC-MS e di microscopia ottica in luce visibilee ultravioletta.20 In tal senso un passaggio del già cita-to rapporto di Joseph Canart al mini-stro Tanucci, in cui si afferma che la ri-cerca di una vernice per i dipinti stacca-ti era nata «[…] con l’idea nonmenoche si sarebbero ancora più conservate,ma che poteva riuscire la loro lucidaz.ee miglior veduta» (cfr. supra, nota 7).21 Cfr., in questo stesso volume, G.Prisco, La catena inventariale.22 Cfr. l’esplicita proibizione del 1822,riportata in D’ALCONZO 2002, p. 77 enota 2; di certo questa pratica è attesta-ta dagli inizi del secolo, come riferito inCREUZÉ DE LESSER 1806, p. 190.23 Ne è prova la circostanza che, all’attodella redazione dell’elenco di un primogruppo di dipinti da trattare, nel 1828,con la nuova vernice di Celestino di cuifra breve si parlerà, si dovette constatareche le pitture, al di sotto delle vecchie

vernici, erano «[…] sporche ben anchedi molta terra che ha dovuto egualmen-te esser tolta […]» (lettera di AndreaCelestino al controloro GiuseppeCampo del 7 ottobre 1828, in ASSAN,IV E 3, 7, 1828. Dipinti antichi ristau-rati e passati di vernice dal sig. Celestinosecondo il modo da lui trovato. Compensoper tali lavori, pubblicata in D’ALCONZO2002, doc. 54, pp. 126-7).24 COCHIN 1751, p. 10.25 Prima lettera sulle scoperte diErcolano al Sig. Conte Enrico di Brühl,del 1762: WINCKELMANN [1981].26 Così in una lettera a Bianconi, dellametà del luglio 1758: WINCKELMANN

[2001], p. 21. Parole assai simili sono ado-perate da Winckelmann (WINCKELMANN

[2005], p. 428).27 ASN, MPI, b. 410, f. 168, riportatoin CUFINO 2000, p. 217.28 Per il parere di De Mura, cfr.D’ALCONZO 2002, p. 62.29 Per l’intera vicenda si veda la disami-na di P. D’Alconzo (D’ALCONZO 2002,pp. 62-65, cui si rimanda per la prece-dente bibliografia). 30 Infatti su alcuni dipinti da noi scheda-ti (MAN inv. nn. 9168, 9550, 9927),provenienti dalla casa di Giuseppe II(VIII 2, 39) (cfr. PPM VIII, 1998, rispet-tivamente p. 345, n. 70; 353, n. 87; 354,n. 90) scoperti tra l’agosto 1767 e l’anno1769, l’unica stesura rinvenuta è quella,posteriore, a cera, risalente evidentemen-te ai tempi di Andrea Celestino, mentremanca la vernice Mariconi, all’epoca giàsospesa, nonché quella da noi ipotetica-mente identificata come ‘Paderni’, nonancora approvata.31 MAN inv. nn. 9311; 9184; sn-5 (n.rom. 679); sn-6 (n. rom. 716); sn-14(n. rom. 642).32 Cfr. ARRIGHI, LAINO 2007, p. 93.33 Cfr., in questo stesso volume, M. Car-dinali, M.B. De Ruggieri, Caratterizza-zione dei ravvivanti e protettivi: tecnichedi imaging multi spettrale.34 Cfr., in questo stesso volume, F.Talarico, Caratterizzazione dei ravvi-vanti e dei protettivi sui dipinti di areavesuviana: analisi micro-FTIR, GC-MSe di microscopia ottica in luce visibile eultravioletta, MAN inv. n. 9184, camp.1 e 2.35 ARRIGHI, LAINO 2007, pp. 92-93.36 BASSI 1908, p. 324. La «vecchia» vaidentificata con Rosa Percolla, vedovaMariconi. Non saprei se il padre Piaggiosi riferisca specificatamente al prepara-to del Paderni quando, nel 1790, si sca-glia contro una «puzzolente vernice»che, per l’effetto combinato dei cristallie del riverbero del sole «[…] là si cuoce,si crepa, e si stacca, e si scrosta […]» (cfr.LONGO AURICCHIO, CAPASSO 1980, p.58).37 LALANDE 1767, VII, seguito dall’ano-nimo estensore della voce Herculanumnel III Supplément de l’Encyclopédie(HANO 1987, pp. 229-245). Anche Ph.Petit-Radel fa la stessa osservazione(PETIT-RADEL 1815, p. 160 ss.). 38 In cosa consistessero questi esperi-menti, condotti da Francesco La Veganel 1788, ma che dovevano essere co-minciati almeno l’anno prima, è svelatoda un passo di V. Requeno: «Il modo di

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nettare i quadri fatti all’encausto debbeessere solo l’encausto medesimo ripetu-to, scaldandoli e sfregandoli con pan-nolini. Così sono stati felicemente net-tati nelle scavazioni a Napoli 4 compar-timenti di cinabro coperti di salnitro, edipinti indubitabilmente a cera»(REQUENO 1787, p. 161).39 Già nel 1788, quando erano ancora incorso gli esperimenti di pulitura,Francesco La Vega enunciava che: «di se-guente si esaminerà quale sia la prepara-zione che meglio convenga per ravviva-re i colori»: cfr. relazione del 14 maggio1788, pubblicata in PAGANO 1997, p.95. E, nello stesso anno, il re disponevache «[…] dal citato D. Francesco LaVega, il quale già da molto tempo si è ap-plicato su le varie meccaniche usate da-gli antichi nel dipingere, si conservino(scil. le pitture) continuando l’esperien-ze per ravvivare il colorito delle pitture,e pulirle dalla terra […]» (ivi, p. 94).40 I primi esperimenti di encausticaturafurono condotti, stando a quanto affer-mato nella PAH (II, p. 221), alla datadel 18 marzo 1829, «[…] da un Gesuitane’ primi anni di questo secolo».41 Cfr. il diario di scavo, alle date del 3 lu-glio e del 4 agosto 1805 (PAGANO 1997,p. 173). A P. D’Alconzo (D’ALCONZO2002, p. 81) si deve la convincente pro-posta di riconoscere, sulla base del con-fronto fra due tempere di FrancescoMorelli riproducenti l’affresco conAtteone, lo stato di conservazione dell’o-pera prima dell’esperimento e il suo cam-biamento di tono dopo il trattamento acera; in tal caso la prima immagine, pri-va di data, dovrebbe situarsi alla vigiliadell’intervento di La Vega, mentre la se-conda, datata 1808, testimonierebbe, adistanza di tre anni, il suo buon esito.42 Il Narciso fu scoperto il 15 maggio1808 (cfr. PAH I, 3, p. 4, 1-18 mag-gio1808) e venne staccato il 3 marzo1810 (cfr. PAH I, 3, p. 34), pochi mesidopo la nascita del Museo della reginaCarolina (per la cui istituzione si veda inquesto stesso volume, G. Prisco, Gli al-lestimenti museali).43 Cfr., in questo stesso volume, M. Car-dinali, M.B. De Ruggieri, Caratterizza-zione dei ravvivanti e protettivi: tecnichedi imaging multi spettrale: F. Talarico,Caratterizzazione dei ravvivanti e deiprotettivi sui dipinti di area vesuviana:analisi micro-FTIR, GC-MS e di mi-croscopia ottica in luce visibile e ultra-violetta.44 Cfr. PRISCO 2007 c.s. 45 BOYER 1969a, p. 78. Secondo Boyerle istruzioni, redatte il 21 germinale a.VII (11 aprile 1799), sono probabil-mente opera di Amaury Duval, che erastato in Italia al seguito di Talleyrand.46 Cfr. D’ALCONZO, PRISCO 2005, pp.72-87.47 Copia conforme della relazione del 21settembre 1825 dei chimici FrancescoLancellotti e Nicola Covelli, in ASSAN,IV E 3, 4, 1811-1829 Esperimento fattodella vernice inventata dal Prof. Celestino.Parere della Società Reale Borbonica sudetta vernice. Vantaggi che offre.Preparazione e modo di applicarla, pub-blicata in D’ALCONZO 2002, p. 119 ss.,doc. 45.

48 Cfr. D’ALCONZO, PRISCO 2005, pp.72-87; in questo stesso volume, C.Giovannone, A. Guglielmi, G. Prisco,Stuccature ed integrazioni.49 Rescritto reale del 13 novembre 1827al direttore del museo Michele Arditi eda questi trasmesso, con nota del 20 no-vembre, al controloro Giuseppe Campo(ASSAN, IV E 3, 4); rescritto reale del5 gennaio 1828 al direttore del museoMichele Arditi e da questi trasmesso,con nota del 14 dello stesso mese, alControloro Giuseppe Campo (ASSAN,IV E 3, 5). Che questa vernice fosse unefficace protettivo sembra essere statochiaro anche agli albori della sperimen-tazione: infatti il dipinto con VittoriaMAN inv. n. 8940, destinato, dopo lascoperta del 1812, al museo privato del-la regina Carolina ricevette, dopo il re-stauro del Celestino, una ricca cornice,priva però dell’usuale cristallo di prote-zione (cfr. PRISCO 2007 c.s.). 50 Cfr. PRISCO 2003, p. 130.51 Così il controloro Campo; in realtàgli intonaci dipinti erano all’epoca innumero leggermente inferiore (cfr., inquesto stesso volume, G. Prisco, La ca-tena inventariale).52 Lettera di Andrea Celestino al con-troloro Giuseppe Campo del 7 ottobre1828, in ASSAN, IV E 3, 7.53 Si veda, ad esempio, la minuta del-l’architetto Bonucci del 4 novembre1829, in ASSAN, IV E 3, 2; in questostesso volume, A. Guglielmi, G. Prisco,Le operazioni di stacco e la conservazionein situ.54 Così il controloro Campo, in una mi-nuta al direttore Arditi del 3 settembre1828 (ASSAN, IV E 3, 7, 1828 Dipintiantichi ristaurati e passati di vernice dalsig. Celestino secondo il modo da lui tro-vato. Compenso per tali lavori).55 Ivi, minuta del 20 settembre 1828 diRaffaele Gargiulo e Andrea De Jorio al di-rettore Arditi, pubblicata in D’ALCONZO2002, p. 127, doc. 55). 56 PAH II, p. 220, 18 marzo 1829. Per icompiti di Marsigli cfr. BRAGANTINI2003, p. 88; PRISCO 2003, p. 130;SIOTTO 2007, p. 129. Che tra i compi-ti dei disegnatori rientrasse quello dipassare la vernice, a riprova dello strettonesso esistente tra le due operazioni, èprovato da un altro documento, del1861, che attesta un pagamento al dise-gnatore Abbate per aver steso la cera sualcune pareti di recente scoperte (per latrascrizione del documento cfr. SIOTTO2004, doc. 35, p. 85). Nel 1838 è poiregistrato il pagamento allo scalpellinoPiedimonte «per aver dato la Cera allaParete di Atteone» nella casa di Sallustiodi Pompei (cfr. Spese straordinarie som-ministrate dall’Appalt.e med.o in dettoanno in Pompei, in ASN, MPI, b. 333I/4, Misura ed apprezzo dei Lavori ese-guiti dall’Appaltatore Sig. D. Giuseppedell’Aquila […] dal primo Gennajo atutto Dicembre 1838).57 Cfr. C. Giovannone, A. Guglielmi,G. Prisco, Stuccature ed integrazioni.58 Cfr., in questo stesso volume, M. Car-dinali, M.B. De Ruggieri, Caratterizza-zione dei ravvivanti e protettivi: tecnichedi imaging multi spettrale.59 Cfr., in questo stesso volume, M. Car-

dinali, M.B. De Ruggieri, Caratterizza-zione dei ravvivanti e protettivi: tecnichedi imaging multi spettrale; F. Talarico,Caratterizzazione dei ravvivanti e deiprotettivi sui dipinti di area vesuviana:analisi micro-FTIR, GC-MS e di mi-croscopia ottica in luce visibile e ultra-violetta.60 Cfr., in questo stesso volume, F.Talarico, Caratterizzazione dei ravvi-vanti e dei protettivi sui dipinti di areavesuviana: analisi micro-FTIR, GC-MSe di microscopia ottica in luce visibile eultravioletta.61 Cfr., in questo stesso volume, M. Car-dinali, M.B. De Ruggieri, Caratterizza-zione dei ravvivanti e protettivi: tecnichedi imaging multi spettrale.62 Effettuate con white spirit.63 Per la presunta data di morte cfr.D’ALCONZO, PRISCO 2005, p. 87, no-ta 56.64 Essa era stata infatti pubblicata, nel1825, sul “Giornale delle Due Sicilie”:cfr. PRISCO 2003, p. 130.65 Ivi; per l’attività di Amodio come re-stauratore di quadri da cavalletto cfr.D’ALCONZO2003, pp. 141-167, passim.66 Cfr. ASN, MPI, 338, 61 (cfr.Documenti, pp. 239-240 nn. 9-12) eASSAN, XXI A 5, 1.11, Manutenzionee distacco delle dipinture, de’ musaici del-le iscrizioni e de’ graffiti pompeiani. Anno1839, dove si elencano sette dipinti. InASN, MPI, 377 I/2, 41, Real MuseoBorbonico. Furto di alcune dipinture an-tiche di Pompei (cfr. Documenti, pp.245-246, n. 30) e nel simile documen-to in ASSAN, XXI C 3, 3, Stato della ve-rifica della Collezione de’ dipinti su mu-ro e di quanto altro si contiene nelle duegallerie appartenenti a questa Collezionemessa una alla dritta e l’altra alla sinistradell’Androne principale del Real MuseoBorbonico, s.d.; al punto 6 sono elenca-ti 9 dipinti, ma si tratta di documentiposteriori di alcuni anni al restauro (nn.1601-1609 della numerazione aggiun-ta da Avellino all’inventario Arditi II;per la storia delle inventariazioni cfr., inquesto stesso volume, G. Prisco, La ca-tena inventariale).67Minuta del Controloro del R. MuseoBorbonico al Ministero del 10 gennaio1839, in ASSAN, XXI A 5, 1.11,Manutenzione e distacco delle dipinture,de’musaici delle iscrizioni e de’graffitipompeiani. Anno 1839.68 Cfr., in questo stesso volume, F.Talarico, Caratterizzazione dei ravvi-vanti e dei protettivi sui dipinti di areavesuviana: analisi micro-FTIR, GC-MSe di microscopia ottica in luce visibile eultravioletta.69 Questa vernice appare tuttavia inso-lita in ambito napoletano, dove la ver-nice mastice di Anders aveva fattoscuola presso i restauratori di dipintida cavalletto: cfr. CERASUOLO 2005, inpart. p. 32.70 In una lettera al Ministro del 17 feb-braio 1842 Francesco Maria Avellino sirammarica che la composizione dellavernice di Celestino, come pure di quel-la di Amodio «che mi sembra ancor piùpregevole» siano andate perdute: cfr.ASN, MPI, Real Museo Borbonico 328II/37, 1842. Proposta di Francesco M.

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Avellino di nominare una commissioneper lo studio delle vernici di Celestino edAmodio. 71 PRISCO 2003, pp. 130-5.72 ASSAN, XXI B 10, 27, Conservazionedegli affreschi pompeiani nel Museo.Relazione di G. Di Scanno. 1902; AS-SAN, XXI B 10, 28, Ripulitura degli af-freschi pompeiani del Museo. 1904-1905.I documenti relativi sono stati pubblica-ti in SIOTTO 2004, pp. 85-86.73 SIOTTO 2006, pp. 84-85.74 La descrizione dei trattamenti sull’o-pera è, in verità, un po’ confusa: dellavernice a cera si dice (SIOTTO 2006, p.83) che è stata stesa, dopo l’asportazio-ne della precedente, caratterizzata dauna forte fluorescenza, senza rimuoverela cornice; ma, nel punto di prelievocorrispondente, il (5) della fig. 10, si af-ferma che tale cera è stata prelevata al disotto della cornice. La stessa cosa avvie-ne per lo strato fluorescente sottostanteche, a p. 85, si afferma essere stato steso,insieme al successivo, senza smontare lacornice, mentre a p. 84, nella descrizio-ne del punto di prelievo del campione(A) si afferma che questo è stato prele-vato sotto la cornice.75 Come si è detto, questa cornice vieneerroneamente collegata dalla Siotto al-l’intervento settecentesco (per i diversi ti-pi di cornici e la loro cronologia cfr., inquesto stesso volume, G. Prisco, Supporti,casseforme, cornici: le fonti; F. Di Cosimo,C. Longo, La carpenteria: l’evidenza ma-teriale).76 La Siotto ipotizza che, già nel 1762 lavernice sia stata messa in discussione e

che, di conseguenza, non sia stata piùpassata sui dipinti; ciò è contraddetto,oltre che dalle stesse fonti, che colloca-no la sospensione del trattamento al1767, dall’evidenza costituita da alcunidipinti provenienti dal tempio di Iside(cfr. supra, nota 5); questi, scavati nel1765, presentano chiare tracce di unpreparato caratterizzato da una fortefluorescenza, parzialmente rimosso pri-ma dell’applicazione del protettivo ce-roso di Andrea Celestino.77 In ogni caso, non si comprende il sal-to logico tra la «gommalacca», alla cuipresenza viene attribuita la fluorescen-za, e la «copale» citata nelle fonti.78 Cfr. la nota del 18 aprile 1905 dell’i-spettore degli Scavi Geremia Di Scannoal Direttore del Museo, in ASSAN, XXIB 10, 28, Ripulitura degli affreschi pom-peiani del Museo. 1904-1905.79 ASN, MPI, b. 358 II, f. 72, verbaledel 12 febbraio 1859. A rigore, tale ver-nice non avrebbe mai dovuto essere so-spesa, essendo espressamente indicataall’art. 67 del Regolamento pel MuseoReale Borbonico del 1828, che era an-cora in vigore nel 1866 (ACSR, Dir.Gen. AA.BB.AA., 1860/1890, I vers.,b. 244, 111-77). 80 ASN, MPI, b. 358 II, f. 72, nota al di-rettore del Museo del 25 febbraio 1859.81 Rimborso delle spese sostenute daFrancesco Scarpati: ivi, nota del 23 apri-le 1859.82 Verbale della commissione istituita daSan Giorgio, fin nel 1854, per la salva-guardia degli antichi dipinti: ivi, 21 giu-gno 1859.

83 PRISCO 2003, p. 130.84 Comunicazione di Fiorelli a SanGiorgio del 21 febbraio 1861, in AS-SAN, XXI B 10, 10, Pompei.Ripulitura, conservazione restauro dellepitture murali.85 In una nota s.d., ma dei primi del1865, attribuibile a Fiorelli, si dispone dipassare sulle pitture, subito dopo la pu-litura, «a più riprese con morbido pen-nello un indumento di cera sciolta nel-l’essenza di terebinto»: cfr. ACSR, MPI,Dir. Gen. AA.BB.AA. 1860/1890, Ivers., b. 244, 111-75.86 Fatti salvi gli ignoti esperimenti con-dotti su dipinti a deposito, come quellodell’abate Luigi Malvezzi nel 1877 (cfr.ACSR, MPI, Dir. Gen. AA. BB. AA., Ivers., b. 244, 112-26).87 Questa frase è contenuta in una rispo-sta alle accuse comparse sull’“AllgemeineZeitung”: ACSR, MPI, Dir. Gen.AA.BB.AA. 1860/1890, I vers., b. 244,111-80, Accuse d’un giornale tedesco con-tro l’Amministrazione del Museo (cfr.Documenti, pp. 249-250, n. 42).88 Cfr. supra, e nota 72.89 Cfr. il promemoria s.d. (ma inseritofra carte del 1904), in ASSAN, XXI B10, 28, Ripulitura degli affreschi pom-peiani del Museo. 1904-1905. Insolita èla menzione della costante presenza deltrattamento «antico» a cera al di sottodello strato di vernice: probabilmentel’imperfetta rimozione del protettivodava luogo a fenomeni di sbiancamen-to, interpretati all’epoca come altera-zioni di materiale ceroso originale.

56 GABRIELLA PRISCO, ANTONIO GUGLIELMI

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